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38 N ella tarda mattinata del 28 giugno 1914 nella città bosniaca di Sarajevo, un’auto imboccò una strada sbagliata. Si fermò e mentre l’autista faceva retromarcia dai margini della strada partirono due colpi di pistola. L’erede al trono dell’Impero austriaco, Francesco Ferdinando e sua moglie morirono nell’attentato compiuto da Gavrilo Princip, il nazionalista serbo-bosniaco che casualmente si trovava nel punto in cui l’auto era stata costretta a rallentare. Furono le due prime vittime della guerra mondiale che dal 1914 al 1918 divampò in Europa. Nei cinque anni di battaglie su tutti i fronti le vittime furono oltre 10 milioni, di cui più di 3 milioni civili. In Italia furono mobilitati oltre 5 milioni e mezzo di soldati con 650.000 morti, 947.000 feriti e oltre 600.00 prigionieri e dispersi. U na partecipazione, voluta dai nazionalisti e dai sostenitori di Mussolini e D’Annunzio, del tutto inutile, dato che l’Austria era disposta a consegnare subito all’Italia Trento e Trieste purché non entrasse nel conflitto. N essuna guerra, prima di allora, aveva mai provocato un così grande numero di morti. Papa Benedetto XV – di fronte ad un conflitto che vedeva i cattolici spararsi l’uno contro l’altro da opposte trincee – definì la guerra “un suicidio dell’Europa civile” e usò per quel massacro un’espressione drammatica e quanto mai efficace: «Una inutile strage». La Prima guerra mondiale non risolse, ma al contrario aggravò, i problemi dell’Europa. Fu quella guerra a dare origine – oltre alla esaltante e tragica Rivoluzione d’ottobre – al fascismo e al nazismo che portarono dopo pochi decenni ai un conflitto ancora più tragico L a Seconda guerra mondiale – con i suoi morti nelle steppe di Russia, nel deserto libico e in tutti gli altri fronti, ma anche con le stragi e le rappresaglie naziste e fasciste, con i lager e lo sterminio degli ebrei, i bombardamenti anglo- americani sulle città e le bombe atomiche di Hiroshima a Nagasaki – dimostrò che le guerre nella società moderna – anche quando giustificate da nobili motivi- provocano stragi sempre più grandi soprattutto tra le popolazioni civili. 1914 1918 A 90 anni dall’ “inutile stragedi Bruno Enriotti

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Nella tarda mattinata del 28 giugno1914 nella città bosniaca di Sarajevo,un’auto imboccò una strada

sbagliata. Si fermò e mentre l’autista facevaretromarcia dai margini della stradapartirono due colpi di pistola. L’erede altrono dell’Impero austriaco, FrancescoFerdinando e sua moglie morirononell’attentato compiuto da Gavrilo Princip, ilnazionalista serbo-bosniaco che casualmentesi trovava nel punto in cui l’auto era statacostretta a rallentare.Furono le due prime vittime della guerramondiale che dal 1914 al 1918 divampò inEuropa. Nei cinque anni di battaglie su tuttii fronti le vittime furono oltre 10 milioni, dicui più di 3 milioni civili. In Italia furonomobilitati oltre 5 milioni e mezzo di soldaticon 650.000 morti, 947.000 feriti e oltre600.00 prigionieri e dispersi.

Una partecipazione, voluta dainazionalisti e dai sostenitori diMussolini e D’Annunzio, del tutto

inutile, dato che l’Austria era disposta aconsegnare subito all’Italia Trento e Tr i e s t epurché non entrasse nel conflitto.

Nessuna guerra, prima di allora, avevamai provocato un così grandenumero di morti. Papa Benedetto XV

– di fronte ad un conflitto che vedeva icattolici spararsi l’uno contro l’altro daopposte trincee – definì la guerra “unsuicidio dell’Europa civile” e usò per quelmassacro un’espressione drammatica equanto mai efficace: «Una inutile strage».La Prima guerra mondiale non risolse, ma alcontrario aggravò, i problemi dell’Europa.Fu quella guerra a dare origine – oltre allaesaltante e tragica Rivoluzione d’ottobre – alfascismo e al nazismo che portarono dopopochi decenni ai un conflitto ancora piùt r a g i c o

La Seconda guerra mondiale – con isuoi morti nelle steppe di Russia, neldeserto libico e in tutti gli altri fronti,

ma anche con le stragi e le rappresaglienaziste e fasciste, con i lager e lo sterminiodegli ebrei, i bombardamenti anglo-americani sulle città e le bombe atomiche diHiroshima a Nagasaki – dimostrò che leguerre nella società moderna – anchequando giustificate da nobili motivi-provocano stragi sempre più grandisoprattutto tra le popolazioni civili.

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A 90 anni dall’“inutile strage”

di Bruno Enriotti

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Mario Rigoni S t e r n :

il Piave mormoravaQuando eravamo balilla alla vigilia del 24 maggio cifacevano sfilare davanti alla bandiera per il saluto,mentre la 5ª A schierata sull’attenti cantava la Leggendadel Piave:“Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il 24 maggio.L’esercito marciava per raggiungere la frontiera per fare contro il nemico una barriera…”

L’autore di questacanzone, che ogniragazzo aveva

scritta sul quaderno, era E.A. Mario; sì, proprio quel-lo che avrebbe compostoVi p e r a, Santa Lucia lun -t a n a e altre famosissimec a n zoni degli anni Ve n t i .Ma noi non lo sapevamo, enon conoscevamo nem-meno le canzoni proibitecome Gorizia tu sia ma -l e d e t t a o Il canto del di -sertore. Per la strada – nona scuola! – cantavamo unacanzone degli alpini dovesi diceva che la figlia del reaveva le gambe storte.Ma chi non conosceva lacanzone del Piave, con lasua storia del 24 maggio,di Caporetto e del fiumeche mormorò “non passa lostraniero”? Questa storicacanzone fu però compostaverso la fine del conflitto ein essa, scrive MarioIsnenghi, si può ricono-

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scere uno dei maggiori fat-tori del mito postumo dellaGrande guerra. Si imposenelle celebrazioni e nei riticommemorativi quasi comeuna M a r s i g l i e s e. Quandoeravamo balilla.Dal giorno in cui l’Italiaentrò in guerra control’Austria sono passati ot-tant’anni; i grandi prota-gonisti sono tutti scompar-si, sono stati aperti gliarchivi e ora possiamoguardare a quegli eventicon occhi sereni e il cer-vello libero da preconcetti,perché in questi ultimi anniuna nuova generazione distorici ha frugato, scoperto,esaminato, commentato epubblicato quanto era pos-sibile trovare anche nei dia-ri degli umili, e con grandi

risultati. Certo, prima contanti personaggi viventi erad i fficile, perché più d’unoaveva interesse a nascon-dere la verità; e poi con ilfascismo e il nazionalismoimperanti la Grande guerraera esaltata fino all’esa-sperazione: Mussolini eraun ex combattente, Vi t-torio Emanuele il re sol-dato, i fanti eroi; dagli ar-diti erano nate le squadred’azione dei fascisti. Così,semplicemente, ci spiega-vano a scuola i nostri in-s e g n a n t i .Mai nessuno di costoro cidiceva di “intervistare” inostri padri che erano statial fronte, di chiedere allenostre madri come eranovissute da profughe. Nemmeno di portare un

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Mario Rigoni Stern:il Piave mormorava

fiore sulle tombe dei sol-dati nei tanti cimiteri sparsitra i nostri boschi e le nos-tre montagne. Invece l’alt-ro giorno tre ragazzine diquarta elementare anda-vano alla ricerca di personeda intervistare sulla Grandeguerra. Mi azzardai a scri-vere sul loro quaderno unanota per la maestra: «Carasignorina, la Grande guerrainiziò il 1° agosto 1914,noi entrammo il 24 maggiodel ’15; faccia un po’ i lconto: le persone che do-vrebbero averne personalememoria hanno passato al-meno i novant’anni».Rileggiamoci, allora, unp o ’ di storia. Il nostro eser-cito, in quell’ormai lontano1914, «non era mai statopreparato per partecipare auna grande guerra europea;aveva un organismo mo-deratamente modesto ecombinato in modo da nonpermettere il passaggio ad

una maggiore completezzase non attraverso grandisforzi. Il piccolo esercitopermanente e il mediocremateriale da noi possedutosi erano grandemente lo-gorati durante la guerra diLibia». Così scrive A l d oValori in La guerra italo-a u s t r i a c a 1 9 1 5 - 1 9 1 8 ( B o-logna 1925).L’Italia si era preparata aentrare in guerra con deiconcetti quanto meno cu-riosi, ignorando l’espe-rienza fatta dai belligerantiin un anno di lotta suifronti dell’Est e dell’Ovest.Inoltre, ai pochi inter-ventisti volontari si accom-pagnava una massa inerte epassiva; ai pochi generalicompetenti si assommava-no i troppi inetti carrieristio gli spavaldi che consi-deravano la guerra di trin-cea alla stregua delle bat-taglie napoleoniche o delR i s o rgimento. L’esercito diottocentomila uomini chepotevamo schierare dalloStelvio all’Adriatico nonera certo quello che pro-paganda, stampa e Statomaggiore volevano far cre-dere. In breve tempo Ca-dorna, con criteri moltopersonali, cercò di soppe-rire a quelle manchevolez-ze con ferrea disciplina eistruzione formale; cercòanche di rimediare allamancanza dei materiali chenei magazzini erano pre-visti ma non c’erano: armi,munizioni, rifornimenti.Dicono le regole di guerra

Una guerra su vette impossibili, avanposti irraggiungibili, al gelo dell’in

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che l’efficacia di un eser-cito è data dal numero edall’armamento, ma chequesto serve a poco se nonci sono buoni comandanti econvinzione della giustacausa nei combattenti. Noieravamo ricchi di parole, digrandi operazioni… sullacarta, di piccole iniziativepersonali. Il generale Gatti,diarista dello Stato mag-giore, ebbe a scrivere:«Purtroppo c’era, e insa-nabile, nell’esercito italianoallo scoppio della guerra, lasproporzione tra lo scopo ei mezzi».Il 24 maggio del ’15 ilPiave mormorava al pas-saggio dei fanti, ma questi,nella realtà, erano passatiqualche mese prima e lebrigate che avevano i nomidi città e regioni d’Italiaerano «alla fronte con ilnemico». Quella mattina,alle quattro, il primo colpodi cannone partito dal ForteVerena contro quello au-striaco del Verle segnaval’entrata dell’Italia nellaGrande guerra. Il primoitaliano caduto sul frontetrentino fu un siciliano:Salvatore Randazzo. Fuaccolto dal “nemico” esepolto con l’onore dellearmi nei pressi di Ve z z e n a .Da allora tanto giovanesangue è stato versato suicampi di battaglia prima digiungere all’idea di un’Eu-ropa senza confini.

(Dal volume Tra due guer -re, edizioni Einaudi)

La carneficina del forte PosacchioA pochi chilometri da Rovereto, su un cucuzzolo diroccia gli austriaci costru i rono l’imprendibile fort ePozak, poi abbandonato sotto l’incalzare dell’offensivaitaliana. A Valmorbia, sul fronte era di sentinellaEugenio Montale, che ricorda in questa poesia ilcannoneggiamento incessante. Le notti chiare erano tutte un’alba e portavano volpi alla mia grotta. Valmorbia, un nome, e ora nella scialba memoria, terra dove non annotta. La conquista della postazione, con il forte non ancoraultimato, fu un massacro. In una sola notte del 1916m o r i rono oltre mille uomini tra italiani e austriaci, i cuiresti sono simbolicamente raccolti nell’altare-ossario inpietra innalzato davanti al forte, oggi visitabile e con ilnome italianizzato.I reduci e i soldati in licenza narrarono dello spaventosom a s s a c ro, delle decimazioni che ne seguirono e unafamiglia di contadini della bassa reggiana, i Malaguti,onorò con il nome del forte l’ultimo figlio venuto almondo nel 1916 chiamandolo Posacchio. Tutti i lorofigli portavano nomi ispirati alle grandi figure delmovimento operaio e della scienza. Anche il comportamento e l’educazione seguiro n ol ’ i m p ronta pacifista e l’impegno per le classi oppre s s ecome loro. Si schierarono subito contro i fascisti guer -rafondai e pagarono con una spaventosa dure z z al’impegno: 17 anni di galera tra tutti. Privazioni, bas -t o n a t u re, tort u re poi la lotta partigiana. Sul terreno diquesta coerenza restarono il più vecchio, il padre Primo,fucilato nel febbraio del 1945, e Posacchio che nel -l’ultima azione partigiana muore nel combattimento pers t r a p p a re ai tedeschi un gruppo di prigionieri destinatiad una terribile sorte. Era il 24 aprile del 1945, a ungiorno dalla Liberazione. Aveva una giovane moglie edue bambini. Un cippo nella pianura reggiana, costellata dai me -moriali di una lotta feroce, ricorda il suo sacrificio. C’ès e m p re un mazzo di fiori rossi ad indicare la stradanella pianura.

Gli echi delle spaventose perdite arrivarono ben presto in tutta Italia

Posacchio Malaguti, ilp a rtigiano che prese il nomein ricordo dei caduti delf o rte Pozak.Sotto il forte Posak nel 1916.

verno e una tragica punizione se “non si attaccava in tutte le condizioni”

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La Grandeguerraal cinema

Ai primi del novembre scorso, in occasione della ricor-renza del 90° dell’armistizio che sanciva la fine dellaprima guerra mondiale, il presidente francese Sarkozyebbe, nel corso della simbolica celebrazione, a Ve r d u n ,p a role di grande civiltà verso i combattenti, ai tempidel conflitto considerati disertori e sommariamente giu-stiziati, risarcendoli d’ogni dignità e considerazioneumanitaria in quanto, in effetti, vittime «di errori dicomando che avevano spedito questi soldati al massa-c ro».

675 furono, in Francia, le esecuzioni decise dalConsiglio di guerra. E Sarkozy ha puntualmente messoin rilievo per l’occasione: «Ricordiamoci che eranouomini come noi, con le loro forze e le loro debolezze,ricordiamoci che avre b b e ro potuto essere nostri figli».

di Sauro Bore l l i

La messa al campo al villaggio, la “terra di nessuno” cosparsa di caduti

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Fatti e misfatti dellaguerra che, anche nelnostro Paese, ebbero

sciagurata rilevanza neglianni tra il 1915 e il 1918,specie nello scorcio rovi-noso della cosiddetta “rot-ta di Caporetto”, allorché learmate austro-tedesche ir-ruppero travolgenti controil fronte italiano. Migliaia –da 5000 a 7000 – furono al-lora i soldati fucilati per de-cimazione o eliminati du-rante lo sbandamento diCaporetto. E al propositotante e significative sonostate le testimonianze di si-mili aberrazioni: ricordia-mo, tra tutte, l’esemplare,angoscioso ricordo cheErnest Hemingway, volon-tario diciannovenne sul fron-

te italiano, ebbe e volle eter-nare nelle mirabili pagined’uno tra i suoi libri più in-tensi e appassionanti, A d d i oalle armi.Ecco, per sprazzi e scorcifulminei, il rendiconto he-m i n g w a y a n o :«…All’estremità del pontec’erano ufficiali e carabi-nieri in piedi accanto ai dueparapetti con le lampade ta-scabili… Quando ci avvici-nammo vidi un ufficiale in-dicare un uomo della co-lonna… Mentre ci avvici-navamo si udirono degli spa-ri. Vidi i lampi dei fuochi eudii le detonazioni…».Episodi terribili e ricorren-ti nell’inferno di quella guer-ra, ove – pure – altri com-battenti trovarono e tra-

mandarono sentimenti dellapiù alta pietas e del latte del-la superstite, umana bontà.Come, ad esempio, il poetaGiuseppe Ungaretti nel suoispirato ricordo dei giorni diguerra intitolato icastica-mente F r a t e l l i:

Di che reggimento siete fratelli? P a rola tremante nella notte foglia appena nata nell’aria spasimante involontaria rivolta dell’uomo presente alla sua fragilità f r a t e l l i .

Ma non meno struggenti edissacranti ogni ostentata odocculta retorica risultano,

ancor oggi, le pagine cheEmilio Lussu (1890-1975),già tenente in prima linea,assembò nel suo memora-bile libro Un anno sul -l ’ A l t o p i a n o, resoluto, sde-gnato atto d’accusa controla guerra e, in ispecie, con-tro coloro che la guerra lapropiziano nell’intento di fa-re i loro sporchi maneggi e leloro intollerabili soperchie-rie. Peraltro, al di là, dei ci-tati casi di scrittori e poetiche, in prima persona, han-no dato prodiga testimo-nianza degli anni cruenti del-la prima guerra mondiale,c’è da mettere in debito ri-lievo che anche il cinema, apartire già dagli anni Ve n t i ,ha avuto un ruolo importantenel prospettare, tramanda-

dopo l’attacco in trincea e la preghiera solitaria al camposanto del paese

E r n e s tHemingway conle stampelleall'Ospedale dellaC roce Rossaamericana aMilano dove fuoperato per l aferita alla gamba.A destra EmilioLussu. Part e c i p òalla prima guerramondiale comeu fficiale dic o m p l e m e n t odella Brigata" S a s s a r i " .

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re, in variabili forme e spe-cifiche vicende, gli eventi,i personaggi di una epopeatragica per tanti versi indi-cibile, dissennata.Anzi, la parabola sottesa al-l’arco dei novant’anni checi separano dalla capitalecatastrofe mondiale è statacontrappuntata assiduamenteda realizzazioni cinemato-grafiche le più varie e piùallettanti. E tra tali e tantepellicole di autori ora eccelsiora soltanto professional-mente corretti sono non po-chi i titoli che ancor oggi co-stituiscono i degni riscontri

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Il militarismo inteso proprio come prevaricazione dell’individuo e come

di momenti e storie davve-ro memorabili. Si possonocerto menzionare a volod’uccello e indiscriminata-mente i film più noti quali Iq u a t t ro cavalieri dell’a -p o c a l i s s e (la versione diRex Ingram del 1921 e quel-la di Vincente Minnelli del1962) e, via via, A l l ’ o v e s tniente di nuovo di LewisMilestone, We s t f ro n t di Wi l-helm Pabst, La grande il -l u s i o n e di Jean Renoir,Addio alle armi (la versio-ne di Frank Borzage del1932 e quella di CharlesVidor del 1957), O r i z z o n t i

di gloria di StanleyKubrick, La grande guer -r a di Mario Monicelli,Uomini contro di FrancescoRosi, Fraulein doktor d iAlberto Lattuada, Gli annis p e z z a t i di Peter We i r,Capitan Conan di BertrandTa v e r n i e r, R e g e n e r a t i o n d iGillies MacKinnon, L ac h a m b re des officiers d iFrançois Dupeyron,D e a t h w a t c h di Michael J.Bassett, Il battaglione per -d u t o di Russell Mulcahy,Una lunga domenica dip a s s i o n i di Jean-PierreJeunet, Joyeux Noël d i

Christian Carion e G i o v a n ia q u i l e di Tony Bill.Ad un elenco generale e (for-se generico) di questo tipo,si può comunque, con un’at-tenzione più ravvicinata ecriticamente analitica pun-tare su un gruppo di titolidefinibili, senz’altro, comele opere più significative e ri-velatrici. All’ovest niente dinuovo apre, in certo qualmodo, la lista dei film inne-gabilmente migliori (dei“classici” nel loro genere):un gruppo di studenti tede-schi sbalestrati al fronte sco-pre amaramente di quale su-dore e di quanto sanguegrondi la conquista d’unagloria inesistente.Seguono, nell’ordine, L agrande illusione ( d i s i n-cantata “canzone di gesta”sul destino disperato di unamale assortita congrega dicombattenti che hanno mos-so guerra all’esistenza e chesono stati da questa stessasconfitti e schiantati); A d d i oalle armi (desunto dall’au-tobiografica, omonima pro-va letteraria di Hemingway);Orizzonti di gloria (si puòdire, l’epitome di quel cheè e dovrebbe essere un “rac-conto morale” incentrato

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e esercizio della violenza distruttrice

sulla guerra: qui è in que-stione proprio il fulcro del-la degenerazione del mili-tarismo inteso proprio co-me prevaricazione dell’in-dividuo e come vanaglorio-so quanto irresponsabileesercizio della violenza di-struttrice). Ci sono poi, acomplemento di un tale qua-dro d’assieme già sintoma-tico delle prove più riuscitealtre pellicole di grande ef-fetto civile quali La gran -de guerr a (epica e insiemepicaresca rappresentazionedi uno scorcio italiano abi-tato da personaggi e vicen-de patetiche e commoven-ti); Uomini contro ( t r a s c r i-zione parziale e comunqueilluminante dei drammi, del-le traversie inenarrabili deifanti bloccati nelle trinceedi Un anno sull’altopianodi Lussu); Gli anni spez -z a t i (circostanziata evoca-zione della “passione e mor-te” del contingente austra-liano-neozelandese immo-lato dagli inglesi su tutti ifronti più sanguinosi).Per chi oggi, sprovvisto d’o-gni cognizione e delle op-portune informazioni sullaguerra ’15-’18, volesse ri-mediare anche blandamen-

te a una tale carenza, non di-ciamo che vedere rivederele opere cinematografichesin qui menzionate possaovviare a un tale stato dellecose. È certo, peraltro, cheanche uno solo di questi filmconcepiti, scritti e realizza-ti con stile originale e ri-spetto, soprattutto, dei fattipresi in esame, avrà inne-gabilmente qualche turba-mento o perlomeno il so-spetto che eventi, personaggidi una storia spesso con-trabbandata per una stento-rea quanto convenzionaleavventura, è ben altrimentisignificativo se guardatosenza fumo agli occhi e, an-cor più, nella sua eff e t t u a l erealtà e verità. La storia, si sa, contraria-mente a quel che ci hannoraccontato a scuola, non èmai stata maestra di alcun-ché e, men che meno, dellavita. La storia, come recitaun’azzeccata canzone di DeGregori, siamo noi. Nel sen-so che, anche attraverso ilcinema – il buon cinema, ilgrande cinema – possiamoestorcere qualche utile in-segnamento dalle pur vitu-perevoli vicende dellaGrande guerra.

Allucinante battuta di Berlusconi sui deportati nei lagerIl “Corriere della sera” del 18 gennaio, genuflesso, lo hadefinito “Silvio show”. In visita a Nuoro per un girop reelettorale il presidente del consiglio Silvio Berlusconinon ha saputo re s i s t e re alla tentazione di raccontareuna barzelletta al pubblico dei sostenitori accorso al suoc o m i z i o .«La sapete quella del campo di concentramento?», hachiesto, e subito, incalzante: “Un kapò dice: ‘Per foi houna puona notizzia e una meno puona. Metà di foi sarannotrasferiti in un altro campo’. A questo punto tutti gri -dano evviva e chiedono quale sia la notizia cattiva.‘Qvella meno puona è che la parte di foi che sarà traferitaè qvella ke va da qui in giù», e nel dire questo segna dal -la cintola in giù".La cronaca non dice dell'accoglienza, immaginiamoesultante, del pubblico alla battuta del capo.Noi, che i campi di concentramento li abbiamo cono -sciuti bene, vorremmo sommessamente dire al pre s i -dente del consiglio che le sue barzellette concentrazio -narie non fanno ridere: fanno pena. E non fanno onorené a lui né al suo governo, tanto più alla vigilia delGiorno della Memoria.

“Ricordi diMauthausenai miei nipoti”Luigi Massignan di Padova ha scritto i suoi “Ricord idi Mauthausen ai miei nipoti”, un agile libretto che mol -ti giovani dovre b b e ro leggere per conoscere quali sonostati i sacrifici e le sofferenze dei deportati, e più in ge -nerale di tutti gli antifascisti.. Luigi Massignan non èun eroe ma uno di quei tanti giovani, che in un momen -to drammatico per la storia del nostro paese ha saputos c e g l i e re la strada giusta pur sapendo dei rischi chequesta scelta comport a v a . .La storia che racconta ai suoi nipoti parte dall’autun -no dei 1944 quando lui, vice comandante del battaglionep a rtigiani Valdagno, viene arrestato dalla X Mas aMontecchio in seguito ad una spiata. Inizia così il suocalvario prima in una caserma degli sgherri fascisti aVicenza e quindi nelle mani dei tedeschi. Dopo i pe -santi interrogatori, viene deportato dapprima a Bolzanoe quindi a Mauthausen. Il racconto di Luigi si unisce aquello di tanti altri deportati politici che sono soprav -vissuti al lager. Massignan a Mauthansen diventa il nu -m e ro 115609 e le sue sofferenze nei lager sono simili aquelle degli altri deportati, fino alla Liberazione e il ri -torno a casa.Al termine del suo racconto l’autore si pone una do -manda estremamente attuale “Gli antichi scrivevanoHistoria docet, la storia insegna, ma cosa ci insegna que -sta tragedia?” e cerca di darsi anche una risposta: “Itedeschi non erano un popolo di criminali, ma quandoc’è un gruppo forte che ha in mano i mezzi di pro p a -ganda, di informazione, le scuole e il potere economi -co anche coloro che sono stati passivi spettatori diven -tano complici. Quindi quello che è successo in Germaniapuò ancora accadere ”