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GIORGIO PINI Absoluta consideratio naturae : Tommaso d’Aquino e la dottrina avicenniana dell’essenza Si è spesso notata l’influenza della dottrina dell’essenza di Avicenna sugli autori del Due e Trecento. Riassunta nella formula ‘ equinitas est equinitas tantum’, tanto celebre quanto oscura, questa dottrina è di solito associata a Duns Scoto, ma compare di fatto in quasi tutti gli autori attivi nella seconda metà del tredicesimo secolo e nei primi anni del quattordicesimo, ed in particolare in Tommaso d’Aquino, Enrico di Gand ed Egidio Romano 1 . Poche dottrine appaiono altrettanto importanti per comprendere la metafisica di questi autori, ciascuno dei quali sottoscrive a quanto Avicenna afferma in vari punti della sua opera, ossia che un’essenza (ad esempio, l’essenza di uomo), benché esista sempre o come un individuo nel mondo (ad esempio, in Socrate, Platone e così via) o come un universale nell’intelletto (il concetto universale uomo), può tuttavia essere considerata in modo assoluto, prescindendo sia dall’individualità che ad essa pertiene in quanto esiste nel mondo sia dall’uni- versalità che ad essa pertiene in quanto esiste nell’intelletto. Considerata in modo assoluto, un’essenza non è né individuale né universale, ma è indiffe- rente ad entrambe le caratterizzazioni␣ : esse sono in qualche modo acciden- tali ed esterne all’essenza quando sia presa di per sé 2 . 1 Sull’influenza della dottrina dell’essenza di Avicenna su Scoto, si veda il classico studio di É. GILSON, Avicenne et le point de départ de Duns Scot , «␣ Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Age␣ », 2, 1927, pp.␣ 89-149, in part. pp.␣ 129-146. Le conclusioni di Gilson sono state recentemente discusse da P. PORRO, Duns Scot et le point de rupture avec Avicenne, in Duns Scot à Paris. Actes du Colloque International, Paris, 2-4 septembre 2002, éd. par J.-L. SOLÈRE - G. SONDAG, Brepols, Turnhout, di prossima pubblicazione. Si veda inoltre A. DE LIBERA, La querelle des universaux. De Platon à la fin du Moyen Age, Éditions du Seuil, Paris 1996, pp.␣ 185-206␣ ; ID., La référence vide. Théories de la proposition, Presses Universitaires de France, Paris 2002, pp.␣ 231-239␣ ; P. PORRO, Universaux et esse essentiae␣ : Avicenne, Henri de Gand et le « Troisième Reich », «␣ Cahiers de philosophie de l’Université de Caen␣ », 38-39, 2002, pp.␣ 9-51. 2 Si veda soprattutto AVICENNA, Metafisica. La Scienza delle cose divine ( al-Il∞hiyy∞t ) dal Libro della guarigione ( Kit∞b al-¶if∞’ ). Testo arabo a fronte. Testo latino in nota. Traduzione dall’arabo, introduzioni note e apparati di O. LIZZINI. Prefazione, revisione del testo latino e cura editoriale di P. PORRO, Bompiani, Milano 2002, Trattato Quinto, Sezione Prima e Seconda, pp.␣ 442-477. Per una traduzione inglese ed una presentazione generale di questa dottrina di

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GIORGIO PINI

Absoluta consideratio naturae␣:Tommaso d’Aquino e la dottrina avicenniana dell’essenza

Si è spesso notata l’influenza della dottrina dell’essenza di Avicenna sugliautori del Due e Trecento. Riassunta nella formula ‘equinitas est equinitastantum’, tanto celebre quanto oscura, questa dottrina è di solito associata aDuns Scoto, ma compare di fatto in quasi tutti gli autori attivi nella secondametà del tredicesimo secolo e nei primi anni del quattordicesimo, ed inparticolare in Tommaso d’Aquino, Enrico di Gand ed Egidio Romano1 . Pochedottrine appaiono altrettanto importanti per comprendere la metafisica diquesti autori, ciascuno dei quali sottoscrive a quanto Avicenna afferma in varipunti della sua opera, ossia che un’essenza (ad esempio, l’essenza di uomo),benché esista sempre o come un individuo nel mondo (ad esempio, in Socrate,Platone e così via) o come un universale nell’intelletto (il concetto universaleuomo), può tuttavia essere considerata in modo assoluto, prescindendo siadall’individualità che ad essa pertiene in quanto esiste nel mondo sia dall’uni-versalità che ad essa pertiene in quanto esiste nell’intelletto. Considerata inmodo assoluto, un’essenza non è né individuale né universale, ma è indiffe-rente ad entrambe le caratterizzazioni␣ : esse sono in qualche modo acciden-tali ed esterne all’essenza quando sia presa di per sé2 .

1 Sull’influenza della dottrina dell’essenza di Avicenna su Scoto, si veda il classico studio diÉ. GILSON, Avicenne et le point de départ de Duns Scot, «␣ Archives d’histoire doctrinale et littérairedu Moyen Age␣ », 2, 1927, pp.␣ 89-149, in part. pp.␣ 129-146. Le conclusioni di Gilson sono staterecentemente discusse da P. PORRO, Duns Scot et le point de rupture avec Avicenne, in Duns Scotà Paris. Actes du Colloque International, Paris, 2-4 septembre 2002, éd. par J.-L. SOLÈRE - G.SONDAG, Brepols, Turnhout, di prossima pubblicazione. Si veda inoltre A. DE LIBERA, La querelledes universaux. De Platon à la fin du Moyen Age, Éditions du Seuil, Paris 1996, pp.␣ 185-206␣ ; ID.,La référence vide. Théories de la proposition, Presses Universitaires de France, Paris 2002,pp.␣ 231-239␣ ; P. PORRO, Universaux et esse essentiae␣ : Avicenne, Henri de Gand et le «␣ TroisièmeReich␣ », «␣ Cahiers de philosophie de l’Université de Caen␣ », 38-39, 2002, pp.␣ 9-51.

2 Si veda soprattutto AVICENNA, Metafisica. La Scienza delle cose divine (al-Il∞hiyy∞t) dalLibro della guarigione (Kit∞b al-¶if∞’). Testo arabo a fronte. Testo latino in nota. Traduzionedall’arabo, introduzioni note e apparati di O. LIZZINI. Prefazione, revisione del testo latino e curaeditoriale di P. PORRO, Bompiani, Milano 2002, Trattato Quinto, Sezione Prima e Seconda,pp.␣ 442-477. Per una traduzione inglese ed una presentazione generale di questa dottrina di

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Poche dottrine sono tuttavia altrettanto problematiche, se non addiritturamisteriose per l’interprete contemporaneo. Quando si parla di essenzaaristotelica, infatti, il problema principale è stabilire se si tratti di un’essenzaindividuale o universale. Sostenere che l’essenza, considerata di per sé, nonè né individuale né universale significa, nell’ottica degli interpreti contempo-ranei, sottrarsi a questo dilemma appellandosi ad una terza possibilità di persé poco chiara oltre che estranea alla dottrina aristotelica che pure si intendespiegare con il richiamo all’indifferenza dell’essenza all’individualità edall’universalità3 .

A questa difficoltà di comprendere la dottrina dell’indifferenza se neaggiunge un’altra, riguardante la sua grande diffusione. Come si è accennato,non c’è praticamente autore tra tredicesimo e quattordicesimo secolo, perquanto originali siano le sue opinioni in fatto di metafisica, che manchi dirichiamarsi ad Avicenna ed al famoso adagio secondo cui equinitas estequinitas tantum. È proprio questo successo a costituire un problema perl’interprete contemporaneo. Come è possibile tanta uniformità tra autori chesostengono dottrine dell’essenza notoriamente molto diverse le une dallealtre e che spesso si sono scontrati tra di loro proprio a proposito del correttomodo di intendere la nozione di essenza? Sorge naturale il sospetto che ilrichiamo ad Avicenna sia semplicemente un espediente retorico privo disignificato filosofico, e che la dottrina dell’indifferenza dell’essenza, oltre adessere in sé incomprensibile, nasconda dietro un’apparente uniformità unadiversità di vedute inconciliabile.

Se dunque è facile ammettere l’influenza della dottrina avicenniana del-l’indifferenza dell’essenza nel tredicesimo e quattordicesimo secolo, quando

Avicenna, si veda M. E. MARMURA, Quiddity and Universality in Avicenna, in Neoplatonism andIslamic Thought, ed. P. MOREWEDGE, SUNY Press, Albany, N.Y. 1992, pp.␣ 77-87. Si vedano inoltreID., Avicenna’s Chapter on Universals in the Isagoge of His Shif∞’, in Islam␣ : Past Influence andPresent Challenge, eds. A. T. WELCH - P. CACIA, State University of New york Press, Albany N. Y.1979, pp.␣ 34-56␣ ; ID., Avicenna on Primary Concepts in the Metaphysics of his al-Shif∞’, in LogosIslamikos␣ : Studia Islamica in honorem Georgii Michaelis Wickens, eds. R. M. SAVORY - D. A. AGIUS,Pontifical Institute of Mediaeval Studies, Toronto 1984, pp.␣ 219-239␣ ; DE LIBERA, La querelle desuniversaux cit., pp.␣ 185-191␣ ; D. L. BLACK, Mental Existence in Thomas Aquinas and Avicenna,«␣ Mediaeval Studies␣ », 61, 1999, pp.␣ 45-79, in part. pp.␣ 47-51.

3 Sino a non molto tempo fa, l’opinione comune tra gli studiosi era che le forme aristotelichefossero universali. L’idea che le forme aristoteliche siano dei particolari è stata ripresa e difesacon particolare vigore in M. FREDE - G. PATZIG, Aristoteles ‘Metaphysick Z’. Text, Übersetzung undKommentar, 2 voll., Beck, München 1988 (trad. it., Il libro Z della Metafisica di Aristotele, Vitae Pensiero, Milano 2001). Per una presentazione del problema, si veda H. LESHER, Aristotle onForm, Substance, and Universals␣ : A Dilemma, «␣ Phronesis␣ », 16, 1971, pp.␣ 169-178. Per un’accu-rata esposizione e discussione delle posizioni al riguardo, G. GALLUZZO, Met. Z 13 in theContemporary Debate and in Aquinas’s Interpretation, «␣ Documenti e studi sulla tradizionefilosofica medievale␣ », 14, 2003, pp.␣ 159-226, in part. pp.␣ 161-185.

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si passi a descrivere nei particolari in che cosa consista l’adesione ad essa laquestione si fa più difficile, al punto che non sembra possibile consideraretale adesione come un indice dell’appartenenza ad una qualche scuola oanche più genericamente ad una tendenza avicenniana in metafisica. Da unlato, infatti, si deve constatare che gli autori latini non percepirono ladottrina dell’essenza di Avicenna come distinta da quella di Aristotele. Alcontrario, la dottrina di Avicenna venne considerata come una semplicechiarificazione di quella di Aristotele. Dunque, parlare dell’influenza diAvicenna non deve indurre nell’errore di pensare ad una concezioneavicenniana dell’essenza contrapposta ad una aristotelica. Nel tredicesimo equattordicesimo secolo, la storia della nozione aristotelica di essenza è difatto la storia di come venne interpretata la dottrina dell’indifferenza dell’es-senza di Avicenna. D’altro lato, non sembra possibile parlare dell’influenza diAvicenna come se esistesse un solo modo di intendere la sua dottrina dell’in-differenza dell’essenza. La medesima dottrina di Avicenna – e, per suotramite, la dottrina dell’essenza di Aristotele – venne in effetti interpretata inmodi diversi da diversi autori. Non è dunque sufficiente constatare che unautore si richiama ad Avicenna␣ ; è necessario vedere come effettivamenteciascun autore interpreta il passo di Avicenna in cui si pone l’indifferenzadell’essenza.

Scopo di questo studio è dunque porre alcune premesse per rispondere adue domande riguardanti in generale la natura dell’essenzialismo e l’interpre-tazione data della nozione aristotelica di essenza tra tredicesimo e quattordi-cesimo secolo. La prima domanda è␣ : come fu possibile per gli autori del Duee Trecento interpretare la dottrina dell’essenza di Aristotele come una dottri-na dell’indifferenza dell’essenza all’individualità e all’universalità␣ ? La secon-da domanda è␣ : come poterono autori che sostennero dottrine dell’essenzadiverse ed in contrasto tra loro appellarsi tutti alla medesima dottrina diAvicenna␣ ? Lasciando per il momento da parte suggestive ma prematuregeneralizzazioni storiografiche, la via per trovare la risposta a queste doman-de è una sola␣ : l’analisi precisa dei passi in cui gli autori medievali presentanola dottrina dell’indifferenza dell’essenza. Solo in questo modo si può giungeread una corretta valutazione di che cosa un autore medievale intendesse per‘essenza’. In attesa di allargare l’indagine a diversi autori, quali Enrico diGand, Egidio Romano e Duns Scoto, in questo studio si prenderà in conside-razione il caso di Tommaso d’Aquino, che sembra offrire un buon punto dipartenza per valutare il ruolo svolto dalla dottrina di Avicenna nell’interpre-tazione di Aristotele.

Si tratterà di analizzare passi di Tommaso a volte noti, a volte meno, main ogni caso spesso assunti come non problematici. Alla luce di alcune nuove

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acquisizioni storiografiche che hanno permesso di collocare la dottrina diAvicenna nella sua giusta prospettiva, sarà possibile considerare in unanuova luce l’interpretazione che Tommaso ne diede. Si potrà in questo modoverificare come si intreccino diverse tradizioni nell’interpretazione di unaformula spesso evocata ma raramente studiata da vicino come quella secondocui equinitas est equinitas tantum. Stranamente, gli interpreti hanno in effettitrascurato di compiere uno studio preciso del ruolo che la dottrina dell’indif-ferenza dell’essenza svolge in Tommaso, probabilmente perché maggiormen-te interessati a determinare l’esatto significato della più famosa dottrina delladistinzione tra essere ed essenza — a cui la dottrina dell’indifferenza dell’es-senza è in effetti collegata ma con cui non coincide. Se menzionata, ladottrina dell’indifferenza dell’essenza viene in genere considerata con uncerto imbarazzo, come un lascito di Avicenna non del tutto assimilato nelsistema tomista. Più spesso, tuttavia, si preferisce ignorarla del tutto4 . Ciò èprobabilmente dovuto ad un accidente storiografico␣ : la distinzione tra essereed essenza divenne uno dei punti discriminanti della cosiddetta scuolatomista, per lo meno a partire dal sedicesimo secolo, mentre la dottrinadell’indifferenza dell’essenza venne associata al realismo sugli universaliproprio della scuola scotista. Se tuttavia si parte da una considerazionediretta delle opere di Tommaso, non influenzata dalla lettura che ne diederoquanti intesero richiamarsi al suo insegnamento in un contesto mutato, èchiaro che il ruolo che la dottrina dell’indifferenza svolse nel pensiero diTommaso non fu minore di quello che svolse per Duns Scoto, anche senaturalmente l’interpretazione che Tommaso diede di tale dottrina è diversada quella che ne diede Scoto. Tanto più appare necessario uno studio detta-gliato dei passi in cui Tommaso presenta la dottrina di Avicenna. Inoltre, èindubbio che l’interpretazione che Tommaso diede della dottrina di Avicenna

4 Si consideri ad esempio che nel pregevole e comprensivo studio dedicato da Wippel allametafisica di Tommaso d’Aquino la dottrina dell’indifferenza dell’essenza non viene presa inconsiderazione␣ : si veda J. F. WIPPEL, The Metaphysical Thought of Thomas Aquinas. From FiniteBeing to Uncreated Being, The Catholic University of America Press, Washington, D.C. 2000.Possono essere considerati come delle eccezioni a questo proposito lo studio di J. OWENS,Common Nature␣ : A Point of Comparison between Thomistic and Scotistic Metaphysics, «␣ MediaevalStudies␣ », 19, 1957, pp.␣ 1-14; e quello di BLACK, Mental Existence cit., pp.␣ 61-65. Si veda inoltreDE LIBERA, La querelle des universaux cit., pp.␣ 277-283. Non si intende qui fornire una trattazionecomplessiva della dottrina dell’essenza di Tommaso, ma solo presentare la sua interpretazionedella dottrina dell’indifferenza dell’essenza di Avicenna. Per questo motivo, si sono tralasciatele discussioni teologiche sull’essenza trinitaria e sul rapporto tra suppositum e natura. Per unapresentazione più generale della dottrina dell’essenza di Tommaso che tiene conto anche diquesti problemi, si veda G. GALLUZZO, Aquinas on Common Nature and Universals, «␣ Recherchesde Théologie et Philosophie médiévales␣ », 71, 2004, pp.␣ 131-171.

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fu conosciuta dagli autori che vennero dopo Tommaso e svolse un ruolofondamentale come punto di partenza per stabilire quale fosse il correttomodo di intendere la famosa dottrina dell’indifferenza dell’essenza. SiaEnrico di Gand che Egidio Romano ebbero presenti le formulazioni diTommaso e partirono da esse per elaborare a loro volta, in direzioni diverse,ciascuno la propria dottrina.

Il caso di Tommaso d’Aquino è infine particolarmente istruttivo, in quantoTommaso, nel corso della sua carriera, non diede sempre la medesimainterpretazione della celebre dottrina dell’indifferenza dell’essenza. Sempli-ficando ed anticipando i risultati delle analisi che seguiranno, si può dire chein una prima fase egli adottò quella che si può chiamare una ‘interpretazioneontologica’ della dottrina dell’essenza indifferente, secondo cui l’essenza,presa nella sua indifferenza all’essere individuale e universale, è un costituen-te ontologico degli individui, antecedente ad essi e all’intelletto che astrae ipropri concetti universali dagli individui. Questa fase è testimoniata soprat-tutto nel Quodlibet VIII, q. 1. A partire dalla Summa contra Gentiles, masoprattutto nel commento al De anima, Tommaso abbandonò ogni riferimen-to alla funzione ontologica dell’essenza come costituente delle realtàextramentali, per abbracciare una concezione dell’essenza come concettouniversale, astratto dall’intelletto a partire dagli individui, considerato aprescindere dall’universalità che pure ad esso pertiene. Anche questa secondaconcezione dell ’essenza è di fatto un’interpretazione della dottrinaavicenniana, e può essere chiamata ‘interpretazione gnoseologica’ della dot-trina di Avicenna e, per suo tramite, della nozione aristotelica di essenza ingenerale.

Il caso di Tommaso è dunque esemplare in quanto mostra come sia ineffetti poco informativo parlare genericamente dell’influenza della concezio-ne avicenniana dell’essenza. Per comprendere il valore ed i limiti di taleinfluenza si deve prendere in esame nel dettaglio l’interpretazione che venneeffettivamente data della dottrina di Avicenna, al di là di una genericaadesione, non solo autore per autore, ma, per ciascun autore, opera per opera.

In quanto segue, si presenterà innanzi tutto brevemente la dottrina dell’es-senza di Avicenna come elaborazione della distinzione tracciata da Alessan-dro di Afrodisia tra universale e ciò cui l’universale pertiene. In secondoluogo, si passerà a considerare il ruolo e l’impatto della dottrina di Avicennasui Latini, ed in particolare su Tommaso d’Aquino, dapprima nel De ente etessentia, poi nel Quodl. VIII, q. 1 ed infine nei commenti al De anima ed allaMetafisica e nelle altre opere degli anni Sessanta e Settanta del Duecento.

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1. AVICENNA E L’EREDITÀ DI ALESSANDRO DI AFRODISIA

È merito di alcune indagini recenti avere ricollocato la dottrina dell’indif-ferenza dell’essenza di Avicenna nel contesto aristotelico che ad essa pertiene.È stato infatti dimostrato che Avicenna, con la sua dottrina dell’essenza, sicollega in modo diretto ad Alessandro di Afrodisia (II-III secolo d.C.), di cuiriprende una importante distinzione volta a chiarire la dottrina di Aristotele5 .

Per spiegare lo statuto delle nozioni universali ed il rapporto tra universa-le ed essenza in un passo del De anima di Aristotele (I, 1, 402b7, secondo cuil’animale universale o non è niente o è «␣ posteriore␣ »), Alessandro di Afrodisiadistingue tra ciò che viene definito (l’animale come oggetto di definizione) el’universale che ad esso pertiene come un accidente (l’animale come genere).Secondo Alessandro, l’essenza aristotelica è ciò che è oggetto di definizione,ed è dunque distinta dall’universale che ad essa pertiene come un accidente,ad esempio quando si dice che l’animale è una specie o un genere. Perdimostrare la distinzione tra ciò che è definibile — cui l’universale pertieneaccidentalmente — e l’universale stesso, ossia tra l’essenza e l’universale,Alessandro nota che, anche se esistesse un solo animale al mondo, essosarebbe comunque un animale e la definizione di animale sarebbe applicabilead esso. Tuttavia, se vi fosse un solo animale al mondo, è chiaro che ciò chein tale situazione verrebbe definito come animale non sarebbe universale,perché è proprio dell’universale essere detto di molte cose␣ : ma per ipotesi, intale situazione c’è una sola cosa che viene definita come animale. Ne consegueche ciò che è oggetto di definizione non è universale di per sé, ma soloaccidentalmente. Ad esempio, l’animale che è oggetto di definizione è univer-sale accidentalmente, perché è accidentale che esistano effettivamente piùanimali cui conviene tale definizione. Ciò significa che l’universale e ciò cheè oggetto di definizione (ossia, l’essenza) sono due entità distinte. Ad esseredefinito non è, secondo Alessandro, l’animale come universale, ma l’essenza

5 Si veda soprattutto A. DE LIBERA, L’art des généralités. Théories de l’abstraction, Aubier, Paris1999, pp.␣ 25-157, 499-607. Per quanto riguarda Alessandro di Afrodisia, de Libera riprende ediscute gli studi di S. PINÈS, A New Fragment of Xenocrates and Its Implications, «␣ Transactionsof the American Philosophical Society␣ », New Series, 51, 1961, pp.␣ 1-34␣ ; e soprattutto M. M.TWEEDALE, Alexander of Aphrodisias’ Views on Universals, «␣ Phronesis␣ », 29, 1984, pp.␣ 279-303.Già Tweedale aveva notato il collegamento tra la dottrina di Alessandro di Afrodisia e quella diAvicenna, sviluppato da de Libera. Per un’introduzione generale ad Alessandro di Afrodisia, sivedano P. DONINI, Le scuole, l’anima, l’impero␣ : la filosofia antica da Antioco a Plotino, Rosenberg& Sellier, Torino 1982, pp.␣ 22-48␣ ; e R. W. SHARPLES, Alexander of Aphrodisias␣ : Scholasticism andInnovation, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, 2.36.1, hrsg. von W. HAASE - H.TEMPORINI, de Gruyter, Berlin - New York 1987, pp.␣ 1176-1243.

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cui l’universalità pertiene accidentalmente6 .Questa distinzione tra universale e ciò che è oggetto di definizione, ossia

tra universale ed essenza, nasce in Alessandro come un tentativo di risolverealcune difficoltà esegetiche presenti in Aristotele. Benché i motivi per cui ladistinzione è stata posta siano chiari ed apparentemente chiara sia la distin-zione stessa, resta tuttavia un problema fondamentale, che gli interpreti nonhanno mancato di osservare e che influenzerà la storia successiva dellanozione di essenza. Se infatti è chiaro che l’essenza (cui pertiene la definizio-ne) è distinta dall’universale che ad essa viene attribuito come un accidente,non è chiaro come l’essenza stessa possa essere descritta positivamente. Si sache cosa l’essenza non è␣ : non è un universale. E tuttavia, che cosa è in sestessa? Forse un individuo esistente nel mondo? Sicuramente no␣ : Alessandrodice esplicitamente che ciò che è oggetto di definizione può essere predicatodi molte cose, anche se è accidentale che ciò si verifichi, come nel caso in cuiesistano effettivamente molti animali di cui l’essenza animale può venirpredicata. Secondo Alessandro, dunque, ciò che è oggetto di definizione nonè un individuo, ma non è nemmeno un universale. Alessandro lo chiama‘pragma’, senza specificarne ulteriormente la natura. Come è stato notato daTweedale, questo pragma è presente in molti (ossia, in tutti gli individui di uncerto tipo), ma allo stesso tempo non è lo stesso in molti (infatti, non è ununiversale attualmente presente in molte cose␣ : se così fosse sarebbe ununiversale platonico, e proprio per evitare questo risultato Alessandro hatracciato la distinzione tra essenza ed universale). Non è chiaro, tuttavia,come qualcosa possa essere presente in molte cose senza essere la medesimacosa in tutto ciò in cui è presente7 .

Benché non priva di problemi, la distinzione tracciata da Alessandro diAfrodisia tra universale ed essenza ebbe un’influenza determinante — solorecentemente riconosciuta in tutta la sua estensione — su gran parte dellastoria successiva dell’interpretazione della nozione aristotelica di essenza. Èstato definitivamente dimostrato che in questa storia un ruolo fondamentaledi mediazione e di elaborazione venne svolto, nel decimo secolo, da Avicenna.È infatti direttamente da Alessandro che Avicenna riprende la distinzione traciò cui l’universalità compete come un accidente e l’universalità stessa, da lui

6 ALEXANDRI APHRODISIENSIS Scripta Minora␣ : Quaestiones, De Fato, De Mixtione, ed. I. BRUNS

(Supplementum Aristotelicum, 2.2), Berlin 1892, Quaestiones 1.11a e 1.11b, pp.␣ 21-22␣ ; si vedainoltre Quaestiones 1.3, pp.␣ 7-8. Per una traduzione inglese di questi passi, si veda ALEXANDER OF

APHRODISIAS, Quaestiones 1.1-2.15, translated by R. W. SHARPLES, Duckworth, London 1992,pp.␣ 24-26, 50-55. Il testo greco con traduzione inglese della Quaestio 1.11a è dato anche inTWEEDALE, Alexander of Aphrodisias’ Views cit., pp.␣ 283, 286-289

7 TWEEDALE, Alexander of Aphrodisias’ Views cit., p. ␣ 300.

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presentata con chiarezza in un celebre passo del primo capitolo del quintolibro della sua Metafisica8 . Benché molto celebre, vale la pena di riportare ilpasso in cui Avicenna introduce la distinzione tra universale e ciò cuil’universale si aggiunge, ossia l’essenza, che di per sé prescinde sia dallaparticolarità che dall’universalità␣ :

«␣ Ora, l’universale in quanto è universale è una cosa e, in quanto è una cosa cuisi accompagna l’universalità, è un’altra cosa. L’universale in quanto universa-le, infatti, è ciò che è indicato da una delle definizioni [appena ricordate]␣ ; così,se un dato [universale] è uomo o cavallo, [ciò è perché] vi è un’altra intenzione— diversa dall’intenzione dell’universalità — che è la “cavallinità”. La defini-zione della cavallinità, infatti, non è la definizione dell’universalità né l’univer-salità entra nella definizione della cavallinità␣ : la cavallinità ha una definizio-ne che non ha bisogno dell’universalità ma alla quale [semplicemente] accadel’universalità. Essa, infatti, in se stessa non è assolutamente niente a parte lacavallinità␣ : in se stessa, essa non è né uno né molti, non è esistente né con gliindividui [concreti] né nell’anima e non è nessuna di tali [cose] né in potenzané in atto, perché [altrimenti, queste] sarebbero interne alla cavallinità. Alcontrario, in quanto tale essa è soltanto “cavallinità” e anzi, la stessa unicità èun attributo che si accompagna alla cavallinità, cosicché, presa insieme a taleattributo, la cavallinità è una. E analogicamente, insieme a tale attributo, allacavallinità [appartengono] molti altri attributi che le si aggiungono␣ : così, acondizione che con la sua definizione essa si applichi a molte cose, la cavallinitàè “generale”, mentre poiché è assumibile con [caratteri] propri e accidentidesignabili ostensivamente, è “particolare”. Perciò, la cavallinità, in se stessa,è soltanto cavallinità␣ »9 .

8 Sull’influsso di Alessandro di Afrodisia su Avicenna, si veda TWEEDALE, Alexander ofAphrodisias’ Views cit., p. 279␣ ; e soprattutto DE LIBERA, L’art des généralités cit., pp.␣ 505-509. Quisi prescinde dalla possibile influenza di Alessandro su Boezio ed Abelardo, cui de Libera dedicamolta attenzione, e si prende in considerazione solo quella su Avicenna, tramite cui la dottrinadegli universali di Alessandro diventerà nota ai Latini. È inoltre opportuno ricordare che ladottrina di Avicenna secondo cui l’essenza può essere considerata in tre modi (in sé, negliindividui, nell’intelletto) non ha nulla a che fare con la dottrina dei tre stati dell’universale (anterem, in re, post rem), cui pure è stata talvolta associata. La dottrina delle tre considerazionidell’essenza deriva dalla distinzione tracciata da Alessandro di Afrodisia tra universale edessenza␣ ; la dottrina dei tre stati dell’universale venne invece elaborata nell’ambito del tardoplatonismo, probabilmente da Giamblico e poi da Simplicio, sulla base di alcune indicazioni diPorfirio. Su di ciò si veda R. CHIARADONNA, Plotino e la teoria degli universali in Enn. VI 3 [44],9, in Aristotele e i suoi esegeti neoplatonici. Logica e ontologia nelle interpretazioni greche e arabe.Atti del Convegno Internazionale, Roma, 19-20 ottobre 2001, a cura di V. CELLUPRICA - C.D’ANCONA, con la collaborazione di R. CHIARADONNA, Bibliopolis, Napoli 2004, pp.␣ 3-35.

9 AVICENNA, Metafisica cit., Trattato Quinto, Sezione Prima, trad. LIZZINI, p. 445. Per la

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È in questo passo che Avicenna espone la sua dottrina dell’essenza comein sé indifferente sia alla particolarità che all’universalità. È da questo passoche i Latini, dal tredicesimo secolo in poi, traggono la famosa e spessoripetuta formula secondo cui equinitas est equinitas tantum, che varrà comerapido riferimento alla dottrina dell’indifferenza dell’essenza. Ed è tramite ladottrina presentata in questo passo che verrà interpretata la nozionearistotelica di essenza nel corso del tredicesimo e del quattordicesimo secolo.

Naturalmente, in questo passo Avicenna sta ripetendo ed elaborando ladistinzione tracciata da Alessandro di Afrodisia tra l’universale, da un lato, eciò che è definibile e cui l’universale compete, dall’altro, di cui Avicennapoteva avere conoscenza diretta tramite alcune traduzioni arabe dei passi diAlessandro10 . Rispetto ad Alessandro, Avicenna interpreta la distinzione trauniversale ed essenza alla luce di un’altra distinzione, assente in Alessandroed in generale negli autori antichi␣ : la distinzione tra essere ed essenza, chetanta importanza avrà per i Latini11 . L’universale accidentale all’essenza

traduzione latina, si veda AVICENNA LATINUS, Liber de philosophia prima sive scientia divina, ed.S. VAN RIET, 2 voll., Peeters - Brill, Louvain - Leiden 1977, vol. 1, pp.␣ 228-229␣ : «␣ Ergo universaleex hoc quod est universale est quiddam, et ex hoc quod est quiddam cui accidit universalitas estquiddam aliud␣ ; ergo de universali, ex hoc quod est universale constitutum, significatur unuspraedictorum terminorum, quia, cum ipsum fuerit homo vel equus, erit hic intentio alia praeterintentionem universalitatis, quae est humanitas vel equinitas. Definitio enim equinitatis estpraeter definitionem universalitatis nec universalitas continetur in definitione equinitatis.Equinitas etenim habet definitionem quae non eget universalitate, sed est cui accidit universalitas.Unde ipsa equinitas non est aliquid nisi equinitas tantum␣ : ipsa enim in se nec est multa necunum, nec est existens in his sensibilibus nec in anima, nec est aliquid horum potentia veleffectu, ita ut hoc contineatur intra essentiam equinitatis, sed ex hoc quod est equinitas tantum.Unitas autem est proprietas quae, cum adiungitur equinitati, fit equinitas propter ipsamproprietatem unum. Similiter etiam equinitas habet praeter hanc multas alias proprietatesaccidentes sibi. Equinitas ergo, ex hoc quod in definitione eius conveniunt multa, est communis,sed ex hoc quod accipitur cum proprietatibus et accidentibus signatis, est singularis. Equinitasergo in se est equinitas tantum␣ ». Per una recente traduzione francese ad opera di MarcGeoffroy, si veda DE LIBERA, L’art des généralités cit., pp.␣ 655-656. Su questo passo ed i passiparalleli nella stessa Metafisica e nel commento all’Isagoge, si vedano gli studi di Marmura eBlack citati sopra, alla nota 2.

10 A. DIETRICH, Die arabische Version einer unbekannten Schrift des Alexander von Aphrodisiasüber die Differentia specifica, «␣ Nachrichten von der Akademie der Wissenschaften in Göttingen␣ »,Philologisch-Historische Klasse, 2, 1964, pp.␣ 85-148␣ ; H.-J. RULAND, Zwei arabische Fassungender Abhandlung des Alexander von Aphrodisias über die universalia (Quaestio I 11a), «␣ Nachrichtenvon der Akademie der Wissenschaften in Göttingen␣ », Philologisch-Historische Klasse, 10, 1979,pp.␣ 253-257. Per una traduzione francese ad opera di Marc Geoffroy delle versioni arabe dellaQuaestio I, 11a di Alessandro, si veda DE LIBERA, L’art des généralités cit., pp.␣ 639-643.

11 Sul contesto in cui Avicenna elabora la distinzione tra essere ed essenza, si veda J. JOLIVET,Aux origines de l’ontologie d’Ibn S±n∞, in Études sur Avicenne, éd. par J. JOLIVET - R. RASHED, Les

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diventa per Avicenna uno dei due modi di essere dell’essenza␣ ; l’altro modo diessere è l’individuo extramentale. La distinzione tra essere ed essenza siincontra in Avicenna con la distinzione tra essere nell’intelletto ed essere nelmondo extramentale␣ : all’essere nell’intelletto è associato l’universale, all’es-sere nel mondo extramentale è associato l’individuo. Resta tuttavia vero,come è stato recentemente riconosciuto in ambito storiografico, che ladottrina di Avicenna altro non è che una ripresa ed interpretazione delladistinzione di Alessandro di Afrodisia. Il fatto che in Avicenna tale distinzio-ne sia descritta ora come una distinzione tra tre modi di considerare l’essen-za, ora come una distinzione tra due significati di ‘universale’ non deve fardimenticare che si tratta della medesima dottrina, come appare chiaramentedal passo di Avicenna che si è appena riportato, in cui le tre considerazionidell’essenza sono introdotte come spiegazione della distinzione tra l’univer-sale e ciò cui l’universale compete.

Il contesto in cui Avicenna riprende ed elabora per conto proprio ladistinzione di Alessando è quello dell’analisi della nozione aristotelica diessenza, che viene descritta come qualcosa che, di per sé, non è né individualené universale, anche se è necessariamente accompagnata dall’una o dall’altracaratteristica. L’essenza è individuale quando è presente negli individuiesistenti nel mondo, in congiunzione con le loro caratteristiche individua-lizzanti␣ : ad esempio, l’essenza di uomo è individuale in Socrate ed in Platone,perché in essi è accompagnata dalle caratteristiche che sono peculiari rispet-tivamente dell’uno o dell’altro. L’essenza è invece universale quando è cono-sciuta dall’intelletto e presente in esso come un concetto messo in relazionecon le cose da cui è stato astratto e che rappresenta␣ : ad esempio, l’essenza diuomo è universale nel concetto universale uomo presente nella nostra mente,da noi astratto dai vari uomini individuali. Tuttavia, l’essenza può ancheessere considerata in modo assoluto, prescindendo dal modo in cui esistenegli individui e dal modo in cui esiste nell’intelletto. È questa la famosadottrina delle tre considerazioni dell’essenza ovvero dell’indifferenza dell’es-senza rispetto all’universalità e all’individualità.

2. DUE INTERPRETAZIONI DI AVICENNA

È interessante notare che sebbene la distinzione tra ciò che è universale el’universale che ad esso pertiene non sia presente in Aristotele, sia Alessandro

Belles Lettres, Paris 1984, pp.␣ 11-28. Sull’innesto della distinzione di Alessandro sulla distinzio-ne tra essere ed essenza in Avicenna, si veda DE LIBERA, L’art de généralités cit., pp.␣ 505-509.

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che Avicenna la propongono come una distinzione atta a risolvere alcuniproblemi di Aristotele, in particolare lo spinoso problema della relazione tral’essenza aristotelica e l’universalità. Secondo la distinzione tracciata daAlessandro e ripresa e rielaborata da Avicenna, l’universalità è una caratteri-stica accidentale dell’essenza, che l’essenza può avere o non avere. D’altraparte, sembra anche innegabile che un’essenza — ad esempio, l’essenzadell’uomo — possa essere presente in molti, nel caso in cui vi siano moltepliciindividui appartenenti alla stessa specie. L’essenza è precisamente ciò che fasì che ciascuno di questi individui sia un individuo di un certo tipo, adesempio che ciascun uomo sia un uomo. Sembra dunque che l’essenza, chenon è universale, non possa nemmeno essere descritta come individuale. Neconsegue che essa dev’essere qualcosa che, di per sé, non è né universale néindividuale12 . Per quanto dunque la distinzione tra l’universale e ciò cuil’universale pertiene non sia presente in Aristotele, è innegabile che essa sianata come una risposta ad un problema presente e particolarmente difficilenella metafisica di Aristotele.

È stato tuttavia suggerito che la posizione di Avicenna non è esente daun’ambiguità di fondo. Si è infatti osservato che Avicenna, in punti diversidella sua opera, offre di fatto due risposte diverse alla domanda␣ : a che cosapertiene l’universalità␣ ? Da un lato, infatti, sembra naturale ammettere cheper Avicenna ciò cui l’universalità pertiene come un accidente è l’essenzaconsiderata di per sé, ossia in quanto essa non è né individuale né universale.In effetti, la distinzione tra l’universale in quanto universale e l’universalecome ciò cui compete l’universalità sembra implicare che ciò cui pertienel’universalità sia l’essenza considerata in modo assoluto, cui l’universalità siaggiunge dando luogo ad un concetto universale presente nell’intelletto.Coerentemente con questa posizione, Avicenna presenta l’essenza considera-ta in modo assoluto come una parte che costituisce o gli individui o i concettiuniversali, a seconda che ad essa si aggiunga, come accidente, o l’individua-

12 Secondo de Libera, Alessandro distingue tra essenza ed universale ma non tra essenza edindividuo␣ ; sarebbe solo Avicenna a considerare l’essenza come indifferente non solo all’univer-salità ma anche all’individualità. Si veda DE LIBERA, L’art des généralités cit., p. ␣ 142. In realtà, sesi accettano le considerazioni già presenti in Tweedale, sembrerebbe di dover negare che ilpragma cui secondo Alessandro pertiene l’universalità sia di per sé un individuo. Rispetto adAlessandro, dunque, Avicenna non aggiungerebbe l’indifferenza all’individualità␣ ; piuttosto,egli non farebbe altro che rendere più chiaro ciò che era già presente in Alessandro␣ : l’essenza,di per sé, è distinta tanto dall’universalità, perché può esserci anche solo un individuo di uncerto tipo, quanto dall’individualità, perché essa può essere predicata di più individui. Tutto ciòsarebbe poi collegato da Avicenna alla sua dottrina della distinzione tra essere ed essenza,assente in Alessandro.

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lità o l’universalità. Tuttavia, talvolta in Avicenna emerge anche una diversaconcezione, secondo cui ciò cui l’universalità pertiene non è l’essenza consi-derata in modo assoluto, ma l’essenza in quanto è presente nell’intelletto edin quanto è conosciuta. A questa diversa concezione Avicenna aderisce inparticolare nel corso della sua confutazione della posizione dei Platonici13 .

Questa ambiguità rilevata dagli interpreti ed effettivamente presente inAvicenna non sembra essere dovuta semplicemente ad una scarsa attenzioneda parte di Avicenna nell’indicare quale sia il soggetto dell’universalità.Piuttosto, essa indica una difficoltà di fondo, che può essere espressa intermini più generali. Si ripropone qui la stessa difficoltà che è emersa quandosi intendeva qualificare in qualche modo l’oggetto della definizione e ciò cuipertiene l’universalità in Alessandro di Afrodisia.

In un senso si può pensare all’essenza ed all’universalità come a due partiche si sommano per dare luogo all’essenza in quanto conosciuta ed in quantopresente nell’intelletto. In questo modo, l’essenza considerata in modo asso-luto è una componente sia del mondo (negli individui) sia dei concettiuniversali (nell’intelletto), e non è il risultato solamente di un’operazione diastrazione dell’intelletto. Secondo questo modo di concepire l’essenza, siparte dall’essenza considerata in modo assoluto come da un costituente cheprecede tanto gli individui quanto i concetti universali.

Tuttavia, si può pensare all’essenza presente nell’intelletto anche in unaltro modo, ossia non come al risultato della somma di due parti (essenzaassoluta ed universalità), ma come ad uno dei due modi fondamentali diesistenza dell’essenza (o nell’intelletto o negli individui). Al contrario diquanto avviene nel primo modo di considerare l’essenza, secondo questaconsiderazione si parte dai modi in cui l’essenza effettivamente esiste, ossiao dagli individui o dai concetti universali␣ : sono questi modi di esistenza acostituire il punto di partenza ed il dato fondamentale, rispetto a cui laconsiderazione assoluta dell’essenza è qualcosa di successivo. Secondo que-st’ultimo modo di vedere, si parte dalla constatazione che un’essenza esiste onegli individui o nell’intelletto␣ : quando è negli individui è individuale,quando è nell’intelletto è universale. A che cosa pertiene dunque l’universa-lità␣ ? Certamente non agli individui␣ ; dunque, essa pertiene all’essenza inquanto esiste nell’intelletto. In quest’ottica, l’essenza considerata in modoassoluto, né individuale né universale, è solo un’astrazione a partire o dagliindividui (considerati senza le loro caratteristiche individuali) o dai concettiuniversali (considerati a prescindere dalla loro universalità). Il fatto che per

13 Si veda, per una chiara presentazione di questa ambiguità in Avicenna, MARMURA, Quiddityand Universality cit., pp.␣ 82-86.

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ottenere l’essenza assoluta si prescinda o dalle caratteristiche individualidegli individui esistenti nel mondo o dall’universalità dei concetti esistentinell’intelletto non significa che gli individui ed i concetti siano realmenteottenuti sommando ad un’essenza indifferente l’individualità e l’universalità,rispettivamente. In effetti, secondo questo modo di considerare l’essenza,non esiste altro soggetto dell’individualità oltre agli individui e non esistealtro soggetto dell’universalità oltre ai concetti universali␣ : l’essenza conside-rata in modo assoluto è di fatto identica agli individui considerati prescinden-do dai loro aspetti individuali, ed è di fatto identica ad un concetto universaleconsiderato prescindendo dalla sua universalità. L’essenza considerata inmodo assoluto non è dunque, secondo questo modo di vedere, una parte di unindividuo che lo costituisce come un individuo di un certo tipo, né è una partedi un concetto universale che lo costituisce come un concetto di una certaessenza. L’essenza considerata in modo assoluto è invece un individuo con-siderato in un certo modo o, alternativamente, un concetto universale consi-derato in un certo modo. Il fatto che si possa parlare indifferentementedell’essenza come un individuo o un universale considerato in un certo modocostituisce il fulcro della dottrina dell’indifferenza dell’essenza interpretatain questo modo.

Secondo il primo modo di intendere l’essenza in Avicenna, dunque, l’es-senza presa come indifferente è una parte sia degli individui che dell’univer-sale corrispondente. Essa è di per sé indifferente all’individualità ed all’uni-versalità perché tale parte non è di per sé né un individuo né un universale,ma individualità ed universalità possono aggiungersi come sue determinazio-ni accidentali ed estrinseche. Questo primo modo di considerare l’essenzapresa in senso assoluto può essere denominato ‘interpretazione ontologica’della dottrina di Avicenna, in quanto esso fa dell’essenza presa in sensoassoluto un costituente reale del mondo, anteriore a ciascuno dei suoi duemodi di esistenza, come individuo o come universale. Secondo il secondomodo di intendere l’essenza, invece, l’essenza presa in senso assoluto èidentica sia agli individui che all’universale corrispondente. Essa è di per séindifferente all’individualità ed all’universalità perché può essere descrittaindifferentemente come un individuo concepito a prescindere dall’individua-lità o come un universale concepito a prescindere dall’universalità. Tuttavia,tale essenza non è una parte dell’individuo né dell’universale, ma è taleindividuo o tale universale concepito in un certo modo. Questo modo diintendere l’essenza in Avicenna può essere denominato ‘interpretazionegnoseologica’ dell’essenza, in quanto in quest’ottica l’essenza presa in modoassoluto non è un costituente reale del mondo ma un modo di considerare unindividuo o un concetto universale.

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Si possono rappresentare queste due interpretazioni dell’essenza presa inmodo assoluto tramite il seguente schema␣ :

PRIMA INTERPRETAZIONE (ONTOLOGICA)

Piano reale ␣ : essenza assoluta + caratteristiche individuali = individuiPiano mentale ␣ : essenza assoluta + caratteristiche universali = concetti uni versali

SECONDA INTERPRETAZIONE (GNOSEOLOGICA)

Piano reale ␣ : individui

considerazione dell’intelletto

individui considerati senza le caratteristiche individuali = essenza assoluta

Piano mentale ␣ : concetti universali

considerazione dell’intelletto

concetti universali considerati senza le caratteristicheuniversali = essenza assoluta

Queste due possibili interpretazioni della dottrina dell’indifferenza del-l’essenza così come Avicenna la formula diedero effettivamente origine a duediversi modi di concepire l’essenza aristotelica. Mentre secondo la primaconcezione l’essenza, presa nella sua indifferenza, è innanzi tutto un princi-pio metafisico di costituzione della realtà, nella seconda concezione l’essenzaè innanzi tutto un concetto ottenuto per astrazione, che, sebbene rappresentifedelmente la realtà e la classifichi legittimamente in tipi, è tuttavia costituitoin quanto tale tramite l’intervento dell’intelletto, perché è proprio l’intellettoa praticare l’astrazione a partire dagli individui realmente esistenti ed aformare quelle nozioni astratte che sono le essenze.

In Avicenna sembrano dunque esserci elementi in sostegno di due diverseconcezioni dell’essenza. Come si vedrà, ciascuna di queste due interpretazio-

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ni venne ripresa dai Latini, ed in particolare da Tommaso d’Aquino, inmomenti diversi della sua carriera. Si deve tuttavia sottolineare che nessunadelle due interpretazioni costituisce un «␣ tradimento␣ » della originaria dottri-na avicenniana. Secondo entrambe le interpretazioni, infatti, l’essenza, quan-do è considerata in modo assoluto, non ha una propria esistenza␣ ; essa esistesolo in due modi␣ : o come individuo nel mondo o come universale nell’intel-letto. Nessuna delle due interpretazioni, dunque, introduce in modo surrettiziouna forma di platonismo, anche se la prima interpretazione — secondo cuil’essenza è una parte costituente sia degli individui che degli universali —sembra vicina a cadere in questo rischio, in quanto pone le essenze prese nellaloro indifferenza come costituenti reali del mondo. Anche secondo taleinterpretazione, tuttavia, le essenze esistono nel mondo solo quando sonocongiunte alle caratteristiche individuali proprie degli individui␣ : ad esisteresono Socrate e Platone, non l’umanità che li costituisce14 .

Sebbene esuli dai limiti di questo articolo, che si propone di ricostruirenon la dottrina di Avicenna in sé ma l’interpretazione che ne venne data neltredicesimo secolo da Tommaso d’Aquino, è tuttavia opportuno concluderequesta breve trattazione di Avicenna con un’osservazione. Benché in Avicennaci siano elementi in supporto delle due diverse concezioni dell’essenza che sisono delineate, è probabile che, per Avicenna stesso, l’ambiguità tra questedue concezioni non costituisse un problema. È infatti probabile che quelleche appaiono come due nozioni incompatibili di essenza siano invece inAvicenna due modi diversi per descrivere la medesima entità␣ : come parte diun individuo e di un universale oppure indifferentemente come un individuoe un universale concepito in un certo modo. Vale forse la pena accennare aduna possibile spiegazione di come ciò sia possibile. È stato giustamentenotato che una differenza fondamentale tra la dottrina dell’essenza di Avicennaed il modo in cui la interpretò Tommaso d’Aquino sta nel fatto che, mentre perAvicenna è la medesima essenza ad essere negli individui in modo individualee nell’intelletto come un universale, per Tommaso non è l’essenza ad esserepresente nell’intelletto, ma una sua rappresentazione (e non fa differenza, aquesto proposito, se tale rappresentazione venga identificata con ciò che perTommaso è la specie intelligibile o piuttosto con il cosiddetto verbum mentis)15 .

14 È de Libera a presentare la fortuna in Occidente della dottrina di Avicenna come la storiadi un fraintendimento e come la reintroduzione di quegli elementi di platonismo contro cui ladottrina dell’indifferenza dell’essenza era in effetti rivolta. Si veda DE LIBERA, L’art des généralitéscit., pp.␣ 578-579. Si veda inoltre la discussione della tesi di de Libera, relativamente al caso diEnrico di Gand, in PORRO, Universaux et esse essentiae cit.

15 Si veda BLACK, Mental Existence cit., pp.␣ 67-74. Secondo quanto osserva D. Black, lanozione di specie intelligibile è completamente assente non solo in Avicenna ma anche in

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Questa osservazione relativa ad Avicenna e Tommaso tocca in realtà un puntofondamentale della differenza tra Aristotele ed i suoi interpreti antichi edarabi, da un lato, e gli autori latini dall’altro. In termini molto generali, perAvicenna, ma anche per Aristotele, conoscere è ricevere senza materia laforma della cosa conosciuta, sia che tale ricezione avvenga nei sensi onell’intelletto. Quando la forma che viene ricevuta nella potenza conoscitivasenza la materia è invece congiunta alla materia, essa costituisce la realtàmateriale che viene conosciuta. Secondo questa concezione, dunque, cono-scere non significa produrre una rappresentazione di una cosa extramentale,ma semplicemente ricevere senza la materia esattamente la medesima formache nelle realtà extramentali esiste congiunta alla materia16 . Non sembra chea questo proposito abbia molta importanza se l’intelletto riceva tale formadalla realtà esterna tramite i sensi per via di un procedimento astrattivo (disuccessivo raffinamento e smaterializzazione della forma), come avviene inAristotele, o se invece la forma sia ricevuta nell’intelletto possibile diretta-mente dall’intelletto agente o datore delle forme, come avviene in Avicenna.Ciò che importa è che la conoscenza non è produzione di una rappresentazio-ne ma ricezione della medesima forma o essenza che, congiunta alla materiae alle caratteristiche individuanti, costituisce un individuo nel mondoextramentale17 . All’interno di questo quadro – che è quello in cui si muoveAvicenna sulla scorta di Aristotele e dei suoi interpreti tardo antichi –, non famolta differenza considerare l’essenza come una parte cui venga aggiuntacome caratteristica accidentale l’individualità o l’universalità ovvero come

Averroè ed in generale nei pensatori arabi (ibid., p. ␣ 66, n.␣ 74)␣ : si tratta in effetti di un’invenzionedell’aristotelismo occidentale del tredicesimo secolo. Su specie e verbum in Tommaso, si vedanoW. W. MEISSNER, Some Aspects of the Verbum in the Texts of St. Thomas, «␣ The ModernSchoolman␣ », 36, 1958, pp.␣ 256-271␣ ; C. PANACCIO, From Mental Word to Mental Language,«␣ Philosophical Topics␣ », 20, 1992, pp.␣ 125-147, in part. pp.␣ 126-129␣ ; R. PASNAU, Theories ofCognition in the Later Middle Ages, Cambridge University Press, Cambridge 1997, pp.␣ 256-271.

16 Sulla conoscenza in Aristotele come ricezione di una forma senza materia la letteraturaè vasta ed il dibattito acceso. Si veda perlomeno M. F. BURNYEAT, Is an Aristotelian Philosophy ofMind Still Credible␣ ? A Draft, in Essays on Aristotle’s De anima, eds. M. C. NUSSBAUM - A.OKSENBERG RORTY, Clarendon Press, Oxford 1992, pp.␣ 15-26. Per un confronto tra la posizione diAristotele e quella dei suoi interpreti medievali, si veda G. PINI, Il dibattito sulle specie intelligibilialla fine del tredicesimo secolo, «␣ Medioevo. Rivista di filosofia medievale␣ », 29, 2004, pp.␣ 267-306, in part. pp.␣ 267-279.

17 Sembra dunque che debba venire corretta l’osservazione di D. Black, secondo cui ladifferenza tra Avicenna e Tommaso starebbe nel fatto che il primo rifiuta mentre il secondoaccetta la dottrina aristotelica dell’astrazione␣ : si veda BLACK, Mental Existence cit., pp. 56-60,65-67, 78. Sembra invece che si debba parlare di un diverso modo di concepire l’astrazione␣ :come ricezione di una forma senza materia in Aristotele ed Avicenna, come produzione di unasomiglianza della cosa conosciuta in Tommaso d’Aquino ed in generale negli autori latini del

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un individuo o un universale concepiti in un certo modo, ossia prescindendodalla loro individualità o universalità, rispettivamente. Sia che si partadall’essenza presa nella sua indifferenza e si sommino ad essa le caratteristi-che accidentali di individualità o universalità, sia che invece si parta dall’in-dividuo e dall’universale e si tolgano ad essi le caratteristiche individuanti ouniversalizzanti, il risultato non cambia␣ : l’essenza che esiste come individuonel mondo e come universale nell’intelletto è la medesima cosa cui di per sénon compete né l’individualità né l’universalità ma cui non ripugnano nél’una né l’altra. In altre parole, non c’è differenza tra l’interpretazione ontologicae quella gnoseologica dell’essenza. Non si ha qui a che fare con un individuo eduna sua rappresentazione, ma con la medesima cosa — un’essenza — che esistein due modi diversi.

Solo in seguito i due modi di descrivere l’essenza vennero percepiti comeinconciliabili, ossia quando venne elaborata una diversa dottrina dell’astra-zione. Senza entrare nei particolari e semplificando una situazione in realtàmolto complessa, questo è quel che si verificò per lo meno a partire dallaprima metà del tredicesimo secolo, quando, in base a molteplici influenze,venne elaborata una nozione di astrazione non più come eliminazione degliaspetti materiali di un ente e come esistenza immateriale nell’intelletto dellamedesima forma che esiste fuori dall’intelletto in modo materiale, ma invececome formazione di una rappresentazione o immagine mentale di una cosaextramentale18 . Alla luce di questa nuova teoria dell’astrazione, la dottrina diAristotele o quella di Avicenna non poté essere interpretata come una posizio-ne secondo cui è esattamente la medesima essenza ad esistere come individuonel mondo e come universale nell’intelletto. Secondo gli autori del tredicesimosecolo, propriamente parlando, ad esistere nell’intelletto non è la stessaessenza che esiste nel mondo come individuo, ma è una sua rappresentazionementale. All’interno di questo quadro — che non è quello in cui Avicennaelaborò la dottrina dell’indifferenza dell’essenza ma è quello in cui essa vennerecepita ed interpretata dai Latini — si deve operare una scelta␣ : non è piùequivalente dire, da un lato, che l’essenza presa in modo assoluto è una partedi un individuo o di un concetto e, dall’altro, che essa è un individuo o un

tredicesimo secolo. Sulla dottrina della conoscenza in Avicenna, si veda M. SEBTI, Avicenne␣ :l’âme humaine, Presses Universitaires de France, Paris 2000, pp.␣ 51-91. Sull’influenza dellapsicologia avicenniana in Occidente, si veda D. N. HASSE, Avicenna’s De anima in the Latin West␣ :The Formation of a Peripatetic Philosophy of the Soul 1160-1300, The Warburg Institute - NinoAragno Editore, London - Torino 2000.

18 Si veda PINI, Il dibattito sulle specie intelligibili cit., pp.␣ 269-279. Per una presentazionegenerale della storia della nozione di specie intelligibile si veda L. SPRUIT, Species Intelligibilis.From Perception to Knowledge, 2 voll., Brill, Leiden - New York - Köln 1994.

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concetto considerato in un certo modo. Se l’essenza è una parte di unindividuo che lo costituisce realmente come un individuo di un certo tipo,essa non può anche essere identica a quello stesso individuo considerato in uncerto modo. Infatti, ciò che costituisce un individuo come individuo di uncerto tipo è un elemento reale del mondo␣ ; viceversa, un individuo considera-to in un certo modo è un concetto ed una rappresentazione di ciò che c’è nelmondo. Poiché l’astrazione non è più vista semplicemente come toglierementalmente delle determinazioni ad una cosa che realmente ne è sempreaccompagnata, ma è invece formare una rappresentazione di qualcosa, per gliautori del tredicesimo secolo solo impropriamente si dice che è la stessaforma o essenza ad essere sia negli individui che nell’intelletto che li conosce.Di fatto, l’essenza negli individui è una cosa, l’essenza nell’intelletto è un’altracosa, ossia una rappresentazione dell’essenza negli individui (sia essa chiamata‘specie intelligibile’ o ‘concetto’ o in qualsiasi altro modo).

In generale, gli autori latini del tredicesimo secolo adattarono la dottrinadell’essenza di Avicenna a questo quadro dominato da un dottrina dell’astra-zione come formazione di una rappresentazione, senza rendersi conto delladiversa situazione in cui in tal modo si vennero a trovare rispetto ad Avicenna.Infatti, ad essi si impose una scelta␣ : o si considera l’essenza presa nella suaindifferenza come un costituente reale degli individui oppure si ribadisce chenel mondo esistono realmente solo gli individui e si afferma quindi chel’essenza presa nella sua indifferenza è una rappresentazione degli individui,ossia un concetto, considerato tuttavia a prescindere dalla sua universalità.Seppur con qualche semplificazione, si può dire che gli autori latini, soprat-tutto a partire dalla fine del tredicesimo secolo, dovettero scegliere tra questedue interpretazioni di Avicenna, e, attraverso Avicenna, di Aristotele.

3. LA FORTUNA DELLA DOTTRINA DELL’ESSENZA DI AVICENNA IN OCCIDENTE

Il ruolo del Liber de philosophia prima sive scientia divina di Avicenna nellaricezione ed interpretazione della Metafisica di Aristotele presso i Latini ènoto e di importanza fondamentale. All’origine vi fu innanzi tutto un acciden-te storico␣ : le prime traduzioni della Metafisica di Aristotele si diffusero inOccidente in traduzione latina contemporaneamente agli scritti di Avicenna,ed in particolare alla sua Scienza delle cose divine, attorno alla metà deldodicesimo secolo19 . Sin dal principio, Avicenna ed Aristotele non vennero

19 Per la data e la diffusione della traduzione latina della Scienza delle cose divine diAvicenna, si veda AVICENNA LATINUS, Liber de philosophia prima cit., vol. 1, pp.␣ 123*-141*. Si

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percepiti in Occidente come due autori appartenenti a tradizioni diverse. Alcontrario, la dottrina di Avicenna venne considerata come un’interpretazio-ne di Aristotele, ed Aristotele fu letto attraverso Avicenna. È interessantenotare, tuttavia, che questa lettura avicenniana di Aristotele aveva ancheuna giustificazione più profonda. In effetti, Avicenna stesso aveva intesodare, con la sua Scienza delle cose divine, un’interpretazione della Metafisicadi Aristotele.

Queste affermazioni generali trovano una verifica esatta per quanto ri-guarda il problema particolare di come interpretare l’essenza aristotelica. Pergli interpreti di Aristotele dal tredicesimo secolo in poi, la dottrina dell’indif-ferenza dell’essenza che si trovava in Avicenna divenne la chiave per interpre-tare quanto Aristotele diceva a proposito dell’essenza nei libri centrali dellaMetafisica. Non si trattava di confrontare due dottrina distinte, ma di com-prendere quanto Aristotele diceva sull’essenza grazie alla dottrina di Avicenna.Poiché Avicenna riprendeva direttamente l’interpretazione dell’essenza datada Alessandro di Afrodisia, seguendo Avicenna come interprete della Metafi-sica di Aristotele gli autori medievali si posero all’interno della tradizione cheprendeva le mosse dal maggiore interprete aristotelico dell’antichità, pursenza saperlo. Per il tramite di Avicenna, si può dunque facilmente riconosce-re la continuità tra gli interpreti latini del tredicesimo secolo e l’interpreta-zione alessandrina dell’essenza. Da questo punto di vista, la differenza tra gliinterpreti contemporanei di Aristotele e quelli medievali, cui si è accennatoall’inizio di questo studio, può essere vista come il venir meno di questacontinuità. In quest’ottica, l’apparente inconciliabilità tra le interpretazionidell’essenza aristotelica date dai contemporanei e quelle date dai medievalinon dipenderebbe tanto dal fatto che gli interpreti medievali siano partiti daassunzioni del tutto estranee ad Aristotele mentre i contemporanei si sareb-bero mantenuti fedeli a quanto egli dice. Piuttosto, i medievali si sono inseritinella linea principe dell’interpretazione di Aristotele, e sono stati i contempo-ranei a distaccarsene.

Insieme all’interpretazione alessandrina, i Latini ricevettero da Avicennaanche le difficoltà insite in essa. In particolare, agli autori del tredicesimosecolo si poneva la necessità di operare una scelta tra le due possibiliinterpretazioni della nozione di essenza cui si è accennato, che apparivanoentrambe giustificate alla luce di diversi passi di Avicenna. Se si assume da

vedano inoltre gli studi raccolti in M. TH. D’ALVERNY, Avicenne en Occident. Recueil d’articles deMarie Thèrése d’Alverny réunis en hommage à l’auteur, Vrin, Paris 1993. Per una rapida panora-mica della fortuna di Avicenna in Occidente si veda P. PORRO, Prefazione, in AVICENNA, Metafisicacit., pp.␣ XXIX-XXXIV. Sulle traduzioni di Aristotele, si veda J. BRAMS, La riscoperta di Aristotelein Occidente, Jaca Book, Milano 2003.

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Avicenna la distinzione — formulata per primo da Alessandro di Afrodisia —tra l’universale e ciò cui l’universale pertiene e si identifica quest’ultimo conl’essenza e con l’oggetto di definizione, come si deve intendere l’essenzaconsiderata come distinta dall’universalità␣ ? Si tratta di una componentedella realtà e di una parte degli individui extramentali, che li costituisce comeindividui di un certo tipo, o piuttosto si deve pensare ad una nozione astrattaa partire dagli individui extramentali e ad un concetto universale consideratoa prescindere dalla sua universalità␣ ? Si è accennato a come questa scelta siimponesse a quanti, come gli autori latini del tredicesimo secolo, avesseroadottato una dottrina della conoscenza secondo cui l’intelletto conosce lerealtà esterne formandosi delle rappresentazioni di esse per via di astrazione.

Insieme ad Alberto Magno, Tommaso d’Aquino è probabilmente uno deiprimi autori a dare un’interpretazione della dottrina dell’essenza di Aristotelealla luce della dottrina avicenniana dell’indifferenza dell’essenza. Sicura-mente, è uno dei primi autori latini ad essersi confrontato sistematicamentecon tale interpretazione. Poiché le interpretazioni degli autori successivispesso partono da quanto si trova in Tommaso ed in qualche misura presup-pongono i problemi che si trovano in Tommaso, l’importanza di Tommaso percomprendere le interpretazioni della dottrina dell’essenza di Avicenna e,tramite essa, di quella di Aristotele è capitale.

Si deve innanzi tutto notare un fatto apparentemente sorprendente, mache in realtà, alla luce di quanto si è detto, non dovrebbe turbare l’interprete.In uno dei passi in cui Tommaso presenta in modo esteso e con ripreseparticolarmente vicine al testo di Avicenna la dottrina dell’indifferenzadell’essenza, il nome di Avicenna non è associato a questa dottrina. Si trattadel terzo capitolo del De ente et essentia. Questa assenza è tuttavia solo unsegno di quanto la presenza di Avicenna sia estesa in Tommaso, soprattuttoper quanto riguarda la sua interpretazione della dottrina aristotelica dell’es-senza. Tommaso presenta la dottrina dell’indifferenza dell’essenza — che difatto è l’interpretazione che Avicenna, sulla scorta di Alessandro di Afrodisia,dà della dottrina aristotelica — semplicemente come la dottrina aristotelica,ossia come la dottrina corretta dell’essenza, in contrasto ad esempio conquella platonica. Proprio perché non si tratta per Tommaso di presentare ladottrina dell’essenza di Avicenna, ma solo di spiegare la nozione aristotelicadi essenza, egli non rimanda ad Avicenna come al suo autore20 .

Si deve poi fare una seconda osservazione. Si potrebbe sospettare che il

20 Sull’importanza e la presenza di Avicenna in Tommaso d’Aquino, si veda J. F. WIPPEL, TheLate Avicenna as a Source for Thomas Aquinas’s Metaphysics, «␣ Freiburger Zeitschrift fürPhilosophie und Theologie␣ », 37, 1990, pp.␣ 51-90.

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ruolo che la dottrina dell’indifferenza dell’essenza di Avicenna esercita inTommaso non sia grande, e che la sua importanza sia maggiore nelle operegiovanili ma diminuisca negli anni della maturità. In effetti, è vero che i duepassi in cui Tommaso presenta in modo più completo tale dottrina apparten-gono ad opere degli anni Cinquanta del Duecento␣ : si tratta del già richiamatoDe ente et essentia, scritto tra il 1252 ed il 1256, e del Quodlibet VIII, q. 2,disputato nel 125721 . Tuttavia, ciò non vuol dire che tale dottrina diventimeno importante negli scritti successivi. Al contrario, riferimenti ad essasono presenti in opere che si estendono lungo tutta la carriera di Tommaso,sino al commento al De anima ed alla Metafisica, passando attraverso laSumma contra Gentiles e la Summa theologiae. È vero, come si vedrà, cheTommaso apporta qualche cambiamento alla sua interpretazione della dot-trina di Avicenna nel corso della sua carriera. Non si può tuttavia parlare diuna diminuzione dell’importanza della dottrina dell’essenza di Avicenna perTommaso. Il fatto che nelle opere più tarde manchino delle esposizioni estesedi tale dottrina e che si abbiano invece solo dei riferimenti (ma in punticruciali quali ad esempio la dottrina degli universali) si deve piuttostointerpretare come un segno del fatto che tale dottrina viene data per scontatada Tommaso, al punto che non è nemmeno necessario esporla in modosistematico ogni volta che si faccia riferimento ad essa.

Soprattutto nei primi scritti di Tommaso, tuttavia, si ritrova l’ambiguitàche si è notata in Avicenna, e che deriva dalla difficoltà di interpretare lanozione di essenza presa in modo assoluto. In Tommaso, questa difficoltà èaggravata dal fatto che non è più disponibile un quadro della conoscenzasecondo cui la medesima cosa può essere presente nel mondo extramentale enell’intelletto, perché, come si è detto, Tommaso aderisce ad una visionesecondo cui nell’intelletto è presente una rappresentazione della cosaextramentale e non la cosa stessa.

4. L’INDIFFERENZA DELL’ESSENZA NEL DE ENTE ET ESSENTIA

Scritto probabilmente tra il 1252 ed il 1256, nel corso del primo soggiornoparigino, il trattato De ente et essentia offre un punto di osservazione privile-giato per prendere in considerazione l’atteggiamento di Tommaso nei con-

21 Per le date del De ente et essentia e del Quodlibet VIII si veda J.-P. TORRELL, Initiation à saintThomas d’Aquin. Sa personne et son œuvre, Éditions Universitaires de Fribourg - Éditions duCerf, Fribourg - Paris 1993, pp.␣ 70 e 305-306, trad. it. Edizioni Piemme, Casale Monferrato 1994,pp.␣ 65-66, 237-238.

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fronti della nozione di essenza nei suoi primi anni di insegnamento. Spessoconsiderato come la trattazione classica che Tommaso dà della dottrinadell’indifferenza dell’essenza, il De ente deve in realtà essere visto nel contestodella produzione giovanile di Tommaso, e non si può assumere che laposizione che Tommaso vi sostiene sia identica a quella delle opere successive.

Nel secondo capitolo di questo breve trattato, Tommaso distingue duemodi in cui l’essenza viene significata da un nome, come tutto o come parte.Si prenda ad esempio l’essenza uomo. Tale essenza può venire significata indue modi. In un primo modo, tale essenza può essere significata come untutto, ossia significando in modo indeterminato tutto ciò che costituisce unuomo individuale. In questo modo, non viene esclusa dalla significazionedell’essenza la materia signata, che è ciò che fa di un uomo l’uomo individualeche è. In un secondo modo, l’essenza uomo può essere significata come unaparte, ossia prendendo in considerazione solo ciò che ad un uomo pertiene inquanto è un uomo e non in quanto è un uomo individuale. In questo modo, siesclude dalla significazione dell’essenza la materia signata. Nel primo caso,l’essenza viene significata dal termine ‘uomo’, nel secondo caso essa vienesignificata dal termine ‘umanità’. Tommaso osserva che solo quando l’essen-za viene significata come un tutto (ossia quando la materia individuante nonviene esclusa dalla sua significazione, anche se viene significata in modoindeterminato) essa può essere predicata degli uomini individuali. Soloquando è significata dal termine ‘uomo’ l’essenza uomo viene predicata diSocrate e di Platone␣ ; quando invece viene significata dal termine ‘umanità’,essa non può venir predicata degli individui, perché in tale significazione siesclude la materia individuante, che invece è parte dell’individuo. Significatacome un tutto, l’essenza non dice niente di meno rispetto a ciò che è presentenell’individuo, ed è per questo che, quando viene considerata e significata inquesto modo, l’essenza è predicabile degli individui ed è di fatto identica adessi␣ : Socrate è un uomo, e l’essenza uomo predicata di Socrate contiene tuttociò che è contenuto in Socrate. In effetti, l’essenza, considerata in questomodo, non è altro che l’individuo considerato in modo indeterminato␣ :l’essenza uomo non è altro che Socrate considerato in modo indeterminato22 .

Senza entrare nei dettagli di questa celebre e complicata dottrina, quantoqui preme sottolineare è che l’essenza viene qui considerata come un tutto ocome una parte relativamente al modo in cui essa viene significata da untermine (nel caso dell’essenza uomo, il termine ‘uomo’ o il termine ‘umanità’,

22 SANCTI THOMAE DE AQUINO De ente et essentia, in EIUSDEM Opera omnia, XLIII, Editori di sanTommaso, Roma 1976, cap. 2, p. 371, ll. ␣ 85-87␣ ; p. 373, ll. ␣ 243-254␣ ; p. 373, ll. ␣ 292-308. Per uncommento di questi celebri passi, si veda DE LIBERA, La querelle des universaux cit., pp.␣ 277-283.

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rispettivamente). Sembra dunque che Tommaso stia sì parlando dell’essenzache costituisce gli individui nel mondo come individui di un certo tipo, marelativamente al modo in cui tale essenza viene significata e dunque conside-rata␣ : la considerazione metafisica dell’essenza, per dir così, è mischiata aconsiderazioni semantiche. Le due considerazioni dell’essenza — come tuttoo come parte — sono dunque distinte non a seconda di una diversa funzionesvolta dall’essenza come costituente metafisico della realtà, ma a seconda chela materia individuante venga o meno inclusa nella considerazione dell’essen-za in quanto l’essenza stessa è significata da un termine. Si ha dunque qui ache fare non con i modi in cui l’essenza è, ma con i modi in cui l’essenza vienesignificata e considerata dall’intelletto (ossia a seconda che l’intelletto laconsideri prescindendo o non prescindendo dalla materia individuante).

Solo dopo avere distinto tra i due modi in cui un’essenza può veniresignificata, Tommaso, nel terzo capitolo del De ente et essentia, tratta delrapporto tra essenza, da un lato, e le nozioni di genere e specie dall’altro. Siha qui a che fare esattamente con la distinzione introdotta da Alessandro diAfrodisia tra un’essenza come definibile e predicabile, da un lato, ed un’es-senza come genere ed universale, dall’altro. Non è dunque un caso che proprioin questo capitolo Tommaso introduca la dottrina dell’indifferenza dell’es-senza, che altro non è che il modo in cui Avicenna interpreta la distinzione diAlessandro di Afrodisia. Secondo Tommaso, dunque, si deve distinguere tral’essenza e le nozioni di genere e specie␣ : l’essenza è ciò cui le nozioni digenere e specie pertengono. E Tommaso aggiunge un’osservazione particolar-mente interessante␣ : le nozioni di genere e specie pertengono all’essenzasignificata come un tutto, perché l’essenza di cui si dice che è un genere o unaspecie (ad esempio, l’essenza uomo, di cui si dice che è una specie) è essastessa predicabile degli individui (ad esempio, degli uomini individuali comeSocrate e Platone), e, come Tommaso stesso ha detto nel capitolo precedente,solo l’essenza significata come un tutto è predicabile degli individui23 .

Tommaso introduce la dottrina dei diversi modi di considerare un’essenzacome una divisione che pertiene proprio all’essenza considerata in questomodo, ossia come un tutto predicabile degli individui. Di tale essenza cosìconsiderata, Tommaso dice che può essere considerata secondo sé prescin-

23 SANCTI THOMAE DE AQUINO De ente et essentia, cap. 3, p.␣ 374, ll. ␣ 4-25: «␣ Quia autem id cuiconvenit ratio generis uel speciei uel differentie predicatur de hoc singulari signato, impossibileest quod ratio uniuersalis, scilicet generis uel speciei, conueniat essentie secundum quod permodum partis significatur, ut nomine humanitatis uel animalitatis […]. Et ideo relinquitur quodratio generis uel speciei conueniat essentie secundum quod significatur per modum totius, utnomine hominis uel animalis, prout impliciter et indistincte continet totum hoc quod inindiuiduo est␣ ».

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dendo dal modo in cui esiste, oppure secondo uno dei due modi in cui esiste,che sono tuttavia esterni alla sua considerazione assoluta␣ : o in quanto essaesiste negli individui o in quanto essa esiste nell’anima␣ :

«␣ Natura autem uel essentia sic accepta [scil., secundum quod significatur permodum totius] potest dupliciter considerari. Vno modo secundum rationempropriam, et hec est absoluta consideratio ipsius␣ : et hoc modo nichil estuerum de ea nisi quod conuenit sibi secundum quod huiusmodi␣ ; unde quicquidaliorum attribuatur sibi, falsa erit attributio […]. Alio modo consideratursecundum esse quod habet in hoc uel in illo […]. Hec autem natura habetduplex esse␣ : unum in singularibus et aliud in anima, et secundum utrumqueconsequntur dictam naturam accidentia␣ ; in singularibus etiam habet multiplexesse secundum singularium diuersitatem. Et tamen ipsi nature secundumsuam primam considerationem, scilicet absolutam, nullum istorum debetur␣ »24.

Dunque, Tommaso introduce la distinzione tra i vari modi in cui un’essen-za viene considerata (in sé, negli individui e nell’intelletto che la conosce)come una distinzione relativa all’essenza in quanto è considerata e significatacome un tutto predicabile degli individui. Poiché l’essenza significata comeun tutto e predicabile degli individui non è altro, come si è detto, che unanozione ottenuta per astrazione a partire dagli individui, quando essi vengo-no considerati in modo indeterminato, ne segue che la distinzione tra i diversimodi in cui l’essenza viene considerata sembra essere, per Tommaso, unadistinzione che riguarda i modi in cui una nozione astratta — la nozione diessenza, astratta dagli individui — viene considerata. In particolare, anche ilmodo di considerare un’essenza secondo sé, a prescindere dai modi in cui taleessenza esiste (negli individui o nell’intelletto che la conosce) non sembraessere un modo di essere dell’essenza come costituente della realtà, ma unmodo di considerare una nozione astratta.

5. LA DISTINZIONE TRA PREDICAZIONE ED UNIVERSALITÀ

È in effetti innegabile che Tommaso, nel De ente, introduca la dottrinadell’indifferenza dell’essenza come una dottrina del modo in cui un’essenzagià significata e considerata in un certo modo — ossia, come un tuttopredicabile degli individui — viene considerata. Di conseguenza, sorge latentazione di ridurre quella che Tommaso chiama ‘absoluta considerationaturae’ ad un modo di considerare un concetto. Tuttavia, è altrettanto

24 Ibid., ll. ␣ 26-58.

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innegabile che questo equivarrebbe a semplificare in modo illegittimo quantoTommaso dice nel De ente. Sembra in effetti che nel De ente Tommaso nonintenda trarre la drastica conclusione secondo cui l’essenza svolge il ruolo diun concetto astratto. Secondo Tommaso, l’essenza è anche, anzi soprattuttoun costituente reale delle cose.

Ciò emerge chiaramente quando si prenda in considerazione più da vicinola nozione di predicazione cui Tommaso fa qui ricorso quando descrivel’essenza, ed in particolare l’essenza considerata in modo assoluto, come ciòche si predica degli individui. Da un lato, il fatto che Tommaso dica chel’essenza considerata in modo assoluto viene predicata degli individui inducea pensare che l’essenza così considerata sia un concetto e non una realtà␣ :infatti, secondo quanto lo stesso Tommaso sostiene nel corso di tutta la suacarriera, la predicazione è un’operazione propria dell’intelletto, che componediversi elementi insieme in una proposizione, e tali elementi sono natural-mente concetti e non cose. Tuttavia, ad uno sguardo più attento, la nozionedi predicazione cui qui Tommaso sta facendo ricorso si rivela essere diversada quella che lo stesso Tommaso adotterà nelle opere successive. Specifica-mente, sembra che nel De ente la predicazione non escluda, anzi indichi unrapporto di tipo ontologico costitutivo delle cose, e non solo un rapporto tratermini e concetti, da un lato, e realtà, dall’altro. Ciò emerge da una curiosadistinzione che Tommaso introduce poco dopo aver detto che ciò cui convie-ne l’essere universale è ciò che viene predicato degli individui. In modo netto,infatti, Tommaso distingue tra predicazione ed essere universale. Secondoquanto dice qui Tommaso, l’essere universale pertiene all’essenza in quantoè nell’intelletto, non in quanto è considerata in modo assoluto. Al contrario,l’essenza viene predicata degli individui solo in quanto è considerata in modoassoluto. L’essenza considerata in modo assoluto non è universale, benché siapredicabile degli individui, perché è proprio di una nozione universale esserein sé una e contemporaneamente comune se considerata rispetto alle entitàa cui pertiene. Seguendo implicitamente Avicenna, Tommaso osserva chedunque l’essenza, considerata in modo assoluto, non è universale, perchéunità e comunità sono estranee all’essenza secondo la sua considerazioneassoluta␣ ; tali attributi pertengono all’essenza solo quando essa è consideratain quanto esistente secondo uno dei suoi due modi di esistenza, negli indivi-dui o nell’intelletto che la conosce. Ciò tuttavia non toglie che l’essenza,considerata in modo assoluto e a prescindere dalla sua esistenza negliindividui o nell’intelletto che la conosce, sia predicabile degli individuipresenti nel mondo␣ : l’essenza uomo è predicabile di Socrate e Platone non inquanto è presente in Socrate o in Platone (in tal modo, infatti, vieneindividualizzata e non è dunque più predicabile di diversi individui) né in

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quanto è nell’intelletto (in tal modo, infatti è una nozione universale dotatadi una sua unità e comunità, che ad essa non pertengono in quanto èconsiderata in modo assoluto)␣ :

«␣ Ergo patet quod natura hominis absolute considerata abstrahit a quolibetesse, ita tamen quod non fiat precisio alicuius eorum. Et hec natura sicconsiderata est que predicatur de indiuiduis omnibus. Non tamen potest diciquod ratio uniuersalis conueniat nature sic accepte, quia de ratione uniuersalisest unitas et communitas␣ ; nature autem humane neutrum horum conuenitsecundum absolutam suam considerationem␣ »25 .

La distinzione tra l’essenza che viene predicata e l’universalità è un puntocentrale della dottrina dell’essenza come Tommaso la espone nel De ente ␣ : ègrazie a questa distinzione che Tommaso riesce a fare dell’essenza conside-rata in modo assoluto una componente reale delle cose a prescindere dal fattoche l’intelletto la consideri o meno. Già in Alessandro di Afrodisia l’essenza,distinta dall’universale, era predicata degli individui. Secondo quanto quiafferma Tommaso, l’universalità dipende dall’intelletto, ma la predicabilitàno␣ : ne segue che l’essenza è predicabile degli individui di uno stesso tipoanche se essa non è considerata dall’intelletto e dunque anche se ad essa nonviene attribuita l’universalità. Tuttavia, la distinzione tra predicabilità eduniversalità è in sé sorprendente, alla luce sia della tradizione precedente siadelle opere successive di Tommaso stesso. Secondo quanto Tommaso dice nelDe ente, infatti, esiste qualcosa che di per sé è predicabile ma che di per sé nonè universale, e questo qualcosa è l’essenza presa secondo la sua considerazio-ne assoluta. Sia tuttavia sufficiente ricordare che le nozioni di ‘predicabile’ ed‘universale’ sono sempre state strettamente legate l’una all’altra da Aristotelein poi. È lo stesso Aristotele, in effetti, a definire l’universale come ciò che èpredicabile di più cose26 . Sulla scia di Aristotele, i commentatori latini, perlo meno dal dodicesimo secolo in poi, finirono per identificare completamen-te le due nozioni di predicabilità ed universalità, tanto che le famose quinquevoces di cui tratta Porfirio nell’Isagoge (genere, specie, differenza, proprio,accidente) venivano chiamate in ambito latino indifferentemente ‘praedicabilia’e ‘universalia’27 . Per quanto riguarda lo stesso Tommaso, a parte che nel terzocapitolo del De ente et essentia, la possibilità di distinguere tra predicazione

25 Ibid., ll. ␣ 68-77.26 De Interpretatione, 7, 17a39-40.27 Per una breve presentazione delle interpretazioni medievali dell’Isagoge di Porfirio, si

veda A. DE LIBERA, Introduction, in PORPHYRE, Isagoge. Text grec, Translatio Boetii, Traduction parA. DE LIBERA et A.-P. SEGONDS, Vrin, Paris 1998, pp.␣ CXXVII-CXL.

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ed universalità sembra preclusa.Sembra in effetti che nello stesso De ente Tommaso abbia qualche difficol-

tà a distinguere tra predicabilità ed universalità, tanto che si può sospettareche tale distinzione sia introdotta come una distinzione ad hoc, e che segnaliun problema piuttosto che risolverlo. Ne è un segno il modo stesso in cuiTommaso si sforza di giustificare come tale distinzione sia basata sul fattoche ad una nozione universale pertenga l’essere una e comune, caratteristicheche sono estranee ad un’essenza considerata in modo assoluto. Tuttavia,come può un’essenza considerata in modo assoluto essere predicabile senzaessere una in sé e soprattutto senza essere comune a ciò di cui vienepredicata? Eppure, in base alla sua distinzione tra universalità e predicabilità,Tommaso è costretto a negare che l’essenza predicabile sia comune a ciò dicui è predicata. Ma il meno che si possa dire è che non è chiaro come ciò siapossibile. Inoltre, pur riconoscendo che è l’essenza considerata in modoassoluto ad essere predicata degli individui, e non l’essenza in quanto èpresente nell’intelletto, Tommaso riconosce che ‘essere predicato’ è qualcosache pertiene di per sé a nozioni come genere e specie, ossia a nozioni che è ilnostro intelletto ad attribuire all’essenza. Infatti, Tommaso osserva che lapredicazione è qualcosa che, pur avendo una base reale nella composizionedelle cose extramentali, viene tuttavia portato a compimento ed attuatodall’intelletto. Per questo motivo, la ratio praedicabilitatis viene inclusa nelladefinizione di genere e specie. Sembra dunque che lo stesso Tommasoammetta che la predicazione è un’operazione propria dell’intelletto, e che diconseguenza essere predicato sia qualcosa che pertiene a concetti e non arealtà. E tuttavia, Tommaso si affretta ad aggiungere che ciò cui l’intellettoattribuisce l’intentio praedicabilitatis non è un concetto come il genere e laspecie, ma ciò cui genere e specie pertengono, ossia l’essenza stessa28 .Sembrerebbe, in altri termini, che Tommaso stia cercando di distinguere tral’essenza che si predica degli individui secondo la sua considerazione assolu-

28 SANCTI THOMAE DE AQUINO De ente et essentia, cap. 3, p.␣ 375, ll. ␣ 120-146: «␣ Et quia naturehumane secundum suam absolutam considerationem conuenit quod predicetur de Sorte, etratio speciei non conuenit sibi secundum suam absolutam considerationem sed est de accidentibusque consequntur eam secundum esse quod habet in intellectu, ideo nomen speciei non predicaturde Sorte ut dicatur Sortes est species […]. Et tamen predicari conuenit generi per se, cum in eiusdiffinitione ponatur. Predicatio enim est quiddam quod completur per actionem intellectuscomponentis et diuidentis, habens fundamentum in re ipsa unitatem eorum quorum unum dealtero dicitur. Vnde ratio predicabilitatis potest claudi in ratione huius intentionis que estgenus, que similiter per actum intellectus completur. Nichilominus tamen id cui intellectusintentionem predicabilitatis attribuit, componens illud cum altero, non est ipsa intentio generis,sed potius illud cui intellectus intentionem generis attribuit, sicut quod significatur hoc nomineanimal␣ ».

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ta e a prescindere dall’intervento dell’intelletto, da un lato, e, dall’altro, laratio o intentio praedicabilitatis, che viene attribuita all’essenza solo dall’in-telletto. Ma non si comprende bene come qualcosa possa essere predicato diqualcos’altro di per sé senza che ad esso pertenga la ratio o intentiopraedicabilitatis parimenti di per sé.

Sempre restando all’interno del De ente, inoltre, se anche si accettasse lapossibilità di distinguere tra predicazione ed universalità, e dunque se siaccettasse che alcune cose possono essere predicate senza essere universali,resterebbe un problema di coerenza interna. Al principio di questo stessocapitolo terzo, infatti, Tommaso afferma che ciò cui pertengono le nozioni dispecie e genere è predicabile degli individui␣ : ossia, ciò che viene detto essereun genere o una specie è l’essenza che è predicabile degli individui29 . Questoin effetti sembra ragionevole␣ : l’essenza uomo è predicabile di Socrate e diPlatone, ed è all’essenza uomo che pertiene l’essere una specie. Poco dopo,Tommaso dice che ciò che è predicato degli individui è l’essenza consideratain modo assoluto, in quanto prescinde dall’esistenza che effettivamente lacaratterizza negli individui o nell’intelletto30 . Se ne può concludere che èall’essenza considerata in modo assoluto che pertiene l’essere una specie o ungenere. Poiché essere un genere ed essere una specie, alla luce di quanto dicePorfirio, non sono altro che due tipi di universalità, ne consegue che èl’essenza considerata in modo assoluto ciò a cui viene aggiunta e pertienel’universalità. Ancora una volta, questo sembrerebbe ragionevole␣ : oltre aseguire dalle distinzioni che Tommaso stesso ha introdotto, sembra infattiragionevole dire che ad un’essenza (ad esempio, all’essenza uomo) pertienel’universalità in quanto è predicabile di diversi individui (ad esempio, diSocrate e Platone). Poiché un’essenza è predicabile degli individui in quantoè considerta in modo assoluto, se ne deduce che ad un’essenza competel’universalità in quanto è considerata in modo assoluto. Questa tuttavia è unaconseguenza che Tommaso non vuole trarre. In effetti, nella parte successivadel medesimo capitolo, egli afferma espressamente che ad un’essenza pertienel’universalità non in quanto è considerata in modo assoluto, ma secondol’essere che essa ha nell’intelletto31 . Ed è proprio a questo proposito cheTommaso introduce la sua strana distinzione tra predicabilità ad universali-

29 Ibid., p. ␣ 374, ll. ␣ 4-6: «␣ Quia autem id cui conuenit ratio generis uel specie uel differentiepredicatur de hoc singulari signato […]␣ ».

30 Ibid., ll. ␣ 68-72: «␣ Ergo patet quod natura hominis absolute considerata abstrahit a quolibetesse […]. Et hec natura sic considerata est que predicatur de indiuiduis omnibus␣ ».

31 Ibid., ll. ␣ 73-77: «␣ Non tamen potest dici quod ratio uniuersalis conueniat nature sicaccepte, quia de ratione uniuersalis est unitas et communitas␣ ; nature autem humane neutrumhorum conuenit secundum absolutam suam considerationem␣ ».

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tà␣ : l’universalità (ossia l’essere un genere o una specie) compete ad un’essen-za secondo l’essere che ha nell’intelletto, ossia in quanto essa è conosciuta,contrariamente a quanto Tommaso ha detto poco prima. Invece, lapredicabilità pertiene ad un’essenza secondo la sua considerazione assoluta.

Tommaso si trova qui a fare i conti con l’ambiguità che si è notata inAvicenna␣ : da un lato, ciò cui pertiene l’universalità è l’essenza considerata inmodo assoluto␣ ; d’altro lato, l’universalità pertiene all’essenza in quanto èpresente nell’intelletto. Il modo in cui Tommaso cerca di uscire da questadifficoltà è ponendo una distinzione tra universalità e predicabilità e soste-nendo che la predicabilità pertiene all’essenza considerata in modo assolutomentre l’universalità pertiene all’essenza in quanto è conosciuta e secondol’essere che ha nell’intelletto. Ma come si è visto, questa distinzione non èchiara e costringe Tommaso a contraddirsi nel giro di poche righe all’internodel medesimo capitolo.

Al di là delle oscurità e contraddizioni che si sono osservate, è interessantecercare di comprendere per quale motivo Tommaso, nel De ente, adotti unaposizione così singolare e di fatto problematica come la distinzione trauniversalità e predicabilità. Tommaso vuole attribuire l’universalità all’es-senza in quanto è considerata come conosciuta e presente nell’intelletto,mentre allo stesso momento vuole sostenere che l’essenza considerata inmodo assoluto è predicabile degli individui. Sembra che la nozione dipredicabilità di cui Tommaso si serve implichi una relazione ontologica ecostitutiva delle realtà␣ : l’essenza è predicabile senza essere essenzialmenteun universale ed uno dei predicabili di Porfirio perché ‘essere predicato’implica una relazione non semplicemente semantica ma ontologica, ossiaquella di costituzione di un individuo di un certo tipo.

In seguito, questa soluzione non apparirà più soddisfacente, né a Tommasoné agli autori che affronteranno lo stesso problema dopo di lui. Per quantoriguarda questi ultimi, sembra che tra la fine del Duecento e l’inizio delTrecento si imporrà una soluzione standard al problema che Tommaso avevacercato di risolvere distinguendo tra predicazione ed universalità. Autoricome Egidio Romano e Duns Scoto, invece di distinguere tra predicazione eduniversalità, distingueranno tra attribuire universalità ad un’essenza nelsenso che qualcosa viene conosciuto sotto il modo dell’universalità, da unlato, e, d’altro lato, attribuire universalità ad un’essenza nel senso di conside-rare un’essenza come un concetto universale. Secondo questi autori, comeper Tommaso nel De ente, un’essenza viene considerata come una specie o ungenere solo quando l’intelletto la considera come tale e quando attribuisce adessa l’universalità mettendola in rapporto con gli individui extramentali␣ ; maun’essenza è predicabile di molti individui a prescindere dal fatto che l’intel-

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letto la consideri come universale ed attribuisca ad essa l’universalità. Tutta-via, nel De ente Tommaso non distingue tra l’universalità che pertiene adun’essenza in quanto è predicabile degli individui e l’universalità che l’intel-letto attribuisce ad un’essenza quando la considera come una nozione univer-sale. Questa distinzione tra due tipi di universalità sarà chiaramente fattasolo dagli autori successivi a Tommaso, secondo i quali la prima universalitàè una prima intenzione, mentre la seconda universalità è una seconda inten-zione. Mentre l’universalità come seconda intenzione pertiene ad un’essenzasolo in quanto è considerata come un concetto presente nell’intelletto, l’uni-versalità come prima intenzione pertiene ad un’essenza in quanto è conside-rata in modo assoluto. Secondo gli autori successivi a Tommaso, tuttavia, ladifferenza tra l’essenza predicata e l’essenza come specie e genere non sta nelfatto che l’essenza predicata non è universale␣ : l’essenza è universale in tuttie due i modi, sia quando è predicata degli individui che quando è consideratacome un genere o una specie. La differenza tra questi due modi di essereuniversale, per l’essenza, sta nel fatto che, secondo la prima considerazione,l’essenza è universale ma non è considerata come universale, mentre nelsecondo modo l’essenza è anche considerata come universale. In effetti,qualcosa può essere universale (e dunque una nozione dell’intelletto) senzaessere considerato come universale. È questo il caso dell’essenza quando èconsiderata in modo assoluto32 . Al contrario, Tommaso nel De ente nondistingue tra l’essere universale e l’essere considerato come universale␣ :poiché l’essenza considerata in modo assoluto non è considerata come uni-versale, Tommaso conclude che essa non è universale, distinguendo in talmodo tra predicazione ed universalità. E poiché è l’intelletto a dare l’univer-salità, secondo Tommaso se qualcosa è predicabile senza essere universale,qualcosa è predicabile senza l’intervento dell’intelletto. Dunque, nel De enteTommaso è costretto a porre l’essenza considerata in modo assoluto — chepure nello stesso De ente sembrerebbe essere una nozione astratta, e dunqueun concetto dell’intelletto — come un costituente della realtà, predicabile aprescindere dal fatto che l’intelletto lo conosca o meno. In questo modo,Tommaso nel De ente non esce dall’ambiguità di fondo riguardante l’essenza,se cioè essa sia una nozione astratta o un costituente della realtà.

32 AEGIDII ROMANI Quodl. II, q. 6, in EIUSDEM Quodlibeta, Lovanii 1646 (rist. anast. Minerva,Frankfurt a. M. 1966), pp.␣ 62-63␣ ; IOANNIS DUNS SCOTI Ordinatio II, dist. 3, pars 1, q. 1, in EIUSDEM

Opera omnia, VII, Typis Polyglottis Vaticanis, Civitas Vaticana 1973, n. 33, pp.␣ 403-404␣ ;EIUSDEM Quaestiones super libros Metaphysicorum Aristotelis, Lib. VII, q. 18, in EIUSDEM Operaphilosophica, IV, The Franciscan Institute, St. Bonaventure, N.Y 1997, nn.␣ 38-46, pp.␣ 347-350.

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6. L’INTERPRETAZIONE ONTOLOGICA DELL’ESSENZA␣ : IL QUODL. VIII

Poco dopo aver presentato la dottrina dell’indifferenza dell’essenza nelterzo capitolo del De ente et essentia, Tommaso torna sugli stessi problemi inuna questione quodlibetale. Nella prima questione del Quodlibet VIII — inrealtà, il secondo disputato da Tommaso, nella Pasqua del 1257 — unproblema apparentemente peregrino proveniente dal commento sulla Genesidi Agostino offre a Tommaso l’occasione di dare quella che, insieme al Deente, resterà in tutta la sua opera la trattazione più completa della dottrinadell’indifferenza dell’essenza33 .

Si tratta di una questione importante per più di un motivo. Non soloTommaso si richiama esplicitamente ad Avicenna per presentare la dottrinadell’indifferenza dell’essenza␣ ; egli dà anche una soluzione chiara ad alcunidei problemi della dottrina dell’indifferenza dell’essenza che erano emersi nelDe ente. Inoltre, Tommaso connette la dottrina dell’indifferenza dell’essenzaalla dottrina delle idee divine, compiendo un passo che avrà notevole fortunain seguito e che gli autori successivi dovranno prendere in considerazione, siache lo accettino, come Enrico di Gand, sia che lo rifiutino, come Duns Scoto.In effetti, la dottrina di Enrico di Gand dell’esse essentiae prende probabil-mente le mosse anche da questa questione di Tommaso, di cui Enrico eraquasi sicuramente a conoscenza e che venne implicitamente sviluppata ecriticata da lui34 . In terzo luogo, la presentazione che qui Tommaso dà delladottrina dell’indifferenza dell’essenza mostra chiaramente quali problemirestavano ancora aperti per Tommaso e quali difficoltà non erano ancorarisolte, e apre quindi la via per le trattazioni che lo stesso Tommaso darà ditale dottrina nelle sue opere successive. Come vedremo, tali trattazioni sono

33 SANCTI THOMAE DE AQUINO Quodl. VIII, q. 1, An senarius numerus, secundum quem omnescreature dicuntur esse perfecte, sit creator uel creatura, in EIUSDEM Quaestiones de quolibet, Operaomnia, XXV.1, Commissio Leonina - Les éditions du Cerf, Roma - Paris 1996, pp.␣ 51-53. Suquesta questione, raramente presa in considerazione dagli interpreti, si veda F. D. WILHELMSEN,A Note␣ : The Absolute Consideration of Nature in Quaestiones Quodlibetales, VIII, «␣ The NewScholasticism␣ », 57, 1983, pp.␣ 352-361. Le considerazioni di Wilhelmsen appaiono tuttaviaviziate dalla preoccupazione di mettere in completo accordo tra loro le trattazioni sull’essenzache Tommaso ha fatto in diversi periodi.

34 Si veda in particolare HENRICI DE GANDAVO Quodl. III, q. ␣ 9, Utrum sit ponere aliquamessentiam per indifferentiam se habentem ad esse et ad non esse, in EIUSDEM Quodlibeta, apudBadium, Paris 1518 (rist. anast. Bibliothèque S. J., Louvain 1961), ff. 60v-62r. Sulla nozione diesse essentiae in Enrico di Gand, si vedano J. PAULUS, Henri de Gand. Essai sur les tendances desa métaphysique, Vrin, Paris 1938, pp.␣ 82-193␣ ; e PORRO, Universaux et esse essentiae cit., pp.␣ 29-47. Intendo trattare in un prossimo contributo il diverso modo in cui Enrico di Gand ed EgidioRomano intesero la dottrina dell’indifferenza dell’essenza di Avicenna.

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notevolmente diverse sia da quella del De ente che da quella del Quodl. VIII.Esse tuttavia non possono essere comprese se non alla luce della posizione dacui Tommaso parte e che finirà per rifiutare, anche se in modo implicito.

Tommaso inizia la sua risposta alla questione «␣ Se il numero sei, secondocui si dice che tutte le creature siano perfette, sia identico al creatore o allacreatura␣ » con una limpida presentazione della dottrina dell’essenza diAvicenna. Secondo Avicenna, una natura o essenza può essere considerata intre modi␣ : secondo l’essere che ha nei singolari, secondo il suo essere intelli-gibile e infine in quanto astrae da entrambi gli esseri ed è considerata solosecondo quegli attributi che competono ad essa␣ :

«␣ Dicendum quod, secundum Auicennam in sua Metaphisica, triplex est alicuiusnature consideratio␣ : una, prout consideratur secundum esse quod habet insingularibus, sicut natura lapidis in hoc et in illo lapide␣ ; alia vero estconsideratio alicuius nature secundum esse suum intelligibile, sicut naturalapidis prout est in intellectu␣ ; tercia uero est consideratio nature absoluta,prout abstrahit ab utroque esse, secundum quam considerationem consideraturnatura lapidis, uel cuiuscunque alterius, quantum ad ea tantum que per secompetunt tali nature␣ »35 .

Riprendendo quanto già detto nel De ente, Tommaso presenta dunque ladottrina di Avicenna come riguardante tre modi in cui un’essenza può essereconsiderata e due modi in cui tale essenza effettivamente esiste. L’essenza,presa di per sé e a prescindere dal fatto che esista effettivamente negliindividui o nell’intelletto, è appunto oggetto di una considerazione, ma nonè dotata di alcun essere proprio.

Diversamente da quanto aveva fatto nel De ente, tuttavia, qui Tommaso sipone esplicitamente per la prima volta il problema del rapporto reciproco dipriorità tra queste tre considerazioni. Quale considerazione viene primadell’altra␣ ? Secondo Tommaso, la considerazione assoluta dell’essenza —ossia la considerazione dell’essenza che prescinde dal modo in cui effettiva-mente essa esiste, negli individui o nell’intelletto — precede la considerazionedell’essenza in quanto esiste negli individui. Per quanto riguarda la conside-razione dell’essenza in quanto è nell’intelletto, si deve invece fare una distin-zione. Se si tratta dell’intelletto divino, allora la considerazione dell’essenzain quanto è nell’intelletto divino precede ogni altra considerazione, sia quellaassoluta che quella nelle realtà extramentali. Per quanto riguarda la conside-razione dell’essenza in quanto è nell’intelletto umano, essa segue ogni altra

35 Quodl. VIII, q. 1, pp. 51-52, ll. ␣ 53-64.

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considerazione, sia quella assoluta sia quella nelle realtà extramentali. Neconsegue dunque il seguente ordine␣ : essenza nell’intelletto divino — essenzaconsiderata in modo assoluto – essenza nelle realtà extramentali — essenzanell’intelletto umano36 .

Si possono subito fare alcune osservazioni. In primo luogo, Tommaso,affermando che l’essenza considerata in modo assoluto precede l’essenzaconsiderata in quanto ha essere nelle realtà extramentali, nega implicitamen-te che l’essenza nella sua considerazione assoluta sia puramente il risultatodi un’astrazione a partire dagli invidividui esistenti nel mondo. Si era vistoche nel De ente a questo proposito era rimasta qualche ambiguità␣ : alcunielementi inducevano a pensare all’essenza come ad una pura astrazione apartire dagli individui, altri invece inducevano a considerare l’essenza comeun costituente degli individui, anteriore ad essi. Nel Quodl. VIII Tommasoscioglie questo dubbio, ed afferma esplicitamente la priorità dell’essenzaconsiderata in modo assoluto rispetto agli individui.

Di che tipo di priorità si tratta␣ ? Il senso di priorità cui Tommaso si stariferendo è particolarmente forte. Secondo quanto Tommaso spiega pocodopo, secondo questo senso di priorità qualcosa è anteriore ad un’altra cosase ciò che è anteriore continua a sussistere anche quando ciò che è posterioreviene meno. Inoltre, ciò che è anteriore è il motivo per cui a ciò che èposteriore pertengono alcuni attributi. Ad esempio — ed è l’esempio che fa lostesso Tommaso — consideriamo l’essenza uomo. Se anche scomparisserotutti gli uomini particolari, resterebbe vero che l’uomo è razionale, perché larazionalità pertiene all’essenza uomo non secondo l’essere che tale essenza hanegli individui come Socrate e Platone, ma in quanto tale essenza è conside-rata in modo assoluto, a prescindere dall’essere che essa può avere negliindividui o nell’intelletto. Inoltre, un attributo come la razionalità pertieneagli uomini particolari perché esso pertiene all’essenza considerata nella suaindifferenza. Secondo quanto dice esplicitamente Tommaso, l’essenza uomoè razionale di per sé, quando è considerata a prescindere dall’essere che hanegli individui che essa costituisce. Dunque l’essenza uomo è razionale nonperché siano razionali Socrate e Platone␣ ; al contrario, Socrate e Platone sono

36 Quodl. VIII, q. 1, p.␣ 52, ll. ␣ 65-102, in part. ll. ␣ 87-92␣ : «␣ Vnde uniuscuiusque nature createprima consideratio est secundum quod est in intellectu diuino␣ ; secunda uero consideratio estipsius nature absolute␣ ; tercia uero consideratio est in rebus ipsis uel in mente angelica␣ ; quartasecundum esse quod habet in intellectu humano␣ ». Qui Tommaso considera equivalente laconsiderazione dell’essenza in quanto è nelle realtà extramentali alla considerazione dell’essen-za in quanto è nell’intelletto angelico, ma questo aspetto non sembra rilevante per il tematrattato e dunque lo si tralascia.

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razionali perché ad essere razionale è l’essenza uomo considerata nella suaindifferenza ad ogni modo di esistenza37 .

Secondo Tommaso, dunque, l’essenza, presa nella sua indifferenza, prece-de non solo un individuo particolare, ad esempio Socrate e Platone, nel sensoche l’essenza uomo continua ad essere razionale anche se Socrate o Platonevengono meno. Questa posizione sarebbe in linea con l’interpretazione cheAlessandro di Afrodisia aveva dato di Aristotele, secondo cui l’essenza prece-de un individuo particolare, perché essa rimane anche quando un individuoparticolare viene meno. Ciò non vuol dire, tuttavia, che l’essenza rimangaanche quando tutti gli individui di quel tipo vengono meno␣ : secondo Alessan-dro, è vero che l’uomo resta ciò che è anche se Socrate e Platone muoiono, mase tutti gli uomini scomparissero verrebbe meno anche l’essenza uomo. Quiinvece Tommaso assume una posizione diversa, che sembra dare all’essenzaconsiderata nella sua indifferenza un’autentica indipendenza rispetto agliindividui␣ : anche se scomparissero tutti gli uomini, l’essenza uomo resterebbeciò che è e continuerebbe ad essere caratterizzata da alcuni attributi, quali adesempio la razionalità.

Se è così, tuttavia, sorge spontaneamente una domanda. Se secondoTommaso l’essenza, presa nella sua indifferenza, è anteriore agli individui inquesto senso forte di anteriorità come indipendenza totale dagli individui,Tommaso non corre il rischio di attribuire all’essenza considerata in modoindifferente una sua esistenza propria, indipendente dagli individui␣ ? Infatti,se tutti gli uomini scomparissero, secondo Tommaso resterebbe vero chel’essenza uomo è ciò che è ora ed essa continuerebbe ad essere razionale. Maciò non equivale a dire che anche se tutti gli uomini scomparissero l’essenzauomo esisterebbe nella realtà, come un’idea platonica distinta dagli individuiin cui concretamente si realizza␣ ? Sembra in effetti che l’interpretazione cheTommaso dà della dottrina dell’indifferenza dell’essenza nel Quodl. VIII siatinta da forti elementi di platonismo␣ : nella sua indifferenza, l’essenza non èuna nozione astratta dagli individui␣ ; al contrario, essa precede tutti gliindividui che costituisce come individui di un certo tipo.

Tommaso è consapevole di questo rischio, e ne tratta nella risposta ad una

37 Ibid., p. ␣ 52, ll. ␣ 103-117␣ : «␣ In hiis igitur semper id quod est prius est posterioris ratio, etremoto posteriori remanet prius, non autem e conuerso␣ ; et inde est quod hoc quod aliquidcompetit nature secundum absolutam considerationem, est ratio quare competat nature alicuisecundum esse quod habet in singularibus, et non e conuerso␣ : ideo enim Sortes est rationalisquia homo est rationalis, et non e conuerso␣ ; unde, dato quod Sortes et Plato non essent, adhucnature humane rationalitas competeret. Similiter etiam intellectus diuinus est ratio natureabsolute considerate uel in singularibus, et ipsa natura absolute considerata uel in singularibusest ratio intellectus humani et quodam modo mensura ipsius␣ ».

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obiezione. Evidentemente, Tommaso vuole evitare di dire che la priorità dellaconsiderazione assoluta dell’essenza rispetto agli individui implica che l’es-senza possa esistere come essenza non realizzata negli individui␣ : questosarebbe infatti direttamente in opposizione rispetto alla posizione di Avicennacome lui stesso l’ha presentata, secondo cui un’essenza esiste solo in duemodi, o negli individui o nell’intelletto, ma di per sé è sprovvista di qualsiasiessere. Per evitare di cadere in un platonismo delle essenze e di porre leessenze come esistenti anche se non realizzate in alcun individuo, Tommasoricorre alla distinzione tra l’essere e la considerazione di un’essenza. SecondoTommaso, la priorità dell’essenza considerata in modo assoluto rispetto agliindividui implica solo che, anche se scomparissero tutti gli individui di uncerto tipo, tale essenza potrebbe ancora essere considerata in modo assoluto␣ :a restare anche dopo la scomparsa di tutti gli individui non sarebbe un’essen-za esistente, ma la considerazione assoluta di tale essenza38 .

A prima vista, la risposta di Tommaso non è priva di attrattiva. In effetti,secondo Tommaso la dottrina dell’essenza di Avicenna consiste nel dire chel’essenza può essere considerata in tre modi anche se esiste solo in due, o negliindividui o come concetto astratto nell’intelletto. Sembra tuttavia che quandoTommaso interpreta la priorità della considerazione assoluta dell’essenzacome completa indipendenza dagli individui — sino al punto che un’essenzapuò essere considerata in modo assoluto anche se non esiste alcun individuodi quel tipo — sorga qualche problema. Se infatti a restare anche quandoscompaiono tutti gli individui — ad esempio, tutti gli uomini — è la conside-razione assoluta dell’essenza — ad esempio la considerazione dell’essenzauomo — la domanda naturale che si pone a questo punto è␣ : in che cosaconsiste tale considerazione␣ ? Tommaso non può dire che la considerazionedell’essenza sia qualcosa di per sé, a prescindere da qualsiasi intelletto checonsideri effettivamente l’essenza in un certo modo. Infatti, secondo Tommaso—– che in questo aspetto si conferma fedele interprete di Avicenna — è veroche la considerazione assoluta dell’essenza prescinde da ogni essere, negliindividui o nell’intelletto␣ ; tuttavia, ciò non significa che l’essenza possaesistere in modo assoluto, senza essere o negli individui o nell’intelletto.

38 Ibid., p. ␣ 53, ll. ␣ 135-145␣ : «␣ Ad primum ergo dicendum quod, remotis omnibus creaturis quesunt facte in senario dierum, non dicitur quod perfectio remaneat in senario numero quasisenarius numerus aliquod esse habeat in rerum natura nulla creatura existente, set quia, remotoomni esse creato, remanet absoluta consideratio nature senarii prout abstrahit a quolibet esse,et sic attribuetur sibi perfectio, sicut, remotis omnibus singularibus hominibus, adhuc remaneretrationalitas attribuibilis humane nature␣ ». Pur seguendo Agostino, che nel De Genesi ad litteramparla del numero sei, Tommaso coglie qui l’occasione per fare delle osservazioni che valgono perle essenze in generale.

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Poiché dunque la considerazione assoluta dell’essenza è appunto solo unaconsiderazione e poiché anche quando tutti gli individui di un certo tipovenissero meno l’essenza continuerebbe ad essere considerata in modo assolu-to, dove si trova l’essenza che viene considerata in modo assoluto␣ ? La rispostadi Tommaso, a questo punto, non può che essere una sola, ossia nell’intelletto.

Si comprende bene tuttavia per quale motivo Tommaso eviti di risponderea questa domanda, benché ciò sarebbe necessario per spiegare pienamente lasua dottrina dell’essenza. Da un lato, infatti, la considerazione assolutadell’essenza, proprio perché è una considerazione, sembra implicare il fattoche l’essenza sia considerata in modo assoluto da un intelletto, nel qualeabbia esistenza. D’altro lato, quale può essere l’intelletto che considerandol’essenza in modo assoluto, ossia a prescindere dall’essere che essa concreta-mente assume, dà luogo a questa considerazione assoluta dell’essenza che èanteriore ed indipendente rispetto agli individui␣ ? Per Tommaso, ci sono solodue possibilità␣ : o si tratta dell’intelletto umano o dell’intelletto divino. Masecondo quanto Tommaso dice in questa stessa questione, entrambe lepossibilità gli sono precluse. Per quanto riguarda l’intelletto umano, infatti,è lo stesso Tommaso a dire che la considerazione dell’essenza in quanto ènell’intelletto umano segue sia la considerazione dell’essenza in quanto ènegli individui sia, a maggior ragione, la considerazione assoluta dell’essen-za. Infatti, l’intelletto umano astrae un concetto a partire dagli individui, etale nozione astratta di essenza è l’essenza considerata in quanto esistentenell’intelletto umano. Poiché tale considerazione è astratta dagli individui,secondo Tommaso essa è posteriore agli individui␣ : se non ci fossero singoliuomini da cui astrarre il concetto uomo, il concetto uomo come lo abbiamonel nostro intelletto non esisterebbe. Poiché l’essenza considerata in modoassoluto precede l’essenza in quanto è realizzata concretamente negli indivi-dui, secondo quanto sostiene qui Tommaso, ne consegue che la considerazio-ne assoluta dell’essenza precede la considerazione dell’essenza in quanto ènell’intelletto umano, e dunque non può dipenderne39 .

7. ESSENZA INDIFFERENTE ED IDEE DIVINE NEL QUODL. VIII

Poiché è dunque escluso che la considerazione assoluta dell’essenza siauna considerazione effettuata dall’intelletto umano, a Tommaso resta lapossibilità che sia l’intelletto divino a considerare l’essenza in modo assoluto.Si potrebbe infatti pensare che l’essenza considerata in modo assoluto esista

39 Si veda sopra, n. 36.

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effettivamente come idea nell’intelletto divino, e che sia l’intelletto divinostesso a considerare un’essenza a prescindere dall’essere che effettivamenteassume sia come idea divina sia come sua realizzazione nel mondo. Sitratterebbe insomma di un’idea divina considerata dall’intelletto divino aprescindere dal suo essere. Questa sarà la via che prenderà Enrico di Gand,secondo cui l’essenza, presa secondo la sua considerazione assoluta, è ilrapporto che qualcosa ha con l’intelletto divino␣ : presa di per sé, l’essenza diqualcosa è identica all’esemplare o idea che si trova nell’intelletto divino40 .Anche questa possibilità sembra tuttavia preclusa a Tommaso. Infatti, èpeculiare dell’approccio di Tommaso in questa questione la distinzione tral’essenza in quanto è nell’intelletto divino e l’essenza considerata in modoassoluto. Contrariamente a quanto farà Enrico di Gand, Tommaso nonidentifica ma distingue l’idea divina dall’essenza considerata in modo assolu-to␣ : l’essenza in quanto presente nell’intelletto divino è l’idea divina, cheprecede l’essenza considerata in modo assoluto ed è completamente indipen-dente da essa. L’idea divina dunque è un’essenza caratterizzata dall’esistenzain un intelletto — l’intelletto divino —, non è l’essenza considerata in modoassoluto. Si deve notare a questo proposito che la distinzione tra l’essenza inquanto idea divina presente nell’intelletto di Dio e l’essenza nella sua consi-derazione assoluta è per Tommaso una distinzione reale␣ : non si tratta dellamedesima realtà — un’essenza — che può essere considerata o secondol’essere che ha nell’intelletto divino o prescindendo da tale essere. Infatti,Tommaso dice esplicitamente che mentre l’essenza come idea divina e secon-do l’essere che ha nell’intelletto di Dio è realmente identica a Dio stesso,l’essenza considerata in modo assoluto è una creatura41 . Poiché l’essenzaconsiderata in modo assoluto è una creatura, si può inferire che essa sia

40 Si vedano in particolare HENRICI DE GANDAVO Quodl. V, q. 1, in EIUSDEM Quodlibeta, ff. ␣ 150v-155r␣ ; Quodl. VII, q. 1, in EIUSDEM Quodlibeta, ff. ␣ 255r-259r. Sulla dottrina delle idee di Enricodi Gand, si veda R. PLEVANO, Divine Ideas and Infinity, in Henry of Ghent and the Transformationof Scholastic Thought. Studies in Memory of Jos Decorte, edd. G. GULDENTOPS - C. STEEL, LeuvenUniversity Press, Leuven 2003, pp.␣ 177-197.

41 SANCTI THOMAE DE AQUINO Quodl. VIII, q. 1, pp.␣ 52-53, ll. ␣ 118-134␣ : «␣ Possunt ergo uerbaAugustini intelligi de senario dupliciter. Vno modo ut per senarium intelligatur ipsa naturasenarii absolute, cui primo et per se competit perfectio, que quidem est ratio perfectionis eorumque senarium participant […]. Et hoc modo senarius nominat naturam creatam. Alio modopotest intelligi senarius secundum esse quod habet in intellectu diuino, et sic eius perfectio estratio perfectionis in creaturis inuente, que secundum senarium sunt condite, quibus etiamremotis in predicto senario perfectio remaneret. Sic autem senarius non erit creatura, set ratiocreature in creatore, que est ydea senarii et est idem secundum rem quod diuina essencia,ratione tantum differens␣ ». Come nel resto della questione, Tommaso prende il caso del numerosei suggerito da Agostino come esempio di un’essenza qualsiasi.

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realmente distinta da Dio e quindi anche dall’idea divina, che è identica a Dio.La distinzione tra l’essenza come idea divina presente nell’intelletto di Dio

e l’essenza considerata in modo assoluto è una posizione tipica di Tommasod’Aquino che dà luogo ad una duplicazione delle essenze prese come modellicostitutivi rispetto agli individui. Sia l’essenza come idea divina che l’essenzapresa in modo assoluto sono anteriori rispetto agli individui, ossia possonosussistere anche se gli individui venissero meno, ed in qualche modo licostituiscono come individui di un certo tipo. Questa curiosa duplicazione edistinzione dell’essenza come idea divina e come essenza considerata inmodo assoluto non è priva di problemi, e come tale sarà rifiutata da Enricodi Gand, come si è accennato. Tuttavia, si tratta di una posizione che inTommaso appare una diretta conseguenza della sua personale dottrina delleidee. Secondo Tommaso, infatti, le idee divine devono essere poste comerealmente identiche all’intelletto divino e quindi a Dio stesso, onde non porrealcuna differenza reale all’interno di Dio tale da metterne in pericolo lasemplicità. Per questo motivo, le idee divine sono distinte da Dio solo secondouna distinzione di ragione␣ : realmente, esse sono identiche a Dio42 . Ne derivache le idee divine non possono essere identiche alle essenze delle creatureconsiderate in modo assoluto, perché le creature sono realmente distinte da Dio.

La peculiare distinzione tra l’essenza come idea divina e l’essenza consi-derata in modo assoluto è dunque imposta a Tommaso dalla sua dottrina delleidee 43 . Tuttavia, è proprio da tale distinzione che sorge una difficoltàineludibile per la dottrina dell’essenza di Tommaso. Si è infatti visto cheTommaso insiste nel negare qualsiasi essere indipendente all’essenza presa inmodo assoluto␣ : ad essere è solo l’essenza in quanto è negli individui o inquanto è conosciuta nell’intelletto. Di per sé ed indipendentemente dall’esse-re negli individui o nell’intelletto, l’essenza è solo oggetto di una considera-zione, ma è priva di qualsiasi esistenza. Eppure, quando si tratta di scoprirein che cosa consista questa considerazione assoluta e specificamente chipossa effettuarla, Tommaso è in difficoltà. Come si è visto, infatti, a conside-rare l’essenza in modo assoluto non può essere né l’intelletto umano nél’intelletto divino. Ne consegue che è difficile comprendere in che cosa

42 Su questo aspetto della dottrina delle idee di Tommaso, si vedano V. BOLAND, Ideas in GodAccording to Saint Thomas Aquinas. Sources and Synthesis, Brill, Leiden - New York - Köln 1996,pp.␣ 210-214␣ ; A. D. CONTI, Paul of Venice’s Theory of Divine Ideas and Its Sources, «␣ Documentie studi sulla tradizione filosofica medievale␣ », 14, 2003, pp.␣ 409-448, in part. pp.␣ 412-417.

43 Rifiutando la dottrina delle idee di Tommaso ed introducendo una distinzione intenzio-nale tra Dio e le sue idee, Enrico di Gand sarà in effetti in grado di rifiutare la distinzione cheTommaso aveva posto tra le idee divine e le essenze considerate in modo assoluto.

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consista la considerazione assoluta dell’essenza. A causa della sua anterioritàed indipendenza rispetto agli individui di cui è essenza, ma anche della suadistinzione dall’idea divina cui pure è posteriore, sembra che l’essenzaconsiderata in modo assoluto sia qui per Tommaso una sorta di entitàintermedia tra l’idea divina e gli individui che sono esemplati su di essa. Èdifficile comprendere come Tommaso possa attribuire un ruolo costitutivo edontologico all’essenza presa nella sua considerazione assoluta ed allo stessotempo negarle ogni essere proprio. In altre parole, Tommaso da un latosostiene che l’essenza presa in modo assoluto sia solo frutto di una conside-razione, dall’altro sembra attribuire a tale essenza un ruolo ed una indipen-denza tali da farne una realtà distinta sia dall’idea divina che dagli individuiesemplati su di essa. Queste due esigenze si comprendono entrambe alla lucedei presupposti di Tommaso. Ciò non toglie tuttavia che esse appaianodifficilmente conciliabili, e che indichino il permanere dell’ambiguità difondo che si era già notata nella dottrina dell’essenza come Tommaso laesponeva nel De ente et essentia ␣ : da un lato, l’essenza viene vista come fruttodi una considerazione, e dunque come una nozione astratta dall’intelletto apartire dagli individui, dall’altro si afferma che essa è precedente sia allaconsiderazione dell’intelletto sia agli individui da cui viene astratta.

Si può forse indicare una ragione tecnica di questa ambiguità di Tommasonel Quodl. VIII. Quando Tommaso descrive l’essenza considerata in modoassoluto come l’essenza considerata a prescindere dall’esistenza che essa hanegli individui concreti, egli sembra confondere due nozioni, che si possonochiamare per comodità di ‘indifferenza’ e di ‘indipendenza’. L’essenza consi-derata in modo assoluto è indifferente all’essere che ha effettivamente negliindividui o nell’intelletto. Ciò significa che, secondo questa considerazione,l’essenza viene appresa prescindendo dall’esistenza che effettivamente ha,ossia senza tenere conto del fatto che essa esista negli individui o nell’intel-letto. Il fatto che l’essenza sia considerata come indifferente al modo di essereche effettivamente essa ha non significa che l’essenza possa esistere senzaessere o negli individui o nell’intelletto␣ : questi sono i due modi in cuiun’essenza può esistere, anche se essa può venire considerata come indiffe-rente all’uno e all’altro. Una cosa diversa è invece considerare un’essenza noncome indifferente all’essere che effettivamente ha negli individui o nell’intel-letto, ma come indipendente da tale essere. Dire che l’essenza considerata inmodo assoluto è indipendente dall’essere che ha negli individui o nell’intellet-to significa dire che essa ha un’esistenza propria, che mantiene anche quandonon esiste nessun individuo e quando nessun intelletto pensa ad essa. Sembrache Tommaso, pur sostenendo apertamente la dottrina dell’indifferenzadell’essenza, si sposti inavvertitamente dalla nozione di indifferenza verso

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quella di indipendenza quando afferma che l’essenza considerata in modoassoluto è distinta dall’idea divina e nondimeno rimane ciò che è anchequando vengono meno tutti gli individui che partecipano di essa.

Non è qui importante decidere se questa confusione tra indifferenza edindipendenza dell’essenza sia un tradimento di Avicenna o piuttosto una suainterpretazione. Si deve però notare che dietro tale confusione sta un proble-ma che si era già posto nel De ente e che nel Quodl. VIII Tommaso non haancora risolto. Si tratta del solito problema di come interpretare la nozionedi essenza presa nella sua indifferenza. Da un lato, essa, non avendo in séalcun essere, viene vista come oggetto di una semplice considerazione, ossiacome una nozione astratta cui nella realtà corrispondono solo degli individuiconsiderati in un certo modo, da cui essa è ricavata e cui è posteriore. D’altrolato, l’essenza viene vista come antecedente agli individui e come un lorocostituente, ossia come ciò che fa di essi il tipo di individui che essi sono, edunque non come una semplice nozione classificatoria ma come un costi-tuente ontologico della realtà. Nel Quodl. VIII Tommaso opta di fatto per laseconda soluzione, ma non intende rinunciare del tutto alla prima, e dunquecontinua a parlare dell’essenza presa in modo assoluto come di una conside-razione e continua a negarle qualsiasi essere distinto da quello che essa hanegli individui o nell’intelletto che la conosce.

Il Quodl. VIII costituisce il punto più avanzato cui Tommaso si spinge nelconsiderare l’essenza presa nella sua indifferenza come una componenteontologica delle realtà e come anteriore agli individui che essa costituisce.Come si è visto, Tommaso non riesce ad assumere una posizione del tuttocoerente, ad esempio identificando l’essenza presa in modo assoluto conl’idea divina, come farà Enrico di Gand. Una simile identificazione è perTommaso insostenibile alla luce della sua dottrina delle idee divine. Nerisulta una dottrina in cui le essenze considerate in modo assoluto hanno unposto intermedio tra le idee divine e gli individui e costituiscono una sorta dimediazione tra le une e gli altri, la cui natura appare ibrida tra l’elementocostitutivo e la nozione astratta. Nelle sue opere posteriori, Tommaso ritornasui suoi passi, ed elabora una diversa interpretazione dell’essenza aristotelicae della dottrina dell’essenza di Avicenna. Pur con qualche cautela, si può direche nelle opere degli anni Sessanta e Settanta Tommaso si concentra sullanozione di essenza indifferente come concetto astratto, lasciando cadere ogniaccenno all’essenza presa nella sua indifferenza come costituente della realtà.

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8. L’INTERPRETAZIONE GNOSEOLOGICA DELL’ESSENZA␣ : SUMMA CONTRA GENTILES E

SENTENCIA DE ANIMA

Si potrebbe sostenere che la dottrina dell’indifferenza dell’essenza, benpresente nelle opere degli anni Cinquanta di Tommaso (in particolare, nel Deente e nel Quodl. VIII) svolga un ruolo minore nelle opere successive. Ineffetti, si nota qualche cambiamento tra le opere del primo periodo e le operesuccessive di Tommaso per quanto riguarda la dottrina dell’indifferenzadell’essenza elaborata da Avicenna. Specificamente, a partire dagli anni Sessan-ta Tommaso evita di parlare dei tre modi in cui un’essenza può essere consideratae di absoluta consideratio naturae, come aveva invece fatto prima. Piuttosto,Tommaso presenta la dottrina di Avicenna come una distinzione tra l’universalee ciò cui l’universale compete. Questo cambiamento non deve tuttavia far dimen-ticare che si tratta della medesima dottrina␣ : è Avicenna stesso, in effetti, apresentare la sua dottrina dei tre modi in cui un’essenza può esser consideratacome una distinzione tra due significati di ‘universale’. Non si può dunque direche Tommaso abbandoni la dottrina dell’essenza di Avicenna. Al contrario, essaè presente in varie opere tarde di Tommaso. Se si deve individuare un cambia-mento, a questo proposito, esso riguarda piuttosto l’interpretazione che di taledottrina viene data␣ : tra le due interpretazioni a proposito delle quali si eramantenuto ambiguo — quella ontologica e quella gnoseologica e concettuale␣ —, dagli anni Sessanta in poi Tommaso ne sceglie una a scapito dell’altra. Dopoavere inzialmente tentato di sviluppare l’interpretazione ontologica dell’es-senza nel Quodl. VIII, Tommaso finisce per preferire quella concettuale.Sembra che sia questa nuova interpretazione ad indurre Tommaso a presen-tare la dottrina dell’essenza di Avicenna come una distinzione tra due signi-ficati di ‘universale’ piuttosto che come una dottrina riguardante una consi-derazione assoluta dell’essenza.

Qualche accenno a questa diversa considerazione dell’essenza si trova giànel capitolo 26 del primo libro della Summa contra gentiles, la cui stesurarisale a prima dell’estate del 1259 ma la cui revisione viene effetuata a partiredal 126044. Tommaso afferma esplicitamente che ciò che è comune a molti èdistinto dagli individui solo tramite l’intelletto. Specificamente, un’essenzacome animale non è nulla di distinto dagli individui come Socrate e Platonese non tramite l’intervento dell’intelletto che astrae tale nozione dagli indivi-dui stessi, spogliandoli delle loro carateristiche individuanti. Realmente,esistono solo gli individui. Le essenze comuni non sono altro che concettiastratti dall’intelletto a partire dagli individui. Si è qui molto lontani da

44 TORRELL, Initiation à saint Thomas d’Aquin cit., pp.␣ 148-153␣ ; trad. it., pp.␣ 123-127.

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quanto Tommaso ha sostenuto solo pochi anni prima nel Quodl. VIII, ossiache l’essenza, nella sua indifferenza, è anteriore sia agli individui che allanozione astratta dall’intelletto a partire da tali individui. Ora per Tommasola realtà extramentale è costituita esclusivamente dagli individui, che sono ilpunto di partenza delle nozioni astratte. Si può parlare di essenza comune apiù individui solo all’interno dei concetti che il nostro intelletto astrae da taliindividui45 .

Se sino ad ora erano rimaste delle ambiguità, dal principio degli anniSessanta in poi è caratteristico dell’approccio di Tommaso il fatto di vederel’essenza, nella sua indifferenza, come un modo di considerare un concettouniversale astratto e non come una componente dell’individuo extramentale.Per questo, Tommaso in genere presenta la dottrina dell’indifferenza dell’es-senza all’interno di una spiegazione dei modi in cui la nozione di universaledeve essere inteso46 . Si può dunque parlare di essenza a partire da concettiuniversali astratti dagli individui␣ : l’essenza considerata in modo assoluto èun concetto universale astratto considerato a prescindere dalla sua universa-lità. Il fatto che tale concetto venga considerato a prescindere dalla suauniversalità non significa tuttavia che esso non sia di fatto universale.

Tra le opere del secondo periodo, l’opera in cui Tommaso propone la suanuova interpretazione della dottrina dell’indifferenza dell’essenza in modopiù completo è probabilmente il commento al De anima, composto tra la finedel 1267 e l’estate del 126847 . Commentando il passo a proposito del qualeAlessandro di Afrodisia aveva introdotto la sua distinzione tra universale e ciòcui compete l’universale (De anima, I, 1, 402b7), Tommaso afferma chedell’animale universale si può parlare in due modi␣ : in quanto è universale oin quanto è un animale. Come negli altri scritti di questo periodo, quiTommaso parte dunque dall’analisi di una nozione universale, specificamen-te la nozione di animale, che può essere considerata o in quanto è un concettouniversale, ossia un’essenza conosciuta dall’intelletto come concetto univer-sale, oppure a prescindere dall’universalità che viene ad essa attribuita, ossia

45 SANCTI THOMAE DE AQUINO Liber de Veritate Catholicae Fidei contra Errores Infidelium seuSumma contra gentiles, edd. C. PERA - P. MARC - P. CARAMELLO, Marietti, Taurini - Romae 1961, vol.II, lib. I, cap. 26␣ : «␣ Quod est commune multis, non est aliquid praeter multa nisi sola ratione␣ :sicut animal non est aliud praeter Socratem et Platonem et alia animalia nisi intellectu, quiapprehendit formam animalis exspoliatam ab omnibus individuantibus et specificantibus␣ ;homo enim est quod vere est animal␣ ; alias sequeretur quod in Socrate et Platone essent pluraanimalia, scilicet ipsum animal commune, et homo communis, et ipse Plato␣ »

46 Si veda ad esempio SANCTI THOMAE DE AQUINO Quaestiones disputatae de potentia, ed. P. M.PESSION, in EIUSDEM Quaestiones disputatae, vol. II, Marietti, Taurini - Romae 1965, q. 5, a. 9, ad 16.

47 TORRELL, Initiation à saint Thomas cit., pp.␣ 249-251␣ ; trad. it., pp.␣ 197-198.

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come un’essenza considerata in sè. In quanto è un concetto universale,l’animale non esiste nella realtà, perché nella realtà esistono solo animaliparticolari. Come concetto universale, l’animale esiste solo nell’intellettoumano ed è posteriore agli individui. Invece, l’essenza animale considerata aprescindere dall’universalità che ad essa viene attribuita dall’intelletto esistenella realtà e precede il concetto universale che viene astratto dagli individui48 .

Sembra qui a prima vista di avere a che fare con la dottrina dell’anterioritàdella considerazione assoluta dell’essenza che Tommaso aveva introdotto nelQuodl. VIII. In effetti, Tommaso sta dicendo qualcosa di molto diverso␣ :l’anteriorità dell’essenza quando è considerata a prescindere dall’universalitàattribuita ad essa dall’intelletto è l’anteriorità della potenza rispetto all’at-to49 . Tommaso dunque considera qui l’essenza come attualmente identica adun concetto universale astratto dagli individui e presente nell’intelletto. Nellarealtà extramentale, ossia negli individui come Socrate e Platone, l’essenza èpresente solo come potenza, ossia — sembra di dover interpretare — inquanto oggetto potenziale della considerazione dell’intelletto. A portarel’essenza dalla potenza in cui esiste negli individui all’atto è l’intelletto,tramite la sua operazione di astrazione. Solo quando l’intelletto considera gliindividui e prescinde dalle loro caratteristiche individuanti, astraendo da essiun concetto comune, solo allora l’essenza acquista uno statuto attuale.Dunque, solo nell’intelletto l’essenza è una nozione attuale. Negli individui,essa esiste solo potenzialmente, in quanto può essere astratta dall’intelletto.A questo punto, è chiaro che Tommaso attribuisce all’intelletto un ruolofondamentale nella costituzione della nozione di essenza.

Tommaso spiega ulteriormente questa concezione dell’essenza in un altroimportante passo del commento al De anima, un vero e proprio excursus in cuivengono brevemente esposti tutti gli elementi della dottrina degli universali.Seguendo da vicino Avicenna, Tommaso distingue tra due accezioni di ‘uni-versale’ (presumibilmente, due cose ciascuna delle quali è detta ‘universale’)␣ :

48 SANCTI THOMAE DE AQUINO Sentencia de anima, Opera omnia, XLV.1, Editori di san Tommaso- Vrin, Roma - Paris 1984, lib. I, cap. 1, p. 7, ll. ␣ 213-230: «␣ Quod autem circa hoc dicit␣ : animalautem uniuersale aut nichil est aut posterius, sciendum est quod de animali uniuersali possumusloqui dupliciter, quia aut secundum quod est uniuersale (quod scilicet est unum in multis autde multis), aut secundum quod est animal␣ ; <si secundum quod est> uniuersale, et hoc uelsecundum quod est in rerum natura, uel secundum quod est in intellectu. Secundum quod estin rerum natura, Plato uoluit animal uniuersale aliquid esse et esse prius particulari, quia, utdictum est, posuit uniuersalia separata et ydeas␣ ; Aristotiles autem, quod nichil est in rerumnatura␣ ; et si aliquid est, dixit illud esse posterius. Si autem accipiamus naturam animalis nonsecundum quod subiacet intentioni uniuersalitatis, sic aliquid est et prius, sicut quod inpotencia prius est quam illud quod est in actu␣ ».

49 Ibid., ll. 227-230.

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si tratta della distinzione posta esplicitamente da Avicenna e presente già inAlessandro di Afrodisia tra l’universale in quanto universale (l’animale comegenere) e la natura cui si accompagna l’universalità (l’animale che vienedefinito e non è di per sé universale). Si è visto tuttavia che in Avicennarestava una certa ambiguità su come interpretare ciò cui si accompagnal’universalità␣ : alcuni elementi portavano a considerare ciò cui si accompa-gna l’universalità come l’essenza considerata in modo assoluto, altri elementiinducevano piuttosto a considerarlo come l’essenza già conosciuta e presentenell’intelletto. Qui Tommaso scioglie tale ambiguità, dando una precisainterpretazione della dottrina di Avicenna. Infatti, Tommaso non distinguetra due componenti del concetto universale, ossia da un lato l’universalità edall’altro la natura che soggiace all’universalità. La sua distinzione è tra duecose che sono dette universali, e queste due cose sono di fatto la medesimanatura o essenza considerata in due modi diversi. Tommaso dunque nondistingue tra l’universalità (o come dice qui, l’intenzione dell’universalità) daun lato e ciò cui tale intenzione viene attribuita dall’altro. Così facendo,infatti, resterebbe il problema di vedere esattamente che cosa sia la natura cuicompete l’universalità, se sia qualcosa in sé o qualcosa nell’intelletto. Qui èproprio quest’ultima ambiguità ad essere direttamente presa in considerazio-ne. Infatti, qui Tommaso sta dicendo esattamente che la natura o essenza cuicompete l’universalità (e che perciò è detta essere universale) può essereintesa o in quanto ad essa è attribuita l’universalità oppure a prescinderedall’universalità che ad essa è attribuita. Si ha dunque a che fare sempre conun’essenza che soggiace all’intenzione dell’universalità␣ : la distinzione è tradue modi in cui il soggetto dell’universalità può essere inteso, non tral’universalità ed il suo soggetto. Secondo Tommaso, dunque, l’essenza puòessere detta ‘universale’ in due modi diversi␣ : o in quanto essa è considerataesattamente in quanto soggiace all’intenzione dell’universalità (l’animalecome genere è universale) o in quanto essa è considerata a prescindere da taleintenzione (che tuttavia compete ad essa in quanto essa esiste fuori dagliindividui). ‘Universale’ è dunque ambiguo tra due diversi significati␣ : da unlato, l’animalità in quanto soggiace all’universalità, dall’altro l’animale aprescindere dall’universalità cui pure soggiace. In ogni caso, il punto dipartenza è sempre un’essenza o natura che soggiace all’universalità, ossiaun’essenza conosciuta dall’intelletto, anche se essa può essere consideratasenza prendere in considerazione l’universalità che ad essa viene attribuitadall’intelletto␣ :

«␣ [...] considerandum est quod uniuersale potest accipi dupliciter␣ : uno modopotest dici uniuersale ipsa natura communis prout subiacet intentioniuniuersalitatis, alio modo secundum se␣ ; sicut et album potest accipi dupliciter,

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50 Ibid., lib. II, cap. XII, pp. 115-116, ll. ␣ 96-118.

uel id cui accidit esse album, uel ipsummet secundum quod subest albedini.Ipsa autem natura cui aduenit intentio uniuersalitatis, puta natura hominis,habet duplex esse␣ : unum quidem materiale secundum quod est in materianaturali␣ ; aliud autem inmateriale secundum quod est in intellectu. Secundumigitur quod habet esse in materia naturali, non potest ei aduenire intentiouniuersalitatis, quia per materiam indiuiduatur␣ ; aduenit igitur ei uniuersalitatisintentio secundum quod abstrahitur a materia indiuiduali. Non autem estpossibile quod abstrahatur a materia indiuiduali realiter […]. Relinquiturigitur quod natura humana non habet esse preter principia indiuiduancia, nisitantum intellectu␣ »50 .

Nella Sentencia de anima dunque Tommaso interpreta la nozione diessenza indifferente come un modo in cui un concetto universale può essereconsiderato, ossia senza prendere in considerazione l’universalità che puread esso compete. Se i modi in cui un’essenza universale può essere conside-rata sono due — in quanto è soggetto dell’universalità che è attribuita ad essae a prescindere dall’universalità che pure è ad essa attribuita —, i modi in cuitale natura esiste sono parimenti due. In primo luogo, un’essenza ha un’esi-stenza materiale negli individui extramentali (in rebus). In secondo luogo, lamedesima essenza ha un’esistenza immateriale nell’intelletto che conosce taliindividui e da essi astrae un concetto comune (in intellectu).

Riprendendo alcuni elementi che erano già presenti nel De ente ma scio-gliendo le ambiguità che vi rimanevano, Tommaso dunque afferma quiesplicitamente che la concezione assoluta dell’essenza (ossia, l’essenza indif-ferente all’individualità ed all’universalità) è un modo in cui un concettouniversale viene inteso, quando si prescinde dalla sua universalità e se neconsidera semplicemente il contenuto facendo astrazione dal modo in cuiesso è conosciuto dall’intelletto. Secondo questo modo di interpretare lanozione di essenza indifferente, essa non precede gli individui che esistononel mondo␣ ; piuttosto, è successiva ad essi. Infatti, ad essere consideratoindifferente all’individualità e all’universalità è un concetto universale, ossial’essenza conosciuta dall’intelletto e cui l’intelletto ha attribuito l’universalità— anche se si prescinde da tale attribuzione di universalità. L’essenza indif-ferente non è dunque innanzi tutto un costituente degli individui, ma unmodo di considerare un concetto astratto dagli individui. Si tratta di unapproccio radicalmente diverso ed opposto rispetto a quello scelto da Tommasodieci anni prima nel Quodl. VIII. L’universalità e la comunità di qualsiasisorta vengono attribuiti all’essenza solo dall’intelletto, e di per sé l’essenza è

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priva di qualsiasi comunità che possa essere ad essa pertinente a prescinderedall’intervento dell’intelletto. Tutte le ambiguità che erano presenti in Ales-sandro di Afrodisia ed in Avicenna rispetto allo statuto dell’essenza indiffe-rente vengono qui sciolte in favore di una concezione dell’essenza comeconcetto astratto a partire dagli individui. Sicuramente, l’essenza è presenteanche negli individui, ma come completamente individualizzata ed identicaad essi. Nella sua indifferenza, l’essenza non è un costituente degli individuima un modo di considerare un concetto universale astratto da essi. L’unicomodo in cui l’essenza può essere considerata come presente negli individuinella sua indifferenza è in modo potenziale, come si è visto, ossia in quantopotenzialmente conoscibile dall’intelletto. È l’intelletto ad avere il ruolofondamentale nella formazione dell’essenza come concetto che può essereconsiderato come indifferente all’individualità o all’universalità anche se,come concetto astratto dagli individui, è sempre di fatto universale.

Si assiste dunque nelle opere della maturità di Tommaso ad una interpre-tazione della dottrina aristotelica ed avicenniana dell’essenza che favorisceuna concezione gnoseologica piuttosto che ontologica dell’essenza. L’indiffe-renza dell’essenza è indifferenza all’universalità che pure pertiene all’essenzain quanto nozione astratta dagli individui. Solo gli individui hanno esserereale, l’essenza ha essere mentale sia che sia considerata come concettouniversale sia che sia considerata a prescindere dall’universalità che ad essaconviene.

Se l’essenza indifferente non precede gli individui e se dunque nella realtàesistono solo tali individui, mentre l’essenza esiste come universale solonell’intelletto, sorge tuttavia un problema. Infatti, l’essenza presa nella suaindifferenza non sembra svolgere più alcun ruolo di elemento costituentedegli individui, ma è al contrario ad essi posteriore. Se così è, tuttavia, leessenze comuni sembrano essere private di qualsiasi aggancio con la realtà edessere limitate al piano concettuale. Che cosa garantisce che l’intelletto cheastrae dagli individui il concetto universale e comune di essenza rappresentigli individui in modo appropriato␣ ? In altri termini, tra gli individui reali e iconcetti universali dell’intelletto non c’è alcuna mediazione e non c’è alcunfondamento e costituente ontologico comune negli individui stessi che possafungere da garanzia dell’appropriatezza dei concetti universali che l’intellet-to astrae da essi. Quando l’intelletto conosce gli individui come essenzecomuni e prescinde dai loro elementi individuanti, non cade forse nell’erro-re␣ ? Se infatti l’essenza non esiste mai nella realtà senza essere individuata,conoscere gli individui a prescindere dai loro elementi individuanti sembranon essere altro che conoscere e rappresentare la realtà in modo falso.

Tommaso si pone questo problema e vi risponde con grande chiarezza,facendo appello alla natura dell’operazione di astrazione. È proprio dell’ope-

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razione di astrazione far sì che l’intelletto possa conoscere un’essenza aprescindere dagli elementi da cui essa è effettivamente individuata nellarealtà. Ciò tuttavia non significa che tramite l’astrazione l’intelletto apprendache l’essenza esiste senza elementi individuanti, ma solo che l’essenza vieneappresa a prescindere da tali elementi individuanti che ad essa effettivamentecompetono. Per questo motivo, l’intelletto può apprendere in modo veritieroun’essenza come comune — ossia prescindendo dai suoi elementi individuanti —senza per questo dare una rappresentazione scorretta dell’essenza51 . Questadistinzione tra apprendere un’essenza a prescindere dai suoi elementi indivi-duanti ed apprendere che un’essenza esiste senza i suoi elementi individuantiè tratta da Tommaso direttamente da Avicenna52 .

Nella Sentencia de anima dunque Tommaso riprende parecchi elementiche aveva già introdotto nel De ente lasciando tuttavia cadere tutto ciò cheinduceva a porre l’essenza come un costituente della realtà anteriore inqualche modo agli individui. Secondo questa nuova interpretazione delladottrina dell’essenza di Avicenna, l’essenza esiste nella sua indifferenza solonell’intelletto, come concetto universale considerato tuttavia a prescinderedalla sua universalità. A differenza di quanto aveva fatto nel De ente, Tommasonon distingue più tra universalità e predicabilità. Un’essenza è universale epredicabile solo quando è conosciuta dall’intelletto, ed è l’intelletto ad attri-buire entrambe queste caratteristiche — che in realtà sono una sola —all’essenza. La distinzione tra predicabilità (propria dell’essenza presa nellasua indifferenza e come costituente degli individui) ed universalità (propriadell’essenza in quanto è nell’intelletto) viene ora sostituita da Tommaso conla distinzione tra due modi di concepire l’essenza nell’intelletto␣ : comeconcetto universale o a prescindere dall’universalità che pure ad essa èpertinente. In ogni caso, la predicazione è un’operazione dell’intelletto cheriguarda nomi comuni (ossia, universali) e non essenze prese nella loroindifferenza e considerate come costituenti reali degli individui53 . Sarà

51 Ibid., ll. 118-139.52 Si veda AVICENNA, Metafisica cit., Trattato Quinto, Sezione Prima, trad. LIZZINI, p. ␣ 461␣ : «␣ In

questo senso, deve esserci una differenza reale tra il fatto che diciamo che l’animale in quantoanimale è astratto, non a condizione di un’altra cosa, e il fatto che diciamo che l’animale in quantoanimale è astratto a condizione che non vi sia un’altra cosa ␣ » ␣ ; AVICENNA LATINUS, Liber dephilosophia prima cit., vol. 1, pp.␣ 236-237. Su questa distinzione, si veda DE LIBERA, L’art desgénéralités cit., pp.␣ 525-527.

53 SANCTI THOMAE DE AQUINO Sentencia de anima, lib. II, cap. XII, p. ␣ 116, ll. ␣ 139-151: «␣ Sicigitur patet quod nature communi non potest attribui intentio uniuersalitatis nisi secundumesse quod habet in intellectu␣ : sic enim solum est unum de multis, prout intelligitur preterprincipia quibus unum in multa diuiditur. Vnde relinquitur quod uniuersalia secundum quod

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questa nuova interpretazione della dottrina dell’indifferenza dell’essenza adessere ripresa e formulata con maggiore chiarezza da Egidio Romano enuovamente da Duns Scoto, che la accetterà come descrizione dell’essenzacome nozione e concetto dell’intelletto ma la considererà insufficiente e, senon integrata da una concezione dell’essenza come costituente della realtà,come di fatto auto-contraddittoria54 .

Più o meno negli stessi anni, Tommaso offre anche una presentazione piùrapida e meno accurata della dottrina dei due modi in cui l’essenza è dettaessere universale. Nella prima parte della Summa theologiae, Tommaso di-stingue tra l’essenza e l’intenzione dell’universalità aggiunta ad essa. Si devenotare che non si tratta esattamente della stessa distinzione che si è trovatanella Sentencia de anima tra l’essenza in quanto sottoposta all’universalità el’essenza considerata a prescindere dall’universalità che pure è aggiunta adessa. Infatti, nella Summa theologiae viene distinta l’essenza soggetta all’uni-versalità e l’universalità stessa. In ogni caso, anche qui Tommaso insiste chel’essenza cui pertiene l’universalità esiste solo come individualizzata nellarealtà, mentre l’intenzione dell’universalità esiste solo nell’intellettto. L’in-tenzione dell’universalità è il modo in cui qualcosa viene conosciuto, mentrel’essenza cui viene aggiunta tale intenzione è ciò che viene conosciuto55 .

Presentata in questo modo, tuttavia, la distinzione introdotta da Tommasonon è del tutto soddisfacente e si presta ad un’obiezione. Infatti, come èpossibile attribuire il modo dell’universalità ad un soggetto che, di per sè, èindividuale␣ ? Tommaso articola meglio la sua posizione nella Sentencia deanima ␣ : l’intelletto attribuisce l’intenzione dell’universalità ad un’essenza,che a sua volta può essere considerata in due modi, o in quanto è soggetta atale intenzione o a prescindere da tale intenzione, cui pure è soggetta.

sunt uniuersalia non sunt nisi in anima, ipse autem nature quibus accidit intentio uniuersalitatissunt in rebus. Et propter hoc nomina communia significancia naturas ipsas predicantur deindiuiduis, non autem nomina significancia intentiones␣ : Sortes enim est homo, set non estspecies, quamuis homo sit species␣ ».

54 Si veda sopra, n.␣ 32.55 Summa theologiae I, q. ␣ 85, a. ␣ 2, ad 2␣ : « Ad secundum dicendum quod, cum dicitur

intellectum in actu, duo importantur␣ : scilicet res quae intelligitur, et hoc quod est ipsumintelligi. Et similiter cum dicitur universale abstractum, duo intelliguntur␣ : scilicet ipsa naturarei, et abstractio seu universalitas. Ipsa igitur natura cui accidit vel intelligi vel abstrahi velintentio universalitatis non est nisi in singularibus␣ ; sed hoc ipsum quod est intelligi vel abstrahivel intentio universalitatis est in intellectu […]. Similiter humanitas quae intelligitur non estnisi in hoc vel in illo homine␣ : sed quod humanitas apprehendatur sine individualibusconditionibus, quod est ipsam abstrahi, ad quod sequitur intentio universalitatis, accidithumanitati secundum quod percipitur ab intellectu, in quo est similitudo naturae speciei, et nonindividualium principiorum␣ ». Si veda anche Summa theologiae, I, q. 85, a. 3, ad 1.

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Dunque, l’universalità viene attribuita dall’intelletto a qualcosa che è effetti-vamente comune e non individuale␣ : un concetto astratto dagli individui. Masecondo quanto spiega Tommaso nella Sentencia de anima, tale concetto puòessere considerato a prescindere da tale universalità attribuita dall’intelletto,ed in tal modo rappresenta gli individui da cui è astratto56 .

9. IL COMMENTO ALLA METAFISICA ED IL PROBLEMA DI Z 13

Si è detto all’inizio di questo studio che l’interprete contemporaneo diAristotele considera il capitolo 13 del settimo libro della Metafisica come ilbanco di prova della dottrina aristotelica dell’essenza. Si tratta del capitolo incui Aristotele, contro l’insegnamento di Platone, dimostra che l’universalenon è essenza. Poiché d’altra parte la nozione di essenza, anche per Aristotele,sembra essere qualcosa di comune (ad esempio, l’essenza dell’uomo è propriociò che è comune a tutti gli uomini particolari), ci si trova di fronte ad undilemma, in quanto l’essenza aristotelica sembra avere allo stesso tempo lecaratteristiche dell’universalità e della non universalità. Gli interpreti con-temporanei hanno cercato di uscire da questo dilemma in diversi modi.Alcuni hanno semplicemente riconosciuto il problema ed hanno ritenuto cheAristotele non abbia una soluzione. Altri hanno sostenuto che l’essenza è sìcomune, ma in un senso diverso da quello in cui l’universale platonico ècomune␣ : ne consegue che le conclusioni di Met. VII, 13 si applicano agliuniversali platonici ma non alle essenze aristoteliche. Infine, altri hannosostenuto che le essenze aristoteliche sono individuali e che quindi gliargomenti di Met. VII, 13, dimostrando che nessun universale è un’essenza,nulla possono contro la nozione aristotelica di essenza, che universale non è.

Come si è accennato, la distinzione compiuta da Alessandro di Afrodisiatra l’universale e l’oggetto di definizione, ossia tra l’universale e ciò cuil’universale pertiene, offre una soluzione proprio a questo dilemma. Si è vistoche essa giunse agli interpreti medievali tramite la rielaborazione che nediede Avicenna. Non è dunque sorprendente che tale distinzione costituiscaper Tommaso la chiave per interpretare il capitolo 13 del settimo libro dellaMetafisica nel suo commento, composto verso il 1270-72. Riprendendo quan-

56 In forma abbreviata, la stessa distinzione che Tommaso pone nella Sentencia de anima siritrova in Summa theologiae, Ia IIae, q. 29, a. ␣ 6␣ : «␣ Respondeo dicendum quod de universalidupliciter contingit loqui␣ : uno modo, secundum quod subest intentioni universalitatis␣ ; alioautem modo, de natura cui talis intentio attribuitur␣ : alia est enim consideratio hominisuniversalis, et alia hominis in eo quod homo␣ ».

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to aveva già detto nella Sentencia de anima, Tommaso premette alla suatrattazione di questo capitolo di Aristotele la distinzione tra due cose chesono dette universali. In primo luogo, si ha l’essenza cui l’intelletto attribu-isce l’universalità␣ ; in secondo luogo, si ha l’essenza in quanto essa è soggettodell’universalità, anche detta ‘universale in quanto universale’ ␣ :

«␣ Sciendum est autem, ad evidentiam huius capituli, quod universale dupliciterpotest accipi. Uno modo pro ipsa natura, cui intellectus attribuit intentionemuniversalitatis␣ : et sic universalia, ut genera et species, substantias rerumsignificant, ut praedicantur in quid. Animal enim significat substantiam eius,de quo praedicatur, et homo similiter. Alio modo potest accipi universaleinquantum est universale, et secundum quod natura praedicta subest intentioniuniversalitatis␣ : idest secundum quod consideratur animal vel homo, ut unumin multis. Et sic posuerunt Platonici animal et hominem in sua universalitateesse substantias␣ »57 .

Se per ‘universale’ si intende l’essenza cui l’intelletto attribuisce l’univer-salità prescindendo da tale universalità, si ha una nozione — quella di essenzauniversale — che viene predicata per sé delle cose individuali. Se invece per‘universale’ si intende l’essenza in quanto è soggetto dell’universalità — ossial’essenza concepita dall’intelletto senza prescindere dal fatto che essa è unconcetto dell’intelletto —, si ha l’animale o l’uomo in quanto universale,dotato di un’identità tale che esso è il medesimo in tutte le cose di cui sipredica. Ciò che Aristotele confuta, nel capitolo 13 del libro VII della Metafi-sica, è che l’universale preso nel suo secondo senso sia una sostanza, ossia unarealtà extramentale. Infatti, l’universale in questo senso è solamente nell’in-telletto, in quanto è l’intelletto che conferisce identità a tale nozione,astraendola dagli individui. L’essenza di cui parla Aristotele è invece ciò cheè detto ‘universale’ nel primo modo, ossia non il concetto universale conside-rato come concetto universale ma il contenuto di tale concetto, ossia l’essenzacui l’intelletto attribuisce l’universalità58 . Secondo quanto Tommaso ha giàdetto nel commento al De anima, tale essenza, propriamente, è universale e

57 SANCTI THOMAE DE AQUINO In duodecim libros Metaphysicorum Aristotelis expositio, edd.M.R. CATHALA - R. M. SPIAZZI, Marietti, Taurini - Romae1964, lib. VII, lect. XIII, n.␣ 1570. Suquesto passo, anche in connessione con il passo del De ente et essentia, cap. 3, preso inconsiderazione sopra, si veda GALLUZZO, Met. Z 13 in the Contemporary Debate cit., pp.␣ 196-204.

58 SANCTI THOMAE DE AQUINO In Metaph., lib. VII, lect. XIII, n.␣ 1570␣ : «␣ Quod [i.e., quodposuerunt Platonici] Aristoteles in hoc capitulo intendit reprobare, ostendens quod animalcommune vel homo communis non est aliqua substantia in rerum natura. Sed hanc communitatemhabet forma animalis vel hominis secundum quod est in intellectu, qui unam formam accipit utmultis communem, inquantum abstrahit eam ab omnibus individuantibus␣ ».

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comune solo in quanto è nell’intelletto, e come essenza esiste nelle cose soloin modo potenziale.

Questo è dunque il modo in cui Tommaso intende l’interpretazione diAvicenna e di Alessandro di Afrodisia dell’essenza aristotelica. Si deve distin-guere tra due modi di considerare ciò cui l’intelletto attribuisce l’intenzionedell’universalità␣ : in un senso, tale soggetto è l’essenza considerata in quantouniversale, in un altro senso tale soggetto è l’essenza considerata a prescin-dere dall’universalità che pure ad essa compete. L’essenza è detta ‘universale’in entrambe queste accezioni, e secondo entrambe queste considerazioni haun essere concettuale. Tuttavia, mentre secondo la prima accezione nonrappresenta (o significa, come qui dice Tommaso) nulla nella realtà, nellaseconda accezione essa rappresenta gli individui extramentali.

In questo secondo periodo, dunque, Tommaso presenta un quadro suffi-cientemente chiaro della sua dottrina dell’essenza. Ad esistere realmentesono solo gli individui, come Socrate e Platone. Nell’intelletto, invece, esisto-no i concetti universali astratti da questi individui, come uomo ed animale.Questi concetti universali possono essere a loro volta considerati o comeconcetti presenti nell’intelletto oppure secondo il loro contenuto, comeessenze considerate a prescindere dal fatto che esse sono conosciute comeuniversali. Il fatto che tali concetti possano esser considerati come essenzeassolute, non individuali (perché sono astratte dagli individui) né universali(perché si prescinde dall’universalità che ad esse l’intelletto attribuisce), nonsignifica tuttavia che tali essenze esistano nella realtà come essenze comunia più individui. Esse esistono attualmente solo come concetti astratti presentinel nostro intelletto, e sono un modo di considerare tali concetti (ossia,secondo il loro contenuto rappresentativo e non secondo la loro forma, che èl’universalità). Negli individui, tali essenze esistono solo in modo potenziale,ossia come individui da cui l’intelletto può astrarre gli elementi comuniprescindendo dalle caratteristiche individuanti. A rendere attuali le essenzeè l’intelletto, quando forma i concetti astratti a partire dagli individui.

In conclusione di questa analisi del modo in cui Tommaso ha interpretatola dottrina dell’indifferenza dell’essenza presentata da Avicenna, si deveribadire che nelle sue opere della maturità Tommaso non abbandona taledottrina. Piuttosto, Tommaso cessa di considerare l’essenza nella sua indif-ferenza come un costituente degli individui anteriore ad essi, come inveceaveva fatto nel Quodl. VIII, q. 1. L’essenza presa nella sua indifferenza èinvece vista come un modo di considerare un concetto universale a prescin-dere dalla sua universalità. Probabilmente per evitare ogni possibile frainten-dimento e per chiarire che l’essenza presa nella sua indifferenza non è uncostituente anteriore agli individui ma solo una nozione astratta posteriore

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ad essi, dagli anni Sessanta in poi Tommaso evita di formulare la dottrina diAvicenna come una dottrina di tre modi di considerare l’essenza (in quantoindifferente, in quanto è negli individui ed in quanto è nell’intelletto). Nellesue opere tarde, Tommaso preferisce partire dai due modi di considerarel’universale, in quanto considerato come soggetto all’universalità ed in quan-to considerato a prescindere dall’universalità cui pure soggiace. In questomodo, si chiarisce che l’essenza considerata nella sua indifferenza è in ognicaso un concetto astratto, anche se considerato a prescindere dal fatto cheesso sia effettivamente universale. Tuttavia, si tratta di un diverso modo dipresentare la dottrina dell’essenza di Avicenna, non di un suo rifiuto. È lostesso Avicenna, in effetti, ad esporre la dottrina dell’indifferenza dell’essen-za come una dottrina riguardante i due modi in cui qualcosa è detto univer-sale (come universale in quanto universale e come ciò cui pertiene l’univer-salità). Naturalmente, dietro questo diverso modo di presentare la stessadottrina, sta anche una sua diversa interpretazione, di tipo epistemologicopiuttosto che ontologico, che non mancherà di avere una grande influenzanegli autori successivi59 .

59 Alcune delle idee esposte in questo articolo sono state presentate in un seminario tenutoalla Scuola Normale Superiore di Pisa nel mese di aprile del 2004. Desidero ringraziare tutti ipartecipanti per le loro osservazioni, ed in particolare Francesco Del Punta, Fabrizio Amerini,Riccardo Chiaradonna e Gabriele Galluzzo.