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TABeLLe MILLeSIMALI

1. Tabelle millesimali.

1.1. Principi generali.

Il principio generale che regola la ripartizione degli oneri condomi­niali è sancito dall’art. 1123, commi 1 e 3, cod. civ., ai sensi del quale le spese necessarie per la conservazione ed il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diver-sa convenzione; qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell’intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità.

✒ Art.1123 c.c. - Ripartizione delle speseLe spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla mag­gioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può farne.Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell’intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità.

In particolare: a) «spese necessarie per la conservazione e per il go­dimento delle parti comuni dell’edificio» sono le erogazioni destinate ad assicurare alle cose comuni la destinazione e il servizio che debbo­no realizzare e costituenti le finalità del condominio; b) «spese necessarie per la prestazione dei servizi nell’interesse comune» sono le erogazioni concernenti opere necessarie a quelle parti comuni dell’edificio individuate dall’art. 1117, nn. 2 e 3, nonché quelle necessarie ad assicurare il funziona­mento dei relativi servizi (Branca).

La tabella millesimale di riferimento per le spese contemplate dall’art. 1123 cod. civ. è quella di proprietà generale (le stesse, infatti, sono «so­stenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno») salvo che vi sia una convenzione (la quale, tuttavia, deve essere approvata con il consenso unanime di tutti i condomini, a pena di nullità ­ Cass., 17101/2006; Cass., 20318/2004, Cass., 641/2003; Cass., 7353/1996; Cass., 7546/1995; Cass., 12281/1992; Cass., 1511/1991) in senso contrario tra i condomini («salvo diversa convenzione»), che preveda un diverso cri­terio di riparto delle spese, ovvero una diversa regolamentazione del regime delle spese stabilita dall’originario costruttore nel regolamento contrattua­

Proporzionalità

Diverse convenzioni

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le (Cass., 6158/2006; Cass., 1420/2004; Cass., 641/2003) ovvero, ancora, una diversa convenzione, non assoggettata ad oneri di forma, ricavabile da comportamenti univocamente concludenti, protrattisi nel tempo, dai quali sia possibile ricavare l’accettazione da parte di tutti i condomini di diffe­renti criteri di riparto delle spese (Cass., 20318/2004; Cass., 13592/2000; Cass., 3251/1998; Cass., 4814/1994; Cass., 7884/1991).

La tabella millesimale di proprietà generale non trova applicazione, poi, laddove la spesa sia stata deliberata in relazione ad un bene ovvero ad un servizio comune destinato a servire solo una parte del fabbricato: in simile ipotesi, la tabella di riferimento sarà diversa rispetto a quella di proprietà generale, contemplando solo i condomini interessati da quello specifico bene o servizio (art. 1123, comma 3, c.c.).

Va infine esclusa la tabella di proprietà generale laddove si tratti di oneri relativi a cose «destinate a servire [tutti] i condomini [ma] in maniera di-versa» (art. 1123, comma 2, c.c.): nel qual caso «le spese sono ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può farne». In tale ipotesi, il problema ­ di carattere spiccatamente interpretativo ­ consiste nel comprendere a cosa deb­ba essere parametrata la diversità a cui il comma 2 fa riferimento: autorevole dottrina (SaliS) ha precisato, sul punto, che «ci pare . . . che il legislatore . . . non intenda alludere a quella diversità di godimento che è causata da una diversità di quote nella comunione, ma intenda riferirsi all’ipotesi in cui l’uso ed il godimento di una parte comune avvenga in misura diversa da quella che l’estensione del diritto del condomino . . . sulla cosa comune indicherebbe. Se . . . la cosa comune è destinata a servire i condomini . . . in misura non propor­zionale al valore del piano od appartamento di cui ciascuno è proprietario . . . le spese sono ripartite in proporzione all’uso che ciascuno può farne».

1.2. La natura delle tabelle millesimali.

La natura delle tabelle millesimali è stata da ultimo ricostruita dal Supre­mo organo di nomofilachia (Cass., S.U., 18477/2010; Cass., 10762/2012; Cass., 18477/2010) il quale ha chiarito che le stesse hanno natura mera­mente ricognitiva di una realtà empirica preesistente e, pertanto, non de­vono essere approvate con il consenso unanime dei condomini, essendo sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136, comma 2, c.c..

precisamente, in ordine alle maggioranze necessarie per la formazione e/o revisione delle tabelle, la giurisprudenza pressoché costante della Su­prema Corte ha sempre richiesto l’unanimità dei consensi dei condomi­ni (con conseguente creazione di un’ipotesi di litisconsorzio necessario, ex art. 102 cod. proc. civ., in ipotesi di azione giudiziaria), fondando tale

Criteri di ripartizione

Maggioranza per formare o modificare le

tabelle

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conclusione sulla considerazione preliminare per cui, essendo le tabelle espressione del valore delle singole proprietà immobiliari, la loro redazione e/o modifica o revisione ha contenuto negoziale ­ e la relativa delibera as­sumendo i connotati del negozio di accertamento del diritto di (com)pro­prietà sulle parti comuni.

Sennonché, accanto a tale principale filone ricostruttivo dell’istituto, si sono sviluppate, nel corso del tempo, tesi diverse che, pur partendo dalla impostazione innanzi delineata, hanno comunque considerato le modifi­che delle tabelle approvate a maggioranza non del tutto improduttive di effetti, ritenendo che eventuali deliberazioni adottate a maggioranza e non all’unanimità sarebbero in ogni caso vincolanti per i condomini consen­zienti, delineando al riguardo un’ipotesi di nullità non già assoluta, ma soltanto relativa della delibera.

La pronunzia delle Sezioni Unite ­ che segue all’ordinanza di rimes­sione della seconda sezione civile del 2 febbraio 2009, n. 2568 ed alla quale è pressoché sovrapponibile in termini motivazionali ­ invece, attra­verso un’attenta ed articolata motivazione “demolitoria” dei precedenti di legittimità innanzi esposti, ha affermato che l’approvazione delle tabelle millesimali non è fonte dell’obbligo dei condomini di concorrere nelle spe­se, perché tale obbligo deriva direttamente dalla legge; sicché le tabelle non incidono sul valore della proprietà ­ come erroneamente pure ritenuto in precedenza ­ ma semplicemente sugli obblighi contributivi.

Da ciò deriva che l’approvazione o la modifica delle tabelle millesima­li non è atto inquadrabile nella categoria dei negozi di accertamento del diritto di proprietà sulle singole unità immobiliari e sulle parti comuni, in quanto non finalizzata ad eliminare un’incertezza: le tabelle, piuttosto, rap­presentano una documentazione tecnico­ricognitiva di una realtà empirica, riassumendosi in un parametro di quantificazione dei diritti ed oneri con­dominiali, e servono unicamente ad esprimere in precisi termini aritmetici un già preesistente rapporto di valore tra i diritti dei vari condomini, senza incidere in alcun modo su tali diritti.

Da quanto precede discende che l’approvazione delle tabelle millesi­mali non ha natura negoziale, perché viene meno la caratteristica, propria del negozio giuridico, della conformazione della realtà oggettiva alla vo­lontà delle parti. Ulteriore conseguenza che deriva da quanto precede è che per la modifica dei valori delle tabelle millesimali (siano esse assembleari ovvero contrattuali) non è obbligatoria la (pressoché inattuabile) unanimi-tà dei consensi degli aventi diritto; viceversa, si dovrà far ricorso alle mag-gioranze indicate dall’art. 1136, comma 2, cod. civ.: sarà quindi necessaria

Nullità relativa

Maggioranza degli intervenuti

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e sufficiente la maggioranza degli intervenuti alla singola assemblea deli-berativa che rappresentino “almeno la metà del valore dell’edificio”.

L’unanimità è, invece, ancora richiesta laddove, con l’approvazione delle tabelle, si sia inteso derogare ai principi legali di ripartizione delle spese ovvero assegnare valori diversi da quelli effettivamente attribuibili alle unità abitative sulla base di meri calcoli ricognitivi (allorché, in so­stanza, si sia inteso approvare la “diversa convenzione” richiamata dall’art. 1123, co. 1, c.c.).

In adesione all’illustrato orientamento si evidenzia come la legge 220/2012 di riforma della materia condominiale ha novellato l’art. 69 disp. att. c.c. prevedendo che:

✒ I valori proporzionali delle singole unità immobiliari espressi nella tabella millesimale di cui all’articolo 68 possono essere rettificati o modificati all’unanimità. Tali valori possono es­sere rettificati o modificati, anche nell’interesse di un solo condomino, con la maggioranza prevista dall’articolo 1136, secondo comma, del codice, nei seguenti casi: 1) quando risulta che sono conseguenza di un errore; 2) quando, per le mutate condizioni di una parte dell’edi­ficio, in conseguenza di sopraelevazione, di incremento di superfici o di incremento o dimi­nuzione delle unità immobiliari, è alterato per più di un quinto il valore proporzionale del­l’unità immobiliare anche di un solo condomino. In tal caso il relativo costo è sostenuto da chi ha dato luogo alla variazione. Ai soli fini della revisione dei valori proporzionali espressi nella tabella millesimale allegata al regolamento di condominio ai sensi dell’articolo 68, può essere convenuto in giudizio unicamente il condominio in persona dell’amministratore. Questi è tenuto a darne senza in­dugio notizia all’assemblea dei condomini. L’amministratore che non adempie a quest’ob­bligo può essere revocato ed è tenuto al risarcimento degli eventuali danni. Le norme di cui al presente articolo si applicano per la rettifica o la revisione delle tabelle per la ripartizione delle spese redatte in applicazione dei criteri legali o convenzionali.

In sostanza, anche il novellato regime prevede una sorta di doppio bi-nario: maggioranza qualificata, allorquando la rettifica o modifica riguardi i casi espressamente contemplati dal comma 2 dell’art. 69 disp. att. c.c. ­ che, poi, sostanzialmente riproducono la pregressa disciplina, salvo una maggiore e migliore qualificazione dei casi di “rettifica”; unanimità dei consensi, in tutte le altre ipotesi.

Interessante notare, infine, che il secondo comma dell’art. 69 disp. att. c.c. riprende l’orientamento di legittimità, formatosi successivamente all’in­tervento delle Sezioni Unite di cui si è detto, alla cui stregua legittimato pas­sivo, rispetto alla impugnazione della delibera con cui vengono approvate ovvero modificate le tabelle millesimali, deve ritenersi l’amministratore del condominio e non già tutti i condomini, “essendo l’amministratore del con­dominio legittimato a resistere contro l’impugnazione delle delibere assem­bleari” (Cass. 11757/2012).

Unanimità

Legittimazione passiva

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1.3. i millesimi.

Diversamente da quanto previsto dall’art. 1101, comma 1, c.c. (ai sensi del quale, si rammenta, «le quote dei partecipanti alla comunione si presumono eguali») e salvo che il titolo disponga diversamente, nel condominio la regola è quella della diversità di valore delle quote - le quali, come detto, si esprimono in millesimi ­ essendo le stesse proporzionate al valore del piano o porzione di piano (e sempre fatte salve le diverse previsioni del titolo costitutivo del di­ritto): valore, quest’ultimo, che deve essere indicato (come innanzi chiarito) in un’apposita tabella da allegare al regolamento di condominio (art. 68, comma 2, cod. civ.) e nell’accertamento del quale «non si tiene conto del canone lo­catizio, dei miglioramenti e dello stato di manutenzione di ciascun piano o di ciascuna porzione di piano» (art. 68, comma 3, disp. att. cod. civ.).

✒ Art. 1118 c.c. - diritti dei partecipanti sulle cose comuni (originaria formulazione)Il diritto di ciascun condomino sulle cose indicate dall’articolo precedente è proporzionato al valore del piano o porzione di piano che gli appartiene, se il titolo non dispone altrimenti.Il condomino non può, rinunziando al diritto sulle cose anzidette, sottrarsi al contributo nelle spese per la loro conservazione.Art. 1118 c.c. ­ diritti dei partecipanti sulle parti comuni (nuova formulazione) Il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni, salvo che il titolo non disponga altrimenti, è proporzionale al valore dell’unità immobiliare che gli appartiene. Il condomino non può rinunziare al suo diritto sulle parti comuni. Il condomino non può sottrarsi all’obbligo di contribuire alle spese per la conservazione del­le parti comuni, neanche modificando la destinazione d’uso della propria unità immobiliare, salvo quanto disposto da leggi speciali. Il condomino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o ag­gravi di spesa per gli altri condomini. In tal caso il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese di manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conser­vazione e messa a norma.

✒ Art. 68 disp. att. c.c. (originaria formulazione)per gli effetti indicati dagli articoli 1123, 1124, 1126 e 1136 del codice, il regolamento di condominio deve precisare il valore proporzionale di ciascun piano o di ciascuna porzione di piano spettante in proprietà esclusiva ai singoli condomini.I valori dei piani o delle porzioni di piano, ragguagliati a quello dell’intero edificio, devono essere espressi in millesimi in apposita tabella allegata al regolamento di condominio.nell’accertamento dei valori medesimi non si tiene conto del canone locatizio, dei migliora­menti e dello stato di manutenzione di ciascun piano o di ciascuna porzione di piano.Art. 68 disp. att. c.c. (nuova formulazione)Ove non precisato dal titolo ai sensi dell’articolo 1118, per gli effetti indicati dagli articoli 1123, 1124, 1126 e 1136 del codice, il valore proporzionale di ciascuna unità immobiliare è espresso in millesimi in apposita tabella allegata al regolamento di condominio.nell’accertamento dei valori di cui al primo comma non si tiene conto del canone locatizio, dei miglioramenti e dello stato di manutenzione di ciascuna unità immobiliare.

Come suggerito da attenta dottrina «il valore del piano è quello allo stato grezzo…Il valore degli appartamenti dipende…dalla loro estensione ed am-piezza, dalla natura degli intonaci…dalla ubicazione, dall’esposizione, dall’al-

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tezza…» (Branca): tutti elementi, dunque, di carattere assolutamente ogget-tivo e di facile verificazione (non rilevano, perciò, altri elementi di carattere soggettivo o variabile, come, ad esempio, i canoni di locazione percepiti, ov­vero la destinazione dell’appartamento ad uso abitativo, non abitativo o pro­miscuo). peraltro, il criterio di identificazione delle quote di partecipazione al condominio, dato dal rapporto tra il valore della proprietà singola ed il valore dell’intero edificio, esiste prima ed indipendentemente dalla formazione della tabella dei millesimi, e consente sempre di valutare, anche a posteriori in giu­dizio, se le maggioranze richieste per la validità della costituzione dell’assem­blea e delle relative deliberazioni siano state raggiunte, in quanto la tabella anzidetta agevola ma non condiziona lo svolgimento dell’assemblea ed, in genere, la gestione del condominio (Cass., 6202/1998; Cass., 431/1990).

normalmente i regolamenti di condominio contemplano più tabelle millesimali: così, accanto a quella di proprietà generale (e di cui si è detto), vengono generalmente predisposte tabelle per la individuazione dei mille­simi riferibili a ciascuno dei condomini in relazione all’uso ed al godimento di talune parti o servizi dell’edificio suscettibili di utilizzazione separata ovvero diversificata: ed infatti, le tabelle formate in base al solo valore delle singole unità immobiliari servono esclusivamente per il riparto delle spese generali e di quelle che riguardano le parti dell’edificio comuni a tutti i condomini, ma non sono utilizzabili per il riparto di spese che non sono co­muni a tutti i condomini, in ragione del diverso uso delle cose condominiali (Cass., 8484/1987). La presenza di tale pluralità di tabelle rappresenta, d’al­tronde, il riflesso della diversificazione delle spese in seno al condominio, ai sensi degli artt. 1123 ­1126 cod. civ.

Laddove il condominio sia sfornito di tabelle millesimali applicabili in relazione alla spesa effettuata ­e solo in tal caso, posto che laddove esistano tabelle può trovare applicazione, al più, il dettato di cui all’art. 69 disp. att. c.c. (Cass., 12115/1992) ­ l’assemblea può adottare, a maggioranza sem-plice, a titolo di acconto e salvo conguaglio, tabelle provvisorie (Cass., 24670/2006; Cass., 8505/2005).

In alcun caso, invece, è consentito all’assemblea di deliberare, a mag­gioranza e non all’unanimità del valore millesimale dell’edificio, la ripar-tizione sugli altri condomini dei debiti derivanti dal mancato pagamento degli oneri condominiali da parte di altri condomini (Cass., 13631/2001).

1.4. casi di esclusione dell’operatività dell’art. 1123 c.c.

La disciplina contenuta nell’art. 1123 c.c. è derogabile (Cass., 5168/2006): sia ampliando il novero dei soggetti tenuti a concorrere nelle

Spese non comuni a tutti i condomini

Tabelle provvisorie

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singole spese, sia disponendo l’esonero ­ totale o parziale ­ dal concorso nel sostenimento delle stesse.

Sennonché, la giurisprudenza ha altresì chiarito che la deroga concre­tizzantesi in una clausola regolamentare che preveda l’esonero, totale o parziale, per taluno dei condomini, dall’obbligo di partecipare alle spese determina il superamento, nei riguardi di detta categoria di condomini, della presunzione di comproprietà su detta parte del fabbricato o sul detto servizio (Cass., 5975/2004; Cass., 7839/1988; Cass., 6844/1988).

Quanto alla natura della clausola di esonero (ovvero aggravamento), la giurisprudenza maggioritaria, partendo dal presupposto per cui l’obbli­gazione dei condomini di contribuire nelle spese per la conservazione e manutenzione delle parti comuni dell’edificio è propter rem, presume l’effi-cacia reale della stessa e, dunque, la sua operatività anche nei confronti dei successori dei condomini originari, indipendentemente dalla sua trascri-zione (cfr. Cass., 6474/2005: “secondo la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, condivisa dal Collegio, le parti dell’edificio condominiale (locali per la portineria e l’alloggio del portiere), indicate nell’art.1117 n.2 c.c. sono, a differenza dei beni descritti ai n.ri 1 e 3 del citato art.1117 c.c., suscettibili di utilizzazione individuale, in quanto la loro destinazione al servizio collettivo dei condomini non si pone in termini di assoluta neces­sità. pertanto, occorre accertare nei singoli casi se l’atto, che li sottrae alla presunzione di proprietà comune, contenga anche la risoluzione o il mante­nimento del vincolo di destinazione derivante dalla loro natura, configuran-dosi, nel secondo caso, l’esistenza di un vincolo obbligatorio propter rem fondato su una limitazione del diritto del proprietario, che è suscettibile di trasmissione in favore dei successivi acquirenti dei singoli appartamenti anche in mancanza di trascrizione (Cass. 4435/2001; 5167/1986). . .”. nel medesimo senso cfr., anche Cass., 7039/1988 e Cass., 6844/1988); per al-tro orientamento, invece, l’efficacia di tale convenzione non si estende (cfr. art. 1372 c.c.) agli aventi causa a titolo particolare degli originari stipulanti, a meno che detti aventi causa non abbiano manifestato il loro consenso nei confronti degli altri condomini, anche per fatti concludenti, attraverso un’univoca manifestazione tacita di volontà, dalla quale possa desumersi un determinato intento con preciso valore sostanziale (Cass., 7353/1996).

La deroga all’operatività dell’art. 1123 c.c. deve essere comunque ap-provata con il consenso unanime di tutti i condomini, a pena di nullità (Cass. 17101/2006. in senso contrario, però, indipendentemente dall’ado­zione della forma scritta, si è ritenuto che la “diversa convenzione” non sarebbe assoggettata ad oneri di forma e potrebbe risultare anche da com­

Clausola di esonero

Maggioranza necessaria

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portamenti univocamente concludenti, protrattisi nel tempo, dai quali sia possibile ricavare l’accettazione da parte di tutti i condomini di differenti criteri di riparto delle spese ­ Cass., 20318/2004), ovvero provenire da una diversa regolamentazione del regime delle spese stabilita dall’originario costruttore nel regolamento contrattuale (così, ad esempio, si è ritenuta le­gittima la delibera assembleare che, posta in essere in esecuzione di una di­sposizione del regolamento condominiale avente natura contrattuale, abbia disposto, in deroga al criterio legale di ripartizione delle spese dettato dal­l’art. 1123 c.c., che le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria del­l’impianto centrale di riscaldamento siano poste a carico anche delle unità immobiliari che non usufruiscono del relativo servizio: Cass. 6158/2006). In ogni caso, pur in presenza di una deroga quale quella appena delineata, la stessa si limita a regolamentare in maniera diversa il regime delle spese, ma non può avere alcuna effettiva incidenza sulla disposizione inderogabi­le dell’art. 1136 c.c. ovvero su quella dell’art. 69 disp. att. c.c., in quanto norme di carattere inderogabile che disciplinano i diversi temi della co­stituzione dell’assemblea, della validità delle deliberazioni e delle tabelle millesimali (Cass. 3944/2002).

1.5. creazione di un fondo cassa.

È consentita, a semplice maggioranza assembleare, l’istituzione di un fondo cassa svincolato dal rispetto dei parametri posti dall’art. 1123 c.c., sia per ciò che concerne le spese di ordinaria manutenzione e conserva­zione dei beni comuni (Cass., 8167/1997; Trib. Milano, 29.9.2005), sia per fare eventualmente fronte all’effettiva ed improrogabile urgenza di repe­rire liquidità, come nel caso di aggressione in executivis da parte di un creditore del condominio, in danno di parti comuni dell’edificio (Cass., 13631/2001).

È stata invece ritenuta inammissibile l’istituzione di un fondo cassa per far fronte a spese straordinarie non determinate né determinabili, sulla scorta della considerazione per cui la competenza dell’assemblea è limi­tata, ai sensi dell’art. 1135 n. 2 c.c., all’approvazione del preventivo delle spese occorrenti durante l’anno (Trib. Lucera, 20.12.1996).

Interessante osservare come, proprio in tema di costituzione di un fon­do cassa, la novella legislativa abbia sostituito al previgente art. 1135, com­ma 1, n. 4, c.c (il quale recitava “Oltre a quanto è stabilito dagli articoli precedenti, l’assemblea dei condomini provvede: . . . 4) alle opere di ma­nutenzione straordinaria, costituendo, se occorre, un fondo speciale”) il se­guente “Oltre a quanto è stabilito dagli articoli precedenti, l’assemblea dei condomini provvede: . . . 4) alle opere di manutenzione straordinaria e alle

Spese straordinarie

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innovazioni, costituendo obbligatoriamente un fondo speciale di importo pari all’ammontare dei lavori”.

✒ Art. 1135 c.c. - Attribuzioni dell’assemblea dei condomini (originaria formulazione)Oltre a quanto è stabilito dagli articoli precedenti, l’assemblea dei condomini provvede:1) alla conferma dell’amministratore e all’eventuale sua retribuzione;2) all’approvazione del preventivo delle spese occorrenti durante l’anno e alla relativa ripar­tizione tra i condomini;3) all’approvazione del rendiconto annuale dell’amministratore e all’impiego del residuo at­tivo della gestione;4) alle opere di manutenzione straordinaria, costituendo, se occorre, un fondo speciale.L’amministratore non può ordinare lavori di manutenzione straordinaria, salvo che rivestano carattere urgente, ma in questo caso deve riferirne nella prima assemblea.Art. 1135 c.c. - Attribuzioni dell’assemblea dei condomini (nuova formulazione)Oltre a quanto è stabilito dagli articoli precedenti, l’assemblea dei condomini provvede:1) alla conferma dell’amministratore e all’eventuale sua retribuzione;2) all’approvazione del preventivo delle spese occorrenti durante l’anno e alla relativa ripar­tizione tra i condomini;3) all’approvazione del rendiconto annuale dell’amministratore e all’impiego del residuo at­tivo della gestione;4) alle opere di manutenzione straordinaria e alle innovazioni, costituendo obbligatoriamen­te un fondo speciale di importo pari all’ammontare dei lavori;L’amministratore non può ordinare lavori di manutenzione straordinaria, salvo che rivestano carattere urgente, ma in questo caso deve riferirne nella prima assemblea.L’assemblea può autorizzare l’amministratore a partecipare e collaborare a progetti, program­mi e iniziative territoriali promossi dalle istituzioni locali o da soggetti privati qualificati, an­che mediante opere di risanamento di parti comuni degli immobili nonché di demolizione, ricostruzione e messa in sicurezza statica, al fine di favorire il recupero del patrimonio edili­zio esistente, la vivibilità urbana, la sicurezza e la sostenibilità ambientale della zona in cui il condominio è ubicato.

Sennonché, il punctum dolens, in parte qua, della riforma consiste nel verificare cosa accade laddove l’assemblea deliberi l’esecuzione di opere di manutenzione straordinarie senza contestualmente costituire il fondo in commento, o perché l’assemblea non assuma alcuna decisione al riguardo, o perché l’assemblea deliberi espressamente di non costituirlo.

Orbene, posto che, in tale ultimo caso, la delibera parrebbe annullabi­le, laddove invece l’assemblea alcunché abbia deciso in merito può pensar­si all’azione, da parte di ciascun condomino, ex art. 1105, comma 4, c.c., volta ad ottenere la costituzione “coattiva”, per via giudiziale, del fondo. Si è in ogni caso osservato che l’art. 1135 c.c. non è inserito tra quelli dichia­rati inderogabili dall’art. 1138, comma 4, c.c.: sicché si è ritenuto che ben potrebbe la volontà assembleare derogare all’obbligo ivi previsto.

1.6. Rinuncia ai diritti sulle parti comuni e spese.

in tema di comunione ordinaria è espressamente previsto che ciascun partecipante deve contribuire alle spese necessarie per la conservazione e

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per il godimento della cosa comune e alle spese deliberate dalla maggio­ranza a norma delle disposizioni seguenti, salva la facoltà di liberarsene con la rinunzia al suo diritto (art. 1104, comma 1, c.c.).

Diversamente da quanto consentito dall’art. 1104 c.c., l’art. 1118, comma 2, c.c. prevede che il condomino non può, rinunziando al diritto sulle cose comuni sottrarsi al contributo nelle spese per la loro manuten-zione: la ratio di tale divieto, d’altra parte, è facilmente comprensibile, con­siderando che nel condominio sussiste un inscindibile collegamento tra la fruizione della proprietà comune e la fruizione di quella individuale, con la conseguente esigenza di non consentire al condomino di sottrarsi alla contribuzione nelle spese per la conservazione di beni dei quali egli con­tinuerebbe necessariamente a godere pur dopo avervi rinunziato (così, ad esempio, non è pensabile che il condomino rinunzi al suo diritto sul muro perimetrale, in quanto si tratta di una cosa oggettivamente necessaria per l’esistenza stessa delle unità immobiliari, ivi inclusa la propria).

La giurisprudenza, leggendo sistematicamente la norma in esame, ha affermato che il secondo comma dell’art. 1118 c.c., nella sua originaria formulazione, non si limitava a regolare la partecipazione dei condomini alle spese delle parti comuni nonostante la rinuncia del relativo diritto da parte del singolo condomino, ma indirettamente, escludeva la validità della predetta rinuncia dato che le parti comuni necessarie per l’esistenza e l’uso dei piani o delle porzioni di piano ovvero destinate al loro uso e servizio avrebbero continuato a servire il condomino anche dopo (e nonostante) la rinuncia: è stata perciò ritenuta nulla la clausola contenuta nel contratto di compravendita di un appartamento sorto in un edificio in condominio con cui viene esclusa dal trasferimento la proprietà di alcune parti comuni del-l’edificio comuni per legge o per volontà delle parti, avendo tale clausola il contenuto e gli effetti di una rinuncia del condomino (acquirente) alle pre-dette parti (Cass., 6036/1995; Cass., 286/2005). Tale principio è ora espres­samente affermato dal novellato art. 1118, comma 2, c.c., il quale dispone che il condomino non può rinunziare al suo diritto sulle parti comuni.

Anche il divieto di cui all’art. 1118, tuttavia, subisce delle deroghe ­ che riportano, dunque, alla reviviscenza del principio della rinunziabilità di cui all’art. 1104 c.c.: individuata la ratio del divieto contenuto nell’art. 1118 c.c. nell’inscindibile collegamento tra la fruizione della proprietà comune e la fruizione di quella individuale e nella conseguente esigenza di non con­sentire al condomino di sottrarsi alla contribuzione nelle spese per la con­servazione di beni dei quali egli continuerebbe necessariamente a godere pur dopo avervi rinunziato, la regola dell’irrinunziabilità ivi contemplata

Spese di manutenzione

Validità della rinuncia

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TABeLLe MILLeSIMALI

non trova applicazione nel caso di un bene il cui godimento, puramen-te eventuale, è rimesso alla libera determinazione del suo titolare (Cass., 12128/2004) e con la rinunzia di questi si trasferisce alla collettività dei condomini (es.: il condomino che, essendo titolare del diritto di uso esclusi­vo sul lastrico solare, vi rinunzi, con contestuale ed immediato trasferimen­to del predetto diritto in capo alla collettività dei condomini) ovvero nel caso in cui gli impianti condominiali comuni sono da considerarsi super-flui in relazione alle condizioni obiettive ed alle esigenze delle moderne concezioni di vita, ovvero illegali, perché vietati da norme imperative (es.: allorché gli altri condomini intendano persistere nella conservazione de­gli impianti idraulici comuni preesistenti ­autoclave e pozzo nero ­, pur in presenza di nuove tecniche o servizi predisposti dalla pubblica amministra­zione, considerato che in tali casi il mantenimento degli originari impian­ti trova ragione esclusivamente nella determinazione dei condomini che vogliono conservarli, deve essere riconosciuto al singolo condomino che adduca l’esistenza di nuovi impianti pubblici idrici e fognari perfettamente efficienti, la facoltà di rinunciare al suo diritto sull’impianto condominiale di autoclave perché ritenuto superfluo, e sul pozzo nero perché in contrasto con le prescrizioni di legge (Cass., 4652/1991).

nei casi in cui la rinunzia è teoricamente ammessa, tuttavia, la facoltà predetta è esclusa (in concreto) in presenza di un regolamento contrat-tuale di condominio che espressamente la vieti: ed infatti, il regolamento, mentre non può derogare alle disposizioni richiamate dall’art. 1138, ulti­mo comma, c.c. e, dunque, non può menomare i diritti che ai condomini derivano dalla legge, dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, ben può, al contrario, derogare alle disposizioni legali (come quella dell’art. 1102 c.c., da leggere necessariamente in combinato disposto con l’art. 1118, comma 2, c.c.) non dichiarate inderogabili (Cass. 6923/2001; Cass., 11268/1998).

✒ Art. 1118 c.c. - diritti dei partecipanti sulle cose comuni (originaria formulazione)Il diritto di ciascun condomino sulle cose indicate dall’articolo precedente è proporzionato al valore del piano o porzione di piano che gli appartiene, se il titolo non dispone altrimenti.Il condomino non può, rinunziando al diritto sulle cose anzidette, sottrarsi al contributo nelle spese per la loro conservazione. Art. 1118 c.c. - diritti dei partecipanti sulle parti comuni (nuova formulazione) Il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni, salvo che il titolo non disponga altrimenti, è proporzionale al valore dell’unità immobiliare che gli appartiene. Il condomino non può rinunziare al suo diritto sulle parti comuni. Il condomino non può sottrarsi all’obbligo di contribuire alle spese per la conservazione del­le parti comuni, neanche modificando la destinazione d’uso della propria unità immobiliare, salvo quanto disposto da leggi speciali. Il condomino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o ag­gravi di spesa per gli altri condomini. In tal caso il rinunziante resta tenuto a concorrere al

Rinuncia e regolamento con-trattuale

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pagamento delle sole spese di manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conser­vazione e messa a norma.

1.7. Rinunzia all’uso di beni o servizi comuni: in particolare, le spese di manutenzione dell’impianto di riscaldamento centra-lizzato.

diversa dalla rinunzia al diritto ­ di regola non consentita, salvo quan­to si preciserà di qui a breve ­ è la rinunzia – già ammessa dalla prece­dente disciplina, salvo che il regolamento la vieti (Cass., 6923/2001) - ad un uso particolare del bene o servizio comune (Cass., 5331/2012; Cass., 19893/2011; Cass., 16365/2007; Cass., 7708/2007, Cass., 5974/2004, Cass., 8924/2001, in tema di distacco dall’impianto centralizzato di riscal­damento e Cass, 2255/2000, in tema di uso del cortile come parcheggio di autovetture).

La giurisprudenza ha affrontato il tema a proposito del distacco dall’im-pianto di riscaldamento centralizzato. In merito, il contrasto sorto in rela­zione alla possibilità che uno o più condomini si distacchino dall’impianto centrale di riscaldamento è stato positivamente risolto in giurisprudenza, nel senso che ciò è possibile: a) quando l’interessato, essendosi distaccato unilateralmente, dimostri che, dal suo operato, non derivano né aggravi di spese per coloro che continuano a fruire dell’impianto, né squilibri termi­ci pregiudizievoli della regolare erogazione del servizio (Cass. 5974/2004; Cass. 6923/ 2001); b) quando l’assemblea dei condomini autorizzi detto di­stacco, eventualmente modificando gli obblighi gravanti sui compartecipi in base al regolamento di condominio (Cass. 6269/1984); c) quando tale possibilità è consentita dal regolamento di condominio.

Allorquando il condomino legittimamente rinunzi all’uso del riscalda­mento centralizzato, resta fermo il suo obbligo di pagamento delle spese per la conservazione dell’impianto, mentre è tenuto a partecipare a quelle di gestione, se e nei limiti in cui il suo distacco non si risolve in una dimi­nuzione degli oneri del servizio di cui continuano a godere gli altri con­domini (Cass., 5331/2012). Chiarissima, in tal senso, è la motivazione di Cass., 19893/2011: “Questa S.C. al riguardo ha statuito che “poiché tra le spese indicate dall’art. 1104 c.c., soltanto quelle per la conservazione della cosa comune costituiscono obligationes propter rem ­ e per questo il con­domino non può sottrarsi all’obbligo del loro pagamento, ai sensi dell’art. 1118 c.c., comma 2, che invece, significativamente, nulla dispone per le spese relative al godimento delle cose comuni ­ è legittima la rinuncia di un condomino all’uso dell’impianto centralizzato di riscaldamento (purché questo non ne sia pregiudicato), con il conseguente esonero, in applica-

Distacco dall’impianto di riscaldamento

Spese

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zione del principio contenuto nell’art. 1123 c.c., comma 2, dall’obbligo di sostenere le spese per l’uso del servizio centralizzato; è invece obbligato a sostenere le spese dell’eventuale aggravio derivato alle spese di gestione di tale servizio, compensato dal maggiore calore di cui beneficia anche il suo appartamento (Cass. n. 08924 del 02/07/2001). Il condomino, dunque, come ripetutamente affermato da questa Corte, può rinunciare all’uso del riscaldamento centralizzato e distaccare le diramazioni della sua unità im­mobiliare dall’impianto termico comune, senza necessità di autorizzazione od approvazione degli altri condomini, e, fermo il suo obbligo al pagamen­to delle spese per la conservazione dell’impianto, è tenuto a partecipare a quelle di gestione dell’impianto se, e nei limiti in cui, il suo distacco non si risolva in una diminuzione degli oneri del servizio di cui continuano a godere gli altri condomini (cfr: Cass. civ., sez. 2^, sent. 25 marzo 2004, n. 5974; Cass. civ., sez. 2^, sent. 12 novembre 1997, n. 11152). A tali consi­derazioni occorre aggiungere che non osta la natura contrattuale della nor­ma impeditiva contenuta nel regolamento di condominio, poichè questo è un contratto atipico le cui disposizioni sono meritevoli di tutela solo ove regolino aspetti del rapporto per i quali sussista un interesse generale del­l’ordinamento (per la questione dell’interesse meritevole di tutela: Cass. n. 8038 del 02/04/2009; Cass. Sez. U, n. 4421 del 27/02/2007; Cass. n. 8038 del 02/04/2009; Cass. n. 2288 del 06/02/2004). pertanto, il regolamento di condominio, anche se contrattuale, approvato cioè da tutti i condomini, non può derogare alle disposizioni richiamate dall’art. 1138 c.c., comma 4, e non può menomare i diritti che ai condomini derivano dalla legge, dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, mentre è possibile la deroga alle di­sposizioni dell’art. 1102 c.c., non dichiarato inderogabile. Il che non è rav­visarle, anzi è il contrario, quanto al distacco delle derivazioni individuali dagli impianti di riscaldamento centralizzato ed alla loro trasformazione in impianti autonomi, per un duplice ordine di ragioni: in primo luogo, giacché proprio l’ordinamento ha mostrato di privilegiare, al preminente fine d’interesse generale rappresentato dal risparmio energetico, dette tra­sformazioni e, nei nuovi edifici, l’esclusione degli impianti centralizzati e la realizzazione dei soli individuali; in secondo luogo, giacché la ratio ati­pica dell’impedimento al distacco, riscontrata dal giudice a quo, non può meritare la tutela dell’ordinamento in quanto espressione di prevaricazione egoistica anche da parte d’esigua minoranza e di lesione dei principi co­stituzionali di solidarietà sociale. . .”

In linea generale, invece, le spese per il riscaldamento vanno ripartite in proporzione delle superfici radianti di cui dispone ciascun condomino e non secondo i millesimi o secondo la volumetria, sebbene sia possibile che tali ultimi due criteri temperino il primo (Cass., 9263/1998).

Ripartizione delle spese

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Le SpeSe neL COnDOMInIO

Attualmente, il novellato art. 1118, comma 4, c.c., recependo ­ e, in parte, integrando ­ gli arresti della riportata giurisprudenza di legittimità, prevede che:

✒ “il condomino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o ag­gravi di spesa per gli altri condomini. In tal caso il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua con­servazione e messa a norma”.

pur posto il principio che precede, tuttavia, ben potrebbe il regola­mento di condominio vietare la rinunzia all’uso dei servizi comuni (Cass., 6923/2001).

1.8. condominio parziale, tabelle e regime delle spese.

L’art. 1123 c.c. ha rappresentato il referente normativo per la teorizza­zione e configurazione del c.d. condominio parziale, istituto in virtù del quale la contitolarità dei beni e servizi comuni è ab origine limitata ad al­cuni soltanto dei proprietari esclusivi dei piani o porzioni di essi.

L’orientamento dominante (Cass., 2363/2012; Cass., 23851/2010; Cass., 21246/2007; Cass., 8066/2005; Cass., 8136/2004; Cass., 1255/1995; Cass., 7885/1994; Cass., 1743/1967) ammette, indipendentemente dal ti­tolo e nell’ambito della più vasta contitolarità, la costituzione dei cosid­detti condomini parziali sul fondamento del collegamento strumentale tra i beni: vale a dire, sulla base della necessità per l’esistenza o per l’uso, ovvero della destinazione all’uso o al servizio di determinate cose, servizi ed impianti limitatamente a vantaggio di talune unità immobiliari. Il ragio­namento svolto dalla Suprema Corte (cfr., in particolare, Cass., 7885/1994) è di particolare interesse: “per la verità, l’asserto che la proprietà comune appartenga necessariamente a tutti i partecipanti e non si frazioni, neppure in casi eccezionali, se non in virtù del titolo, non è più condiviso e, in effet­ti, non regge alla critica, fondata sulla ricognizione non aprioristica dei dati positivi. I presupposti per la attribuzione della proprietà comune a vantag­gio di tutti i partecipanti vengono meno se le cose, i servizi e gli impianti di uso comune, per oggettivi caratteri materiali e funzionali, sono necessari per l’esistenza o per l’uso, ovvero sono destinati all’uso o al servizio non di tutto l’edificio, ma di una sola parte (o di alcune parti) di esso. Pertanto, del diritto (soggettivo) di condominio formano oggetto soltanto i servizi e gli impianti, effettivamente uniti alle unità abitative dal collegamento strumentale: vale a dire, le sole parti di uso comune, che siano necessarie per l’esistenza, ovvero siano destinate all’uso o al servizio di determinati piani o porzioni di piano”. In particolare, «la disposizione da cui risulta con

Riforma del condominio

Costituzione del condominio

parziale

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TABeLLe MILLeSIMALI

certezza che le cose, i servizi e gli impianti di uso comune dell’edificio non appartengono necessariamente a tutti i partecipanti ­ prosegue la Suprema Corte ­ si rinviene nell’art. 1123 comma 3 cod. civ.

Secondo questa norma, l’obbligazione di concorrere nelle spese per la conservazione grava soltanto sui condomini, ai quali appartiene la pro-prietà comune. Il testo non recepisce il criterio, che si assume valido in generale per la ripartizione delle spese per le parti comuni, secondo cui i contributi si suddividono tra i condomini in ragione dell’utilità. Se così fos­se, il precetto sarebbe del tutto superfluo, perché ripeterebbe quello dettato dal capoverso precedente. posto che l’art. 1123 comma cod. civ. ripartisce il concorso nelle spese per le parti comuni, destinate a servire le unità im­mobiliari in misura diversa, in proporzione all’uso che ciascuno può farne, dal contributo implicitamente esonera coloro i quali, per ragioni obbiettive afferenti alla struttura o alla destinazione, non utilizzano le parti, che non sono necessarie per l’esistenza o per l’uso, ovvero non sono destinate al­l’uso o al servizio dei loro piano porzioni di piano.

Se i proprietari delle unità immobiliari, non collegate con determinate parti comuni, fossero esonerati dal concorso nelle spese in virtù del crite­rio dell’utilità statuito dall’art. 1123 comma 2 cod. civ., il disposto dell’art. 1123 comma 3 sarebbe del tutto identico a quello fissato nel comma prece­dente e configurerebbe un duplicato inutile. In realtà, l’art. 1123 cod. civ. nei distinti capoversi contempla ipotesi differenti. Mentre al comma 2 rego-la solo ed esclusivamente la ripartizione delle spese per l’uso, al comma 3 disciplina la suddivisione delle spese per la conservazione. La ragione della previsione espressa è che le cose, i servizi e gli impianti, essendo collegati materialmente e per la destinazione soltanto con alcune unità immobiliari, appartengono in comune solamente ai proprietari di queste. La disposizio-ne, cioè, contempla l’ipotesi del condominio parziale.

L’obbligazione di contribuire alle spese per la conservazione posta a carico soltanto di alcuni dei partecipanti si riconduce al principio generale, che presiede alla suddivisione delle spese per la conservazione, secondo cui i condomini sono obbligati sempre in proporzione con le quote ed indi­pendentemente dalla misura dell’uso. Perciò, l’obbligazione di contribuire alle spese per la conservazione grava soltanto su taluni condomini come conseguenza della delimitazione della appartenenza”.

In altri termini, la funzione ed il fondamento delle spese occorrenti per la conservazione dell’immobile vanno distinte dalle esigenze che presiedo­no alle spese per il godimento dello stesso, alla stregua di quanto si evince dal disposto dell’art. 1104 c.c. ­ dettato in via generale in tema di comunio­ne ­ e dell’art. 1123 c.c. in tema di condominio: in particolare, con riferi­mento a tale ambito, i contributi per la conservazione del bene sono dovuti

Regime delle spese

Conservazione del bene comune

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Le SpeSe neL COnDOMInIO

in ragione della appartenenza e si dividono in proporzione alle quote (in­dipendentemente dal vantaggio soggettivo espresso dalla destinazione delle parti comuni a servire in misura diversa i singoli piani o porzioni di piano), mentre le spese d’uso (che traggono origine dal godimento soggettivo e personale) vanno suddivise in proporzione alla concreta misura di esso, indipendentemente dalla misura proporzionale dell’appartenenza (conse­guentemente, possono mutare in maniera autonoma rispetto al valore della quota) ­ Cass., 8292/2000.

1.9. Supercondominio.

Si parla di supercondominio, invece, laddove vi siano dei complessi immobiliari che comprendono più edifici con beni, servizi ed aree comuni (quali ad esempio viali, piscina, giardino): si è al cospetto di una figura di creazione giurisprudenziale che, al pari del condominio, viene in essere ipso iure et facto, se il titolo non dispone diversamente, indipendentemente dalla manifestazione di volontà dell’originario costruttore o dei proprietari delle unità immobiliari di ciascun condominio (Cass., 17332/2011; Cass., 2305/2008), la cui giuridica configurazione ha generato notevoli difficoltà di inquadramento in merito alla disciplina da applicare.

Secondo l’orientamento prevalente, “nel caso di pluralità di edifici, co­stituiti in distinti condomini, ma compresi in una più ampia organizzazione condominiale (cd. supercondominio), trovano applicazione le norme sul condominio e non già quelle sulla comunione in generale, con la conse­guenza che si applica la presunzione legale di comunione di talune parti, stabilita dall’art. 1117 c.c., purché si tratti di beni oggettivamente e stabil­mente destinati all’uso od al godimento di tutti gli edifici, come nel caso de­gli impianti dell’acqua sino al punto in cui è possibile stabilire a quale degli edifici la conduttura si riferisca, per poi considerare cessata la comunione dal punto in cui le diramazioni siano inequivocamente destinate a ciascun edificio” (Cass.13883/2010). ed infatti ­ come più volte specificato ­ ai fini della configurabilità del condominio, è necessario che vi sia una relazione di accessorietà tra i piani o le porzioni di piano di proprietà esclusiva e le parti di uso comune e ciò sia nel caso di edificio unico che di più edifici (supercondominio): discende da quanto precede che, ai fini della riparti-zione delle spese, in materia di supercondominio si applicherà la disciplina di cui all’art. 1123 c.c.

Chiara la motivazione di Cass., 9096/2000:” Le cose, gli impianti ed i servizi di uso comune, contemplati dalle norme sul condominio negli edifici, non sono suscettibili di autonoma utilità. Le parti elencate o richia­mate per relationem dall’art. 1117 cod. civ., essendo materialmente neces­

Nozione

Norme applicabili

Ripartizione delle spese

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TABeLLe MILLeSIMALI

sarie per l’esistenza, ovvero destinate all’uso o al servizio dei piani o delle porzioni di piano, anche quando presentano una certa autonomia materiale non offrono una utilità autonoma e compiuta, perché la loro utilizzazione oggettiva e il loro godimento soggettivo si risolvono, come mezzo a fine, nella utilizzazione o nel godimento degli appartamenti e degli altri locali.

La specificità delle norme sul condominio si spiega con il carattere strumentale delle parti, indispensabili per l’esistenza o per l’uso, ovvero destinate all’uso o al servizio dei piani o delle porzioni di piano. Le di­sposizioni sul condominio, invero, disciplinano le cose, gli impianti ed i servizi, che non sono suscettibili di utilizzazione e di godimento autonomi, ma sono capaci di utilità strumentale rispetto al godimento delle unità im­mobiliari. Al collegamento strumentale si riconduce l’interesse al godimen­to (individuale) ed alla gestione (collegiale), in ragione dell’utilità offerta agli immobili in proprietà solitaria. Orbene, alle cose, agli impianti ed ai servizi di uso comune esterni al fabbricato, ma collegati dalla relazione di accessorietà con i piani o con le porzioni di piano siti in diversi edifici, si applicano le norme specifiche sul condominio proprio sulla base della re­lazione di accessorio a principale: considerato, altresì, che il collegamento strumentale tra i beni in comune e quelli propri si riproduce nel legame tra l’interesse relativo alle parti comuni e quello afferente alle unità immobilia­ri in proprietà solitaria.

Per contro, alla comunione il carattere della strumentalità è del tutto estraneo. Il rapporto di comunione, esaurendosi nella contitolarità dei dirit­ti, riguarda i beni in sé e per sé, che ne formano oggetto. La comunione di proprietà riguarda beni, i quali ai contitolari assicurano un rendimento fine a se stesso, conforme con la natura e con la destinazione. Qualunque sia il profitto e il risultato, che i titolari intendono ricavare da un immobile ­ un fondo rustico, un parco, un impianto sportivo, un edificio, un appartamen­to, uno stabilimento industriale o commerciale ­ a vantaggio dei comunisti la comproprietà garantisce il godimento, di cui il bene è capace.

La comproprietà tutela l’utilità offerta, immediatamente ed in modo compiuto, senza legami o vincoli di dipendenza rispetto ad altri beni. esi-stono complessi immobiliari, nei quali talune delle parti comuni sono con­trassegnate dalla autonoma utilità. Si pensi alle zone verdi, ai parchi, agli impianti sportivi (i campi da tennis, da calcio, da pallavolo, da bocce etc.); ai locali adibiti ai servizi vari (i centri commerciali o di riunione); alle at-trezzature per le spiagge. Si tratta di beni, i quali sicuramente accrescono i pregi ed il valore del complesso immobiliare ed ai titolari forniscono co-modità, conforto e svago, ma che non costituiscono parti necessarie per l’esistenza o per l’uso delle unità abitative, né destinate al loro uso o servi-zio. Senza queste cose in comune le costruzioni esisterebbero ugualmente e potrebbero del pari essere utilizzate.

Strumentalità

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Le SpeSe neL COnDOMInIO

Tra queste parti in comune e le unità immobiliari non si rinviene la re-lazione di accessorietà: in fatto, esiste un mero legame spaziale, configu-rato dalla collocazione nell’area del complesso. Avuto riguardo alla utilità, che forniscono, costituiscono beni ontologicamente autonomi, suscettibili di godimento fine a sé stesso, che si attua in modo indipendente dall’uso degli immobili in proprietà solitaria (tant’è che non sempre tutti i proprietari delle unità immobiliari le utilizzano). in difetto della relazione di acces-sorio a principale, manca la ragione, che giustifica il ricorso alle norme specifiche sul condominio negli edifici. Tenuto conto, della funzione dei beni, questi complessi vengono ad essere regolati dalle norme concernenti la comunione di proprietà. più edifici, relativamente autonomi quanto alla struttura materiale, e costituiti in altrettanti condominii, di fatto (o per titolo) possono essere riuniti in un condominio più ampio, perché beneficiano in comune di alcune cose, impianti e servizi necessari per l’esistenza o de­stinati all’uso o al servizio. La figura del supercondominio non è incom-patibile con la contestuale esistenza dei condominii autonomi, afferenti ai singoli edifici. Al contrario, i singoli edifici costituiti in altrettanti con­dominii e regolati come condominii autonomi vengono a formare un su­percondominio, quando talune cose, impianti e servizi comuni sono legati contestualmente, dalla relazione di accessorio a principale, con più edifici. Il che solitamente avviene proprio per il viale di ingresso, per la guardiola del portiere e per il servizio di portierato . . .”.

Quando, invece, non ricorre alcuna relazione di accessorietà tra beni (o servizi) ed i vari stabili condominiali ricompresi nel complesso immobiliare, i beni comuni che spettino pro­quota ai titolari di proprietà individuali insistenti su piani o porzioni di piano ­ quand’anche rivelino un qualche tipo di collega­mento con questi ultimi, diverso dal rapporto di accessorio a principale ­ non possono che essere oggetto di ordinaria comunione (Cass., 14791/2003).

Recependo il maggioritario orientamento della giurisprudenza di legit­timità si rappresenta che il novellato art. 1117 bis c.c., ricomprende tra gli istituti soggetti alla disciplina dettata in materia di condominio anche i c.d. supercondominii.

✒ Art. 1117 bis - Ambito di applicabilitàLe disposizioni del presente capo si applicano, in quanto compatibili, in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbia­no parti comuni ai sensi dell’articolo 1117.

1.10. condominio c.d. minimo e ripartizione delle spese.

Questione problematica risolta abbastanza recentemente dalle Sezioni Unite (Cass., S.U., 2046/2006) concerne, infine, la disciplina applicabile al

Accessorietà

Riforma del condominio

Nozione

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c.d. condominio minimo (composto, cioè, da due soli proprietari). Appare opportuno riportare per esteso la motivazione della Suprema Corte, la qua­le sviluppa interamente il tema, con particolare attenzione proprio al pro­blema delle spese.

“L’espressione “condominio” designa il diritto soggettivo di natura reale (la proprietà comune) concernente le parti dell’edificio di uso comune e, ad un tempo, l’organizzazione del gruppo dei condomini, composta es­senzialmente dalle figure dell’assemblea e dell’amministratore: organizza­zione finalizzata alla gestione delle cose, degli impianti e dei servizi. La specifica fisionomia giuridica del condominio negli edifici ­ la tipicità, che distingue l’istituto dalla comunione di proprietà in generale e dalle altre formazioni sociali di tipo associativo ­ si fonda sulla relazione che, nel fab­bricato, lega i beni propri e comuni, riflettendosi sui diritti, dei quali i beni formano oggetto (la proprietà esclusiva e il condominio). Le norme dettate dagli artt. 1117, 1139 cod. civ. si applicano all’edificio, nel quale più piani o porzioni di piano appartengono in proprietà solitaria a persone diverse e un certo numero di cose, impianti e servizi di uso comune sono legati alle unità abitative dalla relazione di accessorietà.

L’art. 1117 cod. civ., elencati a titolo esemplificativo talune cose, im­pianti e servizi di uso comune, stabilisce che “sono oggetto di proprietà comune”... “in genere tutte le parti dell’edificio necessarie per l’uso comu­ne” (n. 1); i locali destinati “per simili servizi in comune” (n. 2); le opere, le istallazioni, i manufatti “di qualunque genere che servono all’uso o al godimento comune”. Secondo l’interpretazione consolidata, ai fini della attribuzione del diritto di condominio la norma conferisce rilevanza al col­legamento tra le parti comuni e le unità immobiliari in proprietà solitaria: collegamento, che può essere materiale o funzionale. Il primo tipo di le­game, consistente nella incorporazione tra entità inscindibili, ovvero nella congiunzione stabile tra entità separabili, si concreta nella necessità delle cose, dei servizi e degli impianti per l’esistenza o per l’uso dei piani o del­le porzioni di piano; il secondo si esaurisce nella destinazione funzionale delle parti comuni all’uso o al servizio delle unità immobiliari (tra le tante: Cass., Sez. 2^, 9 giugno 2000, n. 7889). Il collegamento tra beni propri e comuni, consistente nella necessità per l’esistenza o per l’uso, ovvero nella destinazione all’uso o al servizio, si definisce come relazione di accessorie­tà, perché l’espressione mette in evidenza, ad un tempo, il legame funzio­nale e la connessione materiale.

Il termine accessorietà, sul piano funzionale, enuncia il difetto di utilità fine a se stessa e la subordinazione strumentale delle parti comuni; esprime, altresì, la connessione materiale, che determina la mancanza di autonomia fisica dei beni comuni rispetto ai beni in proprietà esclusiva e, nondime­

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no, non esclude la loro perdurante individualità giuridica nell’orbita della incorporazione o della relazione stabile. Il regime del condominio negli edifici ­ inteso come diritto e come organizzazione ­ si instaura per legge nel fabbricato, nel quale esistono più piani o porzioni di piano, che appar­tengono in proprietà esclusiva a persone diverse, ai quali dalla relazione di accessorietà è legato un certo numero di cose, impianti e servizi comuni. Il condominio si costituisce (ex lege) non appena, per qualsivoglia fatto tra­slativo, i piani o le porzioni di piano del fabbricato vengono ad appartenere a soggetti differenti.

Segue che, in un edificio composto da più unità immobiliari apparte­nenti in proprietà esclusiva a persone diverse, la disciplina delle cose, degli impianti e dei servizi di uso comune, legati ai piani o alle porzioni di piano dalla relazione di accessorietà, sia per quanto riguarda la disposizione sia per ciò che concerne la gestione, è regolata dalle norme sul condominio. In definitiva, l’esistenza del condominio e l’applicabilità delle norme in mate­ria non dipende dal numero delle persone, che ad esso partecipano.

prima di chiudere sul punto, conviene ribadire le ragioni, che determi­nano la disciplina differente del condominio e della comunione in gene­rale. La ragione di fondo è la diversa utilità dei beni, che formano oggetto del condominio e della comunione: rispettivamente, l’utilità strumentale e l’utilità finale. Le parti comuni dal codice sono considerate beni strumentali al godimento dei piani o delle porzioni di piano in proprietà esclusiva; cose in comunione costituiscono beni autonomi, suscettibili di utilità fine a se stessa e come tali sono considerate. D’altra parte, nessuna norma prevede che le disposizioni dettate per il condominio negli edifici non si applichino al “condominio minimo”, composto da due soli proprietari. per la verità, le due sole norme concernenti il numero dei partecipanti riguardano la nomina dell’amministratore ed il regolamento di condominio (l’art. 1129 cod. civ. fissa l’obbligatorietà della nomina dell’amministratore quando i condomini sono più di quattro; l’art. 1138 prevede che il regolamento di condominio debba essere approvato dall’assemblea quando il numero dei condomini è superiore a dieci).

nessuna norma dettata in materia di condominio contempla il numero minimo (due) dei condomini. pertanto, se nell’edificio ameno due piani o porzioni di piano appartengono in proprietà solitaria a persone diverse, il condominio ­ considerato come situazione soggettiva o come organizzazio­ne ­ sussiste sulla base della relazione di accessorietà tra cose proprie e co­muni e, per conseguenza, indipendentemente dal numero dei partecipanti trovano applicazione le norme specificamente previste per il condominio negli edifici…L’ipotesi del condominio minimo è del tutto simile ad altre, nelle quali la maggioranza in concreto non si forma. Si pensi al caso del condominio composto da più partecipanti, in cui gli schieramenti opposti

Maggioranze

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si equivalgono e non si determinano maggioranza e minoranza; oppure al caso di un condominio, del pari composto da più partecipanti, in cui un impianto risulti destinato al servizio di due soli condomini, i quali da soli sono chiamati a deliberare sulla gestione. in entrambi i casi, se in concreto la maggioranza non si forma si ricorre all’autorità giudiziaria ex art. 1105 cod. civ. cit.. A fortiori non sussistono ostacoli all’applicazione anche al condominio minimo delle norme concernenti la situazione soggettiva ( artt. 1117, 1118, 1119, 1122, 1123, 1124, 1135, 1136, 1137, 1138 cod. civ.)”.

1.11. Riferimenti giurisprudenziali.

cass., S.U., 18477/2010“. . .Per lungo tempo questa S.C. ha ritenuto che per l’approvazione o la

revisione delle tabelle millesimali è necessario il consenso di tutti i condomi-ni; ove tale consenso unanime manchi, alla formazione delle tabelle provve-de il giudice su istanza degli interessati, in contraddittorio con tutti i condo-mini (cfr. in tal senso: sent. 5 giugno 2008 n. 14951; 19 ottobre 1988 n. 5686; 17 ottobre 1980 n. 5593; 18 aprile 1978 n. 1846; 8 novembre 1977 n. 4774; 6 marzo 1967 n. 520). A sostegno di tale sono stati addotti vari argomenti. Si è affermato che la determinazione dei valori della proprietà di ciascun condomino e la loro espressione in millesimi è regolata direttamen-te dalla legge, per cui non rientra nella competenza dell’assemblea (sent. 27 dicembre 1958 n. 3952; 9 agosto 1996 n. 7359) oppure si è fatto riferimen-to alla natura negoziale dell’atto di approvazione delle tabelle millesimali, nel senso che, pur non potendo essere considerato come contratto, non avendo carattere dispositivo (in quanto con esso i condomini, almeno di solito, non intendono in alcun modo modificare la portata dei loro rispettivi diritti ed obblighi di partecipazione alla vita del condominio, ma intendono soltanto determinare quantitativamente tale portata), deve essere inquadra-to nella categoria dei negozi di accertamento, con conseguente necessità del consenso di tutti i condomini (sent. 8 luglio 1964 n. 1801) oppure an-cora si è fatto leva sul fatto che, essendo le tabelle millesimali predisposte anche al fine del computo della maggioranza dei condomini (quorum) nel-le assemblee, hanno carattere pregiudiziale rispetto alla costituzione e alla validità delle deliberazioni assembleari, e quindi non possono formarne og-getto (sent. 6 marzo 1967, cit., per la quale il fatto che le tabelle siano con-tenute nel regolamento, a norma dell’art. 68 disp. att. c.c., sta semplicemen-te ad indicare una allegazione formale che non muta la natura intrinseca dell’istituto come innanzi descritta). Secondo tale orientamento, in conse-guenza della inesistenza di una norma la quale attribuisca all’assemblea la competenza a deliberare in tema di tabelle millesimali, la deliberazione di approvazione delle tabelle adottata a maggioranza è inefficace nei confron-ti del condomino assente o dissenziente per nullità radicale deducibile sen-

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za limitazione di tempo (sent. 9 agosto 1996 n. 7359). La eventuale appro-vazione a maggioranza di una tabella millesimale non sarebbe, tuttavia, senza effetti. Si è, in proposito, affermato che le deliberazioni in materia adottate dalla assemblea, sia a maggioranza sia ad unanimità dei soli con-domini presenti, configurerebbero una ipotesi di nullità non assoluta, ma soltanto relativa, in quanto non opponibile dai condomini consenzienti, e non obbligherebbero i dissenzienti e gli assenti, i quali potrebbero dedurne la inefficacia secondo i principi generali, senza essere tenuti all’osservanza del termine di decadenza di cui all’art. 1137 c.c. (sent. 6 marzo 1967, cit.; 23 dicembre 1967 n. 3012; 6 maggio 1968 n. 1385; 6 marzo 1970 n. 561; 14 dicembre 1974 n. 4274; nel senso che gli assenti ed i dissenzienti po-trebbero far valere la nullità relativa dell’atto, ai sensi dell’art. 1421 cod. civ., costituita dalla loro mancata adesione, cfr. sent. 14 dicembre 1999 n. 14037). La limitata efficacia da attribuire a tabelle millesimali approvate a maggioranza è stata giustificata con la considerazione che la determinazio-ne dei valori viene attuata agli effetti degli artt. 1123, 1124, 1126 e 1136 c.c.: essa riguarda, cioè, la ripartizione delle spese e il funzionamento delle assemblee, ma non incide sui diritti reali, e neppure sul valore reale dei beni; dato che, a norma dell’art. 68 cit., u.c., nell’accertamento dei valori in mil-lesimi non si tiene conto del canone locatizio, dei miglioramenti e dello sta-to di manutenzione della cosa, ne consegue che la formazione o la modifi-cazione dei valori millesimali non può che dar luogo a un rapporto di natura personale, le cui diverse determinazioni ben possono avere efficacia limitatamente ai condomini che le posero in essere, senza che, al riguardo, debba dunque parlarsi di nullità assoluta (6 marzo 1967, cit.). Si è anche ritenuto (sent. 6 marzo 1967, cit.) che la impugnazione non è consentita neppure al successore a titolo particolare nella proprietà dell’appartamento del condomino che ha dato il suo consenso alla approvazione a maggioran-za delle tabelle millesimali: posto, infatti, che gli obblighi dei condomini, relativi ai beni compresi nel condominio, come quello della partecipazione alle spese comuni, o del rispetto della maggioranza assembleare, rappresen-tano, nell’ambito del particolare istituto, vincoli di natura personale previsti dalla legge (e non dalla volontà delle parti) in diretta dipendenza del diritto reale, essi si trasferiscono automaticamente, anche per atto tra vivi, con il trasferimento di quel diritto, e indipendentemente dalle limitazioni che de-rivano dalla pubblicità per esso prevista, alla stregua di quanto avviene, a causa del loro carattere ambulatorio, per le obbligazioni propter rem o rei cohaerentes, non potrebbe negarsi che anche le determinazioni necessaria-mente connesse con quegli obblighi si trasferiscano contemporaneamente con essi nel successore a titolo particolare, in forza del principio per il quale l’oggetto del trasferimento perviene all’acquirente nella stessa misura e con le stesse facoltà con cui esso appartenne al precedente titolare (nemo plus

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iuris quam ipse habet transferre potest). Tale conclusione troverebbe confer-ma nella considerazione che la stessa osservanza dei valori millesimali co-stituisce una obbligazione ex lege, sì che, rappresentando i valori medesimi la valutazione proporzionale della parte rispetto al tutto, ed avendo funzio-ne strumentale al fine precipuo della ripartizione delle spese comuni e della formazione del quorum della maggioranza assembleare, essi vengono, in sostanza, a realizzare la quantificazione e la determinazione concreta di quell’obbligo, con la conseguenza che, con il trasferimento di esso nel suc-cessore a titolo particolare, si trasferisce la determinazione concreta dei va-lori fatta in sede assembleare con il consenso del dante causa, in forza dei principi sopra enunciati. Secondo altre decisioni la deliberazione assunta a maggioranza sarebbe affetta da nullità assoluta (e quindi inefficace anche per coloro che hanno votato a favore) ove non sia stata assunta con la mag-gioranza degli intervenuti che rappresentino anche la metà del valore del-l’edificio, mentre sarebbe affetta da nullità relativa derivante dalla loro man-cata adesione solo nei confronti degli assenti e dissenzienti ove assunta con la maggioranza in questione (sent. 24 novembre 1983 n. 7040; 9 febbraio 1985 n. 1057). È stata anche prospettata la semplice inefficacia della deli-bera di approvazione non all’unanimità dei condomini, da ritenere condi-zionata al raggiungimento in epoca successiva del consenso unanime verifi-catosi in virtù dell’applicazione di fatto delle tabelle da parte dei condomini assenti (sent. 17 ottobre 1980 n. 5593). È comunque costante l’affermazio-ne che nel comportamento dei condomini assenti i quali abbiano pagato i contributi condominiali secondo le tabelle approvate a maggioranza è pos-sibile individuare una accettazione delle tabelle stesse, non vertendosi in tema di effetti reali, per cui il consenso alla approvazione delle tabelle, non postulando il requisito di particolari requisiti formali, può ben manifestarsi per facta concludentia (sent. 8 novembre 1977 n. 4774; 19 ottobre 1988 n. 5686). Principi analoghi sono stati affermati con riferimento alla modifica delle tabelle millesimali. Si è, pertanto, ritenuto che la partecipazione con il voto favorevole alle reiterate delibere adottate dall’assemblea dei condomi-ni di un edificio per ripartire le spese straordinarie secondo un valore delle quote dei singoli condomini diverso da quello espresso nelle tabelle millesi-mali, o l’acquiescenza rappresentata dalla concreta applicazione delle stes-se tabelle per più anni (sent. 16 luglio 1991 n. 7884; 19 ottobre 1988 n. 5686), può assumere il valore di univoco comportamento rivelatore della volontà di parziale modifica delle tabelle millesimali da parte dei condomini che hanno partecipato alle votazioni o che hanno aderito o accettato la differente suddivisione e può dare luogo, quindi, ad una convenzione mo-dificatrice della disciplina sulla ripartizione delle spese condominiali, che, avendo natura contrattuale e non incidendo su diritti reali, non richiede la forma scritta, ma solo il consenso anche tacito o per facta concludentia,

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purché inequivoco di tutti i condomini (sent. 17 maggio 1994 n. 4814). Il consenso non potrebbe, invece, dedursi dal comportamento tenuto da quei condomini che nella assemblea abbiano già espresso dissenso dalla appro-vazione delle tabelle millesimali, in quanto, in presenza della loro esplicita volontà, non è lecito ricercare una contraria volontà tacita o presunta che sulla prima dovrebbe prevalere (sent. 9 febbraio 1985 n. 1057; nel senso che i condomini, partecipando alle assemblee per tre anni ed effettuando i pagamenti in conformità delle nuove tabelle, non manifestano per facta concludentia quel consenso che avevano espressamente negato in occasio-ne della relativa delibera condominiale cfr. sent. 28 aprile 2005 n. 8863) o dal comportamento degli acquirenti (sent. 9 agosto 1996 n. 7359). Si di-stacca implicitamente, ma immotivatamente, da tale orientamento la sen-tenza 11 febbraio 2000 n. 1520, secondo la cui “massima” la modifica del-le tabelle millesimali già esistenti, ovvero la creazione di tali tabelle, costituisce facoltà riservata all’assemblea dei condomini, e non rientra tra i compiti dell’amministratore di condominio. Rileva il collegio che gli argo-menti addotti per sostenere la tesi della incompetenza della assemblea in ordine alla approvazione delle tabelle millesimali non sembrano convincen-ti. In ordine all’argomento secondo il quale la determinazione dei valori della proprietà di ciascun condomino e la loro espressione in millesimi è regolata direttamente dalla legge, per cui non rientra nella competenza del-l’assemblea, si può obiettare che: a) la legge non regola le concrete moda-lità di determinazione dei millesimi, ma si limita a stabilire che essi debbono essere espressione del valore di ogni piano o porzione di piano, escludendo l’incidenza di determinati fattori (art. 68 disp. att. c.c.); b) se la determina-zione dei valori delle singole unità immobiliari e la loro espressione in mille-simi fosse effettivamente regolata dalla legge, nel senso di escludere ogni margine di discrezionalità, non si comprenderebbe per quale motivo le ta-belle millesimali dovrebbero essere necessariamente approvate all’unanimi-tà o formate in un giudizio da svolgere nel contraddittorio di tutti i condo-mini, potendo, in teoria, addirittura provvedere l’amministratore. La affermazione che la necessità della unanimità dei consensi dipenderebbe dal fatto che la deliberazione di approvazione delle tabelle millesimali co-stituirebbe un negozio di accertamento del diritto di proprietà sulle singole unità immobiliari e sulle parti comuni è in contrasto con quanto ad altri fini sostenuto nella giurisprudenza di questa S.C. e cioè che la tabella millesima-le serve solo ad esprimere in precisi termini aritmetici un già preesistente rapporto di valore tra i diritti dei vari condomini, senza incidere in alcun modo su tali diritti (sent. 25 gennaio 1990 n. 431; 20 gennaio 1977 n. 298; 3 gennaio 1977 n. 1; nel senso che non è richiesta la forma scritta per la rap-presentanza di un condomino nell’assemblea nel caso in cui questa abbia per oggetto la approvazione delle tabelle millesimali, in quanto tale appro-

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vazione, quale atto di mera natura valutativa del patrimonio ai limitati effet-ti della distruzione del carico delle spese condominiali, nonchè della misura del diritto di partecipazione alla formazione della volontà assembleare del condominio, non è idonea a incidere sulla consistenza dei diritti reali a cia-scuno spettanti, cfr. sent. 28 giugno 1979 n. 3634). Quando, poi, i condomi-ni approvano la tabella che ha determinato il valore dei piani o delle porzio-ni di piano secondo i criteri stabiliti dalla legge non fanno altro che riconoscere l’esattezza delle operazioni di calcolo della proporzione tra il valore della quota e quello del fabbricato; in sintesi, la misura delle quote risulta determinata in forza di una precisa disposizione di legge. L’approva-zione del risultato di una operazione tecnica non importa la risoluzione o la preventiva eliminazione di controversie, di discussioni o di dubbi: il valore di una cosa è quello che è e il suo accertamento non implica alcuna opera-zione volitiva, ragion per cui il semplice riconoscimento che le operazioni sono state compiute in conformità al precetto legislativo non può qualificar-si attività negoziale. Il fine dei condomini, quando approvano il calcolo del-le quote, non è quello di rimuovere l’incertezza sulla proporzione del con-corso nella gestione del condominio e nelle spese: incertezza che non esiste perchè il rapporto non può formare oggetto di discussione, dovendo essere determinato sulla base di precise disposizioni; il fine dei condomini è solo quello di prendere atto della traduzione in frazioni millesimali di un rappor-to di valori preesistente e per conseguire questo scopo non occorre un ne-gozio il cui schema contempla come intento tipico l’eliminazione dell’incer-tezza mediante accertamento e declaratoria della situazione preesistente. In definitiva, la deliberazione che approva le tabelle millesimali non si pone come fonte diretta dell’obbligo contributivo del condomino, che è nella legge prevista, ma solo come parametro di quantificazione dell’obbligo, de-terminato in base ad un valutazione tecnica; caratteristica propria del nego-zio giuridico è la conformazione della realtà oggettiva alla volontà delle parti: l’atto di approvazione della tabella, invece, fa capo ad una documen-tazione ricognitiva di tale realtà, donde il difetto di note negoziali. Se si con-sidera che in base all’art. 68 disp. att. c.c. le tabelle servono agli effetti di cui agli artt. 1123, 1124, 1126 e 1136 c.c., cioè ai fini della ripartizione delle spese e del computo dei quorum costitutivi e deliberativi in sede di assem-blea, si avverte subito la difficoltà di supporre che una determinazione ad opera dell’assemblea possa incidere sul diritto di proprietà del singolo con-domino. Una determinazione che non rispecchiasse il valore effettivo di un piano o di una porzione di piano rispetto all’intero edificio potrebbe risulta-re pregiudizievole per il condomino, nel senso che potrebbe costringerlo a pagare spese condominiali in misura non proporzionata al valore della par-te di immobile di proprietà esclusiva, ma non inciderebbe sul diritto di pro-prietà come tale, ma piuttosto sulle obbligazioni che gravano a carico del

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condomino in funzione di tale diritto di proprietà, a cui si può porre riparo mediante la revisione della tabella ex art. 69 disp. att. c.c..Un negozio di accertamento del diritto di proprietà sulle singole unità immobiliari e sulle parti comuni, poi, dovrebbe risultare per iscritto; non sembra possibile, per-tanto, sostenere che il consenso dei condomini che non hanno partecipato alla delibera di approvazione delle tabelle millesimali potrebbe essere vali-damente manifestato per facta concludentia dal comportamento dagli stes-si tenuto successivamente alla delibera stessa, a prescindere dal fatto che è difficile attribuire un valore negoziale alla manifestazione di volontà dei condomini diretta alla approvazione della delibera (cioè di assunzione di un impegno nei confronti di coloro che hanno votato nello stesso modo e di proposta contrattuale nei confronti degli altri condomini) sia al comporta-mento degli altri condomini successivo alla delibera (cioè di accettazione di una proposta). Anche la affermazione secondo la quale le tabelle millesima-li, essendo predisposte anche al fine del computo delle maggioranze nelle assemblee, hanno carattere pregiudiziale rispetto alla costituzione ed alla validità delle deliberazioni assembleari e non possono quindi formarne og-getto, sembra in contrasto con la giurisprudenza secondo la quale un crite-rio di identificazione delle quote di partecipazione condominiale, dato dal rapporto tra il valore delle proprietà singole ed il valore dell’intero edificio, preesiste alla formazione delle tabelle millesimali e consente di valutare (ove occorre a posteriori ed in giudizio) se i quorum di costituzione dell’as-semblea e di deliberazione sono stati raggiunti, per cui le tabelle agevolano, ma non condizionano addirittura lo svolgimento delle assemblee ed in ge-nere la gestione del condominio (cfr., in tal senso, da ultimo: sent. 25 gen-naio 1990, cit.; 20 gennaio 1977, cit.; 3 gennaio 1977, cit.). In ordine alla affermazione che la deliberazione con la quale l’assemblea dovesse appro-vare non all’unanimità le tabelle millesimali sarebbe affetta da nullità as-soluta (e quindi inefficace anche per coloro che hanno votato a favore) ove non assunta con la maggioranza degli intervenuti che rappresentino anche la metà del valore dell’edificio, mentre sarebbe affetta da nullità relativa so-lo nei confronti degli assenti e dissenzienti, ove assunta con la maggioranza in questione, è agevole osservare che presuppone una distinzione tra nullità relativa e nullità assoluta di cui non vi è traccia nella legge ed è affetta da una intima contraddizione, in quanto se si parte dalla premessa che l’assem-blea non ha il potere di deliberare a maggioranza, non si riesce a compren-dere come, a seconda della maggioranza raggiunta, il vizio sarebbe di mag-giore o minore gravità. Da un punto di vista pratico la tesi della natura negoziale dell’atto di approvazione delle tabelle millesimali presenta, poi, degli inconvenienti. Non va, infatti, dimenticato che i contratti vincolano solo le parti ed i loro successori a titolo universale. Il considerare una tabel-la millesimale vincolante per i condomini solo in virtù del consenso dagli

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stessi, espressamente o tacitamente manifestato, comporterebbe la ineffica-cia della tabella stessa nei confronti di eventuali aventi causa a titolo parti-colare dai condomini, con la conseguenza che ad ogni alienazione di una unità immobiliare dovrebbe far seguito un nuovo atto di approvazione o un nuovo giudizio avente ad oggetto la formazione della tabella. Una volta chiarito che a favore della tesi della natura negoziale dell’atto di approva-zione delle tabelle millesimali non viene addotto alcun argomento convin-cente, se si tiene presente che tali tabelle, in base all’art. 68 disp. att. c.c., sono allegate al regolamento di condominio, il quale, in base all’art. 1138 c.c., viene approvato dall’assemblea a maggioranza, e che esse non accer-tano il diritto dei singoli condomini sulle unità immobiliari di proprietà esclu-siva, ma soltanto il valore di tali unità rispetto all’intero edificio, ai soli fini della gestione del condominio, dovrebbe essere logico concludere che tali tabelle vanno approvate con la stessa maggioranza richiesta per il regola-mento di condominio. In senso contrario non sembra si possa sostenere (sent. 6 marzo 1967, cit.) che la allegazione delle tabelle al regolamento è puramente formale, ma non significa anche identità di disciplina in ordine alla approvazione. In linea di principio, infatti, un atto allegato ad un altro, con il quale viene contestualmente formato, deve ritenersi sottoposto alla stessa disciplina, a meno che il contrario risulti espressamente. Va, infine, rilevato che la approvazione a maggioranza delle tabelle millesimali non comporta inconvenienti di rilievo nei confronti dei condomini, in quanto nel caso di errori nella valutazione delle unità immobiliari di proprietà esclusiva, coloro i quali si sentono danneggiati possono chiedere, senza limiti di tem-po, la revisione ex art. 69 disp. att. c.c.. Negli ultimi tempi si è affermato un orientamento il quale si distingue inconsapevolmente da quello “tradiziona-le” e secondo il quale in tema di condominio degli edifici, le tabelle millesi-mali allegate al regolamento condominiale, qualora abbiano natura conven-zionale - in quanto predisposte dall’unico originario proprietario ed accettate dagli iniziali acquirenti delle singole unità ovvero abbiano formato oggetto di accordo da parte di tutti condomini - possono, nell’ambito del-l’autonomia privata, fissare criteri di ripartizione delle spese comuni anche diversi da quelli stabiliti dalla legge ed essere modificate con il consenso unanime dei condomini o per atto dell’autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 69 disp. att. c.c.; ove, invece, abbiano natura non convenzionale ma delibe-rativa perchè approvate con deliberazione dell’assemblea condominiale - le tabelle millesimali, che devono necessariamente contenere criteri di riparti-zione delle spese conformi a quelli legali e a tali criteri devono uniformarsi nei casi di revisione, possono essere modificate dall’assemblea con la mag-gioranza stabilita dall’art. 1136 c.c., comma 2 (in relazione all’art. 1138 c.c., comma 3) ovvero con atto dell’autorità giudiziaria ex art. 69 disp. att. citato. Ne consegue che, mentre è affetta da nullità la delibera che modifichi

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le tabelle millesimali convenzionali adottata dall’assemblea senza il consen-so unanime dei condomini o se non siano stati convocati tutti i condomini, è valida la delibera modificativa della tabella millesimale di natura non con-venzionale adottata dall’assemblea con la maggioranza prescritta dall’art. 1136 c.c., comma 2 (sent. 28 giugno 2004 n. 11960; in senso conforme cfr.: sent. 23 febbraio 2007 n. 4219; 25 agosto 2005 n. 17276; sembra operare un sintesi tra il nuovo ed il precedente orientamento la sentenza 28 aprile 2005 n. 8863, per la quale l’adozione di nuove tabelle millesimali a modifi-ca di quelle allegate a regolamento contrattuale deve essere deliberata con il consenso di tutti i condomini e, in presenza di espresso dissenso, non può ritenersi prevalere una volontà diversa, tacita o presunta, essendo quest’ul-tima di per sè intrinsecamente equivoca; non è ben chiaro il pensiero della sentenza 22 novembre 2000 n. 15094, la cui “massima” afferma che la di-vergenza tra i valori, reali dei piani o delle porzioni di piano, rapportati al medesimo, e le tabelle millesimali derivata da innovazioni e ristrutturazioni successive all’atto che le approva giustifica la revisione delle stesse ad opera dell’assemblea condominiale, dei condomini per contratto, ovvero dell’au-torità giudiziaria).Tale nuovo orientamento, il quale è stato espressamente disatteso dalla sentenza 26 marzo 2010 n. 7300 però, non chiarisce, in pri-mo luogo, come possano esservi tabelle millesimali approvate con delibera-zione dell’assemblea condominiale, se la precedente giurisprudenza aveva escluso una competenza dell’assemblea in merito, e, in secondo luogo, sem-bra porsi in contrasto con la precedente giurisprudenza in tema di c.d. re-golamento condominiale di origine “contrattuale”; tale giurisprudenza, in-fatti, aveva chiarito che occorre distinguere tra disposizioni tipicamente regolamentari e disposizioni contrattuali e che solo per le seconde è neces-sario, ai fini della loro modifica, l’accordo di tutti i partecipanti, mentre le prime sono modificabili con le maggioranze previste dalla legge, precisando ulteriormente che: a) sulla diversa natura dei due gruppi di disposizioni e sul diverso loro regime di modificabilità non può incidere la loro comune in-clusione nel regolamento (sent. 14 novembre 1991 n. 12173); b) hanno natura contrattuale solo le clausole limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni attributive ad alcuni condomini di maggiori diritti rispetti ad altri (sent. 30 dicembre 1999 n. 943); sulla base di tali pre-messe non sembra, in linea di principio, poter riconoscere natura contrat-tuale alle tabelle millesimali per il solo fatto che, ai sensi dell’art. 68 disp. att. cod. civ., siano allegate ad un regolamento di origine c.d. “contrattuale”, ove non risulti espressamente che si sia inteso derogare al regime legale di ripar-tizione delle spese, si sia inteso, cioè, approvare quella “diversa convenzio-ne” di cui all’art. 1123 c.c., comma 1, (in senso conforme cfr. implicitamen-te la sentenza 2 giugno 1999 n. 5399, la quale, con riferimento ad una ipotesi in cui le tabelle allegate al c.d. regolamento contrattuale non aveva-

Page 30: 17 - La Tribuna · 2014. 9. 4. · 17 TABeLLe MILLeSIMALI 1. Tabelle millesimali. 1.1. Principi generali. Il principio generale che regola la ripartizione degli oneri condomi niali

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TABeLLe MILLeSIMALI

no rispettato il principio della proporzionalità di cui all’art. 68 disp. att. cod. civ., ha affermato che le tabelle millesimali allegate a regolamento contrat-tuale non possono essere modificate se non con il consenso unanime di tutti i condomini o per atto dell’autorità giudiziaria). Alla luce di quanto esposto deve, quindi, affermarsi che le tabelle millesimali non devono essere approvate con il consenso unanime dei condomini, essendo sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1139 c.c., comma 2, con conseguente fondatezza del primo motivo ricorso principale ed assorbimento degli altri motivi dello stesso ricorso . . .”.