158202270 Genette Soglie I Dintorni Del Testo

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Einaudi Paperbacks I 95

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Titolo originale Seuilx

© 1987 Éditions du Seuil, Paris

1989 Giulio Einaudi editore s. pf a., Torino

ISBN 88-06-I I 5 16-2

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Gérard Genette

I dintorni del testo

A cura di Camilla Maria Cederna

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Indice

p. IX

3

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ss64667374757981

85ss90

93

Nota del traduttore

Soglie

Introduzione

Il peritesto editorialeFormatiCollaneCopertina e annessiFrontespizio e annessiComposizione, tirature

Il nome dell'autoreLuogoOnimatoAnonimatoPseudonimato

I titoliDefinizioniLuogoMomentoDestinatoriDestinatariFunzioniDesignazioneTitoli tematiciTitoli rernaticiConnotazioniSeduzione?Indicazioni generiche

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I02

III

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Il priêre d'z`nsérerI quattro stadiDerive e annessi

Le dedicheLa dedica d'operaLuogoMomentoDedicatoriDedicatariFunzioniLa dedica d'esemplareLuogo, momentoDedicatore, dedicatarioFunzioni

Le epigrafiStoriaLuogo, momentoEpigrafatiEpigrafatoriEpigrafatariFunzioni

L'istanza prefativaDefinizionePreistoriaFormaLuogoMomentoDestinatoriDestinatari

Le funzioni della prefazione originaleI temi del perchéImportanzaNovità, tradizioneUnitàVeridicitàParafulminiI temi del comeGenesiScelta di un pubblicoCommento del titoloContratti di finzione

INDICE

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INDICE

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Ordine di letturaIndicazioni di contestoDichiarazioni di intenzioneDefinizioni genericheScappatoie

Altre prefazioni, altre funzioniPostfazioniPrefazioni ulterioriPrefazioni tardivePrefazioni allografePrefazioni attorialiPrefazioni finzionaliAutoriali denegativeAutoriali fittizieAllografe fittizieAttoriali fittizieSpecchi

Gli intertitoliCaso di assenzaGradi di presenzaFinzione narrativaStoriaTesti didatticiRaccolteIndici, titoli correnti

Le noteDefinizione, luogo, momentoDestinatori, destinatariFunzioniTesti discorsivi, note originaliUlterioriTardiveTesti di finzioneAllografeAttorialiFinzionali

L`epitesto pubblicoDefinizioniL'epitesto editorialeL'all0graf0 ufficioso

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VIII

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421

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L'aut0riale pubblicoRisposte pubblicheMediazioniIntervisteConversazioniColloqui, dibattitiAutocommenti tardivi

L'epitesto privatoCorrispondenzeConfidenze oraliDiari intimiAvantesti

Conclusione

Postfazlone' di Camilla Maria Cederna

Indice delle opere

Indice dei nomi

INDICE

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Nota del traduttore

Vorrei qui brevemente soffermarmi su alcune scelte che do-po molte indecisioni si sono imposte nel corso della traduzionedi Seuils. Innanzitutto il titolo Soglie, che traducendo letteral-mente Seuils ne dissolve il significativo riferimento alla casaeditrice Seuil. Giocando sul doppio statuto di nome comunee nome proprio il titolo francese viene cosí a connotare, tema-tizzandolo, un importante aspetto dell'oggetto paratestualeche è la sua derivazione editoriale.

Per quanto riguarda alcune forme paratestuali come avant-dire e après-dire ho preferito lasciarle in francese poiché, anzi-ché designare una classe di elementi, esse occorrono in quantodefinizioni particolari e poco diffuse di alcuni determinati testiprefativi. Diverso è il caso del priêre d 'z'nsérer, pratica parate-stuale definita attraverso la funzione che le era propria versola fine dell'Ottocento. Una volta esaurita tale funzione, l'e-spressione è rimasta a denotare il breve testo riassuntivo e dipresentazione generalmente disposto in quarta di copertina.Dato che il paratesto italiano non presenta un elemento esat-tamente corrispondente al priêre d 'z'nsérer, tradurre questa for-ma paratestuale tipicamente francese con alcuni possibili equi-valenti, quali appunto «quarta di copertina» 0 «inserto pub-blicitario ›› 0 << schedina bibliografica», avrebbe significato eli-minarne la specificità storico-funzionale.Infine, il lettore incontrerà una serie di neologismi, alcuni

dei quali già presenti nei precedenti saggi di Genette, sul mo-dello narratore/narratario, quali destinatore/destinatario, epi-grafatore/epigrafatario/epigrafato, dedicatore/dedicatario, eperfino biografatore.

CAMILLA MARIA ci-:DERNA

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Introduzione

L'opera letteraria è, interamente 0 essenzialmente, costi-tuita da un testo, vale a dire (definizione minima) da una se-rie piú o meno lunga di enunciati verbali piú o meno provvi-sti di significato. Questo testo, però, si presenta raramentenella sua nudità, senza il rinforzo e Paccompagnamento di uncerto numero di produzioni, esse stesse verbali 0 non verba-li, come un nome d'autore, un titolo, una prefazione, delle il-lustrazioni delle uali non sem re è chiaro se debbano esse-'d ” ' <1 1¬re consi erate o meno come appartenenti a esso, ma c e co-munque lo contornano e lo prolungano, per presentarla, appun-to, nel senso corrente del termine, ma anche nel suo senso piúforte: per renderlo presente, per assicurare la sua presenza nelmondo, la sua «ricezione ›› e il suo consumo, in forma, oggi al-meno, di libro. Questo accompagnamento, d'ampiezza e mo-dalità variabili, costituisce ciò che ho battezzato altrove',conformemente al senso spesso ambiguo di questo prefisso infrancese ' - pensate, dicevo, ad aggettivi come «parafiscale››

' Cfr. G. Genette, Palimpsestes: la littérature au second degré, Seuil, Paris1981, p. 9.

1 E sicuramente anche in altre lingue, se devo dar fede a questa osserva-zione di]. Hillis Miller che riguarda Yinglese: «Para è un doppio prefisso anti-tetico che designa contemporaneamente la prossimità e la distanza, la simila-rità e la differenza, l'interiorità e l'esteri0rità [...], un qualcosa che si trova si-multaneamente al di qua e al di là di una frontiera, di una soglia 0 di un margi-ne, avente uno statuto equivalente ma anche secondario, sussidiario, subordi-nato, come quello di un invitato verso chi lo ospita, uno schiavo verso il suopadrone. Una cosa in para non solo si trova simultaneamente da una parte eda].l'altra della frontiera che separa l'intern0 dall'estern0: essa è anche la fron-tiera stcssa, lo schermo che costituisce la membrana permeabile tra il dentro eil fuori. Essa li confonde lasciando entrare l'esterno e uscire 1”interno, sepa-randoli e unendoli›› (Tbe Critic as Host, ip Deconstruction and Criticism, TheSeabury Press, New York 1979, p. 2 19). E un'ottima descrizione dell`attivitàdel paratesto.

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o «paramilitare ›› -, il paratesto dell'opera. È attraverso il pa-ratesto dunque, che il testo diventa libro e in quanto tale sipropone ai suoi lettori e, in genere, al pubblico. Piú che di unlimite o di una frontiera assoluta, si tratta di una soglia, o -nelle parole di Borges a proposito di una prefazione - di un«vestibolo›› che offre a tutti la possibilità di entrare 0 di tor-nare sui propri passi. << Zona indecisa››' tra il dentro e il fuo-ri, essa stessa senza limiti rigorosi, né verso l'interno (il testo)né verso l'esterno (il discorso delle persone sul testo), margi-ne, o come diceva Philippe Lejeune, «frangia del testo stam-pato che, in realtà, dirige tutta la lettura ›› '. Questa frangia,in effetti, sempre portatrice di un commento autoriale, 0 piúo meno legittimato dall”autore, costituisce, tra il testo e ciò chene è al di fuori, una zona non solo di transizione, ma di tran-sazione: luogo privilegiato di una pragmatica e di una strate-gia, di un'azione sul pubblico, con il compito, piú o meno bencompreso e realizzato, di far meglio accogliere il testo e di svi-luppare una lettura piú pertinente, agli occhi, si intende, del-l'autore e dei suoi alleati. Su questa azione, è inutile dire chetorneremo: tutto il seguito di questo saggio tratterà unicamen-te di essa, dei suoi strumenti, delle sue modalità e conseguen-ze. Per dare un'idea della posta in gioco con l'aiuto di un so-lo esempio, una domanda innocente dovrebbe bastare: ridottoal suo solo testo e senza alcuna istruzione per l'uso, come leg-geremmo l' Ulysses di ]oyce se non si intitolasse Ulysses?

Il paratesto è composto dunque empiricamente da un insie-me eteroclito di pratiche e di discorsi di tutti i tipi e di tuttele età che io riunisco con questo termine in nome di una comu-nità di interessi, o convergenza di risultati, che mi sembra piúimportante della loro diversità. L'indice di questo studio miesonera, credo, dal fornire una enumerazione preliminare, se

' L'immagine sembra imporsi a chiunque abbia a che fare con il parate-sto: «zona indecisa [...] nella quale si mescolano due serie di codici: il codicesociale, nel suo aspetto pubblicitario, e i codici produttori 0 regolatori del te-sto›› (C. Duchet, Pour une socio-critique, in <<Littérature››, I (1971), p. 6);«zona intermedia tra ciò che è al di fuori del testo e il testo ›› (A. Compagnon,La seconde main, Seuil, Paris 1979, p. 328).

2 Ph. Lejeune, Le pacte autaßiograpbique, Seuil, Paris 1975, p. 45. Il se-guito di questa frase indica chiaramente che l'autore si riferiva in parte a ciòche qui definisco paratesto: «[...] nome dell'autore, titolo, sottotitolo, nomedella collana, nome dell'editore, fino al gioco ambiguo delle prefazioni››.

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INTRODUZIONE 5

non fosse per l'oscurità provvisoria di uno o due termini chenon tarderò a definire. L'ordine di questo percorso sarà, nellamisura del possibile, conforme a quello che generalmente ca-ratterizza l'incontro dei messaggi che esso esplora: presenta-zione esteriore di un libro, nome dell'autore, titolo, e tutto ilseguito cosí come si offre a un lettore docile, il che non è certoil caso di tutti. La posposizione infine di tutto ciò che battezzocome «epitesto ›› è certamente in questo senso particolarmentearbitraria, poiché molti lettori vengono a conoscenza di un li-bro, per esempio, grazie a un'intervista all'autore - oppureattraverso una recensione giornalistica o un consiglio espressoa voce che, secondo le nostre convenzioni, in genere non ap-partengono al paratesto, definito per la presenza di un'inten-zione e una responsabilità dell'autore; tuttavia, i vantaggi ditale raggruppamento risulteranno, spero, superiori agli incon-venienti. Inoltre, questa disposizione d'insieme non è di un ri-gore definitivo, e coloro i quali leggono abitualmente i libri co-minciando dalla fine o dalla metà potranno applicarvi lo stessometodo, se di metodo si tratta.

Inoltre, la presenza, intorno a un testo, di messaggi parate-stuali dei quali propongo un primo inventario sommario e cer-tamente non esauriente, non è uniformemente costante e si-stematico: esistono libri senza prefazioni, autori refrattari alleinterviste, e in alcune epoche l'iscrizione del nome dell'autore,o di un titolo, non era obbligatoria. I modi e le possibilità delparatesto si modificano incessantemente secondo le epoche,le culture, i generi, gli autori, le opere, le edizioni di una stessaopera, con differenze di pressione spesso notevoli: è ormai atutti evidente il fatto che la nostra epoca << mediatica ›› molti-plica intorno ai testi un tipo di discorso che il mondo classicoignorava, e a ƒortiori l'antichità e il medioevo, quando i testicircolavano spesso in uno stato quasi bruto, sotto forma di ma-noscritti sprovvisti di qualsiasi forma di presentazione. Dicoquasi perché già la trascrizione - ma anche la trasmissioneorale - sovrappongono all'idealità del testo una porzione dimaterializzazione, grafica o fonica, che può provocare, comevedremo, degli effetti paratestuali. In questo senso, credo sipossa senz'altro anticipare che non esiste, e che non è mai esi-stito un testo ' senza paratesto. Paradossalmente, esistono in-

' Dico testo, e non solamente opere, nel senso «nobile» della parola, poi-

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vece, sia pure accidentalmente, dei paratesti senza testo, co-me ad esempio nel caso di opere scomparse 0 abortite, dellequali conosciamo solo il titolo: cosí per le numerose epopeepost-omeriche o tragedie greche classiche, o per una certa Mor-sure de l'épaule che Chrétien de Troyes si attribuisce all'iniziodi Cligês, o per una Bataille des Tbennopyles che fu uno dei pro-getti abbandonati da Flaubert, e del quale non sappiamo nulla,tranne che la parola scbiniere non doveva figurarci. C'è ben diche sognare in questi soli titoli, ossia un po' piú che in molteopere disponibili ovunque, e leggibili dal principio alla fine.Inoltre, questo carattere variabilmente obbligatorio del para-testo vale anche per il pubblico e per il lettore: nessuno è te-nuto a leggere una prefazione, anche se questa libertà non èsempre ben accolta dall'autore, e, come vedremo in seguito, ungrande numero di note si rivolgono solamente ad alcuni lettori.

Per quanto riguarda lo studio particolare di ognuno di que-sti elementi, o piuttosto di questi tipi di elementi, esso sarà do-minato dalla considerazione di un certo numero di tratti il cuiesame permetta di definire lo statuto di un qualunque messag-gio paratestuale. Questi tratti descrivono, per l”essenziale, lesue caratteristiche spaziali, temporali, sostanziali, pragmati-che e funzionali. Per esprimerci piú concretamente: definireun elemento del paratesto consiste nel determinare la sua ubi-cazione (d0ve?), la data della sua apparizione ed eventualmentedella sua scomparsa (quando?), la sua modalità d'esistenza,verbale o altro (co7ne?), le caratteristiche della sua istanza dicomunicazione, destinatore e destinatario (da c/oi?, a cl?i?), ele funzioni che animano il suo messaggio: a quale scopo? Dueparole di giustificazione si impongono a proposito di questoquestionario un po' semplicistico, ma che, se bene usato, puòquasi interamente definire il metodo del lavoro che segue.

Un elemento del paratesto, se costituito da un messaggiomaterializzato, ha necessariamente un'ul›icazione, che si puòsituate in relazione a quella del testo stesso: intorno al testo,nello spazio del volume stesso, come il titolo o la prefazione,e qualche volta inserito negli interstizi del testo, come i tito-

ché la necessità di un paratesto s`impone a qualsiasi specie di libri, con 0 sen-za alcuna pretesa estetica, anche se il nostro studio si limita ai paratesti delleopere letterarie.

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INTRODUZIONE 7

li dei capitoli o certe note; chiamerò peritesto ' questa primacategoria spaziale, certamente la piú tipica, e della quale trat-teranno i nostri primi undici capitoli. Sempre intorno al testo,ma a distanza piú rispettosa (0 piú prudente), tuttii messag-gi che si trovano, almeno originariamente, all'esterno del libro:generalmente in ambito mediatico (interviste, conversazioni),o in forma di comunicazione privata (corrispondenze, giorna-li intimi, e altro). E questa seconda categoria che chiamo,in mancanza di meglio, epitesto, e che occuperà gli ultimi duecapitoli. Come dovrebbe ormai essere chiaro, peritesto e epi-testo si dividono completamente e senza tregua il campo spa-ziale del paratesto; in altre parole, per gli appassionati di for-mule, paratesto = peritesto + epitesto 2.

La situazione temporale del paratesto può anch'essa definir-si in relazione a quella del testo. Se si adotta come punto di ri-ferimento la data di apparizione del testo, vale a dire quelladella sua prima edizione, o edizione originale ”, certi elementidel paratesto sono di produzione (pubblica) anteriore: è il casodei volantini pubblicitari, degli annunci «in corso di pubbli-cazione ››, 0, ancora, degli elementi legati a una pre-pubblica-zione in giornali o riviste, che il piú delle volte spariranno dalvolume, come i famosi titoli omerici dei capitoli dell'Ulysses,la cui esistenza ufficiale sarebbe stata, per cosí dire, decisa-mente prenatale: paratesti anteriori, dunque. Altri, i piú fre-quenti, appaiono contemporaneamente al testo: è il paratestooriginale, come la prefazione della Peau de cbagrin, prodottanel 183 1 insieme al romanzo che presenta. Altri infine appaio-no piú tardi del testo, per esempio in occasione di una secondaedizione, come la prefazione di Tbérêse Raquin (quattro me-si di intervallo), o di una riedizione piú tarda, come quella del-l'Essai sur les révolutions (ventinove anni). Per ragioni funzio-nali sulle quali tornerò, si può qui distinguere fra un parate-sto semplicemente ulteriore (come nel primo caso) e un pa-

' Questa nozione concorda con quella di «perigrafia» (périgrapbie) propo-sta da Compagnon, La seconde main cit., pp. 328-56.

2 Bisogna inoltre precisare che il peritesto delle edizioni erudite (di solitopostume) qualche volta contiene elementi che non appartengono al paratestonel senso che io gli attribuisco: è il caso degli estratti di rendiconti allografi(Sartre, Pléiade; Michelet, Flammarion; ecc.).

” Non terrò conto delle differenze tecniche (bibliografiche e da bibliofi-li), talvolta indicate, tra prima edizione corrente, edizione originale, editioprinceps, ecc., e chiamerò sommariamente originale la prima in base alla data.

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ratesto tardivo (come nel secondo caso). Se questi elementi ap-paiono dopo la morte dell'autore, li qualificherò, come tutti,postumi; se sono prodotti prima della sua morte, adotterò ilneologismo proposto dal mio maestro Alphonse Allais: para-testo antumo '. Ma questa opposizione non vale solamenteper gli elementi tardivi, poiché un paratesto può essere sia ori-ginale sia postumo, se accompagna un testo che è esso stessopostumo, come fanno il titolo e l°indicazione generica (ingan-nevole) della Vie d'Henry Brulard, écrite par lui-même. Romanimite' du Vicaire de Wakefield.

Se un elemento del paratesto può dunque comparire inqualsiasi momento, esso può allo stesso modo scomparire, de-finitivamente o meno, grazie a una decisione dell'autore 0 aun intervento esterno, o in virtú dell'usura del tempo. Vari ti-toli dell°epoca classica sono stati cosí ridotti dai posteri, per-fino sul frontespizio delle piú rigorose edizioni moderne, e tut-tele prefazioni originali di Balzac sono state deliberatamen-te eliminate nel 1842 al momento della raccolta definita Co-médie bumaine. Queste eliminazioni, molto frequenti, deter-minano la durata della vita degli elementi del paratesto. Alcunihanno vita decisamente breve: il record lo detiene, a mia co-noscenza, la prefazione alla Peau de cbagrin (un mese). Ho ap-pena scritto «definitivamente o meno ›› poiché un elementoche viene eliminato, ad esempio in una nuova edizione, puòsempre ricomparire in un°edizione successiva; alcune note del-la Nouvelle Héloise, scomparse nella seconda edizione, nonhanno tardato a riapparire; e le prefazioni «eliminate» da Bal-zac nel 1842 si ritrovano oggi in tutte le buone edizioni. Ladurata del paratesto è spesso intermittente, e questa intermit-tenza, sulla quale tornerò, è strettamente legata al suo carat-tere essenzialmente funzionale.

La questione dello statuto sostanziale verrà qui risolta, o elu-sa, come spesso avviene in pratica, dal fatto che quasi tutti iparatesti considerati saranno essi stessi d”ordine testuale o perlo meno verbale: titoli, prefazioni, interviste, tutti enunciati

' Allais designa cosí quelle sue opere che erano state pubblicate in raccol-ta mentre egli era ancora in vita. Devo anche ricordare che postbumus «poste-riore al seppellimento», è una falsa etimologia, molto antica (e superba): po-stumus è semplicemente il superlativo di posterior.

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INTRODUZIONE 9

di diversa estensione, che però condividono lo statuto lingui-stico del testo. Molto spesso, dunque, il paratesto è esso stessoun testo: se non è ancora il testo, esso è già testo. Bisogna co-munque tener presente il valore paratestuale che può investirealtri tipi di manifestazioni: iconiche (le illustrazioni), materiali(tutto quello che deriva, per esempio, dalle scelte tipografiche,a volte molto significative, nella composizione di un libro), 0puramente fattuali. Qualifico come fattuale un paratesto co-stituito, non da un messaggio esplicito (verbale o altro), ma daun fatto la cui sola esistenza, se conosciuta dal pubblico, ap-porti qualche commento al testo e abbia un peso sulla sua ri-cezione. Questo vale per l'età o il sesso dell'autore (quanteopere, da Rimbaud a Sollers, devono una parte della loro ce-lebrità o del loro successo al prestigio della giovinezza? Leg-giamo forse nello stesso modo un «romanzo scritto da unadonna ›› e un romanzo tout court, ossia un romanzo scritto daun uomo?) o per la data dell'opera: «La vera ammirazione, -diceva Renan, - è storica ››; è comunque certo che la coscien-za storica dell'epoca che vide nascere un°opera è raramente in-differente alla sua lettura. Questi sono solo alcuni degli aspettipiú evidenti che caratterizzano il paratesto fattuale, e ce ne so-no molti altri, piú futili, come Pappartenenza a un'accademia(o a un'altra istituzione famosa), o l'ottenimento di un premioletterario; o piú fondamentali, e che ritroveremo, come l'esi-stenza, intorno all'opera, di un contesto implicito che ne pre-cisa o ne modifica piú o meno il significato: contesto autoriale,costituito, per esempio, intorno al Pêre Goriot, dall'insiemedella Comédie /øumaine; contesto generico', costituito, intor-no a quest'opera e a quest'insieme, dall'esistenza di un ge-nere chiamato « romanzo ››; contesto storico, costituito dall'e-poca definita «XIX secolo ››, ecc. Anche se non specificherò quila natura, né misurerò il peso di questi fatti di appartenenzacontestuale, dobbiamo mantenere, almeno in linea di princi-pio, l'idea che ogni contesto costituisca paratesto. La loro esi-stenza, come quella di qualsiasi specie di paratesto fattuale,può essere o meno portata a conoscenza del pubblico attraver-so un riferimento esso stesso appartenente all'ambito del pa-ratesto testuale: indicazione generica, menzione del prezzo sul-

' D'ora in poi l'aggettivo «generico ›› dovrà quasi sempre essere inteso nelsenso di «relativo al genere ›› [N . d. T.].

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I O SOGLIE

la fascetta, menzione dell'età in un priêre d 'insérer ', rivelazio-ne indiretta del sesso attraverso il nome, ecc. Non sempre c'èperò bisogno di menzionare questi fatti, di cui si viene spes-so a conoscenza grazie ad un effetto di «notorietà pubblica›>;come nel caso, valido per la maggior parte dei lettori della Re-cbercbe, dei due dati biografici costituiti dalliorigine semiebreadi Proust e dalla sua omosessualità, la conoscenza dei quali co-stituisce inevitabilmente il paratesto delle pagine della sua ope-ra dedicata a questi due argomenti. Non dico che bisogna sa-perlo: dico semplicemente che coloro che lo sanno non leggononello stesso modo di coloro che lo ignorano, e che coloro chenegano questa differenza si prendono gioco di noi. Lo stessovale, ovviamente, per i fatti riguardanti il contesto: leggereL'/lssommoir come un'opera indipendente e leggerla come unepisodio dei Rougon-Macquart costituiscono due letture moltodiverse. '

Lo statuto pragmatico di un elemento del paratesto è defi-nito dalle caratteristiche della sua istanza, o situazione, di co-municazione: la natura del destinatore, del destinatario, il gradodi autorità e di responsabilità del primo, la forza illocutoria delsuo messaggio, e indubbiamente da qualche altra caratteristicache ora mi sfugge. Il destinatore di un messaggio paratestua-le (come di qualsiasi altro messaggio) non è necessariamenteil suo produttore di fatto, la cui identità poco importa, comese la premessa della Comédie bumaine, firmata Balzac, fossestata di fatto redatta da uno dei suoi amici: il destinatore vienedefinito attraverso un°attribuzione putativa e una responsa-bilità assunta. Molto spesso si tratta dell'autore (paratesto au-toriale), ma può anche trattarsi dell'editore: a meno che nonsia firmato dall'autore, un priêre d 'insérer rientra nel paratestoeditoriale. L°autore e l°editore sono (tra gli altri, giuridicamen-te) le due persone responsabili del testo e del paratesto chepossono delegare una parte della loro responsabilità a un terzo:una prefazione scritta da questo terzo e accettata dall°autore,come quella di Anatole France per Les Plaisirs et les ]ours, ap-partiene ancora, mi pare (per il fatto stesso di essere accetta-ta), al paratesto - questa volta allograƒo. Ci sono poi situazio-

1 Si veda il capitolo relativo a questo elemento paratestuale la cui specifi-cità non può essere resa con nessuna entità equivalente del paratesto italianoIN. d. T.]. '

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INTRODUZIONE I I

ni in cui la responsabilità del paratesto viene in qualche mo-do condivisa: come in un'intervista, tra l'autore e colui chel'interroga e che in genere «raccoglie ›› e riporta, fedelmenteo meno, le sue parole.Il destinatario può essere approssimativamente definito «il

pubblico ››, ma è una definizione troppo vaga, che richiedequalche specificazione dato che il pubblico di un libro si esten-de virtualmente a tutta l'umanità. Alcuni elementi del para-testo sono effettivamente rivolti (il che non significa che loraggiungano) a un pubblico in generale, cioè a tutti: è il caso(come vedremo) del titolo o di un'intervista. Altri sono rivolti(con le stesse riserve) piú specificamente, e piú limitatamen-te ai soli lettori del testo: è il caso tipico della prefazione. Altri,come alcune vecchie forme di priêre d 'insérer, sono rivoltiesclusivamente ai critici; altri ai librai; tutto ciò (peritesto oepitesto) costituisce quello che chiameremo il paratesto pub-blico. Altri sono rivolti, oralmente 0 per iscritto, a singoli in-dividui, conosciuti o sconosciuti, che non sono necessariamen-te tenuti a farci caso: si tratta di paratesto privato, la cui par-te piú privata è costituita dai messaggi indirizzati dall'autorea se stesso, nel suo diario 0 altrove: paratesto intimo, per il suocarattere di autodestinazione, qualunque ne sia il contenuto.

Nella definizione di paratesto è necessario attribuire sem-pre una responsabilità, all'autore 0 a uno dei suoi collaborato-ri, ma questa necessità implica delle gradazioni. Prenderò inprestito dal vocabolario politico una distinzione corrente e piúfacile da utilizzare che da definire: quella dell'ufficiale e del-l'ufficioso. E ufficiale qualsiasi messaggio paratestuale aper-tamente dichiarato dall'autore e/o dall°editore, e verso il qualeegli non può negare la propria responsabilità. Ufficiale, dun-que, tutto ciò che, di origine autoriale o editoriale, figuri al-l”interno del paratesto antumo, come il titolo ola prefazioneoriginale; oppure i commenti firmati dall'autore in un'operadella quale egli sia integralmente responsabile, come per esem-pio Le Vent Paraclet di Michel Tournier. E ufficiosa la mag-gior parte dell'epitesto autoriale, interviste, conversazioni econfidenze, delle quali l'autore può sempre piú o meno negarela propria responsabilità attraverso denegazioni del tipo: «Nonè esattamente quello che ho detto ››, 0 «Erano delle afferma-zioni improvvisate››, o «Non dovevano essere pubblicate ››, op-pure attraverso una «dichiarazione solenne» come quella di

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Robbe-Grillet a Cerisy `, con la quale egli negò in blocco tut-ta «l'importanza›› dei suoi « articoli di giornale piú o meno rac-colti in un volume col nome di Saggi», e « a maggior ragione ››delle «dichiarazioni orali che posso fare qui, pur essendo con-sapevole che verranno in seguito pubblicate ›> - compresaquesta stessa, m”immagino, nuova versione del paradosso delCretese. Ufficioso inoltre, e forse soprattutto, ciò che l'autorelascia o fa dire a un terzo, prefatore allografo o commentatore« autorizzato ››: si veda per esempio il ruolo svolto da Larbaudo da Stuart Gilbert nella diffusione, organizzata ma non con-sapevolmente accettata, delle chiavi omeriche dell' Ulysses. Esi-stono naturalmente situazioni intermedie o indecidibili in ciòche è puramente una differenza di grado, ma il vantaggio diqueste sfumature è innegabile: a volte si ha interesse a che cer-te cose << si sappiano», senza esserne (ritenuti) gli autori.Un'ultima caratteristica pragmatica del paratesto è quella

che chiamo, prendendo molto liberamente in prestito questoaggettivo dai filosofi del linguaggio, la forza illocutoria del suomessaggio. Si tratta sempre di una gradazione di livelli. Un ele-mento del paratesto può comunicare una pura e semplice in-formazione, per esempio il nome dell”autore o la data di pub-blicazione; può rendere nota un'intenZione, o un'interpretazio-ne autoriale e/o editoriale: è la funzione cardinale della mag-gior parte delle prefazioni; è inoltre quella delliindicazione ge-nerica che appare su alcune copertine o nel frontespizio: romannon significa «questo libro è un romanzo ››, asserzione defini-tiva che nessuno può permettersi, ma piuttosto: «Consideratequesto libro come un romanzo». Può trattarsi di una vera epropria decisione: Stendhal, o Le Rouge et le Noir, non significa«Mi chiamo Stendhal» (che è falso rispetto allo stato civile) o«Questo libro si chiama Le Rouge et le Noir» (che non ha al-cun senso), ma «Scelgo Stend/oal come pseudonimo», e «Io,autore, decido di intitolare questo libro Le Rouge et le Noir».O di un impegno: alcune indicazioni di genere (autobiografia,storia, memorie) hanno, si sa, un valore contrattuale piú vin-colante («Mi impegno a dire la verità››) di altre (romanzo, sag-gio), e una semplice menzione come Primo volume o Tomo Iha la forza di una promessa o, come dice Northrop Frye, diuna «minaccia››. O di un consiglio, o addirittura di un'ingiun-

' Cfr. Colloque Robbe-Grillet (1975), Gallimard, Paris 1976, I, p. 316.

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INTRODUZIONE I 2,

zione: << Questo libro, - dice Hugo nella prefazione alle Con-templations, - deve essere letto come si leggerebbe il libro diun morto »; «Tutto ciò, - scrive Roland Barthes all'inizio diRoland Bart/aes par lui-même, - deve essere considerato comepronunciato da un personaggio di un romanzo», e certe auto-rizzazioni (<< Potete leggere questo libro in questo o quell”or-dine, potete saltare questo o quello ››) indicano chiaramente,anche se per difetto, la capacità ingiuntiva del paratesto. Al-cuni elementi comportano anche il potere che *i logici chiama-no performativo, vale a dire il potere di compiere ciò che de-scrivono (<< La seduta è aperta››): è il caso delle dediche. Dedi-care un libro 0 scrivervi una dedica a Tal dei Tali equivalea stampare, o scrivere su una delle sue pagine una formuladel tipo: «A Tal dei Tali». Caso limite dell'efficacia parate-stuale, poiché basta dire per fare. Ma è già abbastanza signi-ficativa di questo fenomeno l'imposizione di un titolo o lascelta di uno pseudonimo, azioni mimetiche di grande forzacreativa.

Queste osservazioni sulla forza illocutoria ci hanno dunqueimpercettibilmente condotti verso l'essenziale, e cioè l'aspettofunzionale del paratesto. Essenziale, perché, secondo ogni evi-denza, e tranne qualche eccezione puntuale che incontreremoqua e là, il paratesto, in tutte le sue forme, è un discorso fon-damentalmente eteronomo, ausiliare, al servizio di qualcos'al-tro che costituisce la sua ragion d'essere, e che è il testo. No-nostante possano essere investiti di qualche valenza esteticao ideologica (« bel titolo», prefazione-manifesto), malgrado lecivetterie, le inversioni paradossali inventate dall'autore, unelemento del paratesto è sempre subordinato al « suo ›› testo,e questa funzionalità determina l°essenza del suo aspetto e del-la sua esistenza. Ma, contrariamente alle caratteristiche di luo-go, di tempo, di sostanza o di regime pragmatico, le funzionidel paratesto non possono essere descritte teoricamente, e inun certo senso a priori, negli stessi termini di statuto. La situa-zione spaziale, temporale, sostanziale e pragmatica di un ele-mento paratestuale viene determinata da una scelta, piú o me-no libera, operata all'interno di una griglia generale e costantedi alternative possibili, della quale esso può adottare un solotermine ad esclusione degli altri: una prefazione è necessaria-mente (per definizione) peritestuale, è originale, ulteriore o

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tardiva, autoriale o allografa, ecc., e questa serie di opzioni odi necessità definisce in modo rigido uno statuto, e quindi untipo. Le scelte funzionali non sono di quest”ordine alternati-vo ed esclusivo del genere 0/oz un titolo, una dedica, una pre-fazione, un'intervista possono mirare contemporaneamente adiversi fini, scelti senza esclusiva all'interno del repertorio, piúo meno aperto, proprio di ogni tipo di elemento: il titolo ha lesue funzioni, la dedica le sue, la prefazione ne garantisce altre,a volte anche le stesse, senza che vi sia bisogno di ulteriori spe-cificazioni: un titolo tematico come Guerra e Pace non descriveil proprio testo nello stesso modo di un titolo formale comeEpistole o Sonetti, la posta in gioco della dedica di un esemplarenon è la stessa della dedica di un'opera, una prefazione tardivanon mira agli stessi fini di una prefazione originale, né una pre-fazione allografa a quelli di una prefazione autoriale, ecc. Lefunzioni del paratesto costituiscono dunque un oggetto mol-to empirico e molto diversificato, che deve essere colto indut-tivamente, genere per genere e spesso specie per specie. Leuniche regolarità significative che si possono introdurre inquesta apparente contingenza consistono nello stabilire quellerelazioni di dipendenza tra funzioni e statuti, e dunque aindividuare una sorta di tipi funzionali, e inoltre a ridurre ladiversità delle pratiche e dei messaggi a qualche tema fon-damentale e altamente ricorrente, poiché l'esperienza mo-stra che si tratta di un discorso piú «costretto» di molti altri,che gli autori innovano molto meno spesso di quanto non cre-dano.

Quanto agli effetti di convergenza (o di divergenza) che ri-sultano dalla composizione, intorno a un testo dell'insieme delsuo paratesto, e dei quali Lejeune ha indicato, a proposito del-l'autobiografia, la complessità a volte molto sottile, essi nonpossono che rientrare in un'analisi (e in una sintesi) singola-re, opera per opera, alla cui soglia si arresta inevitabilmenteuno studio di ordine generico come il nostro. Per darne unesempio molto elementare, poiché la struttura in causa sita a due termini, un titolo composito come Henri Matisse, ro-man presenta evidentemente, fra il titolo vero e proprio (HenriMatisse) e l'indicazione generica (roman), una discordanza cheil lettore è invitato a risolvere se possibile, 0 almeno a integrarecome figura ossimorica del tipo «mentir-vrai››, della quale so-lo il testo gli fornirà la chiave, con una definizione specifica,

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anche se la formula è destinata a fare scuola ', e addirittura abanalizzarsi diventando un genere.

Un'ultima precisazione, che mi auguro sia inutile: si trat-ta di uno studio sincronico e non diacronico; un tentativo didare un quadro generale e non una storia del paratesto. Questoproposito non è ispirato da alcun disprezzo per la dimensionestorica, ma - ancora una volta - dalla sensazione che si deb-bano definire gli oggetti prima di studiarne l°evoluzione. Es-senzialmente, infatti, il nostro lavoro consiste nel dissolveregli oggetti empirici ereditati dalla tradizione (per esempio «laprefazione ››), analizzandoli, da un lato, in oggetti piú specifici(la prefazione autoriale originale, la prefazione tardiva, la pre-fazione allografa, ecc.), integrandoli, dall'altro, in insiemi piúvasti (il peritesto, e piú in generale il paratesto) - consistedunque nel liberare delle categorie finora trascurate 0 malcomprese, la cui articolazione definisce il campo paratestua-le, e la cui determinazione costituisce la condizione di qualsiasiprospettiva storica. Le considerazioni diacroniche non sarannoquindi assenti da uno studio che riguarda, dopotutto, il ver-sante piú sociale della pratica letteraria (Porganizzazione delsuo rapporto con il pubblico), e che si trasformerà di tanto intanto in una specie di saggio sui costumi e le istituzioni dellaRepubblica delle Lettere. Ma esse non saranno stabilite a prioricome uniformemente determinanti: ogni elemento del para-testo ha la propria storia. Alcuni sono antichi quanto la lette-ratura, altri sono venuti alla luce, hanno cioè ottenuto il lorostatuto ufficiale, dopo secoli di «vita nascosta›> che costitui-scono la loro preistoria, con l'invenzione del libro, altri con lanascita del giornalismo e dei mass media moderni, altri nel frat-tempo sono scomparsi, e molto spesso gli uni si sostituisconoagli altri per svolgere, in modo migliore o peggiore, un ruoloanalogo. Alcuni, infine, sembrano aver conosciuto e conoscereancora un'evoluzione piú rapida e piú significativa di altri (mala stabilità è un fatto storico tanto quanto il mutamento): cosí,il titolo ha le sue modalità, molto evidenti, che fanno inevita-bilmente «epoca» semplicemente ad enunciarle; la prefazio-ne autoriale, al contrario, da Tucidide in poi non è mai cam-biata, se non nella sua presentazione materiale. La storia ge-

1 Ph. Roger, Roland Barthes, roman, Grasset-, Paris 1986.

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nerale del paratesto sarebbe dunque ritmata dalle tappe diun'evoluzione tecnologica che le fornisce i suoi mezzi e le sueopportunità, quella dei suoi incessanti fenomeni di slittamen-to, sostituzione, compensazione e innovazione che garantisco-no col passar del tempo la permanenza e, in certa misura, l'au-mento della sua efficacia. Per poter scrivere questa storia bi-sognerebbe disporre di un'indagine piú vasta e piú completadella presente, che non esce dai limiti della cultura occidentalee troppo raramente da quelli della letteratura francese. Ciò chesegue non è altro che un'esplorazione del tutto incoativa,provvisoriamente al servizio di quello che, grazie al lavoro dialtri, forse seguirà. Ma bando alle scuse e alle precauzioni, te-mi e stereotipi obbligati di ogni prefazione: mi sono già abba-stanza attardato sulla soglia della soglia'.

' Naturalmente questo studio deve molto ai suggerimenti dei diversi au-ditori grazie alla partecipazione dei quali è stato elaborato. A tutti e a tutte lamia profonda gratitudine e i miei ringraziamenti performativi.

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Il peritesto editoriale

Chiamo peritesto editoriale tutta quella zona del peritestoche dipende dalla responsabilità diretta e principale (ma nonesclusiva) dell'editore, o forse, piú astrattamente, ma piú esat-tamente, dell'edizione, cioè dal fatto che un libro venga pub-blicato, ed eventualmente ripubblicato e proposto al pubbli-co con una o piú presentazioni, piú o meno diverse. La paro-la zona indica che il tratto caratteristico di questo aspetto delparatesto è essenzialmente spaziale e materiale; si tratta del pe-ritesto piú esterno: la copertina, il frontespizio e i loro annessi;e della realizzazione materiale del libro, la cui esecuzione ècompetenza dello stampatore, ma la decisione, dell'editore,eventualmente in accordo con l'autore: scelta del formato, del-la carta, della composizione tipografica, ecc. Tutti questi fattitecnici riguardano la disciplina chiamata bibliologia, nella qua-le non desidero minimamente sconfinare in questa sede, nondovendo occuparmi che del loro aspetto e del loro effetto, cioèdel loro valore propriamente paratestuale. D'altra parte, il ca-rattere editoriale di questo paratesto lo assegna, nell°essenzia-le, ad un periodo storico relativamente recente, il cui terminusa quo coincide con l'inizio della stampa, ossia con l'epoca chegli storici di solito chiamano moderna e contemporanea. Que-sto non significa che l`era (molto piú lunga) pregutenberghiananon recasse traccia, nelle sue copie manoscritte che erano giàuna forma di pubblicazione, dei nostri elementi peritestuali -e dovremo in seguito interrogarci sul modo di mettere in evi-denza, nell”antichità e nel medioevo, elementi come il titoloo il nome dell'autore, la cui sede principale è oggi il peritestoeditoriale. Ma ciò che quest'epoca non ha conosciuto, proprioa causa della circolazione manoscritta (e orale) dei suoi testi,

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è la messa a punto editoriale di questo peritesto, che è d°ordineessenzialmente tipografico e bibliologico '.

Formati.

L'aspetto piú globale della realizzazione di un libro - equindi della materializzazione di un testo per l'uso pubblico- è senza dubbio la scelta del suo formato. Questa parola hacambiato significato una o due volte nel corso della storia. Inorigine, essa designa contemporaneamente il modo in cui unfoglio di carta viene o meno piegato per ottenere i « foglietti ››di un libro' (0, piú comunemente, le pagine, un «foglietto»recto-verso costituendo ovviamente due pagine, anche se unadelle due resta bianca), e la dimensione del foglio iniziale, de-signata convenzionalmente attraverso un tipo di filigrana (co-quille, jésus, raisin, ecc). Il formato di piega non indicava dun-que in sé le dimensioni piane di un libro; ma si è rapidamen-te stabilita la convenzione di stimare le une in rapporto all'al-tro: un volume in-folio (piegato una volta, da cui quattro pa-gine a foglio) o in-4° (piegato due volte, da cui otto pagine afoglio) era considerato un libro grande, un in-8° un libro me-dio, un in-12°, un in-16° 0 un in-18° un libro piccolo. Nell'e-poca classica, i «grandi formati» in-4° erano riservati alleopere serie (cioè religiose o filosofiche piuttosto che letterarie),o alle edizioni di prestigio e di consacrazione delle opere let-terarie: cosí le Lettres persanes escono in due volumi in-8°, maL'esprz't des lois in due volumi in-4°; le Lettres persanes avran-no l'onore dell'in-4° solo nella grande edizione collettiva delle(Euvres Montesquieu (1758) in tre volumi. La Nouvelle Hé-loise e l'Emile escono in-1 2°, e in seguito la grande edizionedelle opere «complete» del 1765 in sei volumi in-4°. Paul et

' Su queste questioni di storia e preistoria del libro, e all'interno dell'ab-bondante bibliografia su questo soggetto, rimando in particolare a L. Febvree H.-J. Martin, L'apparition du livre, Albin Michel, Paris 1958; A. Labarre,Histoire du livre, Puf, Paris 1970; e a H.-]. Martin e R. Chartier, Histoire del'édition française, 3 voll., Promodis, Paris 1983-87.' La pratica dei fogli piegati e rilegati in brossura o semplicemente rilega-

ti è di fatto anteriore all'uso della carta: risale alla sostituzione, nel 111 e Iv se-colo, del codex della pergamena al volumen del papiro; ma le tecniche di fab-bricazione della carta hanno contribuito a standardizzate, e dunque a codifi-care.

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IL PERITESTO EDITORIALE I9

Virginie esce in-4° nell'edizione << ricercata ›› e illustrata del1806 '. Questa ripartizione non esclude certo delle eccezio-ni (in-4° è la prima edizione del 1668 delle Fables di La Fon-taine), ma è sicuramente dominante.All'inizio del XIX secolo, quando i volumi grandi erano di-

ventati piú rari, si stabili una differenza di dignità tra i volumiin-8° per la letteratura seria e quelli in-1 2° e piú piccoli ancoraper le edizioni economiche riservate alla letteratura popolare:è noto che Stendhal parlava con disprezzo dei «romanzettiin-1 2° per le cameriere» 2. Ma anche le opere serie potevanoessere oggetto di una riedizione in «piccolo formato ››, vistoil loro successo, per una lettura piú familiare e «ambulato-ria ››. La prima edizione separata di Paul et Virginie (1789) erain-8°, «a favore, dice Bernardin, delle signore che desideranomettersi le mie opere in tasca ››; stessa giustificazione per laquarta edizione del Génie du Cbristianisme, «uno di quei libri,dice l'Avvertenza al lettore, che si ama leggere in campagna,e che si porta volentieri nelle passeggiate».

Questi esempi credo siano sufficienti a indicare il valore pa-ratestuale delle distinzioni di formato, che già avevano la forzae l'ambiguità della nostra opposizione tra «edizione corrente»e «edizione tascabile», dove la seconda può connotare sia il ca-rattere «popolare» di un'opera, sia il suo accesso nel pantheondei classici.Al di fuori di questa opposizione, sulla quale tornerò, il sen-

so moderno, puramente quantitativo, della parola << formato ››è certamente meno carico di valore paratestuale. La dimensio-ne delle nostre attuali edizioni si è normalizzata o banalizza-ta attorno ai formati medi del XIX secolo, con alcune varian-ti a seconda degli editori o delle collane che non hanno piú laminima pertinenza in se stesse, se non per l'abitudine, che du-ra da due o tre decenni, di pubblicare con un formato relati-vamente grande (circa 16 >< 24 cm) ipresunti best sellers, quei

' L'altra grande edizione di lusso di questo testo dall'invidiabile sorte fu,nel 1838, presso Curmer, un «grande in-8°» stampato in trentamila esemplarie consacrato «il piú bel libro del secolo».

2 «... stampati presso M. Pigoreau», «dove l`eroe è sempre perfetto e diuna bellezza stupefacente, fatto a pennello e con grandi occhi a fior di testa»,«molto piú letti in provincia del romanzo in-8° stampato da Levavasseur oGosselin, e nel quale l'autore cerca il merito letterario ›› (lettera a Salvagnolisu Le Rouge et le Noir, esso stesso in-8° presso Levavasseur).

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famosi «mattoni» dei quali è stato mille volte detto che dove-vano essere abbastanza grandi affinché in vetrina la loro co-pertina facesse l'effetto di un manifesto, e abbastanza pesantiper non far volare un asciugamano: via col vento. Si trattereb-be qui di un'inversione notevole, ma limitata, dell'opposizioneclassica. Limitata perché variabile e contraddetta dalla persi-stenza o dalla riapparizione di grandi formati prestigiosi comei 19 ›< 24 riservati da Gallimard ad alcune opere graficamen-te ambiziose come Le Fou d 'Elsa, o ai testi molto spazializ-zati di Michel Butor, come Mobile, Description de San Marco,6 810 ooo litres d 'eau par seconde, Boomerang 1, ecc.L'ultima accezione della parola «formato ›› non ha ovvia-

mente alcun legame con le modalità di piega (della quale og-gi non si è quasi piú consapevoli grazie alla generalizzazionedella rifilatura), né a dire il vero, alcun rapporto, malgrado leapparenze,- con la nozione di dimensione. Il termine «forma-to ›› va dunque inteso nella sua associazione all'espressione, in-dubbiamente provvisoria, di «formato tascabile ››. L'opposi-zione tra «edizione corrente ›› e «edizione tascabile ›> si fonda,come sappiamo, su alcuni tratti tecnici e commerciali dei qualila dimensione (possibilità di essere tenuto in tasca) non è cer-tamente la piú importante, pur avendo rappresentato per qual-che anno 2 un argomento pubblicitario incontestabile. Questaopposizione è molto piú legata all'antica distinzione tra libririlegati e in brossura, perpetuata nei paesi di lingua inglese nel-la distinzione tra bardcover e paperback, e alla lunghissima sto-ria delle collane popolari, che risale almeno ai piccoli Elzevierin-1 2 del XVII secolo, attraverso gli in-12 o in-32 della «Biblio-tèque bleue ›› di Troyes del XVIII secolo, e le collane «ferrovia-

' Quest'ultimo libro spinge lo sfruttamento delle risorse grafiche fino adutilizzare tre inchiostri di diverso colore: nero, blu e rosso. Un procedimentocertamente costoso, ma potenzialmente cosi efficace che ci si stupisce che siacosí raramente utilizzato al di fuori dei testi scolastici.

2 Certamente non per i primi anni: la menzione «tascabile ››, che non fi-gurava né nel xxx secolo presso Tauchnitz, né nel xx presso Albatross (1932),Penguin (1935) o Pelikan (1937), appare solo nel 1938 con Yamericano Pock-et Book e il suo simbolo, il canguro Gertrude. E Pocket era solo una collanatra le altre (Seal, poi Avon, Dell, Bentam, Signet, ecc.) che evidentementenon insistevano sullo stesso argomento. E il quasi-monopolio di circa vent'an-ni del francese Livre de poche (1953) che ha imposto nel nostro vocabolario ilriferimento al formato.

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IL PERITESTO EDITORIALE 2I

rie ›› ` del XIX. Non è certo il caso di riprendere un raccontoche è stato già fatto piú di una volta', quello della storia edella preistoria del libro «formato tascabile», né di tornare sul-la controversia che accolse, in particolare tra l'intelligenci/'afrancese, Femergenza di questo fenomeno °. Del tutto similea quelle che avevano accompagnato la nascita della scrittura,e in seguito quella della stampa, questa controversia si situa-va su un terreno tipicamente assiologico, per non dire ideolo-gico: si trattava di sapere, o meglio di dire, se la «cultura ta-scabile ›› fosse un bene o un male. Tali giudizi di valore ovvia-mente non rientrano nel nostro attuale obiettivo: buona o cat-tiva, fonte di ricchezza o di penuria culturale, la «cultura ta-scabile» è oggi un fatto universale, e l°espressione coniata daHubert Damisch si è rivelata - qualsiasi valutazione a parte -perfettamente corretta, poiché l'« edizione tascabile» - cioèsemplicemente la riedizione economica di opere antiche o re-centi dopo averle sottoposte alla prova commerciale dell'edi-zione corrente - è diventata uno strumento di «cultura ››, 0,in altre parole, di costituzione, e naturalmente di diffusione,di un fondo relativamente permanente di opere ipso facto con-siderate «classici ››. Uno sguardo alla storia dell°edizione mo-stra, d'altra parte, che - fin dalle origini- questo era propriol'obiettivo di precursori come Tauchnitz (inizio XIX: classicigreci e latini) o, un secolo dopo, dei fondatori di Albatross(1932, primo titolo: ]oyce, Dubliners): ripubblicare a bassoprezzo dei classici antichi o moderni per un pubblico fonda-mentalmente << universitario ››, cioè studentesco. Era inoltre,prima della seconda guerra mondiale, l°obiettivo di Penguine di Pelican. L'orientamento propriamente «popolare ››, co-

' Con questo termine Genette definisce le collane popolari nelle qualivengono pubblicati i libri che si trovano per lo piú nelle «librerie» delle sta-zioni, evitando cosí la connotazione peggiorativa dell'espressione comune«roman de quai de gare ›› [N. d. T.].

1 Si veda in particolare H. Schmoller, The Paperback Revolution, in A.Briggs (a cura di), Essays in the History ofPublishing, Longman, London 1974;Y. Johannot, Quand le livre devient poche, Pug, Grenoble 1978; P. Schrenders,Paperbacles, USA, a Graphic History, Blue Dolphin, San Diego (Cal.) 1981;G. de Sairigné, L'Aventure du livre de poche, Librairie Générale Française,Paris 1983, e il dossier pubblicato da «Le Monde» il 23 marzo 1984.' Cfr. H. Damisch, La culture de poche, in «Mercure de France», novem-

bre 1964, e la discussione che segui in «Les Temps modernes» dell”aprile emaggio 1965.

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minciato verso il 1938 negli Stati Uniti e favorito dalla guerra,fu incontestabilmente secondario, e l'attuale corsa ai «tasca-bili» seri, o eruditi (in Francia, Folio classico, Points, GF,ecc.), tutto quello che gli operatori tedeschi chiamano i libri«Suhrkamp» non è altro che un ritorno alle fonti motivatodall'evidente redditività (attuale) del mercato universitario. Losviluppo notevole dell'apparato critico e documentario è inol-tre parallelo a quello offerto dalle attuali collane semicritiche,come i Classici Garnier, o relativamente lussuose, come laPléiade, e che si ritrova anche nelle edizioni delle copertine deidischi o dei libri d'arte: l'erudizione al servizio della cultura- si direbbe forse in modo piú caustico: l'erudizione come se-gno di cultura - e la cultura come segno di cosa?Il «formato tascabile», dunque, oggi non è piú principal-

mente un formato, ma un vasto insieme 0 una nebulosa di col-lane - poiché chi dice «tascabile» dice sempre «collana» -,dalle piú popolari alle piú «distinte ›>, addirittura alle piú snob,il cui marchio, molto piú delle dimensioni, veicola due signi-ficati fondamentali. Uno, puramente economico, è la garan-zia (variabile, e spesso illusoria) di un prezzo piú vantaggioso;l'altro, «culturale ›>, e, per quanto ci riguarda, paratestuale, èla garanzia di una selezione che si basa sulla reprise, vale a direla riedizione. Le speculazioni erratiche circa la possibilità diun'inversione del flusso (pubblicare prima in formato tascabilee riprendere in seguito con un'edizione piú costosa i titoli cheabbiano superato brillantemente la prima prova) sembranocontrarie a tutti i dati tecnici, mediatici e commerciali, ben-ché alcuni libri abbiano eccezionalmente compiuto questo tra-gitto paradossale, e alcune collane tascabili accolgano a tito-lo sperimentale qualche testo inedito che viene cosí immedia-tamente consacrato. Perché l'edizione tascabile resterà sicu-ramente a lungo un sinonimo di consacrazione. Solo per que-sto, essa è in se stessa un formidabile (per quanto ambiguo, eproprio perché ambiguo) messaggio paratestuale.

Collane.

Questa breve deviazione nell'immenso continente dell'e-dizione tascabile ci ha dunque paradossalmente condotti dal-l'antica nozione di formato alla piú moderna nozione di col-

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IL PERITESTO EDITORIALE 23

lana, che probabilmente non è altro che una specificazione piúintensa, e talvolta piú spettacolare, della nozione di marchioeditoriale. Il recente sviluppo di questa pratica, della quale noncercherò qui di delineare né la storia, né la geografia, rispondecertamente al bisogno dei grandi editori di manifestare e con-trollare la diversificazione delle loro attività. Questo bisognoè oggi cosí forte che l°assenza di collane è sentita dal pubbli-co e articolata dai media come una specie di collana implicitao a contrario: cosí, ci si riferisce, con un abuso piuttosto legit-timo, alla «collection blanche›› di Gallimard per designare tut-to ciò che, nella produzione di questo editore, non ha un mar-chio specifico. Conosciamo tutti la potenza simbolica di que-sto grado zero, la cui denominazione ufficiosa trova quiun'ambiguità del tutto efficace, poiché il «bianco ›› svolge lafunzione di segno per assenza di significante.Il marchio della collana, anche in questa forma priva di

qualsiasi indicazione, è dunque un raddoppiamento del mar-chio editoriale, che indica immediatamente al lettore poten-ziale con quale tipo, se non addirittura con quale genere diopera egli abbia a che fare: letteratura francese o straniera,avanguardia o tradizione, saggistica o narrativa, storia o filo-sofia, ecc. Sappiamo che le collane tascabili hanno da moltotempo introdotto nella loro nomenclatura una specificazionegenerica simbolizzata dai vari colori (fin dagli Albatross, epoi dai Penguin degli anni '3o: arancione = narrativa, grigio =politica, rosso = teatro, porpora = saggistica, giallo = varie),da forme geometriche (nella Penguin del dopoguerra: qua-drato = narrativa, cerchio = poesia, triangolo = mistero, dia-mante = varie; nelle «Idées-Gallimard ››: un libro aperto =letteratura, una clessidra = filosofia, un cristallo = scienza, uninsieme di tre cellule = scienze umane - ci sarebbe da fareuno studio, piuttosto divertente, su queste rustiche simboliz-zazioni), o ancora, in « Points ››, attraverso l'evidenziazione,a colori, di un dato termine su una lista definita. Grazie a que-ste incursioni, a volte eccessive, nel campo delle scelte gene-riche o intellettuali, il paratesto tipicamente editoriale usur-pa palesemente le prerogative dell'autore, che si credeva sag-gista e si ritrova sociologo, linguista o teorico della letteratura.L'edizione (la società, dunque) è a volte strutturata come unlinguaggio, quello del Consiglio Universitario Nazionale o delComitato Nazionale per la Ricerca Scientifica: per discipline

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(e per ovvie ragioni). La cosa piú importante per entrare a farparte dei tascabili non è dunque sempre avere un particolareformato, ma piuttosto un particolare «profilo ›› e di farvi fronte.

Copertina e annessi.

Passare dal formato al marchio significa passare da un trattoglobale e implicito (tranne nelle bibliografie tecniche, e natu-ralmente nella collana << 1o/ 18 ››, che ha fatto del suo moduloun marchio, il tipo di piega e le dimensioni di un libro nonsono generalmente dichiarate, ed è il lettore a doverle perce-pire) a un tratto esplicito e localizzato. Il luogo del marchio èil peritesto editoriale: la copertina, il frontespizio` e i loroannessi, che presentano al pubblico, e poi al lettore, ben altreindicazioni, editoriali e autoriali, delle quali redigerò un in-ventario approssimativo e probabilmente lacunoso, prima ditornare, nei due o tre capitoli seguenti, su quelle piú impor-tanti.

La copertina stampata, dunque, su carta o cartoncino, è unfatto piuttosto recente che sembra risalire all”inizio del XIX se-colo. Nell'epoca classica i libri si presentavano con una rilega-tura di cuoio priva di indicazioni, a parte quella sommaria deltitolo e qualche volta del nome dell'autore, che figurava suldorso '. Si cita come esempio di una delle prime copertinestampate quella delle (Euvres complêtes di Voltaire presso Bau-doin, nel 1825. Il frontespizio era allora l'area principale delparatesto editoriale. Una volta scoperte le risorse della coper-tina, sembra che se ne sia intrapreso molto rapidamente losfruttamento. Ecco dunque, un semplice (e probabilmente in-completo) elenco di ciò che può figurare, senza un rigido or-dine, su una copertina, senza considerare le varie distinzionidi epoche e di generi. E implicito inoltre che queste possi-bilità non sono mai state sfruttate tutte insieme, e che le uni-

' Il nostro frontespizio equivale in francese a page de titre o pagina del tito-lo, mentre frontispice si riferisce specificamente alla pratica - oggi perlopiúdesueta - di decorare il titolo (cfr. infra) [N. d. T.].

2 Per dorso si intende qui la porzione visibile di un libro collocato in bi-blioteca e non - come talvolta nell'uso comune -la quarta di copertina.

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che menzioni obbligatorie sono il nome dell°autore, il titolodell'opera e il marchio dell'editore '.

Prima pagina di copertina:- nome o pseudonimo dell'autore (0 degli autori);- qualifica (-e) dell'autore (0 degli autori);- titolo (-i) dell'opera;. _- indicazione generica;- nome del o dei traduttori, del o dei prefatori, del o dei re-sponsabili dell'edizione critica del testo e dell'apparatocritico;- dedica;- epigrafe;- ritratto dell'autore, o, per alcuni studi biografici 0 criti-ci, della persona che è l'oggetto dello studio; *

- facsimile della firma dell'autore;- illustrazione specifica;- titolo e/o emblema della collana;- nome del o dei responsabili della collana;- nel caso di una riedizione, menzione della collana origi-nale;

- nome o ragione sociale e/o sigla e/o emblema dell°edito-re (o degli editori, nel caso di coedizione);- indirizzo dell'editore;- numero della tiratura, o «edizione ››, o « migliaio ››;- data;- prezzo di vendita.

A queste indicazioni verbali, numeriche o iconografiche lo-calizzate vengono di solito ad aggiungersi delle indicazioni piúglobali che dipendono dallo stile o dal disegno della coperti-na, caratteristica dell'editore, della collana, o di un gruppo dicollane. Una semplice scelta di colori per la carta della coper-tina può da sola indicare, e anche molto efficacemente, un tipoparticolare di libri. All'inizio del secolo, le copertine gialle era-no sinonimo dei libri francesi licenziosi: «Mi ricordo dell'ariascandalizzata con la quale un pastore anglosassone interpellòuna delle mie amiche in una ferrovia inglese: "Signora, forse

' Cfr. P. Jaffray, Fiez-vous aux apparences ou les politiques de couverturedes éditeurs, in «Livres-Hebdo», 31 marzo 1981.

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non s`a che Dio la vede mentre sta leggendo questo libro gial-lo?” E proprio questo significato maledetto, indecente, la ra-gione per la quale Aubrey Beardsley aveva chiamato la sua ri-vista The Yellow Book»'. Piú sottilmente, e' piú specifica-mente, la traduzione francese del Dr. Faustus di Thomas Mann(Albin Michel, 1962), recava, non molto tempo fa, una coper-tina con una partitura musicale appena tracciata sulla carta.

Le pagine 2 e 3 (interne) di copertina sono generalmentebianche, ma ci sono delle eccezioni: le riviste vi mettono spes-so qualche indicazione redazionale, e i piccoli «Microcosme››di Seuil comportano sempre un'illustrazione che può o, piut-tosto, che non può non essere paratestuale. Il Roland Barthespar Roland Barthes vi collocava due indicazioni manoscritte,di cui ho già citato la prima, vero e proprio (per quanto finzio-nale) contratto generico.

La pagina 4 di copertina è un altro luogo strategico che puòcomportare almeno:- un richiamo, per gli amnesici gravi, del nome dell”auto-re e del titolo dell'opera;

- una nota biografica e/o bibliografica;- un priêre d 'insérer;- estratti di articoli di giornali, o altri apprezzamenti, su al-cune opere anteriori dell'autore, se non addirittura suquella stessa, nel caso di una riedizione, o se l”editore èriuscito ad ottenerne qualcuno prima ancora della pubbli-cazione: è quest”ultima pratica che la consuetudine an-gloamericana designa con il termine evocativo blurb (o piúletteralmente, promotional statement), equivalente al no-stro bla-bla-bh o chiacchiere; qualche volta se ne trova sul-la prima pagina della copertina;- la menzione di altre opere pubblicate dallo stesso editore;- un'indicazione generica come alcune di quelle che ho giàcitato a proposito delle collane tascabili;- un progetto editoriale della collana;- una data di stampa;- un numero di ristampa;- la menzione dello stampatore della copertina;

1 M. Butor, Les Mots dans la peinture, Skira, Genève 1969, p. 123.

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- quella del grafico del bozzetto;- il riferimento dell'illustrazione della copertina;- il prezzo di vendita;- il numero ISBN (International Standard Book Number),creato nel 1975, il cui primo numero indica la lingua dellapubblicazione, il secondo l'editore, il terzo il numerod'ordine dell'opera nella produzione di quell'editore, ilquarto invece rappresenta, cosí mi dicono, una chiave dicontrollo elettronica;- il codice a barre magnetico, in via di generalizzazione perragioni pratiche evidenti: è senza dubbio l'unica indica-zione che non riguarda strettamente il lettore, ma imma-gino che i bibliofili finiranno per investirvi una parte dellaloro nevrosi;

- una pubblicità << a pagamento», cioè pagata all'editore daun industriale estraneo all'edizione (poiché dubito che uneditore accetti una pubblicità di un concorrente). Il let-tore è libero di stabilire una relazione significante con iltema dell'opera; esempio: pubblicità delle sigarette bion-de su Dashiell Hammett, Sang Maudit, « Carrê noir»,1982.

Dimentico sicuramente altri elementi, ma bisogna menzio-nare a contrario qualche quarta quasi completamente priva diindicazioni, come avviene presso Gallimard, al Mercure, pres-so Minuit, in particolare per le raccolte di poesie: questa di-screzione è ovviamente un segno esteriore di nobiltà.

Il dorso di copertina, spazio esiguo ma di evidente impor-tanza strategica, reca generalmente il nome dell'autore, il mar-chio dell°editore e il titolo dell'opera. Una grande disputa diordine tecnico oppone a questo punto i partigiani della stampaorizzontale 0 verticale e, tra i secondi, quelli della verticaleascendente (la maggior parte degli editori francesi) e quelli del-la verticale discendente: qualche francese, e la maggior partedegli stranieri, la cui argomentazione consiste nella coerenzadi questa disposizione con la posizione del libro appoggiato dipiatto sulla quarta di copertina; disposizione che permette dileggere contemporaneamente la prima e il dorso; senza contarequalche caso di coesistenza tra orizzontale e verticale. Scriven-do The Sot-W/eed Factor, John Barth pretende di aver avuto

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due obiettivi di_uguale importanza: il primo era di comporreun intreccio ancora piú complesso di quello di Tom Iones (scom-messa accettata); il secondo, di scrivere un libro piuttosto lun-go, e dunque piuttosto spesso, perché il suo titolo potesse es-sere stampato orizzontalmente su una sola linea sul dorso dicopertina. Non so se l'originale abbia rispettato questo propo-sito, ma ipaperbacks se ne guardano bene. Ad ogni modo, nonè necessario scrivere un lungo testo: basta adottare un titolobreve. L`ideale probabilmente sarebbe di proporzionare l'u-no all'altro e, in tutti i casi, impedire titoli piú lunghi del testo.

La copertina può infine comportare dei risvolti o bandel-le, resti atrofizzati di un'antica riempitura, che possono oggiospitare alcune delle indicazioni già citate, o un loro richiamo,e in particolare il priêre d 'inse'rer, il progetto editoriale dellacollana, le liste delle opere dello stesso autore 0 della stessa col-lana. Di nuovo, un risvolto lasciato in bianco, come tutti glisprechi, è un segno di prestigio.

Ma la copertina non è sempre, di fatto - e nell'attualeevoluzione della presentazione editoriale, lo è sempre di me-no -, la prima manifestazione del libro che venga offerta allapercezione del lettore, poiché si è diffusa la consuetudine dicoprirla, totalmente o parzialmente, di un nuovo supporto pa-ratestuale che è la sopracoperta (o liseuse) o la fascetta - gene-ralmente o l'una o l'altra. Il tratto materiale comune a questidue elementi, che autorizza a considerarli degli annessi dellacopertina, è il loro carattere rimovibile e costitutivamente ef-fimero, che invita quasi il lettore a sbarazzarsene una volta as-solta la loro missione pubblicitaria, ed eventualmente di pro-tezione. La fascetta' era originariamente perfino chiusa, for-se per impedire che si sfogliassero i libri in libreria (come og-gi alcuni imballaggi trasparenti, e in genere senza indicazioni),e ciò rendeva la conservazione ancora piú problematica, dopola sua estrazione o effrazione. Alcuni tratti funzionali sonomanifestamente legati a questo tratto fisico: la sopracopertae la fascetta recano preferibilmente dei messaggi paratestua-

' Il termine tecnico è «fascetta di lancio ›› o «fascetta delle novità». Indi-ca bene il carattere provvisorio dell”oggett0, che non è destinato ad accompa-gnare il libro oltre le prime edizioni, e il cui messaggio tipico, oggi fuori mo-da, probabilmente a causa della sua ovvietà, era fino a poco fa: «Vient de pa-raítre ›› (« Novità »).

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li essi stessi concepiti come transitori, da dimenticare una voltafatto il loro effetto.

La funzione piú evidente della sopracoperta è di attirarel'attenzione nei modi piú spettacolari che una copertina nonpuò o non intende permettersi: illustrazioni vistose, menzionedi un adattamento cinematografico 0 televisivo, o semplice-mente presentazione grafica piú lusinghiera o piú individua-lizzata di quanto non sia concesso dalle norme di copertina diuna collana. La sopracoperta di Paradis, del 1980, ne è un ec-cellente esempio: nessuna illustrazione, ma il titolo e soprat-tutto il nome dell°autore apparivano in grandi dimensioni suuno sfondo rosso. Essa portava inoltre, da sola (ci tornerò),l'indicazione generica «romanzo ››. La sopracoperta, beninte-so, può fare la sua comparsa anche in un secondo momento inuna nuova edizione o in una nuova tiratura, o semplicemen-te in occasione di un avvenimento che giustifichi la sua aggiun-ta: è il caso tipico dell'adattamento cinematografico, e perfinoun'edizione già diffusa può trovarvi una maniera comoda perrinnovarsi. La quarta di sopracoperta, il dorso, l”uno e/o l'altrodei suoi risvolti può eventualmente raddoppiare questo 0 quel-l°elemento del paratesto di copertina. Non intraprenderò l'e-numerazione delle mille e una variante di questo gioco, se nonper segnalare il caso raro di alcune sopracoperte dei ClassiciGarnier, che recavano nella loro facciata interna estratti delcatalogo, e quello delle sopracoperte della Pléiade, oggi aperteper far vedere, come certe scollature, la pelle del dorso delli-bro stesso.

La fascetta è, tanto per filare queste metafore tessili, unasorta di mini-sopracoperta ridotta al terzo inferiore dell'altezzadel libro, i cui mezzi di espressione sono di solito puramenteverbali - ma sembra si stia affermando la pratica di collocarviun'illustrazione o un ritratto dell'autore. La fascetta può ripe-tere piú in grande il nome dell'autore, o recare a posteriori lamenzione di un premio letterario ', o anche una formula au-toriale (Noel Burch, Praxis du cinéma, «Contro ogni teoria ››),o allografa (Denis Hollier, Politique de la prose: «L'impero dei

' O di accessit: dopo l'assegnazione del Goncourt a Les Ieunes Filles enƒleurs, nel 1919, l`infelice concorrente, Les Croix de bois di Roland Dorgelès,si ornò a sua volta con una fascetta che portava scritto in grossi caratteri:«Prix Goncourt››, e molto in piccolo: «Quattro voti su dieci››.

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segni, è la prosa» - Sartre). In tutti questi casi, e soprattuttoin questi ultimi due, la sua funzione paratestuale è evidente:è quella i:lell'epigrafe, che ritroveremo al suo posto canonico,ma di un'epigrafe che è qui allo stesso tempo fugace e piú mo-numentale. Difficile dire se essa ci guadagni piú di quanto nonperda, o viceversa. Non ricordo piú quale libro di Queneauportasse scritto questo dialogo sulla fascetta: «Stalin: Chiavrebbe interesse a che l'acqua non si chiamasse piú acqua?Queneau: Io ››. Né quale, di Jean-Claude Hémery, questo slo-gan presessantottesco: «A poêle Descartes! ›› '. Per altri esem-pi recenti si consulti Jan Baetens, Bande a part? ', che parla agiusto titolo, in particolare a proposito di alcune iniziative diJean Ricardou, di una testualizzazione della fascetta: assunzio-ne di un elemento editoriale da parte dell'autore, che lo fa en-trare a far parte del gioco del testo. Cosí, nella Prise de Costan-tinople, al mutamento finale del titolo in Prose de Costantinoplecorrispondeva un mutamento della fascetta, da (recto) «Lamacchina per guastare il tempo» a (verso) «Il tempo per gua-stare la macchina ››. Oppure, in Les lieux-dits, petit guide d 'unvoyage dans le livre, questo invito ambiguo, e rigorosamenteadattato al testo: «Diventi anche lei un viaggiatore alla mo-da ››. Avendo la casa editrice Seuil rinunciato da allora alla pra-tica onerosa della fascetta, lo stesso Ricardou fa stampare nel1982 sulla copertina di Théâtre des métamorphoses, questa falsafascetta in trompe-l'a›il: «Una nuova educazione testuale ››. Eforse questa la soluzione per il futuro - non mi riferisco alloslogan, ma al procedimento tecnico, tutto sommato paralleloal passaggio del priêre d 'insérer da una pagina una volta costo-samente inserita, alla quarta di copertina.

Prima di lasciare gli elementi rimovibili, una parola a pro-posito di certi cofanetti recanti varie indicazioni 0 illustrati,in genere per libri rilegati la cui copertina non può portareiscrizioni. Questo supporto potrebbe trovarsi anch'esso ungiorno testualizzato.. Invece, una pratica che sta scomparen-do, e probabilmente anch'essa per ragioni economiche, è quel-la del signet 0 segnapagine, che poteva comportare delle indi-cazioni, preziose o meno, specifiche o meno.

' Gioco di parole tra «à poil» (nudo) e «poêle» (stufa, quindi «al fuoco»,nonché «à la poêle», cioè «in padella ››) [N. d. T.].

3 Cfr. I. Baetens, Bande à part?, in «Consequences››, 1, autunno 1983.

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I.L PERITESTO EDITORIALE 3 I

Un caso molto particolare, e particolarmente importante,visto il ruolo svolto da questa collana nella cultura francese del-la seconda metà del XX secolo, è quello delle sopracoperte dellaPléiade, che non hanno la sola caratteristica (recente) di essereaperte sul dorso. Dato che si tratta di libri la cui rilegatura èsenza indicazioni, esse svolgono chiaramente il ruolo di coper-tine e in genere portano scritto (le loro norme sono cambiateda mezzo secolo), oltre al nome dell'autore e ad una titolazionesulla quale tornerò, il nome del curatore e dell'autore del com-mento al testo, e un ritratto dell”autore; e le edizioni in mol-ti volumi come quelle della Comédie humaine, dei Rougon-Macquart o della Recherche richiedono ovviamente vari ritrat-ti, la cui raccolta e distribuzione devono porre qualche proble-ma ai responsabili: si sarebbero dovuti, per esempio, trovarecinque ritratti di Zola e dodici di Balzac, e decidere una ripar-tizione che non può non implicare alcune connotazioni, desi-derate o meno. Poiché la Comédie humaine non segue una di-sposizione cronologica ma tematica, la distribuzione dei ritrat-ti di Balzac è probabilmente stata lasciata al caso, e non sem-bra che quelli di Zola siano stati scelti in funzione della pro-gressione temporale dei volumi. Nel caso della Recherche,invece, è come se gli editori del 1954 avessero scelto per il pri-mo volume un ritratto di Proust da giovane, per il secondo unProust mondano, fiore all'occhiello, e per il terzo un Proust ar-tista e invecchiato - connotazioni evidenti, per quanto inva-lidate dalle date reali di questi ritratti, rispettivamente del1891 , 1895, e 1896, cioè tutte e tre ampiamente anteriori al-l'elaborazione della Recherche e senza legami con la sua cro-nologia di redazione. Per il lettore che accorda certamente me-no attenzione a queste date reali indicate sui risvolti che all'ap-parenza dei ritratti stessi, un legame significativo si stabilisceirresistibilmente, non tanto con la cronologia della scritturadell'opera, quanto con la cronologia interna del racconto, valea dire, l'età dell'eroe. Questi tre ritratti gli evocano, dunque,allo stesso tempo l'invecchiamento di Proust e quello dell'eroe-narratore, cosa che attira inevitabilmente la Recherche versouno statuto autobiografico. Non voglio con ciò assolutamentedire che una tale interpretazione sia completamente illegittima(come vedremo), ma semplicemente che essa si trova ad esseresurrettiziamente indotta, o rafforzata, da una disposizione pa-ratestuale in linea di principio innocente e secondaria. Igno-

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ro quali saranno a questo proposito le scelte delle future edi-zioni; e probabilmente ci saranno altri effetti d'evocazio-ne, benvenuti o meno, con le illustrazioni scelte per la serieGarnier-Flammarion, apparentemente dedicate a Bonnard co-me la serie «Folio» lo era a Van Dongen. Sarà permesso, intutti i casi, se non dovessero ritornare alla luce, rimpiangerei sottili montaggi di foto ingiallite, di manoscritti in papera-les ' e di allusioni alla copertina bianca di Gallimard che orna-va, grazie a Pierre Faucheux, quelle della serie tascabile. Mala «pagina del manoscritto ›› è nel frattempo diventata, grazieanche alla voga giustificata della critica genetica, uno stereo-tipo di copertina. E ce n'è bisogno.

L'insieme di questi elementi periferici ha paradossalmen-te l'effetto di respingere la copertina propriamente detta (?)verso l'interno del libro, e di trasformarla in una seconda (anziuna prima) pagina del frontespizio. Alle origini del libro stam-pato, questa pagina era il luogo per eccellenza del paratestoeditoriale. La copertina stampata è venuta a raddoppiarla, 0a liberarla da alcune delle sue funzioni. La sopracoperta, la fa-scetta, eventualmente il cofanetto, fanno oggi lo stesso per lacopertina: segno di uno sviluppo, alcuni diranno di un”infla-zione, almeno delle possibilità (cioè degli eventuali supporti)del paratesto. Si potrebbero immaginare altre tappe, riguar-danti l'imballaggio: fodere per i cofanetti, sopra-fodere, ecc.,senza contare il dispiegamento di ingegno che viene investi-to nel materiale pubblicitario destinato ai soli librai, e infinealla loro clientela: manifesti, ingrandimenti di copertine e altrigadget. Ma cosí usciamo dal peritesto.

Frontespizio e annessi.

Dopo la copertina e i suoi vari annessi, il paratesto edito-riale investe dunque inoltre, nel modo piú evidente, tutte leprime e tutte le ultime pagine, generalmente non numerate.Ne intraprendo l'inventario secondo l'ordine attualmente piú

' Termine usato per la prima volta da Proust per indicare le pagine deisuoi manoscritti. La particolarità di queste pagine consiste nella loro estensio-ne (in orizzontale) dovuta all' aggiunta di numerosi pezzi di carta comportantivarie annotazioni sul testo [N. d. T.].

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frequente, almeno nelle edizioni francesi, poiché la maggiorparte di queste indicazioni hanno una disposizione piuttostocapricciosa.

Generalmente, le pagine 1 e 2, chiamate sguardie, restano«bianche ››, e cioè, piú esattamente, non stampate. La pagina3 è quella dell'occhiello che riporta solo il titolo, eventualmen-te abbreviato. Ignoro la ragione di questo costume ridondante,ma questa menzione minimale rende l°occhiello il luogo otti-male della dedica d'esemplare, sulla quale torneremo in segui-to. Le pagine 4 e 6 ricevono eventualmente varie indicazionieditoriali come il titolo della collana, la menzione delle tiraturedi lusso (e, sugli esemplari di queste tirature, il numero di iden-tificazione), il frontispice, la lista delle opere dello stesso au-tore, che ritroveremo anch'essa, quella delle opere pubblica-te nella stessa collana, qualche menzione legale (copyright, chefornisce la data ufficiale della prima pubblicazione, il nume-ro ISBN, un richiamo della legge sulle riproduzioni, la cui vir-tú dissuasiva ha dato i suoi risultati; la menzione, per le tra-duzioni, del titolo e del copyright originali; negli Stati Uniti,il numero corrispondente al catalogo della biblioteca dei Con-gressi corredato dalla sua descrizione bibliografica, ecc.), equalche volta, troppo raramente, la descrizione della compo-sizione tipografica. Troppo raramente, e infatti questa descri-zione mi sembra decisamente necessaria. Il lettore ha il dirittoe a volte perfino (come vedremo) il dovere di sapere in quali ca-ratteri è composto il libro che ha tra le mani, e non si può esi-gere che li sappia riconoscere da solo. La pagina 5 è la paginadel frontespizio, che è, dopo il colophon dei manoscritti me-dievali e dei primi incunaboli, l”antenato di tutto il peritestoeditoriale moderno. Generalmente comporta, oltre al titolopropriamente detto e ai suoi annessi, il nome dell'autore, il no-me e l'indirizzo dell'editore. Vi si possono trovare molte altrecose, in particolare l'indicazione generica, l'epigrafe e la de-dica, o almeno, nell'epoca classica, la menzione della dedica,con il nome e i titoli del dedicatario, per annunciare la dedi-ca propriamente detta, cioè l'epistola dedicatoria che si trova,di solito, nella pagina dispari' seguente. Ma, soprattutto, il

' O pagina di destra, 0 di recto, di solito favorita dalla percezione, almenonel nostro regime di scrittura. La pagina di sinistra, o di verso, e anche chia-mata «fausse page».

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titolo classico, di solito piú sviluppato del nostro, costituivaspesso una vera e propria descrizione del libro, riassunto del-l'azione, definizione del suo oggetto, enumerazione dei suoiannessi, ecc. Poteva anche comportare la sua illustrazione, oper lo meno il suo proprio ornamento, una sorta di entrata nelportico piú 0 meno monumentale chiamato ƒrontispice '. Soloin un secondo tempo, quando la pagina del titolo si sbarazzeràdi questa decorazione, ilƒrontispice si rifugerà nella pagina disinistra, in corrispondenza del titolo, prima di scomparire qua-si totalmente nell'uso moderno '.

Le pagine finali possono anch'esse includere alcune delle in-dicazioni sopra citate eccetto, probabilmente, le menzioni le-gali. In esse solamente si trova il colophon, cioè il segno del«finito di stampare ››: nome dello stampatore, data di stampa,numero di serie, e eventualmente data del deposito legale.

Composizione, tirature. _

Queste localizzazioni peritestuali non esauriscono, però, ilrepertorio del paratesto editoriale del libro. Bisogna ancora ri-cordare due tratti che costituiscono l'essenziale della sua rea-lizzazione materiale: la composizione e la scelta della carta. Lacomposizione, cioè la scelta dei caratteri e della loro impagi-nazione, è chiaramente l'atto che dà la forma di libro a un te-sto. Non si tratta di tracciare qui una storia 0 un'estetica del-l'arte della tipografia, ma semplicemente di menzionare il ruo-lo di commento indiretto che le scelte tipografiche possonosvolgere rispetto ai testi in cui appaiono. Nessun lettore puòessere completamente indifferente all'impaginazione di unapoesia, al fatto, per esempio, che si presenti isolata sulla pa-gina bianca, circondata da ciò che Eluard chiamava i suoi«margini di silenzio ››, o che la debba dividere con altre, e per-sino con delle note a piè di pagina; al fatto che le note siano

' L'espressione italiana frontespizio è rimasta per metonimia a designarela pagina del titolo [N. d. T.].

2 Va ricordato che nell'ancien régime, le pagine che seguivano il titolo (oalcune volte le ultime) erano in linea di principio consacrate alla pubblicazio-ne del «privilegio» per il quale il re accordava all'autore e al suo libraio il di-ritto esclusivo di vendita dell'opera. Alcune edizioni critiche moderne ne ri-producono il testo, il cui interesse storico non è mai nullo.

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generalmente disposte a piè di pagina, in margine, alla fine delcapitolo, alla fine del volume; alla presenza o all'assenza dei ti-toli correnti nella pagina in alto e alla pertinenza della loro di-sposizione, ecc. Nessun lettore, inoltre, dovrebbe esserlo versol'appropriazione delle scelte tipografiche, anche se l”edizionemoderna tende a neutralizzarle attraverso una tendenza for-se irreversibile all'uniformazione: è un vero peccato perderein questo modo, nella lettura di un Montaigne o di un Balzac,il carattere cosí distinto di una grafia classica o romantica, esi comprendono allora le esigenze dei bibliofili amanti deglioriginali, o piú modestamente dei fac-simili. Queste conside-razioni possono sembrare futili o marginali, ma ci sono dei casiin cui la realizzazione grafica è inseparabile dai propositi let-terari: è difficile immaginare alcuni testi di Mallarmé, di Apol-linaire 0 di Butor privi di questa dimensione, e non possiamoche rimpiangere l'abbandono, apparentemente accettato daThackeray stesso dal 1858, dei caratteri stile «Queen Ann»dell'originale (1852) di Henry Esmond, che gli davano il suo ca-rattere «da parrucca e infiorettature ›>, e che contribuivano de-cisamente al suo effetto di pastiche; bisogna almeno ammettereche ne esistono due versioni: una nella quale l'intento mime-tico è esteso al paratesto tipografico (e ortografico), l°altro nelquale esso è limitato ai temi e allo stile. Questa stessa divisionecostituisce paratesto.

Molto meno essenziali, mi sembrano, le varie scelte di cartache costituiscono le tirature di lusso di un'edizione ', e allequali alcuni riservano il termine di «edizione originale». Ladifferenza tra gli esemplari stampati su velina, carta giappo-nese o su carta ordinaria è ovviamente meno pertinente rispet-to ad un testo della differenza di composizione, probabilmente

' Non c'è niente di piú confuso dell'uso_della parola «edizione », che puòestendersi a tutti gli esemplari di un'opera prodotti da uno stesso editore(«l'edizione Michel Lévy di Madame Bovary») anche se il testo ne è stato piúvolte modificato ad ogni ristampa, o ridursi, come amano fare a volte gli edi-tori per ragioni pubblicitarie, a ogni fetta di mille o cinquecento esemplari diuna stessa tiratura. Tecnicamente, i soli termini precisi sono quelli di compo-sizione e di tiratura, 0 di stampa. Su una stessa composizione tipografica, sipuò fare un numero idealmente indefinito di tirature, e quindi di serie diesemplari in linea di principio identici. Ma ogni tiratura può fornire l'occasio-ne di correzioni di dettagli, e l'epoca classica non si privava neanche delle cor-rezioni durante le tirature, che introducevano delle differenze di testo all”in-terno di una stessa serie. Cfr. R. Laufer, Introduction à la textologie, Larousse,Paris 1972.

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perché se la composizione non è altroche una materializzazio-ne del testo, la carta non è altro che un supporto di questa ma-terializzazione, ancora piú lontano da.ll'idealità costitutiva del-l'opera. Le reali differenze sono, dunque, in questo caso, d'or-dine estetico (qualità della carta, della stampa), economico (va-lore di mercato di un esemplare), ed eventualmente materia-le (maggiore o minore longevità). Ma esse servono anche, eforse soprattutto, a motivare una differenza simbolica fonda-mentale, che concerne il carattere «limitato ›› di queste tiratu-re. Questa limitazione compensa in certa misura, per i biblio-fili, il carattere ideale e dunque potenzialmente illimitato delleopere letterarie che priva di quasi ogni valore il fatto di pos-sederle. Limitazione o, in altre parole, rarità, accentuata inol-tre dalla numerazione che rende ogni esemplare di una tiraturadi lusso assolutamente unico, anche se solo per questo mini-mo dettaglio. Può anche esserlo per altri due o tre dettagli, mache non sono piú propriamente d'ordine editoriale: rilegatu-ra personale, dedica manoscritta, iscrizione o contrassegno exlibris, note manoscritte in margine. L'editore può tuttavia con-tribuire a tali manovre di singolarizzazione valorizzante. L'e-sempio piú lampante, ma forse non l”unico nel suo genere, èquello dei cinquanta esemplari delle Ieunes Filles en ƒleurs stam-pati in-folio nel 1920 (dopo il Goncourt), che includevano al-cune pagine del manoscritto autentico, cosí esaurientementedistribuite (apparentemente senza aver consultato l'autore) traquesti esemplari, che non sono ancora state ritrovate: stranacombinazione di edizione e commercio d'autografi.

Nel caso delle tirature di lusso, l”aspetto piú piccante è che,per ovvie ragioni tecniche, l'indicazione di queste tirature ap-pare su tutti gli esemplari, quelli ordinari compresi, anche seuna tale indicazione non li riguarda minimamente. Ma ciò nonsignifica che essa non interessi i lettori che trovano in essaun`informazione bibliografica, e forse anche un motivo dirammarico, il cui pensiero non può che aumentare il piaceredei privilegiati. Poiché non basta essere felici, bisogna ancheessere invidiati.

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Il nome dell'autore

Luogo.

L'iscrizione nel peritesto del nome, autentico 0 fittizio, del-l'autore non è sempre stata, come ci appare oggi, cosí neces-saria e «naturale ››: basti pensare alla pratica classica dell'ano-nimato, sulla quale tornerò, che mostra come l'invenzione dellibro stampato non abbia imposto questo elemento del para-testo con la stessa rapidità e decisione di altri. A maggior ra-gione per quanto riguarda l'era dei manoscritti antichi e me-dievali che durante i secoli non hanno avuto a disposizione,per cosí dire, alcun luogo dove riportare indicazioni quali il no-me dell'autore e il titolo dell'opera, a parte la possibilità di in-tegrarle o meglio di sommergerle nelle prime (incipit) 0 nelleultime (explicit) frasi del testo. In questa forma, che ritrove-remo a proposito del titolo e della prefazione, ci pervengonoper esempio i nomi di Esiodo (Teogonia, v. 22), di Erodotoåpriiina parola1dellãSfiorie), dii Tuciålide (sässa disposizioiåeì,iP auto (pro ogo e o Pseu olus), iVirg' 'o (ultimi versi e -

le Georgiche), del romanziere Caritone di Afrodisiade (all”ini-zio delle Avventure di Cherea e di Calliroe), di Chrétien deTroyes (all'inizio del Perceval) e di Geoffroy de Lagny, il suocontinuatore per il Lancelot, di Guillaume de Lorris e di Jeande Meung, i cui nomi si trovano iscritti nel punto di congiun-zione delle due loro opere, al verso 4059 del Roman de la Rose,di «Jean Froissart, tesoriere e canonico di Chimay››, e ovvia-mente di Dante nel canto XXX, al verso 55, del Purgatorio.Non tengo conto dell'enigmatico Turoldo del Roland, il cuiruolo in quest°opera (autore, recitante, copista?) resta indefi-nito. Ne avrò probabilmente omesso altre decine, ma resta ilfatto che questi nomi d'autore iscritti nel testo sono decisa-mente meno numerosi di quelli, a cominciare da Omero, checi sono stati trasmessi solo attraverso la tradizione o la leggen-

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da, e che quindi sono entrati a far parte del paratesto postu-mo solo molto tardivamente '.

La disposizione nel paratesto del nome dell'autore, o di ciòche ne fa le veci, è oggi, allo stesso tempo, molto erratica emolto circoscritta. Erratica: viene disseminato, con il titolo,in tutto l'epitesto, annunci, opuscoli, cataloghi, articoli, inter-viste, conversazioni, echi o pettegolezzi. Circoscritto: il suoposto canonico e ufficiale si riduce al frontespizio e alla coper-tina (la prima di copertina, con eventuale richiamo sul dorsoo sulla quarta). Sono queste le uniche disposizioni peritestualidel nome dell'autore - il che vuole insomma dire che di soli-to non si firma un'opera, come una lettera o un contratto, an-che se a volte si prova il desiderio di indicarne (alcuni autori,come Cendrars, lo fanno con insistenza) il luogo 0 la data diredazione. Ma a questa regola negativa vi sono delle eccezioni:è il caso della Jeanne d'Arc di Péguy, che in copertina non pre-senta il nome dell'autore, mentre ne ha due nel frontespizio:Marcel e Pierre Baudoin, il primo dei quali può essere consi-derato una sorta di dedica all'amico scomparso, e uno solo, amo” di firma, nell'ultima pagina: Pierre Baudoin, che è di fattolo pseudonimo dell'autore, esso stesso in forma di omaggio. Inmodo piú fantasioso, Queneau firmò la sua poesia Viellir, nel-l'Instant Fatal, con questi due ultimi versi : « Q-u-e-n-e-a | U-r-a-i grec-mond ››. E sappiamo come Ponge finisca Le Pré con lamenzione del suo nome nel tratto finale, una civetteria che èstata in seguito imitata in diversi modi.

Ma le iscrizioni del nome sul frontespizio e sulla copertinanon hanno la stessa funzione: la prima è modesta e per cosí di-re legale, generalmente piú discreta di quella del titolo; la se-conda ha dimensioni assai variabili, a seconda della notorie-tà dell'autore, e - quando le norme della collana si oppongo-no a qualunque variazione -la sopracoperta gli offre terrenolibero, o la fascetta permette la sua ripetizione in caratteri piúinsistenti, e a volte solo del cognome per sottolinearne la ce-lebrità. Il principio di questa varianza è in apparenza semplice:piú un autore è conosciuto, piú il suo nome viene esibito, maquesta proposizione richiede almeno due correttivi: prima ditutto, l'autore può essere celebre per ragioni extra-letterarie,

1 Cfr. E. R. Curtius, Europãische Literatur und lateinisches Mittelalter,Francke, Bern 1948, in particolare l'Excursus XV.

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prima di aver pubblicato qualsiasi' cosa; inoltre, uno stratagem-ma promozionale di tipo magico (fare finta di per ottenere che)spinge a volte l'editore ad accrescere un po' la fama miman-do i suoi effetti.

Onimato.

In linea di massima, il momento dellapparizione del nomenon è, nell'uso moderno, particolarmente misterioso: è quellodella prima edizione ed eventualmente di tutte quelle seguenti.Si tratta dunque, salvo attribuzione iniziale erronea e succes-sivamente corretta (come nel caso dell'apocrifo), di un'iscri-zione definitiva. Invece, la regola dell'iscrizione originale nonè assolutamente universale: il nome dell'autore può appariretardivamente, può perfino non apparire mai, e queste variantidipendono evidentemente dalla diversità delle denominazioniautoriali.Il nome dell`autore può in effetti soddisfare tre condizio-

ni principali, senza contare qualche livello misto 0 intermedio.L'autore «firma›› (utilizzerò questo verbo per tagliar corto,malgrado la riserva appena menzionata) con il suo nome di sta-to civile: si può supporre con buona approssimazione, in assen-za di statistiche a mia conoscenza, che sia questo il caso piúfrequente; oppure firma con un nome falso, preso in prestitoo inventato: è lo pseudonimato; oppure non firma affatto, edè l'anonimato. La tentazione di forgiare sul modello degli al-tri due il termine di onimato per designare la prima situazio-ne è notevole: come sempre è la condizione piú banale che nel-l'uso non viene mai nominata, e il bisogno di nominarla ri-sponde al desiderio del descrittore di sottrarla a questa ingan-nevole banalità. Dopotutto, firmare un'opera con il propriovero nome è una scelta come un'altra, e non c'è nulla che au-torizzi a giudicarla insignificante. L”onimato deriva a volte dauna ragione piú forte o meno neutra della semplice assenza didesiderio, per esempio, di darsi uno pseudonimo: è certamenteil caso, già evocato, in cui una persona già famosa produca unlibro il cui successo dipenderà da questa celebrità precedente.Il nome allora non è piú una semplice declinazione d'identi-tà («l'autore si chiama Tal dei tali »), ma il modo di mettere alservizio del libro un'identità, o piuttosto una « personalità ››,

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come dice bene il linguaggio dei media: «Questo libro è l°operadell'illustre Tal dei tali ››. Oppure, la paternità del libro vienerivendicata dall'illustre Tal dei tali, anche se qualche iniziatosa che non lo ha precisamente scritto da solo, e che forse nonl'ha nemmeno letto fino in fondo. Evochiamo qui questa pra-tica del ghost writing, che in francese ha un nome piú spiace-vole, per ricordare che le menzioni paratestuali sono piú del-l'ordine della responsabilità giuridica che della paternità effet-tiva: il nome dell'autore, nel regime dell'onimato, è quello diun responsabile putativo, qualunque sia il suo ruolo effettivonella produzione dell'opera, e un'eventuale inchiesta di con-trollo non è minimamente di competenza del paratestologo.Gli effetti obliqui dell'onimato non sono affatto circoscritti

ai casi di notorietà precedente. Il nome di un perfetto scono-sciuto può indicare, al di là della pura «designazione rigida ››di cui parlano i logici, vari altri tratti dell'identità dell'auto-re: spesso il suo sesso, che può avere una pertinenza tematicadecisiva, a volte la sua nazionalità, o la sua appartenenza so-ciale (la particella nobiliare fa ancora, per cosí dire, una cer-ta impressione), o la sua parentela con qualche persona piú co-nosciuta. Inoltre, il «cognome» di una donna non è, nella no-stra società, una cosa semplice: una donna sposata deve sceglie-re tra il nome di suo padre, quello di suo marito, o qualche as-sociazione tra i due; le due prime opzioni sono, in linea diprincipio, opache per il lettore, che potrà dunque derivarneuno stato civile, ma non la terza; e molte carriere di letteratesono punteggiate di queste variazioni onimiche rivelatrici divariazioni civili, esistenziali o ideologiche (qui, nessun esem-pio). Dimentico sicuramente altri casi anch'essi pertinenti, maquesti bastano, mi pare, a confermare il fatto che «conservareil proprio nome ›› non sia sempre un gesto innocente.Il nome dell'autore svolge una funzione contrattuale d'im-

portanza molto variabile a seconda dei generi: debole 0 nullanella finzione, molto piú forte in tutti i tipi di scrittura refe-renziale, dove la credibilità della testimonianza, o della tra-smissione, si basa largamente sull'identità del testimone 0 delrelatore. Si vedono infatti ben pochi pseudonimi o anonimi trale opere di tipo storico o documentario, a maggior ragionequando il testimone è lui stesso implicato nel suo racconto. Ilgrado massimo di questa implicazione è chiaramente l'autobio-grafia. A questo proposito non posso che rinviare il lettore ai

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lavori di Philippe Lejeune, che mostrano il ruolo decisivo delnome dell'autore, identico a quello dell'eroe, nella costituzionedel «patto autobiografico ››, delle sue diverse varianti e dellesue eventuali frange. Dal punto di vista che qui ci interessa,ho solo una parola da aggiungere: il nome dell'autore non è undato esterno e facoltativo rispetto a questo contratto, ma un.elemento costitutivo, il cui effetto si combina con quelli di al-tri elementi, come la presenza 0 l'assenza di un'indicazione ge-nerica - o, come precisa Lejeune stesso', questa o quella for-mula di priêre d 'insérer, o di tutt”altra parte del paratesto. Ilcontratto generico è costituito, in modo piú o meno coerente,dall'insieme del paratesto, e piú ampiamente dalla relazione fratesto e paratesto, e il-nome dell”autore ne fa evidentementeparte, << incluso all'interno della linea di separazione del testoe del fuori-testo ›› 2. Questa linea è diventata per noi una zona(il paratesto) abbastanza ampia da contenere numerevoli in-dicazioni, eventualmente contraddittorie, e soprattutto varia-bili nella storia dell°opera. E il caso di alcune autobiografie« travestite ›› alle quali, dato che l'autore dà ai suoi eroi un no-me diverso dal suo (come il Pierre Nozière di France ola Clau-dine di Colette), viene negato, secondo una definizione rigi-da, lo statuto di autobiografia, ma che un paratesto piú ampio,o piú tardivo, può bene 0 male ristabilire. Come elemento delcontratto, il nome dell'autore fa parte di un insieme comples-so, le cui frontiere sono difficili da tracciare, e le cui compo-nenti non meno difficili da inventariare. Il contratto ne è la ri-sultante, una risultante quasi sempre provvisoria.

Anonimato.

Benché di grado zero, l'anonimato comporta esso stessogradazioni proprie. Ci sono dei falsi anonimati, o onimati crip-tici, come quello della Celestina di Rojas, in cui il nome dell'au-tore figurava in acrostico in una poesia liminare. Ci sono de-gli anonimati di fatto, che non dipendono da alcuna decisio-ne, ma piuttosto da una carenza d'informazione, permessa eperpetuata dall'uso: è il caso di molti testi del medioevo, in

' Si vedano i primi due capitoli di Ph. Lejeune, Moi aussi, Seuil, Paris1986.

3 Id., Le Pacte autobiographique, Seuil, Paris 1975, p. 37.

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particolare le chansons de geste, che non si usava rivendicare,e dei quali nessuna inchiesta ulteriore ha potuto svelare il mi-stero, o anche di Lazarillo. Anonimati di convenienza carat-terizzano tutta l'epoca classica, nel caso ad esempio di personedi rilievo come Mme de Lafayette (in testa alla Princesse deClêves una nota del libraio al lettore indica molto ironicamenteche «l'autore non ha firmato per timore che la sua mediocrereputazione possa nuocere al libro ››) o La Rochefoucauld (il cuinome 0 piuttosto le cui iniziali appariranno, se non mi sbaglio,solo nel 1777), che devono senz'altro aver creduto di degra-darsi firmando un'opera cosí plebea come un libro in prosa.Ma piú in generale, il nome dell'autore non appariva al di fuoridel teatro e della poesia eroica, e molti autori, nobili 0 plebei,non si consideravano tenuti a dichiararlo, o avrebbero giudi-cato presuntuoso o inopportuno farlo. Boileau, ad esempio,firma «signor D*** ›› fino all'edizione << favorite ››' del 1701,del «signor Boileau-Despréaux», 0 La Bruyère, che firma ilsuo Caractêres solo alla sesta edizione del 1691, e ancora indi-rettamente, menzionando nel capitolo De quelques usages il suoantenato Geoffroy de La Bruyère e, nel 1694, unendovi il suodiscorso di ammissione all'Accaden'1ia. Altri famosi anonimatidel XVIII secolo: le Lettres persanes (Montesquieu si giustificain questi termini nella sua introduzione: << Conosco una don-na che cammina benissimo ma che zoppica appena la si guar-da ››) e L'esprit des lois; Les effets de la sympathie e La voitureembourbée; le Mémoires d 'un homme de qualité; in Inghilter-ra, Robinson Crusoe e Moll Flanders, Pamela, Tristram Shandy,Sense and Sensibility; Pride and Prejudice, due anni piú tardi,porterà come nome d'autore la formula «By the Author ofSense and Sensibility ››. Fanno eccezione a questo uso dell'ano-nimato Gil Blas, Tom Jones, o i romanzi di Marivaux posteriorialla sua carriera drammatica: Télémaque travesti 2, Pharsamon,Marianne, Le paysan parvenu. Di solito questo tipo di anonima-to non aveva nulla dell'incognito tenacemente difeso: moltospesso il pubblico conosceva, per sentito dire, l”identità del-l'autore e non si stupiva minimamente di non trovarne men-

' E cosí chiamata l'ultima edizione collettiva edita sotto la direzione diBoileau nel 1701 e riprodotta dall'edizione della Pléiade [N. d. T.].

2 Il nome viene di nuovo sconfessato in una nota dell'editore nella quartaparte di Marianne.

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zione sulla pagina del frontespizio'. Altri anonimati eranomantenuti un po' meglio, almeno come finzioni ufficiali, o per-ché costituivano una misura precauzionale rispetto alle perse-cuzioni del potere 0 della Chiesa (è il caso di Voltaire, Dide-rot e altri), o perché rispondevano a un capriccio ostinato del-l'autore.

L°esempio piú sorprendente è certamente quello di WalterScott, che essendo conosciuto come persona rispettabile, comeuomo di legge e poeta, si rifiuta di firmare il suo primo roman-zo V(/averley, e poi firma la maggior parte dei seguenti con laformula, apparentemente imitata da Jane Austen, ma destina-ta a maggiore fortuna (e a ulteriori imitazioni): «Dell'autoredi Waverley››. Sembra che nel frattempo la ragione dell'ano-nimato fosse cambiata, dato che un grande stratega della let-teratura come Scott aveva scoperto che il suo incognito, stuz-zicando la curiosità, favoriva il successo dei libri. Egli vi tro-vava inoltre, come dirà subito dopo, una piú profonda soddi-sfazione, considerandosi, come alcuni attori italiani, miglio-re dietro una maschera (tale giustificazione non è molto lon-tana da quella di Montesquieu per le Lettres persanes), e rite-nendo che una vera vocazione romanzesca è inseparabile dauna certa inclinazione a «scomparire ››, e insomma alla clande-stinità. A questo anonimato semplice, o quasi, egli aveva ag-giunto a partire dal 1816 un gioco molto complesso di pseu-donimi, di autori fittizi e di prefatori immaginari sui quali avròoccasione di tornare. Nel frattempo questo incognito era statoviolato in diversi modi, poiché alcuni critici avevano stabili-to dei rapporti significativi tra le W/averley Novels e l'operapoetica di Walter Scott, e le traduzioni francesi di Defaucon-pret venivano pubblicate almeno dal 1818 con il nome di «SirWalter Scott ››. Ma il gioco è continuato fino al 1827 quandonella prefazione di Chronicles of the Canongate Scott riconobbeufficialmente la sua opera, raccontando con passione i dettaglipittoreschi e drammatici di come, il 23 febbraio dello stessoanno, egli fosse stato costretto a smascherarsi durante un'as-semblea di scrittori scozzesi. L'edizione definitiva delle sue

I Lascio qui da parte una situazione intermedia che ritroveremo in segui-to: quella delle opere che recano il nome o le iniziali dell”autore che pretendenella prefazione di essere semplicemente l'«editore » del testo, come nellaNouvelle Héloise e nelle Liaisons dangereuses.

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opere romanzesche apparirà «a suo nome ››' a partire dal1 829 .

Come tutti i segni di discrezione o`di modestia, anche que-sto può essere tacciato di civetteria. E quello che farà Balzac,decidendo nel 1 829 di firmare Le dernier Chouan e pensandosicuramente a Walter Scott e ai suoi imitatori (tra i quali luistesso, probabilmente, per quanto riguarda le sue opere gio-vanili): « [L'autore] ha ritenuto che oggi vi sia forse della mo-destia nel firmare un libro, mentre tanti altri hanno fatto del-l'anonimato una speculazione dell”orgoglio». Il bello è cheinizialmente aveva pensato di attribuire questo romanzo a unautore fittizio, «Victor Morillon››, al quale dava atto, in un'av-vertenza pseudo-allografa sulla quale torneremo, della sua mo-destia nel firmare l”opera con il proprio nome autentico.Di fatto, la pratica, orgogliosa o meno, dell'anonimato nel

XIX secolo non si estingue tanto rapidamente come si potrebbecredere. Ne sono testimoni, per limitarsi alla Francia, questiesempi: le Méditations poétiques (1820), Han d'Islande (1823),Bug-Jargal («dell'autore di Han d'Islande›>, 1826), Armance(1 827), Le Dernier ]our d 'un condamné (1 829), Notre-Dame deParis (183 1). In tutti questi casi, il nome dell'autore viene ri-velato molto rapidamente, a partire dalla seconda o dalla terzaedizione, in modo che l'anonimato vi apparisse come una sortadi mistero riservato all'originale. In Inghilterra, e ovviamentea causa del pastiche settecentesco, nel 1852 Henry Esmond diW. Thackeray, si conformerà ancora a questo rito puramen-te convenzionale.

La formula «dell'autore di... ››, diventata, da Austen e Scottin poi, una strategia relativamente usata - l'abbiamo appenavista con Hugo, e Stendhal se ne serve almeno quattro volte,per le edizioni originali di De l'amour (<< dell'autore dell'His-

' E questa la formula usata nella prefazione generale, «the author, underwhose name they are for the first time collected». Non avendo potuto vederepersonalmente un esemplare di questa edizione (Cadell, Edinburgh 1829-33,chiamata «Magnum Opus ››), e dato che i cataloghi e le bibliografie sono quel-lo che sono, non posso assicurare che il nome di Walter Scott figuri ufficial-mente sul frontespizio, e tenderei piuttosto a credere al contrario sulla base diuna ristampa ulteriore (Cadell, Edinburgh 1842-47). Ma l'avvertenza e la pre-fazione, molto autobiografiche, non lasciano alcun dubbio circa l'identità del-l”autore, che vi appone la data della sua notoria residenza a Abbotsford. Fir-ma, dunque, ancora indiretta, ma perfettamente trasparente.

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toire de la peinture en Italie e delle Vies de Haydn... ››), dei Mé-moires d'un touriste e della Chartreuse («dell'autore del Rougeet Noir [sic] ››), e dell'Ahbesse de Castro («del1`autore di Rou-ge et Noir, di La Chartreuse de Parme, ecc. ›>); e tutti conosco-no, piú vicino a noi, «l'autore di Amitiés amoureuses» -, que-sta formula costituisce in se stessa una versione piuttosto scal-tra di una dichiarazione di identità: un'identità per la preci-sione tra due anonimati, che mette esplicitamente al serviziodi un libro il successo del precedente, e che soprattutto riescea creare un'identità autoriale senza ricorrere a nessun nome,autentico o fittizio `. Philippe Lejeune scrive da qualche par-te che un autore diventa tale solo alla sua seconda pubblicazio-ne, quando il suo nome può figurare all'inizio, non solo del suolibro, ma di una lista di opere «dello stesso autore». Questabattuta è forse ingiusta per gli autori che hanno scritto una so-la opera come Montaigne, ma non è totalmente priva di verità,e a questo proposito la formula Austen-Scott ha il merito diuna paradossale economia.

Questi anonimati « moderni», vale a dire piuttosto di tipoclassico, evidentemente non sono tutti destinati a durare a lun-go, e il fatto è che non sono stati mantenuti. Disponiamo dun-que, per ciascuno di essi (al prezzo di qualche ricerca in biblio-teca, poiché anche le edizioni critiche non sono sempre cosíeloquenti su questo punto, che esse giudicano sicuramente sen-za importanza), di ciò che possiamo chiamare una data diat-tribuzione ufficiale - che non bisognerà qualificare tropporapidamente di riconoscimento di paternità, poiché a voltequeste onimie tardive sono postume. Il 1827, per WalterScott, è una data di riconoscimento (anche se un po' forzato),ma il nome di La Rochefoucauld, come ho detto, è apparso nelperitesto ufficiale delle Maximes solo molto tempo dopo la suamorte. In questo caso,- diciamo piuttosto che la posterità operaun'attribuzione senza preoccuparsi troppo della volontà del-l'autore scomparso. Quando si pensa con quante precauzionigli studiosi «stabiliscano›› un testo conforme alle ultime revi-sioni antume, interventi paratestuali cosí radicali lasciano per-plessi. Ma ne troveremo degli altri, e sicuramente piú gravi.

1 Non dirò lo stesso dell'us0, nell'originale delle Caves du Vatican (1914),della formula «dell`autore di Paludes››, poiché Paludes non era anonimo.

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Per il momento, l'esistenza di queste attribuzioni postumemostra come il destinatore del nome dell'autore non sia sem-pre necessariamente l'autore stesso; ed è, come vedremo, unadelle funzioni abituali della prefazione quella di offrire a.ll°au-tore la possibilità di assumere (0 di respingere) ufficialmentela paternità del proprio testo. Ma il nome sul frontespizioe sulla copertina? E chiaro che non dovrebbe apparirvi, se an-tumo, senza l'accordo dell'autore, ma dovremmo di conse-guenza pensare che sia lui ad avere il diritto di apporlo? Ov-viamente non è cosí che accade, ed è uno dei tratti che distin-gue un tale atto da quello della firma. Sarebbe piú giusto, misembra, dire che è l'editore che presenta l'autore, un po” comealcuni produttori di film presentano sia il film sia il suo realiz-zatore. Se l'autore è il garante del testo (auctor), questo garan-te ha lui stesso un garante, l'editore, che lo presenta olo no-mina.

Pseudonimato.

L'uso del nome fittizio, 0 pseudonimo, ha da tempo affa-scinato i dilettanti e imbarazzato i professionisti - intendoqui in particolare i bibliografi -, imbarazzo e attrazione asso-lutamente non esclusivi l'uno dell'altro, anzi il contrario. Dacui una certa proliferazione di commenti, che fortunatamentenon ci riguardano tutti. Innanzitutto mi pare convenga situarelo pseudonimato all”interno dell'insieme piú vasto di praticheche consistono nell'evitare di apporre il nome legale dell'au-tore all'inizio del proprio libro (è questo insieme che i biblio-grafi classici definivano « pseudonimo ››).

La prima di queste pratiche di cui abbiamo appena parla-to consiste nell'assenza totale di nome, ed è ovviamente l'a-nonimato (esempio: Lazarillo). La seconda consiste nell'attri-buzione ingannevole, da parte del suo vero autore, di un te-sto a un autore conosciuto: si tratta dell'apocrzfo (esempio: Lachasse spirituelle, attribuito nel 1949 a Rimbaud da Nicolas Ba-taille e Akakia-Viala). La terza è una variante della seconda,si tratta dell'apocrifo consentito che consiste, per un autore rea-le che non desidera essere identificato, nell'ottenere che un al-tro autore accetti di firmare al suo posto; una variante piutto-sto rara, ma pare che sia capitato a Chapelain di prestare il suo

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nome a Richelieu in persona, e vedremo in seguito come siacertamente capitato a Balzac, in qualcuna delle sue prefazio-ni, di utilizzare tali prestanome. La quarta è il contrario del-la seconda, e consiste nell'attribuirsi erroneamente, e dunquenel «firmare ›› con il proprio nome, l'opera di un altro: si trattadel plagio, e come sappiamo una buona 0 cattiva parte delleprime opere di Stendhal deve ad essa la sua esistenza (è anchevero che egli non le firmava con il suo nome, e neanche con ilsuo futuro glorioso pseudonimo). La quinta è allo stesso tempouna variante della quarta e il contrario della terza, è il plagioconsentito (dal plagiato ovviamente, e dietro retribuzione), giàincontrato nella definizione inglese, piú eloquente della nostra,di ghost writing; per darne solo un vecchio esempio, tutti sannoche Alexandre Dumas si faceva spesso aiutare (tra gli altri) daun professore chiamato Auguste Maquet: è questo il porte-plume, il contrario del prestanome. La sesta è ancora una va-riante della seconda, si tratta dell'attribuzi0ne di un'opera, daparte del suo autore effettivo, a un autore questa volta imma-ginario: è la pratica della finzione d'autore ', di cui è un esem-pio molto generico - e che comporta innumerevoli sfumaturesulle quali torneremo a proposito delle prefazioni - l'operadrammatica attribuita da Mérimée a una certa «Clara Gazul».La settima potrebbe essere descritta come una variante dellasesta: si tratterebbe dell'attribuzione di un'opera, da parte delsuo reale autore, a un autore immaginario del quale non pre-senterà nient'altro che il nome, nell'assenza di tutto quell'ap-parato paratestuale che serve di solito, nelle finzioni d 'autore,a accreditare (seriamente 0 meno) l'esistenza dell”autorefittizio '. Benché livelli intermedi o indecidibili non manchi-no, è certamente meglio recidere ogni legame teorico tra la se-sta e la settima procedura, e di descrivere quest'ultima sem-

1 In francese supposition d 'auteur. L'auteur suppose', che rendo in italianocon «autore fittizio», è un autore immaginario, vale a dire, con una sua specifi-ca biografia o esistenza immaginaria; come spiega Genette (cfr. infra) la supposi-tion d'auteur va nettamente distinta dalla pratica dello pseudonimo [N. d. T.].

1 Cfr. J.-B. Puech, L'auteur supposé. Essai de typologie des écrivains imagi-naires en littérature, tesi a.ll'EHESS, Paris 1982. Larbaud ha insistito varievolte sulla differenza tra pseudonimo e autore fittizio. «Non dimentichi, -scriveva per esempio a un traduttore, - di dire chiaramente che Barnaboothnon è uno pseudonimo, ma l'eroe del romanzo, come per esempio Clara Ga-zul non è uno pseudonimo di Mérimée, 0 meglio come Gil Blas non è lo pseu-donimo di Lesage».

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plicemente come la pratica secondo la quale l'autore reale «fir-ma ›› la sua opera con un nome che non è, o non esattamente,o non completamente, il suo nome legale. Si tratta proprio delnostro pseudonimato, al quale ci dedicheremo nelle pagine se-guenti.I bibliografi classici e moderni' che si sono occupati di

questa pratica hanno soprattutto cercato di scoprire ciò che ilprimo di loro, Adrien Baillet, chiamava i «motivi ›> e le « mo-dalità» nell'assunzione di uno pseudonimo, e inoltre di stabi-lire una giurisdizione dello pseudonimato, il cui punto essen-ziale consiste nel determinare il diritto di proprietà (e even-tualmente di trasmissione) di un autore (0 di qualunque altroutente) sul proprio pseudonimo. In linea di principio, nulla ditutto questo ci riguarda, poiché lo pseudonimo delloscritto-re, cosí come figura di solito nel paratesto, non è accompagna-to da nessuna menzione di questo tipo, e il lettore lo percepi-sce, sempre in linea di principio, come un nome d'autore, sen-za poterne apprezzare né mettere in discussione l”autenticità.

Ciò che ci riguarda in quanto elemento paratestuale è l'ef-fetto prodotto sul lettore, 0 piú in generale sul pubblico, dal-la presenza di uno pseudonimo, indipendentemente, se pos-sibile, da ogni considerazione circa i motivi o le modalità. Madobbiamo qui distinguere tra l'effetto prodotto da tale pseu-donimo, che può benissimo prodursi nell”ignoranza totale delfatto che si tratti di uno pseudonimo, e l'efƒetto-pseudonimo,che al contrario dipende dalla consapevolezza di questo fatto.Mi spiego: il nome «Tristan Klingsor ›› 0 « Saint-John Perse ››può, nella mente del lettore, indurre un effetto che può esseredi prestigio, di arcaismo, di Wagnerismo, di esotismo, 0 che soio, che influirà nella sua lettura dell'opera di Léon Leclerc odi Alexis Légerz, anche se questo lettore ignora tutto dellecondizioni (<< motivi ›>,<< modalità ›>) della sua scelta, e perfinoanche nel caso lo consideri il vero nome dell'autore: dopotutto,connotazioni cosí forti potrebbero benissimo applicarsi, anche

1 Su questa tradizione di ricerche, si veda M. Laugaa, La pensée du pseu-donyme, Puf, Paris 1986. ,

2 E/o reciprocamente: «Saint-Léger Léger: Eloges, è costruito sulle stesseconsonanti e dà alla copertina la sua unità eufonica. Ed ecco che Saint-JohnPerse: /lnabase, forma anch'esso un grazioso blocco sonoro dove scorre la li-nea di un'immagine dell'Asia›› (A. Thibaudet, L'/lnahase de S.-J. Perse, inHonneur à S.-J. Perse, Gallimard, Paris 1965, p. 412. Cfr. J.-P. Richard, Peti-te remontée dans un nom-titre, in Microlectures, Seuil, Paris 1979).

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se diverse, a un nome del tutto autentico come Alphonse deLamartine, Ezra Pound o Federico García Lorca. L'effetto diuno pseudonimo non è, in se stesso, diverso da quello di unnome qualsiasi, salvo in alcuni casi in cui il nome può esserestato scelto in vista di questo effetto ed è - per inciso - abba-stanza curioso che i bibliografi che hanno tanto indagato suimotivi (modestia, precauzione, disgusto edipico o meno ver-so il proprio patronimico, desiderio di evitare le omonimie,ecc.) e le modalità (prendere un nome di un paese, derivarlodal libro stesso, cambiare di nome, fare del proprio nome uncognome, fare a meno del nome, abbreviazioni, estensioni,anagrammi...), abbiano invece cosí poco indagato sull'insiemedi motivi e di modalità che consiste nel calcolo di un effetto.

L'effetto-pseudonimo presuppone da parte del lettore la co-noscenza del fatto pseudonimico: è l°effetto prodotto dal fat-to stesso che il signor Alexis Léger abbia un giorno deciso diprendere uno pseudonimo, qualunque esso sia. Tale effetto siassocia necessariamente all'effetto prodotto dallo pseudonimospecifico, o per rafforzarlo (<< La scelta di questo nome è in sestessa un'opera d'arte ››), o eventualmente per indebolirlo («Ah,non è il suo vero nome? allora è troppo facile... ››), o anche perritrovarsi lui stesso indebolito (« Se chiamandomi Crayencour,avessi dovuto scegliermi uno pseudonimo, non avrei certo sceltoFanagramma Yourcenar›>), oppure contestato («Alexz`s Léger erameglio di questo ridicolo Saint-]0/an Perse ››). Come dice giusta-mente Starobinski: <<Un uomo che si maschera 0 si ammanta diuno pseudonimo, si rifiuta a noi. Ecco perché ne diffidiamo etentiamo di smascherarlo, volendo sapere... ›› '. Di nuovo, biso-gna precisare: se almeno sappiamo già (il che è probabilmentel'essenziale) che si tratta di uno pseudonimo.

L'immaginazione del lettore sullo pseudonimo cessa dun-que di essere una semplice speculazione di tipo piú o meno mi-mologico - quella sulla quale contava l'autore proponendogliun vocabolo piú felice del suo patronimico legale, o un'altra- dal momento in cui la verità di questo patronimico vienerivelata grazie a un paratesto piú lontano, a un'informazionebiografica, o piú in generale alla fama. Non pretendo certo chetutti i lettori di Voltaire, di Nerval o di Marguerite Duras sap-

']. Starobinski, Stendhal pseudonyme, in L'<ril vivant, Gallimard, Paris1961 (trad. it. Einaudi, Torino 1975, p. 161).

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piano quali nomi legali si nascondano dietro questi pseudoni-mi, e neppure che si tratti di pseudonimi. Penso semplicemen-te che la rivelazione del patronimico faccia parte della noto-rietà biografica che sta all'orizzonte, prossimo o lontano, dellanotorietà letteraria (quella delle opere in sé), voglio dire: chel'aspetta al varco o che la circonda come un alone. Ne conse-gue che nessuno scrittore pseudonimo può sognarsi di diven-tare famoso senza questa rivelazione (cosa che non ci riguar-da minimamente in questo contesto), ma reciprocamente chenessun lettore piú o meno interessato all'autore in questioneè al riparo da questa informazione. Da quel momento, la suaconsapevolezza dello pseudonimo nell'immagine, o nell'ideache egli si fa di questo autore consiste inevitabilmente, anchese a livelli diversi, nel considerare insieme, o alternativamente,lo pseudonimo e il patronimico, e quindi, non meno inevita-bilmente, nel distinguere in questa immagine, o idea, una fi-gura di autore e una figura di uomo privato (o altrimenti pub-blico: Alexis Léger diplomatico). E a questo punto che emergeun'int:errogazione piú o meno libera, perché piú o meno infor-mata, sui «motivi» e le «modalità» della scelta dello pseudo-nimo: Tal dei Tali ha preso- il cognome materno, un altro hacambiato il nome, un altro è ricorso a un anagramma, un altroancora ha preso un nome maschile `, ecc. E qui risparmierò almio lettore una tassonomia inevitabilmente empirica, e una lì-sta di esempi sparsi in tutte le gazzette ad uso di tutti i curiosi.L'essenziale, almeno mi sembra, è percepire il fatto che il sem-plice pseudonimato (Molière, Stendhal, Lautréamont) tendesempre piú o meno a scindersi in una sorta di dionimato: Mo-lière/Poquelin, Stendhal/Beyle, Lautréamont/Ducasse. E chequesto dionimato risultante dalla coesistenza del patronimi-co e di uno pseudonimo non è altro che un caso particolare dipolionimato, vale a dire dell'utilizzazione da parte di uno stes-so scrittore di diversi nomi. L'idea di base è, come si sarà giàcapito, che lo pseudonimo multiplo sia un po', come appare

1 È inoltre curioso vedere quanti pseudonimi maschili, una volta ricono-sciuti come tali, diventino trasparenti, senza alcun effetto di transessualità:almeno per quanto mi riguarda, George Sand o George Eliot sono nomi di don-na tanto quanto Louise Labé o Virginia Woolf. La femminilità del designatocancella completamente la «virilità» del designante.

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chiaramente nel caso di Stendhal, la verità dello pseudonimosemplice, e la sua naturale tendenza.

Se volessimo a questo punto classificarlo dovremmo, misembra, tracciare almeno due opposizioni in una tabella a dop-pia entrata dalla quale per una volta mi asterrò. Un autorepuò « firmare ›› alcune delle sue opere con il suo nome legale(Iacques Laurent) e altre con uno pseudonimo (Cécil Saint-Laurent). Una tale opposizione si presta, certamente, a un'in-terpretazione rustica: le opere firmate con il patronimico sa-rebbero piú << ammesse», piú «riconosciute ››, quelle nelle qualil'autore si sarebbe piú riconosciuto, per ragioni di preferenzapersonale o di dignità letteraria. E indubbiamente il caso del-l'esempio citato, ma non ci si dovrebbe fidare troppo di questocriterio, poiché un autore può anche, per ragioni sociali, rico-noscere delle opere serie e professionali, e con uno pseudoni-mo coprirne altre di finzione o poetiche, alle quali << tiene» per-sonalmente molto di piú, secondo il principio del violino di In-gres. Esempi? Azzardiamo, in suo onore, i romanzi di EdgarSanday, pseudonimo di Edgar Faure. Il polionimato può an-che essere un vero e proprio polipseudonimato, quando un au-tore firma unicamente con diversi pseudonimi: è il caso, a par-te la complicazione simile allapresenza momentanea di un pre-stanome, di Romain Gary/ Emile Ajar. In questo caso comein altri, uno degli pseudonimi può apparire .piú pseudo di unaltro, e far aumentare Fautenticità di quest'ultimo; ma poisi viene a sapere che «Gary» non è piú autentico di «Ajar››,e forse neanche gli altri, poiché infatti la pratica dello pseu-donimo è proprio come l'uso di una droga, che scatena rapi-damente la moltiplicazione, l”abuso, e addirittura l'overdose.

D'altra parte, però, le diverse firme possono essere simul-tanee (o piú esattamente alternate), come quelle che ho appenacitato, o successive: Rabelais ha firmato Pantagmel e Gargan-tua con «Me Alcofribas, astrattore di quintessenza ›› prima diattribuirsi come «François Rabelais, dottore in medicina» ilterzo e poi il quarto libro; Balzac ha firmato da giovane e inun ordine che ho dimenticato, «Lord R”Hoone ››, «Horace deSaint-Aubin›› o «Viellerglé››, prima di adottare nel 1830 un«Honoré de Balzac ›› esso stesso un po” pseudo, poiché per lostato civile al quale avrebbe un giorno fatto concorrenza eraconosciuto con il nome piú plebeo di Honoré Balzac. Ci sonoinfatti vari gradi anche nel semplice pseudonimato poiché ci

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sono vari gradi nella deformazione di un patronimico `, marinuncio a integrare questi dati. Henry Beyle fu inizialmente,per le Lettres sur Haydn, «Louis-Alexandre-César Bombet››,poi, per l'Hz`stoz're de la peinture, «M.B.A.A. ›› (M. Beyle, an-cien auditeur) 2, e infine (semplificando molto), a partire daRome, Naples et Florence en 1817, «M. de Stendhal, ufficia-le di cavalleria», piú tardi semplicemente « Stendhal ››. Siamocosí a soli tre pseudonimi e mezzo (senza contare un'operaanonima come Armance), un po' pochi per un maniaco dichia-rato di nomignoli privati, e addirittura intimi ”.

Non so se qualche Guinness abbia registrato il record uni-versale di tutte le epoche e in tutte le categorie. Se ne attribui-scono molti a Kierkegaard, e si conoscono almeno i tre «ete-ronimi ›› di Pessoa, ma siamo qui al limite della finzione d'au-tore, poiché ciascuna di queste ipostasi, sia in Kierkegaard eancora maggiormente in Pessoa, è dotata di un'identità fittiziaattraverso il paratesto (prefazioni, note biografiche, ecc.) e an-che, e soprattutto, il testo (autonomia tematica e stilistica). Ilcampione emblematico sarà per noi, un po' arbitrariamente,Renaud Camus, che sembra aver investito una parte conside-revole della sua creatività in un gioco polionimico veramentestrabiliante, e nel quale sono sicuro mi perderò - ma suppon-go che sia proprio questa la sua funzione. Ecco a titolo illustra-tivo quello che credo di aver capito fino adesso. 1975, RenaudCamus, Passage, in cui un personaggio viene chiamato DenisDuparc; 1976, Denis Duparc, Eclaange; 1978, Renaud Camuse Tony Duparc, Travers, che annuncia la prossima pubblicazio-ne di Jean-Renaud Camus e Denis Duvert, Travers 2 “; ]. R.G. Camus e Antoine du Parc, Travers 3; ]. R. G. Du Parc eDenise Camus, Travers Coda et Index; appendice: Denis duParc, Lecture (o Comment m 'ont écrit certains de mes livres). Nelfrattempo e da allora, vari altri testi firmati dal solo Camus

' Uno dei piú economici è sicuramente la francesizzazione di Mondriaanin Mondrian. Ma uno pseudonimo può anche essere deformato o accorciato:un`edizione delle Lettres pbilosopbiques è stata pubblicata nel 1734 con questonome trasparente a due livelli: «Di M. de V... ››

2 Cento esemplari riportavano però la menzione piú completa di «M.Beyle, ex-auditeur au Conseil d'Etat».

3 Cfr. Starobinski, Stendbalpseudonyme ci_t.' Effettivamente pubblicato con il titolo Eté, Hachette, Paris 1982. L'in-

sieme dovrebbe costituire la «trilogia in quattro libri e sette volumi» delleEglogues.

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(Renaud), o una lista di opere dello stesso autore, che non siriconosce come tale, rimpasta continuamente la lista appenaenunciata. Ignoro di proposito, ovviamente, se <<Renaud Ca-mus ›› sia uno pseudonimo. Ma ricordo che un autore diventa-to celebre con il suo patronimico può, in via ,eccezionale e al-meno in Inghilterra, cambiare nome nella vita civile. Il 30 ago-sto 1927, Thomas Edward Lawrence ottenne il diritto di chia-marsi Thomas Edward Shaw. Da quel giorno «T. E. Lawren-ce» è diventato, retroattivamente, uno pseudonimo?

Prima di lasciare la pratica dello pseudonimato, avevo inmente di ricordare anche che la sua area di applicazione, nellearti, è essenzialmente circoscritta a due attività: la letteratu-ra e, molto meno, il teatro (i nomi di attori), allargata oggi alcampo piú vasto dello sbow business. Ecco fatto. Pensavo inol-tre che mi sarei stupito di questo fatto e che avrei cercato leragioni di tale privilegio: perché cosí pochi musicisti, pittori,architetti? Ma al punto in cui siamo arrivati questo sbalordi-mento sarebbe un po' troppo artificioso: il piacere della ma-schera e dello specchio, l'esibizionismo sviato, l'istrionismocontrollato, tutto questo si unisce nello pseudonimo al piaceredell'invenzione, del prestito, della metamorfosi verbale, del fe-ticismo onomastico. Ovviamente lo pseudonimo è già un'at-tività poetica, qualcosa di simile a un'opera. Se sapete cambia-re di nome, sapete scrivere.

Annesso eventuale al nome dell'autore: la menzione deisuoi « titoli ››. Nel corso dei secoli è stata intesa cosí ogni sor-ta di gradi nobiliari, di funzioni e di distinzioni onorifiche oeffettive. Non mi metterò a scuotere questa polvere, ma ab-biamo già visto Beyle invocare la sua ex funzione di «audito-re›› al Consiglio di Stato. Gli autori inglesi dell'epoca classi-ca si chiamavano volentieri, in mancanza di meglio, Esquire,Rousseau (non in mancanza di meglio, e solo in testa alle sueopere in grado di onorare questo titolo) «Cittadino di Gine-vra», e Paul-Louis Courier, nel ripubblicare e modificare latraduzione di Longo di «Messire Jacques Amyot vescovo diAuxerre e grande elemosiniere di Francia» si intitola lui stesso«Viticoltore, membro della Legion d'Onore, già cannonierea cavallo ››. I titoli d`autore ancora in uso in Francia sono, misembra, di due tipi: si riferiscono o all'appartenenza accade-

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mica (Accademia francese, Istituto Goncourt), o ai gradi o allefunzioni universitarie: ruolo, dottorato, cattedre universita-rie o al Collège de France. Tuttoquesto non è molto sexy, ma,cercando attentamente nelle province piú lontane, si troveran-no di certo formule piú pittoresche.Alcuni poi, si sa, sono obbligatori. Altri, a volte gli stessi,

fanno parte di una buona politica commerciale. Per il resto eda un punto di vista bassamente psicologico, si può trovare af-fascinante la combinazione di puerile vanità e di profondaumiltà, sentimenti tra loro totalmente indistinguibili. Il mioeccellente genitore amava agghindarsi con il titolo di abbonatoal gas. Ma dopotutto, deve essersi trattato, verso la fine delNovecento, di un segno di agiatezza e di distinzione, un pri-vilegio, addirittura di un favore. Si attribuiva inoltre la formu-la il cui bumour mi è rimasto a lungo impenetrabile, Croce diguerra a titolo militare. Terminerò qui questa digressione fami-liare.

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I titoli

Definizioni.

Piú di qualsiasi altro elemento del paratesto, la definizio-ne stessa di titolo pone alcuni problemi ed esige uno sforzod'analisi: molto spesso la titolazione, cosí come la conosciamodal Rinascimento (sulla cui preistoria tornerò in seguito), piúche essere un vero e proprio elemento consiste in un insiemepiuttosto complesso, di una complessità che non dipende esat-tamente dalla sua lunghezza. Alcuni titoli molto lunghi dell'e-poca classica, come l'originale di Robinson Crusoe, come ve-dremo, aveva uno statuto relativamente semplice. Un insiemepiú breve, come Zadig ou la Destinée, bistoire orientale forma,come vedremo, un enunciato piú complesso.

Uno dei fondatori della titolologia' moderna, Leo H.Hoek, scrive molto giustamente che il titolo, cosí come noi lointendiamo oggi, è di fatto, almeno per quanto riguarda le ti-tolazioni antiche e classiche, un oggetto artificiale, un artefat-

' Credo sia Claude Duchet ad aver cosí battezzato questa «piccola›› disci-plina, oggi la piú attiva fra tutte quelle (se ne esistono) che riguardano lo studiodel paratesto. Ed ecco una bibliografia selettiva e lacunosa: M. Hélin, Les livreset leurs titres, in «Marche romane», settembre-dicembre 1956; Th. Adorno, Ti-tres (1962), in Notes sur la littérature, Flammaríon, Paris 1984; Ch. Moncelet,Essai sur le titre en littérature et dans les arts, Bof, Le Cendre 1972; L. H. Hoek,Pour une sémiotique du titre, Urbino 1973; C. Grivel, Production de l'intérêt ro-manesque, Mouton, La Haye 1973, pp. 166-81; C. Duchet, La Fille abandonnéeet la Bête humaine, éléments de titrologie romanesque, in «Littérature››, X11(1973); _). Molino, Sur les titres de jean Bruce, in «Langages››, xxxv (1974); H.Levin, The title as a literary genre, in «The Modern Language Review», Lxxn(1977); E. A. Levenston, Tbe Significance of the Title in Lyric Poetry, in T/Je He-brew University Studies in Literature, Spring, Jerusalem 1978; H. Mitterand, Lestitres des roman: de Guy de Cars, in C. Duchet (a cura di), Sociocritique, Nathan,Paris 1979; L. H. Hoek, La marque du titre, Mouton, La Haye 1982; I. Barth,Tbe Title oftbis Boo/2 e Tbe Subtitle oftbis Book, in The Friday Book. Essays andOther Nonfiction, Putnam Pub Groups, New York 1984; C. Kantorowicz, Elo-quence des titres, tesi all'Università di New York (1986).

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to legato alla ricezione o al commento, arbitrariamente dedot-to dai lettori, dal pubblico, dai critici, librai, bibliografi... e daititolologi che siamo, o che ci capita di essere, dalla massa gra-fica e eventualmente iconografica di un frontespizio o di unacopertina. Questa massa comporta o può comportare varie in-dicazioni annesse, che l'autore, l'editore e il loro pubblico nondistinguevano altrettanto nettamente di quanto siamo venutia fare noi. Una volta messo da parte il nome dell'autore, quellodel dedicatario, quello dell'editore, il suo indirizzo, la data distampa e altre informazioni liminari, si è progressivamente sta-bilito l'uso di considerare il titolo un insieme piú ristretto, mache deve ancora essere analizzato affinché se ne possano co-gliere gli aspetti costitutivi. I termini di questa analisi han-no dato luogo a una discussione tra Leo H. Hoek e ClaudeDuchet, che riassumerò sbrigativamente come segue.

Prendiamo il titolo già citato di ciò che oggi chiamiamoZadig'. Hoek (1973) proponeva (a proposito di altri esempi)di considerare come titolo la prima parte, prima della mia vir-gola, e il seguito come « sottotitolo ››. Ritenendo giustamentequesta analisi troppo sommaria, Duchet propone di distingue-re tre elementi: il « titolo ›› Zadig, il «secondo titolo ››, delimi-tato dalla congiunzione ou (o in altri casi da una virgola, untrattino, o qualsiasi altro segno tipografico), ou la Destinée, eil «sottotitolo ››, di solito introdotto da un termine relativo algenere, in questo caso bistoire orientale. Tenendo conto di que-sto suggerimento, ma poco sedotto dalla denominazione, ef-fettivamente un po' rozza (presa in prestito dalla termino-logia dell'inizio del XIX secolo), di «secondo titolo ››, Hoek(1982) fa una controproposta fornendo, per la stessa analisi,questi tre termini: « titolo ›› (Zadig), «titolo secondario ›› (ou laDestinée), « sottotitolo ›› (bistoire orientale).A mia volta desideroso di segnare la breve storia della tito-

lologia, vorrei dire che la differenza terminologica tra « tito-lo secondario» e «sottotitolo» è un po' troppo debole per im-porsi; e poiché, come ha giustamente sottolineato Duchet, iltratto principale del suo « sottotitolo ›› è quello di comporta-re, piú o meno esplicitamente, un'indicazione generica, la cosapiú semplice e significativa potrebbe essere di ribattezzarlo

' Il titolo originale era infatti, nel 1747, Memmon, Histoire orientale; il ti-tolo attuale appare solo nel 1748.

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proprio cosí - liberando quindi il termine «sottotitolo» chein questo modo riassumerebbe la sua accezione corrente. Neconseguono i seguenti tre termini: «titolo ›› (Zadig), «sottoti-tolo» (ou la Destinée), «indicazione generica» (histoire orien-tale). Si tratta del livello piú completo di un sistema virtualedel quale nella nostra cultura solo il primo elemento è obbli-gatorio. Oggi si trovano piú frequentemente delle situazionidifettose quali: titolo + sottotitolo (Madame Bovary, mcrurs deProvince) o titolo + indicazione generica (La nausée, roman),senza contare i titoli veramente semplici come Les mots,fo lecombinazioni devianti come questa, ovviamente parodica: Vik-tor Sklovskij, Zoo l Lettere non d 'amore I o la Terza Eloisa.

Difettose o meno, le titolazioni non separano sempre cosíformalmente i loro elementi, in particolare il terzo, che si in-tegra volentieri al secondo (L 'éducation sentimentale, histoired 'un jeune homme) o al primo (Le roman de la Rose, The LifeofSamuel Iohnson, Essai sur les mceurs, ecc.), quando addirit-tura non coincida completamente con esso, come nel caso diSatire, Elegie, Scritti e altri ancora. Le indicazioni generiche,quando sono integrate e nello stesso tempo consistono di for-mulazioni originali o devianti (Chronique du XIX” siêcle, sot-totitolo di Le Rouge et le Noir» ', Méditations poétiques, Diva-gations), possono dare luogo a notevoli incertezze e contro-versie: in Ariel ou la Vie de Shelley, «la vie ›› (la vita) è un'in-dicazione generica mascherata, una perifrasi per biografia?Il Mceurs de province di Bovary è un semplice sottotitolo ouna sorta di variazione della formula generica (balzachiana)Etudes de mceurs? A seconda delle risposte questo elementoverrà etichettato << sottotitolo ›› o «indicazione generica ››. Macontrariamente a quello che potrebbe sembrare, il mio obiet-tivo non è quello di etichettare, ma di identificare gli elementicostitutivi, il cui ruolo negli insiemi costituiti può diversifi-carsi o sfumarsi all'infinito. Non li seguiremo però fin laggiú.Di fatto, rispetto agli elementi ormai battezzati titolo e sot-

totitolo, l”indicazione generica è un ingrediente piuttosto ete-rogeneo, perché infatti i primi due sono definiti in modo for-

' Almeno quello che appariva sulla pagina del frontespizio generale. Ma al-l`inizio del Libro I, un richiamo del titolo viene accompagnato da un nuovo sot-totitolo Chronique de 1830, tanto piú inspiegabile poiché contraddice senza pu-dore la finzione dell'avvertenza secondo la quale il romanzo sarebbe stato scrittonel 1827. A quanto pare, nessun commento degli specialisti in proposito.

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male mentre il terzo in modo funzionale. Conviene dunque,malgrado i vari svantaggi di questa scelta, dedicarle uno stu-dio specifico che troveremo alla fine di questo capitolo. Per ilmomento ci limiteremo a tenere presente il fatto che l'indica-zione generica può essere l'oggetto di un elemento paratestualerelativamente autonomo (come la menzione «romanzo» sul-le nostre attuali copertine), oppure investire, piú o meno for-temente, il titolo e il sottotitolo. Riservo inoltre, per quantoriguarda lo studio delle funzioni del titolo, una considerazionedelle titolazioni semplici con valore di indicazione generica,del tipo Satire o Meditazioni.

Notiamo inoltre, in relazione alla struttura del titolo cosíridotta (titolo + sottotitolo), che gli elementi possono esserepiú o meno strettamente integrati. Come credo dovrebbe es-sere ormai chiaro, Ariel ou la Vie de Shelley è un titolo doppiopiú compatto di Madame Bovary, mazurs de province, indubbia-mente perché la congiunzione ou congiunge molto di piú diquanto non disgiunga, quali che siano le disposizioni graficheadottate dall'autore e dall'edi_tore. Stessa osservazione perPierre or the Ambiguities, Anicet ou le Panorama, Blanche oul'Oubli, e altri ancora. Anicet presenta inoltre questa partico-larità, che Aragon ha specificato l°integrazione al titolo dell°in-dicazione generica «roman ››. Questo insieme, in apparenzaben distinto: Anicetl ou le Panorama, I roman deve, secondola decisione dell'autore, funzionare come un tutto: Anicet-Qu-le-Panorama, -roman. Stessa raccomandazione, credo, per Hen-ri Matisse, roman.

Un caso decisamente paradossale è quello di Soulier de sa-tin, il cui sottotitolo appare solo nella menzione che dovreb-be farne l'Annunciatore ad ogni rappresentazione. Contraria-mente alla pratica teatrale ordinaria, il titolo (completo) esi-ste, per cosí dire, solo per via orale. Ma questa oralità viene su-bito smentita o sovvertita dalla disposizione tipicamente gra-fica che le conferisce il testo di questo prologo: LE SOULIER DESATIN I ou I LE PIRE N'EsT ToUJoURs sün I ACTION ESPAGNO-LE EN QUATRE JOURNÉES `, e che l'Annunciatore deve sicura-mente rendere con gesti, mimica o con diverse modulazionidella voce.

' La scarpina di raso I o I il peggio non è sempre sicuro I azione spagnolain quattro giornate. '*

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La nostra epoca ha moltiplicato le raffinatezze nella presen-tazione del titolo (che non seguirò in tutti i loro capricci). Al-cune devono di sicuro far disperate i bibliografi a causa dellafantasia della loro grafica che rende impossibile trascriverle fe-delmente. Prendete per esempio i titoli di Maurice Roche: cia-scuno si distingue grazie a un tipo cosí particolare di caratteriche possono essere evocati solo con una descrizione: Circus incaratteri << chiari ››, Codex in una specie di caratteri maiuscoliromani con la sua x ingrandita in forma di X greco, ecc. Un'a-naloga se non maggiore difficoltà potrebbe presentarsi nel casodella menzione orale, anche se di solito non ci si fa molto ca-so (mentre si è bloccati sulla particolarità grafica); questo ti-tolo di Dubrovskij, Fils, è ad esempio elementare da trascri-vere, ma pronunciabile solo con infedeltà a causa della disam-biguazione forzata. Potremmo forse cavarcela con delle con-torsioni della bocca. Troppo spesso, inoltre, viene stravolta(come nell'occhiello e - è il caso di dirlo - spesso a comincia-re dall'editore), anche per iscritto, la ripartizione originale deititoli formati da elementi sovrapposti, come

Sade Oui Donnant Le soupçonFourier Dire, Donnant, Le désert,Loyola,

e altri. Meno difficile da rispettare la grafia di LETTERS di]ohn Barth, che, per ragioni di forza maggiore, esige settemaiuscole.

Semplici o complesse, le titolazioni finora evocate riguar-davano opere semplici, o considerate tali, come un romanzo(Madame Bovary) o una raccolta (Satire), ed è certamente il casopiú frequente, poiché la maggior parte delle raccolte (di poe-sie, di novelle o di saggi) si presentano cosí, ciascuna comeun'opera unitaria. Ma le cose possono complicarsi quando unlibro si presenta sotto forma di raccolta artificiosa e puramentemateriale di opere pubblicate anteriormente una ad una e lacui specificità non può venir abolita, né diminuita da questoraggruppamento; lo stesso vale nel caso opposto in cui un'o-pera pubblicata separatamente si presenti come parte di un in-sieme piú vasto.Ho detto: possono complicarsi. Non è inevitabile, e molte

raccolte di Opere poetiche piú o meno complete, si presenta-

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no con questo semplice titolo o qualche altro equivalente; lostesso accade, per esempio, nel caso delle First Forty-Nine Sto-ries di Hemingway, che mettono insieme le tre raccolte prece-denti (In Our Time, Men Without Women, Winner Take Noth-ing) segnalandolo solo nell°indice. Ma l'autore può anche volermenzionare nel titolo le opere singole che costituiscono unnuovo insieme. Si vede allora apparire una titolazione a duelivelli, uno dei quali è costituito dal titolo in sé, per esempioLes lois de l'/oospitalité, o Tome premier, o Poêmes, e l'altro dal-l'elenco dei titoli delle opere raccolte: La révocation,de l'éditde Nantes, Roberte ce soir, Le souflleur; Douze Petits Ecrits, Leparti pris des choses, Proèmes, ecc. Du mouvement et de l'immo-bilité de Douve, Hier régnant désert, ecc.

Ci si può anche rifiutare di federare in questo modo con ununico titolo delle opere delle quali si desidera conservare l'au-tonomia: è il caso del procedimento « confederale ››, caro adesempio a Michaux (Plume, précéde' de Lointain intérieur) o aChar (Le marteau sans maitre, suivi de Moulin premier); ma an-che in questi casi il primo titolo appare come quello principale,anche se questo non è lo scopo voluto. Ciò dimostra che nonè cosí facile far coabitare senza confusione varie opere in unostesso libro.

Non so se i titoli generali imposti successivamente, comeTomo primo, vengano correntemente definiti sopratitoli, macredo sarebbe meglio riservare questo termine alla situazionecontraria: quella degli insiemi di vari volumi aventi ciascunotitoli diversi. E questo, in particolare, il caso delle serie diro-manzi del tipo Rougon-Macquart, Recherche, Hommes de bon-ne volonté, ecc.; La Comédie humaine è un caso a parte perchécomposta ulteriormente e di piú debole unità. Infatti, ogni ro-manzo o novella di questo futuro insieme veniva pubblicato se-paratamente comefeuilleton e/o voltune, e questa presentazionesi è mantenuta fino alla fine, congiuntamente alla pubblica-zione degli insiemi piú o meno parziali quali: Scênes deƒla vieprivée (1830), Romans et Contes philosophiques (183 1), Etudesde maeurs au XIX' siêcle (1835) (precedentemente suddivisi inScenes de la vie privée, de kr vie de province, de la vie parisienne),Etudes philosophiques (1835), e infine La Comédie humaine(1842), nella quale queste suddivisioni, e qualcun'altra, si ri-trovano ir1 una costruzione a piú piani: La cousine Bette è il pri-mo episodio di Parents pauvres, che appartiene alle Scenes de ki

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vie parisienne, che appartengono a Etudes de mceurs, che appar-tengono, infine, alla Comédie humaine. Questa struttura ap-pare ovviamente solo nelle edizioni collettive della Comédiehumaine, ele innumerevoli edizioni separate spesso non men-zionano neanche l'esistenza di un tale insieme. Esistono poialtre raccolte possibili, anche se chiaramente infedeli alle in-tenzioni dell'autore: per esempio, secondo l'ordine cronolo-gico della pubblicazione, o secondo l'ordine cronologico del-Fazione, senza contare la riedizione in fac simile dell'edizio-ne Furne del 1842 nell'esemplare provvisto da Balzac di cor-rezioni manoscritte '. Tutte le varianti sono rese possibili dalfatto che l'ordine della Comédie humaine, appena vagamentetematico (vedi le esitazioni dell'autore stesso), non è certamen-te cronologico.

L'insieme dei Rougon-Macquart ha ovviamente una piú for-te - o piú manifesta - unità ed essenzialmente concepita findall'inizio. Anche il primo volume della serie, La fortune desRougon, recava sulla pagina del frontespizio e sulla copertinail sottotitolo Les Rougon-Macquart, e lo stesso per ogni volu-me pubblicato prima della morte di Zola. A dire il vero, lasituazione era ancora piú complessa, poiché in questo caso ilsottotitolo ha esso stesso un sottotitolo (sotto-sottotitolo): His-toire naturelle et sociale d'une famille sous le Second Empire.Resta il dubbio che le edizioni postume, cosí numerose e spes-so cosí economiche, di un'opera cosí popolare, non abbianosempre scrupolosamente rispettato questa disposizione di si-curo voluta dall'autore. Per risparmiarci un'estenuante inchie-sta retrospettiva, ecco sommariamente la situazione in cui sitrova quest'opera oggi in Francia: il sottotitolo non figura nénel tascabile, né nell'edizione Garnier-Flammarion, e nemme-no, per ovvie ragioni, nel Germinal di Garnier. Le uniche rac-colte attuali che lo presentino sono Folio, e chiaramente laPléiade che, a dire il vero, sfoltisce in senso contrario, indican-do sulla sopracoperta solo il sopratitolo e il suo sottotitolo. Lalista dei romanzi raccolti in ogni volume appare solo sul risvol-to della sopracoperta e sul frontespizio.

' Cfr. Les CEuvres de Balzac, a cura di R. Chollet, Rencontre, Lausanne1958-62; L'aeuvre de Balzac publiée dans un ordre nouveau, a cura di A. Béguine J. A. Ducourneau, Formes et Reflets, Paris 1950-53; e le (Èuvres complêtesillustrées, di I. A. Ducourneau, Les Bibliophiles de l`originale, Paris 1965-76.

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L'integrazione diegetica è ancora piú forte nella Recherche,poiché la successione delle «parti›› è regolata dal filo cronolo-gico della vita dell'eroe-narratore, e tutti sanno che Proust ori-ginariamente voleva pubblicare quest'opera in un unico grossovolume, intitolato A la recherche du Temps perdu o Les intermit-tences du coeur. Rassegnatosi rapidamente ad una inevitabiledivisione, propose a Fasquelle, nell'ottobre del 1912, un°operaintitolata Les intermittences du cceur e divisa in due volumi: LeTemps perdu e Le Temps retrouvé'. L'edizione Grasset all'i-nizio seguí questa bipartizione, prima di adottare, come testi-monia l'annuncio del 1913, la tripartizione Du côté de chezSwann, Le côté de Guerrnantes (notare la variazione dell'arti-colo alla _ quale, come sappiamo, Proust teneva molto), LeTemps retrouve'. Questi volumi sarebbero dovuti essere ideal-mente stampati senza capoversi, compresi i dialoghi: «Per farentrare subito i discorsi nella continuità del testo ›› '. SecondoMaurois, sarebbe stato Louis de Robert a convincerlo ad ac-cettare qualche capoverso, nella presentazione piú tradizionalepubblicata da Grasset, poi da Gallimard. Tali suddivisioni involumi e capoversi sono apertamente accettate in quanto con-cessioni all'uso e alle necessità editoriali, come testimonianoqueste due confidenze a René Blum: «Per fare una concessio-ne alle abitudini, do un titolo diverso a due volumi [. . .] Met-terei invece in alto sulla copertina un titolo generale come, peresempio, ha fatto France per Histoire contemporaine, e «fin-go che [il primo volume] costituisca da solo un tutto unico, co-me L'orme du mail nell'Histoire contemporaine o Les déracinésnel Roman de l'énergie nationale»”. E cosí che Proust, suomalgrado, abbandona a poco a poco, o passo passo, l'inizialestruttura unitaria a favore di una divisione binaria, poi terna-ria, che diventerà nel 1978, sempre sotto la pressione delle cir-costanze, una divisione in cinque «volumi›› (Swann, ]eunes Fil-les, Guerrnantes, Sodome, Temps retrouvé), e infine in sette vo-lumi grazie alla suddivisione di Sodome et Gomorrhe III in Laprisonnière e La fugitive.

1 Cfr. M. Proust, Correspondance, a cura di Ph. Kolb, XI, Plon, Paris1984, p. 257. La maiuscola di Temps è costante negli scritti di Proust: non so-no convinto che questa intenzione venga sempre rispettata.' Id., Lettera a Louis de Robert del giugno 1913, ibid., XIII (1984),

p. 212.i Id., Lettere a René Blum del zo febbraio, poi inizio novembre 1913,

fbid.,P1=›- 79, 295-

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La traduzione editoriale di questa struttura fu dunque, apartire dal Swann di Grasset del 1913, Fimposizione del sopra-titolo A la recherche du Temps perdu ' al titolo del volume Ducôté de chez Swann, disposizione che favoriva chiaramente lapercezione del titolo parziale a detrimento del titolo genera-le. Essa fu conservata da Gallimard per la serie di quattordi-ci, poi quindici volumi che costituiscono l”edizione correntedella_«Collection Blanche», ma con un forte aumento del cor-po del titolo generale, che in questo modo gli attribuiva un cer-to risalto. Nel 1954, la presentazione della Pléiade accentuaulteriormente questo risalto, e da qualche anno, secondo lenuove norme della collana, i titoli delle sezioni hanno (comeper i Rougon-Macquart) completamente abbandonato la primapagina della sopracoperta e il dorso di copertina, e sono rele-gati nella quarta. Questa evoluzione paratestuale era eviden-temente, anche se fortuitamente, conforme alle originarie in-tenzioni di Proust, ma forse non alle sue intenzioni finali, cheavrò occasione di trattare in un altro capitolo. Resta il fattoche, in via del tutto ipotetica, due o tre generazioni di letto-ri, dal 1913 in poi devono aver percepito e, dunque, anche let-to diversamente l'opera di Proust, a seconda che gli venissepresentata come una serie di opere autonome o come un insie-me unitario con un titolo unico in tre volumi. Dagli anni '60in poi, le edizioni tascabili hanno inevitabilmente operato unritorno al frazionamento, attenuato da una presentazione piúcompatta (di quella della «Collection Blanche ››) in otto volu-mi, ma aggravata da copertine che riducevano sempre di piúla parte del titolo generale: in caratteri piccolissimi sotto il ti-tolo della sezione nell'edizione tascabile, relegato in quarta dicopertina nel Folio. Il massimo viene raggiunto nella nuovaedizione Garnier-Flammarion, nella quale - malgrado sia di-retta da un eminente proustologo - i volumi pubblicati fino-ra (La prisonnière, La fugitive e Le Temps retrouveñ non indicanosulla copertina la menzione dell'insieme, ma solo nel testo delpriêre d 'insérer. In tutti questi casi, ovviamente, il frontespi-zio svolge una funzione di recupero e resta il luogo, dal pun-to di vista bibliografico, piú ufficiale e forse l'unico responsa-bile, anche se per il << grande ›› pubblico un tale recupero è un

' Composto interamente da maiuscole, scelta che eludeva la decisione re-lativa all'in.iziale di Temps.

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po' tardivo, e indubbiamente troppo discreto. Ignoro cosa ciriservino le future edizioni, ma in un certo senso la diversità,se non addirittura l'incoerenza che vengono preannunciate,avranno ahneno l'esito felice di liberare il testo da una presen-tazione oggi un po° troppo canonica, e dunque da un parate-sto un po' troppo dominante, a causa del suo monopolio.

Luogo.

Durante i secoli non è stato riservato al titolo, cosí come alnome dell°autore, alcun luogo specifico; qualche volta, comenel caso dei volumina antichi, esso consisteva in un'etichetta(titulus) piú o meno ben fissata sull'estremità (umbilicus) delrullo, come nelle boutiques del Sentier '. Quando non venivamenzionato dalle prime o dalle ultime righe del testo stesso,diventando cosí - come abbiamo visto a proposito del nomedell'autore - indissociabile dal destino dell'opera, la sua desi-gnazione avveniva allora tramite la trasmissione orale, se neveniva a conoscenza per sentito dire o era di competenza deiletterati. L'invenzione del codex non ha minimamente miglio-rato la sua situazione materiale: il testo cominciava dalla primapagina (o dalla pagina di destra, dopo quella bianca di sinistra),nelle stesse condizioni dell'antichità. I primi libri stampati, cheimitavano, tanto da trarre in inganno i manoscritti che ripro-ducevano, non comportavano ancpra ciò che chiamiamo pagi-na del frontespizio. Questa andava cercata alla fine del volu-me, nel colophon, insieme al nome dello stampatore e alla datadi stampa: il colophon è dunque, per molti aspetti, l”antena-to o l”embrione del nostro peritesto editoriale. La pagina delfrontespizio è apparsa solo negli anni 1475-80, e resterà a lun-go, fino all”invenzione della copertina stampata, l'unica sededi un titolo, come abbiamo visto, spesso ingombrato da varieindicazioni annesse. Questa pagina viene allora chiamata sem-plicemente titolo, e non per metonimia: si tratta piuttosto dellanostra nozione ideale di titolo, progressivamente liberata dalmagma iniziale, testuale e poi paratestuale, nel quale il titolosi trovava immerso senza un suo statuto specifico; Erodoto,

' Quartiere di Parigi caratterizzato dalla presenza di negozi di tessuti estoffe, la cui disposizione ricorda quella dei volumina [N. d. T.].

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ad esempio, cominciava la sua opera con «Erodoto di Turi quiespone le sue ricerche ››, e Clari la sua con «Qui comincia (è latraduzione letterale del latino incipit) la storia di coloro i qualiconquistarono Costantinopoli ››.

Nella situazione attuale, il titolo comporta quattro luoghiquasi obbligatori e piuttosto ridondanti: la prima di coperti-na, il dorso di copertina, il frontespizio (page de titre), l'occhiel-lo che ha solo il titolo talvolta in forma abbreviata *. Il titolosi trova inoltre frequentemente ricordato sulla quarta di coper-tina e/o come titolo corrente, vale a dire sulle pagine in alto,un'ubicazione che a volte condivide con i titoli dei capitoli, ein questo caso gli è di solito riservato lo spazio in alto della pa-gina sinistra. Quando la copertina è nascosta da una sopraco-perta, il titolo vi viene inevitabilmente ricordato, o meglio an-nunciato. Non sono a conoscenza di un equivalente in lette-ratura (moderna) del titolo finale, come quelli dei Préludes diDebussy, che sono di fatto dei titoli di parti, mentre il titologenerale figura all'inizio della partizione. Lo sfruttamento piúingegnoso di questa molteplicità di ubicazioni è quello - giàmenzionato - inventato da Ricardou per La prise de Costanti-nople, in cui il titolo cambia di forma e di senso nella quartadi copertina, che viene presentata come una seconda prima:La prose de Costantinople. Questo è forse l`unico esempio; aquanto pare, dunque, gli scrittori d”avanguardia non hannominimamente investito in questo genere di risorse, o forse nesono stati dissuasi dalle esigenze di norme tecniche e commer-ciali, in questo campo molto rilevanti.I libri rilegati in cuoio (o simil-cuoio) spesso omettono di

menzionare il titolo sulla prima di copertina, ma per ragionievidenti lo fanno apparire sul dorso, l'unica facciata visibilein biblioteca e in libreria, e che potrebbe dunque oggi rappre-sentare, dopo il frontespizio, la seconda ubicazione obbliga-toria del titolo. Obbligatoria e per niente insignificante, poi-ché la sua esiguità costringe ad operare delle abbreviazioni ri-velatrici (alcune rilegature antiche ne comportano di gustose,a causa della disinvoltura dell'epoca classica a questo riguar-do), o una scelta spesso dolorosa, come abbiamo già visto, trastampa orizzontale e verticale.

1 La collana «Le Chemin» di Gallimard, però, non ha occhiello, e non ècerto l'unica eccezione.

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66 soGLIE

Momento.

Il momento di apparizione del titolo non solleva, in lineadi principio, nessuna difficoltà: è la data di pubblicazione del-l'edizione originale, 0 eventualmente, preoriginale. Ma c'èqualche sfumatura, qualche eccezione.

Non teniamo minimamente conto, poiché la sua conoscen-za finisce per venire alla luce nel paratesto delle edizioni eru-dite, della preistoria genetica - 0 vita prenatale - del titolo, ecioè delle esitazioni dell'autore nella propria scelta, che pos-sono essere notevoli e ben nutrite: Lesƒleurs du mal fu inizial-mente intitolato Les lesbiennes o Les limbes; Lucien Leuwen,opera incompiuta, il cui titolo è il risultato di scelte postume,esitava tra L 'orange de Malte, Le télégraphe, L'Amarante et leNoir, Les bois de Prémol, Le chasseur vert, Le Rouge et le Blanc;Claude Duchet ha contato nell'avantesto (0 avant-paratesto)della Bête humaine, non meno di centotrentatre progetti diver-si. In questo senso, Zola detiene sicuramente una specie dire-cord, ma le sue liste' non sono minimamente indifferenti peril lettore, e ancora meno per il critico, poiché esse insistono suvari aspetti tematici inevitabilmente sacrificati dal titolo de-finitivo, e questo avan-paratesto fa legittimamente parte delparatesto postumo. Nessun proustiano un po' accorto può oggiignorare il fatto che La Recherche stava per essere intitolataLes intermittences du czrur 0 Les colombes poignardées (!) Tuttociò ha un senso nella nostra lettura, come essere al corrente delfatto che Un roi sans divertissement era inizialmente intitolatoCharges d 'âme, per citare solo qualcuno delle migliaia di esem-pi, anche se molti di questi pre-titoli non erano per l'autoreforse nient'altr0 che semplici working titles, titoli provvisorie usati in quanto tali, come lo erano secondo M. Brod Ilpro-cesso (Der Prozess) e Il castello (Das Schloss), e come deve esserestato Work in Progress prima di diventare Finnegan 's Wake.Anche e soprattutto a titolo provvisorio, una formula non è

' H. Mitterand, nell'edizione della Pléiade,' precisa che quella della Bêtehumaine è la piú ricca. Egli cita cinquantaquattro pre-titoli per l`@uvre, e C.Becker ne conta ventitre per Germinal (Garnier, p. Lv). L'argent si è inveceimposto subito. Per quanto riguarda il Ventre de Paris, doveva inizialmenteintitolarsi Le ventre, «lo trovavo piú vasto ed energico. Ho ceduto al deside-rio del mio editore» (lettera a]. van Santen Kolff, del 9 luglio 1890).

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mai completamente insignificante, a meno di ricorrere a unsemplice numero di serie.

Sappiamo, inoltre, che alcuni autori, particolarmente por-tati agli pseudonimi, dànno alle loro opere - anche dopo laloro pubblicazione - delle specie di nomignoli per uso intimoo privato: Stendhal, per esempio, preferiva designare il Rougecon il nome del suo eroe, ]ulien, o le Vies de Haydn... con quel-lo dell'autore pseudonimo, Bombet. Per non parlare delle sem-plici abbreviazioni: la prima opera di Chateaubriand è ufficial-mente intitolata Essai historique, politique et moral sur les ré-volutions anciennes et modernes considérées dans leur rapport avecla Révolution française. Noi abbiamo ridotto questo titolo aEssai sur les révolutions, ma l'autore lo accorciava sempre in Es-sai historique. La sfumatura non è irrilevante.Il caso contrario, del titolo trovato subito, e spesso molto

prima del soggetto dell'0pera, non è assolutamente ecceziona-le, e ancora meno indifferente, poiché il titolo preesistente puòin molti casi fungere da incipit (vedi Aragon, o il famoso «pri-mo verso ›› suggerito a Valéry dagli dèi), e cioè da incitatore:una volta pronto il titolo, non resta che produrre un testo chelo giustifichi. .. o meno. << Se scrivo la storia prima d”aver tro-vato il titolo, essa generalmente abortisce, sostiene Giono aproposito dei Deux cavaliers de l'orage. Ci vuole un titolo, per-ché il titolo è questa specie di bandiera verso la quale ci si di-rige; l'obiettivo da raggiungere è quello di spiegare il ti-tolo ›› '.

Ma le esitazioni sul titolo, quando ce ne siano, possono pro-lungarsi oltre alla consegna del manoscritto, e addirittura ol-tre alla prima pubblicazione. Qui l'autore non è piú solo (pursupponendo che lo sia stato fino a questo momento), egli haa che fare con il suo editore, con il pubblico, e a volte con lalegge. Tutti sanno che senza Gallimard, La nausée si sarebbedovuta intitolare Melancholia, e che Proust dovette rinunciarea La fugitive, titolo già utilizzato da Tagore, in favore provvi-soriamente di Albertine disparue'. Le Cousin Pons era stato

' R. Ricatte, Les deux cavaliers de l'orage, in «Travaux de linguistique etde littérature», v1I (1969), 2, p. 223. Sappiamo che questo non vale per tuttele sue opere, ma resta il fatto che ci si possa ispirare da un titolo, e poi, unavolta prodotto il testo, preferirne un altro.

Z Provvisoriamente perché l'edizi0ne Pléiade, dal 1955, ha ristabilito Lafugitive, mentre le edizioni tascabili hanno conservato Albertine disparue, eJ. Milly, per Garnier Flammarion, fa apparire La firgitive seguito tra parentesi

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inizialmente annunciato ai lettori del Constitutionnel con il ti-tolo Les deux musiciens (tornerò .in seguito sulle ragioni di que-sto cambiamento). Ininuxlne1ã:_vol1_sostituzioni di questo genere,proposte o imposte ag 1 e 1tor1, resteranno per sempre sco-nosciute; talvolta accade però che l'autore si lamenti ufficio-samente, attraverso una prefazione o un'intervista, confidenze0 note intime e ueste mezze smentite a arten ono an-clilesse al parat:st0i1Una nota in margine adplìlrrnanše indicache il titolo voluto da Stendhal (dopo l'abbandono di Olivier,che ::ill'epåca «metteva in mostraCT il soglgetto) era «Armance,anec ote u XIX' siêcle. Il secon o tito 0' è stato inventatodal libraio; senza enfasi, senza ciarlatanismo, non si riesce avendere niente, diceva [questo libraio] il signor Canel›>. Co-sa direbbe oggi? L'autore però può benissimo ostinarsi perquanto riguarda un certo titolo e subito dopo pentirsene. E,a quanto pare, il caso di Flaubert, che dopo aver «irrevocabil-mente ›> imposto a Michel Lévy L'éducation sentimentale («l'u-nico che renda l'idea del libro ››) ci ripensa nella dedica a HenryMeilhac: << Il vero titolo avrebbe dovuto essere Les fruits secs››.Sappiamo anche che Proust, nel 1920, si lamentava del suo ti-tolo e rimpiangeva il titolo iniziale Le Temps perdu '.

Dicevo: oltre alla prima pubblicazione, intendendo anche,con l'autore in vita e con il suo consenso. Albert Savarus, adesempio, pubblicato con questo titolo in feuilleton nel 1842,e subito dopo ripreso con lo stesso titolo nel primo tomo dellaComédie humaine, che ne costituisce l'originale, venne ripub-blicato nel 1843 in una raccolta collettiva con il nuovo titoloRosalie. Nella stessa raccolta usciva La muse du département,con il nuovo titolo Dinah. Gli specialisti, a mia conoscenza,non propongono alcuna spiegazione per questi cambiamentidi titolo che non corrispondono a nessuna modificazione signi-ficativa del testo. Diverso è il caso del passaggio dal DernierChouan ou la Bretagne en 1800 (1829) a Les chouans ou la Bre-

da Alhertine disparue. Ci si avvia dunque verso un caso di sinonimia del tipo Spleen de Pa-ris / Petits Poêmes en prose.

' Vale a dire l'attuale titolo completo, Armance ou Quelques scênes d 'un sa-lon de Paris en 1827.

1 G. Flaubert, Lettres inédites å Michel Lévy, Calmann-Lévy, Paris 1965,p. 154; M. Proust, Lettera a]acques Rivière del luglio 1920, in Correspondan-ce, 1914-1922, a cura di Ph. Kolb, Gallimard, Paris 1976.

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tagne en 1799 (1834), che presentano effettivamente un nuovotesto (ma il primo, come sappiamo, doveva inizialmente inti-tolarsi Le gars). Il procedimento piú economico è certamentequello di Sénancour, che nel 1804 pubblica un Oberman e inseguito, nel 1833, una versione modificata con il nuovo tito-lo Obermann. Egli non ha purtroppo perseverato in questa di-rezione nella terza edizione del 1840, maggiormente rimaneg-giata, nella quale non appare, però, una terza n. Ma poiché lemodifiche del 1833 sono trascurabili, i (troppo rari) estimatoridi Sénancour dispongono di un mezzo molto comodo per di-stinguere le due principali versioni di questo testo, almeno periscritto; al telefono bisogna insistere un po'.

Un ultimo tipo di trasformazione ufficiale può dipenderedallo shock derivato dal successo di un adattamento realizzatocon un titolo diverso dall'originale, che viene considerato van-taggioso riprendere. E il caso del romanzo di Simenon, L 'hor-loger d 'Everton (1954) ristampato nel 1974 con una copertinaillustrata, naturalmente, in seguito al film di Bertrand Taver-nier, e stranamente intitolato: George Simenon I L'horloger deSaint-Paul I dal romanzo I L'horloger d'Everton. Sul frontespi-zio è menzionato unicamente il titolo originale, il che provache si tratta chiaramente di un rivestimento. E anche il casodel romanzo di Pierre Bost, Monsieur Ladmiral va bientôt mou-rir, pubblicato nel 1945, che nel 1984 divenne un film (dellostesso Tavernier), intitolato Une dimanche à la campagne. Nelfrattempo Pierre Bost mori. L'editore si affrettò a pubblica-re una nuova edizione, il cui titolo, sulla copertina e sul fron-tespizio restava Monsieur Ladmiral..., mentre la sopracoperta,illustrata con il manifesto del film, recava in grossi caratteri ilsottotitolo Un dimanche à la campagne. Procedimenti econo-mici e ambigui, che potrebbero però essere semplicemente del-le transizioni verso un cambiamento definitivo: a tal fine pro-babilmente basterebbe un successo duraturo del nuovo tito-lo cosí timidamente proposto'.

' Ricordo, d”altronde, l'abitudine molto diffusa di modificare il titolo almomento della traduzione di un'opera. Ci vorrebbe uno studio di questa pra-tica che non è esente da effetti paratestuali. In mancanza di ciò, un esempio acaso è quello della traduzione inglese della Condition humaine e dell'Espoir co-me, rispettivamente, Man 's Fate e Man 's Hope, traduzione che suggerisce unasimmetria tra queste due opere decisamente apocrifa; ignoro se l'autore siastato consultato in proposito.

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Poiché il principale agente della deriva del titolo non è pro-babilmente, né l'autore, né l'editore, ma proprio il pubblico,e piú precisamente il pubblico postumo, chiamato ancora, egiustamente, la posterità. Il suo ruolo, o piuttosto, in questocaso, la sua pigrizia, va generalmente nella direzione di un'ab-breviazione, di una vera e propria erosione del titolo.

La forma piú semplice di tale erosione consiste generalmen-te nella dimenticanza del sottotitolo. Dimenticanza seletti-va e di intensità variabile: il pubblico coltivato conosce anco-ra Candide ou l'Optimisme, Emile ou De leducation, e forseLes caractêres ou les Mceurs de ce siêcle 1 (per Iulie, eccezional-mente la posterità ha promosso a titolo il sottotitolo originale:La Nouvelle Héloise '); ma chi è in grado di ripetere senza esi-tazione il sottotitolo di Le Rouge et le Noir, già citato, o del-l'Education Sentimentale (Histoire d 'un ieune homme), per nonmenzionare Eugénie Grandet, che solo nel feuilleton apparivacon quello di Histoire de province; e il Pêre Goriot, il cui sot-totitolo originale del 1835, Histoire parisienne, scomparve almomento della prima raccolta? Gli editori talvolta contribui-scono spiacevolmente a questa dimenticanza; in molte edizionimoderne, anche erudite, i sottotitoli scompaiono dalla coper-tina, se non addirittura dal frontespizio. E il caso del sottoti-tolo di Bovary, presente in tutte le edizioni rivedute da Flau-bert, la cui importanza tematica è ovvia, scomparso dalle edi-zioni Dumesnil del 1945, Masson del 1964 e Bardèche del1 97 1 3.

Piú legittima in linea di principio, e chiaramente inevitabi-le, l'abbreviazione dei lunghi titoli-riassunti caratteristici del-l'epoca classica, e forse soprattutto del XVIII secolo, che imma-giniamo siano scorrettamente citati in extenso in una conver-sazione e perfino in un'ordinazione in libreria, e la cui abbre-

' In realtà, nel XVII e nel XVIII secolo costantemente Les caractêres deThéophraste traduits du grec avec les Caractêres ou les Mazurs de ce siêcle. Solo al-la sesta edizione (1691) il testo di La Bruyère verrà stampato con piú grossicaratteri di quelli di Teofrasto.

2 E però anche vero che la copia autografa data al maresciallo di Lussem-burgo recava sulla sua prima pagina La Nouvelle Héloilse, e sulla seconda Iulieou la Nouvelle Héloise, segno dell”esitazione dell'autore stesso.

3 L'edizione di C. Gothot-Mersch presso Garnier, che non lo aveva allasua pubblicazione del 1971, lo ha ristabilito nel frontespizio dal 1980.

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viazione era sicuramente prevista, se non addirittura program-mata dall'aut0re. A dire il vero, alcune di queste titolazionioriginali si lasciano facilmente analizzare in elementi di statutodiverso e di ineguale importanza. Cosí, L'Astre'e recava sulfrontespizio del suo primo Libro, nel 1607, l'Astre'e di Messi-re Honoré d 'Urƒe', gentiluomo alla Corte del Re, Capitano di cin-quanta uomini armati delle sue Ordinanze, conte di Chasteauneufe barone di Chasteaumorand [ecc.], dove attraverso varie storiee nelle persone di Pastori ed altri, sono dedotti i diversi ejfetti el'onesta amicizia. Si può distinguere facilmente un titolo breve(senza però che si sappia se l'articolo iniziale ne faccia parte omeno), il nome dell'autore seguito dai suoi titoli e funzioni, equalcosa di simile a un sottotitolo. Ma l'analisi è piú difficilee certamente meno autorizzata, per quanto riguarda il titolooriginale del libro che oggi chiamiamo Robinson Crusoe, chenel 1 7 19 era (e in inglese...) La vita e le strane avventure di Ro-binson Crusoe, di York, marinaio, che visse per ventotto anni solosu un 'isola deserta sulla costa d'America, presso la foce delgrandefiume Orinoco, dopo essere stato gettato sulla riva da un naufragionel quale tutti morirono tranne lui. Col racconto di come egli fuinfine cosí stranamente liberato dai pirati.

L'uso di questi titoli-argomenti sembra essersi esaurito al-l'inizio del XIX secolo, con Walter Scott eJane Austen, ma es-so ricompare di tanto in tanto, nel corso del XD( e anche del Xxsecolo, in forma di pastiche ironico o complice, almeno da partedi autori impregnati di tradizione o portati al clin d 'ceil, comeBalzac (Storia della grandezza e della decadenza di César Birot-teau, commerciante di profumi, aggiunto del sindaco del dodice-simo circondario di Parigi, cavaliere della Legion d 'onore, ecc.),Dickens (La storia privata, l'esperienza e le osservazioni di Da-vid Copperfield, Junior, di Blunderstone Rookery, che non ha maidestinato ad alcuna sorta di pubblico), Thackeray (Le Memoriedi Barry Lyndon, Esquire, scritte dallo stesso, contenenti il rac-conto delle sue avventure straordinarie, dei suoi infortuni, dellesue soflerenze al servizio della fu sua Maestà prussiana, delle suevisite a varie corti d 'Europa, del suo matrimonio, della sua splen-dida esistenza in Inghilterra e in Irlanda, e di tutte le crudeli per-secuzioni, cospirazioni e calunnie di cui ê stato vittima) o EricaJong (La vera storia delle avventure di Fanny Troussecottes-Jones,in tre Libri, comprendenti la sua esistenza a Limeworth, la sua ini-ziazione alla Stregoneria, le sue scappate con i Bontemponi, la sua

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vita in un Bardello, la sua vita Dorata a Londra, le sue tribola-zioni di Schiava, la sua Corsa di Donna-Pirata e, inflne, il Chia-rimento e lo Svolgimento del suo Destino, eccetera). Ma in questidue ultimi casi, il pastiche del titolo è inevitabilmente connessoal pastiche testuale.In tutte queste occasioni, e in innumerevoli altre, si mani-

festa una irresistibile tendenza all'abbreviazione. Ad eccezionedella Nouvelle Héloilse, il cui procedimento, come abbiamo vi-sto, è diverso, l'unico esempio contrario, ma quale esempiol,è a mia conoscenza La Commedia di Dante, che è diventata LaDivina Commedia solo piú di due secoli (155 1) dopo la mortedell'autore (132 1) e circa un secolo dopo la stampa della suaprima edizione (1472).

Per finirla con il momento del titolo: un'opera può integra-re al suo titolo la sua data di pubblicazione. Basta che l'autoreritenga questa data particolarmente pertinente, e voglia indi-carla mettendola in forma di epigrafe. E quello che fa Hugoper Les châtiments, 0 piuttosto per Chritiments, raccolta origi-nale pubblicata nel 1853. Il titolo di questa raccolta è, in gros-so e al centro della pagina, Châtiments/1853. Nell'edizioneHetzel del 1870, che comporta cinque nuove opere teatrali,compare l'articolo, mentre la data, legittimamente o meno,scompare. I due elementi si congiungono nella prima edizio-ne critica (Berret, Hachette, Paris 1932), cosa che può appa-rire incoerente. In linea di principio gli editori possono sceglie-re tra il testo e il titolo (senza data) del 1870 e il testo e il ti-tolo (con la data) del 1853: quest'ultima soluzione è quellaadottata da Jacques Seebacher nella sua edizione GarnierFlammarion del 1979, in cui appare comunque la data tra pa-rentesi.

Da non confondere questo procedimento con quello mol-to piú frequente del titolo composto dalla data in cui si svol-ge l'azione o perfino ridotto ad essa: Quatre-vingt-treize, 1984,1985 di Anthony Burgess, 1572 I Chronique du rêgne de Char-les IX, Notre-Dame de Paris I 1482 (quest”ultima non si tro-va sull'originale del 183 1 , ma sul manoscritto, e gli editori mo-derni hanno fatto bene a restituirla), Les chouans ou la Bretagneen 1799, ecc. '. Queste date sono chiaramente tematiche.

' Flaubert rinunciò, seguendo il consiglio di Michel Lévy, a sottotitolare

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Quella di Châtirnents è piú complessa: allo stesso tempo te-matica (la raccolta riguarda la situazione della Francia nel1853) e... la parola in questo momento mi sfugge, diciamo,provvisoriamente, << editoriale ››: il libro venne pubblicato nel1853.

Destinatari.

Come ogni istanza relativa alla comunicazione, anche l'i-stanza relativa al titolo è composta almeno da un messaggio (iltitolo stesso), un destinatore e un destinatario. Sebbene la si-tuazione sia in questo caso piú semplice che per altri elementidel paratesto, bisognacomunque dire una parola a propositodi questi ultimi due.Il destinatore (di diritto) del titolo non è necessariamente

il suo produttore di fatto. Abbiamo già visto uno o due casi dititoli trovati dall'editore, e molti altri membri dell'ambienteautoriale possono svolgere questo ruolo che - in linea di mas-sima - non ci interessa in questa sede, a meno che l'autorenon riveli tale fatto dando un'informazione, necessariamen-te paratestuale, che nessuno potrà in seguito trascurare. Ma sitratta solo di un dato marginale, che non dispensa in nessuncaso l'autore dall°assumere la responsabilità giuridica e prag-matica del titolo.

Da ciò non dedurremo, però, troppo rapidamente la con-clusione che il destinatore del titolo sia sempre e necessaria-mente l°autore e solo l”autore. Dante, come ho già detto, nonha mai intitolato il suo capolavoro La Divina Commedia, e nes-suna considerazione retroattiva può attribuirgli la responsa-bilità di questa intitolazione. L'inventore di fatto è (a me) sco-nosciuto, e il responsabile è il primo editore, largamente po-stumo, che l”ha adottato. .

Questo vale per ogni titolazione, o reintitolazione postuma,ma aggiungerei volentieri che la responsabilità del titolo è sem-pre condivisa da autore ed editore. Di fatto, naturalmente, a

Salammbô: 241-240 avant Jésus-Christ (« Per compiacere i borghesi, e per rife-rire l”epoca precisa in cui si svolgeva la storia››, ottobre 1862). Del resto, lasua prima idea era stata, come testimonia una lettera dell`ottobre del 1857,Salammbâ, roman carthaginois.

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meno che non si tratti di un'imposizione assoluta; di diritto,in senso stretto, perché oggi il contratto firmato congiunta-mente da queste due parti menziona il titolo (e non il testo!) ;di diritto, anche in senso piú lato, dato che la posizione del ti-tolo e la sua funzione sociale dànno all'editore, per quanto loriguarda, dei diritti e dei doveri maggiori che sul << corpo ›› deltesto. Ci devono essere a questo proposito delle leggi, delle re-gole, delle abitudini, dei decreti giuridici che ignoro, ma chepresumo esistano e soprattutto, ed è questo ciò che conta, chetutti piú 0 meno presumono. Questa particolare relazione trail titolo e l'editore trova, d'altra parte, la sua manifestazionee il suo emblema in un oggetto - un libro -: il catalogo. Uncatalogo, è una raccolta di titoli, attribuiti, come conviene,non ad un autore, ma ad un editore. Questi, e non l'autore,può dire «questo libro è», 0 «non è», o (terribilel) «non è piúnel mio catalogo ››. '

Destinatari.

Il destinatario del titolo è, chiaramente, il «pubblico ››, maquesta ovvietà è un po' grossolana perché, come ho detto, lanozione stessa di pubblico è grossolana - e non semplicemen-te per l'imprecisione del termine. Il pubblico, in effetti, nonè l'insieme o la somma dei lettori. Il pubblico, o come si dicepiú precisamente in inglese, l'audience di una rappresentazioneteatrale, di un concerto o di una proiezione cinematografica,è formato dalla somma delle persone presenti, e dunque, inlinea di massima, dagli spettatori e/o dagli ascoltatori - in li-nea di massima, perché alcuni presenti potrebbero esserlo solofisicamente, e per varie ragioni, non riuscire a vedere 0 a sen-tire. Sorvoliamo su questo dettaglio piuttosto accidentale chenon ci riguarda qui. Il pubblico di un libro è, mi sembra,un'entità in linea di principio piú vasta della somma dei suoilettori, perché ingloba - a volte molto attivamente - dellepersone che non leggono necessariamente, o non interamen-te, ma che partecipano alla sua diffusione, e dunque alla sua«ricezione ››. Senza pretendere di fornire una lista esaustiva,si tratta ad esempio dell'editore, dei suoi addetti stampa, i suoirappresentanti, i librai, i critici e i cronisti, e anche e forse so-prattutto quei divulgatori benevoli 0 involontari della fama

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che a tutti prima 0 poi capita di essere: a tutti questi, il testodel libro non è necessariamente, costitutivamente, destinato;il loro ruolo è piuttosto, in senso lato (ma forte), mediatico: farleggere senza aver letto. Abbiamo già incontrato, o incontre-remo presto, dei testi di accompagnamento, come il priêre d'in-sérer, la cui funzione è quasi ufficialmente di dispensarli da unalettura completa, spesso impedita dai loro stessi incarichi, sen-za che questo impedimento abbia nulla di offensivo, né di par-ticolarmente fastidioso per nessuno: non si può ragionevol-mente esigere che un rappresentante editoriale legga tutti i li-bri che diffonde. Il pubblico comporta inoltre una categoriaa volte molto vasta: quella dei clienti che non leggono, o noninteramente, il libro che hanno comprato. Il lettore (che invecenon sempre ha comprato), come l'autore si aspetta, è al con-trario, e costitutivamente in base all'economia piú profondadel testo, una persona che ne fa una lettura integrale - a me-no che certe disposizioni liminari non l'autorizzino espressa-mente, come vedremo, a un tipo 0 un altro di selezione. Co-sí definito, il pubblico, supera largamente, e spesso attivamen-te, la somma dei lettori'.

Dovrebbe essere ormai chiaro dove volevo arrivare: se il de-stinatario di un testo è il lettore, il destinatario del titolo è ilpubblico nel senso che ho appena precisato, o meglio allargato.Il titolo si rivolge a molte piú persone, che in un modo o in unaltro lo ricevono e lo trasmettono, e partecipano cosí alla suacircolazione. Se il testo è un oggetto di lettura, il titolo, comed'altra parte il nome dell'autore, è un oggetto di circolazione- o, se si preferisce, un soggetto di conversazione.

Funzioni.

Sulla funzione, o piuttosto sulle funzioni del titolo, sembraessersi stabilita una specie di vulgata teorica, che Charles Gri-vel formula piú o meno cosí: 1) identificare l'opera; 2) designa-

' Si può certamente dire la stessa cosa del pubblico (in senso lato) di unospettacolo teatrale 0 di un film, ma resta il fatto che per le arti dello spettaco-lo il termine pubblico in senso stretto designa l'insieme dei fruitori effettivi ein modo piú attivo che in letteratura, dove è piú pertinente distinguere trapubblico e lettori, e anche (ma non si tratta esattamente della stessa distinzio-ne) tra acquirenti e lettori.

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re il suo contenuto; 3) valorizzarla, e che Leo H. Hoek inte-gra nella sua definizione di titolo: << Insieme di segni linguisti-ci [. . .] che possono figurare all”inizio del testo per tdesignarlo,per indicarne il contenuto globale e per attirare il pubblicocontemplato'. Questa vulgata funzionale mi sembra un pun-to di partenza accettabile, ma richiede qualche osservazione,complemento o emendamento. Per cominciare, le tre funzioniindicate (designazione, indicazione del contenuto, seduzionedel pubblico) non sono tutte necessariamente presenti allostesso tempo: solo la prima è obbligatoria, le altre due sono fa-coltative e supplementari, dato che la prima può essere svol-ta da un titolo semanticamente vuoto, assolutamente non «in-dicativo del contenuto ›› (e ancor meno «attrattivo›>), come,caso limite, un semplice numero di codice. Seconda osserva-zione, queste funzioni non sono disposte in ordine di dipen-denza, perché la prima e la terza possono benissimo fare a me-no della seconda, se per esempio consideriamo L'automne à Pé-kin un titolo seducente, malgrado non abbia alcun rapportocon il contenuto, «globale» 0 meno, del romanzo che intito-la, o forse proprio per questo motivo. Terza osservazione: pursembrando cosí poco esigente, la prima funzione non vienesempre rigorosamente svolta, poiché molti libri condividonolo stesso titolo omonimo, che non riesce a designare un datolibro meglio di quanto non facciano alcuni nomi di persona 0di luogo che, al di fuori di un contesto specifico, restano lar-gamente ambigui; domandare a un libraio di punto in biancose vende le Satire, e come risposta otterrete solo un'ulteriore do-manda. Quarta osservazione: se la funzione di designazione èspesso difettosa, le altre due sono sempre piú o meno soggettea discussione, perché la relazione tra un titolo e un «contenutoglobale ›› è fortemente variabile, dalla designazione fattuale piúdiretta (Madame Bovary) alle relazioni simboliche piú incerte(Le Rouge et le Noir), e dipende sempre dalla compiacenza er-meneutica del ricevente: si può contestare a Goriot il ruolo dipersonaggio principale del romanzo che intitola ', e si può in-

* Grivel, Production de l'intérêt romanesque cit., pp. 169-7o; Hoeck, Mar-que du titre cit., p. 17.' «I titoli piú rispettosi del lettore sono quelli che si riducono al puro e

semplice nome dell'eroe eponimo [...] ma anche, il riferimento all”eponimopuò costituire un'indebita ingerenza dalla parte dell'autore. Le Pêre Goriot at-tira l'attenzione del lettore sulla figura del vecchio padre, mentre il romanzo

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vece sostenere che il testo di Automne à Pékin sia un'evocazio-ne sottilmente metaforica di tale stagione in tale luogo. Perquanto riguarda la funzione di seduzione, o di valorizzazione,il suo carattere soggettivo dev'essere già chiaramente evidente.Quinta ed ultima osservazione, la nostra lista è sicuramente in-completa, perché il titolo può «indicare ›› del suo testo, altrecose oltre al suo «contenuto ››, fattuale o simbolico: può ancheindicarne la forma, sia in modo tradizionale e generico (Odi,Elegie, Novelle, Sonetti), sia in modo originale e di propositosingolare: Mosaique, Tel Quel, Répertoire. Converrebbe dun-que fare spazio, accanto all”indicazione del contenuto, o forsein concorrenza (alternativa) ad essa, ad un tipo di indicazio-ne piú formale: nuova funzione, dunque, da inserire tra le pre-cedenti seconda e terza, o per lo meno come variante della se-conda, che bisognerà quindi ridefinire come indicazione dicontenuto o di forma 0, in alcuni casi (Elegie), di entrambe.

Questa variante, diciamo piú grossolanamente, questo ti-po particolare di relazione semantica fra titolo e testo, che nonappare piú nel libro (198 1) di Hoek, era stata già ben defini-ta dall'autore nel suo articolo del 1973, e confesso di non ca-pire le ragioni di questo silenzioso abbandono. Hoek, dunque,distingueva, sul piano che chiama giustamente semantico, dueclassi di titoli: i titoli << soggetto ››, che designano il «soggettodel testo ››, come Madame Bovary, e i titoli «oggetto ››, che «siriferiscono al testo in sé ›> o «designano il testo in quanto og-getto», come Poêmes satumiens '. I termini mi sembrano scel-ti male perché, tra le altre cose, rischiano di fare confusione:Emma può essere definita sia l'«oggetto» sia il «soggetto››del romanzo al quale dà il nome. Ma l'idea mi sembra giustae mi limiterò dunque a proporre una (nuova) riforma termino-logica: i titoli indicanti, in un modo o in un altro, il «contenu-to ›› di un testo verranno chiamati, nel modo piú semplice pos-sibile, tematici (questa semplicità non è priva di sfumature co-me vedremo in seguito); gli altri potranno senza grandi proble-

è anche l”epopea di Rastignac e di Vautrin›› (U. Eco, Postilla al Nome della ro-sa, Bompiani, Milano 198o, p. 507).

' Barth propone, usando altri termini, una distinzione equivalente tra ititoli ordinari che non qualifica (tranne che come «straightforward››, 0 lette-rali), e i titoli che designa, un po” abusivamente, «self-referential [...] che siriferiscono non al soggetto 0 al contenuto del lavoro ma al lavoro in sé» (TheFriday Book cit., p. X).

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mi essere qualificati formali, e molto spesso generici, come qua-si sempre sono di fatto, soprattutto nell”epoca classica. Misembra necessario rendere giustizia all'affermazione di Hoek,secondo il quale tali titoli si riferiscono all'opera in se stessa, ela menzione della sua forma 0 della sua appartenenza generi-ca non è altro che uno strumento di tale riferimento - forsel'unico in letteratura, mentre la musica ne conosce almeno unaltro, che è il numero dell'opera, e nulla impedisce eventual-mente allo scrittore di imitare questo procedimento, o unoanalogo. L°essenziale dal nostro punto di vista è sottolineareil fatto, in linea di principio, che la scelta non è esattamentetra intitolare riferendosi al contenuto (Le Spleen de Paris) o allaforma (Petits Poêmes en prose) ', ma, piú precisamente, tra l'a-vere come obiettivo il contenuto tematico o il testo in sé con-siderato in quanto opera e in quanto oggetto. Per designarequesta scelta in tutta la sua ampiezza, senza ridurre il secon-do termine a una designazione formale che essa potrebbe a ri-gore evitare, prenderò in prestito da alcuni linguisti l'opposi-zione che essi stabiliscono tra il tema (ciò di cui si parla) e il re-ma (ciò che se ne dice). Il prestito, lo so, come sempre impli-ca alcune distorsioni, di cui mi assumo in pieno la responsabi-lità per poter beneficiare dell'efficacia (e l'economia) di questacoppia di termini *_ Se il tema dello Spleen de Paris è (ammet-tiamolo in via ipotetica) ciò che designa il titolo, il rema è...ciò che Baudelaire ne dice (ne scrive), e dunque ciò che ne fa,cioè una raccolta di brevi poesie in prosa. Se Baudelaire invecedi intitolare tale raccolta attraverso il suo tema, l'avesse inti-tolata con il suo rema, l”avrebbe chiamata, per esempio, PetitsPoêmes en prose. Cosa che ha fatto comunque esitando per lastessa opera, e per la nostra piú grande soddisfazione teorica,tra titolo tematico e un titolo rematico *. Propongo dunque di

' Sostituisco questo doppio esempio a quelli di Hoek, che mi sembranomeno puri (saturniens è un'indicazione manifestamente tematica).

1 A proposito dell'impiego linguistico del termine e delle sue possibilitàdi estensione, cfr. Sh. Rimmon-Kenan, Qu'est-ce qu 'un thême?, in «Poeti-que››, LXIV (1985), e l'intero numero speciale (Du thême en littérature) per lerelazioni fra il tema e l'insieme del «contenuto ».

” Questa esitazione è stata risolta solo nel 1869 da Asselineau e Banvilleper l'edizione postuma Michel Lévy, a profitto di Petits Poêrnes en prose; maaltre edizioni ulteriori ritornano a Spleen de Paris, 0 si rifiutano di scegliere:H. Lemaitre, presso Garnier, riporta , comeJ. Milly per La fugitive, Le Spleende Paris tra parentesi.

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ribattezzare tematici i sopracitati titoli «soggetto ›› di Hoek, erematici i suoi titoli «oggetto» '. Non so ancora se questi duetipi di relazione semantica (fra titolo e testo) debbano essereconsiderati come due funzioni distinte, 0 come due specie del-la stessa funzione, ma ritroveremo questo problema, d'altraparte secondario, un po' piú avanti. Torniamo adesso, ancheper concludere, alla prima funzione di Hoek e Grivel, o fun-zipne di designazione.

Designazione.

Il titolo, come tutti sanno, è il «nome ›› del libro, e in quan-to tale serve a chiamarlo, cioè a designarlo il piú precisamentepossibile e senza fare confusione. Ma quando diciamo chiama-re una persona (tra gli altri), non ce ne rendiamo mai conto ab-bastanza, questo verbo si riferisce a due atti molto diversi chebisogna qui distinguere con molta piú cura di quanto non lofaccia la lingua naturale. L'uno consiste nella scelta di un nomeper questa persona; è, diciamo, l'atto del battesimo - uno deirari atti nei quali abbiamo l'occasione di imporre un nome aqualche cosa, visto che l'era degli onomaturghi è finita da tem-po - e questo atto è_ quasi sempre motivato da una preferen-za, un compromesso, una tradizione: è molto raro che il nomedi un bambino sia lasciato (Purif, Epiph, Fêtnat) al caso di unospillo sul calendario. Ma una volta scelto, imposto e registrato,questo nome sarà usato da tutti in uno spirito e per fini chenon avranno piú alcun rapporto con le ragioni sulle quali si èbasata la sua scelta. Questi fini sono di pura identificazione,e, rispetto ad essi, la ragione della nominazione iniziale è deltutto indifferente e generalmente ignorata senza alcun danno:la nominazione in quanto uso di un nome non ha alcun rappor-to con la nominazione in quanto battesimo, o scelta di un no-me, e i nomi piú motivati non sono per niente i piú efficaci,cioè i piú sicuri nell'identificazione.

' Questa distinzione si applica solo ai titoli e la ritroveremo forse in se-guito. Diciamo già, retroattivamente e per colmare una lacuna da parte nostra(p. 72), che la data 1482 di Notre-Dame de Paris è tematica, e quella di Chati-ments è nello stesso tempo tematica e tematica. Le date di edizione ordinaria-mente riportate sulle pagine del frontespizio sono chiaramente rematiche, co-me tutto quello che concerne il libro in quanto tale e non il suo oggetto.

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Lo stesso vale per i titoli dei libri. Quando chiedo a unli-braio: «Ha Le Rouge et le Noir? ››, il significato associato a que-sto titolo (la sua relazione semantica con il libro che intitola)non conta nulla nella mia frase, né per me né per il mio inter-locutore. Esso si riattivizza solo se lo invoco esplicitamente,per esempio in una frase come: «Lei sa perché questo libro siintitola Le Rouge et le Noir? ›› E chiaro che le proposizioni delprimo tipo sono infinitamente piú frequenti di quelle del se-condo tipo. La relazione, puramente convenzionale, sulla qua-le si basano, è una relazione di pura designazione rigida, oidentificazione. Abbiamo già osservato come questa funzio-ne non venga sempre svolta chiaramente dal semplice titolo,poiché vi sono dei casi di omonimia 1. Anche se cosí fosse, es-sa non viene svolta né meglio né peggio di quanto non accadain qualsiasi altro sistema segnaletico, dai numeri d`inventariodella biblioteca ai numeri ISBN dell'edizione moderna, chehanno anch'essi le loro motivazioni iniziali (di classificazione),estremamente utili per facilitare la ricerca, ma indifferenti al-Fidentificazione in quanto tale.

L'identificazione è, in pratica, la funzione piú importantedel titolo, che potrebbe al limite fare a meno di tutte le altre.Torniamo al nostro atto di battesimo, e supponiamo che il mioamico Teodoro sia stato battezzato a caso secondo il metododella spilla sul calendario. Questa immotivazione iniziale noncambierà nulla nel mio uso del suo nome, e di fatto io ignorole ragioni per le quali gli sia stato dato questo nome. Allo stes-so modo, se Stendhal avesse affidato al caso l'intitolazione diLe Rouge et le Noir, nulla sarebbe cambiato nella sua funzio-ne di identificazione e nell°uso pratico che se ne fa. Immagi-no che molti titoli surrealisti siano stati estratti da un cappello,malgrado ciò essi non identificano i loro testi peggio di tantialtri titoli molto piú ragionati - ed il lettore è libero di tro-varvi una motivazione, cioè un senso. Hans Arp, interrogatoun giorno a proposito del titolo che intendeva mettere a una

1 E anche di sinonimia, dato che alcuni libri, come abbiamo già visto, esi-tano fra due titoli e sarebbe una scelta decisamente arbitraria quella di dequa-lificarne uno definendolo «sottotitolo »: L'asino d 'oro / Le metamorfosi, Arspoetica/ Epistola ai Pisoni, Contr'un / De la servitude volontaire, La Celestina /Calisto yt Melibea, Dorval et moi / Entretiens sur le Fils naturel, Julie/ La Nou-velle Héloise, Le Spleen de Paris / Petits Poêmes en prose, Albertine disparue / LaFugitive, Le Etiopiche / Teagene e Cariclea.

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scultura appena terminata, rispose con buon senso: «Forchettao Buco di Culo, come vi piacerà di piú ››. La storia non dicequale fu la scelta.

Titoli tematici.

L'aggettivo tematico per qualificare i titoli orientati sul«oontenuto ›› del testo non è ineccepibile poiché suppone unampliamento della nozione di tema che può essere consideratoabusivo: se la Repubblica, la Rivoluzione francese, il culto del-la personalità o il Tempo ritrovato sono, a diversi livelli, i temiessenziali delle opere che ad essi devono i loro titoli, non si puòdire la stessa cosa, nello stesso modo, della Certosa di Parma,della Place Royale, della scarpina di raso, della Marcia di Ra-detzky e neanche di Madame Bovary: un luogo (tardivo o me-no), un oggetto (simbolico o meno), un Leitmotiv, un perso-naggio, per quanto centrale, non sono dei temi in senso pro-prio, ma degli elementi dell'univers0 diegetico delle opere cheintitolano. Qualificherò quindi tutti i titoli cosí evocati cometematici, impiegando una sineddoche generalizzante che sarà,se vogliamo, un omaggio all'importanza del tema nel «conte-nuto ›› di un'opera, che sia d`ordine narrativo, drammatico odiscorsivo. Da questo punto di vista, indubbiamente, tutto ciòche nel «contenuto ›› non è un tema o uno dei temi, ha con es-so, o con essi, una relazione empirica 0 simbolica.

Un titolo può essere dunque tematico in molti modi diversie ciascuno di essi richiede un'analisi semantica specifica, in cuila parte dell'interpretazione del testo non è irrilevante. Misembra però che la buona vecchia tropologia ci fornisca unprincipio efficace di ripartizione generale. Ci sono dei titoliletterali, che designano senza deviazioni e senza figure il te-ma o l'oggetto centrale dell'opera: Phêdre, Paul et Virginie, LesLiaisons dangereuses, La terre, Guerra e Pace, fino ad arrivaread anticipare lo svolgimento: Gerusalemme liberata, La mortedi Ivan Il'ic', titoli prolettici. Altri si riferiscono, attraverso unasineddoche o una metonimia, a un oggetto meno indiscutibil-mente centrale (Le pere Goriot), a volte deliberatamente mar-ginale (Le chasseur vert, Le rideau cramoisi, Le soulier de satin).Lessing lodava Plauto per aver spesso preso i suoi titoli «dallecircostanze meno importanti», e concludeva, forse un po'troppo rapidamente: « Il titolo non conta veramente molto ››.

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Rapidamente, perché il dettaglio cosí promosso viene inveceinvestito ipso facto di una specie di valore simbolico e dunquedi importanza tematica'. Un terzo tipo è di ordine costituti-vamente simbolico, è il tipo metaforico: Sodome et Gomorrheper un racconto il cui tema centrale è l'omosessualità (anchese questa evocazione simbolica era originariamente, cioè mol-to tempo prima di Proust, una metonimia di luogo), Le Rougeet le Noir probabilmente, Le Rouge et le Blanc di sicuro (poi-ché lo afferma Stendhal), Le lys dans la vallée ', La curée,Germinal ', Sanctuaire. Un quarto tipo funziona come antifra-se, 0 ironia, 0 perché il titolo è in antitesi all'opera (La ioie devivre per il romanzo piú cupo di Zola, che ne sottolinea luistesso il carattere antifrastico: «Volevo innanzitutto un tito-lo diretto [letterale] come Le mal de vivre, e l'ironia di La joiede vivre mi ha fatto preferire quest'ultimo»). Stesso risultatodi La joie, del quale Bernanos stesso diceva: «Ci si trova di tut-to tranne la gioia ››). Oppure perché manifesta un'assenza pro-vocatoria di pertinenza tematica: è questo (secondo Boris Vianstesso) il caso già evocato di L'aut0mne a Pékin o di ]'irai cra-cher sur vos tombes; è il caso della maggior parte dei titoli sur-realisti; quello della Cantatrice chauve e di molti altri titoli

1 Un'altra formazione per sineddoche, ma con una funzione piuttosto re-matica, consiste nel dare a una raccolta il titolo di una delle sue parti; praticacorrente per la raccolta di novelle come La chambre des enfants 0 Le rire et laPoussière.

1 Titolo evocato nel testo, nel disprezzo della convenzione narrativa chevorrebbe che questo testo, un romanzo epistolare, ignorasse il suo carattereletterario e di conseguenza l'esistenza del suo paratesto: «Lei era, come giàsapete, senza sapere nulla ancora, LE LYS DE CETTE VALLEE... ›› Si puòfacilmente percepire in questa espressione contraddittoria, 0 denegativa,l`imbarazzo dell”autore nel far citare il suo titolo (in maiuscole!) dall'er0e-epistolografo. A proposito di questo tipo di trasgressione, cfr. R. Sabry, Quandle texte parle de son paratexte, in «Poétique», LXIX (1987).

” Zola indica bene, in una lettera a Van Santen Kolff del 6 ottobre 1889,la forza semantica di questa trovata tardiva : «Per quanto riguarda il titoloGerminal, l'ho adottato solo dopo molte esitazioni. Cercavo un titolo cheesprimesse la crescita di uomini nuovi, lo sforzo dei lavoratori, anche incon-scio, per liberarsi da tenebre cosí lunghe e faticose in cui si agitano ancora. Eun giorno per caso la parola Germinal mi è venuta in mente. All'inizio non mipiacque, la trovavo troppo mistica, troppo simbolica; ma rappresentava quel-lo che cercavo, un aprile rivoluzionario, un involarsi della società caduca nellaprimavera. E a poco a poco, mi sono abituato, tanto da non poterne trovareun altro. Se esso resta ancora oscuro per alcuni lettori, per me è diventato co-me un colpo di sole che illumina tutta l'opera›› (citato in C. Becker, La fabri-que de Germinal, Sedes, Paris 1986, p. 495).

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odierni, come l”Histoire de la peinture en trois volumes di Ma-thieu Bénézet, un volumetto smilzo che non parla di pittura.L'antifrase può assumere la forma di denegazione formale, co-me il celebre Ceci n'est pas une pipe, che a dire il vero non èneanche un titolo. La non pertinenza può anche essere solo ap-parente, e rivelare un°intenzione metaforica: è chiaramente ilruolo di Ulysses, che funziona secondo il meccanismo figura-le ben descritto da Jean Cohen: poiché nessuno in questo ro-manzo si chiama Ulysses bisogna pure che il titolo, non perti-nente se preso alla lettera, abbia un valore simbolico, e che,per esempio, l'eroe Leopold Bloom sia una figura omerica 1.L'antifrase può anche, in modo un po' contorto, affermare unaverità letterale: in un film di Truffaut, un tale domanda a unautore imbarazzato: «Nel suo libro appare un tamburo? unatromba? No? Allora, il titolo deve senz°altro essere Senza tam-buro, ne' tromba ››. Si potrebbe, secondo questo principio in-confutabile, ribattezzare qualche classico; per esempio, Ulyssesstesso con Lontano da Auckland, 0 Le Roman de la Rose conL 'absence de d 'Artagnan

Beninteso, la relazione tematica può essere ambigua, eaperta all'interpretazione: abbiamo già incontrato due o tre ca-si di sovrapposizione di metafora e metonimia, e nessuno puòimpedire a un critico ingegnoso (come tutti quelli di oggi) didare un senso simbolico, per esempio, alle «gommes ›› di Gom-mes (già fatto). Al contrario, Proust riteneva che i titoli appa-rentemente simbolici di Balzac devono essere ridotti a un si-gnificato letterale: Illusions perdues, in seguito alle illusioni diLucien, «tutte particolari, tutte contingenti [...] che caratte-rizzano realisticamente il libro, ma che riducono un po” la poe-sia filosofica del titolo. Ogni titolo deve essere preso alla let-tera: Un grand homme de province ti Paris, Splendeurs et Mi-sères des courtisanes, A combien l'amour revient aux vieillards,ecc. Nella Recherche de l'absolu, l'assoluto è una formula,un'entità alchimistica piuttosto che filosofica 1. L'ambiguità

1 Insisto ancora: Ulysses è un nome ormai del tutto comune, e dunque unromanzo psicologico come Adolphe potrebbe benissimo intitolarsi Ulysses, acausa del nome del suo eroe, senza alcuna allusione omerica. Ciò che nel titolodi Joyce fa tilt è proprio il fatto che questo titolo non corrisponde al nome dinessun personaggio. `

1 M. Proust, Contre Sainte-Beuve, in A la recherche du Temps perdu. ContreSainte-Beuve. Pastiches et mélanges, Gallimard, Paris 1971, p. 269.

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può anche essere contemplata dalla formula stessa del titolo,grazie alla presenza di una 0 piú parole a doppio senso: Fils,L'Iris de Suse, Passage de Milan; meno ovvia, attribuita (e forsescoperta) après coup, quella di Communistes che Aragon ungiorno dichiarò essere di genere femminile - il che sarebbepiuttosto, letteralmente, una disambiguizzazione, perché fi-no ad allora creduta bisessuale. Altro fattore di ambiguità: lapresenza nell'opera di un'opera di secondo grado alla quale es-sa dà ir1 prestito il proprio titolo, in modo che non si possa direse esso si riferisca tematicamente alla diegesi, o come pura de-signazione, all'opera contenuta en abyme; vedi, tra le altre, Leroman de la momie, Les Faux-Monnayeurs, Dottor Faustus 1,Les fruits d 'or, 0 Pale Fire.

Finora ho considerato solo dei titoli semplici, senza sotto-titoli. Ma nel caso di titoli doppi (doppiamente tematici) cia-scunìelemento può avere un ruolc(›1_sp_ecifico(.ì Iltlitoli classici ,sí-nera mente organizzano questa 1v1s1one e avoro secon 0un principio semplice: al titolo il nome dell'eroe (0, in Plato-ne, dell'interlocutore di Socrate) Z, al sottotitolo l°indicazionedel tema (Teeteto 0 della scienza, Candide ou l'Optimisme, LeBarbier de Séville ou la Précaution inutile), e inoltre nel XX se-colo, attraverso l”allusione arcaicizzante (Geneviève ou la Con-fidence inachevée). In modo piú ampio e piú sottile, il sottoti-tolo oggi serve spesso a indicare piú letteralmente il tema in-vocato simbolicamente 0 cripticamente dal titolo. E un pro-cedimento molto usato, diventato quasi rituale nell'intitola-zione delle opere di contenuto intellettuale: Les sandalesd 'Empédocle, essai sur les limites de la littérature; Miroirs d 'en-cre, rhétorique de l'autoportrait, ecc. Gli editori americani han-no un termine per distinguere in questo caso il primo titolo:lo chiamano titolo catchy (attraente), 0 sexy, che spiega tutto.Non hanno sentito il bisogno di qualificare il sottotitolo cheha spesso le caratteristiche di un rimedio all'amore. Ma il rap-porto può anche essere rovesciato, secondo i gusti: se Paludesnon è male, Traité de la contingence è superbo.

1 In questo caso sto barando un po' per poter introdurre un altro titolo:l'opera en abyme di Leverkühn si intitola Lamento del Dr. Faustus (Dr. FaustiWehklag).

2 Non so se i titoli di Platone siano «autentici ››, cioè scelti dall'autore.Direi che sono piuttosto tardivi, ma comunque anteriori a Diogene Laerzio,che li cita.

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Tale ripartizione non è ignorata dalla letteratura di finzio-ne. L°esempi0 piú caratteristico ne è indubbiamente il DottorFaustus, titolo chiaramente simbolico (poiché l'eroe non èFaust piú di quanto Bloom non sia Ulisse, ma semplicementeuna specie di avatar moderno della figura di Faust) immedia-tamente corretto da un sottotitolo letterale: La vita del com-positore tedesco Adrian Leverkühn raccontata da un amico. L'in-sieme costituisce un contratto generico (di ipertesto a traspo-sizione) con estrema precisione. Un po” come se Ulysses avesse'come sottotitolo: Ventiquattro ore della vita di Leopold Bloom,commesso viaggiatore irlandese, raccontate mediante diversi pro-cedimenti narrativi pirí 0 meno inediti.

Titoli rematici.

Ambigui o meno, i titoli tematici dominano oggi decisa-mente la scena, ma non bisogna però dimenticare che l'usoclassico era completamente diverso, se non addirittura oppo-sto, dominato piuttosto, in campo poetico (ad eccezione delleepopee e dei grandi poemi didattici con titoli tematici) da rac-colte con titoli ufficialmente generici: Odi, Epigrammi, Inni,Elegie, Satire, Idilli, Epistole, Favole, Poesie, ecc. Questa pra-tica si estende molto al di là della poesia lirica e del classicismo,con innumerevoli raccolte di Racconti, Novelle, Saggi, Pensieri,Massime, Sermoni, Orazioni funebri, Dialoghi, Conversazioni,Miscellanee, e di opere piú unitarie denominate Storie, Annali,Memorie, Confessioni, Ricordi, ecc. Il plurale indubbiamenteè dominante, ma in questa area si trovano ancora dei titoli alsingolare come Diario, Autobiografia, Dizionario o Glossario.Titoli nei quali il rematismo passa per una designazione gene-rica, ma altre intitolazioni, inevitabilmente meno classiche,fanno appello a un tipo di definizione piú libera, che mostrauna specie di innovazione generica e che potremmo per que-sta ragione definire paragenerica: Méditations, Harrnonies,Recueillements 1, Considérations inactuelles, Divagations, Ap-

1 I titoli esatti delle raccolte di Lamartine sono Méditations poétiques,Harmonies poétiques et religieuses e Recueillements poétiques. Nel secondo, ilcarattere rematico è attestato da questa frase dell)Avvertenza: «Queste Ar-monie, prese separatamente, sembrano non avere alcun rapporto l'una con

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proximations, Variété, Tel quel, Pièces, Répertoire, Microlec-tures. Se la nostra epoca non fosse piú affascinata dall'origina-lità che dalla tradizione, ciascuno di questi titoli, come quel-lo di Montaigne (che rappresentò un'innovazione), avrebbepotuto originare una nuova formula generica, e una serie di ti-toli omonimi. E forse il caso di Situations (Péguy, Sartre): al-la terza occorrenza si potrebbe cominciare a dire << una raccoltadi situazioni», cosí come oggi si dice, cosa che avrebbe indub-biamente molto sorpreso Montaigne, «una raccolta di saggi».Altri titoli rematici sono ancora piú lontani da qualsiasi

qualifica generica e designano l°opera attraverso un tratto piúpuramente formale, 0 accidentale: Decamerone, Eptamerone,Ennêadi, Notti attiche, The Friday Book, En français dans letexte, Manoscritto trovato a Saragozza, da cui la serie aperta:Manoscritto trovato in una bottiglia (Poe), in un cervello (Va-léry), in un cappello (Salmon). O, in modo ancora piú vago, mache tiene sempre manifestamente conto del testo stesso, nondel suo oggetto: Pages, Ecrits, Livre (Barnes: Un livre; Guyo-tat: Le livre). O questo titolo allo stesso tempo interrogativoe auto-referenziale: Raymond M. Smullyan, What is the Nameof This Book?

Inoltre, se l'imitazione e la ripresa tendono, come ho appe-na indicato con Situations, a rematizzare i titoli tematici, lostesso accade, e in modo del tutto inevitabile, per le «conti-nuazíoni ››. Le menteur era un titolo perfettamente tematico,ma in Suite du Menteur, che è rematico (questo testo è il segui-to di...), diventa esso stesso rematico (questo testo è il seguitodel testo intitolato...) Stesso effetto per molte formule sino-nime come La nouvelle Justine 0 Le nouveau Crève-Caeur, e cer-tamente anche con un semplice numero di tomo, come Situa-tions I.

Non è il caso di tutti i titoli in Nouveau..., dove l'aggetti-vo può avere un valore del tutto tematico, come La nouvelleHéloise 0 Le nouveau Robinson. Ma si può anche far leva sul-l'incertezza: cosa si intende con Nouvelles Nourritures? Nuo-vi nutrimenti, o nuovi Nutrimenti? E con Nouvelles impressions

l'altra». Non oso aggiungere a questa lista Les contemplations di Hugo, chel'articolo definito, come vedremo, attira verso i titoli tematici. Per quanto ri-guarda i Recueillements poétiques, mi domando se non si tratti di un`elegantevariazione della formula letterale «raccolta di poesie ››.

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d'Afrique? Nuove impressioni, 0 nuove Impressioni (per nonparlare della sottile ambiguità di impressioni)? E con Nuovi do-lori del giovane Werther? Nuovi dolori o nuovi Dolori? E conNouvelles Aventures de Lazarillo de Tormes? E con NouveauContrat social? E cosa sarebbe una Nouvelle vie de Marianne?Un Nouvel amour de Swann?Altre ambiguità possibili con Fin... Come leggere la Fin de

Chéri? Si tratta della fine di Chéri, o della fine di Chéri? E laFin de Lamiel, è la fine di Lamiel o la fine di Lamiel? Eviden-temente fine può altrettanto correttamente riferirsi a una per-sona o a un libro. Non è lo stesso per seguito che non regge ilcomplemento di nome animato: Suite de Marianne può esseresolo rematico. Ma Suite de la Vie de Marianne sarebbe di nuovoambiguo. Alcuni termini, in effetti, designano allo stesso tem-po l°oggetto di un discorso e il discorso stesso. Da cui gli equi-voci di titoli come Storia di..., Vita di... A volte anche in favoredi una polisemia, come in Feuilles d 'automne. Ma il titolo diHugo è in realtà Lesfeuilles d 'automne, in cui l'ambiguità vieneridotta in favore del tematico: Feuilles d'automne potrebbe de-signare le pagine di un libro, Les feuilles d 'automne può solodesignare le foglie morte d'autunno. Stesso effetto, ho detto,per Les contemplations, ma anche per Les Chants du crépuscule,Les Chansons des rues et des bois, ecc. Mi ricordo di seri dibat-titi editoriali durante la traduzione di Wellek e Warren: Teoriadella letteratura (traduzione letterale, ma già utilizzata) sarebbestato un titolo rematico (questo libro è una teoria della lette-ratura); La teoria letteraria è evidentemente un titolo temati-co: questo libro parla della teoria letteraria. Stessa sfumaturatra La logica del racconto, titolo tematico (il racconto ha unasua logica che studierò in questo libro) e Logica del racconto,ambiguo. Stessa scelta per (La) Grammatica di..., (La) Retoricadi..., ecc. L'inglese (0 il tedesco), piú preciso, rematizza con unarticolo indefinito, poco usato in francese: The Rhetoric ofFic-tion è la retorica propria alla finzione, A Rhetoric ofFiction sa-rebbe la retorica applicata alla finzione. Inoltre, le due linguericorrono all'articolo indefinito per introdurre l'indicazionegenerica propriamente detta, che è per definizione sempre re-matica nella sua applicazione all'opera (0 per il suo contenu-to): Ivanhoe, a Romance, 0 Lucinde, ein Roman.

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Tutto questo ci porta ai titoli misti, quelli cioè che compor-tano, chiaramente separati, un elemento rematico (il piú spesso.generico) e un elemento tematico: Iraité de la nature humaine,Essais sur l'entendement /øumain, Etude de femme, Portrait defemme, Introduction à la médecine expérimentule, Contributiona' l'économie politique, Regards sur le monde actuel, ecc. Tut-ti i titoli di questo tipo cominciano con una designazione di ge-nere, e dunque del testo, e continuano con una designazionedel tema. Questa formula eminentemente classica, e di grandechiarezza, era particolarmente impiegata per opere teoriche.A dire il vero, l'uso ne ha troncato alcuni che hanno cosí per-duto il'loro elemento rematico. E il caso dell'opera di Coper-nico, De reuolutionibus orbium coelestium Libri sex (1543) oggiridotto alle sue prime quattro parole, e dunque al suo aspet-to tematico. Occasione per segnalare il fatto che i titoli greciin Peri..., latini in De..., francesi in De... o Sur..., ecc. sonosempre titoli misti la cui parte rematica è sottintesa.

Connotuzioni.

L°opposizione fra i due tipi tematico e rematico non deter-mina quindi, almeno mi sembra, un”opposizione parallela tradue funzioni, delle quali una sarebbe tematica e l'altra rema-tica. I due procedimenti svolgono piuttosto diversamente e al-ternativamente (a parte i casi di ambiguità e sincretismo), lastessa funzione, quella cioè di descrivere il testo attraverso unadelle sue caratteristiche, tematica (questo libro parla di...) 0rematica (questo libro è...) Chiamerò dunque questa funzio-ne comune la funzione descrittiva del titolo. Ma abbiamo fino-ra trascurato un altro tipo di effetti semantici, effetti secon-dari che possono aggiungersi indifferentemente al carattere te-matico o rematico della descrizione primaria. Sono degli effettiche potremmo definire connotutivi, perché riguardano la ma-niera in cui il titolo, tematico o rematico, realizza la sua deno-tazione.

Prendiamo un titolo di un romanzo d'avventura: Dérouteà Beyrout/0 o Banco à Bangkok. E chiaramente tematico e inquanto tale ci annuncia un'avventura in una di queste capitaliesotiche e reputate (diversamente) pericolose. Ma questo mo-do di annunciare, fondato su un”evidente omofonia, aggiun-

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ge al suo valore denotativo un altro valore che per un lettorepoco informato potrebbe essere il seguente: l'autore si divertecon questo titolo. Oppure, per un lettore piú competente: l”au-tore .non può essere che Iean Bruce, o qualcuno che imita lesue titolazioni '. Prendiamo adesso un titolo rematico comeSpicilêge; esso denota, stando al mio Littré, una raccolta dite-sti o di frammenti inediti tardivamente « spigolati›› (è l°etimo-logia) nei cassetti dell'autore, da lui stesso o dai suoi eredi; maesso connota inoltre, e forse soprattutto, un antico modo di in-titolare (Montesquieu) 2 o, se utilizzato ai giorni nostri (Mar-cel Schwob), di un arcaismo ricercato. Per il pubblico modernoquesta connotazione stilistica è probabilmente piú forte del-la denotazione puramente tecnica originaria, il cui valore è og-gi quasi completamente perduto.

Le capacità connotative dell'intitolazione sono considere-voli e di tutti gli ordini. Vi sono delle titolazioni proprie a certiautori: il caso di Jean Bruce è esemplare perché si basa su unprocedimento semplice e quasi meccanico, ma ce ne sono moltialtri. Un titolo come La double méprise evoca irresistibilmenteMarivaux (ma è di Mérimée). I titoli para-generici delle rac-colte di Lamartine hanno un'aria familiare, e le Contemplationsdevono avergli fatto l'effetto di un pastiche. Vi sono titoli conconnotazioni d'ordine storico: dignità classica dei titoli gene-rici, romanticismo (e postromanticismo) dei titoli para ge-nerici, stile XVIII secolo dei lunghi titoli narrativi alla Defoe,tradizione ottocentesca dei nomi completi degli eroi (EugénieGrandet, Ursule Mirouet, Iane Eyre, T/Jérêse Raquin, T/aérêseDesqueyroux, Adrienne Mesurat), titoli-cliché delle raccoltesurrealiste: Les cbamps magnétiques, Le mouvement perpétuel,Corps et Biens. Vi sono inoltre connotazioni generiche: nomedell'eroe nella tragedia (Orazio, Fedru, Ernani, Caligola), no-me del personaggio nella commedia (Le menteur, L'avare, Lemisantbrope), suffisso in ade o ide dei titoli delle epopee clas-siche (Iliude, Enèide, Frunciude, Henriude, ecc.), che combinanoin modo molto economico un'indicazione tematica (attraversoil nome) e una rematica (attraverso il suffisso), e la brutalitàbeffarda dei titoli della serie nera, ecc. Ma vi sono altri valo-

' A proposito di queste titolazioni, si veda Molino, Sur lex titres de IeanBruce cit.

2 Edito solo nel 1944, ma il titolo era stato scelto da Montesquieu.

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ri connotativi che sono piú difficili da definire individualmen-te e da classificare: pensate ai riferimenti .culturali dei titoli-citazioni (T/oe Sound and the Fury, The Power and tbe Glory,Tender is the Night, The Grapes ofWrath, For V(/bom the BellTolls, Bonjour tristesse), dei titoli-pastiche come quelli che ab-biamo già trovato in Balzac, Dickens, Thackeray e altri, o deititoli parodici: La comédie bumaine, Le génie du paganisme,ecc. '. Si tratta di echi che, altrettanto efficacemente di un'e-pigrafe (che, come vedremo, spesso li completa), apportano altesto la cauzione indiretta di un altro testo e il prestigio di unafiliazione culturale.

Questi brevi cenni sui valori connotativi non pretendonominimamente di aver raggiunto alcuna esaustività tipologica.Il seguito, mi sembra, spetterà a indagini storiche e critiche,poiché lo studio dei vari tipi d'intitolazione, e della loro evo-luzione, non può fare a meno dell'analisi dei tratti connotativi- i piú densi di intenzioni, ma probabilmente anche i piúdensi di effetti involontari, tracce eventuali di un inconscio,individuale o collettivo.

Seduzione?

Allo stesso tempo troppo evidente e troppo sfuggente, lafunzione della seduzione, che incita all”acquisto e/o alla lettu-ra, non mi ispira nessun commento. La formula canonica è sta-ta data tre secoli fa da Furetière: «Un bel titolo è il vero pros-seneta di un libro ››*. Non sono certo che l'eventuale forzaprovocante di un titolo sia sempre dovuta alla sua «bellezza ››,per quanto sia possibile definire un valore simile: Proust am-mirava il titolo L'Education sentimentale a causa della «solidi-tà» compatta e senza interstizi, malgrado la sua «scorrettez-za ›› grammaticale ”. Un altro mezzo di seduzione circola trai

' A proposito della pratica dei titoli parodici, si veda il mio Palimpsestescit., p. 46. Una variante recente consiste nel modellare il titolo di uno studiosu quello dell'opera studiata: cfr. ]. Derrida, Force et signzƒication (in Forme etsignzfication); T. Todorov, La quête du récit (in La quête du Graal); o C.Brooke-Rose, The Squirm oƒtbe True (in The Turn of the Screw).

2 A. Furetière, Le Roman baurgeois, Gallimard, Paris 1981, p. 1084.” Proust, Contre Saint-Beuve cit., p. 588. '

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luoghi comuni almeno da Lessing in poi: <<Un titolo non deveessere come un menu (Ku'cbenzettel); meno dice del contenutoe meglio è›› '. Preso alla lettera, questo consiglio metterebbein totale opposizione la funzione seduttrice e la funzione de-scrittiva. In realtà questa vulgata vuole piuttosto essere un elo-gio delle virtú aperitive di una certa dose di oscurità, o di am-biguità: un buon titolo dirà tanto quanto basta per eccitare lacuriosità, ma non per esaurirla. «Un titolo, - dice Eco conuna formula che suona molto bene, - deve confondere le ideee non irregimentarle›› '. Questa confusione dipende chiara-mente dall'abilità di ciascuno, che non indica né garantiscenessuna ricetta. Tutti gli editori ve lo diranno: nessuno ha maipotuto predire il successo o l'insuccesso di un libro, né afor-tiori determinare la responsabilità del titolo. Crederei piú vo-lentieri a una funzione piú indiretta, che abbiamo già vistoevocare da Giono, e ancora piú recentemente confermata daTournier a proposito della sua Goutte d 'or*: «Trovo che siaun bel titolo, - diceva piú o meno, - mi ha ispirato durantetutta la gestazione del libro, e in generale posso lavorare conentusiasmo solo se sono sostenuto dal pensiero di un titolo chemi piace». Il risultato può essere eventualmente giudicato inmodo diverso, ma non si può mettere in dubbio la forza di in-citazione di una simile chimera: anticipare il «prodotto fini-to ›› è senza dubbio uno dei (rari) modi per sconfiggere la nau-sea della scrittura, e la gratificazione del titolo vi contribuiscesicuramente. Ma questa funzione, come si sarà capito, non èesattamente dell'ordine del paratesto.

Bisogna adesso fare assolutamente un po' d'ordine nella no-stra lista delle funzioni del titolo, elaborata in modo piuttostoapprossimativo. La prima, l'unica obbligatoria nella pratica enell'istituzione letteraria, è la funzione di designazione, o diidentificazione. L'unica obbligatoria, ma impossibile da sepa-

1 G. E. Lessing, Die Hamburgiscbe Dramaturgie, Hamburg 1769 (trad. it.Drammaturgia d'/lmburgo, Bulzoni, Roma 1975, lettera XXI).

' Eco, Il nome della rosa cit., p. 508.J In «Apostropl'1es››, ro gennaio 1986. Notiamo per inciso che l'ambigui-

tà di questo titolo, che costituisce l”essenziale della sua «bellezza››, resistemale al nostro modo di trascriverlo. Per salvaguardarla, bisognerebbe conser-vare la grafia originale, in maiuscolo, che evita la scelta tra maiuscola e minu-scola per l'in.iziale di GOUTTE. La citazione orale non pone questo problema.

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rare dalle altre, poiché, a causa della pressione semantica am-biente, anche un semplice numero di opere può essere investi-to di senso. La seconda è la funzione descrittiva, a sua voltatematica, rematica, mista o ambigua a seconda della scelta fat-ta dal destinatore del o dei tratti portatori di questa descrizio-ne sempre inevitabilmente parziale e dunque selettiva: a se-conda, inoltre, dell'interpretazione del destinatario, che si pre-senta il piú delle volte come un'ipotesi sulle motivazioni deldestinatore, e cioè - attraverso di lui - dell'autore; facoltati-va in linea di principio, questa funzione è di fatto inevitabi-le: << Un titolo, - dice giustamente Eco, - purtroppo è già unachiave interpretativa. Non ci si può sottrarre alle suggestionigenerate da Le Rouge et le Noir o da Guerra e Pace» '. La ter-za è la funzione connotativa, unita alla seconda - volontaria-mente o meno - dall'autore; anch'essa mi sembra inevitabile,poiché ogni titolo, come ogni enunciato in genere, ha il suomodo d'esistenza, o se si preferisce, il suo stile, e anche il piúsemplice, la cui connotazione sarà: sobrietà (al meglio, o alpeggio: affettazione di sobrietà). Ma poiché è forse abusivochiamare funzione un effetto che non è sempre intenzionale,sarebbe meglio parlare qui di valore connotativo. La quarta,di dubbia efficacia, è la cosiddetta funzione seduttiva. Quan-do è presente, dipende piú dalla terza che dalla seconda. An-che quando è assente. Diciamo piuttosto che essa è semprepresente, ma che può rivelarsi positiva, negativa o nulla a se-conda dei destinatari, che non sempre si conformano all'ideache il destinatore si fa di loro.

Ma la principale ragione di scetticismo a questo riguardo èforse questa: se il titolo è il prosseneta del libro e non di sestesso, bisogna temere ed evitare che la sua seduzione giochitroppo in suo favore e a scapito del testo. John Barth, le cui ci-vetterie di presentazione non riescono a dissimulare un grandebuon senso, dichiara saggiamente che un libro piú seducentedel suo titolo vale piú di un titolo piú seducente del suo libro;le cose (in generale, e queste in particolare) finiscono sempreper essere sapute. Il prosseneta non deve mettere in ombra ilsuo protetto, e conosco due o tre libri (che non citerò) i cui ti-toli troppo ingegnosi mi hanno sempre risparmiato una letturaprobabilmente deludente. A Mme Verdurin, che gli doman-

1 Eco, Il nome della rosa cit., p. 507.

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dava se non avesse potuto scovargli, come portiere, qualchebarone squattrinato, Charlus rispose che un portiere troppodistinto avrebbe rischiato di dissuadere gli invitati dall”oltre-passare la portineria', e sappiamo perché lui stesso preferivafermarsi alla boutique di Iupien. Con questo efletto ]upien deltitolo troppo seducente, ci troviamo a contatto con una del-le ambiguità, paradossi o effetti perversi, del paratesto in ge-nere, che troveremo, per esempio, a proposito della prefazio-ne: prosseneta o meno, il paratesto è un intermediario, e, cometutti gli intermediari, gli capita a volte, se l'autore ha la ma-no troppo pesante, di fare da schermo, da ostacolo alla ricezio-ne del testo. Morale: non curiamo troppo i nostri titoli o -come diceva graziosamente Cocteau - non profumiamo trop-po le nostre rose.

Indicazioni generiche.

Come abbiamo già intravisto, l'indicazione generica è unannesso del titolo, piú o meno facoltativa e piú o meno auto-noma a seconda delle epoche o dei generi, e per definizione re-matica, perché destinata a far conoscere lo statuto generico in-tenzionale dell'opera che segue. Questo statuto è ufficiale, nelsenso che è quello che l'autore e l'editore vogliono attribuireal testo, e che nessun lettore può legittimamente ignorare otrascurare questa attribuzione, pur non considerandosi tenutoad approvarla: dal Cid, «tragedia» 1, a Henri Matisse, roman,gli esempi non mancano di indicazioni generiche ufficiali cheil lettore non può accettare senza qualche riserva, nel primocaso perché il Cid finisce troppo bene, nel secondo perchéHenri Matisse è manifestamente una raccolta di saggi la cui in-tenzione o pretesa romanzesca dichiarata è solo una significa-zione tra le altre, rispetto alle quali non ha alcun privilegio diintimazione, né di intimidazione. Ma trascureremo qui que-sto carattere, al limite sempre contestabile, dello statuto ge-nerico ufficiale, per occuparci solo dell”indicazione in se stessa,

I Proust, À la recbercbe cit., II, p. 967.2 Indicazione adottata nel 1660 rispettando la norma classica che non am-

mette l'ibrido <<tragicommedia››, indicazione originale del Cid e del Clìtandreche subí lo stesso allineamento.

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recepita, per lo meno dal pubblico piú riluttante, come infor-mazione circa un'intenzione (considero quest”opera come unromanzo), o circa una decisione (decido di imporre a questaopera lo statuto di romanzo).

La'pratica dell'indicazione generica autonoma sembra risa-lire all'epoca classica francese, nella quale essa riguardava es-senzialmente i «grandi generi» e soprattutto le opere teatra-li, sempre etichettate con cura << tragedie ›› o «commedie ›› gra-zie ad una menzione esterna al titolo propriamente detto, con-trariamente alle indicazioni integrate del tipo The Tragedy ofKing Richard the Second o The Comedy ofErrors. Allo stessomodo, i grandi poemi narrativi recavano l'indicazione «poe-ma» (l'/ldone di Marino, l'Adonis di La Fontaine), o qualchevariante piú precisa (Le Lutrin, «poema eroicomico›>) o piú sot-tile (Moyse sauvé, «idillio eroico ››). Le raccolte di poesie breviintegrano come abbiamo visto l'indicazione a titoli esaustiva-mente generici (Satire, Epistole, Favole) o paragenerici (Amori).Gli altri generi, e in particolare il romanzo, evitavano di esibireuno statuto sconosciuto al «battaglione ›› di Aristotele, e cerca-vano di suggerirlo in modo piú indiretto, attraverso titoli pa-ragenerici nei quali apparivano generalmente parole come storia,vita, memorie, avventure, viaggi e qualche altra; i sottotitoli fran-cesi del tipo Chronique du XIX' siêcle o Mceurs de Province nesono degli esempi. W/'averley Novels è una designazione tardi-va, e l'indicazione «romance» che singolarizza Ivanhoe vuoleprobabilmente sottolinearne il carattere storico, e piú precisa-mente medievale. Jane Austen, che inaugura con Scott la pra-tica del titolo breve, non ritiene di doverlo associare a un'indi-cazione generica autonoma. Nessun romanzo di Balzac ', diStendhal o di Flaubert comporta questa menzione: il titolo ènudo (La Chartreuse de Parme, Illusions perdues, Salammhô),oppure provvisto di un sottotitolo parzialmente generico o pa-ragenerico, la cui pratica tende a scomparire, tranne in qual-che caso di ricerca arcaicizzante, nella seconda metà del secolo.Nessun romanzo di Dumas, dei Goncourt, di Zola, di Huys-mans, di Gobineau, di Barbey, di Dickens, di Dostoevskij, diTolstoj, di James, di Barrès o di France comporta l'indicazione

' Che eludeva sistematicamente questo termine, perfinonella sua corri-spondenza, in favore di zzuvre, ouvrage o, piú tecnicamente, di scêne. Torneròsu questo aspetto a proposito delle sue prefazioni.

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generica. Le eccezioni a questa norma si trovano piuttosto, allafine del XVIII e all'inizi0 del XIX secolo, in Germania: AntonReiser, di Moritz (1785), «romanzo psicologico ››, Lucinde(1799) e Le affinità elettive (1809), «romanzo ›› (nessuna indi-cazione, però, nel Wilhelm Meister). In Inghilterra, ]ane Eyreuscí nel 1847 (con lo pseudonimo asessuato di Currer Bell) conquesta indicazione fantasiosa: <<aut0bi0grafia››. La prima in-dicazione «romanzo» proposta in Francia potrebbe esserequella, reticente quanto si vuole, di Nodier: Moi-même, romanqui n'en est pas un `. E ancora per piú di mezzo secolo, con-formemente a questa formula esemplare, nessun romanzo sidefinirà tale. Questa discrezione persistente, semivergogno-sa, ovviamente non significa che i romanzieri del XVIII e XIXsecolo, tranne forse Balzac, non considerassero le loro operedei romanzi, e questo statuto gli veniva d'altronde spesso ri-conosciuto in altri elementi del paratesto: prefazione (Gautier,premessa del Capitaine Fraeasse: « Ecco un romanzo il cui an-nuncio. .. ››; Goncourt, prefazione a Germinie Lacerteux: «Que-sto romanzo è un vero romanzo», Zola, prefazione a ThérêseRaquin: << Avevo ingenuamente creduto che questo romanzopotesse fare a meno di una prefazione ››), epigrafe (conoscia-mo quella del capitolo XIII del Rouge: «Un romanzo: è unospecchio... ››), sottotitolo tardivo (VVaverley Novels, 0 in un'e-dizione del 1910 di Manette Salomon: «Romanzi di E. eJ. deGoncourt ››), e inoltre, come vedremo anche in seguito, nellalista di opere dello stesso autore: sull'0riginale (1 869) di Ma-dame Gervaisais, questa lista si intitola «Romanzi degli stes-si autori ››. In realtà mi pare piuttosto che il tabú classico pe-sasse ancora sul genere, e che l'autore e l°edit0re non conside-rassero questa indicazione abbastanza « splendente ›› da met-terla in epigrafe.

La sua promozione tardiva sembra datare dal XX secolo, einoltre piuttosto dagli anni '20, anche se L'Immoraliste del1902 e La porte étroite del 1909 aveva già l'indicazi0ne «ro-man ››, ritirata piú tardi e esclusivamente riservata ai Faux-Monnayeurs (1925; ma già dal 1910, Gide precisava in un pro-getto di prefazione a Isabelle che la categoria piú modesta, 0

' pour servir de suite et de complément à toutes les platitudes littéraíres duXVIII' siêcle. Ma questo testo è rimasto inedito fino al 1921, e la sua primaedizione corretta è quella data da D. Sangsue, Corti, Paris 1985.

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piú pura, di racconto si applicava a questi due « romanzi ››). Àla recherche du Temps perdu, come sappiamo, non ha nessunaindicazione generica, e questa discrezione si accorda perfetta-mente con lo statuto decisamente ambiguo di un°opera a metàfra l”autobiografia e il romanzesco '.

Ci vorrebbe una lunga e minuziosa inchiesta attraverso leedizioni originali per precisare le tappe del.l'evoluzione - si-curamente variabile a seconda dei paesi -, che ci ha condottoalla situazione attuale; situazione in cui trionfa l'indicazionegenerica autonoma, soprattutto per il genere << romanzo ››, oggiliberato da tutti i suoi complessi, e universalmente reputato ilpiú «venditore ›› di tutti. Le raccolte di novelle, per esempio,mascherano volentieri la loro natura dietro l'assenza di men-zione, 0 dietro l'indicazione apparentemente piú attraente, 0meno repellente, di « racconti ›› 0 anche nel singolare piú o me-no ingannevole di «racconto ››; quanto alle raccolte di poesie,esse sembrano a volte non dichiararla solo perché basta unasemplice occhiata a una pagina del testo perché essa balzi im-mediatamente agli occhi: peccato subito confessato è a metàperdonato.

Si potrebbero anche osservare molte incoerenze, calcolate0 meno, nell'iscrizione editoriale dell'indicazione generica:cambiamenti da un'edizione a un°altra, naturalmente (adesempio: la menzione «racconto ›› dell'edizione originale del1957 del Dernier Homme di Blanchot, eliminata in seguito),ma anche discordanze tra copertina e frontespizio, 0 tra sopra-coperta e copertina. Sembra che l'indicazione generica vengaoggi piú volentieri apposta sulla copertina che sulla pagina delfrontespizio, in particolare presso Gallimard, Grasset 0 Mi-nuit. Seuil è generalmente piú completa, 0 controcorrente,poiché indica per esempio « roman ›› solo sul frontespizio di H.Bisogna senz°altro tener conto della strategia sollersiana: Pa-radis reca la scritta «romanzo» solo sulla sopracoperta, comese questa menzione provocante dovesse scomparire una vol-ta esaurita la sua funzione: << Ha detto romanzo... - Come?Ho detto romanzo? ›› Mi assicurano che interrogato su questopunto capitale durante un programma televisivo del venerdi

1 Ritroveremo in seguito questa questione circa lo statuto generico dellaRecherche, che Proust ha cercato in tutti i modi di mantenere aperta.

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sera sulla letteratura, l'autore avrebbe risposto che questo mo-do di esserlo senza esserlo era un potente mezzo di sovversionedel genere e, dunque, come minimo della società. Non garan-tisco l'esattezza letterale di questo proposito che mi è stato ri-ferito, ma gli archivi decideranno, e il contenuto esatto, qua-lunque esso sia, figura ormai nel paratesto.

Un altro tratto caratteristico della nostra epoca è l°innova-zione, non tanto in materia di generi (per questo bisogna ri-chiamarsi a Dante, Cervantes e forse a Proust) quanto in fattodi denominazione generica. Alcune di queste innovazioni sonomascherate da titoli paragenerici come quelli citati preceden-temente, Méditations, Divagations, Moralités légendaries, ecc.In forma piú autonoma, la denominazione «episodio ›› accom-pagna Jocelyn di Lamartine (l”Avvertenza insiste senz'altragiustificazione: << Questo non è un poema, è un episodio», epoi precisa: «un frammento di epopea intima ››), 0 nel caso diGide, troviamo «racconto ›› 0 sottie. Giono tiene a distinguerei suoi romanzi dalle sue «cronache ››. Perec definisce La vie mo-de d 'emploi come << romanzi ››, al plurale, Laporte la serie Fu-gue, ecc., come <<biografia››, Nancy Huston Les variationsGoldberg come « romance ››, Ricardou Le Théâtre des métamor-phoses come «misto ›› (di finzione e di teoria, suppongo). Unautore come Jean Roudaut sembra si sia dato per principio ilcompito di innovare ad ogni titolo: «parentesi››, «paesaggiod'accompagnamento››, «passaggio ››, «proposizione ››, «inter-mezzo critico ›› (ma lo stesso testo, Ce qui nous revient, cosí de-finito sulla copertina diventa «autobiografia» sul frontespi-zio). Ecc. Mi si consiglia di risalire fino a Vanity Fair, «roman-zo senza eroi», o Rebecca and Rowena, continuazione ironi-ca di Ivanhoe, che viene legittimamente indicato come «A Ro-mance upon Romance». Forse Thackeray puntava in entrambii casi a una vera e propria innovazione generica, come (conti-nuiamo a risalire) il dramma romantico, il dramma borghese,il genere serio o la commedia lacrimevole. E vero che nessu-na di queste denominazioni è veramente ufficiale. Ma lo è disicuro quella di Don Sanche d'/lragon, Pulche'rz'e, o di Tite et Bé-rénice: «commedia eroica›>. Ancora (già) un «misto ›>, e stes-so procedimento per «l'idillio eroico ›› di Saint-Amant. Inno-vare spesso consiste nello sposare due anticaglie. Un film re-cente, L'onore dei Prizzi di John Huston, porta l'indicazione«commedia sanguinosa», e mantiene questa doppia promessa.

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L'ubicazione normale dell'indicazione generica, come ab-biamo visto, è la copertina o la pagina del frontespizio, 0 en-trambe. Ma questa indicazione può essere ricordata in altriluoghi, il piú avvincente dei quali, per chi si lasci avvincere fa-cilmente, è la lista delle opere «Dello stesso autore ››; questalista viene generalmente disposta all'inizio (in corrisponden-za del frontespizio) o alla fine del volume, quando si presen-ti sotto forma di classificazione generica. Per definizione, essanon dovrebbe menzionare il libro in cui appare, ma per negli-genza questa logica spesso non viene rispettata: ad esempio,la lista dell'edizione Folio dei Beaux Quartiers menziona iBeaux Quartier: stessi.Gli antenati di questa rubrica possono essere considerati i

quattro primi versi che secondo Donato e Servio apparivanonel manoscritto dell'Eneide e che sarebbero stati soppressi daVario mentre «editava›› il poema:

Ille ego qui quondam gracili modulatus avenacarmen et egressus silvis vicina coegiut quamvis avido parerent arva colono,gratum opus agricolis, at nunc horrentia Martisarma virumque cano... 1.

Forse ad imitazione di questo incipit, apocrifo 0 meno, Chré-tien de Troyes ci propone all'inizio di Cligês questa lista, pernoi molto sconsolante, poiché la maggior parte dei suoi tito-li, 0,meglio dei suoi testi, è scomparsa: «Colui che scrisse Erecet Enide e i Commandemanz Ovide e l'Art d 'Amors mise informa di romanzo, colui che scrisse La morsure de l'épaule, Le

' Virgilio, Eneide, libro I, trad. it. di R. Calzecchi Onesti, Einaudi, Tori-no 198o“ («Quell'io che su gracile canna modulavo una volta I il canto, e usci-to dai boschi costrinsi i campi vicini I a far contento anche il colono piú avi-do, I opera grata ai coltivatori, l'0rride ora di Marte ››). Questo incipit è gene-ralmente considerato apocrifo, o alla fine ripudiato da Virgilio, ma non l'ex-plicit delle Georgiche, in cui l'autore non solo non declina, come ho detto, ilsuo nome, ma ricorda e cita la sua opera precedente, le Bucoliche: «Illo Vergi-lium me tempore dulcis alebat I Parthenope studiis florentem ignobilis oti, ICarmina qui lusi pastorum audaxque juventa, I Tityre, te patulae cecini subtegmine fagi ›› («E la dolce Partenope accoglieva I me, Virgilio, in quel tempo,me, felice I del mio lavoro in un'oscura pace. I lo son colui che pastorali carmi Imodulò un giorno; io son, che ti cantai, I quando arridea la balda giovinezza, ITitiro, al rezzo di un frondoso faggio ››: Virgilio, Le Georgiche, IV, vv. 863-869, a cura di L. Firpo, Utet, Torino 1969, p. 225).

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roi Marc et Iseut la blonde, La métamorphose de la huppe, de l'hi-rondelle et du rossignol, comincia qui un nuovo romanzo... ››

La classificazione generica, beninteso, non è la funzioneprincipale della lista, che vi si riferisce solo in casi eccezionali.La sua funzione principale è di fare conoscere al lettore, even-tualmente per spingerlo alla lettura, i titoli degli altri libri del-l'autore, o a volte, solo delle sue opere pubblicate presso lostesso editore. Questa lista è dunque come un catalogo perso-nale dell'autore, che può talvolta comportare l'annuncio deilibri «in corso di pubblicazione ››, «in corso di stampa›› 0 «inpreparazione» (sfumature che sarebbe meglio non prenderesempre alla lettera), il richiamo piú melanconico dei libri«esauriti ››, che a volte significa mandati al macero; da questalista possono eventualmente essere omesse alcune delle ope-re che l'autore non desidera, definitivamente o provvisoria-mente, menzionare: è divertente ad esempio osservare leandate e i ritorni di Une curieuse solitude nel canone soller-siano'.

La classificazione generica viene praticata da Gallimard peri grandi autori del suo repertorio contemporaneo, come Gide,Cocteau, Aragon, Drieu, Giono, Sartre, Camus, Leiris o Que-neau. Non ho nessuna informazione circa il ruolo svolto dagliautori nell'elaborazione di queste liste, ma nessuna di esse misembra cosí neutra da non recare traccia di qualche suggeri-mento, anche se appena borbottato, autoriale o para-autoriale.Per esempio, la lista Gide, inaugurata nel 19 14 per Les cavesdu Vatican, contiene una distinzione tipicamente gidiana trasottie, «racconti ›› e «romanzo ». La lista Cocteau è quasi inte-ramente regolata dalla volontà di ricondurre tutta la sua operaa una creazione poetica: «poesia ››, «poesia di romanzo», «poe-sia critica ››, «poesia da teatro», ecc. La lista Aragon, moltofluttuante, si divide generalmente in poesie (da Feu de /'oie aChambres), romanzi (la serie del Monde réel), prosa (tutto il re-sto), il che porta tra l'altro ad escludere dalla classe «roman-zi ›› titoli come Anicet ou le Panorama roman 0 Henri Matisse,roman, 0 alcune opere come La semaine sainte e Blanche ou

1 L'autore dichiarava nel 1974 di sopprimere questo libro dalle sue bi-bliografie e ve lo reintrodusse nel 1985 nel «Dello stesso autore» di Femmes.Canone significa, tra l'altro, «lista ufficiale delle opere di un autore o di ungruppo ››. Un'opera sconfessata dal suo autore, come Inquisiciones di Borges,esce dal canone, senza per questo, mi sembra, abbandonarne la sua biblio-grafia.

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l'Oubli, qualificate comunque individualmente come «roman-zi ››: distinzione sottile tra qualificazione singolare e apparte-nenza al genere? Ma altre versioni della stessa lista definisconocome romanzi tutti questi esclusi, e la lista stampata nel 1961su La semaine sainte includeva anche questo testo nella seriedel Monde réel. Giono distingue, come sappiamo, romanzi,racconti, novelle e cronache, ma il «Dello stesso autore» deL'iris de Suse confonde in un'unica lista questi quattro gene-ri, tutti comunque menzionati all°inizio di questa lista comu-ne: segno, almeno, d'incertezza e d'imbarazzo; gli altri generiinvocati sono: saggi, storia, viaggi, teatro, traduzione. Sartreè classificato tra romanzi, novelle, teatro, filosofia, saggi po-litici e letteratura, e inclusi in quest”ultima, molto significati-vamente, i saggi critici e Les mots. Leiris classifica L 'âge d'hom-me e La rêgle du jeu nella classe << saggi ››; in questi due casi, ve-diamo che l'autobiografia crea qualche imbarazzo rispetto aigeneri, quando non la si vuole dichiarare apertamente in quan-to tale: Si le grain ne meurt di Gide è incluso con il Journal nellacategoria « varia ››. Queneau evita elegantemente questo sga-buzzino astenendosi dal denominarlo, da cui questa triparti-zione: «poesie ››, « romanzi ››, *. Dove l”asterisco diventa un ge-nere e non tra i minori.

L'indicazione generica può ancora (infine?) essere raddop-piata o sostituita da un mezzo propriamente editoriale, che èla pubblicazione dell'opera in una collana specializzata in undeterminato genere, come presso Gallimard, la << Série Noire»,gli «Essais ››, la «Bibliothèque des idées ››, 0 presso Seuil,«Pierres vives››, <<Poétique››, «Travaux linguistiques››, ecc.Inoltre, vediamo in questo caso la coesistenza di categorie ge-neriche e disciplinari. «Fiction 81 Cie›› esibisce la sua aperturacon un'elegante disinvoltura, ed era già il caso, in modo piú di-screto, della raffinata collana «Métamorphoses ›>, a suo tem-po fondata da Jean Paulhan presso Gallimard. Tutte queste in-dicazioni sono da prendere con le pinze, come quelle delle col-lane «tascabili» specializzate («Idées››, «Poésie››, «Points Ro-man ››), e le varie sotto-classificazioni in serie praticate da circaun mezzo secolo, dalle grandi collane tascabili di ogni paese.Tutto ciò ci riporta all'indicazione generica implicita (e dun-que ufficiosa) fornita, dall'epoca classica, dalla scelta del for-mato. Di sicuro piú ufficiali le indicazioni che derivano da rac-colte tardive del tipo W/averley Novels di Walter Scott, Novels

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and Tales di Henry James, ecc., sia che se ne attribuisca la re-sponsabilità all`autore o a un editore postumo. Piú ufficiali maa dire il vero qualche volta estremamente vaghe, come nellaPléiade, Findicazione di «opere romanzesche ›› che finisce, ine-vitabilmente, per comprendere qualsiasi specie di prosa piú 0meno finzionale. Il volume dei Romans di Malraux, una rac-colta molto probabilmente autoriale, o perlomeno antuma(1969), comprendeva originariamente Les conquérants, LaCondition humaine e L'espoir (tra i quali almeno il secondo nonrecava alcuna menzione della sua prima edizione), ma né Letemps du mépris né Le noyers de l'/lltenburg. Poi vi si è aggiuntoLa voie royale: romanzo non si nasce, si diventa.

Le (Euvres romanesques croisées d'Aragon e di Elsa Trioletstabiliscono la lista piu ufficiale (autoriale) dei romanzi e del-le novelle di Aragon. E piú lunga delle liste «r0manzi›› dellerubriche «Dello stesso autore», ma non è tuttavia completa-mente prevedibile, poiché comprende Le libertinage, ma nonLes aventures de Télémaque, né Le paysan de Paris; Théâtre/Roman, ma non Henri Matisse, roman. Di tutte queste indicazionivariabili il lettore attento deve senza dubbio «tenere conto ››,non avendo nulla da perdere tranne la bussola. Lo stesso va-le per i futuri editori di eventuali Opere complete, a meno cheessi non si rassegnino saggiamente all'ordine cronologico, sen-za distinzione di genere. Sfido il genologo piú determinato, sene esiste ancora uno, a consultare lungamente questo generedi liste, o queste liste di generi, senza perdervi non solo la bus-sola, ma anche la testa.

Con questa evocazione dell'indicazione generica, annessodel titolo, e dei suoi propri annessi o sostituti, non abbiamotuttavia terminato con i titoli: ho infatti unicamente parlatodei titoli generali, ciò che si trova all'inizio di un libro, 0 di uninsieme di libri. Ma vi sono anche titoli all'interno dei libri:titoli di parti, di capitoli, di sezioni, ecc. Titoli interni, o co-me li battezzerò per comodità, intertitoli. Li ritroveremo al lo-ro posto, vale a dire un po' piú avanti.

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I quattro stadi.

Il priêre d 'insérer' è senza dubbio, almeno in Francia, unodegli elementi piú caratteristici del paratesto moderno. Eanche uno dei piú difficili da considerare storicamente, poichéalcuni dei suoi stadi hanno una forma particolarmente fragi-le, che a mia conoscenza nessuna collezione pubblica ha saputoraccogliere per mettere a disposizione della ricerca. La sua de-finizione classica, che si trova per esempio nel Petit Robert, èuna definizione limitata, che descrive solo uno dei suoi stadi,tipico della prima metà del XX secolo: << Inserto stampato checontiene delle indicazioni su un'opera e che viene accluso agliesemplari indirizzati alla critica ››. L'uso attuale estende questaaccezione a forme che non rispondono piú a questa definizio-ne, poiché non sono piú costituite da un «inserto ››, e non sonopiú indirizzate esclusivamente alla «critica» Amplierò questaestensione applicando il termine ad altre forme, piú antiche,che non costituivano forse ancora questo inserto. Ma a tuttiquesti diversi stadi continua ad applicarsi, mi sembra, la partefunzionale (per la verità piuttosto vaga) della definizione:<< stampato contenente alcune indicazioni su un'opera ››. In altritermini, che saranno i nostri, un testo breve (generalmente unao mezza pagina) che descrive, con un riassunto o altro, e in unmodo che è quasi sempre valorizzante, l'opera alla quale si ri-

' Utilizzerò questo termine al maschile, cosí come conviene a una locu-zione e i ica con va ore ver e «si e re ai iinserire». ome iceva unll tt l bal ( ` g t d ) C deditore di cui non ricordo il nome, «non si tratta di una preghiera» (sottinte-so, mi sembra, si tratta piuttosto di un ordine). Ma l'uso è incerto, e moltiscrittori lo mettono al femminile. Un'altra incertezza riguarda il senso delverbo inserire, che viene spesso e a torto associato all'inclusione di un fogliovolante in un volume; si tratta in realtà dell'inserzione del testo in un giorna-le, come vedremo. Talvolta abbrevierò con PI.

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ferisce, e alla quale è unito - in un modo o in un altro - dacirca mezzo secolo.

Dopo la definizione del Robert, ci si potrebbe stupire delfatto che vi sia bisogno di accompagnare gli esemplari di un'o-pera destinati alla stampa di « indicazioni ››, dalle quali unasemplice lettura di quest'opera dovrebbe dispensare i critici,a meno che non si tratti di indicazioni complementari, peresempio riguardo alle circostanze della sua redazione. Ma sap-piamo già che non si tratta di questo. La definizione sembradunque supporre che il priêre d 'insérer possa al contrario di-spensare la critica dalla lettura dell'opera prima di parlarne,supposizione malevola verso la critica, oppure che una sempli-ce lettura non sia sufficiente a definirla, supposizione malevolaverso l'opera, tranne nel caso della valorizzazione di fine se-colo dell'ermetismo. Potremmo forse evitare questa aporia conun'altra supposizione piú generosa: che il priêre d 'insérer ser-va ad «indicare» alla critica, prima di qualsiasi lettura, di qualesorta di opera si tratti, e dunque verso quale sorta di criticaconvenga orientarne la lettura - ad uso, insomma, dei capo-redattori.

Resta in questo caso da spiegare la strana denominazione:priêre d'insérer. Preghiera di rendere conto sembrerebbe in ap-parenza piú appropriato, anche se va da sé che il solo fatto diindirizzare un'opera alla critica costituisca da solo questa pre-ghiera. La spiegazione è probabilmente che la denominazio-ne è già, per l”oggetto descritto dal Robert, un po' vecchia e inritardo rispetto al suo oggetto, 0 se si preferisce, che la defi-nizione è un po' anacronistica (in anticipo) rispetto al termi-ne che definisce. Priêre d 'insérer si riferisce, mi sembra, ad unapratica anteriore, e piuttosto caratteristica del XIX secolo,quando questo genere di testi si rivolgeva non esattamente alla«critica››, e non sotto forma di << inserto ››, ma alla stampa ingenerale (ai direttori dei giornali), sotto forma di comunicatodestinato ad annunciare la pubblicazione dell'opera. L'ante-nato di questo priêre d'insérer sarebbe dunque il prospectus, delquale la storia dell'edizione classica ha conservato qualchetraccia, per esempio per l°Essai sur les révolutions, per Atala,0 per La Comédie humaine. E priêre d'insérer era allora una for-mula del tutto chiara e letterale, che indicava ai direttori deigiornali che l'editore li pregava d'inserire, integralmente o me-no, questo breve testo nelle loro colonne, per informare il pub-

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blico della pubblicazione dell'opera. Non so se questa prati-ca fosse allora gratuita (probabilmente no), ma avrebbe benpotuto esserlo, perché realizzava uno scambio di servizi, for-nendo al giornale un°informazione già pronta, e all”editore una«pubblicità» per definizione conforme ai suoi desideri.Il paratesto zoliano ci fornisce un prezioso esempio di que-

sto primo stadio del prière d'insérer. Nella sua edizione Plé-iade dei Rougon-Macquart, Henri Mitterand cita per esempiouna frase apparsa in Le bien public dell'1 1 ottobre 1877 perannunciare la pubblicazione in feuilleton di Une page d'amourz«Una pagina intima che si rivolgerà soprattutto alla sensibilitàdelle lettrici in un tono opposto a quello dell'Assommoir. P0-trete lasciare senza timore questo romanzo sul tavolo del sa-lotto ››, e il commento, indirizzato a Flaubert, di questo annun-cio rassicurante: «Che stile ha questa gente! Ma la pubblici-tà mi è sembrata buona dal momento che dice che si potrà la-sciare il mio romanzo sul tavolo del salotto ››. Questa pubbli-cità ad altre nella stessa vena per Pot-Bouille (in «Le Gaulois ››del 5 gennaio 1882), per Au bonheur des dames (in << Gil Blas››,2 3 novembre 1882), per L'argent («Gil Blas››, 16 novembre1890) sono tutti annunci deiƒeuilletons pubblicati nel giornalestesso, il che riduce in parte il circuito descritto precedente-mente, ma non la destinazione finale di questi testi. E se ab-biamo visto l'autore - forse spinto dal giudizio che si aspetta-va da parte del suo corrispondente ~ ironizzare sulla pubbli-cità a Une page d 'amour, Mitterand ritiene che l'annuncio diL'argent sia « senza dubbio di Zola» stesso, il che dimostrereb-be, se confermato, che il priêre d 'insérer di redazione autorialenon è un'innovazi0ne del XX secolo. Dico di redazione e nondi responsabilità autoriale: il testo è infatti alla terza persona,e il destinatore putativo ne è evidentemente la redazione del«Gil Blas ››, e questo indubbiamente spiega il fatto che lo sto-rico non dispone di nessuna prova materiale di una paterni-tà di fatto che può solo inferire dalla lettura del testo chesegue:

Il nuovo romanzo di Emile Zola, L'argent, è uno studio moltodrammatico e stimolante del mondo della Borsa, nel quale, usandogli strumenti dello storico, egli ha dato un quadro di una quantità dicuriose personalità che tutta Parigi conosce. L'autore ha racconta-to una delle nostre grandi catastrofi finanziarie, la storia di una diqueste case di credito che si fondano, che in qualche anno conqui-

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stano il potere dell'oro, grazie alla follia del pubblico, che poi crol-lano, schiacciando nel fango e nel sangue tutto un popolo di azio-nisti. _

Per Emile Zola, il denaro è una forza cieca, capace del bene e delmale, la forza stessa che aiuta nello sviluppo civile, nel mezzo deicontinui disastri che l'umanità lascia dietro di sé. Egli ha reso la suaidea in un modo affascinante, attraverso un grande dramma centra-le, accompagnato e completato da una serie di drammi individuali.

Si tratta di una delle maggiori opere dello scrittore.

Non bisogna però dimenticare che si tratta ancora di un an-nuncio di feuilleton. Invece, a proposito dell'edizione Mitte-rand segnala l'annuncio dell'OÈuvre pubblicato nell'aprile del1886 in molti giornali, e che egli attribuisce ugualmente all'au-torez ,

L'CEuvre, il romanzo di Emile Zola che viene oggi pubblicatodalla biblioteca Charpentier, è una storia semplice e straziante, ildramma di un essere ragionevole alle prese con la natura, la lungalotta tra la passione per una donna e la passione per la sua arte, di unpittore originale creatore di una nuova formula.

L'autore ha situato questo dramma nelliambiente della sua gio-vinezza, si è confessato lui stesso, e ha raccontato quindici anni dellapropria vita e di quella dei suoi contemporanei. Si tratta di una sortadi Memorie che vanno dal << salon des Refusés» del 1863 fino alleesposizioni di questi ultimi anni, un quadro dell'arte moderna, inpiena Parigi, con tutti gli episodi che comporta. Opera d”artista, maopera di romanziere e che appassionerà.

Come possiamo vedere, che si tratti di un annuncio delfeuilleton da parte del giornale o di un comunicato inserito nel-la stampa in seguito alla «preghiera» dell”editore, i tratti ca-ratteristici sono perfettamente identici, e balzano agli occhigrazie alla professionalità che Zola metteva in ognuna delle suepagine: un paragrafo descrittivo il piú fattuale possibile, un pa-ragrafo di commento tematico e tecnico, e alla fine un apprez-zamento ricco di elogi: un bel lavoro, e per la « critica ›› imma-gino una sfida piú che un'incitazione. Ma questi testi non era-no (ancora) indirizzati ai critici. Si rivolgevano, attraverso lastampa, direttamente al pubblico, un po' come fanno oggi gliannunci delle novità che vengono o meno pubblicati dai gior-nali letterari, e che si ispirano molto spesso, condensandoli, ainostri attuali priêre d 'insérer di copertina. Ma non saltiamo latappa intermedia, quella descritta dalla definizione del Robert.

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A questa seconda tappa ho attribuito a occhio e croce unluogo storico: la prima metà del Novecento e, in particolare,il periodo tra le due guerre. La natura della mia informazionenon mi permette di fissare un terminus a quo che potrebbe es-sere un po' anteriore; il terminus ad quem è nelle mani del de-stino, ed alcuni editori, come Minuit, usano ancora adesso lapratica del foglio inserito; questa pratica però non è piú con-forme alla definizione del Robert, poiché questi inserti non so-no esclusivamente riservati agli esemplari inviati alla stampa,ma vengono messi a disposizione di tutti gli acquirenti. Si trat-ta, mi sembra, di una rimanenza, di un ritardo della forma ri-spetto alla funzione', dato che la funzione caratteristica delpriêre d'insérer, che ne giustificava la stampa in forma di inser-to, era proprio la sua destinazione alla << critica ››. Questi insertivenivano dunque stampati in numero limitato, non erano piú- differenza capitale - destinati alla pubblicazione, e i lorodestinatari, dopo l'utilizzazione, qualunque essa fosse, nonavevano alcun rnotivo di conservarli, da cui l'attuale difficoltàad accedervi. E qui, tra l'altro, che i collezionisti privati po-trebbero aiutare nella ricerca, dato che tali collezioni devonosicuramente esistere.

Piuttosto curiosamente, se il cambiamento di destinazioneha prodotto un mutamento nella presentazione (l'inserto), essonon sembra però aver prodotto nessun sensibile cambiamentonella redazione. Non affaticherò il lettore con esempi carat-teristici del periodo anteguerra, ce ne vorrebbero almeno unacinquantina: preferisco prendere a prestito da Raymond Que-neau una versione in qualche modo sintetizzata, anche se forseleggermente esagerata dal proposito «parodico ›› degli Exercicesde style:

Chi ha detto che il romanzo è morto? In questo nuovo e travol-gente racconto l'autore, di cui i lettori ricorderanno l'avvincente<< Le scarpe slacciate››, fa rivivere con asciutto e toccante realismo

* La precarietà dell'inserto può però avere la sua funzione, anche rispettoal lettore, come quella della fascetta: Alain Robbe-Grillet sottolinea che il PIdi Pro/'et pour une révolution era stampato «su un foglio da gettare ››, e si irritaper il fatto che alcuni lettori abbiano creduto di doverlo incollare nel libro. Sitrattava della ripresa di un articolo precedentemente apparso nel Nouvel Ob-servateur, «a proposito, comunque, di un'altra cosa››, e l'autore ritiene che«non ci sia motivo di parlarne tanto» (Colloque Robbe-Grillet cit., p. 85).

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dei personaggi a tutto tondo che si muovono in una vicenda di tesadrammaticità, sullo sfondo di lancinanti pulsioni collettive. La tramaci parla di un eroe, allusivamente indicato come il Passeggero, cheuna mattina si imbatte in un enigmatico personaggio, a sua voltacoinvolto in un duello mortale con uno sconosciuto. Nella allucinan-te scena finale, ritroviamo il misterioso personaggio dell'inizio cheascolta con assorta attenzione i consigli di un ambiguo esteta.

Un romanzo che è al tempo stesso di azione e di stranite atmo-sfere, una storia di terso e spietato vigore, un libro che non vi lasceràdormire 1.

Indubbiamente la funzione ispiratrice del priêre d'insérer diquest”epoca intermedia non era molto chiara né (quindi) moltofacile da garantire. Tanto sarebbe valso redigersi il proprio ar-ticolo, come fece a suo tempo Stendhal con il Rouge per Sal-vagnoli, che decise poi di non pubblicarlo. Una funzione an-che un po' assurda, perché avrebbe rischiato di generare, adopera di diverse persone, tanti resoconti stranamente simili gliuni agli altri. Anche i redattori di priêre d 'insérer continuaro-no in questo periodo a scrivere per la «critica›› negli stessi ter-mini con i quali si erano precedentemente indirizzati al << pub-blico ››, evoluzione stilistica a parte. Ad un certo punto (con-tinuo a tastare liberamente un terreno oscuro: ipotesi di lavo-ro), si ricominciò, un po' alla volta, a rivolgersi al destinata-rio iniziale (il pubblico). Per estendere questo nuovo metodobastava inserire un priêre d 'insérer in ogni copia: terza tappa.Fu questa, mi pare, la pratica diffusa immediatamente dopola seconda guerra mondiale, negli anni '50 e, come ho detto,mantenuta oggi da alcuni editori. Ma ragioni economiche do-vettero inevitabilmente condannarlaz diventa inutilmente co-stoso inserire a mano testi che si possono, con una spesa mi-nore e con maggiore efficacia, stampare altrove, e il piú del-le volte sulla quarta pagina di copertina: è la tappa attuale, lapiú diffusa in Francia e, mi sembra, nel mondo. Questa sosti-tuzione cosí grossolanamente descritta fu, certamente, piúcomplessa 0 piú confusa: esistono oggi non solo dei PI anco-ra inseriti, ma libri senza alcun PI, libri nei quali un PI inse-rito raddoppia il PI della copertina, e perfino dei libri con duePI distinti, l'un0 inserito e l°altro stampato sulla copertina (è

1 R. Queneau, Exercices de style, Gallimard, Paris 1982 (trad. it. di U.Eco, Einaudi, Torino 1983, p. 49).

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spesso il caso delle edizioni Minuit, per esempio per Jean-François Lyotard, Le diflérend, 1983). Ma in questa situazionemolto diversa e instabile, disponiamo almeno di una data pre-cisa: il PI inserito sarebbe stato eliminato da Gallimard nel1969.

Questa traslazione dall'epitesto extratestuale (comunicatostampa) al peritesto precario (inserto per la critica, poi perchiunque) e alla fine al peritesto stabile (copertina) è certamen-te, in se stessa, una promozione che ne produce, 0 ne manife-sta, qualcun'altra. Per quanto riguarda il destinatario, si è pas-sati dal «pubblico ››, nel senso piú vasto e piú commerciale, alla«critica ›>, considerata come intermediaria tra autore e pubbli-co, e poi a un'istanza piú indecisa che consiste, allo stesso tem-po, nel lettore e nel pubblico: situato nello spazio piú vicinoal testo, sullacopertina o sulla sopracoperta, il PI moderno èaccessibile unicamente a quella frangia già ristretta di pubblicoche frequenta le librerie e consulta le copertine; ancora « pub-blico ›› se, dopo aver letto il PI, si accontenta di questa infor-mazione apparentemente dissuasiva; lettore potenziale, se in-vece questa lettura lo spinge all'acquist0, 0 a qualche altro tipodi appropriazione: una volta diventato lettore effettivo, ne fa-rà forse un uso meno sbrigativo e piú pertinente nella sua com-prensione del testo, e questa utilizzazione può essere previstae favorita nella redazione del PI.

Anche il destinatore potrebbe essere cambiato. Ai tempi diZola, come abbiamo visto, l'autore poteva redigere lui stessoalcuni dei suoi PI, ma in genere non se ne assumeva la respon-sabilità. Il destinatore putativo del PI era in un primo momen-to (rispetto alla « stampa ››) l'editore, e in un secondo momento(rispetto al pubblico) il giornale stesso. La promozione del PIa peritesto ha progressivamente modificato questi dati, e sipossono già vedere dei PI inseriti la cui responsabilità vieneapertamente assunta dall'autore, e che vengono perfino firma-ti con le sue iniziali. E il caso dei PI firmati per Gravitations(1925), per Ecuador (1929), per Un barbare en /lsie (1933), perGilles (1939) `. Questa pratica viene estesa quando il PI passa

' Cfr. P. Enckell, Des textes inconnus d'auteurs célêbres, in «Les nouvelleslittéraires», 14 aprile 1983. L'autore di questa preziosa raccolta ne cita altri, nonfirmati ma apparentemente autoriali, di Cocteau, Bousquet, Paulhan, Jouhan-deau, Queneau, Robin, Larbaud e Nabokov. E si apprende dal suo diario (18

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IL «PRIÈRE I›*INsÉRER›› 109

sulla copertina, ma non disponiamo di nessuna statistica, e avolte di nessuna certezza, perché è del tutto naturale che unredattore anonimo di PI imiti piú 0 meno lo stile dell'aut0re.L'assunzione autoriale di un PI non firmato è del resto un ge-sto sottile e piuttosto obliquo, che si caratterizza di tratti sti-listici sui generis: un tono spesso e volentieri olimpico che fioríabbondantemente negli anni '60 (come vedremo), e che ma-nifesta nei riguardi del testo una grande superiorità, anche setrattenuta, che il lettore può solo, logicamente o verosimil-mente, attribuire all'aut0re, ma che può sempre venire scon-fessata.. Il PI firmato, per il solo fatto della firma, deve senz'al-tro attenersi a maggiore semplicità; la principale distinzioneformale è in questo caso l”uso della prima persona, ma esistonostadi misti o intermedi: PI firmato alla terza persona (Gilles,Un barbare en Asie), PI non firmati, ma redatti in prima per-sona (P).

Un caso piú raro, ma anch”esso sintomatico di una promo-zione letteraria di questo elemento del paratesto, è il PI al-lografo: intendo ufficialmente allografo e firmato dal suoautore'. E il caso di Dits et Récits du mortel, di Mathieu Bé-nézet (Flammarion, 1977), che comporta, da un lato, un PI dicopertina anonimo, ma di tono nettamente autoriale, e dall'al-tro, un PI inserito di quattro pagine, esplicitamente intitolatoPriêre d'insérer, e firmato Jacques Derrida. Questa pratica si ri-collega a quella del blurb, già segnalata. Il blurb negli Statiti è però completamente rituale e per cosí dire automatico, equesto gli sottrae molta della sua forza. Il PI allografo è mol-to piú raro e quindi piú significativo. E un gesto paragonabilea quello della prefazione allografa, sulla quale torneremo, eforse di maggiore cauzione dato che la prefazione è anch'es-sa decisamente rituale. Scrivere e firmare il PI di un altro si-gnifica inoltre: « Vedete, arrivo al punto di svolgere in suoonore un compito generalmente considerato subalterno, tantoè il valore che la sua opera ha per me ››.L'età d'oro (0 di vermeil) del PI di copertina, 0, come tal-

volta si dice, del «risvolto» (rempli), è indubbiamente stata,

maggio 1926) che Julien Green scrisse lui stesso il PI di Mont-Cinère: « Se nonlo faccio io, qualcun altro lo farà al mio posto, e peggio ancora ››.

1 Intendo, inoltre, in un`edizione originale; i PI allografi di traduzioni 0 diriedizioni, soprattutto postume, sono d'altra natura, che vedremo in seguito.

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I I O SOGLIE

nell'ambiente avanguardio-intellettuale (attorno al NouveauRoman, Tel Quel, Change, Digraphe e altre parrocchie parigi-ne), quella degli anni '60 e '70. Gli storici futuri si divertiran-no sicuramente molto a dosare, in questa preziosa accozzagliaciò che dipendeva dalla profondità intellettuale, dalla simula-zione, dalla megalomania, dalla caricatura volontaria e invo-lontaria, ma è ancora troppo presto per farlo: alcuni dei col-pevoli continuano a circolare, e non lontano da qui.

Si sono visti perfino dei PI dotati di un proprio titolo: quel-lo di Jean-Claude Hémery per Anamorphoses (Denoël, 1970)è indovinato: «Avvertenza gratuita›› - contrariamente aquelli delle prefazioni, per i quali è sempre troppo tardi. Se nesono visti altri dotati della loro epigrafe, come quello del-la Grammatologie (Rousseau) o delle Quinze Variations sur unthême biographique (proverbio cinese). Tutto ciò mostra piut-tosto chiaramente l'importanza assunta da questa pratica finoad allora considerata come accessoria, e l'investimento che viveniva improvvisamente fatto. Si sono visti dei PI con la fun-zione di spiegare e di giustificare il titolo, come quello di Dansle labyrinthe 1 o di Passacaille oppure, come quello di La ialou-sie, con lo scopo di fornire la chiave tematica e narrativa del te-sto: << Il narratore di questo _racconto - un marito che sorvegliasua moglie [...], La gelosia è una passione nella quale non sicancella mai nulla: ogni visione, anche la piú innocente, vi di-mora iscritta una volta per tutte››. O anche, come quello diFils, di indicarne lo statuto generico: « Autobiografia? No, èun privilegio riservato alla gente importante di questo mondo,nella sera della loro vita, e in un bello stile. Finzione di eventie di fatti completamente reali; se vogliamo, autofinzione... ››(Galilée, 1977). Il piú gustoso nel suo trattamento ironico deltopos dell'amplificazione potrebbe essere quello di Leçons dechoses (1 975): « Sensibile ai rimproveri formulati contro gliscrittori che trascurano i “grandi problemi", l'autore ha cer-cato di affrontarne qui alcuni, come quelli riguardanti l'am-biente, il lavoro manuale, la nutrizione, il tempo, lo spazio, lanatura, il tempo libero, il discorso, l'istruzione, l'informazio-

1 Firmato, formula rara, allo stesso tempo molto forte e molto ambigua,«Gli editori» - plurale che, presso Minuit, non può che comprendere in mo-do faceto l'autore stesso.

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1L <<PR11`aRE D›1NsÉRER›› 1 1 1

ne, l'adulterio, la distruzione e la riproduzione delle specieumane e animali».

Forse ho sbagliato ad usare il passato per designare dellefunzioni che potrebbero benissimo, e del tutto legittimamen-te, sopravvivere alla loro fase di inaugurazione fiammeggiantee sovraeccitata. La quarta di copertina è in fin dei conti un luo-go del tutto appropriato, e strategicamente efficace, per unabreve prefazione, e come suggerisce Hémery, di lettura pocoonerosa per chi si aggira tra le bancarelle, e in genere piú chesufficiente. Del resto, alcuni PI insistono proprio sul loro sta-tuto di prefazione, come facevano già Aymé 0 Drieu ai tem-pi degli inserti. «Al momento di redigere la mia priêre d'inse-rer, - scrive il primo, - rimpiango di non aver_scritto una pre-fazione al Boaufclandestin. .. ›› Segue una sintesi di questa pre-fazione mancante, che ora non mancherà piú. E quello di Gil-les si presenta allo stesso tempo come una preterizione di PI,e come una preterizione di prefazione. Non posso fare altroche riprodurlo qui, aggiungendo solo, per rendere le cose piúinteressanti, che la seconda edizione, nel 1942, questa voltacomporterà una prefazione (in risposta ai critici):

Per un romanziere è difficile redigere una prière d 'insérer sapendoche la critica la leggerà come una prefazione. In effetti, un roman-zo non ammette prefazioni. Può solo essere sufficiente a se stesso.

Di cosa dovrebbe parlare il romanziere nella sua prefazione? Del-le sue intenzioni. Ma ne avrà avute cento 0 nessuna.

Un romanzo è una storia, tutto qui. Non deve indicare un sen-so preciso, perché l'opera è scritta in tutti i sensi.

Non sta all'autore sezionare il proprio libro, ma ai critici.Per essi è forse un compito, certamente l'ultimo, quello di ridurre

a idee alcune immagini, l'arabesco del racconto 0 l'improvvisa im-mobilità di un personaggio olo stato d'anitno in cui il tutto è avvol-to. Ma per l'artista ritrarre le passioni, gli umori, non sarà mai lastessa cosa che esprimere un'opinione, un giudizio, formare un si-stema. Detto questo, la cosa piú semplice, per scrivere una priêred'insérer, sarà riassumere l'unica cosa che conta, vale a dire, la storia.

Ma allora che falsa modestia da parte dell'autore. Teme forse dinon essere letto? O che scortesia verso i critici.

Derive e annessi.

I paragrafi precedenti riguardano il priêre d 'insérer originale,e cioè, naturalmente, annesso alla prima pubblicazione 0, ad-

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I I 2 SOGLIE

dirittura, come nelcaso di Zola, alla prepubblicazione in feuil-leton. Ma come molti altri elementi del paratesto, il PI, anchese stampato sulla copertina, è di natura fortemente transito-ria: può scomparire al momento di una ristampa, di un cam-biamento di collana, di un passaggio al formato tascabile. Inciascuna di queste occasioni può anche essere sostituito da unnuovo supporto; può anche apparire solo in una di queste oc-casioni: l'edizione originale del Bavard (Gallimard, 1946) nonpresentava alcun PI; la riedizione nella collana « 10/18 ›› (1963)ne comporta uno, anonimo; la ripresa nell'« Imaginaire ››(1983) ne presenta un altro, firmato Pascal Quignard.

La riedizione di opere classiche in collane tascabili implicaanch'essa una grande attività paratestuale, tra cui la produzio-ne di PI, tanto diversi quanto lo sono le collane stesse. Diversi,ma anche nella loro disposizione, poiché certe collane, comequella del libro tascabile, preferiscono in genere lasciare intattal'illustrazione della copertina e riportare il PI nella pagina diguardia, e altre utilizzano questi due luoghi per due paratesticon funzioni leggermente diverse. Si tratta talora, come è ov-vio nel caso di queste riedizioni postume, di un testo allografo,firmato («l'Imaginaire››, Garnier-Flammarion) 0 meno, talora(spesso nelle collane « Folio ››) di un estratto significativo, op-pure, come nella felice iniziativa nel caso di Moll Flanders, deltitolo originale completo, perfetto PI ante litteram 1, talorauna citazione elogiativa presa in prestito dalla critica, blurb aposteriori, talora... ma non sarebbe molto utile recensire dellepratiche estremamente instabili (poiché una collana può cam-biare politica continuamente), il cui inventario sarebbe signi-ficativo solo su scala mondiale.

Il priêre d 'insérer non deve essere confuso, anche se può tro-varsi nelle sue vicinanze, su un inserto 0 su una copertina, conl'eventuale sommario biografico e/o bibliografico, che (contra-riamente al PI) non concerne specificamente il testo che ac-compagna, ma ha piuttosto il compito di situarlo nel contestopiú vasto di una vita e di un'opera. Lo studio del paratesto non

1 Allo stesso modo, Queneau redigeva nel 1936 il PI di Derniers Jours sot-to forma di titoli all'antica: «Come due anziani signori si incontrarono all'an-golo della Rue Dante e morirono 'duecentocinquanta pagine piú avanti; comeVincent Tuquedenne, da tomista ateo diventò ipocondriaco poi miliardario,ecc. ››.

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IL «PRIÈRE D'INsÉRER ›› 1 13

è certo il luogo piú opportuno per trattare di questi elementi,ma tale trattamento, da parte di qualcun altro, non tarderà aprodursi.Il PI dell'0pera non va inoltre confuso con alcuni elemen-

ti che corrispondono piuttosto al programma o al progetto edi-toriale della collana in cui viene pubblicata l'opera, e che difatto si trovano, almeno per un certo periodo, splla copertinadi tutte le opere pubblicate in questa collana. E oggi il caso,tra gli altri, delle collane «Ecritures ›› delle Presses Universi-taires de France, 0 << La philosophie›› presso Galilée. La collana«Métamorph0ses», fondata nel 1936 da Paulhan, aveva avutoil suo PI, che però non figurava sui libri 1. Ci sono anche deimanifesti delle riviste che rimangono per anni sulle loro coper-tine. Solo di recente << Communication» ha rinunciato al pro-prio, che non corrispondeva piú alla sua attività.

Non si deve infine pensare che il PI, o meglio che uno spe-cifico PI, frequenti un solo luogo, inserto o copertina. Ho giàsegnalato la possibilità di doppioni tra queste due disposizioni.Ma, d'altra parte, il bollettino periodico di alcune grandi ca-se editrici riproduce volentieri, integralmente 0 in parte, i PIdelle opere pubblicate in questo periodo. La collezione di que-sti bollettini potrebbe dunque essere in questo senso prezio-sa ai paratestologi di ogni risma. Infine, i PI di un autore (dicui egli sia piú o meno ufficialmente responsabile) possonoessere da lui raccolti in un'opera ulteriore (si veda Char, Re-cherche de la base et du sommet, 0 Jabès, Le livre des ressem-blances - che contiene i sette PI del Livre des questions), 0 acura di un critico in un'opera a lui consacrata (si veda il nume-ro speciale consacrato a Blanchot dalla rivista Exercices de lapatience, 0 lo studio di Pol Vandromme su Marcel Aymé, Gal-limard, 1970), oppure a cura di un responsabile dell'edizionecritica, come le edizioni della Pléiade di Zola, Giono 0 Sartre.Non c'è bisogno di dire quanto ritenga positive queste ripub-blicazioni quando sono fedeli '. Il priêre d 'insérer è un elemen-to paratestuale fondamentalmente fragile e precario, capola-voro in pericolo, cucciolo di foca dell'edizione, per la quale

1 Cfr. Enckell, Des textes inconnus cit.2 Non è purtroppo il caso di quella di Vandromme, che riconosce di aver

inventato i PI che non è riuscito a trovare, e che dispone senza distinzioni traquelli autentici. Nella sua raccolta ci si può dunque solo fidare di quelli uffi-cialmente firmati da Aymé.

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nessuna sollecitudine sarà superflua. Sia questo un vero e pro-prio appello alla popolazione.

Per il momento non vedo, come diceva Marcel Aymé ',nient'altro da pregare d'inserire.

1 PI firmato dei Conte: du chat perché.

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Le dediche

Il termine francese dédicace «dedica» designa due pratichechiaramente imparentate tra loro, ma che vanno distinte. En-trambe consistono nel fare omaggio di un”opera ad una perso-na, a un gruppo reale o ideale, o a qualche entità di altro tipo.Tuttavia, mentre l'una riguarda la realtà materiale di un sin-golo esemplare, del quale essa consacra in linea di principio ildono o la vendita effettiva, l'altra riguarda la realtà ideale del-l'opera stessa, la cui proprietà (e dunque la cessione, gratuitao meno), non può ovviamente che essere simbolica. Esse si dif-ferenziano inoltre grazie a qualche altro tratto che considere-remo in seguito. Pur chiamandosi nello stesso modo, questedue azioni in francese sono fortunatamente distinte dai ver-bi: dédier per la dedica dell'opera, dédicacer per la dedica d'e-semplare. Comincerò dalla prima, escludendo preliminarmentedalla definizione le opere interamente indirizzate a un destina-tario particolare, come le epistole, alcune odi, alcuni inni, leelegie ed altre liriche amorose, o anche il Prelude di Words-worth (indirizzato a Coleridge), tutti generi nei quali il testoe la sua dedica sono inevitabilmente consustanziali. Non co-nosco alcun esempio di un”opera indirizzata a una persona ededicata a un'altra, forse perché non ho cercato abbastanza.In ambito amoroso, comunque, questa particolarità potrebbeprovocare delle belle conseguenze.

La dedica d'opera.

Le origini della dedica d'opera risalgono almeno all'epocadella Roma antica. Sappiamo per esempio che il poema di Lu-crezio era dedicato a Memnio Gemello, l'Ars poetica (che in

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realtà è un'epistola) ai Pisoni, le Georgie/oe a Mecenate. Si trat-ta già del regime classico della dedica come omaggio a un pro-tettore e/o benefattore (acquisito o desiderato, e che si cercadi acquistare per mezzo dell°omaggio stesso), funzione allaquale Mecenate, per l”appunto, darà il suo nome. In modo piúprivato, amichevole o familiare, Cicerone dedica gli Academicaa Varrone, il De ofiiciis a suo figlio, il De oratore a suo fratello.

Ho detto giustamente << sappiamo ›>: in questa fase storica,l'iscrizione della dedica non è codificata come lo sarà piú tardi,e la sua esistenza è dunque d'ordine piú fattuale che testuale,a meno che il nome del dedicatario non venga menzionato neltesto stesso, e piú precisamente in quei preamboli, antenati permolti aspetti del nostro peritesto, dove abbiamo già incontratoqualche nome d'autore e qualche titolo, e dove troveremo an-che delle specie di prefazioni: il nome di Gemello appare alverso 42 del De natura rerum, e molti incipit di romanzi o dicronache del medioevo recano la testimonianza (come vedre-mo quando considereremo la preistoria della prefazione) diuna commissionedel principe, la cui menzione equivale a unadedica d'opera. E inoltre nelle prime strofe, dopo la presen-tazione dell'argomento, che nel Cinquecento figurano le de-diche dell'Orlando Furioso a Ippolito d°Este, ritenuto un di-scendente deIl'eroe Ruggiero, e della Gerusalemme Liberata adAlfonso d'Este, degno <<emulo di Godfreoy».

Nell”epoca classica, la dedica d'opera ad un protettore riccoe potente si mantiene dalla Franciade (1572), opera dedicataa Carlo IX fino a Emma di ]ane Austen (1816), dedicata alprincipe reggente. Rispetto alla pratica romana e medievale lanovità consiste qui ancora una volta in un'iscrizione ufficia-le e formale nel peritesto, che consacra il senso moderno (e at-tuale) del termine: la dedica diventa un enunciato autonomo,o nella breve forma di una semplice menzione del dedicatario,o nella forma piú ampia di un discorso a lui indirizzato e in ge-nere definito epistola dedicatoria. Si possono trovare anche en-trambe le forme, la prima delle quali nella pagina del fronte-spizio. A dire il vero, per ragioni che troveremo in seguito, laseconda forma è talmente di rigore 'fino alla fine del Settecentoche dedica ed epistola dedicatoria sono allora due termini per-fettamente sinonimi. 'In quei tempi in cui la letteratura non era veramente con-

siderata un mestiere, e in cui la pratica dei diritti d”autore sulla

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LE DEDICI-IE I I 7

percentuale delle vendite era quasi completamente scono-sciuta' (sarà una conquista della fine del Settecento, dovutaa Beaumarchais), l'epistola dedicatoria faceva regolarmenteparte delle entrate dello scrittore. Ve ne sono altre tre, qualila negoziazione diretta di qualche decina di esemplari dell'au-tore (come vedremo a proposito della dedica privata), la ven-dita forfetaria dell'opera al «libraio ›› che aveva allora la fun-zione di editore (si dice che Scarron vendette Leroman comi-que per mille libbre, e il Vergile travesti per diecimila, e Cor-neille, Molière o Racine vendevano regolarmente le loro opere,ma altri come Boileau trovavano questa pratica indegna), in-fine la remunerazione a cottimo per un progetto definito, co-me l'Encyclopédie che procurò a Diderot una rendita vitalizia.Menzionerò un'altra fonte di reddito che non è però legata adalcuna produzione specifica di un'opera, e che consiste per loscrittore nel mettersi al servizio (o nella «clientela ››) di ungrande personaggio, per una semi-sinecura: Chapelain inten-dente del marchese di La Trousse, Racine e Boileau storiografidel re.

La dedica è dunque generalmente un omaggio remunerato,o in forma di protezione di tipo feudale, o in modo piú borghe-se (o proletario), con moneta sonante. L`esempio classico delsecondo caso è l'epistola, piuttosto adulatrice, all'inizio di Cin-na, a M. de Montoron, finanziere. Il tema dell'adulazione erasemplice e pratico: si trattava di un paragone tra la generosi-tà di Augusto e. .. quella del dedicatario. Essa valse a Corneilleuna gratificazione di duecento pistole o duemila scudi (non ga-rantisco la convertibilità), e una reputazione di autore piúmorbido nel suo comportamento che nella sua opera o, comedirà pressappoco Voltaire, piú sublime nei versi che in prosa.A lungo è rimasta questa locuzione ironica: «dedica alla Mon-toron››, che non ha bisogno di essere spiegata. Ma questo ti-po di paragone era un topos quasi inevitabile della dedica, uneffetto quasi meccanico della pressione del contesto: Saint-Amant, dedicando il suo Moyse sauvé alla regina Maria di Po-lonia e giocando su una metonimia dal poema al suo eroe, ledomanda di << salvarlo ancora da tutti gli oltraggi della Maldi-

1 A. Viala cita tuttavia tra gli autori di testi teatrali che ottennero unapercentuale degli incassi, l'esempio di Tristan l”Hermite, nel 1653 (Naissancede l'écrivain, Minuit, Paris 1985, p. 111).

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cenza e dell°Invidia, che sono dei Mostri, non meno temibilidi quelli da cui egli venne attaccato nella Culla».

Molto significativo il fatto che Corneille abbandonerà que-sta pratica dopo Don Sancbe d'Aragon (1650), vale a dire ai dueterzi della sua opera, e l'edizione del suo Teatro «completo ››del 1660 eliminerà quasi tutte le epistole dedicatorie in favoredi «esami» piú tecnici. Racine se ne asterrà dopo Bérénice(1670). Potendo costruire una curva a partire da due punti,sembrerebbe che l'epistola dedicatoria venisse già allora con-siderata un espediente piuttosto degradante che un autore ar-rivato all'apice della gloria, o provvisto di altre risorse, cercavadi evitare. Molière, dal canto suo, aveva dedicato solo tre dellesue opere teatrali: L'e'cole des marìs, L'école des femmes e Am-plaitryon. La Fontaine, come tutti sanno, dedica la sua primaraccolta delle sue Fable: a «Mgr Le Dauphin››, la seconda aMme de Montespan, e il dodicesimo Libro al duca di Borgo-gna. Tutto ciò non vuole avere un valore di statistica.

Nel catalogo dei libri di Mythophilacte, che si può leggerealla fine del Roman bourgeois (1666), compare una Somme dé-dicatoire, ou Examen général de toutes les questions qui se peu-ventfaire toucbant la dédicace des livres. Di quest'opera imma-ginaria in quattro tomi e sessantaquattro capitoli, Furetièrepresenta (vale a dire inventa) solo l'indice, la lista dei titoli deicapitoli in se e in cosa, vale a dire, piú in forma di domande chedi risposte, ma con un'intenzione chiaramente satirica. I ge-nerosi d dicatari n ualificati come mecenati MécénasYesempläre Montsocfoä (dccupa un buon posto, ma(l'autore il:plora aspramente la loro _progressiva scomparsa. Il tomo III hail compito di studiare la remunerazione delle dediche, secondola qualità dell'autore, dell'opera, e della sua realizzazione ma-teriale. Tra gli altri punti, egli esamina il ricorso degli autoricontro i mecenati smemorati o recalcitranti. Il tomo IV esami-na la relazione tra gli elogi (encens) contenuti nella dedica, edeventualmente (e piú sottilmente) nel corso dell'opera, e l'am-montare della remunerazione. Sostiene giustamente che glielogi immeritati devono essere pagati piú cari degli altri, nontanto per lo sforzo di immaginazione che richiedono, quantoper compensare il discredito che rischia l'adulatore. Alla finepone una domanda del tutto pertinente, e tuttora attuale -dedica o meno: se può il mecenate retribuire gli elogi con la

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LE DEDICHE 1 1 9

stessa moneta, o fumo, ricambiando cioè i complimenti. Puressendo questi complimenti altrettanto pubblici degli elogi chericompensano, la risposta è evidente. Ma, detto questo, la va-nità dell'autore spesso si accontenta di adulazioni piú priva-te, e delle quali nulla gli impedisce di vantarsi.

Viene inoltre annessa una << parodia ››, vale a dire un pasti-che satirico del genere, poiché di questo si tratta: un'epistoladedicatoria al boia, infiorettata da vari elogi burleschi a questonotorio benefattore dell'umanità.

Questa Somme dédicatoire deve senz'altro avere un po' con-tribuito al discredito, che essa già riflette, della dedica classica,e alla sua progressiva scomparsa. La progressione (o meglio re-gressione) è a dire il vero decisamente impercettibile, poiché daun lato l'epistola dedicatoria può indebolirsi gradualmente fi-no a ridursi alla semplice menzione moderna senza perdere lasua funzione captatrice di benevolenza, dall'altro alcune de-diche piú sviluppate possono svolgere una diversa funzione,e infine molte remunerazioni, anche se strettamente finanzia-rie, sono rimaste troppo discrete perché una storia sociale del-l'adulazione sia alla nostra portata. Le opinioni sono a questoproposito piú percettibili dei fatti, ma forse sono anche piú si-gnificative. Ecco ad esempio quella di Montesquieu, che ap-pare nei suoi Pensées: «Non scriverò un'epistola dedicatoria:chi si dà il compito di dire la verità non deve assolutamentesperare di trovare protezione sulla terra ››. Si tratta apparen-temente di un progetto di storia dei Gesuiti (a chi dedicarla?),ma in realtà non c'è nessuna dedica all'inizio di nessuna operadi Montesquieu (l'introduzione delle Lettres persanes cominciacosí: «Questa non è un'epistola dedicatoria, e non chiedo laminima protezione per questo libro ›>), e ve ne sono apparen-temente molto poche in tutta la produzione dell'illuminismo,tranne in romanzi come Tom ]ones o Tristram S/øandy. E, ope-rando un ribaltamento, il cui significato socio-politico è moltoevidente, Rousseau dedicherà il secondo Discours «alla Repub-blica di Ginevra».

Pur non essendo certamente quella del Génie du Christia-nisme l'ultima dedica a un grande (molto grande) personaggiodi questo mondo, sono molto tentato di attribuire ad essa, opiú precisamente a quella della seconda edizione del marzo del1803, questo ruolo simbolico. Una simile particolarità edito-

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riale, tanto vale dirlo subito, non è frequente: la dedica apparedi solito nell'originale, e rischia di scomparire nelle seguentiedizioni nel caso in cui il dedicatario o la dedicataria abbiano,in questo intervallo, smesso di meritarla. L'originale del Gé-nie non presentava alcune dediche d”opera, ma pare che unesemplare dedicato a Luigi XVIII abbia fruttato all'autore unagratificazione di trecento libbre'. Nella seconda edizione sitrova un°epistola dedicatoria al Primo console Bonaparte:«Primo Cittadino Console avete accettato di accogliere sottola vostra protezione questa edizione del Génie du Cbristianis-me; è questa un'ulteriore testimonianza della vostra benevo-lenza verso liaugusta causa che trionfa protetta dalla vostraMaestà. Non si può non riconoscere nel vostro destino la ma-no della Provvidenza che vi aveva da tempo segnato al fine diportare a termine i suoi prodigiosi disegni. Le genti sono rivol-te a voi [. . .] Col r11io piú profondo rispetto, il vostro umilissimoe obedientissimo servitore». Chateaubriand ebbe poi la raffi-natezza di annettere questa dedica all'edizione definitiva del1826, accompagnata, è vero, da questa scusa: «Nessun libropoteva essere pubblicato senza l°elogio a Buonaparte, come unmarchio di schiavitú ›› '. Quest°affermazione potrebbe moti-vare una controinchiesta, ma sappiamo anche che la secondaedizione del Génie, con la sua dedica, faceva parte di un”attivacampagna orchestrata da Fontanes per fare ottenere all'autorequalche posto ufficiale. Ciò permise a Peltier di annotare sulsuo diario che, se la dedica a Luigi XVIII era valsa a Chateau-briand una gratificazione di trecento libbre, quella a Bonapar-te gli fruttò «un posto da quindicimila franchi ››. Il lettore scru-poloso farà. da solo la conversione - una fra le tante.A proposito della << morte ›› della dedica classica, una testi-

monianza postuma: quella di Balzac, in un inedito che deve ri-salire al 1843 o 1844. Si tratta di una dedica per preterizionea Mme Hanska, intitolata « Envoi››, del Prêtre catlaolique, ro-manzo che doveva restare incompiuto. La dedica comincia co-

' Cfr. A. Maurois, René ou la Vie de Chateaubriand, Grasset, Paris 1938,p. 160.

2 Nell`avvertenza della Vie de Rancé, Chateaubriand ritorna su questa de-dica in termini piú favorevoli: «Nella mia vita ho fatto solo due dediche: unaa Napoleone (e non piú “Bonaparte”), l”altra all'abate Séguin. Ammiro tantoil prete oscuro... quanto l'uomo che ha ottenuto delle vittorie».

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sí: « Signora, non è piú il tempo delle dediche ››. Una simile af-fermazione da parte di un cosí grande scrittore di dediche puòsorprendere, ma il seguito mostra che Balzac attribuisce a que-sto termine la sua accezione classica. Lo scrittore moderno, in-vestito di un enorme potere sull'opinione pubblica, «non di-pende piú`né da re né dai nobili, svolge la sua missione diDio... ›› `. E questa una constatazione di decesso del tuttobalzachiana: lo scrittore non si rivolge piú né ai re né ai nobili,non perché disprezzi la nobiltà, ma perché la detiene lui stesso.Svolgendo la propria missione di Dio, non può che dedicarea Lui - o a Lei, la sua piú degna emanazione: «Non le hoquindi scritto una dedica, ma le ho ubbidito››.

Ciò che tende a scomparire all'inizi0 del XIX secolo, sonodunque due tratti, chiaramente legati tra di loro: la piú direttafunzione sociale (economica) della dedica, e la sua forma svi-luppata di epistola elogiativa. Legati, ma non completamen-te inseparabili: una semplice menzione ben disposta sulla pa-gina del frontespizio poteva essere in se stessa sufficientemen-te gratificante, e al contrario, per il fatto stesso del suo svilup-po testuale, l'epistola dedicatoria classica poteva ospitare al-tri messaggi oltre all'elogio del dedicatario, per esempioinformazioni circa le fonti e la genesi dell`0pera, 0 commen-ti relativi alla forma o al suo significato. In questo senso la fun-zione della dedica sconfina chiaramente in quella della prefa-zione. Questo slittamento della funzione è del resto quasi ine-vitabile, malgrado l'autore voglia giustificare la scelta del de-dicatario in base alla sua relazione pertinente con l'opera: ab-biamo visto come Corneille, per motivare la dedica di Cinna,dovette almeno menzionare il tema della generosità. Allo stes-so. modo, per motivare quella di Pompée a Mazzarino, dovràmenzionare la qualità del suo eroe: << Presento [_ . .] il piú grandepersonaggio dell”antica Roma al piú illustre di quella nuova ››.Infine, il xvm secolo presenta almeno un caso di epistola de-dicatoria con una funzione completamente privata: si tratta diun omaggiqrispettoso e tenero di un figlio `a suo padre, all'i-nizio degli Egarements du coeur et de l'esprit. E vero che in que-sto caso specifico il padre era un collega piú anziano, e dunquein un certo senso un maestro.

1 H. de Balzac, Le prêtre catbolique, in La Comédie humaine, XII, Galli-mard, Paris 1981, p. 802.

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La funzione prefativa dell'epistola dedicatoria a un perso-naggio famoso è piuttosto marcata, e d'altra parte dichiarata,nel caso di Tom ]ones, dedicato a <<l'onorevole George Lyttle-ton, uno dei Lords commissari della Tesoreria». L'epistola èperò dedicatoria solo per preterizione, dato che Lyttleton ave-va rifiutato la dedica ufficiale. Fielding aggira questo ostacolomenzionandolo nella prima riga) e continuando come se nientefosse, una cosa che non si sarebbe potuto permettere se l'op-posizione fosse stata veramente seria. Come per Cinna o LaPlace Royale, il tema della dedica è la somiglianza, il ruolo dimodello attribuito al dedicatario, considerato ispiratore delpersonaggio del perfetto onest'uomo qual è Allworthy. Da cuilo slittamento verso una definizione del disegno dell”opera:«Lodare l'innocenza e la bontà [. . .], costringere attraverso ilriso gli uomini ad abbandonare le loro follie e i loro vizi pre-feriti. Fino a che punto ci sia riuscito, lascio giudicare il lettoresincero... ›› Vediamo come l'autore si dimentichi del destina-tario-suo-malgrado per rivolgersi, tramite lui, al << lettore sin-cero›› in generale. Questa sostituzione del destinatario segnail passaggio da un genere all'altro, cosa che Fielding, sempresensibile a questi tratti generici, non manca di notare quantoprima, e di giustificare: «Per la verità, mi sono lasciato trasci-nare a scrivere una prefazione, mentre intendevo scrivere solouna dedica. Ma come potrebbe essere altrimenti? Non oso lo-darvi, e il solo modo che conosco per evitarlo, quando occu-pate il mio pensiero, sarebbe quello di restare completamen-te muti 0 rivolgere i miei pensieri verso altri oggetti».A partire dal mx secolo, l'epistola dedicatoria si mantiene

solo per la sua funzione prefativa, e ad un tratto il destinata-rio diventerà piuttosto un collega o un maestro in grado di ap-prezzare il messaggio. Una felice transizione per Balzac, chenel 1 846 dedica Les parents pauvres al principe di Teano, pre-cisando però: « Non è né al principe romano, né all'erede del-l”illustre casa di Cajatani che ha fornito dei papi al mondo cri-stiano, ma è al dotto conoscitore di Dante che dedico questopiccolo frammento di una lunga storia ››. Seguono un paralleloimplicito tra La Comédie humaine e La Divina Commedia, cheè certamente una delle prime versioni di tale accostamento, el'esposizione della relazione tra i due romanzi (Cousine Bettee Cousin Pons): <<Le mie due novelle sono messe in pendant, co-

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me due gemelli di sesso diverso ››. Lo stesso anno Michelet de-dica Le peuple a Quinet; nel 1854, Nerval, Les filles du ƒeu aDumas; nel 1862, Baudelaire, i (futuri) Petits Poêmes en pro-se a Houssaye: tutti esempi di epistole-prefazioni che forse tro-veremo in seguito a questo proposito. E inoltre, nel 1889, Bar-rès offre Un homme lihre << a qualche collegiale di Parigi e dellaprovincia ››; seguono due pagine di commento sui problemi del-l'adolescenza e il rimedio proposto in questo romanzo 1.

Ma non bisognerebbe però opporre troppo brutalmente laforma moderna di una semplice menzione del dedicatario al-la forma classica dell'epistola dedicatoria. Il XIX secolo (alme-no) ha conosciuto una forma intermedia, un'epistola dedica-toria atrofizzata, se vogliamo, ma direi piuttosto una dedicamotivata - nella quale la motivazione assume generalmentela forma di una breve caratterizzazione del dedicatario, e/odell'opera dedicata. Cosí Balzac dedica Les Chouans a Théo-dore Dablin con questa formula molto giovanile: «Al mio pri-mo amico, la prima opera», o Baudelaire, Les fleurs du mal, aThéophile Gautier: «Al poeta impeccabile, al mago genialedella lingua francese >›; ma sappiamo che Gautier aveva rifiu-tato una prima versione piú elaborata sostenendo che «una de-dica non deve essere una professione di fede ››, poiché rischie-rebbe di relegare in secondo piano o, ancora peggio, di com-promettere il dedicatario.

' Questa formula oggi sembra essere progressivamente cadu-ta in disuso, ma se ne trova ancora traccia in Proust che fa del-la dedica in memoriam dei Plaisirs et les jours al suo amico Wil-lie Heath una vera e propria piccola prefazione, e che, nonsenza qualche intenzione restrittiva, dedica Swann «A M. Gas-ton Calmette, come testimonianza di una profonda ed affet-tuosa riconoscenza» (per avere svolto un ruolo nella ricerca diun editore), e Guermantes «A Léon Daudet, all'autore di Vo-

' Bisogna distinguere le epistole dedicatorie con funzione prefativa dallelettere d'accompagnamento che svolgono la stessa funzione senza però esseredelle dediche: è il caso della «Lettera a M. Léon Bruys d'Ouilly che serve daprefazione» ai Recueillements poétiques di Lamartine. Il destinatario è desi-gnato come un semplice commissionario avente il compito di portare il volu-me a1l'editore. Il volume che trasporterà «nei suoi bagagli» non gli è chiara-mente dedicato. Pratica rara, e (perché?) poco elegante. Ma Lamartine vi rica-drà nel 1849 con una lettera a M. d'Esgrigny che serve da prefazione tardivaalle Harmonies poétiques et religieuses.

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yage de Sha/eespeare [...], all'incomparabile amico ›› (sottinteso,forse: e non all”uomo politico); o Gide che dedica tra l'altroLes caves du Vatican ajacques Copeau, con un'epistola che èun po' il manifesto del genere sottie come tipo di << libro ironicoo critico ››, e Les Faux-Monnayeurs, il suo «primo (e ultimo) ro-manzo», a Roger Martin du Gard, che era stato, nella gene-si di quest'opera, allo stesso tempo il suo mentore e il suo an-tagonista nell'apprendimento del genere; o Louis Aragon: Lescloches de Bale «A Elsa Triolet, senza la quale avrei taciuto ››.E soprattutto, questa formula domina ancora la pratica delladedica di un esemplare, nella quale la formula minimale («AX, Y››) farebbe sentire un po' troppo la « firma ›› in serie. Suquesto aspetto torneremo in seguito.

Luogo.

Dove si dedica? La disposizione canonica della dedica d`o-pera, dalla fine del^Cinquecento, è ovviamente all'inizio dellibro, e piú precisamente oggi si trova sulla prima pagina de-stra dopo il frontespizio. Ma, come abbiamo visto, l°epocaclassica accoglieva volentieri sulla pagina stessa del frontespi-zio una prima menzione del dedicatario come anticipo dell'e-pistola che in genere seguiva. Sul frontespizio del Don Quijote,la menzione del duca di Bejar, marchese di Gibraleon, contedi Benalcaçar e Banares, visconte della Puebla de Alcozer, si-gnore delle città di Capilla, Curiel e Burguillos, occupa mol-to piú spazio del nome dell'autore.

La dedica finale è infinitamente piú rara, ma ha i suoi titolinobiliari: è il caso di Waverley (al « nostro Addison scozzese,Henry Mackenzie ››), 0, in un genere un po' diverso, di LeRouge et le Noir, le Promenades dans Rome e la Chartreuse: «Tothe happy few ››' - da cui, grazie a un rovesciamento parodi-co, avremo all'inizio (nel 1908) dei Poêmes de Barnahooth: «Tothe unhappy many», e, piú massicciamente, in Blanche ou

' La formula deriva da Shakespeare (Henry V, IV, III, v. 60), ma pare sianel Vicar of Wakefield di Goldsmith che Stendhal abbia trovato l`applicazio-ne a una élite di lettori: «Anche lui, il pastore scriveva con il pensiero che ungiorno sarebbe stato letto dagli happy few ››. Si tratta piú di una scelta di pub-blico, come vedremo a proposito di alcune prefazioni, che di una dedica insenso stretto.

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l'Ouhli: «To the unhappy crowd››. Lo stesso Aragon avevagià, nel 1936, disposto nella postfazione le dediche di BeauxQuartiers, a Elsa, ovviamente. La dedica dei Mémoires d 'Ha-drien, a Adriano stesso (come vedremo), è anch'essa alla finedel volume.

Altre disposizioni? All'interno del libro, all'inizio di una se-zione, nel caso in cui una o piú sezioni rechino una dedica par-ticolare: è il caso del Tristram dedicato a Pitt, ma aj. Spencernei Libri V e VI, e il Libro IX <<a un grand'uomo» che restaindeterminato. Senza contare le numerose raccolte di poesie,di novelle o di saggi in cui quasi ogni componente reca una suadedica particolare, oltre, in alcuni casi, alla dedica generale del-la raccolta che tra l”altro non si capisce piú bene a cosa si rife-rrsca.

Momento.

Quando si dedica? Ho già accennato a questo aspetto in re-lazione alla seconda edizione del Génie, che costituisce un'ec-cezione alla regola, poiché il momento canonico della comparsadella dedica è ovviamente l'edizione originale. Qualsiasi altrascelta, tranne nel caso di un'eventuale anticipazione su feuil-leton (non ho cercato esempi di questo tipo), fa inevitabilmen-te la figura di un recupero maldestro, affettazione tardiva edunque sospetta, poiché la convenzione della dedica vuole chel'opera sia stata scritta per il suo dedicatario, o almeno che ilsuo omaggio si sia imposto alla fine della redazione. D'altraparte, il Génie non è l”unica eccezione esistente. Ce ne accon-tenteremo comunque senza andarne a cercare esempi troppofacili nelle raccolte in cui un elemento, ad esempio, può tro-vare il suo dedicatario al momento dell”incorporazione finale.

Piú frequente e indubbiamente piú spiegabile l'eliminazio-ne successiva: prima di trovare un'ubicazione ultima negli an-nessi documentari dell'edizione Ladvocat, la dedica del Géniea Bonaparte era scomparsa dalle edizioni intermedie dopo l'as-sassinio del duca di Enghien; allo stesso modo, quella della sin-fonia Eroica dopo la consacrazione. La maggior parte delleepistole di Corneille, come ho detto, sono scomparse nel 1660,e si potrebbero senza dubbio trovare molti altri esempi, dina-tura piú privata, esaminando le edizioni successive delle rac-

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colte di poesie, genus irritabile. Questa pratica deve essersi poipiuttosto diffusa se Aragon può cosí commentare a contrario,nella prefazione tardiva di Libertinage, il mantenimento di unadedica a Drieu: « Sembrerà forse strano che abbia lasciato al-l'inizio di questo libro una dedica a un uomo il cui recentecomportamento potrebbe legittimare la distruzione di questapagina del libro. Non riesco a decidermi: colui del quale scri-vevo allora il nome al principio di Libertinage era mio amico,non accetto che il fascista che è poi diventato possa oggi can-cellare il volto della nostra giovinezza».

Eliminazione + addizione ulteriore: si tratta chiaramentedella formula di sostituzione del dedicatario, operazione in-dubbiamente piú rara della semplice eliminazione, poiché ag-grava l'abbandono con un'infedeltà. Per intraprenderne la ri-cerca, bisognerebbe avere un po” piú di gusto per gli aneddotidi quanto non ne abbia io; mi vengono tuttavia segnalati duecasi in cui il tradimento si copre di un velo di quasi anonimato.Les Chansons de Bilitis, inizialmente dedicate a Gide, lo furonoin seguito (dopo il litigio) «alle ragazze della società futura ››,e alcune poesie di Borges che recavano originariamente le ini-ziali I. I., sostituite poi con un non meno misterioso (per noi)S. D. Fermiamoci qui.

Dedicatori.

Chi dedica? Questa domanda può, per la verità, venire in-tesa almeno in due sensi. Il primo, esterno all'opera, è d'ordinestorico e forse generico, diciamo molto largamente tipologicoe distribuzionale: alcune epoche, alcuni generi, alcuni autoripraticano piú di altri la dedica d'opera. L'invenzione, comeabbiamo visto, pare sia latina, cosa che esclude certe cultureanteriori e forse parallele. Nessuna ripartizione generica misembra a priori pertinente, tranne forse (ad eccezione della tra-gedia classica) nel caso del teatro, in cui la difficoltà di mani-festare una dedica potrebbe essere imputata alla rappresenta-zione. A questa spiegazione del tutto ipotetica si potrebbe ri-collegare una sensibile differenza d°atteggiamento tra i nostrigrandi classici: Molière, «uomo di teatro» per eccellenza, èquello che dedica meno.

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Mi sembra inoltre di percepire una certa discrezione, perragioni del tutto evidenti, da parte degli scrittori rappresen-tativi di ciò che Auerbach definiva il «realismo serio ››. Balzacmantiene piú volentieri degli atteggiamenti autoriali spessoesibizionisti, mentre Stendhal (piú pudico?) dedica esclusiva-mente, se ciò può essere definito dedicare - e abbiamo vistoin quale luogo discreto -, agli anonimi happy few. Flaubertdedica solo Bovary a Bouilhet` e la Tentation (che sfugge alregistro sopracitato) a Le Poittevin in memoriam. Zola, misembra, ha dedicato unicamente Madeleine Férat a Manet e, inextremis e come per rimorso, Le Docteur Pascal, l'ultimo volu-me dei Rougon-Macquart, a sua madre (in memoriam) e a suamoglie. Mi sembra di percepire in James una riserva significa-tiva, ma bisognerebbe verificare sugli originali.

L'altra domanda potrà sembrare oziosa, ed è comunque co-sí formulata: in un libro chi assume la dedica? (Chiedersi even-tualmente chi la rediga costituirebbe un'altra questione, quellasí, veramente oziosa). La risposta sembrerà del tutto evidente:il dedicatore è sempre l'autore. Risposta falsa: alcune tradu-zioni sono dedicate dal traduttore; lirnitandomi alle traduzionifrancesi di Conrad, quella di Typhoon è dedicata da Gide aA. Ruyters, e quella di Youth da G. J. Aubry a Valéry. Ma so-prattutto la nozione di << autore ›› non è sempre chiara e univo-ca. Per noi, l'autore dei Gulliver's Travels è indubbiamenteSwift, ma vedremo che in certi elementi del paratesto questotermine designa l'eroe. Eroe-narratore, ovviamente, ed è aquesto punto che potrebbe insinuarsi una salutare incertezza.All'inizio di un racconto di finzione alla prima persona, cosaimpedirebbe all'eroe-narratore di firmare una dedica? O, perparlare in modo piú preciso e realista, cosa impedirebbe all'au-tore (Swift, per esempio) d'attribuire al narratore (Gulliver)la responsabilità di una dedica? Dedica a un altro personaggiodella (stessa) finzione, per esempio, «Ai miei amici di Lilli-put ››, o per cambiare di opera: «A monsignor l'arcivescovo diGrenada», «Al mio maestro Bergotte». O a una persona reale,

' E in sovrappiú, e per ragioni di gratitudine eccezionale, al suo avvocatoM. Senard: «Mi permetta di iscrivere il suo nome all”inizi0 di questo libro ein cima alla dedica; poiché è a lei, soprattutto, che ne devo la pubblicazione».La dedica vera e propria resta dunque a Bouilhet.

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che potrebbe anche essere l'autore: visto che alcuni romanzierisi rivolgono alle loro creature (come vedremo in seguito), per-ché non il contrario: «A Daniel Defoe, firmato Crusoe», «AMonsieur Proust, senza il quale, ecc. firmato Marcel ››. Ma nonsconfiniamo nella considerazione del dedicatario. La difficoltàd'accettazione di tale pratica potrebbe dipendere dal suo ca-rattere piú o meno metalettico, che costituisce il narratore inquanto «autore fittizio ›> del tipo Clara Gazul o Sally Mara,dotato di tutte le funzioni e prerogative dell”autore, che il piudelle volte quest°ultimo preferisce conservare tutte per sé. Eil caso di Walter Scott che, deciso a restare nascosto dietro latenda, fa dedicare Ivanhoe dal suo presunto autore LaurenceTempleton al reverendo Dryasdust.Mi sembra però significativo il fatto che le dediche di rac-

conti omodiegetici siano molto spesso, al contrario, firmate colnome o con le iniziali dell'autore (reale), come se si volesse evi-tare ogni equivoco: è il caso del Lys dans la vallée (firmato DeBalzac), di Henry Esmond (firmato W. M. Thackeray), diSwann (Marcel Proust) e di Guermantes (M. P.). Non firmatequelle della Symphonie pastorale, di Thésée, della Nausée sila-sciano attribuire senza difficoltà grazie all'identità del dedi-catario (Schlumberger, Heurgon e Amrouche, il Castor), mainfine questa attribuzione non è altro che una verosimiglianza.Un dedicatario piú neutro 0 piú universale come quello di My-thologiques («Alla musica ››), ci lascerebbe, all'inizio di una fin-zione alla prima persona, nella piú completa incertezza.

Ho segnalato le molteplici dediche di Tristram Shandy, tutterivendicare da Laurence Sterne. Ma ce n'è anche una, alla finedel capitolo VIII del Libro I, firmata Tristram Shandy, il qualetiene ad affermare che si tratta proprio di una dedica «malgra-do la sua singolarità rispetto ai tre punti essenziali della ma-teria, della forma e del luogo ››. Singolare anche a causa del suodestinatore fittizio, dunque, e del suo destinatario... lasciatoin bianco: essa viene offerta a chiunque offrirà la somma pre-cisa (e sostanziale) di cinquanta ghinee.

Dedicatari.

A chi si dedica? Se si considera obsoleta la pratica anticadella dedica sollecitatoria, esistono due tipi distinti di dedica-

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tari: i privati e i pubblici. Per dedicatario privato intendo unapersona, conosciuta o meno dal pubblico, alla quale un'ope-ra ' viene dedicata in nome di una relazione personale: diamicizia, familiare o altro. E il caso di Balzac che offre LeMé-decin de campagne a sua madre, Louis Lambert a Mme de Ber-ny, Séraphita a Mme Hanska, La Maison Nucingen a ZulmaCarraud. Il dedicatario pubblico è una persona piú o meno co-nosciuta, ma con la quale l'autore manifesta, attraverso la suadedica, una relazione di carattere pubblico: intellettuale, ar-tistica, politica o altro. Lo stesso Balzac dedica (tra l'altro) Bi-rotteau a Lamartine, Ferragus a Berlioz, La Duchesse de Lan-geais a Liszt, Laƒille aux yeux d 'or a Delacroix, Le Père Goriota Geoffroy Saint-Hilaire, Le curé de Tours a David d'Angers,e Illusions Perdues a Victor Hugo. I due tipi di relazione nonsono evidentemente esclusivi l'uno dell'altro, dato che l'autorepuò avere una relazione privata con un dedicatario pubblico:il figlio di Crébillon con suo padre, Melville (per Moby Dick)con Hawthorne, Aragon con Elsa Triolet, ecc. Non intrapren-derò qui il compito di disting ere, nella lista delle dedichepubbliche di Balzac, la parte påofessionale da quella amiche-vole.

La dedica d'opera, in linea di principio, presuppone l'accor-do preventivo del dedicatario, ma ci sono certamente molte ec-cezioni a questa regola di cortesia, che abbiamo già visto in-frangere da Fielding con il meccanismo della preterizione.Un'eccezione è inoltre rappresentata dalla dedica in memo-riam, come quelle che abbiamo già incontrato, di Flaubert a LePoittevin o di Zola a sua madre; o anche di Hugo, per Les voixintérieures, a suo padre. Si tratta di dediche private, ma la de-dica postuma permette in genere di esibire un debito intellet-tuale senza consultare il precursore e appropriandosi quindidel suo patrocinio. Dujardin dedica Les lauriers sont coupés aRacine, << in omaggio al supremo romanziere di anime ››: e aproposito di questa dedica ci si potrebbe domandare cosaavrebbe pensato Racine di una simile definizione, nonché diuna simile eredità. Nel 1960 Borges dedica El hacedor (L 'ar-teƒice) a Lugones, morto nel 193 8, ma non senza la delicataprecauzione di accompagnare tale dedica con una specie di rac-

' Utilizzerò qui sistematicamente la parola opera per evitare l'equivoco dilibro, che potrebbe ugualmente riferirsi a un'opera o a un esemplare.

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conto onirico: egli va a trovare, nel suo ufficio della BibliotecaNazionale, il maestro che una volta tanto gli manifesta qui elà qualche parsimonioso segno di approvazione. Non è che unsogno, certo, ma «quando anch'io sarò morto e quando tuttala cronologia si sarà fusa in un mondo di simboli [...], sarà giu-sto pretendere che io vi abbia offerto quest'opera e che voil'abbiate accettata ›>.

Fanno a meno a fortiori di autorizzazione le dediche a ungruppo, nei già citati Stendhal, Barrès, Larbaud o Aragon, emolti altri ancora: l'Essai sur les révolutions (sul frontespizio)«A tutti i partiti ››; Le Bachelier «a quelli che, nutriti di grecoe latino, sono morti di fame ››; la ]eanne d 'Arc di Péguy a tut-ti quelli che lottano contro il male universale e per la repub-blica socialista universale `; S/Z ai partecipanti di due anni diseminario. O ad entità collettive: The Tale of the Tub «a SuaAltezza Reale il Principe Posterità››, La légende des siêcles «allaFrancia». E perfino ad esseri estranei alla specie umana: Pierreal monte Greylock, Le mouvement perpétuel alla poesia ', My-thologiques alla musica, Lord B «all°ortica e alla musica diKlaus Schultze››. Senza contare le dediche a Dio, ai santi, allaVergine ”, e suppongo che si debba classificare indirettamen-te in questa classe, se può essere considerata tale, la dedica pre-terita dei di Diaboliques di Barbey d'Aurevilly: << A chi dedica-re ciò?» Si può anche dedicare semplicemente (forse tropposemplicemente) al lettore, e senza dubbio alcune avvertenze«al lettore ›› dovrebbero essere lette sia in quanto epistole dedi-

' Non metto le virgolette a questa formula, riassunto sommario di unadedica piú complessa e lunga una pagina, che termina con una clausola di ap-plicazione molto liberale: «Chiunque voglia si prenda la propria parte di de-dica ››.

2 Precisamente: «Dedico questa poesia alla poesia e merda a chi la legge-rà». La seconda proposizione non è piú esattamente nell'ordine della dedica,ma forse dell'avvertenza al lettore. Essa poneva, comunque, dei delicati pro-blemi di relazione con la dedica di esemplare. J. Ristat precisa ((Eu11re poe-tique, t. II) che Aragon la depennava sulle copie destinate ai suoi amici, cosache non testimonia un grande rigore di spirito. Egli aggiunge che la quarta dicopertina delle copie destinate ai giornalisti recava delle frasi erotiche mano-scritte. L'edizione corrente reca, stampata, questa nota retrospettiva: «Ave-vo scritto qui qualche porcheria per i signori giornalisti: non si sono mostratiriconoscenti ››.

” I. Delteil, Sur le ƒleuue Amour: «Alla Mamma, alla Vergine Maria e algenerale Bonaparte». Chateaubriand non aveva osato formulare un tale acco-stamento.

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catorie, sia in quanto prefazioni: come quelle degli Essais, delBuscón di Quevedo, o dell'Elixir de longue vie. Alcune operedi finzione sono dedicate, per metalessi, a uno dei loro perso-naggi: la prima parte dell'/lstrée reca un°epistola dedicatoriaall'eroina, la seconda all'eroe Céladon, e la terza al fiume delLignon, che li unisce e li separa. A dire il vero, si tratta piut-tosto di prefazioni in forma di epistole, poiché i veri dedica-tari erano, nel 1607, il re Enrico IV in quanto restauratore del-la pace in Europa e, nel 1619, Luigi XIII in quanto degno suc-cessore. Mala terza edizione di Francion ' contiene una verae propria dedica all'er0e: «A Francion. Caro Francion, a chialtro potrei dedicare la vostra storia se non a voi stesso?» Stes-so tipo di destinatario, come ho già detto, per la dedica fina-le dei Mémoires d 'Hadrien.

Dedica al lettore, cioè al vero e proprio destinatario dell'0-pera, dedica all'eroe, cioé al suo principale oggetto: manca so-lo, in questo insieme un po' deviante, e indubbiamente ludi-co, l'autodedica, o dedica all'autore da parte dell'autore stesso.Si tratta spesso della formula piú sincera, ed è piú o menoquella di ]oyce nella sua prima opera, un'opera teatrale intito-lata A Brillant Carreer e cosífdedicata: «Alla mia propria ani-ma dedico la prima opera della mia vita»'. E anche quelladei Mémoires d'Hadrien se si prendesse alla lettera il suo sta-tuto autobiografico, cosa che, beninteso, l'autore non desideraminimamente fare.

Si potrebbe anche dedicare l'opera a se stessa, se si ritieneche lo meriti, o in altre parole che si meriti, e come sarebbepossibile altrimenti? Ci si merita sempre, ahimè! E un po'quello che fa Orazio: Ad librum suum. Ma siamo onesti: nonè una dedica, ma un'epistola (la ventesima).Alcuni romanzi di Walter Scott presentano la particolari-

tà di essere dedicati a un personaggio immaginario: il reveren-do dottore Dryasdust (<< Secco-come-la-polvere ››), membro del-la Società degli antiquari, in Ivanhoe e The Fortunes ofNigel,il capitano Clutterbuck in Peveril ofthe Peak. La dedica, o l'e-pistola dedicatoria che svolge la funzione della prefazione, o

' 163 3. Anche la seconda (1626) recava una dedica fantasiosa, per prete-rizione: «Alle celebrità: non è per dedicarvi questo libro che scrivo questaepistola, ma per rendervi noto che non ve la dedico affatto».' R. Ellmann, Iames Ioyce, Oxford University Press,New York 1959, p. 81.

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prefazione dedicata (dedicatory epistle, prefatory letter), fa partedel gioco pseudonimico sostituito o sovrapposto dopo il 1816all'anonimato dei primi Waverley Novels. Il principale presta-nome, Jedediah Cleisbotham, firmerà per esempio il capitolopreliminare di Old Mortality, la dedica al lettore dell'introdu-zione di The Heart ofMidlothian, la dedica «ai suoi cari con-cittadini» di The Bride ofLammermoor. Le dediche di Ivanhoee di Nigel a Dryasdust sono firmate rispettivamente da Lau-rence Templeton e Clutterbuck, ai quali viene cosí attribuito,finzionalrnente e indirettamente, il ruolo di autori di questi ro-manzi. Poi il gioco si complicherà con inversioni e altre diver-sioni delle quali parleremo piú legittimamente nel capitolo sul-la prefazione.

Qualunque sia il dedicatario ufficiale, c'è sempre un'ambi-guità nella destinazione di una dedica d'opera, che contemplasempre almeno due destinatari: il dedicatario, ovviamente, maanche il lettore, poiché si tratta di un atto pubblico verso ilquale il lettore è in qualche modo chiamato a testimoniare. Ti-picamente performativa, come ho detto, poiché essa costituiscein se stessa l'atto che dovrebbe descrivere, la formula non èdunque semplicemente: «Dedico questo libro a Tal dei Tali»(vale a dire: << Dico a Tal dei Tali che gli dedico questo libro ››),ma anche, e talvolta soprattutto: «Dico al lettore che dedicoquesto libro a Tal dei Tali». Ma quindi anche: «Dico a Tal deiTali che dico al lettore che dedico questo libro a Tal dei Ta-li›› (in altre parole: «Dico a Tal dei Tali che gli sto facendo unadedica pubblica »). E anche: «Dico al lettore che dico a Tal deiTali, ecc. ››, e cosí via, all'infinito. La dedica d”opera implicasempre dimostrazione, ostentazione, esibizione: essa mostrauna relazione, intellettuale o privata, reale o simbolica, e que-sta esibizione è sempre al servizio dell'opera, come argomentodi valorizzazione 0 tema di discussione (non è certamente in-differente, sul piano tematico, che Langeais sia dedicato a Liszte La fille aux yeux d 'or a Delacroix, e non il contrario). Vi è inciò qualcosa di fondamentalmente obliquo, che Proust chia-mava il << linguaggio non sincero (delle prefazioni e) delle de-diche››, e al quale forse non si sfuggirà nemmeno evitando ladedica: poiché l°assenza di dedica, in un sistema che ne com-porta la possibilità, è significativa come grado zero. «Questolibro non è dedicato a nessuno ››: un simile messaggio implicito

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non ha forse un suo significato? A scelta: 0 «Non vedo nessu-no che meriti questo libro ››, o «Non vedo nessuno che questolibro meriti ››.

Funzioni.

Dopo queste osservazioni sulla relazione fra la dedica e isuoi attori, avevo previsto di consacrare una sezione alle fun-zioni semantiche e pragmatiche della dedica stessa. Mi accorgoche non mi resta niente da dire, oltre a quello che ho già dettoo lasciato intendere e, in fin dei conti, non si tratta di un ca-so: la dedica d'opera, dicevo, è l'esibi-zione (sincera o meno)di una relazione (di un tipo o di un altro) tra l'autore e qual-che persona, gruppo o entità. A parte addizionali funzionisconfinanti nel campo della prefazione, la sua propria funzio-ne, non per questo trascurabile, si esaurisce in questa esibizio-ne, esplicita o meno. Essa può cioè precisare la natura di que-sta relazione, come nel caso delle epistole dedicatorie classi-che o le formule specificative, o restrittive, del tipo «A Tal deiTali, per la tale ragione (e non un'altra) ›>, oppure lasciarla inbalia di una vaga indeterminazione, lasciando al lettore (e forseal dedicatario stesso) il compito di cercare di ridurla. Con ognievidenza, malgrado la funzione direttamente economica delladedica sia oggi scomparsa, il suo ruolo di patrocinio o di cau-zione morale, intellettuale o estetica si è essenzialmente pre-servato: non si può, alla soglia 0 alla fine di un”opera, menzio-nare una persona o una cosa in quanto destinatario privilegiatosenza in qualche modo invocarlo, come una volta l'aedo invo-cava la musa (che non ne poteva piú), e dunque implicarlo co-me una sorta di ispiratore ideale. «A Tal dei Tali» comportasempre una parte di «Da Tal dei Tali». Il dedicatario è sem-pre in qualche modo responsabile dell'opera che gli viene de-dicata, e alla quale conferisce, volens nolens, un po' del suo so-stegno, e dunque della sua partecipazione. Questo poco nonè niente: c'è ancora bisogno di ricordare che il garante, in la-tino, si diceva auctor?

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La dedica d 'esemplare.

La distinzione fra dedica d'opera e dedica d'esemplare èchiaramente legata alla possibilità di distinguere tra loro duerealtà quali l'opera e l'esemplare. Non è questo il luogo per af-frontare le vaste questioni sollevate da questa seconda distin-zione, ma piú semplicemente per ricordare che il modo diesi-stenza di un'opera unica come la Vue de Delft non è lo stessodi un'opera a molti esemplari come la Recherche. Nel caso diun'opera unica, come lo è in genere l'opera pittorica, un'even-tuale dedica (ho poche illuminazioni su questa pratica) nonpuò che essere allo stesso tempo dedica d'opera e d'esempla-re. Un'opera costituita da molteplici esemplari, diciamo gene-rosamente tremila, può essere in quanto opera dedicata a unapersona, e ciascuno dei suoi esemplari dedicato ad altre tremi-la, o almeno, duemilanovecentonovantanove persone. Per laverità, i numeri non hanno nessuna importanza, e nemmenola riproduzione manoscritta dell'epoca precedente a Guten-berg, con le sue decine 0 centinaia di esemplari non rigorosa-mente identici, poteva escludere la distinzione fondamenta-le: Virgilio poteva dedicare le Georgiche, in quanto opera, aMecenate, e ciascuna delle sue copie manoscritte al suo parti-colare acquirente. Non ho particolari illuminazioni neanche suquesta pratica; penso semplicemente che il ruolo dello scriba,forse non piú attivo, ma certamente piú singolare di quello delmoderno stampatore, nella confezione di ciascun esemplare,avrebbe potuto conferirgli qualche diritto alla dedica, almenonel caso in cui ciascuna copia fosse stata opera di un solo co-pista, pratica che come sappiamo si è rapidamente estinta. Im-magino inoltre (l'ignoranza stimola molto Pimmaginazione)che la nascita della stampa, moltiplicando gli esemplari (quasi)identici, deve avere allo stesso tempo moltiplicato, per com-pensare questa uniformazione del prodotto, la domanda del-le dediche d'esemplare: insomma, questo tipo di dedica, cosícome lo conosciamo ancora oggi, costituisce la sola parte au-tografa, e dunque, in un certo senso, singolare (« unica ›>) di unlibro stampato. Da cui il prezzo. E inoltre noto, come ho giàaccennato, che la vendita degli esemplari d'autore, detti an-che, giustamente, «esemplari con dedica », faceva parte, nelXVI secolo, delle risorse legittime degli autori. Erasmo, per

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esempio, disponeva, ci dicono, di «una vera e propria rete diagenti che andavano a distribuirle e a raccogliere le ricompen-se ›> '. Immagino inoltre che anche questo commercio delladedica debba essere progressivamente scomparso verso la fi-ne dell'epoca classica, con l'instaurazione dei diritti d'autore.Una storia della dedica d'esemplare è oggi, e non solo sottoquest'aspetto, una crudele mancanza. Per una ragione eviden-te che consiste nella difficoltà di raccoglierne i materiali, ta-le storia non sarebbe infatti cosa da poco; mi sembra però chela posta in gioco, e cioè una migliore conoscenza delle usanzee dell`istituzione letteraria, ne varrebbe la lunghissima cande-la. E chiaro, comunque, che questo antico commercio ci ha la-sciato due eredità, la firma degli esemplari riservati alla stampa(ti scrivo una bella dedica affinché tu mi scriva un bell'articolo)e gli incontri in libreria per il rilascio degli autografi: la pos-sibilità di una dedica autografa è infatti un buon argomentodi vendita.

Luogo, momento.

Niente di particolare da dire a proposito del luogo della de-dica d°esemplare, oggi in pagina di guardia o meglio nella pa-gina dell'occhiello, il quale viene cosí integrato, con o senzafioriture, alla formula dedicatoria. Niente da dire neanche aproposito del momento, essenzialmente l”«uscita» del libro,cioè la sua prima edizione (servizio stampa e esemplari d'au-tore), ma a volte piú tardi, in occasione di un incontro conl'autore in libreria o di una richiesta individuale di autografo.La durata di una dedica d'esemplare è paradossalmente piú ga-rantita e, a parte l'usura o le possibili alterazioni, piú illimitatadi quella della dedica d'opera. Un autore, infatti, può sempre,come Chateaubriand nel 1804, eliminare o modificare una de-dica d'opera ad ogni nuova edizione. Eliminazione certo nonretroattiva, a meno di poter ritrovare e distruggere tutti gliesemplari anteriori (possono comunque sempre esistere e es-sere sufficienti le testimonianze indirette), ma che può per lomeno ridurre l'applicazione della dedica originaria: diremo co-sí che Chateaubriand ha dedicato a Bonaparte solo la seconda

' Febvre e Martin, L'apparition du livre cit., p. 235.

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e la terza edizione del Génie du Christianisme. Ma, tranne nelcaso di un accordo con il destinatario, l'autore non può nullacontro una dedica d'esemplare: troppo tardi per un eventua-le rimorso o ripensamento, ciò che è firmato è firmato. Ne co-nosco (e ne ignoro) piú d'uno che si morde le dita di piú d'una.

La biografia di Gide è ricca di episodi dedicatori, autenticio apocrifi, che possono illustrare questo genere di imbarazzoo di conflitti. Dopo aver litigato con Ruyters, gli dedica il suoVoyage au Congo con questa unica parola: « Nonostante ›>. O,altro esempio, Claudel che dedica un volume della sua corri-spondenza con Gide a suo nipote con questi termini: «Con ilrimorso di essermi trovato in cosí cattiva compagnia ››; a talededica, avendo questo dedicatario avuto il buon gusto di por-targli il volume per farglielo a sua volta firmare, Gide avreb-be semplicemente aggiunto questa formula lapidaria: « Idem ››.E vero che Claudel l'aveva già notevolmente infastidito in-viandogli un esemplare di quella che era stata un'opera comu-ne con questa dedica decisamente insolente: «Omaggio del-l'autore», ragione, per`Gide, per sentirsi piú che mai, nelle sueparole, « soppresso ››. E noto anche che Gide aveva fatto nel1922 una vendita pubblica di una parte della sua biblioteca,e in particolare di tutti i libri dedicati dai suoi vecchi amici coni quali aveva nel frattempo litigato. Uno di essi, Henri de Ré-gnier, si vendicò mandandogli nonostante il suo libro succes-sivo, ma accompagnato da questa formula piccante: «A AndréGide, per la sua prossima vendita» `.

Dedicatore, dedicatario.

Contrariamente alla dedica d”opera, la dedica d'esemplare(a parte i casi di contraffazione) non lascia spazio a nessuna in-certezza per quanto riguarda l'identità del suo destinatore,

' Cito questi aneddoti da ]. Lambert, Gide familier, Julliard, Paris 1958.Ne circolano naturalmente altre versioni: in R. Mallet, Une mort ambiguë,Gallimard, Paris 1955, il nipote di Claudel è una ragazza, e la replica di Gideè, piú svogliatamente: «Con le scuse di Gide». Nelle sue conversazioni conAmrouche, Gide precisa che la vendita di questi esemplari aveva lo scopo pre-ciso di rendere pubbliche (grazie alla loro iscrizione nel catalogo) queste dedi-che private di vecchi amici che l'avevano rinnegato per ragioni morali o reli-giose.

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poiché la sua caratteristica evidente, dunque sconosciuta 0 tra-scurata, è quella di essere sempre firmata, o piú esattamentedi comportare sempre e almeno una firma. Sempre? - Nonbisogna mai dire mai - è vero - mi sembra però che le unicheeccezioni in questo caso siano da imputare alla dimenticanza,o a una simulazione malevola dell'oblio. - Almeno? - Certo,perché il grado minimo dell°autografo è proprio non quello diuna formula non firmata, ma di una semplice firma senza for-mula. Subito dopo, nella gerarchia, la formula firmata senzamenzione del dedicatario: «Con amicizia, Tal dei Tali». Nonmolto gratificante. La formula canonica comporta il nome deldedicatario (in mancanza del quale bisognerebbe piuttosto par-lare di autografo e non di vera e propria dedica), infinite va-riazioni sullo schema: «A X, Y», dove X può essere un indi-viduo o una collettività (una coppia, un gruppo, una bibliote-ca), ma, piú difficilmente che nella dedica d'opera, un”entitànon umana, o anche un defunto: niente dediche d'esemplarea Dio, al monte Greylock, alla musica, alla Francia, a Giovan-na d'Arco, a mio nonno in memoriam, neppure al mio gatto,che saprebbe, lui sí, cosa farsene. Questo prova ancora unavolta che in alcuni casi si può fare di piú (dedicare un'opera)senza poter fare di meno (dedicare un esemplare). Contraria-mente al dedicatario d'opera, la dedica d”esemplare non è so-lamente un atto simbolico, ma anche un atto effettivo, accom-pagnato, in linea di principio, da un dono effettivo, o almenoda una vendita presente o anteriore. Vale a dire, da un atto diproprietà che la dedica, per l'appunto, firma e consacra. Nonsi dedica (consapevolmente) a qualcuno un libro che non gliappartiene; da cui la formula frequente e esatta: «Esemplaredi X ››. Al contrario, ovviamente, la dedica d”opera non è mi-nimamente accompagnata dal dono o dalla vendita dell'insie-me degli esemplari stampati: essa fa parte, come l'opera stessa,di un altro ordine, ideale e simbolico. Da cui la stranezza diquesta formula della dedica d'opera, delle Elegie di Duino(Duineser Elegien): «Proprietà della principessa di Thurn undTaxis››. Strano per iperbole, come in «La (il) vostra (o)... ››, oper litote: essere dedicatario di un'opera letteraria non`signi-fica minimamente esserne proprietario, non è possibile. E con-temporaneamente molto di piú e molto di meno. E un altro or-dine di cose, ecc.

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Funzioni.

In mancanza dell'indagine sopra menzionata, e che persi-Sto nel preconizzare, non intraprenderò in questa sede alcu-na « teoria ›› della dedica d'esemplare considerata nella sua for-ma o nella sua funzione: il materiale disponibile sarebbe trop-po erratico e contingente. Tornerò brevemente sull”ipotesiprecedente: oggi questa dedica, a parte le situazioni puramentecommerciali o professionali (servizio stampa), sembra rasse-gnarsi meno facilmente della dedica d'opera alla formula mi-nimale «A X, Y» ', che, in questa relazione effettiva, sembrasempre troppo minimale. La dedica d'esemplare amichevole,e a fortiori in omaggio a un maestro, richiede dunque semprepiú o meno una specificazione: o per quanto riguarda (anchesolo con un semplice avverbio) la relazione tra dedicatore e de-dicatario, o (meglio) la relazione tra il dedicatario e l'operastessa, oppure (meglio ancora) entrambe. E il caso di Zola aFlaubert nell'Assommoir: «Al mio grande amico Gustave Flau-bert, in odio al gusto ››. Ovviamente e necessariamente, que-ste specificazioni attraverso una motivazione («A X, per ta-le ragione ››) comportano un commento (autoriale) sull'opera,e rientrano quindi, del tutto legittimamente, nel campo del pa-ratesto. Inutile aggiungere quanto sarebbe prezioso, per ogniopera, un inventario dell'insieme delle dediche d'esemplare.Pur essendo tale inventario sicuramente impossibile da otte-nere in tutta la sua esaustività, mi sembra però che la storia let-teraria non abbia fatto in questa direzione tutti gli sforzi checi si sarebbe potuti attendere da essa. Alla prossima punta-ta', dunque.

Uno dei requisiti della dedica d'esemplare è indubbiamente

* Come sappiamo, l”uso moderno ha introdotto in questa formula (indub-biamente piú spesso nella dedica d'esemplare che nella dedica d'opera) la va-riante «Per X, Y».

2 A proposito del caso particolare della lunga dedica di Swann a MmeScheikévitch, scritta nel 1915 per dare alla dedicataria un riassunto parzialedel seguito della Recherche, si veda il mio Palimpsestes cit., pp. 291 sgg. Que-sto testo posteriore di due anni alla pubblicazione del libro ha uno statuto in-termedio fra quello della dedica e quello di una lettera (si trova infatti anchenelle edizioni della Corrispondenza). Per ulteriori dettagli sulla dedica d'e-semplare ele sue frange, cfr. J.-B. Puech eJ. Couratier, Dédicaces exemplaires,in «Poétique», LXIX (1987).

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la modestia, e di conseguenza la scusa è uno dei suoi costan-ti topoi. Vi sono anche autori che esprimono una modestia sin-cera, o, piú precisamente, forse, degli autori particolarmenteattenti all'interesse che tale lettore può avere o meno verso ta-le opera. Il dedicatario d'esemplare, contrariamente al dedi-catario d'opera, è infatti sempre un lettore potenziale, oltre adessere una persona reale, e uno dei presupposti della dedica èche l'autore si aspetta da lui, in cambio di questa gratificazio-ne, una lettura. Sarebbe infatti sconveniente, anche se per mo-destia, far capire a un dedicatario che non ci si aspetta nien-te da lui: significherebbe trattarlo da beota, o da volgare cac-ciatore di autografi.

Roland Barthes era uno di questi autori attenti, semprepronto a scusarsi nell'offrire un libro che forse non avrebbeminimamente interessato il suo specifico dedicatario. Una del-le sue dediche in forma di scusa è stata molto sottilmente e (ciòche conta di piú) molto giustamente commentata dal suo de-dicatario, Eliseo Veron. Mi guarderò dal commentare a miavolta questo commento, ma invito il lettore a riportarvisi im-mediatamente, lasciando perdere tutto il resto: Eliseo Veron,Qui sait?, in << Communications ››, n. 36 (1982).

Come si sarà capito, come si sapeva già, la funzione delladedica d'esemplare è notevolmente diversa da quella della de-dica d'opera. La principale ragione di questa differenza, o diqueste differenze, consiste nel carattere privato, non solo dellarelazione, ma dell'istanza di comunicazione, in linea di prin-cipio confidenziale, della dedica d'esemplare. Non vi è nullain questo caso (in attesa dell'eventuale pubblicazione postu-ma) del movimento obliquo segnalato precedentemente (« In-formo il lettore che dedico... ››). Nessun altro oltre al dedica-tario è tenuto a sapere di essere il dedicatario, e in quali ter-mini; e, d'altra parte, ciascun dedicatario sa benissimo di nonessere l'unico. Niente dunque dell'effetto di cauzione pubblicaassociata alla dedica d'opera. Cauzione privata? Dubito chequesta locuzione abbia senso. La domanda, come ho detto, èpiú semplicemente e piú direttamente di lettura, e questa re-lazione è tutto sommato abbastanza sana. Resta da capire sesia piú difficile trovare un lettore o un mecenate.

Resta anche, a questo proposito, un paradosso piuttostobizzarro: accompagnando il regalo di un esemplare, la dedica

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motiva questo regalo con un commento riguardante, ovvia-mente, non l'esemplare, ma l'opera stessa. Questo paradossopuò portare a una certa ineleganza (il dedicatario che esige:«Poiché quest'opera mi si adatta cosí bene, perché non dedi-carmela, invece di dedicarmi semplicemente un esemplare? ››;o, al contrario, lo sdegnato dedicatario d'opera: «Mi sarebbebastato un esemplare ››). Senza calcolare l'imbarazzo`di dedi-care a Y un esemplare di un'opera già dedicata a X. E un pa-radosso che ha per lo meno il merito di sottolineare la relazio-ne molto particolare tra l”esemplare e l'opera, dalla quale es-so deriva non tutto il suo valore (dopotutto non esistono inlibreria due esemplari assolutamente identici di una stessaopera), ma, letteralmente, l'essenziale di questo valore. Opiuttosto proprio in quanto la rappresenta, l'esemplare vale,contemporaneamente, grazie a e per l'opera. La dedica d'esem-plare, che si giustifica attraverso il riferimento all'opera, in-siste dunque allo stesso tempo sui suoi due aspetti, quello ma-teriale (<< Ecco un libro ››), che valorizza singolarizzandolo (co-me sappiamo, solo la numerazione degli esemplari di lusso puòfargli, meschina, concorrenza): « Ecco l'esemplare unico del Si-gnor Tal dei Tali »; e quello ideale, che essa designa allo stes-so tempo per ogni evenienza: <<Ecco, di tale opera, un esem-plare che vale soprattutto per ciò che essa vale ››. In altre pa-role: «Malgrado le apparenze e nella misura delle possibilitàumane, quello che ti offro non è semplicemente un libro, maproprio un'opera ››. In altre parole ancora: «Il possesso di que-sto libro è solo un mezzo, perché questo libro non è solamenteun oggetto, ma anche un segno. Il fine è un altro tipo di pos-sesso, che non è affatto un possesso, e che si esplica unicamen-te attraverso la lettura». In altre parole, infine, e si tratta tal-volta di un tentativo di scongiurare il disprezzo del testo co-sí frequente tra i bibliofili: «Non credere che il possesso diquesto libro ti dispensi dal leggerlo ››.

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Le epigrafi

Definirò approssimativamente l'epigrafe come una citazio-ne posta «in esergo ››, in genere all'inizio dell'opera o parte del-l'opera; «in esergo ›› significa letteralmente fuori dall'opera, ilche è forse un po' esagerato: l”esergo consiste piuttosto, inquesto caso, in un confine dell'opera, in genere molto vicinoal testo, dopo la dedica, dunque, nel caso in cui ci sia una de-dica. Da cui questa metonimia oggi frequente: «esergo ›› perepigrafe, che non mi sembra molto felice, perché confonde lacosa con la sua disposizione. Ma tornerò sulla questione del-la disposizione, dopo una sbrigativa cronistoria. Tornerò an-che sul termine citazione, che richiede qualche precisazione,o piuttosto qualche ampliamento.

Storia.

A prima vista l°epigrafe sembra essere una pratica piú re-cente della dedica. Non ne trovo alcuna traccia, almeno secon-do la definizione precedente, prima del XVII secolo. Bisogne-rebbe probabilmente individuarne l'origine nella pratica piúantica del motto d'autore. Il testo del motto può essere una ci-tazione, come l`«Ab insidiis non est prudentia›› preso in pre-stito da Plinio, che Mateo Alemán integra al frontespizio di al-meno due sue opere: Guzman de Alfarache, e il suo Ortografíacastellana. Ciò che distingue il motto non è dunque obbligato-riamente il suo carattere autografo, ma la sua indipendenza ri-spetto al testo particolare, il fatto che possa trovarsi all'iniziodi diverse opere dello stesso autore, che lo colloca`per cosí direin esergo alla sua carriera, o della sua vita intera. E questo cer-tamente il caso del «Vitam impendere vero ›› di Rousseau, che

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però non figura, mi pare, in nessuna delle sue opere, e che l'au-tore ha impedito all°editore di disporre all°inizio di ]ulie comeegli stesso spiega nella prefazione a quest'opera.

Non conosco esempi piú recenti del motto d'autore, ma nedevono esistere certamente, ed è a tutti noto il motto dell'e-ditore, o della collana, che ancora oggi orna alcune copertine:«Rien de commun›› (Corti), «Je sème à tous vents ›› (Larous-se), «Je ne bastis que pierres vives, ce sont hommes ›› (collana«Pierres vives›› di Seuil). Quest'ultima, presa da Rabelais,commenta e giustifica il titolo della collana, una funzione cheritroveremo all'opera nel caso dell'epigrafe. Uno stadio inter-medio potrebbe essere quello dell'epigrafe che appare in ogninumero, nella seconda pagina di copertina, della rivista «TelQuel ››: una citazione, autentica o meno, che comporta semprela locuzione «tel quel».Mi sembra dunque che la prima 1 epigrafe d'opera, in

Francia almeno, sia quella delle Maximes di La Rochefoucauld,o piuttosto delle Réflexions morales, edizione del 1678 (noncredo figuri sulle precedenti): <<ll piú delle volte le nostre virtúaltro non sono che vizi camuffati››. Ma questo primo esem-pio è ancora deviante, perché la frase disposta in esergo nonè presentata in quanto citazione (allografa, con la menzione delsuo autore), e suona piuttosto come una massima di La Roche-foucauld stesso, del quale potrebbe costituire perfettamentela massima tipo, emblema e condensato di tutta la sua dottri-na. Epigrafe autografa, dunque, 0 autoepigrafe: si tratta di unavariante che ritroveremo insieme alle questioni che solleva. Laprima famosa epigrafe, nel senso corrente del termine, sarebbedunque piuttosto quella dei Caractêres (1688). Si tratta di unacitazione di Erasmo, debitamente attribuita al suo autore:«Admonere voluimus, non mordere; prodesse, non laedere;consulere moribus hominum, non officere» («Ho voluto am-monire, non mordere; essere utile, non ferire; migliorare i co-stumi degli uomini, non nuocergli››).

La pratica dell'epigrafe si diffonde nel corso del XVIII seco-lo. La troviamo (generalmente in latino) all'inizio di qualchegrande opera, come l'Esprit de lois: «Prolem sine matre crea-tam ›› (« Figlio creato senza madre ››), citazione di Ovidio, ma

' Almeno all'inizio di un'opera celebre; me ne viene inoltre segnalatauna, presa da Orazio, nel Lycée du sieur Bardin (1632). L'indagine è aperta.

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senza menzione dell'autore '; l”Histoire naturelle di Buffon:«Naturam amplectimur omnem›› («Abbracciamo tutta la na-tura ››), senza menzione dell'autore; La Nouvelle He'loi'se: dueversi italiani di Petrarca, «Non la conobbe il mondo, mentrel'ebbe: I Conobbill'io ch'a pianger qui rimasi» 2; Le Neveu deRameau: «Vertumnis, quotquot sunt, natus iniquis›› («Natosotto l'influenza maligna di tutte le Vertumni riunite ››), diOrazio, Satyrae, II, 7; o le Confessions: «Intus et in cute » (« In-teriormente e sotto la pelle ››), preso senza menzione dell'au-tore da Persio, Saturae, III, 30. L'uso dell'epigrafe latina simantiene, in questo regime postclassico, almeno fino ai Me'-moires d 'outre-tombe: « Sicut nubes [...] quasi naves [...] velutumbra ››, che è un pot-pourri di Giobbe, 3o-15, 9-26, 14-2:«Come una nuvola [è passato il mio saluto]; [i miei giorni sci-volano] come barche [di giunco]; [l”uomo fugge] come un'om-bra».

Pratica, dunque, un po' tarda, che si sostituisce piú o me-no a quella dell'epistola dedicatoria classica, e che sembra al-l'inizio caratterizzare maggiormente le opere di pensiero piut-tosto che la poesia o il romanzo. Tra i grandi romanzi del Set-tecento non ne trovo nessuna, oltre alla Nouvelle Héloise e al-l'inizio di Tom ]ones (<<Mores hominum multorum vidit ››, «Haosservato le usanze di molti uomini», senza indicazione del-la fonte) e di Tristram Shandy: «Non sono le azioni, ma le opi-nioni riguardanti le azioni, che preoccupano gli uomini» (Epit-teto). A quanto pare l'epigrafe si introduce in modo massic-cio nella prosa narrativa attraverso il romanzo «gotico ››, ge-nere popolare (per il suo contenuto) e erudito (per il suo décor):The Mysteries of Udolpho (1 794), The Monk (1 795) e Melmoth(1820) presentano un'epigrafe ad ogni capitolo ”. WalterScott ne segue le orme, con la stessa frequenza: epigrafi in ge-

' Il significato ad hoc di questa citazione non è evidente. Viene qualchevolta interpretata col significato di «Opera senza modello ›>. Ma si dice ancheche Montesquieu la spiegasse cosí: per” fare una grande opera ci vuole un pa-dre, il genio, e una madre, la libertà; «Alla mia opera è mancata quest”ultima»(Mme Necker, Nouveaux Mélanges). Questo paratesto di paratesto getta unaparticolare luce (0 ombra) sul testo.

2 Genette riporta qui la traduzione di Rousseau: « Le monde la possédasans la connaitre, I et moi, je l'ai connue, je reste ici bas à la pleurer›› [N. d.T.].

” Il piú antico romanzo gotico, il The Castle of Otranto (1764), di Walpo-le, non ne recava nessuna.

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nere attribuite ad un autore reale, cosa che non garantisce au-tomaticamente la loro esattezza o la loro autenticità, anche senon bisogna neppure fidarsi ciecamente di questa «confessio-ne» nell'introduzione alle Chronicles of the Canongate:

I brani di poesia disposti all'inizio dei capitoli di questi roman-zi sono qualche volta estratti da autori, alcuni dei quali sono citatia memoria; ma in genere sono di pura invenzione. Mi sarebbe costa-to troppo ricorrere alla raccolta di poeti inglesi per scoprire delle epi-grafi adatte; trovandomi nella situazione del macchinista che dopoaver finito la carta bianca che aveva per rappresentare una caduta dineve, continuò a far nevicare con la carta marrone, misi al lavoro lamia memoria il piú a lungo possibile, e quand'essa venne a manca-re, la sostituii con l'invenzione. Penso che, in certi luoghi dove i no-mi degli autori si trovano citati in basso delle presunte citazioni, sa-rebbe piuttosto inutile cercarle nelle opere degli scrittori ai qualiquesti brani sono attribuiti.

Questa moda inglese dell'epigrafe romanzesca passa inFrancia all'inizio dell'Ottocento, via Nodier e altri rappresen-tanti del genere nero, «frenetico ›› 0 fantasioso, di cui è unbuon esempio Han d 'Islande con i suoi cinquantuno capitolidebitamente bardati ciascuno di ahneno un'epigrafe (il recordè di quattro), tutte fortemente caratterizzate dalla scelta de-gli autori: Maturin, citato nove volte è in testa, seguito daShakespeare e Lessing, sette volte ciascuno. Secondo un prin-cipio che ritroveremo in seguito, la scelta degli autori è piú si-gnificativa dei testi delle epigrafi in sé, apparentemente distri-buiti senza una grande preoccupazione circa il loro rapportocon il contenuto dei rispettivi capitoli. Hugo non dimenticadi notarlo, vantandosi nella sua prefazione di queste «epigrafistrane e misteriose, che aumentano in modo particolare l'in-teresse e attribuiscono una maggiore fisionomia a ciascuna par-te della composizione».

Stendhal riprende anche lui da Scott la consuetudine diap-porre le epigrafi ai capitoli: a quasi tutti (tranne quattro) quellidi Armance; a tutti quelli del Rouge tranne gli ultimi quattro,piú una a ciascuno dei due Libri (« La vérité, l'âpre vérité››,Danton, e «Elle n'est pas jolie, elle n'a pas de rouge», attri-buzione certamente fantasiosa a Sainte-Beuve); ai due Libridella Chartreuse, piú una al capitolo 2 del primo Libro, senzacontare quelle delle opere non romanzesche, e quelle che sem-brano prevedere i manoscritti dei romanzi incompiuti, Leuwen

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e Lamiel. L”atteggiamento di Balzac sembra essere piú ri-servato `. Le sue opere giovanili (Iean Louis, L'héritiêre de Bi-rague, ecc.) recano molte epigrafi, e a volte anche ad un solocapitolo, spesso anonime 0 d'attribuzione fantasiosa. SecondoLucienne Frappier-Mazur, tra le opere in un secondo temporaccolte nella Comédie humaine, ventitre recavano un”epigrafenella loro edizione preoriginale, in particolare le narrazioni sto-riche di tipo scottiano (Les Chouans 2, Le martyr calviniste), ofantastico-« filosofiche ›› (Sarrasine, L'histoire des Treize, LouisLambert, L'envers de l'histoire contemporaine). Dei grandi ro-manzi di costume, solo Le pêre Goriot si conforma al rito, macon una formula che accentua l'intento realista della narrazio-ne: «All is true ›› (Shakespeare, epigrafe inizialmente previstaper Birotteau). Ma soprattutto queste epigrafi vengono spes-so eliminate fin dall'originale, e al piú tardi nell'edizione Furnedella Comédie humaine (uniche eccezioni: quella della Peau dechagrin viene mantenuta, e quella del Réquisitionnaire aggiuntanella Furne). Balzac sembra dunque ripudiare l'epigrafe manmano che abbandona il proposito del racconto storico, fanta-stico o «filosofico ››, in favore del grande romanzo, 0 piutto-sto, correggerebbe lui, del grande studio dei costumi. Come nelcaso della dedica, e probabilmente ancora di piú, questa riser-va sull'epigrafe segnerà la grande tradizione realista moderna:l'epigrafe è quasi completamente assente in Flaubert, Zola,James, come lo era già in Fielding o ]ane Austen, e la paren-tesi aperta da Ann Radcliffe e Walter Scott si richiude pres-sappoco verso la metà dell'Qttocento.

' Cfr. L. Frappier-Mazur, Parodie, imitation et circularité: les épigraphesdans les romans de Balzac, in R. Le Huenen e P. Perron (a cura di), Le romande Balzac, Didier, Montréal 1980.

1 Nell”avvertenza al Gars (primo titolo, ricordo, del Dernier Chouan, pri-ma versione di Chouans), Balzac faceva dire all'aut0re fittizio Victor Moril-lon: «Aborro le epigrafi. Mi levano ogni soddisfazione, per usare un'espres-sione parigina, ma ho voluto sfidare l'imitazione e, facendo attenzione a nonfar loro annunciare nulla al lettore, ne ho spinto il lusso fino al ridicolo, sonoqueste le prime e le ultime con le quali imbarazzerò le mie narrazioni».

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Luogo, momento.

Il luogo ordinario dell'epigrafe è, come ho detto, quello piúvicino al testo, generalmente sulla prima pagina dispari dopola dedica, ma prima della prefazione. La pratica antica ammet-teva inoltre un'epigrafe sul frontespizio: è il caso delle edizionioriginali della Nouvelle Héloiše, o di Oberman (« Studia l'uo-mo e non gli uomini», Pitagora), e questa pratica non è stataoggi completamente abbandonata: vedi Lefou d'Elsa (<< Svolgocon il suo nome il gioco d'amore», Djåmi). Un'altra ubicazionepossibile, come per la dedica, è in fondo al libro: l'ultima ri-ga del testo, separata da uno spazio, come la citazione di Marxdisposta da Perec alla fine di Choses (oltre ad un”epigrafe ini-ziale tratta da Malcom Lowry) - Perec chiamava d'altra par-te «métagraphes›› (meta per «dopo ››) queste citazioni finali,una decina delle quali dispone alla fine della Disparition. Va dasé che questo cambiamento di posto può comportare un cam-biamento di ruolo; l'epigrafe liminare prepara il lettore alla suarelazione col testo; l'epigrafe finale, che si impone dopo la let-tura del testo, ha in linea di principio un significato evidente,una maggiore autorità conclusiva: è l'ultima parola, anche se,per affettazione, viene fatta pronunciare da qualcun altro.Quelle della Disparition, se poste all”inizio, avrebbero rischiatodi svelare troppo presto il segreto, ma quella di Choses è pro-prio una conclusione, o, come si dice nelle favole, una mora-le. E meglio ancora quella di Un roi sans divertissement, che perla verità si presenta come appartenente pienamente al testo,citazione (di Pascal, ovviamente, e in giustificazione del titolo)per bocca del narratore che si vanta d'ignorarne l'autore: «Chiha detto: Un re senza divertimento è un uomo pieno di mi-seria? ››

Le epigrafi dei capitoli, 0 delle parti, 0 delle opere singolein una raccolta, vengono disposte piú regolarmente ancora al-l'inizio di ogni sezione. Ed ecco fatto il giro, o quasi: si potreb-bero sicuramente trovare ancora due o tre disposizioni piú 0meno efficaci. Ho già menzionato la citazione di Sartre sullafascetta di Politique de la prose; questa pratica dell'epigrafesulla fascetta, luogo molto esposto (in tutti i sensi), e dunquemolto strategico, risale almeno al 1929, quando Julien Greenvi dispose, per il Léviathan, la famosa frase di Pelléas: << Se fossi

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Dio avrei pietà del cuore degli uomini». Fu un eccellente col-lega (Mauriac, se non sbaglio) a denunciare questa epigrafesacrilega '.

L”epigrafe è in genere originale, nel senso qui convenuto,vale a dire, adottata, e definitivamente, fin dalla prima edizio-ne. Ma Balzac ci ha già fornito un'eccezione a ciascuna di que-ste norme, e non dovrebbe essere difficile trovare altri casi diepigrafe tardiva, o eliminata, in seguito alla decisione dell'au-tore o alla negligenza editoriale (senza contare gli spostamentida un'edizione a un'altra). Ho un'edizione tascabile di ForWhom the Bell Tolls, tradotto in francese, nel quale manca l'e-pigrafe, peraltro importantissima, diJohn Donne, epigrafe cheritroveremo, dato che non è andata veramente persa.

Poiché l'epigrafe è una citazione, ne consegue quasi neces-sariamente che è costituita da un testo. Ma, dopotutto, si pos-sono citare, riprodurre, attribuendogli funzione di epigrafe,anche delle produzioni non verbali, come un disegno o unospartito. E il caso del ghirigoro tracciato dal bastone del capo-rale Trim nel capitolo IV del Libro IX di Tristram Shandy, di-sposto piú o meno fedelmente in epigrafe alla Peau de chagrin,o dell'estratto della Sagra della primavera citato all'inizio del ro-manzo di Alejo Carpentier, o del canto dei marinai, Hear us,ô Lord, che giustifica il titolo di una novella di Lowry.

Epigrafati.

Per questo stesso fatto (che l'epigrafe è una citazione) la suaattribuzione pone due interrogativi in linea di principio distin-ti, ma dei quali nessuno è cosí semplice come sembra: chi èl'autore reale o putativo del testo citato? chi sceglie e propo-ne questa citazione? Chiamerò il primo epigraƒato, il secondoepigrafatore, o destinatore dell'epigrafe (essendo il suo desti-natario, vale a dire il lettore del testo, se si vuole, l'epigrafa-tario).

L'epigrafe è il piú delle volte allografa, vale a dire, secon-do le nostre convenzioni, attribuita ad un autore che non è lo

' Cfr. F. Mauriac, Journal, in CEuvres, romanesque et théãtrales complêtes,a cura di J. Petit, IV, Gallimard, Paris 1985, p. 46.

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stesso dell'opera, diciamo Erasmo per La Bruyère: ed è perquesto che si tratta di una citazione, e proprio, come dice giu-stamente Antoine Compagnon, di una «citazione per eccellen-za» '. Se questa attribuzione è esatta l'epigrafe è autentica;ma l'attribuzione può essere falsa, e in vari modi: o perché l'e-pigrafatore ha semplicemente, come abbiamo visto fare van-tandosene a Scott, inventato la citazione per attribuirla, inmodo piú o meno verosimile, a un autore reale o immaginario;si suppone per esempio, come ho già detto, che l'epigrafe dellaseconda parte del Rouge sia apocrifa, in quanto falsamente at-tribuita a Sainte-Beuve. Oppure, essa sarà ugualmente falsa,o fittizia, nel caso in cui, sempre inventata da Stendhal, vengaattribuita a un autore immaginario o «fittizio››. Inoltre, l'at-tribuzione sarà falsa, ma in un modo piú sottile, nel caso incui, attribuita a Sainte-Beuve, venga di fatto tratta da un al-tro autore, Byron, per esempio. Essa può inoltre essere auten-tica, ma inesatta (caso molto frequente), nel caso in cui l'epi-grafatore, citando erroneamente a memoria oppure desideran-do meglio adattare la citazione al suo contesto, o per tutt'al-tra ragione, come ad esempio la presenza di un intermediarioinfedele, attribuiscà correttamente un°epigrafe inesatta, cioènon letterale: come se Sainte-Beuve avesse in realtà scritto:«Elle n'est pas jolie, elle n”a pas de noir». Essa può sempre es-sere autentica ed esatta, ma non correttamente situata in rap-porto al riferimento, quando il riferimento esista.I modi di presentazione dell'epigrafe sono molto variabili.

Sembra comunque che quello piú frequente consista nel nomi-nare l'autore senza precisare il riferimento, a meno che l'iden-tità dell'epigrafato non sia ovvia, come all'inizio di uno stu-dio critico o biografico, nel qual caso l'epigrafe non può cheessere attribuita all'autore oggetto; in questo caso la finezzaconsiste nell'omettere il nome e nel dare il riferimento (piú omeno preciso): cosí fa Jean-Pierre Richard all'inizio di Proustet le Monde sensible, riferendo semplicemente alla Prisonniêrequesta citazione liminare: «Une phrase [...] si profonde, si va-gue, si interne, presque si organique et viscérale, qu”on ne sa-vait pas, à chacune de ses reprises, si c'était celles d'un thèmeou d'une névralgie ›› (<<Una frase cosí profonda, cosí vaga, cosí

1 A. Compagnon, La seconde main cit., p. 30.

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interna, quasi organica e viscerale, da non lasciar capire seognuna delle sue manifestazioni fosse quella di un tema o unanevralgia ››) .

D'altra parte, l'epigrafe può essere stampata tra virgolet-te, in caratteri italici o romani, il nome dell'epigrafato può ap-parire tra parentesi, in maiuscolo, ecc., con tutte le combina-zioni possibili di queste variabili: non credo che, almeno inFrancia, il codice tipografico abbia fissato una norma a que-sto riguardo.

L'alternativa teorica all'epigrafe allografa è chiaramente l'e-pigrafe autografa, esplicitamente attribuita all'epigrafatorestesso, vale a dire, grosso modo, all'autore del libro. Non co-nosco alcun esempio perfetto di questo tipo di auto-attribu-zione, al quale mancherebbe, in modo pesante, qualsiasi mo-destia. L'esempio piú vicino a questo tipo è forse la pagina diFragments d'un «Déluge» che Giono dispone in epigrafe a Noè,0 la citazione imprecisa o approssimativa, del capitolo XXIIIdella Chartreuse che apre il Libro II '. Piú spesso, l'autoepi-grafe viene piú discretamente camuffata, come abbiamo vi-sto, o da epigrafe apocrifa o fittizia (come quella di The GreatGatsby, attribuita a Thomas Parke d'Invilliers, personaggio diromanzo precedente di Fitzgerald, This Side ofParadise), op-pure da epigrafe anonima. L'alternativa di fatto all”epigrafe al-lografa è dunque l'epigrafe anonima, vale a dire non attribuita,categoria artificiosa della quale fanno parte realtà empirichetanto diverse quanto l'epigrafe delle Maximes (che attribuia-mo a La Rochefoucauld), quella dell'Esprit des lois (di cui sap-piamo che è tratta tra Ovidio), quella che consisterebbe in unproverbio molto conosciuto del quale nessuno conosca l'auto-re, o Dio sa quale altra ancora.In questi casi, dunque, l'anonimato copre situazioni di fatto

molto diverse che la notorietà o la paziente erudizione potreb-bero eventualmente chiarire e determinare. Il normale lettore,quando non è aiutato da qualche nota editoriale, resta la mag-

' Non classificherò in questa categoria le due «epigrafi›› di John Barthper il Friday Book, che sono di fatto due dichiarazioni di Barth su (contro) lapratica dell'epigrafe, date come estratti delle proprie epigrafi del Friday Book,vale a dire, ovviamente, di se stesse; non solo, dunque, autoepigrafi, ma epi-grafi rigorosamente autoreferenziali e circolari, secondo lo stile, cosi sempli-ce, di questo autore.

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gior parte delle volte in una situazione d”incertezza voluta dal-l'epigrafatore, e abbandonato alle sue congetture o alla suanoncuranza. Eccomi per esempio davanti all'epigrafe di Dra-me, << Il sangue che bagna il cuore è pensiero ›>, che le sue vir-golette (originarie) segnalano verosimilmente come citazioneallografa, incapace per il momento di identificarne l”autore.Questa epigrafe, precisa Sollers in una intervista rilasciata a«Le Monde» del 12 agosto 1984, «è una formula di Eraclito».Per maggiore sicurezza resterebbe da verificare questa fonte,ma in via del tutto ipotetica l'attribuzione figura ormai nel pa-ratesto. Attendiamo, nello stesso modo o in un altro, l'attri-buzione delle epigrafi di Nombres (<< Seminaque innumero nu-mero summaque profunda››) e di Logiques. <<E da ogni partee ineluttabilmente che il mondo in movimento vuole esserecambiato ››.Un'ultima parola sull'epigrafe ufficialmente anonima, ma

manifestamente autografa, del tipo La Rochefoucauld, o Du-casse, all'inizio delle Poésies: «Je remplace la mélancolie par lecourage, le doute par la certitude. .. ›› (« Alla malinconia sosti-tuisco il coraggio, al dubbio la certezza ››). Il suo carattere au-tografo poco dissimulato (una firma inventata avrebbe già te-stimoniato uno sforzo di simulazione) gli conferisce, mi sem-bra, un valore di coinvolgimento personale, molto superiorea quello dell'epigrafe ordinaria, sulla quale tornerò. L'epigrafecosí (quasi) rivendicata rientra piuttosto nel discorso autorialee per questa ragione direi volentieri che la sua funzione è quel-la di una lapidaria prefazione.

Epigraƒatori.

Il secondo interrogativo a proposito dell'attribuzione è ditutt'altro ordine, ma l'abbiamo già incontrato: riguarda l'iden-tificazione, non dell'epigrafato, ma dell'epigrafatore. E que-sta, ancora una volta, una questione di diritto e non di fatto.Se un'epigrafe è stata trovata o scelta per l'autore da una terzapersona, nulla deve pertanto attribuirgliene la responsabilità:l'epigrafatore è l'autore del libro che ha accettato il suggeri-mento e che se ne assume pienamente la responsabilità, trannenel caso di un'esplicita riserva, di cui non conosco esempi, deltipo: «Il mio editore, o la mia cuginetta, mi propone questa

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epigrafe che non oso rifiutare, ma che mi sembra molto pocoadatta »; inoltre una tale affermazione rischierebbe sicuramen-te di passare per uno scherzo piuttosto ambiguo.

Non concludiamo però che l'epigrafatore (di diritto) siasempre l”autore, perché in questo caso come nel caso della de-dica conviene riservare almeno nel racconto omodiegetico lapossibilità di un'epigrafe proposta dall'eroe-narratore. Ma,contrariamente alla dedica, l'autore non ha in questo caso lapossibilità di eliminare ogni malinteso firmando la sua epigra-fe, voglio dire aggiungendo la sua firma d'epigrafatore a quelladel suo epigrafato. In mancanza di tale risorsa, nulla impedisceper esempio di supporre che l'epigrafatore del verso di Vignyall'inizio di Sodome et Gomorrhe (« La femme aura Gomorrheet l”homme aura Sodome›› («La donna avrà Gomorra e l'uo-mo avrà Sodoma ››) sia non Marcel Proust, ma l'eroe-narratoredella Recherche.

Si tratta, per quanto mi riguarda, di una pura ipotesi. Mavi sono altre situazioni, a seconda dei lettori, che possono sol-levare degli interrogativi piú pertinenti; ammetto, per esem-pio, che mi sembra piú interessante attribuire l”epigrafe delDr. Faustus (nove versi di Dante) al narratore Serenus Zeit-blom che all'autore Thomas Mann. Per quest'ultimo, il dop-pio merito di averla «in realtà» scelta e in qualche modo of-_ferta al suo narratore-testimone mi sembra già sufficiente. Ap-plicazione tra le altre di un principio narratologico piú gene-rale: attribuire (nella finzione, ovviamente) all'autore solo ciòche è materialmente impossibile attribuire al narratore, man-tenendo comunque ben chiaro che tutto in realtà dipende dal-l'autore, dato che egli è anche l'autore del narratore.

Non sono del resto il primo a sollevare tali questioni. Stadi fatto che Rousseau si domandava lui stesso, o piuttosto in-vitava il lettore di Julie - romanzo epistolare, e dunque poli-omodiegetico - a domandarsi chi fosse l'epigrafatore: «Chipuò sapere » si domanda nella sua prefazione in forma di dia-logo, «chi può sapere se ho trovato questa epigrafe in un ma-noscritto o se sono stato io a mettervela?›› Cosa che, dato il te-nore dei versi del Petrarca citati precedentemente, suggeriscechiaramente la possibilità di attribuirne la scelta a Saint-Preux.Stessa osservazione nel caso del Dr. Faustus.

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Epigrafatari.

La determinazione dell'epigrafatore implica piú 0 menoquella dell'epigrafatario, o destinatario dell'epigrafe. Piú o me-no, vale a dire che, poiché il destinatore è l'autore del libro,va da sé che il destinatario sia per lui il lettore virtuale, e inpratica ogni lettore reale; si potrebbero immaginare dei casi,ma non ne conosco alcuno, in cui l'epigrafe sia in qualche mo-do cosí strettamente legata alla dedica da trovarsi manifesta-mente, ed esclusivamente, destinata al dedicatario. Se un'e-pigrafe fosse chiaramente attribuita al narratore, il suo desti-natario sarebbe non meno chiaramente il narratario, vale a di-re, il lettore, poiché l'atto tipicamente letterario di assumerela scelta e la proposizione di un'epigrafe (come una dedica, epiú generalmente qualsiasi elemento del paratesto) definirebbeautomaticamente il narratore in quanto autore (il che non si-gnifica autore reale, ma piuttosto, come nel caso di Clara Ga-zul, autore fittizio), un autore inevitabilmente in cerca e in at-tesa di un lettore: attribuire a Zeitblom l'epigrafe del Dr. Fau-stus lo metterebbe in risalto in quanto autore fittizio di un ma-noscritto destinato alla pubblicazione, del quale ThomasMann farebbe finta di essere, come Sainte-Beuve per JosephDelorme, solo l'editore. In questo caso di narrazione di primogrado (extradiegetica), il lettore virtuale sarebbe lui stesso ex-tradiegetico, e, dunque, di nuovo identificabile con il lettorereale. Tra i casi di narrazione intradiegetica (di secondo gra-do), bisogna subito escludere le narrazioni orali che non si pre-stano minimamente all'epigrafe. Ma infine, supponiamo cheDes Grieux cominci il suo racconto con un enunciato del ti-po: <<In epigrafe della mia storia, vi propongo... ››, il destina-tario sarebbe evidentemente il suo narratario M. de Renon-cour. Restano le narrazioni intradiegetiche scritte, e piú pre-cisamente scritte in forma e in qualità di opere letterarie, comeFindimenticabile « Impertinente curioso ›› contenuto nel DonQui/`ote, o L 'ambitieux par amour contenuto in Albert Savarus.Un'epigrafe all'inizio di queste opere nelle opere avrebbe comedestinatario, di nuovo, un lettore virtuale, ma intradiegeticocome l'autore di quest'opera, uno spagnolo del secolo d'oro oun abbonato di Besançon, col quale il lettore reale del Quijoteo di Savarus potrà identificarsi solo attraversando lo schermo-

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intermediario del racconto primo, nel quale si trova rappresen-tata una situazione letteraria (fittizia) completa, con il suo au-tore, il suo testo e il suo pubblico fittizi: in altre parole, leg-gendo questa epigrafe, cosí come il racconto al quale essa sitrova apposta, scavalcando i lettori intradiegetici. In breve, ildestinatario dell'epigrafe è sempre quello dell'opera, che nonè sempre il suo ricevente di fatto.

Funzioni.

Di funzioni, probabilmente perché non ne ho cercate dipiú, ne vedo quattro, delle quali nessuna esplicita, poiché epi-grafare è sempre un gesto silenzioso la cui interpretazione ri-mane una responsabilità del lettore. Le prime due sono piú omeno dirette, le altre due piú oblique.

La piú diretta non è certamente la piú antica: tutti gli esem-pi che ho trovato risalgono al nostro secolo. E una funzione dicommento, talvolta decisivo, di chiarimento dunque, e di li' digiustificazione non del testo, ma del titolo. Cosi, Sodome etGomorrhe trova un'eco e, per i piú sprovveduti, un chiarimen-to nei versi di Vigny già citati. Chiarimento: non solo grazieall'utile ripartizione dei ruoli, ma anche e soprattutto attraver-so l'indicazione liminare che mostra come questo volume nonsarà un romanzo storico o un racconto di viaggio nel Mar Mor-to, ma bensi un°evocazione dell'omosessualità contemporanea- in altre parole, che il suo titolo deve essere compreso insenso figurato. Questa funzione è stata molto illustrata neglianni '60, epoca in cui gli articoli del Littré (al limite quelli delRobert, raramente del Larousse, non abbastanza chic) sono sta-ti notevolmente sollecitati per rafforzare alcuni titoli con unsignificato piú preciso, 0 piú profondo, 0 piú ambiguo: sive-da Le parc, Analogues, Fugue, e molti altri che non ricordo.

Un effetto piú raro è quello opposto, nel quale il titolo mo-difica il senso dell'epigrafe. Se ne trova un esempio partico-larmente gustoso, per cosí dire, nell'Intermédiaire, nel qualeuna novella ha come epigrafe il celebre precetto di santa Te-resa d'Avila, «Fate ciò che è in voi››: la novella s'intitola In-troduction aux lieux d'aisance («Introduzione ai gabinetti ››).Gide aveva previsto un effetto di questo tipo per un capito-lo dei Faux-Monnayeurs, che doveva avere come epigrafe una

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frase attribuita a Paul Bourget: << La famiglia [...] questa cel-lula sociale», che avrebbe piuttosto brutalmente interpretatoil titolo di questo capitolo: Le régime cellulaire.

Questa pratica dell'epigrafe come giustificazione del titolosi impone quando il titolo è lui stesso costituito da un presti-to, un'allusione o una deformazione parodica (com'era chia-ramente il caso di Sodome et Gomorrhe). Allo stesso modo, Levoleur d 'étincelles di Brasillach porta in esergo il verso di Tris-tan Corbière dal quale deriva il proprio titolo; For V(/'bom theBell Tolls, la sua citazione di Donne; Le dimanche de la vie, diHegel; Les merveilleux Nuages, di Baudelaire; Bonjour tris-tesse, di Eluard, ecc. Alcuni ne fanno a meno, come The Soundand the Fury Tender is the Night o The Power and the Glory, equeste astensioni hanno l'effetto, quasi, di un'elegante ellis-si. Il piú bell'esempio è forse quello di Appointment in Samarradi John O' Hara, che esplicita il suo titolo attraverso la cita-zione di una pagina superba di Somerset Maugham.

La seconda funzione possibile dell'epigrafe è indubbiamen-te quella piú canonica: consiste nel commentare il testo, delquale precisa o sottolinea indirettamente il significato. Que-sto commento può essere chiarissimo, come nel caso dell'auto-epigrafe delle Maximes, o la citazione di Pindaro che apre Lecimetiêre marin (« La mia anima non aspira alla vita eterna maesaurisce il campo del possibile ››), come nell”epigrafe dellaNausée tratta da Céline (<< E un ragazzo senza importanza col-lettiva, è semplicemente un individuo ››), o quella di Bavard, at-tribuita a Rivarol (« Ha una voglia pazza di parlare, soffoca,muore, se non parla ››). Il piú delle volte questo commento èenigmatico e il suo significato si chiarirà, o confermerà solo do-po una lettura del testo; è il caso delle due epigrafi di Soulierde satin: «Deus escreve direito por linhas tortas ››, ed «Etiampeccata››. Questa attribuzione di pertinenza è compito del let-tore, la cui abilità ermeneutica è spesso messa alla prova, e ciòfin dall'origine dell'epigrafe romanzesca, in Scott, Nodier,Hugo o Stendhal, che sembrano aver coltivato lo charme delleepigrafi definitivamente enigmatiche, o come diceva Hugo,«Strane e misteriose». «La funzione dell'epigrafe, - scriveMichel Charles `, - è in larga misura quella di far pensare,

1 M. Charles, L'arbre et la source, Seuil, Paris 1985, p. 185.

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senza sapere a cosa ››. Stendhal notava in modo meno brusco,in margine ad Armance, ma in vista del Rouge: «L'epigrafe de-ve aumentare la sensazione, l'emozione del lettore, se emozio-ne può esservi, e non presentare un giudizio piú 0 meno filo-sofico sulla situazione» '. Questa funzione evasiva, piú affet-tiva che intellettuale e a volte piú decorativa che affettiva, puòessere decisamente assegnata alla maggior parte delle epigra-fi del tipo, diciamo per non dilungarci troppo, romantico. Einoltre, mi pare, la funzione di quella di Drame, già citata. Lapertinenza semantica dell'epigrafe è spesso in qualche modoaleatoria, e si potrebbe sospettare, senza la minima malvagi-tà, che certi autori ne dispongano a casaccio, persuasi, giusta-mente, che ogni accostamento abbia senso, e che anche lamancanza di senso comporti un effetto di senso, spesso il piústimolante o il piú gratificante: pensare senza sapere a cosa,non è forse questo uno dei piú puri piaceri dello spirito?

Della terza funzione ho detto che era la piú obliqua. Inten-do dire che il messaggio essenziale non è quello che viene datocome tale. Se dico: «Ieri sera a cena, Tal dei Tali mi è sembra-to in piena forma ›› e se Tal dei Tali è un personaggio illustre,ed è prestigioso frequentarlo, è ovvio che l°informazione prin-cipale non riguarda la sua apparente buona salute, ma proprioil fatto di aver cenato con lui. Ugualmente, nell'epigrafe, l'es-senziale molto spesso non è ciò che dice, ma l”identità del suoautore, e l'effetto di cauzione indiretta che la sua presenza de-termina al limitare di un testo - cauzione meno costosa in ge-nere di quella di una prefazione, e anche di una dedica, poi-ché può essere ottenuta senza sollecitarne l'autorizzazione 1.

' Stendhal, CEuvres intimes, II, Gallimard, Paris 1982, p. 129. A proposi-to della pratica stendhaliana dell'epigrafe, si veda M. Abrioux, Intertitres etépigraphes chez Stendhal, in «Poétique», LXIX (1987).

1 Esiste però almeno un caso famoso di protesta, che ebbe come conse-guenza l'eliminazione dell'epigrafe. Les caves du Vatican avevano cominciatoad essere pubblicate nella «Nouvelle Revue Française ›> con un'epigrafe trat-ta, con l'autorizzazione di Claudel, da L'annonce faite ai Marie («Ma di qualeRe parlate e di quale Papa? Dato che ve ne sono due e quale sia quello giustonon si sa››). Durante la pubblicazione, Claudel manifestò un fastidio crescen-te nel vedersi associato a una tale opera e, quando una pagina, confermata dauna confidenza epistolare, gli rivelò Fomosessualità di Gide, egli impose l`eli-minazione dell'epigrafe dal volume.

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Inoltre ciò che importa in un gran numero di epigrafi è sem-plicemente il nome dell°autore citato. Quando John Fowles di-spone in epigrafe a The French Lieutenant's Woman questa fra-se insignificante in modo esemplare: «Ogni emancipazione èun ricondurre il mondo umano e i rapporti umani all'uomostesso », comprendiamo che una simile citazione vale per il solonome dell'autore: Karl Marx, che in questo caso funziona unpo' come una dedica in memoriam. Il libro di Blanchot, L'ami-tié, non è dedicato a George Bataille, ma inizia con una suafrase, la cui funzione è analoga. Si potrebbero dunque fare del-le interessanti statistiche individuali o storiche, non sul con-tenuto delle epigrafi, ma sull'identità dei loro autori '. L'epo-ca romantica ha derivato molte delle sue epigrafi da Scott,Byron e soprattutto da Shakespeare, e Nodier ha disposto unafrase di questo autore (probabile primatista universale degliepigrafati) all'inizio di ciascuna parte di Smarra. Piú vicino anoi, Hemingway prende dalla prefazione di ]oseph Andrewsl'epigrafe di ciascuna delle quattro parti di The Torrents ofSpring. Gesti simili sono ovviamente deliberati, e mi ricordoun'epoca nella quale un giovane scrittore si sarebbe creduto di-sonorato senza un'epigrafe di Mallarmé (preferibilmente Crisede vers), Lautréamont (preferibilmente le Poésies), di Hölder-lin, Joyce, Blanchot, Bataille, Artaud, Lacan (qualsiasi cosa),fino ad ammassarne cinque o sei, per maggiore sicurezza, al-l'inizio dello stesso capitolo. Questa moda oggi è passata, ciòche ieri era molto chic è diventato oggi molto volgare, la ruo-ta gira e il cafone di oggi ci intenerirà sicuramente domani, odopodomani. Non gettate le vostre vecchie epigrafi: potran-no servire ai vostri bambini, se saranno ancora in grado dileggere.

Il piú potente effetto obliquo dell'epigrafe deriva forse dal-la sua semplice presenza, qualunque essa sia: è l'effetto epigra-fe. La presenza o l°assenza dell”epigrafe determina in se stessa,a parte qualche frazione di errore, l'epoca, il genere o la ten-denza di un testo. Ho già evocato la relativa discrezione, a

1 A titolo piú tecmco, notiamo, all'inizio di Les gommes, un'epigrafe il cuitono («Il tempo che bada a tutto ha trovato la soluzione tuo malgrado ››) hameno importanza dell'autore: Sofocle. L`epigrafe può quindi, proprio comeun titolo, implicare il contratto generico (in questo caso, di ipertestualità).

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questo riguardo, dell'epoca classica e di quella realista. Al con-trario, l”epoca romantica, soprattutto nella finzione narrati-va, è caratterizzata da un grande consumo (non dico « produ-zione ››) di epigrafi, che eguaglia solo il breve periodo, dal qualestiamo ancora uscendo, dell'avanguardia con pretese intellet-tuali, e viceversa. Si è giustamente notato, nell'orgia epigra-fica dell'inizio dell'Ottocento, un desiderio di integrare il ro-manzo, e in particolare il romanzo storico o « filosofico ››, a unatradizione culturale. Nello stesso modo, i giovani scrittori deglianni '60 e '70 si consacravano attraverso una (altra) prestigiosafiliazione. L'epigrafe è in sé un segnale (che vuole essere indi-ce) di cultura, una parola d'ordine di intellettualità. In attesadi ipotetici resoconti nelle gazzette, premi letterari e altre con-sacrazioni ufficiali, essa è già un po' la consacrazione delloscrittore, che per mezzo di essa sceglie i suoi pari, e dunque ilsuo posto nel Pantheon.

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L'istanza prefativa

Definizione.

Chiamerò qui prefazione, con una generalizzazione del ter-mine piú frequentemente usato in francese, qualsiasi specie ditesto liminare (preliminare o postliminare), autoriale o allogra-fo, che consiste in un discorso prodotto a proposito del testoche lo segue o precede. La «postfazione›› verrà dunque con-siderata come una varietà della prefazione, i cui tratti speci-fici, incontestabili, mi sembrano meno importanti di quelli checondivide con il tipo piú generale.Ho detto «piú frequentemente usato ››: la lista dei suoi pa-

rasinonimi francesi è infatti molto lunga, secondo le mode ele varie innovazioni, come può suggerire questo campione di-sordinato e per nulla esauriente: introduction, avant-propos,prologue, note, notice, avis, presentation, examen, préambule,avertissement, prélude, discours préliminaire, exorde, avant-dire,proême - e, per la postfazione: après-propos, après-dire, post-scriptum, ed altri'. Molte sfumature distinguono, natural-mente, questi termini, soprattutto in situazioni di compresen-za, come nelle opere di tipo didattico, nelle quali la prefazioneche precede un”introduzione piú strettamente legata all'ar-gomento del testo assume una funzione allo stesso tempopiú protocollare e piú circostanziale. Lo mostra molto beneJacques Derrida a proposito del paratesto hegeliano: << Bisognadistinguere la prefazione dall”introduzione. Non hanno la stessafunzione agli occhi di Hegel, anche se pongono un problemaanalogo nel loro rapporto con il corpus dell'esposizione. L'in-

' In italiano, la serie piú o meno corrispondente potrebbe essere: introdu-zione, premessa, prologo, nota, avviso, presentazione, esame, preambolo, av-vertenza, preludio, discorso preliminare, esordio, proemio, postfazione, po-stilla, post-scriptum [N. d. T.].

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troduzione (Einleitung) ha un legame piú sistematico, menostorico, meno circostanziale con la logica del libro. Essa è uni-ca, tratta di problemi architettonici, generali ed essenziali, pre-senta il concetto generale nella sua diversità e autodifferenzia-zione. Le prefazioni, al contrario, si moltiplicano di edizionein edizione e tengono conto di una storicità piú empirica; ri-spondono ad una necessità di circostanza... ›> '. Ma i testi di-dattici non sono gli unici a comportare molti discorsi limina-ri: prefazione e postfazione, o due prefazioni con diversi sta-tuti di enunciazione: l'una allografa, l'altra a11toriale come inLes Plaisirs et les ]ours, o l'una autoriale e l'altra attribuita a unpersonaggio narratore, come in Gil Blas. Su questo ovviamen-te tornerò.Aldi fuori di questi casi di compresenza, le sfumature so-

no piuttosto di ordine connotativo: esordio, avant-dire o proe-mio sono piú ricercati, pedanti o preziosi, introduzione, notao notice piú modesti - di una modestia sincera o falsa a se-conda dei casi. Ma un testo liminare non è obbligatoriamen-te qualificato: ciò che chiamiamo per comodità la «prefazio-ne» dei Caractêres, oltre alla ripresa del titolo, non comportaulteriori caratteristiche e molte prefazioni moderne si segna-lano unicamente attraverso l'uso delle cifre romane per la nu-merazione delle pagine (procedimento apparso per la primavolta nella metà del XVIII secolo, ed ancora in uso per il para-testo critico di certe edizioni erudite e/o - oggi piú frequen-temente - il ricorso al corsivo: si veda L'espace littéraire o Ledegré zéro de l'écriture 2. La prefazione può anche avere un ti-tolo, non generico, come tutte le designazioni menzionate finqui, ma tematico: il testo (pre)liminare di Faux Pas si intito-la De l 'angoisse au langage, quello (postliminare) di La part dufeu, La littérature et le droit a la mort; la loro funzione parate-stuale è indicata, o meglio suggerita, solo dai caratteri corsi-vi, senza i quali apparirebbero come semplici capitoli. Per farlafinita con queste questioni di definizione e di terminologia, ri-

' J. Derrida, La dissémination, Seuil, Paris 1972, p. 23. Cfr. J.-M. Schaef-fer, Note sur la préface philosophique, in <<Poétique», LXIX (1987).

2 Nel suo originale del 1953 e nella sua riedizione nella collana Points del1972, dove tuttavia il titolo corrente è «Introduzione ››. Nell'edizione Média-tions del 1965, questo testo liminare si intitolava effettivamente Introduzio-ne. In questo caso, come in altri, lo statuto può variare da un”edizione al-l'altra.

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cordo che molte dediche estese, come quella di Les Plaisirs etles Iours, appena citate, possono svolgere il ruolo di prefazioni- e ne citeremo qualcuna a questo proposito; ricordo infineche la promozione recente del priêre d'insérer spesso gli permet-te di prenderne il posto.

Preistoria .

Contrariamente al titolo e al nome dell°autore, oggi prati-camente indispensabili, la prefazione non è mai obbligatoria,e le considerazioni seguenti non devono occultare gli innume-revoli casi di assenza, in mancanza di una statistica che forseci fornirebbe utili chiarimenti circa la ripartizione di questapratica secondo le epoche, i generi, gli autori e le tradizioni na-zionali. Non mi è dunque possibile, né rientra nei miei intenti,tracciare qui una storia della prefazione. Del resto, e non perfare di necessità virtú, non mi sembra, alla luce delle mie let-ture, che una tale storia sia molto significativa: dopo una (lun-ghissima) fase preistorica sulla quale dirò una parola, la mag-gior parte dei temi e dei procedimenti della prefazione si so-no stabiliti fin dalla metà del Cinquecento, e le ulteriori varia-zioni non dipendono da una vera e propria evoluzione, mapiuttosto da una serie di scelte diverse in un repertorio mol-to piú stabile di quanto non si potrebbe credere a priori, e nonlo credano, in particolare, gli autori stessi, che spesso ricorronosenza saperlo a ricette già sperimentate.

Per «preistoria» intendo tutto il periodo che va, diciamo,da Omero a Rabelais, e nel corso del quale, per ragioni mate-riali evidenti, la funzione prefativa viene assunta dalle primerighe o dalle prime pagine del testo. Come tutti gli altri ele-menti del paratesto, la prefazione separata dal testo per mezzodi tutte le tecniche di presentazione che conosciamo oggi, e trale quali ne ho menzionato alcune, è una pratica legata all'esi-stenza del libro, vale a dire, del testo stampato. L'era dei ma-noscritti è caratterizzata, sempre in questo senso, da un'eco-nomia di mezzi facilmente comprensibile. Ma, a differenza dialtri elementi come il titolo o il nome d”autore, non si può direche questa povertà di presentazione (illustrazioni a parte) ab-bia completamente soffocato la pratica prefativa: diremo piúpropriamente che essa la nasconde privandola dei mezzi che

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le permettono di segnalarsi attraverso una messa in esergo. Bi-sogna dunque cercare all'inizio (ed eventualmente alla fine) deltesto quelle dichiarazioni per mezzo delle quali l'autore pre-senta, e a volte commenta la sua opera.I primi versi dell”Iliade o dell'Odissea illustrano questa pra-

tica della prefazione integrata: invocazione alla musa, annun-cio del soggetto (l'ira di Achille, i vagabondaggi di Ulisse) e de-terminazione del punto di partenza narrativo: lite tra Achil-le e Agamennone nell'Iliade, e, nell°Odissea, questa formulaforse indicativa di una struttura, come sappiamo, piú comples-sa: «Racconta queste avventure cominciando dove vorrai(åp.ó0ev) ››. Questa tendenza diventerà naturalmente la regoladell'incipit epico, e conosciamo i primi versi dell'Eneide, di unasobrietà monumentale: «Arma virumque cano, I Trojae quiprimus ab oris ››, che era forse, come ho precedentemente ri-cordato, originariamente preceduta da una specie di lista, an-ch'essa integrata al testo, delle opere anteriori «dello stesso au-tore». Nel XVI secolo inoltre, le prime strofe dell'Orlando Fu-rioso e della Gerusalemme liberata comportano queste presen-tazioni del soggetto, accompagnate, come abbiamo visto, dauna giustificazione della dedica.

La trasmissione orale dei rapsodi comportava anch'essa cer-tamente una sorta di preambolo, e forse altri elementi di pre-sentazione che non ci sono pervenuti. L”eloquenza classicaaveva il suo, chiamato ritualmente esordio, che, tra gli altri ste-reotipi, ne conteneva alcuni tipicamente prefativi: difficoltàdell'argomento, annuncio delle intenzioni e sviluppo del di-scorso. Sullo scambio di Isocrate, apologia fittizia, fa perfinoprecedere l'esordio da una vera e propria avvertenza al lettore-recitante circa la natura del testo, che non era certamente luistesso destinato alla lettura pubblica: differenza di registro cheanticipa le nostre soglie della presentazione scritta.

Le prime pagine della Storia di Erodoto, tradizionalmentechiamate «proemio››, costituiscono perfettamente una prefa-zione con l'esposizione dell'intenzione e del metodo, che ini-zia, contrariamente alla pratica epica, con il nome dell'auto-re e una specie di enunciato del titolo: «Erodoto di Turi quiespone le sue ricerche, per impedire che col tempo ciò che gliuomini hanno fatto si cancelli dalla memoria e affinché le gran-di e meravigliose azioni, compiute sia dai Barbari che dai Gre-ci, non cessino di essere ricordate ››. Tucidide fa lo stesso al-

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l'inizio della celebre «introduzione» costituita dai ventidueprimi capitoli della sua Storia della guerra del Peloponneso: << Tu-cidide d°Atene ha raccontato come si svolse la guerra tra i Pe-loponnesiaci e gli Ateniesi... ›› Segue una giustificazione del-l'opera data l'importanza del suo argomento, e una esposizionedel metodo; Tito Livio estenderà questa pratica, qui battez-zata dalla tradizione praefatio (è ovviamente l'origine del no-stro termine), all'inizio di molti dei libri della sua Ab Urbe con-dita, altrettanti testi nei quali egli commenta la sua opera inprima persona, atteggiamento già caratteristico della prefazio-ne moderna. .Vi è forse un'imitazione di questi incipit storici, fin nell'e-

nunciazione della propria identità, da parte del primo roman-ziere conosciuto, Caritone, che inizia cosí le sue Avventure diCherea e di Calliroe: <<Io, Caritone d'Afrodisiade, segretariodel retore Atenagora, vi racconterò una storia d'amore capi-tata a Siracusa». Gli altri romanzi antichi sembrano in generepiú avari di preambolo: Le Etiopiche, Le avventure di Leucip-pe e Clitofonte, La vita di Apollonio di Tiana cominciano il lororacconto ex abrupto. Ma il primo paragrafo della Storia vera diLuciano costituiva una specie di prefazione polemica, che ac-cusava di falsità tutti i racconti di viaggio precedenti, a comin-ciare da quello di Ulisse dai Feaci, e rivendicava il merito am-biguo di una fabulazione dichiarata. Il primo paragrafo delleMetamorfosi di Apuleio contiene una specie di definizione ge-nerica (« prosa milesia») e termina con una demarcazione mol-to esplicita, e piuttosto ingenua, tra prefazione e racconto:«Comincio ››. La prima pagina degli Amori pastorali di Dafni eCloe giustifica il seguito con il desiderio di rivaleggiare con uncerto quadro rappresentante una scena d'amore.

Lo statuto eventuale della prefazione nel teatro è costitu-tivamente molto diversa, perché oggi consideriamo tale un te-sto non destinato alla rappresentazione', e che si trova uni-camente all'inizio di un'edizione, il piú delle volte (almeno inepoca classica) posteriore alla creazione sulla scena. Il teatroantico e medievale non ha dunque niente di simile. Il termi-ne prologo, che nel teatro antico designa tutto ciò che, nel

' In un modo eccezionale e un po' ludico, la messa in scena di FrancisHuster per Le Cid (novembre 1985) fa salire sulla scena un Corneille in costu-mi moderni a leggere la sua prefazione.

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dramma stesso, precede l'entrata del coro, non deve indurrein errore: la sua funzione, piú che essere di presentazione e an-cor meno di commento, è d'esposizione, nel senso teatrale del-la parola, il piú delle volte (in Eschilo e Sofocle) in forma discena dialogata, qualche volta (in Euripide) di monologo delpersonaggio. Sembrerebbe che solo la commedia possa inve-stire questo monologo di una funzione di avvertenza al pub-blico, commento imbonitore eventualmente polemico o sati-rico nei confronti dei colleghi, che si deve considerare comeun vero e proprio paratesto scenico, anticipatore per necessitàdi una delle forme piú astute della prefazione moderna: la pre-fazione attoriale, il cui presunto enunciatore si trova ad essereuno dei personaggi dell”azione. E il caso del monologo diSantia all'inizio (o quasi) delle Vespe, e di numerosi prologhipolemico-teorici di Plauto e Terenzio. Ciò che ci resta di quel-lo di Pseudolus dà il nome dell'autore; quello dell'Asinaria in-dica il titolo, le fonti e lo statuto generico; quello di Amphitruoè il piú celebre, perché Mercurio vi definisce questo dramma,grande innovazione, come « tragi-commedia››; quello del Phor-mio risponde alle critiche di un concorrente, e quello del-l'Heautontimorumenos reagisce all'accusa di «contaminazio-ne» (mischiare gli intrecci di due drammi precedenti per pro-durre un terzo piú complesso) invocando l'esempio di altri; inquesti due ultimi casi, il prologo termina con un appello allacalma e all'attenzione del pubblico, il che mostra bene il puntoin cui inizia l'opera propriamente detta.

Questa funzione parzialmente paratestuale del prologo so-pravviverà oltre l'antichità classica solo in maniera sporadicae spesso ludica. Shakespeare ne offre solo alcune tracce in Ro-meo and Juliet e in Henry IV; dei diversi tipi di preludio pre-senti nel teatro spagnolo (l'entremes, l'introito, il paso, la loa),solo il paso sembra aver avuto una funzione comparabile aquella dei prologhi plautini `. L'edizione delle opere teatralioffrirà ben presto agli autori un'occasione meno... spettaco-lare, ma forse piú efficace, di regolare i propri conti con la cri-tica ola cabala, ma saremo già in pieno regime moderno del-

' Sui prologhi spagnoli, cfr. A. Porqueras Mayo, El prólogo como géneroliterario. Su estudio en el Siglo de Oro, Consejo Superior de InvestigacionesCientéficas, Madrid 1957, e i suoi lavori ulteriori: El prólogo en el Renacimien-to español, ivi, Madrid 1965; El prálogo en el manierismo y el barroco españo-les, ivi, Madrid 1968, Ensayo bibliografico del prólogo en la literatura, ivi, Ma-drid 1971.

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la prefazione. Ciò che è sopravvissuto del regime classico sipuò osservare, a mia conoscenza (molto lacunosa), nel primoprologo del Faust di Goethe, «Prologo sul teatro ›>, una discus-sione completamente professionale tra il direttore, il poeta eil buffone a proposito di ciò che bisogna oggi portare in sce-na (il secondo prologo, «al cielo›>, tra Dio e il Diavolo chescommettono sul destino di Faust, appartiene già all'azione);e inoltre il monologo dell'Annunciatore del Soulier de satin, cheriferisce, come abbiamo già visto, il titolo completo dell'opera,e termina con questa gustosa parodia degli antichi richiami alpubblico: «Ascoltate bene, non tossite, e cercate di capirequalcosa. Il meglio è ciò che non capirete, ciò che è piú lungoè piú interessante, e ciò che non troverete divertente è il piúbuffo ››. Questo è forse vero solo a teatro. Ma torniamo allanostra preistoria o, per parlare come Tucidide, alla nostra ar-cheologia della prefazione.

L'epopea e il romanzo medievali sembrano praticare indif-ferentemente il prologo integrato e l'inizio ex abrupto, a vol-te piú brusco di quello dell'epopea antica, che comportava al-meno un'invocazione alla musa e un'indicazione relativa alcontenuto. Il Roland comincia bruscamente: «Il Re Carlo, ilnostro grande imperatore, è rimasto sette anni interi in Spa-gna... ›› Invece, La prise d 'Orange si apre con un prologo' diregime tipicamente orale: <<Ascoltate, signori, e che Iddio vibenedica, il glorioso, il figlio di Santa Maria, ascoltate la storiaesemplare che sto per raccontarvi. Non riguarda un'azione fol-le e insensata, non proviene da fonti menzognere o raccontataper il gusto della menzogna, ma tratta dei valorosi Cavalieriche conquistarono la Spagna... ›> La seconda lassa inizia il rac-conto con un modo narrativo molto contrastato: «Era maggio,all'arrivo della bella stagione... ›› Stesso eclettisrno in Chrétiende Troyes, che inizia ex abrupto il racconto di Erec et Enide edi Yvain, ma apre Cligês con il prologo già citato a propositodella sua lista delle opere dello stesso autore, e che contieneun'indicazione delle fonti caratteristica del modo in cui si cau-telavano i romanzieri medievali: «La storia che sto per raccon-

1 L'edizione Régnier (Klincksieck, Paris 1983) ne offre, a dire il vero,due a scelta, di cui il secondo è piú semplice, ma sempre di tipo orale: «Ecou-tez, seigneurs, nobles chevaliers honorés! ››

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tarvi, la troviamo scritta in uno dei libri della biblioteca delmonsignor san Pierre di Beauvais. Egli ne attesta la verità, edeve dunque essere creduta›>. Lancelot comincia con l'invoca-zione di una commissione da parte di <<madame de Champa-gne», che evidentemente equivale a una dedica, ma anche a unriconoscimento del debito per quanto riguarda l'argomento:«Chrétien comincia dunque a rimare il suo libro del Cavalierecon la carretta. La Contessa gliene ha fornito la materia e ilsenso... ›› Stesso effetto all'inizio di Perceval, commissionatoda Filippo di Fiandra: « Chrétien, su commissione del Conte,si impegna a rimare la migliore storia scritta in una corte reale.E il racconto del Graal, comtnissionatogli dal Conte. Vediamoora come adempie il suo compito» '. Davanti a questa sceltatra i due tipi di incipit, sappiamo come si comporta, un seco-lo e mezzo piú tardi, il piú illustre racconto (non oso dire ro-manzo) del medioevo: «Nel mezzo del cammin. .. ›› Non asso-cerò questo mezzo all'in medias res dell'epopea antica, perchési tratta pur sempre dell'inizio della storia, ma ecco almeno unracconto senza prologo, anche se questa assenza potrebbe di-pendere da una certa incompiutezza. Il Decameron comportainvece una specie di prefazione generale, in cui I' autore esponei motivi personali della sua impresa (il ricordo di un'avventuraamorosa) e la sua scelta del pubblico femminile: due temi de-stinati a una vasta posterità; l'introduzione alla prima Gior-nata conferma quest'orientamento verso le « amabili lettrici ››,conforme a una secolare ripartizione: agli uomini l'eroico, alledonne il romanzesco.Gli storici del medioevo sembrano anch'essi esitare tra il

prologo integrato e il brusco inizio, a meno che non si debba

' A proposito di questi prologhi dei romanzi medievali, cfr. P.-Y. Badel,Rhétorique et polémique dans les romans du moyen age, in «Littérature», Xx(1975). L'autore si rivolge soprattutto «ai modernisti insieme ai quali si vor-rebbe decidere se (questi prologhi) appartengano alla lunga durata e se, quan-do, in quali condizioni, ci sia stata in questo campo una rottura ››. Se è possi-bile da semplice generalista proporre una risposta, la mia - e si vedrà meglioin seguito perché - tende a condividere la prima ipotesi. Le uniche rotture, inquesto caso, tra l'archeo-prefazione medievale (e antica) e le prefazioni mo-derne dipendono dal cambiamento di regime (dall”orale e dal manoscritto allibro stampato), e dall'atteggiamento del poeta davanti al suo testo: il roman-ziere moderno non si ripara piú, come Chrétien e tanti altri (fino a Cervantes,forse per un effetto di imitazione satirica), dietro a un «racconto » preesisten-te che si limiterebbe a «rimare ››. Ma le funzioni del prologo antico e medieva-le sono già tipicamente quelle prefative.

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trovare in questo caso un'evoluzione significativa: Villehar-douin si astiene, Clari indica con una parola il suo argomen-to, Joinville comincia con una dedica a Luigi X e un annunciodel suo progetto, Froissart si nomina e giustifica la sua impresanello stesso modo di Erodoto: «Affinché le meravigliose e va-lorose imprese d`armi, che si sono verificate nella guerra traFrancia e Inghilterra... ››, Commynes dedica le sue Memoriesu Luigi XI a Monsignor l'arcivescovo di Vienna, che glie`leaveva commissionate.

Mi sembra giusto concludere questo rapido panorama conciò che, già in piena era del libro stampato, proclama nel modopiú eclatante e piú rappresentativo l'avvento della prefazionemoderna ': i prologhi di Rabelais. Quello di Pantagruel non èaltro che una sorta di contratto di continuazione in rapportoalle Grandes Chroniques, delle quali ci offre «un altro libro del-la medesima lega, salvo che è un poco piú discreto e degno difede di quanto era l'altro» Z. Quello di Gargantua è molto piúambizioso, anche se ambiguo: si tratta, come tutti sanno, diun invito semi-buffonesco a una lettura interpretativa di «unpiú profondo significato ››. Dopo questo colpo di scena, il se-guito sarà piú difficile da negoziare, poiché bisognerebbe rin-novare continuamente questo invito. Rabelais se la cava conun brio che sarà anch°esso molto imitato, se non uguagliato:all'inizio del Terzo Libro, si trova una specie di imbonimen-to piuttosto evasivo sul tema: durante l”assedio di Corinto, incui tutti si dimenavano, Diogene, per non stare fermo, rivol-tolava il suo barile in tutti i sensi; cosí faccio io, durante la pre-sente guerra, non potendo combattere (si tratta già dell”argo-mento circa l”utilità paradossale dell”opera inutile). Per ilQuarto Libro, un «prologo ai lettori benevoli›› spinge l'imper-tinenza molto piú lontano: una lunga amplificazione sulla vec-chia favola delle tre scuri, seguita da questa semplicissima tran-sizione: e adesso, tossite una volta, bevetene tre, e udite ciòche segue. In altre parole: Ci vuole una prefazione, ma non ho

1 Non pretendo affermare con ciò che questi «prologhi» siano cronologi-camente le prime prefazioni separate della storia del libro, delle quali ignotola data precisa di apparizione. Il loro valore inaugurale è chiaramente simbo-lico.

2 F. Rabelais, Gargantua et Pantagruel (153 2-64), a cura di M. Bonfantini,Einaudi, Torino 1973, p. 173.

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piú nessun messaggio prefativo da rivolgervi; ecco dunque unastoria senza alcun rapporto con il seguito. Senza rapporto? Im-magino che innumerevoli esegeti piú ingegnosi di me (non èpiú Rabelais che parla) ne abbiano trovati di altrettanto innu-merevoli e ingegnosi, ma preferisco molto di piú leggere inquesti prologhi il primo esemplare di un tipo funzionale cheritroveremo: quello della prefazione elusiva.

Forma.

Le prefazioni integrate dell'era pregutenberghiana, che inrealtà erano delle sezioni di testo con funzione prefativa, nonponevano, per questo stesso motivo, alcun problema riguar-do alla loro disposizione (si trovavano inevitabilmente tra leprime o, a volte, le ultime' righe del testo), la loro data diap-parizione (quella della prima «pubblicazione ›› del testo), il lorostatuto formale (quello del testo), la determinazione del lorodestinatore (è l'autore, reale o fittizio, del testo), e quella delloro destinatario (è chiaramente ancora quello del testo, conqualche riserva per quanto riguarda alcuni segmenti invocatorio dedicatori, nei quali un destinatario-intermediario - la mu-sa, il dedicatario - può momentaneamente interporsi fra au-tore e lettore). Ma nel momento in cui la prefazione si eman-cipa per accedere a uno statuto testuale relativamente autono-mo, queste questioni cominciano a porsi, e dobbiamo evocarlepiú o meno brevemente, prima di affrontare un punto essen-ziale, che sarà, ancora una volta, quello della funzione.

Lo statuto formale (e modale) piú frequente è naturalmentequello di un discorso in prosa, che può contrastare, per i suoitratti discorsivi 2, con il modo narrativo o drammatico del te-sto (prologo di Gargantua, prefazione di Britannicus) e, per lasua forma prosaica, con la forma poetica del testo: prefazio-ne di Feuilles d 'automne. Certe prefazioni possono però ecce-

' Come il celebre explicit del Roland: «Ci falt la geste que Turoldus decli-net ››, paratesto tanto caratteristico quanto enigmatico.

2 Circa gli aspetti propriamente linguistici di questa discorsività, cfr. H.Mitterand, La préface et ses lois: avant-propos romantiques (1975), in Le dis-cours du roman, Puf, Paris 1980. Questo studio, fondato sulle categorie diBenveniste, esamina tre prefazioni del XIX secolo: quelle di Bignan per L'é-chafaud, di Balzac per La Comédie humaine, e di Zola per Thérêse Raquin.

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zionalmente assumere la forma drammatica di un dialogo (En-tretiens sur le Fils naturel, prefazione alla Nouvelle Héloise), odi una piccola opera teatrale: si veda la «commedia a propo-sito di una tragedia ›› che si trova all”inizio della seconda edi-zione del Dernier jour d'un condamné. Altre possono, comple-tamente 0 solo in parte, prendere in prestito il modo narrativo,per esempio per raccontare, veridicamente o meno, alcune cir-costanze della redazione (prefazioni di Scott, di Chateau-briand, diJames, di Aragon) 0 della scoperta del testo, quandoviene attribuito a un autore fittizio (Gulliver's Travels, Adol-phe, Il nome della rosa), ed è per la verità molto raro che unaprefazione non comporti, qui e là, simili abbozzi narrativi. Seil testo è di tipo discorsivo, la prefazione può anche presentarei soli elementi narrativi del libro, come quella dell'Essai sur lesrévolutions o del Génie du Christianisme. Nulla infine impedi-sce d”investire di una funzione prefativa la poesia liminare diuna raccolta, com'è spesso il caso di Hugo: «Preludio» (dopola prefazione in prosa) dei Chants du crépuscule, «Funzione delpoeta» all'inizio di Les Rayons et les Ombres, « Nox ›› e «Lux ››all”inizio e alla fine di Châtiments, «Visione dalla quale è uscitpquesto libro) all”inizio della Légende des siêcles, tra l”altro. Einoltre lo statuto dell°«Al lettore ›› dei Fleurs du mal. La rac-colta in prosa di Huysmans, Le drageoir aux épices, è perfinodotata di un «sonetto liminare›› con funzione tipicamenteprefativa 1, che rovescia il contrasto abituale - e questo non èl'unico caso: troviamo una specie di prefazione in versi, all'i-nizio di Treasure Island di Stevenson.

Luogo.

La scelta tra le due disposizioni, pre- o postliminare, nonè evidentemente neutra, ma ne considereremo il significato aproposito delle funzioni. Per il momento osserviamo sempli-cemente che la disposizione finale è presentata da molti autoricome la piú discreta e la piú modesta. Balzac qualifica la no-ta finale dell'edizione 1 830 delle Scenes de la vie privée come«nota immodesta ma in un luogo umile». Walter Scott, inti-

' Una funzione rara nel caso delle poesie liminari, piuttosto dedicatorie,protocollari e ornamentali, dei romanzi dell”epoca classica.

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tolando l'ultimo capitolo di Waverley << Post scriptum cheavrebbe dovuto essere una prefazione ›>, gioca in modo piú am-biguo con questo effetto della disposizione: come un postiglio-ne che richiede la mancia, io domando qui, dice piú 0 menoScott, un ultimo istante di attenzione. Ma, aggiunge, la gen-te legge raramente le prefazioni, e spesso comincia un librodalla fine. Improvvisamente questo post scriptum svolgerà ilruolo, per questi lettori, di una prefazione. Del resto, molteopere presentano tutti e due i tipi, come Les lois de l'hospita-lite', e vi sono delle opere monumentali, e di tipo didattico, co-me Le génie du Christianisme, o L 'esprit des lois, che includo-no di frequente una prefazione (« Idea di questo libro ››, «Og-getto di questo libro››) all'inizio di ciascuna grande sezione.Ma è anche il caso di un'opera di finzione come Tom Jones, dicui ciascun «libro ›› inizia con un capitolo-saggio avente unafunzione diversamente prefativa: si tratta in un certo modo diprefazioni interne, giustificate dall'ampiezza e dalla divisio-ne del testo. Piú gratuitamente, e per gioco, Sterne inserisceuna prefazione tra i capitoli XX e XXI di Tristram Shandy, e daqualche parte, nel SentimentalJoumey, una «Prefazione (scrit-ta) nella désobligeante» (è un tipo di carrozza). Si può inoltre,piú indirettamente, attribuire uno statuto metatestuale a unacerta sezione del testo, come fa Blanchot che, per mezzo diuna nota liminare a L 'espace littéraire, designa il capitolo Le re-gard d 'Orphée come «centro ›> di quest'opera; 0 anche dandoall'insieme il titolo di una delle sue parti, iniziali 0 meno, chesi trova indirettamente messa in epigrafe; si veda, dello stes-so Blanchot, Le livre à venir.

Chi dice luogo dice possibilità, col tempo, e in particolareda un'edizione a un”altra, di un cambiamento di luogo, che avolte implica un cambiamento di statuto; una prefazione, au-toriale 0 allografa, può diventare in seguito un capitolo in unaraccolta di saggi: vedi quelle di Valéry in Variété, di Gide inIncidences, di Sartre in Situations 0 di Barthes in Essais cri-tiques; 0 anche in una raccolta di prefazioni, tutte autografecome quelle di James in The Art of the Novel (raccolta postu-ma del 193 4), 0 tutte allografe come quelle di Borges nel suoPrólogos del 1975. In tutti questi casi, la prefazione si trova adavere due ubicazioni, quella originale e quella della raccolta;ma l'originale può scomparire da un'edizi0ne ulteriore, comela ristampa del 1968 dei Damnés de la terre di Franz Fanon, che

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elimina la prefazione di Sartre (1961) per ragioni di disaccordoulteriore tra il prefatore e la vedova dell'autore. Nel frattem-po, questa ex prefazione aveva trovato un asilo anticipato inSituations V. Al contrario, un saggio originariamente autono-mo può venire in seguito adottato come prefazione: un arti-colo di Gilles Deleuze sul Vendredi di Michel Tournier, primaapparso in una rivista (1967), poi ripreso in Logique du sens(1969), diventa nel 1972 postfazione nell'edizione tascabile diquesto romanzo. La <<Défense de L'esprit des lois›› o quella delGénie du Christianisme, inizialmente pubblicate a parte, diven-tano alla prima occasione delle specie di postfazioni ulteriori.Stesso procedimento per Rousseau 0 Tolstoj, che, per diver-se ragioni, non potevano pubblicare all'inizio della prima edi-zione l°uno la «Prefazione a Julie 0 Conversazione sui roman-zi ››, e l'altro «Qualche parola a proposito di Guerra e Pace» *,che sono da allora diventate parte del peritesto ufficiale diqueste due opere. Alcune prefazioni, infine, sono abbastanzalunghe da costituire un volume autonomo, fin dall”inizio (ilSaint-Genet di Sartre, 1952, presentato come primo volumedelle opere complete di Genet), oppure ulteriormente: l”« In-troduzione›› dello stesso Sartre agli Ecrits intimes di Baude-laire 2, diventato un anno dopo un libro, esso stesso dotato diuna prefazione di Leiris. Mi saranno probabilmente sfuggitialtri tipi di trasformazioni.

Momento .

E un luogo comune osservare che le prefazioni, cosí comele postfazioni, sono generalmente scritte successivamente altesto che riguardano (forse esistono delle eccezioni a questa ra-gionevole abitudine, ma non ne conosco nessuna che sia for-malmente attestata); non è comunque un nostro oggetto, poi-ché la funzione prefativa si esercita sul lettore, e in questo sen-so il momento pertinente è quello della pubblicazione. Tra ladata dell'edizione originale e il lasso di tempo indefinito del-

' La prima era apparsa separatamente nel 1761 presso Rey, il'altra nel1868 nella rivista «Archives russes››.

1 Collection Incidences, Point du jour, Paris 1946. La presentazione informa di libro è uscita presso Gallimard nel 1947.

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L'ISTANZA PREFATIVA I 7 I

l'eternità che segue, il momento di apparizione di una prefa-zione può occupare un'infinità di momenti; mi sembra peròche questa indeterminazione si polarizzi, come indicavo nel-l'introduzione, su _alcune posizioni tipiche, e funzionalmentesignificative. Il caso piú frequente è senza dubbio quello dellaprefazione originale: è il caso della prefazione autoriale dellaPeau de chagrin, agosto 1831. Il secondo momento tipico èquello che chiamerò, in mancanza di meglio, la prefazione ul-teriore; la sua occasione canonica è la seconda edizione, chepuò seguire immediatamente l'originale, ma che offre spessoun”occasione pragmatica molto specifica (sulla quale tornerò):è il caso della prefazione alla seconda edizione (aprile 1868) diThérêse Raquin (originale, dicembre 1 867), o quella della primaedizione corrente (novembre 1902) dell'Immoraliste (originale,maggio 1902); 0 anche di una traduzione: prefazione dell'e-dizione francese (1948) di Under the Vulcano (1947), 0 dell'edi-zione americana (1984) della Plaisanterie (1967). Ma alcuneedizioni originali possono essere posteriori alla prima appari-zione pubblica di un testo: è il caso di opere teatrali recitateprima di essere stampate; di romanzi inizialmente prepubbli-cati in feuilleton (giornale 0 rivista); delle raccolte di saggi, dipoesie, di novelle, i cui elementi sono inizialmente pubblica-ti nei periodici. In tutti questi casi, l'edizione originale può es-sere, paradossalmente, l'occasi0ne di una prefazione tipica-mente ulteriore.Il terzo momento pertinente è quello della prefazione tar-

diva, scritta per la riedizione tardiva di un'opera isolata (le Let-tres persanes nel 1 754, Les nourritures terrestres nel 1927,Adrienne Mesurat nel 1973), oppure per l'originale tardiva diun'opera rimasta a lungo inedita (Les Natchez nel 1826), nelcaso del completamento tardivo di un'opera di lungo respiroe di pubblicazione scaglionata (l'Histoire de France di Micheletnel 1869), oppure, ed è forse il caso piú frequente, e senzadubbio il piú caratteristico, per una raccolta tardiva di operecomplete o scelte: si vedano gli «esami» dell'edizione 1660 delteatro di Corneille, le prefazioni di Chateaubriand per l'edi-zione Ladvocat (dal 1826 al 1832) delle sue opere «complete ››,di Scott (dal 1829 al 183 2) per i suoi romanzi, di Nodier perl'edizione Renduel (1832-1837), di Balzac per La Comédie hu-maine nel 1842, di James per l'edizione di New York (1906-1916), di Aragon per le sue opere romanzesche (1964-74) e per

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l'inizio della sua opera poetica (1974-81). Contrariamente alleprefazioni ulteriori, che derivano da un après coup il piú imme-diato possibile, le prefazioni tardive sono generalmente il luo-go di una riflessione piú «matura ››, che ha spesso qualche ac-cento testamentario, 0, come diceva Musil, prepostumo: ultimo«esame» della propria opera da parte di un autore che nonavrà forse piú l'occasi0ne di tornarci sopra. Il prepostumo èevidentemente un'anticipazione del postumo, un atteggiamen-to di fronte alla posterità. Scott dice in' modo piuttosto buf-fo che la raccolta delle sue opere romanzesche avrebbe dovutoessere postuma, ma che alcune circostanze (giuridiche e finan-ziarie) non l'hanno permesso. Sappiamo che questo fu ancheil desiderio di Chateaubriand per iMémoires d 'outre-tombe, dicui un livello della prefazione viene giustamente definito «te-stamentario››. Alcune prefaziom tardive illustrano dunque unavarietà che è quella della prefazione postuma; postuma perquanto riguarda la pubblicazione, ovviamente, ed è questo, delresto, per il paratesto cosí come per il testo stesso, il senso cor-rente di tale aggettivo, senza ricorrere alle sedute spiritiche.Ma contrariamente al testo, una prefazione può essere di pro-duzione postuma, se allografa: ritroveremo in seguito questocaso. Per il momento stabiliamo solo che la prefazione allogra-fa può essere anch'essa originale (France per Les Plaisirs et lesJours), ulteriore (Maltaux per Sanctuaire), tardiva antuma (Lar-baud per Les lauriers sont coupés), e che vi si aggiunge lapossibilità di una produzione postuma, vicina (Flaubert per leDerniêres Chansons di Louis Bouilhet) 0 lontana (Valéry perle Lettres Persanes), o meglio ancora - voglio dire piú lontana- (Pierre Vidal-Naquet per l'Iliade).

Questi scaglionamenti riguardo ai momenti di apparizionedella prefazione possono implicare dei fatti di durata, poichéuna prefazione prodotta per tale edizione può scomparire, de-finitivamente 0 meno, in una ulteriore, se l'autore ritiene cheessa abbia svolto il suo compito: semplice scomparsa o sosti-tuzione. Il record di brevità è raggiunto, come ho già detto, daquella della Peau de chagrin `, apparsa nell'originale nell'ago-

* Si veda a questo proposito N. Mozet, La préface de l 'édition originale (de«La peau de chagrin››). Une poétique de la transgression, in C. Duchet (a curadi), Balzac et la Peau de Chagrin, Cdu-Sedes, Paris 1979.

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sto 183 1, ed eliminata un mese piú tardi perla ripresa di que-st'opera nella raccolta dei Romans et Contes philosophiques.Tutte le prefazioni originali di Balzac sono del resto, per unaragione che ritroveremo, destinate a scomparire, ed esse scom-pariranno effettivamente nell'edizione della Comédie humaine,in favore del celebre Avant-propos del 1 842; caso tipico di so-stituzione, ma che non era minimamente senza precedenti: leavvertenze originali di Corneille cedono il posto nel ,1660 auna serie di «esami» tardivi, e Racine procede nel 1676, perla prima edizione collettiva delle sue opere, ad una sostituzioneanaloga per Alexandre, Andromaque, Britannicus e Baƒazet: cisi può in tutti questi casi divertire, in un giorno di uggia e dipioggia,_ a misurarne le rispettive durate. Alcuni autori prefe-riscono aggiungere una nuova prefazione senza eliminare l'au-tica: è ciò che fanno, per diverse ragioni, Scott, Chateau-briand, Nodier, Hugo (per le Odes et Ballades), Sand (per In-diana). Questi casi di coesistenza implicano a loro volta dellescelte di ubicazioni relative, e dunque di disposizione; di edi-zione in edizione, Hugo dispone le sue prefazioni una dopol'altra, in ordine cronologico (1822, 1823, 1824, 1826, 1828,1853), per permettere al lettore, come egli dice nel 1828, di« osservare, nelle idee che vi vengono esposte, una libera pro-gressione che non è senza significato, né senza insegnamento ››;questo significato, allora piuttosto d'ordine estetico (passag-gio dal classicismo al romanticismo), subirà esso stesso nel1853 una revisione in senso politico: evoluzione dalla monar-chia alla democrazia. Altri, come Scott 0 Nodier, mettono al-l'inizi0 la prefazione piú recente, poiché esprime lo stato at-tuale del loro pensiero sull'opera, e quelle precedenti in segui-to, respingendole nel passato, ma allo stesso tempo accostan-dole al testo quasi fino a riassorbirle. Viene cosí illustrato unprincipio generale secondo il quale col tempo, e perdendo lasua funzione pragmatica iniziale, il paratesto, quando nonscompare, si «testualizza›> e si integra all”opera. Altri ancora,come Chateaubriand, preferiscono relegare in appendice il pa-ratesto anteriore, attribuendogli cosí un valore documentario;ma in entrambi i casi si tratta (anche) di non voler perdereniente.

Che siano state conservate o eliminate dall”autore, il man-tenimento o la reintegrazione delle varie prefazioni (almenoquelle autografe) nelle edizioni erudite postume è una (sana)

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consuetudine. Anche in questo caso una scelta di disposizio-ne si impone all'editore critico, variabile a seconda delle situa-zioni e generalmente determinata dalla scelta del testo. Nelmomento in cui si adotta il testo dell'ultima edizione rivedutadall' autore, è piuttosto automatico che si adotti la sua dispo-sizione, rispettando, per esempio, la sua ultima volontà di eli-minazione. Le edizioni di Chateaubriand di Maurice Regardper la Pléiade rispettano l'ordine del 1826, il Balzac di Mar-cel Bouteron (prima Pléiade, 1925-3 7) eliminava del tutto lo-gicamente, se non addirittura fortunatamente, tutte le prefa-zioni originali, che, a causa di un ripensamento provocato dallarichiesta di integralità, dovettero essere ristabilire nel 1959 inun volume complementare a cura di Roger Pierrot. Di colpo,la nuova Pléiade diretta da Pierre-Georges Castex, per quantoessa stessa si basasse sul testo dell'edizione Furne, ristabilí leprefazioni originali all°inizio di ciascuna opera, relegando inappendice solo le prefazioni, autoriali o allografe, delle raccolteintermedie ormai superate dall'architettura finale della Comé-die humaine, (Scênes de la vie privée, Romans et Contes philo-sophiques, Etudes philosophiques e Etudes de maeurs au XIX'siêcle), che non potevano piú occupare un posto pertinentealtrove.

Insistere qui su questi dettagli filologici può sembrare pi-gnolo, ma il crescente successo delle edizioni erudite e dellecollane integrali giustifica il fatto di preoccuparsi dei loro ef-fetti sulla lettura, e l”esperienza prova (che questi effetti sonolargamente determinati dalla disposizione. Del resto non fac-cio altro che sfiorare questioni ben piú complesse, che costi-tuiscono il tormento quotidiano degli editori critici. La prefa-zione dei Caractêres, presente fin dall'originale del 1688, ha su-bito, quasi con la stessa frequenza del testo stesso, diverse ag-giunte (senza contare le varianti) successive nel 1689, 1690,1691 e 1694, e nella quarta, quinta, sesta ed ottava edizionedell'opera. Questo caso non è probabilmente l'unico ed è suf-ficiente a smentire in via del tutto ipotetica la nostra classifi-cazione: ecco una prefazione che nella forma in cui la leggia-mo dal 1694, è allo stesso tempo, 0 meglio a seconda dei suoisegmenti, originale, ulteriore e tardiva. Tutto ciò, è vero, inun lasso di tempo di dieci anni, ma non è meno vero che inquesti sei anni La Bruyère ha sentito la necessità di arricchi-

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L›1s¬:ANzA 1>RE1=AnvA 1 75- 1re, o almeno di estendere, il suo discorso prefativo. Questa si

che è coscienza professionale, e dovrebbe suscitarne in noi unasimile.

Destinatari.

La determinazione del destinatore della prefazione è uncompito delicato, prima di tutto perché i tipi di prefatori, realio altro, sono numerosi, e inoltre perché alcune delle situazioniche si sono cosi venute a creare sono complesse, se non addi-rittura ambigue o indecidibili. Da cui la necessità di una tipo-logia ingombrante, che richiederà, per maggiore chiarezza, unapresentazione in forma di tabella. Ma bisognerà tenere a men-te, nella considerazione degli esempi proposti, che l”apparatoprefativo di un'opera può variare da un'edizione a un'altra, edanche che uno stesso testo può comportare nella stessa edizio-ne due o piú prefazioni scritte o attribuite a destinatori diver-si. E infine, che il destinatore che ci interessa qui (come altro-ve) non è, tranne eventuali eccezioni, il redattore effettivo del-la prefazione, la cui identità è a noi meno conosciuta di quantonon lo supponiamo, ma il suo presunto autore, identificato tra-mite una menzione esplicita (con una firma completa o le ini-ziali, con la formula «prefazione clell'autore››, ecc.), o attra-verso indici variamente indiretti.Il presunto autore di una prefazione può essere l'autore

(reale o presunto, da cui qualche controversia in prospettiva)del testo: definiremo questa situazione molto comune prefa-zione autoriale, o autografa; può essere uno dei personaggi del-l'azione quando vi siano personaggi e azione: prefazione atto-riale; può essere tutt'altra (terza) persona 1: prefazione allo-grafa. Ma ho appena parlato di prefatori «reali o meno ››, e bi-

* Non sono a dire il vero del tutto certo che si debba essere una «perso-na ››, vale a dire ovviamente un essere umano, per vedersi attribuire una pre-fazione. Nulla in linea di principio impedisce di conferire tale funzione a unanimale, per esempio Moby Dick (ma si tratterebbe di una varietà della prefa-zione attoriale fittizia) o un oggetto «inanimato››, per esempio la nave Peguod(stessa osservazione) o, per restare decisamente con lo stesso autore, il monteGreylock (si tratterebbe di una prefazione allografa passabilmente apocrifa).Non ne conosco però alcun esempio, e non ci tengo a complicare oltre misurauna situazione già difficile.

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sogna adesso onorare quest'affermazione. Una prefazione puòvenire attribuita a una persona reale o fittizia; se l°attribuzionea una persona reale è confermata da un certo indizio parate-stuale, e se possibile da tutti gli altri, la definiremo autentica;se viene invalidata da un certo indizio dello stesso ordine: apo-crifa; se la persona cui viene attribuita è fittizia, chiameremoquesta attribuzione, e dunque questa prefazione, fittizia. Nonsono sicuro che la distinzione tra il fittizio e l'apocrifo abbiauna pertinenza universale, mi sembra però utile rispetto alleattuali considerazioni, e d'ora in avanti la utilizzeremo in que-sto senso: è fittizia una prefazione attribuita a una persona im-maginaria, è apocrifa una prefazione attribuita falsamente auna persona reale. L'intersezione di queste due categorie,quella del ruolo del prefatore rispetto al testo (autore, attoreo terza persona), e quella del suo regime, diciamo ingenuamen-te di <<verità››, determina una tabella a due entrate di cui cia-scuna comporta tre possibilità, da cui (per il momento) novetipi di prefazioni a seconda dello statuto del loro destinatore,che nella tabella seguente disporrò secondo un ordine di cano-nicità, o piú semplicemente di banalità decrescente, attribuen-do a ciascun tipo un esempio illustrativo che in alcuni casi sirivelerà subito insufficiente: per la prefazione autoriale auten-tica, saremo semplici: Hugo autore della prefazione di Crom-well; per l'allografa autoriale autentica, Sartre autore della pre-fazione di Portrait d'un inconnu di Nathalie Sarraute; per l'at-toriale autentica, in mancanza di una persona reale che scri-va la prefazione alla sua propria (etero)biografia ', invochia-mo la prefazione di Valéry a un libro di cui è in un certo sensol'eroe: il Commentaire de C/Jarmes di Alain. Per la prefazioneautoriale fittizia, quella 2 di «Laurence Templeton» (le virgo-lette d°incredulità diventano qui necessarie) per Ivan/ooe, ro-manzo del quale pretende essere, attraverso questa stessa pre-fazione, l'autore; per l'allografa fittizia, «Richard Sympson››,presunto cugino dell'eroe, autore della prefazione dei Gulli-

' Ne esistono sicuramente begli esempi che ancora non conosco: bastache la biografia sia parziale, ossia pubblicata prima della morte del suo eroe,ma si tratta di un sottogenere sempre piú diffuso; il che richiede anche dellebuone relazioni tra biografato e biografatore. Citerò a proposito delle funzio-ni due o tre casi piuttosto eclatanti.

2 Sotto forma, lo ricordo, di «epistola dedicatoria» al non meno fittizioDr. Dryasdust.

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ver's Travels; per l°attoriale fittizia, citiamo la seconda prefa-zione di Gil Blas, definita «Gil Blas au lecteur››. Per l'autorialeapocrifa, immaginiamo una prefazione indebitamente attribui-ta a Rimbaud all'inizio dell'apocrifo C/øasse spirituelle, o piúsemplicemente pensiamo al caso in cui un autore abbia un gior-no «firmato» una prefazione di fatto scritta da uno dei suoiamici o dei suoi « negri ››; non conosco esempi concreti, ma èimpossibile che non ne esista qualcuno coperto da segreto pro-fessionale; è comunque ciò che immagina Balzac in Illusionsperdues, dove d'Arthez scrive per Lucien, all'inizio dell'/lrc/verde C/øarles IX, << la magnifica prefazione che forse domina il li-bro, e che gettò tanta luce sulla giovane letteratura ›› '_ Perl'allografa apocrifa, immaginiamo che questa stessa Cbassespirituelle abbia avuto una prefazione attribuita, sempre inde-bitamente, a Verlaine; o, piú semplicemente, che la prefazionedi Portrait d'un inconnu, firmata da Sartre, sia stata invece re-datta da Nathalie Sarraute, o da un'altra persona di buona vo-lontà, cosí come si ritiene a volte che Mme Caillavet abbia re-datto per Anatole France quella di Les Plaisirs et les ]ours; madisponiamo qui di un esempio reale o quasi: quello delle pre-fazioni per due raccolte di Balzac, Etudes pbilosopbiques e Etu-des de maeurs, firmata da Félix Davin, del quale oggi sappia-mo da fonti piú o meno sicure, e attraverso il paratesto, chenon fu nient'altro che un prestanome per Balzac stesso 1: si-tuazione pseudo-allografa e cripto-autoriale, opposta a quel-

' H. de Balzac, Illusions perdues, in La Comédie humaine, Gallimard, Pa-ris 1977, p. 3 3 5. Che non si tratti di una prefazione allografa firmata d'Ar-thez viene provato da questa frase di Petit-Claud: << La prefazione non puòche essere stata scritta da due uomini: Chateaubriand o te! - Lucien accettòquesto elogio, senza dire che quella prefazione era di d”Arthez. Su cento auto-ri francesi, novantanove si sarebbero comportati come lui ›› (p. 661).

Un altro caso, questa volta reale, d'autoriale apocrifo, è quello della terzaedizione di Francion (1633), il cui testo e la cui prefazione (sotto forma cliun'epistola dedicatoria a Francion, già segnalata come tale) sono attribuiti daSorel all'oscuro e defunto Moulinet du Parc.

Z Cosi questa lettera di Balzac a Mme Hanska del 4 gennaio 1835: «Indo-vinerete facilmente come l'Introduzione [agli Etuder pbilosopbíques] mi siacostata quanto a M. Davin, poiché ha dovuto riscriverla e ricorreggerla fino ache non è riuscito ad esprimere adeguatamente il mio pensiero» (Lettres àMme Hans/ea, a cura di R. Pierrot, Les Bibliophiles de l'originale, Paris 1967,t. I, p. 293; il curatore precisa che il manoscritto daviniano di questa introdu-zione è stato perduto, ma che quello dell”introduzione agli Etudes de mafurs èmolto piú corto del testo finale, il che indica che Balzac avrebbe ampliato sul-le bozze il testo del suo prestanome).

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la dell'/lrcber de C/Jarles IX, che era pseudo-autoriale e cripto-allografa. Per l'attoriale apocrifa, devo ancora immaginare unasituazione senza esempio, ma del tutto concepibile: se la pre-fazione di Valéry al Commentaire de C/Jarmes si rivelasse essereun'invenzione, di Alain o di un altro, accettata, per pigrizia ononcuranza, dall'autore di Cbarmes. Ecco dunque la tabella an-nunciata, nella quale segno ogni casella con una lettera che ser-virà in seguito a ricordarla. Ai nomi dei prefatori fittizi o apo-crifi appongo delle virgolette d'incredulità, e agli esempi in-ventati da me degli asterischi di precauzione.

Ma la tabella che segue richiede ancora qualche osservazio-ne, complemento e forse correzione. Innanzitutto, la presenzadi destinatori qualificati come <<fittizi›› o << apocrifi ›› può sem-brare contraria al principio generale, che vuole che si prendail paratesto alla lettera, che si sospenda ogni incredulità, ogniatteggiamento ermeneutico, e che lo si consideri cosi come sipresenta: secondo questa regola, «Laurence Templeton» pre-sentato in quanto autore-dedicatore-prefatore di Ivan/:oe do-vrebbe essere considerato tale, senza riserve, né virgolette, equalsiasi questione in proposito apparirebbe altrettanto fuo-riposto di un'indagine sulla reale identità, per esempio, del re-dattore della prefazione di Cromwell. Di fatto, questi due in-terrogativi non sono dello stesso ordine: la prefazione diCromwell è, in un modo o in un altro, rivendicata da Hugosenza obiezioni che si conoscano, e questo deve bastarci; men-

RUOLO

Autoriale Allografo Attoriale

Racnvna

A B CV l'A - I-lugo per Sartre per a cry peiutentico . , _ tCromwell Portrait d un mcomzu Comme" am?' de C/:armes

D E FFittizio «Laurence Templeton» «Richard Sympson» «Gil Blas»

per Ivanhoe per Gulliver per Gil Blas

G H IAP°C1'if° * «Rimbaud» per * «Verlaine» per * «Valéry» Per. . . . CommentaireLa cbasse spzrztuelle La chasse spzrztuelle de Charme:

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tre la paternità di « Templeton ›› è formalmente rifiutata dal-le rivendicazioni - dovrei dire le confessioni tardive - diScott, e comunque pochi lettori, fin dal 1820, la prendevanoseriamente. Per quanto riguarda la paternità di << Gil Blas ›>, es-sa è fin dall'inizio contraddetta dalla presenza, prima dell”Av-vertenza al lettore, di una «dichiarazione dell'autore››, autoreidentificato come Lesage, fin dall'originale, sulla pagina delfrontespizio - ma l”anonimato, eventualmente, non ne dimi-nuirebbe minimamente la forza. In tutti questi casi, dunque,e in altri simili, il paratesto - e quindi lo statuto della prefa-zione - è contraddittorio: diacronicamente (per evoluzione)nel caso di << Templeton ››, sincronicamente in quello di << GilBlas››. In altre parole, la tesi ufficiale che presiede allo statutodel paratesto si presenta in certi casi come una finzione uffi-ciale che il lettore non è invitato a prendere sul serio piú di (eindubbiamente ancor meno), per esempio, un qualsiasi prete-sto «diplomatico ›› destinato per comune accordo a coprire unaverità che ciascuno percepisce o indovina, ma che nessuno hainteresse a svelare. Lo statuto di apocrifo è per definizione le-gato alla scoperta o all'ulteriore ammissione della falsificazio-ne. Lo statuto della finzione, su cui si fondano manifestamen-te i testi romanzeschi (nessuno è seriamente invitato a crede-re all'esistenza storica di Tom Jones o di Emma Bovary, e illettore che oserà farlo sarà certamente un <<cattivo ›› lettore,non conforme alle attese dell'autore e infedele a ciò che si devegiustamente definire il contratto - bilaterale - di finzione), de-termina anche alcuni elementi del paratesto, in modo spessoimplicito e lasciato alla sagacità del lettore che troverà adesempio nel testo stesso dell'epistola-prefazione di «Temple-ton» alcuni indici della sua finzionalità. Indici impliciti, maspesso anche espliciti, derivanti per esempio dalla contraddi-zione manifesta tra una prefazione (come quella di «Gil Blas››)e un'altra (come quella di Lesage), o tra una prefazione (l'ori-ginale di Lolita, firmata «]ohn Ray ››, che attribuisce la pater-nità del testo a Humbert Humbert) e un qualsiasi altro ele-mento del paratesto: in questo caso, la presenza del nome del-l'autore Vladimir Nabokov sulla copertina e sul frontespizio.Ciò che un elemento di paratesto stabilisce può sempre esse-re sconfessato da un altro elemento di paratesto, ulteriore o si-multaneo, e sta al lettore comporre l'insieme e cercare (non èsempre cosí semplice) di ricavarne la risultante. E la maniera

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stessa in cui un elemento di paratesto stabilisce ciò che stabi-lisce può sempre lasciar intendere che non si debba minima-mente credervi.

Per illustrare questo aspetto, darò altri esempi di attribu-zioni fittizie in diversi contesti, ma conviene innanzitutto, in-trodurre una distinzione capitale nella categoria stessa dellaprefazione autoriale autentica, cioè rivendicata, in un modoo in un altro, dall'autore reale del testo: è la nostra casella A.Il caso di Cromwell (e migliaia di altri: è di gran lunga il piú co-mune, cosí comune che non affaticherò inutilmente il lettorecitando altri esempi) è privo di equivoci e sfumature: l'auto-re anonimo di questa prefazione, che sarebbe inutile, e dun-que stupido, firmare, si presenta implicitamente, ma manife-stamente, come l'autore dell'opera, che noi sappiamo essereVictor Hugo. Segnalerò fin d'ora qualche variante di questasituazione, che non ne modifica fondamentalmente lo statu-to. Il testo può essere anonimo, anche la prefazione, ma ma-nifestamente dello stesso autore; si tratta, come sappiamo, delcaso delle prime edizioni dei Caractêres, o per esempio di Wa-verley e di tutti i romanzi anonimi di Walter Scott `. Il testopuò essere pseudonimo, la prefazione anonima ma implicita-mente autoriale: è il caso della Chartreuse de Parrne 2. Il testopuò essere onimo, come quello di Cromwell, ma costituito daun racconto omodiegetico, con l'eroe o il testimone narrato-re: È: il caso tipico in cui, per evitare ogni confusione, vale a di-re ogni attribuzione della prefazione al narratore, l'autore fir-ma la sua prefazione, un po' come Proust firma le dediche del-la Reclaerc/oe, con il suo nome o con le iniziali: vedi la postfa-zione alla seconda edizione di Lolita (il verbo firmare è in que-sto caso molto piú appropriato che a proposito del nomedell`autore sul frontespizio). Il testo può infine (tranne qualcheomissione da parte mia) essere rivendicato da due o piú per-sone, e la prefazione da una sola di esse: è il caso dell'edizio-

' L'originale delle Lyrical Ballads (1798) di Wordsworth e Coleridge pre-senta una curiosa variante, ma perfettamente logica, di questo tipo: il prefato-re si presenta come l'autore (unico) delle poesie che seguono; finzione prefati-va evidentemente provocata dalla finzione testuale dell'anonimato.

2 Altra variante logica: George Sand, che firma con un nome d'uomo, re-dige sempre le sue prefazioni al maschile.

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ne del 18oo delle Lyrical Ballads, prefazione (che ritroveremo)firmata dal solo Wordsworth, e dunque in questo senso, se sivuole, semiautoriale. E anche il caso della prefazione firmatanel 1 875 solo da Edmond de Goncourt per l'opera dei due fra-telli Renée Mauperin (1864), essa è però semiautoriale perchéulteriore e semipostuma, poiché Jules nel frattempo era morto.Mentre nel 1800 Coleridge, benché messo da parte dal suo ec-cellente compagno, era ancora vivo. In tutti questi casi, e forsein uno o due altri che mi sono sfuggiti, l'autore reale, nella suaprefazione, rivendica o, piú semplicemente, assume la respon-sabilità del testo, e questo, ovviamente, costituisce una dellefunzioni di questo tipo di prefazione, cosí evidente che non citorneremo, se non accidentalmente. Questo termine di funzio-ne è forse troppo forte per designare ciò che in questo caso nonè altro che un effetto: l'autore non sente minimamente il bi-sogno di affermare ciò che va da sé; basta che parli implicita-mente del testo come fosse suo '. Chiamerò questo tipo laprefazione autoriale autentica assuntiva, e battezzerò A1 metàdella casella A che dovrà ormai rassegnarsi.

Esiste infatti un altro tipo di prefazioni autoriali, altrettan-to autentiche nel loro statuto d'attribuzione dato che ancheil loro autore dichiarato è l'autore reale del testo, ma molto piúfinzionali nei loro discorsi, poiché l'autore reale pretende -anche qui senza invitarci a crederci troppo - non essere l'au-tore del testo. Ciò che nega non è ovviamente la paternità dellaprefazione stessa, che sarebbe logicamente assurdo («Non stoenunciando la presente frase ›>), ma del testo ch'essa introduce.E il caso delle Lettres persanes, in cui l'autore (allora anonimo)della prefazione pretende non essere quello del testo, attribui-to ai suoi vari enunciatori epistolografi. O, se si preferisce unasituazione meno confusa, quello della Vie de Marianne, in cuiMarivaux, << firmatario ›› del testo grazie alla presenza del suo

' Conosco solo un caso di una prefazione esplicitamente assuntiva, vale adire nella quale l'autore sente il bisogno di dichiarare nella prefazione di esse-re l'autore del testo, ma questo caso è chiaramente ludico: si tratta della pre-fazione del Iean Sbogar di Nodier: «La cosa piú essenziale che risulterà daqueste lunghe e noiose elucubrazioni (sui plagi), è che ]ean Sbogar non è né diZschokeke, né di Byron, né di Benjamin Constant, né di Mme de Krudener;ma mio. Ed è essenziale affermarlo per l'onore di Mme de Krudener, di Ben-jamin Constant, di Byron e di Zchocke››.

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nome sul frontespizio, pretende nell'«Avvertenza›> liminaredi averlo ricevuto tale e quale da un amico che l'avrebbe tro-vato. Questo secondo tipo di prefazione autoriale autentica,la qualificheremo prefazione denegativa (sottinteso: del testo),ele accorderemo la mezza casella A2, cosí come appare nell'in-grandimento della nostra casella A:

A1: assuntiva

Cromwell

A2: denegativa

La vie de Marianne

Questo tipo di prefazione potrebbe senza dubbio esseretranquillamente chiamata cripto-autoriale, dato che l'autore ne-ga (o non riconosce) di esserlo, o anche pseudo-allografa, poi-ché l'autore vi si presenta come un prefatore allografo, riven-dicando, di tutta l'opera, solo la prefazione. Va da sé che que-sta manovra denegativa è la prima, la principale e talvolta l'u-nica funzione (questa volta nel senso forte del termine) di que-sto tipo, ma ci torneremo. L'autore, dicevo, pretende essereun prefatore allografo, ma in genere si ritiene che questa pre-sunta funzione derivi da un'altra, la cui possibile varietà de-termina ancora qualche variante. L'autore (onimo, anonimoo pseudonimo) può presentarsi come semplice « editore ›> (nelsenso critico del termine) di un racconto omodiegetico (auto-biografia o diario intimo) del quale attribuisce naturalmentela paternità al suo narratore: si vedano Robinson Crusoe, MollFlanders, Volupté, Iocelyn ', Thomas Graindorge (prefazione

' La denegazione autoriale prende in questo <<episodio›> una strada piut-tosto contorta, poiché comporta un paratesto complesso: il sottotitolo (laur-nal trouve' cbez un cure' de village) è denegativo, ed anche il prologo in versi,che sviluppa questa formula raccontando le circostanze della scoperta; ma trai due si inserisce un'avvertenza in prosa piú o meno chiaramente assuntiva.Per quanto riguarda il caso specifico del romanzo-diario, si veda Y. Oura, Ro-man journal et mise en scene editoriale, in «Poétique››, Lxrx (1987).

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firmata H. Taine), Treasure Island (tramite una dedica dene-gativa firmata «l'autore ››), il Iournal d 'une femme de chamhre(prefazione firmata O. M.), Barnahooth nel 1913 («Avverten-za›› firmata V. L.), la Geneviêve di Gide, La nausée (ma quil'avvertenza denegativa è firmata «gli editori ››, dunque piut-tosto allografa che apocrifa), o Il nome della rosa; l'autore puòugualmente assumere questo ruolo rispetto ad un romanzo epi-stolare, pretendendo di aver scoperto e messo in ordine unacorrispondenza reale: come nelle Lettres persanes, già citate, Pa-mela, La Nouvelle Héloise (il cui contratto è per la verità am-biguo, poiché la menzione nel titolo «Lettere [...] raccolte epubblicate da Jean-Jacques Rousseau» viene deliberatamen-te confusa dalla prefazione: «Benché io appaia qui in veste disemplice editore, ho preparato io stesso questo libro, e non lonascondo. Ho forse fatto tutto io, e l'intera corrispondenza èuna finzione? Gente di mondo, che ve ne importa? E sicura-mente una finzione per voi ››), o Les Liaisons dangereuses (in cuila contraddizione è eclatante tra la «prefazione del redattore ››- nel senso di editore -, che pretende di avere solamentesfrondato e ordinato questa corrispondenza, e l°«Avvertenzadell'editore›› - indubbiamente in senso commerciale -, chedichiara di non credervi affatto e di non vedervi nient'altroche pura finzione), Werther, Oherman, e certamente molte al-tre, alcune delle quali ritroveremo. L'autore può, inoltre, mapiú raramente, attribuire il testo a uno scrittore anonimo, piú0 meno dilettante, che gli avrebbe chiesto consiglio e assisten-za: è il caso di Armance (condizione dell'originale del 1827: te-sto anonimo, avant-propos firmato Stendhal: «Une femme d'es-prit m'a demandé de corriger le style de ce roman ›>), o ancoradel Gars, prima versione (1828) degli Chouans, che l'«Avver-tenza», rimasta inedita, attribuiva con molti dettagli a un cer-to Victor Morillon. L'autore può infine attribuire l'opera a unautore straniero del quale pretende di essere il traduttore: è ilcaso di Macpherson per << Ossian », Nodier per Smarra, PierreLouys per « Bilitis ››. Il caso di Madame Edwarda è doppiamen-te eccezionale, in quanto la prefazione denegativa di GeorgesBataille è ulteriore (1956 per un testo apparso nel 1941), el'autore, fittizio «Pierre Angélique››, non viene presentato co-me straniero: Bataille non si dichiara quindi né traduttore, néeditore, ma semplice prefatore allografo.

Adesso si capirà forse meglio la ragione per la quale ho di-

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viso la casella A con una frontiera diagonale: questa disposi-zione vuole manifestare la tendenza della prefazione denega-tiva, per quanto autentica, alla finzione (attraverso la sua de-negazione finzionale del testo), ed anche all'allografia, che essasimula fingendo che non sia opera dell'autore del testo. Maquesta finzione hai suoi gradi d'intensità: piú debole nel ca-so dell°anonimato iniziale (come nelle Lettres persanes), essa sirivela pienamente solo nel momento in cui il testo e la sua pre-fazione sono infine attribuiti in modo ufficiale (anche se spessopostuma) al loro autore reale; piú forte, e anche decisamenteeclatante, quando il nome dell'aut0re, come per Marianne, Vo-lupté o La nausée, smentisce tranquillamente, sul frontespizio,l'attribuzione fittizia del testo al suo narratore'. Cosi dispor-rò, quando ci tornerò da un punto di vista funzionale, le pre-fazioni denegative con le prefazioni fittizie e apocrife. Ma nonanticipiamo.

Per terminare con il destinatore della prefazione, mi restaancora da dire una parola sugli altri tipi di destinatori. La pre-fazione allografa autentica (casella B), con la quale uno scrittorepresenta al pubblico l'opera di un altro scrittore, non pone par-ticolari problemi, dato che la sua attribuzione ufficiale è sem-pre esplicita, che sia originale, ulteriore 0 tardiva, e anche po-stuma. Un caso particolare è quello delle note << editoriali ›› -la cui-autenticità è spesso sospetta -, come quella del «libraioal lettore ›› all'inizi0 della Princesse de Clêves, per giustificar-ne l'anonimato, o l'« Avvertenza dell'editore» all'inizio di LeRouge et le Noir, che attesta falsamente come questo roman-zo pubblicato in 1830 sia stato scritto fin dal 1827. In que-st'ultimo caso almeno, il trasferimento nella casella H (allogra-fa apocrifa) non sarebbe affatto abusivo, se non ci fosse proi-bito per principio qualsiasi intervento basato solo sul sospetto.Anche sulla prefazione attoriale autentica (casella C), ho pocoda aggiungere, se non per deplorare la mancanza 0 la povertà

' Il caso della Nouvelle Héloise è chiaramente diverso, poiché il titolo Let-tres reeueillies par Iean-Iacques Rousseau, pretende al contrario di confermarein anticipo le denegazioni (parziali) della prefazione. Stesso effetto per Ober-man, Lettres publiées par M. de Senancour, e per Adolphe, Anecdote trouvéedans les papiers d'un ineonnu, et publiée par M. Benjamin de Constant. Piú (madi poco) criptico, il titolo delle Liaisons: Lettres recuillées dans une société et pu-hliées pour l'instruction de quelques autres par M. C... D. L. C.

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di esempi di biografati autori della prefazione della loro ete-robiografia. Il caso dell'aut0bi0grafia è diverso, e infatti, seper definizione il biografo e il biografato sono un'unica e iden-tica persona che assume due ruoli, di fatto è sempre il primoche si arroga il diritto al discorso, e dunque alla prefazione, co-sí come al racconto: è il caso della nota liminare delle Confes-sions di` Rousseau e della prefazione dei Mémoires d'outre-tombe. E un vero peccato, poiché qualche volta si desiderereb-be conoscere il parere del giovane eroe sul modo in cui vienetrattato dall'u0mo maturo, se non addirittura dal vecchio, cheprende abusivamente la parola per quanto lo riguarda; un au-tobiografo scrupoloso, o particolarmente furbo, potrebbe bencreare un tale paratesto, ma ci troveremmo inevitabilmentenell'ordine della finzione, o meglio dell'apocrifo, come in quelracconto del Libro de arena (Libro di sabbia) in cui Borges vec-chio dialoga con Borges giovane sulla riva del Rodano, 0 delfiume Charles. Come dice pressappoco il primo di questi scribiautofagi, sant'Agostino: «Il bambino che ero è morto, ed ioesisto ››. Niente di piú crudele, né di piú vero.

Nella prefazione autorialefittizia, il presunto autore e il suoprefatore sono lo stesso personaggio fittizio. Eminente esem-pio di questa casella D è Walter Scott, a partire dai Tales ofmyLandlord (prima serie, dal 1816, di cui The Bride ofLammer-moor nel 1819), attribuiti a «Jedediah Cleisbotham››, che ce-derà poi la parola al «Templeton» di Ivanhoe, al «Clutter-buck›› delle Fortunes ofNigel e al « Dryasdust ›› di Peveril ofthePea/e. Nella prefazione allografa fittizia (casella E), il prefatoreè fittizio quanto il presunto autore del testo, ma si tratta didue persone diverse. Questo prefatore fittizio può essere ano-nimo (provvisto però di tratti biografici distinti), come l'uf-ficiale francese che figura come autore dell'«Avvertenza ›› delManuscrit trouvé à Saragosse, il presentatore dalmata di LaGuzla, 0 il traduttore di sesso maschile delle Portes de Gub-bio. Ma questi casi sono piuttosto rari: dopo aver tanto fattoper inventare un prefatore allografo, in genere si preferisce at-tribuirgli l'identità di massima conferita dal nome: «RichardSympson ›› per Gulliver, «Joseph l'Estrange ›› per Le théâtre deClara Gazul, « Marnis Tapora ›› per Les déliquescences d 'Ado-re' Floupette di G. Vicaire e H. Beauclair, «Tournier de Zem-ble›› per Barnabooth nel 1908, «Gervasio Montenegro» per leCronache di Bustos Domecq, «Michel Presle›› per On est tou-

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jours trop bon avec les femmes, ecc. Una variante possibile diquesto tipo sarebbe quella di attribuire un prefatore fittizio aun autore reale, come se Le Pêre Goriot, apertamente assun-to da Balzac, recasse però una prefazione di «Victor Moril-lon››. E un po' il caso di Lolita, nella cui edizione originale ap-pariva oltre al nome dell'aut0re reale quello del prefatore«John Ray ». Ma quest'ultimo si guarda bene dall'attribuirel'opera a Nabokov: la attribuisce al suo eroe-narratore Hum-bert Humbert, cosí come «Richard Sympson›› attribuisce Gul-liver a Gulliver. La mia variante resta dunque, per il momento,senza esempi, e per una ragione evidente: l”attribuzione fitti-zia di una prefazione è una manovra derivata, come per con-tagio ludico, dall'attribuzione fittizia del testo. Nella situazio-ne seria in cui l'autore rivendica completamente il suo testo,non gli viene certo in mente di fabbricarsi un prefatore fitti-zio: scrive e firma lui stesso la sua prefazione, ne chiede unaa qualche allografo autentico, o ne fa a meno.

La casella F è quella della prefazione attoriale fittizia, unaspecie relativamente classica. Niente impedisce in linea diprincipio che in un racconto eterodiegetico, o addirittura inun'opera teatrale, vi sia una prefazione scritta da uno dei per-sonaggi: Don Quiiote da Don Chisciotte (0 Sancho Panza),Le misanthrope da Alceste (o Phlinte): bei compiti delle vacan-ze per Gisèle e Albertine. In un modo certo meno eclatante,ma maggiormente provvisto del famoso «merito d'esistere››,la prefazione alla Coscienza di Zeno è scritta dal «dottore di cuiin questa novella si parla con parole poco lusinghiere», raccon-to in prima persona, del quale egli non è però né l'eroe, né ilnarratore 1, e Sei problemi per Don Isidro Parodi del già citato«Gervasio Montenegro ››, uno dei personaggi meno importantidel racconto. Ma questi casi sono ancora eccezionali: piú fre-quentemente il personaggio promosso a ruolo di prefatore èl'eroe-narratore di un racconto in prima persona, del quale ri-vendica, attraverso la prefazione stessa, la paternità. E il ca-so di Lazarillo, in cui nulla, dopotutto, in assenza di una solidaattribuzione, può provare in modo assoluto il carattere fitti-

l Statuto simile a quello della prefazione di Henry Esmond (1842), firma-ta dalla figlia dell'eroe, Rachel Esmond Warrington: un personaggio appenamenzionato nell'ultima pagina del romanzo. Se non fosse stato per questa tar-diva e modesta menzione, la prefatrice, estranea alla diegesi, sarebbe statatranquillamente allografa.

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zio, e del Marcos de Obregon di Vincente Espinel. È chiara-mente il caso di Gil Blas, eponimo di questa casella, per la suaseconda prefazione; di Gulliver per la postfazione del 1735, at-tribuita all'eroe-narratore sotto forma di una lettera a «suo cu-gino Sympson›>; di Tristram Shandy per la sua prefazione inter-na; di Gordon Pym; del Bras Cuhas di Machado de Assis; delle(Èuvres complêtes de Sally Mara.

Non tornerò, in mancanza di esempi reali ben attestati, sul-la fila delle prefazioni apocri]'e (caselle G, H, I), il cui statutoè puramente teorico (per una sana distinzione tra fittizio eapocrifo) e provvisorio (in attesa di future scoperte, o di crea-zioni ancora inedite). Dico «in mancanza di esempi reali e benattestati», perché il caso Davin è considerato apocrifo solo inbase a confidenze private, e certamente parziali. Sullo stessoasse delle allografe sospette metteremo, naturalmente, moltedelle << note dell'editore››, come quelle, già citate, della Prin-cesse de Clèves e di Le Rouge et le Noir, 0 quella del Provincialà Paris, che ritroveremo e che abbiamo tutte le ragioni di at-tribuire nel nostro intimo (ma solo nell'intim0) all'autore, cosícome tanti priêres d'insérer in linea di principio editoriali. HenriMondor ha trovato nelle carte di Mallarmé la prova di una pre-fazione, alla fine non pubblicata, a Mots anglais firmata «Glieditori», il cui stile però non lascia al critico alcun dubbio circala sua paternità reale. La presenza di questa pagina nell”attualeparatesto mallarmeano (Pléiade, p. 1329), assortita di questasorta di attestazione editoriale, vale indubbiamente, per il let-tore di oggi, come certificato di apocrifo. Ma ci troviamo sulterreno scivoloso della ricerca della paternità (reale), che nonè né di nostra competenza, né di nostro gusto. Piú legittimainvece la considerazione dei casi chiaramente ambigui o inde-cidibili, ai quali sarei tentato di consacrare, fuori tabella, unaspecie di casella (J) supplementare.

Ho già evocato le prefazioni di autobiografie, contempora-neamente autoriali e attoriali (A + C) a causa dell'identità dipersona, se non di ruolo. Le prefazioni in forma di dialogo, co-me quella della Nouvelle Héloise, sono sempre sia autoriali cheallografe, poiché l'autore finge di condividere il discorso conun interlocutore immaginario (A + E), o anche reale (A + H),come fa Nodier all'inizio del Dernier Chapitre de mon roman,dialogando con il suo << libraio ››. Entretiens sur le Fils naturel (0

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Dorval et Moi) ha uno statuto piú complesso ancora, poichél'autore reale denegativo (<<Moi ››) discute con liautore fittizio,che del resto è anche uno dei personaggi («Dorval»); la formu-la sarà A2 + D/F.

Sono questi gli esempi di prefazioni attribuite a moltepli-ci soggetti; prefazioni ambigue proprio a causa di questa mol-teplicità. Altre (autoriali autentiche) lo sono perché l'autore,volontariamente 0 meno, oscilla tra assunzione e denegazio-ne. E il caso della Nouvelle Héloise e delle Liaisons dangereu-ses, già citate. E il caso anche del Quijote, in cui Cervantes,pensando alla sua presunta fonte Cid Hamet, dichiara di nonessere altri che il << suocero ›› del suo eroe, e dunque della suaopera, che pertanto rivendica chiaramente con altre frasi, cheritroveremo. E inoltre il caso di Guzman de Alfarache, il cuiparatesto multiplo è di una sapiente ambiguità: una dedica fir-mata Mateo Alemán assume implicitamente il testo, due av-vertenze «al volgo›› e «al prudente lettore ›› restano piuttostovaghe affinché il lettore, prudente o volgare, non riesca a de-cidere, e infine una «breve dichiarazione per la comprensio-ne di questo libro ››, assunta dall'autore, parla dell'eroe in terzapersona (non si tratta dunque di lui), attribuendogli la pater-nità del testo. Altro esempio è quello di Crusoe, in cui la «Pre-fazione dell'autore›› dichiara allo stesso tempo che il testo è«una narrazione esatta dei fatti ›› senza «alcuna apparenza difinzione ››, ed evita di attribuirne esplicitamente la responsa-bilità a Robinson, dato che il redattore della prefazione si qua-lifica una volta in quanto «autore della presente opera», eun'altra, in quanto «editore ››. Stesso equivoco nella «Prefa-zione dell'autore ›› di Moll Flanders, in cui questo « autore ›› de-scrive (in terza persona) il suo lavoro come quello di un sem-plice rewriter con il compito di rendere il racconto piú decentee il suo stile piú castigato, e qualifica l'eroina come « autore ››,ma in una frase che piú contorta di cosí non potrebbe essere:«L'autore deve qui scrivere la propria storia; fin dall'inizio delsuo racconto, mostra le ragioni per le quali ritiene necessariodissimulare il suo vero nome (“Moll Flanders” è dunque unnome preso in prestito); non c'è piú dunque nulla da aggiun-gere ››; tutto ciò getta per lo meno un po' di oscurità sul sen-so della parola autore. Stessa situazione in Le dernier jour d 'uncondamné, la cui prefazione originale presentava in tutto e pertutto quel contratto altrettanto deliberatamente alternativo di

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quello della Nouvelle Héloišez «Ci sono due maniere di render-si conto dell'esistenza di questo libro. Si tratta di un fascicolodi fogli gialli e irregolari sui quali si sono trovati registrati unoad uno gli ultimi pensieri di un miserabile; oppure siamo da-vanti a un uomo, un sognatore occupato ad osservare la naturain favore dell'arte, un filosofo, un poeta, o che so io? per ilquale questa idea è stata la fantasia che lo ha colpito o dallaquale si è lasciato, piuttosto, prendere da essa, ed ha potutosbarazzarsene soltanto gettandola in un libro. Di queste duespiegazioni il lettore sceglierà quella che vorrà ››. Nella sua Av-vertenza alla Chartreuse de Parme, Stendhal, pur dichiarandosil'autore, pretende di trascrivere, come l'ufficiale di Saragoz-za, un racconto fatto da un nipote del canonico di Padova. Einoltre, ma non infine, il caso della Storia e cronistoria del Can-zoniere, di Umberto Saba, un saggio del poeta sulla sua ope-ra attribuito ad un critico anonimo, e provvisto di una prefa-zione in linea di principio allografa, dunque attribuita ad unaterza persona, la quale viene poco a poco ad identificarsi conl'autore del saggio. Non sono sicuro che la certezza, per il let-tore, che si tratti di un testo di Saba stesso, comporti una sem-plificazione 0 una maggiore confusione.

L'incertezza può anche derivare dall'anonimato del prefa-tore denegativo, quando non sia provvisto di alcun tratto bio-grafico (come la nazionalità francese di quello di Saragosse oil sesso maschile di quello di Gubbio) che permetta di distin-guerlo a colpo sicuro dall”autore (reale) del testo, e dunque diconsiderarlo a colpo sicuro come allografo fittizio. Il prefatoredi Joseph Delorme, per esempio, o quello di Jean Santeuil, sem-bra esitare tra questo statuto e quello autoriale denegativo, 0piuttosto restare al di qua dell'idea stessa di una simile scelta,visto che niente lo identifica con Sainte-Beuve o Proust, nécon chiunque altro. E dunque solo il principio metodologicodi economia che ci farà decidere in favore dell'autoriale dene-gativo, vale a dire dell°ipotesi meno costosa, perché ci rispar-mia un”istanza inutile. Piú sottile, mi pare, o piú complessa:all'inizio della Bibliothèque d'un amateur di Jean-Benoit Puech,una prefazione anonima dichiara pressappoco questo: il testoseguente è opera di uno dei miei amici, di cui non dirò il no-me. E Puech che nega la paternità del suo testo (A al quadra-to), 0 un prefatore allografo fittizio (0 anche autentico) (B 0E) che si dimentica semplicemente di firmare con il proprio

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nome, e di nominare l'autore reale? Un testo ulteriore dellostesso autore ' elimina il dubbio dichiarando successivamen-te che il prefatore era Puech, e che l'autore del testo era il suoamico Benjamin Jordane. Ancora un caso in cui un paratestoviene a correggerne un altro - compito del lettore deciderecome tenerne conto.

Penultimo rompicapo per i classificatori fino al midollo -come non è certo il nostro caso: la prefazione al romanzo diCecil Saint-Laurent, Clotilde ]olivet, è (prima 0 poi doveva ca-pitare) di. .. Jacques( Laurent. Allografa 0 autoriale, questa pre-fazione dopotutto molto saggia, che prende le difese del gene-re romanzo storico? Mi viene suggerito che questa incertezzapesava già su quella di Madame Edwarda, ma non ne sono poicosí certo, poiché lo statuto di autore fittizio di «Pierre Ange-lique›› non è esattamente quello di «Cecil Saint-_Laurent››. Evero che questi, col tempo, tende a irrobustirsi: non si trattapiú diun semplice pseudonimo, tanto che aJacques Laurentcapita di domandare ai suoi intervistatori: «A chi di noi duevolete parlare? ›› Tutto sommato, mi sembra una sana poeticaquella di assimilare due autori, o se si preferisce quattro autori,che hanno uno statuto critico cosí diverso.

Non saprei ancora come classificare la prefazione scritta daPrévost per il suo Cleveland (1735): essa si presenta comeun'autoriale denegativa in cui l'autore non pretende esserenient'altro che il traduttore-editore delle Memorie di Cleve-land. Ma essa stessa non viene assunta da Prévost, ma sempli-cemente attribuita a M. de Renoncour, autore (fittizio) deiMémoires d'un homme de qualité (1728). Allografa fittizia,dunque, come per Ckzra Gazul; ma siccome Renoncour era perdefinizione, l'eroe-narratore di queste pseudo-memorie, e dun-que personaggio fittizio di quest'opera, c”è qualcosa di obli-quamente attoriale nella sua prefazione a Cleveland: un perso-naggio fittizio di un'opera diventa il prefatore fittizio di un'al-tra opera dello stesso autore, un po' come se Robinson Cru-soe fosse l”autore della prefazione di Moll Flanders, o FelixKrull di quella del Dr. Faustus. - Un po'? - Completamente.

1 Cfr. J.-B. Puech, Du même auteur, in «NRF», novembre 1979.

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L'ISTANZA PREFATIVA I 9 I

Destinatari .

La determinazione del destinatario della prefazione è for-tunatamente molto piú semplice di quella del destinatore; siriduce quasi a un truismo: il destinatario della prefazione è illettore del testo. Lettore e non semplice membro del pubbli-co, come (con qualche sfumatura già segnalata) quello del ti-tolo o del priêre d 'insérer. E ciò, non solamente de facto, per-ché il lettore della prefazione è già necessariamente detento-re del libro (sullo scaffale di una libreria una prefazione si leggemeno facilmente di un priêre d'insérer), anche se Stevenson in-titola la prefazione in versi del Treasure Island «All'acquirenteesitante››. Ma anche, e soprattutto, de iure, poiché la prefazio-ne, per il suo stesso messaggio, richiede al suo lettore una let-tura imminente, oppure (postfazione) precedente del testo,senza la quale i suoi commenti preparatori 0 retrospettivi sa-rebbero in gran parte privi di senso e naturalmente di utilità.Ritroveremo questo tratto per cosí dire ad ogni pagina del no-stro studio delle funzioni.

Ma questo destinatario ultimo è talvolta sostituito da undestinatario-intermediario che in qualche modo lo rappresen-ta. E il caso ovvio delle epistole dedicatorie (autentiche o fit-tizie) con funzione prefativa, già citate, come quelle di Cor-neille, di Tom Jones, di Walter Scott, delle Filles du feu, o deiPetits Poêmes en prose, e sappiamo che l'insieme delle prefazio-ni di Aragon per la sua parte delle C1-Éuvres romanesques croi-sées si rivolge a un lettore privilegiato, che è una lettrice, e allostesso tempo un'ispiratrice, e qualcosa come una direttrice spi-rituale. A questi dedicatari identificati o (La suivante, La PlaceRoyale, Le menteur) anonimi, si possono aggiungere i destina-tari collettivi o simbolici, come quello di Un homme libre, lacui prefazione s'intitola «A qualche collegiale di Parigi e dellaprovincia offro questo libro ››, 0 quello del Disciple: «A un gio-vane uomo». Ma i dedicatari immaginari di Scott, di Urfé emolti altri, quando il testo della dedica si amplia fino a rag-giungere le dimensioni e le funzioni di una prefazione, svol-gono essi stessi senza difficoltà questo ruolo di mediatori: nellostesso testo coesistono dei messaggi destinati esclusivamentead essi, come quando Urfé rimprovera a Céladon (prefazionedella seconda parte) la sua condotta paradossale - si tratta

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ancora di un modo indiretto di scusarlo davanti al lettore -, edei messaggi destinati, tramite questo suo intermediario, so-lo al lettore, come quando lo stesso Urfé, nella stessa prefazio-ne, lo sconsiglia dal cercare delle chiavi nel suo romanzo, ospiega perché i suoi pastori si esprimono nel linguaggio civi-le dell'uomo onesto. In tutti questi casi, il lettore, principaledestinatario della prefazione, non prova nessuna difficoltà asbrogliare e a ricevere ciò che, con ogni evidenza, attraversoun terzo gli viene rivolto.

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Le funzioni della prefazione originale

«Ma cosa fanno le prefazioni? ›› E a questa domanda diabo-licamente semplice ' che ora cercheremo di rispondere.Un”inchiesta preliminare, di cui risparmierò al lettore mean-dri ed esitazioni, mi ha convinto del fatto, del resto altamenteprevedibile, che tutte le prefazioni non «fanno ›› la stessa cosa0, in altre parole, che le funzioni prefative differiscono a se-conda del tipo di prefazione. Questi tipi funzionali mi sembra-no essenzialmente determinati da considerazioni di luogo, dimomento e di natura del destinatore. Prendendo come base latabella dei tipi di destinatori, che resta la distinzione fonda-mentale, e modulandola secondo i parametri di luogo e ditem-po, otteniamo una nuova tipologia, propriamente funzionale,suddivisa in sei tipi fondamentali. La nostra casella A1, che hogià definito come la piú popolata, ci fornirà da sola i primiquattro tipi: 1) la prefazione autoriale (sottinteso, ormai, auten-tica e assuntiva) originale; 2) la postfazione autoriale originale;3) la prefazione (0 postfazione: a questo stadio la distinzionenon è piú pertinente) autoriale ulteriore; 4) la prefazione o post-fazione autoriale tardiva. Le caselle B, e, molto accessoriamen-te, C ci forniscono il tipo 5, quello della prefazione allografa (eattoriale) autentica, in cui il personaggio-prefatore non è altroche una variante del prefatore allografo. Tutte le altre casel-le (A2, D, E, F e, in linea di principio, G, H e I) fanno parte,con qualche sfumatura, del sesto ed ultimo tipo funzionale,quello delle prefazioni finzionali.

Non cercherò di motivare fin da ora questa ripartizioneche, spero, si giustificherà con la pratica. Devo anzitutto sem-plicemente precisare che questa tipologia del tutto operativa

1 Cfr. Derrida, La dissémination cit., p. 14.

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verrà a volte trasgredita, poiché le distinzioni funzionali so-no di natura meno rigorose e meno rigide delle altre: la data,l'ubicazione, il destinatore di una prefazione possono general-mente venir determinate in modo semplice e sicuro, mentre ilsuo funzionamento spesso dipende dall°interpretazi0ne, e mol-te delle funzioni possono qua e là oscillare da un tipo a un al-tro. Per esempio, e per semplice necessità di recupero, una pre-fazione ulteriore può assumere una funzione trascurata dallaprefazione originale, 0 a ƒortiori da un”assenza della prefazioneoriginale. Quindi non si dovrà considerare la seguente listadelle funzioni come una lista di prefazioni aventi un”unica fun-zione: spesso ciascuna prefazione svolge diverse funzioni suc-cessive o simultanee, e non ci si dovrà stupire nel vederne ci-tare alcune piú volte e in diverse situazioni. Aggiungo infineche tra i nostri sei tipi funzionali, alcuni sono piú importan-ti di altri,`a causa del carattere piú fondamentale delle lorofunzioni. E in particolare il caso del primo, che possiamo con-siderare come il tipo base, la prefazione per eccellenza. Le al-tre, come tante varietà, si definiranno attraverso la differenza,in rapporto a questo tipo, e in modo piú sbrigativo.

La prefazione autoriale assuntiva originale, che abbrevie-remo dunque in prefazione originale, ha come funzione cardi-nale quella di assicurare una buona lettura del testo. Questa for-mula piuttosto ovvia è in realtà piú complessa di quanto nonpossa sembrare, poiché può essere scomposta in due azioni, dicui la prima condiziona, senza garantirla minimamente, la se-conda, come una condizione necessaria ma non sufficiente:1) ottenere una lettura, e 2) ottenere che questa lettura sia buo-na. Questi due obiettivi, che si possono qualificare, il primocome minimale (essere letto) e il secondo come massimale (... ese possibile, letto bene), sono evidentemente legati al carattereautoriale di questo tipo di prefazione (dato che l'autore è ilprincipale e, a dire il vero, l'unico interessato a una buona let-tura), al suo carattere originale (piú tardi rischia di essere trop-po tardi: un libro mal letto, e a fortiori non letto fin dalla primaedizione rischia di non averne altre), e alla sua ubicazione pre-liminare, e dunque monitoria: ecco perché ed ecco come doveteleggere questo libro. Essi implicano dunque, malgrado tuttele denegazioni d'abitudine, che il lettore cominci leggendo la

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prefazione. Essi determinano inoltre due gruppi di funzioni,una legata al perché e l'altra al come, che esamineremo succes-sivamente, benché spesso sia difficile distinguerle nel testoconcreto delle singole prefazioni.

I temi del perché.

Si tratta qui non tanto di attirare il lettore, che ha già fat-to lo sforzo considerevole di procurarsi il testo tramite acqui-sto, prestito o furto, ma di trattenerlo attraverso una tecnicatipicamente retorica di persuasione. Questa tecnica si basa suciò che la retorica latina chiamava captatio benevolentiae, e lacui difficoltà non veniva affatto ignorata: si tratta infatti pres-sappoco, diremo noi in termini piú moderni, di valorizzare iltesto senza indisporre il lettore con una valorizzazione troppoimmodesta, o semplicemente troppo visibile, del suo autore.Valorizzare il testo senza (dare l'impressione di) valorizzare ilsuo autore implica qualche sacrificio doloroso per l'amor pro-prio, ma in genere conveniente. Ci si guarda per esempio dal-l'insistere su ciò che potrebbe sembrare un'evidenziazione deltalento dell'autore. Tra le numerose prefazioni che ho avutooccasione di leggere in vista di questo studio, non ne ho incon-trato nessuna che ricamasse su questo tema: « ammirate il miostile ››, o su quest'altro: « ammirate l'abilità della mia compo-sizione». In un modo piú generale, la parola talento è tabú. Eanche la parola genio, ovviamente. Montesquieu la usa unavolta, come vedremo tra poco, ma con una semplicità disar-mante che la riscatta.

Come valorizzare allora l°opera senza dare l'impressione dicoinvolgere il suo autore? La risposta è evidente, anche sescuote un po' il nostro moderno credo critico secondo il qualetutto è in tutto e la forma è il contenuto: bisogna valorizzarel'argomento, col rischio di criticare piú 0 meno sinceramentel'insufficienza del suo trattamento: anche se non sono (e chi losarebbe) all”altezza del mio argomento, dovete comunque leg-gere il mio libro, per il suo << contenuto ››; La Fontaine scrivenella prefazione delle Fables: «Non è tanto per la forma che hodato a quest'opera che si deve giudicarne il pregio, quanto perl'utilità del suo contenuto ››. Una tale dicotomia è certamen-

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te piú appropriata ad opere estranee all'ordine della finzione,ed infatti ritroveremo piú spesso questa retorica nelle prefa-zioni di opere storiche e teoriche.

Importanza.

Un argomento può essere valorizzato rappresentando la suaimportanza, e dunque indissociabilmente l'utilità della suaconsiderazione. E la pratica ben conosciuta degli antichi ora-tori, dell”ot1°5'š^rjotç, 0 amplificatio: «Questo fatto è piú grave diquanto non si pensi, è esemplare, mette in discussione i grandiprincipi, ne va della giustizia». E il caso di Tucidide che vuolemostrare come la guerra del Peloponneso (0 Tito Livio, leguerre puniche) sia il piú grande conflitto della storia umana,o di Montesquieu che dichiara all'inizio dell'Esprit des lois: << Sequest'opera avrà successo, lo dovrò in gran parte alla solennitàdel mio argomento» '. Utilità documentaria, conservare il ri-cordo delle passate imprese (Erodoto, Tucidide, Tito Livio,Froissart). Utilità intellettuale, Tucidide: << Se si vuole vederchiaro negli eventi passati, e in quelli che in futuro, in virtú delcarattere umano che gli è proprio, presenteranno delle somi-glianze. .. ››; Montesquieu: << che gli uomini possano guariredai loro pregiudizi. Chiamo pregiudizi non il fatto di ignora-re certe cose, ma quello di ignorare se stessi››; Rousseau(preambolo del manoscritto di Neuchâtel): Descrivo me stessoperché « si possa avere un termine di paragone; affinché cia-scuno possa conoscere se stesso e un altro, e quest'altro saròio ››. Utilità morale, è l'immenso topos del ruolo moralizzato-re della finzione drammatica; vedi la prefazione alla Phèdre:«Non ho mai scritto [una tragedia] in cui la virtú sia messa inevidenza piú che in questa. I minimi errori vengono severa-mente puniti [...] E esattamente questo l”obiettivo che si deveprefiggere ogni uomo onesto che lavora per il pubblico ›>; quelladi Tartuƒfe: «Se il ruolo della commedia è di correggere i vizidegli uomini... ››; quella dei Caractêres: << Si deve parlare, si devescrivere solo per istruire... ››; o anche, paradossalmente ome-no, quella degli Egarements du cceur et de l'esprit: il romanzo

' È qui che, contravvenendo umilmente alla regola della modestia, egli af-ferma: << comun ue, non credo di aver mancato di enialità››.q

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deve diventare «quadro della vita umana ›› per «censurare ivi-zi e i lati ridicoli»; ritroveremo questo tema a proposito del-le prefazioni ulteriori, in cui appare con maggiore risalto, e fi-no in pieno XIX secolo. Utilità religiosa, si veda, inevitabilmen-te, l'introduzione al Génie du Christianisme. Utilità sociale e po-litica, di nuovo L'esprit des lois: «Che tutto il mondo abbia del-le nuove ragioni per amare i propri doveri, il proprio principe,la propria patria, le proprie leggi [. . .], che coloro i quali coman-dano aumentino le loro conoscenze a proposito di ciò che de-vono prescrivere, e che coloro i quali obbediscono trovino unnuovo piacere a obbedire ›>; Tocqueville: dato che i progressidella democrazia sono irresistibili, l'esempio americano ci aiu-terà a prevederli e a sopportarli, ecc. Questo tema dell'utili-tà è cosí potente da venire utilizzato a contrario: Hugo, nellaprefazione alle Feuilles d'automne, sostiene paradossalmente«l'opportunità di un volume di vera poesia in un momento[183 1] in cui c'è tanta prosa negli animi ›>; e Montaigne, conun'ardita manovra di provocazione: «Non mi sono prefisso al-cun fine, se non domestico e privato [...] Non vi è [dunque]motivo che tu impieghi il tuo tempo libero su un argomentocosí frivolo e vano ›› (sappiamo come si smentirà in seguito so-stenendo che «ciascun uomo porta in sé l'intera forma dellacondizione umana ››).

Novità, tradizione.

Questa esposizione circa l'importanza dell'argomento co-stituisce indubbiamente il principale strumento della valoriz-zazione del testo. Si accompagna volentieri, da Rousseau inpoi, a un'insistenza circa la sua originalità o almeno la sua no-vità: «Ecco l°unico ritratto d'uomo, dipinto esattamente se-condo natura e in tutta la sua verità, che esiste e che probabil-mente esisterà sempre... La mia è un'impresa della quale nonci sono esempi e la cui esecuzione non avrà imitatori››. Maquesto motivo è recente, poiché l”epoca classica, come sappia-mo, preferiva insistere sul carattere tradizionale dei suoi ar-gomenti, garanzia certa di qualità, che giungeva fino al pun-to di esigere dalla tragedia un°anzianità tematica manifesta 0dimostrabile: e, dato che non ci si preoccupava minimamen-te, a teatro, di rappresentare di nuovo le opere antiche, ogni

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generazione, ogni autore aveva a cuore di proporre la sua nuo-va versione di un soggetto già sperimentato. Troveremo in se-guito questo tema dell'anzianità trattato indirettamente, nelleprefazioni classiche, sotto forma di un'indicazi0ne delle fonti,esibite con valore di precedenti.

Unità.

Un tema di valorizzazione proprio, per una ragione eviden-te, alle prefazioni di raccolte (di poesie, novelle, saggi) consistenel mostrare l'unità, formale o piú spesso tematica, di ciò cherischia a priori di apparire come un”accozzaglia artificiosa econtingente, determinata soprattutto dal bisogno del tutto na-turale e dal desiderio del tutto legittimo di vuotare un cassetto.Hugo pratica questo esercizio con una grande padronanza, al-meno dalla prefazione originale (gennaio 1829) degli Orien-tales, in cui, comparando la letteratura a una vecchia città spa-gnola, con i suoi quartieri e i suoi monumenti di tutti gli stilie di tutte le epoche, evocava « all'altro capo della città, nasco-sta dai sicomori e dalle palme, la moschea orientale, dalle cu-pole di rame e di stagno, dalle porte dipinte, le'pareti verni-ciate, con la sua luce proveniente dall”alto, le sue esili arcate,i suoi bruciaprofumi che fumano giorno e notte, i suoi versettidel Corano su ogni porta, i suoi splendidi santuari, e il mosaicodel suo pavimento e il mosaico delle sue muraglie; dischiusa alsole come un grande fiore denso di profumi ›>; inframmezzan-do questa descrizione con qualche umile denegazione, ne con-seguiva chiaramente che Les Orientales erano 0 volevano esserequella moschea. La causa non era, in questo caso specifico,molto difficile da sostenere, poiché l'unità di colore della rac-colta è evidente. Meno omogenee, le quattro grandi raccolteliriche precedenti all'esilio troveranno anch'esse una loro notafondamentale, data dal titolo e confermata dalla prefazione.Ho già citato quella delle Feuilles d'automne; per Les chants ducrépuscule, << lo stato crepuscolare dell”anima e della società nelsecolo in cui viviamo ›>; per Les voix intérieures, questo triploaspetto della vita: il focolare (il cuore), il campo (la natura), lastrada (la società), una trinità ben organizzata con valore, co-me sappiamo, di (misteriosa) unità; per Les Rayons et les Om-bres, il ritratto-robot di un non meno misterioso «poeta com-

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pleto... summa delle idee del suo tempo» - 0 l'unità attraver-so la totalità. Les Contemplations, «memorie di un'anima», siorganizzano come sappiamo in un tempo passato e un presenteseparati, e dunque uniti dall'abisso di una tomba. L'unità sto-rica e polemica dei Châtiments va da sé, ma Les chansons desrues et des bois si organizzano ancora in diptico: da un lato, lagiovinezza, dall'altro la saggezza, ancora consolidata dal dop-pio arco di spinta simmetrico delle due poesie liminari: le Che-val / au Cheval.

L”epistola dedicatoria dei Petits Poêmes en prose testimoniauna retorica unificante allo stesso tempo piú complessa e piútormentata. Baudelaire all'inizio presenta questa raccolta comeun'opera «senza capo né coda ››, in cui tutto è allo stesso tempocapo e coda, e che si potrebbe tagliare ovunque: è la definizio-ne stessa di aggregato inorganico. Ma a questa denegazione se-gue la rivendicazione di una doppia unità, formale (« prosapoetica, musicale, senza ritmo e senza rima, piuttosto dutti-le per adattarsi ai movimenti lirici dell'anima») e tematica: rac-colta nata dalla «frequentazione delle enormi città» - in cuisi ritrova nella prefazione il doppio motivo del doppio titolo.

Balzac, molto desideroso di unificare (après coup, dicevaProust abbastanza ingiustamente) la sua opera multiforme diromanziere e di novellista, incarica i suoi portavoce di indicareil tono delle sue prime raccolte. L'introduzione firmata Phi-larète Chasles ai Romans et Contes philosophiques del 183 1 in-siste sul disegno di dipingere <5la disorganizzazione prodottadal pensiero ››. Davin, per gli Etudes philosophiques del 1 835,ampliamento del precedente, vi aggiunge l'ambizione di essereil Walter Scott dell'epoca moderna. Per gli Etudes des mwurs(stesso anno), motiva la divisione interna con una serie tema-tica molto legata e sovradeterminata: scene della vita privata,freschezza della gioventú; vita di provincia, maturità; vita pa-rigina, corruzione e decrepitezza; vita di campagna, pace e se-renità (le scene della vita politica non hanno trovato la lorofunzione simbolica nella successione, fastidiosamente limitata,delle epoche della vita). Balzac finirà per assumere questo te-ma organizzatore nella sua prefazione alle Scênes de la vie deprovince (stesso anno), e nell'/lvant-propos del 1842, sulla qualetorneremo.

La raccolta di saggi o di studi è indubbiamente il genere cherichiede piú di tutti la prefazione unificatrice, perché è spesso

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il piú caratterizzato dalla diversità dei suoi oggetti, e allo stessotempo il piú desideroso, per una specie di punto d'onore teo-rico, di disconoscerla 0 di compensarla. Si sa come Montaignecolleghi immediatamente la dispersione dei suoi interessi al-l'unità (sfuggente) della sua persona. Ho già menzionato il mo-do molto indiretto in cui Blanchot dispone ciascuna delle sueraccolte sotto l'invocazione, liminare 0 centrale, di un saggioavente lo scopo di indicarne la nota piú forte 0 quella piú gra-ve. Ci vorrebbe un capitolo intero per studiare il funziona-mento di questa tecnica, per esempio, nella critica contempo-ranea. La versione piú tipica, nel suo classicismo, mi sembrasia fornita dalle prime raccolte di Jean-Pierre Richard, Litté-rature et Sensation, una serie di quattro studi che l'autore ricon-duce all'unità della loro prospettiva critica (tematica e esisten-ziale); e Poésie et Profondeur, di nuovo, quattro studi il cui trat-to metodologico comune è contemporaneamente precisato (te-ma della profondità) e diversificato, ciascuno dei quattro au-tori studiati illustra un atteggiamento specifico a questoproposito. All'altro estremo, troveremo Roland Barthes, e lasua costante consapevolezza, dolorosa prima, e rivendicatapoi, del carattere eteroclito (itotxíloç, variegato, diceva egli ingreco) della sua opera, e i cui tentativi di «recupero » di se stes-so erano caratterizzati da un atteggiamento piú inquieto, e dauna pratica piú tortuosa. La prefazione a Sade Fourier Loyo-la insiste indirettamente («Eccoli dunque riuniti ››) sull'appa-renza incongrua, addirittura provocante, di un tale accosta-mento, prima di svelare qualche tratto comune piú formale chetematico: tre logoteti, ma non nella stessa lingua; tre feticisti,ma non dello stesso oggetto. Ma già quella degli Essais cri-tiques, testo premonitore per molti aspetti, in piena fase «se-miologica›>, dell”ultimo Barthes, si sottraeva molto sottilmenteal compito (alla penitenza) della giustificazione: l'autore, di-ceva, «vorrebbe spiegarsi. .. ma non può ››, fiutando un po' dimalafede in qualsiasi atteggiamento retrospettivo, non trovan-do rileggendosi nient'altro che il «senso di un'infedeltà», epreferendo rivendicare, come «scrittore in attesa di giudizio»l°incapacità, caratteristica di ogni scrittore, di «avere l'ultimaparola». In un'intervista del 1° aprile 1964, Barthes ritornasu questo punto che lo inquieta visibilmente, ma in un modopiuttosto contraddittorio: « Nella mia prefazione ho spiegatoperché non desideravo dare a quei testi, scritti in momenti di-

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versi, un°unità retrospettiva: non sento il bisogno di ordinareibrancolamenti 0 le contraddizioni del passato. L°unità di que-sta raccolta può solo essere una domanda: Che significa scri-vere? Come scrivere? A questa unica domanda ho cercato ri-sposte diverse, linguaggi che hanno potuto variare nel corsodi dieci anni; il mio libro è, letteralmente, una raccolta di saggi,di diverse esperienze tuttavia riguardanti sempre la stessa do-manda ››. Dove l'unità retrospettiva virtuosamente respintadalla porta ritorna surrettiziamente dalla finestra sotto formadi «domanda ›› 1.

E qui evidente il malessere davanti al luogo comune ideo-logico che rende l'unità (di oggetto, di metodo 0 di forma) unaspecie di valore dominante a priori, tanto imperioso quanto im-pensato, quasi mai sottoposto ad esame, dato sempre per scon-tato. Perché l'unità dovrebbe essere per principio superiore al-la molteplicità? Mi sembra di intravedere in questo monismoirriflesso, al di là di automatismi retorici piuttosto superficiali,alcuni motivi di ordine metafisico, se non addirittura religioso.Ma ho forse torto ad opporre gli uni agli altri: nulla è piú ri-velatore degli stereotipi culturali.

Resta il fatto che si vorrebbe poter opporre a questa valo-rizzazione quasi universale dell'unità un tema inverso diva-lorizzazione della diversità. Ciò che mi sembra avvicinarvisidi piú si trova forse, ma molto discretamente, nelle prefazionidi Borges del quale, come sappiamo, tutte le opere sono del-le raccolte. Nei «prologhi ›› o «epiloghi›>, originali o piú o me-no tardivi, che le accompagnano, il suo atteggiamento piú fre-quente consiste nel commentare molto specificamente questoo quel saggio o novella che le compongono (le poesie sembranorichiedergli meno glosse). Alcuni dei suoi commenti sono mol-to stringenti, come vedremo, ma Borges si astiene quasi sem-pre dallo svelare una caratteristica generale. A volteun insie-me parziale che accusa per contrasto l'eterogeneità del resto(Discusión, El jardín de los senderos que se hifurcan, El Aleph).Oppure l'accento viene messo su due tratti (Inquisiciones:«Correggendo le bozze di questo volume, ho scoperto due ten-denze nella miscellanea [miscelaneos trabajos] che contiene... ››).Piú frequentemente, egli sottolinea la diversità per scusarse-ne (Elotro, el mismo: «Questo libro non è nient”altr0 che una

* R. Barthes, Le grain de la voix cit., p. 31.

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compilazione. I testi sono stati scritti secondo i diversi moodse momenti, non per giustificare un volume ») 0 per rivendicarlo(El hacedor [L 'arteƒice]: << Il tempo, piú di me, ha compostoquesta miscellanea che raccoglie alcuni testi messi ai margini[...] Dio voglia che la loro monotonia fondamentale appaia me-no della diversità geografica e storica dei temi ››). Monotonia,è il nome, per lui peggiorativo (contrariamente all'uso prou-stiano), che attribuisce molto volentieri a un'eventuale unitàche significherebbe povertà (El informe de Brodie [Il manoscrit-to di Brodie]: «In tutta la mia vita sono stato sollecitato soloda un numero ristretto di argomenti: sono decisamente mono-tono ›>; El oro de los tigres: «Per eludere, o se vogliamo, per at-tenuare questa monotonia, ho scelto di accettare con un'ospi-talità forse temeraria, alcuni temi [miscelaneos, di nuovo] chesi offrono alla mia scrittura abituale ›>; Prólogos: Larbaud lo-dava la mia prima raccolta di saggi per la sua varietà di temi;questa sarà «altrettanto eclettica ›>; Los con/`urados: << Non pro-fesso nessuna estetica. Ogni opera impone al suo autore la for-ma che esige: verso, prosa, stile barocco 0 spoglio ››). Questoatteggiamento contrasta in modo esemplare con la maniera incui un prefatore allografo, Roger Caillois, credeva dover qua-lificare El hacedor come un << insieme in cui il desiderio di com-posizione non è assente ››. Bisogna qui, certamente, tenere pre-sente la retorica, a volte piuttosto vanitosa della modestia -l'interessato troppo modesto o troppo vanitoso per usare que-sto termine, diceva «timidezza» -, che spinge costantemen-te Borges a svalutare la sua opera, e del resto a negarle siste-maticamente lo statuto di opera. Ma chi dice opera dice uni-tà e completezza. «Voi, lettori, non smette di dire Borges, ve-dete unità e completezza perché ignorate le innumerevoli va-rianti ed esitazioni che si nascondono dietro una versionescelta come finale in un giorno di fatica o di distrazione; maio so di cosa si tratta ›>. Insistere sulla diversità significa dun-que per certi aspetti rifiutare il complemento (banale e ango-sciante) del lettore, come << generoso errore ››. Ma abbiamo vi-sto precedentemente cosa c'è di ambiguo in questo riserbo, edi (timido) orgoglio in questa spettacolare umiltà.Il tranello, o l'astuzia, di questa rivendicazione della diver-

sità potrebbe del resto rimanere al di qua, o al di là di ogni con-siderazione psicologizzante: laddove la parola stessa diversitàdiventerebbe, attraverso l°azione inevitabilmente unificatrice

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del discorso e della lingua, un tema unificante. ciò che in-dicava molto semplicemente e decisamente Lamartine nell'av-vertenza delle Harmonies poétiques et religieuses: « Ecco quattrolibri di poesie scritte cosí come sono state sentite, senza lega-me, senza seguito, senza transizione apparente [...] Queste Ar-monie, prese separatamente, sembrano non avere alcun rap-porto l'una con l'altra; considerate in massa, vi si potrebbe ri-trovare un principio di unità nella loro stessa diversità... ›› '.

Veridicità.

Per le ragioni sopra indicate, rispetto a queste valorizzazio-ni del contenuto, le valorizzazioni del trattamento sono raree discrete. L'unico merito che un autore possa attribuirsi at-traverso una prefazione è quello della veridicità, 0 almeno del-la sincerità, dello sforzo, cioè, verso la veridicità, probabilmen-te perché si tratta di un merito che dipende dalla propria co-scienza piuttosto che dal talento. E questo, da Erodoto e Tu-cidide, un luogo comune della prefazione storica; e da Mon-taigne, della prefazione all'autobiografia, o all'autoritratto: «Ilmio è un libro in buona fede ››. Abbiamo già intravisto da partedi Rousseau la formulazione di ciò che può essere considera-to un vero e proprio impegno. Gli storici lo esprimono accom-pagnandolo con un'esposizione del metodo che vale come ga-ranzia (per quanto riguarda i mezzi). Tucidide assicura adesempio di essersi fidato solo dell'osservazione diretta, o dite-stimonianze debitamente confermate, e per i discorsi, dei qualinon può riportare il testo letterale, egli si limita ad attestarneil tono generale e la verosimiglianza.

La finzione stessa non ignora affatto questo contratto dive-ridicità. Il primo romanzo greco iniziava con l'affermazione,forse esatta, che la storia d'amore di cui trattava si era effet-

1 Sottolineando questa espressione e tagliando a questo punto la citazio-ne, oriento forse il testo di Lamartine verso ciò che voglio dimostrare. Ecco ilseguito: «Poichéerano destinate, nel pensiero dell”autore, a riprodurre ungran numero delle impressioni della natura e della vita sull'anima umana; im-pressioni varie nella loro essenza, uniformi nel loro scopo, poiché avrebberotutte dovuto perdersi e riposarsi nella contemplazione di Dio». Un discorsoin cui ritroviamo il motivo abituale di ogni valorizzazione monista: l'anima,Dio.

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tivamente svolta a Siracusa. In una «nota›› in appendice allaFille aux yeux d'or, Balzac ribadisce che quest'episodio «è veronella maggior parte dei suoi dettagli», e aggiunge, in modo piúgenerale: «Gli scrittori non inventano mai niente, ammissioneche il grande Walter Scott ha fatto umilmente nella prefazionein cui strappò il velo nel quale si era a lungo avvolto. I detta-gli appartengono perfino raramente allo scrittore, che non èaltro che un copista [Proust dirà un « traduttore ››] piú o me-no felice. L'unica cosa che dipende da lui, la combinazione de-gli eventi, la loro disposizione letteraria... ›› E la nota formu-la dei Goncourt all'inizio di Germinie Lacerteux: «Questo ro-manzo è un romanzo vero ››. Ancora, il merito di realismo è quirivendicato sul modo denegativo di una pretesa scusa: << Dob-biamo chiedere scusa al pubblico per questo libro, e avvertir-lo di ciò che vi troverà. Il pubblico ama il rpmanzo falso: que-sto è un romanzo vero››. Il romanziere Edouard dei Faux-Monnayeurs confessa, o piuttosto, proclama: «Non ho mai po-tuto inventare nulla ›› e, anche se in seguito Gide si lamentòdel fatto che questa frase venisse usata contro di lui, certo èche essa esprimeva la sua condizione di scrittore, che JulienGreen assumeva piú fieramente, o piú abilmente, afferman-do: << Il romanziere non inventa niente, intuisce» (Journal, 5febbraio 1933).

Contrariamente all'asserzione dei Goncourt, non è cosí fa-cile sapere quale tipo di .romanzi il pubblico preferisca. Difronte al contratto di verità, incontreremo piú avanti un con-tratto opposto, di finzione, e qualche variazione piú 0 menocanonica circa l”inevitabile combinazione dei due. Ma non sitratterà piú, in linea di principio, di una questione di merito.

Parafulmini.

Il discorso autoriale di valorizzazione si ferma dunque qui,o quasi. Quando un autore desidera mettere in evidenza il suomerito, talento o genio, in genere preferisce, e giustamente,affidare questo compito a un altro, attraverso una prefazioneallografa, a volte molto sospetta: come vedremo in seguito. Piúconforme al topos della modestia, e piú efficace per moltiaspetti, è l'atteggiamento opposto, codificato dalla retoricacon il termine di excusatio propter inƒirmitatem. Nell”eloquenza

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classica esso era il pendant inevitabile dell”amplifz'catio dell'an-gomento. Di fronte all'importanza del tema, talvolta esagerataoltre ogni misura, l'0ratore sosteneva la propria incapacità atrattarlo con tutto il talento necessario, contando apparente-mente sul pubblico per stabilire una giusta media. Ma era so-prattutto il modo piú sicuro per prevenire le critiche, cioè perneutralizzarle, e addirittura evitarle affrontandole diretta-mente. Questa funzione paradossalmente valorizzante vieneespressa da Lichtenberg con una sola parola: «La prefazionedi un libro potrebbe essere chiamata il parafulmine›› `. Cer-vantes, nel prologo del Quijote, si scusa profondamente dinon aver prodotto il capolavoro che avrebbe voluto produrre;«Ma, si difende, non ho potuto contravvenire all'ordine na-turale, secondo il quale ogni cosa genera il suo simile ›>; il suospirito «sterile e mal coltivato ›› non poteva generare nient'al-tro che un «bambino secco, indurito, lunatico›>. Rousseau, nelpresentare Emile, annuncia che il tema dell'educazione deibambini, che era «ancora nuovo dopo Locke ››, continuerà adesserlo anche dopo di lui, e denuncia lui stesso un'opera <<tr0p-po voluminosa per ciò che contiene, ma troppo piccola per lamateria di cui tratta ››. Nella prefazione a Julie egli era già ri-corso, per questo tipo di autocritica preventiva, alla forma in-dubbiamente piú efficace: il dialogo immaginario che vi per-mette di rispondere ad obiezioni scelte da voi stessi. Per la pre-fazione dei Proscrits, Nodier produce un dialogo piú disinvol-to, nel quale combina un”abile difesa col rifiuto, piú abile an-cora, di difendersi: « La vostra opera non incontrerà il favoredella gente di gusto. Lo temo. Avete cercato di essere nuovo.E vero. Ma siete riuscito ad essere solo bizzarro. E possibile.Il vostro stile è apparso incoerente. Anche le passioni lo sono.E sparse di ripetizioni. Il linguaggio del cuore non è ricco [. _ .].Infine, i vostri personaggi sono scelti male. Non sceglievo.Le azioni male inventate. Non inventavo niente. Avete scrittoun pessimo romanzo. Non si tratta assolutamente di un ro-manzo ››.

La parola piú giusta e piú efficace è forse quella di Balzac,nella prefazione al Cabinet des antiques. Anche lui come Cer-vantes aveva sognato un altro libro, poi il tema è deviato, e il

1 G. Ch. Lichtenberg, Aphorismen, a cura di A. Leitzmann, Berlin 1902-1905 (trad. it. parziale Osservazioni e pensieri, Einaudi, Torino 19752, p. 79).

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libro è`diventato, come tutti i libri, quello che poteva diven-tare. «E tanto facile sognare un libro quanto è difficile scriver-lo››. Cosa si può rispondere se non, forse, che nessuno è obbli-gato a scrivere libri. La risposta di Balzac si conosce già: «Iosí››. Ma questo, temo, non è un argomento da prefazione.

I temi del come.

Per quanto contorta e paradossale possa a volte rivelarsi,questa retorica della valorizzazione, attraverso la dissociazionetra argomento (sempre lodevole) e suo trattamento (sempre in-degno), oggi non va piú di moda, per la ragione sopraindica-ta. Da cui una relativa scomparsa, dal XIX secolo, delle funzio-ni di valorizzazione (argomenti del perché, che hanno del restotrovato altri supporti al di là della prefazione) in favore dellefunzioni di informazione e guida alla lettura: temi del come,che presentano il vantaggio di presupporre il perché, e dunque,grazie alla ben nota virtú della presupposizione, di imporlo inmodo impercettibile. Quando l'autore vi spiega con compia-cenza come dovete leggere il suo libro, vi ritrovate già in unadifficile posizione volendo rispondergli, anche se nell'intimo,che non lo leggerete affatto. Il come è dunque per certi aspettiun modo indiretto del perché, che può benissimo sostituirsi aimodi diretti, con i quali ha inizialmente coesistito.

La prefazione, diceva Novalis, fornisce le istruzioni per l'u-so del libro `. La formula è giusta ma brutale. Guidare la let-tura, cercare di ottenere una buona lettura non si ottiene so-lo attraverso ordini diretti. Consiste anche, e forse soprattut-to, nel dare al lettore, definitivamente ipotetico, tutte le in-formazioni giudicate, dall”autore, necessarie a questa buonalettura. E i consigli stessi hanno tutto l”interesse a presentarsisotto forma di semplici informazioni: informazioni, per esem-pio, nel caso in cui questo possa interessarvi, circa il modo incui l'autore desidera essere letto. Hugo presentava le cose inquesto modo con tutte le precauzioni necessarie, ma anche contutta la chiarezza possibile, nella prefazione delle Contempla-tions: « Se un autore potesse avere qualche diritto di condizio-nare la disposizione di spirito dei lettori che aprono il suo

' Cfr. Novalis, Fragmente und Studien, Reclam, Stuttgart 1984.

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libro, l'autore delle Contemplations si limiterebbe a dire que-sto: questo libro deve essere letto come si leggerebbe il librodi un morto ››. Questa è indubbiamente l'informazione supre-ma, ma ce ne sono altre, piú umili, che possono contribuire aguidare un lettore docile. Roland Barthes par Roland Barthes,non esattamente nella prefazione, ma, come abbiamo visto,cliché dell'autografo sul risvolto di copertina: «Tutto ciò de-ve essere considerato come se fosse detto da un personaggiodi un romanzo ››. Da parte di chi aveva decretato, dopo mol-ti altri, la «morte delliautore», ecco un ordine del tutto auto-riale, per non dire del tutto autoritario. Nessuno, bisogna peròammettere, l'ha preso alla lettera.

Genesi.

La prefazione originale può informare il lettore circa l'ori-gine dell”opera, le circostanze della sua redazione, le tappe del-la sua genesi. «Questa raccolta di riflessioni e di osservazio-ni, - ci dice Jean-Jacques nella prefazione dell'Emile, - vennecominciata per compiacere una brava madre che sa pensare ››.Si pensi a quei romanzi e cronache del medioevo che indica-vano subito la commissione e (contrariamente a Rousseau) ilnome del committente. L'avvertenza originale della Vie deRancé ci ricorda che questo estremo capolavoro era stato or-dinato all'autore dal suo direttore spirituale, l'abate Séguin,alla cui memoria è inevitabilmente dedicato. La prefazione ori-ginale del Génie du Christianisme comporta sicuramente la piúcelebre e la piú drammatica (ma anche la piú contestata) del-le informazioni di questo genere: è la morte di sua madre, rad-doppiata da quella di sua sorella (« di cui si è servita la Prov-videnza per ricordarmi dei miei doveri ››), che ha condottoChateaubriand sulla via della fede. «Non ho ceduto, lo am-metto, a grandi illuminazioni soprannaturali; la mia convinzio-ne è dettata dal cuore: ho pianto, e ho creduto ››. Il progettodel Génie è derivato da questa conversione del cuore, che nechiarisce evidentemente lo spirito. E ancora Chateaubriandche, nella premessa del 1846 ai Mémoires d 'outre-tombe, indi-ca le circostanze, piú profane, di quest'opera di grande re-spiro, scritta in diversi luoghi, in tempi diversi, e nella qualesi mescolano incessantemente (è l”autore ad annunciarlo) le

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epoche della vita e quelle della redazione, l'Io raccontato e l'Ioraccontante. Le prefazioni dell'edizione delle Gšuvres com-plêtes insistevano già su questo contesto biografico delle opere,ma si trattava di prefazioni tardive. La componente autobio-grafica che si associa a una funzione come questa è in effettipiú tipica di questo paratesto retrospettivo, e la ritroveremoa questo proposito, sempre in Chateaubriand e in qualcun altro.

Un aspetto particolare (e che non implica piú cosí diretta-mente la biografia) di questa informazione genetica è l'indi-cazione delle fonti. Essa è caratteristica delle opere di finzionead argomento storico o leggendario, dato che la finzione «pu-ra ›› è in linea di principio priva di fonti, e le opere propriamen-te storiche le indicano piuttosto nei dettagli del testo o nellenote. Tale indicazione si trova dunque in particolare nelle pre-fazioni delle tragedie classiche e dei romanzi storici. Corneillee Racine non trascurano mai di citare le loro fonti, e Tite et Bé-renice, per esempio, non presenta altro paratesto che gli estrat-ti di Dione Cassio sui quali si basa questo dramma. Nel casoin cui l'autore abbia dovuto eccezionalmente inserire un per-sonaggio estraneo all'azione originale, se ne scusa (come faCorneille per Sertorius: «Sono stato obbligato a ricorrere all'in-venzione per introdurre due [donne] ››), o allega una fonte la-terale: Racine per l'Aricia di Phêdre, che dichiara di aver tro-vato in Virgilio, o per l'Erifila di Iphigénie, in Pausania. L'a-nonimato iniziale e le ulteriori finzioni di autori sono forse ciòche impedisce a Walter Scott di indicare le proprie fonti nellesue prefazioni originali, ma colmerà questa lacuna nel 1828:esempio tipico di recupero. La prefazione originale di Bug-]ar-gal cita le testimonianze e i documenti sui quali si fonda la suastoria della rivolta di Santo Domingo. Tolstoj, in Guerra e Pa-ce, non cita né menziona precisamente le sue fonti, ma le evo-cain un modo piuttosto intimidatorio, e si dichiara pronto aprodurle in caso di contestazione: «Ovunque nel mio romanzoparlino e agiscano dei personaggi storici non ho inventato nul-la, mi sono servito dei materiali che ho trovato e che, riunitinel corso del mio lavoro, costituiscono un'intera biblioteca;non ritengo utile dare qui i titoli di queste opere alle quali pos-so in ogni momento riferirmi››.

Dovremmo inoltre, mi pare, considerare come un caso par-ticolare dell'indicazione delle fonti i ringraziamenti rivolti allepersone e istituzioni che, in modi diversi, hanno aiutato l'au-

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tore nella preparazione, redazione 0 fabbricazione del suo li-bro; modi molto diversi: grazie alle loro informazioni, ai loroconsigli, alle loro critiche, alla loro assistenza dattilografica 0tipografica, al loro aiuto morale, affettivo o finanziario, allaloro pazienza 0 impazienza, alla loro lucidità 0 cecità, alla loropresenza discreta o alla loro imponente assenza. Ne avrò di-menticato sicuramente alcuni, e non mi potrei perdonare dicalpestare una materia cosí delicata, mi sembra comunque in-negabile che la loro espressione pubblica faccia parte, cosí co-me la dedica d'opera, dell'informazione del lettore, e forse an-che di una forma obliqua di valorizzazione: un autore che hatanti amici e compagne non può essere del tutto scadente. Peressere onesto dovrei però aggiungere che questa rubrica com-movente e, Dio sa perché, tipicamente universitaria, è a vol-te - specialmente in inglese con il titolo acknowledgments -,l'oggetto di un elemento separato del paratesto, che io annettoun po' bruscamente alla prefazione.

Scelta di un pubblico.

Guidare il lettore significa anche e soprattutto situarlo edunque determinarlo. Non è sempre prudente rastrellare intutte le direzioni, e gli autori hanno spesso un'idea piuttostoprecisa del tipo di lettore che desiderano, o sanno di poter in-teressare; ma anche di quello che desiderano evitare: nel ca-so di Spinoza i non-filosofi '. Balzac, come sappiamo (e si sa-peva soprattutto al suo tempo) aveva in mente in particolareil pubblico femminile, di cui voleva essere l'analista piú com-petente, pur non dichiarandolo apertamente nelle prefazioni.Quest°obiettivo, che per molti aspetti è antico quanto il ro-manzo (agli uomini l'epica, alle donne il romanzesco), l'abbia-mo già visto espresso da Boccaccio che si rivolge alle sue «ama-bili lettrici››, e può essere letto come una parodia nel prologodi Gargantua che si rivolge ai bevitori e ai sifilitici, emblemae porzione non trascurabile dell'altro sesso. Ho già menzionatoa proposito del destinatario la scelta di Barrès e Bourget delpubblico adolescente, che viene cosí resa esplicita nella prefa-

' Prefazione al Tractatus theologico-politicus, citato da J.-M. Schaeffer,Note sur la préface philosophique cit.

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zione di Un homme libre: << Scrivo per i bambini e tuttii gio-vani. Se accontentassi gli adulti, ne sarei lusingato, ma non èaffatto utile che mi leggano. Hanno già fatto le esperienze cheracconterò». Queste determinazioni del pubblico, o piú esat-tamente dei lettori, non sono necessariamente da prenderesempre alla lettera: a volte ci si rivolge ad altri attraverso la fa-scetta, sperando di toccarli sul vivo (« Perché non io? »), comealcune pubblicità snob, 0 come indubbiamente faceva lo slo-gan classico: scrivere per il pubblico ideale, 0 simbolicofdeimaestri scomparsi: <<Cosa direbbero Omero e Virgilio se leg-gessero questi versi? Cosa direbbe Sofocle se vedesse rappre-sentare questa scena?... Questi sono, per servirmi di un pen-siero di un Antico, i veri spettatori che dobbiamo proporci››(prefazione di Britannicus). Slogan ribaltato da Stendhal chepretendeva (passim, ma per la verità non nelle prefazioni) dirivolgersi al pubblico del 1880, o del 1950. E superbamenterinnovato, via Stendhal, da Pascal Quignard: ' «Spero dies-sere letto nel 1640».

Commento del titolo.

«Una prefazione, - scriveva Jean Paul nella prefazione delsuo Doyen juhilaire, - non dovrebbe essere nient°altro che unfrontespizio piú lungo (ma sappiamo che i frontespizi del xvmsecolo erano a volte molto lunghi). La presente ha come uni-co scopo quello di spiegare la parola appendice che appare neltitolo ›>. Era questo un modo di indicare una nuova funzionedella prefazione, possibilmente originale: il commento giusti-ficativo del titolo, tanto piú necessario se il titolo, lungo o bre-ve, è piú allusivo, 0 addirittura enigmatico. Aulo Gellio, nelsuo preambolo delle Noctes atticae, spiegava questo titolo de-scrivendo le circostanze nelle quali si era << divertito a redigernei saggi ››. Ho letto da qualche parte che un romanzo di Paul deKock intitolato Le cocu comportava una «prefazione per spie-gare il titolo ›>; non avendo potuto verificarlo dato che la Bi-blioteca Nazionale è chiusa la domenica, ignoro il motivo percui questo titolo apparentemente limpido richiedesse una spie-gazione, che era forse una scusa. Anche Cervantes sottovalu-

' P. Quignard, Noêsis, in «Furor››, n. 1 (1980).

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tava la capacità ermeneutica dei suoi lettori precisando per lesue Novelas e/emplares: << Le ho chiamate esemplari poiché, seci pensi bene, non ce n'è una dalla quale non si possa ricava-re qualche utile esempio ››. Piú necessaria, mi sembra, questaprecisazione di Swift a The Tale of the Tub: per impedire al-le balene di attaccare la loro barca, i marinai di solito metto-no una botte fuori bordo in modo da ingannarle e sviarle; è ilcaso di questo libro spedito per contrapporsi al Leviathan diHobbes. Nell'intr0duzione (primo capitolo) di W/averley, Scottdà una lunga giustificazione del suo sottotitolo Sessant'anni fa,che testimonia una acuta consapevolezza delle connotazionigeneriche dell”epoca: se avessi scelto Storia di altri tempi, i let-tori si sarebbero aspettati un romanzo gotico nello stile diMme Radcliffe; Romanzo tradotto dal tedesco, una storia di il-luminati; Storia sentimentale, una giovane eroina dai capellilunghi; Storia di oggi, una persona di mondo alla moda; ho pre-ferito Sessant'anni fa per annunciare un soggetto che non è neantico né contemporaneo, poiché «il mio scopo è stato quel-lo di dipingere gli uomini piuttosto che i costumi».Il commento del titolo può essere una difesa contro le cri-

tiche subite o anticipate. Corneille si scusa di avere intitola-to Rodogune un'opera la cui eroina si chiama Cleopatra (si sa-rebbe potuta confondere con la regina d'Egitto), e Racine diaver intitolato Alexandre un'opera il cui vero eroe, secondo icritici (ma non secondo l'autore), è Porus. Questo commentopotrebbe servire come giustificazione di un cambiamento dititolo rispetto a quello apparso sugli annunci, nell”anticipazio-ne di una prepubblicazione: nell'« Avvertenza quasi letteraria ››(seguita da una «nota eminentemente commerciale ››) del Cou-sin Pons, Balzac spiega questo nuovo titolo (l'annunci0 dice-va: Les deux musiciens) col desiderio di sottolineare una sim-metria con La cousine Bette, e di rendere cosí <<molto visibilel'antagonismo delle due parti della Histoire des parents pau-vres». Può inoltre essere l'indicazione di una specie di penti-mento tardivo: nella prefazione di Volupté, Saint-Beuve si scu-sa del titolo un po' troppo attraente, ma che non ha potuto es-sere corretto in tempo; nella sua prefazione (ulteriore) a Re-née Mauperin, Edmond de Goncourt si domanda: «RenéeMauperin è questo il vero, il giusto titolo di questo libro? LaJeune Bourgeoise, il titolo con il quale mio fratello ed io ave-vamo annunciato il romanzo prima che fosse terminato, non

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avrebbe definito meglio l'analisi psicologica della gioventúcontemporanea che abbiamo tentato nel 1864? Ma ora è ve-ramente troppo tardi per ribattezzare questo volume ››. E Hu-go in L'homme qui rit: << Il vero titolo di questo libro dovreb-be essere L'aristocratie››; e Bourget, per La terre promise: « Seun simile titolo non fosse sembrato troppo ambizioso questolibro si sarebbe chiamato Le droit de l'enfant››. Simili ammis-sioni di esitazione hanno l°effetto, e anche, mi pare, il fine, disuggerire una specie di sottotitolo ufficioso. O, piú sottilmen-te, di indicare una sfumatura voluta rispetto a un approcciopiú banale concepito inizialmente: «Parlando di una Poétiquede la rêverie, - scrive Bachelard, - anche se il semplice titoloLa rêverie poétique mi ha a lungo tentato, ho voluto sottolinea-re la forza di coerenza che riceve un sognatore quando è ve-ramente fedele ai suoi sogni e che i suoi sogni assumono unacoerenza proprio dal loro valore poetico». E Northrop Frye,all'inizio di The Great Code: << Il sottotitolo del mio libro nonè esattamente la Bibbia in quanto letteratura» '. La prefazionepuò infine mettere in guardia dai suggerimenti ingannevoli, erappresentare dunque una specie di correzione parziale del ti-tolo: tutti sanno come Rabelais, all'inizio di Gargantua, cerchidi sviare il sospetto di «burle, buffonate e allegre menzogne ››che potrebbe generare «l'insegna esterna (cioè il titolo) ›› delsuo libro.

Oggi questa funzione di commento del titolo viene, comeabbiamo visto, piuttosto svolta dal priêre d'insérer - la cuiazione è evidentemente piú prossima e piú immediata -, opiú obliquamente, e abbiamo visto anche questo, dall'epigrafe.

Contratti di finzione.

Una funzione quasi inevitabilmente riservata alle opere difinzione, e particolarmente alla finzione romanzesca, consistein ciò che chiamerò (con la sfumatura di sospetto che viene as-

' E in effetti La Bibbia e la letteratura. Per quanto riguarda il titolo, Fryelo giustifica attraverso una specie di epigrafe integrata che ne fornisce la fon-te: «Blake diceva: l”Antico e il Nuovo Testamento sono il Grande Codice del-l'Arte, un'espressione che ho utilizzato per il mio titolo dopo aver meditatonumerosi anni sulle sue implicazioni».

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sociata a questo termine) una dichiarazione di finzionalità. In-numerevoli sono le opere classiche la cui prefazione mette inguardia contro ogni tentazione di cercarne alcune chiavi nellepersone e nelle situazioni, o come si diceva piú volentieri al-lora, alcune << applicazioni ››. Ho menzionato la prefazione allaprima parte dell'/lstrée. L'avvertenza del libraio a La princessede Montpensier insiste sul carattere «effettivamente favoloso ››di questo racconto. La Bruyère (fuori finzione?) crede di «po-ter protestare contro [...] ogni falsa applicazione» dei suoi ri-tratti. Gil Blas (<<Dichiarazione dell'autore ››): «Dato che ci so-no delle persone che non saprebbero leggere senza fare delleapplicazioni dei personaggi viziosi o ridicoli che trovano nelleopere, dichiaro a questi lettori maliziosi che avrebbero tortoad applicare i ritratti che si trovano nel presente libro. Lo con-fesso pubblicamente: mi sono proposto di rappresentare la vitadegli uomini per quello che è; Dio non voglia che abbia ayu-to l'intenzione di designare qualcuno in particolare! ›› Les Ega-rements du coeur et de l'esprz`t: «Ci sono dei lettori astuti cheleggono solo per fare delle applicazioni [. . .] Le applicazioni la-sciano il tempo che trovano: o ci si stanca presto di farle, o so-no cosí futili da cadere nel nulla ›>. Adolphe, prefazione alla se-conda edizione: <<Ho già protestato contro le allusioni che unamalignità che aspira al merito della penetrazione, grazie ad as-surde congetture, ha creduto di trovarvi. Se avessi realmen-te dato luogo a simili interpretazioni [...], mi considererei de-gno di un rigoroso biasimo. .. Cercare delle allusioni in un ro-manzo significa preferire la pedanteria alla natura, e sostituirei pettegolezzi alfosservazione del cuore umano ››. La forma piúingenua di «applicazione» consiste nell'attribuire all”autore leopinioni o i sentimenti dei suoi personaggi: ci sono dei «let-tori astuti›› troppo astuti per leggere le virgolette, per non par-lare delle sottigliezze dello stile indiretto libero, di cui si dicea volte, e non completamente a torto, che siano valse il pro-cesso a Madame Bovary: o degli amalgami tra pensiero dell'au-tore e opinioni «prestate ›› al narratore: «Malgrado l”autoritàdella cosa passata in giudicato, molte persone cadono nel ridi-colo rendendo uno scrittore complice dei sentimenti che egliattribuisce ai suoi personaggi; e se impiega l'z'0 sono quasi tuttitentati di confonderlo con il narratore ›› (prefazione al Lys dansla vallée).

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Tali dichiarazioni si trovano ancora nelle prefazioni moder-ne, come quelle di Gilles', in cui Drieu afferma contempora-neamente che in questo romanzo non ci sono chiavi e che «tut-ti i romanzi sono a chiave ››, e in quelle di Aragon che sfruttaa sua volta questo facile paradosso sul quale torneremo in se-guito. Ma oggi la forma piú frequente, forse presa in prestitoda una pratica familiare al cinema, è quella di un avviso sepa-rato del tipo: «I personaggi e le situazioni di questo raccontosono fittizi, qualsiasi somiglianza con persone o situazioni esi-stenti è puramente casuale». Una tale formula, si sa, ha unafunzione giuridica, con lo scopo di evitare i processi di diffa-mazione, senza riuscirci sempre. Si tratta allora di un vero eproprio contratto di finzione. Ne ho trovate, cercando, un po'a caso, diverse varianti all'inizio, per esempio, di Aurélien, deiVoyageurs de l'impériale, di La semaine sainte, di Féerie pour uneautre fois, di L'antiquaire di Henri Bosco, del Sot-Weed Factordi John Barth, dei Boalevards de ceinture di Modiano, o del Baldes débutantes di Catherine Rihoit. La formula può venire an-che rovesciata (The Green Hills ofAfrica: «Al contrario di mol-ti romanzi, nessuno dei personaggi o avvenimenti di questo li-bro è immaginario ›>; Le dimanche de la vie: <<I personaggi diquesto romanzo sono reali, ogni rassomiglianza con individuiimmaginari è puramente casuale ››), o diversamente sovverti-ta (La vie mode d'emploz': << L'amicizia, la storia e la letteraturami hanno fornito alcuni personaggi di questo libro. Qualsia-si altra rassomiglianza con individui viventi o realmente o fit-tiziamente esistiti è puramente casuale». Alain Jouffroy, Le ro-man vécu: «Tutti i fatti, tutti i sentimenti, tutti i personaggi,tutti i documenti che sono serviti a questo romanzo che hoconsacrato a tutte quelle, a tutti quelli che hanno reso la miavita possibile, sono frutto dell'esattezza rigorosa della mia im-maginazione. Chiedo scusa alla realtà ››). La maison de rendez-vous comporta due varianti, piuttosto rigorosamente contrad-dittorie. Francis ]eanson ne dispone una, deliberatamenteinappropriata, all'inizio del suo Sartre dans sa vie: «Il perso-naggio centrale di questa storia è completamente immaginario.E tuttavia difficile sottovalutare il rischio che si vengano a sta-bilire alcune correlazioni tra i comportamenti di qualcunochiamato ]ean-Paul Sartre e la pura finzione del libro: l”auto-

' Prefazione alla nuova edizione, integrale, del 1942 (originale: 1939).

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re desidera in ogni caso segnalare che ammetterebbe difficil-mente di essere considerato responsabile per incidenti di que-sto genere ››. Ed ho già citato una o due volte la formula dene-gativa che apre il Roland Bartbes par Roland Bart/aes.

Dovrebbe essere chiaro il motivo per cui ho annesso allaprefazione queste formulazioni autonome del contratto di fin-zione, che sembrano essersene distaccate solo recentemente.Ma potrebbero anche essere considerate come degli annessidell'indicazione generica, che spesso rafforzano quando nonla contraddicano apertamente. Conferme e smentite che biso-gna, naturalmente, prendere con le pinze, o assorbire cum gra-no salis, poiché da sempre la negazione di «qualsiasi rassomi-glianza» ha la doppia funzione di proteggere l'autore controle eventuali conseguenze delle << applicazioni ›› e di lanciare ilettori, immancabilmente, alla loro ricerca.

Ordine di lettura.

Talvolta è utile avvertire il lettore, sempre attraverso la pre-fazione e grazie a un'esplicazione dell'indice, circa l'ordineadottato nel libro. E ciò che faceva per esempio quasi sistema-ticamente Bachelard, ed è un atteggiamento didattico, addi-rittura pedagogico, che non può assolutamente essere adottatoda una prefazione di un'opera di finzione o poetica. Si può an-che indicare al lettore frettoloso qualche capitolo da trascurareeventualmente, o addirittura suggerirgli percorsi diversi, comefa Aragon per Henri Matisse, roman, o Cortázar per Raynela (Ilgioco del mondo). O al contrario esigere una lettura integralee secondo l'ordine stabilito: Max Frisch, avvertenza al lettoredel Diario 1946-1949 (Tagebuc/ø 1946-1949). E la forma piúbrutale della retorica del come: «Leggete questo libro cosí co-me è scritto ››.

Indicazioni di contesto.

Può capitare che un autore, per una ragione o per un'altra,pubblichi un'opera che, secondo lui, fa parte di un insieme inprogress e troverà il suo vero significato solo nel contesto fu-turo ancora insospettato dal pubblico. Situazione tipicamente

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balzachiana ', e che ricorda una produzione non meno balza-chiana come la prefazione originale provvisoria, il cui unicocqmpito è quello di avvertire il lettore di questa situazione diattesa e di dargli qualche idea sul seguito. «Queste avvertenzee queste prefazioni dovranno scomparire quando l'opera saràterminata e apparirà nella sua vera forma e completa ››, si leggeall'inizio del Cabinet des antiques (1839). Ma, fin dal 1833,Balzac metteva una prefazione a Ferragus, malgrado la sua «av-versione» per questo genere, dato che il racconto era un pezzostaccato dal seguito. La pubblicazione di Illusions perdues è co-stellata di simili avvertenze: per Les deux Poêtes (1837), aspet-tate la seconda parte; per Un grand /vomme de province à Paris(1839), aspettate la terza; e Les souflrances de l'inventeur (1843 ,sottotitolo David Séc/øard), è accompagnato dall'annuncio dialtre << scene» che chiariranno la presente. All°inizio di CésarBirotteau, il lettore veniva invitato ad accostarlo alla MaisonNucingen, come Le cure' de village a Le médecin de campagne, eil Cousin Pons alla Cousine Bette. All°inizio di Pierrette, l'autoresi lamenta ancora di questa pubblicazione separata che ma-schera la relazione della parte con il tutto; ma la prefazione piúimportante prima dell'Avant-propos del 1842 (che per moltiaspetti anticipa) è indubbiamente quella di Uneƒille d'Eve, cheillustra meglio questa compensazione ad una pubblicazionescaglionata attraverso «prefazioni esplicative ›› in cui l'auto-re diviene (bella metafora della funzione di guida) il «cicero-ne della sua opera», un'opera in cui tutto è necessario, in cuitutto, come nella vita, è « mosaico ›>; da cui un richiamo allastruttura d'insieme già annunciata nelle prefazioni delle pri-me raccolte; da cui l'idea, che Balzac suggerisce al suo edito-re e che la posterità critica si assumerà il compito di eseguire,circa l'utilità di un dizionario biografico degli Etudes desmceurs: «RASTIGNAC (Eugène-Louis), figlio maggiore del baro-ne e della baronessa de Rastignac, ecc. ››. Ma sappiamo cheBalzac non si fidava completamente della virtú monitoria delle

' La soluzione che chiamerei «flaubertiana» in riferimento a un sogno diGustave giovane, sarebbe «quella di un bel tomo che senza aver pubblicatoniente fino ai cinquant'anni un bel giorno improvvisamente fa apparire le sueopere complete, e si ferma li» (Lettera a Du Camp del maggio 1846, in Corres-pondance, I. 1830-1851, a cura dij. Bruneau, Gallimard, Paris 1973, p. 265).Questo proposito fascinava Gide (lournal, 12 luglio 1914), ma non so se siamai stato realizzato da qualcuno.

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prefazioni, e che moltiplicava nel testo stesso, paratesto inte-grato, le parentesi che rinviano da un romanzo all'altro. SeProust, che ironizza su questo procedimento nel suo pastiche,lo utilizza altrettanto bene, è forse perché avrebbe anche luisofferto di una pubblicazione scaglionata. E se nel 1913 siastiene dallo scrivere una prefazione monitoria, lo fa solo perricorrere ad un altro mezzo, meno ufficiale ma forse piú effi-cace: quello dell”intervista pubblicata la sera stessa in cui esceSwann, e il cui messaggio era esattamente di quest'ordine. Laritroveremo al suo posto.

Queste ingiunzioni ad attendere il tutto prima di giudica-re il frammento comportano un rischio evidente: distogliereil pubblico da una lettura immediata, e spingerlo ad attendereeffettivamente la pubblicazione completa per un acquisto«collettivo ›› delle opere. Vediamo anche autori assortire taliingiunzioni con una retorica molto equilibrata, come Hugo al-l'inizio della prima serie (1859) della Légende des siêcles. Que-sto volume, dice, non è altro che un inizio, ma è sufficiente inse stesso, cosí come un peristilio è già un monumento: «Esi-ste solitariamente e forma un tutto; esiste solidalmente e faparte di un insieme ››. Un invito anticipato a leggere due vol-te: una prima volta, fin da adesso, come << un tutto ›>, una se-conda, piú tardi, come una << parte di un insieme». Zola, perLes Rougon-Macquart, userà un'altra strategia, mettendo all'i-nizio della Fortune des Rougon una prefazione che riguarda an-ticipatamente l'insieme. Cosí il lettore al di là di questo pri-mo episodio si sente già coinvolto in una lettura piú vasta. Einoltre piú o meno Fatteggiamento di Frye nell'introduzionea T/oe Great Code: << Dopo aver riflettuto molto, ho deciso dieliminare dal frontespizio la menzione minacciante Volume I,perché vorrei che ciascun libro che pubblico sia un'unità com-pleta in sé. Un secondo volume è comunque attivamente inpreparazione, e questa Introduzione riguarda in parte an-ch'esso ››.Altri, infine, approfittano semplicemente della prefazione

di un libro per annunciare il seguente. E il caso di Cervantesche nel prologo delle Novelas ejemplares, promette la pubbli-cazione di Persiles e del secondo Quiiote. Poi, nel prologodel secondo Qui/'ote, di nuovo Persiles e la seconda parte diGalatea. E Paludes ebbe nel 1897 una effimera postfazione ul-teriore intítolata: «Postfazione per la seconda edizione di Pa-

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ludes e per annunciare Les nourritures terrestres››. Promessemantenute, missione compiuta. Non è sempre cosí, ed è que-sto il pericolo maggiore di questi «effetti-annunci››. Non bi-sogna essere superstiziosi.

Dichiarazioni di intenzione.

Una delle piú importanti funzioni della prefazione originaleconsiste forse in un'interpretazione del testo da parte dell'au-tore, o, se si preferisce, in una dichiarazione riguardante le sueintenzioni. Un tale procedimento è apparentemente contrarioa una certa vulgata moderna, formulata in particolare da Va-léry, che rifiuta all'autore qualsiasi padronanza sul «vero si-gnificato», e che nega addirittura l'esistenza di un tale signi-ficato. Dico una «certa›› vulgata, perché essa non è ovviamen-te condivisa da tutti, senza contare quelli che la professano so-lo a mezza bocca, per presa di posizione modernista, senza cre-dervi minimamente nel loro intimo e senza fare a meno diridicolizzarla, se non proprio in tutte le prefazioni, almeno nel-le interviste, conversazioni e cene. Immaginatevi come verreb-be accolta da Proust, benché egli sia decisamente avverso aqualsiasi critica biografica: un'interpretazione della Recherchenon conforme alla teoria originaria sviluppata nel Temps re-trouvé e accuratamente anticipata nell'intervista appena men-zionata. Ciò che egli rimproverava a Sainte-Beuve, come sap-piamo, non era il ricorso all'intenzione profonda dell'autore,ma proprio il fatto di trascurarla in favore di una chiacchierasuperficiale a proposito delle circostanze esterne della creazio-ne. Dico inoltre << apparentemente ››, poiché lo stesso Valérynon pretendeva di non avere nessuna interpretazione perso-nale della sua opera: evitava solo di imporla ai lettori, poichénon riteneva che si trattasse dell'interpretazione piú giusta.Ma torneremo su questo punto.

Curiosamente la prima prefazione moderna in senso lato,o almeno quella che abbiamo simbolicamente consacrato ta-le, il prologo di Gargantua, adottava già una posizione di que-sto tipo, facendone il suo tema principale. Non tornerò quisulla lunghissima e intricata controversia suscitata da questotesto deliberatamente ambiguo, controversia che uno dei suoipiú recenti partecipanti ha giustamente definito come «caciara

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critica ›› '. Ricordo solo che Rabelais, dopo aver invitato ilsuo lettore a passare oltre le scherzose promesse del titolo infavore di una interpretazione di «un piú profondo significa-to ›› e di una «dottrina piú astrusa››, aggiunge immediatamenteche queste profondità ermeneutiche, come quelle che si voglio-no trovare in Omero o Ovidio, rischiano spesso di sfuggire alloro autore. Il fatto che vi sia qui una satira degli eccessi inter-pretativi della scolastica, ed anche una manovra per attirareun nuovo pubblico piú esigente di quello di Pantagruel promet-tendogli dei tesori nascosti, di cui lui stesso, come l'aratore diLa Fontaine, è ignaro, non cambia minimamente la strategiad'insieme, che consiste nel suggerire al lettore un procedimen-to interpretativo invitandolo, anche se completamente a caso,a penetrare fino al midollo.

Tra Rabelais e Valéry (e oltre, naturalmente), la pratica au-toriale è generalmente meno sottile o meno equivoca: essa con-siste nell'irnporre al lettore una teoria «indigena ›› definita at-traverso l'intenzione dell'autore, presentata come la piú sicurachiave interpretativa, e a questo riguardo la prefazione costi-tuisce uno degli strumenti del controllo autoriale. Il fatto chequesta teoria non sia sempre sincera appare evidente dalle in-numerevoli dichiarazioni edificanti che circondano i roman-zi piú libertini o i saggi piú sovversivi del XVIII secolo, e la cuiipocrisia necessaria ha lasciato molte tracce nelle prefazioni delXIX e addirittura del XX secolo. Paul Morand se ne lamentavanon molto tempo fa nella sua prefazione a Nouvelles des yeux:«Una recente raccolta delle piú celebri prefazioni del XIXsecolo 2 ha appena messo in luce la loro inutilità. La loro uni-ca e comune giustificazione: provare che l'opera presentatanon è immorale e che l'autore non merita la prigione. Questapreoccupazione oggi non ci riguarda piú ›› (talvolta tuttavia sirischia di liquidare alcuni problemi reali). Che tale teoria nonsia neanche sempre penetrante, lo ha mostrato la critica bal-zachiana dopo Zola a proposito del celebre divorzio tra le pro-clamazioni ideologiche dell'./lvant-propos del 1842 e gli storici

' G. Defaux, D'un prohlême l'autre..., in «Revue d'histoire de la languefrançaise», marzo 1985.' Si tratta certamente dell'/lnthologie des préfaces de roman: français du

XIX* siêcle, edita nel 1962 da H. S. Gershman e K. B. Whitworth e pubblica-ta in Francia, Julliard, Paris 1964.

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insegnamenti della Comédie humaine. Resta il fatto comunque,non meno evidente, che queste dichiarazioni di intenzione pa-ratestuali sono presenti, e che nessuno, volente 0 nolente, puòignorarle.Il loro tema comune è dunque pressappoco: «Ecco quello

che ho voluto fare ››, e la breve prefazione della Montagna in-cantata (Der Zauherherg) s'intitola perfino (come potrebberointitolarsi tutte), « Disegno ›› '. Cervantes, come sappiamo,definisce l'intenzione del Chisciotte come quella di un'« invet-tiva contro i romanzi di cavalleria», malgrado i dubbi che unalunga tradizione interpretativa abbia potuto gettare su questoproposito. La dedica di Tom Iones afferma che l'autore si è«sinceramente sforzato in questo racconto di lodare la bontàe l'innocenza, di mettere in guardia contro Fimprudenza, e dicostringere attraverso il riso gli uomini ad abbandonare le lorofollie e i loro vizi preferiti». Le génie du Christianisme vuoleprovare << che la religione cristiana è la piú poetica, la piú uma-na, la piú favorevole alla libertà, alle arti e alle lettere ›› e, at-traverso il suo episodio di René, «denunciare questa specie divizio nuovo (l'onda delle passioni) e dipingere le conseguen-ze funeste dell'amore oltraggiato dalla solitudine». Constant,nella prefazione del 1 824 a Adolphe, dichiara: « Ho voluto ri-trarre il male che fanno provare anche ai cuori aridi le soffe-renze che essi causano, e questa illusione che li porta a credersipiú leggeri e piú corrotti di quanto non siano ››. Nel I842, Bal-zac invoca la filosofia politica di Bossuet e di Bonald per pre-sentare un'opera scritta « alla luce di due verità eterne: la Re-ligione, la Monarchia». Zola riprende la formula volitiva al-l'inizio di Thérêse Raquin: «Ho voluto dei temperamenti e nondei caratteri», o dei Rougon-Macquart: << Voglio spiegare comeuna famiglia [. . .] si comporti in una società [...] Non cercheròdi trovare e di seguire [. . .] il filo che conduce matematicamen-te da un uomo a un altro ››. E tutti sanno ciò che Proust ha vo-luto mostrare nella Recherche; ma tutti sanno anche che nonsi è degnato di affidare la sua professione di fede a una sem-plice prefazione.

Prenderò in prestito da due scrittori contemporanei dueformule di interpretazione autoriale che mi sembrano le piú

' Il termine tedesco è a dire il vero un po” piú ambiguo: Vorsatz si usa an-che per designare un foglio di guardia.

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categoriche, le meno inibite dallo scrupolo di Valéry. La pri-ma si trova, è vero, in una prefazione tardiva, quella del 1966per Aurélien: «L'impossibilità della coppia è l'argomento diAurélien». Peggio per quelli che credevano di percepirne altridue o tre: dovranno sforzarsi di aggirare questo ingombrantecartello indicatore, e non sarà cosí facile'. La seconda è in-dubbiamente ancora piú intimidatoria, perché si presenta unpo' come la chiave di un enigma, o per lo meno come la tradu-zione di una figura: è Borges che rivela, nel prologo di Piccio-nes (Artifici): << Funes, o della memoria è una'lunga metafora del-l'insonnia››. Dopo di ciò è impossibile leggere il racconto senzache questa interpretazione autoriale pesi sulla vostra letturae la costringa a determinarsi, positivamente o negativamente,in rapporto ad essa.

Definizioni generiche.

La nostra ultima funzione potrebbe benissimo passare peruna variante della precedente, che sviluppa in una direzionepiú istituzionale, o piú preoccupata, del campo, tematico o for-male, nel quale si iscrive una singola opera. Tale preoccupazio-ne riguardante la definizione generica non ha mai coinvolto al-cune zone ben determinate e codificate come il teatro classi-co, per il quale viene reputata sufficiente una semplice indi-cazione paratitolare (tragedia, commedia); essa appare invecepiuttosto evidente in quelle :frange indecise in cui viene eser-citata una certa innovazione e, in particolare, nelle epoche di« transizione ›› come l'epoca barocca o gli inizi del romantici-smo; epoche in cui si cerca di definire tali deviazioni in rappor-to a una norma anteriore ancora percepita come tale. Vedia-mo cosí Ronsard resuscitare l'epopea antica dichiarando, inmodo un po' maldestro, nella prefazione della Franciade che«questo libro è un romanzo come l'Iliade e l'Eneide 2». Vedia-

' Les Entretiens avec F. Crémieux, registrati da ottobre 1963 a gennaio1964, erano un po' meno intimidanti, poiché applicavano la stessa formulaanche ai Voyageurs de l 'impériale_(Gallimard, Paris 1964, pp. 95-96). Nel frat-tempo, Aragon ha dovuto considerare opportuno «centrare» meglio la suaformula.

2 Prefazione originale del 1572. Ma la prefazione tardiva, edita postumanel I 587 (e che fu forse terminata da Claude Binet), sarà una vera e propriaarte poetica del «poema eroico», di spirito molto aristotelico: rispettare 1'uni-

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mo Saint-Amant giustificare Findicazione generica parados-sale del Moysé sauvé («idillio eroico ››) con l'assenza del-l'« eroe agente ››, di battaglie o di assedi, e con la predominanzadel «liuto ›› rispetto alla << tromba ››, in altre parole, del lirico ri-spetto all'epico. O La Fontaine giustificare l”indicazione ge-nerica di Adonis (« poema ››) per la sua appartenenza al gene-re eroico mentre il suo tema e le dimensioni Forienterebberopiuttosto verso `l'idillio '; o Corneille quella di Don Sanched 'Aragon (« commedia eroica››), a causa di un intrigo comicoche si svolge presso i nobili, o in altre parole, grazie all'inter-sezione dei due criteri aristotelici della qualità dell'azione equella dei personaggi.

Bernardin de Saint-Pierre definisce laconicamente Paul etVirginie una « specie di pastorale ›>; Chateaubriand, Atala una« sorta di poema, a metà descrittivo, a metà drammatico ›>, Lesmartyrs un'« epopea in prosa››, e Les Natchez come testo epi-co nella prima parte e romanzesco nella seconda. Ma il senti-mento dell'innovazione generica può essere piú forte e dare al-la prefazione l'accento di un vero e proprio manifesto. Que-sti testi fondatori sono molto conosciuti e non farò altro chericordarli. E il caso della prefazione di ]oseph Andrews, in cuiFielding definisce il nuovo romanzo un°« epopea comica inprosa ›› (comica alla Hogarth, e non burlesca come i suoi pre-decessori francesi: critica dell`affettazione e dell'ipocrisia).E il caso degli Entretiens sur le Fils naturel, in cui Diderot,dialogando con il protagonista Dorval, traccia a grandi lineeuna «poetica del genere serio ››, categoria drammatica a me-tà tra il comico e il tragico, ma che egli vuole tutta diversadal tragi-comico di Corneille, il quale «confonde due generilontani e separati da una barriera insormontabile ›>; poi il Dis-cours sur la poésie dramatique, postfazione al Pêre de famille,una nuova varietà di dramma borghese che si colloca tra il ge-nere serio e la commedia; e ancora l'Essai sur le genre drama-

tà di tempo di un anno, ricercare non la verità storica, ma il possibile e il vero-simile, inventare parole nuove, e preferire il decasillabo all'alessandrino, incui «si sente troppo la prosa ››. Su questa serie di prefazioni della Franciade,cfr. F. Rigolot, L'imaginaz're du discours prefaciel, in aa.vv., Studi di letteraturafrancese, XII, Olschki, Firenze 1986.

' Chapelain aveva già giustificato una simile indicazione generica nellasua prefazione all'Adone di Marino, che ritroveremo, ma La Fontaine sembraessersene dimenticato.

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tique sérieux, prefazione a Eugénie, in cui Beaumarchais, sul-le tracce di Diderot, insiste sulla differenza di quest'opera dal-la tragedia classica (abbandoniamo il terrore e atteniamoci soloalla pietà) e sulla necessità di una scrittura in prosa. E il casodella prefazione di Wordsworth per la seconda edizione del-le Lyrical Ballads, vero e proprio manifesto del lirismo roman-tico, poesia definita come << spontaneo traboccare di forti emo-zioni», rifiuto della «dizione poetica ›› classica in favore di unlinguaggio semplice quanto quello della prosa dal quale si di-stingue solo per il piacere del metro, gioco inesauribile dellasimilitudine e della differenza. E inoltre il caso, sicuramenteil piú famoso, della prefazione di Cromwell, manifesto deldramma romantico definito, come sappiamo, attraverso il sen-timento cristiano del conflitto tra l'anima e il corpo, il miscu-glio di sublime e di grottesco (lo stesso che condannava Dide-rot), e il rifiuto delle unità di tempo e di luogo; all”epoca pri-mitiva l'espressione lirica, all'epoca antica l'epica, all'epocamoderna quella drammatica: tutta una filosofia della Storia alservizio dell'invenzione, o piuttosto (Shakespeare) della resur-rezione di un genere'.

Per le ragioni che ho precedentemente indicato, l'invenzio-ne (relativa) del romanzo storico non veniva segnalata da Wal-ter Scott con nessun manifesto in forma di prefazione origi-nale, a parte qualche cenno nella dedica di Ivanhoe, come ve-dremo; ed anche le prefazioni tardive resteranno decisamentemodeste rispetto alla portata di un'innovazione che ebbe ta-li ripercussioni in tutta l'Europa 2. Ciò che potrebbe svolgereun ruolo simile è piuttosto la prefazione ulteriore (1827 per1826) del Cinq-Mars, anche se Vigny si preoccupa soprattut-to di sottolineare la propria originalità in rapporto almodel-lo scozzese insistendo sulla presenza, davanti alla scena, di per-sonaggi storici reali (come era già accaduto in Quentin Dur-ward). Ma la cosa importante è qui la distinzione proposta trail «vero ›› dei fatti e la «verità ›› dell'arte, in cui gli uomini piú

' «Le prefazioni come manifesti non cessano di scrivere la storia della let-teratura, nella modalità del racconto mitico ›› (I.-M. Gleizes, Maniƒestes, pré-faces, in «Littératun-:››, xxxix (1980)).

2 Si veda il numero speciale Le roman historique della «Revue d'histoirede la langue française», marzo 1975, e particolarmente sulla presenza di pre-fazioni in un genere che ne fu specialmente prodigo, C. Duchet, L'illusionhistorique: l 'enseignement des préfaces (1815-183 2).

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nobili e piú realizzati, sia nel bene che nel male, si trovano ele-vati « a una potenza superiore e ideale che ne concentra tuttele forze ›>; distinzione che viene inoltre specificata nella cele-bre formula (spesso non ben compresa): «La Storia è un ro-manzo di cui il popolo è l'autore», vale a dire, uno stadio in-termedio tra il vero ela verità della finzione, per il modo in cuila posterità attribuisce agli eroi della Storia parole e azioni am-piamente immaginarie che né gli attori, né successivamente glistorici potranno piú estirpare dalla credenza popolare. Ugual-mente preoccupato di distinguersi da un genere tanto ingom-brante quanto fantomatico, Tolstoj rifiuta di definire positi-vamente Guerra e Pace come romanzo storico. Ne redige per-tanto la dichiarazione (tardiva) definendo il disaccordo neces-sario tra il romanziere e lo storico: il primo deve restare fedelealla confusione dei fatti cosí come sono stati vissuti dai loro at-tori (modello implicito, naturalmente, l'episodio di Waterloodella Chartreuse), e in disparte rispetto alle costruzioni artifi-ciali elaborate successivamente dagli stati maggiori e ingenua-mente sottoscritte dal secondo. Potrebbe insomma darsi cheil romanzo storico abbia piú volentieri dato luogo ad afferma-zioni denegative (a cominciare dagli incogniti scottiani), e lacui formula caratteristica viene data da Aragon a propositodella Semaine sainte ': questo «non è un romanzo storico, èun romanzo e basta» - dichiarazione, a dire il vero, che vie-ne attenuata dal seguito: «Tutti i miei romanzi sono storici,pur non essendo in costume. La Semaine sainte, contrariamenteall'apparenza, è meno un romanzo storico ››.In questo senso, ovviamente, nessun romanzo è storico,

poiché ogni romanzo è storico. Era sicuramente cosí per Bal-zac che voleva essere il Walter Scott della realtà contempora-nea, il segretario della storica «Società francese», deciso a«scrivere la storia dimenticata da tanti storici, quella dei co-stumi». Ma, come sappiamo, egli non amava affatto definirele sue opere come romanzi Z. Balzac, inoltre, non attribuisce

' Intervista sulla rivista «Two Cities», 1959, ripresa in prefazione alleGuvres Romanesques Croisées ed edizioni ulteriori.

1 Egli non utilizza quasi mai questo termine, tranne che per designare ilsottogenere storico del tipo di Scott (« Quando Les Vendéens avranno strappa-to la palma del romanzo a W. S. ››, scrive a Mme Hanska il 26 gennaio 1835),0 per un'opera filosofico-fantastica come La peau de chagrin, integrata nel1831 alla raccolta intitolata Romans et Contes philosophiques.

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alla sua impresa una caratterizzazione esplicitamente generica(ma piuttosto epistemologica e ideologica). Il manifesto del ro-manzo « realista ››, se cosí può essere definito dopo quello di Io-seph Andrews, potrebbe piuttosto essere, ma in modo decisa-mente laconico, la prefazione di Germinie Lacerteux, un «ro-manzo vero ››: « Il Romanzo [notate la maiuscola] comincia adessere la grande forma seria [era questa la parola di Diderot],passionale, viva [...], la Storia morale contemporanea›› (l'ul-tima formula è perfettamente balzachiana). Piú eloquente laprefazione di Pierre et ]ean, la piú fedele allo spirito del mani-festo, poiché non vuole «difendere il breve romanzo che se-gue ››, ma occuparsi «del romanzo in generale ››, e del resto siintitola «Studio sul romanzo ››. E un elogio del realismo, op-posto al romanzo d'avventura e definito dalla sostituzione dimille «fili cosí fini, cosí segreti, quasi invisibili [_ . .] al posto diun'unica cordicella che si chiama intreccio ››. Ma questa tec-nica realista che vuole dare <<l'illusione completa del vero ›› de-ve scegliere tra due strade: quella dell'analisi psicologica equella dell'«oggettività ›>, che evita qualsiasi << disquisizione aproposito dei motivi» e si limita per decisione metodologica« a far passare sotto i nostri occhi i personaggi e gli avvenimen-ti», lasciando la psicologia nascosta nel libro cosí come essa ènella realtà nascosta dietro i fatti dell'esistenza». Vediamo chequesto manifesto tardivo del romanzo realista o naturalista'è anche un manifesto molto precoce del romanzo chiamato«behaviourista ››.

La prefazione-manifesto può infine militare per una causapiú generale di quella di un genere letterario. Quella di Made-moiselle de Maupin è un attacco contro l'ipocrisia morale, con-tro l'utilitarismo progressista, contro la stampa, e una profes-sione di fede in favore dell'« arte per l'arte ››: «Ciò che è vera-mente bello esiste solo in ciò che è perfettamente inutile; tuttociò che è utile è brutto ››. Quella di The Picture ofDorian Grayripete esattamente la stessa solfa: «Non esiste un libro che siamorale o immorale. I libri sono scritti bene o male. Tutto qui[...] Tutta l'arte è perfettamente inutile». Piú impegnata, quel-

' I manifesti naturalisti di Zola, è noto, non sono in forma di prefazione.Li si trova essenzialmente fra gli articoli raccolti nel 1880 con il titolo Le ro-man nataraliste.

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la di The Nigger ofthe Narcissus è una difesa appassionata, e an-che un po' grandiloquente, della missione dello scrittore, e del-l'artista in genere («L'artista, tanto quanto il pensatore o l'uo-mo di scienza, ricerca la verità per metterla in luce ››), che nonmenziona in nessun luogo il testo che la segue, e che potreb-be dunque perfettamente riguardare tutta l'opera di Conradnel suo complesso: una specie di Discorso di Stoccolma senzal'occasione `. Per quanto riguarda la prefazione del 1832 a LeDernier jour d 'un condamné, essa è, come sappiamo, un mani-festo contro la pena di morte, che è certamente in relazionecon il tema del romanzo, ma che trascende notevolmente ogniconsiderazione letteraria. Lo stesso Hugo progettava nel 1860per Les Misérahles una «prefazione filosofica›› rimasta incom-piuta, che voleva essere una difesa della religione, e piú pre-cisamente uno sviluppo di ciò che si potrebbe chiamare l”«ar-gomento democratico››: «L'uomo è solidale con il pianeta, ilpianeta è solidale con il sole, il sole è solidale con la stella, lastella è solidale con la nebulosa, la nebulosa, gruppo stellare,è solidale con l°infinito. Levate un termine a questa formula,il polinomio si disorganizza, l'equazione vacilla, la creazionenon ha piú senso nel cosmo e la democrazia non ha piú sensosulla terra›› 2. Niente di meno.

Scappatoie.

Questa rassegna troppo lunga (e allo stesso tempo lacuno-sa e illustrata in modo piuttosto aleatorio) delle funzioni dellaprefazione originale potrebbe far pensare che essa si impon-ga necessariamente a tutti gli autori. Fortunatamente non è af-fatto cosí, ed è questo il luogo per ricordare l'esistenza di in-numerevoli opere senza prefazione, e quella - meno innume-revole ma significativa - di autori che rifiutano il piú possibi-le questa forma di paratesto: un Michaux, un Beckett, e a suotempo un Flaubert, il quale spiega molto chiaramente questorifiuto in una lettera a Zola, del 1° dicembre 1871, a proposi-

' Pubblicata come «Nota dell'autore» con la prima sezione del romanzonella «New Review» del dicembre 1897, questa prefazione non venne ripresanelle prime edizioni del volume; pubblicata a parte nel 1902, essa serví daprefazione al terzo volume dei Works ofIoseph Conrad nel 1921.

Z Cfr. P. Albouy, La préface philosophique dei Misérahles (1962), in My-thographies, Corti, Paris 1976.

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to della Fortune des Rougon: «Disapprovo solo la prefazione.Secondo me, essa vizia la vostra opera che è imparziale e co-sí elevata. In essa confessate il vostro segreto, il che è troppoingenuo, ed esprimete la vostra opinione, una cosa che - nel-la mia poetica (mia particolare) - un romanziere non ha il di-ritto di fare ››. Bisogna inoltre notare - e terminerò il presen-te capitolo ricordando questa funzione paradossale -, la fre-quenza significativa dell'espressione, in molte prefazioni, diuna specie di riserva, falsa o sincera, rispetto a tale obbligazio-ne; obbligazione che viene spesso ricordata dall'editore, e sen-tita dall'autore come un dovere penoso da compiere', o chedà luogo a un testo fastidioso per il lettore, anche quando l'au-tore, ed è questo sicuramente il caso di un Fielding, uno Scotto un Nodier, vi si sia al contrario dedicato con un piacere evi-dente, pur considerandolo perverso. In tutti questi casi (e forsein qualcun altro) di cattiva coscienza, il compromesso piú ade-guato, e piú produttivo, consiste nell`esprimere il malesserenella prefazione stessa, sotto forma di scuse o di proteste varie.Scuse per la lunghezza: «Dio ti risparmi, lettore, le lunghe pre-fazioni! ›› (parola attribuita a Quevedo da Borges in quella del-l'Informe de Brodie; «prefazione troppo lunga» (Essai sur les ré-volutions), «nota troppo lunga ›› (Han d 'Islande). Scuse per lanoia: ne]l'introduzione delle Lettres persanes, Montesquieu di-chiara di fare a meno di elogiare il testo: << Sarebbe una cosatroppo noiosa, posta in un luogo già molto noioso in se stes-so: voglio dire la prefazione »; all'inizio del Libro V di TomIones, Fielding spiega cosí la presenza delle diciotto prefazioni,o capitoli preliminari, o «saggi in forma di digressione ›> che havoluto fossero <<laboriosamente noiosi››: sono là per fare ap-parire il seguito piú divertente, per contrasto, come le personeeleganti di Bath, che « si sforzano di sembrare bruttissime lamattina per mettere in evidenza la bellezza che hanno l'inten-zione di mostrarvi la sera ››. Per l'impertinenza: le mie prefa-zioni, dice ancora Fielding (XVI-1), sono intercambiabili comedei prologhi di teatro, ma vi sono in questo dei vantaggi: ilpubblico guadagna un quarto d'ora a tavola, i critici accordanoi loro fischietti, e il lettore può saltare qualche pagina senza

1 «Queste ventisei pagine, - dice Balzac a proposito dell'Avant-propos del1842, - mi hanno creato piú problemi di quanti non me ne abbia creati un'o-pera›› (Lettera a Mme Hanska del 13 luglio 1842).

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rimpianti, «cosa particolarmente utile alle persone che leggonoun libro solo per poter dire di averlo letto ››. Per l'inutilità: «Damolto tempo si denuncia l'inutilità delle prefazioni, e malgra-do questo si continuano a scrivere prefazioni››, scrive Théo-phile Gautier'. Nodier intitola preventivamente «prefazioneinutile» quella dei Quatre Talismans, e quella della Fée auxmiettes: «Al lettore che legge le prefazioni››; ma in lui il temadell'inuti.lità viene esteso al testo stesso e oltre, cosa che riva-lorizza paradossalmente ed ironicamente la prefazione: << Nonposso giustificarmi per aver scritto tanti romanzi inutili in al-tro modo che ripetendo spesso che sono come delle prefazioni,una specie di romanzo della mia vita, anch'esso simile a unaprefazione inutile... ›> '. Per la tracotanza: «Credo di averdetto da qualche parte che una prefazione è un monumentod'orgoglio; lo ripeto volentieri» ”. Per l'ipocrisia: è il momen-to di ricordare la celebre espressione di Proust sul «linguaggioinsincero delle prefazioni e delle dediche », un'espressione 'che non si trova in una prefazione. Altre dichiarazioni: Cer-vantes avrebbe desiderato presentare il suo Qui/'ote nudo,«senza l'ornamento del prologo ›>; Marivaux consacra quasitutta la prefazione della Voiture emhourhée a una diatriba mol-to vivace, e molto ambigua, contro l'obbligo della prefazionee contro gli stereotipi del genere, che merita una lunga cita-zione:

Le prime righe che indirizzo al mio amico all'inizio di questa sto-ria dovrebbero risparmiarmi una prefazione, ma ce ne vuole comun-que una: un libro stampato, rilegato senza prefazione, è forse un li-bro? Certamente no, non merita ancora questo nome; è una speciedi libro senza brevetto, opera simile a quelle che sono già libri, operacandidata, aspirante a diventarlo, e che non è degna di questo no-

' Citato da Derrida, La dissémination cit., p. 33; non avendo trovato l'o-rigine di questa citazione, non so se essa si trovi in una prefazione.

Z Préƒace nouvelle (tardiva) di Thérêse Auhert. Balzac pone all'inizio delVicaire des Ardennes (1822) una «Prefazione che verrà letta se possibile».

” «Preliminari» a ]ean Shogard; un'altra modalizzazione auto-ironica:«Orgoglio innocente del resto, quasi degno di una tenera compassione, quelloche si fonda sulla fama di un libretto, e che dura appena il tempo di scortarlodal magazzino al macero››. Sulle prefazioni di Nodier, si veda l'articolo diJ. Neefs in C. Duchet (a cura di), Le discours préfaciel, Puf, Paris-Puv, Valen-ciennes 1987. `' Cfr. M. Proust, Le temps retrouvé, in A la Recherche du Temps perdu,

Gallimard, Paris 1954, III, p. 911.

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me senza quest'ultima formalità. Allora eccola completata: che siapiatta, mediocre, buona o cattiva, essa assume, con la sua prefazio-ne, il nome di libro ovunque si trovi [...] Ecco dunque o lettore, vi-sto che ce ne vuole una, la prefazione.

Non so se questo romanzo piacerà, la costruzione mi sembra pia-cevole, la comicità divertente, il meraviglioso piuttosto originale, letransizioni assai naturali, e lo strano miscuglio di tutti questi diversiingredienti gli conferisce un tono assolutamente straordinario, chesi spera divertirà piú di quanto non annoierà e... Mi sembra però diaver cominciato malissimo la mia prefazione: non c'è altro da fareche giungere alle mie conclusioni, è un libro la cui comicità è piace-vole, le transizioni naturali, il meraviglioso originale; se è cosí l'operaè bella: ma chi lo dice? lo dico io, l`autore. Ah, direte, come sono co-mici questi autori con le loro prefazioni che riempiono di elogi i lorolibri! Ma anche voi lettore come siete bizzarro! volete assolutamenteuna prefazione e vi ribellate perché l'autore dice ciò che pensa delsuo libro; dovete capire che se non considerasse huono il suo libro,non lo avrebbe prodotto. [...] Ma finitela dunque, esclamerà forseun infelice misantropo; se siete consapevole che offrendo il vostrolibro non offrire niente di bello, perché allora scriverlo? Vi hannoforzato degli adulatori vostri amici, rispondete; ebbene avreste do-vuto rompere l'amicizia, sono vostri nemici; oppure visto che vi han-no tanto spinto a scrivere, non potevate allora ricorrere al fuoco ecosí dissolvere il pessimo risultato del loro intervento importuno?Belle scuse tutte queste! Non posso sopportare l°umiltà truccata,questo ridicolo miscuglio d'ipocrisia e d'orgoglio di quasi tutti i Si-gnori autori; preferisco mille volte un sentimento dichiaratamentepresuntuoso ai sotterfugi della malafede.

Ed io, Signor misantropo, preferisco mille volte scrivere un librosenza prefazione, piuttosto che sudare per non riuscire ad acconten-tare nessuno. Senza il compito imbarazzante di questa prefazioneavrei parlato del mio libro in modo piú spontaneo, piú giusto, néumile, né fatuo; avrei detto che c'era dell'immaginazione, che nonosavo decidere se valesse qualcosa; che del resto mi ero veramentedivertito a comporlo, e che desideravo riuscisse a divertire anche glialtri; ma la prefazione mi ha cosí impacciato da farmi infrangere con-tro gli scogli ordinari.

Dio sia lodato, eccomi liberato da un gran peso, e mi viene anco-ra da ridere se penso alla figura che avrei fatto se fossi stato costrettoa scrivere la mia prefazione. Addio, preferisco mille volte tagliarecorto, che annoiare con troppe lungaggini. Passiamo all'opera.

E inoltre, questo progetto di prefazione per Lucien Leu-wen: «Che triste epoca è quella in cui l'editore di un roman-Z0 frivolo domanda istantaneamente all'autore una prefazionecome questa! ›› (dato che Leuwen è postumo, Stendhal sta qui

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anticipando la domanda editoriale, e grida prima di esserescorticato). Prefazione ulteriore di Thérêse Raquin: «Una certacritica deve essere completamente accecata per obbligare unromanziere a scrivere una prefazione. Poiché per amore dichiarezza ho commesso l'errore di scriverne una, chiedo scusaalle persone intelligenti, che non hanno bisogno, per vedercichiaro, che gli si accenda una lanterna in pieno giorno». Pre-fazione tardiva a Portrait de femme: «E terribile dovere, inogni dimostrazione artistica, mettere tanti puntini sulle i e pre-cisare le proprie intenzioni, e non ho molta voglia di farloadesso». Prefazione tardiva, di nuovo (chiamata Après-coup),al Ressassement éternel (del 195 1 per due testi del 1935 e1936), in cui, dopo aver citato Mallarmé (<<Abomino le prefa-zioni anche se provenienti dall'autore, a maggior ragione trovofuori luogo quelle aggiunte da altri. Mio caro, un vero libro faa meno di presentazioni... ››), Blanchot sostiene che lo scritto-re, che non esiste prima del suo libro, non esiste piú dopo diesso: «Allora come potrà voltarsi (ah, il colpevole Orfeo) versociò che pensa di portare alla luce, apprezzarlo, considerarlo,riconoscersi e, per finire, diventarne il lettore privilegiato, ilcommentatore principale o semplicemente l'ausiliario zelan-te che dà o impone la sua versione, risolve l'enigma, svela il se-greto e interrompe autoritariamente (si tratta infatti dell'au-tore) la catena ermeneutica, poiché pretende di essere lui l'in-terprete sufficiente, il primo e l'ultimo? Noli me legere... ›› Tut-tavia, continua Blanchot, anche Mallarmé, e Kafka, e Bataille,hanno in modi diversi commentato le loro opere. E in sinto-nia con questi esempi citati per scusare l'incoerenza («Lo sobene, ma comunque ››), segue un commento autoriale del testoche ottiene cosí la sua prefazione.

Si giudicheranno, e non a torto, un po' indiscrete e piutto-sto sospette queste dichiarazioni, in cui la precauzione oratoriae la civetteria letteraria* vengono esibite piú di quanto non

' Già denunciate da Prévost nella prefazione a Cleveland: «Non imiteròFaffettazione di tanti autori moderni che sembrano aver paura di offendere ilpubblico o almeno di importunarlo con una prefazione, e che fanno appariretanta ripugnanza e imbarazzo quando devono comporne una come dovesserotemere effettivamente il dolore e il disgusto dei loro lettori. Con difficoltàriesco a concepire cosa possa causare i loro allarmi e le loro difficoltà. Poiché,se le loro opere non richiedono alcun chiarimento preliminare di una prefa-zione, chi li obbliga ad assumersi l'inutile compito di cornporla? E se, al con-

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vorrebbero. Si preferirà probabilmente la maniera piú amena,per quanto in fondo sia ugualmente (o piú) negativa, di Mal-colm Lowry all°inizio della traduzione francese di Under theVulcano: «Amo le prefazioni. Le leggo. A volte, non vado piúin là, ed è possibile che qui, anche voi non andrete piú avan-ti. In questo caso, questa prefazione avrà mancato il suo obiet-tivo, che è quello di rendere l'accesso al libro un po' piú faci-le ››. Il topos «odio le prefazioni e voi anche ›› si trova qui ad es-sere capovolto, ma l'effetto presunto è peggiore in quanto l'at-trazione della prefazione porta a non leggere il seguito: ritro-viamo cosí l'effetto Jupien. L'atteggiamento piú semplice è allafine quello di Dickens, che nella sua prefazione originale diDavid Coppeiƒield dichiara di aver detto nel suo libro tuttoquello che aveva da dire, e che non ha niente da aggiungere senon il rimpianto di separarsi da compagni cosí cari, e da un«impegno di immaginazione ›› cosí coinvolgente. Il piú sempli-ce, e forse il piú sincero.

Altra elegante scappatoia: la preterizione. E l'arte di scri-vere una prefazione spiegando che non lo si farà, o evocandotutte quelle che si sarebbero potute fare. C'era un po' di que-sto in Marivaux. Cervantes confessa a un amico il suo disgu-sto per le prefazioni, l°amico risponde con eloquenza, e Cer-vantes trova il suo discorso cosí giusto da farne... la prefazioneal Quijote. Stesso procedimento per La Nouvelle Héloise:«Scriva questa conversazione per qualsiasi prefazione ››, sug-gerisce l'interlocutore di ]ean-]acques alla fine del loro incon-tro; o nell'Ane mort et la Femme guillotinée di ]ules ]anin, la cuiprefazione riassume una conversazione tra l'autore 'e «la Cri-tica›› (« Essa mi ascoltava sia bene che male, e dopo averledetto tutto, essa aggiunse che ero stato terribilmente oscuro.Questo è il bello di una prefazione, le risposi io sfrontatamen-te ››). Per la seconda edizione di Han d 'Islande, Hugo enume-ra vari progetti abortiti: una dissertazione sul romanzo in ge-nere (prefazione-manifesto), una nota elogiativa firmata dal-

trario, credono che i loro lettori abbiano bisogno di qualche spiegazione per lacomprensione di ciò che gli viene presentato, perché temere di non piacerglioffrendogli un aiuto che essi non potranno fare a meno di trovare piacevolenon appena si saranno accorti della sua necessità?»

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l'editore (allografa apocrifa), e altre. Alla fine si accontenta disegnalare qualche correzione, e termina con qualche scappa-toia che giustifica questo giudizio tardivo (prefazione del1833): «Han d 'Islande è un libro di un giovane - molto gio-vane ›› '.

L'ultima è veramente una scappatoia: consiste nel parlaredi tutt'altra cosa. Prefazione elusiva, era questo già, lo ricor-diamo, il proposito di Rabelais all'inizio del Quart Livre. E unpo' quello di Nerval nella dedica (a Dumas) delle Filles du feu,che contengono un frammento di romanzo abbandonato (maanche un commento, o rifiuto di commento, delle Chimêres,unite al yolume: <<perderebbero il loro fascino se fossero spie-gate ››). E decisamente il proposito di Aragon per Le liherti-nage, lungo manifesto intitolato Le scandale pour le scandale,fracassante e sconnesso, che si realizza in questa provocazioneanodina: << Si dirà certamente che c`è una certa sproporzionefra questa prefazione e ciò che segue. Me ne infischio››. Dinuovo, libro di un giovane, molto giovane.Un'altra cosa ancora può essere la prefazione come genere;

si passa dalla prefazione elusiva alla prefazione autologica: pre-fazione sulle prefazioni. Si veda l'Hors-livre di La dissemina-tion, già citato, o le tre prefazioni del Friday Book, perfettiesempi della civetteria paratestuale, sul tema evidentementeobbligato della critica di ogni civetteria paratestuale. Si vedaancora la Preface au lecteur di Pierre Leroux per La greve de Sa-marez (1863): che vuole essere una storia della prefazione. Sto-ria secondo me erronea, poiché vi si legge che gli antichi nonne scrivevano, perché non pensavano alla posterità! Vi trovoperò un grazioso consiglio, per quanto difficile da applicare:«Una buona prefazione deve essere come l'ouverture di un'o-pera ››. Questa lunga prefazione è a dire il vero essa stessa pre-ceduta da un << prologo ››, del quale mi sembra valga la pena ri-portare solo questa saggia osservazione: «Voltaire non vole-va che ci si servisse di questa espressione: prendere la penna

' Piú breve, la prefazione originale era già piacevolmente preteritiva: ri-leggendo il suo romanzo, l”autore si è reso conto della sua «insignificanza» edella sua «frivolezza››; rinunciava dunque ad «elaborare una lunga prefazioneche fungesse da scudo della sua opera» e si rassegnava, «dopo aver fatto am-menda, a non dire niente in questa specie di prefazione, che il signor editoresi preoccuperà in seguito di stampare in grossi caratteri».

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in mano. Trovava questa locuzione barbara. Tuttavia, per scri-vere, bisogna pur mettere la penna da qualche parte ›>.Di nuovo, l'importante è di non sbagliarsi di posto, come

fanno alcuni'.

' Avendo reso una o due volte omaggio alle opere senza prefazione, do-vrei forse menzionare il caso inverso, e naturalmente paradossale, delle prefa-zioni senza opere. E noto che le Poésies di Ducasse sono state a volte, in modoabbastanza apocrifo, presentate come una «prefazione a un libro futuro ›>; eche Nietzsche dedicò per Natale a Cosima Wagner «cinque prefazioni a cin-que libri che non sono stati scritti». Si dice che la lettera di accompagnamen-to aggiungesse: «e da non scrivere», cosa che mette in dubbio il loro carattereprefativo. L'emancipazione totale della prefazione resta comunque da dimo-strare, e in ogni modo può solo essere il risultato di un gioco o di una sfida.

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Altre prefazioni, altre funzioni

Postƒazioni.

L'inconveniente maggiore della prefazione è che essa costi-tuisce un'istanza di comunicazione disequilibrata, ed anchezoppicante, poiché in essa l'autore propone al lettore un com-mento anticipato di un testo che questi non conosce ancora.Si dice anche che molti lettori preferiscano leggere la prefazio-ne dopo il testo, quando sanno «di cosa si tratta ››. La logicadi questa situazione dovrebbe allora far prendere atto di un ta-le movimento, e portare a proporre piuttosto (cioè piú tardi)una postfazione, in cui l'autore possa disquisire con cognizionedi causa da entrambe le parti: «Adesso ne sapete quanto me,allora discutiamo». Confesso del resto che all'inizio di questaindagine mi aspettavo di trovare un corpus di postfazioni ori-ginali altrettanto nutrito di quello della prefazione. Non è af-fatto cosí: anche tenendo conto del carattere del tutto artigia-nale della presente inchiesta, Fimpressionante esiguità di que-sto corpus è del tutto significativa. I-Io già menzionato il «postscriptum›› di Waverley, qualche «epilogo» di Borges, comequello del Libro de arena, che invoca del resto un motivo sup-plementare proprio di questo genere: «Scrivere una prefazionea dei racconti che non siano stati ancora letti è un obiettivoquasi impossibile, poiché obbliga ad analizzare delle situazionidi cui conviene non svelare la trama. Preferisco dunque limi-tarmi all'epilogo». Aggiungiamo la postfazione di Lolita, pub-blicata inizialmente nel 1956 come articolo, e riapparsa insie-me al suo testo solo al momento dell'edizione americana del1958 (originale: Parigi 1955); si tratta dunque tipicamente diuna postfazione ulteriore che considereremo in seguito. Si puòdire pressappoco lo stesso dei due paratesti già menzionati, og-gi spesso stampati come postfazioni: l'Entretien sur les romansou Préface de ]ulie, che alcuni ostacoli tecnici avevano impe-

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dito di disporre all'inizio dell'originale, e «Qualche parola aproposito di Guerra e Pace», inizialmente pubblicata in una ri-vista durante la pubblicazione del feuilleton e recuperata in se-guito in «appendice ››. Questi ultimi tre casi sono dunqueesempi di false postfazioni originali: prefazioni mancate, o post-fazioni ulteriori. La celebre «Postfazione alla seconda edi-zione del Capitale» è anch'essa ulteriore, come viene indica-to dal suo titolo, ed anche il testo finale delle Lois de l'hospi-talité (1965) è, come l'«avvertenza» iniziale, un paratesto ul-teriore rispetto ai tre racconti riuniti con questo titolo (1953-196o), ed il suo discorso è tipicamente retrospettivo. Trovoancora da citare, accanto a Borges, Severo Sarduy per la «no-ta ›› finale di Dedonde son los cantantes, il cui carattere termi-nale ha del resto la stessa giustificazione che appare nel Lihrode arena. Restiamo con Borges per segnalare l'<< epilogo ›› delvolume delle sue Ohras completas (1974), raro esempio di unparatesto apocrifo (come pseudo-allografo postumo): si trat-ta di un presunto articolo << Borges » in un'enciclopedia del XXIsecolo, con la sua quota inevitabile di errori oggettivi e di in-terpretazione.

Dovrei probabilmente accanirmi nella ricerca di due o treesempi eclatanti di postfazione originale che mi sono fin quisfuggiti. Ma significherebbe cedere a una mania da collezio-nista senza implicazioni teoriche, dato che su questo piano lacausa mi sembra evidente: la postfazione originale è una raritàe piuttosto che cercare di ridurre artificialmente questa penu-ria, conviene spiegarla.

La ragione essenziale di tale rarità mi sembra del tutto chia-ra: disposta alla fine del libro e rivolta a un lettore non piú po-tenziale ma effettivo, la postfazione è certamente per lui piúlogica come lettura e piú pertinente. Ma per l'autore, e da unpunto di vista pragmatico, essa è di un”efficacia molto inferio-re, poiché non può piú esercitare i due tipi di funzioni cardi-nali che abbiamo attribuito alla prefazione: trattenere e gui-dare il lettore spiegandogli perché e come deve leggere il testo.In mancanza della prima azione, egli non avrà forse mai l'oc-casione di arrivare ad un'eventuale postfazione; in mancanzadella seconda sarà forse troppo tardi per correggere in extremisuna cattiva lettura già fatta. Data la sua ubicazione e il suo ti-po di discorso, la postfazione non può sperare di esercitarenient'altro che una funzione curativa, o correttiva; si può ca-

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pire che la maggior parte degli autori preferisca a questa cor-rezione finale le difficoltà e le ingenuità della prefazione, le cuivirtú sono per lo meno, e a questo prezzo, monitorie e preven-tive. E infatti meglio prevenire che guarire, o punire. Oppure,dovendo aspettare, meglio aspettare un po' piú a lungo per po-ter correggere i danni debitamente constatati attraverso la rea-zione del pubblico e della critica. Sarà questa la funzione ti-pica della prefazione ulteriore. Ma, per la postfazione, è sem-pre al tempo stesso troppo presto e troppo tardi.

Prefazioni ulteriori.

Del tutto logicamente, poiché la seconda edizione di un'o-pera, ed anche tutte le seguenti, si indirizza a nuovi lettori,nulla impedisce all'autore di apporvi una prefazione «ulterio-re» in base alla data, ma «originale ›› per i suoi nuovi lettori,ai quali rivolgerà il discorso che, per una ragione o`per l'altra,aveva inizialmente creduto di potersi risparmiare. E piú o me-no quello che indica, con la sua abituale ironia, Nodier nellaprefazione alla seconda edizione di Adele: «Questa ristampaè un nuovo appello all'indulgenza [...] Dipende solo da voiconsiderare quest'edizione come se si trattasse della prima,l'altra prima non essendosi mai mossa dai magazzini del li-braio, a parte una cinquantina di copie che i miei amici mihanno fatto la grazia di accettare ››. In questo senso preciso,non è mai troppo tardi per prevenire un nuovo pubblico, e laprefazione ulteriore può essere il luogo per esprimere questosenno del poi, o ciò che in inglese si chiama afterthought. E unpo' in questo modo che Wordsworth utilizza la sua prefazionedel 18oo alle Lyrical Ballads, in cui appare après coup il mani-festo al qugle non aveva apparentemente pensato nel 1798(quest'edizione comportava un”avvertenza anonima molto piúmodesta; ma è vero che la seconda è sensibilmente aumenta-ta, il che giustifica un paratesto piú ambizioso). E inoltre cosíche procede Tolstoj nella prefazione del 1890 alla Sonata aKreutzer (Kreicerova sonata, 1889), esempio tipico di recupe-ro di una dichiarazione di intenzione: mi propongo, dice, comemi è stato chiesto, « di spiegare in termini semplici ciò che pen-so dell'argomento della Sonata a Kreutzer. Cercherò di farlo,vale a dire di spiegare brevemente, per quanto possibile, la so-

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stanza di ciò che ho voluto dire in questo racconto e le conclu-sioni che ritengo se ne possano trarre» (niente di piú didatti-co). Questo messaggio essenziale, si sa, è un manifesto in fa-vore della continenza, al di fuori e all'intern0 del matrimonio.«Ecco in sostanza ciò che ho voluto dire, e credevo di averlodetto nel mio racconto ››.

Ma questi atteggiamenti di recupero sono a quanto pare ab-bastanza rari, e per una semplice ragione che quest”ultima fra-se lascia già intravedere: l'autore non affronta mai un nuovopubblico senza avere piú 0 meno fortemente registrato la rea-zione del precedente, e in particolare di quei lettori che nonha alcuna possibilità di rinnovare e di attirare a sé in occasionedi una nuova edizione: la critica. Piú spesso, dunque, il recu-pero ulteriore di un'assenza 0 di una carenza della prefazioneoriginale prende inevitabilmente la forma di una risposta al-le prime reazioni del primo pubblico, e della critica. E questa,senza alcun dubbio, la funzione cardinale della prefazione, 0postfazione (come ho già detto, a questo stadio, la distinzio-ne non è piú minimamente pertinente) ulteriore, e ci torneròtra un istante, il tempo di segnalarne altre due non meno ti-piche, ma relativamente minori.

La prima consiste nel segnalare le correzioni, materiali 0 al-tro, apportate a questa nuova edizione. E noto che nell'ep0-ca classica, non essendo le correzioni di bozze una pratica cor-rente, le originali erano molto spesso inesatte. La seconda edi-zione (o a volte quelle successive) era dunque l'occasione peruna pulizia tipografica che l'autore aveva tutto l'interesse a se-gnalare. Nella sua prefazione alla quinta edizione (1765) delDictionnaire philosophique, Voltaire la dichiara la prima edi-zione corretta. Nell'avvertenza della seconda (1803) del Gé-nie, Chateaubriand rende conto di diverse correzioni e si scusadi non aver potuto sopprimere due errori di fondo (lo saran-no nella seguente); stessa situazione nell'Esame (1810) deiMartyrs (1809). Ho già menzionato in un altro contesto la pre-fazione dell'aprile 1823 a Han d'Islande, in cui l'autore ano-nimo dichiara che «il titolo della prima edizione è realmentequello che conviene a questa ristampa dato che i fascicoli ine-guali di carta grigiastra maculata di nero e di bianco nella qualeil pubblico indulgente ha avuto la gentilezza di vedere i quat-tro volumi di Han d'Islande erano stati talmente disonorati da

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incongruità tipografiche da uno stampatore barbaro che il de-plorabile autore, percorrendo la sua irriconoscibile produzio-ne, era incessantemente sottoposto al supplizio del padre alquale fosse reso il figlio mutilato e tatuato da un Irochese dellago Ontario». Lo stesso Hugo, nella «nota ›› dell'edizioneRenduel (1 832) di Notre-Dame de Paris, segnala l'aggiunta ditre capitoli «perduti» nel 1831 e poi «ritrovati» - da cui ilcelebre << Questo ucciderà quello ››. Si può inoltre notare il ri-fiuto di correzioni che non siano tipografiche. E questo un te-ma ancora oggi ricorrente (dato che la pratica delle bozze hareso sorpassato il precedente, non che le originali siano diven-tate impeccabili, ma gli autori oggi possono solo prenderselacon se stessi): «Ripubblico questo testo (piú o meno) vecchiosenza cambiare nulla›>. E quello che farà Chateaubriand perl'Essai, o George Sand per Lélia (prefazione del 1841) e per In-diana (prefazione del 1842), permettendosi solo delle correzio-ni di stile, senza voler tornare nel merito di opinioni sorpas-sate.

Una seconda funzione minore, che è piuttosto un effetto se-condario, consiste nell'assumere implicitamente in una prefa-zione ulteriore (o tardiva) la responsabilità di un testo origi-nariamente disconosciuto: è il caso di Montesquieu nel 1754per le Lettres persanes, Constant nel 1816 ' per Adolphe, Nabo-kov nel 1956 per Lolita, Eco nel 1983 per Il nome della rosa. Sitratta in genere di una semplice regolarizzazione, poiché nellamaggior parte dei casi i lettori non erano mai stati vittime diciò che altro non era che una semplice convenzione; una rego-larizzazione che tuttavia modifica lo statuto ufficiale del testo.

L”essenziale, dunque, mi sembra qui la risposta ai critici.Era questo il grande compito. delle prefazioni di teatro dell'e-poca classicajehe sono, lo ricordo, al tempo stesso originali ri-spetto all'edizione e posteriori alla messa in scena. Affare de-licato, a dire il vero, poiché si rischia di sembrare suscettibi-li, 0 immodesti. Da cui il ricorso a vari stratagemmi 0 coper-ture del tipo: non mi difendo dalla critica, che è libera, ma ten-go a rettificare qualche errore (Corneille, avvertenza al Cid:non è vero che abbia accettato l”arbitrato dell'Accademia, e

1 Seconda edizione fittizia, Londra, dove una nuova prefazione, implici-tamente assuntiva, sostituisce la nota dell'editore originale.

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che sia contravvenuto alle regole di Aristotele). Oppure: ac-cetto la critica, ma osservo che i miei censori si contraddico-no tra di loro (è la particolarità di Racine, per Alexandre: «Rin-vio i miei nemici ai miei nemici››; per Britannicus: mi è statorimproverato a volte un Nerone troppo crudele, a volte troppobenigno). O ancora: ciò che mi viene rimproverato si trova neimigliori fra gli Antichi, sottintesoz prendersela con me, signi-fica prendersela con loro. O infine, e soprattutto: i critici mihanno attaccato ma ho dalla mia il pubblico. Questo appellodal giudizio della critica a quello del pubblico è caratteristicodella dottrina classica, per cui i « dotti ›› non prevarranno maisulla << gente onesta ›>, cosí come qualche pedante polveroso sulRe, la Corte e la Città; ma esso èin tutti i tempi di un'efficaciatemibile, poiché mette i critici in una posizione difficile e ri-dicola, e soprattutto sospetta di meschineria e di gelosia.Nell'« esame ›› tardivo del Cid, Corneille sosterrà che le due vi-site di Rodrigo a Chimena che la critica riteneva scioccanti, ve-nivano accolte dal pubblico con «un certo fremito che deno-tava una curiosità meravigliosa, e un raddoppiamento dell'at-tenzione per quello che i due personaggi si dicevano in una si-tuazione cosí pietosa ››. Invece, lo scacco palese di Pertharite lolascia senza argomenti: «Non è mia abitudine oppormi al giu-dizio del pubblico ››. Per Alexandre, Racine osserva che «nonsi trama tanto contro un'opera che non si stima››, e che alcu-ni censori sono venuti sei volte. Per Andromaque: mi è statorimproverato un Pirro troppo poco Céladon, ma «che fare?Pirro non aveva letto i nostri romanzi››. Per Britannicus, si èpreteso che l'opera terminasse con la morte dell”eroe, e che«non si dovesse ascoltare il resto. Si ascolta, invece, ed anchecon la stessa attenzione che viene dedicata a qualsiasi fine ditragedia ››. Per Bérénice: «Non posso credere che il pubblico miconsideri negativamente dopo avergli dato una tragedia che èstata onorata da tante lacrime, e la cui trentesima rappresen-tazione è stata altrettanto seguita della prima ›>. Molière, pre-fazione all'Ecole des femmes: «All”inizi0 molti hanno attaccatoquesta commedia; ma chi ha riso è stato dalla sua parte, e tuttoil male che se ne è detto non ha potuto impedire che avesse unsuccesso di cui mi accontento ››. Beaumarchais, «Lettera mo-derata sul fiasco e la critica del Barhier de Seville (prefazioneall'originale del 1775): i critici si lamentano, ma il pubblico hariso. Prefazione al Mariage de Figaro: «Un autore desolato dai

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complotti e dal chiasso, ma che vede la sua opera funzionare,riprende coraggio, ed è ciò che ho fatto ››, perché nulla è piúpiacevole che osservare la rabbia di uno di questi intrigantimentre grida dal suo palco, proprio come nella Critique de l'E-cole desfemmes: «Ridi dunque, pubblico', ridi! ››

L°appello al giudizio del pubblico, o di un inattaccabile pro-tettore, permette inoltre di coprire la propria difesa con la di-fesa di un altro, che sarebbe vigliacco abbandonare alle criti-che: ho dalla mia, diceva Racine, gli «Alessandri del nostro se-colo ››: potrei tradirli accettando delle critiche che essi non ap-proverebbero sicuramente? «Senza dubbio, - dice Molière, -sono,abbastanza debitore a tutte le persone che hanno dato[all'Ecole des femmes] la loro approvazione, per credermi ob-bligato a difendere il loro giudizio contro quello degli altri».

Le critiche alle quali i drammaturgi classici rispondevanoriparandosi sotto l'ombrello del successo erano generalmented”ordine estetico, ed anche tecnico («Quest'opera è scritta ma-le ››); ed è proprio per questa ragione che l'argomento del suc-cesso gli era cosí prezioso: « Se funziona, bisogna pensare chenon deve essere scritta cosí male ››. Il ricorso al pubblico eradunque, su questo terreno, inevitabile. Ma tutt'altra cosa è ri-fiutare una critica d'ordine ideologico: morale, religioso o po-litico. Un autore attaccato su questo terreno non può difen-dersi invocando il successo; anzi questo sarebbe piuttosto unargomento contro di lui, come prova della sua detestabile in-fluenza. Un autore di tragedie è un avvelenatore pubblico, sidiceva a Port-Royal ai tempi di Racine; nella prefazione diPhêdre, Racine deve infatti difendere non il fatto che si trat-ti della «migliore delle [sue] tragedie ››, ossia la piú riuscita emeglio accolta, ma di quella in cui «la virtú›› viene maggior-mente «messa in luce ››, in cui «i minimi sbagli sono severa-mente puniti», o «il solo pensiero del crimine è visto con lostesso orrore del crimine stesso... ›› Molière ha subito, con ilTartuffe, analoghe critiche, e molto piú temibili, e si può ve-dere nella sua prefazione del 1669 quanto la controversia fosseaccesa. La protezione del re, o del principe di ***, è qui piúefficace dell'approvazione del pubblico. Ma bisogna soprattut-

l Molière diceva « platea ››: ma il pubblico della platea era nell'epoca clas-sica il pubblico per eccellenza.

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to dimostrare la purezza delle proprie intenzioni, e, se possi-bile, mettere gli accusatori in contraddizione con i loro prin-cipì, 0 meglio con principi che nessuno può pubblicamentecontestare. Da qui l'insistenza di Molière sul tema dei «falsidevoti »: sono quelli che ho ridicolizzato nella mia commedia,e chiunque l'attacchi si associa automaticamente ad essi. E unacasistica analoga a quella che usa Beaumarchais in favore di Fi-garo. Lo si accusa di aver attaccato la corte, ed egli rispondedistinguendo l'«uomo della corte ›› dall'« uomo di corte ›› e dal«cortigiano di mestiere». Ho attaccato, dice, solo gli ultimidue; «non gli stati, ma gli abusi di ogni stato ››. Lo si accusa diaver beffeggiato la morale; ma non è affatto cosí: il conte nonè beffeggiato, è punito e perdonato; la contessa rimane fedelemalgrado le scuse che essa possa invocare dicendo di non es-serlo; Figaro è onesto, Suzanne virtuosa, Chérubin è ancorasolo un bambino... dov'è il male, se non nel cuore di quelli chelo vedono dove non c'è?

Ritroviamo questa difesa morale, religiosa 0 politica - chein parte giustificava le dure parole di Paul Morand riportatesopra - nella quasi totalità delle prefazioni ulteriori del XVIIIe del XIX secolo. La Défense de l'Esprit des lois, inizialmentepubblicata a parte nel 1750, poi aggiunta al testo, replica al-l'accusa di spinozismo e di empietà. Quella del Génie du Chris-tianisme (1803) si apre con una tipica denegazione: ero deciso,dice Chateaubriand, a non rispondere alle critiche, ma le cri-tiche sono tali che mi trovo a dover difendere non tanto mestesso, quanto il mio libro, non sul piano letterario, ma suquello religioso. Segue una difesa a regola d”arte, basata suiprecedenti rappresentati da Origene, Francesco di Sales, Pas-cal, Fénelon, Montesquieu, contro il rimprovero di aver si-tuato i meriti del cristianesimo su un piano troppo estetico etroppo umano. Stessa tattica nell'« Esame ›› (1810) dei Mar-tyrs, il cui sincretismo era stato criticato (non ho confuso il cri-stianesimo con il paganesimo: li ho contrapposti, come lo era-no realmente in quell°epoca) e il ricorso al meraviglioso cristia-no (non sono il primo, si veda la Gerusalemme liherata, il Pa-radise Lost, la Henriade; e se non avessi io stesso attirato l'at-tenzione su questo aspetto nella mia prefazione originale e tra-mite questo titolo maldestro: Les Martyrs, ou le Triomphe de lareligion chrétienne, nessuno se ne sarebbe accorto; «se avessiintitolato il mio libro Les aventures de Euloge, non si sarebbe

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cercato ciò che ci si trova ››). Qui il testo viene difeso tramiteun`autocritica del titolo.

Stesso accento di difesa nelle prefazioni ulteriori dei roman-zi; un buon esempio del tono generale di tali prefazioni ci vie-ne dato dalla difesa reale di Senard al processo di Madame Bo-vary. Balzac, nella prefazione alƒeuilleton del Pere Goriot, negadi aver preferito ritrarre delle «donne troppo poco virtuose»,con una statistica anticipata del personale femminile della Co-médie humaine. Dickens, per Oliver Twist (1837), rivendica nel1841 un disegno morale, come quello di Cervantes o di Fiel-ding; vi ritorna nel 1867 per assicurare di aver dipinto degliambienti degradati e criminali nella luce repellente che puòmeglio dissuadere chiunque dall'accostarvisi. Zola, per la se-conda edizione di Thérêse Raquin, comincia la sua prefazionecon una dichiarazione che potrebbe servire da emblema perqualsiasi prefazione ulteriore: << Avevo ingenuamente credu-to che questo romanzo potesse fare a meno di una prefazio-ne››, poiché trovavo la sua lezione molto chiara. Mi sono sicu-ramente sbagliato, poiché la critica mi ha accusato di immo-ralità. Mi trovo dunque a dover accendere, per gli imbecilli,«una lanterna in pieno giorno» ed esporre le mie intenzioni:il mio scopo è puramente scientifico, ecc. E continua imma-ginando, in modo molto rivelatore, il tribunale letterario dalquale desidererebbe essere giudicato, «per ciò che ho cercatodi fare, e non per ciò che non ho fatto ››. All”inizio dell'Assom-moir, inoltre, risponderà ai critici invocando le sue «intenzionidi scrittore: ho voluto dipingere la decadenza fatale di una fa-miglia operaia. .`. del resto non voglio difendermi. La mia operami difenderà. E un'opera veritiera, il primo romanzo sul po-polo, che non mente e che ha l'odore del popolo ›› (il che nonè molto gentile verso Germinie Lacerteux).

Questo clima da processo è anche percepibile nella postfa-zione ulteriore di Lolita. Bisogna qui ricordare che questo ro-manzo, vietato negli Stati Uniti per immoralità, poté esserepubblicato solo in Francia. Nabokov risponde alle accuse dipornografia e di antiamericanismo, assicurando di non condi-videre il piacere del suo eroe per le ninfette, e che il suo sco-po era puramente estetico in questo racconto, frutto del suounico amore per la lingua inglese.

Baudelaire, un altro celebre accusato e debitamente con-dannato in un processo reale, ha a lungo meditato di scrivere

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una prefazione ulteriore ai Fleurs du mal, di cui abbiamo diver-si abbozzi. L0 vediamo esitare tra varie strategie di difesa: di-chiararsi non colpevole invocando il semplice esercizio formale(«Alcuni poeti illustri si erano da tempo spartiti le provincepiú fiorite della poesia. Mi è parso divertente, e tanto piú pia-cevole quanto piú l'obiettivo era difficile, estrarre la hellezzadal male ››), sfoggiare la dilettazione morosa dell'insuccesso(« Se c'è un po' di gloria nel non essere compresi, 0 nell'esserlomolto poco, posso dire senza vantarmi che, con questo libric-cino, l'ho acquistata e meritata in un solo colpo ››), lo scopo pu-ramente estetico (« In che modo la poesia si avvicini, alla mu-sica attraverso una prosodia le cui radici si irnmergono nel pro-fondo dell”anima umana... ››), la provocazione immoralista(« Non è per le mie donne, figlie 0 sorelle che questo libro èstato scritto... ››), la rinuncia a ogni risposta («Improvvisamen-te un'indolenza del peso diventi atmosfere si è abbattuta sudi me, e mi sono bloccato davanti alla spaventosa inutilità dispiegare qualsiasi cosa ››), il rifiuto di una proposta di certo im-maginaria (« Il mio editore sostiene che la spiegazione del per-ché e del come abbia fatto questo libro [...] sarebbe di qualcheutilità per me e per lui. Ma ad una piú attenta analisi, non ap-pare invece evidente che si tratta di un bisogno completamen-te superfluo, sia per gli uni che per gli altri, visto che gli unisanno o indovinano, e gli altri non capiranno mai? ››), ecc. Inqueste esitazioni possiamo vedere l'impronta di un velleitariopronto a tutte le tergiversazioni, se non addirittura a rinnegaretutto, e il chiaro annuncio della rinuncia finale. Ma questo te-sto mi sembra soprattutto caratteristico del malessere e del-l'imbarazzo di molte generazioni di scrittori costretti, davantiad una critica inquisitoria e persecutoria, a impostare la pro-pria difesa piú secondo le possibilità di assoluzione che non se-condo ciò che pensano veramente. A questo proposito il reper-torio della prefazione ulteriore richiede in genere una letturapiuttosto deprimente, ed è abbastanza confortante osservarequi una tendenza all”esaurimento. La prefazione ulteriorescompare in gran parte a causa della perdita di funzione: lecorrezioni materiali si fanno in fase di bozze, o tacitamente daun'edizione a un'altra, la critica moralista non è piú di moda(Nabokov ne è stato una delle ultime vittime), e comunque isuoi ultimi sostenitori non meritano alcuna considerazione;quanto alla critica propriamente letteraria, o estetica, gli au-

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› 1tori non possono piú rispondere invocando, come Molière 0Racine, l'argomento del successo, che oggi verrebbe conside-rato francamente demagogico negli ambienti dell'alta lettera-tura. Vi immaginate Maurice Blanchot rispondere: «La criticami ha distrutto, ma ciò che conta è che sono molto piaciuto al-la mia portiera »? Lasciamo questi argomenti ai rappresentantidi una letteratura cosiddetta «popolare ››, che non hanno co-munque bisogno di ricorrervi, dato che la critica non si occupaaffatto delle loro opere. D'altra parte, l'indifferenza degli au-tori alle critiche che gli vengono mosse non è neanche del tuttodi buon augurio; indica, per lo meno in Francia, l'avvento diuna coscienza puramente mediatica e promozionale che con-sidera la critica come semplice pubblicità redazionale: le cri-tiche vengono misurate in base alla pagina, alle righe, al nume-ro di segni, alla disposizione di una fotografia. Cosi il «dibat-tito» si esaurisce, 0 in ogni caso passa attraverso canali diversida quello, decisamente obsoleto, della prefazione ulteriore.

Prefazioni tardive.

La prefazione tardiva, o prepostuma, o testamentaria, può- come quella ulteriore - svolgere delle funzioni di recuperolasciate vacanti da un'assenza o una carenza anteriori; qui con-sidererò unicamente le funzioni che le sono proprie, quelle giu-stificate dalla lunga distanza temporale e dall'approssimarsidella morte che generalmente rendono, e nel vero senso del-la parola, una prefazione ultima'.

La prima di queste funzioni è d'ordine autobiografico: «Leprefazioni della presente edizione, - scrive Chateaubriandnel 1826, - hanno la natura delle memorie». E questo in ef-fetti l°aspetto che piú colpisce della successione di prefazioniche accompagna l'edizione delle sue (Euvres complêtes, e dellasuperba «prefazione generale ›› che si trova all'inizio delle Mé-moires-d'outre-tomhe di cui offre in poche pagine una specie di

' «Ciò che sto scrivendo adesso, sono le mie opere postume», dice Ara-gon nella prefazione del 1965 ai Beaux Quartiers, senza che sia chiaro se la pa-rola si applica alle opere contemporanee a questa prefazione (La mise ai mort,per l'appunto) 0 a questa prefazione stessa.

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sintesi anticipata '. L0 stesso proposito autobiografico è pre-sente in ciascuna di esse e, in particolare, in quella dell”Essaisur les révolutions, opera giovanile (I 797) la cui giovinezza stes-sa e il carattere ideologico molto marcato giustificano un'ac-curata contestualizzazione. Riprenderò questo punto da un'al-tra angolazione, ma colgo qui l'occasione per sottolineare ilfatto evidente che in una serie come questa, e tutte quelle cheverranno evocate nel corso del presente capitolo, le prefazionisono diversamente tardive; piú precisamente, a causa di una di-sposizione generalmente cronologica delle opere raccolte, essesono sempre meno tardive in proporzione al raccorciamentodella distanza fra la data dell'opera e quella della prefazione:quella del 183 1 per gli Etudes historiques, conclusa lo stesso an-no, non ha piú niente di tardivo nel senso in cui l'intendiamonoi; e dal punto di vista che ci riguarda in questo momento,le piú tardive, cioè le piú distanti, sono quasi sempre le piú in-teressanti, e non solo in Chateaubriand. L°autore stesso sem-bra del resto essere sensibile a questa diminuzione della distan-za, e vedremo almeno Aragon rinunciare due volte al compi-to, probabilmente anche per questo motivo.All'inizio di un'analoga impresa, e piú o meno contempo-

ranea (1829), Walter Scott si pone l”obiettivo, nella prefazionegenerale delle sue opere romanzesche complete, di ritraccia-re le origini e le vicissitudini della sua vocazione letteraria, cherisale alla sua adolescenza valetudinaria. Come Chateaubriandche una volta aveva perduto, e poi ritrovato il suo «terribile»manoscritto dei Natchez, Scott aveva redatto, poi dimenticatoin un granaio nel 1805 una prima versione di lVaverley, che ri-trova qualche anno dopo cercando (dettaglio molto «Aber-crombie ››) degli articoli da pesca, e che decide di finire, desi-deroso di dare alla Scozia, in margine alla sua opera poetica,un equivalente di quello che Miss Edgeworth aveva dato al-l”Irlanda. Il seguito è dunque la storia delle llVaverley Novels,del loro anonimato o pseudonimato ostinato, e del suo forzatosvelamento: cose che abbiamo già visto nel capitolo riguardan-te il nome dell'autore. Walter Scott (0 almeno il signore di Ab-

' Essa viene pubblicata nel giugno 1826 all”inizio del primo volume in ba-se alla data (tomo XVI) con un'« avvertenza dell'autore» che ha una funzionepiú tecnica. E una delle piú belle pagine di Chateaubriand, ed è una sfortuna-ta circostanza che il suo statuto particolare l”abbia esclusa dalle edizioni mo-derne piú accessibili.

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botsford) si scusa qui di dover parlare di sé in prima persona;scusa indubbiamente sincera per i maniaci dell'incognito, e cheverrà confermata dalla serie di singole prefazioni, quasi esclu-sivamente consacrate a un'esposizione molto tecnica delle fon-ti e della documentazione dei suoi racconti.Il grande mortalis aevi... può anche accompagnare la ge-

nesi di un'opera unica, quand'essa sia immensa come l'His-toire de France di Michelet, intrapresa nel «chiarore di luglio ››1830 e finita nel 1869 con la celebre prefazione che Proust, ingenere piú severo con questo tipo di esercizi, metteva moltoal di sopra dell'opera stessa. In effetti, questa prefazione, allostesso tempo originale e tardiva, non è solo un'esposizione del-le intenzioni e del metodo (la Storia come «resurrezione inte-grale», legata meno agli avvenimenti politici che agli insensi-bili movimenti sociali ed economici), ma evoca anche le circo-stanze della redazione, degli anni di vita « sottoterra, negli Ar-chivi ›› in compagnia dei morti, e l'evoluzione di un pensieroin favore degli «obiettivi utili» che, ritardandolo, hanno ma-turato il suo lavoro.

L'esempio piú recente fino ad oggi di questa funzione au-tobiografica è certamente fornito dalla serie di prefazioni tar-dive con le quali Aragon accompagna la raccolta delle CEuvresromanesques croisées, poi quella della sua (Euvre poétique'.Poi, e soprattutto, perché le prefazioni della prima serie sonopiú tecniche e piú letterarie, piú incentrate sulle opere chesulle loro circostanze, come del resto annuncia l'autore nel-l'Avant-lire al Lihertinage: «Non racconterò la mia vita. Il miooggetto sono i miei libri, la scrittura». La semplice ragione diquesta discrezione, spiega Aragon all°inizio delle Cloches deBâle, è che i suoi romanzi sono essi stessi meno autobiograficidelle sue poesie. L'intento retrospettivo, in ogni modo, s'in-terrompe con La Semaine sainte (1958), per la quale Aragon siaccontenta di riprendere il paratesto del 1959, tipicamente ul-teriore poiché si tratta di una risposta alle critiche e una cor-rezione dei malintesi; per La mise à mort (1965), evita nel 1970qualunque prefazione (<<Avevo per abitudine accettato di scri-

* Le CEuvres romanesques croisées di Aragon e di Elsa Triolet, Laffont,Paris 1964-74, l'Guvre poétique di Aragon, Livre Club Diderot, Paris 1974-1981. Sul paratesto delle prime, cfr. M. Hilsum, Les préƒaces tardives d 'Ara-gon, in «Poétique», LXIX (1987).

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vere una prefazione alla Mise à mort... un'assurdità. Questo ro-manzo è in se stesso una prefazione, voglio dire perpetuamen-te, pagina dopo pagina›› - motivazione classica del rifiutodella prefazione) e le sostituisce alcuni estratti degli incipit,pubblicati nel 1969. Per Blanche ou l'Ouhli (1967), l'Aprês-direè piuttosto un lamento funebre per Elsa, il canto disperato diOrfeo sopravvissuto, e ancora: << Non è possibile una prefazio-ne a Blanche ou l'Ouhli, come non è possibile una prefazionealla vita. Una prefazione a Blanche non sarebbe altro che unaripetizione completa del libro ››. Per Théâtre/Roman, infine,nell'anno stesso della sua pubblicazione originale (1974) vieneutilizzata come postfazione la ripresa integrale degli incipit,epitesto che viene in questo modo rapidamente integrato al pe-ritesto.

L'apparato prefativo dell'CEuvre poétique, invece, è quasiinteramente autobiografico, e la sua presentazione stessa ac-centua questo tratto, dato che i testi, poetici 0 meno, sono quiavvolti, e a volte immersi nel discorso che piú che commentarlili presenta, trascinati nel flusso di un'esistenza tormentata. So-no gli anni tempestosi della giovinezza surrealista, poi dell'a-desione al comunismo, i viaggi in Urss, i congressi, le dubbiemissioni, gli interrogativi, le frustrazioni, le amarezze represse,ele poesie di circostanza (Front rouge, Hourra l'Oural) che cer-to non chiariscono il quadro, poiché costituiscono per Aragonla parte piú condannabile (per eccesso di violenza verbale e diirresponsabilità politica) di tutta la sua opera. I due ultimi tomiprefati (VII: 1936-37 e VIII: 193 8) del resto non contengonoquasi piú poesie, sostituite in questi tre anni da alcuni testi diarticoli, volantini, mozioni e arringhe. La cosa piú triste è chea questo punto (maggio 1979) e per ragioni evidentemente te-nute nascoste dal segreto di Stato, Aragon depone la penna diprefatore nel momento in cui l'opera avrebbe cominciato a va-lerne la pena. Ma non dilunghiamoci su questo spreco.

Le (liuvres romanesques croisées, piú confortanti in tuttiisensi, illustrano una seconda funzione tipica della prefazionetardiva, anche se l°abbiamo già vista all'opera in alcune pre-fazioni originali: la storia della genesi dell'opera e l'indicazionedelle sue fonti. Fedele o meno, si tratta di una preziosa testi-monianza sui metodi di lavoro del romanziere e sulla loro evo-luzione verso il «realismo », sui tentativi scomparsi (la famo-

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sa Defense de l'infini, «gigantesco feuilleton » bruciato, comple-tamente o in parte, a Madrid nel 1928, opera matrice parago-nabile al manoscritto dei Natchez), sui modelli (che beninte-so «non sono delle chiavi ››) di personaggi come Aurélien (unpo' Aragon, un po' Drieu, ma un Drieu che non sarebbe an-dato fino in fondo), o come l'eroe dei Voyageurs («E la storiaimmaginaria del mio nonno materno ››), 0 come il Géricault diLa Semaine sainte (Iames Dean!) - o sulliassenza di modelli:Blanche non è Elsa, io non sono Gaiffier, ecc. C'è in tuttequeste rivelazioni e denegazioni un curioso miscuglio di ricercae di rifiuto da parte dello scrittore di esercitare un controllosulla sua opera, un rifiuto di padronanza (soprattutto per leopere piú recenti) che è forse un ultimo segno, patetico e al-lo stesso tempo affettato, della volontà di padronanza.

Piú sereno, in apparenza, il progetto di Henry ]ames, chescrisse alla fine della sua vita una serie di diciotto prefazioniper il monumento delle sue Opere scelte'. Abbiamo qui unesempio tipico di « tardività›› decrescente, dato che le opereprefate erano state pubblicate, se non mi sbaglio, dal 1874(Roderic/e Hudson) al 1904 (The Golden Bowl), ma qui l'atteg-giamento dell'autore non si sente minimamente: lontano daogni confidenza autobiografica extraletteraria, il suo propo-sito costante è quello di tracciare le tappe della genesi a par-tire da ciò che definisce il «germe iniziale »: il personaggio cen-trale per Portrait ofa Lady (« L'idea di una giovane donna cheaffronta il suo destino era l”unico materiale di cui disponevoinizialmente» e per The Wings of the Dove («L'idea, ridotta al-l'essenziale, è quella di una giovane consapevole di una grandeattitudine a vivere, ma che viene ben presto colpita dal desti-no ››); un semplice aneddoto per The Pupil, per Maisie, per TheAw/eward Age, per The Amhassadors. Tra gli altri argomentitrattati, lo sviluppo attraverso le difficoltà (<< Come tutti i ro-manzieri sanno, la difficoltà è fonte di ispirazione ››), gli attoricomplementari richiesti dalla simmetria (Maisie), i personaggi«ficelles ››, confidenti come Maria Gostrey degli Amhassadors,la scelta del punto di vista (Maisie, Strether) e del narratore(tentazione respinta di affidare il racconto a questi due «riflet-

' Cfr. H. james, The Novels and Tales, Schribner”s, New York 1907-17.La raccolta di queste prefazioni è stata pubblicata da R. Blackmur con il tito-lo The Art of the Novel, Schribner's, New York 1934. `

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tori ››)... Raramente un insieme di prefazioni si è tanto avvi-cinato a una poetica, e non a torto la loro raccolta postuma siè potuta intitolare The Art ofthe Novel, o in francese La créa-tion littéraire.

La ricostituzione della genesi è ancora piú teorica nella Po-stilla al «Nome della rosa ››, postfazione ulteriore per la data ',ma tipicamente tardiva se consideriamo la sua funzione, ilche non stupirà da parte di una mente cosí rapida come quelladi Umberto Eco. E infatti un racconto ideale, del tipo di EdgarPoe o di Raymond Roussel, del «processo» genetico di que-st'opera; poiché, se Eco, conformemente alla dottrina attuale,si proibisce qualsiasi intervento nel «cammino del testo ››, nonmanca però di chiarire questo cammino attraverso una descri-zione molto ragionata della sua produzione. «L'autore non de-ve interpretare. Ma può raccontare perché e come ha scritto ››(abbiamo già visto queste precauzioni d'epoca). L'idea centraleera quella, del tutto lodevole, di «avvelenare un monaco ›>. Daqui la scelta del quadro storico («il presente lo conosco solo at-traverso lo schermo televisivo, mentre del medioevo ho unaconoscenza diretta ››), poi del sistema narrativo (racconto al-la prima persona con un narratore testimone alla Watson), del-la finzione autoriale a vari livelli («Io dico che Vallet dicevache Mabillon ha detto che Adso disse... ››), del genere (il piúfilosofico possibile: il romanzo poliziesco), dell'eroe (un incro-cio tra Occam e Sherlock Holmes), ecc. Tutto ciò, concerta-to dalla prima all'ultima riga: l'unico calcolo che l'autore nonsi attribuisce è la produzione finale, tuttavia inevitabile, diquesta postilla magistrale, obiettivo manifesto e realizzazio-ne suprema di tutta l'impresa.

Può succedere che dopo la pubblicazione di un'opera, e inparticolare di un'opera giovanile, i gusti 0 le idee di un auto-re evolvano, o addirittura subiscano una brutale conversione.Piú generalmente, uno scrittore maturo o anziano, al momentodelle sue Opere complete, può trovare in una prefazione tar-diva l'opportunità di esprimersi, con buona distanza, a propo-sito di una sua vecchia opera: è il momento non piú dell'after-

1 Inizialmente pubblicata in una rivista: Postille al «Nome della rosa ››, in«Alfabeta››, n. 49 (1983), poi annessa come postfazione alle edizioni ulte-riori.

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thought frettoloso e travagliato, ma del second thought serenoe imparziale, risultato di una rilettura dopo la dimenticanza',vale a dire dopo un intervallo di distacco e di separazione chetrasforma l'autore in un lettore (quasi) ordinario e (quasi) im-parziale: «Poiché avanzando nella vita, l°avvenire al quale cisi avvicina 2 fa acquistare una certa imparzialità». Non piú ilsenno di poi, ma quello di chi si trova all°ingresso della tom-ba: non ci si preoccupa piú di rispondere rabbiosamente ai cri-tici, ma di giudicare se stessi, senza ardore né passione, conPimparzialità di ciò che Satie qualifica con precisione «penul-timi pensieri ››. Per misurare la differenza di tono fra la pole-mica nervosa e la considerazione olimpica, basta paragonarela serie degli <<esami›› del 1660 o delle prefazioni del 1676 diCorneille e Racine a quella delle prefazioni originali ulterio-ri. Per Corneille, l'edizione del 1660 è l'occasione di una sortadi esame di coscienza professionale, riguardante le sue primeventitre opere (fino a (Èdipe, 1659), esame serio, tecnico, qua-si obiettivo nel suo equilibrio di severità e, a volte, di indul-genza divertita, che costituisce, insieme ai tre Discours generaliche le accompagnano, una sorta di testamento drammaturgico.Vi considera i progressi e i regressi della composizione e del-lo stile, che a volte si contraddicono 0 si integrano: lo stile del-la Galerie du Palais è piú semplice di quello della Veuve, quellodella Suivante è piú debole, ma l'opera è piú regolare. L'Illu-sion è stravagante, «i capricci di questa natura si rischiano solouna volta››. Horace potrebbe essere la migliore, se gli ultimi at-ti valessero quanto i primi. Cinna è considerata la mia miglioreopera cosí all'unanimità che avrei degli scrupoli a criticarla: è,di fatto, la piú perfettamente conforme alla verosimiglianza,e i versi sono << piú netti e meno ricercati» di quelli del Cid. Lo

' «Rileggere, dunque, rileggere dopo la dimenticanza - rileggersi, senzaombra di tenerezza, senza paternità; con freddezza e acuità critica, e in un'at-tesa terribilmente creatrice di ridicolo e di disprezzo, l'aria estranea, l'occhiodistruttore - significa rifare o presentire che il proprio lavoro verrà rifatto inmodo completamente diverso ››. Cosí Valéry descrive il suo stato d'animo nel-la «Nota e digressione›> che costituisce la prefazione tardiva (1919) al suoLéonard del 1895 - e che ne traccia effettivamente una specie di riscrittura.Ma Chateaubriand notava già nei Memories d'outre-tomhe, a proposito dell`e-dizione tardiva dei Natchez: «Mi è capitato ciò che non è forse mai capitato aun autore: di rileggere dopo tanti anni un manoscritto che avevo completa-mente dimenticato».

' F.-R. de Chateaubriand, Memories d 'autre-tomhe, XVIII, 9.

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stile di Polyeucte è meno forte, ma piú commovente. Héracliusè «cosí confuso da richiedere una straordinaria attenzione»,ecc. Meno tecnico, o piú sicuro di sé, Racine si accontenta, perAlexandre, Andromaque e Britannicus, di sostituire alla prefa-zione polemica un testo piú neutro e piú discreto, osservandosolo come l”ultima opera sia bene sopravvissuta alle critiche.

Questi esami tardivi e comparativi sono a volte l'occasio-ne di una sorta di classifica personale, 0 piú semplicemente diuna dichiarazione di preferenza: Corneille confessa per Rodo-gune una «tenerezza» particolare, e Nicomêde è «una di quellea cui mi sento piú attaccato ››. Chateaubriand confessa la suapredilezione per i primi capitoli dei Mémoires, Dickens, conla sua semplicità abituale, dichiara a proposito di Copperƒield:«Di tutti i miei libri, è quello che amo di piú... Come molti pa-dri deboli, nel fondo del mio cuore ho un figlio preferito. Sichiama David Copperƒield». James si pronuncia in favore diPortrait ofa Lady, e soprattutto per The Amhassadors. Conrad,piú ambiguo, non vuole dire se Lord ]im è la sua opera prefe-rita, e aggiunge però, «non mi dispiace che per alcuni lettorilo sia››. Per Aragon, «Aurélien è sempre stato tra ciò che hoscritto un libro prediletto». Mi piacerebbe molto prolungarequesta serie commovente, ma la mia collezione (relativamentealle prefazioni), per il momento, finisce qui.

La preferenza autoriale - poiché è cosí che bisogna espri-mersi ~ riguarda spesso, a causa di un bisogno cosciente p in-cosciente di compensazione, le opere meno apprezzate. E unpo' il caso, malgrado la dottrina classica dell'infallibilità delpubblico, di Rodogune e Nicomède, e di molte altre che non so-no state l'oggetto di prefazioni tardive: tale atteggiamento èoggi uno stereotipo dell'intervista che ritroveremo in seguito.Ma la preferenza dell”autore riguarda spesso anche le opere piúvecchie, che invecchiando un autore è piuttosto naturalmenteportato a preferire alle successive, poiché vi ritrova il fascinodella giovinezza e un'ingenuità 0 libertà lasciata un po' perderein seguito. Troviamo questo atteggiamento (già) nell'indulgen-za di Corneille verso le sue prime commedie, e la tenerezza diRenan verso il suo «vecchio purãna»' dell°Avenir de la Scien-ce e abbastanza risaputa. Aragon manifesta piú interesse per

1 Purãna: letteralmente, lungo e fitto testo sanscrito che narra alcune tra-dizioni e leggende, presentandole come Storia [N. d. T.].

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Le mouvement perpétuel 0 Le paysan de Paris che per i suoi«penso ›› degli anni '30. Ma il caso piú tipico è forse quello diBorges, che ha eliminato dal suo catalogo alcune sue raccoltedegli anni '20, al punto di fare della loro esclusione la princi-pale ragion d'essere delle sue Ohras completas e di riacqui-stare a qualsiasi prezzo le copie che circolavano ancora; tutta-via non ha mai sconfessato la sua vera e propria prima opera,Fervor de Buenos Aires (1923) della quale dirà nella sua prefa-zione tardiva del 1969 che il muchacho che la scrisse era già«essenzialmente - che significa essenzialmente? - l'uomo cheoggi si rassegna o corregge: sono restato lo stesso »; e nel suoAutohiographical Essay del 1970: «Ho l'impressione di nonaver mai superato quel libro. Sento che tutto quello che hoscritto da allora non ha fatto che sviluppare i temi lí toccati perla prima volta; sento di aver riscritto questo libro durante tuttala mia vita ››. Piú sarcastico, Thomas Pynchon, rileggendo lenovelle di Slow Learner ', comincia gridando «Oh, my God! ››- prima di salvarle come catalogo di errori da evitare ad usodei dilettanti, e di osservare, rovesciamento semi-ironico deltopos borgesiano: «Quasi tutto quello che detesto del mio stiledi oggi vi ci si trova già». Anche lui prova «questa specie ditranquillità che sente l'uomo maturo: è cosí che vorrei contem-plare con un occhio calmo gli sforzi del debuttante che ero.Voglio dire, non posso comunque cacciare questo ragazzo dallaporta della mia esistenza. E poi, se, grazie a qualche tecnicaoggi ancora inimmaginabile, mi trovassi faccia a faccia con lui,sarei felice di prestargli dei soldi, di portarlo fino al bar d'an-golo, per parlare dei vecchi tempi davanti a una birra ››. Ancoraun altro tema borgesiano.

Precoce in tutto, Hugo scrive nel 1833 una (terza) prefazio-ne per Han d 'Islande che, malgrado l'età ancora tenera e la bre-ve distanza, suona anch'essa, grazie alla sua serena indulgenza,come una prefazione tardiva. Questo «libro di un giovane,molto giovane» è per lui segno piú di immaginazione che diesperienza, «poiché l'adolescenza, che non ha né fatti, néesperienza, né modelli dietro di sé, intuisce solo attraversoPimmaginazione». Per Hugo, l'età d”oro del creatore è piut-tosto la «seconda epoca della vita [...] Ancora giovane e già

' Prefazione originale tardiva (1984) per una racccolta di novelle antiche(1958-64).

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maturo. È la fase preziosa, il punto intermedio e culminante,l'ora calda e raggiante di mezzogiorno, il momento di mino-re ombra e di massima luce ›› - quella sicuramente in cui sitrova lui stesso in questo momento -, questa vetta in cui i«supremi artisti» si mantengono tutta la loro vita. Han d'Islandeha per lui tutti i tratti dell”adolescenza, «quando si è innamo-rati del primo amore, quando gli impedimenti borghesi dellavita vengono convertiti in ostacoli grandiosi e poetici, quan-do si ha la testa piena di fantasie eroiche che vi ingrandisco-no davanti ai vostri stessi occhi, quando si è già uomini perdue o tre aspetti ed ancora bambini per venti altri... ›› Per farlabreve, un'opera «soprattutto ingenua ›› - un difetto che nes-suna qualità potrà mai sostituire.

Il tema del «Non sono cambiato ›>, della permanenza affet-tiva e della continuità intellettuale è indubbiamente ciò chepiú caratterizza il discorso retrospettivo - e, in alcuni casi,retroattivo - della prefazione tardiva; in particolare, ovvia-mente, quando il bisogno si fa particolarmente sentire, quandocioè l'autore è decisamente ed evidentemente cambiato. Que-sto discorso che spesso segue una conversione non tende certoa cancellare la conversione, ma ad attenuarne la bruschezzascoprendo nel passato gli annunci e le premonizioni del presen-te. Essendo alla fine riuscito a ripubblicare il suo turbolentoEssai sur les révolutions, Chateaubriand si astiene dall”appor-tare la minima correzione, ma lo arricchisce di un notevole pa-ratesto recuperatore, sotto forma di note (come vedremo inproposito), ma anche di una prefazione destinata innanzituttoa ristabilire il suo contesto storico e poi e soprattutto a difen-derlo dalla principale accusa di ateismo. «Del resto quest'ope-ra è un vero e proprio caos: ogni parola contraddice la parolaseguente ››, e sarà lo scopo delle note quello di distinguere neidettagli la parte di errori giovanili e quella delle prime intui-zioni di verità. Ma niente permette di leggerla come l'opera diun ateo 0 di un avversario del cristianesimo. Ero già alloraquello che sono oggi: un partigiano della libertà a cui manca-va solo di aver scoperto la doppia pietra angolare delle mieconvinzioni: che il cristianesimo è precisamente una religio-ne della libertà, e che la monarchia rappresentativa è l'unicadifesa contro ogni specie di dispotismo: «Nessuna vera religio-ne senza libertà, nessuna vera libertà senza religione».

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La conversione operata da George Sand tra Poriginale(1832) e la riedizione nel 1842 di Indiana è di tipo opposto, ediciamolo pure, piú raro, per quanto ugualmente illustrato daHugo nelle Odes et Ballades: è piuttosto, si direbbe in termi-ni pesantemente politici, un passaggio da destra a sinistra. Laprefazione originale di questo romanzo sulla condizione fem-minile si sforzava di indebolire ogni critica sostenendo l'inno-cuità e negando qualsiasi intenzione sovversiva, e addirittu-ra riformatrice. Nel 1842, cambiamento in vista: la prefazioneanteriore era stata scritta, dichiara ora l'autrice, «sotto l'im-pero di quel po' di rispetto che ancora restava per la società co-stituita››. Ma «il mio dovere attuale è di felicitarmi per lasfrontatezza alla quale mi sono lasciato andare [notare il ma-schile pseudonimico] da allora in poi ››. Rileggendomi oggi condifficoltà, «mi sono trovato talmente d°accordo con me stes-so... che non ho voluto cambiare niente ››. Indiana è stato scrit-to «con la sensazione non razionale, è vero, ma profonda e le-gittima, dell'ingiustizia e della barbarie delle leggi che reggonoancora l'esistenza della donna nel matrimonio, nella famigliae nella società». Ma bisogna aggiungere che una terza prefa-zione, la Notice del 1852, si sforzerà di nuovo di correggere iltiro, questa volta in senso piú «rispettoso della società costi-tuita››, prendendosela con la critica, che ha «troppa fantasia,e che prende, come dicono le brave persone, lucciole per lan-terne», al punto di aver voluto vedere in questo romanzo«un'accusa premeditata contro il matrimonio ››. Seconda pa-linodia che ci riporta al punto di partenza.

Nel 1890, Renan si decide infine a pubblicare tale e qualeAvenir de la Science', opera che aveva terminato nel 1849, e cheaveva per inettitudjne lasciato nel cassetto. Scrive dunque unaprefazione che sarà, come quella dei Natchez (altro vecchio pu-rãna), contemporaneamente originale e tardiva. Rileggendo-si dopo tanti anni, l'autore trova mille errori di gioventú, tracui un eccesso di ottimismo. Ma «quando cerco di fare il bi-lancio di ciò che di questi sogni di mezzo secolo fa è rimastouna chimera e di ciò che si è realizzato provo, lo ammetto, unsentimento di gioia morale piuttosto forte. Insomma, avevoragione [...] Ho avuto dunque ragione, all'inizio della mia car-riera intellettuale, di credere fermamente alla scienza e diprenderla come scopo della mia vita. Se dovessi ricominciarerifarei ciò che ho fatto, e durante quel poco tempo che mi resta

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da vivere, continuerò. L'immortalità è lavorare ad un'operaeterna ››.

Nel 1865, Barbey d'Aurevilly scrive una prefazione a unariedizione di Une vieille maitresse, opera anteriore (185 1) al-la sua conversione al cattolicesimo: ecco di nuovo un caso piúclassico. I «Liberi Pensatori›› pretendono opporre quest'operaalle sue convinzioni attuali. Pura calunnia: il suo scopo era «dimostrare non solo l°ebbrezza della passione, ma anche la suaschiavitú [...], ritraendola, la condanna apertamente» e per-ciò questo libro è un'opera rigorosa. Nel 1903, Huysmans, an-che lui convertito, ripubblica A rehours (1884) con una « Pre-fazione scritta vent'anni dopo il romanzo ›› (è il suo titolo: ilritardo è canonico). Allora mi credevo, spiega l'autore, mol-to lontano dalla religione, mi sbagliavo: «Oggi potrei benissi-mo firmare le pagine sulla Chiesa, perché sembrano, in effetti,essere state scritte da un cattolico... Tutti i romanzi che hoscritto in seguito sono contenuti in germe in questo libro ››. Illavoro della grazia si è svolto a mia insaputa, e all°insaputa ditutti i critici, tranne uno - Barbey - che scrisse: «Dopo un si-mile libro all'autore non resta che scegliere tra la canna di unapistola e la base della Croce». E Huysmans conclude: «Giàfatto ››. Diamogli atto di non aver qui cercato di recuperare lasua opera anteriore, lasciando nel cul-de-sac naturalista tuttociò che precede A rehours. ,

La conversione di Barrès non è esattamente, come quelledi Chateaubriand, Barbey e Huysmans, di ordine religioso, maideologico e politico. Pubblicando nel 1892 l'edizione <<defi-nitiva›› di Sous l'aeil des Barhares, l'accompagna con un «Esa-me dei tre romanzi ideologici» detti del Culte du Moi ', non acaso dedicato a Paul Bourget. E una prefazione molto pocotardiva, ma anche Barrès era rapido. I tre volumi, accolti co-me un breviario di scetticismo, << non avevano saputo esprime-re tutto il loro significato». Il loro preteso nichilismo egotistaera di fatto un primo stadio, come il dubbio (0 il cogito?) diDescartes. Bisogna partire dall'unica realtà certa che è l'Io.«Sento che mi parleranno di solidarietà. Il primo punto era diesistere... prendete l'Io come un terreno di attesa sul qualedobbiate restare fino a quando una persona energica non vi ab-

' Sous l 'aeil des Barhares (1888), Un homme libre (1889), Le /'ardin de Béré-nice (1891).

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bia ricostruito una religione ››. A quanto pare, come direbbeHuysmans, « Già fatto ››. La prefazione all'edizione del 1904di Un homme lihre spingerà piú lontano la manovra allinean-do Le culte du Moi sulle posizioni nazionaliste dei Déracinés.Bourget, che era per Barrès quello che Barbey era per Huys-mans (che catena!), aveva apprezzato Un homme libre come«un capolavoro di ironia al quale manca solo una conclusione ››.Conosciamo la scelta, ma per Barrès sarà piuttosto l'affusto diun cannone. Nell'attesa, << questa conclusione rimasta in sospe-so, viene fornita dai Déracinés. Nei Déracinés, l”uomo liberodistingue e accetta il suo determinismo. Un candidato al nichi-lismo persegue il suo apprendistato, e d'analisi in analisi, provail nulla dell'10, fino ad assumere il significato sociale». E in ap-pendice a questa edizione, una «Risposta a M. René Dournic››può cosí concludere: «Niente vitello grasso! ›› Poiché il figliolprodigo non era mai partito, stava solo facendosi i muscoli del-l'intelligenza. Da qui la formula che riassume tutto, un giocodi parole che è già servito c che servirà ancora per molto tem-po: << Pensare solitariamente, significa incamminarsi a pensaresolidalmente ›>.

Da Barrès ad Aragon, la catena continua, e la filiazione vie-ne, come sappiamo, rivendicata dal secondo. Ma il discorso direcupero di quest'ultimo è piú complesso e, come abbiamo giàintravisto, piú tormentato. L'autore degli incipit ha infatti di-versi passati da recuperare, e il piú difficile non è quello piúlontano: dall'anarchism0 surrealista alla solidarietà comunistala formula di transizione è simile a quella di Barrès, e sul pianoletterario il passaggio dalla scrittura automatica al realismo so-cialista è anch'esso dello stesso ordine, rafforzato da una ro-busta dialettica del mentir vrai, e da una piroetta «nello stiledi Hugo, per cui nel surrealismo c”è del realismo ››. Inoltre nonvi è qui alcuna ritrattazione, ma semplice progressione e svi-luppo: «A quelli che concluderebbero che io stia rinnegandoi miei primi scritti, direi che l°uomo non è la negazione delbambino ma il suo sviluppo ››. Piú difficile da salvare la fase «disinistra ›› di Front rouge, che Aragon preferisce condannare inblocco benché l'autocritica sia una << ginnastica, a dire il vero,a cui non mi sono mai abituato, né ho mai rispettato ››. Piú dif-ficile infine da condannare - poiché connessa intimamente,volenti o nolenti, all'impegno comunista - la «deviazione»stalinista e le molteplici compromissioni con le piú ignobili

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conseguenze. Il discorso diventa qui dostoevskijano, e mischiala velleità retrospettiva di rivolta alla sottomissione voluttuo-samente masochista a «questo mio inferno volontario ››. Maquesto, forse, non riguarda propriamente l'opera. Anche la vi-ta ha il suo paratesto, e la posterità è una lunghissima postfa-zione, che non si può scrivere da soli.

La prefazione tardiva di un'opera può anche essere, per tut-ta l'opera, l'ultima prefazione, e, con un po' di fortuna, l'ul-tima parola. E pressappoco il caso di Ronsard, morto sullapre-fazione tardiva della Franciade, e abbiamo visto che questo eraidealmente il proposito di Chateaubriand o di Walter Scott.James muore nel 1916 senza aver terminato la sua serie di pre-fazioni, e Aragon si interrompe al tomo VIII della sua (Euvrepoétique, bruscamente e definitivamente, circa tre anni primadella sua morte fisica. Abbandonare la scena è un'arte «tuttada eseguire ››.

L'« ultima prefazione ››, o presunta tale, è dunque spessosentita dall”autore come la sua ultima occasione di rivolgersial lettore, l'ultima occasione di comunicare con il pubblico. Inquella che al contrario fu, se non sbaglio, la sua prima prefa-zione autoriale, quella di Inquisiciones (1925), Borges scrive-va che la prefazione è il luogo dell'opera in cui l'autore è «me-no autore ››. Meno autore nel senso, probabilmente, di menocreatore, ma al contrario di piú comunicatore. Anche un roman-ziere cosí conviviale come Fielding sembra provare una sen-sazione di rottura dei contatti, di una cessazione del << discor-so» durante i capitoli propriamente narrativi, e finzionali, del-la sua opera: e quindi presenta l'ultima <<prefazione›> di TomIones (il capitolo introduttivo del XVIII e ultimo libro) comela sua ultima istanza di comunicazione. La fine di questo ro-manzo, affrettata dall'abbondanza degli argomenti, non com-porterà piú battpte né osservazioni scherzose: « Sarà sempli-ce narrazione ››. E dunque qui che ci separiamo, se possibile ca-ri amici, << come compagni di viaggio che hanno passato mol-ti giorni insieme in una diligenza e che, ,malgrado tutte le frec-ciatine o le animosità che si sono potute verificare lungo ilcammino, alla fine si riconciliano e saltano per l'ultima voltanella vettura con divertimento e buon umore; poiché dopoquesta tappa ci può benissimo capitare, com'è generalmenteil caso, di non rivederci mai piú ››. Cosí quest'ultima prefazio-

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ne, ultima sosta prima dell'ultimo viaggio, si intitola logica-mente: «Addio al lettore ››.L'ultima prefazione, per un autore che sa vivere e morire

in tempo, è dunque il momento della cerimonia degli addii.Nessuno a mia conoscenza ha sbrigato questa cerimonia me-glio di Boileau nella prefazione per la raccolta del 1 701 dellesue Guvres. Gli restano, è vero, ancora dodici anni di vita, maa quell'ep0ca un poeta di settantatre anni sentiva l'urgenza diandare in pensione. «Dato che la presente è verosimilmentel'ultima edizione che mai rivedrò ', ed essendo cosí anziano,con piú di settantratre anni, e sofferente di molteplici infer-mità, da non poter, a quanto sembra, correre ancora a lungo,il Pubblico accetterà di buon grado che io prenda da lui con-gedo, ringraziandolo della bontà che esso ha avuto nell'acqui-stare ' tante volte delle opere cosí poco degne della sua ammi-razione ››. Segue un serio interrogativo circa le ragioni di talefavore. Ce n'è una sola e consiste nella «mia preoccupazionedi conformarmi sempre ai suoi sentimenti e di cogliere, nellamisura del possibile, il suo gusto in tutte le cose ››. Poiché nonsi tratta di essere «approvato da un piccolo numero di cono-scitori», bisogna stuzzicare «il gusto generale degli Uomini».E il mezzo supremo per raggiungere questo scopo è di «nonpresentare mai al Lettore nient'altr0 che pensieri veri edespressioni giuste ››. Tutto il resto (e qui Boileau se la prendecon alcuni versi, da allora rimasti famosi, di Théophile e diBenserade) è freddo come «tutti i ghiacci del Nord ››, e puòpiacere solo per un istante. Le opere fondate sulla verità e lagiustizia sono invece immortali, e resistono a tutti gli intrighi,« come un pezzo di legno che venga affondato in acqua con lamano: esso resta sul fondo solo fin quando lo si costringa, masubito, quando la mano lo abbandona, si solleva e riemerge insuperficie. Cosí Boileau attende fiduciosamente il giudizio deiposteri. Giudizio, sí: « In effetti, cosa significa dare alla luce

' Nel 1710 comincerà a prepararne un'altra (quella postuma del 1713),ma pare non sia riuscito ad andare oltre la quinta pagina prima di morire, nelmarzo del 171 1.

2 In francese acheter [N. d. T.]. Leggiamo correttamente acheter (acquista-re) e non achever (finire). Una tale franchezza oggi senza dubbio potrebbescioccare, dato che amiamo circondate il commercio delle lettere di ghirlandeipocrite; ma è noto che Boileau amava chiamare acquisto un acquisto.

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un'opera? Non significa forse dire in qualche modo al pubbli-co: giudicatemi? Perché dunque si dovrebbe trovare brutto es-sere giudicati? ››

Contrariamente alla speranza dell'autore delle Satires, un ta-le proposito oggi rischierebbe di apparire completamente fuorimoda. Ma che ne sarà domani, e soprattutto dopodomani, ditutto ciò che «riemergerà in superficie »? Mi sembra comun-que opportuno terminare questo lungo percorso attraverso leprefazioni autoriali con una cosí amabile dimostrazione sull'ar-te di prendere congedo.

Prefazioni allografe.

La prefazione autoriale aveva una preistoria: secoli di «vitanascosta››, fusa alle prime o ultime pagine del testo; a quantopare, nulla di simile caratterizza la storia della prefazione al-lografa, della quale i primi esempi sembrano risalire, almenoin Francia, al XVI secolo; epoca in cui la prefazione autorialestessa si separa dal corpo del testo. Se un'inchiesta piú appro-fondita riuscisse a confermare questa impressione, la spiega-zione sarebbe, per cosí dire, contenuta nel fatto stesso, poichél'allografia è in qualche modo una separazione: separazione frail destinatore del testo (l'autore) e quello della prefazione (ilprefatore). Potrebbe anche darsi che le prime prefazioni ma-terialmente separate siano state delle prefazioni allografe, peresempio quella dell'anonimo (ma senza dubbio di Marot), cheaccompagna la traduzione stampata nel 1526 del Roman de laRose, e che ne propone una serie di interpretazioni simboliche.Citiamo ancora, sempre in Francia, la prefazione (puramen-te filologica) dello stesso Marot per la sua edizione delle operedi Villon (1533), poi, sempre di Marot, una prefazione alla suatraduzione di Ovidio (1534), e, con firme diverse, delle pre-fazioni alle varie traduzioni di Omero, di Sofocle, di Euripi-de, di Orazio o di Terenzio. Nel 1547, Amyot mette all'ini-zio della sua traduzione di Teagene e Cariclea una specie di ma-nifesto in favore del romanzo greco considerato come una sa-lutare antitesi morale ed estetica alle informi insulsaggini deiromanzi di cavalleria. Lo stesso Amyot scriverà, ancora, del-le prefazioni alle sue traduzioni di Diodoro (1554) e di Plutar-

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co (1559), altri manifesti, in favore della Storia'. La produ-zione prefativa sarebbe dunque strettamente legata alla pra-tica umanista dell'edizione e della traduzione dei testi classicidel medioevo e dell'antichità classica. Se questa ipotesi venisseverificata, il Rinascimento italiano permetterebbe probabil-mente di risalire molti decenni addietro.Tutte queste prefazioni sono evidentemente di produzio-

ne postuma, vale a dire posteriore alla morte de]l'autore del te-sto. Le possibilità temporali della prefazione allografa si distin-guono unicamente per questa eventualità che ovviamente nonsi presenta all'autoriale; vi sono dunque delle allografe origi-nali (per una prima edizione), ulteriori (per una riedizione an-tuma 0 per una traduzione 2), e tardive - queste ultime sonogeneralmente postume. A mia conoscenza, come ho detto, laprima allografa originale sarebbe quella di Chapelain per l'A-done di Marino ', ma qui ancora si deve poter risalire piú ad-dietro. Notiamo inoltre, per non tornarci piú, che una prefa-zione allografa originale può coesistere con una autoriale; que-sto fatto è certamente raro nelle opere di finzione, in cui giu-stamente si ritiene che una presentazione sia sufficiente, manon per le opere teoriche o critiche, che permettono (come ve-dremo) una spartizione significativa dei discorsi prefativi. C”èperfino un po' di questo in Les Plaisirs et les ]ours, in cui unaprefazione di Anatole France precede una specie di epistoladedicatoria di Proust a Willie Heath. Per ragioni evidenti, intutti questi casi la prefazione allografa ha la precedenza sul-l'autoriale.A parte il caso dell'Adone, tale pratica non sembra essere

molto diffusa nell'epoca classica: la sua era di opulenza comin-cia nel corso del XIX secolo; e comunque questa abbondanzaè essa stessa del tutto relativa: con lo stesso sforzo ho trova-to molte piú prefazioni autoriali che allografe, e su questo pun-

' La maggior parte delle prefazioni menzionate qui sitrovano comodamen-te riunite nella raccolta di B. Weinberg, Critical ,Preƒaces of the French Renais-sance, Northwestern University Press, Evanston (Ill.) 1950. Sulla prefazione diTeagene e Cariclea, cfr. M. Fumaroli, Iacques Amyot and the clerical polemicagainst the chivalric novel, in «Renaissance Quarterly», primavera 1985.

2 Nel caso di traduzione, la prefazione può essere, come abbiamo appenavisto, firmata dal traduttore. Il traduttore-prefatore può eventualmente com-mentare, tra l'altro, la propria traduzione; su questo punto e in questo senso,la sua prefazione cessa allora di essere allografa.

* Pubblicato in italiano a Parigi nel 1623.

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to attendo con serenità le prossime statistiche. La spiegazio-ne ipotetica di questa disproporzione dipende per il momen-to dal «buon senso›>, vale a dire da luoghi comuni come << E piúdifficile disturbare due persone che una sola ››, «Chi fa da séfa per tre ››, 0 (piú discutibili) «Per scrivere una prefazione aun libro bisogna averne letto almeno qualche pagina». L0 stu-dio delle funzioni forse ci aiuterà a sfumare queste ovvietà.

Essenzialmente queste funzioni coincidono, talvolta speci-ficandole, con quelle dell'autoriale originale (favorire e guidarela lettura), dato che le funzioni proprie alle autoriali ulterio-ri e tardive non sono minimamente alla portata di un prefatoreallografo - d'ora in poi diremo semplicemente prefatore. Lespecificazioni dipendono ovviamente dal cambiamento di de-stinatore, dato che due tipi di persone non possono assicura-re esattamente la stessa funzione. La valorizzazione del testodiviene dunque raccomandazione e l'informazione presenta-zione. Per una ragione che mi sfugge, comincerò dalla seconda.

Le funzioni informative legate al ruolo di presentatore sonomultiple, e forse eterogenee. L'informazione sulla genesi del-l'opera è piú caratteristica delle prefazioni postume poiché conl'autore in vita sembrerebbe incongruo che un terzo se ne as-suma al suo posto la responsabilità. E quello che fa Grimm,nel 1770, a proposito di ciò che dieci anni piú tardi diventeràLa religieuse di Diderot, ma sappiamo quanto sia stata parti-colare la genesi di quest'opera; e del resto le rivelazioni diGrimm, debitamente corrette da Diderot, diventeranno soloin questa data la «Prefazione dell'opera precedente ››. Questotipo di informazione costituisce oggi il ruolo essenziale delleprefazioni (piú modestamente denominate notices o <<introdu-zioni ››) a cura dei responsabili delle edizioni erudite, che vitracciano le tappe del concepimento, della redazione e dellapubblicazione, e che concatenano logicamente una << storia deltesto ›› e l'esposizione delle loro proprie scelte editoriali: edi-zione critica del testo, scelta degli avantesti e delle varianti,note documentarie e critiche, ecc. Nelle collane che miranocontemporaneamente al rigore filologico e alla (relativamen-te) larga diffusione, le funzioni di valorizzazione erano unavolta affidate ad un altro presentatore che nella «prefazione ››propriamente detta svolgeva un discorso piú generale e inli-

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nea di principio piú seducente: André Maurois per Proust, Ar-mand Lanoux per Zola, per esempio. Questa divisione deicompiti tende a scomparire, segno evidente della promozionedel lavoro filologico che abbiamo osservato precedentemen-te a proposito delle collane tascabili.Un secondo tipo di informazione, anch'esso caratteristico

delle prefazioni postume, è d'ordine propriamente biografico:pubblicare un'opera, a fortiori le opere complete di un autore,è stato a lungo (almeno dalle vidas dei trovatori inserite nelleraccolte del XIII secolo) l'occasione, quasi obbligatoria, per in-formare i lettori sulle circostanze della sua vita. Tutte le grandiedizioni dell'età classica iniziavano con una rituale «Vita del-l'autore» che fungeva da studio critico. All'inizio della primaraccolta delle sue Fahles, La Fontaine dispone una «Vita diEsopo il Frigio››; La Bruyère inizia i suoi Caractêres con un«Discorso su Teofrasto»; una «Vita di Blaise Pascal» scrittada sua sorella Gilberte appare nel 1684 all'inizio dei Pensées;nel 1722 un'edizione di Racine viene accompagnata da unabiografia subito denunciata dalla famiglia perché troppo po-co edificante; nel 1783, l'edizione di Kehl delle Opere di Vol-taire inizia con la «Vita di Voltaire» di Condorcet; sappiamoinoltre che Balzac, per una sua edizione di Molière e La Fon-taine scrive su ciascuno di essi, nel 1825, una nota biograficadi qualche pagina che non aggiunge nulla né alla loro gloria néalla sua. Flaubert, nello scrivere la prefazione all'edizione ori-ginale e allo stesso tempo postuma delle Derniêres Chansons delsuo amico Louis Bouilhet (1872), comincia esorcizzando que-sta pratica per lui detestabile, e della quale non sembra sospet-tare l'antichità: «Non si è forse abusato dell'“informazione”?La storia ben presto assorbirà tutta la letteratura. Lo studio ec-cessivo di ciò che costituiva l”atmosfera di uno scrittore ci im-pedisce di considerare l'originalità stessa del suo genio. Aitempi di La Harpe, si era convinti che, grazie a certe regole,un capolavoro venisse al mondo senza dover niente a nessuno,mentre oggi si crede di scoprire la sua ragion d'essere dopoun'analisi dettagliata di tutte le sue circostanze» (questo ge-nere di protesta si chiamerà piú tardi un Contre Sainte-Beuve,e ci si può anche divertire nel veder attribuire a La Harpe un'i-dea che potremmo oggi definire «valéryana»). Poi si affrettaa sacrificarsi lui stesso al disprezzato rito, riferendoci la vita

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e le opinioni del suo amico: le sue esigenze, i suoi scrupoli, ilsuo disgusto per un secolo <<mediocratico››, il suo odio per iproclami teorici: «Si sarebbe impiccato piuttosto che scrive-re una prefazione ››. Anch°esso scarsamente portato a questogenere, Flaubert ha dato vari segni di resistenza, e questa pre-fazione, che è l'unica che abbia mai scritto, esprime piú la pie-tà che l'entusiasmo. Quella di Mallarmé per Vathek è quasiesclusivamente biografica (e bibliofila), e quella di Sartre perAden-Arahie è essenzialmente una testimonianza biografica suNizan cosí come l”ha conosciuto. La maggior parte delle allo-grafe postume di Borges che costituiscono la raccolta del Pró-logos presentano una nota biografica; la piú interessante èquella consacrata a Macedonio Fernández, e che si presentaesplicitamente in quanto tale: «Nessuno ha finora scritto unabiografia di Macedonio Fernández [_ . _] Non voglio che nullasi perda di ciò che riguarda Macedonio. Io che mi attardo aconsegnare questi dettagli assurdi, continuo a credere che il lo-ro protagonista sia l'uomo piú straordinario che abbia mai in-contrato. Di sicuro doveva essere la stessa cosa per Boswellcon Samuel Johnson ››.

Un ultimo tipo di informazione, già piú vicina all'interpre-tazione critica, consiste nel situare il testo presentato nell”in-sieme dell'opera del suo autore: come fa Larbaud nel 1926 perla traduzione di Duhliners, e Todorov nel 1984 per quella diThe Great Code; o ancora, nel campo piú vasto di un genere 0della produzione di un'epoca: è precisamente questo l'obiet-tivo di George Poulet nella sua prefazione a Littérature et Sen-sation, che definisce la critica di ]ean-Pierre Richard rispettoad altre correnti (Blanchot, Béguin, Bachelard) della criticacontemporanea.

La seconda funzione è indubbiamente, soprattutto per leallografe originali, di gran lunga la piú importante; è soprat-tutto la piú specifica e quella che motiva il ricorso a un prefa-tore: è la funzione di raccomandazione: «Il sottoscritto, X, vicomunica che Y ha del talento e che bisogna leggere il suoli-bro››. Con questa formula esplicita, e a dire il vero piuttostorara e caratteristica dei settori piú ingenui dell'istituzione let-teraria, il discorso prefativo rischia di produrre un doppio ef-fetto di ridicolo: l'effetto sorpresa associato all'elogio indiscre-

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to, e l'effetto di ritorno che colpisce il prefatore cosí presun-tuoso da voler decidere del genio altrui. L'edizione del 1847del Provincia! ti Paris, opera minore di Balzac ', cominciavacon una «premessa dell'editore ›› in cui questi (P) agitava l'in-censiere con una delicatezza tutta... balzachiana: «Ve n'è unoche forse piú degli altri giustifica la reputazione di cui gode.Questo scrittore è M. de Balzac [...] Nessun altro ha sondatopiú profondamente le mille pieghe del cuore umano [...] Orache l'edificio è quasi terminato, tutti possono ammirarne l'e-leganza, la forza, la solidità [...] M. de Balzac è uno scrittoreche non può essere paragonato a nessun altro scrittore di og-gi. Non vediamo che un solo nome dopo il quale disporrem-mo volentieri quello di M. de Balzac. E questo nome è Molière[...] Se Molière vivesse oggi scriverebbe La Comédie humaine.Di quale altro scrittore contemporaneo potremmo dire lo stes-so? ›› Il carattere probabilmente apocrifo di questa allografiapseudo-editoriale non migliora le cose: Balzac si assume difronte alla posterità la responsabilità di un ridicolo general-mente ripartito tra due persone.

Per fortuna la funzione di raccomandazione resta il piú del-le volte implicita, poiché la sola presenza di questo genere diprefazione è in se stessa una raccomandazione. Questa cauzio-ne è in genere, nel caso di una prefazione originale, conferi-ta da uno scrittore piú consacrato: Flaubert per Bouilhet,France per Proust, Borges per Bioy Casares, Sartre per Natha-lie Sarraute. Oppure, nel caso di una traduzione, piú conosciu-to nel paese di importazione: Baudelaire per Poe, Malraux oLarbaud per Faulkner, di nuovo Larbaud per ]oyce, Aragonper Kundera. O piú attuale (per definizione) al momento dellariedizione ampiamente postuma di un testo classico «rivisto ››da uno scrittore contemporaneo: Valéry per le Lettres persanes,per Lucien Leuwen, per La tentation de saint Antoine, Sartreper iƒournaux intimes di Baudelaire, Queneau per Bouvard etPécuchet. O anche, mettendo da parte ogni questione di no-torietà relativa, un autore in grado di aggiungere a un'operail valore di un'interpretazione e, di conseguenza, uno statutoteorico esemplare. E a quanto pare il senso che bisogna at-

' Poi diventata Les Comédiens sans le savoir: cfr. La Comédie humaine,VII, Gallimard, Paris 1977, p. 1709.

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tribuire alla prefazione ' scritta per l”/ldone da Chapelain,che allora era un semplice discepolo di Malherbe. Costui erastato sollecitato ma preferí trasmettere all'altro un compitoche probabilmente non l'attirava minimamente; l'operazioneebbe un felice esito: Chapelain produsse un lungb testo piut-tosto pesante, ma che dimostrava, in uno spirito di piena or-todossia aristotelica, come il poema di Marino fosse «svoltoe tessuto nella sua novità secondo le regole generali dell'epo-pea›› - una sorta di epopea decisamente nuova, poiché diazione non eroica, ma sufficientemente «illustre» (vita e mortedi Adonis) per fornire il soggetto di un grande poema narra-tivo, proprio come l'azione non guerresca di Edipo poté for-nire un soggetto per la tragedia: in cui ancora una volta si puòosservare la capacità generativa della combinatoria aristotelica.Alla fine Chapelain, che fi11 dall'inizio si era scusato per la pro-pria mancanza di autorità, concludeva dichiarando, con unamodestia piuttosto altera, di non aver mai cercato di «lodare››il cavaliere Marino, ma solo di dire in cosa fosse degno dies-sere elogiatoz << La mia intenzione non è mai stata di coronarloma di farvi vedere succintamente che sapevo perché egli me-ritasse la corona ››. E inoltre, mutatis mutandis, la funzione del-la prefazione di Larbaud alla riedizione nel 1925 di Les laurierssont coupés (1887), una precisazione sulla storia del monolo-go interiore, o di quella di Deleuze a Vendredi, promosso gra-zie a lui al rango di illustrazione di «una certa teoria dell'al-tro ››, e della perversione come assenza dell'altro. Forse pi si ri-corderà che negli anni '60 la collana tascabile << 10/18 ›› si eraspecializzata in questo tipo di presentazioni a forte coefficien-te intellettuale: Blanchot per Le Bavard, Barthes per Les Corpsétrangers, Ricardou per La route des Flandres, ecc. Ma la monu-mentale «prefazione ›› di Sartre alle CEuvres complêtes di Ge-net resta in assoluto l'esempio piú imponente, 0 il piú ingom-brante, della cauzione filosofica a un'opera letteraria. In asso-luto? A meno che un giorno non si decida di stampare L'idiotde la famille come prefazione a Madame Bovary...

Nei suoi Prólogos, Borges di sfuggita osserva: « Nessuno,che io sappia, ha ancora formulato una tecnica della prefazio-

' Lettre ou discours de M. Chapelain à M. Favereau [...] portant son opinionsur le poême d'«Adonis›› du chevalier Marino, ripreso in A. C. Hunter (a curadi), Opuscules critiques, Droz, Paris 1936.

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ne ››, e saggiamente aggiunge: «Questa lacuna non è grave datoche tutti sappiamo di cosa si tratta››. Osservazione che do-vrebbe distogliere chiunque dal riflettere su un oggetto cosítriviale, ma che tuttavia non gli impedisce di continuare: «Laprefazione, per la maggior parte del tempo, ahimè! assomigliaa un discorso alla fine di un banchetto, o a un'orazione fune-bre ed abbonda di iperboli gratuite che il lettore, che non èsciocco, prende per semplici espressioni stilistiche. Ma ci so-no dei casi in cui la prefazione [...] espone e commenta un'e-stetica››. E prosegue citando Wordsworth e Montaigne, il cheprova come egli non pensi solo alle prefazioni allografe, cui siriferisce chiaramente attraverso la formula «orazione fune-bre». «Una prefazione, quando è riuscita, conclude, non è unaspecie di brindisi; è una forma laterale della critica›>. Variesempi già citati, tra i quali si potrebbero collocare le sue pre-fazioni allografe dei Prólogos, mostrano piuttosto chiaramenteche queste due funzioni, di valorizzazione e di commento cri-tico, non sono affatto incompatibili, e che inoltre la secondapuò essere una forma piú efficace della prima: poiché indiret-to, il commento mette in luce significati << profondi ››, e già perquesto gratificanti. Sappiamo, ad esempio, quanto la «quota-zione ›› intellettuale di Faulkner abbia dovuto, in passato, inFrancia, alla famosa formula di Malraux sull'«intrusione dellatragedia greca nel romanzo poliziesco ›>.

Resta il fatto che la dimensione critica e teorica della pre-fazione allografa la spinge manifestamente verso la frontierache separa (0 meglio verso l'assenza di frontiera che non separanettamente), il paratesto dal metatesto, e piú concretamentela prefazione dal saggio critico. Questa prossimità è partico-larmente sensibile nelle prefazioni postume scritte per la rie-dizione di'opere antiche', per le quali la scomparsa - già damolto tempo - dell'autore disimpegna da ogni obbligazionedi carattere ufficioso, se non addirittura da ogni compito di va-lorizzazione: è chiaro ad esempio che la presenza di una pre-fazione firmata Valéry, per quanto severa, è senza dubbio piúincitativa che dissuasiva. Non a caso cito Valéry, le cui impor-tanti prefazioni a Montesquieu, Stendhal o Flaubert, hanno

' Non parlo di prefazioni postume in forma di omaggio (con breve ritar-do) a un amico scomparso, del tipo di Flaubert per Bouilhet, che al contrarioBorges giustamente assimilerebbe al modello di «orazione funebre».

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tutte il carattere di saggi critici, e si ritrovano oggi legittima-mente tra i saggi autonomi come quelli su La Fontaine o Vol-taire da cui non si distinguono. Del resto egli prende le cosemolto alla larga, in particolare a proposito delle Lettres per-sanes, o piuttosto a proposito dell'espn't in generale,/poi dell'es-prit del XVIII secolo, prima di giungere a Montesquieu, e poial suo libro. Una simile ampiezza prospettica caratterizza an-che il saggio su Stendhal, e l”autore di Leuwen vi figura piú co-me un tipo di pensiero che come scrittore. << La tentazione di(san) Flaubert ›› è anch'essa piuttosto francamente critica: è unattacco al realismo, Salamrnbô e Bovary, e perfino Saint An-toine, in cui Flaubert, «inebriato dall'accessorio a spese delprincipale», ha semplicemente perso <<l”anima del suo argo-mento ››. E significativo il fatto che il saggio su Stendhal, adesempio, sia inizialmente apparso in una rivista e che sia sta-to in seguito ripreso in un volumetto separato, prima di venirepubblicato in Variéte'. Si potrebbe dire lo stesso delle prefazio-ni di Sartre raccolte in Situations insieme ad alcuni vecchi ar-ticoli, di quelle di Barthes raccolte in Essais critiques, ecc. E an-cora una volta, i due saggi critici di Sartre, inizialmente pre-fazioni, il Baudelaire e il Saint-Genet, che non evocherò ulte-riormente in una rubrica che la loro considerazione farebbescoppiare come un palloncino.

Ma può anche capitare che il prefatore, forte della posizio-ne dominante che gli conferisce generalmente la sua notorietà,e sempre il fatto di rispondere a una domanda, e sicuro dun-que di potersi permettere piú o meno tutto, se ne approfittiper andare al di là del presunto oggetto del suo discorso in ,fa-vore di una causa piú generale, e a volte completamente diver-sa. L'opera prefata diviene allora un semplice pretesto per unmanifesto, una confidenza, un regolamento di conti, una di-vagazione. E il caso di Mallarmé, per l'appunto, che dimen-tica il (breve) Traité du verbe di René Ghil (1886) per espor-re, nell”A11ant-dire, la sua teoria della lingua e del verso. E il ca-so di Proust che gratifica Tendres stoc/es con una dottrina sti-listica che`concerne Morand meno di Stendhal, Baudelaire eFlaubert. E il caso di Valéry che trascende il libro di Leo Fer-rero, Léonard de Vinci ou l'Q-Èuvre d'art', col saggio perfetta-

* Kra, Paris 1929. La prefazione di Valéry è stata in seguito integrataall'insieme dei suoi studi su Vinci; cfr. CEuvres, I, Gallimard, Paris 1957,pp- 12:4 Ss-

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mente autonomo Léonarde et les Pbilosopbes. È il caso di Bor-ges che coglie l'occasione della Invención de Morel per attac-care l'arbitrarietà del romanzo psicologico («I Russi e i disce-poli dei Russi hanno dimostrato fino alla nausea che niente èimpossibile: suicidi per eccesso di felicità, assassinii per cari-tà, persone che si adorano al punto di separarsi per sempre,traditori per amore o per umiltà... ››) ed esaltare il romanzod`avventura. E il caso dellostesso Sartre che vediamo glori-ficare il Portrait d'un inconnu, che non può farci nulla', comeesempio di antiromanzo. E lo stesso Sartre che distrugge Lesdamnés de la terre di Fanon con il peso del proprio eccessivo fu-rore anticolonialista in un discorso che è`stato ' giustamentedefinito come «diversione di parola» '. E il caso di Aragonche nella traduzione di La plaisainterie coglie l°occasione peresprimere la propria angoscia davanti alla minaccia di alcuni« Biafra dello spirito ››.

Non bisogna però credere che la prefazione allografa abbiasu quella autoriale il privilegio dell'assoluta buona fede, e chetutti gli scrittori, famosi o meno, si prestino senza disagio esenza scrupoli a svolgere questo ruolo di «padrini» letterari oideologici. Alcuni si sottraggono a tale compito senza dire nul-la, e la loro discrezione li esclude naturalmente dalla nostraindagine'. Altri si rifiutano piú esplicitamente, come Flau-

' Le riserve, facilmente immaginabili, di Nathalie Sarraute, si sono final-mente espresse con la massima chiarezza in un'intervista raccolta da J.-L. Ezi-ne, Les éerivains sur la xellette, Seuil, Paris 1981, p. 37: «Non ero d'accordocon quanto ha scritto nella prefazione a Portrait d'un ineonnu: questo libronon è un “antiromanzo”, e neppure gli altri ››.

' Cfr. G. Idt, Fonction rituelle du rnétakzngage dans les préƒacex bétérogra-p/aes, in «Littérature›>, 27 ottobre 1977; in questo studio della prefazione aiDamnés de la terre, l'autore descrive molto giustamente la funzione di «mae-stro prefatore» dell'autore di Saint-Genet: «Una cinquantina di prefazioni, dauna a cinquecento pagine, scritte o espresse a voce, celehrative dei classici, inpatrocinio di sconosciuti o importatrici di stranieri; Sartre figura nell'istitu-zione in quanto cacicco da Normale Superiore, e non da emarginato». Nellagalleria dei maestri prefatori di questo secolo, Sartre probabilmente vince perla quantità tutti i suoi predecessori, compresi France e Valéry.

3 In francese detournernent de parole; nel senso di travisamento [N. d.T.].* Sappiamo almeno che Balzac per la Comédie humaine chiese una prefa-

zione a Nodier, che rifiutò, poi a Sand, che accettò prima di rinunciarvi.Questa doppia rinuncia da un lato ci è valsa l'Avant-propos del 1842, ma dal-l'altro ci priva di ciò che forse sarebbe stato l'esempio piú illuminante di pre-fazione allografa.

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bert, che vediamo respingere chiaramente la richiesta indiscre-ta di una certa Mme Régnier: l'ho già rifiutata ad altri, eglispiega, e «questi modi da personaggio famoso, questa abitu-dine, di raccomandare un libro al pubblico, questo genere al-la Dumas, mi esaspera e mi disgusta››; del resto, «è una cosacompletamente inutile e non fa vendere una copia di piú, datoche il buon lettore sa perfettamente come deve considerarequeste lusinghe che prima di tutto servono a squalificare un li-bro; poiché l'editore sembra dubitarne visto che ricorre a unestraneo per farne l'elogio»'. Quest'ultima tesi è piuttostoconvincente, anche se non è però possibile misurare rispetti-vamente il peso dei vantaggi e degli inconvenienti di tale pra-tica. Altri, meno categorici o piú perversi, esprimono i loroscrupoli o le loro riserve, come abbiamo già visto fare a mol-ti prefatori autografi, nel testo stesso della loro prefazione, chene conserverà almeno il merito della lucidità. Borges, mentrescriveva nel 1927 la prefazione a un'antologia della poesia uru-guaiana, si domandava pubblicamente cosa ci facesse «in que-sto zaguan» (vestibolo); e Th. S. Eliot, nella sua introduzioneal Nigbtwood di Djuna Barnes (1937), definisce la questionenella forma, per me definitiva, di un'aporia: «I rari libri chemeritano una prefazione sono quelli che non ne hanno bi-sogno ››.Il corollario opposto si impone da solo, e indica con preci-

sione un'altra fonte di malessere: non piú il fastidio del pre-fatore costretto a svolgere un ruolo fondamentalmente immo-desto e superfluo, ma la sua riluttanza a compiere una corvéeche non ha saputo rifiutare. E almeno cosí che interpreto que-sta formula per lo meno condiscendente e al limite scorteseverso l'autore, tramite la quale tanti prefatori sembrano riscat-tarsi spiegando con cura come stiano esaudendo un°insisten-te preghiera. «Perché mi ha chiesto di offrire questo libro alleanime curiose? - domanda France all'inizio di Les Plaisirs et

' 7 settembre 1877. Bisogna comunque notare che nel 1853 Flaubert ave-va accarezzato il progetto di tre prefazioni: una, allografa, su Ronsard che sa-rebbe dovuta essere un «saggio sul genio poetico francese», o una «storia delsentimento poetico in Francia ››; un”altra per il Melaenis di Bouilhet; e una ter-za, autoriale, per il suo Dictionnaire des idées reçuex, forse un antenato di Bou-vard et Pécucbet; e in cui si proponeva di «raccontare ciò che ho sulla coscien-za di idee critiche». Il rifiuto assoluto di ogni espressione teorica attraverso laprefazione viene dunque manifestata piú tardi.

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les Iours. - E perché gli ho promesso di assumermi questocompito molto piacevole, ma completamente inutile ››,`dato checomunque questo libro << si raccomanda da solo? ›> «E l'auto-re stesso... che ha fatto al suo giovane collega l'onore di chie-dergli questa prefazione ››, scrive Larbaud per Les lauriers sontcoupés. Lei mi ha imprudentemente chiesto « di presentare lasua opera al pubblico ››, dice Valéry all°inizio della «Lettera aLeo Ferrero ›› che funge da prefazione a Léonard de Vinci oul'(Èu1›re d'art. << Accetto con piacere di aggiungere qualche pa-rola al notevole saggio di Stéphane sull'Aventurier, - diceSartre. - Non per elogiarlo o raccomandarlo: esso si racco-manda da sé... ›› E lo stesso Sartre all”inizío di L'artiste et saconscience: << Ha desiderato, mio caro Leibowitz, che io aggiun-gessi qualche parola al suo libro ››, Ho accettato per amiciziae « solidarietà... Ma adesso che devo scrivere, confesso che so-no un po' imbarazzato››. La delicatezza di Sartre, come sap-piamo, era illimitata; la fonte del suo imbarazzo è in linea diprincipio la sua incompetenza musicale, ma se ne rivela subitoun'altra, che consiste in un tenebroso disaccordo sulle moda-lità, effettivamente imbarazzanti, dell”impegno politico delmusicista'. Ancora Sartre, per Le traitre di André Gorz: «Illibro mi piaceva, cosí ho detto: sí, scriverò la prefazione, per-ché bisogna sempre pagare [la parola è graziosa] per avere il di-ritto di amare ciò che si ama; ma da quando ho preso la pen-na in mano, un piccolo carosello invisibile si è messo in movi-mento proprio sopra la carta: era 1'/lvant-propos come genereletterario che richiedeva uno specialista, un bel vecchio paca-to, un accademico... ››A volte si è piú accademici di quanto non lo si sospetti, e,

come diceva Satie - mi sembra - o ]ules Renard, non bastarifiutare gli onori, bisogna non meritarli. Ma la cosa interes-sante per noi, è di vedere ancora una volta come il malessereprefativo, sia che derivi da sincera modestia o da malcelato di-sprezzo, si trasformi in una specie di ipercoscienza generica.Nessuno scrive una prefazione senza provare la sensazione piúo meno forte che la cosa piú chiara di tutta l'operazione è checiò che sta scrivendo è una prefazione. Roland Barthes, chenon faceva nulla che fosse un po' rituale e «codificato» (pre-

' «Non è certamente uno dei miei migliori testi» (Autoportrait à soixante-dix ans, in Situations, X, Gallimard, Paris 1976, p. 171).

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fazione, pagina di Diario, autobiografia, lettera di condoglian-ze o di auguri) senza provare immediatamente il peso e la for-za, contemporaneamente paralizzante e ispiratrice, di questocodice, lo rivela nel suo modo tanto preciso quanto evasivo,nel primo paragrafo della sua prefazione a La parole interme-diaire di François Flahault, vero e proprio piccolo organon del-la prefazione allografa, al quale mi guarderò dall°aggiungereuna parola:

Penso che il ruolo del prefatore consista nell”enunciare ciò chel'autore non può dire, per pudore, modestia, discrezione, ecc. Ora,a dispetto delle parole, non si tratta qui di scrupoli psicologici. Unautore può certamente dire « io ››, ma gli è difficile, senza provareuna certa vertigine, commentare questo io con un secondo « io ››, ine-vitabilmente diverso dal primo. Un autore può parlare della scien-za del proprio tempo, addirittura citare i rapporti che intrattiene conessa, ma non ha il potere di situarvisi dichiarativamente, storicamen-te, non può valutarsi. Un autore può produrre una visione etica delmondo, ma non può proclamarla, prima di tutto perché nello statoattuale dei nostri pregiudizi questo fatto sembrerebbe diminuire lasua oggettività scientifica, e poi perché una «visione ››, non è mainient'altro che una sintesi, uno stato secondo del discorso, che puòessere attribuito all'altro, non a se stessi. E per questo che il prefa-tore, agendo come una voce seconda, ha con l'autore e il pubblicoun rapporto di parola molto particolare, perché ternario: prefatore,io stabilisco una posizione in cui mi piacerebbe molto che FrançoisFlahault venisse riconosciuto da un terzo, che è il suo lettore. Cosifacendo, illustro in modo topico la teoria sostenuta in questo libro:la prefazione è infatti uno di quegli atti «illocutori» di cui il nostroautore è qui l'analista '.

Prefazioni attoriali.

Ho detto precedentemente che la prefazione attorialeautentica poteva essere considerata un caso particolare della

1 Un grazioso esempio di Barthes prefatore si trova all'inizio di B.Morrissette, Les romans de Robbe-Grillet, Minuit, Paris 1963. Chiara-mente sollecitato, per una volta non dall”autore, ma dall'« eroe ››, per eli-minare ogni apparenza d'interpretazione ufficiosa, Barthes distingue dueinterpretazioni di Robbe-Grillet: quella cbosiste (è ovviamente la sua, manon lo dice) e quella umanista (quella di Morrissette); bisogna scegliere trale due? No, afferma Barthes, perché l'opera letteraria rifiuta ogni rispo-sta: rifiuto di risposta che respinge ovviamente il proposito umanista, eche risponde dunque di fatto con la piú grande chiarezza.

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prefazione allografa: nel caso in cui un «terzo ››, rispetto all'au-tore e al lettore, si trovi ad essere uno dei personaggi reali diun testo referenziale. Ho inoltre detto che in mancanza diesempi eclatanti di prefazione a una biografia curata dallo stes-so biografato ', Valéry ci offriva l'esempio vicino, o cugino,di una prefazione a un commento scritti dalla persona com-mentata. Ne offre per la verità due: la prefazione al commen-to di C/Jannes di Alain (1928) e la premessa al commento del Ci-metiêre marin Gustave Cohen (1933). Non pretendo che que-sti due esempi lllustrino tutto il campo della prefazione attoria-le. Si potrebbe pensare che una prefazione attoriale di etero-biografia abbia come principale funzione, oltre alla cortesia ealle manifestazioni obbligatorie di modestia, quella di rettifi-care con semplicità qualche errore difatto o di interpretazio-ne, e di colmare qualche lacuna. Un simile passo suppone unacerta intesa tra il biografo e il suo modello, al di fuori dellaquale non vi sarebbe, comunque, tale prefazione. Potremmodunque immaginare, spostandoci sul piano del commento, cheuna prefazione come quella di Valéry sia una specie di com-mento di secondo grado, in cui l'autore dice se è d'accordo omeno con il critico circa il significato del proprio testo, cosí perautorizzarlo in quanto commento ufficiale, o per rifiutarlo erettificarlo. Come già sappiamo, è proprio questo il ruolo cheValéry ha rifiutato due volte, professando e forse improvvisan-do per l'occasione la celeberrima dottrina, in seguito diventatauno dei piú radicati credo della nostra dottrina critica, secondocui l'autore non ha alcun diritto di esprimersi sulla sua opera,e non può dunque fare altro che ascoltare a bocca aperta quelloche gli viene inflitto: «I miei versi hanno il senso che gli vie-ne attribuito. Quello che gli do io è adatto solo a me e non puòessere opposto a nessun altro ›› (C/Jarines), «Non c'è un verosenso del testo. Né autorità dell'autore. Qualunque cosa ab-bia voluto dire, ha scritto quel che ha scritto ›> (Cimetière ma-

' Segnaliamo comunque una prefazione di Claudel (due pagine piuttostovuote) a J. Madaule, Le drarne de Paul Claudel, Desclée de Brouwer, Paris1936. Una lettera di Gide in apertura di P. Iseler, Les débuts d 'André Gide vuspar Pierre Louys, Le Sagittaire, Paris 1937, e una lettera di Malraux all'iniziodi S. Chantal, Le coeur battant, Iosette Clotis, André Malraux, Grasset, Paris1976. La lettera è evidentemente un modo comodo per sottrarsi all”obbliga-zione prefativa, ma alcune dànno l'impressione di essere delle risposte negati-ve surrettiziamente trasformate in lettere-prefazioni. Mme Régnier avrebbedovuto mettere il rifiuto di Flaubert all'inizio del suo libro.

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rin), ecc. Non oserei qui sostenere che questa divertente teoriacorrisponda a una pura rinuncia ad /:oc per evitare di pronun-ciarsi sulla correttezza di un commento, ma nessuno mi leveràdalla testa che vi sia un po' di questo, anche perché è noto cheValéry fosse piuttosto portato a questo genere di commedie.D'altra parte non è stato abbastanza rilevato che questa teo-ria, nella prefazione ad Alain, era strettamente articolata conla non meno famosa definizione della poesia come stato intran-sitivo e non comunicazionale del linguaggio; in altre parole,che questa destituzione critica dell'autore era teoricamente ri-servata, almeno in origine, al campo poetico, e che l'estensio-ne, valida o meno, che da allora ne è stata fatta ad ogni spe-cie di testo usurpa un po' il senso attribuitogli da Valéry.Altra differenza nell'uso: quando Valéry decretava la non

autorità dell'autore, spingeva la sua astensione fino in fondo(i dettagli che cita a proposito del Cimetiêre marin sono rela-tivi alla genesi, non al significato: come la poesia gli sia venutadal ritmo decasillabo). L'uso attuale, un po' ovunque nelle pre-fazioni, nelle interviste, nelle conferenze, è meno rigoroso, esi assimila spesso a una specie di preterizione esorcizzante: pri-mo tempo, non ho, ovviamente, alcuna autorità nel commen-tare la mia opera; secondo tempo, ecco di cosa si tratta; chiun-que la pensi diversamente è un pedante, uno stalinista retro-grado, un analista da quattro soldi, e altre insolenze. Questodiscorso-robot è (quasi) completamente inventato, e ogni so-miglianza con quello di un autore reale è puramente casuale(un caso oggettivo o meno). Ma l'esperienza prova come nonsia cosí facile, né cosí piacevole per un autore deporre veramen-tela propria autorità.

Prefazioni finzionali.

Il nostro ultimo tipo funzionale che raggruppa l'insiemedelle caselle A2, D, E, F e, provvisoriamente, G, H, I, delloschema dei tipi di destinatori, vale a dire le prefazioni auto-riali denegative e tutte le prefazioni fittizie o apocrife, ci ri-porta all'ordine delle prefazioni autoriali, o piú esattamentedelle prefazioni che alcuni dati esteriori e/o posteriori al lorostatuto ufficiale originale ci autorizzano, o meglio, ci obbliga-no a considerare come autoriali. Malgrado la differenza di de-

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stinatore, le prefazioni autoriali assuntive e le prefazioni allo-grafe avevano in comune quello che chiamerò, ancora una vol-ta in mancanza di un termine migliore, il carattere serio del lo-ro regime di destinazione; quelle di cui considereremo ora lefunzioni se ne distinguono per il loro regimefinzionale, o, sesi preferisce, ludico (le due nozioni mi sembrano qui pressap-poco equivalenti), nel senso che il presunto statuto del loro de-stinatore non richiede veramente, o durevolmente, di esserepreso sul serio.

Potrebbe sembrare che io stia qui sostituendo l'opposizionetra serio e finzionale a quella tra autentico e fittizio (o apocri-fo), ma non si tratta esattamente di una sostituzione, poichéla categoria del serio non ingloba tutti i tipi di autenticità: laprefazione autoriale denegativa è autentica nel senso prece-dentemente definito (il suo autore, anche se anonimo o pseu-donimo, è colui che pretende essere), ma non è seria nel suodiscorso, poiché il suo autore pretende non essere l'autore deltesto, autore che piú tardi ammetterà di essere e che quasisempre manifestamente è. Le prefazioni autoriali assuntive,allografe e attoriali autentiche sono serie nel senso che dico-no (o implicano) la verità sulla relazione tra il loro autore e iltesto che segue. Le altre, tutte le altre, sono o autentiche, o fit-tizie, o apocrife, ma sono tutte finzionali (categoria piú ampiadi quella del fittizio) nel senso che tutte propongono, ognunain un modo diverso, un”attribuzione manifestamente falsa deltesto.

La loro finzionalità si fonda dunque essenzialmente su al-cune questioni di attribuzione: del solo testo nell'autoriale de-negativa, del testo e della prefazione stessa nelle prefazioni condestinatore fittizio, e, soprattutto, della sola prefazione nel ca-so eventuale di prefazione apocrifa del tipo di quella di Davin.Ma, d'altra parte, la loro funzionalità consiste essenzialmentenella loro finzionalità, nel senso che il loro ruolo è fondamen-talmente quello di effettuare un 'attribuzione finzionale. Vogliodire: la prefazione della Vie de Marianne serve essenzialmen-te a pretendere finzionalmente che queste Memorie non sia-no state scritte da Marivaux che la firma, ma da Mariannestessa, quella di Ivan/aoe, a pretendere finzionalmente che que-sto romanzo non sia di Walter Scott, ma di «Laurence Tem-pleton», ecc. Abbiamo già sufficientemente considerato que-ste finzioni di attribuzione nel capitolo sul destinatore, in cui

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avevano il loro posto legittimo. La conclusione che sembrereb-be dunque imporsi è che abbiamo già trattato le funzioni dellaprefazione finzionale e che non ci resta che voltare pagina.

Se le cose non stanno affatto cosí, è soprattutto per il fat-to che effettuare una finzione, qui come altrove, non si ridu-ce ad enunciarlo con una frase, del tipo «Io, Marivaux, non so-no l'autore delle Memorie che seguono», o «Io, Templeton,sono l'autore del romanzo che segue». Per effettuare una fin-zione, come tutti i romanzieri sanno, ci vuole qualcosa di piúdi una semplice dichiarazione performativa; bisogna costituirequesta finzione, a forza di dettagli finzionalmente convincen-ti; bisogna dunque nutrirla, e per fare questo sembra che ilmezzo piú efficace sia la simulazione di una prefazione seria, contutto Parmamentario di discorsi, di messaggi, cioè di funzio-ni, che questo comporta. Alla funzione cardinale della prefa-zione finzionale, che è quella di effettuare un'attribuzione fin-zionale, vengono dunque ad aggiungersi, e a mettersi al suoservizio, alcune funzioni secondarie tramite la simulazione del-la prefazione seria, o piú precisamente, come vedremo, tramitela simulazione di un tipo o un altro di prefazione seria. Peresempio, « Io, Marivaux, vi dirò cosa penso delle Memorie diMarianne» (simulazione di prefazione allografa), oppure « Io,Templeton, dedico questo racconto al signor Dryasdust, an-tiquario, e davanti a lui giustifico il mio nuovo proposito discrivere un romanzo ambientato nell'Inghilterra del medioe-vo ›› (simulazione di prefazione autoriale), oppure «Io, GilBlas, vi dirò come bisogna leggere il seguente racconto dellamia vita ›› (simulazione di prefazione a una autobiografia), ecc.E allo stesso tempo, e dietro la copertura di questa simulazionefinzionale, nulla impedisce all'autore (reale) della prefazionedi dire o di farvi dire varie cose che pensa seriamente a propo-sito del testo del quale è ugualmente l'autore reale: per esem-pio, che <<la questione fondamentale della vita è il dolore chesi provoca» (Adolphe), o perfino (o meglio) varie cose che nonpensa, ma che vuole, questa volta seriamente, far credere allettore (poiché la menzogna è altrettanto seria della verità, ol'errore sincero): per esempio che il fine delle lettere pubbli-cate con il titolo Les Liaisons dangereuses sia quello di metterein guardia le fanciulle pure dagli uomini corrotti. Ritrovere-mo dunque, ma in relazione alla simulazione, le funzioni giàriconosciute della prefazione seria, e di cui non ripeteremo

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dunque l'ana.lisi. Ci soffermeremo semplicemente ad osservar-ne alcune riapparizioni tramite simulazione, eventualmentesincere o menzognere, cioè serie.

Autoriali denegative.

Le finzioni d'attribuzione e i procedimenti di simulazioneche le accompagnano e le servono variano a seconda dei tipidi destinatori. La prefazione autoriale denegativa, che implicaun'attribuzione fittizia solo del testo, si presenta per questostesso motivo come una prefazione allografa, e piú precisamen-te, nella maggior parte dei casi, come una semplice nota edi-toriale. Prefazione, dunque, pseudo-editoriale, a un testo spes-so presentato come un semplice documento (racconto autobio-grafico, diario o corrispondenza) senza pretese letterarie, at-tribuito al suo o ai suoi personaggi narratori, diaristi o episto-lografi. La sua prima funzione consiste dunque nell”esporre,cioè nel raccontare le circostanze in cui lo pseudo-editore è en-trato in possesso di questo testo. Prévost afferma che iMé-rnoires d'un /Jornnze de qualité gli sono capitate per le mani du-rante il viaggio all'abbazia di ***, in cui l'autore (Renoncour,ovviamente) s'era ritirato. Marivaux ottiene la storia di Ma-rianne da un amico che l'avrebbe semplicemente trovata. Cos-tant dà per l'Adolpbe i dettagli di un soggiorno in Calabria.Scott (a mia conoscenza l'unica prefazione denegativa) ha ri-cevuto per posta il manoscritto di Rob Roy. Balzac, o piutto-sto «Horace de Saint Aubin››, si è impossessato, per quantoriguarda Le Vicaire des Ardennes, di quello di un giovane cheera appena morto. Georges Darien ha rubato, non poteva es-sere altrimenti, in una stanza d'albergo, quello di GeorgesRandal (Le voleur), che l'aveva del resto previsto, se non ad-dirittura desiderato. La prima stesura di Armance era stata af-fidata per essere corretta a Stendhal da << una donna d'inge-gno ››, Quella di Gaspard de la nuit viene rimessa a Louis Ber-trand (è cosí che si firma nella sua prefazione), in un giardinopubblico di Dijon, da un povero diavolo che scompare nellanotte e che da allora deve arrostire all'Inferno '. Sono a1 1

1 Pubblicato nel 1842 qualche mese dopo la morte dell'autore, a cura diVictor Pavie, Gaspard de la nuit presenta un paratesto piuttosto complesso:

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quanto pare, iMémoz`res de d'Artagnan (di fatto, come sappia-mo, pseudo-memorie inventate da Courtilz de Sandras) chehanno messo Dumas sulla pista di quelle del conte di La Fère,«manoscritto 4772 o 4773, non ricordiamo piú ››, fonte pre-sunta dei Trois Mousquetaires. E durante un soggiorno a Ke-rengrimen (o a Beg-Meil) che Proust fa la conoscenza delloscrittore (o B.), che gli lascia il manoscritto di ]eanSanteuil '. E la figlia dell'eroina a spedire a Gide il diario del-l'Ecole desƒemmes. Il testo originale dell'Immortal, «redattoin un inglese in cui abbondano i latinismi››, è stato trasmessoa Borges dall'antiquario Joseph Cartaphilus, che verso la finedel testo verrà definito in una nota come l'eroe-narratore. Eil 16 agosto del 1968 che un anonimo compiacente consegnain mano ad Umberto Eco « un libro scritto da un certo abateVallet, Le manuscrit de Dom Adson de Mel/e, “traduit en fran-çais d”après l'édition de Dom]. Mabillon (aux Presses de l'Ab-baye de la Source, Paris 1842” ››, manoscritto che l'autore delNome della rosa tradusse in italiano risalendo, da Vienna aMelk, il corso del Danubio con una cara persona che finí perportarsi -via l'originale perdendo la vita in un «modo disordi-nato e abrupto [...] Mi rimase cosí una serie di quaderni ma-noscritti di mio pugno, e un gran vuoto nel cuore ››, Rinuncioa riassumere un seguito che si trova in tutte le buone biblio-teche con il titolo inevitabile di «Naturalmente un mano-scritto ››, e che dice l'ultima parola a proposito di tutta la storiadel genere, come i Quattro ultimi lieder (Vier letzte Lieder) diStrauss su quella del Lied romantico; credo però che questocanto del cigno non scoraggi minimamente ulteriori imitazioni.I dettagli, piú o meno pittoreschi, di queste circostanze diven-tano evidentemente l'occasione di racconti piú o meno svilup-pati tramite i quali questo tipo di prefazione partecipa già allafinzione romanzesca e fornisce al testo una specie di racconto-

dopo la prefazione autoriale denegativa, appare una seconda prefazione, auto-riale fittizia, firmata Gaspard de la nuit, poi una breve epistola dedicatoria aVictor Hugo, non firmata, e provvista di due epigrafi. Il tutto preceduto dauna prefazione allografa autentica di Sainte-Beuve. Ma sappiamo dalla suacorrispondenza che Bertrand desiderava notevolmente correggere la sua operae, in particolare, sopprimere la prefazione denegativa. Cfr. R. Sieburth, Gas-pard de la nuit: Preƒaeing Genre, in «Studies in Romanticism››, n. 24 (1985).

1 ]ean Santeuil presenta due progetti diversi di prefazione denegativa, chespiegano queste alternative. Si osservi però che il carattere postumo di questapubblicazione attribuisce al suo paratesto uno statuto del tutto ipotetico.

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quadro, in genere a un solo bordo. È noto però che l'« edito-re ›› di Werther e quello dell'/lhhé C riprendono la parola pertrarre essi stessi la conclusione; e che quello di Novembre, chenon aveva scritto nessuna prefazione, entra in scena infine (« Ilmanoscritto finisce qui, ma io ne ho conosciuto l'autore... ››)per condurre il racconto fino alla morte dell°eroe; e alcune pre-fazioni, come quella di Moll Flanders o di Volupté, si sbaraz-zano in anticipo di un epilogo che sarebbe per definizione vie-tato a un racconto autobiografico, reale o fittizio.

La seconda funzione, di una finzionalità meno romanzesca,e di tipo propriamente editoriale, consiste nell'indicazione del-le correzioni apportate, o meno, al testo: traduzione e sempli-ficazione dello stile nel caso delle Lettres persanes, eliminazionedi dettagli indecenti nel caso delle Liaisons dangereuses, ma sen-za alcuna correzione che avrebbe rischiato di unificare lo stiledei diversi epistolografi (un modo per l'autore di sottolinea-re il merito, che ovviamente ricade su di lui, circa la loro di-versità), totale «ricomposizione» nel caso di Roh Roy, nessunacorrezione per Adolphe. La terza funzione è piú rara, indub-biamente perché in genere se ne occupa il testo stesso: si trattadi una biografia sommaria del presunto autore, che ho trovatosolo all'inizio di opere non autobiografiche. Nodier attribuisceSmarra a «un nobile di Ragusa che ha nascosto il suo nome die-tro quello del conte Maxime Odin››, e Balzac, nell”avverten-za a Gars `, scrive una biografia molto dettagliata (e moltoautobiografica, che per diversi aspetti annuncia Louis Lambert)dell'autore fittizio «Victor Morillon››, della quale non possofare a meno di citare questa pagina, che il suo contesto rendeparticolarmente appetitosa:

Il pubblico è stato tante volte attirato nei tranelli tesi alla suabuona fede da alcuni autori il cui amor proprio e la vanità crescono,cosa difficile, non appena si tratti di rivelare un nome alla sua curio-sità, che noi - seguendo un percorso contrario - crediamo bene dimeritare da lui . A

Siamo felici di poter confessare che il nostro sentimento è statocondiviso da.ll'autore di quest'opera - egli manifestò sempre un'av-versione profonda a quelle prefazioni che assomigliano a delle para-te, in cui ci si sforza di far credere all'esistenza di abati, di militari,di sacrestani, gente morta in prigione, e a ritrovamenti di manoscrit-

* Titolo abbandonato alla prima versione degli Chouans, 1828. Cfr.H. de Balzac, La Cornédie humaine, VIII, Gallimard, Paris 1977, p. 1667.

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ti, che fanno confidare a creature posticce tutti i tesori della simpa-tia. Sir Walter Scott ha avuto questa mania, ma ha avuto il buonsenso di prendersi gioco lui stesso di queste superfetazioni che im-pediscono la verità di un libro. Se uno è condannato a recitare com-medie, deve però decidersi, è vero, a fare il ciarlatano, ma senza di-ventare una maschera. Accogliamo con piú serietà e stima un uomoche si presenta modestamente dicendo il suo nome, e oggi ci vuoledella modestia a dire il proprio nome, vi è una certa nobiltà nell'of-frire alla Critica e ai suoi concittadini una vita reale, un pegno, unuomo e non un'ombra, e da questo punto di vista mai vittima piúrassegnata fu consegnata alle lame affilate della Critica. Se mai è po-tuta esserci una qualche grazia nel mistero in cui si avvolge uno scrit-tore, se il pubblico ha rispettato il suo velo come il sudario di unmorto, tanti imbrattacarte hanno usato un drappo che è ormai spor-co, sgualcito che sta solo a un uomo d'ingegno trovare un nuovostratagemma contro questa prostituzione del pensiero che si chiama:la puhhlicazione.

L'effetto di autobiografia mascherata si ritrova nel ritrat-to offerto da Sainte-Beuve all'inizio di ]oseph Delorme; manon, immagino, nella biografia della poetessa greca immagina-ta da Pierre Louys nelle Chansons de Bilitis.L'ultima funzione, in cui si esercita piú fortemente la simu-

lazione di una prefazione allografa, è il commento, piú o menovalorizzante. Defoe insiste sul valore morale di Moll Flanders,in cui ogni errore viene duramente punito, ed ho già citato al-cuni commenti analoghi perle Liaisons e per Adolphe. Sainte-Beuve fa lo stesso in Volupte', analisi salutare << di una inclina-zione, di una passione, perfino di un vizio... ›› (non ho ben ca-pito quali). Nelle sue «osservazioni» su Oherman, Sénancoursi guarda da ogni apprezzamento morale, ma annuncia il co-lore letterario e previene le critiche: in questa serie di letteresi troverà non l”azione, ma alcune descrizioni, dei sentimen-ti delle passioni, ed anche... delle lungaggini e delle contrad-dizioni. Ma la prefazione denegativa piú rigorosamente imi-tativa di una allografa classica èl senza alcun dubbio quella diMadame Edwarda. Ho già segnalato la sua particolarità tem-porale: è a mia conoscenza l'unica prefazione ulteriore di ungenere (quello delle prefazioni finzionali) ordinariamente le-gato a una finzione attributiva provvisoria, prima o poi votataa una smentita esplicita o implicita. Georges Bataille intervie-ne come prefatore di «Pierre Angélique›› solo quindici annidopo la prima pubblicazione del romanzo, e per questo stes-

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so fatto la finzione «editoriale» viene esclusa: non può presen-tarsi come l'editore di un manoscritto di uno sconosciuto, macome l'autore di una prefazione allografa ulteriore, in occasio-ne di una riedizione, proprio come Larbaud per Dujardin, omeglio Deleuze per Tournier: perché si tratta di una prefazio-ne altamente « teorica ››, prefazione-manifesto, che potrebbequasi essere definita, come si è fatto per alcune prefazioni diSartre, prefazione-diversione, se non si trattasse qui di un'au-todiversione in favore, come sappiamo, di un'esposizione, se-ria, se necessario, e perfino solenne nella sua ingenuità, dellafilosofia di Bataille dell'« erotismo concepito gravemente, tra-gicamente», dell'estasi attraverso l'orrore, e di questa grandescoperta - chi l'avrebbe mai detto? - che «l'orrore rafforzal'attrazione! ›› (il punto esclamativo è nel testo).

Autoriali fittizie.

Come ho già detto, la prefazione autoriale fittizia (D) èeminentemente (ed anche a mia conoscenza, esclusivamente)rappresentata da Walter Scott per un gran numero dei suoi ro-manzi a partire dal 1816, tra cui i piú importanti sono la se-rie dei Tales ofmy Landlord, Ivanhoe, The Fortunes ofNigel ePeveril ofthe Peak, il tutto tramite semplici dediche o epistolededicatorie con funzione prefativa. E qui che il gioco parate-stuale della finzione d'autore si complica talmente da diven-tare per noi il luogo piú romanzesco e affascinante di un”operache potrebbe altrimenti apparire un po” invecchiata. Nell'e-pistola dedicatoria di Ivanhoe, già citata precedentemente, lacosa piú pittoresca è senza dubbio la figura del dedicatario, ilreverendo dottore Dryasdust, membro della società degli an-tiquari, residente a Castlegate, York, accuratamente sceltodall'autore fittizio Templeton per la sua competenza archeo-logica, che lo rende un vero e proprio giudice esperto di ciò chefu, lo ricordo, il primo romanzo propriamente storico del no-stro autore. The Fortunes ofNigel si aprono con una <<episto-la con il ruolo di introduzione», allo stesso Dryasdust, del ca-pitano Cuthbert Clutterbuck, che si vanta davanti a lui del-la qualità di «figlio dello stesso padre ››, vedremo quale. Questamenzione di parentela non è fuori posto all'inizio di questalunga epistola interamente consacrata al racconto dell'incon-

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tro, presso un certo libraio che tutti i dettagli designano essereConstable, l'editore di Scott, tra il sopraddetto capitano e...l'illustre ma anonimo «autore di Waverley ›› (che non sarà maialtrimenti designato se non tramite questa famosa «descrizio-ne definita ››), e del lungo dialogo che ne segue:

Arrivai in una camera a volte, consacrata al segreto del silenzio,e vidi, seduta vicino a una lampada e intenta a leggere una secondabozza piena di cancellature, la persona, o forse dovrei piuttosto direl`eidolon o l'apparizione dell'autore di W/averley. Non vi stupiretedell°istinto filiale che mi fece riconoscere immediatamente i tratti diquesto venerabile fantasma, mentre mi inginocchiavo rivolgendogliquesto saluto classico: Salve, magne parens! Nel frattempo lo spettromi interruppe indicandomi una sedia, e facendomi intendere che lamia presenza non era inattesa, e che aveva qualcosa da dirmi.

Il seguito, come potete immaginare, non è nient'altro cheun'intervista immaginaria, da parte dell'autore fittizio, all'au-tore reale, che lo accoglie come «la persona della mia famigliaper la quale ho piú considerazione dalla morte di JedediahCleisbothan›› (l'autore fittizio dei Tales ofmy Landlord), e gliannuncia la sua intenzione di nominarlo «padrino di questobambino che non ha ancora visto la luce (con un dito mi indicòil manoscritto) ›› - si tratta in qualche modo del contratto del-la finzione d'autore e della vestizione del prefatore. L”inter-vista verterà su tutti i temi d”attualità scottiana: l'accoglien-za fatta a The Monastery, l”arte del romanzo dal suo fondato-re Fielding («l'ha reso degno di essere paragonato all'epopea››),le qualità e i difetti dell'opera che segue, i calcoli in corso circal'identità dell'autore di Waverley e la sua determinazione a«mantenere il silenzio su un argomento che secondo me nonmerita tutto il chiasso che è stato fatto ››, la sua opinione suicritici, sulla fedeltà del pubblico e i modi per conservarla, sullesue ragioni per non cimentarsi nel teatro, sui legittimi guada-gni che derivano dalla sua opera:

IL CAPITANO Non teme che si possa attribuire questa rapida succes-sione di opere a un sordido motivo? Si penserà che lei lavori soloper l°attrattiva del guadagno.

UAUTORE Supponiamo pure che, tra gli altri motivi che mi possonospingere ad apparire piú frequentemente davanti al pubblico, iocalcoli anche i grandi vantaggi che sono il prezzo dei successi let-terari; questo emolumento è la tassa volontaria che il pubblicopaga per un certo genere di divertimento letterario; non vieneestorta a nessuno, e viene pagata, credo, solo da quelli che se

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la possono permettere, e che ricevono un godimento proporziona-to al prezzo che pagano. Se il capitale che è stato messo in circola-zione da queste opere è considerevole, esso è stato forse utile a mesolo? Non potrei forse dire a cento persone come il bravo Duncan,fabbricante di carta, lo diceva ai diavoli piú ribelli della tipografia:Non avete forse anche voi partecipato al guadagno? non avete avutoivostri quindici soldi? Penso, confesso che la nostra Atene moder-na mi debba molto per aver stabilito una fabbrica cosí vasta; e, quan-do si sarà accordato a tutti i cittadini il diritto di votare alle elezio-ni, conto sulla protezione di tutti gli operai subalterni che la lette-ratura fa vivere, per ottenere un posto in parlamento.

Infine, sul futuro della sua ispirazione: << Tutti dicono chevi state esaurendo. Hanno ragione; e che importa? Quandonon danzeranno piú, io non godrò piú del suono della mia cor-namusa, e non mi mancheranno le persone che avranno lacompiacenza di farmi rendere conto che il mio tempo è pas-sato ››.

L'« introduzione ›› tardiva del 183 1 si scuserà per il carat-tere un po' troppo fantasioso e compiacente di questa conver-sazione, ma lo stesso procedimento caratterizza la «Lettera informa di prefazione ›› di Peveril of the Peak, questa volta indi-rizzata da Dryasdust, decisamente il nostro piú fedele « eroedella prefazione ››`, a Clutterbuck, e che riporta una visitadell'autore di Waverley, << nostro padre comune ››, a colui chedefinisce «creatura della mia volontà». Questa volta trovia-mo un ritratto dell'autore, ma il meno somigliante possibilea Scott. Il dialogo è piú breve, e forse sembra un po' una rima-cinatura della stessa farina. Ma l'antiquario a cui l'autore diW/averley ha precedentemente sottomesso il suo manoscrittosi mostra piú esigente per quanto riguarda la verità storica, eil suo interlocutore deve difendere contro di lui l'utilità del ge-nere che pratica, invocando l'esempio dei drammi storici diShakespeare, dei quali il duca di Marlborough affermava«questa è l”unica storia dell'Inghilterra che abbia mai letto ››,e sostenendo << che iniziando cosí le persone alla vita e i giovanialle verità severe, “sotto forma di piacevoli finzioni”, rendoservizio ai piú spirituali e ai piú capaci tra di loro; poiché l'a-more per la scienza ha bisogno solo di un inizio; la minima

' «Non essendo valetudinario, l”autore creerà un triste eroe di prefazio-ne ›› (H. de Balzac, prefazione alla Peau de chagrin).

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scintilla fa prendere fuoco quando il carico di polvere è benpreparato. Ed essendosi interessato alle avventure e ai perso-naggi finti, attribuiti a un'epoca storica, il lettore comincia inseguito a voler conoscere quali furono realmente i fatti, e fi-no a che punto il romanziere li abbia rappresentati».

Abbiamo visto che la finzione d'autore si attenuava pro-gressivamente, da Ivanhoe, di cui Templeton pretende essereesplicitamente l'autore (o da The Bride ofLammermoor, in cuivi è una nota firmata daJedediah Cleisbotham), a Nigel, in cuiClutterbuck non è altro che un trasparente «padrino ››, e a Pe-veril, in cui Dryasdust diventa quasi un prefatore allografo. E,in tutti i casi, Scott utilizza in una maniera o in un'altra la fin-zione prefativa per trasmettere il proprio messaggio, attraver-so la scrittura di Templeton o le parole dell'autore di Waver-ley. La situazione di Quentin Durward è ancora piú ambigua.L'autore, questa volta anonimo, come ai tempi di Waverley,in una lunga prefazione narrativa racconta come durante unviaggio in Francia fece visita a un vecchio gentiluomo nel suocastello sulle rive della Loira, e come questi gli mostrò nella suabiblioteca alcuni documenti sulle sue lontane alleanze scozzesi.Ed è questa la presunta fonte del romanzo. Durante questaconversazione, il marchese fece diverse allusioni a Sir Walter,al quale attribuisce The Bride ofLammermoor. Il prefatore ano-nimo protesta che non è affatto cosí:

Ho avuto la franchezza di informarlo, per delle ragioni che nessunopotrebbe conoscere meglio di me, che il mio distinto compatriota co-nosciuto per le sue opere letterarie, e del quale parlerò sempre conil rispetto che merita il suo talento, non era il responsabile delle leg-gere opere che il pubblico ha voluto attribuirgli con troppa genero-sità e precipitazione. Preso dall'impulsività del momento, sarei forseandato piú in fondo, e avrei rafforzato la mia affermazione con unaprova evidente, dicendogli che nessun altro avrebbe potuto scriveredelle opere di cui ero io l'autore; ma il marchese mi risparmiò il di-spiacere di compromettermi in tal modo, rispondendomi con mol-to sangue freddo che era contento di apprendere che delle similibagattelle non fossero state scritte da un uomo di una certa condi-zione.

Quentin Durward uscí in inglese, come ho detto, dietro lacopertura (già notevolmente lacerata) dell'anonimato. Ma illettore francese ne ricevette lo stesso anno la traduzione (diDefauconpret) con una copertina debitamente (o piuttosto in-

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debitamente, ma molto visibilmente, e veridicamente) orna-ta col nome di Walter Scott. Immagino che abbia dovuto met-tercela tutta per capire quest'affermazione o piuttosto per noncapirci niente. Forse adesso si capisce perché ho detto che que-ste prefazioni sono la parte piú affascinante dell'opera. C'è inquesta vertigine dell'incognito, in questa prova di alterità at-traverso l'identità («Non posso essere io, dato che sono io ››),una forma di umorismo fantastico che prefigura le piú inquie-tanti mascherate di un Pessoa, di un Nabokov, di un Borges,di un Camus (Renaud, ovviamente) '.

Allografe fittizie.

Malgrado l'esempio di Walter Scott, sembra che la tenden-za piú frequente (non oso dire la piú naturale) - nel momen-to in cui si è fatto lo sforzo di supporre un autore fittizio e chesi desidera aggiungere al suo testo una prefazione fittizia -sia di supporre per di piú un prefatore allografo distinto. Comel'autoriale denegativa, la prefazione allografa fittizia simulal'allografa autentica, salvo il fatto di venire attribuita a un ter-zo immaginario, chiamato (come << Richard Sympson ›› o «Jo-seph L'Estrange ››) o meno (come l”ufficiale del Manuscrit trou-vé à Saragosse o il traduttore delle Portes de Guhhio), ma sem-pre provvisto di un'identità biografica distinta (l'ufficiale diSaragosse è francese, il presentatore di La Guzla è dalmata,il traduttore di Guhhio è un uomo, ecc.); in mancanza di que-sti tratti specifici il principio di economia ci spingerebbe, cosícome l'abbiamo fatto per Delorme o Santeuil, a classificaretale prefazione tra le autoriali denegative. Del resto, cosí co-me essa può, come quest'ultime, riguardare un testo che si pre-senti come semplice documento senza pretese letterarie (Gul-liver, Saragosse, André Walter ', Lolita, Guhhio), e dunque si-

' Aggiungiamo che la prefazione del primo dei Tales of the Crusaders(1825) conterrà una specie di resoconto di una riunione di tutti gli autori fitti-zi dei romanzi di Scott. Su tutta questa finzione prefativa, si veda in partico-lare N. Ward, Discours préƒaciel cit.

2 Se decidiamo di considerare questa prefazione come allografa fittizia:essa è firmata P. C., e sappiamo che queste sono le iniziali di Pierre Chrysis,pseudonimo di Pierre Louys, il quale deve aver effettivamente redatto unaprefazione che per il suo discorso e la sua funzione entra a far parte del giocodella finzione.

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ALTRE PREFAZIONI, ALTRE FUNZIONI 285

mulare come quelle una semplice nota editoriale, essa può an-che, e piú facilmente, riguardare un testo che si presenti co-me opera letteraria, tradotta (Déliquescences d'Adoré Floupette,Guvresƒrançaises de M. Barnabooth, Pale Fire, Cronache di Bus-tos Domecq), e prendere cosí le sembianze di una prefazioneallografa classica. `A parte l'identità fittizia del destinatore, il primo caso non

presenta alcuna novità rilevante rispetto alle funzioni dellaprefazione denegativa: dettagli relativi alla scoperta o alla tra-smissione del manoscritto (affidato a suo cugino da Gulliverstesso, trovato a Saragozza durante la guerra e tramandato alpresentatore da un discendente del narratore, trasmesso a«John Ray ›› dall'avvocato di Humbert Humbert dopo la mor-te di costui, rimesso al traduttore di Gubbio da un intermedia-rio anonimo in un giardino pubblico), menzione di eventualicorrezioni (« Ho eliminato, - dice “Sympson”, - numerosidettagli marittimi fastidiosi ›>; «Tranne la correzione di sole-cismi evidenti e la sfrondatura meticolosa di alcuni dettagli te-naci... questa straordinaria memoria viene presentata intatta ››,dichiara «John Ray ››), osservazioni morali paragonabili a quel-le di cui Rousseau, Laclos o Constant accompagnano i «docu-menti» che ci presentano: è il caso di «John Ray ››, la «memo-ria ›› di Humbert Humbert (termine significativo di una con-venzione di non-letterarietà ') «ci ordina di lottare tutti fian-co a fianco, genitori, educatori, assistenti sociali, e di raddop-piare gli sforzi, con una maggiore comprensione e una vigi-lanza inflessibile, per allevare delle generazioni migliori in unmondo piú sicuro ››,..Il secondo caso si presenta nella sua forma piú chiara quan-

do il testo viene presentato come un'opera già pubblicata nellasua lingua originale, come fa Mérimée per Le Théâtre de Cla-ra Gazul, di cui «Joseph l”Estrange›› ci dice che l'originale,«estremamente raro ››, è stato pubblicato a Cadice «in due pic-coli volumi in-quarto ››, e perle «poesie illiriche›> che compon-gono La Guzla. Ma le opere ancora «inedite ››, come le Déli-

' Per la verità questo non è che un aspetto di questa prefazione, in cui ca-pita anche a «John Ray ›› di chiamare questa «memoria ›› Lolita, e di conside-rarla «da un'angolazione puramente romanzesca›› o «in quanto opera d'arte››,cosa che Marivaux non avrebbe certamente fatto per Marianne, né Constantper Adolphe.

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quescences, Barnabooth, Pale Fire o Bustos Domecq, hanno unostatuto letterario un po' piú incerto, che attesta, per distin-guerle da una semplice « memoria ›› documentaria, solo unaforma risolutamente romanzesca (racconto alla terza persona)o poetica. Questo statuto intermedio potrebbe essere definito,come ci invita a fare il sottotitolo di Barnabooth, quello diun'« opera di un dilettante ››, ricca o povera, sempre che unatale nozione sia pertinente in letteratura, il che mi sembra po-co probabile. Per lo meno questi testi si sono presentati piú co-me opere che come documenti, e questo dovrebbe dare il viaad apprezzamenti propriamente critici. Che sia per pudore oincapacità, i «Joseph l'Estrange››, «Tournier de Zemble›› e«Gervasio Montenegro», non intraprendono minimamentequesta strada: il loro contributo è piuttosto, secondo l'uso clas-sico, di tipo biografico-testimoniale: «L'Estrange›› evoca Cla-ra Gazul cosí come l'ha conosciuta un tempo, «Marius Tapo-ra ›› racconta la vita di Adoré Floupette, «Tournier de Zem-ble›› compone una lunga e minuziosa agiografia di Barna-booth. Unico, a mia conoscenza, «Charles Kinbote›› produ-ce un vero e proprio commento al poema di John Shade, maquesto commento è essenzialmente veicolato dalle sue note allafine del volume, che tratteremo in seguito. La sua prefazioneè piuttosto di tipo modestamente editoriale e propriamenteuniversitario (descrizione tecnica del manoscritto, cronologiadella composizione, controversia circa il livello di completezza,annuncio delle varianti), fino al punto in cui l'evocazione dellesue relazioni con l'autore defunto e l'importanza del suo fu-turo commento ai fini della comprensione del poema (« unarealtà che solo le mie note possono fornire ››) viene ad annun-ciare e avviare lo sbandamento paranoico che seguirà, in cuilo pseudo-allografo si rivelerà a poco a poco, ma su un altropiano, come pseudo-attoriale.

Attoriali fiuizie.

La logica, o la simmetria, vorrebbe che la prefazione atto-riale fittizia fosse una simulazione dell”attoriale autentica, valea dire di una prefazione di eterobiografia scritta dal suo«eroe ››. Questa simmetria non ci porterà molto lontano, visto

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ALTRE PREFAZIONI, ALTRE FUNZIONI 287

che il modello stesso manca all'appello. Tranne casi eccezio-nali, la prefazione attoriale è infatti riservata a certi eroi-narratori; essa simula una situazione piú complessa, ma piú na-turale, in cui l'eroe è allo stesso tempo il narratore e l'autoredi se stesso. Per farla breve, la prefazione attoriale fittizia si-mula la prefazione dell'autobiografia in cui il prefatore, comeho già avuto occasione di lamentare, si esprime piú in quan-to autore (« ecco cosa ho scritto ››) che in quanto eroe (« eccocome ho vissuto ››). E in quanto autore che Lazarillo presen-ta come un'innovazione contraria alla pratica epica dell'inizioin medias res la sua scelta di «cominciare non da metà, ma dal-l”inizio, in modo che possiate conoscere completamente la miapersona ›>; è in quanto autore che Gil Blas esorta il lettore, se-condo la favola dei due studenti di Salamanca, a leggere il se-guito interpretativamente, e a «fare attenzione agli insegna-menti morali che racchiudono ›› le sue avventure giovanili; èin quanto autore che Gulliver protesta contro i tagli e le ag-giunte effettuate da suo cugino, e rimpiange una pubblicazio-ne che non ha portato alcun miglioramento agli usi e costumidegli Yahoos; è in quanto eroe, senza dubbio, che GordonPym attesta la veridicità dei pezzi redatti e già pubblicati comefinzionali da Poe, ma è in quanto autore che rivendica la pa-ternità di tutto il resto; è inoltre in quanto autore che Braz Cu-bas annuncia un'«opera diffusa, composta da me, Braz Cubas,seguendo la maniera libera di uno Sterne o di uno Xavier deMaistre, alla quale ho però forse aggiunto qualche pennellatamalinconica di pessimismo. E del tutto possibile. Opera di de-funto! I-Io scritto con la penna della felicità e l'inchiostro dellamalinconia e non è difficile prevedere quello che può derivareda una simile combinazione. Aggiungete che le persone serietroveranno in questo libro le caratteristiche di un semplice ro-manzo, mentre le persgne frivole non vi troveranno il romanzoa cui sono abituati». E certamente in quanto eroina che Sal-ly Mara rifiuta alcune affermazioni che la riguardano e attri-buisce a Raymond Queneau la responsabilità di Sally plus in-time, ma è in quanto autrice che assume il resto della raccol-ta, precisando: << Non viene concesso spesso a un_ autore imma-ginario di poter prefare le sue opere complete, soprattuttoquando vengono pubblicate con il nome delliautore cosiddettoreale. Devo dunque ringraziare le edizioni Gallimard per aver-

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mene dato la possibilità» '. Insomma, niente di diverso dallasolita authorship delle prefazioni di autobiografie, in cui ci sirende chiaramente conto che scrivere la propria vita consistemeno nel mettere la scrittura al servizio della vita che nel con-trario. Narciso, dopotutto, non è innamorato del suo volto, madella sua immagine, e cioè, in questo contesto, della sua opera.

Specchi.

Direi lo stesso della prefazione finzionale in genere, nellaquale abbiamo costantemente visto l'atto prefativo mirarsi emimarsi, in un compiaciuto simulacro dei propri procedimenti.In questo senso la prefazione finzionale, finzione di prefazio-ne, non fa altro che esacerbare, sfruttandola, la tendenza pro-fonda della prefazione ad una seb'-consciousness allo stesso tem-po infastidita e gioiosa: che gioca con il proprio fastidio. Scrivouna prefazione, mi vedo scrivere una prefazione, mi rappre-sento mentre mi vedo scrivere una prefazione, mi vedo rappre-sentare... Questo riflesso infinito, questa autorappresentazio-ne nello specchio, questa messa in scena, questa commedia del-l°attività prefativa, che è una delle verità della prefazione, laprefazione finzionale la spinge all'estremo limite passando cosídall'altro lato dello specchio.

Ma questa autorappresentazione è anche, per eccellenza,quella dell'attività letteraria in genere. Poiché, come si saràcertamente capito fin dall'inizio di questo capitolo, se nellaprefazione l'autore (o il suo <<padrino››) è, come abbiamo fattodire a Borges, «meno creatore ››, è forse proprio là che egli èe si rivela, paradossalmente o meno, il piú letterato. Vediamoinfatti starne il piú possibile alla larga, cosí come da ogni al-tro elemento troppo evidente del paratesto, gli autori piú le-gati alla dignità classica e/o alla trasparenza realista: una Aus-ten, un Flaubert, uno Zola, un Proust, il Balzac del 1842,James fino al 1907. E questo pressappoco l'unico tratto distin-tivo che abbiamo potuto rilevare, ma mi sembra piuttosto si-gnificativo, per la preoccupazione che esprime di evitare il piú

' Ricordo che l'opera si presenta nel 1963 con questa copertina: Ray-mond Queneau | dell'Accadernia Goncourt I Les CEuvres I complêtes I de SallyMara.

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possibile quest'effetto perverso del paratesto che è l'effetto-schermo, che abbiamo battezzato, in riferimento alla portine-ria di Charlus, l'effetto Jupien *.A livelli diversi, e con sfumature diverse a seconda dei ti-

pi (l”autoriale assuntiva essenzialmente legata alla preoccupa-zione dell'autore d'imporre la sua intenzione al lettore, l'allo-grafa alle pratiche di protezione e di patrocinio, ma a volte an-che di diversione e di captazione, le finzionali alla messa inscena della pratica finzionale stessa), la prefazione è forse, fratutte le pratiche letterarie, quella piú tipicamente letteraria,a volte nel migliore, a volte nel peggiore dei sensi, e moltospesso in tutti e due i sensi alla volta. Non vedo altra praticache possa superarla nei suoi diversi eccessi, tranne, ovviamen-te, quella di scrivere sulla prefazione. Me ne sono quindi benguardato, limitandomi qui ad ascoltarla mentre fa ciò che safare cosí bene: parlare di se stessa.

' Potrebbe essere ugualmente chiamato l'effetto George Moore, in onorecli questo autore che un giorno dichiarò: «Non mettete prefazioni all'iniziodella vostra opera, sarà l`unica cosa di cui i critici parleranno». Questo con-siglio viene citato in epigrafe alla prefazione dei Sandales d'Empêdocles, diC.-E. Ma n , che un o' eccessivamente retende che «dal naturalismo in. . g Y ., . . . . . . .oi, l1 autori non osano iu scrivere refazioni ai ro r1l1br1››.E

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Gli intertitoli

Gli intertitoli, o titoli interni, sono titoli veri e propri, e co-me tali richiedono lo stesso tipo di osservazioni, che eviteròdi riprendere sistematicamente, ma che ritroveremo qui e là.Poiché interni al testo, o comunque al libro, essi richiedonotuttavia altre osservazioni, sulle quali insisterò maggiormente.

La prima e la piú evidente è che, contrariamente al titologenerale, che si rivolge all'insieme del pubblico e può circolaremolto al di là della cerchia dei lettori, gli intertitoli sono uni-camente accessibili a questi lettori, o comunque al pubblico giàristretto di quelli che si limitano a sfogliare i libri o a leggerel'indice delle materie; numerosi di questi intertitoli hanno unsenso solo per un destinatario già impegnato nella lettura deltesto, lettura che essi presuppongono per quanto riguarda al-meno ciò che li precede: è il caso del xxxvn capitolo dei TroisMousquetaires, Le secret de Milady: questo nome, o sopranno-me, presuppone chiaramente da parte del lettore la conoscenzadel personaggio cui si riferisce '.

La seconda e la piú importante riguarda il fatto che, con-trariamente al titolo generale, diventato un elemento indispen-sabile non tanto all'esistenza materiale del testo, quanto all'e-sistenza sociale del libro, gli intertitoli non rappresentano af-fatto una condizione obbligatoria. Vi sono diversi gradi nel-l'eventualità della loro presenza, che vanno dall'impossibile al-l'indispensabile, e che conviene qui percorrere rapidamente.

' Esso ha cioè un valore anaforico o di richiamo: questa Milady che voiconoscete già. Un romanzo potrebbe benissimo intitolarsi Il segreto di Milady:il nome avrebbe allora un valore cataforico, vale a dire di annuncio. Il lettorelo recepirebbe in modo completamente diverso, come un leggero enigma. Lostesso regime può venire applicato a un intertitolo: è il caso del primo capito-lo, «I tre regali di M. d'Artagnan padre», che introduce un nome ancora sco-nosciuto.

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GLI INTERTITOLI 29 I

Caso di assenza.

L'intertitolo è il titolo di una sezione del libro: di parti, ca-pitoli, paragrafi di un testo unitario, o di poesie, novelle, saggicostitutivi di una raccolta. Ne consegue ovviamente che un te-sto assolutamente unitario, cioè non diviso, non può compor-tare alcun intertitolo. E il caso ad esempio, a mia conoscenza,della maggior parte delle epopee medievali, almeno nelle con-dizioni in cui ci sono pervenute, ma anche di alcuni romanzimoderni, come H o Paradis. Sarei tentato di dire lo stesso perl'Ulysses, ma la situazione è, come sappiamo, un po' piú sot-tile. Al contrario alcuni testi sono evidentemente troppo divisi,voglio dire tagliati in troppi pezzi, perché ogni sezione possaavere un titolo proprio: è il caso delle raccolte di frammenti,aforismi, pensieri ed altre massime che l'autore, tipo La Ro-chefoucauld, non ha ritenuto di dover raccogliere, come faràLa Bruyère per i suoi Caractères, in sottoinsiemi tematici checostituiscono dei capitoli e giustificano l'imposizione ad ognu-no di un intertitolo.Vi sono inoltre dei tipi di testi legati ad un regime essenzial-

mente orale, per i quali il fatto stesso della performance oralerenderebbe la presenza di intertitoli difficile da manifestare:discorsi, dialoghi, opere teatrali. Il caso del teatro è piú sfuma-to, poiché le divisioni tradizionali, assenti dalla rappresenta-zione, comportano al momento dell'edizione una specie di ti-tolazione minimale, o puramente tematica, tramite il nume-ro degli atti, delle scene e/o dei quadri. E alcuni drammatur-gi, come Hugo o Brecht, intitolano spesso i loro atti: per Her-nani, atto I: Le roi, atto II: Le handit, atto III: Le vieillard, attoIV: Le tomheau, atto V: La noce. Per Ruy Blas, I: Don Sallus-te, II: La Reine d 'Espagne, ecc. In Brecht, troviamo per esem-pio dei titoli' alle parti del Cerchio di gesso del Caucaso (DerKaukasische Kreidekreis), di Puntila, della Madre (Die Mutter),e delle specie di riassunti in Madre Coraggio (Mutter Courage),nell'Opera da tre soldi (Dreigroschenoper), in Mahagonny, in Vitadi Galileo (Das Leben des Galilei), generalmente destinati adessere esibiti nel corso della rappresentazione, ad uso deglispettatori. Questa presenza potrebbe essere legata al carattere

1 In questo capitolo, in cui il contesto impedisce qualsiasi fraintendimen-to, abbrevierò spesso intertitolo con titolo.

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notoriamente narrativo (« epico ››) che l”autore voleva dare alsuo teatro. In Hugo, lo attribuirei volentieri a una passione peri titoli di tutti i generi, di cui ritroveremo ulteriori manifesta-zioni. Ma esistono certamente altri esempi di questa pratica,che Diderot, non potendo lui stesso illustrarla, ha saputo giu-stificare molto bene: « Se un poeta ha meditato a fondo sul suoargomento e ha ben diviso la sua azione, non vi sarà nessunodei suoi atti al quale non possa dare un titolo; e, cosí come nelpoema epico si distingue la discesa agli inferi, i giochi funebri,la conta dell'esercito, l'apparizione dell'ombra, cosí nell'artedrammatica si distinguerà l'atto del sospetto, l”atto dell'ira,quello del riconoscimento o del sacrificio. Sono stupito che gliAntichi non se ne siano accorti: è una cosa che corrispondecompletamente al loro gusto. Se avessero intitolato i loro at-ti, avrebbero reso un servizio ai Moderni, che non avrebberofatto a meno di imitarli; e una volta fissato il carattere dell'at-to, il poeta sarebbe stato forzato a realizzarlo» 1. Aggiungoche alcune indicazioni di luogo o di tempo, completamente re-golari all'inizio di un atto o di una scena, nella tradizione pos-sono passare per un tipo di intertitoli: è evidentemente il ca-so nel Faust di Goethe: «La notte», «Davanti alla porta del-la città», «Lo studio ››, ecc. Ma questi pochi casi di titolazio-ne sono eccezionali.

Gradi di presenza.

La presenza di intertitoli è possibile, ma non obbligatoria,nelle opere unitarie divise in parti, capitoli, ecc. e nelle raccol-te. Essa è raramente obbligatoria, come nelle raccolte di no-velle, in cui la loro assenza rischierebbe di confondere facendoinizialmente credere che si tratti di un racconto unico. Di que-sti casi di presenza possibile o necessaria faremo ora una rapidarassegna in cui le categorie generiche, qui chiaramente piú de-terminanti, ci serviranno da quadro di controllo.Ma prima di tutto, una precauzione indispensabile. La di-

stinzione fra titoli (generali) e intertitoli (parziali) è essa stessameno assoluta di quanto l'abbia fatta apparire, a meno dila-sciarsi guidare ciecamente dal solo criterio bibliologico: tito-lo al libro, intertitoli alle sezioni del libro. Dico ciecamente,

1 D. Diderot, De la poesie dramatique, cap. xv. Des entr'actes.

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GLI INTERTITOLI 293

perché questo criterio è eminentemente variabile secondo leedizioni, cosí un «libro ›> come Du côté de chez Swann del 1913diventa «sezione di libro ›› nell'edizione della Pléiade, e al con-trario una «sezione» come Un amour de Swann è diventatamolto rapidamente, in alcune presentazioni, un libro autono-mo. Il criterio materiale è dunque fragile, o labile, ma quello,indubbiamente meno ingenuo, dell'unità dell”opera è lui stessomolto incerto: Germinal è un'opera o parte di un'opera? E diconseguenza, Germinal è un titolo o un intertitolo? E Un cerursimple? E Tristesse d 'Olympio? Ecc. La pratica qui decide piúgrossolanamente che legittimamente nel modo che conoscia-mo, e la seguiremo volenti o nolenti, ma sarà meglio mantene-re un po' di diffidenza, senso di colpa o riserva mentale.Vi sono dunque opere senza intertitoli, delle quali per de-

finizione non ci occuperemo, una volta ricordato questo fat-to ovvio che l'assenza può essere, qui come altrove, altrettantosignificativa della presenza. Ma vi sono anche delle gradazioni,o comunque delle modalità di presenza, di cui è un esempio,come nei titoli generali, l'opposizione tra i regimi tematico (untitolo di capitolo come: << Una piccola città»), rematico (peresempio: «Primo Capitolo ››) e misto (il vero titolo del primocapitolo del Rouge: Chapitre premier/ Une petite ville 1). Que-sti due o tre regimi possono coesistere nella stessa opera: è ilcaso molto frequente di raccolte come Les Contemplations oLes fleurs du mal, in cui si alternano, apparentemente senzaproblemi, poesie intitolate e poesie senza titolo, vale a dire, inalcuni casi, poesie numerate. Seguiremo ora qualche trasfor-mazione di questa ripartizione attraverso quattro grandi tipigenerici, che rivelano una certa omogeneità di regime: irac-conti di finzione, i racconti referenziali (storici), le raccolte dipoesie e i testi teorici. L'ordine è piú o meno arbitrario.

1 Gli intertitoli tematici non preceduti da una menzione rematica del tipoCapitolo tale sono di fatto molto rari in tutte le epoche, forse perché il testoigarrativo rischierebbe cosi di assomigliare a una raccolta di novelle separate.E comunque il caso, e a mia conoscenza senza spiegazione, dei titoli originalidi Eugénie Grandet. Piú vicino a noi, è inoltre il caso di Mémoires d'Hadrien edell`(Euvre au noir; e fuori finzione (?), di Bzflures.

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Finzione narrativa.

Non si sa bene come si presentassero le prime versioni scrit-te (trascritte?), al tempo di Pisistrato, di questi primi granditesti narrativi continui che erano i poemi omerici, e gli editorimoderni non sono minimamente prodighi di dettagli su que-sto punto, ma la tradizione, trasmessa dagli scoliasti alessan-drini, o da Eustazio nel X11 secolo, ci ha trasmesso dei titoli te-matici di episodi di cui alcuni risalgono certamente alle origini,vale a dire alla fase delle recitazioni aediche, delle quali veni-vano forse intitolate le varie sedute. Questi episodi possonocostituire delle grandi masse narrative, come la «Telemachia››(circa tre canti) o i «Racconti presso Alcinoo ›› (quattro canti),o dei segmenti piú brevi, di un solo canto, come «La conver-sazione tra Ettore e Andromaca›> (canto VI dell'Iliade), e ad-dirittura meno («Duello tra Paride e Menelao», fine del cantoIII). E stata indubbiamente l'epoca alessandrina a tracciarenettamente in questa continuità o discontinuità narrativa unadivisione piuttosto meccanica in ventiquattro canti di cui cia-scuno veniva semplicemente distinto da una lettera dell'alfa-beto greco, equivalente ai nostri numeri attuali. Una seconda,o una terza tradizione, si è allora sforzata di salvare le titola-zioni tematiche primitive attribuendo sia bene che male a cia-scun canto uno o piú titoli corrispondenti agli elementi salientidella sua azione. Circolano cosí delle liste, piú o meno ufficiali,che riportano per esempio, per l'Iliade: canto I, «Peste e co-lera››, canto II, «Sogno e catalogo dei vascell.i››, ecc. Alcuni diquesti titoli sono sacrosanti perché designano le azioni con ter-mini tecnici insostituibili: «Aristeia>> (imprese), «Hoplopoiia››(fabbricazione delle armi) o « Nekuya›› (discesa agli inferi), chei dilettanti preferiscono a tutte le traduzioni. I titoli genera-li, Iliade e Odissea, sono del resto dello stesso tipo, traslitteratipiuttosto che tradotti.

Ignoro il funzionamento, da questo punto di vista, delleepopee postomeriche di cui non ci sono pervenuti i testi, mai titoli forniti dalle edizioni moderne ai canti (o piú esattamen-te libri) di Virgilio o di Quinto sembrano non avere fondamen-to nella tradizione scritta antica, anche se l°organizzazione uf-ficiale in libri è qui piú vicina alla successione tematica degliepisodi (Eneide, Libro I: La tempesta, Libro II: La presa di

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GLI INTERTITOLI 295

Troia, ecc.). La divisione meccanica, mi sembra, sommerge apoco a poco la titolazione tematica. Essa servirà come model-lo, durante i secoli, a tutta la tradizione epica classica, e, moltooltre, a tutta la tradizione romanzesca seria. Epopee latine,Dante, Ronsard, Ariosto, Tasso, Spencer, Milton, Voltaire,fino a Natchez. Romanzi greci e latini, romanzi barocchi e clas-sici (L 'Astrée è costituita da cinque parti contenenti dei librinumerati), compresa La princesse de Clêves, e perfino Francion,e il Roman hourgeois, e perfino Crusoe o Moll Flanders (che nonpresenta alcuna divisione), e Tristram Shandy, si adeguano algrande modello antico stabilito dagli Alessandrini - per nonparlare dei lunghi racconti in versi del medioevo, chansons degeste, ma anche i romanzi, che il piú delle volte sembrano igno-rare qualsiasi divisione.

Un caso a parte è quello delle grandi opere narrative com-posite come il Decameron o The Canterhury Tales, che sono difatto delle raccolte di novelle. Il Decameron è, come viene_in-dicato dal titolo, diviso in dieci giornate di cui ciascuna por-ta il nome del suo narratore; le dieci novelle che costituisco-no ciascuna giornata hanno, nelle edizioni moderne, dei titolila cui autenticità sembrerebbe dubbia, accompagnati da rias-sunti di qualche riga forse anch'essi tardivi, e che, se rientranonel paratesto attuale, non hanno piú, evidentemente, lo sta-tuto di intertitoli. I Canterbury Tales sono divisi in racconti dicui ciascuno è intitolato secondo la professione del narratore:«Racconto del cavaliere», «del mugnaio›>, ecc. L°Heptaméron,diviso in sette giornate, non sembra presentare titoli originali.Les cent nouvelles nouvelles, i cui titoli sono forse originali, so-no una raccolta artificiosa. La rassegna continua.

Alla grandertradizione classica delle divisioni numerate, edunque essenzialmente tematiche poiché indicano solo un po-sto relativo (attraverso la cifra) e un tipo di divisione (libro,parte, capitolo, ecc.), si oppone un'altra tradizione piú recentee piú popolare, d°iniziativa apparentemente medievale, che ri-corre a una titolazione tematica (o mista, con ellisse dell°ele-mento rematico), forse una parodia dei testi seri degli storicie dei filosofi o teologhi. Si tratta degli intertitoli descrittivi informa di proposizioni completive: «Come... ››, «Dove si ve-de... ››, «Che narra... ››, «De... ›› (sottinteso: « Capitolo... ›>). Eil caso del Roman de Renart, le cui prime raccolte datano al X111secolo: è diviso in libri senza titolazioni, essi stessi divisi in

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«avventure» con titoli descrittivi (narrativi): «Prima avven-tura: come di notte Renart si portò via la pancetta di Ysen-grin», ecc. 1.

Questo tipo di intertitoli aveva davanti a sé un destino ric-co quasi quanto quello del tipo classico, ma quasi sempre nelregistro ironico dei racconti popolari e « comici ››: in Rabelais,i cui titoli quasi sistematicamente in « Comment... ›› derivanodirettamente dalle Grandes Chroniques di cui egli è stato an-zitutto il continuatore; nei picareschi spagnoli, imitati in que-sto da Lesage; in Cervantesz, che inaugura nel Quiiote unmodello fortemente ludico o umoristico (<< Che leggerà coluiche leggerà ››, «Che tratta di molte cose illustri», «Che trattadi cose che riguardano questa storia e non un'altra»), la cui ra-mificazione piú spettacolare, dopo Scarron, si trova in Fiel-ding, e particolarmente in Tom Jones («Che contiene cinquepagine di carta››, «Che sarà il piú corto di questo libro ››, «Chesorprenderà il lettore ››, «Che contiene diversi argomenti»,ecc.: bisognerebbe citarli tutti). Dobbiamo tuttavia notare unaspecie di omaggio alla tradizione seria nel fatto che i diciottolibri non comportano titoli: la titolazione ironica ed eloquenteviene autorizzata solo al livello dei capitoli.

Questo modello, diventato la norma (l'anti-norma) del rac-conto comico, si perpetua ancora lungamente nel XIX secolo enel xx secolo, con alcuni effetti di clin d 'ceil diversamentesfruttati: in Dickens (Oliver Twist, Pickwic/e, David Copper-field), in Melville (Mardi, Pierre or the Amhiguities, Le GrandEscroc), in Thackeray (Henry Esmond, Vanity Fair), in France(La révolte des anges), in Musil (nello stile diretto), in Pyn-chon (V.), in Barth (The Sot-Weed Factor), in Jong (Fanny

1 È difficile dire a quando risalga nel medioevo questo tipo di titoli, chesi cominciano a trovare solo su manoscritti tardivi, o sulle prime versionistampate dei romanzi in prosa o dei testi storici. Si sarebbe tentati, mi diceBernard Cerquiglini, di supporre che i titoli in Come... siano derivati da le-gende di vignette: si veda, ad esempio, in J. Le Goff, La civilisation de l'Occi-dent médiéval (Arthaud, Paris 1964, fig. 182), sotto una vignetta che essa de-scrive fedelmente, questa legenda: «Come i quattro figli Aymon furono cac-ciati da Parigi da Carlomagno re di Francia (Storia in prosa dei quattro figliAymon)››, incunabolo del 1480. Ma questa ipotesi non può rendere conto ditutti i titoli a completive.

2 O il suo editore, poiché l'autenticità dei suoi intertitoli viene talvoltacontestata.

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]ones, e in Eco (Il nome della rosa), finora l'ultimo in ordine didata.

Nei racconti in prima persona (omodiegetici), questi inter-titoli proposizionali possono, molto piú spesso dei titoli gene-rali, porre la questione dell'identità del loro enunciatore.Quando sono redatti in terza persona («Della nascita di GilBlas e della sua educazione ››), questa scelta, contrastante conquella del testo narrativo stesso, attribuisce evidentemente laloro enunciazione all'autore: è il caso della maggior parte deiromanzi picareschi, nel Page disgracié (in cui l”eroe è sistema-ticamente designato negli intertitoli con la formula « le pagedisgracié ››), e ai nostri giorni, nel Nome della rosa. La redazio-ne adottata in Gulliver è piú complessa, e paradossale, poichéessa designa l'eroe-narratore come «l”autore»; Swift attribui-sce dunque questa funzione al suo personaggio, ma non arri-va al punto di accordargli il diritto di intitolare in prima per-sona.

Questo diritto gli è invece pienamente concesso nel Buscóndi Quevedo, notevole strappo alla regola picaresca, in Mardi,nei romanzi-pastiche di Thackeray, in Treasure Island, in Da-vid Copperƒield (il primo intertitolo di Copperƒield è: «Vengoal mondo ››). Come abbiamo già visto a proposito di altri ele-menti del paratesto, questa concessione ha come effetto ine-vitabile di costituire l'eroe-narratore in istanza non solo nar-rativa, ma letteraria: come autore responsabile della costitu-zione del testo, della sua gestione, della sua presentazione, ecosciente della sua relazione con il pubblico. Egli non è piú,come Lazarillo, solo un personaggio che racconta la propria vi-ta per iscritto, è un personaggio che si fa scrittore costituen-do il suo racconto in forma di testo letterario, già provvistograzie al suo intervento di una parte del suo paratesto. Tuttociò respinge contemporaneamente l'autore reale nel ruolo fit-tiziamente modesto di semplice «editore ››, o presentatore, al-meno nel momento in cui il suo nome, diverso da quello del-l'eroe, continua a figurare lui stesso nel paratesto, questa dop-pia iscrizione stabilisce dunque una suddivisione fittizia del-le responsabilità, anche se il lettore, consapevole delle conven-zioni letterarie, sa che non gli si chiede veramente di credervi.

Questa situazione, in fin dei conti classica, non è esatta-mente quella che viene costituita dagli intertitoli della Recher-che, quelli che si trovano nel 1913 negli annunci-sommari dei

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volumi in corso di pubblicazione, o quelli che figurano all'ini-zio dei volumi pubblicati delle ]eunes Filles, di Guermantes edi Sodome1. Qui, come in Copperƒield o Treasure Island, gliinêertitoli sono äitti priåiianpersona («l\;lorte di mia nålnna››,« ome smetto i ve ere erte ››, ecc. , ma, grazie ano-nimato relativo dell'eroe ', nessuna netta demarcazione vieneoperata tra lui e l'autore. Un tale modo di enunciazione, con-fermato da uello della corris ondenza, di alcune dediche e di

. › qø › , .` - .alcuni aãticoli, e non smentito dall _assenza,_gia mecilizionata, diogni in icazione generica contraria, avvicina evi entementeil regime di questo racconto a quello di una pura e semplice au-tobiografia. Tutto accade come se Proust passasse impercet-tibilmente dalla situazione ufficialmente autobiografica (perquanto indubbiamente già fittizia) del Contre Sainte-Beuve(«Ho una conversazione con la mamma su Sainte-Beuve») aquella della Recherche (« Sento infine che ho perduto mia non-na ››), nella quale la prima si traspone senza trasformarsi. Da-vanti a questo, le lamentele ufficiali, di eterobiografia non pe-sano tropplq, daãpl che sånp anch'esse slpesso ambigufä pcpresempio, a ene um: << e un signore c e racconta e c e i-ce io ›>; a Elie-Joseph Bois: << il personaggio che racconta, chedice io (e che non sono io) ›>; ma nell'articolo del 192 1 su Flau-bert: « delle pagine in cui qualche briciola di madeleine, in-zuppata in una infusione, mi ricordano (o almeno ricordano aun narratore che chiamo io e che non sempre sono io) tuttaun'epoca della mia vita... ›› ”. Ho proposto di battezzare que-sto statuto tipicamente ambiguo, prendendo il termine in pre-stito da Serge; Dubrovskij, autofinzione '. Non voglio torna-

, 1 L`annuncio del 1913 (di fronte al titolo di Swann Grasset) si ritrova inA la Recherche du Temps perdu cit., _I, p. XXIII; i sommari delle ]eunes Filles(1918) si trovano al principio di ciascuna «parte ››, I, pp. 431 e 642; i sommariall'iriizio delle ]eunes Filles per i futuri volumi, III, p. 1059; l”indice reale diGuerrnantes e di Sodome è al suo posto, II, pp. 1221-22. Un quadro compara-tivo di questi diversi sommari viene dato daJ.-Y. Tadié, Proust, Belfond, Pa-ris 1983, pp. 23-26.

1 Ricordo che viene nominato due volte Marcel nella Recherche, con qual-che contorsione denegativa; questo nome ambiguo è del resto usato almenoun'altra volta, che è stata meno notata pur essendo molto piú rivelatrice, inun abbozzo citato da M. Bardèche (Proust romancier, Les sept couleurs, Paris1971, I, p. 172) e datato da lui 1909: «Uomo di lettere vicino a Cabourg...Marcel va a trovarlo senza aver letto niente di lui ››. A mia conoscenza le uni-che volte che Proust non chiama il suo eroe ie, lo chiama Marcel.

i Proust, Contre Sainte-Beuve cit., p. 599.' Cfr. Genette, Palimpsestes cit., p. 291.

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re su questo argomento, ma la sua possibilità stessa indica pro-prio, mi sembra, l'importanza, tra l'altro, di queste caratteri-stiche dell'enunciazione (inter)titolare: in alcuni tipi di rela-zione fra testo e paratesto, la scelta di un regime grammaticaleper la redazione degli intertitoli può contribuire a determinare(o a indeterminare) lo statuto generico di un'opera.

L'apparato degli intertitoli della Recherche fornisce un altroinsegnamento, che riguarda la struttura dell'opera e la sua evo-luzione. A proposito dei titoli ho evocato la struttura unitariainizialmente voluta da Proust, e la sua progressiva deriva versouna presentazione piú divisa in tre, poi cinque, poi sette «vo-lumi ››, Questo movimento si ripete anche a livello dei capitoli,dato che solo il primo volume, Du câté de chez Swann, è sem-plicemente diviso in tre parti provviste di sottotitoli: Comhray(I e II), Un amour de Swann e Nom de pays: le nom. Il seguito,a partire dalle ]eunes Filles en ƒleurs, sarà molto piú articolato,con una divisione gerarchica in parti, capitoli e sezioni di cuitestimoniano i sommari provvisori o effettivi precedentementecitati. A partire da Guermantes, le parti e i capitoli non han-no piú sottotitoli, e gli ultimi tre volumi, a causa della loropubblicazione postuma, non presentano piú né parti, né capi-toli, ma disponiamo per tutto quello che segue Du côté de chezSwann di una serie molto ricca di intertitoli, provvisti, per le]eunes Filles, dai sommari dell'indice dell'edizione del 1918;per tutto il seguito, dai sommari-annunci annessi a questa edi-zione; per Guermantes II e Sodome, sia da questi annunci chedagli indici delle edizioni del 192 1 e del 1922, non senza qual-che discordanza di dettaglio che testimonia le ultime risiste-mazioni del dopoguerra. Malgrado la loro incertezza, dovutaalla deriva genetica, alla negligenza editoriale e alla pubblica-zione postuma, sappiamo che Proust li considerava dal 1918degli intertitoli e che avrebbe desiderato disporli all'inizio del-le sezioni che essi intitolano, o almeno, per concessione all'e-ditore, nei sommari degli indici con riferimento alla paginazio-ne. Ne testimonia questa lettera a una dattilografa a propositodelle bozze delle ]eunes Filles: «Ho domandato circa un mesefa, a Gaston Gallimard, se approvasse che introducessi nel cor-so del libro i titoli dei capitoli, con le indicazioni delle parti chefigurano nell'indice. Mi ha detto di non essere di questo av-viso, e dopo averci riflettuto sono anch'io d'accordo con lui.Abbiamo pensato che gli *** che ho disposto ogni volta che

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comincia un nuovo racconto, fossero sufficienti, e che il let-tore, grazie all'indice e al numero delle pagine che apparirannoin quest'indice, [. . .] avrebbe dato ad ogni frammento dell'in-sieme il titolo scelto da me... ›› 1.

Anche questa richiesta molto concessiva non è stata soddi-sfatta al momento della stampa, e bisogna ammettere che incerti casi la localizzazione degli intertitoli non è affatto eviden-te allo stato attuale del testo. Resta il fatto che in linea di prin-cipio Proust aveva in mente ben dopo la guerra, e contraria-mente alle sue prime intenzioni, un'opera molto piú articolatae provvista di un ricco apparato di titoli. E come se si fosse fat-to prendere, progressivamente o tardivamente, dal gioco delladivisione e della proliferazione paratestuale, gioco nel quale al-l'inizio aveva partecipato di malavoglia e per necessità.

E un fatto che mi sembra interessante in se stesso. Proustsi sarebbe cioè accorto con l°esperienza che l'unità architettu-rale della sua opera, alla quale come sappiamo teneva molto -e a dire il vero sempre di piú, a mano a mano che veniva sman-tellata sotto l'effetto della sua progressiva amplificazione -,si sarebbe manifestata e valorizzata di piú attraverso l'esibi-zione della sua ossatura attraverso i titoli che non nel modoiniziale, e cioè con una lunga colata testuale senza stacchi népunti di riferimento: da cui lo spostamento verso una sceltaopposta, e che taluni possono giudicare eccessiva nell'altro sen-so. E chiaro (e significativo) comunque che i suoi editori lohanno ogni volta ricondotto, volens nolens, alla norma media.Ma come sappiamo la storia dell'edizione della Recherche è so-lo agli inizi...

Abbiamo visto che la norma classica degli intertitoli nellafinzione narrativa era divisa in due tendenze molto contra-stanti, e fortemente caratterizzate da connotazioni generiche:la semplice numerazione delle parti e dei capitoli per la finzio-ne seria, e l'imposizione di intertitoli sviluppati per la finzionecomica o popolare. A questa opposizione classica viene a so-stituirsene un'altra all'inizio del XIX secolo, quando la prati-ca degli intertitoli (e dei titoli) narrativi in forma di riassun-ti o di temi viene quasi completamente a scomparire (gli esem-

1 Citato in A. Maurois, À la recherche de Marcel Proust, Hachette, Paris1985, pp. 290-91.

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GLI INTERTITOLI 3 0 I

pi piú recenti che ho citato sono chiaramente delle eccezioniarcaicizzanti) in favore di un tipo di intertitoli piú sobri, o perlo meno piú brevi, puramente nominali, ridotti per la maggiorparte a due o tre, se non addirittura a una sola parola.

L`artigiano di questo raccorciamento sembra essere stato,ancora una volta, Walter Scott 1, i cui Waverley Novels sonodivisi tra romanzi con capitoli «muti ›› (d`ora in poi mi riferiròin questo modo ai capitoli semplicemente numerati), comeIvanhoe, Roh Roy, The Bride ofLammermoor, e romanzi conintertitoli brevi, come Waverley o Quentin Durward: 1. «Ilcontrasto ››, 2. «Il viaggiatore», 3. <<Il castello». Se si paragonaun simile indice a quello di Tom ]ones, il contrasto è impres-sionante.

Quest'ultimo tipo, nel XIX e XX secolo, diventerà la regoladell'intertitolazione romanzesca, sempre in concorrenza col ti-po senza divisioni. Questa nuova opposizione prende dunqueil posto dell'antica, ma la connotazione generica diventa sem-pre piú debole, in proporzione alla relativa debolezza del nuo-vo contrasto, ma anche a causa della scomparsa relativa del(sotto-)genere romanzo comico o picaresco. E ormai il regno,quasi esclusivo, del «realismo serio ››, e questo nuovo modo ro-manzesco si adatta altrettanto bene agli intertitoli brevi cheall'assenza di intertitoli, tranne qualche sfumatura che non bi-sogna sollecitare troppo. Sappiamo ad esempio che i capitolidel Rouge hanno dei titoli, mentre quelli di Armance e dellaChartreuse ne sono privi, ma sarebbe veramente arrischiatotrarre da questo fatto una qualunque conclusione. Il contra-sto è forse piú significativo in Flaubert, tra i capitoli senza ti-toli di Bovary e dell'Education, romanzi di costume contem-poranei, e gli intertitoli tematici di Salammhô, romanzo di tipopiú « storico ››, anche se di taglio piú scottiano. Stessa oppo-sizione mi sembra in Aragon tra gli intertitoli della Semainesainte e di Blanche e i capitoli muti della serie del Monde réel.Da notare inoltre la discrezione sistematica dei Goncourt, Zo-la, Huysmans, Tolstoj, e quella di Jane Austen, di James 0 diConrad.

Piú difficile, a sé stante, il caso di Balzac. Le edizioni preo-riginali inƒeuilleton, e un buon numero di originali (Grandet,

1 Ma troviamo già una riduzione in Zadig: «Il cieco», «Il naso ››, «Il canee il cavallo ››. Gli intertitoli di Candide, al contrario, sono all”antica.

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Goriot, La vieille fille, Birotteau, Illusions perdues, CousineBette, Cousin Pons, per esempi0), presentano dei capitoli, ingenere numerosi, e perfino, sembra, sempre piú numerosi esempre piú corti, con degli intertitoli spesso prolissi, secondolo stile «comico ›› antico. L'edizione collettiva della Comédiehumaine, pubblicata presso Furne fin dal 1842, elimina siste-maticamente sia la divisione in capitoli sia gli intertitolioriginali 1. Si potrebbe vedere in questo gesto un abbandonodelle civetterie della titolazione antica, e l'adozione di un re-gime piú sobrio e piú conforme al disegno « serio ›› dell°insie-me. Ma Lovenjoul, nella sua Histoire des wuvres de Honore deBalzac (1879), scrive che « le divisioni in capitoli furono elimi-nate, con gran dispiacere dell'autore, poiché facevano sprecaremolto spazio [...] Balzac lo rimpianse sempre». Secondo questatestimonianza un po' indiretta, Peliminazione sarebbe dunquestata puramente circostanziale ed economica, senza un signi-ficato profondo. Ed è vero che una o due volte delle edizioniseparate posteriori al volume corrispondente della Comédie hu-maine (per Savarus nel 1 843, per Les souffrances de l'inventeurnel 1 844) ristabiliranno i capitoli con i loro titoli. Ma, al con-trario, l'edizione Charpentier di Grandet, nel 1839, che è laprima separata (l'originale era nel tomo V degli Etudes desmoeurs nel 1834), elimina gli intertitoli senza particolari ragionieconomiche. Eccoci dunque in un circolo vizioso, e con noi laquestione dei titoli balzachiani 1.Il piú forte investimento nei titoli si trova certamente in

Hugo. I suoi primi romanzi, Han d 'Islande, Bug-Jargal e Le der-nier jour d 'un condamné, presentavano unicamente capitolimuti. E solo in Notre-Dame de Paris che egli inaugura un tipodi titolazione piú complessa, appellandosi a tutte le forme tra-mandate dalla tradizione: titoli brevi alla Scott, titoli narra-

1 L'edizione Pléiade, che assume come base del suo testo quello della co-pia Furne corretto da Balzac, mantiene del tutto naturalmente questa elimi-nazione, e dà gli intertitoli solo nelle varianti; le edizioni Garnier, invece, ri-stabiliscono gli intertitoli, decisione non molto logica, ma preziosa per gli ap-passionati del paratesto, anche quando messo chiaramente al margine.

1 Non bisogna però pensare che sia stata la pubblicazione in feuilleton acostringere Balzac al frazionamento: La cousine Bette, che uscí in quarantunƒeuilletons nel «Constitutionnel››, presentava trentotto capitoli; l”originale necomporterà centotrentadue; Le cousin Pons passerà ugualmente da trentuno asettantotto capitoli.

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tivi all'antica, piú qualche innovazione come titoli in latino,formule pseudo-proverbiali, ecc. Questo modo si svilupperànei romanzi successivi all'esilio, in favore di costruzioni gerar-chizzate in parti, libri e capitoli che ritroviamo ugualmentenella Légende des siêcles. L'indice dei Misérahles è in questo sen-so esemplare e di un'insuperabile varietà nella sua indiscrezio-ne, la cui ricca proliferazione non potrà essere esemplificatada alcun campionario. Non posso dunque far altro che rinviareil lettore a questo monumento paratestuale che presenta cin-que parti divise in 48 libri divisi in 365 capitoli, ma dato chei libri e le parti hanno anch'esse i loro titoli (ogni occasione èbuona), abbiamo in tutto, se non sbaglio, 418 titoli, animatida un°evidente ebbrezza ludica. Siamo qui agli antipodi del-la sobrietà propria al classicismo e al realismo serio: è il ritornoall'umorismo cervantino, rafforzato da tutte le risorse (vogliodire, di una parte infima delle risorse) della retorica e della fan-tasia hugoiana. Il testo, dopo tutto questo, rischia di sembrareun po' scialbo, e addirittura un po' insignificante.

L'epoca contemporanea ha un po` scombussolato la prati-ca delle divisioni, e l'opposizione fra intertitoli tematici' ecapitoli numerati. La principale innovazione è senz'altro l'in-troduzione di divisioni lasciate completamente in bianco, sen-za intertitoli, né numeri: o con un semplice cambiamento dipagina, come nel Voyage au hout de la nuit o in Finnegan's Wake(ma in quest'ultimo i «capitoli ›› cosí determinati sono raggrup-pati in tre « parti ›› numerate), in Histoire, in La jalousie (il cuiindice presenta una serie di incipit dei capitoli), o senza cam-biamento di pagina, con semplici spazi bianchi o asterischi: èquello che fa Proust, in mancanza di meglio, nelle ]eunes Filles,o Joyce nella presentazione definitiva di Ulysses - ma la tra-dizione ufficiosa ha conservato il ricordo di questi intertito-li preoriginali (Telemaco, Nestore, Proteo, eccç), che chiunquepotrebbe ridisporre al loro posto, e a mano. E inoltre la pra-tica piú frequente e caratteristica del nouveau roman france-se. Una simile presentazione non autorizza forse piú, a voler

1 Una variante è quella dei racconti costituiti da monologhi interiori, co-me As I Lay Dying o The Sound and the Fury, in cui l”uso di intertitoli indical”identità del «locutore››: decisione che si ispira del tutto logicamente allanorma drammatica.

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essere rigorosi, a parlare di « capitoli ›› 1: si tratta di un tipo didivisione sensibilmente piú leggera e piú sottile, che vuole con-ferire al racconto semplicemente una specie di scansione respi-ratoria. Un passo in piú (ma è un passo che conta) e abbiamoil testo continuo di H; ancora un passo, e si arriva al testo sen-za punteggiatura di Paradis (ancora un altro, e torniamo ai testidell'antichità, in cui la grafia non separava le parole); ovvia-mente non c'è qui piú spazio, come ho già detto, per nessuntipo di intertitolo.

Storia.

Durante tutta l'antichità classica, la pratica degli storicisembra essere stata altrettanto sobria di quella dei poeti epi-ci, o piuttosto dei lori «editori» tardivi. I nove libri di Erodo-to, la cui divisione risale ugualmente all°epoca alessandrina, re-cano il nome delle nove muse, senza alcuna relazione tematica.Gli otto libri di Tucidide sono distinti da lettere e divisi in bre-vi capitoli numerati, decisione imitata dagli storici latini. Aquanto pare, sono le edizioni tardive (fine del XV, XVI secolo)dei cronisti medievali ad inaugurare la titolazione descrittivatramite titoli-sommari in stile indiretto, proposizioni comple-tive introdotte da «Come... ›› o complementi introdotti da<<De... ›› Commynes, per esempio, I, 1: «Delle cause delleguerre tra Luigi XI e il conte di Charolais››, I, 2: << Come ilconte di Charolais, con numerosi altri gran signori di Francia,armò un esercito contro il re Luigi XI, per la causa del benepubblico ››. L'evoluzione porta in seguito a una titolazione piúbreve e piú diretta, che sembrerebbe inaugurata da Machia-velli nelle sue Istoriefiorentine, e di cui testimoniano per esem-pio Voltaire e Gibbon: Précis du siêcle de Louis XIV: I. «Intro-duzione», 11. « Degli stati d'Europa sotto Luigi XIV», In. «Mi-noranza di Luigi XIV. Vittoria dei Francesi sotto il GrandCondé, allora duca di Enghien››, ecc. Questo stile di titoli di-retti (nominali o in proposizioni indipendenti), ma spesso di-

1 Il rigore assoluto impedirebbe di parlare di « capitoli ›› quando ci si tro-va, come nel caso di Les Rougon-Macquart, in presenza di sezioni numeratecon una semplice cifra, senza la menzione Capitolo tale. Ma l”uso permette diandare oltre, e fa bene: si tratta di capitoli che non si dichiarano tali.

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visi essi stessi in diversi elementi contrapposti che annuncia-no ognuno una sezione particolare del capitolo, è anche lo stiledei memorialisti, di Saint-Simon, di Casanova (intertitolatonel 1826 dal suo editore Laforgue), e inoltre di Chateaubriando Dumas, mentre l'autobiografia personale adotta piú volen-tieri una divisione numerica, forse ereditata da sant'Agostino:è il caso di Rousseau, di Musset, di Gide, di Nabokov, ed è in-dubbiamente uno degli indizi da utilizzare nella distinzionespesso delicata tra i due generi. Ma non senza precauzioni:Jean le Bleu, opera a statuto ambiguo (contenuto notoriamenteautobiografico, indicazione generica «romanzo ››), è intertito-lata alla maniera delle Memorie; per esempio, capitolo VI:«L'anello nella foglia di insalata - Gli annunciatori - La ra-gazza dal muschio - Il mercato del bestiame, ecc. ».

Tra gli storici, Michelet si distingue per una titolazione piúconcisa, piú nervosa (molti nomi senza articoli), ed anche piúvariata. Ecco ad esempio i primi titoli del primo capitolo dellaHistoire de France: «Celti e Iberi - Razza gallica o celtica; in-dole simpatica; tendenza all'azione; ostentazione e retorica -Razza iberica; indole meno socievole; spirito di resistenza -IGalli respingono gli Iberi e li seguono al di là dei Pirenei e delleAlpi». Questa libertà si accentuerà fortemente nelle opere tar-de come La sorcière, La montagne o La mer: «Cerchio di acque,cerchio di fuoco», «Fiumi del mare›>, << Il polso del mare ››,«Fecondità››, << Il mare di latte ››, «Fiore di sangue ›>... Titoliidiosincratici quanto quelli di Hugo, ma in tutt'altro senso:meno retorici, piú bruschi, e come prodotti direttamente dauna sensibilità a fior di pelle. Questo modello, per il tramitedel Michelet di Barthes che lo assume come per osmosi, regnaoggi sull'intitolazione e sull'apparato concettuale stesso del-la critica tematica francese.

Ho detto una parola di sfuggita sull'autobiografia. La bio-grafia, liberatasi piú tardi delle costrizioni del modello stori-co, merita una menzione particolare. I classici ostentano so-brietà: divisione per anni in Boswell, capitoli numerati nellaVie de Rancé, titoli molto fattuali nella Vie de Jesus (1. << Col-locazione di Gesú nella storia del mondo ››, 2. «Infanzia e gio-vinezza di Gesú. Le sue prime impressioni ››, 3. «Educazionedi Gesú ››). Ma i biografi moderni cedono spesso alla tentazio-ne di titoli fortemente simbolici. Si veda il Balzac di Maurois

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(altrove piú sobrio), in quattro parti: La montée, La gloire, LaComédie humaine, Le chant du cygne; capitoli della quarta: «Ilsupplizio di Tantalo ››, «Riunione a Pietroburgo ››, «La sinfoniadei lupi ››, «Perrette e la lattiera››, ecc. Stessi effetti nel Cha-teaubriand di Painter (primo volume, Les orages désirés: «I fioridella Bretagna ››, << Il giudizio di Parigi», «Il buon selvaggio ››,«Il deserto dell'esilio»...) Quanto al suo Marcel Proust, l'au-tore deriva i suoi titoli (tra l'altro) dall'universo della Re-cherche, riversando cosí senza alcun ritegno sulla vita di Proustgli episodi della storia di « Marcel ››: «Balbec e Condorcet››,«Bergotte e Doncières››, «Le visite di Albertine››, «La mor-te di Saint-Loup››, ecc.

Testi didattici.

Le grandi opere didattiche in prosa dell'antichità classica,filosofia o retorica (dialoghi platonici, trattati di Aristotele, diCicerone, di Quintiliano), rispettano anch°esse la regola di so-brietà. E ancora una volta il medioevo ad inaugurare l'inter-titolazione tematica, di cui un buon esempio viene offerto dal-la Summa Theologiae, con i suoi capitoli in « De. .. » e i suoi pa-ragrafi in «Utrum... ››, e che ritroveremo in Machiavelli, Des-cartes, Montesquieu (il cui Esprit des lois presenta un pesanteapparato titolare articolato in sei parti, trentun libri e circa cin-quecento capitoli), in Rousseau, in Kant, e inoltre, alleggeritoappena, in Chateaubriand e Mme de Staël, e di nuovo moltopesante, in Tocqueville e Gobineau. Il regime moderno, carat-terizzato dai suoi brevi titoli nominali, si osserva, mi pare, inTaine, La Fontaine et ses Fahles: I. «La mentalità dei Galli ››,H. «L'uomo», HI. «Lo scrittore ››... Eccoci in un terreno cono-sciuto.

Le eccezioni sono rare. Citerò i titoli arcaicizzanti di Paul-han (rinvio ludico al regime classico), e le brevi sezioni a «ru-briche ›› (in questo modo chiamava i suoi brevi titgli all'inizi0dei paragrafi) del Michelet di Barthes, già citato («Emicranie››,«Lavoro ››, «Michelet ammalato di storia ››, «Ho fretta... ››),che hanno avuto il seguito che sappiamo, nella critica temati-ca, ma anche nel Blanchot del Livre à venir o di L'espace litté-raire. Abbiamo anche conosciuto una breve moda, che si ispiraalla presentazione degli articoli scientifici, dei capitoli a nume-

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razione suddivisa e analitica: 1.1.1., 1.1.2., e cosí via. Si trat-tava, bisogna proprio dirlo, di una temibile dissuasione dallalettura, in un genere che non ne aveva bisogno, e di cui Le sys-tême zì la mode resta l'emblematico capolavoro. Ma un°interagenerazione ha in questo modo provato il brivido di un'osten-tazione di rigore, e di un'illusoria scientificità.

Raccolte.

In una raccolta di poesie brevi, l'autonomia di ogni unitàè generalmente molto maggiore di quella delle parti costitutivedi un'epopea, di un romanzo, di un1opera storica o filosofica.L'unità tematica della raccolta può essere piú o meno forte, mal'effetto della sequenza 0 della progressione è generalmentemolto debole 1, e l1ordine è il piú delle volte arbitrario. Ognipoesia è in se stessa un'opera chiusa, che può legittimamentereclamare il proprio titolo particolare.

La titolazione delle poesie brevi è tuttavia, tranne qualcheeccezione individuale 0 generica, un fatto notevolmente piúrecente di quella dei capitoli. Anche qui, l°antichità classica sidistingue per la sua sobrietà in quasi tutti i generi: odi (anchele epinicie pindariche, tuttavia consacrate ciascuna a un vin-citore ben identificato, sono unicamente classificate attraversovarie serie di giochi: odi olimpiche, pitiche, nemee), satire, ele-gie, giambi, epigrammi, e fino alle epistole di Orazio, ci giun-gono in raccolte semplicemente numerate. I grandi poemi di-dattici, De natura rerum 0 le Georgiche, numerano i loro li-bri come delle epopee. Le uniche eccezioni sembrano riguar-dare gli inni (Callimaco), che sono delle brevi epopee, gli Idillidi Teocrito, la cui raccolta è stata tardiva (II secolo d. C.), e checircolarono a lungo isolatamente (titoli tematici, ovviamente:«Thyrsis e il canto ››, «Le maghe›>, << La visita galante››...) -ma non le Bucoliche di Virgilio -, e ovviamente le favole, ge-nere principalmente popolare e anch'e_sso di circolazione alun-go erratica.Il medioevo non sembra aver innovato questo genere tanto

1 Tra le rare eccezioni, citiamo la raccolta dei Théorèmes di La Céppède(1613-22), continuazione narrativa di trecentoquindici sonetti sulla Passionee la Resurrezione di Cristo - che ritroveremo a proposito delle sue note.

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quanto gli altri: la maggior parte delle raccolte, da quelle deitrovatori e trovieri del XII secolo fino a quelle di Villon e diCharles d'Orléans (con l1eccezione, a quanto pare, di Rute-beuf), ci vengono tramandate senza intertitoli oltre alle indi-cazioni di genere: canso, auhe, sirventes, hallade, rondeau, ecc.Il Rinascimento e il classicismo non dovranno dunque faregrandi sforzi per riannodarsi alla pratica antica: icanzonieri,da Petrarca alla Pléiade, numerano le loro liriche, salvo com-pletare, come in alcune edizioni del Petrarca, il numero con unargomento di qualche riga che ricorda i riassunti di Boccaccio,e che non può passare per un titolo. I titoli compaiono solo conRonsard, in principio alle odi, agli inni e ai discorsi. Boileauinnova rispetto a Orazio, indicando al principio di ogni episto-la il nome del destinatario. Non un granché, insomma. Unbuon esempio della norma classica viene offerto, alla fine delXVIII secolo, dall'opera di André Chénier, che ha svolto qua-si tutto lo spettro dei generi canonici: numeri alle elegie, agliepigrammi, ai giambi; nome del destinatario alle epistole e agliinni; titoli tematici agli amori, alle bucoliche e alle odi.

L'intermezzo barocco, però, si era nel frattempo caratteriz-zato per un investimento titolare piuttosto forte: in Marino ei suoi, nei «metafisici›› inglesi (ma Donne intitola solo le sueopere profane: elegie, canzoni, sonetti, e numera senza tito-li i suoi Holy Sonnets - distinzione indubbiamente significa-tiva), in Quevedo (ma i suoi titoli, spesso molto dettagliati, po-trebbero benissimo essere, come per Petrarca, degli argomentio glosse editoriali, e Gongora rimane molto discreto). In Fran-cia, il grande artista dei titoli è il marinista Tristan l'Hermi-te, il cui indice degli Amours è un fuoco d'artificio di titolazio-ne barocca, tutto punte e ossimori («I piacevoli tormenti»,«La bella malata››, <<I rimedi inutili», « Le vane dolcezze»,ecc.), di una grazia o di una civetteria che annunciano Coupe-rin. Ma la regola, abbiamo visto, riprende rapidamente il van-taggio.

La grande rottura viene operata dal romanticismo, a partiredalle poesie giovanili di Hölderlin («Il lauro ››, «Inno alla li-bertà», << La Grecia ››), e le Lyrical Ballads di Wordsworth eColeridge («Versi scritti a qualche miglio di distanza dell°aba-zia di Tintern››, «Ballata del vecchio marinaio ››). In Franciasono, a quanto pare, le Méditations di Lamartine a stabilire,per piú di un secolo, il modello (breve, semplice e grave)

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della titolazione lirica: «L'isolamento ››, «L'uomo», «La sera ››,«L'immortalità», «Ricordo ››, « Il lago ››, «L'autunno»... Que-sto modello regnerà fra tutti i romantici e i postromantici:Baudelaire (con qualche inflessione personale, provocante:«Una carogna››, «La malasorte››, o neobarocca: «La musa ve-nale ››, «La luna offesa ››, << Rimorsi postumi» ricordano Tristanl'I-Iermite), Verlaine, Mallarmé, e fino al giovane Rimbaud.Hugo si distingue, ancora una volta, per la complessa strutturadelle grandi raccolte: Les contemplations, divise in due parti disei libri ciascuna, i Châtiments, in sette parti con titoli ironi-camente derivati dalla propaganda imperiale (« La società sal-vata», «L'ordine è ristabilito›>, << La famiglia è restaurata ››...),La légende des siêcles, in 61 parti, in cui alcune poesie come « Ilromancero del Cid››, «Il piccolo re di Galice >› o «Il satiro ››, so-no esse stesse suddivise in sezioni intertitolate, con un°infla-zione che si allontana di molto dalla sobrietà lamartiniana.

Ma troviamo inoltre, in Hugo, segno di una reticenza an-ch'essa spettacolare, qualche poesia senza titolo, in particolarenella seconda parte delle Contemplations, come se la gravità delsoggetto (un po' come per gli Holy Sonnets di Donne) impones-se questa riserva. Troviamo una scelta analoga in Verlaine, dueraccolte del quale sono completamente prive di intertitoli, esi tratta proprio della Bonne Chanson e di Sagesse. L'opposizio-ne, e spesso l'alternanza all'interno della stessa raccolta, frapoesie intitolate o meno, si è conservata fino ad oggi. Whit-man intitola raramente, ma dispone, in un modo piuttosto ri-dondante, i suoi incipit a mo” di titoli. Frost, Stevens il piú del-le volte mettono i titoli, e i surrealisti, e Lorca, e Ungaretti.Qualche raccolta mette in evidenza un'intenzione di dignitàclassica attraverso l”assenza di intertitoli: Elegien e Sonette diRilke, Douve di Bonnefoy, quasi tutta l'opera di Emily Dick-inson o di Saint-John Perse. Ma non bisogna forzare i signifi-cati di queste scelte.

Con Tristan e Hugo il grande maestro potrebbe essere JulesLaforgue. Il suo registro, come sappiamo, è l'umorismo bur-lesco e desolato. La sua migliore poesia (e non vuol dire poco)potrebbe essere l'indice dei Complaintes: « Preludi autobiogra-fici›› (un omaggio a WordsWorth?), « Lamento propiziatorio al-l°Inconsci0», «Lamento-placet del figlio di Faust ››, <<Lament0a Notre-Dame des Soirs››, «Lamento di voci sotto il fico bud-dista», « Lamento di questa buona luna ››, « Lamento dei pia-

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noforti che si sentono nei quartieri agiati››... Bisogna che qual-cuno mi fermi. Tristan evocava Couperin, Laforgue, di sicu-ro, annuncia Satie, e il seguito.

Non metterò oltre alla prova la pazienza dell'improbabilelettore proponendogli un'ulteriore scarpinata attraverso gli in-tertitoli di altri «generi ››, come la raccolta di novelle 0 di saggi,pratiche del resto troppo recenti per diversificare in modomolto significativo un'indagine il cui principale insegnamentomi sembra fin da adesso abbastanza chiaro.Tutto si riduce pressappoco all'opposizione costantemen-

te incontrata fra titolazione rematica, o puramente designa-tiva, che consiste semplicemente a numerare le divisioni, o ad-dirittura a lasciarle in bianco, e la titolazione tematica - elo-quente o discreta, e passata grosso modo, dall'inizio del XIX se-colo, dall1eloquente al discreto. Con mille sfumature ed ecce-zioni diverse, questa opposizione di forma corrisponde a uncontrasto di senso, che mette dalla parte della titolazione te-matica un atteggiamento dimostrativo, addirittura insistenteda parte dell'autore verso la propria opera, un'insistenza co-perta o meno dall'alibi dell'umorismo; dall'altra, un atteggia-mento piú sobrio che era inizialmente quello della dignità clas-sica, e poi quello del realismo serio. La presenza-schermo delparatesto rischia nuovamente di attirare un po' troppa atten-zione non tanto sul testo, ma sul lihro in quanto tale: «Que-sto è un romanzo di Victor Hugo››, dice con insistenza l°indicedei Misérahles. << Questo, - dice piú in generale il paratesto, -è un libro ››. Non è falso, ovviamente, ed è bene che si dicaqualsiasi verità. Ma un autore potrebbe anche desiderare cheil suo lettore dimentichi questo genere di verità, e una delle ga-ranzie di efficacia del paratesto è indubbiamente la sua traspa-renza: la sua transitività. Il migliore intertitolo, il migliore ti-tolo in generale, è forse quello che sa anche farsi dimenticare.

Indici, titoli correnti.

Ho appena detto «l'indice dei`./l/Iisérahles ›> e prima ancora,«l'indice dei Complaintes», ecc. E questa l'occasione di fini-re da dove avrei dovuto cominciare: il luogo degli intertitoli.Questo luogo è, virtualmente, per lo meno triplo: all'inizio del-

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le sezioni, ovviamente, e non vi insisterò, malgrado compor-ti infinite varianti formali e grafiche. Ma anche, con funzio-ne di annuncio o di richiamo, come titoli correnti e indice. Dueparole a questo proposito ci risparmieranno uno studio sepa-rato di questi due elementi.I titoli correnti possono ricordare, sulla pagina in alto e in

modo a volte necessariamente abbreviato, il titolo generaledell'opera, a sinistra, e a destra il titolo della sezione, in generedel capitolo. In linea di principio si tratta di un semplice richia-mo utile alla lettura e alla consultazione, ma può capitare cheil titolo corrente non si limiti a questo ruolo e faccia il suo gio-co, intitolando un capitolo non intitolato, specificando la ti-tolazione pagina per pagina (titoli correnti variabili), 0 pian-tando in asso l'intertitolo ufficiale del suo capitolo. L'originaledella Chartreuse (romanzo senza intertitoli) presenta dei ti-toli correnti piú o meno capricciosamente ripartiti, quello delRouge dei titoli correnti infedeli, o piuttosto indipendenti. Na-turalmente, ogni riedizione frutto di una nuova composizio-ne comporta inevitabilmente un”eliminazione o una ridispo-sizione dei titoli correnti variabili 1. La soluzione piú saggiapotrebbe essere, nelle edizioni erudite, quella dell'eliminazio-ne accompagnata da un richiamo in nota, un po' nello stessomodo in cui il Balzac della Pléiade indica nelle varianti gli in-tertitoli eliminati nel 1842.

Anche l'indice, in linea di massima, non è altro che unostrumento di richiamo dell'apparato titolare - o di presenta-zione quando si trova all'inizio, come succedeva spesso unavolta 2, e ancora oggi nei libri tedeschi o angloamericani.Questi due tipi di ripetizione non si equivalgono di certo, e ilsecondo sembra incontestabilmente piú logico, pur scioccandole abitudini del lettore francese, con una vaga sensazione este-tica di ineleganza. Ma non sopravvalutiamo il significato diqueste disposizioni: non c'è niente di piú facile, né di piú co-mune, almeno nel regime di lettura di tipo intellettuale, di un

1 Sui titoli correnti in Stendhal, si veda Abrioux, Intertitres et épigrapheschez Stendhal cit.

2 Per la verità, l'uso classico era piuttosto quello di mettere al principioun indice dei capitoli, e alla fine un indice generale propriamente detto, un in-dice piú dettagliato. Il nostro indice moderno è di fatto un indice dei capitoli,e il suo nome viene un po' usurpato.

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colpo d'occhio preliminare a un indice che si trova alla fine delvolume.

Ma l1indice non è sempre l'estratto fedele dell1apparato ti-tolare. Può tradirlo tramite riduzione, come in alcune edizionieconomiche 0 trascurare in cui i capitoli numerati senza titolinon vengono considerati nell'indice; o tramite amplificazio-ne, attribuendo dei titoli a capitoli che in situ ne erano sprov-visti: è questa, lo ricordo, la scelta di Proust per le ]eunes Filles;oppure attraverso una variazione disinvolta, come avviene inStendhal; o inoltre, e soprattutto creando l'illusione di una se-rie di titoli attraverso una lista di incipit. In effetti l'incipit,surrogato di titolo, nelle raccolte di poesie, o in un romanzocome La jalousie, è tipicamente una conseguenza dell'indice.In genere (tranne l'eccezione già segnalata di Whitman) si trat-ta di un semplice testo senza titolo, in cui nulla deve privile-giare il primo verso 0 la prima frase. Nell°indice, e poi nel ruo-lo di designazione che ne deriva, questo primo verso, diven-tato incipit, si separa e assume un valore indebitamente emble-matico, come se fosse sempre, secondo l1espressione di Valéry,stabilito dagli dèi. Da cui tante poesie di cui conosciamo so-lo il primo verso, e forse meno: « Domani, dall'alba, nell'orain cui schiarisce la campagna ››, «Ho colto questo fiore per tesulla collina ››, «Non ho dimenticato, la nostra bianca villa››,«La serva dal gran cuore di cui foste gelosa ››... 1.

1 I primi due versi sono di Hugo; gli ultimi due di Baudelaire sono tradot-ti da Carlo Muscetta [N. d. T.].

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Le note

«Troppe note! »

Giuseppe II.

Con la nota, tocchiamo una, o addirittura molte delle fron-tiere, o assenze di frontiere, che circondano il campo, princi-palmente transizionale, del paratesto. Questa posta in giocostrategica forse compenserà la delusione che comporta inevi-tabilmente un «genere ›› le cui manifestazioni sono per defini-zione puntuali, frammentarie, polverulente, per non direpolverose 1, e spesso cosí strettamente connesse a un determi-nato dettaglio di un determinato testo da non avere, per co-sí dire, alcun significato autonomo: da qui il disagio nel cer-care di comprenderle.

Definizione, luogo, momento.

Per il momento, darò una definizione della nota il piú for-male possibile, senza implicarvi alcune considerazioni funzio-nali. Una nota è un enunciato di lunghezza variabile (basta unaparola) relativo a un segmento piú o meno determinato di te-sto, e disposto in rapporto o in riferimento a questo segmen-to. Il carattere sempre parziale del testo di riferimento, e diconseguenza il carattere sempre locale dell'enunciato dispostoin nota, mi sembra il tratto formale piú distintivo di questoelemento di paratesto, che lo oppone tra l'altro alla prefazione- comprese quelle prefazioni 0 postfazioni che si intitolanomodestamente « Nota ››, com'è spesso il caso in Conrad. Ma

1 Un luogo comune, per non tornarci piú: «La nota è il mediocre che siattacca al bell0›› (Alain, citato nel Robert). L1odio per la nota è uno degli ste-reotipi piú costanti di un certo «poujadisme» (o a volte dandismo) anti-intel-lettuale. Bisognava dirlo in una nota.

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questa differenziazione formale lascia ovviamente trapelareuna similarità nella funzione: in molti casi, il discorso dellaprefazione e quello dell'apparato delle note hanno una relazio-ne molto stretta di continuità e di omogeneità. Questa rela-zione è particolarmente osservabile nelle edizioni ulteriori, co-me quelle dei Martyrs, 0 tardive, come quella dell'Essai sur lesrévolutions, in cui uno stesso discorso, là difensivo, qui auto-critico e recuperatore, viene suddiviso tra la prefazione, chesi fa carico delle considerazioni generali, e le note, che si oc-cupano dei dettagli.

Con il nome piú antico di glossa (il Robert indica l'anno1636 come data di apparizione della parola nota), la pratica ri-sale al medioevo, in cui il testo, disposto in mezzo alla pagina,era spesso circondato, o a volte diversamente intessuto, dichiarimenti scritti in caratteri piú piccoli, disposizione ancorafrequente negli incunaboli del XV secolo, in cui la glossa si di-stingue solo per i suoi piccoli caratteri. E nel corso del XVI se-colo che compaiono, piú brevi e annesse a segmenti piú deter-minati di testo, le manchettes o note a margine, e nel XVIJ1 seco-lo l'uso dominante le trasferisce a piè di pagina. Ma la praticaattuale è molto diversificata: le note si dispongono ancora amargine (Barthes, Fragments d'un discours amoureux 0 Chambreclaire, riviste come Degrés 0 Le débat), tra le righe in numero-se opere didattiche o scolastiche, alla fine del capitolo 0 delvolume, o raccolte in un volume speciale 1: Francis Pongemenziona 1 una Bibbia in cui le note occupavano una colonnacentrale, tra due colonne di testo. L1uso scientifico compor-ta spesso una modalità di riferimento a due livelli, in cui le no-te a piè di pagina rinviano sommariamente, con un nome e unadata, a una bibliografia finale. Si può anche riservare al testola pagina di destra, e disporre le note sulla pagina corrispon-dente di sinistra; è la disposizione adottata per il Malraux parlui-même di Gaétan Picon, che ritroveremo; o il contrario, co-me in Les guerrillères di Monique Wittig. Niente, d'altra parte,impedisce alle note a piè di pagina, quando sono lunghe, diprolungarsi su piú pagine: a p. 173 di Echange di Renaud Ca-mus comincia una nota che occuperà esattamente la metà in-

' 1 Cfr. P. Hazard, La pensée européenne au XVIII* siêcle, Boivin, Paris1946.

1 Entretiens avec Philippe Sollers, Gallimard-Seuil, Paris 1970, p. 105.

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feriore delle pagine seguenti, fino all'ultima, e cioè circa un se-sto del volume. Nulla impedisce inoltre le annotazioni a varilivelli, note su note: lo stesso Camus spinge il gioco, in Travers,fino al sesto grado. Nulla infine impedisce di far coesistere inuno stesso libro diversi sistemi: note brevi a piè di pagina, piúdettagliate alla fine del capitolo o di volume 1, e molto spessonelleedizioní erudite, note dell'autore a piè di pagina, notedell°editore alla fine del volume. Il capitolo X di Finnegan'sWake comporta delle note ai due margini, ed altre `a piè di pa-gina: ciascuno di questi tre luoghi è riservato a un enunciatoredistinto 1.

La nostra pratica piú comune consiste nel « richiamare ›› lenote nel testo attraverso vari procedimenti (cifra, lettera, aste-risco) e a segnalare ciascuna di esse tramite un richiamo iden-tico o una menzione riferita al testo (parola o riga). Ma le notea margine fanno spesso a meno di tale segnalazione, e anchele note richiamate possono travalicare la parola ola frase chele richiamano: riferimenti alla fine di un capoverso per tuttoun capoverso, nota riguardante l'insieme di un capitolo o di unarticolo segnalata attraverso la sua prima frase o il suo titolo.L'ultima nota della Nouvelle Héloise riguarda infatti tutta l'0-pera: breve postfazione travestita da nota. Infine, vi sono notealla fine del capitolo, non segnalate nel testo e rispettivamenteprovviste di titoli, che possono riguardare, piú o meno libera-mente, determinati dettagli, 0 l1insieme del capitolo: si vedaMichel Charles, L'Arbre et la Source. In questi due ultimi casi,siamo chiaramente su una delle frontiere della nota 1.

Come la prefazione, la nota può comparire in qualsiasi mo-mento della vita di un testo, basta che un'edizione ne offral'occasione. Di nuovo, dunque, una ripartizione secondo le tre

1 E ad esempio il sistema adottato da J.-P. Richard nel suo Univers imagi-naire de Mallarmé, Seuil, Paris 1961, e che spiega molto precisamente p. 28,n. 25.

1 Cfr. S. Benstock, At the margin of the discourse: footnotes in theƒictionaltext, in «Publications of the Modern Language Association», LXXXVIII (1983).

1 Un articolo di J.-M. Gleizes, Il n'y a pas un instant ù perdre, in «TXT»,n. 17 (1984), comporta delle note terminali numerate, ma non segnalate neltesto, e la prima precisa (se cosí si può dire): « Le note rimandano a qualsiasiparte del testo. Ed anche a qualsiasi dei suoi bianchi». E il romanzo di Gé-rard Wajeman, L'interdit (1986), è costituito da un apparato di note che ri-mandano a un testo assente: doveva prima 0 poi succedere.

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occasioni pertinenti: note originali, o della prima edizione, èla situazione piú comune e che non ha bisogno di esempi; noteulteriori, o della seconda edizione, come quelle dei Martyrs(1810) 0 dell'Emile (1765); note tardive, come quelle dell'e-dizione Cadell delle Waverley Novels (1829-3 3), o dell'edizio-ne Ladvocat dell'Essai sur les révolutions, 0 Léonard di Valéry.Capita anche che alcune note scompaiano da un”edizione aun'altra: nel 1763, Rousseau elimina un gran numero di noteoriginali della Nouvelle Héloise, che non erano piaciute ai let-tori (ma le ristabilisce a mano sulla sua copia personale, e leedizioni moderne le riprendono). Senza contare le eliminazionipostume, malaugurate iniziative di «editori ›› sbrigativi, comequelle di Michelet per la collana Bouquins. Ma capita ancheche coesistano, e il piú delle volte, note di periodi diversi, con0 senza indicazione di data: in Scott, Chateaubriand, Sénan-cour per esempio.

Destinatori, destinatari.

Il quadro dei destinatori possibili della nota è lo stesso diquello dei destinatori della prefazione (cfr. p. 178). Esistononote autoriali assuntive, sicuramente le piú frequenti, talvoltafirmate per maggiore sicurezza con le iniziali dell”autore, comele note H. F. di Tom ]ones, e note autoriali denegative, comequelle della Nouvelle Héloise 0 di Oberman, che prolunganochiaramente la finzione denegativa della prefazione. Allografeautentiche, tutte le note degli editori alle edizioni piú 10 me-no critiche, o le note dei traduttori. Attoriali autentiche, le no-te apportate a una biografia o a uno studio critico da chi ne èl'oggetto, come nel caso di Malraux per il già citato Malrauxpar lui-même. Autoriali fittizie, in Scott, alcune note firmate«Laurence Templeton» in Ivanhoe, o «Jedediah Cleisbotham››per Lammermoor. Allografe fittizie, quelle di «Charles Kim-bote ›› alla poesia di «John Shade ›› in Pale Fire. Attoriali fitti-zie, le note dei personaggi-narratori come Tristram Shandy,o altre, come quelle del capitolo X di Finnegan 's Wake (Dolpha sinistra, Kev a destra, Issy in basso). Non conosco nessunanota apocrifa, ma basterebbero, per riprendere le nostre ipo-tesi relative alla prefazione, le note attribuite a Rimbaud (au-

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toriali apocrife) o a Verlaine (allografe apocrife) per La chassespirituelle, o le note attribuite a Valéry per il Commentaire deCharmes. E talvolta capita che un autore attribuisca per gio-co un apprezzamento in nota al suo editore: è il caso di Ara-gon in Anicet' 0 di Sarduy in Colibri 2.

Dato che il segmento di testo cui si riferisce la nota puòavere esso stesso statuti enunciativi diversi, la combinatoriadelle relazioni possibili è ovviamente molto ricca. Per esem-pio, nota autoriale a testo autoriale (il caso piú frequente nelleopere discorsive); nota autoriale a testo narratoriale (TomJones); nota autoriale a testo attoriale o discorso del personag-gio (Stendhal); nota pseudo-editoriale a testo attoriale (Nou-velle Héloise), nota editoriale a testo autoriale, narratoriale, at-toriale (edizioni critiche); nota attoriale a testo narratoriale(Finnegan 's Wake), senza contare altre situazioni piú rare, olacoesistenza (molto frequente e già considerata) di note attri-buite a diversi destinatori: autore + editore (edizioni critiche),autore fittizio + autore reale (Scott), autore + attore (TristramShandy), molteplici attori (Finnegan's Wake), e altri. Esistonoinfine alcuni casi di note costituite da enunciazioni incastra-te le une nelle altre: è il caso di tutte le note di citazioni (unterzo citato dall'autore), o delle note critiche che riportano,per esempio, un commento autoriale epitestuale (autore citatoda terzi).

Il destinatario della nota è in linea di massima il lettore deltesto, escludendo chiunque altro (per il quale - è ancora piúevidente che nel caso della prefazione - essa rischierebbe ilpiú delle volte di non avere alcun senso). Bisogna però tene-re presente il caso di testi di secondo grado, citati con le loronote nel testo primario, le cui note si rivolgono in primo luogoal lettore del testo citato, e solo di riflesso a quello del testo ci-tante. Potrebbe essere questo lo statuto delle note attoriali inun romanzo epistolare, se l'uso non escludesse, in linea di mas-sima, la pratica di apporre note alla corrispondenza. Nulla im-pedirebbe a un racconto metadiegetico, come L'ambitieux paramour in Albert Savarus, di presentare delle note.

1 Cfr. L. Aragon, Anicet au Le Panorama, Gallimard, Paris 1949.2 Cfr. S. Sarduy, Colibri, Editorial Argos Vergara, Barcelona 1984.

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Bisogna inoltre osservare che, ancora piú della prefazione,le note possono essere - per statuto - di lettura facoltativa edi conseguenza indirizzarsi solo ad alcuni lettori: coloro i qualisaranno interessati a tali considerazioni complementari, 0 di-gressive, il cui carattere accessorio giustifica, per l'appunto,la loro ubicazione in nota. Può succedere, del resto, che l'auto-re, come Rousseau nell'avvertenza al Second Discours, autoriz-zi anticipatamente il suo lettore a trascurare simili excursus 1.Ma di solito è quest'ultimo a prendere l'iniziativa e ad assu-mersi le responsabilità delle sue scelte, caso per caso e a sua di-screzione. E al contrario alcuni altri leggono solo le note, peresempio, e in mancanza di indice, per vedere se sono citati.Ma queste considerazioni sconfinano già nello studio delle fun-zioni.

Funzioni.

Come per la prefazione, al fine di evitare confusioni e im-pertinenze varie, questo studio deve prendere in considerazio-ne un certo numero di tipi funzionali, i cui principali criteriverranno ancora una volta forniti dallo statuto del destinatoree dalle caratteristiche temporali. Considererò dunque rispet-tivamente le note autoriali assuntive, suddivise esse stesse inoriginali, ulteriori e tardive, poi le note allografe (e, accesso-riamente, attoriali), e infine i diversi tipi di note finzionali. Madato il carattere quasi sempre discorsivo della nota e la sua re-lazione intima con il testo, mi sembra necessario introdurrequi una nuova distinzione, che non occorreva nel caso del-la prefazione, tra le note relative a testi che sono essi stessidiscorsivi (storia, saggi, ecc.) e quelle - a dire il vero moltomeno frequenti - che ornano 0 deturpano, come si preferi-sce, le opere di finzione narrativa 0 drammatica, o la poesia li-rica.

1 Per questo motivo stampati alla fine del volume. «Coloro i quali avran-no il coraggio di ricominciare potranno questa seconda volta divertirsi a bat-tere la macchia, e cercare di percorrere le note; poco male se gli altri non leleggeranno affatto». E vero che si tratta spesso di lunghe digressioni di moltepagine, per esempio sulla condizione di bipede (n. 3), sulla bontà naturale del-l'uomo (n. 9) 0 sulla diversità delle razze (n. 10).

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Testi discorsivi, note originali.

E la nota per eccellenza, il tipo base da cui tutte le altre piúo meno derivano 1; è anche quello di cui abbiamo tutti la piúcomune esperienza, di consumo e di produzione, e sul qualenon ho la pretesa di fornire sconvolgenti rivelazioni. L°ho stu-diato su un piccolo corpus arbitrario, piuttosto classico ed es-senzialmente francese, che va da La Bruyère a Roland Barthes.Mi sembra abbastanza rappresentativo e significativo, per lesue costanti e le sue deviazioni, di cui ecco un resoconto il piúsintetico possibile.In nota si trovano dunque le definizioni o spiegazioni dei

termini impiegati nel testo, a volte l'indicazione di un sensospecifico o figurato: in nota alla frase «Tutta la campagna nonè agreste ››, La Bruyère precisa: «Questo termine va qui intesometaforicamente ›› (perché in senso letterale tutta la campagnaè necessariamente agreste). Queste restrizioni di accezionepossono caricarsi di una sfumatura polemica attraverso l'esi-bizione di una certa prudenza: ad ogni occorrenza della paroladevoto 0 devozione, lo stesso La Bruyère precisa ostinatamente:«›Falso devoto ››, «Falsa devozione ››. Traduzioni di citazioniche nel testo appaiono in lingua originale, o il contrario. Ri-ferimenti di citazioni, indicazioni di fonti, produzione di au-torità di supporto, di informazioni e di documenti di conferma0 complementari: la maggior parte delle note di Montesquieu,di Buffon, di Michelet o di Tocqueville svolgono questa fun-zione, e a volte molto a lungo: si veda la nota alla fine del Vo-lume de L'Ancien Regime et la Revolution, diverse pagine suicahiers de doléances. Precisazioni circa fatti evocati nel testoin modo vago 0 sbrigativo - precisazioni che assumono a vol-te valore restrittivo: cosí Chateaubriand, avendo parlato nel-l'Essai sur les révolutions (p. 326 1) dell°«innocenza» di Car-lo I, precisa in nota come questo re fosse per lo meno inno-cente di ciò di cui era accusato. Citazioni di incertezze 0 dicomplessità trascurate nel testo, cioè scrupoli non necessaria-mente interessanti per il lettore ordinario, ma che l'autore tie-

1 Sul piano strutturale, beninteso, e non storico: è altrettanto possibileche le prime note siano state allografe.

2 Ci si riferisce alla già citata edizione Gallimard, Paris 1978.

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ne a far apparire in nota ad uso dei lettori piú colti ed esigenti:è di nuovo il caso dell1Essai, a proposito di diversi punti nel-la cronologia (pp. 57, 180), di Pitagora (p. 177), o del periplodi Hannon (p. 156: questa nota termina con un'indicazionemolto significativa del destinatario: << Poco importa al letto-re ››). Argomenti supplementari o prevenzioni di obiezioni(p. 54, sul Diluvio). Digressioni a proposito, e a volte a spro-posito: sempre nell'Essai, Chateaubriand inserisce, in antici-pazione dei Mémoires, dei ritratti di Chamfort (p. 122), di Ma-lesherbes (p. 329), di Luigi XVI (p. 337), delle considerazionisulle origini del popolo americano (p. 147), delle speculazio-ni sul sanscrito (p. 208), o dei ricordi del suo viaggio in Ame-rica: è a proposito di Abelardo (pp. 3 5 1-55), e, «dato che l1er-rore [della digressione] è stato commesso, mezza pagina in piúnon mi esporrà maggiormente alla critica ›› - segue la famosadescrizione delle cascate del Niagara. Una nota tardiva del1826 recherà questo commento: «Bisogna ammettere che ciòsignifica agganciare sottilmente una nota a una parola» (la stes-sa autocritica potrebbe essere applicata alla curiosa nota delGénie sulla vocale A). Sia nelle note sia nelle prefazioni, Mi-chelet si concede anche lui, qualche volta, degli a parte auto-biografici che contribuiscono notevolmente all'intensità dellasua opera. E il caso di una nota della Sorciêre a proposito diTolone, che si dilunga sull'evocazione di questa città in cuil'autore risiedeva durante la redazione del libro: «Ho parla-to due volte di Tolone. Mai abbastanza. Mi ha reso felice.Non è stato facile finire questa triste storia in questo paese lu-minoso. I nostri lavori riflettono i luoghi in cui furono realiz-zati. La natura lavora per noi. E un dovere rendere grazie aquesto misterioso compagno, ringraziare il genius loci... ›› Sivorrebbe incontrare piú spesso questo tipo di contrappunto ge-netico, di cui De l'amour ci offre un altro genere: osservazionidi amici-lettori reali 0 presunti, «Mi viene consigliato di eli-minare questo dettaglio ›> o «questa parola» (cristallisation), at-tribuzioni fittizie a <<Léonore ››, a «Lisio Visconti», ed altreconfidenze inaspettate, per la verità altrettanto frequenti neltesto, poiché la ripartizione del discorso fra testo e note sem-bra qui fortemente aleatoria 0 capricciosa. Stendhal è indub-biamente, in tutto questo corpus, quello che usa la nota nelmodo piú idiosincratico, portando all'estremo dell'ironia la

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tradizione settecentesca (Bayle, Voltaire, Gibbon) 1 che riser-va alle note le punte piú polemiche o sarcastiche del discorso.E di Stendhal la pratica equivoca della nota << prudente ››, aduso della censura o della polizia 1, a volte attribuita ad un ter-zo fittizio o apocrifo, e la cui prudenza ostentata e un po' iper-bolica avrebbe certamente potuto produrre degli effetti per-versi, attirando' su un testo spesso inoffensivo ciò che Claudel(credo) avrebbe piú tardi definito «lo sguardo pensoso dellapolizia a cavallo ››. L1uso astuto e spesso bizzarro della nota chetroviamo nei suoi romanzi si ricollega, evidentemente, al suogusto maniacale per lo pseudonimo e la criptografia.

Cosa concludere da tutto ciò? di certo che la funzione es-senziale della nota autoriale è in questo contesto di comple-mento, a volte di digressione, molto raramente di commento:nulla, come abbiamo spesso osservato, che non possa tranquil-lamente venire integrato nel testo stesso - e sappiamo, delresto, che un buon numero di autori preferiscono, rifiutandogli atteggiamenti pedanti, astenersi dalle note 0 ridurle a unapparato minimo di riferimenti. Tranquillamente, certo, mavorrei comunque aggiungere, facendo una breve apologia diquesto oggetto: non senza una perdita o un danno. Il dannoevidente, almeno dal punto di vista di un”estetica classicizzan-te del discorso, è che una digressione integrata al testo rischidi costituire un'ernia balorda o generatrice di confusione. Laperdita può consistere nell'eliminazione pura e semplice diquesta digressione, a volte preziosa in se stessa. Ma soprattut-to la perdita essenziale mi sembra essere quella di privarsi, in-sieme alla nota, della possibilità di un secondo livello del di-scorso che a volte contribuisce a dargli risalto. Il principalevantaggio della nota è infatti quello di combinare nel discor-so alcuni effetti locali di sfumatura, di sordina, o come si di-ce ancora in musica, di registro, che contribuiscono a ridurrela sua famosa, e a volte fastidiosa linearità. Registi d'intensità,gradi di obbligatorietà di lettura, eventualmente reversibili espinti al paradosso (l'essenziale in una nota), che fanno ben ca-

1 Sulla pratica di Gibbon, cfr. G. W. Bowersock, The art of the ƒootnote,in «The American Scholar», inverno 1983-84.

1 «Signori della polizia, niente di politico qui. Studio: i vini, l'essere cor-nuti, e le chiese gotiche e romaniche. L`autore ha trent'anni e viaggia per gliaffari del suo commercio; è commerciante di ferro ›› (prima nota del Voyagedans le midi de la France).

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pire perché tanti scrittori, e tra i piú famosi, non abbiano vo-luto privarsene. Se la nota è una malattia del testo, è una ma-lattia che, come qualcun'altra, può « servire ›› a qualche cosa.

Ma dovrebbe essere chiaro che questa giustificazione del-la nota autoriale (originale) è allo stesso tempo, in una certamisura, una contestazione del suo carattere paratestuale. Lanota originale è una deviazione locale o una biforcazione mo-mentanea del testo, e a questo titolo essa gli appartiene qua-si quanto una semplice parentesi. Ci troviamo qui in una fran-gia molto indecisa fra testo e paratesto. Il principio che ci gui-da, di economia e di pertinenza - non attribuire a una nuovacategoria (il paratesto) nulla che non possa senza perdita essereassegnato a una categoria esistente (qui, il testo) -, deve por-tarci all1occorrenza a una decisione negativa: altri tipi di no-te, come vedremo, sono piú pertinenti al paratesto; la nota au-toriale originale, almeno quando si riferisce a un testo essostesso discorsivo col quale si trova in relazione di continuitàe di omogeneità formale, appartiene piú al testo, che essa pro-lunga, ramifica e modula piuttosto che commentarlo.

Ulteriori.

Completamente diverso il caso delle (molto piú rare) noteulteriori e tardive, la cui relazione di continuità con la prefa-zione (della stessa data) che accompagnano è in genere moltomarcata. Potremmo cosí definire la differenza tra i due siste-mi: la prefazione originale presenta e commenta il testo che lenote prolungano e modulano; la prefazione ulteriore o tardi-va commenta globalmente il testo, e le note della stessa dataprolungano ed espongono nei particolari questa prefazionecommentando singoli dettagli del testo; e, attraverso questafunzione di commento, esse rientrano chiaramente in ambitoparatestuale. La funzione di questo commento localizzato è ingenere identica - a parte il punto di applicazione - a quelladelle prefazioni scritte nella stessa occasione: risposta ai cri-tici, ed eventualmente correzione, per quelle ulteriori; auto-critica a lungo termine e messa in prospettiva autobiograficaper le tardive.

Risposta ai critici: è il caso di qualche nota aggiunta daRousseau su un esemplare della prima edizione de1l”Emile, in

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vista di una nuova edizione, e in risposta, a volte molto ner-vosa, agli attacchi di Formey nel suo Anti-Emile del -1763. Eil caso, in modo molto piú massiccio, delle «osservazioni» didettaglio con le quali Chateaubriand accompagna L°Esame deiMartyrs 1 per la terza edizione del 1810. Le critiche riguarda-vano essenzialmente alcuni punti di storia (e di geografia) e,secondariamente, alcune questioni di forma. Dalle seconde,Chateaubriand si difende invocando dei precedenti famosi(Omero, Tasso, Milton) e, a volte, ne prende atto segnalandoalcune correzioni apportate, sottolineando la sua modestia da-vanti alle osservazioni giustificate; alle prime, in genere, ri-sponde punto per punto, mostrando le sue fonti 0 ricordandola sua conoscenza dei luoghi, fatto che attribuisce a un testofortemente accademico una specie di carattere autobiografi-co e di «cose viste» che non manca di ravvivarlo. Le note ul-teriori dell'« esemplare confidenziale» dell1Essai historique, ap-poste immediatamente dopo la pubblicazione del 1797, nonsvolgono la stessa funzione: scritte prima di ogni critica, essecomportano piuttosto modificazioni spontanee e diverse ag-giunte. Piú che di note ulteriori, si tratta, insomma, di corre-zioni in vista di una nuova edizione (una pratica sulla qualetorneremo). Per diverse ragioni- tra cui probabilmente il de-siderio di dissimulare la fedeltà per almeno uno o due anni aquesto testo compromettente 1 - esse non furono integrate al-la riedizione del 1 826. De l'Allemagne presenta inoltre una va-riante interessante: l1edizione originale del 1810 era stata sot-toposta piuttosto pesantemente alla censura imperiale, primadi essere semplicemente proibita e distrutta. Un giro di boz-ze venne salvato, e permise di fare una nuova edizione nel1813 a Londra. Su questa edizione, che ristabiliva le paginecensurate, le note servono essenzialmente a precisare gli attidi censura e a mettere i puntini sulle i nelle pagine rese trop-po allusive da alcune azioni di autocensura preventiva. Que-sta risposta alla censura può equivalere, credo, a un tipo di ri-sposta alla critica.

1 Le cito qui a dispetto della distinzione fra testi discorsivi e testi finzio-nali: operazione giustificata dal fatto che il carattere di ulteriorità eliminaspesso la pertinenza di questa separazione, che se mantenessimo implichereb-be delle suddivisioni inutilmente ingombranti.

1 E, al contrario, per far apparire questa fedeltà che Sainte-Beuve ne pub-blicherà l'essenziale nel 1861 nella sua edizione (Garnier) delle Ošuvres com-plêtes.

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Tardive.

La nota tardiva è, a quanto sembra, un genere piú canonicoe piú produttivo. Può limitarsi ad informazioni biografiche egenetiche, che non devono essere necessariamente prese comeoro colato: è questo pressappoco il caso delle note chiamateI. F., dettate nel 1843 da Wordsworth a Isabelle Fenwick aproposito delle Lyrical Ballads. Ma come per la prefazione, lafunzione principale delle note tardive è un ritorno, per metàcritico, per metà commosso, su se stessi. Ritroveremo qui l'Es-sai sur les révolutions, il cui apparato del 1826 è probabilmenteil modello di questo genere. La severità viene riservata agli er-rori di forma (scorrettezze, anglicismi, oscurità, digressioni),errori di atteggiamento (eccessi di ogni tipo, arroganza e suf-ficienza, familiarità fuori posto, <<Presunzione di ragazzo», mi-santropia di adolescente infelice, esibizione giovanile di variecompetenze), e soprattutto, naturalmente, agli errori di fon-do: sistema assurdo di paragone fra l'antichità e la Francia mo-derna, irreligiosità superficiale nella tradizione di Rousseau edei philosophes, indulgenza eccessiva verso i Giacobini, con-fusione tra libertà e democrazia, incomprensione della supe-riorità politica della monarchia costituzionale. Ma a Chateau-briand piace anche riconoscere nei dettagli la continuità fon-damentale già sottolineata nella sua prefazione: fondo di sim-patia per il cristianesimo, e di liberalismo politico (« una co-stante delle mie opinioni ››) ; e a segnalare qua e là i segni, o lepromesse, di una qualità intellettuale e letteraria (« una cosache scriverò ancora», « Bene: al di fuori del mio sistema ritro-vo la ragione ››), e di competenze precoci (in diritto, in econo-mia) di cui si feliciterà tutta la vita. Per l'essenziale, non si ver-gogna troppo di questo «ammasso di contraddizioni», e questotesto un po' disordinato sarà, da un altro punto di vista, co-me il famoso manoscritto dei Natchez, la «miniera grezza dacui ho ricavato una parte delle idee che ho sparso in altri mieiscritti» (p. 257). In breve, se il bambino è, come sappiamo, ilpadre dell1uomo, reciprocamente l1adulto giudica da padre ilbambino che fu: << E una debolezza tutta paterna che mi ha fat-to, per un attimo, perdonare queste frasi ›› (p. 259).A modo loro famose, le note tardive di Lanson (1909 e

191 2) alla sua Histoire de la littératureƒrançaise (1 894) testimo-

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niano una retrospezione meno complessa: si tratta essenzial-mente, come le definisce la loro Avvertenza, di «note dipen-timento o di conversione», riguardanti l'apprezzamento diquesta o quell1opera. Lanson si giudica quindi, successivamen-te, troppo severo verso l'arte dei trovatori, o delle chansons degeste; «oggi non oserei piú dire ›› che Rabelais non è profon-do; << piú leggo Montaigne››, piú gli rendo giustizia; lo stessoper Montesquieu, per Voltaire (non avere la «testa metafisi-ca›› è diventato una specie di merito), per Hugo, per Zola: al-trettante rivalutazioni che illustrano piuttosto bene lo sposta-mento ideologico che conosciamo, e che solennizza una ricon-ciliazione tipicamente radical-socialista tra Voltaire e Rous-seau. «Non è necessario che la loro guerra venga continuatanelle nostre menti ››: come si dice per la rivoluzione, è venu-to il momento di considerare il XVIII secolo come un << blocco ››.

Non ci si aspetterà da Valéry, nei confronti dei suoi saggigiovanili, un atteggiamento tanto drammaticamente distanzia-to quanto quello di Chateaubriand. Le sue note del 193 1 al-l'Introduction à la métbode de Léonard de Vinci 1 segnano so-prattutto una maturazione e una preoccupazione di chiarire ilpensiero. Valéry non rinnega quasi nulla delle sue intuizionigiovanili, ci tiene perfino a confermare quelle piú provocan-ti, che hanno a loro tempo fatto scandalo (che «l'entusiasmonon è uno stato d1animo dello scrittore ››, che Pascal perdevadel tempo prezioso per il progresso della scienza a cucirsi deipezzi di carta nelle tasche - «Che fine avrebbero fatto gli uo-mini se tutti quelli con una mente del suo valore avessero fattocome lui? ››) Ma vi trova generalmente l1espressione di un'o-scurità fastidiosa, e molto fine secolo. Si sforza dunque di an-notarla con termini piú semplici e trasparenti: «Non avevotrovato la parola, volevo dire... ››, «Voglio dire. .. ››, «Vale a di-re... ››, « Insomma. .. ››, «Ho voluto semplicemente dire. _. ›› L'e-sercizio è esemplare, e tutto sommato piuttosto tipico di un1e-voluzione comune, che porta lo scrittore (ad esempio Borges)dagli inizi astrusi e baroccheggianti a una maturità piú classica,e che vuole essere limpida.

1 Note a margine in facsimile di autografe per la riedizione del Sagittairedell1insieme dei suoi testi su Vinci, che datano rispettivamente al 1895, 1919e, per la lettera-prefazione a Ferrero, al 1929. La composizione che ne dà laPléiade è accessoriamente un buon esempio di note a margine senza sistemadi richiamo.

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Testi di finzione.

Originale, ulteriore o tardiva, l'annotazione autoriale di untesto di finzione o di poesia segna inevitabilmente, per il suocarattere discorsivo, una rottura del regime enunciativo cherende del tutto legittima la sua assegnazione al paratesto 1.Bisogna inoltre precisare che questo tipo di note, decisamentepiú rare delle precedenti, viene il piú delle volte applicato a te-sti la cui finzionalità è molto «impura», caratterizzati da moltiriferimenti storici, o a volte da riflessioni filosofiche: romanzi0 poesie le cui note riguardano, precisamente, per l'essenziale,l'aspetto non finzionale del racconto. E il caso tipico delle Wa-verley Novels; che si tratti delle loro note originali o di quelleaggiunte all'edizione Cadell, esse svolgono sempre un ruolo diconferma, fornendo testimonianze e documenti di prova. Stes-so regime in Han d 'Islande, in Bug-Jargal, in Notre-Dame de Pa-ris, ed altri romanzi storici del XIX secolo (i nostri fanno piúspesso a meno di note, ma si veda, tuttavia, quelle del Roi desaulnes), e perfino già nel XVIII, per le numerosissime e a voltelunghissime note dei Théorêmes di La Céppède, racconto in3 15 sonetti della Passione e della Resurrezione di Cristo, ov-viamente basato sul testo evangelico, e che aggiunge al siste-ma di riferimenti « storici ›› uno scrupoloso apparato di com-menti teologici, paragonabili alle parafrasi dottrinali delle poe-sie mistiche di Giovanni della Croce: per esempio, al sonet-to XXXVII, una spiegazione in venticinque pagine della pa-rola agonia. Piú discreta, l1annotazione di The Waste Land ri-guarda essenzialmente le fonti libresche (dalla Bibbia a Wag-ner passando attraverso The Golden Bough e il libro di JessieWeston, From Ritual to Romance) di questa poesia a suo modo« storica ›› (storia del re pescatore) e infarcita di allusioni e pre-stiti diversi, che Eliot preferiva certamente esibire lui stesso,piuttosto che vederseli rimproverare dalla critica. Piú difficil-mente troviamo note autoriali a testi di poesia « pura», senzariferimenti o sfondo storico. Quelle di Coleridge all'Ancient

1 Non terrò qui conto del caso delle note assegnate, come spesso in Bor-ges (Tlön, Menard, Babel), a testi di finzione presentati sotto forma di saggio 0resoconto critico, il cui regime, a parte la finzionalità, è lo stesso delle note«ordinarie ››.

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Mariner, relativamente tardive (1817) e introdotte a quantopare per chiarire un proposito narrativo che Wordsworth ave-va giudicato confuso, non sono veramente delle note, ma piut-tosto delle specie di intertitoli in margine che annunciano gliepisodi seguenti del racconto. Quelle di Saint-John Perse perl'edizione Pléiade delle sue opere sono chiaramente tardive e(un po' come le note I. F. di Wordsworth) piú documentarieche interpretative: circostanze di redazione, riferimenti, com-menti allografi riferiti, estratti di lettere 1.

` Non conosco esempi di note autoriali nel teatro. Il celebre«E uno scellerato che parla ›› di Tartufle si presenta sotto tuttigli aspetti come un'indicazione scenica, e non vedo alcuna ra-gione per mettere questa categoria a credito del paratesto: iltesto drammatico è composto regolarmente da due registri: il«dialogo ››, recitato sulla scena dagli attori, e le indicazioni sce-niche, o didascalie, eseguite (piú o meno fedelmente) dagli at-tori e dal regista, che appaiono letteralmente solo alla lettura.La « nota ›› di Tartuffe, che consiste chiaramente in un com-mento, viene anch1essa data, tra parentesi tra due versi, comeun'indicazione di recitazione: dica questa tirata in modo cheil pubblico capisca bene che è uno scellerato che parla, e nonl1uomo onesto e devoto ch'egli pretende essere 1.

Cito questa che non è una nota perché è servita da modelloformale a quelle di Stendhal in uno dei suoi romanzi; si trat-ta di note che hanno essenzialmente lo scopo di riscattare l'au-tore, ironicamente o meno, dalla condotta e dalle opinioni deisuoi personaggi: <<E un infelice che parla ››, «un giacobino ›› (Ju-lien), «un personaggio appassionato›› (Fabrice), «un repubbli-cano ››, «un giacobino ››, «un vanesio ›› (a margine di Leuwen),«Si correggerà›› (Octave). Altre note sono piú di tipo storico,

1 In questo esempio finora unico (e che speriamo non abbia seguito, poi-ché rischia di impedire, attraverso le sue censure e le sue scelte arbitrarie, unavera e propria edizione critica), le note sono redatte alla terza persona(pseudo-allografe) e attribuite (p. XLIII) all1autore.

1 Sulla questione troppo raramente affrontata delle indicazioni sceniche,si veda M. Issacharoff, Texte théâtral et didascalecture, in Le spectacle du dis-cours, Corti, Paris 1985. Ma ci manca un'indagine sulle indicazioni scenicheorali date dagliautori durante le prove, e che devono pur essere annotate daqualche parte. E noto per esempio che Beckett non fornisce mai delle motiva-zioni psicologiche; e che un giorno sgridò un attore che indicava il cielo pro-nunciando il nome Godot.

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dato che nessun romanzo di Stendhal è di «pura finzione» -e una nota del Rouge a proposito di una parola di M. de Rê-nal precisa perfino esplicitamente: « Storico ». Altre infine,molto personali e generalmente criptiche, si trovano là comefossero stampate per sbaglio 1, non pretendo che questa sia laloro spiegazione, ma si tratta almeno del loro regime.

La nozione di «pura finzione ››, che utilizzo vigliaccamentetra virgolette, non ha molto senso e attende un chiarimento dicui non è questo il luogo. Diciamo piú semplicemente che il ri-ferimento storico e geografico 1 è piú o meno presente a se-conda dei romanzi, e che, tra Ivanhoe e, per esempio, La porteétroite, o Molloy, Le Rouge et le Noir, Le Père Goriot o MadameBovary si situano in una zona intermediaria. Piú un romanzosi distacca dal suo sfondo storico, piú la nota autoriale puòsembrare strana o trasgressiva, un colpo di pistola referenzialenel concerto finzionale. Le note di Fielding a Tom Jones, peresempio, appaiono giustificate quando portano dei chiarimentistorici o filologici, dei riferimenti o delle traduzioni di citazio-ni nel testo. Esse sorprendono di piú quando introducono -digressioni paragonabili a quelle dei capitoli marginali di ognilibro - un'opinione dell1autore a proposito di un determina-to elemento di costume, e ancora di piú, quando rivelano qual-che incertezza a proposito del pensiero di un personaggio(« Sofia voleva forse dire. ._ ››); un'incertezza contraria al regimeonnisciente stabilito dal racconto, 0 forse all'identità di mas-sima tra autore e narratore, e che suggerisce che il primo, re-sponsabile della nota, ne sa meno del secondo, responsabile delracconto. Una dissociazione opposta è quella che viene intro-dotta da una nota di Watt in cui l1autore sembra correggere unnarratore dal quale nulla l'aveva fino a questo momento distin-to: «Queste cifre sono sbagliate. I calcoli che seguono sonodunque doppiamente erronei››. Una simile precisazione in Isa-belle (« Gérard sbaglia: il Phenicopterus antiquorum non ha il

1 Cfr. il mio Stendhal, in Figures II, Seuil, Paris 1969, p. 170 (trad. it. Ei-naudi, Torino 1985, pp. 33 sgg.); si veda anche C. W. Thompson, Expressionet conventions typographiques: les notes en bas de page chez Stendhal, in La créa-tion romanesque chez Stendhal, Droz, Paris 1985.

1 O tecnico: vedi le trentaquattro note, quasi tutte di ordine medico, diJohn Irving a Cider-House Rules; 0 teorico: nel Beso de la nuier araria, ManuelPuig introduce una mezza dozzina di note sulle diverse spiegazioni dell'omo-sessualità.

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becco a spatola ››) non produce assolutamente questo effettodi metalessi, poiché « Gérard ›› è un narratore intradiegetico,immediatamente distinto dal narratore-autore extradiegetico,responsabile della nota, come quando Sterne contraddice ocorregge Tristram Shandy.

Brevemente, dunque, in tutte queste note autoriali nellafinzione, un'immensa maggioranza di complementi documen-tari, e pochissimo commento autoriale. Si potrebbe immagi-nare un regime piú emancipato, in cui la nota non facesse piúparte di questo tipo di discorso, ma essa stessa, e per contosuo, di un tipo narrativo, assumendo una qualche biforcazionedel racconto. Valéry ci darà senza volerlo la formula possibi-le, lamentandosi in questi termini della linearità troppo serviledei racconti di finzione: << Sarebbe forse interessante una voltascrivere un'opera che mostri a ciascuno dei suoi nodi i diversisviluppi che possono venire in mente, e dei quali viene sceltoquello unico che verrà dato dal testo. Significherebbe sostitui-re all'illusione di una determinazione unica e imitatrice delreale quella del possibile in ogni istante, che mi sembra piú ve-ra ›› 1. Non conosco alcun esempio di questa utilizzazionepossibile 1. La lunga nota di Echange già segnalata vi farebbeun po' pensare, cosí come molte altre in Renaud Camus, masi tratta piuttosto di una biforcazione definitiva, di un testougualmente e simmetricamente bifido a partire dalla pagina173, e che eccede un poco lo statuto localizzato che è ordina-riamente quello della nota (lo stesso vale per il «Giornale dibordo» disposto sulle pagine in basso di Parages, che non è,malgrado la sua posizione, una nota locale, ma un annesso al-l1insieme del testo). E, soprattutto, il testo di Camus è essostesso troppo poco puramente narrativo, un miscuglio, piut-tosto, di racconto e di saggio, per soddisfare la nostra ipote-si. Ciò che la soddisferebbe meglio sarebbero di nuovo gliavantesti di un Flaubert 0 di un Proust, in cui vediamo, quae là, il racconto impegnarsi in una direzione, poi rinunciarvi,e tornare al punto di biforcazione. Simili effetti, naturalmen-te, sono degli artefatti di riesumazione genetica, ma nulla im-

1 P. Valéry, (Euvres, I. Album de vers anciens, Gallimard, Paris 1957, p.1467.

1 Circa i diversi aspetti devianti o ludici della nota in Perec, vedi V. Co-lonna, Fausses notes, in Cahiers Georges Perec, I, Pol, Paris 1985.

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pedisce di aspettare che essi si ripercuotano, in un modo 0 inun altro, sulle pratiche future. Resta il fatto, in via del tuttoipotetica, che questo tipo di utilizzazione della nota appartiene

1piú alla gestione del testo che all'imposizione del paratesto .

Allografe.

La nota allografa è quasi inevitabilmente una nota editoria-le, perché l1aggiunta di note eccede di molto quello che un au-tore può aspettarsi (e desiderare) dalla compiacenza di un sem-plice terzo - che non va mai al di là di una prefazione. Laproduzione di un apparato di note allografe è, per la verità, in-sieme all'edizione del testo, ciò che definisce la funzione edi-toriale - nel senso critico del termine (non ci si lamenteràmai abbastanza della confusione tra le due accezioni (editor-publisher) che la parola editore implica, ma si troveranno sem-pre degli accademici analfabeti pronti a sostenere che la linguaè perfetta, e che non va toccata).

Per il fatto stesso della sua allografia, la nota editoriale citrascina su un'altra frangia di paratesto, poiché consiste in uncommento esteriore, il piú delle volte postumo, che non im-plica minimamente la responsabilità dell1autore. Vi sono pe-rò delle sfumature, dato che la voga delle edizioni erudite harecentemente prodotto, per esempio, delle «Pléiade ›› antumee, in quanto tali, edite con l'aiuto (e dunque, in un certo mo-do, con il controllo) dell1autore pleiadizzato. E il caso di Ju-lien Green che ha partecipato al lavoro di Jacques Petit «concostante e simpatica attenzione. Mi ha permesso di consultarei suoi manoscritti e mi ha fornito tanti dettagli e precisazioniche hanno arricchito questo lavoro ›› (nota dell1Introduzione).Troviamo inoltre una simile collaborazione almeno nelle primeedizioni di Giono, nella preparazione di quella di Sartre, e for-se anche in quella di Char: tutte le gradazioni possibili, dun-

1 Apprendiamo da una lettera a L. Robert, del luglio del 1913, che Proustaveva fugacemente pensato di relegare in nota quelle'che considerava delle«lungaggini» del suo testo: «Mi dica in una riga se la mia idea di mettere certelungaggini in nota (cosa che accorcerebbe il volume) è una cattiva idea (io credoche lo sia) ›› (Correspondance, XII. 1913, Plon, Paris 1984). Una tale operazio-ne avrebbe prodotto un testo a due registri narrativi, a meno che le «lungag-gini›› in questione non fossero esse stesse dei passaggi di ordine discorsivo.

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que, tra l'edizione postuma rigorosamente allografa e l'auto-pleiadizzazione alla Saint-John Perse, e dunque tra un appa-rato di note che consiste in un semplice commento critico estorico iscritto nel peritesto e un paratesto propriamente au-toriale.

Non appesantirò indebitamente questo capitolo con una«teoria» della nota editoriale, dopo aver appena affermato, inlinea di massima, che essa sfugge alla definizione del parate-sto. Voglio solo ricordare che questa pratica risale al medioevo,e che la posterità ne ha ritenuto almeno un monumento piúche rispettabile: il Commentaire de Corneille di Voltaire, chesi istituí editore di quest'opera per collaborare << alla felice si-stemazione della discendente di questo grand'uomo ›> 1. Sitratta, tipicamente, di note con un commento apprezzativo:Voltaire sottolinea le cose piú riuscite, indica le costruzioni ob-solete, critica gli spropositi, le inverosimiglianze, le inconse-guenze, i collegamenti sbagliati tra le scene, le scene senzaazione, la molteplicità d1azione (come in Horace), gli errori dilingua e di stile. Si tratta di una testimonianza molto rappre-sentativa del gusto e della dottrina drammaturgica del classi-cismo, il cui principale rimprovero, spogliato dalle meschineriealla d'Aubignac - riguarda la «freddezza» di certe invenzio-ni barocche. Voltaire si esprime qui come il Boileau che cen-sura Saint-Amant: «Corneille suppone sempre negli esami del-le sue opere, da Théodore e Pertharite, qualche piccolo erroreche ha nuociuto alle sue opere; e dimentica sempre che il fred-do, che è il maggiore difetto, è ciò che le uccide ›> (a proposi-to di Don Sanche d'Aragon), e inoltre, a proposito di Nicomêde,questa osservazione che cade a pallino sull'estetica di Cor-neille: «L'ammirazione non commuove l'anima, non la turbaassolutamente. Di tutti i sentimenti è quello che si raffreddaprima ››.

Ho insistito su questo commento perché rappresenta ancheun tipo di annotazione oggi piú o meno abbandonato nelle edi-zioni critiche, e sostituito da un tipo molto piú oggettivo,idealmente sbarazzato da qualsiasi valutazione, e limitato aduna funzione di chiarimento (enciclopedica e linguistica) e in-

1 Commento aumentato nel 1774. Riguarda l1insieme del teatro a comin-ciare da Médée, i discorsi, e a volte gli esami ele dediche. La «discendente» diCorneille adottata da Voltaire era di fatto una parente piú lontana.

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formativa: sulla storia e l'edizione del testo, con la produzionedi avantesti e di varianti, sulle fonti, e - tramite la citazionedell1epitesto privato - sulle valutazioni o interpretazioni del-l1autore. Il dosaggio di queste diverse funzioni varia, natural-mente, non solo a seconda delle epoche (alcuni Classici dell'e-dizione Garnier dell1inizio del secolo davano molto rilievo al-l1apprezzamento stilistico, psicologico o moralizzante), ma an-che a seconda del pubblico previsto, e quindi dei tipi di collane(piú elaborate nelle edizioni scolastiche, piú sobrie in quelleerudite), secondo i tipi di testi (Balzac si presta piú al commen-to storico, Proust alle informazioni genetiche) - naturalmen-te secondo le preferenze dell1editore: alcune recenti Pléiade ac-cordano ancora (o di nuovo) molto all'interpretazione, psica-nalitica o altro. Ma la tendenza principale porta ad un arric-chimento spettacolare dell1aspetto genetico: la maggior partepossibile di avantesti risponde alla crescente curiosità del pub-blico coltivato per la << fabbrica ›› del testo e per la riesumazionedelle versioni abbandonate dall'autore. L'edizione critica con-tribuisce cosí, paradossalmente, e su questo tornerò, a confon-dere la nozione di testo.

Attoriali.

La nota attoriale (autentica) è evidentemente una varietàdella nota allografa, ma una varietà molto particolare, poiché,pur non comportando alcun carattere autoriale nel vero sen-so della parola, ma solo indirettamente, essendo stata general-mente sollecitata in linea di principio e accettata dall'autore,essa riveste un tipo di autorità piuttosto sconcertante: quel-la non dell'autore ma del suo oggetto, che è spesso esso stes-so un autore. Gli esempi non sono molto numerosi 1, ma lequarantacinque note aggiunte da Malraux allo studio di Gaé-tan Picon, Malraux par lui-même, illustrano il genere in modoeclatante, anche se, il piú delle volte, queste osservazioni nonhanno un rapporto molto stretto con il testo di Picon, Quandogli capita di sottolineare il suo accordo o il suo disaccordo, e

1 Da segnalare la nota di Matisse per Henri Matisse, roman, e quelle diAragon stesso per lo studio di D. Bougnoux su Blanche et l1Oubli, Hachette,Paris 1973.

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piú in generale quando si esprime, a proposito di Balzac, diDickens, di Dostoevskij, a proposito della sua estetica del ro-manzesco, Malraux fornisce allo studio di Picon un commentoche appartiene, se vogliamo, al semplice metatesto (allografo,poiché Malraux non è Picon), ma un metatesto molto intimi-datorio, poiché è di Malraux che si tratta: un punto di vista lacui autorità è certamente facile da ricusare (ci si ricorderà co-me Valéry, in una simile occasione, facesse a meno di ricorrer-vi), ma difficile da ignorare. Si tratta qui di una specie di istan-za paratestuale «non raggirabile ››, interna e come en abyme.E d1altra parte, naturalmente, queste osservazioni apparten-gono pienamente al paratesto, non piú di Picon, ma proprio aquello di Malraux. Questo studio che lo riguarda e lo interroganon senza risposta finisce dunque per funzionare come una«conversazione ›› di Malraux con Picon.

Finzionali.

Con questo termine intendo, lo ricordo, non le note auten-tiche serie che possono accompagnare un'opera di finzione, ma- a proposito di un testo finzionale o meno - le note il cui de-stinatore stesso è in qualche modo finzionale: denegativo, fit-tizio o apocrifo.

La nota autoriale denegativa, o pseudo-editoriale, è un ge-nere del tutto classico, particolarmente ben illustrato, dallaNouvelle Héloise alla Nausée, nei romanzi epistolari o in for-ma di diario. Come nelle prefazioni dello stesso tipo, l'auto-re si presenta qui come editore, responsabile nei dettagli del-l'edizione e della regia del testo di cui finge di essere stato in-caricato. Rousseau, Laclos, Sénancour, Bernanos, Sartre e altriindicano per esempio le presunte lacune 1, le eliminazioni o lerestituzioni che essi si assumono, chiariscono le allusioni, for-niscono i riferimenti delle citazioni, assicurano tramite riman-di e annunci la percezione della coerenza del testo, con un at-teggiamento che è chiaramente una simulazione del commento

1 Capita a Rousseau, forte del carattere apertamente finzionale del suoruolo di editore, di giocare senza vergogna con questo tipo di funzione: «Sivede che qui mancano molte lettere intermedie, come in molti altri punti. Illettore penserà che sia comodo cavarsela con simili omissioni, ed io sono com-pletamente del suo parere ›› (Lettera V, 6).

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allografo. Chi spinge piú a fondo quest'attività di commentoè sicuramente Rousseau, sia per la quantità (piú di centocin-quanta note) sia per l1intensità, interpretando ed apprezzan-do senza ritegno il comportamento, i sentimenti, le opinionie lo stile dei suoi personaggi, dicendo quello che pensa sul pae-se, la lingua, i costumi, la religione, ecc. La nota diventa quiil luogo e il mezzo di ciò che altrove sarà il discorso autorial-narratoriale, reso impossibile dalla forma epistolare, a menoche uno degli eroi non diventi il suo portavoce, cosa da cui eglisi astiene piú di quanto non si creda. Luogo e mezzo, dunque,delle «intrusioni d'autore >›. Stendhal se ne ricorderà, ma senzapretesto editoriale.

La nota autoriale fittizia, nel modo in cui viene praticata daWalter Scott dietro la copertura dei suoi autori fittizi, nonpresenta alcuna particolarità funzionale, dato che l'autore na-scosto si accontenta di attribuire ai suoi prestanome, Cleis-botham e Templeton, un apparato documentario esattamentesimile a quello che altrove assume in quanto << autore di Wa-verley ››. L'allografa fittizia è piú interessante, ma a dire il veroessa ci riporta, a parte l°identità dell1enunciatore, alla funzionepseudo-editoriale denegativa. Nelle Bêtises, ad esempio, l'ap-parato di note (cosí come l1insieme di prefazioni e postfazio-ni) che accompagna i testi dell1autore fittizio anonimo è attri-buito ad un certo A. B. che si distingue cosí da Jacques Lau-rent, ma che assume le stesse funzioni di Rousseau in Hé-loise 0 Sénancour in Oberman, e che dunque anche Laurentpotrebbe altrettanto bene assumere in questo libro. Vi sarebbein un certo senso un maggiore investimento in una simulazioneapertamente satirica come quelle prodotte da Reboux e Mullernel loro pastiche di Racine (Cléopastre), testo apocrifo accom-pagnato da allografe fittizie dovute alla penna di «M. Libel-lule, professore della terza classe al liceo di Romorantin›>. Sitratta di un gustoso attacco all'annotazione scolastica che sipraticava ancora, o già, alla fine del secolo. Non sarò cosí im-prudente da insistervi oltre, dato che siamo tutti un po' piú li-bellule di quanto non vorremmo. Preferisco dunque ricorda-re un altro attacco di questo battaglione, non meno sarcasti-co, ma di qualità letteraria certamente piú considerevole: è ilcommento, nella nota di Pale Fire, alla poesia di John Shade,scritto dal suo invadente collega e vicino Charles Kimbote.Questo commento, come sappiamo, fornisce l'essenziale di ciò

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che, malgrado i suoi dinieghi, finisce per costituire una speciedi romanzo. «Non ho assolutamente il desiderio, - dice Kim-bote, - di deformare e ammaccare un apparatus critico senzaambiguità in un mostruoso simulacro di romanzo ». Natural-mente si tratta, di fatto, di un romanzo in forma di mostruososimulacro, 0 crudele caricatura, di apparatus critico. Non es-sendo riuscito ad imporre aJohn Shade la sua storia, reale omitica, come soggetto di poesia, Kimbote, impossessatosi dopola sua morte del manoscritto, decide, a metà sincero, a metàfalsario, di imporgli un commento che riconduce la maggiorparte possibile di dettagli a se stesso, alla sua patria, al suo de-stino, fino a fare di Pale Fire una specie di racconto indiretto,allusivo o criptico delle proprie avventure. Perfetto esempiodi come raggirare il testo, questo apparatus è anche un1esem-plate messa in scena di tutto ciò che c'è di abusivo e di para-noico in ogni commento interpretativo, dovuto all1infinita do-cilità di ogni testo a qualsiasi ermeneutica, per quanto senzascrupoli: non sono certo che, da allora, alcune realtà non ab-biano superato questa finzione.

Ho poco da dire sulle note attoriali fittizie, in genere attri-buite a un personaggio narratore, come le due o tre note in Tris-tram Shandy (a proposito di suo padre), che dànno semplice-mente a questo narratore una funzione autoriale del tutto ve-rosimile - se non interferissero con quelle che dal canto suoassume Laurence Sterne. Piú fortemente finzionali, le note at-tribuite a un personaggio non narratore, come quelle che po-trebbero firmare con le loro iniziali unJulien Sorel o una Em-ma Bovary per dire quello che pensano del testo di Stendhalo di Flaubert: note che devono ancora essere scritte. Quelledel capitolo X di Finnegan's Wake sono in apparenza di questotipo, ma è un testo troppo impenetrabile perché mi cimenti nelcommento del suo paratesto. Si tratta poi proprio di parate-sto? Qui, di nuovo, la simulazione della nota fa apertamenteparte della finzione - e dunque, indirettamente, del testo 1.

1 Tra le curiosità offerte da una certa patologia, volontaria 0 meno, dellanota, mi viene segnalato Mulligan Stew di Gilbert Sorrentino, in un capitolodel quale appare una sorprendente assenza di rapporto fra note e testo. Capi-ta anche che un errore di stampa sfalsi sistematicamente tutto un apparato dinote. Al lettore, in tutte queste situazioni, il compito di dare un senso al caso.

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Come abbiamo visto, dunque, la nota è un elemento piut-tosto elusivo e sfuggente del paratesto. Alcuni tipi di nota, co-me l1autoriale ulteriore o tardiva, svolgono una funzione pa-ratestuale, di commento difensivo o autocritico. Altre, comele note originali a testi discorsivi, costituiscono piuttosto dellemodulazioni del testo, non piú distinte da esso di quanto nonlo sarebbero se si trattasse di frasi tra parentesi o trattini. Lenote finzionali, dietro l'apparenza di una simulazione piú omeno satirica del paratesto, contribuiscono alla finzione del te-sto, quando non la costituiscano completamente, come quelledi Pale Fire. Quanto alle note allografe, esse sfuggono dall'altrolato: non piú del testo, ma del metatesto critico, di cui, comeho detto, non sono altro che una specie di annesso peritestua-le, eventualmente sempre riconvertibile in un commento au-tonomo: è il caso delle note di Voltaire su Corneille, oggi se-parate dal loro testo e il cui statuto non è piú distinto dalle os-servazioni su Pascal della XXV Lettera filosofica - che ov-viamente non sono mai state delle note ad un'edizione dei Pen-sées.

Questa situazione, bisogna precisarlo, non ha piú nulla diparadossale, e ancor meno di imbarazzante: se il paratesto èuna frangia spesso indecisa fra testo e fuori-testo, la nota, chea seconda dei casi fa parte dell'uno o dell1altro o di tutti e due,illustra perfettamente questa indecisione e questa labilità. Ma,soprattutto, non si deve dimenticare che la nozione stessa diparatesto, come molte altre, dipende piú da una decisione dimetodo che da una constatazione di fatto. «Il paratesto ›› inrealtà non esiste, _si sceglie piuttosto di rendere conto in questitermini di un certo numero di pratiche o di effetti, per ragio-nidi metodo e di efficacia, o, se si preferisce, di convenienza.La questione non è dunque di sapere se la nota «appartiene»o meno al paratesto, ma se vi sia o meno un vantaggio e se siapertinente considerarla come tale. La risposta è molto chiara-mente, come spesso accade, che dipende dai casi, o piuttosto- grande progresso nella descrizione razionale dei fatti- chedipende dai tipi di nota. Forse questa conclusione giustificheràcon l'uso (tramite l'uso) una tipologia a prima vista ingom-brante.

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L'epitesto pubblico

Definizioni.

Il criterio distintivo dell1epitesto rispetto al peritesto - va-le a dire, secondo le nostre convenzioni, a tuttp il resto del pa-ratesto - è un principio puramente spaziale. E epitesto qual-siasi elemento paratestuale che non si trovi annesso al testonello stesso volume, ma che circoli in qualche modo in liber-tà, in uno spazio fisico e sociale virtualmente illimitato. Il luo-go dell1epitesto è dunque anywhere out of the book, ovunqueal di fuori del libro - senza che ciò pregiudichi, naturalmen-te, un suo ulteriore inserimento nel peritesto, sempre possibilee del quale troveremo vari esempi: come le interviste originaliannesse alle edizioni dotte postume, o gli innumerevoli estrattidi corrispondenza o di diario intimo citati nelle loro note cri-tiche. Questa definizione puramente spaziale non è, comun-que, priva di ripercussioni pragmatiche e funzionali. Quandoun autore, come Proust per Du côte' de chez Swann, sceglie dipresentare la sua opera - in questo caso il suo inizio d1opera -attraverso un1intervista piuttosto che una~.prefazione, una si-mile scelta ha sicuramente una sua ragione, e in ogni caso in-duce effetti come i seguenti: raggiungere un pubblico piú vastodi quello dei primi lettori, ma, anche, rivolgergli un messag-gio costitutivamente piú effimero, destinato a scomparire unavolta adempiuta la sua funzione monitoria; una prefazione in-vece resterà legata al testo almeno fino alla sua eliminazioneal momento di un1eventuale seconda edizione. Proust scegliequindi la via dell1intervista sul giornale per ottenere un effettodi avvertenza temporaneo paragonabile a quello delle prefa-zioni provvisorie di Balzac; paragonabile, ma non identico; sipotrebbero pesare nei dettagli i vantaggi e gli inconvenientifunzionali di tale scelta, come è plausibile (ma non attestato)che abbia fatto Proust stesso.

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Ovunque al di fuori del libro può per esempio significare ingiornali e riviste, programmi alla radio o alla televisione, con-ferenze e colloqui, qualunque prestazione pubblica eventual-mente conservata sotto forma di registrazioni o di raccolte ditesti stampati: interviste e conversazioni raccolte per autore(Barthes: Le grain de la voix) 0 per mediatore (Raymond Bel-lour, Le livre des autres), atti di colloqui, raccolte di autocom-menti (Tournier: Le vent Paraclet). Può inoltre consistere nelletestimonianze contenute nella corrispondenza o nel diario diun autore, eventualmente destinate a una pubblicazione ulte-riore, antuma o postuma.

Anche le occasioni temporali dell'epitesto sono diverse daquelle del peritesto: anteriore (testimonianze private o pubbli-che sui progetti di un autore e la genesi della sua opera), ori-ginale (interviste accordate al momento della pubblicazione dellibro, conferenze, dediche), ulteriore 0 tardivo (conversazioni,colloqui, autocommenti spontanei e autonomi di ogni tipo). Ildestinatore è il piú delle volte l'autore, assecondato o meno dauno o da diversi interlocutori, per il tramite o meno di un me-diatore. Ma può anche trattarsi dell1editore, 0 di qualche al-tra persona autorizzata, come nel caso dei resoconti piú o meno«ispirati ›› - che possono al massimo arrivare all'apocrifopseudo-allografo. Il destinatario è caratterizzato dal fatto dinon essere mai semplicemente il lettore (del testo), ma una sor-ta di pubblico, che può eventualmente non coincidere collet-tore: pubblico di un giornale 0 di un medium, uditorio di unaconferenza, partecipanti di un convegno, destinatario (indivi-duale o multiplo) di una lettera o di una confidenza orale, e ad-dirittura - nel caso di un diario intimo - l'autore stesso.

Queste diverse caratteristiche temporali e pragmatiche cioffrono, come nel caso del peritesto, un principio di tipologiafunzionale. Distinguerò essenzialmente gli epitesti editoriale,allografo ujficioso, autoriale pubblico e autoriale privato, senzaescludere qualche distinzione piú sottile che apparirà in segui-to. Ma prima di andare oltre, tre osservazioni preliminari. Laprima è che contrariamente al regime piú o meno costante delperitesto, che è costitutivamente ed esclusivamente legato allasua funzione paratestuale di presentazione e di commento deltesto, l'epitesto consiste invece in un insieme di discorsi la cuifunzione non è sempre essenzialmente paratestuale: molteconversazioni spesso riguardano non tanto l'opera dell°auto-

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L'EP1'rEsTo PUBBLICO 339

re, ma la sua vita, le sue origini, le sue abitudini, i suoi incontrie frequentazioni (per esempio, con altri autori), o addiritturaqualcosa del tutto diverso ed esterno esplicitamente stabilitocome argomento di conversazione: la situazione politica, lamusica, i soldi, lo sport, le donne, i gatti o i cani; e la corri-spondenza 0 il diario di uno scrittore sono a volte molto avaridi commenti sulla propria opera. Dobbiamo dunque conside-rare queste pratiche come dei luoghi suscettibili di fornirci del-le briciole (d1interesse qualche volta capitale) di paratesto, chespesso bisogna cercare con la lente 0 pescare con la lenza: qui,di nuovo, effetto (piú che funzione) di paratesto. La secondaosservazione, di accento contrario, è che l'epitesto è un insie-me la cui funzione paratestuale non ha limiti precisi; in essa ilcommento dell'opera si diffonde indefinitamente in un discor-so biografico, critico o altro, in cui il rapporto con l1opera èspesso indiretto e al limite indistinguibile. Tutto quello cheuno scrittore dice o scrive sulla sua vita, il mondo che lo cir-conda, l1opera altrui, può avere una pertinenza paratestuale- compresa dunque la sua opera critica (quella di un Baude-laire, di un James, di un Proust, per esempio), e compreso ilsuo paratesto allografo: avant-dire al Traité du verbe 0 prefazio-ne a Tendres Stocks, come abbiamo già visto. Se lo studio dellanota ci ha fatto sentire l1assenza di frontiere interne al para-testo, quello dell1epitesto ci confronta con la sua assenza dili-miti esterni: frangia della frangia, l1epitesto si perde progres-sivamente, tra l'altro, nella totalità del discorso autoriale. L1u-so che ne faremo sarà inevitabilmente piú restrittivo, e in uncerto modo piú timido, ma conviene tenere in mente questapossibilità di diffusione indefinita. Ultima precauzione: se ab-biamo avuto modo, in diverse occasioni, di osservare la rela-tiva negligenza da parte dell'opinione letteraria, compresi glispecialisti, per quanto riguarda il peritesto, la stessa cosa nonpuò essere detta per l1epitesto, che da molto tempo viene lar-gamente utilizzato dalla critica e dalla storia letteraria per com-mentare le opere - cosí come testimonia per esempio il ricor-so sistematico alla corrispondenza nelle note genetiche delleedizioni dotte. In questo senso, lo studio che segue percorreràdei sentieri piú battuti di quelli precedenti. Ragione forse percondurlo piú speditamente.

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L 'epitesto editoriale.

Non insisterò sull'epitesto editoriale, la cui funzione essen-zialmente pubblicitaria e «promozionale ›› non implica semprein modo molto significativo la responsabilità dell1autore, chesi limita il piú delle volte a chiudere ufficialmente gli occhi sualcune iperboli valorizzanti legate alla necessità del commer-cio. Si tratta qui dei manifesti o inserzioni pubblicitarie, comu-nicati ed altri opuscoli, come quello del 1842 per la Comédiehumaine 1, uno degli antenati del nostro priêre d1insérer, deibollettini periodici destinati ai librai, e dei «dossier promozio-nali» ad uso dei rappresentanti. L°era dei mass media sicura-mente porterà allo sfruttamento di altri mezzi e già si sono po-tute ascoltare e vedere alcune pubblicità radiofoniche o videodell1editore. Può capitare che un autore partecipi a questo tipodi produzioni, e di certo in proporzione alla sua professiona-lità e alla sua abilità: un Balzac, un Hugo, un Zola, per fare de-gli esempi passati. Malo fa anonimamente e in qualità, se vo-gliamo paradossale, di ausiliare di edizione, redigendo dei testiche sicuramente si rifiuterebbe di riconoscere come propri, eche esprimono piú la sua idea di come deve essere il discorsoeditoriale che non il suo proprio pensiero. Il consenso fra au-tore ed editore è dunque qui ancora di norma, ma la storia ciha tramandato qualche traccia eccezionale di disaccordo. Co-me nel caso in cui, visto che l'editore belga Lacroix credettedi dover definire, in un comunicato inserito in «Le Temps ››,Les travailleurs de la mer come «l1opera piú incontestata di Vic-tor Hugo ››, quest1ultimo, le cui relazioni con gli editori sonosempre state caratterizzate dal rigore piú permaloso, credet-te di dover protestare contro un superlativo che consideravainopportuno. Lettera del 27 gennaio 1869 al socio di Lacroix,Verboekhoven: « Siate cosí gentile da dire da parte mia al si-gnor Lacroix, dal quale proviene sicuramente questa intelli-gente pubblicità, che in Francia non si usa che un editore con-stati lui stesso se l'autore pubblicato da lui sia piú o meno con-testato. Ditegli che pagare per una cosa simile è piú che in-genuo ››.

1 H. de Balzac, La Comédie humaine, I, Gallimard, Paris 1976, p. 1109.

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L°EPITESTO PUBBLICO 2, 4 I

L'allografo ufficioso.

In materia di epitesto, quello allografo ufficioso, vale a direpiú 0 meno «autorizzato ›› da qualche tipo di consenso, o ad-dirittura qualche ispirazione autoriale, è una categoria moltomeno ovvia e indiscutibile che in materia di peritesto: non viè qui niente di cosí aperto come l°accettazione dell°autore diuna prefazione allografa, anche se questa accettazione non èsempre il segno di una completa identità di vedute. Ciò che gliassomiglierebbe di piú potrebbe forse essere in qualche casola pubblicazione di uno studio critico dietroil marchio edito-riale abituale dell'autore: «Herman Hesse un giorno mi dis-se di preferire che gli scritti critici sulla sua opera fossero pub-blicati dalle edizioni Suhrkamp; poiché cosí si potrebbe essersicuri del valore di questa critica, e vista dall'esterno essa sicollocherebbe sotto l1egida dell1editore dell1opera» 1. L'egidaeditoriale è in questo caso, ovviamente, una forma indirettadi approvazione autoriale. Sappiamo che un effetto di questogenere si sarebbe verificato nel caso dello studio di Bruce Mor-rissette su Robbe-Grillet, se l'autore non si fosse preoccupa-to di equilibrarlo domandando a Roland Barthes la prefazio-ne chiaramente contraddittoria, per quanto molto cortese, cheho già menzionato.Il piú delle volte, l'epitesto ufficioso prende la forma di un

articolo critico un po' «teleguidato ›› attraverso alcune indica-zioni autoriali che il pubblico non viene generalmente a sapere,se non grazie a qualche rivelazione postuma. Si dice, a volte,che Mme de Lafayette abbia ispirato lo studio anonimo (attri-buito da allora all'abate di Charnes), Conversation sur la cri-tique de la Princesse de Clèves, che rispondeva alle critiche diValincour; ma questo fatto non è definitivamente accertato.All1altro estremo, sappiamo che Stendhal scrisse lui stesso epubblicò, nei «Débats››, coperto dall1anonimato, un articoloelogiativo sulla Histoire de la peinture en Italie, e un altro, nel«Paris Monthly Review», su De l'amour, ellitticamente firma-to S., che si distingue per un abile equilibrio di elogi (profon-dità, novità, giustizia, vivacità) e di critiche probabilmente

I S. Unseld, Der Autor und sein Verleger, Suhrkamp, Frankfurt am Main1978 (trad. franc. Gallimard, Paris 1983, p. 172).

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sincere (troppe ellissi, oscurità dovuta all1omissione di «ideeintermedie ››); e sono stati trovati gli abbozzi di altri due pufi'articles rimasti inediti, nello stesso spirito: «Non è mai noio-so se non quando diventa oscuro. A forza di ellissi ardite, il suostile cede a questo difetto ›>. Si conosce soprattutto la famosa«Lettera a Salvagnoli›› dell1ottobre o novembre 1832, man-data al giornalista italiano come un (ricco) promemoria per unarticolo su Le Rouge et le Noir da pubblicare sulla rivista <<An-tologia››, e che non uscí mai, forse perché Salvagnoli non si de-gnò di prestarsi a questa manovra: si tratta di una specie diapocrifo (pseudo-allografo) abortito, ma soprattutto, nella con-dizione in cui questo testo ci è rimasto, un superbo esempiodi autocommento specificamente ad uso di un certo pubblico,in questo caso l'italiano: il Rouge presentato come un quadrodei costumi francesi dopo la Restaurazione, opposizione tra ilmoralismo di provincia favorevole all1« amore di cuore ›› (Mmede Rênal) e la vanità parigina generatrice dell°« amore di testa ››(Mathilde de la Môle).

La pubblicazione di Du côté de chez Swann fu salutata dauna serie di articoli molto... amichevoli, firmati MauriceRostand, Jean de Pierrefeu, Lucien Daudet 0 Jacques EmileBlanche, in cui non è possibile misurare esattamente la partedovuta ai suggerimenti dell1autore, ma è noto che egli fu tal-mente soddisfatto dell'ultimo di questi articoli da redigere luistesso diverse cronache pubblicitarie per farlo conoscere, e cheinsistette lungamente (e inutilmente) presso Jacques Rivièreaffinché la «Nouvelle Revue Française» ne ricordasse l1esi-stenza. Una lettera a Calmette del 12 novembre 1913 dà unbuon esempio di un tentativo di ispirazione: << Se pensa di scri-vere una cronaca, desidererei che gli epiteti fine, delicato nonvi appaiano piú del rimando a Les Plaisirs et les Jours. Questaè un'opera forte, 0 almeno tale è la sua ambizione ››. Stes-so orientamento in una lettera contemporanea a Robert deFlers in vista di una nota (la stessa?) da pubblicare sul «Figa-ro» del 16 novembre: «Quello che bisogna dire, è [...] un ro-manzo allo stesso tempo pieno di passione, di meditazione edi paesaggi. Soprattutto è molto diverso da Les Plaisirs et lesJours e non è né delicato né fine ›› 1. E, da settembre, Proust

1 Questa lettera sembra contraddirne un1altra, indirizzata il 18 dicembre1913 a André Beaunier, in cui Proust, lamentandosi di una critica poco com-

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L'EPITESTO PUBBLICO j43

offrendosi di far pubblicare un eventuale articolo di LucienDaudet, precisava in modo molto significativo: «Nessuno èpiú autorizzato di lei ››.Il Diario di Gide, in data 1 2 luglio 1914, inizia curiosamen-

te con la copia di una lettera a André Beaunier, il quale do-veva fare nella «Revue des deux mondes ›› un resoconto del-le Caves du Vatican. In questa lettera, Gide comunica al suocorrispondente e futuro critico la sostanza di un progetto ab-bandonato di prefazione, che insiste sulla simultaneità concet-tuale e sulla complementarità tematica delle Caves, dell'Immo-raliste e della Porte étroite, « sottie ›› e « racconti ›› caratterizzatidalla loro prospettiva «ironica» o «critica››. «Ho eliminatoquesta prefazione, - aggiunge l'autore, - pensando che que-ste confidenze non riguardino il lettore. Ma forse il critico...ed è per ciò che scrivo di nuovo queste cose, di cui dopotut-to è liberissimo di non tener conto, e che anzi deve ignorarese intralciano il suo articolo ››, Strano caso di migrazione di unmessaggio paratestuale, del tutto capitale, da prefazione alet-tera, e da lettera a giornale, in cui si percepisce l'estrema con-sapevolezza, da parte dell1autore, della pertinenza delle sceltepragmatiche: confidenze inutili per il lettore ma forse utili alcritico, che potrà tenerne conto e quindi farle indirettamen-te conoscere, a meno che non preferisca, per sua comodità eper quanto una simile operazione mentale sia possibile, «di-menticarle e ignorarle››. La pressione è molto delicata, e moltoprecisa. Ammetto di non sapere, a mia volta, cosa ne abbia fat-to la critica, ma è l'intenzione che ci interessa, e l'intenzione,in Gide come in Proust o Stendhal, è molto netta: chiarire eda lí guidare l1interpretazione.

Oggi sappiamo anche, grazie a Richard Ellmann 1, che gliaccostamenti tra l1Ulysses di Joyce e l' Odissea, proposti da Lar-baud in una conferenza del 192 1 (ripresa nella «Nouvelle Re-vue Française ›› nel 1922, poi nella prefazione alla traduzionefrancese, nel 1926, di Dubliners, in cui si trova ancora) e ulte-

prensiva, aggiunge: «E per questo che gli articoli non fanno molto piacere.Ho formalmente chiesto a molti dei miei amici che volevano scriverne, a Ro-bert de Flers, e a tanti altri, di farne a meno ›› (Correspondance, XIII cit.). Maanche una domanda negativa come questa appartiene a un tipo di interventoautoriale.

1 Cfr. R. Ellmann, Ulysses on the Liƒfey, Faber, London 1972, pp. XVI-xvn e 187 sgg.

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riormente precisati da Stuart Gilbert 1, che da allora nonhanno smesso, con il titolo e gli intertitoli apparsi nella rivi-sta e poi eliminati dal volume, di dominare la nostra lettura,sono stati suggeriti da Joyce stesso, che evidentemente tene-va a diffonderli, ma allo stesso tempo a sottrarsi ad ogni re-sponsabilità diretta nella loro divulgazione. Ci troviamo quidavanti a un caso tipico che in politica viene definito un siste-ma di «fughe» organizzate all1origine e ufficiosamente assicu-rate. L'autore, in linea di principio, non ha detto niente: sa-rebbe indegno di lui sottolineare pesantemente e nei dettagliil carattere ipertestuale di un'opera il cui titolo (unico elemen-to, qui, di paratesto ufficiale) deve da solo bastare a illuminarei lettori degni di questo nome - intelligenti pauca. In caso difallimento, meglio è - come si dice - «assicurare ›>; certamen-te non mettendo in prima persona i puntini sulle i, ma facen-doli mettere ad altri, debitamente indottrinati: non voglio direniente, ma bisogna comunque che «questa cosa si sappia». Ache servono altrimenti gli amici?

L'autoriale pubblico.

Come abbiamo visto, l1epitesto editoriale e allografo uffi-cioso sfugge, in linea di massima, alla responsabilità dichiaratadell1autore, anche se questi ha partecipato piú 0 meno attiva-mente alla sua produzione - a meno che, come nel caso dellalettera a Salvagnoli, non ci siano pervenute delle tracce incon-testabili di questa partecipazione. Anche questa situazione,però, resta difettosa, dato che Salvagnoli non ha mai usato leannotazioni di Stendhal: difetto opposto a quello della situa-zione abituale in cui conosciamo il diritto (l1articolo «ispira-to ››) senza conoscerne il rovescio (le raccomandazioni autoria-li); non conosco alcun caso in cui la storia abbia ereditato undossier completo, il che si spiega facilmente. Ma queste dueforme di epitesto sono chiaramente marginali, e piuttosto de-vianti. Per l'essenziale, l'epitesto è massicciamente autoriale,anche se alcune delle sue forme implicano la partecipazione diuno 0 piú terzi. Ho già annunciato una divisione (secondo cri-teri pragmatici) tra epitesto autoriale pubblico e privato, ma

1 Cfr. S. Gilbert, James Joyce. A Study, Knopf, New York 1930.

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OIVIENTO

Originale Ulteriore TardivoREGI.l\/IE

1 2 5Autonomo Autoresoconto Risposta pubblica Autocommento

3 4Mediatizzato Intervista Conversazioni, convegni

L›B1>1'rBsTo PUBBLICO 345

ciascuna di queste specie presenta qualche varietà a secon-da dei nuovi criteri, essi stessi di ordine pragmatico o tem-porale.

L1epitesto pubblico è sempre indirizzato, per definizione,al pubblico in generale, anche se, di fatto, ne raggiunge solouna frazione limitata; ma vi si può rivolgere in modo autono-mo, e in qualche modo, spontaneo - come quando l'autorepubblica, sotto forma di articolo o di volume, un commentodella propria opera -, o mediatizzato per iniziativa e per iltramite di un intervistatore o interlocutore, come nel caso del-le interviste e conversazioni, senza contare qualche regime in-termedio. D1altra parte, questi messaggi, autonomi o mediati,possonoprendere una certa piega e svolgere diverse funzionia seconda del momento della loro produzione, originale, ulte-riore o tardivo. L'incrocio di questi due criteri darà luogo auno schema come il seguente:

Ho riempito questo schema senza voler troppo sistematiz-zare una realtà molto mobile e spesso confusa, e senza preten-dere di farvi figurare tutte le forme di epitesto pubblico: netroveremo sicuramente una o due altre la cui ripartizione porràdei problemi. Ma le piú canoniche, almeno attualmente, vi so-no presenti. Le tratterò adesso secondo un ordine del tuttoempirico, indicato dai numeri dello schema.

L1epitesto pubblico originale e autonomo è una specie piut-tosto rara, almeno in forma aperta: si tratta di un resocontoprodotto, in un giornale o in una rivista, dall'autore stesso.Abbiamo visto come Stendhal lo praticasse nella forma piú omeno velata di un articolo firmato S., ma redatto alla terza

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persona, come se questo S. non fosse Stendhal 1. Molto piúapertamente autoriale, per quanto ugualmente redatto alla ter-za persona 1, il resoconto di Roland Barthes par Roland Barthes,firmato Roland Barthes, che «La Quinzaine littéraire›› pub-blicò il 1° marzo 1975 con il titolo appropriato «Barthes alcubo ››. Definisco questo resoconto autonomo pur essendo unarisposta a una domanda del giornale, secondo il criterio prag-matico, perché si tratta di un testo interamente assunto dal-l'autore, senza la partecipazione di un mediatore. Questa cu-riosa performance era ovviamente giustificata, in un senso unpo” ludico, dal carattere già autocommentativo del libro, di cuiquesto articolo era dunque un prolungamento e un commen-to allo stesso tempo (Maurice Nadeau dice giustamente, in uncappello di presentazione, che «esso farebbe una bella figuranella nuova edizione, di sicuro imminente, di questo libro ››).Vi troviamo di sfuggita un ulteriore esempio del modo, sem-pre contorto, in cui Barthes schivava il tabú di competenzadell'auto-interpretazione: <<Dato che la critica non è mai nien-t'altro, tradizionalmente, che un1ermeneutica, come potrebbe[R. B.] accettare di dare un senso a un libro che è in sé un ri-fiuto di senso, che sembra non essere stato scritto che per ri-fiutare il senso? Cerchiamo di farlo noi al suo posto, visto cheegli si dichiara vinto... ›> Segue un1imposizione di senso(un1«ermeneutica ››) cosí ambigua come si usava in quell'epoca,e in quel contesto. L1umorism0 (regime molto raro in Barthes)serve anche a volte a consolidare elegantemente i propri prin-cipi.

1 Ricordo che l1originale di De l'amour è firmato dall'« autore dell'Histoirede la peinture en Italie e delle Vies de Haydn... ››

1 L'uso congiunto della firma e della terza persona è evidentemente unaconvenzione trasparente, ma a volte sembra offrire un alibi sufficiente. Peresempio, il prière d 'insérer (anonimo) di Jean-François Lyotard, Le différend,comincia con questa frase particolarmente contorta nella sua forma ma chenon lascia spazio ad alcun dubbio: « “Il mio libro di filosofia”, egli dice ››. Do-po di che in una conversazione con Jacques Derrida (« Le Monde», 28 ottobre1984), Lyotard cosí commenta questa precauzione oratoria, o grammaticale:«Non potendo assumere questa dichiarazione pretenziosa: “Il mio libro di fi-losofia", l1ho prestato ad un altro al fine di operare una distanziazione». Ma,nel priêre d 'insérer, la terza persona non poteva che designare l'autore; bisognadunque attendere l'epitesto per apprendere che si-suppone che Lyotard sia ilredattore del priêre d 'insérer e non «lui ››. C1è da perdersi, ma non importa: ba-sta che vi sia un1affermazione forte e allo stesso tempo una negazione deboleper la forma.

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L›BPn¬EsTo PUBBLICO 347

Risposte pubbliche.

La risposta pubblica ai critici è una pratica molto delicatae, in linea di principio, proibita. Il motivo della proibizione èrisaputo: ed è che la critica è libera, e che un autore male (0 be-ne) trattato da essa avrà cattivo (o buon) tempo a difendersicontro le accuse o a ringraziare per gli elogi che derivano sem-plicemente da un libero giudizio. Allo stesso modo, la maggiorparte delle risposte (perché nonostante questo principio gli au-tori rispondono molto spesso) prendono la strada, che cono-sciamo già, della prefazione ulteriore, 0 quella, che riservo adopo, della lettera privata. La risposta pubblica, nello stessoorgano (in virtú, precisamente, del risaputo «diritto di repli-ca››) o in un altro, è considerata legittima solo nel caso di cri-tiche considerate diffamanti, o fondate su una lettura errata.

L'atteggiamento di Flaubert rispetto alla critica di Salamm-bô illustra bene questo ventaglio di reazioni: a un resocontodi Alcide Dusolier apparso sulla «Revue française» del 3 1 di-cembre 1862, critica severa ma strettamente letteraria (Duso-lier considera questo romanzo laborioso, monotono, «trion-fo dell1immobilismo ››), Flaubert non risponde: non si conte-sta un giudizio di gusto. Al lungo articolo di Sainte-Beuve, ap-parso nel dicembre 1862 in tre numeri del << Constitutionnel››,critica altrettanto severa, ma che conteneva diverse contesta-zioni di fatto, Flaubert risponde con una lettera privata, cheritroveremo a questo titolo; all1articolo dell'archeologo Froeh-ner (« Revue contemporaine›› del 31 dicembre 1862), che l'at-taccava essenzialmente sul piano della verità storica, rispon-de pubblicamente (su «L'Opinion nationale» del 23 gennaio1863) per riaffermare la serietà della sua documentazione e de-nunciare gli errori di lettura. «Malgrado l'abitudine che ho dinon rispondere a nessuna critica (precauzione oratoria classi-ca), non posso accettare la vostra››: evidentemente non si trat-ta piú di giudizi di valore, ma di fatti rispetto ai quali egli sisente attaccato nella sua coscienza professionale, e in una con-dizione di legittima difesa 1.

E inoltre sul terreno della verità storica e sociologica che

1 La controversia continua nel febbraio del 1863, sempre nell1«Opinionnationale ››, con una replica di Froehner e un ultimo contrattacco di Flaubert.

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Zola produrrà, nel corso della sua carriera, un gran numero dirisposte pubbliche (e private): per L'/issommoir, per Nana, perGerminal, per La débâcle, tra le altre. La critica a Nana, in par-ticolare, l1aveva messo in una situazione molto delicata, vistal'epoca e l'argomento: male informato, egli usurpava la suapretesa al realismo; ben informato, rivelava delle frequenta-zioni condannabili; da cui questa protesta apotropaica: «E laprima volta che uno scrittore viene messo sul banco degli im-putati, per sapere dove è andato, dove non è andato, quelloche ha fatto e che non ha fatto. Al pubblico non devo la miavita, ma solo i miei libri ›› 1. 'Distinguo meno assoluto di quan-to non pretenda essere, in un tipo di letteratura il cui propo-sito è di fondare il valore degli uni sulla fedeltà, anche indiret-ta, all'altra. Del resto capita frequentemente a Zola di anda-re al di là del terreno della legittima difesa in favore di un'a-pologia completamente letteraria, che prende in giro quelliche, a proposito dell'Assommoir, pretendono di rimpiangerei «piccoli capolavori» come i Contes à Ninon (<<Ho ancora conme delle opere che sono di gran lunga superiori ai Contes à Ni-non; sono le mie vecchie narrazioni di scuola conservate infondo a un cassetto. Ho perfino il mio primo quaderno discrittura, in cui le aste hanno già un merito letterario molto su-periore a quello dei miei ultimi romanzi ››), e si lamenta nel ca-so in cui uno dei suoi romanzi venga giudicato dalla sua pub-blicazione in feuilleton 0 indipendentemente dal suo contesto:«Forse bisogna attendere che il vasto insieme di romanzi alquale mi sono dedicato sia terminato completamente perchévenga compreso e giudicato »1. Vi è sempre un po' di malafe-de in questo argomento balzachiano (e presto proustiano) chetende ad esigere dalla critica, al momento di ogni pubblicazio-ne parziale, una sospensione totale del giudizio (sfavorevole)in attesa del completamento finale. Malafede e imprudenza,poiché «la critica ›› potrebbe rispondere aggiornando qualsiasispecie di resoconto. Dopotutto, se non si vuole essere giudi-cati né in base al feuilleton né ai volumi separati, la soluzione(precedentemente definita « flaubertiana››) si impone da sola.

Queste utilizzazioni a volte ambigue del diritto di replica

1 «Le Voltaire», 28 ottobre 1879.1 E. Zola, Lettera a Fourcaud del 23 settembre 1876, in Les Rougon-

Macquart, II, Gallimard, Paris 1961, p. 1559.

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come strumento di difesa letteraria si basano evidentementesulla fragilità della distinzione fra critica e diffamazione, e cer-ti autori giocano con questa confusione in modo non moltoscrupoloso, specialmente in un1epoca come la nostra nella qua-le la tentazione di ricorrere ai media è particolarmente forte.Per evitare di fornirne delle nuove occasioni, citerò qui soloun nome, quello dell'immaginario Passavant dei Faux-Mon-nayeurs, figura emblematica, Qprofetica, della nostra sfaccia-taggine letteraria. Ecco come Edouard, nello stile indiretto li-bero e forse non senza qualche punta di gelosia, descrive le suemanovre: «Un quarto (giornale) contiene una lettera di Pas-savant, una risposta a un articolo un po' meno lusinghiero de-gli altri, apparso precedentemente in questo giornale; Passa-vantƒvi difende il proprio libro e lo spiega. Questa lettera ir-rita Edouard ancora di piú degli articoli. Passavant sostiene divoler illuminare l1opinione pubblica; e cioè abilmente la indi-rizza ›› 1.

Mediazioni.

Autorecensione e uso (o addirittura abuso) del diritto di re-plica costituiscono un ricorso autonomo ai media tutto somma-to eccezionale: la situazione canonica, in questo ambito, con-siste in un dialogo tra lo scrittore e qualche mediatore con ilcompito di fargli delle domande e di raccoglierne e trasmetter-ne le risposte 1. L'epitesto mediatico è dunque il piú dellevolte un epitesto mediatizzato, e doppiamente mediatizzato:attraverso la situazione di interlocuzione, in cui le domandein un certo senso determinano le risposte, e attraverso l'ope-razione di trasmissione, che attribuisce al mediatore, e all'ap-parato mediatico da cui dipende, un ruolo a volte molto impor-tante nella formulazione finale dei propos recueillis; in questomodo, l'autore viene privato proporzionalmente della padro-

1 Edouard, Romans, récits, soties et oeuvres lyriques, Gallimard, Paris1959. P« 982

1 Do qui al termine media il senso piú lato, inclusivo della stampa scritta.Sui generi dell1intervista e della conversazione, cfr. Ph. Lejeune, La voix deson maitre e Sartre et Fautobiographie parlée, in Je est un autre, Seuil, Paris1980, eJ.-B. Puech, Du vivant de l'auteur, in «Poétique», LXIII (1985). Il miopunto di vista è naturalmente diverso da quello di questi due autori, che ten-gono essenzialmente conto dell'aspetto autobiografico dell1epitesto.

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nanza del proprio discorso - ma non completamente dellasua responsabilità, poiché, se l1intervista è spesso una «trap-pola», colui che vi si lascia cadere non può poi schivarne il col-po. I modi di questa privazione, del resto, dipendono menodalla volontà, buona o cattiva, del mediatore, che dalle tecni-che di trasmissione: la conversazione orale trascritta ne è laforma meno fedele, a meno che l1autore non controlli perso-nalmente la fedeltà della trascrizione, il che gli dà la possibi-lità di correggersi da solo, dicendo cosí al pubblico non quel-lo che ha realmente detto al mediatore, ma quello che ha suc-cessivamente ritenuto di dovergli dire; la trasmissione dellaconversazione orale registrata non può che deformarla grazieai tagli; la conversazione orale trasmessa in diretta è per defi-nizione non falsificabile, neanche dall1autore: ciò che è dettoè detto, e ciò che non lo è non può essere successivamente re-cuperato. Non bisogna inoltre trascurare, nelle forme audio-visive, la parte svolta dall1espressione non verbale: una mimicapuò avere il valore di una risposta positiva o negativa. L1uti-lizzazione di questo genere di paratesto, inevitabilmente de-stinata a svilupparsi, dovrà tenere conto di questi dati, e cer-tamente di qualcun altro.

Un1ultima caratteristica dell1epitesto mediatico, del qualeè difficile misurare gli effetti sul messaggio, dipende dalla suasituazione pragmatica molto particolare di «falso dialogo ››, oalmeno di dialogo con destinatario esterno, che viene cosí de-scritta da Philippe Lejeune: «Il dialogo del modello e dell'in-tervistatore non è un vero dialogo di primo grado, ma la co-struzione di un messaggio indirizzato comunemente a un de-stinatario virtuale ››, che è ovviamente il pubblico. In modo piúbrutale, i curatori della raccolta di Thomas Mann, Frage undAntwort, parlano di un «equilibrio di forze tra [...] la non-persona che prende l'iniziativa e l'Importantissima personache a questa iniziativa reagisce» 1. Qualificare come «non-persona›› l'intervistatore può sembrare scortese, ma è un'e-spressione che traduce la particolarità della situazione dell1in-tervista: il giornalista interroga realmente lo scrittore, ma loscrittore non risponde realmente al giornalista, dato che la sua

1 Cfr. Th. Mann, Frage und Antwort: Interviews mit Thomas Mann, a curadi V. Hansen e G. Heine, Knaus, Hamburg 1983 (trad. franc. Belfond, Paris1986, p. 14).

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L1EPITESTO PUBBLICO 35 I

risposta è indirizzata non a lui, ma tramite la sua mediazioneal pubblico. Del resto, forse, non dovrei neanche dire che ilgiornalista interroga realmente lo scrittore, ma piuttosto chegli trasmette una domanda del pubblico, perché questo, inli-nea di massima, è proprio il suo ruolo. Non è dunque una«persona ›› autonoma né all°andata né al ritorno, ma un sem-plice agente di trasmissione.

Questa descrizione, ovviamente, riguarda solo la situazione«ideale ›› di un'intervista o una conversazione, quella in cui ilgiornalista cancella abbastanza rigorosamente la sua <<perso-na ›› per limitarsi al proprio ruolo, e in cui lo scrittore trascu-ra abbastanza il suo interlocutore per rivolgersi attraverso dilui solo al suo destinatario virtuale. Per ovvie ragioni, questasituazione non è mai completamente realizzata: nessuno puòcancellarsi interamente come persona, e nessuno può trascu-rare interamente la persona del proprio interlocutore - afor-tiori, direi in modo volontariamente « sessista» per introdur-re un fattore percettibile da tutti, della sua interlocutrice. Cisi potrà cosí divertire a intravedere, in un corpus di intervistee di conversazioni, delle tracce di quei momenti in cui qualcheispessimento dell1interlocuzione reale viene a disturbare la tra-sparenza ideale della mediazione. Lo si vede bene, per esem-pio, nelle conversazioni fra Léautaud e Robert Mallet, in cui,prendendosi in giro, le due parti trasformano a volte il dialogomediatico in alterco. Non è detto che il pubblico perda qual-cosa a causa di questi incidenti, attraverso i quali un genere co-stitutivamente insipido (per transitività) acquista quel po' disapore che proviene da ogni impurità.

Ho finora utilizzato indifferentemente i termini intervistae conversazione, che sono molto spesso trattati come sinonimi.Bisogna adesso operare una distinzione 1 il cui aspetto fonda-mentale, come appare dal nostro schema, è d1ordine tempora-le: chiamerò intervista un dialogo, generalmente breve e assi-curato da un giornalista professionista, svolto d1ufficio in oc-casione dell1uscita di un libro; e conversazione un dialogo in ge-nere piú esteso, piú tardivo, senza occasione precisa (o che vaoltre questa occasione, nel caso in cui la pubblicazione di un

1 In altri termini e con altri accenti, essa è presente in Puech, Du vivantde l 'auteur cit.

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libro, 0 Pottenimento di un premio, o un altro avvenimento,fornisca il pretesto per una piú ampia retrospezione), e spes-so assicurato da un mediatore meno intercambiabile, piú «per-sonafizzato», piú specificamente interessato all'opera in que-stione, al limite un amico dell'autore, come nel caso di Fran-cis Crémieux per Aragon, Sollers per Francis Ponge, MariaEsther Vasquez per Borges, e la maggior parte degli interlo-cutori tardivi di Sartre. Questa distinzione viene spesso elu-sa nella pratica, e spesso vediamo alcune interviste trasformar-si in conversazioni (ma non il contrario). Essa viene spesso an-che trascurata nella costituzione delle raccolte ulteriori che for-niscono la parte essenziale del mio corpus. Tuttavia vi aderi-rò il piú possibile: il «miscuglio di generi» è una prova dellaloro esistenza.

Interviste.

L1intervista, come del resto la conversazione, è una prati-ca recente: si dice sia stata introdotta nel 1884 in Francia, sulmodello americano, da «Le Petit Journal». Il genere si è rapi-damente diffuso alla fine del secolo in forma trascritta, e nelcorso del XX secolo in forma radiofonica e in seguito audiovi-siva. Il suo studio approfondito esigerebbe un accurato spogliodegli archivi, ma non è questo il mio proposito, per il quale miaccontento di un corpus occasionale, e di qualche raccoltaulteriore 1.

Quando uno scrittore prende l'iniziativa, o coglie con de-terminazione l'occasione, di un1intervista per rivolgere al pub-blico un messaggio che gli sta particolarmente a cuore, questogenere può funzionare, abbiamo visto, come un vantaggioso

1 Tra cui M. Chapsal, Les ëcrivains en personne, Julliard, Paris 1960, e Id.,Quinze écrivains, Julliard, Paris 1963; J.-L. Ezine, Les écrivains sur la sellette,Seuil, Paris 1981; R. Barthes, Le grain de la voix, Seuil, Paris 1981; P. Bon-cenne, Ecrire, lire et en parler, Laffont, Paris 1985. Queste raccolte, come hodetto, contengono spesso piú conversazioni che interviste. La ragione è evi-dente: a causa del loro carattere piú circostanziale, le interviste si prestanomeno bene alla raccolta ulteriore. Le celebri Apostrophes, grazie alla loro rela-zione all1attualità, rientrano nel campo dell'intervista, ma se ne differenzianoparzialmenge poiché il fatto che siano raccolte può attirarle verso una specie didibattito. E questo il loro merito, e probabilmente la ragione del loro suc-cesso, fin dal famoso alterco del 1977 sulla << nuova filosofia ››: piccola causaintellettuale, grande effetto mediatico.

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L'BP1TBsTo PUBBLICO 353

sostituto della prefazione. Si tratta di un1utilìzzazione piutto-sto rara illustrata a meraviglia dall'intervista accordata daProust a Elie-Joseph Bois e pubblicata da << Le Temps ›> del 13novembre 1913 1. I suoi temi principali sono molto noti: Ducôté de chez Swann non è che l'inizio di un'opera vasta ed uni-taria, che ha bisogno della lunghezza per esprimere il passaggiodel tempo, e che si potrebbe definire «romanzo dell1incon-scio ›> per il ruolo che viene svolto dalla memoria involontaria;il suo personaggio-narratore non è l'autore; lo stile è dettatodall1originalità della visione, ecc.

Ma il piú delle volte, l'iniziativa dell1intervista è presa dalgiornale, e l'autore, che da essa non si aspetta molto piú di unpo' di pubblicità gratuita, vi si presta in modo piuttosto pas-sivo, e in apparenza senza una grande motivazione intellettua-le. Una delle star (versante << domande ››) di questo genere sila-mentava, una decina di anni fa, di un'inflazione di cui sembra-va attribuire la responsabilità agli autori: « Oggi, si leggono esi ascoltano delle famose interviste a Michel Foucault. Tren-t'anni fa si sarebbero letti solo dei resoconti dei suoi libri. In-somma i critici letterari oggi sono tagliati fuori dai creatoristessi, che si esprimono direttamente in pubblico nelle inter-viste, ritratti, dibattiti, ecc. »1. Non sono certo che le coseprocedano veramente in questo modo. Non solo gli autori nonsono in grado d'imporre ai media il loro preteso desiderio diessere intervistati (gli scrittori dispensati da «Apostrophes ››ne sanno qualcosa), ma anche, a parte l'eccezionale attrazio-ne di questa trasmissione, mi sembra che la maggior parte diessi si rassegni a quella che possiamo correttamente definirela corvée dell1intervista solo in mancanza di meglio. Questo«meglio ›› mancante è evidentemente il resoconto allografo, alquale gli scrittori - se devo credere alle mie informazioni pri-vate - tengono piú che a qualsiasi altra cosa (ne troveremopiú avanti una testimonianza eclatante nel caso di VirginiaWoolf), e al quale una certa carenza della critica professionale,soprattutto oggi in Francia, tende a sostituire l1intervista comefacile soluzione. Prima di accusare gli autori per la loro fret-ta di «vendere» i propri libri, bisogna interrogarsi sul vuoto

1 Cfr. M. Proust, Choix de lettres, a cura di Ph. Kolb, Plon, Paris 1965,pp. 283 sgg. _ _ _

1 B. Pivot, in «Nouvelles littéraires» del 21 aprile 1977.

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che questa frettolosità viene a riempire, sia nel bene che nelmale, senza rovesciare la relazione di causa ed effetto. Neglianni d1oro della grande produzione intellettuale francese ilmotto costante negli uffici delle redazioni piú o meno era:«Nessuno ci capisce niente, nessuno può parlarne tranne l1au-tore: diamogli subito un registratore ››. Ma non va neanche di-menticato che la «decadenza della critica ›> è un luogo comu-ne vecchio quanto la critica stessa, e uno degli alibi costanti delparatesto. Nella prefazione alla prima edizione di Béatrix, Bal-zac scriveva già: «Non è sempre inutile spiegare il significatointimo di una composizione letteraria, in un1ep0ca in cui la cri-tica non esiste piú ».

Insomma, tutto ciò rientra in un sistema molto compattoche si chiama Repubblica delle Lettere, e del quale RolandBarthes ha dato nell'aprile 1979 una descrizione un po' scon-trosa, ma molto giustamente equilibrata: alla domanda «Perlei cos°è un'intervista? ››, rispose: «L'intervista è una praticamolto complessa se non da analizzare per lo meno da giudica-re. In generale le interviste sono per me qualcosa di molto pe-noso, e c'è stato un momento in cui ho deciso di rinunciarvi[...] Poi ho capito che si trattava di un atteggiamento esagera-to: l1ii-itervista fa parte, per usare un'espressione disinvolta, diun gioco sociale al quale non ci si può sottrarre, 0, per usareun'espressione piú seria, di una solidarietà nel lavoro intellet-tuale tra gli scrittori, da una parte, e i media dall'altra. Ci sonodei meccanismi che bisogna accettare: a partire dal momentoin cui si scrive, lo si fa per essere pubblicati, e a partire dal mo-mento in cui si pubblica, bisogna accettare ciò che la societàrichiede ai libri e ciò che ne fa [...] La sua richiesta riguardauno studio generale che manca e che ho sempre voluto porrecome oggetto di un corso: un ampio quadro meditato delle pra-tiche della vita intellettuale di oggi» 1.

Barthes, come sappiamo, faceva parte con un Sartre, unBorges, un Tournier e qualche altro, di questa categoria dei«grandi comunicatori» - grandi dispensatori di interviste edi conversazioni di ogni tipo -, per i quali la compiacenzaverso i media non deriva, almeno non sempre, da una ricercadi pubblicità, ma a volte da una certa incapacità di rifiutare,

1 Barthes, Le grain de la voix cit., p. 300, 0 Boncenne, Écrire, lire et enparler cit., p. 366.

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0 anche da un sentimento di urgenza militante. Il lettore giu-dicherà lui stesso, e a modo suo, non senza però un pensierorispettoso verso quelli che, come un Michaux, un Blanchot, unBeckett per esempio, hanno sempre, 0 quasi, rifiutato questo«meccanismo ››, e che quindi non avremo l1occasione di incon-trare in questa macchina.Il «gioco sociale ›› dell1intervista deriva senza dubbio piú da

un bisogno d'informazione che di un vero e proprio commen-to: è uscito un libro, bisogna farlo sapere, e far sapere in co-sa consiste, per esempio, «parlandone›› con il suo autore. Daqui il ruolo considerevole della descrizione, che non svolge af-fatto la sua funzione nelle altre forme di paratesto, tranne chenegli opuscoli pubblicitario nel prière d 'insérerz riassumere l'a-zione di un romanzo 0 la tesi di un'opera concettuale, e cita-re qualche frase per «dare un'idea dello stile ››. E dato che l'in-tervistatore generalmente è uno specialista dell'intervista piúche dell'autore in questione, la macchina funziona spesso se-condo alcuni riflessi, cioè dei cliché intercambiabili, stock didomande tipo rispetto alle quali si è rapidamente costituitouno stock simmetrico di risposte tipo che riducono drastica-mente l'imprevist0. In materia di finzione, la questione reginaè: «Questo libro è autobiografico? ››, e la risposta regina: « Síe no ›› (Barthes per Fragments d1un discours amoureux: « Sonoio e non sono io ›>; Mauriac per Yves Frontenac: «Allo stessotempo io e non io ›>; Sollers per Portrait d 'un jouer: << Sí e no: èPhilippe Sollers se fosse un personaggio di un romanzo ›>; piúcontorto, Truman Capote - e qui abbrevio: «I miei libri piúautobiografici non sono quelli che si pensa, ecc. ›>). Altra do-manda-cliché: «Ci sono delle chiavi? ›>; risposta-cliché: « Nessu-na chiave: ci sono certamente dei modelli, ma li ho confusi››.«Ha subito l1influenza di X? - Assolutamente no, non l'homai letto ›>; 0 piú perversamente, secondo la tecnica del contro-fuoco: « No, non di X, ma di Y, al quale nessuno ha mai pen-sato ›› 1. << Il suo libro opera 0 illustra un ritorno a... (a Balzac,al racconto, alla psicologia, alla tradizione francese classica, aKant, a Descartes, a Plotino...)? - Si e no, la Storia avanzaa spirale». << Scrivere questo libro l°ha cambiata? - Sí e no,si cambia mai veramente? » (Simone de Beauvoir, per Le Deu-xiême Sexe, risponde semplicemente no, risposta inganne-

1 Gracq, per Le Rivage de Syrtes: Buzzati? No, Puškin.

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vole). Alla domanda: «Ha impiegato molto tempo a scriver-lo?», due buone risposte: <<Sí, cancello in continuazione», e«L'ho scritto molto rapidamente dopo averlo a lungo porta-to con me ››. «Qual è il suo personaggio preferito? - Tal deitali, perché è quello che mi assomiglia meno ››. Ma la doman-da piú produttiva, nelle interviste ai romanzieri, perché è quel-la che non si presta a risposte del tipo sí, no, o sí e no, consi-ste nell'esigere dall1autore che spieghi (come se non l1avesse,il piú delle volte, già fatto troppo) il comportamento dei suoipersonaggi. Molto rari quelli che, come Faulkner, hanno la fer-mezza di sottrarvisi. La maggior parte, trasfigurati dall'urgen-za, si lanciano in tentativi di motivazione saltando di palo infrasca e rifacendosi alla psicologia piú triviale, con grande gioiadel pubblico convinto di stare per penetrare negli arcani del-la creazione. E il gran momento, il culmine della serata; i per-sonaggi, perché ci sono sempre dei personaggi, assumono al-lora per qualche istante una consistenza stupefacente, questi«esseri Viventi senza viscere» sbarcano sul palcoscenico, ognu-no li ausculta eli palpa, li smonta, li rimonta, li ama, li dete-sta, ne riscrive la storia, si mette al loro posto, e alla fine, comesempre, racconta la propria vita. Tutto questo, molto piace-vole sul momento, non resiste a una rilettura, ma non è que-sto lo scopo. Interrompo qui questa sintetica evocazione, perpaura di rasentare la satira.

Conversazioni.

In linea di principio piú tardiva, piú approfondita, condottada un mediatore piú strettamente motivato, con una funzio-ne meno volgarizzatrice e promozionale, la conversazione hadei titoli nobiliari piú prestigiosi dell'intervista 1. Non che

1 Per la storia del genere, rimando di nuovo a Ph. Lejeune, la cui lista diconversazioni radiofoniche (Je est un autre cit., p. 122) è preziosa. Vi aggiun-gerò tra le altre le raccolte già citate di Thomas Mann, Aragon-Crémieux,Queneau-Charbonnier, Borges-Charbonnier e altri Borges, Ponge-Sollers, leraccolte già citate per le loro interviste, e due raccolte incentrate sulle abitu-dini e i metodi di lavoro: M. Cowley (a cura di), Writers at Work (The ParisReview Interviews), Viking Press, New York 1958, eJ.-L. de Rambures, Com-ment travaillent les écrivains, Flammarion, Paris 1978. Se Apostrophes si basageneralmente sull1intervista, alcune trasmissioni speciali (Nabokov, Cohen,Duras, Dumézil) rientrano piuttosto nell`ambito della conversazione, come leRadioscopies di Jacques Chancel.

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non abbia anch'essa i suoi luoghi comuni piú o meno ridutti-vi: «Qual è il suo libro preferito? ›> Risposta abituale: «L'ul-timo ›› 0 «Il prossimo ›› (ma si viene anche piú specificamentea sapere che Claudel preferisce Tête d'or, Partage de minuit, Lesoulier de satin e L 'art poétique perché male accolti dal pubbli-co, Henry Miller, The Colossus ofMaroussi, 0 Barthes, dellesue opere giovanili, il suo Michelet all1« astruso ›› Degré zéro).<<I suoi personaggi non finiscono per sfuggirle e vivere un°e-sistenza autonoma? ›› Risposta di Jacques Laurent: « Sí, dopoil primo terzo ›>. Di Faulkner: « Sí, generalmente a pagina275 ››. E soprattutto, a causa della sua posizione temporale tar-diva, e a volte della curiosità dell1interlocutore, 0 anche del-la cattiva memoria dell'autore o della sua ripugnanza a com-mentarsi, la conversazione (a parte l'insistenza meritoria di uninterlocutore come Jean Amrouche) molto spesso abbandonail terreno dell'opera a profitto di una retrospezione autobio-grafica la cui pertinenza paratestuale è piú indiretta, come inLéautaud-Mallet o Breton-Parinaud. Resta il fatto che la mas-sa, oggi considerabile, delle raccolte di interviste costituisceuna miniera di testimonianze paratestuali, in particolare sulleabitudini di lavoro: luoghi, momenti, posizioni, ambienti,strumenti, rituali, rapidità 0 lentezza di scrittura, ecc.; e sulleinterpretazioni o apprezzamenti tardivi 0 globali dell'opera,che spesso supplisce (Claudel, Faulkner, Sarraute) 0 confermae sfuma (Barrès, Borges, Tournier) quelli di una prefazionetardiva. Il miglior commento autoriale del Culte du moi si tro-va senza dubbio nell1indagine inaugurale di Jules Huret sul-l1« evoluzione letteraria ›› 1; del Soulier de satin, in Une heureavec Claudel di Fréderic Lefèvre 0 nei Mémoires improvisés (col-loqui con Amrouche); dei Cahiers d 'André Walter (molto ri-servato), dell'Immoraliste, delle Caves o di Robert, nelle con-versazioni Gide-Amrouche; del Fou d 'Elsa nelle Aragon-Crémieux; e nessun critico, nessun lettore attento può igno-rare la precisazione precedentemente citata, espressa da Na-thalie Sarraute aJean-Louis Ezine, alla prefazione di Sartre alPortrait d 'un inconnu; 0 il quadro fantasma fatto da Faulkner,davanti a J. Stein Van den Heuvel, della vita ideale di unoscrittore tenutario di una casa chiusa - o, piú seriamente, la

1 Pubblicata in «L1Éch0 de Paris ›› nel 1891; riedito da Thot, Vanves1982.

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sua evocazione dell1immagine cruciale di The Sound and theFury, «quello dei calzoncini sporchi di una bambina arrampi-cata su un pero dal quale poteva seguire dalla finestra gli os-sequi di sua nonna... ›› Philippe Lejeune dice giustamente cheiMe'moires improvisés sono, grazie ad Amrouche, «una pre-ziosa summa di storia letteraria e un codicillo all'opera stessadi Claudel››. La relazione particolare tra l'autore e il suo me-diatore (che cessa allora di essere una pura e semplice «non-persona ›› per diventare un complice o un inquisitore) vi con-tribuisce a volte profondamente, grazie all°insistenza del se-condo, all1accord0 privilegiato tra i due uomini, onieglio an-cora forse al loro disaccordo: come nel caso di Mallet che fauscire dai gangheri Léautaud (che di sicuro non ne aveva af-fatto), o Amrouche, grazie alla sua difesa ostinata di Robert,che obbligò Gide a prendere violentemente posizione controil suo personaggio: «E uno dei peggiori tratti del suo carattere:il bisogno di dominare la situazione, e di avere l'ultima parola,fare bella figura [...], falsa nobiltà, nobiltà senza generosità,si attribuisce il merito... ›› In tutti questi casi, e in molti altri,l'inconveniente del genere (la situazione di dialogo) si trasfor-ma in vantaggio, in modo che la conversazione ben condotta(e talvolta questo significa: apparentemente condotta male) di-venta una forma insostituibile del paratesto.

Colloqui, dibattiti.

Chiamo qui colloquio, 0 dibattito, qualsiasi situazione in cuiun autore sia portato a << dialogare ››, non piú con un' interlo-cutore, ma con un uditorio di qualche decina di persone, cono senza registrazione e progetto di pubblicazione. Questa si-tuazione si presenta in particolare in seguito a una conferen-za, o quando uno scrittore viene invitato a discutere della suaopera davanti a un gruppo di studenti e di professori, 0 duran-te un colloquio espressamente organizzato attorno a un autoree alla sua opera. Il primo tipo, spesso formale e sbrigativo, nonlascia molte tracce, ma il secondo di piú, come dimostrano i tre

1 O eventualmente due 0 tre, come nella serie «L”Express va plus loin... »

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volumi consacrati a Faulkner'. Il terzo poi ha lasciato una fa-mosa traccia nella serie di volumi pubblicati in seguito alle de-cadi di Cerisy, a proposito degli eroi del Nouveau Roman(1971), di Michel Butor (1973), di Claude Simon (1974), diAlain Robbe-Grillet (1975), di Francis Ponge (1975), di Ro-land Barthes (1977) e di Yves Bonnefoy (1983) 2.

La funzione paratestuale di queste situazioni di colloquioè abbastanza simile a quella delle conversazioni, di cui non so-no altro che una variante: come la conversazione, il colloquiocapita solo a un autore già abbastanza consacrato da attirarela curiosità e il fervore del pubblico. I tratti particolari di que-sta variante riguardano ovviamente la pluralità degli interlo-cutori, che implica tre conseguenze piuttosto evidenti. La pri-ma è l'assenza di << seguito al dialogo ›>: gli scambi si susseguonogeneralmente senza potersi approfondire, si salta senza tran-sizione (come appare in modo lampante nel caso di Faulkner)da un soggetto a un altro. La seconda è una mancanza di in-timità, o di prossimità, che impedisce le domande troppo per-sonali e la deriva biografica, e mantiene il dibattito sul terrenodell'opera (per Faulkner, con un'insistenza impressionante suT/›e Sound and the Fury). La terza, ben nota agli babituéx di Ce-risy, è ciò che si può definire Pefletto colloquio, vale a dire latendenza di un pubblico universitario e molto parigino, anchese cosmopolita, di porre domande che sono piú valorizzantiper colui che interroga che stimolanti per l'interrogato . A Ce-risy, questo effetto di esibizione viene a volte aggravato da untratto di intimidazione teorica che alcuni definiscono, Dio solosa perché, l'effetto R. , al quale alcuni reagiscono meglio dialtri: con umorismo e sicurezza, rincarando la dose, o con unasincerità disarmante. I piú sprovveduti dànno l'impressione diessere completamente sopraffatti dai loro brillanti esegeti, edi sfibrarsi cercando di pensare al di sopra dei loro mezzi. Piúabile o piú disincantato, Gide lanciava a volte, davanti ad Am-rouche, un”esclamazione ironica di ammirazione, che non di-

I Faulkner à Nagaro, Tokyo 1956; Faulkner à l'Um`versité, dibattiti regi-strati nel I957-58 all'Università della Virginia, Charlottesville, pubblicati nel1959 (trad. franc. Gallimard, Paris 1964); Faulkner à West Point, New York1964. Ho potuto consultare solo il secondo, considerato - credo giustamente- il piú interessante.

Z Tutti pubblicati nella collana « to/18», tranne Bonnefoy («Actes Sud››).

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sarcionava affatto l'ermeneuta, ma bastava a riscattare la suavittima. Ci sono casi in cui è meglio non far finta di capire.

Autocommenti tardivi.

Le <<decadi›› dedicate a un autore implicano generalmenteuna relazione dell°<< interessato ›› che rientra piuttosto, malgra-do i limiti sopra citati, in ciò che definisco l'epitesto autono-mo tardivo, o autocommento. Questa pratica è relativamen-te moderna, poiché l”epoca classica, poco portata al commentocritico in genere, sopportava ancora meno che un autore se neassumesse lui stesso indiscretamente la responsabilità: tabú diconvenienza. Anche nel xvm secolo e all'inizio del XIX, vedia-mo gli stessi Rousseau o Chateaubriand rintracciare nelle lo-ro Memorie le circostanze della redazione di una certa operae le peripezie della sua ricezione (in quanto parte degli avve-nimenti della vita di cui hanno intrapreso il racconto), senzaperò entrare nel merito di un commento che rivelerebbe trop-po il loro personale interesse. Anche l'epoca romantica nonsembra molto favorevole all'autocommento, essendo i suoiscrittori particolarmente preoccupati- come glielo rimprove-rerà Edgar Poe - di far credere alla spontaneità quasi miraco-losa della loro ispirazione, e dunque non tanto interessati amostrarne la fabbrica: tabú di pertinenza. L'epoca modernaè senza alcun dubbio piú aperta a simili confidenze, a parte,per la verità, un terzo tabú che abbiamo già incontrato, e cheè il tabú di competenza dell'interpretazione autoriale. Cosíl'autocommento prende il piú delle volte un'altra strada, quel-la cioè del commento genetico: Non sono piú (e forse meno)qualificato di un altro per dire ciò che la mia opera significa eperché l'ho scritta; invece, piú di qualsiasi altro ho gli elementiper dire come l'ho scritta, in quali condizioni, secondo qualiprocessi, e addirittura attraverso quali procedimenti'.

' Robbe-Grillet esprime molto bene questo riserbo difensivo: «Contra-riamente a quello che è stato spesso detto qui, ritengo che un autore coscientee organizzato conosca molto bene la propria opera: l'ha fatta funzionare luistesso. Non voglio dire che la conoscerà sempre meglio di tutti da tutti i puntidi vista, ma globalmente ha rispetto all'opera una quantità considerevole diinformazioni, soprattutto se scrive lentamente, come nel mio caso ›› (ColloqueRobbe-Grillet, II, Union Générale cl'édition, Paris 1976, p. 412).

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L'inizíatore di questo processo è evidentemente Edgar Poeche, nella sua conferenza The Pbilosopby ofComposition ', simostra molto consapevole del carattere rivoluzionario della suainiziativa: <<Ho spesso pensato a quanto saremmo interessatia leggere l'articolo di uno scrittore che vorrebbe - e dunquesaprebbe - ritracciare nei dettagli, passo passo, il processo at-traverso il quale una delle sue opere è stata realizzata. Il mo-tivo per cui un tale articolo non è stato mai prodotto, non sa-prei proprio dirlo, ma forse la vanità degli autori ne è la cau-sa principale. Molti scrittori - specialmente poeti - preferi-scono lasciar credere di produrre le loro opere in uno stato difrenesia e di intuizione estatica, e certamente rabbrividireb-bero al solo pensiero che il pubblico possa gettare uno sguar-do nei corridoi... ››Il seguito mostra come sappiamo (veridicamente o meno,

questo non ci riguarda) questo proposito di svelamento, di de-mistificazione dei segreti della fabbrica letteraria: volontà diprodurre una poesia che convenga sia al pubblico sia alla cri-tica; vantaggi della poesia breve, che possa essere letta in unsingolo incontro; scelta di un soggetto efficace (morte di unagiovane donna); adozione di un ritornello che può essere di-versamente applicato ad ogni strofe (Nevermore), progressionedel climax, ecc.

Per la verità, l'esempio di Poe non ha avuto immediatamen-te seguito, e bisognerà aspettare il XX secolo perché questocommento riappaia in modo significativo: il Comment fai écritcertains de mes livre: di Raymond Roussel, pubblicato postu-mo nel 193 5 di Raymond Roussel, pubblicato postumo nel1935, reca un titolo emblematico che troverà qualche eco aigiorni nostri (Butor a Cerisy: << Come si sono scritti alcuni deimiei libri ››, e Renaud Camus nel 1978 annuncia «Come mihanno scritto alcuni dei miei libri ››, variazione caratteristicadi una civetteria d'epoca): è la rivelazione del famoso «proce-dimento ›› che consiste nel determinare due frasi omofoniche,e poi ad immaginare un racconto che funga da passaggio dal-l'una all`altra. Aragon, in ]e n'ai jamais appris à écrire ou les In-cipit (1969), si riferisce ancora al modello rousselliano per sta-

' Svoltasi nel 1845 dopo il successo del Carbeau. Il titolo imposto inFrancia dalla traduzione di Baudelaire Genêse d'un poêrne è piú eloquente del-l'o1-iginale.

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bilire, da Télémaque a La mise à mort, la virtú generativa diuna prima frase trovata a caso. In modo piú classico, o menoaggressivamente formalista, Thomas Mann, aveva prodottonel 1949 Die Entste/:lung des Do/etor Faustus' che esponevaaccuratamente le fonti e il principio di composizione di que-sto romanzo, le vicissitudini di una produzione scaglionata trail 1901 e il 1947, ne discuteva lo statuto generico e le inten-zioni simboliche. Allo stesso genere dunque appartengono al-cune relazioni fatte a Cerisy nel 1971 da Nathalie Sarraute(«Cosa cerco di fare ››), Claude Simon (<< La finzione parola perparola ››), Alain Robbe-Grillet (« Sulla scelta dei generatori ››),Claude Ollier («Vent'anni dopo ››), Michel Butor (già citato),Robert Pinget («Pseudo-principi di estetica ››) e Jean Ricardou(« Nascita di una finzione ››), i cui soli titoli indicano abbastan-za bene Pappartenenza alla tradizione inaugurata da Poe elesfumature individuali di questa filiazione: accento posto tantosulle intenzioni tematiche che sui processi formali. L'atteggia-mento di Michel Tournier in Le vent Paraclet è leggermentedeviante, in quanto all'aspetto genetico (costruzione del temadella plaorie 2 per Le roi des aulnes, delle tre fasi di Vendredi, larelazione tra Météores e Le tour du monde en quatre-vingts jours)si aggiunge una parte di interpretazione simbolica che non vie-ne intralciata dagli abituali scrupoli circa la legittimità dell'er-meneutica autoriale. Ma a Tournier, come sappiamo, piace si-tuarsi controcorrente rispetto alle tendenze d'avanguardia.

Questi epitesti autonomi (di cui ne dimentico certamentedecine) detengono rispetto all'epitesto mediatizzato il vantag-gio evidente dell'autonomia, che li protegge dagli obblighi edai rischi del dialogo: l'autore prende risolutamente l°inizia-tiva, e mantiene il controllo sul suo commento. L'inconvenien-te è invece l'assenza di alibi dialogico, ma la richiesta pubblica

' Th. Mann, Die Entstebung des Doktor Faustus, Fischer, Frankfurt amMain 1949 (trad. it. Romanzo di un romanzo. La genesi del «Doctor Faustus» ealtre pagine autobiograficbe, Mondadori, Milano 19642). Il titolo della tradu-zione francese Genêse du Docteur Faustus, Plon, Paris 1962, è un po' inganne-vole, poiché non si tratta di un diario di bordo, ma proprio di una relazioneretrospettiva. Dello stesso Mann esiste una conferenza, Tbe Making of theMagic Mountain, tenuta a Princeton nel 1939, della quale non ho il testo.

2 Nel Ven! Paraclet, che è un autocommento delle opere precedenti, pbo-rie sta a significare unfossessione sessuale che consiste nel piacere (maschile)legato al trasporto di un bambino sulle spalle, una specie di sublimazione dellapaternità [N. d. T.].

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(invito a una conferenza, commissione editoriale) ' spesso losupplisce esonerando cosí l'autore dal rimprovero di indiscre-zione. A parte questi dettagli, l°epitesto autonomo condividecon quello mediatico la caratteristica essenziale di luogo (fuoriperitesto), che fornisce all'autore l'occasione di un commen-to dissociato, materialmente indipendente dal testo. La pres-sione paratestuale diventa allora meno forte, offerta ma nonimposta: il testo e il suo paratesto continuano separatamentela loro carriera, e il lettore del primo non è obbligato a passa-re per il secondo - almeno per un po'; sappiamo infatti, adesempio, che gli incipit sono stati nel 1974 annessi alla raccoltadelle (Euvres romanesques croisées (Aragon), luogo in cui l'e-pitesto raggiunge il peritesto, ed è solo un inizio, un anticiposull'inevitabile passaggio al peritesto che caratterizza le edi-zioni dotte, generalmente postume. Tornerò in seguito su que-sto movimento irresistibile.

Ci vorrebbe forse uno studio a sé, per il quale non ho for-tunatamente gli strumenti, dedicato a un'altra forma indirettadi epitesto pubblico: quello fornito, da sempre, dalle letturepubbliche delle opere da parte dei loro autori. Non mi riferiscoqui ai commenti autoriali da cui possono essere accompagnate,e che fanno parte di categorie già evocate, ma alla lettura (o re-citazione a memoria) che è essa stessa già, ovviamente, un'« in-terpretazione ››, grazie alla sua dizione, ai suoi accenti, le sueintonazioni, i gesti e le mirniche che la caratterizzano. Non ab-biamo, per ovvie ragioni, nessuna traccia di queste peiƒormanceprima della fine del XIX secolo, ma solo qualche testimonian-za indiretta che sarebbe forse utile mettere insieme e confron-tare, e per lo meno, per quanto riguarda le famose tournées diDickens (che ha lasciato il ricordo di un prodigioso attore),qualche versione specialmente accorciata, o addirittura modi-ficata, che indirettamente costituisce un commento '. A par-tire dal XX secolo, le letture vengono di solito registrate dal vi-vo o in studio, e si tratta, come nella musica, di una miniera

' È in particolare il caso delle raccolte come Écrivains de toujours, di Bar-thes (mail Roland Bart/:es par lui-même non è esattamente un commento dellasua opera), o Les sentiers de la création di Aragon.

* Cfr. Ch. Dickens, Tbe Public Readings, a cura di P. Collins, OxfordUniversity Press, Oxford 1975.

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di informazioni paratestuali. Altri, spero, cammineranno suquesti carboni ardenti. Si dice, ma per quanto ne so io nessunaregistrazione può farvi fede, che Kafka in pubblico leggesse lesue opere ridendo.

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L'epitesto privato

Ciò che distingue l”epitesto privato dall'epitesto pubbliconon è esattamente l'assenza di un pubblico cui rivolgersi, edunque di un'intenzione di pubblicazione: molte lettere, moltepagine di diario sono scritte nella chiara previsione della lorofutura pubblicazione, e la conseguenza che questa previsioneindubbiamente esercita su di essi non intacca il loro caratte-re privato, se non addirittura intimo. Ciò che secondo noi de-termina questo carattere è la presenza interposta, tra l'auto-re e l'eventuale pubblico, di un destinatario primo (un corri-spondente, un confidente, l'autore stesso) che non è percepitocome un semplice mediatore o intermediario funzionalmentetrasparente, una «non-persona» mediatica, ma come un desti-natario vero e proprio, al quale l'autore si rivolge in sé e persé, pur avendo l'idea recondita di prendere successivamenteun pubblico a testimone di questa interlocuzione, Nell'epite-sto pubblico, l'autore si rivolge al pubblico, eventualmente at-traverso un mediatore; nell'epitesto privato si rivolge inizial-mente a un confidente reale, percepito in quanto tale, la cuipersonalità è cosí importante in questa comunicazione, da ca-ratterizzarne la forma e il tono. Mentre all”altro capo della ca-tena il pubblico, finalmente ammesso in questa confidenza ointimità, «viene a conoscenza», sempre in ritardo', di unmessaggio che non gli viene rivolto in primo luogo, ma tramiteun terzo, autenticamente trattato come una persona partico-lare: Flaubert non si rivolge nello stesso modo a Louis Bouilhet

1 Tranne nella forma chiamata «lettera aperta», in cui la pubblicazioneaccompagna l`invio privato, quando non ne fa le veci. Certe risposte pubbli-che assumono questa forma, che non abolisce minimamente la convenzionedel destinatario reale.

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e a Louise Colet, Gide a Valéry e a Claudel, né a se stesso, eil lettore di questa corrispondenza e di questi diari intimi nonpuò recepirli correttamente senza tenere presenti queste per-sone. Beninteso, questa distinzione è di natura completamenterelativa: abbiamo già evocato alcuni casi di spostamento in unsenso (Léautaud rispetto a Mallet), e ne incontreremo degli al-tri, forse simmetrici: non sappiamo bene, per esempio, se Goe-the considerasse Eckermann un confidente o un mediatore.Ma queste situazioni intermedie non compromettono nell'es-senziale la validità della nostra distinzione, e dunque della ca-tegoria dell'epitesto privato, la cui esistenza è cosí evidente danon poter essere smentita da questi aspetti marginali.

Suddividerò questo vasto corpus in due grandi blocchi: l'e-pitesto confidenziale, in cui l'autore ha come destinatario un(o piú raramente vari) confidente, o tramite un messaggioscritto (corrispondenza), o tramite un messaggio orale (confi-denze, nel senso comune del termine), e l'epitesto intimo, incui l'autore si rivolge a se stesso; questa autodestinazione puòa sua volta assumere forme relativamente distinte (ma checomportano esse stesse molti casi intermedi): il diario è ciò cheda qualche anno viene definito, molto felicemente, avantesto.

Corrispondenze.

Le corrispondenze di scrittori sono una realtà piú o menoantica quanto la letteratura, o almeno la letteratura scritta, maè chiaro che, a parte qualche eccezione, e per ragioni di con-venienza già incontrate, le corrispondenze anteriori al XIX se-colo non presentavano nessuna confidenza sull'attività lette-raria e i loro autori. Quella di Chateaubriand, in questo sen-so molto ancien régime, è ancora di una notevole indiscrezio-ne. L'epoca romantica vede qui un importante mutamento diatteggiamento, forse accentuato e favorito da alcuni fatti di al-lontanamento accidentale: Mme Hanska nelle sue terre lon-tane, Hugo in esilio, Flaubert e Louise Colet separati dalla di-sciplina che conosciamo. Ci vorrebbe un'inchiesta sulla storiae le modalità della pubblicazione di queste corrispondenze, mauna data mi sembra qui, ancora una volta, altamente signifi-cativa (decido cioè di considerarla come tale): 1876, pubbli-cazione (evidentemente postuma) della Corrispondenza di Bal-

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zac, accolta da due commenti la cui opposizione diametrica il-lustra molto bene l'importanza del fatto. Il primo è quello diZola, in un articolo ulteriormente ripreso nei Romanciers na-turalistes:

Di solito, si rende un pessimo servizio agli uomini illustri quandosi pubblica la loro corrispondenza. Vi appaiono quasi sempre egoi-sti e freddi, calcolatori e vanitosi. Vi si vede l'uomo famoso in ve-staglia, senza la corona d'alloro, e la sua posa ufficiale; e spesso que-st'uomo è meschino, cattivo perfino. Niente di tutto questo nel casodi Balzac. Al contrario, la sua corrispondenza lo valorizza. Si è po-tuto rovistare nei suoi cassetti e pubblicare tutto, senza sminuirlo diun'unghia. Egli esce da questa terribile prova piú simpatico e piú in-signe.

Il secondo è quello di Flaubert in una lettera a sua nipote Ca-roline:

Ho letto la corrispondenza di Balzac. Ebbene, è per me una let-tura edificante. Pover'uomol che vita! come ha sofferto e lavorato!che esempio! Ma quanta preoccupazione per i soldi! e come si preoc-cupa poco dell'Arte! Non ne parla nemmeno una volta! La sua am-bizione era la gloria e non il Bello. Del resto, che ristrettezza men-tale! legittimista, cattolico, come sognava la deputazione e l`Acca-demia Francese! E in tutto questo, ignorante come una cocuzza eprovinciale fino alle midolla: il lusso lo sconvolge. La sua piú gran-de ammirazione letteraria è per Walter Scott'.

Nella misura (essenzialmente variabile e spesso piuttostodebole, anche nell'epoca moderna) in cui una lettera di unoscrittore concerne la sua opera, possiamo dire che essa esercitaunafunzione paratestuale sul suo destinatario primo, e in mo-do piú distaccato, un semplice efletto paratestuale sul pubbli-co ultimo: l”autore ha un'idea precisa (particolare) di ciò chevuole dire sulla sua opera a un determinato corrispondenteparticolare, un messaggio che può al limite avere un valore oun significato solo per quest'ultimo; egli ha un'idea molto piúvaga, e talvolta piú noncurante, circa la pertinenza di questomessaggio per un pubblico futuro; e reciprocamente il letto-re di una corrispondenza è del tutto naturalmente portato a far«parte delle cose ›>; parte della valorizzazione, della precauzio-ne o della finta modestia di una lettera inviata a un editore;

' 31 dicembre 1876; stessa critica, lo stesso giorno, in una lettera a Ed-mond de Goncourt.

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parte della vanagloria e della autoglorificazione di quelle diBalzac a Mme Hanska; parte, forse, dell'esagerazione dimo-strativa a proposito della difficoltà di scrivere di quella di Flau-bert a Louise Colet, il cui messaggio ad usum delp/oinae è sem-pre un po': «Guarda lo sforzo e le sofferenze che richiede lavera letteratura, e prendine esempio ››, In altre parole, l'effettoparatestuale, per noi, deriva da una percezione «corretta dallevariazioni individuali» della funzione paratestuale iniziale.

Una volta fatta questa riserva, si può utilizzare - - ed èquello che fanno gli specialisti - la corrispondenza di un au-tore (in generale) come una specie di testimonianza sulla storiadi ciascuna delle sue opere: sulla sua genesi, sulla sua pubbli-cazione, sull'accoglienza del pubblico e della critica, e sull'o-pinione dell”autore in proposito, in tutte le tappe di questa sto-ria. E questa la disposizione che adotterò nelle pagine seguen-ti, una volta stabilito che questi diversi tipi di informazionesi distribuiscono a seconda degli autori (o, per ogni autore, aseconda delle opere) in modo talvolta molto diverso. La cor-rispondenza di Flaubert, ad esempio, è molto prolissa circa lagestazione delle sue opere (e soprattutto, grazie a Louise Co-let, di Madame Bovary), e piú discreta circa le sue mosse edi-toriali e sull'accoglienza del pubblico; quella di Proust, al con-trario, che non ci lascia all'oscuro di nessuna delle vicissitudinidell'edizione di Swann, ma tace quasi completamente, dopo il1909, su quelle relative alla sua genesi. Forse in quest'ultimocaso ho torto a parlare come se si trattasse di una testimonian-za indiretta: le lettere a Calmette, a René Blum o a Louis deRobert non testimoniano la ricerca di un editore, ma la costi-tuiscono. Ne offrono una testimonianza solo rispetto a noi, edè questo un effetto della situazione pragmatica molto partico-lare dell'epitesto privato: ciò che a suo tempo era azione diven-ta per noi semplice informazione.

Anteriore alla nascita di un'opera, la corrispondenza puòanche testimoniare una non-nascita: opere abortite delle qualia volte sussistono solo delle tracce indirette, e qualche abboz-zo: come per Balzac, La bataille, premonitoriamente definita(in una lettera a Mme Hanska del gennaio 1833) un'« operaimpossibile ›>; o, nel caso di Flaubert, il serpente marino chia-mato Essai sur le sentiment poétique français, e i progetti di ro-

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manzi, Monsieur le Préƒet o La bataille des T/Jermopyles. Mal'essenziale riguarda la genesi delle opere terminate, per le qua-li alcune corrispondenze costituiscono (spesso meglio dellamaggior parte dei diari intimi) un vero e proprio diario di bor-do: Balzac a Mme Hanska, di Grandet (1833) nel tomo VIIdella Comédie humaine (1844), confidenze all`amata lontanacaratterizzate, come ho detto, dalla preoccupazione della va-lorizzazione letteraria («Eugénie Grandet è una bella opera»,Le médecin de campagne è «un grande quadro ››, La rec/Jercbede l'absolu «una bella opera», Le Pêre Goriot «una bella ope-ra», << credo che Albert Savarus sia un capolavoro ›>), morale ereligiosa (<< Tutto è puro ›› nella Recberclre de l'absolu, «Quandoleggerà [Favant-propos del 1842], non mi domanderà piú se so-no cattolico ››), e sociale (« Le Pêre Goriot ha un successo scon-volgente; i nemici piú accaniti si sono messi in ginocchio ››,ecc.). Nel caso di Stendhal, generalmente poco loquace a pro-posito del suo lavoro, almeno due lettere capitali, una a Mé-rimée (23 dicembre 1826), nella quale troviamo la chiave diArmance, l'altra a Mme Gaulthier (4 maggio 1834), che ci favenire a conoscenza, e solo grazie ad essa, dell`origine di Leu-wen, riscrittura di un manoscritto oggi perduto della soprad-detta Gaulthier. Le lettere di Flaubert a Louise Colet sull'ini-zio della genesi di Madame Bovary, dal gennaio 1852 all'aprile1854, sono troppo conosciute per insistervi; il seguito (fine diBovary, elaborazione di Salammbô, dell'Education, dei Troiscontes) è meno conosciuto nei dettagli perché le confidenze aMme Roger des Genettes 0 a Mlle Leroyer de Chantepie so-no piú sporadiche, da cui l`impressione erronea di una gene-si meno laboriosa '. La corrispondenza di Zola è ugualmentericca di informazioni sul suo lavoro, particolarmente nelle suelettere a discepoli quali Paul Alexis o Henri Céard, o a gior-nalisti come quel Van Santen Kolff, che a partire da Germinalsarà una specie di confidente professionale, metà familiare,metà mediatore, al quale Zola affidava apertamente il compitodi far conoscere al pubblico i suoi metodi e abitudini di lavoro,o piú esattamente l”immagine che desiderava darne: ancora

1 Di fatto, Flaubert ha dedicato quattro anni e mezzo a Bovary, cinque aSalammbô, sei all'Education, la gestazione piú lunga, ma che gli ispira menolamentele.

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370 soGL1Ei |una situazione intermedia tra epitesto pubblico e privato .

Il momento piú felice della genesi di un'opera è sicuramen-te quello finale - pur non essendo mai tale, in particolare pergli autori che operano profonde correzioni nella copia o sullebozze; ma aver «coperto la tela ›› in qualche modo assicura unimminente completamento del lavoro. E l'occasione legittimadi una specie di grido di vittoria, del quale le corrispondenzesono spesso l'organo. Sarebbe divertente costituirne una col-lezione, e di considerare la scelta degli eletti. Eccone alcuni,presi a caso nel corso della lettura: Mme Hanska per La re-cbercbe de l'absolu, Mlle Leroyer de Chantepie per Salammbô(Louise Colet, non avendolo meritato, non ebbe l”onore del«cocorico ›› di Bovary, e per questo motivo, se non sbaglio, nes-suno lo ebbe per iscritto), ]ules Duplan per L 'education senti-mentale, Henri Céard per Nana e per L'ceu11re, Van SantenKolff per La débacle. Non prenderemo alla lettera queste pa-role di Proust a Mme Straus nel 1909: «Ho appena cominciato- e finito - un lunghissimo libro ›>. Se dobbiamo prestar fedeai ricordi di Céleste Albaret, è a lei che dichiarerà a voce, ungiorno della primavera del 1922: « Stanotte, ho scritto la pa-rola fine. Adesso, posso morire ››. Questa frase premonitoriadovrebbe forse moderare il nostro entusiasmo sulla gioia di fi-nire.Il manoscritto «completato ››, o per lo meno presentabile,

viene spesso sottomesso al giudizio di chi ci sta vicino. Que-sta prova avveniva una volta, senza dubbio piú spesso di og-gi, attraverso una lettura ad alta voce: conosciamo quella dellaTentation davanti a Louis Bouilhet e Maxime Du Camp, e ilsuo esito negativo. Questa pratica, indubbiamente fertile diindicazioni paratestuali private, che sfortunatamente ci sfug-ge, era ancora molto in voga nel gruppo di Bloomsbury o inquello della «Nouvelle Revue Française ››. Gide non indietreg-giava davanti alla prospettiva di un viaggio per andare a fareuna lettura a Martin du Gard, nel Perche o sulla Costa Azzur-ra; altre volte una visita a Cuverville veniva arricchita, per l'in-

' Le confidenze ad Alexis, e all'italiano Edmondo De Amicis, si ritrova-no in P. Alexis, Emile Zola. Notes d'un ami, Charpentier, Paris 1882; quelle aVan Santen Kolff sfoceranno in varie pubblicazioni in tedesco che non sonostate tradptte. Si vedano le edizioni della Corrispondenza, e R. ]. Niess, T/aeletters ofEmile Zola to Van Santen Kolfl, in «The Romanic Review», febbraio1940.

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vitato, dello stesso privilegio: «]acques Rivière sta per parti-re. Ha appena passato tre giorni qui. Gli ho letto i primi di-ciassette capitoli dei Faux-Monnayeurs» («]ournal des F. M. ››,27 dicembre 1923). Ma capita anche che il manoscritto, 0qualche sua copia, si sposti da sola, da cui lo scambio episto-lare. Il 29 maggio 1837, Balzac raccomanda a Mme Hanska,per La vieille fille, di imitare la severità laconica di Mme deBerny: «[Lei] non discuteva, metteva: brutto, 0: frase da rifa-re ››. All'inizi0 di settembre del 1913, Proust risponde ad alcu-ne osservazioni di Lucien Daudet sulle bozze di Swann insi-stendo sulla costruzione d'insieme della Recbercbe, e i suoi ef-fetti di richiamo a lunghissima distanza.

Ma chi dice bozze dice esito felice, positivo del processoeditoriale. La corrispondenza di Hugo in esilio, in particola-re con Hetzel 0 Lacroix `, offre tra le altre cose una testimo-nianza dei dettagli di questa fase, per lui a dire il vero piú esi-gente che angosciata. Il 18 novembre 1852, annuncia a Het-zel Finizio di quello che diventerà Cbâtiments: «Credo sia ne-cessario applicare su Luigi Bonaparte un nuovo caustico. Daun lato è già cotto, mi sembra dunque venuto il momento digirare l'imperatore sul grill». Il 2 1 dicembre: «Le avevo det-to 1600 versi, ce ne saranno circa 3000. La vena è zampilla-ta, non c'è niente di male in questo ››. Il 23 gennaio 1853, dàil titolo definitivo e aggiunge: << Questo titolo è minaccioso esemplice, perciò bello ››. Il 6 febbraio, poiché Hetzel, un po'spaventato, gli aveva suggerito che «ciò che è forte non ha bi-sogno di essere violento ››, Hugo montò su tutte le furie: saròviolento, come Geremia, Dante, Tacito, Giovenale, «ComeGesú, colpisco con tutte le mie forze, Napoléon le Petit è vio-lento. Questo libro sarà violento. La mia prosa è onesta, manon moderata [...] Vi dichiaro che sono violento ››. Nel mag-gio del 1855, a proposito delle Contemplations: «Bisogna da-re un grande colpo e io sto prendendo posizione. Come Napo-leone (I), metto a disposizione le mie riserve. Dispongo le mielegioni sul campo di battaglia. Ciò che tenevo da parte, lo of-

' Cfr. V. Hugo e P.-]. Hetzel, Correspondance, I. 1852-1953, a cura di S.Gaudon, Klincksieck, Paris 1979, e B. Leuilliot, Victor Hugo publie les Misé-rables. Correspondance avec Albert Lacroix, aoút 1861 - /'uillet 1862, Klinck-sieck, Paris 1970.

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fro affinché Les contemplations siano la mia opera di poesia piúcompleta [...] Sulla mia sabbia ho solo costruito delle Giza; ègiunta l'ora di costruire delle Cheopi; Les contemplations sa-rarmo la mia grande piramide ››, In aprile del 1859, a propositodella futura Légende des siêcles: «Ho superato le Pétites Epo-pées. Era il germe iniziale. La cosa è ora ipiú grande di cosí.Scrivo semplicemente l'Umanità, affresco dopo affresco, fram-mento dopo frammento, epoca dopo epoca. Cambio dunqueil titolo del libro, eccolo: La Légende des siêcles, par Victor Hu-go. E bello e credo che vi colpirà... ››

Questi scambi fra autore ed editore possono riguardare pro-getti meno avanzati. Vediamo ad esempio Zola, nel 1869, ri-volgere a Lacroix un sommario dettagliato (dodici pagine) del-la Fortune des Rougon, accompagnato da quattro pagine sull'i-dea generale dei Rougon-Macquart e dall”annunci0 dei nove vo-lumi in previsione, che alla fine saranno diciannove ': testi-monianza precisa sull'evoluzione di questa serie ~ evoluzionetramite amplificazione, con l'unica eccezione di un volumeprevisto su << un episodio della guerra d'Italia ››, al quale verràsostituito La débâcle, su un'altra guerra certamente piú dolo-rosa. E inoltre noto il lunghissimo (ventimila parole) sommariodi T/oe Ambassadors mandato da James a Harper nel 1902 o1903, che costituisce da solo una sorta di prima versione delromanzo 2.

La Recbercbe era certamente in uno stadio piú avanzato (perquanto non ancora ultimata come pretendeva il suo autore)quando Proust si mise in cerca di un editore. Questa lunga ri-cerca è il momento piú intensamente paratestuale della suacorrispondenza, piuttosto discreta a partire dal 1909, vale adire, al momento in cui il progetto di saggio su Sainte-Beuvesi trasforma nel racconto semiromanzesco. Un silenzio rottoil 25 ottobre 1912 da una lettera ad Antonio Bibesco nellaquale veniamo a conoscenza del fatto che Proust desidera sot-tomettere alla «Nouvelle Revue Française» un'opera che è«un romanzo; anche se la sua libertà di tono sembrerebbe im-parentarla con delle Memorie, in realtà essa se ne differenziagrazie a una composizione molto rigida (ma con un ordine

' Cfr. E. Zola, Les Rougon-Macquart, V, Gallimard, Paris 1967, pp. 1755sgg.

2 Cfr. H. Iames, Carnets, Denoel, Paris 1954, pp. 410-55.

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troppo complesso per essere immediatamente percepibile): dicontingente vi è solo ciò che è necessario ad esprimere ciò cheè contingente nella vita ››. Tre giorni dopo, una lettera quasiidentica a Louis de Robert, sempre in vista della «NouvelleRevue Française ››, insiste in questi termini: «[...] una lungaopera che chiamo romanzo perché non presenta la contingenzadelle Memorie (di contingente vi è solo ciò che è contingentenella vita) e che ha una composizione molto severa per quantopoco afferrabile perché complessa; non sarei in grado di defi-nirne il genere... ›› Lo stesso giorno una lettera a Fasquelle (co-me se Proust bussasse a piú porte allo stesso tempo) sottolineail carattere «indecente» del seguito: l'editore deve impegnarsiconsapevolmente, senza poter ulteriormente usare la sorpre-sa come pretesto. Il 20 febbraio 1913, poi il 2 3 e il 24, è infineGrasset ad essere preso di mira, prima tramite René Blum, poidirettamente, per la pubblicazione di «un'importante opera(diciamo romanzo, poiché è una specie di romanzo) [...] Nonso se le ho già detto che questo libro è un romanzo. Un roman-zo è almeno ciò da cui si differenzia di meno. C”è un signoreche racconta e che dice io; ci sono molti personaggi, “prepa-rati” fin da questo primo volume, vale a dire che nel secondofaranno esattamente il contrario di ciò che ci si aspetterebbedal primo ››. Durante tutto un periodo di piú di un anno, le let-tere si accumulano cosí, ai potenziali editori, poi reali (l'accor-do con Grasset data dall'1 1 marzo) e ai diversi intermediaribenevoli; lettere che insistono sugli effetti della struttura, sullascelta dei titoli `, e soprattutto, come abbiamo visto, sullostatuto, 0 piuttosto l'assenza di statuto generico di una << speciedi romanzo ›› che «si differenzia di meno ›› (e dunque un po')da questo genere, e che ne meriterebbe, a rigore, la qualifica,in mancanza di un termine piú corretto, non perché il conte-nuto sia fittizio, ma perché il racconto è piú costruito di quellodi una semplice autobiografia. La stessa riserva si esprimeràin una confidenza piú tardiva a Paul Morand: «Questo roman-

' Durante l”estate del 1913, Proust giustifica a L. de Robert la scelta diDu côté de cbez Swann attraverso la «poesia terrestre ›› di un titolo «modesto,reale, grigio, scialbo, come un'aratura che potrebbe slanciarsi dalla poesia».Evidentemente egli pensa esclusivamente all'evocazione di Combray espressada questo titolo, che lo sviluppo ulteriore di un personaggio essenzialmente«parigino ››, fino alla consonanza cosmopolita del suo nome, oggi ci nascondequasi completamente.

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zo non è affatto un romanzo [Proust si infastidiva quando glisi parlava del suo “romanzo”; e allo stesso modo quando si uti-lizzava la parola Memorie 0 Ricordi d'infanzia]... è una spe-cie di romanzo... ›› '. Troviamo qui un'ambiguità già osserva-ta a proposito dell'indicazione generica, 0 del regime gramma-ticale degli intertitoli, e di tutte le descrizioni fatte da Proustdella sua opera; il che prova come Proust non si sia risparmiatonessun mezzo per suggerirne l0~statuto molto sui generis.Il momento stesso della pubblicazione non è molto favore-

vole alla confidenza epistolare, dato che l'autore è occupato adassicurare il suo «servizio stampa ››, e cioè a redigere le sue de-diche d'esemplare. Ma in realtà, queste stesse dediche, a voltenumerosissime, che vengono anche chiamate, giustamente, de-gli envois 2 sono anch'esse una forma di missive, e quel pocoche ho detto prima troverebbe perfettamente il suo posto an-che qui, poiché la dedica d'esemplare, malgrado il suo luogo,appartiene piú all'insieme delle pratiche epitestuali che accom-pagnano e orchestrano la pubblicazione del libro che al peri-testo originale. Le dediche di esemplare indirizzate ai criticipartecipano allo stesso modo alla ricerca, ed eventualmente altentativo di «ispirazione ›› dei resoconti, già citati a proposi-to dell'epitesto ufficioso. Questa ricerca avviene talvolta tra-mite delle lettere, come abbiamo visto, ma la consultazione de-gli esemplari mandati alla stampa ” farebbe certamente emer-gere numerosi casi di dediche destinate a orientare la critica.

La corrispondenza ulteriore, ovviamente piú numerosa espesso piú ricca, solo eccezionalmente contiene delle informa-zioni, vere 0 false, sull'accoglienza del pubblico e della criti-ca: eccezionalmente, poiché questa presenza suppone un cor-rispondente lontano, non solo dall”autore, ma anche dal tea-tro delle operazioni. Il caso di Hugo in esilio è ovviamente op-posto (è lui che viene informato); penso però a Balzac che an-nuncia, per esempio, a Mme Hanska il trionfo del Pêre Goriotl'indomani stesso della sua messa in vendita. Piú di frequen-

' P. Morand, Le visiteur du soir, Marcel Proust (racconto di una visita fattaverso la fine del 1915 0 Finizio del 1916), in Mon plaisir en littérature, Galli-mard, Paris 1967, p. 137.

2 Omaggio manoscritto dell'autore di un libro [N. d. T.].J Consultazione senza dubbio ancora piú difficile, per ovvie ragioni, di

quella delle dediche agli amici.

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te la corrispondenza ulteriore contiene alcune risposte alle ma-nifestazioni di questa accoglienza, vale a dire alle lettere pri-vate (il piú delle volte, di ringraziamento per l'invio di unesemplare) e ai resoconti pubblici. A lettere private: è notoFimportantissimo scambio, dal maggio al giugno 1909, traClaudel e Gide a proposito della Porte étroite '; oltre ai com-plimenti forse convenzionali, Claudel aveva sottolineato conforza il carattere ai suoi occhi assurdo e condannabile della ri-cerca, tipicamente protestante (ed evidentemente illustrata dalcomportamento di Alissa), della perfezione morale e religio-sa in se stessa, senza speranza di ricompensa. Gide appare fe-licissimo di questa reazione che prova come la sua rappresen-tazione fosse giusta e afferma che solo il protestantesimo puògenerare un tale dramma interiore. Molto piú tardi, dichiareràa Amrouche che questa lettera di Claudel era stata per lui unarivelazione su questo punto, e dunque sul significato della suaopera. Un altro esempio famoso di questo tipo di lettera, la ri-sposta di Proust a]acques Rivière: «Finalmente trovo un let-tore che scopre ghe il mio libro è un'opera dogmatica e una co-struzione [...] E solo alla fine del libro, e una volta compresele lezioni della vita, che il mio pensiero si svelerà. Quello cheesprimo alla fine del primo volume [...] è il contrario della miaconclusione. E una tappa, apparentemente soggettiva e dilet-tante, verso la piú oggettiva e credente delle conclusio-ni... ›› Z. Il merito di Jacques Rivière (la cui lettera è stata per-duta) forse non era cosí grande come dice Proust, poiché sap-piamo quanto egli stesso avesse moltiplicato le avvertenze urbiet orbi; ma le felicitazioni iperboliche ai buoni allievi fanno dasempre parte di un'eccellente pedagogia.

Risposte a resoconti pubblici: la corrispondenza di Hugo edi Zola ne è strapiena. Rivelerò solo la risposta superbamen-te ambigua del primo ad una critica severa dei Misérables daparte di Lamartine nel suo Cours familier de littérature: «Avreimolte cose da rispondervi. Ma bisogna essere Michelangeloper rispondere a Raffaello. Mi limito a ciò che ha sempre rias-sunto e concluso tutto tra noi due: una stretta di mano ›› (19aprile 1863). E del secondo, una confutazione punto per punto

' Cfr. Correspondance Gide-Claudel, Gallimard, Paris 1949, pp. 101-4.2 M. Proust, Lettera a]acques Rivière del 7 febbraio 1914, in Correspon-

dance, XIII. 1914, Plon, Paris 1985.

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(26 aprile 1982) di... trentuno critiche rivolte a Pot-Bouille inun resoconto del Gil Blas. Ciascuno a suo modo.

Proust si mostrerà, almeno per Swann, quasi altrettantocombattivo e puntiglioso di Zola, insistendo piú volte sulla suarinuncia volontaria al diritto di replica in pubblico. A PaulSouday (1 1 dicembre 19 13), rimprovera di attribuirgli dellescorrettezze che sono chiaramente dei refusi; a Henri Ghéon(2 gennaio 191 4), protesta contro la menzione dei suoi «sva-ghi››, contro la critica di << soggettività», contro un errore circai costumi di Charlus, e respinge maldestramente (se ne scuseràalcuni giorni dopo) alcuni complimenti di Francis Jammes; aGaston de Pawlowski (1 1 gennaio): non faccio della «fotogra-fia ››, e sono tutto fuorché «bergsoniano›› (peccato: non sapre-mo mai a cosa possa assomigliare un fotografo bergsoniano);a André Chaumeix (24 gennaio), che gli rimproverava la man-canza di un piano: ne trovereste forse uno nell°Education sen-timentale?. . .

Ma le risposte private piú (giustamente) famose sono for-se quelle di Flaubert a Sainte-Beuve per Salammbô, e quelle diStendhal a Balzac per la Cbartreuse. Sainte-Beuve aveva dedi-cato a Salammbô tre feuilleton molto duri. Una tale attenzioneda parte di un critico di questo peso, meritava un`attenzi0-ne diversa e dunque privata. Flaubert si mostra tuttavia moltosicuro, giustifica il tono storico del suo racconto, la psicologiadella sua eroina, le sue descrizioni, il suo lessico, segnala luistesso (è un atteggiamento classico) i difetti non citati daSainte-Beuve (mancanza di transizioni, <<piedestallo troppogrande per la statua», vale a dire insufficienza del trattamentodi Salammbô, e altre cantonate minori), e definisce a fondo ilproposito estetico di questa opera: <<Ho voluto fissare un mi-raggio applicando all'antichità i procedimenti del romanzo mo-derno››. A metà ammirato, a metà mellifluo, il critico rispon-derà in questi termini: «Non rimpiango di aver scritto quegliarticoli, poiché vi ho cosí portato a tirarfuori le vostre ragio-ni» - un bell”omaggio, potremmo dire, all'importanza para-testuale di quella risposta. Quella di Stendhal ringrazia Balzacdi un non meno monumentale resoconto pubblicato il 2 5 set-tembre 1840 nella «Revue parisienne››. Ne abbiamo tre ver-sioni che parzialmente si intrecciano e di cui non sappiamoquale ricevette Balzac, che sembra non averla conservata.Questi, nel mezzo delle sue lodi sperticate, aveva criticato lo

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stile della Cbartreuse e la sua composizione troppo lineare, con-sigliando all°autore di sopprimere tutto ciò che precede Wa-terloo e di farlo riassumere tramite analessi, e di annunciaremeglio fin dall'inizio i personaggi introdotti in seguito. La rea-zione di Stendhal è apparentemente (malgrado le tre versio-ni) di grande spontaneità: «Questo articolo sorprendente, chenessuno scrittore ha mai ricevuto da un altro, l'ho letto, adessooso confessarvelo, scoppiando dal ridere ogni volta che arri-vavo a una lode un po' forte, e ne trovavo a ogni passo. Vede-vo la faccia che avrebbero fatto i miei amici leggendolo ››. Eringrazia il suo illustre collega «dei consigli piú che delle lodi ››,e annuncia la sua intenzione di trarne profitto (vedremo in se-guito come egli effettivamente intraprenda, e immediatamen-te, una tale correzione). Ma non cessa però di difendersi, an-che sui punti per i quali accetta la lezione: il mio stile mira allachiarezza e alla verità, «(10) correggerò, poiché vi offende,ma mi costa molto. Non ammiro lo stile alla moda, mi inner-vosisce››; da cui qualche frecciata a Chateaubriand («cimeindeterminate delle foreste ››), a George Sand (« Se la Cbar-treuse fosse stata tradotta in francese da Mme Sand, avrebbeavuto successo, ma per esprimere tutto quello che si trova ne-gli attuali due volumi, ce ne sarebbero voluti tre o quattro. Pe-sate questa scusa ››), e addirittura, probabilmente a Balzac stes-so: << Da un anno mi si dice che bisogna rilassare il lettore de-scrivendo il paesaggio, le abitudini. Queste cose mi hanno tal-mente annoiato negli altri! Ci proverò ›>. Anche le cinquantapagine iniziali che si appresta docilmente a ridurre gli sembra-vano << una graziosa introduzione ››, e non piú ingombranti deicelebri esordi di Mme de Lafayette o di Walter Scott. E ve-ro che «la C/rartreuse assomiglia alle Memorie; i personaggi ap-paiono quando ce n'è bisogno. L'errore nel quale sono cadu-to non mi sembra molto grave; non è forse la vita di Fabriceche viene descritta? ›› E in primo luogo qualche precisazionesulla genesi: la Sanseverina mi è stata ispirata dalla pittura diCorreggio, ho dettato questo libro «in sessanta o settanta gior-ni», l'epilogo è stato tagliato per esigenze editoriali; e soprat-tutto questa intuizione capitale sulla tematica stendhaliana,che vale anche per Le Rouge o per Leuwen: «Mi ero detto: peressere un po' originale nel 1880, dopo migliaia di romanzi, bi-sogna che il mio eroe non sia innamorato nel primo volume,e che ci siano delle eroine ››. Come si può vedere, questa rispo-

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sta è altrettanto importante per il commento autoriale del-la Cbartreuse della lettera a Salvagnoli per il commento delRouge. Balzac avrebbe potuto legittimamente lusingarsi, co-me Sainte-Beuve per Salammbô, per aver portato l'autore a«tirar fuori le sue ragioni». Qualunque uso voglia farne il let-tore, si tratta forse della migliore definizione del paratesto.In un registro piú ironico, concludo con questa risposta di

Gide a un resoconto di Gabriel Marcel, nel gennaio 195 1 , sul-l'0pera teatrale tratta dalle Caves du Vatican: «Lei ha fatto unosforzo di incomprensione del quale le confesso non l'avrei cre-duta capace. Molto cordialmente lo stesso ››,

Per ovvie ragioni, le corrispondenze degli scrittori sono me-no ricche di commenti tardivi. Ma capita che Flaubert (a Char-pentier, il 16 febbraio 1879) si lamenti dopo ventidue anni diessere sempre associato a Madame Bovary: «La Bovary mi sec-ca. Mi scocciano con quel libro. Tutto quello che ho fatto inseguito non esiste. Vi assicuro che se non ne avessi bisogno,cercherei di non farne fare piú tirature››. E conosciamo l'im-portantissima risposta di Baudelaire a proposito dei Fleurs dumal (a Mme Ancelle, il 18 febbraio 1866): «In questo libroatroce, ho messo tutto il mio cuore, tutta la miajenerezza, tuttala mia religione (mascherata), tutto il mio odio. E vero, scriveròil contrario, giurerò che questo è un libro di arte pura, di smor-fie, di virtuosismi; e mentirò come un cavadenti››.

Confidenze orali.

Il corpus delle confidenze orali è apparentemente meno ric-co di quello delle corrispondenze, e soprattutto piú disperso;questo tipo di discorsi possono infatti essere riferiti in tutti itipi di testi, di cui un numero relativamente ridotto, del tipo«Ricordi di Tal dei Tali ››, è specificamente consacrato all'au-tore di tali confidenze. A questo genere appartiene, in parte,Tbe Life ofSamuel Iobnson di Boswell (1 79 1), e piú globalmen-te i goethiani Gespracbe mit Eckermann (Conversazioni conEckermann, 1836), il Monsieur Proust di Céleste Albaret (1973),Les Cahiers de ki Petite Dame (1973-77) e, a proposito dello stes-so Gide, le Notes sur André Gide di Roger Martin du Gard(1951), le Conversations avec André Gide di Claude Mauriac

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(195 1), il Gidefamilier di]ean Lambert (1958) 0 Une mort am-bigue' di Robert Mallet (1955), che riguarda sia Claudel siaLéautaud. Il piú delle volte, questi discorsi riferiti sono disse-minati nella corrispondenza 0 nel diario dei confidenti: peresempio, il diario dei Goncourt riferisce alcune conversazio-ni con Flaubert, quello di ]ulien Green i numerosi scambi conGide, ele Memorie di Simone de Beauvoir gli innumerevolidiscorsi di Sartre. Lo scopo dei biografi è chiaramente di rac-cogliere queste testimonianze disperse, e cosí fanno.Il ruolo della memoria, delle eventuali prevenzioni e talvol-

ta dell'immaginazione creativa di chi riferisce, invita alla pru-denza nello sfruttamento di queste parole, che non ci arriva-no quasi mai nella loro letteralità, tranne quando vi sia un mi-crofono nascosto; al contrario, si potrebbe pensare che l'au-tore si controlli meno che nella sua corrispondenza, si lasci an-dare piú spontaneamente, anzi sinceramente - specialmentequando si pensa, come apparentemente nel caso di Gide, chele proprie parole non verranno mai riferite'. La percentualedi commento dell'opera è però in genere molto debole. In etàavanzata, Goethe si lascia sfuggire parole severe sul Werther(«Mi guarderei dal rileggerlo [...] Non voglio ricadere nellamorbosità dalla quale sono partito ››) 0 su Faust («un°opera diun pazzo ››), e da salvare trova solo Hermann und Dorothea:«Tra tutti i miei maggiori poemi, l'unico che mi faccia anco-ra piacere». Gide, di cui i ricordi della Petite Dame copronosolo gli ultimi trentatre anni, e che aveva già nel 19 18 la parteessenziale della sua opera dietro di lui, non parla mai in «fa-miglia ›› dei suoi lavori in corso, se non per esprimere le diffi-coltà che prova per Geneviêve, che durante una lettura privatasi rivelerà un fallimento '. I suoi intimi dovevano provocarlo

1 «In fondo, non ho fortuna [...] tutte le persone a me vicine: la PetiteDame, Martin, Elisabeth, lei stesso [Pierre Herbartl, tutti delle tombe di di-screzione, nulla di quello che ho potuto dire 0 fare verrà mai riferito ›› (dicem-bre 1948, Les Cahiers de la Petite Dame, IV, p. 1 16). Bisogna qui, naturalmen-te, tenere conto della civetteria e della domanda indiretta.

2 Sappiamo che quest'opera, che Gide definiva nel 1930 un «romanzo delgenere della Nouvelle Héloise con lunghe dissertazi0ni››, ampio quadro ideo-logico della gioventú intellettuale dell`epoca, fu per la maggior parte distruttofino a ridursi ad un breve racconto pubblicato nel 1936. Le confidenze aClaude Mauriac e a_]ean Lambert sono molto chiare su questo fallimento cheindubbiamente fu, dopo la distruzione delle sue lettere a Madeleine, la gran-de delusione letteraria della sua vita.

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un po' per strappargli degli apprezzamenti tardivi sulle sueopere giovanili, 0 una specie di classifica personale: le Nour-ritures, La porte étroite e Les caves du Vatican (luglio 1922; manel 1928 vi aggiunge il Diario). Queste informazioni non van-no sempre prese per oro colato: Gide, ad esempio, dichiara(aprile 1949) di non avere, oltre ad alcuni appunti su Made-leine, «mai eliminato nulla dal (suo) diario ››, ma una nota del-l'editore Claude Martin afferma che lo studio dei manoscrittiproverà il contrario. Questo autore che non ha mai smesso didire di << non credere al postumo» poiché supponeva che gliamici e la famiglia avrebbero sempre trovato «eccellenti ragio-ni per truccare, camuffare, sbiancare il morto ››, e che è a suavolta sospettato di aver lui stesso truccato e camuffato la suavita - non per sbiancarsi, ma piuttosto per annerirsi vantag-giosamente -, potrebbe restare sorpreso, se ritornasse un se-colo dopo, delle ricostruzioni di immagini che gli impone, apoco a poco, il lavoro del «postumo ››. Come gli obiettò mol-to bruscamente un giorno Martin du Gard, voler plasmare lapropria immagine è spesso, a lungo termine, fatica sprecata,poiché: «Non si fa da se stessi la propria toilette mortua-ria ›› '. Ma eccoci alla distinzione, necessaria, tra testimonian-ze e documenti, che dominerà tutto lo studio del paratesto in-timo.

Diari intimi.

Definisco epitesto intimo qualsiasi messaggio, diretto 0 in-diretto, riguardante la propria opera passata, presente 0 futu-ra, che l'autore indirizza a se stesso, con 0 senza intenzione dipubblicazione ulteriore - dato che l'intenzi0ne non sempregarantisce l'effetto: un manoscritto destinato alla pubblicazio-ne può scomparire casualmente, o addirittura (come sembre-rebbe nel caso di una larga parte del Diario di Thomas Mann)per un cambiamento di idee; e, al contrario, un manoscrittonon destinato alla pubblicazione può sfuggire casualmente alladistruzione, come quelli del Prozess e del Castello (Das Schloss).Questo genere di messaggio si trova essenzialmente in duetipi di documenti: i diari intimi e i dossier degli avantesti. La

' Notes sur André Gide cit., p. 94.

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distinzione di questi due tipi è molto piú netta in teoria che inpratica, poiché molti diari intimi, come quello di Kafka, con-tengono degli abbozzi e, al contrario, molti dossier di avante-sti, come quelli di Stendhal, contengono delle note di tipo dia-ristico, informazioni 0 commenti sul lavoro in corso. Ritrove-remo queste difficoltà a proposito dell'epitesto intimo ante-riore alla pubblicazione. Per cominciare con il piú facile, diròsubito una parola sull'epitesto ulteriore e tardivo, che testimo-nia essenzialmente, attraverso il suo diario, delle reazioni del-l'autore all'accoglienza fatta alla sua opera e delle sue proprieosservazioni après coup.

Probabilmente non esiste testimonianza piú intensa delDiario di Virginia Woolf sull”angoscia dello scrittore al mo-mento della pubblicazione del suo libro, nell' attesa del giudiziodella critica e del pubblico, e sul modo in cui egli stesso per-cepisce questo giudizio'. Da Night and Day (1919) a Betweenthe Acts (1941), ogni sua pubblicazione è per Virginia Woolfoccasione di un vero e proprio tormento, probabilmente aggra-vato dal carattere molto intimo del gruppo di Bloomsbury. Esempre ansiosa del giudizio, tuttavia sempre immancabilmentepositivo, di suo marito (e editore) Leonard, e di quello dei suoiamici E. M. Forster, Lytton Strachey, Roger Fry o Harold Ni-colson. Molto tesa, inoltre, con la «rivale ›› Katherine Mans-field, che l'aveva un giorno molto crudelmente definita << la]ane Austen adattata al gusto del momento», e alla cui mor-te nel gennaio 1923 reagisce con sentimenti molto misti 1.Virginia Woolf manifesta del resto una sensibilità paradossale,poco rassicurata dagli elogi («Lytton mi sembra troppo elogia-tivo perché possa provare veramente piacere, 0 forse è questafacoltà che si sta indebolendo››, 14 ottobre 1922), spesso piústimolata dalle critiche (« La disapprovazione mi stimola››, 15

' Per ragioni pratiche, cito dai tre primi volumi della traduzione comple-ta, Stock, per il periodo 1915-27, e per il seguito dagli estratti raccolti dalIournal d 'un écrivain, Bourgois, Paris 1984." «Cosa ho sentito veramente? Un brusco sollievo? Una rivale di meno?

Poi molta confusione nel provare cosí poca emozione. E a poco a poco unvuoto, una delusione; e infine uno smarrimento al quale non mi sono potutasottrarre per tutto il giorno. Quando mi sono messa al lavoro, mi è sembratoche scrivere non avesse alcun senso. Katherine non mi leggerà. Non era piú lamia rivale. Poi una sensazione piú generosa mi vinse: quello che faccio lo fac-cio meglio di quanto lei non avrebbe fatto, ma dov”è lei, lei che faceva quellodi cui io sono completamente incapace! ›>

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382 soc;L1E›aprile 1920; «Provo già la calma che sopraggiunge sempre

quando vengo attaccata. Mi sento con le spalle al muro. Midi-co che scrivo per il piacere di scrivere. E poi c'è questo stra-no e spregevole piacere nell'essere insultata, il piacere dies-sere qualcuno, di essere una martire, e che altro ancora? ››, 1 1ottobre 1934 ; «E poi c'è questo strano piacere nell'essere cri-ticata. E la sensazione di essere respinta nell'oscurità è ugual-mente e simultaneamente piacevole e salutare», 14 ottobre1934; << La delizia di essere fatta a pezzi è innegabile. Non sisa perché ci si senta rinvigoriti, divertiti, completati, combat-tivi. Piú che dalle lodi», 2 aprile 1937), ma soprattutto terri-ficata dall'attesa, e sempre pronta a credere che nessuno par-lerà del suo libro, e che ogni silenzio nasconda un giudizio ne-gativo: 27 aprile 1925, per il T/:›e Common Reader: «E comese avessi lanciato una pietra in uno stagno e le acque si fosserorichiuse su di essa senza un°ondulazione›>; 2 3 ottobre 1929,essa teme che Forster rifiuti il resoconto di A Room ofOne 'sOwn; 16 novembre 193 1: << Noto, come una delle curiosità del-la mia vita letteraria, che evito attentamente Roger e Lytton.Li sospetto di non amare T/ae Waves ›>; 2 agosto 1940: «Un si-lenzio completo circonda questo libro [la sua biografia di Fry].Avrebbe potuto essere salito in cielo e perdersi. “Uno dei no-stri libri non è tornato”, come direbbe la BBC. Niente criti-che di Morgan [Forster], niente critiche in assoluto. Nientelettere. Ebbene, sospetto Morgan di essersi rifiutato di parlar-ne, non trovandolo di suo gradimento, rimango tranquilla, sí,onestamente, e pronta ad affrontare un silenzio totale e pro-lungato ››. La vulnerabilità psichica di questa autrice si espri-me piú su questo piano che a proposito delle vicissitudini delsuo lavoro '; non è, mi pare, una forzatura ricordare che essamise fine ai suoi giorni dopo aver spedito il manoscritto com-pletato di Between the Acts, come se affrontare ancora una vol-ta l'angoscia della pubblicazione le fosse diventato definitiva-mente insopportabile.

' Non che non abbia conosciuto, lei stessa, i «tormenti della scrittura ›>:«Una buona giornata, una brutta, e cosí via. Pochi autori devono essere statitorturati quanto me dal mestiere, Flaubert a parte›› (23 giugno 1936). Unadelle parti piú gratificanti del «mestiere» sarebbe forse stata per lei la pro-gressione costante dei suoi successi di vendita, che, responsabile insieme asuo marito delle edizioni Hogarth Press, essa contabilizza con cura, calcolandola possibilità dell'acquisto di un°automobile, o la sistemazione di un bagno...

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Dopo una lettura cosí scottante, le testimonianze di altridiari possono apparire piú temperate, se non addirittura pla-cide. Si trovano soprattutto dei giudizi a posteñorz', spesso con-trocorrente rispetto alle opinioni della critica e del pubblico:vediamo ad esempio ]ules Renard scontento di Poi! de carotte(«Un brutto libro, incompleto, composto male ››, 2 1 settembre1894) al quale oppone le Histoire: naturelles (14 ottobre 1907)che preferisce; o Gide che si lamenta di aver avuto solo fiaschi,«in proporzione all'importanza dell'opera e della sua origina-lità, devo ad esempio i peggiori a Paludes, alle Nourritures e alleCaves. Fra tutti i miei libri quello che, al contrario, mi è val-so gli elogi piú animati, piú caldi e i piú sottili, è quello (for-se non il meno riuscito) che resta piú al di fuori della mia ope-ra, che mi interessa di meno (intendo questa parola nel suo si-gnificato piú sottile) e che tutto sommato, vedrei piú volentieriscomparire ›› (15 luglio 1922; confesso di non riuscire a iden-tificare a colpo sicuro questo successo immeritato). Il suo giu-dizio sulle sue prime opere, André Walter o le Nourritures, è delresto spesso severo, almeno sul piano stilistico, che egli giudicainsopportabilmente ampolloso ', La porte étroite gli sembraineguale «come un torrone in cui le mandorle siano buone (z`. e.:lettere e Diario di Alissa), ma il cui mastice sia pastoso›› (7 no-vembre 19o9, giudizio confermato nel marzo 1913). Corydon,capitale ma ancora troppo timida (agosto 1922, novembre1927, ottobre 1942). Le Caves non sono state capite dalla cri-tica, forse per la mancanza di una prefazione (progettata e ab-bandonata, poi riesumata, come sappiamo) che ne avrebbeprecisato l'intenzione, ma «è divertente, e perfino qualche vol-ta vantaggioso lasciar errare cosí i critici» (3o giugno 1914).Si le grain ne meurt è pieno «di scorrettezze, di ambiguità,di balordaggini. Se non fosse già stampato, ne farei saltaretre quarti» (23 giugno 1924). Quanto al relativo insuccessodei Faux-Monnayeurs, lo crede momentaneo (5 marzo 1927),lo attribuisce alla sua «troppo costante preoccupazione perl'arte [_ . .] Avevo “teso la mia rete troppo in alto” come dicevaStendhal» (22 giugno 1930). «Niente di piú facile che scrivereun romanzo come gli altri! Semplicemente mi ripugna, e co-me Valéry non mi decido a scrivere “La marchesa uscí alle

' Stesso giudizio in Si le grain ne meurt (« tono giaculatoria››), e nelle con-versazioni con Amrouche.

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cinque”, o, in tutt'altro genere, ma che mi pare ancora piúcompromettente: “X si domandò a lungo se...” ›› (1° agosto193 1). Abbiamo già visto questa tendenza cosí frequente tragli autori moderni a compensare il giudizio altrui con un giu-dizio contrario, svalutando tra le proprie opere quelle accol-te meglio e valorizzando le altre. Quesfatteggiamento è unabuona tattica nella polemica pubblica, ed è anche, a quanto pa-re, una buona strategia intima, poiché stabilisce un bilancio«globalmente positivo ›>: alcuni dei miei libri hanno avuto suc-cesso, il che è gratificante, e gli altri sono buoni, il che lo è an-cora di piú. I classici, si sa, rifiutano in linea di massima questogenere di consolazione, almeno in pubblico e di fronte al pub-blico, e ai suoi giudizi a lungo termine. Ma sappiamo ancheche non tenevano diari intimi.

Chi cerca nei diari degli scrittori un'informazione precisae dettagliata sulla genesi delle loro opere rischia di essere de-luso, almeno per due ragioni. Innanzitutto, molti scrittori con-siderano il loro diario piuttosto un complemento, anzi un di-versivo rispetto all'opera, e di preferenza vi annotano, «inti-mi ›› o meno gli avvenimenti esterni al loro lavoro: vedi quel-li dei fratelli Goncourt o di Jules Renard, che valgono soprat-tutto come quadro della vita letteraria dell”epoca. Inoltre,come ha osservato uno specialista di questo genere, «è moltoraro trovare simultaneamente un'attività produttiva e un'at-tività diaristica›› '_ Questa alternanza può corrispondere aun'interruzione radicale, come quella del Diario di Stendhala partire dal 1819 2 o di Tolstoj tra il 1865 e il 1878, senzacontare le distruzioni volontarie, come quelle di ThomasMann tra il 1896 e il 1917 e tra il 1922 e il 1932. Talvolta, inmodo piú disseminato, lo scrittore continua a tenere un dia-rio, nel quale però si astiene dall'evocare l'opera in corso. Que-sto fatto è piuttosto evidente in Claudel, che si riferisce soloai suoi progetti a lungo termine, tacendo sulla fase attiva dellaredazione. «Non c'è piú posto per l'opera iniziata in un dia-rio, che resta il regno della casualità quotidiana, raccolta di im-

' A. Girard, Le ]oumal intime, Puf, Paris 1963, p. 168.2 A parte l'azione ricostitutiva, come quella svolta da V. Del Litto, con lo

scopo di costituire in un Diario le note e gli appunti marginali sparsi dopo que-sta data in tutta la biblioteca di Stendhal.

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pressioni isolate, di note senza scopi precisi, una specie di “ser-batoio” che verrà sfruttato in seguito. Cosí il piú delle voltevi si scoprono le preparazioni di un'opera, le tracce della suamaturazione, piú che delle allusioni o commenti esattamentecontemporanei alla sua redazione ›› '. La ragione di questaspecie di incompatibilità è abbastanza ovvia e quasi fisica: illavoro vero e proprio della redazione, o anche della prepara-zione attiva, ricorre ad altri supporti, in luoghi diversi dal dia-rio: abbozzi e stesure provvisorie che costituiscono l'avante-sto. Jacques Petit osserva inoltre questo fatto quando del dia-rio del 17 maggio 1915 l”autore scrive a proposito del Pêre bu-milié: «La forma del mio dramma si precisa››, tracciando nellostesso giorno lo schema della sua opera su un foglio separato,oggi conservato con il manoscritto. Si sottraggono a questa ri-partizione solo gli autori come Kafka, che utilizzano lo stes-so supporto, alternativamente, come un diario della loro vitae come un quaderno di appunti. Ma vediamo inoltre che inKafka questa giustapposizione non implica affatto una recipro-'cità di commenti: i vari abbozzi, talvolta molto elaborati, si in-tercalano inaspettatamente ignorandosi a vicenda. Ciò ha per-messo ad alcuni editori di realizzare, in fase postuma, una pub-blicazione separata degli uni e degli altri. L'unico elementodiaristico dei Notebooks di James e dei Diari di Musil è l”im-posizione di date a ciò che essenzialmente è un quaderno diappunti. Inoltre un altro fattore contribuisce talvolta a distor-cere la testimonianza del diario, ed è quello cui si riferisceGide in una conversazione con Green: << Il mio diario dà un'i-dea falsa di me, poiché lo scrivo solo nei momenti di sconfor-to ››'. E un po' quello che succede nei quotidiani: le bruttenotizie appaiono piú spesso di quelle buone, si parla di un tre-no solo quando è deragliato. Il lavoro efficace non ha bisognodi commenti, tranne brevi note del tipo <<lavorato bene sta-mattina», poiché mobilita completamente il tempo e le forzedello scrittore, e in qualche modo le sue conseguenze ne sonouna testimonianza. I momenti di stasi, invece, incitano di piúa cambiare leggio; in questo senso i lamenti del Diario di Gideo di Kafka (cosí come quelli della corrispondenza di Flaubert)svolgono forse un ruolo catartico.

' I. Petit, Nota a]. Green, Iournal, in Gìavres complêtes, IV, Gallimard,Paris 1977, p. Lxrv.

2 Cfr. Green, Ioumal cit., p. 475.

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Per queste ragioni e altre ancora, l'aspetto << diario di bor-do» dei diari di uno scrittore è spesso molto limitato. Nel Dia-rio di Gide, della Woolf, di Mann o di Green', la parte dedi-cata al lavoro di questi autori è dunque discreta (in Green, sta-tistica completamente approssimativa, circa una decina di ri-ghe ogni dieci pagine, o un quarantesimo della versione attua-le), e piuttosto ellittica. Piuttosto che descrivere dettagliata-mente o commentare il lavoro dello scrittore, appare di tantoin tanto qualche riferimento sul suo andamento generale. Ecosí del tutto impossibile indovinare l'argomento, dopotuttomolto particolare, di Flus/J dalle pagine del Diario di VirginiaWoolf che vi si riferiscono. E non è affatto un caso eccezio-nale.

Non dobbiamo però dedurne l'indigenza paratestuale deldiario in genere. Quello della Woolf, ad esempio, contienepreziose indicazioni sui suoi metodi di lavoro, in particolaresulla sua tecnica di revisione finale della trascrizione dattilo-grafica, piú rapida possibile: «Un buon metodo, credo, poichécosí viene passato un pennello umido sul tutto, fondendo gliuni con gli altri i pezzi che sono stati composti separatamen-te e che si sono seccati›› (13 dicembre 1924), e sui suoi giudizidi autore: «E vero, lo ammetto, non ho il dono della realtà»(19 giugno 1923, su T/Je Hours '); «Ho scritto [Orlando] piúfacilmente degli altri, come se fosse uno scherzo. Allegro e fa-cile da leggere. Vacanze di scrittore [. . .] Cominciato come ungioco e continuato seriamente. Da qui la sua mancanza di uni-tà [...] Un libro molto vivace e molto brillante. Sí, ma che nonimplica nessun lavoro esplorativo ›› (marzo-novembre 1928);giudizi del resto mutevoli come, a proposito di Years, dopoqualche giorno di intervallo: << Non ho mai provato tanto pia-cere a scrivere un libro ›› (29 dicembre 1935), ma a una rilet-tura: «Chiacchiere insignificanti, un pettegolezzo nebuloso,

' L'edizione del Diario di Mann per gli anni 1918-21 e 1933-39 a cura diP. de Mendelssohn, Fischer, Frankfurt am Main 1977-79 e tradotta da Galli-mard, Paris 1985, è solo una scelta, ma l'editore dichiara di aver rispettato laproporzione dell'originale. La versione definitiva del Diario di Green, di cuiuna parte (la piú intima, nel senso comune della parola), è riservata a una pub-blicazione postuma, indebolirà sicuramente la proporzione delle testimonian-ze letterarie. Quanto a Virginia Woolf, la differenza di volume tra il Diariocompleto e A W/rz`ter's Diary (che comunque non si riduce al suo diario di bor-do), È: in se stessa significativa.' Titolo provvisorio di Mrs Dalloway [N. d.T.].

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la prova della mia decrepitezza e su vasta scala›› (16 gennaio1936); e tre mesi piú tardi: «Tutto ciò mi sembra adesso co-sí chiaro che non voglio piú continuare le mie correzioni ›› (18marzo 1 93 6) .A mia conoscenza, e malgrado la sua discrezione, il Diario

di Green costituisce la testimonianza piú coerente, o piú or-ganizzata, di un lavoro di scrittura di cui espone chiaramen-te le costanti: lentezza accettata (un giorno si preoccupa peruna «facilità sospetta››), riscritture instancabili (« Ho già rico-minciato Moíra otto o nove volte ››, 25 febbraio 1957); rifiu-to stendhaliano di un piano, che «uccide l'immaginazione››;necessità per ogni romanzo di un'immagine generatrice cui ri-ferirsi: per Mont-Cinêre, fotografia di una casa di Savannah,per Adrienne Mesurat, una tela di Utrillo; indipendenza deipersonaggi, che il loro creatore osserva piuttosto che dirigere,«un po' come qualcuno che ascoltasse dietro le porte e guar-dasse attraverso il buco di una serratura, senza mai interveni-re. Intervenire, cambiare il corso di un'azione determinata daipersonaggi, significa fabbricare un romanzo. Tutti lo posso-no fare. Per quanto mi riguarda, non mi interessa minimamen-te» (8 aprile 1955), poiché il vero romanziere «non inventaniente, indovina ›› (5 febbraio 1933); verità autobiografica del-la finzione (« il mio vero diario è nei miei romanzi ››, 15 otto-bre 1948 `), che si basa sul materiale stesso che il diario passasotto silenzio: «Un romanzo è fatto di peccato come un tavoloè fatto di legno ›› (27 ottobre 1955).

L'unico «diario di bordo» interamente ed esclusivamenteconsacrato alla genesi di un'opera è, a mia conoscenza, il Iour-nal des Faux-Monnayeurs, tenuto dal giugno 1919 al maggio1925 e pubblicato nel 1927. Che siano state o meno tratte dalDiario di Gide, queste brevi pagine, come sappiamo giustifi-cate nel romanzo stesso dal romanziere Edouard ', fanno un

' Questo luogo comune in forma di paradosso, dal quale Philippe Lejeuneha tratto la nozione di spazio autobiografico, si trova già (almeno) in Gide. Siveda per esempio la nota finale della prima parte di Si le grain ne meurt: «LeMemorie sono sincere solo per metà, per quanto la preoccupazione della veri-tà sia grande: tutto è sempre piú complicato di quanto non appaia. Forse è nelromanzo che ci si avvicina di piú alla verità››.

1 «Pensate cosa sarebbe stato per noi un ,quaderno simile tenuto da Dic-kens o da Balzac; se avessimo il Diario dell'Educatz'on sentimentale o dei Fra-

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po' l'effetto di un°impresa ad /øoc, piú dimostrativa che docu-mentaria. La parte riguardante la testimonianza sul lavoroconcreto è del resto piú debole di quella relativa alla dichiara-zione di intenzione sotto forma di auto-esortazione (un po” co-me negli abbozzi di Zola) e alla professione di fede estetica '.Alimentata da una specie di controversia privata con Martindu Gard, la presa di posizione di Gide, verso quello che con-sidera il suo «primo romanzo ››, è un rifiuto della tecnica pa-noramica alla Tolstoj, a favore di un racconto piú focalizzato,un quadro in chiaroscuro determinato dal punto di vista di al-cuni personaggi. Gide cita come modelli di questa tecnica re-lativistica Dickens e soprattutto Dostoevskij, ma oggi potrem-mo anche pensare ai precetti diJames codificati alla stessa epo-ca dai suoi discepoli Percy Lubbock o Joseph Warren Beach.Precetti d”epoca, dunque (autonomia dei personaggi, «Stareattenti che il personaggio parli solo per colui al quale si rivol-ge ››, «Esporre idee solo in funzione dei temperamenti e dei ca-ratteri», <<Ammettere che un personaggio che se ne va può es-sere visto solo di schiena», ecc.), che resteranno fino a Sartre,e indubbiamente anche oltre, la vulgata estetica di un tipo diromanzo «moderno ›› in realtà inaugurato da Madame Bovarye caratterizzato dal rifiuto dell'«onniscienza›› classica - un°on-niscienza un po' esagerata, perfino rispetto a Balzac o Tolstoj,per bisogno di antitesi. In breve, un << diario ›› deliberatamenteindirizzato (e dedicato) << a chi è interessato ai problemi del me-stiere» e che, come alcune prefazioni, ha ampiamente valoredi manifesto.

Avantesti .

Il messaggio paratestuale dei diari degli scrittori, che abbiauno scopo tecnico o (piú raramente) tematico, appartiene piúa una testimonianza che a un documento. Testimonianza sem-pre dubbia, non solo perché, essendo destinata a una pubbli-

telli Karamazovl La storia dell'opera, della sua gestazione! Ma sarebbe piú ap-passionante... piú interessante dell'opera stessa... ››

' L'autore del resto precisa come queste pagine contengano solo delle os-servazioni generali «sull'edizione, la composizione e la ragion d”essere del ro-manzo ››, lasciando la parte dei dettagli ad alcune schede che appartengono di-rettamente all°avantesto.

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cazione antuma o postuma, si rivolge in ultima istanza a unpubblico a cui l'autore rivela ciò che vuole rivelare, ma anchepiú in generale e piú radicalmente perchíêãtåme ogni diario, clp-me ogni monologo interiore, consiste ne ' e a se stessi ciò c eci si vuole dire o che ci si vuole sentir dire. La pragmatica diquesto discorso, come qualsiasi altra pragmatica, non è privadi intenzioni strategiche, e come le altre è meno dedita all'af-fermazione della verità che alla ricerca di un effetto su di sé.Anche senza essere rivolto a un pubblico, il messaggio intimodel diario è dunque, come tutti i messaggi paratestuali trattatifinora, un messaggio intenzionale e persuasivo. Il suo conte-nuto tipico è qualcosa come «Ecco come dico a me stesso discrivere questo libro, ciò che dico a me stesso di pensarne e cosapenso di quello che si dice in proposito». In breve, «Ecco isentimenti, rispetto a questo libro, che espongo a me stesso ››.Bisogna essere molto ingenui per supporre che questa esposi-zione sia sempre in buona fede, senza la minima orchestrazio-ne teatrale. Del resto i segni della situazione contraria nonmancano, come quando Virginia Woolf dichiara con tanta in-sistenza che le critiche la rendono felice, o la lasciano tran-quilla.

Con il dossier degli avantesti lasciamo apparentemente ilterreno, sempre soggettivo e sospetto, della testimonianza, perpassare a quello, in linea di massima piú oggettivo, del docu-mento. E contemporaneamente passiamo anche (nuova fron-tiera) da quello del paratesto cosciente e organizzato, o para-testo de iure, a quello di un paratesto involontario e de facto.Una pagina di manoscritto ci direbbe, questa volta in terzapersona: «Ecco come l”autore ha scritto questo libro ››. I da-ti inconfutabili dell'archeologia, cocci e pietre incise, dareb-bero qui il cambio alla chiacchiera storiografica: finalmentequalcosa di concreto.

Bisogna però, sfortunatamente o meno, moderare questoottimismo. Non solo perché alcune pubblicazioni antume diavantesti risvegliano qualche sospetto nelle menti maliziose,o perché certe donazioni ufficiali hanno qualcosa di troppo or-ganizzato perché si possa scartare, da Hugo a Aragon, qualsiasiidea di messinscena autoriale. Ma piú semplicemente e, ancorauna volta, piú radicalmente, perché gli avantesti di cui dispo-niamo sono per definizione dei manoscritti che i loro autorihanno voluto consapevolmente lasciare dietro di sé, tranne in

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circostanze molto particolari di cui non conosco esempi. Laformula diversamente espressa «Bruciare dopo la mia morte ››ha in questi casi un valore puramente relativo e solo una de-bole probabilità di esecuzione: quando un autore - ad esem-pio Chateaubriand - vuole che uno dei suoi manoscrittiscompaia, sa badarci da solo. Gli avantesti conservati dalla po-sterità sono dunque tramandati dai loro autori, con tutta l'in-tenzionalità associata a un tale gesto, e senza garanzia di esau-stività: nulla resiste alla tecnica dei codicologi ed altri esper-ti, tranne una pagina mancante. In breve, il messaggio obiet-tivo e positivo dell°avantesto deve piuttosto essere riscritto co-sí: «Ecco che cosa l'autore ci ha lasciato sapere sul modo in cuiha scritto questo libro ››, Da << lasciar sapere ›› a far sapere, c”èsolo un piccolo passo, e improvvisamente il de /'are reinvestecon forza il de facto: per visitare una « fabbrica», bisogna pureche la fabbrica esista e che qualcuno l'abbia aperta.

Una volta fatte queste riserve - sull'assoluta veridicitàdell'avantesto, ma no, proprio al contrario, sul suo valore pa-ratestuale -, e tenuto conto dell'ancora tenera età della disci-plina chiamata «critica genetica ›› ` e della mia debole compe-tenza in un campo molto tecnico in cui Pimprovvisazione nonè di moda, possiamo ora, mi sembra, tracciare una specie di in-ventario dei tipi di documenti suscettibili di entrare in un dos-sier di avantesti. Fonti ipotestuali come il processo Berthet peril Rouge, ola cronaca Farnese per la Chartreuse; aneddoti, spe-cie di ipotesti orali, come quelli spesso raccolti dai Carnets diJames; documenti preparatori, come i fitti appunti di letturadi Flaubert per la Tentation, per Salammbô o per Hérodias, ole indagini sociologiche di Zola (<<I miei appunti su Anzin›› perGerminal, e altri); schemi programmatici, come quelli dellostesso Zola, con uno statuto intermedio tra avantesto e diario,poiché spesso assomigliano piú a una propria tabella di mar-cia (« Procedere in questo o quel modo ››) che non a un effet-tivo abbozzo; progetti e scenari, sia preparatori, sia ricapito-

' Cfr. tra l'altro, per i principi metodologici generali, Bellemin-Noël,Le Texte et L'Auant-texte, Larousse, Paris 1972; il numero 28 di «Littérature»(dicembre 1977): Genêse da texte; la raccolta collettiva Essais de critique géné-tique, Flammarion, Paris 1979; L. Hay, Le texte n'existe pas, in «Poétique»,aprile 1985; A. Grésillon e M. Werner (a cura di), Leçons d'écriture: ce quedisent les manuscrits, Minard, Paris 1985, senza contare gli studi particolari(molto piú numerosi).

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lativi in corso di redazione; «documenti finzionali›› (su que-sto tornerò a proposito di Zola); vere e proprie «brutte copie»,cioè stadi della redazione, spesso molto numerosi perfino perlo stadio finale, come vediamo in Flaubert o Proust, compresele numerose pagine ulteriormente lasciate da parte (vedi la«nuova versione›> di Madame Bovary edita sulla loro base daPommier e Leleu); manoscritti autografi o di copista, e oggidattilogrammi o dattiloscritti; bozze di stampa piú o meno cor-rette, piú questa categoria speciale di avantesti che propongodi chiamare post-testi ', e che vedremo in seguito. Questa li-sta molto empirica probabilmente non è esaustiva, e penso chele tecniche moderne abbiano cominciato ad aggiungervi qual-che elemento per me ancora misterioso. Se fosse completa,questa lista permetterebbe sicuramente di concepire una tipo-logia delle pratiche avantestuali, in cui ogni autore (e a volteogni opera) si caratterizzerebbe attraverso le sue scelte, deli-berate o istintive. Per fare qualche esempio già noto, diciamoche Balzac si caratterizza, tra l'altro, per l'uso eccessivo del-le correzioni sulle bozze; Stendhal per la presenza a marginedi commenti esplicativi definiti «da impalcatura›> o «da pala-fitta››, e accuratamente classificati for me, tra i quali il piú ce-lebre è, ahimè, questa risposta autoriale a Mme de Chastellerche si domanda da dove gli venga l'orribile idea di portarsi allelabbra la mano di Lucien: << Dalla matrice, mia piccola! ›>; Zola,per quello che Henri Mitterand descrive ' come un «disposi-tivo quasi immutabile ›>: abbozzo programmatico, appunti do-cumentari, «documenti finzionali›› (liste di titoli possibili o dinomi di luoghi e di personaggi), un piano sommario dell'insie-me, e alcuni piani dettagliati capitolo per capitolo (ciò che sem-bra qui mancare è la parte degli stadi redazionali multipli, co-me se Zola, una volta preparato il terreno, scrivesse di gettoe senza cancellature); James, a giudicare dai soli Notebooks perun lento lavoro di amplificazione dall'aneddoto iniziale, dimo-tivazione psicologica, di scelte tecniche molto meditate (<<pun-to di vista››, persona, ripartizione delle scene drammatiche edei riassunti narrativi), e per concludere, di redazione spessocosí sottile e «indiretta» da finire per confondere nell'allusi-

' In francese après-textes [N. d. T.].2 H. Mitterand, Programme et préconstruit génétique: le dossier de «L'As-

sommoir», in Essais de la critique génétíque cit.

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vo e nell'evanescente una grande parte della costruzione psi-cologica intermedia; Proust, infine, per un processo indefinitodi gonfiamento e di <<supernutrizione ››, con grande rinforzodi aggiunte e correzioni alle bozze e di «paperoles ›› ', di unatrama narrativa concepita fin dall'origine in grandi linee, e at-traverso un gioco incessante di spostamenti e di trasferimenti,pagine erratiche in tutte le direzioni che costituiscono la dispe-razione degli editori e degli studiosi di genetica. Per un testopiú breve, La ƒahrique du pré è un esempio di un'evoluzionesenz'altro piú specifica, e forse piú tipica del «metodo creati-vo›› di Ponge 1: da agosto a ottobre 1960, una serie di bozzet-ti naturalistici; in ottobre, consultazione del Littré, ricerca dietimologie e di omofonie; il 12 ottobre, un'osservazione diPhilippe Sollers introduce la formula presa in prestito da Rim-baud, «il clavicembalo dei prati ››, diversamente integrata nelleversioni di novembre-dicembre; poi interruzione di due annifino a una nuova serie durante l'inverno 1962-63; nuova in-terruzione fino all'inverno seguente, poi in maggio-giugno1964, ultima campagna (la versione finale sarà pubblicata nel1967 in Le Nouveau Recueil).A questi dossier genetici, lo studio dei quali è senza il mi-

nimo dubbio destinato ad ampliarsi, bisogna aggiungere quellidelle opere incompiute ”, delle quali possediamo solo gli avan-testi senza una conclusione precisa e determinata, come Lu-cien Leuwen, Lamiel, Bouvard et Pécuchet, 1°/lmerika di Kaf-ka o DerMann ohne Eigenschaƒten (L 'uomo senza qualità), e adire il vero tutta la Recherche dalla Prisonniêre in poi. Per que-sti testi l'edizione è ampiamente congetturale e la pratica deglieditori si orienta progressivamente verso una maggiore fedeltàal manoscritto allo stato bruto. L'episodio piú recente (e piúdeviante) in questa evoluzione è la pubblicazione, nella prima-

' Molto spesso introdotti con una formula introduttiva che diventa unaspecie di tic: « Capitale, quando dico... ›› (o «Quando faccio...››, poiché l'z`o,ancora una volta, designa tanto l'eroe quanto l'autore: «Da mettere quandoincontro Bloch...››), il cui uso sistematico produce una superlativizzazione(capitalissime, capitalissime, issime, issime) che distoglie dal vedervi una consi-derazione spesso molto significativa.

1 Un altro dossier di avantesto di F. Ponge, Comment une figue de paroleset pourquoi, Flammarion, Paris 1977, è attualmente molto meno utilizzabile,dato che la maggior parte delle versioni si presenta senza data.

° Cfr. L. Hay (a cura di), Le manuscript inachevé, CNRS, Paris 1986.

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vera 1986, di un'« edizione ››' di The Garden ofEden, 247 pa-gine tratte da Tom Jenks da un dattilogramma di 15oo pagi-ne trovate nel 1961 tra le carte di Hemingway. Ma dato chequesto manoscritto è certamente conservato da qualche par-te, resta del pane per i denti per gli studiosi di genetica, e laprospettiva di un'edizione, probabilmente meno leggibile, mapiú istruttiva, sui sentieri, e i vicoli ciechi, della creazione let-teraria.

Un ultimo tipo di avantesto consiste, come ho già accenna-to, nelle revisioni e correzioni a un testo già pubblicato; è que-sta la ragione per la quale parlo qui di «post-testi››, ma va dasé che questo post di un”edizione è (o si propone di essere) l'a-van di un'edizione ulteriore. Quando queste correzioni ven-gono utilizzate con l'autore ancora vivente per una nuova edi-zione antuma, l'ultimo testo autenticato in genere diventa «il»testo ufficiale dell'opera e le versioni precedenti vengono con-servate solo in quanto varianti, tranne i casi (per serie ragio-ni, estetiche o altro) in cui talvolta si riedita la versione origi-nale, come è stato fatto per Le Cid, per Oherrnan o per La viede Rancé 1. Quando lo scrittore scompare prima di aver potu-to procurare una nuova edizione, se le sue correzioni sono sta-te fatte con cura e determinazione, gli editori postumi ne ten-gono conto. Questa situazione ci riporta al caso precedente:si vedano le addizioni di Montaigne, tra il 1588 e il 1592, sullacopia chiamata di Bordeaux, o le modificazioni di Balzac, do-po il 1842, sulla sua copia dell'edizione Furne: questa edizione«Furne corretta›> è oggi alla base di tutte le edizioni serie dellaComédie humaine. Ma altre correzioni dopo la pubblicazionesi rivelano piú confuse, meno decise, e nulla prova che l'autorele avrebbe rispettate. In questo caso gli editori postumi con-servano il testo dell'originale e confinano queste correzionivelleitarie nelle note delle varianti. E tipicamente il caso deitre romanzi compiuti di Stendhal? Armance, il Rouge e la

' Schribner's Sons, New York. ,2 Cfr. P. Corneille, Le Cid, a cura di M. Gauchie, STFM, Paris 1946; E.

Pivert de Sénancourt, Oherman, a cura di A. Monglond, Arthaud, Paris1947; F.- R. de Chateaubriand, La vie de Rancé, a cura di M.- F. Guyard, Gal-limard, Paris 1969.

” In realtà, le prime edizioni postume, a cura di Roman Colomb pressoLévy, in parte integravano queste correzioni; ma le edizioni moderne non lehanno seguite.

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Chartreuse, per i quali possediamo alcune note marginali o in-terfogliate, su esemplari denominati, dal nome del loro colle-zionista, « Bucci ›› le prime due e «Chaper›> la terza'. Le noted'/lrmance dànno, tra l'altro, varie indicazioni circa la gene-si del romanzo e soprattutto un piano molto chiaro che precisaa chiare lettere (ancora una volta) l'impotenza dell'eroe. Quel-le del Rouge riguardano delle correzioni di dettagli, talvoltaconfermate da un commento (« tono troppo disinvolto», macontengono anche dei segni di approvazione (<< very well»). Siale une che le altre costituiscono un commento autoriale. Quelledella Chartreuse sono piú importanti nella loro intenzione, poi-ché cercano, tra l'altro, di applicare i consigli di Balzac, sen-za però riuscirvi: Stendhal appare molto esitante riguardo allaquestione dello stile, che gli sembra «faticoso come una tra-duzione di Tacito ››, ma sempre meglio di quello dei romanzialla moda. Altra esitazione, l'eliminazione dolorosa di un pri-mo capitolo che decisamente gli ricorda troppo un periodo dicui è << innamorato ››. Una nota di importanza capitale confer-ma immediatamente ciò che senza di essa resterebbe un'ipo-tesi di lettura: che Fabrice <<passava per ›> essere il figlio delluogotente Robert. Su questo punto come su quello del <<ba-bilanisme ›› ' di Octave, la pertinenza interpretativa dell'a-vantesto, e piú generalmente del paratesto, è decisiva, malgra-do le denegazioni della critica. Possiamo anche giudicarla sof-focante ed eccessiva: «Armance Evidentemente, quando si hala chiave dell°enigma (tutti la posseggono) si ha un po” l”im-pressione di imbrogliare. Non credo che avrei indovina-to... ›› “_ Sicuramente molti lettori condividono questo tipo discrupolo o di rimpianto, ma - ricordiamolo - esso dipendesolo dal carattere paratestuale di questa «chiave ››. Se Stendhalavesse introdotto nel testo stesso una frase altrettanto chiara,l'ingerenza autoriale sull'interpretazione sarebbe stata altret-tanto indiscreta; e al contrario, se avesse cercato di tenersi persé questa chiave, i lettori non avrebbero avuto nulla da «indo-vinare ››, poiché «Fimpotenza di Octave ››, che oggi tutti con-siderano ingenuamente un « fatto ››, avrebbe avuto la stessa esi-

' Per la Chartreuse esistono altre correzioni e addizioni ulteriori che leedizioni mettono in appendice.

2 Con questo termine Stendhal si riferisce all'impotenza sessuale di Oc-tave [N. d. T.].

* Green, Journal cit., p. 1186.

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stenza dei numerosi figli di Lady Macbeth o del nome dei pro-fessori di Amleto a Wittenberg. Effetti di questo tipo mostra-no comunque, ancora una volta, la fragilità della distinzionetra testo e paratesto.

Ma la funzione paratestuale dell'avantesto non si riduce aquesti aspetti relativamente eccezionali di commento esplica-tivo o valutativo. Piú essenzialmente, essa consiste in una vi-sita, piú o meno organizzata, della « fabbrica ››, in una scopertadelle vie e dei modi in cui il testo è diventato quello che è, di-stinguendo, ad esempio, gli elementi iniziali da quelli che sonosopraggiunti lungo la strada. Lo studio dei manoscritti e del-le bozze di Béatrix permette ad esempio a Maurice Regard'di stabilire come i riferimenti culturali e le << riflessioni intel-lettuali›› vi siano capitate piuttosto tardi, in genere in fase dibozze, «l'essenza del primo getto - ciò che Jean Pommierchiama scrittura spontanea - è fisiologica››. Inoltre, come ab-biamo visto, la cronologia delle versioni del Pre' (supponendoclie nella Fahrique du Pré sia esatta) mostra come il ricorso allasuggestione del lessico (pre'< paratus) e dell'intertesto (il <<cla-vicembalo dei prati ››) non sia minimamente originario e inter-venga solo dopo una lunga fase di osservazione «realista››: la«considerazione delle parole ›› dopo il << partito preso delle co-se ››, Lo studio dei manoscritti di Proust mostra ad esempio chei nomi definitivi dei personaggi della Recherche il piú delle vol-te sono adottati solo nell'ultima fase, e non possono dunquesvolgere il ruolo scatenante che gli viene talvolta attribuito 1.Non riesco a immaginare in che modo un'interpretazione cri-tica che ignori questi dati possa legittimamente concepire inognuno di questi casi una genesi opposta. E invece evidenteche Pinterpretazione deve utilizzare con prudenza le versio-ni dei testi antichi o i commenti precoci che possono presen-tare delle intenzioni in seguito abbandonate: se uno scenariodel gennaio 1895 per The Turn ofthe Screw (pubblicato tre an-ni piú tardi) sembra risolvere la questione lasciata accurata-mente aperta dal testo finale (la realtà o meno dell'apparizione

' H. de Balzac, Béatrix, a cura di M. Regard, Garnier, Paris 1962, pp.463-64-

' R. Barthes, Proust et les noms (1967), in Le degré zéro de l 'e'crz'ture, segui-to da Nouveaux Essais critiques, Seuil, Paris 1972.

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dei fantasmi), nulla prova che James non abbia nel frattempocambiato idea '. Ciò che è piú antico non dice necessariamen-te la verità su ciò che è piú recente, e l'analisi genetica retro-spettiva non deve arrivare a imporre una sorta di privilegio er-meneutico all'origine. Significherebbe sostituire al vecchio fe-ticismo finalista dell'« ultimo stadio» considerato come con-clusione inevitabile, e quindi per definizione superiore, unnuovo feticismo ancora meno fondato, una sorta di culto ar-caizzante dell'Ur-Suppe letterario.

Poiché il piú importante, ma anche il piú ambiguo degli ef-fetti dell'avantesto è forse il modo in cui, circondando il testo«finale ›› con tutta la massa, a volte enorme, dei suoi stadi pre-cedenti, lo studio genetico confronta ciò che è con ciò che fu,con ciò che avrebbe potuto essere, con ciò che stava per diven-tare, contribuendo cosí a relativizzare, come aveva auspicatoValéry, la nozione di compimento, a confondere la troppo fa-mosa « chiusura ››, e a desacralizzare la nozione stessa di Testo.Pur essendo la formula di Jacques Petit, a sua volta forse trop-po famosa, << Il Testo non esiste ››, nient'altro che una provo-cazione, si tratta però di una provocazione sicuramente salu-tare per il suo avvertimento, e cioè che l'opera è sempre piúo meno in progress, e che l'arresto di questo processo comportasempre, come la morte, in parte un incidente.

Un'ultima parola sulla specificità dell'epitesto in genere,pubblico o privato: anche questa specificità è del tutto relati-va, poiché il messaggio epitestuale ha spesso lo stesso conte-nuto di quello del peritesto, che talvolta sostituisce (un'inter-vista in guisa di prefazione), e talvolta raddoppia con un com-mento autoriale ampiamente ripetitivo (vedi Borges). La dif-ferenza essenziale in realtà consiste nella scelta del canale, edunque (per attenuare la vecchia formula, anch'essa provoca-toria, di McLuhan) gran parte del messaggio, nella natura delmedium. Relativa anche perché il ricorso alla via (o alla voce)epitestuale è molto spesso provvisorio: nelle opere maggioriche hanno diritto al favore della posterità, le edizioni postu-me tendono sempre di piú, come abbiamo già osservato, a in-tegrare al peritesto la parte piú significativa, se non addirittura

1 Questa riserva non vale nel caso di Armance, in cui le «rivelazioni» pri-vate sulla condizione di Octave sono posteriori alla pubblicazione.

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la totalità dell'epitesto pubblico e privato originale. In modoche il peritesto postumo diviene progressivamente il ricetta-colo, il museo, della totalità del paratesto, qualunque sia statala sua ubicazione primitiva. Come diceva Valéry: «Tutto fi-nisce alla Sorbona››, e questo, diciamolo in aggiunta alla mo-desta fama della vecchia signora e delle sue giovani sorelle, nonè esattamente una fine, ma un eterno inizio: tutto sopravvi-ve, o resuscita, «in programma ››. Oggi potremmo aggiungerevolentieri, con la stessa antonomasia e esagerazione: << Tuttofinisce alla Pléiade» (spesso è la stessa cosa): testo, avantestoe paratesti di tutti i tipi. Il cerchio si chiude: iniziata dall'edi-zione, la nostra inchiesta ritorna all'edizione. Il destino ulti-mo del paratesto è di raggiungere prima o poi il suo testo, perfare un lihro.

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Conclusione

Non posso nascondere che questo percorso, pur essendostato cosí lungo e, temo, cosí massacrante, non è minimamenteesaustivo, come del resto non ha mai preteso di essere. Nonsolo ogni capitolo non fa che sorvolare il suo oggetto restan-do al livello molto generale di una tipologia - la quale per laverità altro non è che un'introduzione e un'esortazione allostudio del paratesto - ma anche l'inventario degli elementiresta incompleto. Alcuni di questi devono essermi certamentesfuggiti per la mancanza di attenzione e di una sufficiente in-formazione, ad esempio, circa le pratiche delle culture extraeu-ropee. Altri ancora, non molto comuni, li conosco troppo va-gamente per potermi permettere uno studio veramente signi-ficativo. Alcuni elementi di paratesto documentario, ad esem-pio, sono talvolta annessi, con o senza intenzione ludica, a del-le opere di finzione: Oherman presenta una specie di indicetematico denominato « Indicazioni ›› e disposto in ordine alfa-betico (Agiatezza, Amicizia, Avversità...); Moby Dick iniziacon un folto dossier documentario sulla balena in tutti i suoiaspetti; Bech: A Book termina con una bibliografia immagina-ria delle opere dell'eroe e degli studi che lo riguardano (attri-buiti apocrificamente a critici reali); l'« annesso ›› alla Vie moded 'emploi contiene una pianta del palazzo, un indice delle per-sone e dei luoghi, dei <<lr1iferimãnti croncåolgici», una lista degliautori citati, e un «ric ramo 1 a cune e e storie raccontatein quest”opera». Alcune opere romanzesche come Les Rougon-Macquart, Henry Esmond, Ada o Roman Roi presentano un al-bero genealogico` composto dall'autore stesso. Faulkner ha

' In realtà, Les Rougon-Macquart ne presentano due, uno pubblicato nel1878 con Une page d'amour, l'altro nel 1893 con Le Docteur Pascal, che mo-stra l'evoluzione del sistema. Cfr. E. Zola, Les Rougon-Macquart, V, Galli-mard, Paris 1967, pp. 1777 sgg.

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disegnato per il Portable Faulkner del 1946 una carta della con-tea di Yoknapatawpha, e Umberto Eco una pianta del mona-stero del Nome della rosa. Altri, piú comuni, hanno solo un va-lore di annuncio, come una lista delle dramatis personae nelleopere teatrali (ma anche alcuni romanzi come Green Hills ofAfrica imitano questa pratica), che comprende fin dall'epocaclassica un°utile indicazione di luogo, e spesso, ai nostri giorni,una non meno preziosa menzione della prima distribuzione;Beaumarchais vi aggiunge varie indicazioni sull°abbigliamento,e importantissimo, sui caratteri: tutti conoscono almeno quellidel Mariage de Figaro.

Ho lasciato inoltre da parte tre pratiche la cui pertinenzaparatestuale mi sembra innegabile; ma d°altra parte lo studiodi ciascuna di esse avrebbe richiesto forse la stessa mole dila-voro dell'insieme qui trattato. La prima è la traduzione, in par-ticolare quando viene piú o meno riveduta o controllata dal-l'autore, come fece Gide con Groethuysen, per la versione te-desca delle Nourritures terrestres, e a maggior ragione quandone è responsabile l'autore stesso, secondo la pratica abitualedi uno scrittore bilingue. E il caso ad esempio di Beckett, ognitraduzione del quale costituisce in un modo o in un altro uncommento ' del testo originale. La seconda pratica, di tutt'al-tro genere, è la pubblicazione' in feuilleton, che viene fattageneralmente risalire a Robinson Crusoe, ma che si è diffusaampiamente a partire dal 1836 ', e che si è mantenuta fino adoggi, con qualche vicissitudine. I tagli e le eliminazioni ope-rate in questa occasione sul testo non hanno sicuramente sem-pre la benedizione dell'autore, che a volte se ne lamenta, mala descrizione particolareggiata delle negoziazioni merita di es-sere osservata da vicino; lo hanno fatto, in particolare per laFrancia, gli specialisti di Balzac” e di Zola; manca però, amia conoscenza, uno studio storico d”insieme di questo feno-

' Commento però da usare con precauzione, poiché il diritto all'infedeltàè un privilegio autoriale.

2 Di norma si tratta di una prepubblicazione, ma un libro può ugualmentepassare in feuilleton dopo essere apparso in libreria. Fu esattamente il caso diCrusoe nel 1719, e sappiamo che Les caves du Vatican, uscito nel 1914, venneripreso nel 1933 nell'<<Humanité», dopo che Vaillant-Couturier aveva un po'forzato la mano all'autore.

3 Il primo romanzo francese pubblicato in feuilleton sarebbe stato, nella« Presse ››, La Vieillefille di Balzac.' Cfr. R. Guise, Balzac et le Roman-Feuilleton, Plon, Paris 1964.

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meno che è di estrema importanza, se si pensa che da un secoloe mezzo centinaia di scrittori, fra cui alcuni dei maggiori, han-no accettato gli inconvenienti di un tale sistema, che spessoconsisteva all'inizio nel presentare un testo sfigurato, in attesadella sua pubblicazione in volume `.

La terza pratica costituisce da sola un immenso continen-te: è quella dell'illustrazione, che risale almeno alle capilette-ra e alle miniature medievali, il cui valore di commento, tal-volta molto forte, implica una responsabilità dell”autore, nonsolo quando è lui stesso a procurarle (Blake, Hugo, Thackeray,Cocteau e molti altri) o quando le ordina con precisione (co-me nel caso dei «soggetti delle stampe ›› di Rousseau per LaNouvelle Héloise, raccolta di istruzioni la cui vivacità evoca-trice non viene sempre uguagliata dall'esecuzione dell'inciso-re), ma, piú indirettamente, ogni volta che ne accetta la pre-senza. Sappiamo che autori come Flaubert o James rifiutavanoquesta pratica per principio, o perché temevano una visualiz-zazione infedele, o perché si opponevano a qualsiasi tipo divisualizzazione 2. Tutti questi atteggiamenti indicano un sen-timento molto vivo da parte dell°autore circa la capacità para-testuale, bene o male accolta che sia, delle illustrazioni. Pertrattare questa questione in tutta la sua ampiezza, ci vorreb-be non solo Pinformazione storica che mi manca, ma ancheuna competenza tecnica e iconologica (si pensi alle vignette eai frontespizi dell”epoca classica) che mi mancherà sempre. Euno studio che ovviamente eccede i mezzi a disposizione delsemplice «letterato ››.

Lo stesso vale, e a maggior ragione, per lo studio del pa-ratesto al di fuori della letteratura. Poiché se vogliamo ammet-tere questa estensione del termine ad aree in cui l'opera nonconsiste in un testo, è evidente che altre arti, se non addirit-tura tutte, presentano un equivalente del nostro paratesto: èil caso del titolo in musica e nelle arti plastiche, della firma in

' Sappiamo però che delle edizioni pirata, generalmente effettuate in Bel-gio, e dette préƒaçons, mettevano spesso in circolazione volumi composti con itesti del feuilleton. Cfr. P. van der Perre, Les préfaçons belges, Gallimard, Pa-ris 1941.' Questa seconda posizione è quella di Flaubert, che l'ha espressa piú vol-

te nel modo piú assoluto, essendo fondamentalmente «il nemico nato dei testiche spiegano i disegni e dei disegni che spiegano i testi, la mia convinzione èsu questo punto radicale e fa parte della mia estetica ›› (a A. Baudry, 1867 o1868).

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pittura, dei titoli di testa al cinema, e di tutte le occasioni dicommento autoriale che offrono i cataloghi di un'esposizione,le prefazioni delle partizioni (si pensi all”Avant-propos del 1 841per Les Années de pêlerinage di Liszt), le copertine dei dischi,ed altri supporti peritestuali o epitestuali: tutto ciò sarà ogget-to di altre indagini parallele `.

In realtà non ho molti rimpianti per queste lacune provvi-sorie poiché mi sembra che uno dei rischi metodologici impli-citi in un oggetto cosí multiforme e tentacolare come il para-testo sia proprio la tentazione imperialista di annettere a que-sto oggetto tutto quello che gli si accosti o che potrebbe even-tualmente appartenergli. Benché ogni studio (e ogni discorso)sottenda il desiderio di giustificare il suo oggetto amplifican-dolo, mi sembra tuttavia piú sano e metodologicamente piú ef-ficace reagire al contrario e, come ho detto a proposito dellanota, applicare il principio occamiano d'economia che impe-disce il moltiplicarsi senza importanti ragioni degli «oggettiteorici». Dato che il paratesto è una zona di transizione fra iltesto e l'extra-testo, bisogna resistere alla tentazione di allar-gare questa zona scavando da una parte all'altra. Il carattereindeciso dei limiti non impedisce al paratesto di avere al suocentro un territorio proprio e incontestabile, costituito dall'in-sieme degli elementi che abbiamo appena esplorato e qualchealtro, dove si manifestano chiaramente le sue «proprietà ››. Aldi fuori di questo territorio ci guarderemo dal proclamare allaleggera che «tutto è paratesto››.

La proprietà piú essenziale, l'abbiamo dimostrato ripetu-te volte, ma voglio insistervi ancora per concludere, è il carat-tere funzionale. Qualunque sia la sua intenzione estetica, loscopo principale del paratesto non è quello di «abbellire ›› il te-sto, ma proprio di assicurargli una sorte conforme al disegnodell'autore. A tal fine, esso costituisce tra l'identità ideale, erelativamente immutabile 2, del testo e la realtà empirica(socio-storica) del suo pubblico, se mi sono concesse queste im-

' Cfr. F. Escal, Le titre de l'a:uvre musicale, e Ch. Dala, La signature à lalettre et au figure', entrambi in «Poétique››, LXIX (1987).

Z Molto relativamente, ovviamente, e molto diversamente: si pensi aquelle opere del medioevo che non presentano mai due testi rigorosamente si-mili. Ma questa mouvance del testo (Zumthor) non ha rapporto con quella delpubblico, che giustifica quella del paratesto.

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magini approssimative, una specie di chiusa che permetta aquesti due mondi di restare allo stesso livello, o, se preferia-mo, un compartimento stagno che aiuti il lettore a passare sen-za troppa difficoltà respiratoria da un mondo a un altro, ope-razione a volte delicata, soprattutto quando il secondo si trovaad essere un mondo di finzione. Essendo immutabile, il testoè di per sé incapace di adattarsi alle modificazioni del suo pub-blico, nello spazio e nel tempo. Piú flessibile, piú versatile,sempre transitorio perché transitivo, il paratesto è una speciedi strumento di adattamento: da qui le modificazioni costantidella «presentazione» del testo (cioè della sua modalità di pre-senza nel mondo), a cura dell”autore prima, e dei suoi edito-ri postumi, volenti o nolenti, poi.

La pertinenza qui accordata al disegno dell'autore, e dun-que al suo «punto di vista», può sembrare eccessiva, e meto-dologicamente molto ingenua. In realtà essa è imposta dall'og-getto, il cui funzionamento si basa completamente, anche sea volte non lo ammette, sul semplice postulato che l'autore«sappia meglio ›› cosa si debba pensare della sua opera. Non sipuò viaggiare nel paratesto senza imbattersi in questa convin-zione, né in un certo senso senza assumerla come uno degli ele-menti della situazione, come farebbe un etnologo nei confrontidi una teoria indigena: l'esattezza del punto di vista autoria-le (e, accessoriamente, editoriale) è il credo implicito e l'ideo-logia spontanea del paratesto. Questa opinione, condivisa qua-si senza riserve durante i secoli, è oggi, come sappiamo, attac-cata per ragioni molto diverse. In questa situazione, un certoformalismo (<< Non esiste un vero significato di un testo ››) euna certa psicanalisi («Esiste un vero significato che l'autorenon può sapere ››) formano paradossalmente una coppia quasiperfetta. Personalmente, questo dibattito mi lascia molto per-plesso, se non addirittura indifferente, ma non mi sembra co-munque necessario entrarvi in questo contesto: valido o me-no, il punto di vista dell'autore fa parte della pratica parate-stuale, la anima, la ispira, la fonda. Di nuovo, il critico non ètenuto a sottoscrivervi; voglio semplicemente dire che, cono-scendolo, egli non può assolutamente ignorarlo, e che, se vuolecontraddirlo, deve innanzitutto integrarlo. Varie volte ho ri-cordato la forza di intimidazione ermeneutica contenuta nelsemplice titolo Ulysses, e suggerivo che un lettore che ignori

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CONCLUSIONE 403

questo titolo non riuscirebbe a «indovinare ›› il riferimentoomerico di questo romanzo, cosí come Julien Green nonavrebbe indovinato, senza la presenza di una certa chiave, il«vero›› tema di Armance. Lo leggerebbe in modo diverso, equesto avverbio non implica per me nessun giudizio di valo-re (Borges, se non sbaglio, considerava questo riferimento ar-tificioso e inutile). Ma questo lettore non esiste, e a parte un'e-sperienza - essa stessa artificiosa - alla Condillac, esso nonpuò esistere. In un certo modo, tutta la tesi (se di tesi si trat-ta) del nostro studio riposa su questa evidenza; e tutto il suoinsegnamento (stessa riserva), su questo consiglio alla Wittgen-stein, che ne deriva: è meglio conoscere ciò che non possiamoignorare, e cioè: riconoscerlo, e sapere di conoscerlo. L'azio-ne del paratesto equivale molto spesso a un'influenza, se nonaddirittura a una manipolazione, che viene subita in modo in-conscio. Questo modo di agire va indubbiamente nell”interessedell'autore, non sempre del lettore. Per accettarlo, ma ancheper rifiutarlo, è meglio percepirlo fino in fondo. Tale conside-razione dovrebbe bastare, spero, a giustificare se non questostudio del paratesto, almeno un altro, o qualche altro, che po-trà essere favorito dalle insufficienze della presente indagine.

Dal fatto che il paratesto svolge sempre una funzione nonconsegue necessariamente che la svolga sempre bene. Alcunianni di frequentazione mi hanno almeno convinto di un fat-to che non era affatto ovvio a priori, e che è la grande coscien-za professionale con la quale gli scrittori eseguono il loro com-pito - alcuni direbbero la loro corvée - paratestuale. Contra-riamente all'impressione che qualche atteggiamento troppocompiacente potrebbe dare, la maggior parte di questi scrit-tori non sono particolarmente interessati a un successo faci-le o immediato, ma a quello, piú fondamentale e piú «nobile ››,della loro opera, secondo l'idea che se ne fanno. Il principaleostacolo all'efficacia del paratesto in genere non dipende daun”incomprensione dei suoi fini, ma piuttosto da quell'effettoperverso che abbiamo incontrato varie volte con il nome fan-tasioso di efletto Jupien: come tutti gli intermediari, il paratestotende a volte a travalicare la sua funzione e a diventare unoschermo, e dunque a giocare la sua partita a scapito di quelladel suo testo. L'antidoto a questo pericolo è evidente, e moltidi questi autori sanno utilizzarlo: andarci piano. In realtà, lostesso principio vale, o dovrebbe valere per l'autore come per

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il lettore, e viene riassunto da questo semplice slogan: atten-zione al paratesto!

A mio parere non ci sarebbe nulla di piú fastidioso che so-stituire a un certo idolo del Testo chiuso - che ha regnatosulla nostra coscienza letteraria per uno o due decenni, e chela concezione del paratesto, come abbiamo visto, contribuiscea destabilizzare - un nuovo feticcio, ancora piú inutile, chesarebbe quello del paratesto. Il paratesto non è altro che un au-siliario, un accessorio al testo. E se il testo senza il paratestosi trova ad essere talvolta come un elefante senza cornac, po-tenza inutilizzabile, il paratesto senza il suo testo è un cornacsenza elefante, un potere inutile. Perciò il discorso sul parate-sto non deve mai dimenticare che il suo oggetto è un discor-so che ha, a sua volta, come oggetto un discorso, e che il signi-ficato del suo oggetto dipende dall'oggetto di questo signifi-cato che è a sua volta un significato. Una soglia non può cheessere attraversata'.

* Post-scriptum del 16 dicembre 1986: come il postiglione di Walter Scottche chiede la mancia, approfitto di quest'ultimo spazio di comunicazione persegnalare due opere, indubbiamente importanti, delle quali vengo a conoscen-za solo al momento di consegnare queste bozze: M. Di Fazio Alberti, Il titoloe la funzione paraletteraria, Eri, Torino 1984; e A. Rothe, Die literarische Titel.Funktionen, formen, geschichte, Klostermann, Frankfurt am Main 1986; e duearticoli: L. Mailhot, Le métatexte camusien: titres, dédicaces, épigraphes, prefa-ces, in Cahiers Albert Camus, V. Albert Camus, cruvre ƒermée, aeuvre ouverte?,Gallimard, Paris 1985, e J.-L. Chevalier, La citation en épigraphe dans «Tris-tram Shandy», in L 'Ente et la Chimêre, Università di Caen 1986. E per aggiun-gere alla lista, p. 361, dei titoli ispirati a quello di Raymond Roussel, il super-bo Pourquoi je n 'ai écrit aucun de mes livres, di Marcel Bénabou, Hachette, Pa-ris 1986.

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Postfazionedi Camilla Maria Cederna

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«Una soglia non può che essere attraversata ››, .. Soffermia-moci qualche minuto ancora su questa soglia terminale, macerto non ultima, del saggio di Genette sul paratesto. Alcunequestioni sembrano rimaste in sospeso. Come leggeremmo l'U-lysses di Joyce se non si intitolasse Ulysses? In che senso tito-li, prefazioni, dediche, epigrafi, note, diari intimi, avantestie post-testi, corrispondenze, nome dell'autore, scelte tipogra-fiche, copertina e annessi, influenzano, se non addirittura de-terminano la nostra percezione di un testo letterario? Interro-gativi che dànno l'impulso iniziale al saggio di Genette, e cheal tempo stesso lo concludono, o per la verità lo aprono ad ul-teriori indagini, ulteriori riflessioni. Malgrado la sistematicitàdell'analisi condotta sul filo di una minuziosa tassonomia, l'og-getto teorico posto da Genette è particolarmente complessoe sfuggente. Lo spostamento dei suoi confini spazio-temporalie i continui slittamenti del suo profilo pragmatico e funzionalecontribuiscono in modo determinante all'arbitrarietà dell'im-presa. Frangia del testo che esiste solo in virtú di una decisionemetodologica; area di transizione o meglio di transazione trail dentro e il fuori, soglia o, per citare ancora un'altra metafora,chiusa tra la realtà socio-storica del lettore e quella «relativa-mente immutabile e ideale ›› del testo, il paratesto è soprattuttoil luogo privilegiato dell°istanza autoriale. E qui che l'autore,direttamente o indirettamente, manifesta la propria « autori-tà» nei confronti del testo e della sua interpretazione.

La centralità assunta dalla figura dell”autore nell'investiga-zione sul paratesto ridefinisce, per molti aspetti, l'attuale cri-tica genettiana in opposizione ad una concezione del testo edella scrittura espressa in parte dalla critica angloamericana tra

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la prima e la seconda metà del secolo e dallo strutturalismofrancese ed europeo degli anni ”6o e, piú recentemente, dal co-siddetto post-strutturalismo. Tratto comune a queste tenden-ze, per il resto profondamente diverse tra loro, l'esclusionedall'orizzonte interpretativo di parametri estrinseci al testoletterario, come l'intenzione dell'autore o il suo contestostorico-biografico.Il saggio di Genette non vuole semplicemente riproporre

Pintenzionalità autoriale come criterio per giudicare la validitàdell'interpretazione. Esso muove piuttosto da considerazio-ni pragmatiche sulla scrittura e sulla lettura, tese a mettere ra-dicalmente in discussione l'autonomia del testo. Punto di par-tenza dello studio del paratesto è infatti la constatazione chenessun lettore può eludere, o di fatto elude, il discorso auto-riale espresso nel paratesto.

Possiamo intravedere nell'evoluzione della concezione cri-tica di Genette il profilo variabile ma ininterrotto di un dia-logo con la tradizione critica anglosassone. Tale dialogo attra-versa in parte anche il saggio sul paratesto, malgrado esso im-plicitamente si opponga ad alcuni canoni critici formulati dallateoria letteraria di Th. S. Eliot, I. A. Richards, René Wellek,William Wimsatt e dei new critics, tra gli altri. Ed infatti i pro-blemi sollevati da questi critici sono restati a lungo al centrodel dibattito che, dagli anni '5o in poi, ha contribuito all”ela-borazione di un'estetica all”interno della filosofia analiticaanglosassone'. Un'estetica che nella produzione teorica degliultimi anni appare caratterizzata dalla convergenza tra pensie-ro analitico, incentrato sull'analisi del linguaggio ordinario nel-la direzione tracciata dal secondo Wittgenstein, e pensiero eu-ropeo (<< continentale ›>), segnato dallo sviluppo della problema-tica kantiana circa la natura dell'esperienza estetica; come ve-dremo in seguito, è con questi esiti piú recenti dell'esteticaanalitica e quindi con gli orientamenti da cui tale estetica pren-de l'avvio che l'attuale riflessione teorica di Genette viene ine-vitabilmente a confrontarsi.In quest'ambito, la posizione assunta da Richards è parti-

colarmente significativa. Da considerazioni analoghe a quel-

I Si veda il saggio introduttivo di Danielle Lories alla sua edizione di Phi-losophie analytique et esthétique, Klincksieck, Paris 1988.

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le di Genette circa l'incidenza degli elementi contestuali sullaricezione di un'opera, il critico inglese era giunto, negli anni'zo e ' 3o, a conclusioni diametralmente opposte. Le sue ipo-tesi sull'inadeguatezza di un'interpretazione ancora dominatadai criteri della critica «impressionistica ›› e biografica, lo spin-sero a organizzare il singolare esperimento descritto in Prac-tical Criticism (1929). L'esperimento consisteva nel sottoporrealcune poesie, private di ogni riferimento paratestuale, a uncampione rappresentativo di studenti universitari per valutar-ne la competenza critico-letteraria. I risultati, definiti «disar-manti››, mettono in evidenza le insormontabili difficoltà in-contrate dagli studenti nella lettura di testi cosí decontestua-lizzati e la loro tendenza a interpretarli in base a una serie diidee preconcette sulla letteratura. E soprattutto per quanto ri-guarda le presupposizioni contestuali che la prospettiva criticadi Richards viene radicalmente spostata dall'investigazione sulparatesto. Mentre Genette considera puramente illusorio qual-siasi tentativo di sottrarsi a tali presupposizioni, Richards teo-rizza la lettura oggettiva e decontestualizzata come una neces-sità intrinseca.Alcuni anni dopo, nel loro attacco all'illusione romantica

dell'intenzione i due critici William Wimsatt e Monroe C.Beardsley portano le posizioni critiche di Richards a una ra-dicalizzazione. In The Intentional Fallacy ', fondamentalepunto di riferimento teorico del New Criticism, l'intenzioneviene essenzialmente considerata e confutata come criterio divalutazione di un testo e della sua lettura critica. Il successodi un'opera deve infatti essere esclusivamente misurato in basealla sua organicità, che solo una critica oggettiva del work it-self è in grado di determinare. Secondo i due autori, la facol-tà stessa di giudicare e comprendere un qualsiasi oggetto pre-suppone la sua decontestualizzazione: «Per tutti gli oggettidella nostra esperienza, per ogni unità, vi è un'azione dellamente che recide le radici, dissolve il contesto, senza la qua-le non avremmo mai oggetti, idee o qualunque cosa di cui par-lare ›› '. In netto contrasto con le finalità della critica oggetti-va, lo studio dell'insieme di pratiche in cui si trovano espressele intenzioni dell'autore, che Genette definisce, appunto, pa-

In The Verbal Icon, University of Kentucky Press, Lexington 1954.1 Ibid., p. 12.

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4 IO POSTFAZIONE

ratesto, viene cosí confinato alla psicologia, un'area d'indagineessenzialmente esterna al testo.

Per certi versi, alcuni orientamenti critici che caratterizza-no la fase strutturalista di Genette, quella di Figures I, II, III(1966, 1969, 1972) si avvicinano alla critica oggettiva dei teo-rici angloamericani. Ma già in questa fase possiamo individua-re la dialettica fra poetica trascendente e poetica immanenteche, come vedremo, attraversa tutta la sua opera successiva.In Structuralisme et critique littéraire, Genette delinea i tratti

salienti di una critica fondata sul metodo strutturale definitoin quanto metodo d”analisi delle strutture immanenti dell'0-pera. <<In questo senso, - scrive Genette, - lo strutturalismosi associa al movimento generale di ostilità nei confronti delpositivismo, della storia “historisante” e della “illusione bio-grafica”, movimento illustrato, sotto diversi aspetti, dall'operacritica di un Proust, di un Eliot, di un Valéry, dal formalismorusso, dalla “critica tematica” francese o dal “new criticism”anglosassone» '. L'analisi strutturale viene quindi associataalla close reading, la lettura ravvicinata teorizzata e praticatadal new criticism. La prospettiva immanente della critica strut-turalista prefigurata da Genette ne mette al tempo stesso inrisalto la funzione trascendente. L'opera viene infatti consi-derata ~ secondo la definizione di Genette - all'interno delsistema di soggetti e di forme, di topoi, che ne costituisconol'universo culturale e la tradizione in base ai quali il suo sta-tuto viene definito in rapporto ad altri discorsi, generi e pra-tiche artistiche.

Nel saggio che apre Figures II (1969), Genette definisce ilparadigma teorico e gli obiettivi fondanti di una critica <<ve-ramente attuale ››, rapportandosi a quell'ermeneutica testua-le e formalista da cui prenderà nettamente le distanze nel suostudio sul paratesto. Genette sviluppa l'idea, derivata da PaulValéry, di una critica pura avente come obiettivo, non lo stu-dio delle singole opere o degli esseri individuali, ma il raggiun-gimento della loro essenza. Questa tensione verso l'idealità,di cui Genette si appropria riprendendo da Jakobson il concet-to di letterarietà, indica già uno spostamento rispetto alla con-cezione piú rigorosamente formalista del testo-oggetto; tale

1 G. Genette, Figures I, Seuil, Paris 1966 (trad. it. Einaudi, Torino 1988,P- 143)-

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idealizzazione tuttavia è ancora radicata nell'autonomia del te-sto dalle circostanze materiali della sua produzione e, in par-ticolare, dall°istanza creatrice. Analizzando, attraverso Mau-rice Blanchot e Jacques Lacan, uno dei temi centrali della cri-tica di Valéry, il concetto di << genio ››, Genette scrive: «L'au-tore [. . .] non è eflettivamente nessuno [. . .] una delle funzioni dellinguaggio, e della letteratura come linguaggio, è distruggereil parlante e designarlo come assente ›>*. E, citando diretta-mente Blanchot, aggiunge: «Lo scrittore appartiene a un lin-guaggio che nessuno parla, che non si rivolge a nessuno, chqmanca di centro, che non rivela nulla ›› '.

La perdita di autorità e di controllo da parte dell'autore sulsignificato della propria opera è strettamente connessa a unaconcezione del testo come écriture, che Genette deriva da Ro-land Barthes e Jacques Derrida, e che definisce la specificitàdello statuto del testo espressa in Figures II: un testo autono-mo ma al tempo stesso aperto da una scrittura produttiva, pro-liferante, scrittura come significance', scrittura-lettura, luogodella dissoluzione dell'istanza autoriale, dei confini trai gene-ri, tra letteratura e critica.

Le due nozioni di autore e di opera vengono riprese nel sag-gio Critique et poétique contenuto in Figures III, in cui Genettescrive: «Oggi cominciamo ad avvertire come esse siano inter-relate e come ogni forma di critica sia necessariamente impri-gionata nel circolo vizioso del loro reciproco rinvio »'. Uncircolo vizioso che ritroviamo nella definizione della poeticae del suo oggetto, di cui viene messo in rilievo il carattere im-manente e al tempo stesso trascendente: «L'opera (la sua im-manenza) presuppone una quantità di dati che la trascendonoe riguardano il campo della linguistica, della stilistica, della se-miologia, dell'analisi del discorso, della logica narrativa, dellatematica dei generi e delle epoche ecc. >› 5.

' Id., Figures II, Seuil, Paris 1969 (trad. it. Einaudi, Torino 1985, p. 13).' Ibid.J Questo termine verrà impiegato da R. Barthes, De l'aeuvre au texte, in

«Revue d'esthétique››, n. 3 (1971). Possiamo comunque già osservare in Ge-nette il riferimento implicito alla signiƒicance in quanto scrittura produttiva,scrittura-lettura.

^ G. Genette, Figures III, Seuil, Paris 1972 (trad. it. Einaudi, Torino1976, P- sì-

” Ibid.

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4 I 2 POSTFAZIONE

Nella produzione teorica successiva, quella di Introductionà l'architexte (1979), Palimpsestes (1982) e, infine, Seuils(1987), Genette sviluppa quella che potremmo definire una«poetica trascendente». E in questa fase che Genette prendenettamente le distanze dall'idea dell'autonomia del testo allaquale oppone il concetto di trascendenza' testuale. Un con-cetto che - pur essendo già presente in alcuni orientamentiespressi nel periodo strutturalista di Figures - da Introductionà l'architexte in poi, assume un ruolo centrale nell”opera di Ge-nette. Come vedremo, è soprattutto nell'idea di paratestualitàsviluppata in Seuils che va colto un significativo spostamentodella poetica genettiana.In questa fase piú recente della produzione critica di Ge-

nette, il testo viene analizzato nella sua «trascendenza testua-le ›› o transtestualità, nella serie di tutte le possibili relazioni cheesso intrattiene con altri testi e che lo costituiscono. «Per ilmomento, - scrive Genette ' -, il testo [non] mi interessa[che] per la sua trascendenza testuale, cioè tutto ciò che lo mettein relazione, manifesta o segreta, con altri testi. La chiamotranstestualità... ›› In essa Genette include Pintertestualità, nelsenso, attribuitogli da Julia Kristeva ”, di relazione manifesta,come nel caso, ad esempio, della citazione; la metatestualità,che mette in rapporto commento e testo commentato; l'archi-testualità, «relazione di inclusione che unisce ogni testo ai di-versi tipi di discorso ai quali appartiene ›› attraverso i generi ele loro determinazioni tematiche, modali e formali; e infine laparatestualità, qui definita come la relazione di trasformazionee imitazione, di cui sono un esempio il pastiche e la parodia. InPalimpsestes, questo sistema non viene sostanzialmente modi-ficato salvo la trasposizione dellarelazione di trasformazione,che era propria della paratestualità in Introduction a l'archi-texte, alla nuova categoria dell'ipertestualità. La paratestuali-tà viene cosí a designare la relazione, che ritroveremo in Seuils,fra il testo e i « segnali accessorii, autografi o allografi, che pro-curano al testo un contorno (variabile) e a volte un commen-to ufficiale 0 ufficioso [. _ .] e che è indubbiamente uno dei luo-

' Un termine che Genette adotta in modo assolutamente non rigoroso:cfr. Palimpsestes, Seuil, Paris 1982, p. 1o, nota 1.

' Id., Introduction à l'architexte, Seuil, Paris 1979 (trad. it. Pratiche Edi-trice, Parma 1981, p. 69).

' Cfr. in particolare Recherches pour une sémanalyse, Paris 1969.

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ghi privilegiati della dimensione pragmatica dell'opera, vale adire, della sua azione sul lettore ›› *. Le varie relazioni transte-stuali, non piú rigidamente opposte le une alle altre, vengonodefinite in quanto aspetti della testualità e, solo potenzialmen-te, come classi di testi. La citazione, la prefazione, il titolo ola critica, ad esempio, oltre ad essere delle specifiche praticheletterarie sono anche dei generi. A differenza delle sue diversecomponenti, la transtestualità non può essere considerata unaclasse di testi (non esistono testi senza trascendenza testua-le) ', ma esclusivamente un aspetto della testualità e a fortio-ri della letterarietà.

Rispetto agli altri tipi di relazione transtestuale, per i qualila determinazione della letterarietà è sempre relativa ad unostesso universo testuale, la paratestualità - oggetto specificodi Seuils - rappresenta una nuova fase della «poetica trascen-dente» situando il testo nella sua dimensione extratestuale.Genette definisce lo statuto fondamentalmente pragmaticodelle pratiche paratestuali, attraverso le quali il testo viene pre-sentato, rifacendosi in parte alla teoria degli atti linguistici diJ.-L. Austin e John R. Searle. Assunti da un locutore partico-lare, in circostanze spaziali e temporali precise, gli enunciatiche costituiscono il paratesto realizzano una serie di atti, dal-l'ordine al consiglio, dalla rivelazione dell”intenzione autorialealla decisione e all'impegno. Si tratta di enunciati la cui for-za illocutoria definisce in parte anche il loro aspetto funziona-le. L'operazione di Genette viene cosí a collocarsi all'internodi una piú ampia riflessione sull°arte e sulla letteratura che siè sviluppata, negli ultimi anni, dall'incontro tra filosofia ana-litica e << continentale ››, E in questo senso particolarmente si-gnificativo il paradigma teorico offerto da Nelson Goodman,Arthur Danto e Joseph Margolis, alcuni tra i principali rappre-sentanti di questa tendenza. Il loro tentativo di stabilire la spe-cificità ontologica delle opere d”arte si fonda sulla distinzio-ne tra token e type derivata dal modello semiotico di CharlesS. Peirce. Diverse sono le soluzioni adottate da questi autori:Pidentificazione artistica unisce e al tempo stesso distingue l'o-pera da.ll'oggetto fisico particolare (Danto), oppure l'opera vie-ne definita in quanto particolare token di un type «incarnato

1 Genette, Palimpsestes cit., p. 9.2 Ibid., p. 15.

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in un particolare al quale (necessariamente) non è identica››'(Margolis), o in base alla presenza o meno di alcuni << sintomi»logici (Goodman). Senza entrare nei dettagli delle specificheestetiche, vorrei comunque sottolineare un fondamentale trat-to distintivo comune, che consiste nell°importanza accordatadagli autori citati al contesto culturale-istituzionale dell'opera,contesto al quale la speculazione sull'ontologia dell'oggettoestetico non può sottrarsi.In questa direzione, cosí frammentariamente delineata,

sembra svilupparsi lo studio sul paratesto. Discorso subordi-nato e ausiliare, di collegamento tra lettore e testo e di orien-tamento della lettura, il paratesto sposta Finterpretazione daltesto verso i due versanti della produzione e della ricezione.Riproponendo in ambito critico letterario la considerazionedell°istanza autoriale e dei suoi effetti sulla lettura, la parate-stualità viene infatti a rappresentare, rispetto alle altre rela-zioni transtestuali, una piú radicale messa in discussione del-l'autonomia del testo letterario. Attirato e disseminato in ununiverso di pratiche paratestuali, il testo diviene libro, vale adire - riprendendo da Barthes la definizione di opera in op-posizione a testo - prodotto spazialmente e sostanzialmentedefinito, unica ed originale espressione dell'autore-padre'.

Nel momento stesso in cui viene criticamente assunto, il pa-ratesto trasmette la sua fluida instabilità al metadiscorso di cuiè oggetto: pur riguardando essenzialmente la dimensione so-ciale della letteratura, lo studio di Genette implica un ripen-samento critico sullo statuto del testo e dell'interpretazione.Un problema, questo, particolarmente delicato a causa dellamolteplicità e indeterminatezza delle funzioni del paratesto edei suoi altrettanto molteplici e indeterminati effetti sulla ri-cezione. Se, come argomenta Genette, nessuna lettura puòsottrarsi all'autorità dei messaggi piú o meno velati, piú o me-no indiretti, disseminati nel paratesto, la questione relativa alloro statuto rispetto al testo e al modo in cui ne influenzano

1 J. Margolis, La spéciƒicité ontologique des aeuvres d'art, in Lories (a curadi), Philosophie analytique et esthétique cit., p. 215.

' «L`opera viene assunta in un processo di filiazione [...]. L'autore è con-siderato il padre e il proprietario della sua opera; la scienza letteraria quindiinsegna a rispettare il manoscritto e le intenzioni dichiarate dell'autore, men-tre la società asserisce la legalità della relazione dell”autore con l'opera (il “di-ritto d'autore" o “copyright” [...]) ›› (Barthes, De lìeuvre au texte cit., p. 229).

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la ricezione sembra suscitare una serie di ulteriori interroga-tivi che mettono in evidenza l'essenziale circolarità delle rifles-sioni aperte dal paratesto; una circolarità che è strettamenteconnessa all'intreccio tra considerazioni pragmatiche ed altrepiú specificamente «poetiche ››, tratto distintivo della relazioneparatestuale all`interno della poetica trascendente. L'interro-gativo cruciale circa le modalità di lettura del paratesto e del-l'intenzione dell'autore in esso espressa, resta in sospeso. Fon-dandosi sulla pretesa di validità e autorità del messaggio au-toriale, l'ideologia del paratesto - spiega Genette - implicita-mente richiede la sospensione di qualsiasi attività ermeneuticada parte del lettore. Ma quale sia pur minima legittimità -viene a questo punto da chiedersi- può assumere una similerichiesta di interpretazione letterale? Genette stesso d'altraparte afferma piú volte che il lettore non deve necessariamentecondividere il punto di vista autoriale. Tuttavia anche il sem-plice invito di Genette a tenere conto del paratesto in quantotale non implica, forse, al tempo stesso un invito a riconoscer-ne e subirne l'autorità della lettera, vale a dire ad accettarnele tacite condizioni di esistenza?

La tematizzazione di queste difficoltà appare evidente nelladefinizione dell'eƒƒetto-Jupien, effetto paradossale e «perver-so ››, in base al quale il paratesto può venire testualizzato con-traddicendo la richiesta implicita di sospensione di ogni atti-vità ermeneutica. E l'effetto, ad esempio, suscitato dal para-testo finzionale e in particolare la prefazione, che Genetteconsidera la pratica paratestuale piú letteraria. Mentre l'auto-rità della prefazione di Victor Hugo a Cromwell, ad esempio,non è contraddetta da nessun elemento del paratesto, la fin-zionalità di << Templeton ››, o quella di «Gil Blas›>, vengonomesse in evidenza dalle prefazioni tardive di Walter Scott nelprimo caso, e dal nome dell'autore (Lesage) sul frontespizio,nonché da una «dichiarazione dell°autore ››, nel secondo caso.Cosi, le prefazioni finzionali, come quelle di Scott o quelle de-negative di Daniel Defoe a Robinson Crusoe o Moll Flanders -in cui l'autore disconosce la propria paternità del testo presen-tandosi come semplice «editore ›› -, tendono a passare dall'al-tra parte dello specchio, costringendo invece l'interprete a so-stare sulla soglia del testo. Spogliata della sua funzione tran-sitiva, la prefazione diviene quindi indice dell'autoriflessivi-tà finzionale e della letterarietà. Oltre alla prefazione, l'ef-

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416 1>osT1=Az1oNE

fetto-Jupien, effetto <<straniante›› del paratesto che smascherala finzione inaugurandola, sembra potenzialmente minaccia-re, in quanto aspetto della testualità, tutto il paratesto nel suocomplesso. Lo vediamo in opera nelle titolazioni particolar-mente elaborate e allusive, titolazioni talmente seducenti dacatturare completamente l'attenzione del lettore e relegare laloro funzione di designazione in secondo piano.

Volendo seguire fino in fondo le implicazioni del discorsodi Genette sull'effetto-Jupien e forse oltrepassandone legger-mente la soglia, si potrebbe rischiare di cadere nella tentazionedi diffondere oltre ogni limite il gioco della seduzione parate-stuale. Non solo alla totalità degli elementi peritestuali, ma an-che alle frange piú autonome e separate del paratesto, agliavantesti e post-testi, in genere. Il ruolo di anticipazione ecommento svolto da tali pratiche, cosí come da titoli, interti-toli, epigrafi, dediche, prefazioni ed altri elementi del parate-sto, potrebbe cioè apparire trasfigurato e in qualche modo in-sidiato dalla loro testualità. Perdendo in questa proliferazio-ne incontrollata la sua transitività costitutiva, e dunque testua-lizzandosi, il paratesto - traccia indelebile della scrittura,sempre già dentro, sempre già fuori - sembra in realtà tra-scendere i limiti del proprio discorso fondato sull'autorità dellalettera. Inoltre - ci si potrebbe domandare - un'interpreta-zione che tenga conto della transitività e autorità del messag-gio paratestuale non dipende forse esclusivamente da uno spe-cifico atteggiamento ermeneutico, altrettanto contingente erelativo di quello su cui si fonda la sua testualizzazione e laconseguente relativizzazione? Considerare come para-testualideterminati elementi non presuppone già un'opzione metodo-logica anticipata e una precomprensione del fenomeno in que-stione?

Per Genette, anche se inarrestabile poiché implicata dal-l'oggetto stesso, la testualizzazione del paratesto è un rischioche bisogna comunque, nei limiti del possibile, cercare di evi-tare. «Attenzione al paratesto! ›>: con questa ammonizione, ri-volta sia al lettore sia all'autore, Genette denuncia il perico-lo rappresentato dall'espansione dell'area paratestuale, espan-sione che porta in sé anche la sua propria dissoluzione.In opposizione a un'ermeneutica dell'e'criture volta ad

espandere il testo oltre ogni limite, e all°atteggiamento - che,come abbiamo visto, comporta il rischio opposto ma al tem-

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POSTFAZIONE 4 I 7

po stesso coincidente - dell'estensione paratestuale, la sogliaindecisa del paratesto si propone infine come luogo della cir-colarità ermeneutica; luogo in cui le due istanze produttrici,soggetto e oggetto, lettura e scrittura, si delimitano recipro-camente. Il punto di vista critico che sembrava inizialmenteaver definito il proprio oggetto si trova ad essere determina-to da esso e, viceversa, il paratesto si impone al lettore nel mo-mento stesso in cui viene assunto grazie a una specifica deci-sione metodologica. Produzione e prodotto della circolarità,la considerazione del paratesto e dell'intenzione autoriale inessa frammentata non vuole rappresentare alcun criterio pervalutare la «felicità» e la «verità» dell'interpretazione. Il fun-zionamento globale del paratesto, cosí come gli interrogativie le risposte che esso sollecita, restano delle variabili essenzial-mente indeterminate. In definitiva, proprio Pindeterminatez-za del concetto stesso di paratesto e le questioni che esso la-scia in sospeso, vengono ad orientare la riflessione sullo statutodel testo letterario verso la soglia istituzionale e convenzionaledella letterarietà. Una soglia non può che essere attraversata.

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Indici delle opere e dei nomi

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Indice delle opere

Abbé C, 278.Abbesse de Castro, L', 45.Absence de d 'Artagnan, L ', 83.Ab Urbe condita, 162.Acadernica, 1 16.A combien l'amour revient aux viel-

lards, 83.Ada, 398.Adêle, 236.Aden-Arahie, 263.Adolphe, 83 n, 168, 183 n, 213, 220,

238, 273, 276. 278. 279. 283 H-Adone, L', 94, 222 n, 260, 265.Adonis, 222.Adrienne Mesurat, 89, 171, 387.Aƒjfinità elettive, Le (Die Wahlver-A wandtschaften), 95.Age d'homme, L', 100.A la recherche du Temps perdu 0 Les in-

termittences du coeur, 10, 29 n, 31,36, 60, 62, 63, 66-68, 69 n, 78 n,80 n, 82, 83 n, 93 n, 96 e n, 123,128, 134, 138 n, 148, 151, 153,154, 180, 217, 218, 220, 228 n,293, 297`30°› 3°3› 304 U: 3°6›312. 337. 342, 333. 368, 371, 373f1,376›392.393- .

Albertine disparue La fugitive, vedi A larecherche du Temps perdu.

AlbertSavarus, 152, 302, 317, 369.Aleph, El, 201.Alexandre, 173, 211, 239, 251.Ambassadors, The, 248, 251, 372.Amerika, 392.Amitié, L', 156.Amitiés amoureuses, 45.Amori pastorali di Dafni e Cloe, 162.Amours, 308.Amphitruo, 163.

Amphitryon, 1 18.Anamorphoses, 1 10.Ancien Régime et la Révolution, L',

3 19-André Walter, 284, 383.Andromaque,173, 239, 251.Anicet ou le Panorama, 58, 99, 3 17.Anti-Emile, 32 3.Antiquaire, L', 2 14.Anton Reiser, 95.Apostrophes, 352 n.Appointment in Samarra, 154.Arbre et la Source, L ', 3 1 5.A rehours, 255.Argent, L', 66 n, 104 e n.Ariel, ou la Vie de Shelley, 57, 58.Armance ou Quelques scenes d un salon

de Paris en 1827, 44, 52, 68 n, 144,135 6 rl. 183, 276. 301, 369, 393394, 39611. 403-

Ars amatoria, 98.Ars poetica, Epistola ai Pisani, 80 n,

1 1 5.Art d'Amors, 98.Art ofthe Novel, The, 169.Art poétique, L ', 357.Artiste et sa conscience, L ', 270.As ILay Dying, 303.Asinaria, 163.Asino d 'oro, L', vedi Metamorfosi, LeAssommoir, L', 1o,1o4,138, 242,348Astrée, L', 71, 131, 213, 295.Atala, 103, 222.Au bonheur des dames, 1 04.Aurélien, 214, 221, 251.Autobiographical Essay, 252.Automne a Pékin, L', 76, 77, 82.Avare, L', 89.Avenir de la Science, L ', 251, 254.

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422

Aventures de Télémaque, Les, 101,362.

Avventure di Cherea e di Calliroe, Le,37, 162.

Avventure di Leucippe e Clitofonte, Le,1 62.

Awkward Age, The, 248.Bachelier, Le, 130.

Baƒazet, 1 7 3 .Bal des débutantes, Le, 2 14.Balzac, 305.Banco à Bangkok, 88.Barbare en Asie, Un, 108, 109.Barbier de Séville ou la Précaution inu-tile, Le, 84, 239.

Barnabooth, vedi Gìuvres françaises deM. Barnabooth.

Bataille, La, 368.Bataille des Thermopyles, La, 369.Baudelaire, 267.Bavard, Le, 1 12, 154,265.Béatrix. 354. 395-Beaux Quartiers, Les, 98, 1 25, 244 n.Bech: A Book, 398.Bérénice, 2 39.Bêtises, 3 34.Bête humaine, La, 67 n.Between the Acts, 381, 382.Bibliothèque d 'un amateur, 1 89.Biƒfures, 293 n.Birotteau, 129, 145, 302.Blanche ou l'Oubli, 58, 99, 124, 247,

30 1 _Baeufclandestin, Le, 1 1 1.Bon/'our tristesse, 90, 154.Bonne Chanson, La, 309.Boomerang, 20.Boulevards de ceinture, Les, 2 1 4.Bouvard et Pécuchet, 264, 269 n, 392.Bras Cuhas, 187.Bride 0/Lammermoor, The, 1 32, 1 85,

283 , 3 1 6.Brillant Carreer, A, 131.Britannicus, 167,173, 210, 239, 251.Bucoliche, 98 n, 307.Bug-Jargal, 44, 208, 302, 326.Burãna, 251 e n.Buscón, El, 13 1, 297.

Cabinet des antiques, Le, 205, 2 1 6.Cahiers d'André Walter, Les, 357.Cahiers de la Petite Dame, Les, 378,

379 e n.

INDICE DELLE OPERE

Caligola, 89.Candide ou l'Optimisme, 70, 84, 301n.

Cantatrice chauve, La, 82.Canterbury Tales, The, 295.Capitaine Fracasse, Le, 95.Capitale, Il, 235.Caractêres ou les Moeurs de ce siêcle,Les, 42, 7°. 142, 159. 174. 180,196, 262, 291.

Carnets, 390.Castello, Il (Das Schio/Z), 66, 380.Castle ofOtranto, The, 143 n.Caves du Vatican, Les, 45 n, 99, 124,343. 378, 380. 383. 399 11-

Ceci n'est pas une pipe, 83.Celestina, Comedia de Calisto y Meli-

bea, La, 41, 80 n.Cent nouvelles nouvelles, Les, 295.Cerchio di gesso del Caucaso, Il (DerKaukasische Kreidekreis) , 2 9 1 _

César Birotteau, 216.Chambre des enfants, La, 82.Chambres, 99.Champs rnagnétiques, Les, 89.Change, 1 10.Chanson de Roland, La, 37, 164.Chansons de Bilitis, Les, 126, 279.Chansons des rues et des bois, Les, 87,

199.Chants du crépuscule, Les, 87, 168,

198.Charmes, 272.Chartreuse de Parme, La, 45, 94, 1 24,

144, 149, 180, 189, 224, 301, 311,376-78. 390. 394 6 11-

Chasse spirituelle, La, 46, 177, 178,317-

Chasseur vert, Le, 81.Chateaubriand, 306.Chátiments, Les, 72, 73, 79 n, 168,

199. 309. 371-Choses, Les, 146.Chouans ou la Bretagne en 1799, Les,68, 72, 123, 145 e n, 183.

Chronicles of the Canongate, The, 43,144.

Cid, Le, 93 e n, 162 n, 238, 239, 250,393-

Cimetière marin, Le, 154, 272, 273.Cinna, 117, 121, 122, 250.Cinq-Mars, 223.Circus, 59.Cléopastre, 334.

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INDICE DELLE OPERE

Cleveland, 190, 230 n.Cligès, 6, 164.Clitandre, 93 n.Cloches de Bale, Les, 1 24, 246.Clotilde Iolivet, 190.Cocu, Le, 210.Codex, 59.Coeur simple, Un, 293.Colibri, 3 1 7.Colossus ofMaroussi, The, 357.Comédie humaine, La, 8-10, 3 1 , 60,61, 68, 90, 103,121 n, 122, 145,167 n, 171, 173,~177 n, 220, 242,264 e n, 278 n, 302, 340 e n, 369,393-

Comédiens sans le savoir, Les, 1 87,264.

Comedy ofErrors, The, 94.Commandemans Ovide, 98.Comment /"ai écrit certains de mes li-

vres, 361.Commentaire de Charmes, 176, 178,

3 I 7-Comfnentaire de Corneille, 3 3 1 .Common Reader, The, 382.Communistes, Les, 84.Complaintes, 309, 3 10.Condition humaine, La, 69 n, 101.Confessions, Les, 1 43, 1 85.Conjurados, Los, 202.Conquérants, Les, 101.Contemplations, Les, 13, 87, 89, 199,

206. 297. 293, 399. 371. 372-Contes à Ninon, 348.Contes du chat perché, 1 1 4.Contre Saint-Beuve, 83 n, 90 n, 262,

298 e n.Contre un, Discours de la servitude vo-lontaire, 80 n.

Conversations avec André Gide, 378.Conversation sur la critique de la Prin-

cesse de Clêves, 341.Conversazioni con Eckermann (Gespral

che mit Eckermann), 378.Corps et Biens, 89.Corydon, 383.Coscienza di Zeno, La, 186.Cours fafnilier de littérature, 375.Cousine Bette, La, 1 22, 2 1 1, 216, 302

e n. 'Cousin Pons, Le, 67, 122, 21 1, 216,

302 e n. 1Critique de l 'Ecole des femmes, La,

240.

423

Croix de bois, Les, 29 n.Cromwell,176, 178, 180, 182, 223.Cronache di Bustos Domecq, 185, 285,

286.Culte du moi, Le, 357.Curée, La, 82.Curé de Tours, Le, 1 29.Curé de village, Le, 2 16.Curieuse solitude, Une, 99.

Damnés de la terre, Les, 169, 268 e n.Dans le labyrinthe, 1 10.David Copperfield, 71 , 23 1 , 25 1 ,

2 96-98.Débácle, La, 348, 372.Decameron, Il, 86, 165, 295.Dedonde son los cantantes, 2 35.Défense de l'infini, La, 248.Degré zéro, 3 57.De l'Allemagne, 3 23.De l'amour, 44,320, 341,346 n.Déliquescences d'Adoré Floupette, Les,

1 85 , 2 85 .De natura rerum, 1 16, 307.De ofliciis, 1 16.De oratore, 1 16.Déracinés, Les, 256.De revolutionibus orbium coelestiumLibri sex, 88.

Dernier Chouan, Le, 44.Dernier Homme, Le, 96.Dernier Jour d 'un condamné, Le, 44,

168, 188, 226,302.Dernières Chansons, 172, 262.Derniers Jours, Les, 1 12 n.Déroute à Beyrouth, 88.Description de San Marco, 20.Deux cavaliers de l 'orage, Les, 67 e n.Deux Poêtes, Les, 2 16.Deuxiême Sexe, Le, 3 55.Diaboliques, 130.Diari (Musil), 385.Diario (Gide), 380, 385-87.Diario (Green), 386 e n, 387.Diario Kafka), 385.Diario Mann), 380, 386 e n.Diario Stendhal), 384 e n.Diario (Woolf), 381, 386 e n.Dictionnaire des idées reçues, 269.Dictionnaire philosophique, 237.Difƒérend, Le, 108, 346 n.Digraphe, 1 1 0.Dimanche de la vie, Le, 154, 2 14.Disciple, 1 9 1 .

/¬»-\,¬

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424

Discours sur la poésie dramatique, 222.Discusión, 201.Disparition, La, 146.Dissémination, La, 232.Dits et Récits du mortel, 109.Divina Commedia, La, 72, 73, 122.Docteur Pascal, Le, 1 27.Don Qui/'ote, 124, 152, 186, 188, 205,

220, 228, 231, 296.Don Sanche d'Aragon, 97, 118, 222,

33 1 .Double méprise, La, 89.Dorval et moi, Entretiens sur le Fils na-turel, 80 n.

Dottor Faustus, vedi Lamento del Dr.Faustus.

Dr. Faustus, 26, 151, 152, 190,362 en.

Drageoir aux épices, Le, 168.Drame,15o,155.Dubliners, 21, 263, 343.Duchesse de Langeais, La, 1 29. `Du câte' de chez Swann, vedi A la re-

cherche du Temps perdu.

Échafaud, L', 167 n.f?%Wflg@,s2,314›329-Ecole desfemmes, L', 1 18, 239,277.Ecole des maris, L ', 1 1 8.Ecrits intimes, 170.Ecrivains de toujours, 363 n.Ecuador, 108.Edipo, 265.Education sentimentale, Histoire d'unjeune homme, L', 57, 90, 301, 369 en.37o,376~

Ejfets de la sympathie, Les, 42.Egarements du coeur et de l'esprit, Les,

1 2 1 , 1 96.Elegie di Duino (Duineser Elegien),

1 3 7.Elegien, 309.Elixir de longue vie, L ', 1 3 1.Emile ou De l'e'ducation, 18, 70, 205,

207, 316, 322.Emma, 1 1 6.Encyclopédie, 1 1 7.Eneide, 89, 98 e n, 161, 221, 294.En français dans le texte, 86.Ennêadi, 86.Entretiens sur le Fils naturel, 1 87, 222.Envers de l'histoire contemporaine, L',

1 45.Epistola ai Pisoni, vedi Ars poetica.

INDICE5DELLElDPERE

Eptamerpn, 86.Erec et Enide, 98, 164.Ernani, 89.Espace littéraire, L', 169, 306.Espoir, L', 69 n, 101.Esprit des lois, L', 18, 42, 142, 149,169.17°.196.197,241›3°6-

Essai historique, politique et moral surles Révolutions anciennes et moder-nes, 7, 67, 103, 130, 168, 227, 238,245›253›314›316›319›32°›323›324.

Essai sur le genre dramatique sérieux,2 2 2.

Essai sur le sentiment poétique français,368.

Essai sur les moeurs, 57.Essais critiques, 169, 200, 267.Etiopiche, Teagene e Cariclea, Le, 80 n,, 162, 259, 260 n.Etudes des mzeurs au XIX' siêcle, 60,I 61, 177, 199, 216, 302.Etudes historiques, 245.Etudes philosophiques, 60, 1 77 e n,

199.Eugénie, 2 2 3.Eugénie Grandet, 70, 89, 293 n, 301,392.369

Fables, 19, 118, 195, 262.Fabrique du pré, La, 392.Fanny Jones, 296.Faust, 164, 292, 379.Faux-Monnayeurs, Les, 84, 95, 124,133›204.349›371.383-

Faux Pas, 159.Fedra, 89.Fée aux miettes, La, 228.Féerie pour une autrefois, 2 14.Femmes, 99 n.Ferragus, 129, 216.Fervor de Buenos Aires, 252.Feu de /'oie, 99.Feuilles d 'automne, Les, 87, 167, 197,

198.Ficciones (Artiƒici), 2 2 1.Fille aux yeux d'or, La, 129, 132, 204.Fille d 'Eve, Une, 2 16.Fillesdufeu,Les,123, 191,232.Fils, 59, 84, 110.Finneganls Wake, 66, 303, 315-17,335

First Forty-Nine Stories, 60.

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INDICE DELLE OPERE

Fleurs du mal, Les, 66, 123, 168, 243,293. 378-

Flush, 386.Fortunes ofNigel, The, 131, 185, 280.For Whom the Bell Tolls, 90, 147,

154.Fou d'Elsa, Le, 20, 146.Fragments d 'un discours amoreux, 3 14,

355-Franciade,89, 116,221, 222 n, 257.Francion, 131,177 n, 295.French Lieutenant's Woman, The, 156.Friday Book, The, 86, 149 n, 232.From Ritual to Romance, 326.Fruits d'or, Les, 84. `Fugitive, La, vedi A la recherche du

Temps perdu.Fugue, 97.

Galatea, La, 217.Galerie du Palais, La, 250.Garden ofEden, The, 393.Gargantua et Pantagruel, 51, 166, 167,209, 212, 218,219, 232.

Gaspard de la nuit, 276 e n.Geneviêve ou la Confidence inachevée,84. 183, 379-

Génie du Christianisme, Le, 19, 119,120, 125, 136, 168-71, 197, 207,220, 237, 241.

Génie du paganisme, Le, 90, 320.Georgiche, 37, 98 n, 116, 134, 307.Germinal, 61, 66 n, 82 e n, 293,348,369. 399-

Germinie Lacerteux, 95, 204, 225,242.

Gerusalemme liberata, 81, 1 16, 161 ,241.

Gidefamilier, 378.GilBlas,42,159, 177,178, 187, 376.Gilles, 108, 109, 111, 214.Golden Bough, The, 326.Golden Bowl, The, 248.Gommes, Les, 83, 156 n.Gordon Pym, 187.Goutte d'or, La, 91.Grain de la voix, Le, 338.Grammatologie, 1 10.Grandeur et décadence de César Birot-teau, 71.

Grand homme de province à Paris, Un,83, 2 16.

Grandes Chroniques, 166.Grapes ofWrath, The, 90.

425

Gravitations, 108.Great Code, The, 212 e n, 217,263.Great Gatsby, The, 149.Green Hills ofAƒrica, The, 214,399.Greve de Samarez, La, 2 32.Guermantes, I, vedi A la recherche du

Temps perdu.Guerra e Pace, 14, 81, 92, 170, 208,224, 233-

Guerrillêres, Les, 314.Gullivers Travels, 127, 168, 176, 178,

185-87, 284, 297-Guzla, La, 185, 284, 285.Guzmán de Alfarache, 141, 188.

H. 291. 304-Hacedor, El (L 'artefice), 129, 202.Han d'Islande, 44, 144, 227, 231, 232,

237, 252, 253, 302. 326-Harmonies poétiques et religieuses, 85n, 123 n, 203.

Heart ofMidlothian, The, 13 2.Heautontìmorumenos, 163.Henriade, 89, 241.Henri Matisse, roman, 14, 58, 93, 99,

1 0 1 , 2 1 5.Henry IV, 163.Henry V, 124 n.Henry Esmond, 35, 44, 186 n, 296,398.

Heptaméron, 295.Héraclius, 25 1.Héritière de Birague, L', 145.Hermann und Dorothea, 379.Hernani, 29 1 .Heure avec Claudel, Une, 357.Hérodias, 390.Histoire contemporaine, 62.Histoire de France, L', 171, 246, 305.Histoire de la littératurefrançaise, 3 24.Histoire de la peinture en Italie, 44, 52,

341. 346 11-Histoire de la peinture en trois volumes,

83.Histoire des oeuvres de Honore' de Bal-

zac, 302.Histoire des Treize, L', 145.Histoire naturelle, générale et particu-

liêre, 143.Histoires naturelles (Renard), 383.Holy Sonnets, 308, 309.Homme libre, Un,123, 191, 210, 255n, 256.

Homme qui rit, L', 2 12.

Page 438: 158202270 Genette Soglie I Dintorni Del Testo

426

Hommes de bonne volante', 60.Horace, 250,331.Horloger d 'Everton, L ', 69.

Idilli, 307.Iliade, 89, 161, 172,221, 294.Illusions perdues, Les, 83, 94, 129,

177, 216,302.Immoraliste, L', 95, 171, 343.Immortal, The, 277.Incidences, 169.Indiana, 173,2 4.Informe de Broåe, El (Il manoscritto diBrodie), 202.

Inquisiciones, 99 n, 257.Intermédiaire, L', 153.Introduction à la méthode de Léonard

de Vinci, 325.Invención de Morel, La, 268.Iphigénie, 208.Iris de Suse, L', 84, 100.Isabelle, 95, 328.Istorie fiorentine, 304.Ivanhoe, a Romance, 87, 94, 97, 128,

1311 137-› 1761 I78› 185› 223› 274›280, 283, 301, 316, 328.

Jalousie, La, 1 10, 303, 312.]ane Eyre, 89, 95.Jardin de Bérénice, Le, 2 55 n.Jardin de los senderos que se bifurcan,El, 201 .

Jean le Bleu, 305.Jean Louis, 145.Jean Santeuil, 189, 277 e n, 284.Jean Sbogar, 181 n, 228 n.Jeanned'Arc, 38, 130. `]eunes Filles enƒleurs, Les, vedi A la re-

cherche du Temps perdu.Jocelyn, 97, 182.Joie de vivre, La, 82.Joseph Andrews, 156, 222, 225.Joseph Delorme, 152, 189, 279, 284.Journal, 100.Journal des Faux-Monnayeurs, 387.Journal d 'une femme de chambre, 1 83.Journaux intimes, 264.Julie, La Nouvelle Héloise, vedi Nou-

velle Héloise, La.

La Fontaine et ses Fables, 306.Lamento del Dr. Faustus (Dr. Fausti

Wehklag), 84 e n, 85.Lamiel, 145,392.

INDICE DELLE OPERE

Lancelot, 37, 165.Langeais, 132.Lauríers sont coupés, Les, 129, 172,

265.Lazarillo de Tormes, 42, 46, 186.Leçons de choses, 1 1 0.Légende des siêcles, La, 130, 168, 217,3°3› 3°9› 372-

Lélia, 238.Léonard de Vinci, ou l'(Euvre d'art,

250 n, 267 en, 270,316.Lettres à Mme Hanska, 1 77 n.Lettrespersanes, 18, 42, 43, 119, 171,

172, 181, 183, 184, 227, 238, 264,267, 278.

Lettres sur Haydn, 52.Leuwen, vedi Lucien Leuwen.Leviathan, 2 1 1.Léviathan, 146.Liaisons dangereuses, Les, 43 n, 81,

183, 184 n, 188, 275, 278, 279.Libertinage, Le, 101, 126, 232, 246.Libro de arena, El, 185,234, 235.Life ofSamuelJohnson, The, 378.Littérature et Sensation, 200, 263.Livre à venir, Le, 169, 306.Livre des autres, Le, 338.Logica del racconto, La, 87.Logique du sens, 170.Logiques, 150.Lois de l'hospitalité, Les, 60, 169, 2 35.Lolita, 179, 180, 186, 234, 238, 242,

284, 285 n.Lord B, 130.LordJim, 251.Louis Lambert, 129, 145,278.Lucien Leuwen, 82, 144, 229, 264,

267. 327. 369. 377. 392-Lucinde, ein Roman, 87, 95.Lutrin, Le, 94.Lyricalßallads, 180 n, 181,223, 236,

308. 324-Lys dans la vallée, Le, 82 e n, 128, 213.

Madame Bovary, moeurs de Province,35 11. 57 11.38.39. 7°. 76. 77, 127,213, 242, 265, 267, 301, 368-70,378. 388- 391-

Madame Edwarda, 183, 190, 279.Madame Gervaisais, 95.Madeleine Férat, 1 27.Mademoiselle de Maupin, 225.Madre, La (DieMutter), 29 1.Madre Coraggio (Mutter Courage), 291.

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INDICE DELLE OPERE

Mahagonny, 291.Maisie, 248.Maison de rendez-vous, La, 2 1 4.Maison Nucingen, La, 129, 216.Malraux par lui-même, 3 14, 3 16, 3 3 2.Manette Salomon, 95.Mann ohne Eigenschaften, Der (L 'uomo

senza qualità), 392.Marcel Proust, 306.Marcos de Obregon, 187.Mariage de Figaro, Le, 2 39, 399.Marianne, 42 e n, 184,285 n.Marteau sans maitre, suivi de Moulin

premier, Le, 60.Martyr calviniste, Le, 145.Martyrs, Les, 222, 237, 241, 314, 316,

323-Maximes (La Rochefoucauld), 45, 142,

149. 134-Médecin de campagne, Le, 129, 216,

369.Médée, 3 31 n.Méditations poétiques, 44, 85 n, 308.Melaenis, 269 n.Melmoth, 143.Memoires, 251, 320.Memoires d'Hadrien, 125, 13 1, 293 n.Memoires d'outre-tombe, 143, 172,

185, 207, 244, 250 n.Mémoires de d 'Artagnan, 277.Mémoires d'un homme de qualité, 42,

125, 190, 276.Memoires d 'un touriste, 45.Memoires improvisés, 357, 358.Memoirs of Barry Lyndon, Esquire,

The, 7 1.Menteur, Le, 86, 89, 191.Mer, La, 305.Merveilleux Nuages, Les, 154.Metamorfosi, Le, 80 n, 162.Métamorphose de la huppe, de l 'hiron-delle et du rossignol, La, 98.

Météores, 362.Michelet, 305, 306, 357.1572 / Chronique du rêgne de CharlesIX, 72.

Miroirs d 'encre, rhétorique de l'autopor-trait, 84.

Misanthrope, Le, 89, 186.Miseà mort, La, 244 n, 246, 247, 362.Misérables, Les, 226, 303, 310, 375.Mobile, 20.Moby Dick, 129,398.

427

Mois-même, roman qui n'en est pas un,95-

Moira, 387.Moll Flanders, 42, 112, 182,188, 190,

278, 279. 293, 413-Molloy, 3 28.Monastery, The, 281.Monde réel, Le, 99, 100, 301.Monk, The, 143.Monsieur Ladmiral va bientôt mourir,

69.Monsieur le Préfet, 369.Monsieur Proust, 378.Montagna incantata, La (Der Zauber-

berg), 220.Montagne, La, 305.Mont-Cinère, 109 n, 387.Morsure de l'épaule, La, 6, 98.Mort ambiguë, Une, 379.Morte di Ivan Il'ic', La, 81.Mosaique, 77.Mots, Les, 57, 100.Mots anglais, Les, 187.Mouvement perpétuel, Le, 89, 130,

252.Moyse sauvé, 94, 1 17,222.Mrs Dalloway, 386 n.Mulligan Stew, 335 n.Muse du département, La, 68.Mysteries of Udolpho, The, 143.Mythologiques, 1 28.

Nana, 348, 370.Napoléon le Petit, 371.Natchez, Les, 171,222, 245, 248,250

U, 254, 295› 324-Nausée, roman, La, 57, 67, 128, 154,

183. 184. 333-Neveu de Rameau, Le, 143.Nicomêde, 251,331.Nigel, 132, 283.Nigger ofthe Narcissus, The, 226.Night and Day, 381.Nightwood, 269.1985 (Nineteen Eighty-Five), 72.Noctes atticae, 86, 210.Noè, 149.Nombres, 150.Nome della rosa, Il, 77 n, 91 n, 92 n,

168, 183. 238. 249 6 11. 277, 297.399-

Notebooks (James), 385, 391.Notes sur André Gide, 378.

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428 INDICE DELLE OPERE

Notre-Dame de Paris / 1482, 72, 79 n, Pantagruel, vedi Gargantua et Panta-238, 302,326. gruel.

Nourritures terrestres, Les, 171, 218, Paradis, 29, 291, 304.380, 383, 399. Paradise Lost, 241.

Nouveau Grève-Coeur, Le, 86. Parages, 329.Nouveau Robinson, Le, 86. Parents pauvres, Les, 60, 1 22.Nouveaux Mélanges, 143 n. Parole intermédiaire, La, 271.Nouvelle Justine, La, 86. Partage de minuit, Le, 3 57.Nouvelle Héloise, La, 8, 18, 43 n, 70 Passacaille, 1 10.

n, 72,80 n, 86, 142, 143, 146, 151, Passage, 52.168, 170, 183, 184 n, 187-89, 205, Passage deMilan, 84.231, 315-17, 333, 334, 379 n, 400. Paulet Virginie, 19, 81, 222.

Nouvelles des yeux, 219. Paysan de Paris, Le, 101, 252.Nouvelles impressions d 'Aƒrique, 86. Paysan parvenu, Le, 42.Nouvelles nourritures, Les, 86. Peau de chagrin, La, 7, 8, 145, 147,Novelas ejemplares, 21 1,217. 171, 172,224 n, 278 n, 282 n.Novembre, 278. Pelléas et Mélisande, 146.Noyers de l 'Altenburg, Le, 101. Pensées (Montesquieu), 1 19.

Pensées (Pascal), 262, 336.Oberman, 69, 146, 183, 184 n, 279, Perceval, 37, 165.316, 334, 393, 398. Père defamille, Le, 222.

Odes etBallades, 173, 254. Père Goriot, Le, 9, 70, 76 n, 81, 129,Odi1Sf4,161,294.343- 143.186,242,302,328.369›374-CEdipe, 250. Pére humilié, Le, 385.(Euvre, L ', 1 05, 370. Persiles, vedi Trabajos de Persiles y Sigi-CEuvre au noir, L', 293 n. smunda, Los.(Euvrepoétique, 246, 247, 257. Pertharite, 239, 331.(Euvres complêtes de Sally Mara, Les, Petits Poêmes en prose, vedi Spleen de

187. Paris, Petits Poêmes en prose.(Euvres complêtes (Voltaire), 24. Peuple, Le, 1 23.(Euvres françaises de M. Barnabooth, Peveril of the Peak, 13 1, 185, 280,

183, 185, 285, 286. 282, 283.(Euvres romanesques croisées, 191, 246 Pharsamon, 42.

e n, 247,363. Phêdre, 81, 196, 208, 240.OldMortality, 132. Phormio, 163.Oliver Twist, 242, 299. Pickwick Papers, 296.On est toujours trop bon avec les fem- Picture ofDorian Gray, The, 225.

mes, 186. Pierre etJean, 225.Opera da tre soldi, L” (Dreigroscheno- Pierre or the Ambiguities, 58, 130, 296.per), 29 1 . Pierrette, 2 1 6.

Orazio, 39. Place Royale, La, 1 22, 191.Orientales, Les, 198. Plaisanterie, La, 171, 268.Orlando Furioso, 1 16, 161. Plaisirs et les Jours, Les, 10, 1 23, 159,Oro delos tigres, El, 202. 160, 172, 177, 260, 269, 342.Ortografia castellana, 141. Plume, précéde' de Lointain intérieur,«Ossian››, 183. 60.

Poèmes saturniens, 77.Page d 'amour, Une, 1 04. Poésie et Profondeur, 200.Page disgracié, Le, 297. Poétique de la rêverie, La, 2 1 2.Pale Fire, 84,285, 286, 316, 334,335, Poilde carotte, 3832

336. Politique de la prose, 29, 1 46.Paludes, 45 n, 84, 217,383. Polyeucte, 251.Pamela, 42, 183. Pompée, 121.

Page 441: 158202270 Genette Soglie I Dintorni Del Testo

INDICE DELLE OPERE

Porte étroite, La, 95, 328, 343, 375,389. 383-

Portes de Gubbio, Les, 185, 284, 285.Portrait de femme, 23 o.Portrait d 'un inconnu, 1 76-78, 268,

357-Portrait d 'un jceur, 3 55.Portrait ofa Lady, 248, 25 1.Pot-Bouille, 104, 376.Power and the Glory, The, 90, 154.Practical Criticism, 4 1 0.Praxis du cinéma, 29.Pré, Le, 38, 395-Précis du siêcle de Louis XIV, 304.Prelude, 1 15.Prêtre catholique, Le, 120, 1 2 1 n.Pride and Prejudice, 4 2.Princesse de Cléves, La, 42, 184, 187.Princesse de Montpensier, La, 2 13, 295.Prise de Costantinople, La, 30, 65.Prise d 'Orange, La, 1 64Prisonniêre, La, vedi A la recherche du

Temps perdu.Processo, Il (Der Prozess), 66, 3 80.Projet pour une révolution, 1 06 n.Prólogos, 169,202, 263, 265, 266.Promenades dans Rome, 1 24.Proscrits, 205.Proust et le Monde sensìble, 1 48.Pseudolus, 37, 163.Public Readings, The, 363 n.Pulchérie, 97.Pupil, The, 248.Purgatorio, 37.

Quatre Talismans, Les, 2 2 8.Quatre-vingt-treize, 7 2 .Quentin Durward, 223, 283, 301.Quinze Variations sur un thème biogra-phique, 1 1 0.

Radioscopies, 356 n.Rayons et les Ombres, Les, 168, 198.Rayuela (Il gioco del mondo), 215.Rebecca and Rowena, 97.Recherche, La, vedi A la recherche du

Temps perdu, 0 Les intermittences ducoeur, 10, 31, 60, 62.

Recherche de l'absolu, La, 83, 369,370.

Recueillements poétiques, 85 n.Reflexions morales, 1 42.Rêgle du Jeu, La, 100.Religieuse, La, 261.

429

Rene', 220.Renée Mauperin, 1 81 , 2 1 1.Répertoire, 77.Réquisitionnaire, Le, 145.Ressassement éternel, Le, 230.Révolte des anges, La, 296.Rhetoric ofFiction, A, 87.Rideau cramoisi, Le, 81.Rime ofthe Ancient Mariner, The, 326.Rire et la Poussiêre, Le, 82 n.Rob Roy, 276, 278,301.Robinson Crusoe, 42, 55, 71, 182,

188, 295. 399, 415-Roderick Hudson, 248.Rodogune, 21 1,251.Roi des aulnes, Le, 326, 362.Roi Marc et Iseut la blonde, Le, 98.Roi sans divertissement, Un, 66, 146.Roland, vedi Chanson de Roland, La.Roland Barthes par Roland Barthes, 13,

26, 207, 215, 346, 363 n.Roman bourgeois, 1 18, 295.Roman comique, Le, 1 17.Roman de la momie, Le, 84.Roman de kz Rose, Le, 37, 57,83, 259.Roman de l'énergie nationale, 62.Roman de Renart, Le, 295.Roman naturaliste, Le, 225 n.Roman Roi, 398.Romans et Contes philosophiques, 60,

173, 199-Roman vécu, Le, 2 14.Rome, Naples et Florence, 52.Romeo and Juliet, 1 63.Room oƒOne's Own, A, 382.Rouge et le Blanc, Le, vedi Lucien Leu-

wen.Rouge et le Noir, Le, 12, 19 n, 45, 57,

67. 70. 76. 80, 82, 92, 95, 107,124,144.148,155.184›187,293,391, 311. 328- 342. 377, 378. 39°,393› 394-

Rougon-Macquart, Les, 10, 31, 60, 61,63› 104› 127› 227› 348 n› 372› 398e n.

Route des Flandres, La, 265.Ruy Blas, 291.

Sade, Fourier, Loyola, 200.Sagesse, 309.Saint-Genet, 170, 267, 268 n.Salammbô, 73 11, 94. 267, 301, 347.

369 6 11. 376. 378. 399-Sanctuaire, 82.

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43°

Sandales d'Empédocle, essai sur les limi-tes de la littérature, 84, 289 n.

Sang Maudit, 27 .Saragozza, 189.Sarrasine, 145.Sartre dans sa vie, 2 14.Saturae, 1 43 .Satyrae, 1 43 .Scênes de la vie de province, 60, 199.Scenes de la vie parisienne, 60.Scênes de la vie privée, 60, 168.Sei problemi per Don Isidro Parodi,

1 86.Semaine sainte, La, 99, 100, 214, 224,

246, 248, 301.Sense and Sensibility, 42.Sentiers de la création, Les, 363 n.Sentimental Journey, 169.Séraphíta, 129.Sertorius, 208.Signor Puntila e il suo servo Matti, Il

(Herr Puntila und sein KnechtMatti),29 1 .

Si le grain ne meurt, 100, 383 e n, 387n.

6 810 ooo litres d 'eau par seconde, 20.Situations, 169, 170, 267.Slow Learner, 252.Smarra, 156, 183,278. `Sodome et Gomorrhe, vedi A la recher-

che du Temps perdu.Sonata a Kreutzer (Krejcerova sonata),

236.Sonette, 309.Sorciêre, La, 305, 320.Sot-Weed Factor, The, 27, 214, 296.Souƒfrances de l'inventeur, Les, 2 16.Soulier de satin, Le, 58, 81, 154, 164,

357-Sound and the Fury, The, 90, 154, 303n,358,359-

Sous l 'ceil des Barbares, 255.Spleen de Paris, Petits Poèmes en prose,Le, 68 n, 78 e n, 80 n, 123,191,1 99.

Splendeurs et Misêres des courtisanes,83 .

Storia, 1 6 1 .Storia della guerra del Peloponneso,

162.Storia e cronistoria del Canzoniere, 189.Storia vera, 162.Storie, 37.Suite du Menteur, 86.

INDICE DELLE OPERE

Suivante, La, 191.Sullo scambio, 161.Summa Theologiae, 306.Sur leƒleuve Amour, 1 30.Swann, vedi A la recherche du Tempsperdu.

Symphonie pastorale, La, 1 28.Systême à la mode, Le, 307.

Tale ofthe Tub, The, 130, 2 1 1.Tales ofmy Landlord, 185, 280, 281.Tales of the Crusaders, 284 n.Tartuffe, 196, 240, 327.Teagene e Cariclea, vedi Etiopiche, Le.Teeteto o della scienza, 84.Télémaque travesti, 4 2.Tel Quel, 77, 1 10.Temps du mépris, Le, 1 0 1`.Temps retrouvé, Le, vedi A la recherchedu Temps perdu.

Tender is the Night, 90, 154.Tendres Stocks, 3 3 9.Tentation, 1 27, 370, 390.Tentation de saint Antoine, La, 264,267.

Teogonia, 37.Teoria della letteratura, 87.Terre, La, 8 1 .Terre promise, La, 2 1 2.Tête d'or, 357.Théâtre de Clara Gazul, Le, 185, 190,

2 85 .Théâtre des métamorphoses, Le, 30, 97.Théâtre/Roman, 101 , 247.Théodore, 3 3 1.Théorêmes, 307 n, 326.Thérêse Aubert, 228 n.Thérêse Desqueyroux, 89.Thérêse Raquin, 7, 89, 95, 167 n, 171,220, 230, 242.

Thésée, 1 28.This Side ofParadise, 149.Thomas Graindorge, 1 82.Tite et Bérenice, 97, 208.Tom ]ones, 28, 42, 1 19, 122, 143,

169, 191, 220, 227, 257, 296, 301,316.317,328›

Torrents ofSpring, The, 156.Tour du monde en quatre-vingts jours,Le, 362.

Traba/'os de Persiles y Sigismunda, Los,2 1 7.

Tragedy of King Richard the Second,The, 94.

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INDICE DELLE OPERE

Traité de la contingence, 84.Traité du verbe, 267.Traitre, Le, 270.Travers, 52,315.Treasure Island, 168, 183, 191, 297,298.

Tristesse d 'Olympio, 293.Tristram Shandy, 42, 119, 125, 128,143.147,169,187.295.317.335-

Trois contes, 369.Trois Mousquetaires, Les, 277, 290.Turn ofthe Screw, The, 395.Typhoon, 1 27.

Ulysses. 4, 7, 12, 83. 85. 291. 303,343› 402› 407-

Under the Vulcano, 171, 231.UrsuleMirouet, 89.

Vanity Fair, 97, 296.Variations Goldberg, Les, 97.Variété, 169.Vathek, 263.Vendéens, Les, 224 n.Vendredi, ou la Vie sauvage, 170, 265,

62.Vešzt Paraclet, Le, 1 1, 338, 362 e n.Ventre de Paris, Le, 66 n.Vergile travesti, 1 1 7.Vicaire des Ardennes, Le, 228 n, 276.Vespe, Le, 162.Vicar ofWakefield, The, 1 24 n.Vie d'Henry Brulard, écrite par lui-méme. Roman imité du Vicaire deWakefield, 8.

Vie de Jesus, 305.Vie de Marianne, La, 181, 182,274.Viede Rancé, La, 120 n, 207,393.Vie du docteurJohnson, 57.Vie mode d'emploi, La, 97, 2 14,398.Vielleƒille, La, 302, 371, 399 n.Vieille maitresse, Une, 255.Viellir (Instant Fatal), 38.Vies de Haydn, deMozart et de Métasta-1945. 67. 346 11-

Vita di Apollonio di Tiana, La, 162.Vita di Galileo (Das Leben des Galilei),291.

Voie royale, La, 101.Voiture embourbée, La, 42, 228.Voix intérieures, Les, 198.Voleur, Le, 276.Voleur d 'étincelles, Le, 1 54.Volupté, 182,184, 211, 278,279.

431

Voyage au hout de la nuit, 303.Voyage au Congo, 136.Voyage dans le midi de la France, 321n.

Voyage de Shakespeare, Le, 1 24.Voyageurs de l'irnpériale, Les, 214,248.

Waste Land, The, 326.Waverley Novels, 43, 94, 95, 100,

124, 132, 169, 180, 211,234, 245,281-83, 301, 316, 326.

Waves, The, 382.Werther (Die Leiden des Jungen Wer-ther, I dolori del giovane Werther),183- 278, 379-

What is the Name ofThis Bookê', 86.Wilhelm Meister, 95.Wings ofthe Dove, The, 248.Writer's Diary, A, 386 n.

Years, 386.Youth, 127.Yvain, 164.

Zadig ou la Destinée, histoire orientale,55'57› 301 fl-

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Indice dei nomi

Abrioux, M., 155 n, 311 n.Adorno, Theodor Wiesengrund, 55 n.Adriano, imperatore romano, 1 25.Agostino, Aurelio, santo, 185, 305.Ajar, Emile, vedi Gary, Romain.Akakia-Viala, 46.Alain, 176, 178, 272, 273, 313 n.Albaret, Céleste, 370, 378.Albouy, Pierre, 226 n.Alemán, Mateo, 141.Alexis, Paul, 369, 370 n.Alfonso II d`Este, duca di Ferrara,Modena e Reggio, 1 16.

Alighieri, Dante, 37, 72,73, 97,122,151, 2951 371-

Allais, Alphonse, 8 e n.Amr0116h6.J6211. 357-59. 375. 383-Amy0t,Jacques, 53, 259.Ancelle, Mme, 378.Angers, David d', 129.Apollinaire, Guillaume, pseudonimo diGuillaume-Albert de Kostrowitsky,35-

Apuleio, 162.Aragon, Louis, 67, 84, 99, 101, 124-

126, 129, 130en, 168, 171, 191,214, 215, 221 n, 224, 232, 244 n,245-48, 251, 256, 257, 264, 268,30I› 3I7› 332 n› 352› 356 n› 357›361,363 e n, 389.

Ariosto, Ludovico, 295.Aristotele, 94, 239, 306.Arp, Hans, 80.Artaud, Antonin, 156.Asselineau, Charles, 78 n.Atenagora, 162.Aubry, G.J., 127.Auerbach, Berthold, 127.

A1111611. J2116. 43. 44. 71. 94. 116.145, 288, 301, 381.

Austin,Jean-Luc, 413.Aymé, Marcel, 111, 113 e n, 114.

Bachelard, Gaston, 212, 215, 263.Badel, Pierre-Yves, 165 n.Baetens, Jan, 30 e n.Baillet, Adrien, 48.Balzac, Honoré de, 8, 10,31, 35, 44,47. 51. 61. 71. 83. 99. 94. 95,120-23,127-29,145 e n, 147,16711. 168. 171. 173. 174, 177 6 11,186, 199, 204-6, 209, 211, 216,220, 224, 227 n, 228 n, 242, 262,264, 268, 276,278 e n, 282 n, 288,301› 302 3 U. 31I› 332› 333› 337›34° 6 11. 354. 366-69. 371. 374,376-78. 387 11. 388. 391. 393. 394,395 n› 399 C n›

Banville, Théodore de, 78 n.Barbey d'Aurevilly, Jules-Amedée,94.130,255,256-

Bardèche, Maurice, 298 n.Barnes, Djuna, 86, 269.Barrès, Maurice, 94, 123, 130, 209,

255. 256.357-Barrh.J0l111. 27. 55 11. 59. 77 11. 92.

149 n, 214, 296.Barthes, Roland, 13, 139, 169, 200,

201 n, 267, 270, 271 n, 305,306,314. 319. 338. 341. 346. 352 11,354 6 11. 355. 359. 363 11. 395 11,411 en, 414en.

Bataille, Georges, 156, 183, 230, 279,280.

Bataille, Nicolas, 46.Baudelaire, Charles, 78, 123, 154,

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434

17°, 199. 242, 264. 267. 309. 312n. 339. 361 11.378-

Baudoin, Pierre, vedi Péguy, Charles.Baudry, A., 400 n.Bayle, Pierre, 321.Beardsley, Aubrey, 26.Beardsley, Monroe C., 409.Beauclair, Henri, 185.Beaumarchais, Pierre-Augustin Caronde, 117, 223, 239, 241.

Beaunier, André, 342 n, 343.Beauvais, Pierre di, 165.Beauvoir, Simone de, 355, 379.Becker, C., 66 n.Beckett, Samuel, 226,327, 355,399.Béguin, Albert, 61 n, 263.Bejar, duca di, 124.Bellemin-Noël, Jean, 390 n.Bellour, Raymond, 3 38.Bénabou, Marcel, 404 n.Bénézet, Mathieu, 83, 109.Benserade, Isaac de, 258.Benstock, S.,315 n.Benveniste, Emile, 167 n.Berlioz, Hector, 129.Bernanos, Georges, 82, 333.Bernardin de Saint-Pierre, Jacques-Henri, 19, 222.

Berny, Madame de, 129.Bertrand, Louis, 276, 277.Beyle, Henri, vedi Stendhal.Bibesco, Antonio, 372.Bignan, A., 167 n.Binet, Claude, 221 n.Bioy Casares, Adolfo, 264.Blackmur, R., 248 n.Blake, William, 212, 400.Blanche, Jacques-Emile, 342.Blanchot, Maurice, 96, 1 13, 156, 169,

200, 230, 244, 263. 265. 306. 355.41 1.

Blum, René, 62 e n, 298, 368, 373.Boccaccio, Giovanni, 209, 308.Boileau-Despréaux, Nicolas, 42 e n,

117,,258 e n, 308, 331.Bois, Elie-Joseph, 298, 353.Bombet, Louis-Alexandre-César, vediStendhal.

Bonald, Louis de, 220.Boncenne, P., 352 n, 354 n.Bonfantini, Mario, 166.Bonnard, Pierre, 32.Bonnefoy, Yves, 309, 359 e n.

INDICE DEI NOMI

Borges, Jorge Luis, 4, 99 n, 126, 129,169, 185, 201, 202, 221,227, 234,235, 252,257, 263-65, 266 n, 268,269. 277. 284. 288. 326 H, 352,354. 356 11. 357. 396. 493-

Bosco, Henri, 214.Bossuet, Jacques-Bénigne, 2 20.Bost, Pierre, 69.Boswell, James, 263, 305, 378.Bougnoux, D., 332 n.Bouilhet, Louis, 127 e n, 172, 262,264, 266, 269,365, 370.

Bourget, Paul, 154, 209, 212, 255,256.

Bousquet,J., 108 n.Bouteron, Marcel, 174.Bowersock, G. W., 321.Brasillach, Robert, 154.Brecht, Bertolt, 291.Breton, André, 357.Briggs, A., 21 n.Brod, Max, 66.Brontë, Charlotte, 95.Brooke-Rose, C., 90 n.Bruce, Jean, 89.Buffon, Georges-Louis de, 143, 319.Burch, Noel, 29.Burgess, Anthony, 72.Butor, Michel, 20, 26 n, 35, 359, 361,362.

Buzzati, Dino, 355 n.Byron, George Gordon, Lord, 148,

156, 181 n.

Caillavet, Madame de, 177.Caillois, Roger, 202.Callimaco di Cirene, 307.Calmette, Gaston, 1 23.Calzecchi Onesti, Rosa, 98 n.Camus, Jean-Renaud, 52, 53, 99, 284,314. 315. 329. 361-

Canel, signor, 68.Capote, Truman, 355.Caritone d'Afrodisiade, 37, 162.Carlo I, re di Francia, 3 19.Carlo IX, re di Francia, 1 16.Carpentier, Alejo, 147.Carraud, Zulma, 129.Cartaphilus, Joseph, 2 77.Casanova, Giacomo, 305.Castex, Pierre-Georges, 174.Céard, Henri, 369, 370.Céline, Louis-Ferdinand, 154.Cendrars, Blaise, 38.

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INDICE DEI NOIVII

Cerisy, 359,360 n, 361, 362.Cerquiglini, Bernard, 296 n.Cervantes y Saavedra, Miguel de, 97,

165, 188, 205, 210, 217, 220,228,231,242, 296.

Chamfort, Sébastien-Roche-Nicolas,320.

Chancel,Jacques, 356 n.Chantal, Suzanne, 272 n.Chapelain,Jean, 46, 117, 222 n, 260,

265.Chapsal, Madeleine, 352 n.Char, René, 60, 1 13, 330.Charbonnier, Georges, 356 n.Charles, Michel, 154 e n, 315.Charnes, abate di, 341.Charpentier, 378.Chartier, Roger, 18 n.Chateaubriand, François-René de, 67,

120 e n, 130 n, 135, 168, 171-174. 177 11. 267, 268. 222. 237.238, 241, 244, 245 e n, 250 n, 251,2531 2551 2571 3°5› 3061 3161 3191326. 323-25. 366, 366. 377. 396.393 n-

Chaumeix, André, 376.Chénier, André, 308.Chevalier, Jean-Louis, 404 n.Chollet, Roland, 61 n.Chrétien de Troyes, 6, 37, 98, 164,

165 e n.Chrysis, Pierre, 284 n.Cicerone, Marco Tullio, 1 16, 306.Clari, R. de, 65, 166.Claudel, Paul, 136 e n, 155 n, 272 n,321. 357. 358.366.375. 3791384-

Cleisbotham, Jedediah, 2 83.C0cteau,Jean, 93, 99, 108 n, 400.Cohen, Gustave, 272.Cohen, Jean, 83, 356 n. )Coleridge, Samuel Taylor, 115, 180 n,181,308, 326.

Colet, Louise, 366, 368-70.Colette, Sidonie-Gabrielle, 41.Collins, P., 363 n.Colomb, Roman, 393 n.Colonna, V., 329 n.Commynes, Philippe de, 166.Compagnon, Antoine, 4 n, 7 n, 148 en.

Condillac, Etienne Bonnot de, 403.Condorcet, Marie-Jean-Antoine Cari-tat, marchese di, 262.

435

Conrad, Joseph, 127, 226, 251, 301,3 13.

Constant, Benjamin, 181 n, 220, 238,285 e n.

Copeau, Jacques, 1 24.Copernico, Nicola, 88.Corbière, Tristan, 154.Corneille, Pierre, 117,118,121, 125,

171, 173, 191, 208, 211, 222, 238,239. 256. 251. 331 6 11. 336. 393 11-

Correggio, Antonio Allegri, detto il,377~

Cortázar, Julio, 215.C0uratier,J., 138 n.Courier, Paul-Louis, 53.Courtilz de Sandras, Gratien de, 277.Cowley, M., 356 n.Crebillon, Claude-Prosper Jolyot de,

129.Crébillon, Prosper Jolyot de, 1 29.Crémieux, Francis, 352, 356 n, 357.Currer Bell, vedi Brontë, Charlotte.Curtius, E. R., 38 n.

Dablin, Theodore, 123.Dala, Ch., 401 n.Damisch, Hubert, 21 e n.Dante, vedi Alighieri, Dante.Danto, Arthur, 413.Danton, Georges-Jacques, 144.Darien, Georges, 276.Daudet, Léon, 123.Daudet, Lucien, 342, 343, 371.Davin, Félix, 177 n, 199, 274.De Amicis, Edmondo, 370 n.Dean, James, 248.De Berny, Mme, 371.Debussy, Claude, 65.Defauconpret, Auguste-Jean-Bap43, 283.

Defaux, Gérard, 219 n.Defoe, Daniel, 89, 128, 279, 415.Delacroix, Eugène, 1 29, 132.Deleuze, Gilles, 170, 265, 280.Del Litto, V., 384 n.Delteil, Joseph, 130 n.Derrida, Jacques, 90 n, 109, 158, 159n, 193 n, 228 n, 346, 411.

Descartes, René, 255, 306,355.Dickens, Charles, 71, 90, 94, 231,

242. 251. 296. 333. 363 6 11. 387 11.388.

Dickinson, Emily, 309.

tiste,

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436Diderot, Denis, 43, 117, 222, 223,

225, 261, 292 e n.Di Fazio Alberti, Margherita, 404 n.Diodoro Siculo, 259.Diogene Laerzio, 84 n, 166.Dione Cassio Cocceiano, 208.Donato, 98.Donne,John, 147, 154, 308, 309.Dorgelès, Roland, 29 n.Dostoevskij, Fëdor Michajloviš, 94,

333. 388-Drieu de la Rochelle, Pierre, 99, 1 1 1,

126, 214, 248.Dubrovskij, Sergej, 59, 298.Du Camp, Maxime, 216 n, 370.Ducasse, Isidore-Lucien, vedi Lautréa-mont.

Duchet, Claude, 4 n, 55 n, 56, 66,172 n, 223 n, 228 n.

Ducournea,u,J.-A., 61 n.Dujardin, Edouard, 129, 280.Dumas, Alexandre, 47, 94, 123, 232,

269. 277. 305-Dumézil, Georges, 356 n.Duparc, Tony, 52.Duplan,Jules, 370.Duras, Marguerite, 49, 3 56 n.Dusolier, Alcide, 347.

Eco, Umberto, 77 n, 91 e n, 92 e n,167 11. 238. 249. 277. 297. 399-

Edgeworth, Miss, 245.Eliot, George, pseudonimo di MaryAnn Evans, 50, 326, 410.

Eliot, Thomas Stearns, 269, 408.Ellmann, Richard, 131 n, 343 e n.Eluard, Paul, pseudonimo di EugèneGrindel, 34, 154.

Enckell, P., 108 n, 113 n.Enghien, Louis-Antoine de Bourbon-Condé, duca di, 125.

Enrico IV, re di Francia, 13 1.Epitteto, 143.Erasmo da Rotterdam, 134, 142, 148.Erodoto, 37, 64-66, 161, 166, 196,

203, 304.Escal, François, 401 n.Eschilo, 163.Esiodo, 37.Espinel, Vincente, 187.Este, Ippolito d', 1 16.Euripide, 163,259.Ezine,Jean-Louis, 268 n, 352 n, 357.

INDICE DEI NOMI

Fanon, Franz, 169, 268.Faucheux, Pierre, 32.Faulkner, William, 264, 266, 356,

357. 359. 398-Faure, Edgar, 51.Febvre, Lucien, 18 n, 135 n.Fénelon, François de Salígnac de laMothe, 241.

Fenwick, Isabelle, 324.Fernández, Macedonio, 263.Ferrero, Leo, 267, 270, 325 n.Fielding, Henry, 122, 129, 145,222,

227, 242, 257, 281, 296, 328.Filippo di Fiandra, 165.Firpo, Luigi, 98 n.Fitzgerald, Francis Scott, 149.Flahault, François, 271.Flaubert, Gustave, 6, 68 e n, 70, 72

11, 94, 164. 127. 129. 138. 145.172, 216 n, 226, 262-64, 266 e n,267, 268, 269 n, 272, 288, 298,361. 329, 335. 347 6 11. 365-69.376. 378. 379. 382. 385. 396, 391.400 e n.

Flers, Robert de, 342, 343 n.Formey, Jean-Henri-Samuel, 3 23.Forster, Edward Morgan, 381, 382.Foucault, Michel, 353.Fourcaud, 348 n.Fowles, John, `156.France, Anatole, 10, 41, 62, 94, 172,

177, 260, 264,268 n, 269.Francesco di Sales, santo, 241.Frappier-Mazur, Lucienne, 145 e n.Frisch, Max, 215.Froehner, G., 347 e n.Froissart,Jean, 37, 166, 196.Frontenac, Yves, 355.Frost, Robert, 309.Fry, Roger, 381,382.Frye, Northrop, 12, 212 e n, 217.Fumaroli, Marc, 260 n.Furetière, Antoine, 90 n, 1 18.

Gallimard, Gaston, 299.García Lorca, Federico, 49, 309.Gary, Romain, 51.Gauchie, M., 393 n.Gaudon, S., 371 n.Gaulthier, Mme, 369.Gautier, Théophile, 95, 123, 228.Gellio, Aulo, 210.Genet,Jean, 265.

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INDICE DEI NOMI

Genette, Gérard, 3 n, 21 n, 47 n, 143n, 170,298 n, 407-16.

Geoffroy de Lagny, 37.Gershman, H. S., 219 n.Ghéon, Henri, 376.Ghil, René, 267.Gibbon, Edward, 304,321 e n.Gide, André, 95,99, 100, 124, 127,1369 n,133,133,169,183,294,216 n,272 n,277,3°3,343,337,366,370,373,378-89,383,383-388, 399-

Gilbert, Stuart, 12, 344 e n.Gi0n0.Jflan, 67, 91, 97, 99, 100, 113,

149» 33°<Giovanna d'Arc0, santa, 137.Giovanni della Croce, santo, 326.Giovenale, Decimo Giunio, 371.Girard, Alain, 384 n.Gleizes,].-M., 223 n, 315 n.Gobineau, Joseph-Arthur de, 94, 306.Goethe, Wolfgang von, 164, 292,366,379~

Goldsmith, Oliver, 1 24 n.Goncourt, Edmond de, 94, 95, 181,2°4,211,367n,379,384

Goncourt,]ules de, 94, 95, 204, 301,379,384

Gongora, Luis de, 308.Goodman, Nelson, 413, 414.Gorz, André, 270.Gothot-Mersch, C., 70 n.Gracq, julien, 355 n.Green, Julien, 109 n, 146, 204, 330,

379, 383-87, 394 11, 403Grésillon, A., 390 n.Grimm, Friedrich Melchior, 261.Grivel, Charles, 55 n, 75, 76 n, 79.

437

Hegel, Georg Wilhelm Friedrich,154, 158.

Heine, G., 350 n.Hélin, M., 55 n.Hémery,]ean-Claude, 30, 110, 111.Hemingway, Ernest, 60, 156, 393.Herbart, Pierre, 379 n.Hesse, Hermann, 341.Hetzel, Pierre-Jules, 371 e n.Hillis Miller, ]., 3 n.Hilsum, M., 246 n.Hobbes, Thomas, 21 1.Hoek, Leo H., 55 e n, 56, 76-79.Hogarth, William, 222.Hölderlin, Friedrich, 156, 308.Hollier, Denis, 29.Houssaye, Arsène, 123.Hugo, Victor-Marie, 13, 44, 72, 86 n,87,129,144,134,168,173,176,178, 180, 197, 198, 206, 212, 217,226, 231, 238, 232, 234, 236, 277n,

312 11, 323, 340, 366, 371 9 11, 374,375, 389, 400, 413

Hunter, Alfred C,, 265 n.Huret,]ules, 357.Huster, Francis, 162 n.Hust0n,]0hn, 97.Huston, Nancy, 97.Huysmans, Ioris-Karl, 94, 168, 255,

256, 301. 1

Idt, Geneviève, 268 n.Ingres, Jean-Auguste-Dominique, 5 1.Irving,]ohn, 328 n.Iseler, P., 272 n.Isocrate, 161.Issacharoff, Michael, 327 n.

Gf0¢fhUYS¢I1, B¢ff1fl1'd› 399- Jabès, Edmond, 1 13.Guillaume de Lorris, 37. Jaffray, Pv 25 n_GUiS€, René, 399 fl- Jakobson, Roman, 410.GUt¢f1b¢1'g›J°hafm, 134- James, Henry, 94, 100, 127, 145, 168-Gl-Wfifd, M~-F-› 393 U- 170, 248 e n, 251, 257, 288, 301,Guyotat, Pierre, 86. 339,372 9 11, 383, 388, 39°, 391,

396, 400.Hfimmeff, Dflshidl, 27- Jammes, Francis, 376.Hansen, V., 350 n. Ianin, Jules, 231.Hanska, Mme, 120, 129, 177 n, 224 Jean de Meung, 37_n, 227 n, 366, 368-71, 374. Jean Paul, pseudonimo di ]ohanr1 Paul

Hawthorne, Nathaniel, 129. Richter, 210.Hay, L., 390 n, 392. Jeanson, Francis, 214.Hazard, Paul, 314 n. Ienks, Tom, 393.Heath, Willie, 123, 260. Iohannot, Y., 21 n.

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438Johnson, Samuel, 263.Joinville, Jean de, 166.Jong, Er1ca, 71, 296.Jordane, Benjamin, 190.Jouffroy, Alain, 214.Jouhandeau, Marcel, 108 n.Joyce, James, 4, 21, 83 n, 131, 156,

264, 303, 343, 344, 4°7›Kafka, Franz, 230, 364, 381, 385,392.

Kant, Immanuel, 306, 355.Kantorowicz, C., 55 n.Kierkegaard, Søren Aabye, 52.Kimbote, Charles, 334, 335.Klingsor, Tristan, 48. .Kock, Paul de, 210.Kolb, Ph., 62 n, 68 n, 353 n.Kristeva,Julia, 412.Krudener, Madame de, 181 n.Kundera, Milan, 264.

Labé, Louise, 50 n.La Bruyère, Geoffroy de, 42.La Bruyère, Jean de, 42, 70 n, 148,

174, 213, 262, 291, 319-Lacan,Jacques, 156,41 1.La Céppède,J. de, 307, 326.Laclos, Pierre Choderlos de, 285, 3 33.Lacroix, Albert, 340, 371, 372.Lafayette, Marie-Madeleine Pioche dela Vergne, contessa di, 42, 341,377«

La Fère, conte di, 277.La Fontaine, Jean de, 19, 94, 118,

195, 219, 222 e n, 262, 267.Laforgue, Jules, 309, 310.La Harpe, Jean-François, 262.Lamartine, Alphonse de, 49, 85 n, 89,97› 123 n› I29› 203 C n› 3°8› 375-

Lambert,Jean, 136,379 e n.Lanoux, Armand, 262.Lanson, Gustave, 324, 325.Laporte, Roger, 97.Larbaud, Valery, 12, 47 n, 108 n,130,172,202,263-65,270,280.

La Rochefoucauld, François, duca di,42, 45› 142, 149› 15°: 7-91-

La Trousse, marchese di, 1 17.Laufer, R., 35 n.Laugaa, Maurice, 48 n.Laurent,Jacques, 51, 190,334, 357.Lautréamont, pseudonimo di Isidore-Lucien Ducasse, 50, 150, 156, 233.

INDICE DEI NOMI

Lawrence, Thomas Edward, 53.Léautaud, Paul, 351, 357, 358, 366,

379-Leclerc, Léon, 48.Lefevre, Fréderic, 357.Léger, Alexis Saint-Léger, 48-50, 309,

37-7› 33 I›Le Goff, Jacques, 296 n.Le Huenen, R., 145 n.Leibowitz, René, 270.Leiris, Michel, 99, 100, 170.Leitzmann, Albert, 205 n.Lejeune, Philippe, 4 e n, 14, 41 e n,43,349 11, 33°, 336 11, 338,387 11-

Lemaitre, H., 78 n.Leonardo da Vinci, 325 n.Le Poittevin, Eugène Poidevin, detto,

127, 129.Leroux, Pierre, 232.Lesage, Alain-René, 47 n, 179, 296,

415-Lessing, Gotthold Ephraim, 81, 91 n,

144.Leuilliot, B., 371 n.Levenston, E. A., 55 n.Leverkühn, Adrian, 84 n, 85.Levin, H., 55 n.Lévy, Michel, 68, 72 n.l'Hermite, Tristan, 1 17.Lichtenberg, George Christoph, 205 e

n.Liszt, Franz, 129, 132, 401.Livio, Tito, 162, 196.L0cke,J0hn, 205.Longo, sofista, 53.Lories, Danielle, 408 n, 414 n.Louys, Pierre, 183, 279, 284 n.Lovenjoul, Berch de, 302.Lowry, Malcolm, 146, 147, 231.Lubbock, Percy, 388.Luciano di Samosata, 162.Lucrezio Caro, Tito, 1 15.Lugones, Leopoldo, 129.Luigi XI, re di Francia, 166, 304.Luigi XIII, re di Francia, 13 1.Luigi XVI, re di Francia, 320.Luigi XVIII, re di Francia, 120.Luigi Bonaparte, re d'Olanda, 371.Ly0tard,Jean-François, 108, 346 n.Lyttelton, Georges, 122.

Mabillon, D0mJ., 277.Machado de Assis, Joaquim Maria,

187.

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INDICE DEI NOMI

Machiavelli, Niccolò, 304, 306.Mackenzie, Henry, 1 24.Macpherson, James, 183.Madaule, Jacques, 272 n.Magny, Claude-Edmonde, 289.Mailhot, Laurent, 404 n.Maistre, François-Xavier de, 287.Malesherbes, Chrétien-Guillaume deLamoignon de, 320.

Malherbe, François de, 265.Mallarmé, Stéphane, 35, 156, 187,230,263, 267,309.

Mallet, Robert, 136, 351, 357, 358,366.

Malraux, André, 101, 172, 264, 266,272, 3,16, 332, 333-

Manet, Edouard, 127.Mann, Thomas, 26, 151, 152,350 en, 356 n, 362 n, 380, 384,386 e n.

Mansfíeld, Katherine, 381 e n.Maquet, Auguste, 47.Marcel, Gabriel, 378.Margolis,J0seph, 413, 414 e n.Maria, regina di Polonia, 1 17.Marino, Giambattista, 94, 222 n,

260, 265,308.Marivaux, Pierre Carlet de Cham-blain de, 42, 89, 181, 228, 231,274-76, 285 n.

Marlborough, duca di, 282.Marot, Clément, 259.Martin, Claude, 380.Martin, Henri-Jean, 18 n, 135 n.Martin du Gard, Roger, 124, 370,378, 380,388.

Marx, Karl, 146, 156.Matisse, Henri, 332 n.Maturin, Charles Robert, 144.Maugham, Somerset, 154.Mauriac, Claude, 378, 379 n.Mauriac, François, 147 e n, 355.Maurois, André, 57, 62, 120 n, 262,300 n, 305.

Mazzarino, Giulio Raimondo, 121McLuhan, Marshall, 396.Mecenate, 1 16, 134.Meilhac, Henry, 68.Melville, Herman, 129, 296.Mendelssohn, Peter de, 386 n.Mérimée, Prosper, 47 e n, 89, 285,

369.Michaux, Henri, 60, 226, 355.Michelangelo Buonarroti, 375.

439

Michelet, Jules, 7 n, 123, 171, 305,316, 319

Miller, Henry, 357.Milly,J., 67 n, 78 n.Milton,J0hn, 295, 323.Mitterand, Henri, 55 n, 66 n, 104,

105, 167 n, 391 en.Modiano, Patrick, 214.Molière, Jean-Baptiste Poquelin, det-

to, 50, 117, 118, 126, 239-41, 244,262, 264.

M0lin0,Jean, 55 n, 89 n.Moncelet, Th., 55 n.Mondor, Henri, 187.Mondriaan (Mondrian), Piet, 52 n.Monglond, A., 393 n.Montaigne, Michel Eyquem, signoredi, 35, 45, 86, 197, 200, 203, 266,325› 393-

Montespan, Françoise-Athénais deRochechouart, marchesa di, 1 18.

Montesquieu, Charles-Louis de Se-condat, barone di La Brède e di,18, 42, 43, 89 9 11,119,143 11,193,196, 238, 241, 266, 267, 306, 319,325-

Montoron, M. de, 1 17.Moore, George, 289 n. _Morand, Paul, 219, 241, 267, 373,374 n-

Morillon, Victor, 183.Moritz, Karl Philipp, 95.Morrissette, Bruce, 271 n, 341.Mozet, Nicole, 172 n.Muller, C., 334.Muscetta, Carlo, 312.Musil, Robert, 172, 296.Musset, Alfred de, 305.

Nabokov, Vladimir, 108 n, 179, 186,238, 242, 243, 284, 303, 336 11-

Nadeau, Maurice, 346.Napoleone I Bonaparte, imperatoredei Francesi, 120 e n, 125, 135,371 .

Necker, Mme, 143 n.Neefs,Jacques, 228 n.Nerval, Gérard de, pseudonimo di Gé-rard Labrunie, 49, 123, 232.

Nicolson, Harold, 381.Niess, R. J., 370 n.Nietzsche, Friedrich, 233 n.Nizan, Paul, 263.

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440

Nodier, Charles, 95, 154, 156, 171,173, 181 n, 183, 187, 205, 227,228 e n, 268 n, 278.

Novalis, pseudonimo di Friedrich vonHardenberg, 206 e n.

O”Hara, John, 154.Ollier, Claude, 362.Omero, 37, 160,210, 219, 259, 323.Orazio Flacco, Quinto, 131, 142 n,

143, 239, 397, 398Origene, 241.Orléans, Charles de, 308.Oura, Y., 182 n.Ovidio Nasone, Publio, 58, 142, 149,

219, 259.

Painter, George, 306.Parinaud, André, 357.Pascal, Blaise, 146, 241, 325, 336.Pascal, Gilberte, 262.Paulhan,Jean, 100, 108, 113,306.Pausania, 208.Pavie, Victor, 276 n.Pawlowski, Gaston de, 376.Péguy, Charles, 38, 86, 130.Peirce, Charles S., 413.Perec, Georges, 97, 146,329 n.Perron, P., 145 n.Persio Flacco, Aulo, 1 43.Pessoa, Fernando, 52, 284.Petit, Jacques, 147 n, 330, 385 e n,396.

Petrarca, Francesco, 143, 151, 308.Picon, Gaétan, 314, 332, 333.Pierrefeu,Jean de, 342.Pierrot, Roger, 174, 177 n.Pindaro, 154.Pinget, Robert, 362.Pisistrato, 294.Pitagora, 146, 320.Pitt, William, 125.Pivot, Bernard, 353 n.Platone, 84 e n.Plauto, 37, 81, 163.Plinio, Gaio Secondo, 141.Plotino, 355.Plutarco, 259.Poe, Edgar Allan, 86, 249, 264, 287,

360, 361.P0mmier,Jean, 395.Ponge, Francis, 38, 314, 352, 356 n,

359, 392-

INDICE DEI NOMI

Porqueras Mayo, A., 163 n.Poulet, George, 263.Pound, Ezra Loomis, 49.Prévost d'Exiles, Antoine-François,

190, 230 n, 276.Proust, Marcel, 10, 31, 32 n, 62 e n,63, 67,68 e n, 82, 83 e n, 90 e n, 93n, 96 n, 97, 123, 128, 132, 151,180,189, 199, 204, 217, 218, 220,228 e n, 246, 260, 262, 264, 267,277› 288› 298'30O› 3o3› 306› 3I2›

329, 330 U, 332,337, 339, 342 fl,343, 333 6 11, 368, 37°, 372-76,391› 392› 395› 41°-

Puech, Jean-Benoit, 47 n, 138 n, 189,19° 6 11, 349 11,331 11-

Puig, Manuel, 328 n.Puškin, Aleksandr Sergeeviš, 355 n.Pynchon, Thomas, 252, 296.

Queneau, Raymond, 30, 38, 99, 100,106, 107 n, 108 n, 112 n, 264, 287,288 n, 356 n.

Quevedo, Francisco de, 131, 227,297. .

Quignard, Pascal, 112, 210 e n.Quinet, Edgar, 123.Quintiliano, Marco Fabio, 306.Quinto Smirneo, 294.

Rabelais, François, 51, 142, 160, 166e n, 167, 212, 219, 296, 232, 325.

Racine, Jean, 117, 118, 129, 173,208, 211, 239, 240, 244, 250, 251,262, 334-

Radcliffe, Ann, 145, 21 1.Raffaello Sanzio, 375.Rambures, Jean-Louis de, 356 n.Randal, Georges, 276.Reboux, P., 334.Regard, Maurice, 174, 395 e n.Régnier, Henri de, 136.Régnier, Mme, 269, 272 n.Renan,Joseph-Ernest, 9, 251, 254.Renard,Jules, 270, 383, 384.R”Hoone, Lord, vedi Balzac, Honoré

de.Rícard0u,Jean, 30, 65,97, 265, 362.Ricatte, Robert, 67 n.Richard, Jean-Pierre, 48 n, 148, 200,

263 , 3 15.Richards, Ivor Armstrong, 408, 409.Richelieu, Armand-Jean du Plessis de,

47-

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INDICE DEI NOMI

Rigolot, François, 222 n.Rihoit, Catherine, 214.Rilke, Rainer Maria, 309.Rimbaud, Jean-Arthur, 9, 46, 177,399, 316, 392›

Rimmon-Kenan, Sh., 78 n.Ristat,Jean, 130 n.Rivarol, Antoine, 154.Rivière,Jacques, 68 n, 342, 371, 375

e n.Robbe-Grillet, Alain, 12, 106 n, 271

11,341, 339, 369 11,362-Robert, Louis de, 62 e n, 330 n, 358,368, 373 e n.

Robin, Armand, 108 n.Roche, Maurice, 59.Roger, Ph., 15 n.Rojas, Fernando de, 41.Ronsard, Pierre de, 221, 257, 269,

295, 308.Rostand, Maurice, 342.Rothe, Arnold, 404 n.Roudaut, Jean, 97.Rousseau,Jean-Jacques, 53, 110, 119,

141› 143 U, 151, 17°, 183, 185,196, 197, 203, 205, 207, 231, 285,393, 396, 316, 318,322, 324,323,333 9 11, 334, 369, 499,

Roussel, Raymond, 249, 361, 404 n.Rutebeuf, 308.Ruyters, A., 127, 136.

Saba, Umberto, 189.Sabry, R., 82 n.Saint-Amant, Marc-Antoine de Gé-rard, signore di, 97, 117, 222, 331.

Saint-Aubin, Horace de, vedi Balzac,Honoré de.

Sainte-Beuve, Charles-Augustin, 144,148, 152, 189, 211, 218, 277 n,279› 323, 347› 372› 3761 378-

Saint-Hilaire, Geoffroy, 129.Saint-John Perse, vedi Léger, AlexisSaint-Léger.

Saint-Laurent, Cécil, vedi Laurent,Jacques.

Saint-Simon, Louis de, 305.Sairigné, G. de, 21 n.Salmon, André, 86.521v2g1191i, 19 11, 197, 342, 344, 378Sand, George, pseudonimo di AuroreDupin, 50 n, 173, 180 n, 238, 254,268 n, 377.

441

Sanday, Edgar, vedi Faure, Edgar.Sangsue, D., 95 n.Sarduy, Severo, 235, 317.Sarraute, Nathalie, 176, 177, 264,

268 n, 357, 362.Sartre,Jean-Paul, 7 n, 30, 86, 99, 100,

113, 146, 169, 170, 176-78, 264,267, 268 9 11, 279, 289, 339,333,332, 334, 337, 379, 388

Satie, Erik, 250, 270.Scarron, Paul, 1 17, 296.Schaeffer,Jean-Marie, 159, 209 n.Scheikévitch, Mme, 138 n.Schlumberger, Jean, 1 28.Schmoller, H., 21 n.Schrenders, P., 21 n.Schwob, Marcel, 89.Scott, Walter, 43-45, 71, 94, 100,

128, 131, 143-43, 148, 134, 136,168-70, 172, 173, 179, 180, 185,191, 199,204, 208,211, 223, 224e11, 227, 243, 237, 274, 276, 279-84,391, 316, 317, 334, 367, 377, 494n, 415.

Searle, John Richard, 413.Seebacher, Jacques, 72.Séguin, abate, 120 n, 207.Sénancour, Etienne Pivert de, 69,279,316,333, 334,393 11-

Senard, M., 127 n.Servio, 98.Shade,John, 286, 334, 335.Shakespeare, William, 124 n, 144,

145, 156, 163, 223, 282.Shaw, Thomas Edward, vedi Lawren-ce, Thomas Edward. i

Sieburth, R., 277 n.Simenon, George, 69.Simon, Claude, 359, 362.Sklovskij, Viktor B., 57.Smullyan, Raymond M., 86.Socrate, 84.Sofocle, 156, 163, 210,259.Sollers, Philippe, 9, 150, 352, 355,336 11, 392-

Sorel, Charles, 177 n.Sorrentino, Gilbert, 3 35 n.Souday, Paul, 376.Spencer,John, 125, 295.Spinoza, Baruch (Benedetto), 209.Staël, Germaine de, 306.Star0binski,Jean, 49 e n, 52 n.Stendhal, pxeudonimo di Henri Beyle,

12, 19, 47, 39-33, 67, 68, 89, 82,

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94,197,124 11,127,139,144,148,154,155 e n, 183, 189,210, 229,266, 267, 276, 311 n, 312, 317,329, 321, 327, 328, 334, 333, 341,343-46, 369,376, 377, 381,384 9n, 391, 393, 394 e n-

Stéphane, Roger, 270.Sterne, Laurence, 128, 169, 287, 329,335-

Stevens, Wallace, 309.Stevenson, Robert Louis, 168, 191.Strachey, Lytton, 381.Straus, Mme, 370.Strauss, Richard, 277.Swift,Jonathan, 127, 211, 297.

Tacito, Publio Cornelio, 371, 394.Tadié,Jean-Yves, 298 n.Tagore, Rabindranath, 67.Taine, Hippolyte, 183, 306.Tasso, Torquato, 295, 323.Tavernier, Bertrand, 69.Teocrito, 307.Teofrasto di Ereso, 70 n.Terenzio Afro, Publio, 163, 259.Teresa d'Avila, santa, 153.Thackeray, William Makepeace, 3 5,44,71,99,97, 128, 296, 297,499-

Thibaudet, Albert, 48 n.Thompson, C. W., 328 n.Thurn und Taxis, principessa di, 137.Tocqueville, Alexis de, 197, 306, 319.Todorov, Tzvetan, 90 n, 263.Tolstoj, Lev Nikolaeviš, 94, 170, 208,

224, 236, 301, 384, 388.Tournier, Michel, 11, 91, 170, 280,338, 334, 337, 362-

Triolet, Elsa, 101, 124, 129,246 n.Tristan l'Hermite, 308-10.Truffaut, François, 83.Tucidide, 15, 37, 161, 162, 164, 196,

203, 304.Turoldo, 37.

Ungaretti, Giuseppe, 309.Unsfeld, Siegfried, 341 n.Urfé, Honoré d', 71, 191, 192.Utrillo, Moris Maurice, 387.

Vaillant-Couturier, Paul, 399 n.Valéry, Paul, 67, 86, 127, 169, 172,

176, 178, 218, 219, 221, 250 n,264, 266,267 e n, 268 n, 270, 272,

INDICE DEI NOMI

273, 312, 316, 317, 323, 329 9 11,333, 366, 383, 396, 397, 419, 411-

Vallet, abate, 277.Van der Perre, P.,.4oo n.Van Dongen, Kees, 32.Vandromme, Pol, 1 13 e n.Van Santen Kolff, J., 66 n, 82 n, 369,

370 e n.Vario Rufo, 98.Varrone, Marco Terenzio, 1 16.Vasquez, Esther, 352.Verboekhoven, 340.Verlaine, Paul, 177, 309, 317.Veron, Eliseo, 139.Viala, A., 117 n.Vian, Boris, 82.Vicaire, Gabriel, 185.Vidal-Naquet, Pierre, 172.Viellerglé, vedi Balzac, Honoré de.Vigny, Alfred de, 151, 153, 223.Villehardouin, Geoffroy de, 166.Villon, François, 259, 308.Virgilio Marone, Publio, 37, 98 n,

134, 298, 219, 294, 397-Voltaire, François-Marie Arouet, det-10,24,43,49,117,232,237,262,267, 293, 394, 321, 323, 331 9 11,336.

Wagner, Cosima, 233 n.Wagner, Richard, 326.Wajeman, Gérard, 315 n.Walpole, Horace, 143 n.Ward, N., 284 n.Warren, A., 87.Warren Beach, Joseph, 388.Weinberg, B., 260 n.Wellek, René, 87, 408.Werner, M., 390 n.West0n,Jessie, 326.Whitman, Walt, 309, 312.Whitworth, K. B., 219 n.Wimsatt, William, 408, 409.Wittgenstein, Ludwig, 403, 408.Wittig, Monique, 3 14.Woolf, Leonard, 381.Woolf, Virginia, 50 n, 353,381, 386 en, 389.

Wordsworth, William, 1 15, 180 n,181, 223, 236, 266, 308, 309, 324,327.

Yourcenar, Marguerite, 49.

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INDICE DEI NOMI

Zola, Emile, 31, 61, 66, 82 e n, 94,95, IO4 C fl, IOS, I08, II2, Ilj,

127, 129, 138, 143, 167 11, 217,219, 220, 225,242, 262', 288,301,323,349, 348 9 11, 367, 369, 372 911, 373, 376, 388, 399, 391, 398 11,399-

Zschokke, Heinrich, 181 n.

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