15 febbraio 2013 di Totò - ecampania.it · mia cara amica mio amico fraterno, e collega, persona...

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15 febbraio 2013 In occasione del 115° anniversario della nascita di Totò ----------------------------------------------------------------------------------------------

PROPRIETA’ ARTISTICA E LETTERARIA RISERVATA ALL’AUTORE

GENIO PUBLICATIONS 2013

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Alfonso Carotenuto

VEDI NAPOLI E POI … E PO’

Nel Rione Sanità, in giro con Totò

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In memoria di Anna Rivoli e Franco Sorrentino mia cara amica mio amico fraterno, e collega, persona libraio storico di eccezionale Torre Annunziata

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All’Amore per il Sapere, per le Scienze,

per le Belle Arti e per la mia Città

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Si ringrazia la prof.ssa Ida La Rana per la preziosa collaborazione.

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Ciò che sto per raccontarvi ha dell’incredibile e del misterioso. Oppure è un semplice espediente, uno stratagemma usato dalla nostra mente per non morire indegnamente nell’arco di pochi secondi. La mente umana è capace di autogenerare forti stati di allucinazione, comandando ad alcune ghiandole di secernere sostanze sedative simili alla morfina, che stordiscono e addolciscono un forte dolore, evitando una morte subitanea da shock a seguito di un forte trauma. Ma veniamo all’accaduto. Avevo da poco lasciato un gruppo di studenti tedeschi al Museo Archeologico Nazionale e, visto che era abbastanza presto, ho fatto un salto in una delle tante librerie che ci sono tra Port’Alba e Piazza Cavour per comprare una copia del “Purgatorio” di Dante per mia figlia Rossana. Ma poche centinaia di metri dopo essere uscito dalla libreria, quasi all’altezza di Porta S. Gennaro, nei pressi del mercatino della frutta e della verdura, sono scivolato su qualcosa (dopo ho saputo che si trattava solo di una semplice buccia di banana) e son caduto a terra come un salame, battendo la nuca sul pavimento di dura pietra lavica. A terra svenuto mi son sentito dare degli schiaffetti sulle guance ed una voce maschile, abbastanza

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familiare, che mi diceva: - “Giovanotto, giovanotto, qui si poltrisce, ci si

riposa. Su alzati, perdinci, perbacco e perdindirindina!!!” Aprendo gli occhi, non mi sembrava vero. Sicuramente stavo sognando, oppure la lieve botta alla nuca mi aveva procurato qualche danno cerebrale o alla vista, perché, quello che mi invitava ad alzarmi era … il Principe Antonio de Curtis, in arte Totò!!!

- “Beh, allora?! Ci alziamo o non ci alziamo?! Qui il tempo passa … ed io pago !!! La mia faccia non ti è nuova??!! E’ logico, ce l’ho da quando sono nato!!!

- Principe, ma… desto o son sogno… cioè … sogno o son desto? io… non capisco...

- Fofò, alzati, perché… c’è poco da capire. Ma che mi hai preso per un forestiero?? Non vengo mica dalla foresta ?! Sono Napoletano doc, anzi, sono napoletano due volte perché sono parte napoletano e parte nopèo.

- Ma è un sogno o una cosa … reale??!! - Ricordati: la vita è fatta di cose reali e di cose

supposte: se le reali le mettiamo da una parte, le supposte… dove le mettiamo? Perciò, poche storie e poche domande. Ogni limite ha una pazienza. Alzati e… strada facendo ti racconterò come stanno le cose!

- Principe, ma …pure gli altri possono vedervi? - Ma chi, sti fessi, sti baccalà, sti morti viventi?

No, loro non possono vedermi. Solo i morti, i trapassati, i defunti possono vedermi.

- Principe, ma allora io sono…. - No Fofò, tu non sei ancora morto, trapassato o

defunto. Tu stai solo in un lieve stato di coma… - Cosa…?! Sto nello… Stato di Como ??!!

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- Stato di coma, un transitorio stato di incoscienza, di dormiveglia, come ti devo far capire… uno stato di incoscienza passeggero.

- Ah, coma… dormiveglia… stato di dormiveglia passeggero. Dicevo io. Io stavo a Napoli, a piedi, quando l’ho preso sto cavolo di autobus? Non ero mica un passeggero, com’è che tutto d’un tratto… mi trovavo a Como ??!!

- Si, buonanotte…. La botta che hai avuto è stata più forte di quanto pensassi !!! Devi sapere che l’unico luogo di incontro tra noi morti e voi vivi è … il sogno !!! E… poiché il coma provoca uno stato onirico, ecco che ne ho approfittato!!!

- Come Principe, ne avete approfittato di me … mentre ero a Como, voglio dire… in coma??!! Uh Gesù, uno non può nemmeno cadere e perdere per un attimo coscienza che subito qualcuno ne approfitta. Ma dove siamo arrivati!!! E poi Principe… da una persona come Voi, non me lo sarei mai aspettato!

- Ma cos’hai capito, non fare il fesso. …Ti ho visto in quello stato semicosciente e ne ho approfittato, nel senso che… l’unico modo, come ti dicevo, che noi morti abbiamo per entrare in contatto con voi, diciamo così, vivi è… il sogno!!!

- Ma allora…sto sognando ?? - Beh… in un certo qual modo… diciamo di sì.

Questo stato di dormiveglia era l’ideale per poterti incontrare e allora…ne ho approfittato. Ho chiesto una mezza giornata di permesso. Era da tanto tempo che desideravo venire in visita nel mio quartiere. Da vivo, quando ero ormai famoso, ci venivo spesso, anche di notte, per vedere i posti dove ero nato e avevo trascorso la

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mia gioventù, senza essere notato. In quelle occasioni ne ho fatta di beneficenza. Ma volevo rimanere nell’anonimato. Adesso che più nessuno mi può vedere ho scelto di voler fare un giretto, diciamo così… da turista, approfittando della tua comprovata bravura e simpatia.

- Principe, così mi confondete … - Su, su, non fare il modesto. E allora? Che dici,

me lo faresti questo piccolo favore ??!! - Favore?! Principe, per me questo… è un onore !! - Da dove cominciamo? - Principe, visto che il caso ha voluto che io sia scivolato proprio qui, iniziamo da Porta S. Gennaro.

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- Benissimo ! Dimmi tutto, sono tutto occhi e orecchi !!!

- E’ una delle porte più antiche della città. Molti Napoletani, almeno una volta nella loro vita, sono dovuti passare da questa Porta.

- Ohibò, e perché mai ??!! - Perché da qui si usciva dalle mura della città e si

andava, fino alla prima metà del 1700, verso le catacombe sottostanti la basilica paleocristiana di S. Gennaro, che per questo motivo sono state chiamate catacombe di S. Gennaro extra moenia, come a Roma, ad esempio, esiste S. Paolo “fuori le mura”.

- Ah, ecco perché non mi ricordavo di essere passato da qui, per l’ultimo viaggio.

- Principe, come morto, diciamo così, siete relativamente… giovane! Ai Vostri tempi già esisteva il cimitero monumentale di Poggioreale, dove riposano tuttora le Vostre spoglie. E poi …Voi siete morto a Roma e da Roma vi hanno portato a Napoli fino alla Basilica del Carmine Maggiore a Piazza Mercato, dove avete avuto un altro funerale. Il primo Ve lo hanno fatto a Roma. Poi da Piazza Mercato Vi hanno portato direttamente al cimitero di Poggioreale, per questo non siete passato di qua. Ma i Vostri amati concittadini del rione Sanità, il giorno dopo, Vi hanno fatto un altro funerale, simbolico, a bara vuota, per tributarvi tutto l’onore che meritavate. Sulla bara c’era solo la Vostra bombetta !!! Avreste dovuto sentire che applausi!

- Fofò, mi fai emozionare. Mi fai venire i… lacrimogeni. Me lo ricordo, eccome se me lo ricordo: “Bravo Totò! Viva Totò!” Ohibò, ma allora le Catacombe di S. Gennaro si trovano

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fuori dalle antiche mura e non sotto al Duomo di S. Gennaro??!!

- Esattamente: le catacombe di S. Gennaro non si trovano sotto il Duomo di S. Gennaro, ma sotto… la collina di Capodimonte! Sotto al Duomo ci sono, è vero, scavi archeologici, ma sono relativi ad un tratto di strada del periodo greco con ancora ben evidenti i solchi lasciati dalle ruote dei carri e a strutture romane con pavimenti a mosaico. Sapete quante volte sono successi dei malintesi tra guide turistiche e accompagnatori. Quando l’appuntamento è fissato alle Catacombe di S. Gennaro, le guide aspettano il gruppo fuori le catacombe e gli accompagnatori portano il gruppo al Duomo, credendo che le catacombe siano sotto la chiesa di S. Gennaro. E in pratica stanno a più di due chilometri di distanza. Così iniziano a litigare tra di loro e alla fine si accordano dicendo che la colpa è… dell’agenzia di viaggio!!!

- Che buffo! Quanto mi fanno ridere questi malintesi, mi scompiscio dalle risate. A proposito di S. Gennaro: ti ricordi quel mio film “Totò e Peppino divisi a Berlino”?

- Principe, è uno dei miei preferiti. Pensate che, per uno come me, laureato in lingua e letteratura tedesca, che lavora spesso con i Tedeschi, sentire Totò che si rivolge a S. Gennaro in … pseudo-tedesco, è una goduria indescrivibile: “Bitter Sankt Jenar, mio tedesk difetta un po’. Aiutam a trovar kotest amik: Josef Pagliuk. Dankeschen, bitteschen, wunderbar Sankt Jenar!!!

- Bravo Fofò, conosci a memoria tutte le battute dei miei film.

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- No Principe, non è tutta farina del mio sacco. Ho una cara amica di Torre Annunziata…

- Dove fanno la pasta buona: i tubetti che mi piacevano tanto quando stavo a … Berlino?!

- Esattamente. E’ lei che mi fa un po’ da… suggeritrice.

- Ma, ritorniamo a S. Gennaro. Visto che tu queste cose le hai approfondite, spiegami una cosa: io ho sempre saputo che il nostro S. Gennaro è nato a Napoli, dalle parti di S. Gregorio Armeno e che è morto a Pozzuoli. Allora come si spiega che il corpo lo ritroviamo di nuovo a Napoli. Fu un miracolo?

- No Principe, non si trattò di un miracolo, ma di una …traslazione.

- Giovanotto spiegati meglio, che queste frasi sotto - semaforo non le capisco! Cos’ è ‘sta …transazione: lo fecero passare prima… in banca?!

- Ok Principe. Procediamo con ordine, altrimenti non ci capirete più niente. S. Gennaro è morto a Pozzuoli il 19 di settembre del 305 d. C.. Si era sotto l’imperatore Diocleziano, un pezzo di fetentone che ce l’aveva … a morte con i Cristiani. Gennaro, che in quel periodo era vescovo di Benevento, andò a Pozzuoli per prendere le difese di alcuni confratelli imprigionati. Fu così che il magistrato in carica di allora fece imprigionare pure Gennaro insieme ai suoi compagni e lo condannò a morire insieme a loro nell’Anfiteatro Flavio di Pozzuoli, dandolo in pasto alle belve feroci e affamate.

- Ma come… un sant’ uomo come lui … in pasto alle belve??!! Chi l’avrebbe mai detto, mah!?!

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- Principe, i Cristiani, per la loro fede e per la parola che predicavano erano docili e mansueti come agnellini. La nostra parola italiana “cretino” viene dal francese “crétien”, che significa appunto… cristiano !

- Questa non la sapevo. Oh,a proposito, e… come andò a finire con S. Gennaro?

- Le belve lo risparmiarono e subito si gridò al miracolo. Gennaro era molto popolare e molto amato. Già a quei tempi aveva fatto un sacco di … favori. Ma il magistrato, per niente impressionato, orinò che lo si decapitasse.

- Alla faccia di Cartagine e di tutti i Cartaginesi!!!! - Lo portarono proprio vicino alla Solfatara e lì fu

eseguita la sentenza. Una pia donna, che conosceva bene Gennaro, raccolse in due ampolline il sangue che sgorgava ancora copioso dalla giugulare e lo conservò. Poi il resto già ve l’ho raccontato. Il corpo di S. Gennaro fu sepolto prima a Pozzuoli e poi, circa 125 anni dopo, nel 431, quando ormai il Cristianesimo era diventato la religione ufficiale, fu traslato a Napoli.

- Ah, adesso capisco. - Ma il fatto bello è che i santi a Napoli già

c’erano. C’era S. Aspreno, primo vescovo di Napoli, ordinato addirittura vescovo da S. Pietro in persona, che, come S. Paolo, per recarsi a Roma era passato prima per Napoli. E c’era pure S. Severo, S. Restituta… che erano già sepolti a Napoli.

- Oh bella!! E allora come si spiega che S. Gennaro è diventato più importante degli altri?!

- Il 17 di agosto del 1389, durante una processione, nelle mani del vescovo di allora, il sangue di S. Gennaro conservato nelle

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ampolline divenne liquido. Da allora in poi S. Gennaro diventa il numero uno, il santo più importante di Napoli. E da allora non l’hanno lasciato più riposare in pace. I suoi resti, ossa e sangue, divenuti ormai reliquie preziosissime, sono state trafugate più volte. Una parte fu portata in Svizzera a Reichenau, sul Lago di Costanza; un’altra parte, quella più cospicua, fu presa dal principe longobardo Sicone, che la portò a Benevento nell’831 e, infine, sangue e ossa furono portate nell’abbazia di Montevergine nel 1156, in provincia di Avellino. Fu solo grazie all’intervento dell’ arcivescovo di Napoli, Mons. Oliviero Carafa, un uomo molto potente, che si riuscì a riportarle a Napoli. Il busto reliquiario, che ingloba il cranio di S. Gennaro fu messo, insieme al sangue, in una cassaforte nella cappella che fu costruita in suo onore in un’ala laterale del Duomo. La Cappella e tutti i lavori relativi (compreso il paliotto dell’altare maggiore, tutto in argento fuso lavorato a cesello e a sbalzo) furono pagati con offerte del popolo napoletano. Per questo motivo la Cappella, con tutto il tesoro che contiene, non è proprietà della Chiesa, ma del …Comune di Napoli !!! E, roba da non credere, il duomo, che tutti noi chiamiamo “di S. Gennaro”, non è dedicato a lui, ma alla Madonna Assunta. Solo la cappella laterale è quella “di S. Gennaro” !!!

- E pure questa non la sapevo. E pensare che abbiamo girato un film sul Tesoro di S. Gennaro.

- “Operazione S. Gennaro”. Lo ricordo benissimo, anzi è uno dei miei preferiti, anche

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se in quel film facevate una parte secondaria …Don Vincè! Invece, Nino Manfredi...

- Che artista, all’altezza della situazione. Entrò subito nella parte. Secondo me nessun altro attore non-napoletano avrebbe mai potuto interpretare così bene quel ruolo. Nino era originario della Ciociaria ma Dino Risi seppe dirigerlo in modo magistrale. Alti livelli, alla De Sica e Sofia Loren.

- Bravi anche Harry Guardino, Mario Adorf, Senta Berger e tutti gli altri, comprese le comparse.

- Fofò mi stupisci sempre di più, conosci pure tutto di Totò, Manfredi e Dudù!

- Principe, modestamente, essere cresciuto con i Vostri film … mi ritengo quasi un …figlio d’arte!!!

- Bene. Dove eravamo arrivati con la nostra passeggiata?

- Principe, con la storia abbiamo fatto già un bel pezzo, ma… in pratica… stiamo ancora qua, fuori le antiche mura, a Porta S. Gennaro.

- Già, è vero, non ci avevo fatto caso. Con la fantasia si fanno tanti bei viaggi spazio-temporali, stando in pratica … sempre allo stesso posto!

- Una volta un mio alunno mi disse: “ Professò, c’è gente che spende migliaia di euro per fare il giro intorno al mondo. Io, invece, con soli 5 euro mi faccio una canna e… il mondo gira intorno a me!!!”

- Hahahaha…Bella questa, mi piace; peccato che l’hai sciupata così!

- Ma adesso alzate gli occhi e guardate Porta S. Gennaro. Si conserva ancora l’affresco di Mattia Preti che raffigura S. Gennaro (insieme a S.

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Rosalia e a S. Francesco Saverio) che chiede alla Vergine di intercedere per salvare Napoli dalla peste del 1656.

- Mattia Preti? Mai sentito nominare. - Infatti non era Napoletano, ma di origini

calabresi. Era soprannominato il “Cavalier Calabrese”. Nato in Calabria, formatosi a Roma venne a Napoli dove contribuì alla diffusione della pittura caravaggesca insieme a Luca Giordano e Battistello Caracciolo. E come Caravaggio anch’egli si macchiò di un omicidio, anzi, duplice omicidio, e fu condannato a morte. Ma i suoi committenti erano anche i suoi protettori e riuscirono a fargli commutare la pena. Così lo misero a fare i …lavori forzati (sic!): dovette dipingere tutte le porte della città!!!

- Beh, se l’è cavata bene direi! E quella statua? Chi rappresenta?

- E’ S. Gennaro, protettore dei deboli, che guardava verso le catacombe e la zona cimiteriale, nella direzione, cioè, di coloro che erano stati sfortunati nella vita terrena ma che sarebbero stati accolti nel regno dei cieli.

- Sei pure filosofo Fofò !!! E …dimmi un po’, la statua che è posta sulla facciata interna della Porta, quella che guarda verso il centro antico della città, pure è S. Gennaro?

- No Principe, quella è la statua di S. Gaetano, che fu aggiunta nel 1659 su richiesta dei Teatini. Infatti a 200 metri in linea d’aria da qui, c’è la Basilica di S. Paolo Maggiore, che ospita anche la Casa Madre dei Padri Teatini qui a Napoli. L’ordine dei Teatini a quei tempi era l’ordine più importante a Napoli. Era stato fondato da Gaetano da Thiene e Giampietro Carafa, nipote

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del cardinale Oliviero Carafa, (sì, proprio lui, quello che recuperò le reliquie di S. Gennaro) Arcivescovo di Chieti (chi viene da Chieti si chiama Teatino, perché in latino Chieti si diceva Theate) il quale divenne papa col nome di Paolo IV proprio nel 1555, un anno prima della grande peste! In poche parole, Giampietro Carafa divenne prima arcivescovo e poi papa, mentre Gaetano divenne addirittura …santo!!!! E oggi anche lui è santo patrono di Napoli, perché i Teatini riuscirono a far passare la tesi che fu S. Gaetano a far finire la peste del 1656.

- Toh, e com’è possibile?! - Perché… la peste era cominciata nella prima

metà del mese di giugno. Napoli a quei tempi contava più di 500.000 abitanti. Insieme a Parigi e Londra era la città più popolosa d’Europa. La peste imperversava e mieteva circa 7000 vittime al giorno. Era spaventoso il numero di cadaveri che bisognava trasportare verso le fosse comuni (alla fine dell’epidemia si contarono circa 250.000 morti, quasi metà dell’intera popolazione!). Ben presto si riempirono tutte le fosse, le catacombe, la zona destinata a diventare l’orto botanico, la spiaggia di Mergellina. Anche le cisterne sotterranee, che contenevano le riserve di grano dell’annona, furono svuotate e riempite di cadaveri. Non si sapeva più cosa fare. Il 7 di agosto ci furono i festeggiamenti in onore di S. Gaetano, (per quelli di S. Gennaro si sarebbe dovuto aspettare il 19 di settembre!) e molti Napoletani si rivolsero a S. Gaetano. Il 14 di agosto ci fu un nubifragio che spazzò via l’epidemia. Per questo i Teatini conclusero che il santo da ringraziare

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per l’occasione era S. Gaetano. Ed è così che pure S. Gaetano è diventato patrono di Napoli!!!

- Ma allora … i santi patroni di Napoli sono due?! - Due ??!! altro che due, ne son… cinquantadue!! - Cinquantadue ??!! Fofò, ma che stai dicendo?!

Questa è proprio bella. E da dove saltano fuori tutti ‘sti santi patroni ??

- Sono sempre esistiti. Principe, Voi lo sapete …a Napoli c’è sempre stato bisogno di votarsi a qualcuno.

- Eh, lo dici a me, lo dici…. - Perciò, nel corso degli anni, un po’ per le

“amicizie”, per le raccomandazioni, per l’importanza o per la fortuna temporanea di alcuni ordini religiosi da cui alcuni santi provenivano, sono stati “nominati” ben altri 51 patroni oltre S. Gennaro. Solo che, nel corso degli anni, S. Gennaro si è attestato come santo coordinatore di tutti gli altri che vengono definiti … co-patroni. Infatti, quando c’è la processione in occasione del miracolo della liquefazione del sangue, tutti i busti reliquiari dei santi co-patroni sfilano insieme a S. Gennaro, accompagnandolo per i vicoli di Napoli.

- Fofò, che bei ricordi. Quante volte ho partecipato alla festa di S. Gennaro. Che bello vedere i vicoli addobbati con quelle coperte multicolori di seta, di raso, velluto e broccato che pendevano dai balconi; i petali di rose e lo scroscio di applausi che accompagnava il passaggio di S. Gennaro. Erano altri tempi. Tempi duri, è vero, perché c’era la miseria vera, ma…a me sembrava che ci fosse sempre il sole !!

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- Comunque principe, per saperne di più sui santi co-patroni, tra cui S. Aspreno, S. Alfonso, Santa Patrizia ecc…, basta andare su Google.

- Google ??!! Per dinci e perbacco… e cos’è ‘sto… Google??

- Google, come Ve lo posso spiegare… è qualcosa che ha a che fare con … Internet.

- Uè, uè, cos’è sto Inter… net. Io tifo per il Napoli!!

- Si tratta di un sito… - S. Paolo Belsito??!! - No, un sito…. - Un sito del…Paradiso?? - No Principe, più che del Paradiso si tratta di una

moderna… diavoleria, ma che usata bene… torna molto utile!!! E… a proposito di diavolerie… Vi devo raccontare cosa è successo all’inferno poco tempo fa. Un bel giorno all’inferno viene indetta una selezione per promuovere un solo diavolo in paradiso. Dopo diverse selezioni rimangono a contendersi il posto un diavolo milanese ed uno napoletano. Il responsabile della selezione decide allora di sottoporli ad un ultimo test ed entrambi rispondono bene a 9 domande su 10. Dopo una rapida valutazione, il responsabile si avvicina al candidato napoletano e gli dice: “ Grazie per aver partecipato, ma abbiamo deciso di promuovere il diavolo milanese”. Il candidato partenopeo, un po’ sbigottito, replica: “E perché mai? Entrambi abbiamo risposto correttamente a 9 domande su 10”. E il responsabile: “ In effetti abbiamo preso la nostra decisione non tanto sulle risposte corrette, quanto su quella non corretta”.“E come può - domanda il diavolo napoletano – una

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risposta sbagliata essere meglio di un’altra?” “Semplice! Il candidato milanese alla domanda 10 ha risposto <<Questa non la so>> e tu hai risposto… <<Neanche io!>>”.

- Bella questa Fofò, non me la devo dimenticare.

La devo raccontare ai miei amici lassù. - Principe, come Vi dicevo, da qui si andava verso

la “valle dei morti”. Perciò ai miei amici, quando li porto a fare un giretto per il rione Sanità e partiamo da questa zona, glielo dico che pure a loro faccio fare lo stesso percorso, solo che da un … punto di vista diverso. In pratica in posizione verticale e non orizzontale. Qui c’erano i lazzaretti, un po’ come quello descritto da Manzoni nei Promessi Sposi. A proposito, per sdrammatizzare un po’. All’esame di terza media il professore ha chiesto ad un alunno: “Su, dimmi… cosa ti è rimasto dei promessi Sposi?” E il ragazzo, senza pensarci su due volte, ha risposto: “La bomboniera!!!” Molti ospedali prendevano nomi legati ai santi, al vangelo. I malati di gravi malattie infettive venivano portati ai cosiddetti “lazzaretti”. Qui operavano gli… “Spogliamorti”…Appena qualcuno moriva, questi subito lo spogliavano e poiché era un’operazione che nessuno voleva fare, a loro toccavano gli abiti e gli effetti personali del defunto.

- Mamma mia… che lavoro infame… mi vengono i brividi!!!

- I lazzaretti si chiamavano così perché il più conosciuto in Spagna era l’ospedale di S. Lazàro. I bambini che riuscivano a guarire “per miracolo”, (come Lazzaro della parabola di Gesù), in molti casi rimanevano soli, senza più i

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loro genitori e perciò iniziavano a fare una vita da cenciosi, senza fissa dimora e cercavano di fare di tutto per poter sopravvivere, ecco perché a Napoli questi bambini erano chiamati “lazzaroni”. Molti di loro diventavano da adulti “camorristi” (abituati com’erano a vivere al di fuori della legge) ed anche il re Ferdinando, per quei suoi modi arroganti e spesso volgari (come quelli del popolino, del volgo) fu definito il… “Re Lazzarone”!

- Mamma mia Fofò, prima mi hai dato lezione di filosofia, ma questa è filologia, etimologia … sociologia!!!

- Principe venite, non mi buttate tutto ‘sto incenso, non mi osannate. Attraversiamo via Foria e infiliamoci nella stradina di Via Fuori Porta S. Gennaro, altrimenti se fa notte … e stamm ancor ccà !!! Principe vedete, questa a sinistra è la chiesa dei Crociferi e subito dopo…voilà…Piazza Vergini. L’unica in tutta Napoli ad iniziare e terminare a forma di Y, come una doppia forcella. Qui c’è un concentrato di chiese e conventi. A sinistra la chiesa di S. Maria della Misericordiella con annesso convento; ancora a sinistra la chiesa di S. Maria Succure Miseris (opera di Ferdinando Sanfelice) e a destra la chiesa dei Padri Vincenziani della Missione (opera del famoso architetto della Reggia di Caserta Luigi Vanvitelli!) Infine, proprio attaccata, c’è la chiesa di S. Maria dei Vergini.

- Ma… hai ragione, tutte una attaccata all’altra !!! - Principe, ho un’altra barzelletta in proposito, la

volete sentire? - Vai avanti Fofò, non farmi stare in ansia.

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- Un giorno di pioggia e vento una giovane donna (ben fatta) entra in questa chiesa e si dirige al confessionale. Giuntavi, si inginocchia e il prete apre lo sportellino per poterla confessare.

- -“In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”;

- -Amen! - “Sù, dimmi figliola, che cosa hai fatto?” - ” Padre, ha visto che tempaccio, che vento, che

pioggia?? “ - “Beh allora?!” - ”Padre … e allora… mi sono confusa. Invece di

entrare qui in chiesa, sono entrata nella chiesa accanto…

- Va bene figliola, non ti preoccupare, non è niente di grave, tanto si tratta comunque della casa del Signore.

- Padre, il fatto è che … ho fatto l’amore con il parroco di là…

- Coooomeee???!!!! E allora … 40 Pater Noster, 40 Ave Maria e 40 Gloria al Padre!!!! E ricorda che … la chiesa tua … è questa qua !!!!!!!

- Hahaha, buona questa … mi fai scompisciare dal ridere!!!!

- Sì, ma non finisce qui. Il giorno dopo, allo stesso confessionale della Chiesa dei Vergini si è presentata una … brutta, come Mariangela, la figlia di Fantozzi.

- Fofò, ma quella non era brutta, quella era proprio … un cesso !!!!

- Esatto Principe, proprio così. Il prete apre lo sportellino e quasi ci rimane secco dalla paura. Esitante chiede alla ragazza: “ Dimmi sorella, che peccato hai commesso?? La ragazza (il cesso) ha risposto: “Padre, ho fatto l’amore, è

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peccato??” –“Peccato??!!, Ma quando mai!!! E’ un … miracolo !!!!”

- Hahahaha Fofò, anche questa mi scompiscia; ma… dimmi un po’… perché la chiesa e la piazza si chiamano…“dei Vergini”? Questo nome … Vergini… mi suona familiare, non è che io pure, in vita… sono rimasto…vergine??!!

- Ma quando mai Principe, voi siete stato un gran donnaiolo. Voi starete sicuramente in Purgatorio, con il busto verso il Paradiso, e la parte… di sotto ancora lambita dalle fiamme.

- Ah, ecco perché ogni tanto…mi brucia un po’ il sederino: credevo… che so’… di aver mangiato troppo piccante, di avere le emorroidi infiammate… e invece, checché!!!

- No Principe … è un’altra cosa. Voi questo nome ve lo ricordate perché voi siete stato battezzato, così come pure S. Alfonso e Sanfelice, in questa chiesa, la chiesa dei Vergini !!

- Ah, bene, in compagnia di due santi… - No Principe, solo S. Alfonso era santo, Sanfelice

era un … architetto!!!! Infatti il suo nome si scrive Sanfelice, tutto attaccato, e non S. Felice tutto …staccato!!!

- Ohibò, e che ne potevo mai saperne io … tu me lo hai detto a voce … mica me lo hai scritto !!!

- Principe, avete ragione. Voi non potevate saperlo ma … quei fessi dei lapicidi, che hanno scolpito la targa del nome della strada “Vico S. Felice”, dedicata all’architetto, l’avrebbero dovuto sapere !!!

- Hai ragione Fofò, che razza di asini somari. - Per il resto il rione è pieno di gente creativa. E’

ancora oggi uno dei centri più pieni di vita della città, specialmente questa piazza.

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- Oh, a proposito Fofò, ma … dimmi un po’…’sti Cristallini… Vergini, per l’amor di dio, non vorrei mancare di rispetto a nessuno, ma mi sanno un po’ di … femminielli, non lo so, … così, a pelle…

- Principe, in un certo qualmodo … ci avete azzeccato. La storia però è un po’ lunga.

- Embè, qual è il problema. Giovanotto, io di tempo ne ho… eh e pure a iosa!!! Uhhhhh, sapessi quanto ne ho!!

- Allora ascoltate. Questa zona, come ho detto prima, era già una necropoli al tempo dei Romani e addirittura dei Greci. Poi, a causa delle acque alluvionali che scendevano giù a valle dalla collina di Capodimonte, dallo Scudillo e dal Moiariello, fu più volte sommersa da un fango fatto da acqua e sabbia tufacea. La strada che faremo più tardi per andare verso la chiesa della Sanità si chiama, per l’appunto, via Arena alla Sanità. Sotto ai nostri piedi ci sono i resti di chiese medievali (come ad esempio la chiesa di S. Antoniello, proprio sotto la chiesa di S. Maria Succure Miseris) e gli ipogei romani e greci presenti in tutta la zona. Ed è per questo che proprio in questa zona sacrale, nel periodo greco, c’era una fratria di sacerdoti officianti il culto dei morti: gli Eunostidi. Questi, come le vestali romane, facevano voto di castità: dovevano rimanere, in pratica…Vergini! In greco Parthènos significa vergine: il Partenone di Atene si chiama così perché era dedicato alla dea Atena, protrettrice di quella città. E Atena, secondo la mitologia classica, era …vergine!

- Dunque, se ho ben capito, anche la sirena Partenope, la mitica fondatrice della nostra città, era vergine. In pratica, non era mai stata

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fidanzata con un sirenetto, che so, un tritone, una triglia, un capitone??!!

- Giusto Principe: anche lei come Atena, era vergine, pura, casta, illibata.

- Dunque, mi vuoi dire che anche questi sacerdoti eunuchi…

- Eunostidi ! - Vabbè, siamo lì… - No, principe, c’è una bella differenza, e Voi … ne

sapete qualcosa. - In che senso… ne so qualcosa??!! - Nel senso che… c’è una bella differenza tra un

eunuco vero e uno … finto!!! Così come avete fatto Voi nel film “Totò, un Turco napoletano”.

- Hahahaha, Fofò, che risate mi sono fatto quando giravo quel film. Uno dei più belli della mia carriera: ” Io sono turco, turco dalla testa ai piedi: ho persino gli occhi… turchini!!!”.

- Principe, gli eunuchi esistono fin dall’antichità. C’era proprio un commercio di questi castrati (dal sanscrito sastram coltello): i sacerdoti della dea Cibele erano costretti ad autoevirarsi con un coltello! Negli harem del mondo arabo, questi castrati erano chiamati eunuchi (letteralmente “guardiani del letto”). Ma la pratica più crudele fu in età moderna, quando si scoprì che questi fanciulli “senza attributi” avevano in compenso una voce straordinaria. Da allora in poi molti fanciulli, drogati con l’oppio, venivano sottoposti a questa barbara mutilazione. Molti di loro, però, raggiunsero un successo enorme, come cantanti, come il famoso Farinelli.

- Interessante ma…anche questi sacerdoti Eunostidi erano casti e vergini?

- Sì Principe, anche se non lo erano “materialmente”. Il loro nome si fa derivare da

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Eunosto, giovane di bell'aspetto ma, si diceva … “fridd é chiammat”, cioè freddo al richiamo del gentil sesso. Questo giovane, suo malgrado, fece innamorare di sé una bella ragazza che si chiamava Ocna. La ragazza, figlia di un magistrato, corteggiò a lungo il giovane, senza ottenere alcuna risposta. Infine, travolta dalla passione, tentò di sedurlo con una vera e propria aggressione. Ma Eunosto reagì bruscamente e si difese con la forza. Ferita nell'orgoglio oltre che nel corpo, Ocna raccontò ai fratelli d'esser stata vittima di un tentativo di stupro e i due la vendicarono uccidendo il ragazzo. Quando, poco dopo, si seppe la verità, gli assassini furono incarcerati e la donna si uccise, mentre i cittadini vollero tributare un omaggio ad Eunosto dedicandogli un tempio. E fu così che i sacerdoti di quel tempio, da allora in poi, si chiamarono Eunostidi.

- Perdinci, che bella storia. Ma…Fofò, permettimi: se fossi stato io al posto di …come si chiama…Eunostico…avrei detto: ” Signorina, eccomi qua, sono a sua completa disposizione: corpo, anima e… frattaglie!!!

- Principe, volevo ricordarvi che siete morto. Questa, comunque, è una zona piena di storie e di storia. I Padri Vincenziani della Missione si trovano proprio qui non per caso. La loro congregazione fu fondata a Parigi nel 1625 da S. Vincenzo de Paoli presso la chiesa di S. Lazzaro (ci risiamo!), per la qual cosa i Vincenziani furono chiamati anche “Lazzaristi”. La casa vide la presenza di uomini che hanno lasciato tracce indelebili nella storia della città e del popolo napoletano. Primo fra tutti Alfonso Maria de’ Liguori, che sarebbe divenuto il più santo dei

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napoletani e il più napoletani dei Santi; Luigi Vanvitelli, che lascia un pezzo della sua maestria in quest’angolo della città, mettendo appunto mano alla chiesa e al convento dei Vincenziani. E proprio nel convento c’è un quadro molto singolare, sul quale sono impresse “a fuoco” le impronte di due mani col palmo aperto. I Padri lo tengono nascosto perché il popolino lo stava facendo diventare un oggetto di culto e di curiosità.

- E chi se lo sarebbe mai aspettato che in questi pochi metri quadrati, in questo “fazzoletto” di Napoli c’erano tutte queste belle cose….

- Principe, questo non è nulla. Qui c’era un’abbondanza di chiese e conventi dove ne succedevano di tutti i colori. Prima di tutto gli ordini monacali a Napoli avevano i nomi più strani. Oltre alle classiche Clarisse, Francescane, Agostiniane, Domenicane, Carmelitane, c’erano le Scalze, le Passioniste, le Redentoriste, le Visitandine, le Brigidine, le Urbaniste, le Serve del Signore e della Vergine, le Celesti, le Turchine, le Collettine, le Clarisse Cappuccine, le Romite di S. Giovanni Battista, le Annunziatine, le Adoratrici Perpetue del SS. Sacramento, le Piccole Ancelle di Cristo Re, le Crocifisse Adoratrici dell’Eucaristia, le Mantellate, le Cinturate. Meno male che non c’erano ancora le … leopardate!!!! A proposito di … leopardate. Mi è venuta in mente un’altra barzelletta. C’era una volta uno che portava un furgoncino che si chiamava Tonino. Faceva consegne a domicilio. Si era nel mese di febbraio e faceva un freddo cane. Tra una consegna e l’altra Tonino amava canticchiare: “Son Tonino, son

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Tonino e porto il camioncino; son Tonino, son Tonino e porto il furgoncino”. Ad un certo punto Tonino vede una suora alla fermata dell’autobus che fa l’autostop. Tonino, visto che faceva freddo e che iniziava a piovere, si ferma e dice: “Prego sorella, accomodatevi, son Tonino, sono una brava persona. Sicuramente dovete andare a Pompei. Non vi preoccupate, sono di strada, vi accompagno io”. Al che, la suora apre lo sportello e sale in macchina. Ma nel salire, la suora mette in mostra una bella gamba tornita, ben fatta, con una calza a rete e una giarrettiera che si intravede da un ampio spacco . Tonino non può far a meno di notare tutto quel po’ po’ di ben di dio e pensa tra sé e sé: “ Alla faccia del bicarbonato di sodio. Anche le suore si sono evolute. Io credevo che indossassero ancora le mutande lunghe di lana; queste vestono, invece, da Intimissimi o da YamamaY e indossano calze a rete, giarrettiere e slip leopardati. Come cambia il mondo!!!” E così pensando continua a canticchiare: “Son Tonino, son Tonino e porto il camioncino; son Tonino son Tonino e porto il furgoncino”. Ma, non appena ingrana la quarta marcia, Tonino sgarra con la mano dal pomello e …dove ti va a finire la mano di Tonino?! … Tra le cosce della suora! Voleva subito dirle: “Suora, … sorella…Vi giuro… per quant’è vero nostro signore Gesù,… non l’ho fatto apposta, ho sgarrato con la mano e….” Ma la suora fece finta di non accorgersi di nulla. Anzi, quella sua indifferenza sembrò quasi un invito per il povero Tonino, il quale…con la mano…iniziava ad andare in avanscoperta, verso luoghi esotici e più caldi, verso la … foresta vergine tropicale, facendo il finto tonto e continuando a

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canticchiare: “Son Tonino son Tonino e porto il camioncino; son Tonino, son Tonino e porto il camioncino. Ma …proprio quando era a buon punto, Tonino afferrò qualcosa di duro tra le mani e…si bloccò stupefatto. La suora, canticchiando, gli rispose: “Son Pasquale, son Pasquale e son vestito da Carnevaaaaale !!!!”

- Hahahaha, bella questa Fofò, mi scompiscia, e quanto mi scompiscia…. Mi fa piacere sentire nuove barzellette, così ho del materiale nuovo da poter raccontare ai miei amici lassù.

- Principe, sentite questo profumino?? Sfogliatelle e babà freschi sfornati dalla pasticceria là di fronte. Qui, nel Vostro quartiere, ci sono ancora rinomate pasticcerie. E… la storia di babà e sfogliatelle, ha in un certo modo a che fare con i conventi.

- Con i conventi??!! Gesù, e cosa c’entrano i conventi con i dolci ????

- Principe, ancora oggi, le suore Crocifisse Adoratrici dell’Eucaristia fanno ostie e vino da messa, oltre a delle buonissime paste di mandorle, che qui a Napoli, come Voi sapete, chiamiamo Pasta Reale. La pastiera di grano, ad esempio, secondo la tradizione, sembra opera delle suore del Monastero di Santa Chiara. Il babà e la sfogliatella, invece…

- Su, dimmi…non tenermi sulle spine. Che cos’è all’improvviso tutto questo riserbo ??

- Principe, adesso vengo e mi spiego. Il babà è opera di un re Polacco. Un giorno, per sbadataggine, rovesciò del rhum su un dolce tipico di origine tedesca, il Kugelhupf. Il dolce era come quello che facciamo ancora oggi a Napoli “versione familiare”, a forma tronco-conica. Il re adottò subito quella sua variante,

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che aveva trasformato un dolce secco (che a volte si attaccava al palato) in un dolce squisito e delizioso da mangiare. Chiamò la sua creatura Babà, ispirandosi ad uno dei suoi personaggi preferiti delle “Mille e una notte”: Alì Babà. Questo dolce arrivò a Napoli attraverso dei pasticcieri francesi. Un giorno le suore del convento di S. Gregorio Armeno sfidarono ad una gara di pasticceria i loro dirimpettai, i frati minori conventuali del convento di S. Lorenzo Maggiore. Le suore prepararono per l’occasione una variante della “monachina”, una pasta riccia e sfoglia, con un ripieno dolce e cremoso, cambiandone la forma. Da quadrata che era, la fecero a forma di… triangolo, come il pube femminile. I monaci colsero subito l’allettante provocazione e non si fecero scappare l’occasione per replicare in modo ugualmente “piccante”. Prepararono anche loro una variante di un dolce che da poco era arrivato a Napoli: per l’appunto il babà. Ma … ne cambiarono la forma !!!! Pensate un po’ a cosa si ispirarono gli “ingenui” fraticelli ??? Beh, l’avete capito, no?

- Ma guarda un po’ sti’ fraticelli e queste monachelle. Ma non dovevano essere casti e puri??

- Come no !! Si ispiravano ai precetti di castità e purezza degli Eunostidi. Anzi, li superarono. Il voto di castità se lo tramandavano … di padre in figlio !!!

- Hahahahahaha, buona questa… ”di padre in figlio”… hahahahaha!!!

- Principe, anche i cardinali, i papi (addirittura) avevano dei figli. Papa Paolo III, quello che diede avvio alla Controriforma, oltre al figlio

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Pierluigi Farnese aveva anche i nipoti (i figli del figlio): Ottavio, Duca di Parma, e Alessandro, che divenne (ma guarda un po’) anche lui cardinale di Santa Romana Chiesa.

- Fofò, ma tu che dici??!! Ma scherzi o dici la verità ??!!

- Principe, lo so che… dette così, sembrano delle frottole. Ma, Vi prego: quando ritornate là, dove siete Voi adesso, chiedete un po’ in giro e… vedrete. Anzi… questo non è niente !!!!! Se vi dicessi cosa succedeva nel monastero di S. Arcangelo a Baiano……

- Beh, e allora??!! Aspetti, che ti preghi per fartelo raccontare??? Sù, datti una mossa!!!

- Principe… là succedevano cose … turche !!!! - Embè… credi che facciano specie le cose turche

ad un … Turco napoletano ???!!! - Ha ragione, me n’ero dimenticato. E allora

dovete sapere che a quei tempi, chi entrava in convento, non è che aveva proprio la vocazione. Era tutta gente ricca, figlia di nobili, che per l’usanza del “Maggiorasco” dovevano monacarsi. Infatti, i signori, per non disperdere il loro patrimonio, assegnavano tutta l’eredità al figlio maggiore (da cui “maggiorasco”) e a quelli minori (cosiddetti “cadetti”) assegnavano una piccola dote e li mandavano in convento. Pertanto, questi non erano “fridd ‘e chiamata”, anzi, si innamoravano spessissimo. Nei conventi dove c’erano solo maschi o solo femmine si finiva per diventare ben presto omo… sessuali. S. Bruno da Colonia, fondatore dell’ordine dei Certosini, dovette fare una “regola” ex novo, per evitare il più possibile contatti “carnali” tra i monaci. Eppure, i fraticelli riuscirono a trovare un metodo per potersi mettere d’accordo tra di

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loro e potersi dare appuntamento nelle celle dei monaci più giovani. Se qualche volta andremo a fare un giretto alla Certosa di S. Martino, Vi farò vedere lo stratagemma che adottarono. Le suore di Sant’Arcangelo erano tutte appartenenti alle famiglie più nobili di Napoli. Più volte è accaduto che la Madre Superiora (che in alcuni ordini si chiama, non a caso, “guardiana”) ha trovato in flagrante qualche monaca con il suo amante nel letto virginale della sua celletta. E quanti giovani sono stati trovati morti, pugnalati, proprio nei pressi dei conventi. Oppure bambini appena nati, strangolati con catene dorate e scaraventati fuori dalle mura di cinta del convento. Quante volte le donne anziane dei bassifondi, trovandosi davanti quei corpicini straziati, hanno imprecato contro le suore chiamandole, dall’esterno del convento, “zoccole” e “puttane”??!! E quante volte, durante lavori di restauro, sono stati trovati i resti di piccoli scheletri umani nelle cantine o nei giardini di conventi napoletani? Quanti bambini,invece, più fortunati, venivano affidati, nottetempo, a qualche nutrice, che li andava a collocare nelle “ruote” conventuali del complesso dell’Annunziata? Questi bambini, trovati dalle suore di quel convento, venivano accuditi e esposti per l’affidamento a genitori benestanti che non potevano aver figli. Da qui la grande diffusione del cognome napoletano “Esposito”. E da qui viene l’uso di indicare come figlio di NN il bambino il cui genitore era Non Noto. A Napoli, i neonati affidati all’Annunziata venivano chiamati “Figli della Madonna”, diversamente da Roma, dove i figli di Madre

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Ignota venivano registrati in modo più sbrigativo come “Figli di M. ignota”, da cui l’appellativo “figli di … Mignotta” !!!

- Fofo’, tu conosci sicuramente la mia storia. Anche io sono figlio illegittimo. La mia mamma era domestica a casa dei marchesi ‘de Curtis. Era giovane e bella ed ebbe una storia con il marchesino Giuseppe de Curtis. Ma, come ben sai, a quei tempi era difficilissimo che una storia così si ufficializzasse. Il marchese senior, (diciamo così … mio nonno Antonio) non volle assolutamente che la cosa si sapesse in giro. Mia madre, allora, se ne tornò a casa sua e lì partorì, al primo piano di via Antesaecula, 109. Fui battezzato proprio nella Chiesa dei Vergini, come tu già sai, con il nome di Antonio Clemente, cioè con il cognome di mia madre. Fui messo in collegio per avere una buona educazione, ma non arrivai alla licenza ginnasiale. Me ne andai dal collegio per fare l’ attore!!! Io il teatro ce l’avevo nel sangue, perciò iniziai a recitare e mi misi a calcare le scene già all’età di quindici anni con lo pseudonimo di Clerment. Eravamo negli anni che precedevano la prima guerra mondiale. Quando scoppiò la guerra fui chiamato alle armi, ma fortunatamente non fui mandato al fronte.

- Ah, ecco perché Voi siete un uomo di mondo: perché il militare l’avete fatto a Cuneo… per modo di dire !!!!!

- Fofò, finita la guerra me ne tornai a Napoli. Erano periodi difficili, ma pieni di voglia di darsi da fare. Molti miei coetanei furono molto più sfortunati di me. Non avendo nessuno dei genitori, alcuni di loro non avevano avuto mai il piacere (sic!) di avere lo schiaffo di un padre o la

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carezza di una madre. Crescevano per strada e si arrangiavano come meglio potevano, anche rubacchiando e sgraffignando qualcosa pur di mettere un tozzo di pane sotto ai denti. E poiché a Napoli una sega con i denti rotti o non affilati si dice “scugnata” questi ragazzi cenciosi, mal vestiti e con molti denti rotti o mancanti venivano chiamati “scugnati”, da cui è derivato poi “scugnizzi”. Erano alla mercè di tutti e per non far sì che gli adulti ne potessero approfittare di loro (in tutti i sensi), come era già successo per i Lazzaroni del ‘600, alcuni istituti di opere pie che li accoglievano erano detti “Conservatori”, dove appunto si tentava di conservare il loro onore fino all’età adulta, educandoli soprattutto con la musica e il teatro. La vita degli scugnizzi è stata spesso trattata da Raffaele Viviani, nato a Castellammare di Stabia, la splendida cittadina che si affaccia sul Golfo di Napoli, famosa per le Terme Stabiane, per gli scavi dell’ antica Villa Romana di Arianna e per la Venere Rufilla Stabiana. Il papà di Viviani gestiva un piccolo teatro. Ma… gli affari non andavano un granché bene…

- Eh Fofò, la vita è una lotta continua e discontinua !!!

- … e pure Viviani si dovette trasferire a Napoli. Visse inizialmente come un ragazzo di strada. Pure lui, come molti altri, nel caffèlatte, non ci metteva niente: né il latte, né il caffè!!! Ma poi mise la testa a posto. Tra le sue tante opere ha scritto “L’ultimo scugnizzo” e una poesia che a me piace tanto: “Guaglione”:

Quanno pazziavo 'o strummolo, 'o liscio, 'e ffiurelle, a ciaccia, a mazza e pìvezo, 'o juoco d''e ffurmelle,

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stevo 'int''a capa retena 'e figlie 'e bona mamma, e me scurdavo 'o ssolito, ca me murevo 'e famma. E comme ce sfrenàvemo: sempe chine 'e sudore! 'E mamme ce lavaveno minute e quarte d'ore! Giunchee fatte cu 'a canapa 'ntrezzata, pe' fa' a pprete; sagliute 'ncopp'a ll'asteche, p'annaria' cumete; po' a mare ce menàvemo spisso cu tutte 'e panne; e 'ncuollo ce 'asciuttàvemo, senza piglià malanne. 'E gguardie? sempe a sfotterle, pe' fa' secutatune; ma 'e vvote ce afferravano cu schiaffe e scuzzettune e à casa ce purtavano: Tu, pate, ll'hè 'a 'mparà! E manco 'e figlie lloro sapevano educà. A dudece anne, a tridece, tanta piezz''e stucchiune: ca niente maie capévamo pecché sempe guagliune! 'A scola ce 'a salavamo p''arteteca e p''a foia: 'o cchiù 'struvito, 'o massimo, faceva 'a firma soia. Po' gruosse, senza studie, senz'arte e senza parte, fernevano pe' perderse: femmene, vino, carte, dichiaramente, appicceche; e sciure 'e giuventù scurdate 'int'a nu carcere, senza puté ascì cchiù. Pur'io pazziavo 'o strummolo, 'o liscio, 'e ffiurelle, a ciaccia, a mazza e pìvezo, 'o juoco d''e ffurmelle: ma, a dudece anne, a tridece, cu 'a famma e cu 'o ccapì, dicette: Nun pò essere: sta vita ha da fernì. Pigliaie nu sillabario: Rafele mio, fa' tu! E me mettette a correre cu A, E, I, O, U.

- Viviani è stato un grande, insieme a Scarpetta e

a Eduardo. Ma era di dieci anni più grande di me ed era in un altro giro. Quando morì mio nonno paterno, mio padre si riavvicinò a mia madre e la sposò nel 1921. Nel

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1928, poi, avviò la pratica per farmi riconoscere ed è così che diventai Antonio de Curtis. Ma egli, purtroppo, era un nobile… spiantato. La mia fortuna fu che divenne agente di una piccola compagnia teatrale e ci trasferimmo a Roma. Quando divenni famoso e i miei non c’erano più, ero sempre alla ricerca di quel riconoscimento che mi era stato negato da piccolo. Sentivo che nelle mie vene scorreva “sangue blu”. Fofò, la classe non è acqua: signori si nasce!!! Ed io, modestamente, lo nacqui. Fu così che conobbi il marchese Francesco Maria Gagliardi Focas, anche lui nobile decaduto, che in cambio di un vitalizio, mi “adottò”. Alla fine della sua vita, iniziai una battaglia legale per farmi riconoscere tutti i titoli araldici che mi spettavano. E da allora in poi non fui più solo “il principe della risata”, ma: Antonio Griffo Focas Flavio Dicas Commeno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del Sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e di Illiria, principe di Costantinopoli, di Cicilia, di Tessaglia, di Ponte di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e di Epiro, conte e duca di Drivasto e Durazzo.

- Cavoli Principe e questo… è uno scioglilingua!!! Comunque sono contento che questi titoli siano tutti pervenuti a Voi. Ve li siete proprio meritati e come Voi stesso dite, “Signori si nasce!” A proposito Principe, ma l’avete notato? Questo rione è rimasto in pratica come era allora? Questo mercatino brulicante di avventori e di venditori che si fanno pubblicità “urlando” le bontà della loro merce. Mi sembra di sentire nelle orecchie tutti venditori che venivano

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elencati nella “Rumba degli scugnizzi” di Raffaele Viviani: “Agli, finocchi, olive e peperoni! Meloni rossi come il fuoco” - “Vendo il grano per la pastiera!” - “Compratevi i piatti! Sei tovaglie 5 euro!” - “Noccioline americane! Mangiatevi il cocco!” – “Castagne lesse! Mele cotogne!” – “La pizza con le alici!” – “La grattugia per il formaggio” – “Trappole per topi! Veleno per scarafaggi!” –

- Hai ragione Fofò, qui non è cambiato proprio niente! Un po’ però mi dispiace.

- Perché Principe? - Perché, dopo tutto quello che ho fatto… avevo

pensato di trovare … che so, una statua, un busto, un mezzo busto, non dico del principe de Curtis, ma almeno di… Totò !!! Ma tu lo sai che a Cuneo, per aver citato solo una decina di volte il nome della città in tutti i miei film (“Sono un uomo do mondo ! Ho fatto tre anni di militare a Cuneo !!!”), mi hanno dedicato una piazza, con una statua ed è nata un’associazione dal nome “Uomini di Mondo” ???!!!

- Sì Principe, lo so e ne sono mortificato. Ma… si sta facendo qualcosa anche qui, grazie all’impegno di Vostra figlia Liliana. Qua vicino è stato aperto il “Teatro Totò”. Il Vomero si è proposto di dedicarvi una piazza e qui al rione Sanità hanno acquistato la Vostra casa natale per farne un museo dedicato a Voi.

- Ah, ecco, questo mi fa piacere. Finalmente i miei concittadini si ricordano di me !! Bene, ora che mi hai rassicurato, ti volevo chiedere una cosa. Da ragazzo mi ricordo che proprio da

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queste parti c’era un palazzo strano, pieno di archi…

- Principe, ce ne sono due e sono opera di Sanfelice.

- Chi, il santo ??!! - No, ovviamente l’architetto. - E dove si trovano?. - Uno è qua alle nostre spalle. - Perdinci e perbacco, c’eravamo davanti e non

me ne ero accorto…

- Questo oggi è soprannominato il “Palazzo dello Spagnolo”. Fu infatti costruito nel 1738 per il marchese di Poppano, Nicola Moscati, ma, verso la fine del secolo il piano nobile fu acquistato da uno spagnolo molto ricco ed influente, protonotario del Regno di Napoli, perciò oggi è

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soprattutto conosciuto come Palazzo dello Spagnolo. La tromba di scale ad “ali di falco” a cinque fornici è un vero capolavoro. E’ tutta ornata di stucchi rococò e busti ed è aperta per lasciare intravedere i giardini a masse digradanti che una volta erano posti dietro al palazzo. Quella scala è il marchio di fabbrica dell’architetto Sanfelice, una sua invenzione. Quanti studenti tedeschi, che studiano architettura o partecipano al “Progetto Erasmus”, ho dovuto accompagnare a visitare questo palazzo.

- Fofò, possiamo entrare? - Certo Principe. Anzi… dobbiamo entrare!!! Il

portiere del palazzo si chiama Domenico, Mimì per gli amici, ed è un tipo originale, uno che vi deve molto.

- Ma tu cosa dici? Gli sono andato in sogno e gli ho dato dei numeri buoni da giocare al lotto?

- No Principe, ancora meglio. Mimì si è ispirato a Voi, a quando da eccellente caratterista avete impersonato personaggi che facevano di professione il portiere di un palazzo.

- E come mai …gli ho portato fortuna??!! - Si è allestita la guardiola “alla Totò”… - Ma tu che dici??!! - E qui è diventato un luogo di culto, una vera e

propria “processione” di fan del “Principe della risata”. Vengono giornalisti italiani e stranieri e Mimì è diventato un personaggio famoso. Ecco, lo vede ?! Sta mostrando la sua guardiola e tutti i suoi cimeli a dei giornalisti.

- E’ vero!!! Che bello !!! - Principe, ma la cosa ancora più sorprendente è

che qui al primo piano, fino a pochi anni fa, c’era Bruno Leone, l’ultimo costruttore di

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marionette, di “Guarattelle”, di Napoli. Molti bambini hanno conosciuto Totò grazie ai suoi spettacoli di marionette: dopo Pulcinella, la marionetta più famosa di Napoli è… Totò!!!

- Fofò, adesso mi fai commuovere. - Ma non finisce qui. Anche in questo Palazzo ci

sono alcuni appartamenti al secondo e al terzo piano che furono acquistati dalla Regione per farne un museo dedicato a Totò, la marionetta vivente. Avete visto Principe che non ci siamo dimenticati di Voi?!

- Ma tu… tutte queste belle cose, perché non me le hai dette prima?!

- Principe, Vi avrei negato l’effetto sorpresa. Ad un … uomo di mondo come Voi, che non si lascia impressionare più da nulla, sono le cose più semplici, quelle che toccano l’animo, che fanno ancora un certo effetto. E noi cerchiamo, nonostante la crisi economica che imperversa ovunque, di coccolare e vezzeggiare il Vostro ricordo, la Vostra memoria.

- Mi hai lasciato di stucco! E poi… in un palazzo del genere, tutto “stuccato”, uno dei più belli di Napoli…nel mio rione: sono onorato!

- Principe è vero, il palazzo è proprio bello, perchè Sanfelice…

- L’architetto? - Esatto…era anche un bravo scenografo. Era uno

di quelli più gettonati per la realizzazione di quelle macchine scenografiche barocche che si usavano a quei tempi per le feste in città. Riprendeva, esagerandole, le quinte teatrali del periodo romano. Infatti, molti registi contemporanei hanno utilizzato questo palazzo e quello dove abitava proprio l’architetto…

- Sanfelice?!

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- Esatto…per ambientare alcuni film. L’ultimo della serie è quello di Luciano De Crescenzo no “Così parlò Bellavista”.

- Luciano De Crescenzo ??!! Chi è costui ??!! - E’ un ingegnere informatico che invece di darsi

all’ippica si è dato alla … filosofia. Divulga la filosofia a 360 gradi e, poiché è nato nel quartiere di S. Lucia, dove approdarono i primi Greci fondatori di Napoli circa 2800 anni fa, lui sente ancora queste origini greche e filosofeggia come i suoi antenati. Nei suoi libri De Crescenzo affianca sempre ad un filosofo greco antico un “filosofo” moderno napoletano. C’è n’è uno che si chiama addirittura come me, Alfonso Carotenuto. Lui è convinto che tutti i Napoletani abbiano il germe della filosofia, dal più umile ciabattino al più illustre professore universitario. Ha addirittura coniato una nuova filosofia napoletana che fa la differenza tra i popoli di Amore e i popoli di Libertà.

- Interessante, appena avrò un po’ di tempo voglio leggere qualcosa di questo De Crescenzo.

- Adesso venite Principe. Prendiamo Via Arena alla Sanità e proseguiamo verso il cuore del rione. Attento Principe, qui c’è di tutto. Ci sono macellerie con mezze vacche, mezzi maiali e polli appesi all’esterno; pescherie con recipienti pieni di acqua di mare con polpi e capitoni vivi, cozze e vongole veraci che sprizzano acqua da tutte le parti.

- Ohibò, mi è arrivato uno schizzo nell’occhio…. - Mozzarelle di bufala di Aversa, vino frizzante

di Gragnano, pasta di Torre Annunziata… - Fofò, ma che fai ??!! Rubi le battute dai miei

film??!! - Principe…è per rendervi omaggio !!!

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- Sì …omaggio un corno !!!! Io ti conosco bene. Tu con questa nostra …passeggiata, sei capace di tirarci fuori… un libro!!!

- Principe, ma cosa dite, come vi viene in mente… - Tu l’hai già fatto!!! Anzi, anche in quel caso ti

intrattenevi con un principe: il principe don Raimondo di Sangro, Principe di S. Severo !!!

- Ma chi, quello della Cappella Sansevero con “Il Cristo Velato” ?

- Esattamente, proprio lui. - Principe, non sarete mica… geloso??!! - Geloso io ??!! Ricordati solo una cosa Fofò: che

io sono nato a Napoli e lui a Torremaggiore,… in Puglia!!!

- Ok Principe, ho capito: siete più napoletano Voi!!!

- Oh, a proposito Fofò, ma… com’è che son passati tanti anni e qui per strada vedo ancora tanta … mondezza!!! Possibile che non si riesce ad uscir fuori da tutto questo sudiciume???!!!!

- Principe è l’altra faccia della medaglia. I Napoletani sono tanti e … non sono tutti uguali!!! A molti manca un’etica sociale e non hanno cura per tutto ciò che è pubblico. Infatti dentro casa loro sono più puliti degli Svizzeri!!! Un famoso giornalista contemporaneo, più meridionale di noi, Tahar Ben Jelloun, ribaltando il punto di vista, ha fatto la seguente riflessione: “Com’è possibile che una città così sporca e così turbolenta, abbia un’anima così generosa, così buona, così calda?!”

- Questo ha inquadrato proprio bene i vari aspetti della città; accipicchia se li ha inquadrati!!!

- Principe, sentite un poco qua:

napule e' mille culure

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napule e' mille paure napule e' 'a voce d''e criature che saglie chianu chiano e tu saje ca nun si sola napule e' nu sole amaro napule e' addore 'e mare napule e' 'na carta sporca e nisciuno se n' emporta e ognuno aspetta 'a ciorta... uh yeh eh ah eh ah eh dun de du do di eh oh oh, eh eh ... uh, eh ehu ehu eh... napule e' 'na cammenata dint''e viche mmiezo all'ate napule e' tutto nu suonno e 'a sape tutt''o munno ma nun sanno 'a verita'... napule e' mille culure napule e' mille paure napule e' nu sole amaro napule e' addore 'e mare napule e' 'na carta sporca e nisciuno se n'emporta napule e' 'na cammenata dint''e viche mmiezo all'ate napule e' tutto nu suonno e 'a sape tutt''o munno napule e' mille culure...

- Bella!!! Pure questa l’ha scritta lui? - No Principe, questa l’ha scritta un Napoletano,

un cantautore. Si chiama Pino Daniele. - Pino Daniele? Mai sentito… almeno lì dove sono

io. - Principe, Pino Daniele è vivente, non è passato

ancora a miglior vita. Ha descritto, in poche

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righe, Napoli con tutte le sue bellezze, i suoi colori, ma anche con le sue contraddizioni e i suoi dolori.

- Credo che… uno che scrive canzoni così belle, lo faranno subito santo…

- Sì Principe, SANTO SUBITO, come Maradona! - Chi è ‘sto Maradona, un altro cantautore??!! - No Principe, un …calciatore!!!!! Ma lasciamo

perdere. Questo palazzo qua a sinistra è una sede staccata della Questura…

- Sì, ma sicuramente a quest’ora il Questore in questura non c’è, perciò…andiamo avanti!!!

- Principe, siamo arrivati in un altro posto nevralgico. Questo palazzo a sinistra è Palazzo de’Liguori.

- Ah, questa era una distilleria, facevano i… liquori??

- Suvvia Principe, non mi prendete in giro, lo so che lo sapete bene chi erano i ‘de Liguori.

- Certo Fofò che lo so: erano la famiglia che ha dato i natali a S. Alfonso Maria de’ Liguori. A proposito, ma lo sapevi che S. Alfonso è nato nel tuo stesso giorno?

- Veramente??!! - Sì, il 27 di settembre; solo…qualche anno

prima, nel 1696!! - Ma guarda un po’ che coincidenza! - Mentre tuo nonno Alfonso è nato lo stesso

giorno in cui sono nato io. - Ma veramente??!! - Sì. Logicamente sono delle semplici coincidenze. - Ma … alcuni psicologi contemporanei la

chiamano “sincronicità”. E… chi lo sa, potrebbero anche esserci delle congiunture astrali positive, il fatto di essere nato sotto la stessa stella, subendo gli stessi influssi

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elettromagnetici intergalattici; della serie … non è vero ma ci credo??!!

- Beh, se questo ti fa credere che sia un fatto positivo… va bene così. Io volevo solo sapere se conosci pure la storia di S. Alfonso.

- Certo Principe, è il mio santo protettore, co-patrono di Napoli, Dottore di Santa Romana Chiesa, autore del testo e della musica della famosissima canzoncina di Natale “Tu scendi dalle stelle”…

- Ah, era. .. cantautore anche lui??!! - Beh, in un certo senso … sì. - Ma tu lo sai, che mi sento un po’ in colpa con S.

Alfonso? - Principe, … e perché mai ??!! - Perché sono nato proprio qui, a cento metri da

dove è nato lui e … nei miei film ho parlato sempre di S. Gennaro, S. Giovanni decollato, San Mamozio…

- No Principe, volete dire fra’ Mamozio, il monaco “aiutante” nel Vostro film “Il Monaco di Monza” interpretato dall’attore comico torinese Macario.

- Ah già, hai ragione, mi confondevo… con tutti i film che ho fatto!!!!

- 97, per l’esattezza!!! - Cavoli, le sai tutte!!! - Comunque S. Alfonso non è nato qui. - Come non è nato qui??!! - E’ nato a Marianella, sempre nel comune di

Napoli, ma un po’ in … campagna, dove i ‘de Liguori avevano una tenuta. Dopo pochi giorni fu portato qui, nel palazzo di famiglia e battezzato nella chiesa dei Vergini, dove siete stato battezzato pure Voi. Ha studiato nei migliori collegi della città e con i migliori

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maestri: pittura con Francesco Solimena, detto l’Abate Ciccio, e all’Università è stato esaminato in Latino e Lettere Italiane da Giambattista Vico, il famoso filosofo dei “corsi e ricorsi” storici. Figlio primogenito di Don Giuseppe de’ Liguori, energico e pio capitano comandante le galere reali, e della nobile e virtuosa Anna Cavalieri. La nascita del primogenito Alfonso, avvenuta il 27 settembre 1696, fu confortata dalla profezia di san Francesco de Geronimo: "Questo figliolo vivrà vecchio vecchio, né morirà prima dei 90 anni; sarà vescovo e farà grandi cose per Gesù Cristo". A soli sedici anni di età, il 21 gennaio 1713, Alfonso fu proclamato dottore in legge. Non potendo, per divieto di legge, esercitare prima dei vent'anni, il giovane Alfonso si dedicò alla vita sociale e religiosa con intensità. Durante una passeggiata con i compagni al bosco, sotto la guida dei Padri Filippini, dovette cedere alle insistenze dei compagni perché giocasse con loro a bocce con le arance. Lui, che non sapeva giocare, vinse trenta partite di fila e i soldi scommessi. Uno degli avversari si adirò, lo ingiuriò e condì il tutto con una sonante parola volgare. Al che Alfonso arrossì, restituì il denaro dicendo: “Perché offendere Dio per tanto poco?” - e si allontanò silenzioso tra gli alberi. I compagni continuarono i loro giochi. Quando fu l'ora del ritorno cercarono di lui; lo trovarono assorto in preghiera innanzi a una immagine della Madonna. Colui che lo aveva amareggiato scoppiò in pianto e disse: “Ho offeso un santo!” Don Giuseppe si impegnò per trovare una degna fidanzata al proprio figlio, sul quale aveva

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riposto le speranze del futuro della sua casa. Ma tanta sollecitudine non trovava adeguato riscontro in Alfonso. Tra i vari partiti decise per la figlia del principe di Presicce, Francesco de’ Liguori, Teresina, figlia unica con una ragguardevole eredità, non parente. Quando la cosa sembrava ormai fatta, la madre della fidanzata diede alla luce un maschio. Povero don Giuseppe! Vedere svanire così l'eredità! Gli si raffreddò l'interesse di accasare il figlio... e si raffreddò sensibilmente verso i principi di Presicce. La faccenda divenne ancora più incresciosa quando, sei mesi dopo la nascita, il bambino morì e don Giuseppe si fece di nuovo avanti. Tale comportamento contrariò molto i principi di Presicce e in special modo Teresina, la quale protestò vivacemente: “Quando era vivo il mio fratellino, io non ero buona per Alfonso de’ Liguori; ora che è morto, sono di nuovo buona. Si vede che si vuole la roba e non me. Bastantemente ho conosciuto cosa sia il mondo. Non voglio più vivere così. Voglio sposarmi con Gesù Cristo! Vado a farmi monaca!!!” Così disse, così fece. Ma questo pasticcio non dispiacque certo ad Alfonso, il quale riuscì a scansare in vari modi anche un altro fidanzamento che il padre gli aveva preparato con la figlia del duca di Presenzano. Le cause patrocinate da Alfonso erano state tutte coronate da immancabile successo, e il suo nome era citato nei tribunali e nei pubblici ritrovi insieme a quello dei più bravi giuristi e oratori forensi. Nel 1722 gli fu offerta la difesa di una lite sorta tra il Granduca di Toscana e il duca Orsini di Roma, per rivendicare una tenuta di ingente valore (cinque-seicentomila ducati).

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Il duca Orsini affidò la sua difesa ad Alfonso, che si preparò con puntigliosità. Nel giorno del dibattito l'aula del tribunale era insolitamente gremita. La lite aveva suscitato molto rumore. Alfonso parlò con la sua consueta lucidità, mostrando una sbalorditiva padronanza nel labirinto delle leggi sui diritti feudali. La sua parola fu coronata da un fragoroso applauso, che faceva ben sperare nel successo. Poi la doccia fredda, anzi… gelata: “Le vostre argomentazioni - ribatté con calma il suo avversario - si basano sul falso. Un documento da voi citato ha una clausola che vi dà completamente torto. Eccola!” La clausola non chiariva affatto la questione, ma l'interpretazione a sfavore di Alfonso fu accolta senza riserve dai giudici: a sostenere col suo influsso il Granduca di Toscana era sceso in campo nientemeno che l'imperatore d'Austria!!! Alfonso, umiliato, lasciò immediatamente l'aula. Alcuni storici di S. Alfonso hanno cercato di spiegare questa intricata vicenda. Oggi si è convinti che Alfonso avesse ragione. Ma la storia è che egli, venuto a contatto in modo brusco con una sconfitta bruciante, si decise e disse: “Mondo, mondo, ti ho conosciuto; tu non fai più per me”. S. Alfonso de' Liguori, che ancora giovane studente di legge frequentava la Casa dei Vergini per i suoi ritiri spirituali, aveva parole di lode per la vita esemplare dei Padri dei Vergini e proprio durante il ritiro della Settimana Santa del 1723, predicato dal superiore P. Vincenzo Cuttica, egli decise di consacrarsi definitivamente a Dio. I tre anni che seguirono la sua decisione furono

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caratterizzati da aspri conflitti con il padre, con gli amici e col bel mondo che aveva lasciato. Fu il vescovo di Troia, fratello della moglie di don Giuseppe, a vincere le resistenze e l'orgoglio del padre: “Lasciatelo andare; Iddio lo chiama, il vostro dovere è di non resistere più alla volontà manifestata da Lui”. Fu consacrato sacerdote il 21 dicembre 1726. La riconciliazione spirituale col figlio don Giuseppe la raggiunse qualche tempo dopo, nel 1729, quando passando davanti alla chiesa dello Spirito Santo - dove predicava Alfonso già sacerdote - decise di entrarvi. Uno spettacolo commovente si presentò ai suo occhi. Tutti pendevano dalle labbra del giovane sacerdote e molti occhi erano pieni di lacrime. Il suo stesso cuore fu toccato dalla parola del figlio. Tornato a casa lo abbracciò di tutto cuore e lo benedisse. Sin dal 1724 Alfonso si era iscritto alla missione di Propaganda, perché sentiva impellente l'urgenza di evangelizzare. I centri della malavita napoletana subirono l'influenza risanatrice della sua opera. Nel 1729 entrò come convittore nella Congregazione della Sacra Famiglia, detta Collegio dei Cinesi (che poi è diventato il prestigioso Istituto Orientale di Napoli) fondata dal P. Matteo Ripa da Eboli. Il Collegio sfornò i primi due missionari cinesi che dovevano tornare in Cina e fare proseliti: “Ite universum mundum, predicate evangelium omni creature”; si chiamavano Giovanni In e Lucio Vu. Nel 1731 un grave terremoto danneggiò alcune zone della Calabria, della Puglia e della

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Basilicata. Diverse compagnie di missionari si recarono in quei luoghi per portare sostegno e conforto alle popolazioni colpite. La compagnia, cui partecipò Alfonso, prese la via della Puglia. Fu una campagna intensissima. A causa delle molte fatiche sostenute, Alfonso cadde seriamente ammalato e per ordine dei superiori dovette concedersi un po’ di riposo. In giugno, superata la malattia che lo portò alle soglie della morte, fu inviato a riposarsi fuori Napoli, ad Amalfi. Vi andò per via mare. Ma la piccola imbarcazione sbattuta dai venti e dal mare impetuoso lo sbarcò sulla spiaggia di Minori. Il vicario di Scala gli consigliò come luogo più tranquillo, raccolto e dall'aria salubre, l'antico romitorio di S. Maria dei Monti. Con lui c'erano altri cinque missionari bisognosi di rinfrancare le loro forze. Ben presto quella piccola chiesa, dove si venerava una statua della Madonna che oggi è chiamata Regina Redemptoristarum, si affollò di rozzi pastori e numerosi montanari. Nel settembre dello stesso anno Alfonso ricevette il segno di quella chiamata che sentiva dentro di sé. Suor Maria Celeste Crostarosa, la grande mistica del monastero di Scala, gli comunicò la rivelazione avuta dal Signore: "Ecco colui da me scelto per essere il fondatore di una congregazione di sacerdoti che darà gloria al mio nome". Alfonso voleva rifiutare questo segno, ma uomini di esperienza e di spirito, come il vescovo di Castellammare di Stabia mons. Tommaso Falcoia, lo spinsero ad ubbidire a quella voce che essi riconoscevano venire

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realmente dall'alto. Il 5 novembre, cavalcando un asinello, lasciò definitivamente la città natale alla volta di Scala, per seguire la vocazione di dedicarsi alla salvezza delle anime, specialmente quelle più abbandonate. Il 9 novembre nella cattedrale di Scala, alla presenza di due vescovi, mons. Guerriero di Scala e mons. Falcoia di Castellammare, e di molta gente il nuovo Istituto iniziò il suo cammino. Nella preghiera e nella riflessione Alfonso preparò le Regole del nuovo Istituto. Nella grotta di Scala, ove si ritirava a pregare e a far penitenza, gli apparve più volte la Madonna in segno di conforto e di prezioso aiuto. Da questo momento la vita di Alfonso diventa anche la storia dell'Istituto da lui fondato, a parte la parentesi di tredici anni (1762-1775) come vescovo della diocesi di S. Agata dei Goti. La Congregazione fondata da Alfonso incontrò subito le ire e le persecuzioni di chi non comprese subito i suoi propositi, tanto che ad un certo punto Alfonso rischiò di restare completamente solo. Ma poi da allora Alfonso fu appoggiato da più parti, fino al 25 febbraio 1749, giorno in cui Papa Benedetto XIV approvò le Regole dell'Istituto. Ogni ritaglio di tempo che gli restava dal suo stressante ed estenuante apostolato missionario, Alfonso lo dedicava allo scrivere. Tanto che nel 1871 si decise di elevare S. Alfonso al grado di Dottore della Chiesa. Il Papa Pio IX, al vedere schierate sul tavolo le opere del Santo, esclamò pieno di meraviglia: “Poveretto, quanto ha scritto!” E qualcuno aggiunse subito: “Santo Padre, ma quanto ha

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scritto bene!” Ha scritto di tutto. 111 opere, grandi e piccole. I sacerdoti lo hanno caro per la sua Teologia Morale, un'opera grandiosa dove sono consultati 800 autori e riportate 80.000 citazioni. Il popolo si è nutrito della dottrina e della spiritualità di S. Alfonso. E' difficile trovare tra i più ferventi religiosi chi non ha letto o pregato con “Le Visite al SS. Sacramento e a Maria SS.”, “La pratica di amar Gesù Cristo”, “Le Massime Eterne”, “Le Glorie di Maria”, “L'apparecchio alla morte”, “La via della salute” e “Il gran mezzo della preghiera”. Alfonso da ragazzo ricevette una seria preparazione musicale da uno dei più quotati maestri del tempo, Gaetano Greco. Del suo talento Alfonso diede un mirabile saggio nel “Duetto tra l'anima e Gesù Cristo” composto ed eseguito nel 1760. Il manoscritto originale fu rinvenuto nel 1860 al British Museum di Londra. Ma il popolo ha amato Alfonso soprattutto per le sue meravigliose “Canzoncine” nelle quali ha trovato espressione concreta la sua fede semplice e profonda: “Tu scendi dalle stelle”, “Fermarono i cieli”, “Quanno nascette Ninno a Betlemme” e tante altre ancora. Nel marzo 1762 gli arrivò dal Papa Clemente XIII la nomina a vescovo della diocesi di S. Agata dei Goti. Questa volta non poté sfuggirla: volontà del Papa, volontà di Dio, e così partì per Roma. Ammesso in udienza dal Papa, così lo supplicò: “Beatissimo Padre, giacché Vi siete degnato di farmi vescovo, pregate Dio che non mi perda l'anima”.

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Fece il suo ingresso nella piccola diocesi in tutta umiltà: il cappello da cerimonia solenne (galero) lo fece prelevare dalla tomba del suo predecessore; sull'anello episcopale era incastonata una vistosa pietra ricavata dal fondo di un bottiglia; una modesta carrozza, che qualche tempo dopo vendette per aiutare i poveri. Migliorò sensibilmente tutto il patrimonio della diocesi, che servì poi ottimamente nel periodo della disastrosa carestia che colpì tutto il Regno di Napoli durante il suo episcopato. Sopraffatto e curvato dalla grave infermità (doppia artrosi: lombare e cervicale) più volte Alfonso inoltrò domanda di rinunzia al vescovado e più volte gli venne rifiutata. La rinunzia venne accettata il 26 giugno 1775, dopo tredici anni di lavoro intensissimo. Alfonso si sentiva sollevato. Lasciò la diocesi povero come vi era entrato. Si ritirò nella quiete di Pagani senza pretese: “Mi basterà quel carlino che mi guadagno con la messa per comprarmi quel poco di minestra che mi mangio.” Il 1° agosto 1787 alle ore dodici, Alfonso passò da questo mondo a Dio. Aveva quasi 91 anni. I funerali furono solennissimi, con una folla di oltre 10.000 persone. La salma fu tumulata nella chiesa di S. Michele dei Redentoristi a Pagani, che lui stesso aveva disegnato e fatta costruire. Alfonso fu dichiarato Beato da Papa Pio VII il 15 settembre 1816. Gregorio XVI lo annoverò nel numero dei santi il 26 maggio 1839. Pio IX lo decorò del titolo di Dottore della Chiesa il 23 marzo 1871. Pio XII lo elesse a Patrono di tutti i

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confessori e moralisti. Principe… Vi siete addormentato??!!

- No Fofò, ti ho ascoltato in “religioso” silenzio. Non sapevo nulla di tutte queste cose su S. Alfonso. E dire che siamo cresciuti nello stesso rione, che siamo stati battezzati nella stessa chiesa…. E’ vero, siamo vissuti in due epoche diverse, ma qualcosa avrei dovuto pur sapere su questo sant’uomo! Autore di “Tu scendi dalle stelle”. Ma… mi ha colpito ancor di più la sua nobiltà non ostentata, la sua umiltà e la sua semplicità. Il viaggio sull’asinello fino a Scala, l’anello vescovile con il fondo di bottiglia incastonato, la vendita della carrozzella, il ritiro nella quiete di Pagani dove, tutto ciò di cui aveva bisogno era una semplice minestra. Mi hai commosso !!!

- A proposito di Pagani. Ancora oggi è una quiete cittadina dell’Agro nocerino-sarnese, abitata da gente schietta, allegra e cordiale. Oltre ad ospitare le spoglie di S. Alfonso è la patria della tammorra, della Madonna delle Galline e di antiche tradizioni popolari. Vi ho conosciuto persone speciali di cui conservo un bel ricordo. E … se Vi posso chiedere una piccola cortesia…quando ritornate lì dove Vi trovate adesso… salutatemi don Pasquale Carotenuto e don Ciccio Desiderio.

- Non ti preoccupare Fofò, sarà fatto !!! - Principe, questo subito dopo Palazzo de’ Liguori

è il palazzo che si costruì come propria abitazione Sanfelice.

- S. Felice a Cancello??!! Viveva qui??! Oh perbacco!

- No Principe, Sanfelice… l’architetto !!

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- Ah già, è vero …l’architetto… che sbadato!!! Ma tu me lo dici tutto attaccato, me lo dici.

- Però … Fofò… lo vedo un po’ trascurato, un po’ … malandato… un po’… e diciamocelo… sgarrupato !!!

- Sì, è vero Principe, non è nello stato di conservazione che meriterebbe un palazzo del genere. I soldi qui …non bastano mai.

- Ma questa è un’indecenza, una vera fetenzia !!! - Principe, Venite un po’ qui a vedere: c’è una

scala a chiocciola “autoreggente”!!! Il Sanfelice… - L’architetto!? - …sì, l’architetto… ne aveva costruita un’altra,

più grande però, per l’accesso alla biblioteca dei Padri della Certosa di Padula in provincia di Salerno, la più grande certosa del mondo!

- Più grande della Certosa …Galbani??!! - Hai voglia !!! Molto più grande!!!! - Oh perbacco!!! - Questo palazzo si è prestato bene per girarci

qualche scena del film “Questi fantasmi” di Eduardo De Filippo e per ispirare le scenografie della “Gatta Cenerentola” del maestro De Simone.

- De Simone chi, Donato o Raimondo ? - No, Roberto. - Roberto???!!! No, non lo conosco. - E proprio di fronte, come Vi dicevo qualche

oretta fa, c’è il Vico S. Felice. - Quello che doveva essere dedicato all’architetto

e fu dedicato …al santo!!! - Esattamente. Adesso il Comune di Napoli ha

apposto una targa per commemorare l’architetto, dove viene riportata la trascrizione del cognome in modo corretto.

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- E bravi i fessi!!! Se ne sono ravveduti finalmente!!!

- Principe, in un’altra zona di Napoli, a via S. Biagio dei Librai, poco lontano dalla casa natale di Giambattista Vico, sui lati della chiesa di S. Nicola a Nilo, ci sono due epigrafi dove tutte le “e” congiunzione sono riportate con l’accento e, viceversa, tutte le “è” verbo sono riportate senza accento.

- Che stranezza è mai questa??!! Tutte invertite???

- E non per l’ignoranza del lapicida!!! Si racconta infatti che a quell’abile scalpellino gli dovevano ancora degli arretrati per altri lavori eseguiti e mai pagati e che questo buon uomo si sia rivalso tirandogli questo tiro … mancino !!!

- Hai capito … lo scalpellino!!?? - Principe e … dal Vico S. Felice o Sanfelice,

vabbè, ci siamo capiti…. - … si va a casa mia … - Sì Principe, si va a via S. Maria Antesaecula,

dove al n. 109 siete nato Voi. - Fofò, ti prego… soprassediamo!!! - Come Principe, non ci vogliamo passare??!! - Ti ho detto … soprassediamo. Mi vuoi far

ricordare di un’infanzia fatta di miseria, di stenti, di umiliazioni, di maltrattamenti… Lasciamo stare.

- Principe, ma … ci sarà ancora qualche Vostro parente nei paraggi….

- Fofò, i parenti sono come le scarpe: piu' sono stretti e piu' fanno male!

- Ma qualcuno… alla lontana… - Sì, meglio che stia lontano…Te li raccomando…

son tutti uguali quelli là… Fofò, è la somma che fa il totale, ricordalo!!!

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- Ma Voi…Voi… siete nato signore e… ”Signori si nasce”… come avete sempre detto.

- Sì, ma ho dovuto fare una vita tutta in salita!!! S. Alfonso è nato nobile, stimato a amato anche quando ha scelto di diventare un umile sacerdote. Invece a me, nonostante i natali e i titoli acquisiti, mi hanno sempre definito sì principe, ma … della risata!!! Quasi a sottolineare la bravura, ma mai il casato.

- Principe, ma chi non sa del Vostro cuore nobile; di tutte le volte che “scappavate” da Roma e venivate qui a Napoli, nel Vostro rione, a fare beneficenza, di notte, in pieno anonimato. Altro che Munaciello !!!! Quel munaciello aveva un nome, un cognome e pure un titolo nobiliare: il Principe Antonio de Curtis, per noi Napoletani semplicemente e fraternamente TOTO’.

- Ecco qua, vedi??!! Adesso ci scappa la lacrimuccia. Tu prima mi hai fatto ridere, adesso però sei stato capace pure di farmi piangere!!!

- Principe, suvvia, non fate così. Adesso Vi faccio rifare gli occhi. Guardate dall’altra parte del marciapiede che bella donna che ci viene incontro…. Guardate che bel portamento, come si muove bene…

- Eh, sì Fofò: “La donna è mobile ed io … mi sono sempre sentito … un mobiliere!!!!” Se fossi stato ancora in vita le avrei detto: ” Signora, Voi siete un’arma segreta: siete una Bomba… Anatomica. Con un pezzo di Ottomana come lei io il Turco lo faccio… eccome se lo faccio!!! Avrei chiesto l’annullamento del mio matrimonio alla Sacra Ruota, anzi… per tutte le ruote!!!!!

- Principe… potrebbe essere una donna tutta “casa e chiesa”…

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- Si, ma cosa m’ importa di cosa fa a casa e in chiesa: a me interessa cosa fa … lungo il tragitto!!!

- Principe… se Vi sentisse Vostra moglie… - Hai ragione, mia moglie era un tipo molto

ansioso: stava sempre ad Anzio per me!!! E io che pensavo che mia moglie fosse una carogna!!! E invece era una brava donna … rispetto alla moglie dell’amico mio!!!

- Principe, ricordatevi che siete morto e non potete fare più il … cascamorto!!!

- Fofò, ricordati: io non faccio il cascamorto; se casco, casco morto… per la fame. Sento un odorino… Si dice che l’appetito vien mangiando… invece io dico che l’appetito viene… quando si è digiuni!!!! Qua le cose sono due: o sono i rimorsi della coscienza o sono… i morsi della fame.

- Venite Principe…Vi faccio vedere dove vengo io a rifocillarmi con i miei turisti quando siamo in giro per la Sanità. Eccoci qua, da Mimmo.

- Fofò, ma questo non è il panificio di don Pasquale Esposito, il Presidente del Comitato per i festeggiamenti in onore di S. Vincenzo.

- Esattamente Principe. Adesso don Pasquale non c’è più. Sta lì dove siete Voi. L’attività viene portata avanti dal figlio Mimmo. E’ qui che vengo a fare una breve pausa con i miei amati turisti per la degustazione dei taralli fatti con sugna, pepe e mandorle salate.

- Fofò, quando ero ragazzo qui ci venivo a mangiare ‘o pagnuttiello!!!

- Principe, ma che dite??!! Anche io vengo a mangiarlo spesso. E’ una vera goduria: roba da buongustai !!!

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- Questi sì che sono bei ricordi. Sento ancora il profumo, la fragranza e il sapore inimitabile di cibi genuini e sostanziosi.

- Sono contento che sono riuscito a rimettervi di buon umore. Che dite adesso: vogliamo entrare nella chiesa della Sanità??

- Andiamo. Muoio (si fa per dire) dalla voglia di rientrarci.

- Principe è proprio una bella chiesa. Il progetto fu opera di fra’ Nuvolo, quello che progettò anche il bel campanile della chiesa del Carmine Maggiore.

- Fofò, ma come mai tutte le altre chiese napoletane sono tutte colorate, piene di affreschi e marmi policromi, mentre questa è … grigia e bianca??

- I padri Domenicani la vollero così, come i colori dei loro abiti. E anche perché lo sguardo del visitatore doveva catalizzarsi su quel bell’altare maggiore, che racchiudeva la vecchia basilica con l’ingresso alle catacombe di S. Gaudioso. Se ci fate caso tutti i santi raffigurati nei quadri sono santi domenicani: S. Nicola, S. Vincenzo Ferrer, San Domenico da Guzman, Santa Caterina da Siena. In questa teca si vede anche la statua di S. Vincenzo, detto “’o munacone”.

- Fofò, ma … ha le ali e una trombetta !!! Che significa?!

- Per i Domenicani S. Vincenzo era un angelo annunciatore, colui che annunciava “La Verità”; ecco il perché delle ali e della trombetta. Principe, questo quadro con la cornice dorata che vedete qui tutto illuminato è il quadro della Madonna della Sanità, quello che ha dato il nome alla chiesa e a tutta la zona. Si ritiene essere un’immagine miracolosa a cui

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ancora oggi si rivolgono tanti fedeli in cerca di grazia. E’ un affresco staccato dalla sottostante catacomba di S. Gaudioso ed è la prima immagine mariana attestata qui a Napoli!! E più avanti c’è anche un’altra curiosità. Guardate quel quadro che raffigura S. Caterina. Un giorno nacque una disputa tra Domenicani e Francescani a causa di quel quadro. I padri domenicani avevano ordinato al pittore di ritrarre S. Caterina con le stimmate. I frati francescani obiettarono che l’unico santo in Italia a poter essere raffigurato con le stimmate era il loro S. Francesco.

- Beh, e allora come andò a finire? - Andò a finire che il pittore trovò la soluzione

giusta: raffigurò la santa mentre stava per ricevere le stimmate, mentre dallo Spirito Santo partivano i raggi che poi le avrebbero trafitto le mani e così … si evitò l’incidente in modo diplomatico.

- Hai visto il pittore, eh!? Fofò, ma tu lo sai che pure io ho fatto il pittore in gioventù??!!

- Veramente Principe??!! Questa mi giunge nuova. E … dove si trovano i vostri lavori?! In qualche palazzo nobiliare, in qualche chiesa, in qualche museo? Lavoravate a fresco, a secco, a encausto??

- Ehhhh, hai voglia: a fresco, a stucco, arriccio. Ho lavorato in chiese, palazzi, bassi…

- Bassi??!! - Fofò, ma cos’hai capito? Facevo il pittore come

si dice a Napoli, cioè l’imbianchino!!!!! - Principe, per un attimo c’avevo creduto. Vi

immaginavo vestito come il Maestro Scorcelletti in “Totò, Eva e il pennello proibito”.

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- Ma mi ci vedevi a me mentre dipingevo madonne e angioletti?

- Principe, pure S. Alfonso aveva preso lezioni da Francesco Solimena, come vi ho già detto. Perciò ci son cascato.

- Su, su, … proseguiamo. - Eccoci arrivati al pezzo forte: l’altare maggiore

sopraelevato…

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- Impressionante, bello, superbo. E… cosa ci fa quest’altare moderno di cristallo qui in basso, se l’altare originale si trova lì in alto??!!

- Principe, poiché le vocazioni stanno diminuendo e l’età dei preti che dicono messa è abbastanza elevata, si è pensato di mettere un altare più comodo per dire messa, in modo da non far venire un infarto ai poveri sacerdoti che dovevano arrampicarsi fin lassù in cima: come ben sapete, le scale si scendono con le gambe, ma si salgono … col cuore!!!

- Eh, hai ragione la vecchiaia … è una brutta bestia!!!

- Principe da qui in basso si accede alle Catacombe di S. Gaudioso.

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Un posto molto particolare. Le catacombe napoletane non sono come quelle romane. Le nostre sono molto più ampie e ariose. Si vedono i sedili dove venivano messi a “scolare” i defunti.

- A scolare??!! - Sì, perciò a Napoli c’è quel modo di dire, usato

in senso affettuoso anche da mia nonna: “Puozz sculà!!!” I morti venivano messi su questi sedili forati… a scolare. Nudi, in posizione fetale e, per accelerare la fuoriuscita dei liquidi dal corpo, c’erano i becchini, che con uno spillone foravano le carni, l’epidermide, come se fosse un palloncino pieno d’acqua.

- Ah, adesso capisco perché a Napoli i becchini li chiamiamo … ”schiattamorti”!

- Dopo che si erano completamente essiccati gli scheletri venivano messi in chiesa nei sarcofagi o sotto le lastre tombali, mentre il cranio veniva incassato nel muro, a vista, e sotto veniva dipinto lo scheletro con gli abiti del defunto quand’era ancora vivo. Così, ancora oggi, se uno si va a fare un giretto in queste catacombe vede questi scheletri dipinti con gli abiti di dame, gentiluomini. C’è n’è addirittura uno di un pittore…

- Imbianchino, con secchio e pennello? - No, pittore con tanto di tavolozza. Principe, che

dite, vogliamo scendere a dare un’occhiata?? - Per l’amor di dio. A me i morti fanno

impressione!!

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- Ma come …”fanno impressione”??!! Ma non siete morto anche Voi?!

- Sì, ma … io sono un morto … in carne ed ossa!!! Questi, invece, sono solo ossa!!! Mi fanno impressione.

- Ho capito Principe, soprassediamo. Sulla sinistra del presbiterio, in questa cappella laterale, c’è questo seggio vescovile. Si dice sia la sedia del vescovo S. Severo.

- Ma, non hai detto che S Severo era … principe? L’hanno fatto pure vescovo??!!

- Principe, ho detto S. Severo quello era invece Sansevero, l’alchimista, il Gran Maestro della massoneria napoletana, quello che realizzò quei due scheletri con tutto il sistema venoso e arterioso mineralizzato; quello che commissionò la statua del Cristo Velato a Giuseppe Sanmartino.

- San Martino?! San Martino… quello che divideva il mantello col povero… faceva anche lo scultore??!!

- Ma no, Principe, ma quale S. Martino e il povero. Io dicevo Sanmartino lo scultore, che si scrive tutto attaccato…

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- Senti Fofò, non ci capisco più niente: che ne so io se sta scritto attaccato o staccato, se tu lo hai solo pronunciato!?

- Principe, avete ragione. Ma cosa ci posso fare io se a Napoli i santi “staccati” si confondono con i santi “attaccati”!!?? Se un principe si confonde con un vescovo, se un architetto o un pittore si confondono con dei santi: qui è sempre stat ‘nu manicomio con tutti ‘sti nomi!!!

- Sù, sù, non ti avvilire. Andiamo avanti. Mi stavi dicendo che questa era la sedia dove si sedeva il San Severo … vescovo, quello vero !!!???

- Giusto. Il fatto è che si ritiene che questa sedia sia … miracolosa! Tutte le donne che vogliono avere dei figli vengono a chiedere la grazia in questa chiesa sedendosi su questa sedia. Un pò come avviene ai Quartieri Spagnoli nella chiesa di S. Maria Francesca delle 5 piaghe.

- Aheeeee, e che allegria: S. Maria Francesca delle 5 piaghe, S. Maria dei sette dolori, S. Paola dai cento acciacchi, la Madonna addolorata….

- Avete ragione Principe, si sente il pathos della passione di Cristo, che si riflette anche nel nome delle sante o delle madonne.

- A proposito dei santi e dei modi di dire napoletani. Ma non c’era pure una chiesa che ha a che fare con la “mazzarella”… cioè la reliquia del bastone di S. Giuseppe???!!!

- Sì Principe, anche se non si tratta di una chiesa, ma di una cappella di un palazzo signorile alla Riviera di Chiaia, Palazzo Como, dove si conservava questa strana reliquia del presunto bastone appartenuto a S. Giuseppe. In occasione della festa di S. Giuseppe la reliquia veniva esposta al pubblico per la venerazione. Ma c’era sempre qualcuno che cercava di approfittarne e

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di nascosto sfregava (in napoletano “sfruculiare”) la sacra reliquia. Al che il custode, quando coglieva qualcuno sul fatto, lo ammoniva dicendo: ”Nun sfruculià ‘a mazzarella ‘e S. Giuseppe!”

- Fofò, mi stai facendo “ricreare” con tutte queste sortite sui modi di dire della lingua napoletana.

- Principe, ricordate che noi Napoletani Vi siamo debitori per aver creato il 50% in più delle battute e dei modi di dire che ognuno di noi conosce perfettamente a memoria. In pratica per noi siete l’equivalente di Dante per i Toscani, di Shakespeare per gli Inglesi, di Goethe per i Tedeschi !!!!

- Fofò, mi fai arrossire… tsè, tsè, come arrossisco. - Sù Principe, usciamo dalla chiesa. - E nel chiostro non andiamo??!! - No, principe. Purtroppo del bel chiostro

progettato da fra’ Nuvolo rimane ben poco. Fu sventrato completamente da uno dei piloni che sorreggono la sovrastante strada sopraelevata fatta costruire da Giuseppe Bonaparte per collegare direttamente il centro con la collina di Capodimonte. Ed è da allora in poi che il rione Sanità non è stato più il passaggio obbligato per chi doveva andare in collina. Qui a destra però, si è conservata intatta una bella farmacia i cui arredi e la suppellettile (i mortai, i vasi di ceramica per le spezie e le piante officinali, le attrezzature per le preparazioni galeniche) sono ancora gli originali. Ci lavora una mia amica farmacista, Imma Borrelli, con la quale ci incontriamo da tanti anni in vacanza a Palinuro.

- Ah, vai a Palinuro in vacanza, ti tratti bene eh?!

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- Principe, è un posto bello, tranquillo, con persone ancora di sani principi. Lo sapete no, si trova nel Cilento.

- Non ci sono mai stato, ma ne ho sempre sentito parlare bene.

- Peccato che Imma non ci possa vedere. Mi avrebbe fatto piacere farvela conoscere. E adesso … avanti verso le Fontanelle!!!

- Mi scusi buon uomo, ma…per andare dove dobbiamo andare…per dove dobbiamo andare??!!

- Su Principe, mi segua. Anzi, se Vi volete rendere conto di dove siamo, date uno sguardo qua sulla mappa.

- Ma… questa mappa è piccola, troppo piccola, non ci vedo un tubo! Questa non è una mappa: è una … mappina!!!

- Principe, non vi è passata la voglia di fare lo spiritoso…

- Oh, dimmi un po’ Fofò, cosa c’entrano queste “fontanelle”??!!

- Principe, qui una volta c’erano delle sorgenti di acqua. Le condizioni igieniche in una città iperaffollata da sempre, come Napoli, erano molto precarie. Pertanto un luogo con acqua di fonte, pure e pulita, era un luogo dove poter bere tranquillamente e disintossicarsi. Le cure idropiniche sono venute all’attenzione della medicina ufficiale moderna solo di recente, ma già nell’antichità erano molto raccomandate. Ed è per questo che in questo luogo ameno, quasi di campagna, molte persone, bevendo e lavandosi con quest’ acqua pura di fonte, guarivano. Ma poiché i Napoletani devono per forza di cose attribuire queste “guarigioni” a eventi soprannaturali, ecco che collegarono i fausti

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eventi all’intervento di quell’ immagine della madonna che abbiamo visto prima in chiesa, chiamandola così “Madonna della Sanità”, della salute.

- Eh, Fofò, siamo degli inguaribili creduloni!!!! Eh già !!!

- Principe qui già si nota che andiamo verso la campagna. Si sentono ancora cinguettare gli uccelli, c’è il verde degli orti, della macchia mediterranea, il giallo del tufo napoletano. Questa è in pratica una gola scavata dalle acque piovane che scorrevano copiose dalle colline circostanti. Gli antichi estraevano il tufo anche da questa collina. Le cave di tufo, una volta abbandonate, venivano adibite agli usi più disparati. Qui a destra e a sinistra di questo “canyon” si vedono le ex-cave utilizzate come garages per auto, officine e abitazioni. Una volta, quando il Cimitero delle Fontanelle era “vivo” e pieno di gente che veniva a far visita alle anime dei defunti, molte cave erano anche utilizzate come negozi di fiori e di lumini.

- Eh, sì…me lo ricordo. Te l’ho detto, non amo fare visita ai defunti, perché a me i morti fanno … impressione. Ma ci sono venuto da bambino un paio di volte con mia madre, e mi ricordo benissimo il via-vai che c’era.

- Principe, allora come avete fatto a scrivere “ ’A livella”??!!

- Fofò, ma io… me lo sono solo immaginato di rimanere rinchiuso nel cimitero; era pura fiction, finzione. Mica ci sono rimasto sul serio: fossi matto !!!

- Principe per me è un capolavoro di poesia e filosofia. Allo stesso modo ritengo pura poesia d’amore la Vostra canzone “Malafemmena”

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oppure la poesia “’A cunzegna”. Tutti hanno pensato a Voi solo come ad un grande comico, solo in pochi conoscono l’aspetto profondo e lirico del Vostro animo.

- Tu sei Napoletano come me Fofò e puoi capire. E’ tipico delle persone apparentemente molto allegre avere anche una parte così introspettiva del loro carattere.

- Eccoci qua Principe, siamo arrivati. Vogliamo entrare??!!

- Fossi matto, pussa via!! - Ma… mica avete paura!!! - Badi come parli, sa!!?? Io non ho paura. A me i

gatti neri mi guardano in... cagnesco!!! - Ma… Principe… che ci trovate di strano?! E poi

non c’è nessuno: c’avete fatto caso che l'ultima domenica di carnevale i cimiteri… sono un mortorio?

- Fofò, se mi vuoi raccontare qualcosa fallo qui, davanti all’ingresso.

- Principe, facciamo così: Vi racconto prima una bella barzelletta, in tema con l’ambiente, e poi vediamo se dopo vi va di entrare.

- Perché, hai una barzelletta pure sui cimiteri?! - Sentite qua. Una domenica al cimitero c’era un

signore che stava aggiustando i fiori sulla tomba della moglie. Ad un certo punto, va per alzare lo sguardo e nota che quattro tombe più in là c’era una bella donna, come quella che abbiamo incrociato prima, per intenderci…

- …intenditore!!! - … che stava sistemando anche lei i fiori sulla

tomba del marito e, nel frattempo, dava pure una pulitina alla pietra tombale, chinandosi in avanti e mettendo in mostra un bel … posteriore!!! L’uomo non poté fare a meno di

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notare quella bella silhouette ancheggiante e … continuava tranquillamente ad osservare tutta la scena di pulitura e … ancheggiatura. Dopo un po’ la signora, finito di pulire, si guardò intorno (ma non alle spalle dove c’era l’uomo che la stava guardando) e, visto che non c’era anima viva, si sollevò il lato di dietro della gonna e appoggiò il suo bel sedere in faccia alla foto di suo marito. Dopo pochi secondi, non vedendo alcuna reazione, la donna si abbassò la gonna, mandò un bacio alla foto del marito e se ne andò. Il signore, che nel frattempo aveva assistito a tutta la scena, rimase stupefatto. Non riusciva a capire il significato di quella performance. Ma, una volta che la signora si era allontanata, salutò anche lui la propria moglie defunta e se ne andò. Il giorno dopo, al supermercato, i due si cozzano casualmente con i carrelli della spesa. “Le chiedo scusa – fa la signora- non l’ho fatto apposta!” “Si figuri – risponde il signore- non c’è problema. Ma … scusi se glielo chiedo, Lei ieri … non era al cimitero?!” “Sì, - rispose la signora- sa, ogni domenica mattina vado a trovare la buonanima di mio marito”. “Signora, non vorrei sembrarle indiscreto, ma ho notato che lei ieri, prima di andar via, ha salutato suo marito in un modo un po’… inconsueto: si è tirata sù il retro della gonna ed ha appoggiato il suo sedere in faccia alla foto di suo marito… Ma… ha qualche significato particolare??!!” – “In confidenza…Lei deve sapere che ... quando mio marito era in vita, mi diceva sempre: “Maria, tu hai un sedere … che faresti resuscitare pure i morti!!!” E allora Principe, Vi è piaciuta?! Che facciamo…entriamo o avete sempre paura??!!

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- Io sono un uomo di mondo. Io il coraggio ce l’ho. Ricordati però: è la paura che mi frega!!! Tu vorresti farmi ri-morire di crepacuore??!! Non mi vuoi far più dormire per il resto dell’eternità con tutti ‘sti scheletri, teschi, tibie, femori, clavicole e orbite vuote davanti agli occhi??!! Te l’ho detto già un sacco di volte: a me i morti fanno impressione. Quello che ho detto ho detto: e qui lo nego!!!

- Ok, Principe allora …desisto?? - Bravo: desisti!! - Principe avete ragione. Qui dentro ci sono

migliaia e migliaia di resti umani. Da Porta S. Gennaro, da dove siamo partiti, questo era il … capolinea!!! La maggior parte dei morti di peste, di colera e di molte altre epidemie susseguitesi nei vari secoli, è stata portata qui.

Il fatto brutto è che queste cave piene di sepolture si allagavano durante le alluvioni e molti resti umani venivano trasportati dalle “lave” di acqua

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verso il centro del Rione Sanità. Per evitare che questo spettacolo raccapricciante si ripetesse ancora, un sacerdote della vicina chiesetta di Maria Santissima del Carmine, padre Gaetano Barbati, insieme a molti fedeli volontari, sistemò nel 1872 quest’ossario, facendo tanti strati di ossa e ricoprendo ogni strato con terra battuta. Poi i resti più recenti li sistemò con un criterio molto semplice: teschi con teschi, tibie con tibie, femori con femori e così via. Ci sono teschi famosi come quello del “Capitano” o come quello di “Donna Concetta” detto “‘a capa che suda”, in quanto sulla fronte si deposita una specie di condensa che sembra sudore.

- Aehhhh, eh che bello spettacolo !!! - Da allora in poi è stato ancora più semplice per i

Napoletani “credenti” adottare qualche teschio da “rinfrescare”. Infatti, come Voi ben sapete, I Napoletani hanno un culto particolare per le anime dei morti. E’ un’antica tradizione che ci portiamo appresso grazie al culto della dea egiziana Iside. Può sembrare un paradosso, ma se sono nate le prime banche a Napoli … lo dobbiamo ai morti!!!

- Gesù, Gesù, ma tu che dici??!! Eh, ma io l’ho sempre detto che i morti danno da mangiare ai vivi!!!

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- Dal medioevo in poi, grazie a Dante, si è diffuso il concetto di “Purgatorio” così come lo intendiamo noi, che prima non esisteva. Secondo le credenze di allora, le anime del Purgatorio, che per metà erano ancora immerse tra le fiamme, avevano bisogno del “rinfresco”. Ma mentre a Roma la Chiesa inventò le “indulgenze” per fare cassa, qui inventò le… messe in suffragio delle anime dei morti. Dunque i vivi si prodigavano a dare rinfresco ai morti con fiori, ceri, lumini e messe in suffragio. I morti, a loro volta, comparivano in sogno ai vivi dando loro qualche buon numero da giocare al Lotto. E visto che i Napoletani che ci credevano erano una cifra…si fecero soldi a palate. Furono istituite Confraternite e Arciconfraternite della morte. Con il denaro accumulato, inizialmente si doveva fare la dote alle fanciulle che non se lo potevano permettere.

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Ma con tutto il surplus, cioè il denaro che avanzava, queste Confraternite iniziarono a dare i soldi ad interesse, creando ben presto capitali da capogiro. Molti di questi soldi, insieme a quelli accumulati dalla Casa dell’Annunziata, del Banco dei Poveri, del Pio monte della Misericordia, del Monte dei Pegni e dal Banco dello Spirito Santo, confluirono in quello che fu poi battezzato… Banco di Napoli.

- Hai capito??!! Con i soldi della povera gente!! Oh, Fofò, ma com’è che parli al passato. Perché oggi la gente non crede più nelle anime del purgatorio?

- Certo Principe, e Voi ne siete un esempio… ”vivente”.

- Come …vivente??!! - Sì, perché, in molte edicole votive dedicate alle

anime del purgatorio ci siete anche Voi, raffigurato a metà con la parte inferiore ancora tra le fiamme.

- Ah, già dimenticavo… le emorroidi… cioè i bruciori, le infiammazioni al sederino…

- Esatto!!! Però, adesso, la gente invece di darli tutti alla Chiesa o alle Confraternite li dà anche allo Stato, attraverso il gioco del Lotto.

- Ma dico io… ma non se li sanno tenere per loro questi soldi, magari investendoli in qualche attività più redditizia, cercando di farli fruttare, che so’ io, come fanno al Nord??!!

- Principe, il Napoletano è uno che lavora per vivere e non vive per lavorare. Una volta che ha guadagnato quel tanto che basta, il resto cerca di investirlo affidandolo alla Dea Fortuna.

- E bravi i fessi!!!! La fortuna si fa con la testa, col cervello, con l’impegno!!!! E io ne sono l’esempio …”vivente” (scusami la battutaccia)!!

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- Principe Voi siete stato veramente un grande personaggio, un uomo di talento e la Vostra fortuna Ve la siete fatta giorno per giorno con le Vostre mani e… anche con tutto il resto. E questo la gente l’ha capito già quando eravate ancora in vita. Non ha dovuto aspettare la Vostra morte per farvelo capire.

- Adesso però Fofò, vieni. Ti accompagno lì al punto dove ci siamo incontrati, a Porta S. Gennaro, altrimenti faccio tardi ….Tu però, nel frattempo, mentre camminiamo, continua a raccontare…

- La Vostra morte, Principe, ci ha lasciati orfani... di padre, così come lo eravate Voi quando siete venuto al mondo. In tasca conservo ancora un pezzo di giornale che parla del Vostro ultimo giorno di vita. Che dite, lo volete sentire?

- Leggi Fofò!!

- “La sera del 13 aprile all'autista, Carlo

Cafiero, che lo accompagnava a casa a bordo della sua Mercedes, Totò confessò: "Cafie', non ti nascondo che stasera mi sento una vera schifezza". A casa il sorriso di Franca gli restituì un pò di serenità, ma dei forti dolori allo stomaco lo costrinsero a chiamare il medico, che giunto subito, gli somministrò dei medicinali raccomandandogli di stare tranquillo. Trascorse l'intero pomeriggio del 14 aprile in casa a parlare con Franca del futuro, dell'estate che sopraggiungeva e del suo desiderio di godersi le vacanze a Napoli, sopra a Posillipo. A sera consumò una minestrina di semolino e una mela cotta, poi i primi sintomi: tremore e sudore.

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"Ho un formicolio al braccio sinistro" mormorò pallidissimo. Franca capì subito: era il cuore. Fu avvertita la figlia Liliana, il medico curante, il cardiologo professor Guidotti, il cugino-segretario Eduardo Clemente. Gli furono somministrati dei cardiotonici, ma le condizioni non migliorarono. Alle due di notte si svegliò e rivolgendosi al cardiologo disse: "Professò, vi prego lasciatemi morire, fatelo per la stima che vi porto. Il dolore mi dilania, professò, meglio la morte!" Poi, rivolgendosi al cugino: "Eduà, Eduà mi raccomando. Quella promessa: portami a Napoli". Le ultime parole furono per Franca "T'aggio voluto bene, Franca. Proprio assai". Erano le tre e trenta del 15 aprile 1967. ” Al Vostro funerale c’erano tremila persone in chiesa e centomila fuori alla chiesa, in Piazza Mercato. Si dice che alcune persone furono colte da malore, per lo spavento provato nel vedere lì ai funerali , Totò vivo. L'uomo che tanto Vi assomigliava era Dino Valdi, di professione attore cinematografico, che per molti anni era stato la Vostra controfigura. Ma la cosa più toccante Principe è stata la commemorazione funebre letta in chiesa da Nino Taranto e trasmessa alla radio. Ve la posso leggere?

- Leggi…. - “Amico mio questo non e' un monologo, ma un

dialogo, perché sono certo che mi senti e mi rispondi. La tua voce e' nel mio cuore, nel cuore di questa Napoli che e' venuta a salutarti, a dirti grazie perché l'hai onorata. Perché non l'hai dimenticata mai, perché sei riuscito, dal palcoscenico della tua vita, a scrollarle di dosso quella cappa di malinconia che l'avvolge. Tu

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amico mio hai fatto sorridere la tua città, sei stato grande, le hai dato la gioia, la felicità, l'allegria di un'ora, di un giorno, tutte cose di cui Napoli ha tanto bisogno. I tuoi napoletani, il tuo pubblico e' qui. Ha voluto che il suo Toto' facesse a Napoli l'ultimo "esaurito" della sua carriera e tu, tu maestro del buonumore, questa volta ci stai facendo piangere tutti. Addio Toto', addio amico mio. Napoli, questa tua Napoli affranta dal dolore, vuole farti sapere che sei stato uno dei suoi figli migliori e non ti scorderà mai. Addio amico mio, addio Toto'.”

- Fofò, come posso ringraziarti? Sei stato capace di farmi vedere cose interessanti e curiose e mi hai fatto ridere e piangere, come io ho fatto con gli altri. E io che pensavo di aver pianto solo il giorno in cui sono nato! Comunque sono sempre più convinto di una cosa: è inutile prendere la vita troppo sul serio, tanto comunque … non se ne esce vivi!!!

- Principe e io dico sempre: “Sei stanco e sfiduciato? Sorridi, perché la morte è peggio. Tua moglie ti ha tradito e non sai cosa fare? Sorridi, tanto la morte è peggio! Sei morto? E allora sorridi, tanto il peggio … è passato!!! A proposito Principe. Ma Ve lo ricordate che proprio in questi giorni ricorre il 115° anno della Vostra nascita?

- Sì, che me lo ricordo Fofò, è proprio oggi!!! - E’ vero, oggi è il 15 di febbraio, il 15-2-2013. - Ecco perché mi hanno concesso questa mezza

giornata di permesso: è il mio compleanno !!!! - Principe, che bello !!! Vi ho portato in giro il

giorno del Vostro compleanno!!

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- Mi hai fatto proprio un bel regalo. - Principe… a proposito di regalo… visto che

siamo quasi arrivati a Porta S. Gennaro…prima che scada il vostro permesso…

- Dimmi un po’, cosa posso fare per te?? - Principe… non vorrei sembrare uno che ne

approfitta, ma… non è che mi potreste dare… quattro o cinque… numeri?!

- Numeri???!!! Quali numeri??? - Principe… il Lotto... i numeri… - Giovanotto, giovanotto, ma quali numeri al

Lotto!!! Qui si poltrisce!!! Sù, sù, alzatevi, che non vi siete fatto niente!! Siete solo scivolato su questa buccia di banana, siete caduto e per un po’ avete perso conoscenza.

- Ma … Principe … i numeri…. - Ah, ma allora avete la testa dura! E meno male

che non ve la siete rotta. Sù, sù, alzatevi! - Principe … i numeri… - Sentite a me: io non do’ i numeri e non sono

principe. Al massimo mi hanno chiamato “dottò, ingegné o cavalié ”. Perciò, ascoltate il mio consiglio: andatevene a casa, mettetevi a letto e fatevi una bella dormita. Può darsi che vi venga in sogno il Principe de Curtis e… ve li dà lui …

i numeri !!!!!