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    da La sculturaraccontata daRudolf Wittkower

    di Rudolf Wittkower

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    Edizione di riferimento:La scultura raccontata da Rudolf Wittkower. Dallan-tichit al Novecento, trad. it. di Renato Pedio, Ei-naudi, Torino 1985 e 1993

    Titolo originale Sculpture. Processes and principles,Penguin Books Ltd, London 1977 Margot Wittkower

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    Indice

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    Introduzione 4

    I. Lantichit 6

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    Introduzione

    Spero mi perdoniate se comincio con qualche osser-vazione un poco polemica. Guardiamo in faccia le cose:moltissime assurdit vengono dette e scritte a proposi-

    to dellArte, specialmente da chi scriva darte moderna;persone, spesso, vittime di una retorica professionalepriva di senso. Devo confessare che, malgrado decennidi esercizio nella lettura della prosa degli storici dellar-te, non sono spesso riuscito a leggere fino in fondo unlibro sullarte moderna.

    Ovviamente, non posso garantire che io stesso noncadr preda delle trappole retoriche; ma ne sono alme-no consapevole, e spero di riuscire ad offrire qualcheinterpretazione seria e storicamente valida persino quan-do mi volger allarte del xx secolo: i miei criteri saran-no basati su fatti di cui recano testimonianza alcuni mil-lenni di storia. Star con i piedi per terra. Parler ampia-mente delle tecniche della scultura e dei processi di pen-siero ad esse collegati o da esse derivanti, e spero di pre-sentare qualche conclusione, almeno, tratta dallevi-denza visiva incontrovertibile. Ovunque e comunque

    possibile, fonder le mie interpretazioni sulle opinionidegli scultori stessi, e su quelle dei loro contemporanei.Dal mio titolo stesso ben si vede che non mio inten-

    to offrirvi una rassegna della scultura dagli antichi aHenry Moore o pi in l. Mi occuper ovviamente dimolte importanti opere darte e, spero, al termine voi

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    forse potrete ritenere di aver dischiuse alcune portesbarrate, e di saper affrontare ad occhi aperti, e con lamente aperta, un vasto panorama di eventi artisticiappartenenti alla storia della scultura.

    Il tema sar duplice: studiando i metodi di lavorodegli scultori, intendo scoprirne le idee e le convinzio-ni artistiche, ed implicitamente aprire strade allap-prezzamento della scultura da parte dello spettatore.Quantunque esista gran numero di studi molti deiquali ottimi che descrivono i processi di lavoro di arti-sti come Michelangelo e Rodin, a me non noto alcu-no studio generale che possa dirci che cosa unisca e checosa separi gli scultori attraverso i secoli. Cos, queste

    conferenze dovrebbero colmare un vuoto e focalizzarelattenzione su qualche singolare lacuna della storia del-larte.

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    Capitolo primo

    Lantichit

    Nei secoli passati gli scultori hanno fatto uso vir-tualmente di qualsiasi materiale che si presti ad esseremodellato in tre dimensioni. Persino materiali quali la

    sabbia, le conchiglie, il cristallo di rocca ed il vetrohanno il proprio posto nella storia della scultura. Gliscultori moderni hanno esteso enormemente la gammadei materiali: metalli nuovi, acciaio, materiali artificia-li quali il nylon e la plastica sono stati immediatamentecolti, continuando lantica tradizione di esplorazione esperimentazione.

    Nondimeno, per tutta la storia e in tutto il mondo,due materiali hanno prevalso: il legno e la pietra. Puaggiungersi come terzo il bronzo in alcune zone delmondo come la Cina, lAfrica, la Grecia, Roma e lEu-ropa. In Europa lintaglio in legno stato sempre di casanei paesi nordici, specialmente la Francia e la Germania.Quando, in tali paesi, stata usata la pietra, come accaduto in misura considerevole, si trattava spesso diuna variet di pietra tenera cavata localmente, come ilcalcare e larenaria, pi che di pietre pi dure, come il

    marmo, o di materiali di ancor maggiore durezza comeil granito e il porfido, cavati nelle zone mediterranee.Lopera in pietra di antichit incalcolabile: cono-

    scete gli attrezzi di silice che si trovano in tutto ilmondo. Li si pu considerare come la prima potenteestensione della mano umana, e pertanto come lan-

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    nuncio dellalba della civilt umana. Tali suppellettiliforniscono i primi esempi di artigianato umano; veni-vano prodotti per sfaldamento o spacco; conferivanopotere, come luomo primitivo scopriva di continuo. E

    cos, furono essi gli araldi delle divinit in pietra e delleimmagini in pietra, ricettacoli di potere magico.Nel corso del tempo, gli attrezzi sfaldati non soddi-

    sfecero pi gli uomini. Vennero sviluppate due nuovetecniche per lavorare la pietra, ambedue immensamen-te laboriose e lente. In primo luogo, strofinando unoggetto con la sabbia, se ne poteva migliorare la forma,il che diede origine ai processi abrasivi. Inoltre, venne-ro inventati utensili di rame, di bronzo e pi tardi di

    ferro, e col loro aiuto la pietra pot essere configurata.Quando vengono in luce tali attrezzi, assistiamo allanascita della storia della scultura. Il che ci porta indie-tro nella storia ben al di l di seimila anni, agli inizi dellecivilt egizia e babilonese. I Greci, eredi delle civiltorientali, e dopo di essi i Romani e gli Italiani, coltiva-rono fieramente le tradizioni di et immemorabile, e fuentro lorbita di tali civilt mediterranee che si sviluppla nozione secondo cui lintaglio della pietra, e specifi-camente del marmo, era lo scopo supremo e la massimaconquista degli scultori. Tale nozione meridionale vennecompletamente assimilata in tutta Europa e neppur oggiha perso la propria validit. In accordo con tale tradi-zione, molto di quanto qui dovr dire riguarder la scul-tura in pietra.

    Mi siano consentite alcune osservazioni generalicirca la scultura in marmo, prima di volgermi al mio

    argomento principale, e precisamente al modo in cui gliantichi Greci apprestarono le loro statue di marmo. chiaro che lintaglio del marmo richiede un lungo tiro-cinio ed unesperienza straordinaria. Lopera dello scul-tore di fatto comincia prima dellintaglio: comincia conla scelta del blocco di marmo. Uno scultore di primo

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    marmo italiano.Quando era impossibile a Michelangelo recarsi eglistesso nelle cave, forniva guida agli scalpellini localifacendo loro avere disegni con schizzi accurati (com-prendenti le misure dei blocchi che egli richiedeva).Miracolosamente, alcuni di tali disegni sono giunti finoa noi. Le didascalie sono dellinconfondibile mano diMichelangelo. Attraverso uno dei blocchi egli scrisselargo braccie due e mezzo: vale a dire, il blocco dove-

    va essere lungo due braccia e mezzo, ovvero un metro emezzo circa.Molto dipendeva dalla qualit del marmo. Entro una

    certa misura, la qualit disponibile determinava persinoquali strumenti potessero o non potessero impiegarvisi.Naturalmente, non accade spesso che le deliberazionidella bottega su tali argomenti siano documentate abeneficio degli storici dellarte. In un caso storico pos-siamo valerci di una messe notevole di notizie su taliargomenti; lo dobbiamo alla sopravvivenza di un diariocontemporaneo. Quando a Bernini, durante la sua visi-ta a Parigi nel 1665, venne commissionato un busto inmarmo di Luigi XIVmancava il tempo per far venire permare dalle cave di Carrara il marmo adatto. Egli dovet-te impiegare un blocco di marmo francese. Sappiamo cheordin tre blocchi diversi, e di fatto cominci a lavora-re su tutti e tre simultaneamente, in modo da poter

    rapidamente decidere quale fosse il pi adatto al suo pro-posito. Persino il blocco che infine prescelse era troppofragile per lesecuzione tecnicamente abbagliante cheaveva in mente. Egli desiderava mostrare il sovrano conla sua splendida parrucca regale, che ne circondava ilcapo come unaureola. Lorgoglio professionale esigeva

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    che ne rendesse i riccioli in modo realistico, liberamen-te fluenti. Ma Bernini temeva che il marmo si sarebbespezzato se egli avesse impiegato un cesello per gli inta-gli da sotto. Pertanto, dovette impiegare il trapano in

    misura maggiore che in qualsiasi altra sua opera inmarmo, ed i fori delle punte sono facilmente riconosci-bili ovunque.

    Consentitemi una parola a proposito di questi ed altriattrezzi impiegati dagli scultori. Fra tutti gli attrezzi piimportanti, menzioner specificamente il mazzuolo qua-dro (o boucharde, bocciarda), che ha oggi una testadacciaio coperta di rilievi piramidali; la punta, usata conun mazzuolo per far saltare schegge relativamente gros-

    se di pietra; vari tipi di scalpello: lo scalpello piatto osubbia, lo scalpello ricurvo, lo scalpello dentato o gra-dina; inoltre, il trapano, gi dai Greci usato in dueforme precoci; lime e raspe, impiegate per levigare lasuperficie; ed abrasivi che servivano a polire definitiva-mente, cancellando i segni della raspa.

    Molti tra questi utensili erano noti agli Egizi, e sonostati usati per ben pi di tremila anni; ben pochi altrisono stati aggiunti allantico armamentario. Come abra-sivo, i Greci impiegavano lo smeriglio, che si trova prin-cipalmente nellisola di Nasso e in Asia Minore. Altro-ve, serviva allo scopo la sabbia o la pietra pomice (unaspecie porosa di lava); oggi gli scultori impiegano il car-borundum, o carburo al silicio.

    Non tutti questi utensili sono stati usati contempo-raneamente nella storia. Epoche diverse hanno preferi-to utensili diversi. Ho pochi dubbi circa il fatto che, in

    certa misura, la continuit di uno stile dipenda dal ser-vizio di utensili trasmessi nelle botteghe, da una gene-razione allaltra. Vi sono state epoche in cui gli scultorihanno impiegato principalmente o persino esclusiva-mente processi abrasivi (ho addirittura conosciuto scul-tori moderni che avevano in essi fiducia cieca). In certe

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    epoche si usato pesantemente il trapano, e non c dameravigliarsi che i risultati siano ampiamente diversi.Ma gli utensili principali sono sempre stati, e sono tut-tora, la punta, lo scalpello piatto e quello dentato, non-

    ch il trapano. Tali utensili svolgeranno un ruolo assainotevole in seguito.

    La nostra conoscenza dei metodi di lavoro e delle tra-dizioni nellantichit e nel Medioevo pi ampia diquanto spesso si ritenga. Le rappresentazioni degli uten-sili degli scultori, delle loro botteghe e di loro stessi allo-pera non sono affatto rare: beninteso, questo tipo dimateriale assai pi comune nel Medioevo che in Gre-

    cia e a Roma. Pure, un non piccolo numero di marmiantichi non finiti giunto fino a noi, fornendoci cosunopportunit eccellente di verificare i metodi di lavo-ro in uso nellantichit.

    Nella pittura vasale greca si possono talvolta vederegli utensili degli scultori allopera. Su un vaso greco del500 a. C. circa dipinto un ebanista che impiega il tra-pano ad archetto. Il movimento ripetuto dellarchetto(avanti e indietro) aziona il mandrino su cui fissata lapunta del trapano. Ugualmente interessante un rilie-vo votivo greco che rappresenta una punta e un maz-zuolo. In questo caso la punta viene applicata al bloccoad angolo retto. Ovviamente, questo modo di colpireproduce dentelli pi che solchi. Oggi, la pratica picomune di applicare la punta obliquamente rispettoalla superficie. Tale procedimento viene per solito chia-mato alla scalpellina e determina lunghe scanalature.

    La differenziazione tra queste due modalit di colpire lapunta assai importante. Lo si scoprir immediatamentein una figura greca non finita del vi secolo a. C., trova-ta sullisola di Nasso. La parte frontale, quella posterioree anche ambedue i lati della figura mostrano esatta-mente il medesimo stadio di preparazione: il marmo

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    punteggiato di piccoli fori. evidente che lo scultore haapplicato al blocco la punta ad angolo retto, senza maifar ricorso a un modo diverso di colpire.

    Dobbiamo presumere una fase preparatoria iniziale,

    precedente lo stadio esecutivo che si riscontra nella sta-tua arcaica non finita. In primo luogo, lo scultore dove-va dare una squadratura sommaria al blocco di marmo,riducendolo ad una forma approssimativamente regola-re. Ci fatto, probabilmente disegnava la parte fronta-le, quella posteriore e le due laterali sui piani del bloc-co rettangolare. La cosa intrinsecamente verosimile,poich egli aveva bisogno di linee-guida che gli consen-tissero di interpretare coerentemente la sua figura. Inol-

    tre, da numerosi esempi successivi sappiamo che si sempre ritenuto necessario tracciare profili sul blocco,sempre e dovunque gli artisti abbiano operato diretta-mente sulla pietra.

    Seguendo i profili cos tracciati, lo scultore avevaincominciato il suo lavoro con la punta pesante. In que-sta fase lesecuzione venne abbandonata. Ma laspettodella figura non finita sufficientemente rivelatore daconsentirci di ricostruire lintero procedimento operati-vo. Lo scultore ha messo, per cos dire, le carte in tavo-la. chiaro che non lavorava la pietra in profondit par-tendo da un lato soltanto. Riteneva necessario attacca-re il marmo simultaneamente sulle quattro facce delblocco. Avrebbe continuato nel modo in cui aveva ini-ziato: e, continuando, avrebbe lentamente e paziente-mente rimosso uno strato di marmo dopo laltro tuttin-torno alla figura. Per la fase o le fasi successive, avreb-

    be usato punte sempre pi sottili, e, alla fine, le super-fici grezze sarebbero state levigate mediante processiabrasivi.

    Recentemente uno scultore belga, H.-J. tienne, hapazientemente sperimentato la lavorazione con i meto-di greci. Si fatto fare utensili di bronzo la cui lega pro-

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    babilmente corrisponde a quella nota ai Greci prima del5oo a. C. Si visto che, quando cercava di impiegare ilcolpo obliquo con tali utensili, la punta o lo scalpello slit-tavano sul marmo; era possibile, invece, lavorare con la

    punta posta ad angolo retto rispetto alla superficie. Tut-tavia, luso di tali utensili deve essere stato assai fasti-dioso, poich si smussavano rapidamente in seguito allemartellate e andavano di continuo riaffilati. Intorno al5oo a. C. la situazione mut: si resero disponibili uten-sili di ferro o di acciaio assai pi duri. Essi consentiro-no il colpo obliquo ed altri progressi nelle tecniche dellascultura.

    Comprendiamo ora perch lo scultore della nostra

    statua impiegasse soltanto il colpo ad angolo retto (e, conogni probabilit, non potesse far altro). Il metodo anco-ra grezzo di lavorare il marmo di questo scultore ,ovviamente, immensamente faticoso. Lunga pratica,grande maestria, regolarit e leggerezza nel colpo eranopresupposti vitali del successo. Nondimeno, occorreva-no certi fattori di controllo. Uno era di aderire il pi pos-sibile alla configurazione del blocco: n alle braccia, nalle gambe era concesso rappresentare un libero movi-mento, e la capigliatura, ad esempio, andava attaccatafermamente alla nuca.

    Possiamo ora considerare una figura finita di questotipo. Molte di queste figure di giovani greci arcaici soprav-vivono. Nel gergo archeologico sono dette kouroi. Il mioesempio, il pi antico fra i kouroi finiti in marmo, risa-lente allepoca del nostro esempio non finito, circa il 6ooa. C., si trova al Metropolitan Museum di New York.

    I profili di una simile figura mostrano chiaramente laforma originaria del blocco. Di fronte al pezzo finito cisi sente doppiamente sicuri del fatto che, operando sullaparte frontale, sul retro e sui fianchi, lo scultore derivavasempre i propri rapporti dal primo profilo tracciato sullefacce: fronteggiando ogni lato delle sue figure, pensava

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    in termini di disegnatore. (Lartista, sia detto per inci-so, seguiva ancora il canone proporzionale egizio).

    Ne risulta che la figura finita deve possedere quattrovedute distinte. La verit di tale asserzione pu facil-

    mente verificarsi nel kouros del Metropolitan Museum.I quattro lati di tale figura consistono di quattro piani,che si incontrano ad angoli retti, con la sola smussaturadegli spigoli. Possiamo chiamare multi-facciale, opluri-facciale, questa figura, come pure molte altreapprontate nella medesima maniera (sempre simili allafigura non finita proveniente da Nasso): in quanto essepossiedono quattro facce chiaramente separate, o meglioseparabili, e di conseguenza offrono allosservatore quat-

    tro vedute diverse.Una simile figura , ovviamente, ben lontana dal-lessere realistica (se applichiamo questo termine secon-do luso moderno), ma ha una vitalit formidabile; ardedi vita energetica. Di pi, ha una qualit calda e soffi-ce, una superficie quasi vellutata. Ci non deriva sem-plicemente dalla natura del marmo greco, poroso e caldo,ma soprattutto dal processo lavorativo che ho breve-mente descritto. Il numero infinito di striature deter-minate dalla punta, quantunque levigate poi dagli abra-sivi, crea per cos dire vibrazioni sotto la superficieche evocano la sensazione di unepidermide respirante. dovuto alla paziente ed intelligente opera di punta,che intervenuta nella realizzazione di tali figure, ilfatto che se ne percepiscano le formidabili qualit scul-toree pi che lessenziale piattezza di ciascun lato dellafigura stessa.

    Le prime statue greche pi o meno dalla met delvii alla met del v secolo a. C. venivano in larga misu-ra eseguite con opera di punta. Seguo qui lopinione diCarl Bluemel, primo archeologo moderno ad investiga-re con grande sensibilit i metodi greci per la lavo-razione del marmo, quantunque lillustre archeologo

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    John Boardman di Oxford, nella sua recensione allulti-ma edizione del volume di Bluemel, osservi: Sappiamoora che fin dallinizio lo scultore era libero e destro nel-luso dello scalpello piatto, e che non si trattava affatto

    di una questione di punta e di abrasivi. Possiamo vede-re che lo scalpello piatto veniva impiegato per rimuove-re strati di pietra... Tali concezioni sono tratte dallo-pera di unaltra studiosa britannica, Sheila Adam, il cuilibro, assai ricco di dottrina e rigoroso nelle argomenta-zioni (The Technique of Greek Sculpture), costituisce fon-damentalmente una critica a Bluemel. Pur tuttavia, per-sonalmente, mi sento tuttora convinto del fatto che, conqualche correzione di secondaria importanza, le osser-

    vazioni di Bluemel sono fondamentalmente esatte.Inoltre non pu esservi dubbio, in ogni caso, che ilmarmo non finito di Nasso, nonch numerose statue dikouroi, venissero eseguiti a punta. Un dettaglio dellatesta del kouros del Metropolitan Museum potr dareunidea pi chiara delle possibilit e dei limiti che talestrumento comportava. La capigliatura andava comple-tamente stilizzata: stata rappresentata a mo di grap-poli di protuberanze simili a nodi. Questi ricciolettisono pressoch tutto ci che possibile fare a punta. Unesame attento rivela che ogni nodulo separato daglialtri da un piccolo foro fatto a punta, e lestremit, sfac-cettata, dello strumento visibile ovunque. chiaro chetale utensile non consente lintaglio da sotto, n capel-li che fluttuino liberamente. La capigliatura stilizzatache vediamo non ha, tuttavia, nulla di meccanico. Ognipiccola protuberanza possiede, per cos dire, una sua

    propria individualit, diversa da quelle vicine, e par-tecipa di un ininterrotto processo creativo.Il kouros pi famoso del tipo che abbiamo ora visto

    il cosiddettoApollo di Tenea, ora a Monaco. Risale adunepoca di poco posteriore a quella del pezzo al Metro-politan Museum, forse intorno al 550 a. C. Se ne con-

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    sidera qui soltanto la parte superiore, ben conservata esplendidamente modellata, con una testa di concentra-ta energia (malgrado lo stereotipo sorriso arcaico) ed unostile di capigliatura che diverso da quello che abbiamo

    studiato.La statua femminile proveniente da Mileto in AsiaMinore databile allepoca dellApollo di Tenea, vale adire a circa il 550 a. C. Queste controparti femminili deikouros sono dette korai. Tratto di questo particolareesempio per una ragione specifica: esisteva una tradi-zione arcaica in base alla quale le figure femminili vesti-te venivano talvolta scolpite da un blocco cilindrico,anzich rettangolare. Malgrado ci, la figura non com-

    porta un numero infinito di punti di vista. Le vedutelaterali mostrano che qui il problema era simile a quel-lo delle figure maschili che abbiamo esaminate: la figu-ra presenta soltanto quattro vedute chiaramente defini-te. La statua rivela pure che, una volta terminato illavoro di punta, lo scultore impiegava altri utensili perle lunghe scanalature della veste. Una ulteriore infor-mazione ci viene da un altro pezzo, ancora della mede-sima epoca: la cosiddetta Stele di Aristione, della fine delvi secolo. Questa famosa pietra tombale reca il nomedelluomo in memoria del quale stata realizzata. Sitratta pure di uno dei rari casi in cui lartista ha appo-sto la propria firma, Aristocle. Il defunto visto in attodi camminare; porta la barba, in elmetto e corazza, ereca una lancia nella mano sinistra. Il bassorilievo stato analizzato accuratamente da Sheila Adam, che hadifferenziato in modo convincente un certo numero di

    strumenti che lartista ha impiegato. Ad esempio, le pie-ghe ricurve del gonnellino sotto la mano destra sonostate intagliate con uno scalpello piatto a lama larga(come quello dei tagliapietre). Le scanalature smussateche indicano i muscoli attorno al ginocchio venneroforse scolpite con uno scalpello a lama ricurva. Per la

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    narice e lorecchio stato impiegato il trapano. Cos,avvicinandosi allanno 500 a. C., la situazione cominciaa mutare. Quando questa stele venne ritrovata, recavaancora molte tracce di colore. Ci apre il problema della

    policromia, sul quale mi propongo di tornare pi innan-zi. Posso, per, far menzione della testa dellinizio delv secolo (490-480) al Museo dellAcropoli ad Atene,che va sotto il nome di Fanciullo biondo a causa del colo-re dei capelli. In questo caso la tintura delle pupille ancora abbastanza ben conservata, e non vi motivo didubitare che tutte le opere greche venissero ravvivate intal modo. La testa segna pure un passo avanti rispettoal formalismo arcaico, nella direzione della libert e del-

    lumanit dello stile classico della met del v secolo.Vale la pena di considerare lacconciatura alla moda deicapelli di questo giovane. La punta non pu aver qui gio-cato che un ruolo minore; gran parte dei capelli, con ilunghi solchi ondeggianti, stata probabilmente realiz-zata con lo scalpello piatto. Siamo qui testimoni delle-spansione delle possibilit tecniche.

    Intorno alla met del v secolo, la punta aveva cessa-to di costituire lutensile principale degli scultori greci.Si erano imposti ormai lo scalpello piatto, quello denta-to e il trapano. Quantunque si ritrovino lavori di tra-pano fin dai primordi della scultura greca, le potenzia-lit di questo strumento vennero pienamente sfruttatesoltanto in epoca assai pi tarda. Non ancora statascritta la storia delluso del trapano nella scultura euro-pea, quantunque debba essere affascinante. Quando siscoperse che il trapano consentiva non soltanto di pene-

    trare profondamente nel marmo o nella pietra, ma anchedi scavare da sotto il materiale duro in maniera estre-mamente ardita, e di produrre effetti tanto realisticiche pittoreschi, esso divenne un grande punto fermonelle epoche realistiche della storia dellarte, come nel-larte ellenistica e in gran parte di quella romana, e pi

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    tardi nellarte del xvii secolo. Persino nel periodo inter-corrente tra la caduta di Roma e il sorgere dellarte rina-scimentale, il trapano non venne mai del tutto abban-donato.

    Consentitemi di valicare per un istante le barrierecronologiche, e di parlare di un piccolo rilievo in alaba-stro del grande scultore toscano Tino da Camaino. Essorappresenta la Vergine e il Bambino in trono con laregina Sancia (seconda moglie di Roberto il Savio dAn-gi, re di Napoli) in ginocchio, raccomandata alla Ver-gine da santa Chiara; a destra san Francesco. Questopiccolo rilievo, che risale al 1330 circa, contiene alcuniinterventi assai sagaci ed interessanti praticati col tra-

    pano. La capigliatura del Bambino Ges ricciuta, e ilcentro di ogni ricciolo presenta un foro di trapano. Miha colpito perch (senza affatto saperlo) Tino faceva quiprecisamente quanto molto tempo prima di lui avevafatto lartista greco del frontone est del tempio di Olim-pia, tra il 468 e il 457 a. C. degno di nota il fatto cheTino impiegasse il trapano anche altrove, ad esempioagli angoli della bocca di tutte le figure, creando cos pic-cole zone dombra sottolineata, ed esaltando in tal modolespressione vivace dei personaggi.

    Ma non sempre il trapano era un toccasana; potevadivenire anche una iattura. Molti scultori moderni loaborrivano, e non lo avrebbero mai toccato. Prima dispiegare gli aspetti negativi di questo utensile, mi siaconsentita qualche parola ancora sullo scalpello piatto esu quello dentato. In una certa misura lo scalpello piat-to sostitu la punta anche nellantichit. Venne impie-

    gato anche dagli scultori romani, e durante lunghi perio-di della successiva storia della scultura.Ritengo significativo che Andrea Pisano, in un rilie-

    vo allegorico del xiv secolo rappresentante La Scultura,sul Campanile del Duomo di Firenze, mostri una statuamentre la si lavora con uno scalpello piatto. Tra laltro,

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    lo scalpello viene tenuto correttamente, e possiamo per-sino riconoscerne il colpo obliquo. Allopposto dellapunta applicata ad angolo retto, ci produce una super-ficie relativamente piana. Perch lo scalpello piatto,

    applicato obliquamente, venne tanto usato? Lopera ascalpello piatto assai pi rapida di quella a punta. Conun solo colpo possibile rimuovere una quantit moltomaggiore di marmo di quanto si possa fare con un colpodi punta. Inoltre, lutensile pi sicuro della punta, e(forse) richiede minore abilit. Con lo scalpello piatto loscultore acquista una grande agevolezza nellesecuzionea spese del vigore e forse persino della qualit.

    Lo scalpello dentato, o gradina, probabilmente lu-

    tensile pi versatile dello scultore. I denti possono varia-re per dimensione e numero; possono essere appuntiti opiatti. Di conseguenza, si pu operare con questo uten-sile come con una punta multipla, o come con uno scal-pello piatto dotato di un certo numero di piccoli spigo-li. Spesso gli scultori hanno impiegato lo scalpello den-tato in concomitanza con quello piatto. Dopo lopera dipunta iniziale, molti preparavano le proprie figure conlo scalpello piatto, relativamente rapido e sicuro, e appli-cavano poi quello dentato per le sottigliezze del model-lato. I denti dello scalpello producono, ovviamente, sol-chi paralleli sulla superficie, che possono facilmentescorgersi, prima dellapplicazione degli abrasivi.

    C stato un unico scultore nella storia dellarte total-mente dedito allo scalpello dentato o gradina, ed statoMichelangelo. Avremo ampia occasione di esplorare inqual modo la sua tecnica o piuttosto le sue idee, che

    la tecnica esprimeva conducessero a risultati differen-ti rispetto allantichit greca e romana.Desidero, infine, introdurre un problema che incon-

    treremo di continuo, e precisamente quello del trasferi-mento di un disegno, o di un modello, sul marmo. Finoa questo punto ci siamo occupati dellintaglio diretto,

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    soprattutto durante lepoca arcaica: lintaglio non pre-ceduto da studi su carta e senza i modelli preparatori chegli scultori hanno elaborato in numerose epoche dellastoria dellarte. Le fasi preparatorie devono essere state

    prese in considerazione, in Grecia, in epoca relativa-mente precoce, ed in ogni caso durante il v secolo a. C.Per gli ampi programmi plastici dei templi greci delle-poca classica, come Olimpia ed il Partenone, si deve pre-sumere la progettazione accurata da parte di una mentedirettiva, che dirigeva poi lesecuzione coordinata, cura-ta da numerosi aiuti. Possiamo presumere che moltopotesse farsi a viva voce e per supervisione diretta ecostante. Ma dubito che ci fosse sufficiente. Dobbia-

    mo presumere che anche in quel periodo si facesseromodelli di creta e di terracotta; anzitutto per chiarire ilprogetto generale, e in secondo luogo come guida per gliaiuti che li eseguivano. Tale metodo devessere statoimpiegato per qualche tempo, prima che si compisserotentativi volti ad assicurare il fedele trasferimento dalmodello al marmo.

    Quando, nel i secolo d. C., Plinio scrive la sua Storianaturale (il libro che contiene gran parte delle notizie chepossediamo sugli artisti greci), ci presenta una tripliceripartizione dellarte plastica, detta nellantichit fuso-ria,plastica esculptura. Lartefusoria larte di fonderei metalli; larteplastica quella di operare in creta o incera; e lasculptura larte di operare in pietra. Tale divi-sione aveva probabilmente un lungo passato, e mostrain ogni caso che coloro che modellavano materiali mor-bidi avevano assunto importanza considerevole. Una

    precedente generazione di archeologi ha ritenuto cheuna tecnica meccanica per trasferire il disegno delmodello al marmo non venisse elaborata prima del isecolo a. C. da parte di Prassitele; ma oggi si ritiene chei Greci abbiano sviluppato questo metodo assai prima.Chiamato di solito metodo del pantografo, esso consi-

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    steva nel fissare con la massima precisione punti paral-leli sul modello e sul blocco di marmo. Durante lanti-chit la macchina a pantografo sarebbe stata simile,quantunque, ovviamente, assai pi semplice. Tale tec-

    nica ci riconduce al trapano. Soltanto mediante il tra-pano si potevano fissare sul blocco di marmo i punti giu-sti alla giusta profondit.

    Nel tardo-antico tale metodo veniva impiegato inmodo estremamente discreto, principalmente per fissa-re pochi punti essenziali sulla superficie del marmo,come si pu vedere su due piccoli marmi, ambedueromani e ambedue non finiti: un giovane e un gruppocon Dioniso e satiro. La statua del giovane presenta un

    certo numero di buchi per il pantografo nella zona dellostomaco. Il gruppo di Dioniso e satiro presenta sullasuperficie alcuni noduli in rilievo, per il riscontro. Talegruppo pure interessante per i vari segni di utensili chepresenta: possono facilmente discernersi quelli dellapunta, dello scalpello piatto e della gradina o scalpellodentato.

    Il problema meccanico di trasferire dal modello almarmo non cess mai di preoccupare la mente degli scul-tori, e lo reincontreremo senza posa. Non fu, peraltro,prima del xix secolo che il problema assunse proporzio-ni gigantesche, come vedremo. Fu allora che labuso deltrapano raggiunse il culmine. La ripresa della scultura nelxx secolo stata strettamente legata al disprezzo per iltrapano, e per qualsiasi metodo meccanico di trasferi-mento, e segna un ritorno allintaglio diretto.

    Nei capitoli seguenti, alcuni o la maggior parte dei

    temi qui sfiorati verranno ripresi e, spero, ulteriormen-te chiariti. Infine (mi avventuro a predirlo) troveremoche i problemi sui quali gli scultori meditano e intornoai quali ruotano i loro sogni sono relativamente pochi,e che sono ben poco mutati nel lungo corso della storiadelluomo occidentale.

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