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Toracica Medicina Organo ufficiale della Società Italiana di Medicina Respiratoria anno XXIX · 1 · marzo 2009 Rassegna di fisiopatologia, clinica e riabilitazione cardiorespiratoria Dossier Antibiotico resistenza e suo impatto sulla terapia empirica delle infezioni respiratorie BNP nella diagnosi differenziale della dispnea Crescita invasiva e cancro: inibizione farmacologica dell’oncogene Met nel carcinoma broncogeno non a piccole cellule (NSCLC) Gestione dell’insufficienza respiratoria cronica nella pneumologia territoriale Necrosi emorragica di localizzazioni primitiva e secondarie di Ca broncogeno Aggiornamenti di terapia Aggiornamenti di fisiopatologia

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Toracica

Medi

cina

Organo uffi ciale della Società Italiana di Medicina Respiratoria

anno XXIX · 1 · marzo 2009

Rassegna di fi siopatologia, clinica e riabilitazione cardiorespiratoria

DossierAntibiotico resistenza e suo impatto sulla terapia empirica delle infezioni respiratorie

BNP nella diagnosi differenziale della dispnea

Crescita invasiva e cancro: inibizione farmacologica dell’oncogene Met nel carcinoma broncogeno non a piccole cellule (NSCLC)

Gestione dell’insuffi cienza respiratoria cronica nella pneumologia territoriale

Necrosi emorragica di localizzazioni primitiva e secondarie di Ca broncogeno

Aggiornamenti di terapia Aggiornamenti di fi siopatologia

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Organo ufficiale della Società Italianadi Medicina Respiratoria (SIMeR)

ToracicaM

edici

naanno XXIX · 1 · marzo 2009

Consiglio Direttivo SIMeR

PresidenteV. Brusasco (Genova)

Presidente ElettoS. Centanni (Milano)

Past PresidentC. Saltini (Roma)

Presidenti OnorariL. Allegra (Milano)

G.W. Canonica (Genova)C. Grassi (Milano)

E. Pozzi (Pavia)

Vice PresidentiG.U. Di Maria (Catania)

G. Viegi (Pisa)

Segretario GeneraleG. D’Amato (Napoli)

TesoriereC. Mereu (Pietra Ligure GE)

ConsiglieriL. Carratù (Napoli)N. Crimi (Catania)

E.E. Guffanti (Casatenovo LC)R. Pellegrino (Cuneo)

G. Viegi (Pisa)

Il Consiglio Direttivo della Società Italiana di Medicina Respiratoria ringrazia i Sostenitori S.I.Me.R. che hanno aderito al Progetto di sviluppo culturale

della Società:A. Menarini • AstraZeneca • Boehringer Ingelheim & Pfizer Italia

GlaxoSmithKline • Merck Sharp & Dohme • NycomedChiesi Farmaceutici

Presidenti dei Gruppi di Studio

Allergologia ed ImmunologiaG. Liccardi (Napoli)Biologia CellulareP. Rottoli (Siena)Pneumologia Interventistica e Chirurgia ToracicaL. Corbetta (Firenze)ClinicaA. Palla (Pisa)EpidemiologiaR. Pistelli (Roma)Fisiopatologia RespiratoriaG.U. Di Maria (Catania)Infezioni e TubercolosiL. Richeldi (Modena)Medicina Respiratoria del SonnoO. Resta (Bari)Miglioramento Continuo della Qualità in PneumologiaS. Tognella (Bussolengo VR)Patologia Respiratoria in età avanzataN. Scichilone (Palermo)OncologiaM. Caputi (Napoli)Pneumologia TerritorialeF. Blasi (Milano)

Componenti Aggiunti per incarichi specialiC. Albera (Torino)F. Braido (Genova)G.W. Canonica (Genova)M. Cazzola (Napoli)G. Girbino (Messina)A. Sanduzzi Zamparelli (Napoli)

Collegio dei ProbiviriR. Dal Negro (Bussolengo VR)G. Gialdroni Grassi (Milano)S.A. Marsico (Napoli)

Revisori dei ContiR. Corsico (Pavia)C. Romagnoli (Pavia)S. Valente (Roma)

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Edizioni Internazionali srlDivisione EDIMES Edizioni Medico-Scientifiche - Pavia

Via Riviera 39 - 27100 PaviaTel. 0382 526253Fax 0382 423120e-mail: [email protected]

Registrazione Trib. di Milano n. 729del 18/10/2004Variazione in corso

■■ DOSSIER Antibiotico resistenza e suo impatto sulla terapia empirica delle infezioni respiratorie 3 E. Pozzi

■■ AGGIORNAMENTI DI TERAPIA Gestione dell’insufficienza respiratoria cronica nella pneumologia territoriale. Nostra esperienza in una ASL Umbra 20 S. Rossi, R. Tazza, M. Petrini

Crescita invasiva e cancro: inibizione farmacologica dell’oncogene Met nel carcinoma broncogeno non a piccole cellule (NSCLC) 28 G. Stella, E. Pozzi

■■ AGGIORNAMENTI DI FISIOPATOLOGIA BNP nella diagnosi differenziale della dispnea 36 F. Mariani

Necrosi emorragica di localizzazioni primitiva e secondarie di Ca broncogeno 40 G. Stella, C. Catanese, E. Pozzi

■■ TESI DI LAUREA Proteinosi alveolare polmonare 47 F. Mariani

ToracicaM

edici

na Organo ufficiale della Società Italianadi Medicina Respiratoria (SIMeR)

anno XXIX · 1 · marzo 2009

SOMMARIO

Rivista fondata da Carlo Grassi

l

Direttore ScientificoE. Pozzi (Pavia)

Comitato di RedazioneL. Carozzi (Pisa)F. Dente (Pisa)M. Gjomarkaj (Palermo)G. Lobefalo (Napoli)S. Nava (Pavia)G. Pelaia (Catanzaro)

Segreteria di RedazioneA.G. Corsico (Pavia)M. Luisetti (Pavia)Tel. 0382 501029Fax 0382 503425e-mail: [email protected]

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Antibiotico resistenza e suo impatto sulla

terapia empirica delle infezioni respiratorie

ernesto Pozzi

Clinica di Malattie dell’Apparato Respiratorio dell’UniversitàFondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia

Nel marzo 1942 una donna di 33 anni rico-verata nell’Ospedale di New Haven (Con-necticut) per sepsi streptococcica riuscì a superare l’infezione grazie all’intervento dei curanti che riuscirono a procurarsi una nuova sostanza ad azione antibatterica de-nominata Penicillina. Pochi anni dopo, intervistato dal New York Times, Fleming stesso, scopritore dell’antibiotico, avanzava l’ipotesi che fos-se ineluttabile il verificarsi dello sviluppo di resistenza dei patogeni nei riguardi del-la nuova molecola, quale naturale risposta alla pressione selettiva esercitata dalla chemioterapia antimicrobica. L’introduzione di nuovi farmaci antimicro-bici nel corso dei decenni successivi ha difatti invariabilmente dato luogo all’appa-rire di ceppi resistenti tra le specie batte-riche naturalmente suscettibili agli stessi (Figura 1). All’emergere ed all’estendersi delle resistenze non è purtroppo conse-

guita, negli ultimi anni, l’individuazione di nuovi chemioterapici. A complicare ulteriormente la situazione si è dovuto constatare l’estendersi nel me-desimo ceppo, di contemporanea resisten-za a più classi di farmaci antibatterici; tali ceppi, di conseguenza, sono definiti multi-resistenti (MDR).La Tabella 1 mostra i criteri che vengono generalmente utilizzati per definire i ceppi MDR, sottolineando peraltro il fatto che vi è accordo generale per quanto attiene i mi-cobatteri, mentre esiste un certo grado di confusione relativamente ai batteri (1). A favorire l’emergere del fenomeno della resistenza ha certamente contribuito l’im-piego sempre più esteso degli agenti an-timicrobici ad ampio spettro, che rappre-sentavano il 24% di tutti gli antibiotici usati negli anni ’91-’92 ma almeno il 48% di quelli impiegati nel biennio ’98-’99. A ciò aggiungasi l’improprio impiego degli

ABSTRACT

Impact of microbial resistance on the empirical antibiotic therapy of respiratory infections

The emergence of microbial resistance is the natural consequence of the extended use of antibacterial drugs. The are different ways in which resistance is established between the susceptible bacteria, and the resistance can be transmitted from a bacterial strain to another in different modalities. During the last years new bacterial strains developed simultaneously resistance to different classes of antibiotics, so-called multidrug resistant strains (MDR), usually the prerogative of hospital infections and in par-ticular the intensive care unit. All this implies the possibility of an inappropriate empirical therapy, with negative patient’s consequences and increase society costs. Reminding the different antibiotics’ feats and the molecular mechanisms by which resistance occurs and is transmitted, in this paper are mentioned MDR respiratory pathogens, infectious situations to suspect the involvement and the crite-ria to be followed for the empirical antibiotic therapy.

Key words: pneantimicrobial resistance, respiratory infections, empirical therapy.

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antimicrobici per trattare infezioni di natu-ra virale ed il loro abuso in ambiente vete-rinario per favorire la rapida crescita degli animali d’allevamento; fra le classi mag-giormente coinvolte a quest’ultimo propo-sito si riportano alcuni glicopeptidi (avo-parcin), streptogramine (virginiamicina) e macrolidi (tilosina e spiramicina) (2). In una popolazione batterica il livello di antibiotico resistenza viene formulata in funzione della concentrazione minima ini-bente (MIC) del farmaco stabilita in vitro;

peraltro l’impatto clinico della resisten-za dipende anche dalla farmacodinamica della molecola e dalla sua capacità di rag-giungere nel focolaio infettivo appropriate concentrazioni.

Geni e resistenza

I ceppi batterici possiedono geni che co-dificano per proteine o RNA ribosomico capaci di evadere l’azione degli antibio-tici. L’antibiotico resistenza può essere intrinseca o acquisita; quella intrinseca si associa a geni cromosomici caratteristici dell’organismo. Un esempio è quello di tut-ti gli streptococchi che risultano intrinse-camente resistenti agli aminoglicosidi così come quello di tutti i bacilli Gram-negativi che risultano intrinsecamente resistenti alla vancomicina. L’antibiotico resistenza acquisita coinvolge invece una modifica della composizione ge-netica del battere, che si verifica o per una mutazione nel DNA cromosomico o per l’acquisizione di nuovo materiale genetico.La mutazione nel DNA batterico è piutto-

Figura 1 emergenza di patogeni antibiotico-resistenti.

tabella 1 definizione di ceppi batterici multi resistenti.

BatteriMultidrug resistant (Mdr): resistenti ad almeno 2 classi di antibattericiextensive drug resistant (Xdr): resistenti a tutte le classi tranne 1 o 2 Pandrug resistant: (Pdr) resistenti a tutte le classi

MicobatteriMultidrug resistant (Mdr): resistenti a iNH e rAMP extended drug resistant (Xdr): resistente ad iNH, rAMP, qualsivoglia fluorochinolone ed almeno uno dei farmaci di 2ª linea iniettabili

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Antibiotico resistenza e suo impatto sulla terapia empirica delle infezioni respiratorie

sto rara, essendo stimata la sua frequenza in termini di 1 evento su 107 batteri, si rea-lizza in corso di chemioterapia e comporta lo sviluppo di resistenza in un organismo inizialmente suscettibile. La resistenza per mutazione cromosomica non è trasferibi-le ad altri organismi, come dimostrato ad esempio per la resistenza all’isoniazide del Mycobacterium tuberculosis.Lo sviluppo di resistenza da acquisizione di nuovo materiale genetico si realizza in-vece col trasferimento di segmenti di DNA da plasmidi, da trasposoni o da integroni di batteri differenti. I plasmidi sono molecole di DNA extracro-mosomico che si replicano indipendente-mente dai cromosomi batterici, possono trasportare geni che inducono resistenza agli antibiotici così come geni che favori-scono la sopravvivenza e la virulenza bat-terica.I trasposoni sono sequenze di DNA più pic-cole di quelle dei plasmidi, mentre gli inte-groni sono elementi genetici mobili conte-nenti numerosi cluster di geni che spesso includono determinanti multiresistenti agli antibiotici. Questi elementi genetici mobili possono essere trasferiti da un organismo all’altro anche fra specie batteriche diffe-renti.

MeccanisMi di resistenza aGli antiBiotici

Ciascuna classe di antibiotici esercita la sua azione interagendo con target batterici specifici, oppure inibendo la sintesi della parete batterica, la sintesi proteica o la re-plicazione degli acidi nucleici (Figura 2). Quando si realizza la resistenza intrinseca o quella acquisita, i determinanti genetici della resistenza codificano per meccanismi biochimici specifici, capaci o di inattivare enzimaticamente i farmaci o di alterare la struttura del siti target dell’antibiotico o di impedirne l’accesso o comunque l’adegua-ta concentrazione del farmaco antimicro-bico nel sito attivo (Tabella 2) (3). L’inattivazione enzimatica dei farmaci è esemplificata dalle β-lattamasi, capaci di

idrolizzare l’anello β-lattamico di penicilli-ne, cefalosporine e carbapenemici. Molte sono le β-lattamasi individuate, alcune co-dificate da geni cromosomici, altre localiz-zate in plasmidi o trasposoni. Le β-lattamasi sono responsabili della pe-nicillino-resistenza dello Staphylococcus aureus, dell’ampicillino-resistenza dell’ Haemophylus influenzae e della “Exten-det spectrum resistance” alle cefalospori-ne di E. coli e degli Enterobatteri (Tabella 2); in aggiunta queste ultime associano cross resistenza spesso con altre classi di antibiotici come i fluorochinoloni, il trimetoprim-sulfametossazolo e gli amino-glicosidi.Le carbapenemasi, dette anche β-lattamasi ad ampio spettro, sono in grado di indurre resistenza ad imipenem e meropenen di Pseudomonas aeruginosa e di altri bacilli Gram negativi. Un importante gruppo di carbapenemasi è quella della Klebsiella pneumonie (KPC), famiglia di enzimi in grado di inattivare non solo tutti i β-lattamici, compresi i carba-penemici, ma anche di indurre resistenza verso altre classi di antimicrobici e quindi di indurre la multiresistenza (Tabella 3). Alcuni antibiotici agiscono invece legan-dosi ad uno specifico target batterico; è il caso dei β-lattamici che sfruttano il legame con strutture proteiche della parete batte-rica chiamate Penicillin-Binding-Proteins (PBP); modificandosi queste sotto la pres-sione antibiotica, viene impedito all’anti-biotico di legarle e quindi di agire.La meticillino-resistenza dello Staphylo-coccus aureus (MRSA) ad esempio si rea-lizza per la codifica di una alterata PBP2A ad opera di un elemento genetico definito “Staphylococcal cassette cromosone mec” (SCCmec); ne consegue l’mpossibilità dell’aggancio con i β-lattamici e quindi la resistenza anche a cefalosporine e carba-penemici. Questo meccanismo rende ragione anche della penicillino resistenza dello Strepto-coccus pneumoniae. Un ulteriore sito target è rappresentato da proteine denominate DNA girasi (co-dificate da gyrA e gyrB) e topoisomerasi (codificate da parC e parE), essenziali per

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la replicazione del DNA batterico ed og-getto di blocco ad opera dei fluorochino-loni. Mutazioni multiple nel gene di gyrA o parC indotte dalla pressione antibiotica possono indurre resistenza nei confronti di questa classe di farmaci.Un altro meccanismo di resistenza è lega-to all’impossibilità dell’antibiotico di rag-giungere concentrazioni ottimali nel sito target, in conseguenza di modifiche della permeabilità della parete batterica o di presenza nella cellula batterica di pompe di efflusso.È noto che la cell wall dei batteri Gram-negativi è costituita dal sovrapporsi di una membrana interna ed una esterna, che agi-scono come barriera impermeabile; per consentire il movimento verso il citopla-sma di molecole attraverso la membrana esterna, la cellula batterica produce delle

proteine di membrana, dette porine, attra-verso le quali passano anche gli antibiotici. Mutazioni che provocano variazione nella struttura delle proteine della membrana esterna impediscono l’accesso degli agenti antimicrobici nel sito attivo, come si rea-lizza nei ceppi Pseudomonas aeruginosa e di altri agenti Gram-negativi divenuti resi-stenti ai β-lattamici ed agli aminoglicosidi.Alcuni microrganismi hanno invece svilup-pato la capacità di espellere dal citoplasma gli antibiotici con l’intervento di pompe di efflusso, che sono state individuate sia in organismi Gram-positivi che Gram-negati-vi; è questo il meccanismo che si realizza nello sviluppo di resistenza nei riguardi di tetracicline, macrolidi, clindamicina, fluo-rochinoloni ed aminoglicosidi. Essendo in grado di espellere contempo-raneamente molte classi differenti di an-

Figura 2 sito d’azione degli antibatterici e meccanismi di resistenza.

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Antibiotico resistenza e suo impatto sulla terapia empirica delle infezioni respiratorie

eMerGenza e diFFusione di orGanisMi antiBiotico resistenti

L’isolamento di ceppi batterici MDR si av-vera con particolare frequenza in ambienti ospedalieri, dove il loro diffondersi conse-gue o al ricovero di soggetti infettati o co-lonizzati da batteri resistenti o dall’emer-gere di ceppi resistenti a seguito della pressione selettiva esercitata dalla terapia attuata. L’esposizione all’antibiotico può distruggere infatti tutta la popolazione batterica suscettibile e causa dell’infezio-ne, ma non la porzione intrinsecamente resistente o quella divenuta resistente; si seleziona così una popolazione batterica resistente che si moltiplica e diviene do-minante. Ne costituiscono conferma il rapporto tra uso di macrolidi e sviluppo di resistenza agli stessi di Streptococchi di gruppo A (Finlandia 1997) e di S. pneumoniae (USA, 2001), l’impiego di fluorochinoloni e loro perdita di efficacia nei riguardi di pneumo-cocchi (Canada, 1999) e, in unità di tera-pia intensiva, l’affermarsi di resistenza di

tabella 2 Meccanismi di antibiotico resistenza ed esempio di patogeni che hanno acquisito la antibiotico resistenza.

Meccanismo Patogeno resistente antibiotico divenuto inattivo

inattivazione dell’antibatterico

β-lattamasi S. aureusH. influenzae Enterobacteriaceae

PenicillineCefalosporine

inatt. enzimatica di aminoglicosidi

Enterobacteriaceae GentamicinaTobramicina

alterazione sito target

Alterato PBP S. pneumoniaeMeticillino res.S. aureus

PenicillinaMeticilinaCloxacilina

Alterato dNA o topoisomerasi

S. pneumoniae EnterobacteriaceaeP. aeruginosa

CiprofloxacinaLevofloxacinaMoxifloxacina

riduzione accesso sito target

Modifica proteine di membrana o porine

EnterobacteriaceaeP. aeruginosa

GentamicinaTobramicina

Pompe di efflusso S. aureus streptococchi TetraciclineClindamicinaeritromicina

tabella 3 resistenza batterica da inattiva-zione enzimatica degli antibiotici.

Beta-lattamasi

Cromosomica Penicillina res di S. aureus, N. gonorrheaeAmpicillino res di H. influenzaeextended spectrum cefalosporine res di E.coli ed K. pneumoniae

Plasmidica Classe A di E. coli e Klebsiella sp (mutazioni di TeM), Classe C cefalosporinasi di Citrobacter, Enterobacter, Serratia sp

carbapenemasi

Cromosomica imipenem e meropenem res. di P. aeruginosa

Plasmidica Carbapenemasi di K. Pneumoniae

Spesso resistenza ad altre classi come fluorochinolo-ni, TMP/SMX, aminoglicosidi

tibiotici, tali pompe possono indurre resi-stenza sia nei riguardi di una sola classe che simultaneamente di diverse, a caratte-rizzarne la MDR.

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bacilli Gram-negativi alla ciprofloxacina (USA, 2003). A dimostrazione della responsabilità dell’impiego di farmaci ad ampio spettro nel facilitare l’emergere di resistenza si può ricordare il rapporto tra l’uso di cefa-losporine ad ampio spettro e l’acquisizione della vancomicino-resistenza ad opera de-gli enterococcchi e degli organismi produt-tori di “extended spectrum β-lattamasi”.Per quanto attiene la diffusione di organi-smi antibiotico-resistenti da un paziente ad un altro in ospedale sono ritenuti re-sponsabili il personale che non rispetta le più elementari norme igieniche; si realizza cioè una trasmissione clonale di organismi antibiotico-resistenti, documentata per MRSA, enterococchi vancomicino-resi-stenti, C. difficile e bacilli Gram-negativi multi-drugs resistenti (4).

PatoGeni GraM Positivi Mdr

La Tabella 4 ricorda i patogeni Gram-posi-tivi resistenti ed in particolare i multidrug resistenti.

Streptococcus pneumoniae penicillino-resistentiDopo decenni di impiego della penicillina come farmaco di prima scelta nelle infe-zioni sostenute dallo S. pneumoniae, da qualche anno si segnalano, con inciden-za differente tra le diverse nazioni, ceppi penicillino-resistenti. Vengono ritenuti penicillino-suscettibili i ceppi con MIC <0.12 mg/mL, resistenti intermedi (PISP) quelli con MIC compresa tra 0.12 e 1.0 mg/mL, alti resistenti quelli con MIC >2 mg/mL (PRSP). Individuati nel 1967 in Australia, i

ceppi resistenti alla penicillina si sono dif-fusi in tutti i continenti, in particolare Sud Africa, Spagna ed Ungheria, pur con dif-ferente proporzione tra le diverse nazioni (<10% in Africa, >40% in Asia). Nel nostro paese i ceppi penicillino-resistenti raggiun-gono il 12-14% degli isolati, peraltro solo il 3-4% dei quali con MIC da alti resistenti. Non inaspettatamente la resistenza alle due classi risulta minore dove l’impiego degli antibiotici è basso (es. Olanda), mag-giore invece dove l’accesso agli antibiotici è maggiore. La selezione dei ceppi resistenti si realizza per lo più in quelli che colonizzano o in-fettano i bambini, probabilmente perché in questa categoria di soggetti si realizza un più lungo periodo di colonizzazione ed un maggior tempo di contatto con gli antibat-terici. La alta penicillino-resistenza risulta espressa da sette sierotipi: 6A, 6B, 9V, 14, 19A, 19F, 23F (4). I fluorochinoloni rappresentano la sola classe di antibiotici verso la quale la resi-stenza si sviluppa nei soggetti adulti, essen-do il loro impiego riservato infatti a questa categoria di persone. La resistenza ai fluo-rochinoloni risulta dovuta alla mutazione del target primario, la topoisomerasi IV codificata dal parC, e del target seconda-rio, la sub-unità A della DNA-girasi (gyrA); negli anni ’90 sono stati isolati ceppi che esprimono parC e quindi resistenza alla ciprofloxacina, ma ancora sensibili a levo-floxacina, moxifloxacina e plurifloxacina. È stata inoltra dimostrata la selezione di ceppi resistenti ai macrolidi (almeno il 30-40%) e che entro tre mesi dall’impiego del-la azitromicina viene favorito il rischio di sviluppo di infezioni invasive non solo di ceppi eritromicino-resistenti ma anche di MDR. Tale resistenza risulta mediata dal-la mutazione di 23S rRNA (ermB) o della pompa di efflusso (mef). È ormai acquisita inoltre la resistenza del 40% dei ceppi al trimetoprim-sulfametossazolo, dovuta ad una alterata deidrofolato-reduttasi codifi-cata da un mosaico di geni (5).Nei riguardi delle infezioni sostenute da Streptococcus pneumoniae penicillino e cefalosporino resistente, in diversi studi prospettici internazionali è stato dimostra-

tabella 4 Patogeni Gram-positivi Mdr.

comunitari

S. pneumoniae penicillino-resistente macrolide-resistente

nosocomiali

S. aureus meticillino-resistente (MrsA) vancomicino-resistenteEnterococchi glicopeptidi resistenti

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Antibiotico resistenza e suo impatto sulla terapia empirica delle infezioni respiratorie

to che anche l’impiego di agenti antimicro-bici classificati in vitro come inattivi non ha comportato mancanza di azione ed in particolare non ha determinato un incre-mento della mortalità; in ogni caso l’uso aggressivo di vancomicina o di cefalospo-rine di 3° generazione per via endovenosa (ceftriaxone o cefotaxime) ha sempre con-sentito il controllo dell’infezione. È comunque dimostrata l’individuazio-ne di ceppi MDR, intendendosi per tali quelli contemporaneamente resistenti a β-lattamici, macrolidi, tetracicline, co-trimossazolo e rifampicina. Al momento attuale comunque il 98% dei ceppi di S. pneumoniae isolati, compresi i penicilli-no-resistenti, risultano ancora sensibili ai fluorochinoloni, nonostante il loro utilizzo da oltre 20 anni.

Staphylococcus aureus meticillino resistenti (MRSA) e MDRLo S. aureus rappresenta il principale pa-togeno responsabile di infezioni della cute e dei tessuti molli, così come di infezioni ossee e di batteriemie; la polmonite si pre-senta in genere come complicanza di un episodio influenzale. Ceppi resistenti alla penicillina, a seguito della produzione di β-lattamasi, vennero segnalati già nell’immediato periodo se-guente la introduzione in terapia dell’anti-biotico (1941); altrettanto velocemente si è realizzata successivamente (primi anni ’60) la resistenza alle penicilline isossazoliche (meticillina, oxazolina, flucloxazolina), sintetizzate per resistere alle β-lattamasi.Purtroppo la meticillino resistenza si asso-cia alla resistenza crociata nei confronti di tutti gli antibiotici β-lattamici attualmente disponili. Risalgono inoltre agli anni ’50 le prime segnalazioni dell’emergere di ceppi resistenti alla streptomicina, al cloram-fenicolo, alla ossitetraciclina ed infine ai macrolidi. I ceppi meticillino resistenti (MRSA) sono frequentemente responsabili delle infezioni nosocomiali e rappresenta-no attualmente almeno il 50% degli isolati.L’introduzione dello studio dei patterns di macrorestrizione nei primi anni ’90 ha con-sentito di identificare le modalità di tra-smissione e di diffusione nazionale ed in-

ternazionale dei ceppi meticillino-resisten-ti, distinguendo i MRSA ospedalieri (ha) da quelli domiciliari (ca); la disseminazione in-tra ed interospedaliera di haMRSA dipende dal ricovero di soggetti infetti o colonizzati da MRSA e dal suo diffondersi ai contatti, in particolare anziani o portatori di difetti funzionali dei macrofagi quali diabetici ed insufficienti renali, per opera preponderan-te delle mani dello staff medico. I ceppi MRSA ospedalieri presentano spes-so la multi-resistenza dovuta all’acquisi-zione di differenti determinanti genetici e mutazioni.Nel corso degli ultimi anni ceppi MRSA sono stati anche individuati in infezioni domiciliari dei tessuti molli ed anche in alcune polmoniti necrotizzanti; i sogget-ti interessati non presentano storia pre-gressa di infezioni o di colonizzazione da MRSA, di ospedalizzazione, di residenza in reparti di lungodegenza nell’ultimo anno e non risultano portatori di cateteri; molti di questi ceppi contengono i geni lukS-PV, lukF-PV che codificano per la leucocidi-na di Panton-Valentine (PVL), tossina il cui ruolo per altro è ancora discusso ma che aumenta il rischio di trasmissione e di complicanze. La polmonite da MRSA-PVL si presenta in genere con febbre alta (>39°C), emottisi, ipotensione, frequenza respiratoria >40 min, tachicardia (>140 min), infiltrati alve-olari multilobulari, cavitazioni, versamen-to pleurico, leucopenia, PCR elevata, sepsi sistemica. La Tabella 5 riassume le caratteristiche distintive tra le infezioni polmonari da MRSA contratte in comunità verso quel-le ospedaliere; nel primo caso trattasi in genere di soggetti giovani, tossicodipen-denti od omosessuali, residenti in carceri, ospizi o ricoveri, con pregressa sindrome influenzale, la cui polmonite assume l’at-teggiamento necrotizzante. Nel secondo caso trattasi per lo più di soggetti anziani, portatori di comorbilità, con ferite chirur-giche, portatori di cateteri venosi od urina-ri, con storia clinica di colonizzazione da MRSA, in dialisi. Nel 1997 in Giappone per la prima volta venne segnalata in ceppi MRSA la sensi-

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bilità intermedia alla vancomicina (VISA), confermata nel 2004 in diversi territori in-ternazionali. Si ipotizza che ciò avvenga per la trasmissione allo S. aureus del gene codificante vanA di E. faecalis. L’esatto meccanismo con il quale si è affermato tale fenotipo non è stato comunque ancora del tutto chiarito, e si ritiene possa essere legato anche ad un ispessimento della cell wall che intrappola la molecola dell’anti-biotico prima che essa possa raggiungere il sito target citoplasmatico.Nel nostro paese al momento non ci sono segnalazioni di infezioni domiciliari da MRSA glicopeptidi resistenti, isolamenti del tutto rari anche in ambiente nosoco-miale.In riferimento alla sensibilità di MRSA alla vancomicina, si deve tener conto del valo-re della MIC, essendosi dimostrato che esi-ste una correlazione tra questa ed il tempo di eradicazione della batteriemia. Infatti, sebbene il cut-off di sensibilità a vancomicina sia stato fissato in 4 mg/l, è stato dimostrato che i soggetti trattati con vancomicina e con MIC pari a 2 mg/l han-no un rischio di mortalità superiore a quel-lo dei pazienti trattati e con MIC pari a 1,5 mg/l, ma superiore addirittura ai soggetti non trattati con questo antibiotico. Ne consegue che in caso di individuazio-ne di una polmonite sostenuta da un cep-po MRSA, qualora la MIC fosse ≥1 mg/l conviene attuare una alternativa terapeu-tica alla vancomicina, vale a dire il line-

zolid. È stato di conseguenza proposto, in caso di polmonite nosocomiale sospetta da S. aureus, che si attui una terapia em-pirica con la associazione vancomicina + rifampicina in infusione continua, con successivo adeguamento in funzione delle risultanze microbiologiche, vale a dire con ulteriore impiego di vancomicina se MIC <1 mg/l, passaggio al linezolid in caso con-trario (6). Ad evitare peraltro che una polmonite cri-tica non abbia a giovarsi da subito della più efficace terapia antibatterica è necessario conoscere i dati epidemiologici relativi alla MIC nella propria realtà clinica: qua-lora infatti i ceppi di MRSA isolati risultino tolleranti alla vancomicina (MIC >2 mg/L) in proporzione superore al 20-30%, convie-ne partire già in prima battuta con una al-tenativa, ad esempio il linezolid.Linezolid 600 mg i.v. ogni 12 ore + clindami-cina 1,2-1,8 g i.v. ogni 8 ore rappresenta la scelta terapeutica empirica ottimale del’in-fezione da sospetto MRSA; nel sospetto di infezione da MRSA PVL-positiva,in alter-nativa alla clindamicina conviene impiega-re la rifampicina 600 mg i.v. ogni 12 ore.

Enterococchi glicopeptidi resistentiLa vancomicina, pur essendo disponibile nell’uso clinico dalla fine degli anni ’50, ha dato luogo alla selezione di Enterococchi vancomicino-resistenti solo dopo 30 anni di impiego; in particolare risultano resi-stenti meno del 2% degli Enterococcus fa-

tabella 5 Caratteri distintivi tra polmoniti da MrsA acquisite in ospedale (HA) ed a domicilio (CA).

Parametro Ha-Mrsa ca-Mrsa

Paziente tipico Anziano, debilitato e/o malattia cronica

Giovane, sano atleta, militare

sede di infezione VAP Polmoniti necrotizzanti shock settico

trasmissione in ospedale in comunità, trasmissione nei famigliari

storia clinica Positiva per colonizzazione da MrsA, recente ricovero, terapia antibiotica, cateteri

Non significativa

virulenza ceppo diff. comunitaria limitata geni PVL assenti

diffi. comunitaria frequente, geni PVL spesso presenti

sensibilità agli antibiotici Multiresistenti difficile scelta sensibili a più antibiotici

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Antibiotico resistenza e suo impatto sulla terapia empirica delle infezioni respiratorie

ecalis ma oltre il 30% degli Enterococcus faecium, responsabili entrambi di infezio-ni nosocomiali. Il glicopeptide inibisce nei Gram-positivi la sintesi della cell wall batterica, in par-ticolare la sintesi dei peptidoglicani, for-mando una fenditura attorno al gruppo D-ala-D-ala del precursore di-saccaride-pentapeptide. Nei ceppi vancomicino-resistenti l’impossibilità della fenditura è legata alla sostituzione nel C-terminale del residuoD-ala (vanX, vanY) e del rim-piazzo con d-lattato (vanA). Ad esaudire l’elevato bisogno di d-lattato, gli entero-cocci vancomicino-resistenti producono una eccesso di deidrogenasi (vanH), per cui sono conosciuti 5 differenti genotipi di Enterococcus spp vancomicino-resistenti. Il gene vanA si presenta integrato in pla-smidi codificanti per un sistema di uccisio-ne post-segregazionale. Sembra sia stato dimostrato che a favorire la diffusione di E. faecium vancomicino-resistente sia stato l’impiego in veterinaria dell’avoparcin, presente quindi anche ne-gli alimenti derivati, il cui uso è stato per questo inibito dalla Comunità Europea nel corso del 2000.Identificano i ceppi MDR di E. faecium quelli che associano alla vancomicina una resistenza anche all’ampicillina ed ai fluo-rochinoloni (muazione in girA e parC).

PatoGeni GraM neGativi Mdr

La Tabella 6 ricorda i Gram-negativi MDR, categoria generalmente isolata in ambien-te ospedaliero, tipicamente resistenti a penicilline, incluse quelle combinate con inibitori delle β-lattamasi, a cefalosporine, ai fluorochinoloni, al trimetoprin-sulfa-metossazolo ed agli aminoglicosidi. Molti ceppi inoltre risultano resistenti anche ai carbapenemici, lasciando come unico an-tibatterico attivo la colimicina.

Pseudomonas aeruginosa MDRLa P. aeruginosa risulta il bacillo Gram-negativo MDR più frequentemente respon-sabile di infezioni respiratorie, specie nei

soggetti ricoverati in unità di terapia in-tensiva (ICU). Almeno il 10-15% di ceppi isolati in tali ambienti ospedalieri risulta MDR, dei quali il 30% almeno è resistente ai fluorochinoloni, il 15-30% ai carbapene-mici. In Europa i ceppi MDR di P. aerugi-nosa rappresentano almeno il 18%. Il sospetto di una infezione respiratoria da P. aeruginosa MDR deve nascere in presenza di soggetti sottoposti a VAP o neutropenici febbrili o particolarmente critici.La MDR della P. aeruginosa è il risultato della convergenza di multipli meccanismi di resistenza; all’alta resistenza intrinseca agli antibiotici dovuta alla bassa permea-bilità della membrana esterna si aggiunge la produzione di β-lattamasi AmpC, e car-bapenemasi, incluse le metallo-β-lattamasi (MBLs) e le serino carbapenemasi classi A e D, che conferiscono resistenza ai carba-penemici. A ciò aggiungasi la presenza di geni che codificano per pompe di efflusso e di enzi-mi inattivanti gli aminoglicosidi.L’acquisizione di MBLs assume particola-re rilevanza, in quanto non solo comporta resistenza verso tutte le cefalosporine ad ampio spettro ma anche resistenza agli ini-bitori delle serino-β-lattamasi (7).La prima MBL ereditata, l’enzima IMP-1, è stata identificata in Giappone alla fine degli anni ’80 in un ceppo di P. aeruginosa MDR;

tabella 6 Bacilli Gram-neg multiresistenti.

Patogeni % di resistentiP. aeruginosa 39 fluorochinoloni

30 aminoglicosidi32 carbapenemici41 ceftazidime18 multiresistenti

Acinetobacter baumannii

60 ceftazidime e cefepime26 imipenem50 ciprofloxacina38 amikacina30 multiresistenti

EnterobacteriaceaeK. pneumoniae

50 Mdr in iCU27 aminiglicosidi28 fluorochinoloni35 cefalosporine 3ª generazione1,7 carbapenemici

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successivamente altri 5 tipi di enzimi (VIM, SPM, GIM, SIM e AIM) sono stati indivi-duati in varie nazioni, evidenziando feno-tipi MDR responsabili di infezioni ospeda-liere. Tipi IMP e VIM di MBLs interessano diverse specie di enterobacteriacee; L’Italia è stata la seconda nazione, dopo il Giappo-ne, in cui è stato segnalato l’isolamento di ceppi produttori di MBLs, con una frequen-za stimata in circa l’1,8% dei ceppi isolati, responsabili tra l’altro della diffusione di conseguenti infezioni (8). Nell’area mediterranea i ceppi carbape-nemico-resistenti di P. aeruginosa sono ormai diventati endemici e quelli MDR, resistenti cioè a piperacillina, ceftazidime, imipenem e gentamicina raggiungono or-mai il 5%, per raggiungere il 13% dei ceppi isolati nelle ICU.Ne consegue che il solo antibatterico di-sponibile contro i ceppi MDR risulta la co-limicina. Responsabile dell’emergere della multi-resistenza è senza dubbio l’impiego prolungato di farmaci anti-pseudomonas, quali il cefotaxim, l’imipenem, la pipera-cillina/tazobactam; per prevenire tali con-seguenze si consiglia quindi di trattare le infezioni da P. aeruginosa con l’associa-zione di almeno due farmaci attivi, anche se la risposta alla terapia di associazione non sembra esitare in migliori risultati.

EnterobacteriaceaeTra le Enterobacteriaceae, sono ritenu-te responsabili delle infezioni polmona-ri in ICU e delle polmoniti nosocomiali nell’ordine l’E. coli, l’Enterobacter spp, la K. pneumoniae e la Serratia spp, i cui ceppi resistenti ai carbapenemici risulta-no responsabili, sicuramente del ritardo nella attuazione di una corretta terapia, di un maggior periodo di ospedalizzazione e di conseguenti maggiori costi; quanto alla mortalità, mentre viene ritenuta molto alta da alcuni Autori, studi controllati non la ritengono diversa rispetto alle infezioni sostenute da ceppi non carbapenemico-resistenti. La mortalità nelle infezioni sostenute da microrganismi della famiglia delle Entero-bacteriaceae produttori di MBLs si stima attorno al 20% dei casi, per raggiungere an-

che il 60% nei soggetti con una precedente esposizione ai carbapenemici (9). Il meccanismo di resistenza è legato alla produzione di AmpC β-lattamasi e di ESBLs. Il fenotipo XDR delle Enterobaac-teriaceae è rappresenato dala resistenza ai carbapenemici, mediata da MBLs di tipo VIM e IMP. Il più alto livello di resistenza ai carbapenemici è raggiunto dalla K pneu-moniae, la cui frequenza può variare tra il 12.5% nelle guardie mediche fino a quasi il 50% nelle ICU. La resistenza alla colistina risulta invece mediata dal cambiamento dei lipopolisac-caridi a carica negativa indotti dai loci re-golatori pmrA e phoP.Il fattore di rischio per la selezione di di K.pneumoniae carbapenemico-resistenti sembra individuato nell’impiego di fluoro-chinoloni e di penicilline anti-pseudomo-nas.La colistino-resistenza consegue invece all’mpiego dell’antibiotico, specie in am-biente ospedaliero intensivista.Anche in ambiente pediatrico, in partico-lare nelle unità di terapia intensiva, l’esito delle infezioni sostenute da bacilli Gram-negativi produttori di ESBLs ricalca quello dei soggetti adulti.

Acinetobacter baumannii MDRIl genere Acinetobacter viene classificato nella famiglia delle Moraxellaceae e com-prende coccobacilli Gram-negativi, aerobi stretti, non mobili, catalasi-positivi, ossi-dasi-negativi.Se ne classificano oltre 30 specie diverse, di cui la 2, la 3 e la 13 patogene per l’uomo; si tratta di speci geneticamente correlate e stante la difficoltà di differenziarle vengo-no raggruppate nel termine di A. bauman-nii.Si tratta di batteri estremamente diffusi nel suolo e negli alimenti, compresi i vege-tali, la carne ed i pesci; non raramente essi colonizzano per brevi periodi l’epidermide di soggetti normali, più raramente la lin-gua, le narici, il tratto intestinale; la colo-nizzazione di epiteli umani è resa possibile dall’adesione alle cellule epiteliali median-te fimbrie o catene di polisaccaridi. È inol-tre dimostrata la loro capacità di aderire a

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Antibiotico resistenza e suo impatto sulla terapia empirica delle infezioni respiratorie

superfici di plastica o di vetro e dar luogo a biofilm su cateteri venosi.Le infezioni da A. baumannii interessano invece tipicamente gli ambienti ospedalie-ri, in particolare le unità di terapia intensi-va, in forma di polmoniti, batteriemie, infe-zioni di ferite chirurgiche, di tessuti molli, del tratto urinario. I soggetti colpiti risultano caratteristica-mente gli anziani, i portatori di comorbi-lità importanti, i soggetti immunodepressi, i grandi ustionati od i politraumatizzati, i soggetti sottoposti a procedure invasive, i portatori di cateteri, i soggetti ventilati meccanicamente, quelli a lungo ospeda-lizzati e precedentemente trattati con an-tibiotici (10).La più frequente complicanza infettiva è rappresentata dalle polmoniti, sempre a decorso molto impegnativo, talora anche acquisite a domicilio, in soggetti affetti da BPCO, insufficienza renale, diabete melli-to, forti fumatori e bevitori.L’aumento di recente registrato di infezio-ni polmonari sostenute dall’Acinetobacter viene messo in relazione all’aumento dei soggetti suscettibili in conseguenza del progredire della sopravvivenza di soggetti critici.Tale batterio rappresenta il paradigma dei ceppi MDR e la resistenza viene messa in relazione alla sua abilità di sopravvivere negli ambienti, di accumulare meccani-smi di resistenza tramite acquisizione di plasmidi, transposoni ed integroni che associano alla sua resistenza intrinseca la scarsa permeabilità della membrana esterna, la espressione costitutiva di pom-pe di efflusso e la produzione di metallo β-lattamasi (classe B) e di carbapenemasi (OXA-23- like, OXA-24-like, OXA-58-like β-lattamasi classe D) (1).Studi caso-controllo hanno messo in re-lazione l’emergere della multiresistenza all’impiego dei carbapenemici e delle ce-falosporine di 3a generazione, seguiti dai fluorochinoloni, dagli aminoglicosidi e dal metronidazolo.Il secondo più comune fattore di rischio è rappresentato dalla ventilazione meccani-ca che viene praticata infatti in almeno il 25% dei casi infettati.

La percentuale di resistenza agli antibioti-ci varia notevolmente nelle differenti aree del mondo, ma i ceppi MDR sono in co-stante aumento (30% almeno); un impor-tante ruolo nella diffusione è esercitato tra l’altro dalla notevole capacità dell’organi-smo di sopravvivere per mesi su superfici inanimate. La diffusione del germe MDR in ambiente ospedaliero è facilitata dalla co-lonizzazione di superfici inanimate, della cute del personale e dei circuiti di ventila-tori meccanici.In ogni caso le infezioni da A. baumannii in tutte le casistiche risultano correlate ad un alto rischio di mortalità, causa la resi-stenza alla totalità degli antibiotici testati. La risultante di studi multicentrici europei ha confermato la resistenza all’imipenem nel 26.3% dei ceppi isolati, al meropenem nel 29%, all’ampicillina-sulbactam nel 51% ed alla polimixina B del 2-3%, con varia-zioni significative fra le diverse nazioni. I carbapenemici (imipenem e meropenem) risultano ancora i farmaci di prima scelta nel trattamento delle infezioni severe da A.baumannii. Purtroppo i ceppi resistenti ai carbapenemici risultano raramente sen-sibili agli altri β-lattamici anti-pseudomo-nas, a differenza dei ceppi di P. aerugino-sa che non mostrano analoga cross-resi-stenza. Spesso la colistina o la tigerciclina sono i soli farmaci attivi nei riguardi di A. baumannii, anche se iniziano segnalazio-ni di ceppi resistenti anche nei riguardi di questi ultimi 2 antibatterici.La colistina (o polimixina E) costituisce con la polimixina B la classe delle poli-mixine, polipeptidi cationici che interagi-scono con i lipopolisaccaridi dei batteri Gram-negativi, peraltro in disuso dai primi anni ’80 a causa della loro tossicità che ne ha limitato l’impiego alla Fibrosi Cistica. La colistina è disponibile in due forme, la colistina solfato ed il colistimetato sodico, profarmaco impiegato per via parenterale per la sua minore tossicità.La colistina è sicuramente battericida per lo A. baumannii, sia che si tratti di ceppi MDR che di quelli carbapenemico-resisten-ti; in vivo, a seguito del suo impiego per via venosa, è stata dimostrata la favorevole evoluzione di infezioni sostenute d Acine-

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tobacter e da P. aeruginosa MDR, pur se mai impiegata in monoterapia. Una asso-ciazione particolarmente favorevole sareb-be risultata quella con la rifampicina.La sua somministrazione per via aerosoli-ca ha avuto largo impiego anche in corso di polmonite, oltre che per la prevenzione ed il trattamento delle infezioni in corso di Fibrosi Cistica.La più attiva tra le molecole inibitrici delle β-lattamasi, il sulbactam, esercita in vitro anche una azione battericida diretta nei ri-guardi di A. baumannii, anche se la sua associazione con ampicillina, cefopera-zone e penicilline anti-pseudomonas non mostra alcuna azione sinergica verso tale battere.In vivo peraltro l’associazione sulbactam-ampicillina a dosaggi massimali ha consen-tito di ottenere, in polmoniti da ventilatori in ICU sostenute da ceppi MDR, risultati analoghi a quelli ottenibili nel trattamento di ceppi non resistenti.Le tetracicline, in particolare minociclina e doxiciclina , possiedono attività batteri-cida verso lo A. baumannii; la minocicli-na inoltre conserva in vitro la sua attività anche verso ceppi tetraciclina o doxici-clina resistenti, risultando insensibile alla pompa di efflusso codificata dal gene tetA, così come conserva una attività anche nei riguardi di ceppi MDR o imipenem-resi-stenti. Mancano peraltro studi in vivo controllati ed i pochi casi trattati in ICU di infezioni respiratorie sostenute da ceppi MDR han-no mostrato una mortalità compresa tra il 25 ed il 33% dei casi.Il derivato semisintetico della tetraciclina, la glicilciclina denominata tigeciclina, ha dimostrato di poter evadere i meccanismi di resistenza di A. baumannii, incluse le pompe di efflusso codificate da tetA e tetB ed i meccanismi ribosomici di protezione; in vitro risulta quindi confermata la sua azione battericida anche verso ceppi MDR ed imipenem-resistenti.L’esperienza clinica, anche se ancora limi-tata, conferma la validità del suo impiego in soggetti critici, anche se costantemente utilizzato in associazione con altri antibat-terici. Meno favorevoli sono i risultati co-

municati nelle forme batteriemiche, causa le insufficienti concentrazioni ematiche ottenibili.Gli aminoglicosidi, l’amikacina in partico-lare, conservano una buona attività verso il 60% dei ceppi, mentre risultano ancora attivi verso una minoranza di ceppi car-bapenemici-resistenti e quasi nulla verso i MDR. Pura bassa è l’attività di fluorochi-nolni, ciprofloxacina in particolare, versi ceppi di A. baumannii MDR od imipe-nem-resistenti. Non sono disponibili dati relativi al loro impiego clinico (11).Contrariamente a quanto rilevato in vitro in relazione all’azione sinergica esercitata dall’associazione di più molecole di classe diversa verso ceppi di A. baumannii MDR, l’esperienza clinica nell’impiego di asso-ciazioni non appare altrettanto favorevole; studi retrospettivi sembrano deporre per una maggiore efficacia dell’associazione carbapenemico con ampicillina/sulbactam rispetto a quella carbapenemico più ami-kacina o carbapenemico da solo.

iMPatto della resistenza MicroBica

L’impatto esercitato dalla antibioticore-sistenza, della MDR in particolare, viene valutato confrontando gli esiti di analoghe infezioni sostenute però dagli stessi cep-pi ma antibiotico-sensibili, sviluppatesi in corso di comorbilità confrontabili. Ven-gono presi in considerazioni l’incremento della mortalità, della morbilità, quali il nu-mero di complicanze e l’eccesso di giorni di ricovero, l’aumento dei costi ospedalieri e di farmaci.Le numerose metanalisi effettuate dimo-strano ad esempio che batteriemie da MRSA comportano, rispetto ad analoghe condizioni infettive sostenute da ceppi di MSSA, un rischio di morte doppio, un tempo di ricovero ospedaliero più lungo di 2 giorni almeno; nel caso di infezioni da K. pneumoniae produttore di β-lattamasi a spettro esteso, il ricovero si estende da una degenza media di 12 gg ad oltre i 29, così come da 20 a 34 per la P. aeruginosa carbapenemico-resistente.

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Antibiotico resistenza e suo impatto sulla terapia empirica delle infezioni respiratorie

Non sorprende quindi l’aumento dei costi correlati, anche se dati al proposito sono del tutto frammentari; in Canada ad esem-pio nel 2001 è stato stimato che il costo ospedaliero di ciascun caso di infezione da MRSA raggiungesse la cifra di $ 14.360.È stato stimato ad esempio che una tera-pia iniziale inadeguata di infezioni soste-nute da bacilli Gram-negativi produttori di β-lattamasi a spettro esteso (ESBL) comporta un tempo di cura di ben 6 volte quello necessario per infezioni causate da bacilli non ESBL-produttori. La terapia di ceppi MDR richiede talvolta l’impiego an-che di farmaci maggiormente tossici: la co-listina per il trattamento di P. aeruginosa o di Acinetobacter si associa ad maggior rischio di disfunzione renale; il linezolid nel trattamento di MRSA o di infezioni da Enterococcchi si può associare ad anemia, trombocitemia, sindrome serotoninica (12).La terapia empirica costituisce spesso, quando condotta contro ceppi MDR mi-sconosciuti, una terapia inefficace e quindi foriera di maggior mortalità.

la teraPia eMPirica

Al cospetto di una infezione respiratoria grave, prima che sia identificato il batterio responsabile e la sua sensibilità ai farma-ci antimicrobici, il clinico deve procedere ad una scelta empirica del farmaco più adatto. Non devesi dimenticare peraltro che alcuni segni e sintomi, specie nei sog-getti ventilati, possono essere dovuti non all’infezione ma ad altre complicanze, ad esempio un edema polmonare od una emorragia endoalveolare; la febbre e l‘ipo-tensione possono essere anche dovuti ad emorraggia cerebrale, cirrosi avanzata, ne-oplasie, patologie autoimmuni. In queste situazioni la terapia antibiotica potrebbe solo provocare un dismicrobismo intesti-nale, l’infezione da Clostridium difficile o la colonizzazione di batteri antibiotico-resistenti.Per aumentare le probabilità che la scelta empirica dell’antibiotico risulti efficace è opportuno personalizzare la scelta sulla

base dell’impiego precedente di antibioti-ci e di precedenti isolamenti e valutare i risultati delle indagini di sorveglianza na-zionale ed internazionale.Ogni soggetto differisce infatti in funzione delle specifiche comorbilità, della gravità della malattia, del tipo di infezione, del precedente impiego di antibiotici, delle eventuali allergie, della colonizzazione ad opera di organismi antibiotico-resistenti.Nel sospetto di infezioni sostenute da pa-togeni Gram-negativi, una prima valutazio-ne deve tendere ad individuare l’eventuale responsabilità di P. aeruginosa, frequen-te se trattasi di VAP, di febbre in soggetti neutropenici, e di qualsivoglia infezione in soggetti critici. La terapia empirica non deve invece prevedere la copertura anti-pseudomonas se trattasi di CAP.I farmaci anti-pseudomonas sono rappre-sentati dai β-lattamici, dagli aminoglicosi-di e dai fluorochinoloni. Gli aminoglicosidi non vanno mai usati da soli, i fluorochino-loni hanno sviluppato resistenze, specie nei ceppi di isolamento nelle terapie in-tensive, per cui i β-lattamici rimangono gli antibiotici di scelta per la terapia empirica anti-Pseudomonas. L’associazione carba-penemico (imipenem o meropenem) più amikacina assicura il 95% di successi, ma altrettanto valida può essere la scelta em-pirica di piperacillina/tazobactam, a condi-zione che tale associazione non sia stata praticata nell’arco del mese precedente.L’amikacina viene consigliata sulla base delle risultanze epidemiologiche, che di-mostrano come tale molecola risulti non attiva nel 19% dei ceppi, contro il 43% della gentamicina ed il 39% della tobramicina.La tigeciclina, nuova molecola semisinte-tica derivata dalla minociclina, non risulta affetta dai due maggiori determinanti della resistenza alle tetracicline, rappresentate dalle pompe di efflusso e dalla protezione dei ribosomi. Il farmaco si presenta attivo sia verso la K. pneumoniae PDR che ver-so lo A. baumannii; il suo elevato volume di distribuzione dopo infusione e.v. lascia supporre il raggiungimento di elevate con-centrazioni tessutali, incluso il polmone, ma al momento è solo disponibile per infe-zioni addominali e cutanee complicate.

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Quanto alla scelta empirica nel sospetto di una infezione da MRSA, si rimanda a quan-to già ricordato nell’apposito capitolo.Un’ultima raccomandazione riguarda il ri-spetto delle nozioni di farmacodinamica, in particolare per quanto riguarda l’impie-go delle molecole concentrazione-dipen-dente, quali i β-lattamici.La Tabella 7 dimostra come la infusione di queste molecole in modo tale da mantene-re per la maggior parte delle ore del giorno la loro concentrazione ematica oltre i valo-ri delle MIC assicura una miglior prognosi delle infezioni gravi (13, 14).

coMe Prevenire l’eMerGere di resistenze

L’emergere di ceppi antibiotico-resistenti comporta un sovraccarico inaccettabile in termine di perdita di salute e di costi economici. Da ciò l’interesse per ridurre l’emergenza dei ceppi resistenti e di con-tenere la diffusione dei ceppi resistenti già emersi. Benché si ritenga che lo sviluppo di ceppi resistenti sia soprattutto appan-naggio degli ambienti ospedalieri, in re-altà la genesi della resistenza si realizza anche in ambienti domiciliari. Ciò appare dovuto in particolare al sempre maggior impiego di antibiotici a largo spettro, che rappresentavano nei primi anni ’90 il 24% degli antibiotici impiegati per raggiunge-re il 48% negli anni ’98-’99. Le più recenti osservazioni riportano che l’impiego dei macrolidi rappresenta il 13% delle pre-scrizioni negli adulti, dei fluorochinolonii il 16%, delle cefalosporine di III genera-zione il 12%. L’uso dei fluorochinoloni in

particolare appare in costante aumento, spesso con una errata indicazione; la con-seguenza è l’aumento delle resistenze ver-so queste molecole che spesso si associa anche a resistenze verso altri antibiotici a largo spettro, quali gli aminoglicosidi, le cefalosporine di III generazione, i carba-penemici (15).Nell’intento di ridurre la selezione di ceppi resistenti, conviene quindi impostare una terapia empirica con antibiotici a largo spettro, per passare il più precocemente possibile, sulla base degli accertamenti colturali, all’impiego di antibiotici a spet-tro limitato. Nelle terapie intensive, nei riguardi di una VAP, iniziare con la combinazione di imipe-nem, amikacina e vancomicina consente la più ampia copertura possibile, sia verso MRSA, che P. aeruginosa ed Acinetobac-ter; sulla scorta delle risultanze colturali la terapia deve subire adattamenti entro 48 ore e si consiglia inoltre di non prolungare il trattamento oltre i 7 giorni, anche se le condizioni del malato richiedono un più lungo periodo di trattamento. L’emersione della resistenza dello S. pneu-moniae ha un andamento ciclico, con punte nei mesi invernali quando risulta maggiore l’impiego degli antibatterici. Anche se la ri-duzione della resistenza batterica passa at-traverso la razionalizzazione dell’impiego degli antibiotici, nel caso specifico dello S. pneumoniae la riduzione della resistenza può diventare una realtà attraverso l’im-piego del vaccino antipneumococcico, sia l’eptavalente (PVC7: sieroipo 4, 6B, 9V, 14, 18C, 19F, 23F) che il nonavalente (PVC9; serotino 1, 4, 5, 6B, 9V, 14, 18C, 19F, 23F), coniugati con tossina difterica non tossica (CRM

197) (16).

tabella 7 risultati di differenti dosaggi di β-lattamici e carbapenemici in infezioni gravi da bacilli Gram-negativi.

Piperacillina/tazobactam*: mortalità a 14 gg

3,375 g i.v. in 30 min. ogni 4-6 ore 31.6%

3.375 g i.v. in 4 ore ogni 8 ore 12.2%

Meropenem in vaP**: guarigione

1 g in 360 min ogni 6 ore 90.5%

1 g in 30 min ogni 6 ore 56.6%*Lodise et al., 2007; **Lorente et al., 2006.

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Antibiotico resistenza e suo impatto sulla terapia empirica delle infezioni respiratorie

Con il primo è stata dimostrata una ridu-zione di infezioni da PNSP e cefalospori-no-resistenti del 67%, di cotrimoxazolo resistenti del 56%, anche se è emerso un aumento dell’incidenza di infezioni da sie-rotipi non coperti dalla vaccinazione.

Mdr nelle esacerBazioni della BPco

Il 50% delle riacutizzazioni infettive della BPCO è dovuta a batteri ed il 10% circa di tali riacutizzazioni necessita di ventilazio-ne meccanica; molti studi inoltre sugge-riscono che anche le infezioni acquisite a domicilio possono essere sostenute da batteri MDR, specie in soggetti già ospeda-lizzati o già trattati con antibiotici i modo improprio.Bacilli Gram-negativi MDR sono sempre più frequentemente isolati in corso di ria-cutizzazioni di BPCO in fase avanzata, in particolare P. aeruginosa, A. baumannii e Stenotrophomonas maltophilia rappre-sentano circa il 10-25% dei ceppi isolati. Tra i Gram-positivi MRSA rappresenta il 25% circa degli isolati. Tra i fattori di ri-schio di selezione di ceppi resistenti si an-novera in questi malati la intubazione e la ventilazione meccanica. Il largo impiego di corticosteroidi facilita inoltre la riacutiza-zione di P. aeruginosa e di S. maltophilia. La presenza di patogeni MDR comporta spesso una terapia non appropriata che a sua volta induce al ricorso del ricovero in ICU ed all’impiego della ventilazione mec-canica, fattori tutti correlati ad una mag-giore mortalità (17).Nei soggetti con riacutizzazione severa della BPCO, in particolare il 96% tra quelli che hanno già utilizzato antibiotici o han-no subito intubazioni tracheali, l’infezione con batteri MDR è la regola, il che impli-ca il ricorso ai dati epidemiologici locali di suscettibilità per la scelta della terapia empirica e la necessità di individuare il patogeno responsabile al fine di disporre di un antibiogramma sulla scorta del quale adattare la terapia.Per ridurre la prevalenza di batteri MDR

in questi soggetti conviene quindi limitare l’impiego degli antibiotici e dei corticoste-roidi ed il ricorso all’intubazione endotra-cheale. Il dosaggio della procalcitonina può aiu-tare nel distinguere la responsabilità di batteri nell’indurre la riacutizzazione della BPCO e quindi nel limitare l’impiego degli antibiotici nelle riacutizzazioni non soste-nute da batteri.

MicoBatteri Mdr

Si stima che ogni anno nel mondo si veri-fichino almeno 9 milioni di nuovi casi di tubercolosi e che il mancato controllo di questa infezione dipenda da due ragioni fondamentali: l’estendersi dell’infezione da HIV da una parte, specie nelle regioni sub-saariane dell’Africa, ed il diffondersi di ceppi di micobatteri resistenti ai farma-ci antitubercolari dall’altra.Le prime segnalazioni di isolamento di ceppi MDR (resistenti cioè ai due farmaci maggiori INH e RAMP) risalgono agli inizi degli anni ’90 negli USA; negli anni 2000 si assiste all’emergere di infezioni da ceppi MDR, resistenti però anche a molti degli antimicobatterici di seconda linea, ceppi definiti come extensively drug-resistant (XDR), responsabili di una TB a progno-si molto peggiore di quelle sostenute dai MDR. Risale al 2006 la segnalazione in Sud Afri-ca di una coorte di 221 soggetti affetti da MDR TB, dei quali 53 con XDR TB, il 98% di questi ultimi venuti a morte con una sopravvivenza media di 16 giorni. Gran parte risultavano co-infettati da HIV, non avevano subito precedenti trattamenti an-titubercolari ed il genotipo micobatterico mostrava l’85% di similitudine, a confer-ma della trasmissione di resistenza piut-tosto che di acquisizione ad opera della chemioterapia praticata.Dei 49 soggetti con XDR TB segnalati negli USA dal 1993 al 2006 solo 17 (35%) avevano completato la terapia e 12 (29%), dei quali 10 infetti da HIV, sono deceduti. Risultati analoghi sono stati segnalati nei casi individuati in Italia, Germania, Rus-

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sia ed Estonia (46% di successi, 25% di fallimenti, 29% di morti). Il WHO definisce attualmente come XDR i ceppi micobatterici resistenti ad isonia-zide e rifampicina (MDR) e contempora-neamente a qualsivoglia fluorochinolone e almeno ad uno dei farmaci di seconda linea iniettabili, quali amikacina, kanami-cina o capreomicina, cioè i farmaci per i quali l’antibiogramma offre risultanze ri-producibili ed attendibil (18).Sono ritenuti responsabili della selezione di ceppi MDR ed XDR, specie nelle regio-ni meno sviluppate, i trattamenti interrotti troppo precocemente, o condotti in modo inappropriato, od effettuati con farmaci di cattiva qualità.La selezione di ceppi XDR generalmente si verifica per una scorretta gestione di infezioni sostenute da ceppi MDR.Al giugno 2008 in ben 49 nazioni sono sta-ti segnalati casi di XDR TB, con una inci-denza differente, pari ad esempio allo 0% delle TB in Tanzania, al 12,8% in Azerbai-jan, al 15% in Ucraina ed il 23.7% in Esto-nia. Negli USA dal 1993 al 2006 sono stati segnalati 49 casi di XDR TB, nel nostro paese fortunatamente solo casi eccezio-nali. L’analisi molecolare ha consentito di in-dividuare le mutazioni specifiche del ge-noma che conferisce al micobattere la re-sistenza ai differenti farmaci (Tabella 8), non però i geni responsabili della MDR.Il trattamento standard della tubercolosi da ceppi sensibili consiste nell’impiego di INH, RAMP. PZ ed EMB per i primi due mesi, seguito da 4 o più mesi di soli INH

e RAMP, con una percentuale di successi pari almeno al 95% dei casi trattati.La terapia dei casi di MDR TB invece deve durare almeno per 18-24 mesi, associando farmaci di seconda linea, purtroppo meno efficaci e più tossici. Il successo terapeutico si estende a circa il 75% dei casi trattati e l’impiego tra gli altri di un fluorochinolone si ritiene indispen-sabile.Nelle infezioni sostenute da micobatteri XDR, sottocategoria dei MDR, valgono le medesime considerazioni di questi ultimi. Si deve comunque fare ricorso ai consigli di un esperto in materia, associare alme-no 4-6 farmaci sensibili all’antibiogramma; l’esito del trattamento, da protrarre per almeno 18-24 mesi oltre il momento della conversione dell’escreato, va monitoriz-zato con colture dell’escreato mensili, sa-pendo che la mancata conversione entro 4 mesi dall’inizio della terapia assume un valore prognostico negativo. Monitorare l’escreato periodicamente nei due anni successivi al termine della terapia è inol-tre imperativo in queste circostanze. L’ap-plicazione delle direttive DOT in questi casi assume inoltre un valore ancora più significativo.La terapia delle infezioni da bacilli XDR può contemplare anche il ricorso alla chi-rurgia (lobectomie e pneumonectomie), in particolare qualora l’escreato non ab-bia ancora subito la conversione dopo 4-6 mesi di terapia e le lesioni siano localizza-te; evidentemente la terapia medica deve comunque completarsi anche dopo l’inter-vento chirurgico.

tabella 8 Mutazioni genetiche di M. tuberculosis e farmaco-resistenza.Farmaco Gene % mutato Prodotto del gene

isoniazide katG 40-60 Catalasi-perossidasiiNH/etionamide inhA 15-40 reduttasi isoniazide ahpC 10 idroperossidasiisoniazide kasA ? Carrier sintasirifampicina rpoB >96 subunità rNA polim.Pirazinamide pncA 70-95 Pirazinamidasietambutolo embB 45-65 Arabinosiltransferasistreptomicina rpsL 70 Proteina ribos. s 12streptomicina rrs 70 16 s rrNAFluorochinoloni gyrA 75-94 subunità A dNA girasi

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Antibiotico resistenza e suo impatto sulla terapia empirica delle infezioni respiratorie

Nel caso specifico di malati affetti da XDR TB si rende necessaria la prevenzione secondaria, tramite l’isolamento del ma-lato sino al momento della conversione dell’escreato. Per i contatti con casi di

MDR TB e positivi al test tubercolinico o all’INF-γ release, specie se giovani, si rac-comanda la profilassi per 6-12 mesi con al-meno due farmaci tra quelli risultati attivi nell’antibiogramma del malato.

RIASSUNTO

L’emergere della resistenza microbica rappresenta la naturale conseguenza della pressione selettiva eser-citata dall’impiego dei farmaci antibatterici. Differenti sono le modalità con la quale la resistenza si instau-ra tra i batteri naturalmente suscettibili, così come diverse sono le modalità con le quali la resistenza si può trasmette da un ceppo batterico ad un altro. Negli ultimi anni si è assistito inoltre all’emergere di cep-pi contemporaneamente resistenti a differenti classi di antibiotici, i cosiddetti ceppi multidrug resistant (MDR), in genere appannaggio di infezioni ospedaliere ed in particolare delle unità di terapia intensiva. Tutto ciò comporta la possibilità di instaurare delle terapie empiriche inappropriate, con conseguenze negative per il malato ed un aggravio di costi per la società. Dopo aver ricordato le modalità di azione delle differenti classi di antibiotici ed i meccanismi molecolari con i quali la resistenza si instaura e si trasmette, vengono ricordati i patogeni MDR di interesse respiratorio, le situazioni infettive nelle quali sospettarne il coinvolgimento ed i criteri da seguire nell’impostare la conseguente terapia empirica antibiotica.

Parole chiave: resistenza batterica, infezioni respiratorie, terapia antibiotica empirica.

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AggiornAmenti di terAPiA

gestione dell’insufficienza respiratoria cronica nella pneumologia territoriale.nostra esperienza in una ASL Umbra

sandro RossiRoberto Tazza

Maddalena Petrini

U.O. Pneumologia ASL 4 Terni

inTRoDuZione

L’incremento della vita media nei Paesi Oc-cidentali è un evento ormai accertato, sia in termini di lunghezza che di qualità. Ciò può essere imputato ai risultati ottenuti nell’abbattimento della mortalità da par-to, di quella infantile e di quella correlata a molte malattie infettive. Tutto questo nell’Occidente ha coinciso con il migliora-mento delle condizioni igienico-sanitarie correlate al benessere socio-economico.L’allungamento della vita media ha inoltre evidenziato disabilità derivanti dalle pato-logie cronico-degenerative, dapprima sco-nosciute a causa dello stile di vita e della sua brevità. Ciò si ripercuote pesantemente sul bilan-cio socio-sanitario di Nazioni che, paral-lelamente all’aumento della popolazione anziana, sono afflitte anche da una bassa

natalità. Si configura pertanto uno squi-librio socio-economico-sanitario in cui le risorse disponibili si assottigliano pro-gressivamente in quanto la popolazione lavorativa non compensa quella in stato di quiescenza. La crisi economica attuale, con l’espulsio-ne di fasce produttive dal ciclo lavorativo acuirà ulteriormente tale trend negativo. Paesi quindi, a provata tradizione di Welfa-re sanitario, trovano e troveranno sempre più difficoltà nel reperire risorse sufficien-ti a garantire livelli adeguati di assistenza a tutte le fasce di popolazione. Da qui la spasmodica ricerca di ottimizzazione e ri-sparmio di quanto disponibile (1). L’obiettivo di ridurre i costi garantendo un adeguato livello di assistenza appare al giorno d’oggi sempre più difficile da conse-guire. Questo accade per lo scontro tra le esigenze politiche, volte al mantenimento

ABSTRACT

Management of chronic respiratory failure in territorial pneumology. Our experience

Nowadays it is very hard to decrease the costs giving a conformed level of welfare in Chronic Respira-tory Failure ,whose management must be territorial. Our Unity of Territorial Pneumology is part of an integrated local system including Radiology, Diabetology, Cardiology etc. performed thought organized routes for patients. Territorial Pneumology Unity, according to General Practitioners and Hospital Pneumologists, cares for 80% of respiratory patients in ASL 4 by diagnosis, therapy and management of respiratory prosthesis (LTOT, Bi-Level, C-pap).Actually we care 6.000 patients in Respiratory failure secondary to BPCO in different GOLD grading, 471 patients in LTOT (53% Males , 47% Females), 75 years old , 257 home care. About 230 patients are in Mechanical ventilation (140 C-pap) 20 patients in Tracheal Invasive Ventilation.

Key Words: chronic respiratory failure, territorial pneumology, chronic obstructive pulmonary dis-ease, long term oxygen therapy, mechanical ventilation.

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AggiornAmenti di terAPiAGestione dell’insufficienza respiratoria cronica

dei servizi, le modalità adottate e la scarsa disponibilità di risorse sia economiche che umane. Da alcuni anni, pertanto, i Servizi Sanitari dei Paesi più avanzati stanno de-dicando una crescente attenzione non solo alla valutazione degli esiti sanitari ma an-che ai trend epidemiologici delle malattie cronico-degenerative. In particolare questo accade per le malattie respiratorie che, interessando un elevato numero di soggetti, generano costi rilevan-ti. In questa ottica la Bronco Pneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) si configura come il problema sanitario mondiale più rilevante sia per il trend epidemiologico in progressiva crescita (proiezioni statistiche al 2020 collocano la BPCO al 3° posto qua-le causa di morte) (2), che per i numerosi studi di epidemiologia e farmaco-economia dimostranti un suo crescente incremento con importante impatto sui costi (3, 4).L’analisi del “Cost of Illness” (monitorag-gio del consumo di risorse impiegate per la gestione delle malattie in oggetto) rappre-senta oggi il metro di valutazione elettivo. Già nel 1992 alcuni autori (5) calcolarono che negli USA un paziente BPCO costava circa il doppio di uno assistito da Medi-Care con punte del 400% in più se era in ossigenoterapia a lungo termine (LTOT). Valori confermati negli anni successivi ove si evidenziò che i pazienti con BPCO co-stano annualmente 2,5 volte in più rispetto ai controlli, per i ricoveri ospedalieri; 1,6 volte in più per i servizi ambulatoriali e 2 volte in più per quanto riguarda il consu-mo dei farmaci (6).I costi diretti riportati, tuttavia, sono da ritenere sottostimati in quanto riferiti ai ri-coveri in cui la BPCO rappresenta la prima diagnosi. Andrebbero invece considerate anche le dimissioni ospedaliere correlate alla BPCO quali l’insufficienza respiratoria acuta e le riacutizzazioni infettive che ne innalzano significativamente il peso economico (7, 8). L’impatto della BPCO sui costi indiretti ha comunque evidenziato come solo il 46% dei pazienti in età lavorativa (18-64 anni) presenti un’occupazione stabile ed un ri-schio elevato di lunghe assenze lavorative per BPCO (9).

Riguardo alla disabilità, la BPCO rappre-senta una delle princiali cause di disabilità valutabile in termini di perdita di DAILY (disability-adjusted life years) con proie-zioni al 2020 di quinta causa (12° nel 1990) (10). Da quanto finora discusso si evidenzia come gran parte degli studi e dei dati dispo-nibili riguardi gli USA, molto più sensibili alla monetizzazione della patologia dato il sistema assicurativo molto capillare ed attento alla spesa sanitaria. Nella maggior parte degli Stati europei invece è presente un Sistema Sanitario in cui il peso economi-co è sostanzialmente sostenuto dallo Stato che garantisce dei livelli minimi di assisten-za variabili. La carenza di risorse ha comun-que evidenziato la difficoltà e, in alcuni casi, l’impossibilità di garantirli a tutti stimolan-do la ricerca anche in questo settore.Nel 2003 l’European Respiratory Society ha pubblicato il primo Libro Bianco Euro-peo sulle malattie respiratorie richiaman-do l’attenzione dei cittadini e delle autorità competenti proprio sul trend epidemiolo-gico, i costi sociali e le opzioni terapeuti-che di queste patologie, in particolare del-la BPCO (11).In Italia la BPCO nel 1997 ha rappresentato la quinta causa di ospedalizzazione non chi-rurgica (dati ISTAT) e, nel 1999, 2,6 milioni di italiani risultavano affetti da BPCO con una mortalità paragonabile al 50% di tutte le cause respiratorie (12, 13). Uno studio italiano condotto su 5 milioni di abitanti, volto alla valutazione dei costi della BPCO ha evidenziato un costo medio annuo per paziente pari a € 2.100,00 con significative oscillazioni tra € 1.500,00 (forme lievi) e € 3.900,00 (forme gravi) (14).I costi della BPCO, lievitano in presenza di riacutizzazioni (nelle forme gravi possono arrivare a 3-4 episodi annui di gravità va-riabile), di ricoveri ospedalieri o di terapie inadeguate (15). In particolare il fallimento terapeutico di una riacutizzazione comporta un dispen-dio di risorse di gran lunga superiore a quello necessario per la riacutizzazione stessa (16). Recentemente è stato pubbli-cato lo studio italiano, SIRIO (Social Im-pact of Respiratory Integrated Outcomes)

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AggiornAmenti di terAPiA n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n

(17), che ha coinvolto 37 centri di Pneu-mologia distribuiti sul territorio nazionale ed ha reclutato 561 pazienti con BPCO di grado moderato intorno al 50% dei casi. Il costo di questi pazienti è risultato consi-stente per il frequente ricorso al consulto del Medico di Medicina Generale, dello Specialista e delle strutture di ricovero.Si è documentato come, a pochi anni di distanza dall’ultima rilevazione (13), si assista a un sensibile incremento dell’im-patto di questa patologia sul sistema sani-tario con un costo medio per paziente di € 2.700,00 (+22%), correlato soprattutto ai costi diretti sostenuti per le ospedaliz-zazioni. Nel contempo, tuttavia, durante il periodo di monitoraggio, a seguito di una maggiore appropriatezza diagnostico-terapeutica, si è registrato un decremento del costo me-dio totale pari al 17% prevalentemente a carico dei costi diretti. L’evento sembra ri-conducibile alla diminuzione delle consul-tazioni del personale medico e ai ricoveri ospedalieri a fronte di una lievitazione di spesa per le terapie. Questo dato è estremamente interessan-te dal momento che conferma, in accor-do con i precedenti lavori (18), come un attento e congruo utilizzo delle risorse disponibili possa consentire una gestione proficua di tale patologia. Inoltre, vale la pena ricordare come questa dovrebbe es-sere di pertinenza territoriale riservando l’ospedalizzazione ai casi acuti non gesti-bili a livello domiciliare.

iL RuoLo DeLLA PneuMoLoGiA TeRRiToRiALe neLLA GesTione DeLL’insuFFicienZA ResPiRAToRiA cRonicA

Il concetto di territorialità è alquanto ela-stico nel nostro Paese essendo il panorama italiano piuttosto variegato in proposito.Esistono infatti prevalentemente strut-ture “territoriali” poste all’interno di poli ospedalieri, spesso connesse a reparti di pneumologia, costituendone di fatto un ambulatorio divisionale o poco più. Molto più spesso le ASL organizzano dei poliam-bulatori specialistici in cui operano spe-cialisti pneumologi ambulatoriali “a pre-stazione”. Molto più raramente sono vere e proprie entità nel territorio, di sovente eredi dei vecchi Dispensari Antituberco-lari riconvertiti in unità pneumologiche. È pertanto difficile trovare una struttura pneumologica territoriale nata ex novo e parte di un progetto finalizzato al control-lo delle malattie respiratorie sul territorio. A tale proposito le strutture pneumologi-che dedicate, nella regione Umbria, sono piuttosto scarse e per lo più ospedaliere (Figura 1).Manca il progetto di una vera rete specia-listica territoriale sia locale che regionale in grado di interfacciarsi con il MMG per la gestione dei pazienti con malattia ostrutti-va polmonare. Manca inoltre una vera attenzione da parte della programmazione sanitaria regionale verso le problematiche respiratorie che vengono relegate ad un ruolo marginale in quanto prive di forte impatto emotivo sull’opinione pubblica. Se si consultano i documenti della Regione Umbria riguar-danti i vari osservatori epidemiologici non si rileva un paragrafo dettagliato ri-guardante l’epidemiologia della patologia respiratoria cronica ostruttiva a fronte di corposi capitoli su mortalità e morbilità di tumori e patologia cardiovascolare. La no-stra Unità Operativa di Pneumologia nasce sulle ceneri del vecchio Dispensario Anti-tubercolare (ex CPA) a metà degli anni 90. È il frutto di un lungimirante progetto

Figura 1Strutture pneumologiche territoriali in Umbria.

PeRuGiA (AsL2)Riabilitazione Respiratoria)

FoLiGno (AsL3)Riabilitazione Respiratoria)

TeRni (AsL4)u.o. Pneumologia

TeRni

PeRuGiA

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AggiornAmenti di terAPiAGestione dell’insufficienza respiratoria cronica

della dirigenza ASL di allora che videro nella specialistica territoriale organizzata un valido modo per migliorare il controllo e ridurre i costi di gestione delle malattie cronico-degenerative. Analogamente alla nostra, nella ASL 4, esistono altre Unità Operative integrate: laboratorio analisi, cardiologia, diabetologia, endoscopia di-gestiva, medicina del lavoro, medicina del-lo sport e radiologia. Nel 2005 il progetto ha avuto la sua completa realizzazione in quanto tutte queste realtà sono state riuni-te in un unico moderno edificio con spazi adeguati. Questo ha consentito l’adozione di percorsi integrati organizzati, estrema-mente utili al paziente ed economici per l’azienda. L’impiego di personale medico ed infer-mieristico giovane e motivato (3 medici e 5 infermieri professionali nella nostra U.O.) ha consentito di affiancare ai com-piti di controllo clinico e profilassi della patologia specifica, una visione moderna della pneumologia nei riguardi di patolo-gie attuali quali BPCO, asma, allergologia, OSAS ed insufficienza respiratoria. Il tutto nella consapevolezza di operare in un ter-ritorio ad elevata concentrazione di realtà industriali e post industriali con elevato numero di esposti. Forte di un rapporto collaborativo e proficuo sia con la medi-cina generale che la pneumologia ospeda-liera, nel corso degli anni la Pneumologia Territoriale è divenuta un punto di riferi-mento indispensabile nel controllo della patologia respiratoria.Attualmente più dell’80% dei pazienti re-spiratori della conca ternana transita nei nostri ambulatori.L’organizzazione interna consente l’appli-cazione di percorsi diagnostici condivisi con i MMG per la BPCO in grado di dif-ferenziare le prime diagnosi dai controlli. Si ha la possibilità di gestire direttamente il follow up grazie alla disponibilità di un punto CUP interno che permette al pa-ziente, terminata la visita, di programma-re subito l’appuntamento per il controllo successivo.Nei confronti della pneumologia ospeda-liera ad alta specialità la nostra attività di filtro consente di selezionare pazienti che

richiedono indagini specialistiche parti-colari e di livello superiore evitando, per quanto possibile, la pletora ospedaliera.Inoltre per i pazienti con insufficienza re-spiratoria cronica in riacutizzazione, la cui prenotazione richiederebbe tempi lun-ghi, sono disponibili 4 visite “urgenti” al giorno, previo colloquio tra lo specialista pneumologo ed il medico curante. Nella nostra U.O. è centralizzato anche il con-trollo dei pazienti in ossigenoterapia liqui-da del comprensorio.Il registro computerizzato permette la ge-stione, anche mediante richiamo periodico dei pazienti che non rispettano gli appun-tamenti, del rinnovo dei piani terapeutici con prestazioni cliniche e emogasanaliti-che erogate sia a livello ambulatoriale che domiciliare.Infine, caso crediamo unico, almeno nel centro Italia, la ASL 4 ha affidato alla U.O. di Pneumologia la gestione dei pazienti con protesi respiratorie (ventilatori pol-monari, cannule tracheostomiche, aspira-tori, nebulizzatori, materiale di consumo). Questo avviene sia per quanto riguarda il controllo clinico dei pazienti, anche a do-micilio, che per tutte le procedure di au-torizzazione, erogazione e controllo della congruità di utilizzo.La gestione degli apparecchi e del materia-le avviene attraverso un programma com-puterizzato e permette di ottimizzare i costi di una terapia così complessa e costosa.La procedura prevede anche il controllo attivo dei pazienti in ventilazione con visi-te periodiche, sia ambulatoriali che domi-ciliari, per la verifica del corretto utilizzo e della efficienza del servizio di manutenzio-ne da parte delle aziende incaricate.Attualmente seguiamo circa 6000 pazien-ti con BPCO in vario GOLD grading; ab-biamo 471 pazienti in LTOT, (53% maschi e 47% femmine) con un’età media di 75 anni, 194 ambulatoriali e 257 domiciliari, con una media giornaliera di 21 ore ad un flusso medio di 2.3 litri/minuto; il 50% cir-ca in OLT da più di 5 anni. Circa 230 pa-zienti sono in ventilazione meccanica (140 CPAP, 50 in ventilazione pressometrica, 40 in ventilazione volumetrica), 20 in ventila-zione invasiva tracheale.

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AggiornAmenti di terAPiA n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n

Discussione

La gestione dei pazienti in insufficienza re-spiratoria cronica necessita, a parere no-stro, di un approccio globale e complesso le cui priorità possono essere ricercate in una serie di provvedimenti ad ampio re-spiro comprendenti: la prevenzione della BPCO, sia collettiva che individuale; l’ab-battimento dei ricoveri ospedalieri evitabi-li; la prevenzione ed il trattamento delle di-sabilità correlate al disagio respiratorio. In questa ottica le realtà pneumologiche ter-ritoriali occupano una posizione centrale costituendo l’interfaccia qualitativamente sensibile tra la medicina generale, la pneu-mologia ospedaliera e la programmazione politico-sanitaria.La prevenzione della BPCO rappresenta un elemento chiave se volta al controllo dei fattori di rischio ambientali, lavorativi e voluttuari. Troppo poco viene fatto indi-vidualmente e collettivamente sul fronte dell’inquinamento atmosferico urbano, ove incidono più che altro decisioni di politica ambientale e dove ancora non è completamente definito il rapporto tra ag-gravamento della BPCO ed inquinamento outdoor.Molto più chiari sono invece gli effetti dell’inquinamento ambientale sulla patolo-gia asmatica. Sicuramente deve esser fatto qualcosa in più a livello dell’ambiente di la-voro dove l’esposizione professionale rap-presenta un fattore di rischio rilevante con un rischio calcolabile intorno al 15-20% (19, 20) ed un costo per la BPCO stimabile intorno ai 3,3 miliardi di dollari (21, 22).Individualmente il fumo di sigaretta è il più importante dei fattori di rischio essendo teoricamente più controllabile degli altri.I programmi di cessazione del tabagismo, a fronte di un ottimo rapporto costo-bene-ficio, non forniscono un’adeguata percen-tuale di risultati a causa di fattori come la dipendenza, il libero arbitrio del paziente (23, 24) e anche per la carenza di strutture integrate. La collocazione dei centri antifu-mo in strutture pneumologiche territoriali consentirebbe un approccio meno integra-lista (fumo = cancro del polmone) e più completo nei confronti dei danni da fumo.

La nostra U.O. ha in progetto un centro an-tifumo integrato con un team specialistico in cui oltre allo pneumologo collabori un cardiologo ed uno psicologo.Abbiamo visto come i ricoveri ospedalieri, gravati da costi eccessivi, siano particolar-mente elevati nei pazienti BPCO, soprat-tutto in conseguenza di una riacutizzazio-ne. La scorretta gestione della patologia di fondo con fallimento terapeutico, ritardo nella diagnosi o scarsa compliance del paziente, frutto di una non corretta appli-cazione delle linee guida, sono spesso alla base delle riacutizzazioni. Una migliore ed oculata gestione della malattia di fondo, ottenibile con adeguata somministrazio-ne di farmaci secondo i dettami delle li-nee guida, accompagnata da una corretta prevenzione sono sicuramente in grado di ridurre il fenomeno e, conseguentemente, i costi della malattia. In questa ottica natu-ralmente rientrano fattori come l’aderenza terapeutica del paziente, spesso scarsa, in quanto non adeguatamente motivata, che rappresenta un limite e nello stesso tempo una sfida educazionale interessante. Infine una corretta gestione dell’ossigenoterapia a lungo termine con controlli sia ambula-toriali che domiciliari è un requisito indi-spensabile per migliorare la sopravvivenza dei pazienti più critici. Non abbiamo, invece, dati sicuri sul fat-to che i programmi di screening per una diagnosi precoce della malattia siano di reale utilità all’abbattimento dei costi dal momento che lo screening stesso è una metodica piuttosto dispendiosa e può in-durre un aumento di spesa farmaceutica (25). Nel tentativo di ridurre il numero e la durata dei ricoveri per BPCO riacutiz-zata si è cercato di prospettare una valida alternativa al ricovero ospedaliero. A tale proposito uno dei primi tentativi fu l’home care pneumologico che tuttavia non fornì un rapporto costo-beneficio favorevole (26). Anche se il dibattito è ancora aper-to tale provvedimento non è proponibile a tutte le tipologie di pazienti BPCO ma solo ai più gravi e non scompensati (27, 28). Necessita comunque di una adeguata orga-nizzazione ed addestramento di personale specialistico.

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AggiornAmenti di terAPiAGestione dell’insufficienza respiratoria cronica

Un supporto interessante sembra esse-re fornito dai programmi di telemedicina (29-31), particolarmente vantaggiosa nelle zone rurali (32), e nel controllo di BPCO in LTOT (33, 34) anche se non tutti gli studi concordano in ciò (35).La prevenzione ed il trattamento delle disabilità rappresenta un altro elemento cardine da perseguire. Numerosi studi e le stesse linee guida GOLD (36-40) sotto-lineano l’efficacia della riabilitazione re-spiratoria nel ridurre le degenze per BPCO con notevole risparmio di risorse. In parti-colare negli ultimi anni si è dibattuto sulla durata dei cicli riabilitativi e studi recenti dimostrano come un ciclo breve ma inten-so consenta di ottenere risultati analoghi

a cicli di durata maggiore (41). Da quanto finora esposto si evince come il gravoso impatto socio-economico della BPCO sia proporzionale alla gravità clinica della pa-tologia e come la percezione di quest’ul-tima sia ancora insufficiente presso i pa-zienti e, purtroppo, anche presso la classe medica. La scarsa percezione e l’insufficiente im-patto emotivo che questa malattia genera nell’opinione pubblica sono elementi che non giocano a favore della sua gestione e soprattutto nella corretta e tempesti-va diagnosi. È pertanto necessario che le strutture territoriali vengano sempre più potenziate per migliorare l’efficienza ed il controllo della malattia di fondo.

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RIASSUNTO

Ridurre i costi garantendo un adeguato livello di assistenza appare al giorno d’oggi la sfi da più diffi cile da vincere soprattutto per patologie croniche disabilitanti quali l’insuffi cienza respiratoria cronica la cui ge-stione dovrebbe essere prevalentemente territoriale riservando l’ospedalizzazione ai casi acuti. La nostra Unità Operativa di Pneumologia è integrata nella nostra ASL ad altre Unità Operative Specialistiche in una serie di percorsi organizzati, estremamente utili al paziente ed economici per l’azienda. La Pneumologia Territoriale in un rapporto collaborativo con la medicina generale e la pneumologia ospedaliera, segue più dell’80% dei pazienti respiratori della nostra ASL con percorsi diagnostici in grado di differenziare le prime diagnosi dai controlli. Gestisce direttamente il follow up grazie alla disponibilità di un punto prenotazione interno che permette di programmare subito l’appuntamento per il controllo successivo. Nella nostra U.O. è centralizzato sia il controllo dei pazienti in ossigenoterapia liquida del comprensorio, mediante registro computerizzato che permette il rinnovo dei piani terapeutici che la gestione dei pazienti con protesi respi-ratorie (ventilatori polmonari, cannule tracheostomiche, aspiratori, nebulizzatori, materiale di consumo) clinicamente e per tutte le procedure di autorizzazione, erogazione e congruità di utilizzo. Attualmente seguiamo circa 6000 pazienti con BPCO in vario GOLD grading; abbiamo 471 pazienti in LTOT, (53% maschi e 47% femmine) con un’età media di 75 anni, 194 ambulatoriali e 257 domiciliari, con una media giornaliera di 21 ore ad un fl usso medio di 2.3 litri/minuto; il 50% circa in LTOT da più di 5 anni. Circa 230 pazienti sono in ventilazione meccanica (140 CPAP, 50 in ventilazione pressometrica, 40 in ventilazione volumetrica), 20 in ventilazione invasiva tracheale.

Parole chiave: insuffi cienza respiratoria cronica, pneumologia territoriale, broncopneumopatia cronica ostruttiva, ossigenoterapia liquida, ventilazione meccanica.

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AggiornAmenti di terAPiA

Crescita invasivae cancro:inibizione farmacologica dell’oncogene met nel carcinoma broncogeno non a piccole cellule (nSCLC)

Giulia StellaErnesto Pozzi

Clinica di Malattie dell’Apparato Respiratorio

dell’Università, IRCCS Fondazione

Policlinico San Matteo, Pavia

L’oncogene MET guida il programma genetico di Crescita InvasivaLa progressione metastatica del cancro può essere considerata la controparte maligna (attivazione aberrante in termini di tempo e spazio) di un programma ge-netico noto come “Crescita Invasiva” che è responsabile della migrazione delle cel-lule e della loro successiva organizzazio-ne in strutture complesse e che è attivo fisiologicamente nel corso dello sviluppo embrionale e nell’adulto, durante i proces-si di rigenerazione di organi danneggiati. Questo processo risulta dalla integrazio-ne di diverse attività biologiche che com-prendono proliferazione, dissociazione (scattering), migrazione, invasione cel-lulare. Attraverso un meccanismo noto come transizione epitelio-mesenchimale (E.M.T. epithelial-mesenchymal transi-tion) le cellule neoplastiche acquisiscono

un fenotipo metastatico e raggiungono sedi distanti di proliferazione attraverso la via ematica e/o linfatica. Dopo aver su-perato l’endotelio le cellule si arrestano nell’organo secondario e il processo di transizione epitelio-mesenchimale viene riconvertito a transizione mesenchimo-epiteliale (mesenchymal-epithelial tran-sition M.E.T.); inoltre, poiché il nuovo mi-croambiente è diverso da quello in cui si è sviluppato il tumore primario, le cellule possono sopravvivere o morire: in caso di sopravvivenza, se il tasso di proliferazio-ne è bilanciato da quello della apoptosi, le micrometastasi rimangono clinicamente silenti (dormant micrometastases); se invece prevale la proliferazione cellulare si sviluppano macrometastasi, che gene-ralmente sono refrattarie ai trattamenti e sono responsabili, in ultimo, della morte del paziente.

ABSTRACT

The MET-driven invesive growth program in cancer and metastasis

The Met oncogene drives “Invasive Growth”, a genetic program involved in embryonic development and adult organ regeneration after injuries and usurped by cancer cells. In human cancers inappropri-ate execution of invasive growth is mainly consequent to MET overexpression, driven by unfavorable microenvironmental conditions (e.g. hypoxia). MET activation confers to neoplastic cells a selective advantage both in tumor progression and in drug (erlotinib) resistance. A restrict subset of tumors displays a MET-addicted phenotype; most frequently MET activation is a secondary event which en-hances tumor growth and proliferation. Due to its versatile functions MET is a promising candidate in cancer and metastases targeted therapy. Many molecules aimed to block MET signaling pathway are now under design and development and several phase II trials are ongoing. Understanding the mo-lecular mechanisms of sensitization and resistance to MET inhibitors is a clear priority for tailoring therapeutic regimens to the patients that are most likely to achieve a clinical benefi t.

Key Words: ligand antagonist, oncogene-addiction ,somatic mutation, gene amplifi cation.

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AggiornAmenti di terAPiACrescita invasiva e cancro

Molte citochine e fattori di crescita pos-sono indurre nelle cellule proliferazione, differenziazione, chemotassi, migrazio-ne e protezione dalla apoptosi: tra questi epidermal growth factor (EGF), insuline growth factor-1 (IGF-1), fibroblast grow-th factor (FGF), ecc. Sono però i fattori noti come Scatter Factors (principal-mente Hepatocyte Growth Factor-HGF e Macrophage-stimulating Protein-MSP) e i loro recettori (i recettori tirosin-chinasici codificati di geni MET e RON) a giocare un ruolo molto importante nel mediare il programma di Crescita Invasiva in cellu-le epiteliali normali e neoplastiche; molti dati stanno, inoltre, definendo un ruolo, nella attivazione di questo programma, di un’altra classe di molecole: le semaforine (con funzione di legandi) e le plexine (che agiscono come recettori) che presentano struttura affine a quella dei recettori MET e RON. In condizioni fisiologiche l’attivazione di MET è un evento transitorio; in tessuti tra-sformati in senso neoplastico il recettore è, spesso, costitutivamente attivato for-zando, in tal modo, le cellule maligne a di-saggregarsi dalla massa primaria, erodere la membrana basale, infiltrare la matrice stromale e infine, colonizzare nuove sedi venendo a costituire localizzazioni meta-statiche (Figura 1).

Nei tumori umani l’attivazione di MET può essere indotta da diversi meccanismi: - sovraespressione (alterazione più fre-

quente) conseguente a:1) amplificazione,2) aumentata trascrizione indotta da al-

tri oncogeni,3) trascrizione attivata da ipossia

- alterazioni strutturali, quali:1) mutazioni,2) traslocazioni cromosomiche,3) alterazione dei processi post-trasla-

zionali,4) forme tronche;

- attivazione (via di attivazione autocrina/paracrina) HGF-dipendente;

- meccanismi di attivazione non dipen-denti da HGF ma legati alla attivazione da parte di altri recettori di membrana.

Lesioni genetiche di MET nel cancroLa via di segnale di HGF è mediata, come descritto, dal suo recettore MET, una pro-teina a funzione tirosino-chinasica codifi-cata dall’oncogene Met. Il gene Met è lo-calizzato sul cromosoma 7q31; è costituito da 21 esoni separati da 20 introni e codifi-ca per un recettore transmembrana costi-tuito da un etero-dimero a legame disolfu-ro che deriva dal clivaggio proteolitico di un precursore omodimero. L’eterodimero

Figura 1 il programma di crescita invasiva guidato da met.

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AggiornAmenti di terAPiA n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n

è formato da una catena β trans membrana di 145 KDa e una catena α, extracellulare di 50 KDa.La regione extracellulare è costituita da un dominio altamente conservato costituito da 500 aminoacidi (SEMA) che è coinvolto nel legame con il ligando e nella dimeriz-zazione del recettore; da un dominio di 80 aminoacidi ricco in residui cisteinici, noto come MRS (Met-Related Sequence) e da una regione a struttura simile alle immu-noglobuline (IPT). Nella regione intracel-lulare si distinguono una porzione juxta-membrana che contiene residui coinvolti nella deregolazione e ubiquitinazione del recettore; il domino tirosin-chinasico con-tenente due residui tirosinici in posizione 1234 e 1235 che, fosforilati, mediano l’atti-vità catalitica; e una regione C-terminale in cui sono presenti altre due tirosine (1349 e 1356) che, fosforilate, sono responsabili dell’attivazione di un sito multifunzionale attivo nel reclutamento di molteplici me-diatori intracellulari (tra cui oncogeni qua-li SRC, RAS, PI3K, il fattore di trascrizione STAT3 e i mediatori GRB2, SHC and Gab1). Attraverso l’attivazione della via di segnale di MET è, così, reclutato un ampio pannel-lo di mediatori intracellulari che, infine, sono responsabile della induzione della Crescita Invasiva. Mentre in condizioni fisiologiche questo processo è eseguito in modo transiente, nelle cellule tumorali è costitutivamente attivo con conseguente prolungamento del segnale dei mediatori secondari.La sovraespressione di MET nel cancro è principalmente dovuta alla sovraregola-zione trascrizionale indotta da condizioni sfavorevoli del microambiente circostan-te il tumore. Una bassa tensione di ossi-geno - condizionante ipossia tessutale - è stata identificata come una delle principali cause di aumentata trascrizione e sintesi di MET indotta dalla attivazione del suo promotore. L’iperespressione di MET e la successiva attivazione del programma di Crescita Invasiva conseguente ad ipossia si configurano, evidentemente, come eventi tardivi nel corso della progressione neo-plastica: avvengono cioè, quando la vasco-larizzazione diventa insufficiente rispetto

alle dimensioni raggiunte dalla massa tu-morale. L’attivazione di MET può anche es-sere conseguente ad amplificazione geni-ca, ovvero incremento del numero di copie di un piccolo frammento cromosomico in cui è contenuta la sequenza del gene. Una notevole amplificazione di MET è descrit-ta nel carcinoma broncogeno non a pic-cole cellule (Non-Small Cell Lung Cancer, NSCLC), resistente alla terapia con inibito-ri di EGFR (erlotinib e gefitinib). Il riscon-tro di amplificazione di MET nel NSCLC si associa, inoltre, ad un andamento clinico più aggressivo e ad prognosi complessiva-mente (in termini di sopravvivenza e inter-vallo libero da malattia) peggiore. L’attivazione del recettore conseguente a mutazioni somatiche è un evento riportato raramente nei tumori primitivi in generale; frequenze non trascurabili - circa il 12% dei casi - sono, invece, riportate nel NSCLC e nel carcinoma a piccole cellule (Small Cell Lung Cancer-SCLC).

Attivazione di MET ed emostasiL’attivazione di MET comporta effetti ri-levanti sul sistema angiogenetico e sulla cascata della coagulazione. Sono stati am-piamente dimostrati gli effetti pro-angio-genetici conseguenti alla attivazione del recettore: tali effetti favoriscono e coope-rano nel processo di crescita invasiva. Essi intervengono, infatti, nel promuovere lo sviluppo della massa neoplastica e, soprat-tutto, l’embolizzazione maligna a distanza. L’effetto pro-angiogenetico fornisce un ra-zionale rilevante per l’associazione di ini-bitori di MET a farmaci antiangiogenetici: la riduzione dell’apporto sanguigno con conseguente ipossia tessutale indurrebbe, se non contrastata adeguatamente, una iperattivazione della via di segnale di MET e, in ultimo, del processo di invasione e metastatizzazione. Inoltre è stato dimostrato che l’attiva-zione di MET ha effetti importanti sul si-stema coagulativo. Già nel 1865 Armand Trousseau aveva descritto l’associazione clinica tra lo sviluppo di neoplasie e le al-terazioni della coaugulazione. La sindro-me di Trousseau comprende fenomeni di coagulazione intravascolare disseminata

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AggiornAmenti di terAPiACrescita invasiva e cancro

associati a riscontro di microangiopatia, endocardite, tromboembolismo arterioso e venoso in pazienti affetti da carcinomi. Nonostante essa costituisca un quadro clinico ampiamente conosciuto, le basi molecolari di questa sindrome sono state descritte solo recentemente e hanno posto in evidenza il ruolo di MET. Boccaccio et al. hanno fornito evidenze sperimentali di come il cancro e le alterazioni dell’emo-statsi siano interconnessi tramite l’attiva-zione di questo recettore. È stato chiarito, infatti, che la patogenesi di questa sindro-me è principalmente dovuta alla abilità di MET di indurre la sovra regolazione dei geni codificanti per l’inibitore dell’attiva-tore tessutale del plasminogeno (PAI-1) e per la ciclo ossigenasi-2 (COX-2): queste due proteine concorrono nel creare un ru-dimentale supporto di fibrina il cui ruolo è quello di sostenere e facilitare l’embolizza-zione neoplastica.La stretta relazione tra sistema emo-coa-gulativo e crescita invasiva è, infine, sup-portata dalla osservazione che lo stesso HGF (ligando di MET) appartiene alla famiglia dei plasminogeni e che, come gli enzimi della cascata coagulativa, richiede un clivaggio proteolitico per essere biolo-gicamente attivo.

Differenti strategie per l’inibizione farmacologica di METIl successo dei farmaci mirati ad inibire re-cettori a funzione tirosino chinasica (quali EGFR e MET) deriva dal fatto che il farma-co è attivo - in relazione alla presenza di una lesione molecolare responsabile della attivazione del recettore- solo sul tumore e non sul tessuto stromale circostante. Di conseguenza l’identificazione del tipo di lesione diventa presupposto fondamentale per l’impostazione di un trattamento con farmaci biologici che possa essere effica-ce. Inoltre, la cascata di segnale attivata dai recettori a funzione tirosino chinasi-ca è enormemente complessa. I recettori attivano diverse vie molecolari che sono parte di un network complesso e molte volte, ridondante. In riferimento a MET, in conseguenza della attivazione del sito mul-tifunzionale vengono attivati molteplici

mediatori tra cui quelli coinvolti nell’asse RAS-RAF-MEK e in quello PI3K-AKT. Il primo successo nell’utilizzo di questo tipo di farmaci è stato ottenuto con ima-tinib (Gleevec) nel trattamento della leu-cemia mieloide cronica; da allora diversi bersagli molecolari sono stati individuati e molteplici farmaci sono stati studiati e sviluppati e sono attualmente in uso cli-nico.(trastuzumab, gefitinib, erlotinib, cetuximab and bevacizumab…). Nell’am-bito dell’inibizione dei recettori a funzio-ne tirosino-chinasica, MET rappresenta uno dei targets più promettenti proprio in considerazione della sua versatilità e dei molteplici effetti biologici conseguenti alla sua attivazione. Diverse strategie sono state sviluppate per l’inibizione della via di segnale mediata da HGF/MET. Esse sostanzialmente colpisco-no i diversi livelli che conducono alla at-tivazione del segnale (Tabella 1 e Figura 2).L’interazione tra MET e il suo ligando HGF: questo step può essere bloccato at-traverso l’utilizzo di antagonisti biologici che competono con HGF per l’affinità al recettoreInoltre sono stati sviluppati diversi anti-corpi monoclonali in grado di inibire sia HGF sia MET.La trans-fosforilazione e l’attivazione del recettore: l’attività catalitica del recettore è bloccata da piccole molecole che com-petono con l’ATP nel legame al sito attivo. L’attivazione del sito multifunzionale e dei diversi mediatori secondari: i me-diatori attivati a livello del sito multifun-zionale possono essere bloccati da singoli inibitori specifici.

NSCLC: cross-talk EGFR-MET e implicazioni terapeuticheStudi recenti hanno posto in evidenza una significativa associazione tra attivazione di MET e risposta agli inibitori di EGFR nel NSCLC. Gli inibitori di EGFR (erlotinib e gefitinib) sono attualmente in utilizzo cli-nico, approvati come approccio di II linea nel trattamento del NSCLC. Molti studi hanno dimostrato che entrambe le mole-cole hanno attività antitumorale; tuttavia

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le correlazioni con i dati di sopravvivenza hanno evidenziato risultati modesti. Que-sta evidenza clinica ha portato alla imple-mentazione di studi in ambito biomoleco-lare volti ad una più approfondita analisi del profilo farmacogenomico del NSCLC con lo scopo di individuare marcatori ge-netici con valore predittivo della risposta alla terapia anti EGFR. Questi studi hanno condotto alla successiva identificazione di mutazioni somatiche di EGFR ad effetto sensibilizzante verso erlotinib e gefitinib. Queste mutazioni riguardano gli esoni 18-21 (la lesione più frequente è la delezione dell’esone 19) della sequenza codificante il recettore e sono presenti in circa il 10-15% della popolazione Caucasica e nel 30-

40% di quella asiatica. Caratteristicamente la frequenza di mutazioni è maggiore nei pazienti non fumatori. Sono state per con-tro identificate mutazioni associate a resi-stenza primaria alla terapia con inibitori di EGFR: tra queste la più frequente è la T790M. Studi in vitro hanno evidenziato che linee cellulari di NSCLC portatrici degli stessi danni genetici EGFR descritti in vivo (mu-tazioni attivanti), vanno incontro ad arre-sto del ciclo cellulare e apoptosi se trattate con inibitori di EGFR. Queste linee presen-tano, cioè, un fenotipo “EGFR-addicted” in quanto dipendono per la propria soprav-vivenza e proliferazione dalla persistente iperespressione di EGFR, conseguente alla

tabella 1 inibitori di HgF e met (modificata da Comoglio Pm, giordano S, trusolino L, 2008).

Classe Meccanismo di azione

Bersaglio molecolare

Molecola (Company)

M inhibitors

Piccole molecole

Competitori di AtP nel legame al sito attivo

met ArQ197 (ArQule)PHA665752 (Pfizer)SU11274 (Pfizer)JnJ38877605(Johnson&Johnson)SgH523 (SgX Pharmaceuticals)

inibitori multichinasi met VegFr, tie XL880, XL184 (exelxis)mgCd265 (methylgene)

met PdgFr c-Kit ret

mP470 (Supergene)

met ron ret Amgen

met ALK PF-2341066 (Pfizer)

Anticorpi

met specifici oA-5d5 (genentech)dn 30

HgF specifici Amg102 (Amgen)L2g7 (galaxy)

Antagonisti biologici

inibizione del legame tra HgF e metinibizione dell’attivazione proteolitica di HgFinibizione del legame tra HgF e met e inibizione della dimerizzazione di met

nK4Uncl.HgFdecoy met e SemA

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AggiornAmenti di terAPiACrescita invasiva e cancro

presenza di mutazioni somatiche. Tuttavia anche in questo tipo di cellule è descrit-ta la selezione di meccanismi molecolari alternativi che portano alla ripresa della proliferazione dopo un iniziale periodo di risposta al trattamento anti-EGFR. Questo fenomeno configura lo sviluppo di mecca-nismi di resistenza secondaria o acquisita alla terapia. Due tipi di resistenza secondaria sono stati descritti nei pazienti affetti da NSCLC trat-tati con inibitori di EGFR. Il primo è corre-lato all’insorgenza della mutazione T790M in tumori in precedenza responsivi al trat-tamento: ad oggi la mutazione T790M è descritta in circa il 50% dei tumori umani che hanno sviluppato resistenza ad erloti-nib o gefitinib. Su questa base sono stati disegnati inibitori di seconda generazio-ne (irreversibili) - HKI-272 e PF00299804 - che in vitro sono in grado di inibire la fosforilazione del recettore in linee cellu-lari contenenti EGFR T790M. Il meccani-smo con cui agiscono questi farmaci non è stato del tutto chiarito. Queste molecole si legano covalentemente al recettore a livel-lo del residuo cisteinico in posizione 797 e si comportano come competitori mimetici

dell’ATP: appare verosimile che, tramite l’interazione covalente, la concentrazio-ne locale del farmaco sia mantenuta per-sistentemente maggiore rispetto a quella raggiunta da erlotinib e gefitinib - inibitori reversibili - e che, pertanto, possa inibire la funzione catalitica anche in presenza della mutazione T790M. Il secondo meccanismo con cui si sviluppa resistenza acquisita a inibitori di EGFR è conseguente alla attivazione di mediatori molecolari alternativi a quelli direttamen-te dipendenti dalla via di segnale di EGFR. In questo senso è emerso un ruolo impor-tante svolto da MET. Engelman et al. nel 2007 hanno selezionato una linea cellula-re - HCC827 - portatrice della delezione dell’esone 19, diventata successivamente resistente in conseguenza al trattamento prolungato con gefitinib a dosaggi inferiori a quelli efficaci. Lo studio citogenetico di queste cellule ha posto in evidenza l’insor-genza di amplificazione della regione cro-mosomica contenente MET (7q31). È stato poi evidenziato che MET causa resistenza attraverso l’attivazione di PI3K mediata da erbB3 (via alternativa rispetto a EGFR). L’attivazione di erbB3 mediata da MET

Figura 2 differenti strategie nella inibizione farmacologica di met.

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AggiornAmenti di terAPiA n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n

permette la trasmissione del segnale di proliferazione anche in presenza di inibi-tori di EGFR. Ne deriva che la contempo-ranea inibizione di EGFR e MET è neces-saria nel trattamento dei cloni resistenti ad erlotinib (Figura 3). Studi successivamen-te condotti su pazienti affetti da NSCLC resistenti ad erlotinib e gefitinib hanno diagnosticato un incrementato numero di copie di MET nel 22% dei casi. Complessivamente la presenza della mu-tazione EGFR T790M e l’amplificazione di MET costituiscono circa il 70% delle cause di resistenza secondaria ad erloti-

nib. Molto sovente i due tipi di alterazio-ne insorgono indipendentemente nei siti metastatici e questo riscontro conferma l’utilità dell’associazione terapeutica in tu-mori in fase avanzata o comunque a fronte di una ripresa della malattia dopo l’iniziale risposta agli inibitori di EGFR. Diversi stu-di clinici attualmente in corso su pazienti affetti da NSCLC, prevedono l’utilizzo in combinazione di inibitori di EGFR e MET. In questo senso gli inibitori di Hsp90 (Heat Shock Protein 90) rappresentano una al-ternativa potenzialmente interessante. Le Heat Shock Proteins costituiscono una fa-miglia di proteine deputate a controllare la sintesi proteica e, in particolare, il corretto ripiegamento strutturale delle proteine di nuova sintesi. Molte chinasi (tra cui EGFR e MET) dipendono da Hsp90 per il loro corretto funzionamento ed espressione. La geldanamicina (antibiotico appartenente alla classe benzochinoni-ansamicina) è in grado di legare HsP90 e di bloccare la sua associazione alle chinasi dipendenti che vanno, perciò, incontro ad ubiquitinazione e degradazione mediata dal proteosoma. Su questa base sono in corso alcuni trials clinici in NSCLC che prevedono l’utilizzo di Geldanamicina con lo scopo di inibire EGFR e MET.

CONCLUSIONI

Le recenti acquisizioni nell’ambito della oncologia molecolare e della farmacoge-nomica hanno posto in evidenza la neces-sità di un approccio alla terapia antitumo-rale che preveda, per il singolo tumore, l’affiancamento della diagnosi molecolare all’inquadramento istopatologico classico. Nell’ambito della terapia del cancro e del-le metastasi il recettore ad attività tirosino chinasica MET rappresenta un target mol-to promettente in considerazione del suo ruolo guida nell’attivazione del complesso programma di Crescita Invasiva. Crescenti evidenze suggeriscono inoltre, l’esistenza di un cross-talk tra MET e diverse china-si coinvolte nel cancro e in particolare, per quanto riguarda il NSCLC, con EGFR. Queste osservazioni costituiscono un forte

Figura 3 Basi molecolari e razionale a supporto dell’associazione di inibitori di met ai farmaci anti egFr. A) egFr fosforilato (P) si associa e attiva a sua volta erbB3. Quest’ultimo mediatore, fosforilato, si lega alla subunità P85 che determina l’attivazione di Pi3K e, quindi, di AKt: l’attivazione di questa via di segnale induce e sostiene la proliferazione della cellula. nel caso in cui coesista l’amplifi cazione di met l’attivazione di erbB3 può essere mantenuta, in presenza di gefi tinib e erlotinib, tramite questa via di segnale alternativa. B) Solo l’inibizione contemporanea data dalla terapia di combinazione anti egFr+ anti met può evidentemente impedire la trasmissione del segnale di proliferazione e condurre la cellula in apoptosi.

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AggiornAmenti di terAPiACrescita invasiva e cancro

razionale a supporto dell’impostazione di una terapia di combinazione ad inibizione multichinasica mirata a contrastare l’insor-genza di fenomeni di resistenza seconda-ria. In particolare nel NSCLC l’identifica-zione delle eventuali lesioni molecolari di MET rappresenta un momento diagnosti-co rilevante e necessario per l’impostazio-ne di una terapia biologica efficace, volta, cioè, ad evitare l’associazione randomica

RIASSUNTO

L’oncogene Met è il principale mediatore del programma genetico defi nito “Crescita Invasiva”. Tale pro-cesso è attivato fi siologicamente durante lo sviluppo embrionale e nell’organismo adulto, in risposta a danni tessutali e di organo; eseguito in modo inappropriato è, per contro, coinvolto nella metastatizza-zione neoplastica. L’attivazione di MET conferisce alla cellula neoplastica un vantaggio selettivo sia in termini di progressione sia di resistenza ai farmaci (erlotinib). Solo un ristretto gruppo di tumori umani è strettamente dipendente dall’attivazione di MET; più frequentemente la sovraespressione di MET confe-risce alle cellule neoplastiche un espediente vantaggioso che ne favorisce la crescita e la proliferazione. Per questa versatilità, MET rappresenta un bersaglio promettente nella terapia biologica del cancro e delle metastasi. Attualmente sono in studio e in prossimo sviluppo diversi inibitori e sono in corso numerosi trials di fase II. La maggiore comprensione e conoscenza dei meccanismi molecolari responsabili della sensibilità e della resistenza agli inibitori di MET è, quindi, di prioritaria importanza per l’impostazione della terapia antitumorale personalizzata.

Parole chiave: ligando antagonista; oncogene-dipendenza, mutazione somatica, amplifi cazione genica

dei trattamenti. Inoltre recenti studi han-no suggerito che la deregolazione (ampli-ficazione) di MET costituisce nel NSCLC non solo un marcatore genetico predittivo di resistenza alla terapia con inibitori di EGFR ma anche un fattore prognostico in quanto associata ad una decorso clinico più aggressivo con tassi di sopravvivenza e di recidiva di malattia complessivamente peggiori.

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36 Medicina Toracica • 1/2009

AggiornAmenti di FisiopAtologiA

Bnp nella diagnosi differenziale della dispnea

Francesca Mariani

Clinica di Malattie dell’Apparato Respiratorio,

Università degli Studi di Pavia,

Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo

INTRODUZIONE

Il peptide natriuretico cardiaco di tipo B (BNP) è un neuro-ormone sintetizzato dai miociti, soprattutto cardiaci e nello speci-fi co prevalentemente da quelli ventricolari, e secreto come pre-pro-peptide (1, 2). Fon-ti extracardiache di produzione, anche se quasi del tutto trascurabili, comprendono i polmoni, i reni e le ghiandole surrenaliche.Tramite l’azione delle endoproteasi viene prima trasformato in pro-peptide (proBNP) quindi reso biologicamente attivo (BNP); questo passaggio prevede la dismissione in circolo oltre che del BNP, anche del trat-to amino terminale (NT-proBNP) inattivo e caratterizzato dall’avere un’emivita assai più lunga del BNP stesso (3). L’azione del BNP si manifesta attraverso l’attivazione della guanilato-ciclasi (4, 5).La concentrazione sia del BNP che del NT-proBNP può subire variazioni in rapporto a diverse condizioni: età, disfunzioni sisto-liche e/o diastoliche, ipertrofi a ventricola-re, insuffi cienza renale e/o patologie renali,

sindrome coronarica, anemia, aritmie car-diache, danno ischemico, stress ossidativo (6, 7). I livelli degli NPs (BNP e NT-proBNP) sono maggiori nelle donne in età fertile, dato verosimilmente correlato alla concen-trazione degli estrogeni (8), mentre sono inferiori nell’obeso in risposta all’attività metabolica esercitata dal tessuto adiposo (Tabella 1). Dal punto di vista biologico il BNP si cor-rela a svariati effetti positivi circa: diuresi, natriuresi, vasodilatazione, attività anti-fi brotica, inibizione del sistema renina-angiotensina-aldosterone e riduzione dei livelli di endotelina (4). Localmente l’an-giotensina II e l’ipossiemia miocardia acu-ta giocano un ruolo cruciale nell’indurre ipertrofi a cardiaca e nell’attivare la trascri-zione ed il rilascio del BNP.Angiotensina, endotelina, citochine e me-talloproteinasi sono in grado di infl uenza-re negativamente lo stress di parete, infi -ciando sia la funzione che la struttura del miocardio (9-11).

ABSTRACT

NP in differential diagnosis for dyspnea

The natriuretico cardiac peptide type B (BNP) is a noninvasive biomarker for the diagnosis and monitoring of cardiac disease and heart failure. Plasma levels of BNP can increase not only in course of heart failure, but even in the presence of pulmonary disease (COPD, pulmonary embolism, chronic corpulmonale, pulmonary hypertension secondary to lung fi brosis) or in combination with right ven-tricular overload.

Key Words: natriuretic peptide, clinical medicine, heart failure.

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Medicina Toracica • 1/2009 37

AggiornAmenti di FisiopAtologiABNP nella diagnosi differenziale della dispnea

APPLICAZIONE

Per insufficienza cardiaca si intende un disordine progressivo caratterizzato da un’alterazione strutturale e geometrica del ventricolo sinistro, capace di indurre un ri-modellamento cardiaco con conseguente disfunzione miocardica. Il rimodellamento solitamente precede la comparsa dei sin-tomi e poichè gli NPs sono prodotti dai miociti, il loro dosaggio è stato proposto per la diagnosi precoce della insufficienza cardiaca congestizia. D’altra parte è noto come la condizione di ipossiemia e le alterazioni anatomiche del circolo polmonare che si manifestano in corso di BPCO inducono un aumento delle resistenze polmonari che si riflettono sulla funzione cardiaca, in particolare sul cuore destro.È quindi frequente la coesistenza di tali pa-tologie, entrambe responsabili di dispnea e ai fini di una diagnosi differenziale sull’ori-gine della dispnea si è avanzata l’ipotesi di sfruttare il dosaggio del BNP quando l’esame obiettivo, i test di laboratorio e la radiografia del torace non risultano diri-menti (12). L’eterogeneità dei livelli di BNP in pazienti con scompenso cardiaco possono sovente essere motivo di confusione circa l’inter-

pretazione dei dati; più analisi infatti han-no dimostrato come tale variabilità rifletta non solo la bassa frazione d’eiezione del ventricolo sinistro, ma anche la severità delle anomalie diastoliche, della funzione del ventricolo destro e del rigurgito mitra-lico (13).Recenti studi hanno cercato di fornire dei cut-off di riferimento suddividendo i pa-zienti per patologia: insufficienza cardiaca, patologia polmonare, insufficienza cardia-ca associata a patologia polmonare. Livelli di BNP più bassi di 100 pg/ml, con un valore predittivo negativo pari all’89%, una sensibilità del 90%, una specificità del 76% ed un valore predittivo positivo del 79%, in-dicativamente paiono utili per escludere la diagnosi di insufficienza cardiaca, confer-mata invece da valori di BNP superiori a 400 pg/ml. Da una sistemica rivalutazione della letteratura è stato confermato come questi due valori, 100 e 400 pg/ml, possano essere rispettivamente usati per conferma-re o escludere la diagnosi di insufficienza cardiaca (14).Circa il 25% dei pazienti con dispnea acuta presenta concentrazioni di BNP compresi fra i due livelli sopraindicati, determinan-do quella che è stata indicata come zona grigia; in questo caso la patologia di base può essere anche diversa dall’insufficienza

Tabella 1 diagnosi differenziale fra le cause implicate nelle variazioni dei livelli sierici del Bnp.

Incremento del peptide natriuretico Decremento del peptide natriuretico

Fisiologiche

etàsesso femminile

obesità

Patologie cardiovascolari Farmaci cardiologiciinsufficienza cardiacaischemia AritmieValvulopatie disfunzione asintomatica del Vsx

ACe inibitoridiureticiB-bloccanti

Cause non cardiache Fattori non farmacologiciembolia polmonareCuore polmonaresepsiipertensione polmonareipertiroidismoinsufficienza renaletumori emorragie cerebraliepatopatie avanzate

esercizioterapia cardiaca resincronizzante

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AggiornAmenti di FisiopAtologiA ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■

cardiaca, comprendendo: embolia polmo-nare, cuore polmonare cronico, iperten-sione polmonare secondaria a fi brosi pol-monare (15).Pazienti con una disfunzione stabile del ventricolo sinistro normalmente hanno un livello base di BNP di circa 100 pg/ml o co-munque sicuramente inferiore ai 400 pg/ml (14, 16).Tali cut-off si riducono sensibilmente in corso di patologie renali; per escludere un quadro di insuffi cienza cardiaca in un sog-getto con un fi ltrato glomerulare di 60 ml/min sono necessari valori di BNP compre-si fra i 200-225 pg/ml (14, 16), mentre come precedentemente accennato, nell’obeso la concentrazione del BNP risulta essere ten-denzialmente più bassa, tanto che si è vi-sto come in soggetti con un BMI maggiore di 35 kg/m2, livelli di BNP inferiori a 60 pg/ml possono già escludere cause cardiache, mentre livelli maggiori di 200 pg/ml pos-sono essere diagnostici per insuffi cienza cardiaca (14, 16).La bronchite cronica ostruttiva è sicura-mente una delle patologie che in modo più incisivo rientra fra le diagnosi differenziali.

Questi pazienti hanno livelli di BNP elevati ma comunque non così tanto come nell’in-suffi cienza cardiaca. In questi soggetti, così come negli asmatici, concentrazioni inferiori a 100 pg/ml correlano con un va-lore predittivo negativo pari al 97.7% (17).Misurazioni parallele condotte sul NT-proBNP hanno riportato come valore cor-rispettivo ai 100 pg/ml del BNP un livello di 900 ng/L. Tale marcatore raggiunge un valore predittivo negativo per insuffi cien-za cardiaca che sale al 99% quando inferio-re a 300 ng/L. La migliore interpretazione del NT-proBNP è, come per il BNP, in concerto con i dati clinici, laboratoristici e soprattutto con le fasce d’età. A tal proposito è stato riscon-trato come livelli di NT-proBNP intorno ai 450 ng/L per soggetti di età inferiore ai 50 anni, di 900 ng/L per la fascia d’età com-presa fra i 50 ed i 75 anni ed infi ne di 1800 ng/L per gli over 75 anni possano ridurre i falsi negativi nei pazienti più giovani e i falsi positivi nei più anziani, apportanto un signifi cativo miglioramento rispetto al valore predittivo positivo associato al sin-golo dato dei 900 ng/L (18).

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RIASSUNTO

Il peptide natriuretico cardiaco di tipo B (BNP) è un biomarker non invasivo utile per la diagnosi ed il monitoraggio della patologia cardiaca e dell’insuffi cienza cardiaca. I livelli plasmatici del BNP possono incrementare non solo in corso di insuffi cienza cardiaca, ma anche in presenza di patologia polmonare da sola (COPD, embolia polmonare, cuore polmonare cronico, ipertensione polmonare secondaria a fi brosi polmonare) o in associazione a sovraccarico ventricolare destro..

Parole chiave: peptide natriuretico, medicina generale, insufficienza cardiaca.

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AggiornAmenti di FisiopAtologiABNP nella diagnosi differenziale della dispnea

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AggiornAmenti di FisiopAtologiA

necrosi emorragica di localizzazioni primitiva e secondarie di Ca broncogeno

Giulia StellaCaterina Catanese

Ernesto Pozzi

Clinica di Malattie dell’Apparato Respiratorio

dell’Università,IRCCS Fondazione

Policlinico San Matteo, Pavia

nocarcinoma polmonare. La persistenza degli episodi di importanti emottisi refrat-tari anche alla embolizzazione delle arterie bronchiali ha indotto, nonostante lo stadio avanzato (T3N3M1b) della malattia, ad eseguire la lobectomia polmonare supe-riore sinistra. Ad un mese circa dall’intervento, la pa-ziente viene nuovamente ricoverata per approfondire la natura della lesione sot-todiaframmatica, si constata un rallenta-mento psicomotorio e nell’arco di pochi giorni una franca emiparesi destra. La MNR dell’encefalo evidenzia la presenza di tre lesioni metastatiche localizzate alla corteccia temporale e frontale sinistra (Figura 1). Anche in questo caso le lesio-ni si presentano emorragiche, a fronte di un normale quadro emocoagulativo. Le condizioni della paziente si aggravarono rapidamente, con exitus nell’arco di una settimana dal ricovero.L’interesse del caso clinico è suggerito dal-la spiccata tendenza emorragica sia della neoplasia polmonare primitiva che delle localizzazioni metastatiche.

ABSTRACT

Intratumoral bleeding: case report and molecular mechanisms

Thrombosis and cancer form a vicious cycle of reciprocal promotion: thrombosis is a particularly common complication in individuals with malignancies, and its occurrence is heightened by thera-peutic interventions such as surgery or chemotherapy. Reciprocally, signaling from tissue factor and activated proteins of the coagulation cascade stimulates tumor growth, angiogenesis and metastasis. On the other hand it is well known that a systemic hemorrhagic syndrome can coexist in consequence to clotting factors massive depletion.Interestingly here we present a case of metastatic lung adenocarcinoma featuring high intratumoral bleeding capacity that eventually led to patient precocious death; unexpectedly no thrombo- hemor-rhagic systemic alterations were detected. We discuss the molecular mechanisms that might sustain this unusual malignant phenotype.

Key Words: cancer, bleeding, coagulation system, hemorrhagic necrosis, neoangiogenesis.

Donna di 50 anni, senza precedenti pato-logie di rilievo, si reca in P.S. per dispnea ingravescente ed emottisi massiva. Sotto-posta a radiografi a del torace si evidenzia un grossolano infi ltrato del lobo superiore sinistro, parzialmente atelettasico, accom-pagnato da alterazioni parenchimali com-patibili con infarcimento emorragico. Lo studio TC successivo conferma la lesione emoftoizzante polmonare sinistra e segna-la la presenza di una formazione emorragi-ca - associata ad ematoma retroperitone-ale - a carico del surrene di destra, molto suggestivo per la natura ripetitiva (Figura 1). Negativa invece la TC dell’encefalo. No-nostante la terapia antifi brinolitica attuata per via venosa l’emottisi non accenna ad attenuarsi, provocando spiccata anemizza-zione, tale da richiedere plurime emotra-sfusioni, ed inondazione delle vie aeree re-sponsabili di crisi asfi ttiche prontamente affrontate e risolte con broncoaspirazioni tramite fi brobroncoscopio. L’analisi cito-istologica su agoaspirato transtoracico della massa neoplastica del lobo superiore sinistro consente di porre diagnosi di ade-

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AggiornAmenti di FisiopAtologiANecrosi emorragica di localizzazioni primitiva e secondarie

Sanguinamento intratumorale in assenza di alterazioni sistemiche della coagulazione: quali i meccanismi molecolari coinvolti?Il meccanismo di metastatizzazione è un processo multistep attraverso il quale le cellule neoplastiche si distaccano dal tu-more primario, invadono e sopravvivono nel torrente circolatorio, lo superano e infine colonizzano organi distanti. Ciascu-no di questi passaggi presenta steps rate-limiting che sono condizionati sia da fat-tori direttamente correlati al tumore che da fattori non-cancerosi, ovvero presenti nel microambiente che circonda il tumo-re. L’acquisizione del fenotipo invasivo da parte di un clone neoplastico è, pertanto, direttamente correlata alla capacità di neo-angiogenesi del tumore che è, a sua volta, indotta da molteplici mediatori mo-lecolari (e.g. Fattore di Crescita per l’En-dotelio Vascolare-VEGF) che agiscono con meccanismo paracrino e/o autocrino. La

correlazione tra alterazione della coagula-zione, angiogenesi e cancro è confermata da diverse evidenze in ambito clinico (sin-drome di Trousseau) e bio-molecolare: - l’attivazione della coagulazione conferi-

sce al tumore un vantaggio selettivo per la propria sopravvivenza e progressione (malignità);

- molte lesioni genetiche comunemente associate a tumori umani, possono mo-dulare l’espressione di geni codificanti per fattori della coagulazione (e.g ove-respressione dell’oncogene MET e sovra regolazione dell’Inibitore dell’Attivatore del Plasminogeno (PAI-1) e della ciclo-ossigenasi-2 (COX-2);

- mutazioni somatiche puntiformi in di-versi oncogeni (EGFR, KRAS) possono indurre sovraregolazione di fattori pro-teici pro-angiogenetici e pro-coagulanti.

A livello fenotipico questi meccanismi si traducono in un’alterazione dei meccani-smi di regolazione della coagulazione, con

Figura 1immagini tomografiche toracica ed addominale alla diagnosi e rmn encefalica post-chirurgica.

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sbilanciamento a favore di uno stato di ipercoagulabilità, molto sovente refratta-ria alla terapia. In relazione al progressivo consumo dei fat-tori della coagulazione è possibile lo svilup-po di fenomeni emorragici e sanguinamenti generalizzati. Molto diverso in termini pato-genetici è lo sviluppo di stravasi emorragici e sanguinamenti limitati alle aree interessate dal tumore e/o dalle lesioni secondarie. An-corché i meccanismi molecolari responsabi-li non siano stati ad oggi completamente de-lucidati, alcuni fattori sono stati identificati come decisamente rilevanti nell’induzione di questo fenotipo particolarmente inusua-le. Tra questi sono propri del tumore: 1. le alterazioni strutturali della parete va-

scolari neoformata;2. la produzione - con meccanismo auto-

crino - di mediatori proinfiammatori e favorenti fenomeni emorragici.

Inoltre anche l’alterazione dei meccani-

smi che regolano l’interazione tra il nuo-vo strato endoteliale e il microambiente circostante può essere responsabile della genesi di sanguinamenti intratumorale.

Neoangiogenesi intratumorale aberranteNel corso dello sviluppo embrionale i pre-cursori dell’endotelio (angioblasti) sono assemblati a costituire una rete vascolare primitiva (vasculogenesi) che, successiva-mente, si espande e modella (angiogene-si). Questo processo è modulato da diversi mediatori biologi; tra questi VEGF induce l’attivazione degli angioblasti; PDGF sti-mola il reclutamento dei periciti e delle cellule muscolari lisce; TGF-b1 stabilizza i vasi neoformati. In condizioni patologi-che (e.g. cancro), la crescita di nuovi vasi avviene sia attraverso vasculogenesi (mo-bilizzazione degli angioblasti) che angio-genesi (crescita di nuovi germogli vasali)

Figura 2 meccanismi di angiogenesi e arteriogenesi. A) nel corso dello sviluppo embrionale angioblasti di derivazione midollare sono reclutati da mediatori quali VegF, gm-CsF e tgF-b1 a dare origine a strutture vascolari primitive. lo sviluppo di diramazioni collaterali (arteriogenesi) è indotto da diversi mediatori tra cui VegF, pdgF ed efrine. B) nel corso della neoangiogenesi intratumorale le strutture vascolari mantengono caratteri citologici mesenchimali che le rendono inadeguate alla nuova portata sanguigna; sono pertanto, frequenti stravasi ematici e francamente emorragici conseguenti al cedimento strutturale delle pareti vascolari immature.

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AggiornAmenti di FisiopAtologiANecrosi emorragica di localizzazioni primitiva e secondarie

o arteriogenesi (progressione collaterale). Lo squilibrio tra i diversi mediatori mole-colari e fattori di crescita induce alterazio-ni strutturali a livello della parete vascola-re neoformata (che assume caratteristiche mesenchimali) tali da renderle inadeguate alla nuova portata e da favorire rotture e conseguenti stravasi emorragici intra e peri-tumorali (Figura 2). Inoltre è stato dimostrato che la densità microvascolare intratumorale (che è fun-zione del grado di ipossia tessutale) non solo correla in modo direttamente propor-zionale con la prognosi, ma che l’alto flus-so intravascolare è associato a maggiore indice di proliferazione cellulare in assen-za di segni di invasione vascolare.

Mediatori pro-emorragici di derivazione paracrina e autocrinaL’attivazione della cascata della coagu-lazione a livello sistemico, con possibile

conseguente sviluppo di coagulazione in-travascolare disseminata (CID), comporta una carenza locale-intralesionale dei fattori della coagulazione. Inoltre alcuni mediatori della reazione infiammatoria che accompa-gna la crescita tumorale possono agire ini-bendo la coagulazione. Tra questi Tumour Necrosis Factor (TNF) rappresenta la ci-tokina infiammatoria per la quale è stata descritta per la prima volta la capacità di indurre in tempi brevi dalla sua espressio-ne necrosi emorragica massiva in tumori generati sperimentalmente. Nel 1975 Car-swell identificò nel TNF la causa di quello che definì “uno dei più conosciuti enigmi della biologia del cancro: la necrosi emor-ragica” (Figura 3). Venne successivamente dimostrato che le stesse cellule trasforma-te sono in grado di secernere costitutiva-mente minime quantità di TNF che agisce promuovendo la crescita neoplastica e fa-vorendo la necrosi emorragica locale. La

Figura 3 dalle endotossine batteriche al tnF. A) paziente affetto da sarcoma a volto con metastasi epatiche fotografato nel 1898 dal chirurgo newyorkese William Coley. B) lo stesso paziente fotografato dopo trattamento con la tossina che Coley ottenne da estratti batterici (erysipela). nel 1931 gratia e linz osservarono che la tossina di Coley induceva regressione (per necrosi) del tumore in modelli animali e successivamente o’malley dimostrò che anche il siero degli animali infettati dalla tossina induceva, se iniettato in animali portatori di tumore, necrosi emorragica con possibili sanguinamenti massivi. pertanto concluse che la esotossina di Coley conteneva, di fatto, una “fattore in grado di indurre necrosi tumorale”. solo nel 1975 Carsrwell dimostrò sperimentalmente che questo fattore era in realtà prodotto dalle cellule dell’ospite (macrofagi) in risposta al tumore ed era in grado di portare a necrosi (anche massiva) il tumore stesso; proprio per descrivere l’attività di questa endotossina coniò il termine “tumor necrosis factor - tnF”.

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necrosi tumorale mediata da TNF è emor-ragica in quanto induce direttamente la di-struzione del letto vascolare. È stata inoltre descritta l’attivazione di cellule endoteliali mediata da TNF e IL-1 ponendo pertanto le basi per la dimostrazione dell’esistenza di una interdipendenza a livello di espressione genica tra meccanismi della infiammazione, coagulazione e oncogenesi. In conclusione la necrosi tumorale emorragica può essere indotta da TNF prodotto da diversi tipi cel-lulari (Figura 4).

Cellule tumoraliÈ stato recentemente dimostrato che l’atti-vazione dei pathways dell’infiammazione

è a valle di mutazioni in diversi oncogeni e geni oncosoppressori. Nel 2003 è stato dimostrato che l’inattivazione del gene on-cosoppressore Von Hippel Lindau (VHL) induce un incremento nella sintesi di TNF; un altro esempio è dato dalla attività can-cerogena dell’H. pylori: l’Helicobacter è un potente induttore di TNF che, se presente in cellule portatrici di mutazioni nella se-quenza codificante per K-RAS, ne induce la trasformazione maligna.

Cellule dell’ospite presenti nel microambiente circostante il tumoreIl TNF prodotto dalle cellule della linea mieloide (macrofagi, cellule di Kupffer) e

Figura 4 effetti del tnF sul tumore. il tnF prodotto sia con meccanismo autocrino che secreto dalle cellule dell’ospite circostanti il tumore agisce legandosi ai recettori trans- membrana appartenenti alla famiglia tnF receptor 1 (tnFr1). il tnF agisce promuovendo la crescita neoplastica e la progressione metastatica e inducendo il rimodellamento della matrice extracellulare, in un contesto di immunosoppressione mediato dal contributo di diverse altre citokine. in particolare la reazione infiammatoria correlata alla attivazione di tnF induce la distruzione paradossa del letto vascolare neoformato a sostegno dell’aumento del volume del tumore. Quest’ultimo effetto può essere responsabile di fenomeni- incontrollati- di emorragia intralesionale. elevati livelli di tnF sono presenti nel siero dei pazienti affetti da tumore; i livelli sia nei campioni bioptici che nel siero sembrano essere tumore e tessuto-specifici.

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Natural Killers è in grado di indurre infiam-mazione cronica che agisce inducendo o promuovendo la crescita neoplastica. Il segnale mediato da TNF induce nella cellula neoplastica l’attivazione del fattore di trascrizione NF-κB che, dopo trasloca-zione nel nucleo, induce la trascrizione di geni codificanti per mediatori dell’infiam-mazione e della promozione neoplastica. L’attivazione aberrante della angiogenesi è mediata dalla inibizione del gene onco-soppressore TSC1 (Tuberous Sclerosis

Complex 1) con conseguente attivazione di mTOR e VEGF. La necrosi emorragica è prevalentemente indotta dalla reazione infiammatoria peritumorale che distrugge le pareti endoteliali neoformate. Queste evidenze hanno avuto risvolti anche in ambito terapeutico: già nel 1993 anticorpi anti-TNF sono stati utilizzati nel trattamen-to di tumori umani metastatici. Nonostante non siano ad oggi delucidati i meccanismi di azione, studi di fase I e II con Infliximab ed Etanercept hanno evidenziato una stabi-

Figura 5 integrine ed Angiogenesi. A) in condizioni normali all’interfaccia delle pareti vascolari i livelli di integrina αv-b3 e del recettore di VegF (Flk-11) sono minimi. B) in condizioni patologiche (e.g. cancro) associate a neoangiogenesi i livelli di integrina sono aumentati: l’attivazione delle due subunità delle integrina attiva la matrice extracellulare e molecole promuoventi la crescita di nuovi vasi. le integrine stimolano la neoangiogenesi agendo con altre integrine “sorelle” e amplificando la risposta di Flk-1 al VegF. esperimenti in vitro hanno documentato che il blocco della integrina αv-b3 in uno stato conformazionale non attivo, inibisce l’angiogenesi VeFg-mediata. Alterazioni strutturali (mediate da lesioni genetiche ed epigenetiche) possono alterare questi rapporti e causare fenotipi aberranti, coerenti, ad esempio, con manifestazioni emorragiche locali.

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lizzazione di malattia in pazienti affetti da tumori in progressione. Inoltre, farmaci mi-metici di SMAC (o DIABLO) che bloccano gli effetti pro-infi ammatori generati dal pa-thway di TNF hanno dimostrato effi cacia a livello sperimentale nella inibizione della secrezione autocrina di TNF. Elevati livelli di TNF inducono resistenza al platino e agli inibitori di B-RAF. Nei pazienti con tumori in stadio avanzato studi preliminari han-no dimostrato una effi cacia degli inibitori di TNF in combinazione con altri farmaci: l’antiangiogenetico bevacizumab sembra essere un candidato promettente in grado di sinergizzare con gli inbitori di TNF per contrastare la neoangiogenei e la necrosi emorragica TNF-mediate.

L’indecisione delle integrineUn altro punto rilevante nella genesi di emorragie intratumorali è dato dalla inte-razione tra tumore e stroma circostante e dalle conseguenze sullo sviluppo di nuovi vasi. In questa prospettiva il ruolo delle in-tegrine è particolarmente rilevante. Peter Carmeliet ha identifi cato nella “indecisio-

ne delle integrine” uno dei principali mec-canismi che possono regolare attivamente la neoangiogenesi. La matrice extracellu-lare è costituita da un network di proteine che fornisce un supporto meccanico per lo sviluppo di nuovi vasi e per modularne successivamente la crescita. Le integri-ne sono molecole poste sulla superfi cie cellulare che sono in grado di legare le proteine della matrice e trasmettere il se-gnale all’interno della cellula. Alterazioni genetiche (mutazioni nelle sequenze codi-fi canti o silenziamento epigenetico) sono responsabili di alterazioni nella espressio-ne delle integrine con conseguente svilup-po di difetti a livello della interfaccia tra struttura endoteliale e stroma di supporto. Inoltre, diversi mediatori molecolari (tra cui VEGF) possono regolare l’espressione di queste proteine. Infi ne le integrine pos-sono promuovere la neoangiogenesi anche facilitando la migrazione di cellule endote-liali attraverso rotture proteolitiche della matrice extracellulare (ECM): anche a tale livello è possibile la genesi di fenomeni mi-croemorragici (Figura 5).

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RIASSUNTO

Trombofilia e cancro sottendono meccanismi molecolari responsabili di una reciproca attivazione e pro-mozione: l’insorgenza di trombosi è una complicanza molto comune nei soggetti affetti da neoplasie e, d’altro canto, è noto come l’attivazione della cascata della coagulazione possa stimolare la crescita e la progressione tumorale. Inoltre è possibile l’insorgenza di una sindrome trombo-emorragica paraneopla-stica sistemica coerente con un progressivo consumo dei fattori pro coagulanti. Il riscontro di sanguinamento localizzato alla sola sede della lesione neoplastica è, invece, particolar-mente raro Presentiamo il caso di una paziente affetta da adenocarcinoma broncogeno multimetastatico che, già all’esordio, presentava emorragie massive a genesi limitata alle aree di crescita e infiltrazione neoplastica; l’entità particolarmente grave dei sanguinamenti ha condotto in breve tempo al decesso della paziente. Inaspettatamente a livello sistemico non sono state diagnosticate alterazioni del sistema coagu-lativo. I meccanismi molecolari responsabili della genesi di questo rara sindrome maligna sono molteplici e rimangono- ad oggi - non del tutto delucidati.

Parole chiave: cancro, sanguinamento, cascata della coagulazione, necrosi emorragica, neoangiogenesi.

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tesi di laurea

Proteinosi alveolare polmonare

Francesca Mariani

Scuola di Specializzazione in Malattie dell’Apparato Respiratorio,Università degli Studi di PaviaAnno Accademico 2007/2008

CLASSIFICAZIONE

La PAP si presenta in tre forme clinica-mente distinte: secondaria, congenita e primitiva, ognuna con una propria storia naturale e con caratteristiche cliniche e istologiche distinte (Tabella 1). 1) La PAP secondaria si sviluppa in asso-ciazione a condizioni che comportano una disfunzione o una diminuzione numerica dei macrofagi alveolari. Tali condizioni comprendono: neoplasie ematologiche, malattie genetiche del metabolismo (come l’intolleranza proteica con lisinuria),immunosoppressione farmacologica, ina-lazione di polveri inorganiche (ad es. sili-ce) o fumi tossici ed infezioni (4, 5).2) La forma congenita, riconosciuta come forma distinta nel 1981, comprende un eterogeneo gruppo di situazioni correlate a mutazioni di tipo autosomico recessivo nei geni che codifi cano le proteine B o C del surfactante (SP-B, SP-C) o la catena βc del recettore per il fattore di stimolazione delle colonie granulocito-macrofagiche (GM-CSF) (6, 7).

ABSTRACT

Pulmonary alveolar proteinosis

Pulmonary alveolar proteinosis (PAP) is a disorder characterized by accumulation of lipoproteina-ceous, eosinophilic, PAP-positive material within the alveolar spaces. PAP is an extremely rare disor-der; it occurs in three distinct clinical forms: congenital, secondary and autoimmune. The clinical course of PAP is variable, ranging from spontaneous remission to respiratory failure. Whole lung lavage (WLL) is the gold standard treatment. The outcomes post WLL can run from complete recovery to persistent disease, although well controlled by WLL.

Key Words: pulmonary alveolar proteinoisis, anti GM-CSF antibody, whole lung lavage.

INTRODUZIONE

La proteinosi alveolare polmonare (PAP) è una rara malattia respiratoria, nota da poco meno di 50 anni, caratterizzata dall’accumulo negli alveoli di materiale lipoproteinaceo eosinofi lo, PAS positivo (1). Il decorso clinico della malattia è as-sai variabile, potendo spaziare dall’insuf-fi cienza respiratoria grave alla risoluzione spontanea. Denominazioni alternative della malattia sono: proteinosi alveolare, lipoproteinosi alveolare, fosfolipidosi alve-olare, lipoproteinosi alveolare polmonare, fosfolipoproteinosi alveolare polmonare.

EPIDEMIOLOGIA

Attualmente la prevalenza della PAP si sti-ma essere dello 0.37 per 100.000 persone (2); l’età media al momento della diagno-si è 39 anni; la maggior parte dei pazienti sono maschi (M:F = 2.65:1.0) e il 72 % ha un’anamnesi positiva per il fumo di siga-retta (3).

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tesi di laurea n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n

Tabella 1 Classificazione delle proteinosi alveolari polmonari (seymour and Presneill, 2002; Nakata et al., 2008).

PAP Abs GM-CSF + PAP Abs GM-CSF -PaP autoimmuni (ex idiopatiche) Congenite (geni sP-B , sP-C e GM-CsF br)PaP secondarie:- malattie autoimmuni- esposizione polveri inorganiche- infezioni opportuniste

Neoplasie-emopoietiche (mielodisplasia)

lPi (intolleranza aminoacidica con lisinuriainclassificabili

Figura 1 Omeostasi del surfactante nel soggetto sano e nel paziente affetto da PaP autoimmune (8).

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tesi di laureaProteinosi alveolare polmonare

3) La PAP primitiva, detta anche ac-quisita e in letteratura spesso indicata come idiopatica, è ad oggi la forma più frequente, rappresentando circa il 90% di tutte le PAP. Nell’ultimo decennio, partendo da stu-di sia su topi deficitari geneticamente di GM-CSF che nell’uomo, è stato dimo-strato che la PAP primitiva è una ma-lattia autoimmune, strettamente corre-lata ad alti livelli di autoanticorpi con-tro il fattore di stimolazione delle colonie granulocito-macrofagiche (GM-CSF). Tali autoanticorpi, esercitando un’azione neutralizzante, determinano un’insuf-ficiente maturazione dei macrofagi al-veolari, risultando così deficitari in nu-merose funzioni tra le quali il cataboli-smo dei fosfolipidi e delle proteine con conseguente rottura dell’omeostasi del surfactante, espansione del pool extra-cellulare, riempimento dell’alveolo e riduzione della superficie disponibile per l’ematosi (Figura 1) (8).I pazienti proteinosici presentano un’au-mentata suscettibilità alle infezioni, talo-ra sostenute da microrganismi opportu-nisti (Nocardia, Micobatteri, Aspergillo, Criptococco, Pneumocistis, Corinebacte-rium) (23, 24). Come dimostrato in topi knockout deficitari geneticamente di GM-CSF, un meccanismo alla base di questa manifestazione clinica è da imputarsi alla disfunzione dei neutrofili causata dall’azione degli autoanticorpi anti GM-CSF.

CRITERI DIAGNOSICI

Presentazione clinicaLa maggiorparte dei pazienti con PAP si presenta allo specialista per dispnea da sforzo progressiva ad esordio insidioso e tosse. Meno comunemente si registrano febbre, dolore toracico o emottisi, tuttavia più frequenti quando è presente un’infezio-ne secondaria. Dai dati anamnestici non emergono significative esposizioni am-bientali o altre potenziali cause. L’esame obiettivo può essere negativo, anche se

nel 50% dei pazienti si rilevano rumori ag-giunti discontinui inspiratori, cianosi nel 25% e ippocratismo digitale in una picco-la percentuale (3, 9, 10).

Presentazione radiologicaNella PAP non complicata la radiografia del torace usualmente rivela un interes-samento bilaterale degli spazi aerei, con un pattern mal definito nodulare o con-fluente, spesso con predominanza ilare, suggestivo dell’aspetto “ad ali di pipistrel-lo” dell’edema polmonare, senza tuttavia altri segni radiografici di scompenso car-diaco sinistro (Figura 2) (11, 12). Spesso l’estensione dell’alterazione radiografica è sproporzionata in eccesso rispetto ai sintomi ed ai segni.Il gold standard radiologico rimane co-munque la tomografia computerizzata ad alta risoluzione (HRCT); tale tecnica per-mette di evidenziare aree di attenuazione a vetro smerigliato a distribuzione disomo-genea (“patchy”) con ispessimento con-comitante dei setti inter- ed intralobulari. Questo pattern è comunemente indicato col termine di “crazy paving” (Figura 3) (13, 14).

Riscontri laboratoristici e funzionaliUsualmente non si riscontrano significati-ve alterazioni delle comuni indagini ema-

Figura 2 rx del torace di un paziente affetto da PaP autoimmune: coinvolgimento bilaterale degli spazi aerei, di tipo reticolo-nodulare, con risparmio di alcune aree di parenchima polmonare.

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tochimiche, benchè possono comunque risultare moderatamente aumentati: LDH, CEA, citocheratina 19, mucina KL-6, pro-teine SPA, B e D. Fra tutti l’LDH rifl ette accuratamente il gradiente di diffusione alveolo-capillare per l’ossigeno e la capa-cità vitale (15, 16).Le prove di funzionalità respiratoria pos-sono essere normali, ma tipicamente evi-denziano una sindrome disventilatoria restrittiva con una moderata compromis-sione della capacità vitale forzata (FVC), della capacità polmonare totale (TLC)

e una grave riduzione della capacità di diffusione per il monossido di carbonio (TLco). L’ipossiemia è causata da ineguaglianza del rapporto ventilazione-perfusione e da shunt intrapolmonare, con conseguente aumento del gradiente di diffusione alve-olo-arterioso (3).

Autoanticorpi anti GM-CSFLa scoperta degli autoanticorpi ha con-dotto allo sviluppo di un test di aggluti-nazione al lattice dotato di alta sensibilità (100 %) e specifi cità (98 %). Tali anticorpi, immunoglobuline di tipo G ad azione neutralizzante, sono rilevabili sia nel BAL che nel siero dei pazienti af-fetti dalla forma di PAP autoimmunitaria, mentre i loro livelli non risultano signifi -cativamente dosabili nella PAP congenita o secondaria così come nei soggetti sani (17, 18). La loro positività è pertanto con-siderata patognomonica di PAP primitiva (Figura 4).

Reperti anatomo-patologiciNell’era pre-anticorpi anti GM-CSF la biopsia polmonare chirurgica era il gold standard per la diagnosi di PAP. Al microscopio ottico l’architettura del parenchima polmonare risulta preserva-ta, le pareti delle vie aeree di transizione e degli alveoli sono solitamente normali (Figura 5 D) o talvolta ispessite da un in-fi ltrato linfocitario o meno comunemente da fi brosi. Gli alveoli sono ripieni di ma-

Figura 3 scansione assiale e coronale in HrCt relativa al paziente di cui in fi gura 2. È evidente la diffusa attenuazione a vetro smerigliato associata ad ispessimento dei setti inter- ed intralobulari.

Figura 4 differente presenza degli abs anti GM-CsF nel Bal e nel siero di pazienti con proteinosi alveolare polmonare.

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acquired Congenital secondary Other lung Normal diseases

Pulmonary alveolarproteinasis

acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal acquired Congenital secondary Other lung Normal

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tesi di laureaProteinosi alveolare polmonare

Figura 5 Caratteristiche anatomo patologiche del materiale reperibile a livello alveolare nelle PaP: (a) materiale opalescente e lattescente; (B) macrofagi schiumosi; (C) strutture membranarie fusiformi e detriti amorfi; (d) materiale eosinofilo; (e) materiale Pas +; (F) accumulo di sP-a nello spazio intralveolare (8).

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tesi di laurea n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n n

teriale granulare, eosinofilo, PAS positivo (Figura 5 D e 5 E) in cui sono evidenti macrofagi sia integri sia in degenerazione; le colorazioni immunoistochimiche rive-lano un abbondante accumulo di proteine del surfactante, soprattutto quella di tipo A (Figura 5 F). Nell’era post-anticorpi anti GM-CSF la biopsia chirurgica è stata pressochè sop-piantata sia dalla valutazione anatomo-patologica del materiale recuperato in corso di lavaggio bronchiolo alveolare che dal dosaggio sierico degli Ab anti GM-CSF. Macroscopicamente il liquido di lavaggio ha un aspetto opaco, lattescente (Figura 5 A), mentre microscopicamente si riscontrano voluminosi macrofagi alve-olari schiumosi (Figura 5 B) o macrofagi alveolari monocito-simili, un aumentato numero di linfociti, ma relativamente po-che cellule infiammatorie di altro tipo, grandi ed acellulati corpi eosinofili sullo sfondo di materiale granulare basofilo colorato con acido periodico-Schiff (PAS positivo) ed elevati livelli di proteine del surfactante (1, 19, 20). La microscopia elettronica mostra che il materiale accumulato negli alveoli consi-ste in frammenti amorfi, granulari, con-tenenti numerose strutture a membrana, fusate, osmiofile con una periodicità di 4.7 nm (corpi lamellari e mielina tubula-re, Figura 5 C).

APPROCCI TERAPEUTICI

La terapia corrente della forma congenita è di supporto (21), anche se è stato ripor-tato un caso di trapianto polmonare co-ronato da successo (22). La terapia per la PAP secondaria generalmente comporta il trattamento della condizone sottostante: ad esempio, quando la malattia è associa-ta ad una neoplasia ematologica, un regi-me chemioterapico efficace o il trapianto di midollo osseo possono correggono la malattia polmonare associata (5).

Lavaggio polmonare massivoLa PAP autoimmune è stata trattata con successo fin dall’inizio degli anni 1960

con il lavaggio polmonare massivo (Who-le Lung Lavage, WLL): questa procedura rimane anche oggi il punto chiave del trat-tamento (23). Il lavaggio polmonare massivo migliora i reperti chimici, funzionali, radiologici nonchè la sopravvivenza. La durata media del beneficio clinico del WLL è stata riportata nell’ordine di 15 mesi (24). Interessante sottolineare come il WLL sia associato anche ad un miglioramento dei difetti di migrazione (25) e di fagocitosi (26) dei macrofagi alveolari.

Lavaggio polmonare segmentaleIl lavaggio lobare in fibrobroncoscopia viene indicato come trattamento alterna-tivo al WLL. Aliquote di 50-100 ml di soluzione salina vengono ripetutamente infuse in ogni segmento lobare del polmone fino a rag-giungere un volume totale di 2000 ml. Il polmone controlaterale viene sottoposto alla medesima procedura circa 2-4 giorni dopo; il tutto può essere ripetuto dalle 2 alle 5 volte (27).

Terapia con GM-CSFLe recenti comprensioni patogenetiche sulla proteinosi alveolare polmonare au-toimmune hanno condotto allo sviluppo di trial clinici sull’impiego del GM-CSF nel trattamento della malattia. È stato dimostrato che la somministrazio-ne di GM-CSF esogeno, sia per via sotto-cutanea che per via aereosolica, riduce la capacità neutralizzante degli autoanticor-pi, facilitando il ripristino di una normale funzione dei macrofagi alveolari (28).

PlasmaferesiII legame tra la PAP primitiva e la presen-za di autoanticorpi anti GM-CSF non ha fornito il razionale solo per la sommini-strazione esogena del GM-CSF, ma anche per tutti quei trattamenti volti a ridurre la concentrazione degli anticorpi circolanti, come per esempio la plasmaferesi.I risultati relativi a tale metodica sono però al momento ancora solo il frutto di due singoli reports (29).

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tesi di laureaProteinosi alveolare polmonare

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RIASSUNTO

La Proteinosi alveolare polmonare è una patologia caratterizzata dall’accumulo a livello degli spazi alve-olari di materiale lipoproteinaceo, eosinofi lico, PAP-positivo. La PAP è un disordine estremamente raro; dal punto di vista eziopatologico se ne possono distinguere tre diverse forme: congenita, secondaria ed autoimmune. La sua evoluzione clinica è variabile, potendo oscillare dalla risoluzione spontanea all’in-suffi cienza respiratoria. Al momento attuale il lavaggio polmonare massivo (WLL) viene considerato il trattamento standard. I risultati post WLL possono variare dalla completa risoluzione alla persistenza di malattia, comunque controllabile con WLL successivi.

Parole chiave: proteinosi alveolare, anticorpi anti GM-CSF, lavaggio polmonare.

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