12 Mesi - BERGAMO - Maggio 2013

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MENSILE DI ATTUALITÀ ECONOMIA INCHIESTE OPINIONI E CULTURA DA BERGAMO E DAL MONDO N. 4 del 2013 - MAGGIO 2013 - 2,50 1 Lavoro all’estero biglietto di sola andata PENSIERI DI Sergio Bonaldi Michele Colombo Pietro Ghislandi Giovanni Urga STRADE E QUARTIERI Celadina HINTERLAND Azzano San Paolo VIAGGIO IN PROVINCIA Castro Costa Volpino Lovere Rogno Sovere VISONI Gli allevamenti che infiammano la Bassa MATRIMONI | Inside | Parete Nord | Bacheca | What’s up | Volo a vela | “Fughe” all’estero e sponsor per risparmiare

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12 Mesi - BERGAMO - Maggio 2013

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MENSILE DI ATTUALITÀ ECONOMIA INCHIESTE OPINIONI E CULTURA DA bERgAMO E DAL MONDO

N. 4 del 2013 - MAggIO 2013 - € 2,50 € 1

Lavoro all’esterobiglietto di sola andata

PENSIERI DISergio Bonaldi

Michele ColomboPietro Ghislandi

Giovanni Urga

StRaDE E qUaRtIERI

Celadina

HINtERLaNDazzano San Paolo

vIaGGIo IN PRovINCIa

CastroCosta volpino

LovereRognoSovere

vISoNIGli allevamenti che infiammano la Bassa

MatRIMoNI

| Inside | Parete Nord | Bacheca | What’s up | volo a vela |

“Fughe” all’estero e sponsor per risparmiare

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DIRETTORE RESPOnSABIlEGIORGIO [email protected] CARÈGIUSEPPE RUGGIERI

EDITOREEDIZIONI 12 SRLREDAzIOnEVIA PAGLIA, 26 - 24122 BERGAMOTEL. [email protected] LEGALE: BRESCIAVIALE DUCA DEGLI ABRUZZI, 163

REgISTRAzIOnETRIBUNALE DI BERGAMO N. 10/12 DEL 16/03/2012

IMPAgInAzIOnESALE’S SOLUTIONS SRL

STAMPASTILGRAF . BRESCIA . ITALIA

FOTOgRAFIEARCHIVIO SALE’S SOLUTIONS, UMBERTO FAVRETTO AGENZIA REPORTER, ROLANDO GIAMBELLI IL FOTOGRAMMA, PATRICK MERIGHI BRESCIA IN VETRINA, CRISTINA MININI

PuBBlICITÀVIA PAGLIA, 26 - 24122 BERGAMOTEL. [email protected]: [email protected]

VIA PAGLIA, 26 24122 BERGAMO. ITALIATEL. [email protected]

HAnnO COllABORATOSILVIO BETTINI, DONATELLA CARÈ, ALESSANDRO CHEULA, MARCO CIMMINO, MARIO CONSERVA, LAURA DI TEODORO, GIOVANNA DOLCI, FULVIO FACCI, BRUNO FORZA, LORENZO FRIZZA, ROBERTO GIULIETTI, LAURA BERNARDI LOCATELLI, SARA NORIS, ANTONIO PANIGALLI, LELIA PARISI, MASSIMO ROSSI, GIUSEPPE RUGGIERI, ROSANNA SCARDI, DANIELE SELINI, GIORDANA TALAMONA, DONATELLA TIRABOSCHI, ALESSANDRA TONIZZO.

DODICIMESI12/

12DODICIMESI MEnSIlE DI ATTuAlITÀ ECOnOMIA InCHIESTE OPInIOnI E CulTuRA DA BERgAMO E DAl MOnDO

DODICIMESI12/SOMMARIO

L’APERITIVOINSIDEBACHECAPARETE NORD

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RUBRICHE

STRADE E QUARTIERI: ARRIVANO LE “TURBOMAMME” E LA CELADINA RITROVA LO SPRINTHINTERLAND: AZZANO, RESTA UN SOGNOIL RILANCIO DELL’AREA DELL’EX CASTELLOVIAGGIO IN PROVINCIA: L’ALTO SEBINO PUNTAAL TURISMO PER INTEGRARE L’ANIMA INDUSTRIALE

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TERRITORIO

MICHELE COLOMBO: “QUANTI AFFARI IN PIÙSE GLI IMPRENDITORI SAPESSERO L’INGLESE”GIOVANNI URGA: “GIOVANI SEMPRE PIÙSFIDUCIATI. PER QUESTO SCAPPANO ALL’ESTERO”PIETRO GHISLANDI: “I COMICI DI OGGI?SONO NEVROTICI E FINTI”SERGIO BONALDI: “UN MINISTRO COME IDEMPUÒ FAR BENE ALLO SPORT”

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PENSIERI DI

VOLO A VELA: QUELLA VOGLIADI SENTIRSI AQUILE

P. 66SPORT

Questo periodico è associato all’Unione Stampa Periodica Italiana

COSTUME E SOCIETÀ: IL “RIUSO” FA TENDENZAWHAT'S UP? COM’È DIFFICILE ESSERE… AL NATURALE

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ALTRO

LAVORO ALL’ESTERO:BIGLIETTO DI SOLA ANDATA

INCHIESTA P. 21

TENDENZEMATRIMONI: “FUGHE” ALL’ESTEROE SPONSOR PER RISPARMIARE

P. 27

GLI ALLEVAMENTI DI VISONICHE INFIAMMANO LA BASSA

INCHIESTA P. 58

MAggIO 2013nuMERO 4RIVISTA MENSILE € 2,50

ABBOnAMEnTO AnnuAlE € 30TRAMITE BONIFICO BANCARIO INDICANDO NELLA CAUSALE “ABBONAMENTO ANNUALE 12 MESI” E NOME DELL’ABBONATOIBAN: IT 07 R05116 11201 000000027529PER RICEVERE LA PUBBLICAZIONE, INSIEME AL BONIFICO SARÀ NECESSARIO INVIARE UNA MAIL ([email protected]) O UN FAX (AL N. 030.3758444) INDICANTE, OLTRE AL NOME DELL’ABBONATO, L’INDIRIZZO AL QUALE INVIARE LA RIVISTA E UN NUMERO DI TELEFONO

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APERITIVOL/

12/DODICIMESIMAggIO

Quando sento parlare di IMU, penso di essere diven-tato vecchio. Adesso tutto corre veloce, ogni giorno bisogna evolversi, pena l’impossibilità di capire cosa succede intorno a te. Una volta era tutto più sem-plice e, anche senza essere economisti, si potevano gestire le famiglie, le imprese e le pubbliche ammi-nistrazioni col semplice buon senso; oggi gli econo-misti fanno i politici, i politici fanno gli economisti e del buon senso se ne è persa traccia. Per far calare lo “spread” e ridurre gli interessi del debito pubblico, così che le imprese e le famiglie paghino meno interessi su credito e mutui, aumen-tiamo le tasse, dicono i “soloni”. Cioè, in sostanza: per pagare di meno dovete pagare di più. Togliamo l’IMU sulla prima casa e raddoppiamola sui capan-noni e negozi. Ma la parola d’ordine non era “lavoro, lavoro, lavoro”? Non doveva ripartire l’edilizia? Non si doveva favorire l’aumento dei consumi? L’IMU rischia di far cadere il governo? Allora regaliamogli una scatola del “Monopoli” per ricordargli che una sola costruzione a “Parco della Vittoria” rende più di tutto “Vicolo Stretto”. Avere il coraggio di ripensare le proprie posizioni è segno di intelligenza, non di debolezza, sia per chi pensa che toccare la spesa pubblica significhi neces-sariamente una riduzione del welfare e dei servizi, sia per chi pensa che una qualsiasi patrimoniale sia frutto del demonio. Alzare il velo dai conti pubblici purtroppo fa paura a tutti, perché ormai in Italia non facciamo più le pentole, ma siamo bravissimi a fare i coperchi. Siamo maestri a tenere ben chiuso il vaso

di Pandora degli 800 miliardi di spesa pubblica, con siringhe pagate 10 euro in una ASL e 50 in un’altra, con le assunzioni bloccate ma consulenze a gogò, con immobili pubblici inutilizzati e affitti passivi mi-liardari. Sarebbe lunghissimo e forse poco utile fare l’elen-co dei coperchi da alzare, dei problemi da risolvere e non da coprire e nascondere; dalle concessioni per il gioco d’azzardo agli sprechi della politica per corruzione, incompetenza o ignavia, ma ricordare il sano buon senso è necessario. Un imprenditore serio, che si ritrovasse con la sua azienda nella situa-zione dello Stato italiano, o abbandonerebbe (cosa che i nostri amministratori non si sognano di fare) portando i libri in tribunale, o si rimboccherebbe le maniche per rincominciare da capo, tagliando i pri-vilegi, limando i costi, reinvestendo quel poco che gli rimane, bussando alle banche con seri progetti di ristrutturazione, anche mettendo in discussione, con umiltà, quanto fatto fino a quel momento. Fra pochi giorni a Brescia ci saranno le elezioni per il nuovo sindaco. In questo numero, Dodicimesi ha intervistato cinque candidati alla poltrona di primo cittadino e ve ne propone i programmi. Abbiamo la fortuna che sono tutte persone serie, oneste e com-petenti, ma, per carità, chiunque venga eletto si de-dichi alle pentole e non ai coperchi.

Il diavolo fa i coperchi

ma non le pentole

di GiORGiO COSTA

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PEnSIERI DI/ PEnSIERI DI/

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“Quanti affari in piùse gli imprenditori sapessero l’inglese”

A colloquio con Michele Colombo, titolare della “Colombo Design”. “Per avere successo all’estero è necessario avere un’ottima padronanza

della lingua per creare empatia col cliente e strappare l’accordo”

di GiorDAnA TAlAMonA

È nato a Monza, vive a Berga-mo, ma ha studiato negli Stati Uniti laureandosi in Business Administration all’Universi-

tà di California Los Angeles. Come si definirebbe?“Un imprenditore figlio del mondo. Tutta la mia storia, d’altra parte, ha un respiro più internazionale che italiano”. Da imprenditore, quali sono i punti critici del sistema Italia? “Le aziende italiane medio-alte paga-no il prezzo di essere totalmente sole quando affrontato il mercato europeo o mondiale. Lo spread delle imprese ita-liane rispetto a quelle tedesche, – mi si permetta il paragone con la finanza – ha un differenziale altissimo in termini di supporto logistico, infrastrutture, buro-crazia e credibilità internazionale”. Ci faccia qualche esempio. “Mancano i fondamentali, come se un’a-bitazione fosse priva della corrente elet-trica. Pensi solo alla questione dei voli e alla logistica. L’imprenditore tedesco ha una compagnia di bandiera, come la Lufthansa, che viaggia in tutto il mondo, da New York a Ulan Bator, mentre noi

abbiamo l’Alitalia che ha, sì e no, sei rot-te. Per non parlare delle mille situazioni che un imprenditore italiano all’estero deve inventare per poter discutere di affari con un cliente, in maniera più o meno confortevole”. Cosa accade?“In genere, quando va bene, si orga-nizzano delle riunioni negli alberghi oppure si va direttamente dal cliente. Tutt’altra storia per l’imprenditore te-desco che, non solo può accogliere il cliente in una delle filiali della Deutsche Bank, presenti in tutto il mondo, ma può anche godere del supporto delle Came-re di Commercio, sia per le questioni logistiche che burocratiche. Se per noi italiani mancano le cose più banali, le lascio immaginare il resto”. C’è qualcosa che critica agli impren-ditori italiani?“Sono poco internazionali, troppo ita-liani. Senza contare che hanno una pes-sima conoscenza della lingua inglese. Per avere successo all’estero è neces-sario avere una padronanza dell’inglese tale da riuscire a discutere degli aspetti formali, informali, tecnici e commer-ciali di un rapporto di lavoro. In più di un’occasione sono riuscito a conclude-

re degli affari grazie al fatto che fossi io, in prima persona, a tenere le trattative, senza il filtro di un traduttore. Se si crea una certa empatia col cliente, è più facile strappare un prezzo, ma per farlo occor-re parlare la stessa lingua”. L’ex premier Mario Monti ha dichia-rato che se l’Italia non cresce non è solo responsabilità della politica, ma anche del capitalismo italiano che non ha saputo ammodernarsi e di un sindacalismo responsabile della sua arretratezza. È d’accordo?“Totalmente. Il capitalismo italiano è vecchio, così come il sindacalismo. Pen-si solo alla Volkswagen che ha puntando su efficienza, nuovi prodotti e accordo con i sindacati, mirando al principio “la-voriamo tutti, lavoriamo bene”. La Fiat, al contrario, ha puntato su una gestione finanziaria dell’azienda, senza investire nell’innovazione e nella produzione di nuovi modelli, incapace di trovare un ac-cordo condiviso con i sindacati . Mentre VW creava un sistema di marchi sotto un grande gruppo, Fiat aveva la finanza e i sindacati che bussavano alla sua por-ta. Questo, del resto, è sempre stato un limite dell’imprenditoria italiana”. Quali sono i pregi che ci riconoscono

gli stranieri?“L’italiano medio ha più stile, classe e senso estetico del tedesco medio. Ab-biamo, inoltre, buona capacità di sintesi e flessibilità. Un esempio? Se chiede a un ristoratore tedesco una variazione, seppur minima, a un menu che ha in li-sta, lo manda in crisi”.Venendo al design, come puntare allo chic senza cadere nel kitsch?“Noi progettiamo e costruiamo mani-glie, oggetti necessari – perché si può vivere anche senz’auto, ma non senza le maniglie – che, nella nostra filosofia, devono rappresentare il buon gusto del Made in Italy. Per questo puntiamo a un design che possa essere apprezzato su vasta scala, accessibile a tutti, anche nel prezzo. Non sono per il design estremo, quello capibile e acquistabile da pochi”. Design è sinonimo di qualità?“Non sempre, come non lo è di “fruibi-lità”. Non a caso i salotti di design sono quasi tutti scomodi, un eccesso che non ha ragione d’essere. Ritengo che i pro-gettisti di fama nazionale e internazio-nali debbano essere chiamati a fare dei

prodotti che abbiano dei contenuti, ma che siano anche comodi e fruibili. Che senso ha fare un prodotto bello, ma sco-modo?”Cosa ne pensa della politica italiana, sempre in bilico tra scandali e litigi? Trova sia lo specchio dell’italianità o è una degenerazione. Insomma, gli italiani sono migliori di chi li rappre-senta? “Vuole una risposta sincera? Noi ci

meritiamo tutto ciò che abbiamo. Basta ascoltare i discorsi nei bar per capire che gli italiani sono sessanta milioni di com-missari tecnici e allenatori. Tutti credo-no di sapere tutto, di avere competenza in qualunque materia. I tedeschi, anche in questo sono diversi”. In che senso?“C’è maggiore serietà e competenza. Nessuno si inventa, dall’oggi al domani, una professione ex novo come avviene in Italia. Chi è specializzato in un settore lavora in quello, non in altri. È il loro si-stema che funziona così, d’altra parte”. Le sue passioni private?“Mi interesso d’arte e colleziono orolo-gi. Amo molto i quadri di Fontana, men-tre tra gli artisti emergenti apprezzo i lavori di Esposito”. Lei è padre di due figlie. Pensa che un giorno seguiranno le sue orme in azienda?“Se avranno la competenza e la voglia, ben venga, altrimenti che seguano un’altra strada. Credo che sia bene non confondere la gestione con la proprietà di un’impresa. Chi è proprietario non deve gestire, necessariamente, l’azienda di famiglia. Se non ne ha voglia è meglio che la faccia gestire ad altri, pur mante-nendone la proprietà”. Un sogno per il futuro?“Che l’Italia torni al vecchio splendore di quindici anni fa. Eravamo l’eccellen-za della moda, dell’enogastronomia, dell’arte e del turismo. Possiamo ancora esserlo”.

la schedaNato a Monza il 15 gennaio 1963, Michele Colombo si laurea, a soli 21 anni, all’U-niversità di California Los Angeles (Ucla) in Business Administration. La votazione conseguita - Magna Cum Laude - lo fa inserire nella Dean’s List, l’elenco dei mi-gliori studenti universitari Usa. Dopo aver frequentato un Master in International Business (Mba) presso l’Ucla, torna in Italia. Nel Marzo 1990 è socio fondatore con altri componenti della famiglia della Colombo Design Spa, azienda produt-trice di maniglie per porte e finestre, maniglie per mobili, complementi d’arredo, accessori per il bagno con sede in Terno d’Isola. La società esporta in ben 55 Paesi. L’export assorbe il 50% del fatturato, il 67% del quale è destinato ai Paesi Extra Ue. Colombo partecipa alla gestione di altre società facenti capo al gruppo di famiglia. Attualmente è presidente del Cda della Rossini Immobiliare Srl di Bergamo e della Gedy Spa di Milano, specializzata nella produzione e commer-cializzazione di accessori per l’arredamento del bagno. Da 2000 è Consigliere di amministrazione della Banca Credito Valtellinese.

La politica è quella che è. Ma come cittadini ci meritiamo tutto quel che abbiamo

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InSIDE/ InSIDE/

di John Law

La ripresa è rinviata per l’ennesima vol-ta. I più ottimisti sperano in fine anno, quelli meno traguardano anche il 2014. Di sicuro, la situazione è molto incerta,

così che si passa con grande facilità dall’euforia alla depressione, senza particolari motivi. L’im-postazione complessiva non è comunque posi-tiva. L’indagine congiunturale della Camera di Commercio di Bergamo relativa al primo trime-stre dell’anno ha spento le tiepide illusioni che si erano accese a fine 2012 quando sembrava che la crisi fosse sul punto di interrompersi o almeno ci fosse un’attenuazione della caduta. Invece il 2013 è iniziato in provincia con una nuova decisa ridiscesa della produzione indu-striale, in calo del 2,3% nel trimestre e del 4,5% rispetto a un anno prima, che riporta l’indice indietro di tre anni, verso i minimi del 2009. Ancora più critica la situazione dell’artigianato manifatturiero con una caduta congiunturale del 9,9% e del 7% su base annua, con l’indi-ce sceso in questo caso a minimi mai raggiunti prima, nemmeno quando sembrava che la cri-si avesse toccato il suo apice. Ad accentuare la drammaticità della situazione, con un calo della produzione che prosegue praticamente senza soluzione di continuità da sette trime-stri, è il fatto che la rilevazione non considera la riduzione avvenuta negli ultimi dodici mesi, tra marzo 2012 e marzo 2013, nel numero delle aziende manifatturiere: una contrazione dell’1,9%, pari a 224 imprese. Il mercato si sta insomma rimpicciolendo più di quanto lo faccia il numero degli operatori, con la conseguenza di spazi ridotti anche per chi resiste.Di fronte a una crisi che è ormai entrata per alcuni settori al settimo anno, considerando come spartiacque il 2007, ci si trova ancora con una sovraccapacità produttiva – e di con-seguenza occupazionale – che con ogni proba-bilità richiede un proseguimento della “sele-

zione”, quindi di una ulteriore contrazione di operatori perché il mercato si possa adeguare alle nuove più ristrette dimensioni del mercato, dato che non si vede all’orizzonte la possibilità di un’espansione che dia più respiro per tutti. La lunga crisi sta logorando sempre di più la struttura delle aziende, anche sul fronte finan-ziario, mentre le incertezze dell’azione politica ostacolano interventi che possano creare un contesto più favorevole per la competitività delle aziende italiane, per il ritorno degli in-vestimenti e anche per la ripresa dei consumi interni.La congiuntura trimestrale non conforta ne-anche sul fronte delle vendite, conseguenza del resto della caduta dei volumi produttivi – il tasso di utilizzo degli impianti è sceso di un punto percentuale, al 65,9% –, in una situazio-

ne di prezzi sostanzialmente stabili. Il fattura-to dell’industria bergamasca risulta in calo nel trimestre, seppure di frazioni di punto, e per la prima volta sono in flessione anche i ricavi dal-le esportazioni, che finora hanno dato un con-tributo essenziale alla tenuta complessiva, tra l’altro in maniera più marcata rispetto a quella del fatturato interno, che prosegue da tempo il suo andamento negativo. Una dinamica simile si registra anche sul fronte degli ordini. Conti-nua il calo per il mercato domestico, coerente-mente con la riduzione dei consumi nazionali, ma anche gli ordini esteri a Bergamo sono in rallentamento su base trimestrale e sotto il li-vello segnato un anno fa. A frenare l’attività sull’estero incidono l’inde-bolimento della domanda internazionale, con l’area dell’euro in recessione nel suo comples-

so, oltre che in alcune componenti importan-ti, e situazioni finanziarie difficili in sempre più Paesi dell’Europa mediterranea, sono elementi di tensione nell’interscambio commerciale con-tinentale. Anche alcuni dei principali partner commerciali del “made in Bergamo” come la Germania, rallentano la crescita, ma accanto a una domanda ridotta dai tradizionali clienti, che appare semplicistico attribuire totalmente alle politiche di austerity, si pone anche il pro-blema della competitività dei nostri prodotti.In questo scenario resta centrale il problema dell’occupazione, che vede una continua ero-sione, in buona parte “mascherata” dall’ampio utilizzo di ammortizzatori sociali. I dati della congiuntura, nonostante l’inizio anno sia tra-dizionalmente un periodo favorevole per le assunzioni, in sostituzione delle uscite di fine anno, mostrano una diminuzione del numero complessivo degli addetti all’industria. Il turn-over insomma viene rallentato, se non fermato, a fronte della prospettiva di dover gestire un riequilibrio dell’attività produttiva. Anche per questo le prospettive degli imprenditori non danno segnali di miglioramento sul versante occupazionale. Ma in generale le attese re-stano in territorio negativo, con solo qualche spunto in più riguardo alla domanda estera. Invece sul fronte interno si continua a pagare l’andamento depresso dei consumi, penalizza-to dall’effetto combinato del deterioramento del mercato del lavoro e della compressione del reddito disponibile. Questo si traduce, se-condo l’indagine congiunturale, a una caduta del 6,2% su base annua del giro d’affari del commercio al dettaglio, mentre nell’edilizia c’è stato un calo del 7,8%, a fronte di una dimi-nuzione in un anno di 708 imprese attive nel settore, pari a una riduzione del 3,5%: una con-ferma che il problema principale continua ad essere il mercato interno senza stimoli.

imprese logorate dalla crisi.e intanto la politica alimenta le incertezze

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PEnSIERI DI/

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PEnSIERI DI/

“giovani sempre più sfiduciati.per Questo scappano all’estero”

di lAurA BernArDi loCATelli

l’Università italiana diventa sempre più un parcheggio. E non valorizza, come del resto anche il sistema-Paese

sempre più ingessato e gerontocratico, i giovani, specialmente i migliori. Giovanni Urga, professore di Finanza ed Econometria all’Università di Ber-gamo e alla Cass Business School City University di Londra, dove dirige anche il Centro di Analisi Econometrica, met-te a confronto il sistema anglosassone e quello italiano, non senza l’amara con-statazione di una vera e propri “emorra-gia” di talenti verso altri Paesi in cerca di prospettive più rosee. Professore, quali sono i principali punti di forza e di debolezza del siste-ma universitario italiano?“In Italia, una buona parte degli stu-denti arriva all’università con un ba-gaglio culturale più ampio e ricco di quello anglosassone, che è iper-specialistico sin dalla scuola secondaria. La più ampia preparazione emerge soprattutto nel medio e lungo periodo, dato che al lavoratore odierno è richiesto soprattutto

di essere versatile e di apprendere in modo continuo nuove competenze e co-noscenze. Di contro, una debolezza del sistema italiano è rappresentata dal fatto che gli studenti non sono monitorati nel modo appropriato e possono rimanere iscritti all’università ad oltranza”. Cosa possiamo imparare dal sistema universitario anglosassone?“Nel Regno Unito l’iter universitario è ben monitorato e predeterminato anche in termini di tempo e ciò rappresenta un indiscutibile vantaggio. Questo ap-proccio evita che l’università diventi un parcheggio. Un sistema intasato da un numero elevato di studenti poco motiva-ti ed inspiegabilmente fuori corso è un costo che la collettività non può e non è tenuta a sostenere”. Da professore universitario gode di un osservatorio privilegiato sul mon-do dei giovani. Che umori avverte?“In Italia negli ultimi anni vedo maggior

pessimismo e rassegnazione, soprattut-to in ragazzi brillanti hanno davanti a sé tutta una vita. Gli studenti sentono di non avere prospettive e nei corsi di laurea magistrale è cresciuta la percen-tuale di studenti che intendono andare all’estero”. Quali sono le aspettative di uno stu-dente inglese e quali quelle di uno italiano?“Gli studenti inglesi hanno la sensazio-ne che il mondo del lavoro sia a portata di mano, con in tasca una laurea trienna-le o un master. Durante i tre anni di uni-versità ogni studente ha l’opportunità di entrare nel mondo del lavoro attraverso uno stage coerente con il proprio curri-culum. In questo percorso lo studente viene valorizzato e non sfruttato come purtroppo accade spesso in Italia, dove c’è la sensazione che lo stage rappre-senti un’esperienza senza veri sbocchi occupazionali”.

In Italia sembra che conti sem-pre più la raccomandazione, nonostante curriculum e pre-parazione. Cosa ne pensa? In Inghilterra come funziona?“Se per spintarella o raccoman-dazione si intende la segnalazio-ne di studenti meritevoli a centri

studi, realtà aziendali e mondo bancario, non vedo differenze tra una latitudine e l’altra. E’ chiaro che la segnalazione rap-presenta una condizione solo necessaria e non sufficiente. Sta alla capacità di ogni studente sfruttare al meglio l’op-portunità”.Quale approccio consiglia ad un gio-vane che deve affrontare il mercato del lavoro?“Prima di tutto, bisogna diventare im-prenditori di se stessi cercando di svi-luppare al massimo la propria professio-nalità sin dagli studi universitari. Meglio scegliere un percorso di studi tecnico-scientifico che offre prospettive lavora-tive maggiori e conseguire la laurea nei tempi previsti e con ottimo profitto. È indispensabile un’ottima conoscenza della lingua inglese, unitamente alla di-sponibilità ad una mobilità geografica, almeno su tutto il territorio europeo. Il consiglio finale è quello di cercare di sfruttare le opportunità di scambio in-

ternazionali du-rante il percorso di studi”.Una recente indagine Istat ha evidenziato come giovani con più di 34 anni rinunci-no ormai a cercare lavoro perché ritengono di non riuscire a trovar-lo. Quale consigli si sente di dare a quest’esercito di scoraggiati?“Avere un atteggiamento distruttivo non premia mai. Se non ci sono oppor-tunità in Italia bisogna allargare i propri orizzonti e cercare occasioni di lavoro altrove. Una scelta quasi certamente pre-miante nel lungo periodo, ma che molto spesso risulta costosa in termini emotivi e per le implicazioni economiche”. Non è una scelta semplice. Quali sono i requisiti fondamentali per lasciare il proprio Paese?

“Senza dubbio la conoscenza della lin-gua è importante insieme alle compe-tenze acquisite in un determinato ambi-to. La voglia e la determinazione di fare le valigie devono essere degli stimoli davvero forti”. Molti laureati scappano. Il 2012 ha fatto registrare il 30% in più di espa-tri rispetto al 2011. Cosa ne pensa?“C’è un’emorragia di talenti perché i giovani non vengono valorizzati da un sistema gerontocratico come quello italiano. Un sistema immobile che teme un ricambio generazionale, che invece è necessario e vitale. La fuga dei talenti segnala da un lato le nostre grandi doti, dall’altro quanto il Paese perda in termi-ni di capitale umano”. Lei insegna nella City a Londra. Che percezione hanno lì del nostro Paese?“Le vicende politiche degli ultimi anni non mettono in grande luce l’Italia. Non è infatti mai in discussione la capacità degli italiani, ma la situazione politica e il sistema-Paese. Gli italiani che cono-sco e frequento a Londra guardano con tristezza alla loro terra d’origine, con l’amara sensazione che il Paese sia in mano ad incapaci”. Cosa le manca dell’Italia e cosa invece la fa tornare volentieri nella terra di Sua Maestà?“Sono italiano, mi sento italiano e amo il mio Paese, che non ha pari al mondo. Vivo a Londra che è una metropoli mul-tietnica e stimolante, ma in Italia torno sempre volentieri, anche se spesso ne tocco con mano le contraddizioni. Il si-stema universitario anglosassone mette più sotto pressione ed incentiva a fare bene il proprio lavoro. Non tutto è rose e fiori in Inghilterra, ma si valorizzano ricerca e didattica. In Italia non succede altrettanto”.

intervista a Giovanni urga, professore all’università di Bergamo e alla Cass Business School City university di londra. “Gli studenti avvertono

di non avere prospettive. i talenti si sentono penalizzati da un sistema gerontocratico e guardano sempre più oltre confine”

Ai giovani consiglio di diventare imprenditori di se stessi, cercando di sviluppare al massimo la propria professionalità

Nel sistema universitario anglosassone si valorizzano ricerca e didattica e gli studenti hanno la sensazione che il mondo del lavoro sia a portata di mano. in italia non è così

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Bergamo Sviluppo, al via lʼIncubatore Tecnologico 2020La Giunta della Camera di Commercio di Bergamo ha deciso di

realizzare il progetto “Incubatore Tecnologico 2020” attraverso la propria azienda speciale Bergamo Sviluppo. Il progetto si svolgerà presso la nuova sede operativa al Polo per lʼInnovazione Tecnologica (Point) di Dalmine e prevede sia la realizzazione di azioni mirate di “scouting tecnologico” per lo start-up di imprese innovative, anche di carattere manifatturiero, da inse-diare negli spazi del Point di Dalmine, sia lʼattivazione di una serie di servizi tecnologici avanzati a favore dello sviluppo delle imprese del territorio della provincia, sia il potenziamento di servizi formativi, seminariali e consulenzia-li. Per la realizzazione delle attività previste dal progetto la Giunta camerale ha stanziato 200mila euro per il 2013, e 400mila euro per gli anni successivi. Bergamo Sviluppo con lʼinsediamento al Point di Dalmine è stata inclusa tra i 30 parchi scientifi ci e tecnologici nazionali associati alla rete APSTI (Associa-zione Parchi Scientifi ci e Tecnologici Italiani) e a IASP (International Associa-tion of Science Parks).

di interesse artistico, culturale e commerciale della città. I 37mila visitatori che già nel 2012 avevano usufruito del servizio hanno infatti convinto il Comune di Bergamo a mettere in pista, per la terza estate consecutiva, que-ste moderne guide turistiche itineranti che, con fare amichevole, aiutano i visitatori a orientarsi tra musei, monumenti, teatri e shopping. Sono otto gli steward e le hostess che turneranno ogni fi ne settimana per garantire una copertura fi ssa tra il borgo storico e il centro piacentiniano. In partico-lare alla Stazione della funicolare bassa e in Colle aperto le guide saranno dotate di una bici con bauletto contenente il materiale promozionale. Gli urban steward distribuiranno infatti mappe e avranno a disposizione un kit per la rilevazione dei dati destinati allʼindagine sulla valutazione del servizio offerto.

Valcalepio, benemerenze a Tentorio, Malvestiti e PirovanoIl Sindaco di Bergamo Franco Tentorio, il presidente della Camera

di Commercio Paolo Malvestiti e il presidente della Provincia Ettore Pirovano hanno ricevuto nei giorni scorsi la spilla del Colleoni e un attestato di Bene-merenze dal Consorzio Tutela Valcalepio.“Con questo gesto – ha detto Enrico Rota, presidente del Consorzio Tutela Valcalepio – intendiamo rendere omaggio a quelle fi gure istituzionali che con il loro operato contribuiscono al nostro lavoro e ci consentono, grazie al loro appoggio, di portare avanti il nostro mandato di tutela e promozione del vino e del territorio bergamasco”. “Comune, Camera di Commercio e Provincia – aggiunto Rota – hanno fatto molto per noi e noi siamo grati per questo impegno. Anche perché ci fa capire che ci stiamo muovendo nella giusta direzione, che stiamo compiendo le azioni indispensabili per tutelare e promuovere il Valcalepio”.

Bergamo wi-fi , salgono a 22 i punti di connessione Le 19 oasi telematiche presenti in città per la navigazione libera

in internet diventeranno presto 22 con lʼaggiunta di tre nuovi punti dʼacces-so wi-fi : piazza Matteotti, la stazione degli autobus e il tribunale di Berga-mo, in collaborazione con lʼOrdine degli avvocati. Il progetto Bergamo wi-fi è nato nel 2010 dallʼiniziativa BiblioLess del Comune di Bergamo e piazze wi-fi della Fondazione Bergamo nella Storia e Fondazione Famiglia Legler. Dal cellulare allʼIpad passando attraverso il più tradizionale computer por-tatile, la connessione senza fi li rappresenta oggi un punto di contatto ormai imprescindibile per i bergamaschi. I numeri parlano da soli: il picco delle connessioni si è verifi cato a novembre 2012 con 24mila accessi mentre si è navigato meno ad agosto (7.356). L̓ hot spot più gettonato è quello della biblioteca Tiraboschi: per studio o per lavoro, solo lo scorso aprile si sono collegate in questa zona 14.200 persone. Ricercate sono anche le oasi del Polaresco, della Circoscrizione 2 mentre resta meno sfruttata quella di via Furietti, in corrispondenza della sede della prima Circoscrizione.

BACHECA/

Nasce “Quintaruota”, svolta per autosalonisti e consumatori Nasce “Quintaruota”, piattaforma creata dal Gruppo Autosalonisti

di Bergamo che mira a potenziare le vendite online e ad ampliare il pro-prio bacino di utenti. Il progetto, cui mancano solo pochi dettagli tecnici per entrare nella piena fase operativa prevista a settembre, è il primo a livello nazionale per trasparenza e innovazione: il portale sarà infatti lʼunico a ri-spondere ai criteri del Codice del consumo, che regola i rapporti tra venditori e acquirente. “Quintaruota” offrirà ai consumatori la possibilità di stampare una “miniguida” per confrontare, anche sul campo, i venditori che appliche-ranno le condizioni migliori nel rispetto dei loro diritti. Gli autosaloni presenti sul portale – fi nora hanno aderito al progetto 17 concessionari dʼauto usate, di cui uno con sede nel Bresciano – pubblicheranno gli annunci delle autovet-ture con molti dettagli tecnici e foto in alta defi nizione, offrendo il maggior numero di informazioni possibili. Le aziende avranno a disposizione anche un temporary manager pronto a formare i venditori su: pubblicità ingannevole, diritto di recesso, azione commerciale scorretta, credito al consumo, contratti a distanza e garanzie sui beni venduti.

Turismo, gli Urban Steward tornano di nuovo in stradaGiubbetto blu, cappellino con visiera e borsa a spalla, sfrecciano

per la città a bordo della loro bicicletta nuova di zecca. Si presentano così i nuovi Urban steward che, fi no a settembre, saranno presenti nei luoghi

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“i comici di oggi?sono nevrotici e finti”

Parla l’attore e ventriloquo Pietro Ghislandi “non ci sono più personaggi come Pozzetto o Sordi, autentici

e poetici nella rappresentazione della realtà”

di roSAnnA SCArDi

ghislandi, cosa la rende fie-ro di essere bergamasco?“Sono orgoglioso di essere nato nella terra di Arlecchi-

no. Sapere che la maschera che ha inven-tato il teatro nel mondo e poi il cinema non viene dalla California o dalla Nuova Zelanda, ma ha le mie stesse origini, mi fa venire la pelle d’oca. E poi gli somi-glio. Come Arlecchino, sono piccolo, ma di buona stazza, con la panciottina e la furbizia da giullare”. A proposito, come si mantiene in forma?“Con la corsa mattutina, ma serve poco. Mangio un panino veloce prima dello spettacolo pomeridiano. Tiro a sera e, spinto dalla fame nervosa, non resisto al buon cibo. Così mangio e assimilo il doppio perché dopo l’ultima esibizione sono rilassato e vado a dormire”. Un suo famoso collega, Alessio Boni, ha cercato fortuna altrove, anche in America. Lei, non ha mai pensato di lasciare la sua terra?“Sono originario di Comun Nuovo, ma vivo a Ponteranica. Mio papà era un se-gretario comunale che conosceva e mi

ha fatto conoscere tutti i paesi. Non ri-uscirei ad andarmene. Apprezzo Beppe Grillo che riesce a essere uno stratega senza sedere sulle poltrone dei ladroni, ma ammirando il cielo azzurro della sua Sant’Ilario, alle spalle di Nervi. Se fosse finito a Roma oggi sarebbe uno dei tanti anonimi comici. Come lui è un genove-se, io sono un uomo del nord, che viene da una terra dove si lavora sodo”. Lei ha citato Grillo, oggi un carisma-tico leader politico, accusato però di avere poche idee.“Il problema è che Pd e Pdl peccano di protagonismo. I pregi e i difetti di Grillo

stanno nell’essere troppo estraniato dal potere. È stato vittima dei suoi collabo-ratori partiti puri e che poi si sono mon-tati la testa. Ma lui è un uomo coerente e farà pulizia nel Movimento 5 Stelle”. Di cosa ha bisogno l’Italia?“Di gente onesta. Ho letto di un funzio-nario ministeriale che ha fatto sparire oltre cinque milioni di euro destinati ai

beni culturali. Mi vanto a 56 anni di cer-carmi ancora il lavoro, perché un attore non va mai in pensione”.A ottant’anni allora si immaginerà ancora su un palco?“Certo, il teatro non ha età, lo ha dimo-strato Marcello Mastroianni. Lo vidi al Teatro Donizetti diretto da Giulio Boset-ti poco prima di morire. Straordinario”.

Se non avesse fatto l’attore, cosa le sa-rebbe piaciuto fare nella vita?“Il pianista jazz alla Keith Jarrett. Ho insegnato musica alle scuole medie e trovo che sia il miglior modo per sfogare le tensioni”.Lei ha realizzato i suoi sogni, cosa che per i giovani è difficile fare oggi... “Credo che siano condizionati psicolo-gicamente. Sentono il padre che magari ha perso il lavoro o che si lamenta per le tasse, l’Imu, la pensione, e si fanno pren-dere dal panico. In realtà, ritengo che la crisi porti, per reazione, le persone più intelligenti a tirar fuori gli artigli. E poi, se uno è davvero disperato, può sempre andare a scaricare le casse della frutta al mercato. Tanto più, se è giovane”. Ha mai conosciuto la censura?“Eccome. Nel 1993 ho vinto il Festi-val nazionale della canzone satirica ad Ascoli Piceno con “Tangent dance”.

Una canzone che proponevo vestito da carcerato con la palla al piede. Portavo in scena un dialogo tra un corrotto, in cella, e un cittadino onesto, la palla. In Rai rifiutarono di farmi esibire con la mia canzone. Dissero che avrei potuto dare fastidio”.Si è preso una rivincita?“Certo. Mi ha chiamato Maurizio Seymandi a “Superclassifica show”. Mi sono sentito un piccolo Grillo. Poi ho portato il brano nelle piazze gettando banconote da centomila lire con la mia faccia. La gente si divertiva come matta”. Lei ha fatto da controfigura a Pozzetto in “È arrivato mio fratello” nel 1985, al quale è stato paragonato. Che diffe-renza c’è con i comici di oggi?“Quando ho incontrato Renato la prima volta, credevo recitasse. Invece, nella vita era come sul set. Au-tentico. Lo stesso valeva per Alberto Sordi. Riuscivano a rappresentare la quo-tidianità in modo po-etico, surreale. Oggi i comici sono incom-prensibili, nevrotici, finti”. Oggi si producono tanti film e fiction, molti non di qualità, perché?“Perché è un circolo chiuso. A fare le scel-te sono regista, produttore e politici. Scel-gono l’amico dell’amico. La cosa triste è che certi giri sono anche a Milano. E poi ci si stupisce se riusciamo a malapena ad ave-re candidature all’Oscar solo per costumi e musiche. A parte Giuseppe Tornatore, sono in pochi a realizzare film di qualità”. Le è mai capitato di farsi raccomandare?“No. Farne a meno è un atto di coraggio che ti premia. Credo nella meritocrazia che ti fa durare nel tempo. Perché se ti procurano una serata, ma sali su un pal-co e le tue battute non fanno ridere, non hai futuro. E poi, come si fa a farsi racco-mandare? Esiste una scuola?”. Nel 1987 in “Soldati - 365 all’alba” ha interpretato una recluta gay, cosa pensa dei diritti degli omosessuali?“Non sono una piaga come sostiene

qualcuno, ma sono contrario al matri-monio, e di conseguenza alle adozioni gay. Sarò banale, ma un bambino deve avere una mamma e un papà”. Quale sorpresa la renderebbe felice?“Vorrei incontrare un regista che capi-sca che dietro la mia espressività ci sono anni di gavetta. Ci sono caratteristi, come Nicola Pistoia, che a 59 anni ot-tengono il primo ruolo importante. Non si sa mai. Potrebbe arrivarmi la chiamata di Steven Spielberg”. Il complimento più bello?“Il conoscente al bar che mi difende agli occhi della moglie e dice che se non sono famoso è perché non sono come quelli che stanno a Roma ad arruffianar-si i potenti. Perché sono uno verace, che gira le piazze e le parrocchie e ama stare tra la sua gente”.

la schedaPietro Ghislandi è nato a Bergamo il 19 aprile 1957. È noto al grande pubblico come ventriloquo accompa-gnato dal pupazzo Sergio. Nel 1985 è la controfigura di Renato Pozzetto in “È arrivato mio fratello”. Nel 1987 recita in “Soldati - 365 all’alba”. L’at-tore vanta partecipazioni nel “Muro di gomma” di Marco Risi, “I mitici - Col-po gobbo a Milano” di Carlo Vanzina, “Vajont” e “Porzus” di Renzo Marti-nelli. Leonardo Pieraccioni l’ ha scelto per “Il principe e il pirata”, “Il paradi-so all’improvviso” e “Ti amo in tutte le lingue del mondo”. Lo scorso anno ha partecipato alle fiction di RaiUno “Il sogno del maratoneta” e “Walter Chiari - fino all’ultima risata”. Ha inciso per primo un cd con canzoni in berga-masco, “Pota dance”.

il mondo dello spettacoloè un circolo chiuso. Avanzano gli amici degli amici. Poi ci si stupisce se non arrivano premi internazionali

Grillo è un uomo coerente e farà pulizia nel Movimento 5 Stelle

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Il 2 giugno è la festa della Repubblica: qual-cuno, forse, non sa nemmeno cosa si fe-steggi e, qualcun altro, magari, si domanda cosa ci sia da festeggiare. Noi siamo una

repubblica sui generis, fatta da sessanta milioni di piccolissime repubblichette, i cui confini ge-opolitici sono delimitati dalla porta di casa di ognuno. Siamo nati da una terribile guerra civi-le, la cui onda lunga arriva a lambire perfino la nostra vita politica odierna, a settant’anni di di-stanza. Questo faticoso parto è stato propiziato da un re che è scappato, abbandonando i suoi sudditi e il suo esercito nelle peste, e da una dittatura che ha avuto il suo Götterdämmerung in una macelleria messicana, con lo sconcio in-cancellabile di piazzale Loreto. Il trono cercò di salvarsi, con l’éscamotage della luogotenenza, tirando in ballo quel poveretto di Umberto, che di troni nulla sapeva, fino all’ultimo, in ossequio alla regola per cui i Savoia regnavano uno alla volta. Si arrivò al referendum: da un mese, il principe era diventato re, col nome di Umberto II. Le masse meridionali, allora come oggi, vota-rono compattamente per quelli per cui avevano detto loro di votare: scelsero la repubblica gli operai del nord e i sopravvissuti di Salò, che ve-devano nei Savoia dei traditori disonorati. Si ar-rivò in volata, all’italiana: vinse la repubblica di un’incollatura, e molti dicono che si trattò di un risultato truccato. Il che è pure molto italiano. Era la prima volta che tutti i cittadini della Peni-sola votavano: uomini e donne. Se si pensa che il molto celebrato parlamento, che decretò la nascita dell’Italia come stato unitario, era stato eletto da meno del 2% della popolazione, fu un bel balzo in avanti. Contemporaneamente allo stabilire se l’Italia sarebbe stata una repubblica o una monarchia, si elesse un’assemblea costi-tuente, giacché, senza una costituzione, non si potevano fare le elezioni politiche, nominare

deputati e senatori e un governo che ci gover-nasse. La costituente ci mise un anno e mezzo e, il primo gennaio del 1948, anche l’Italia ebbe la sua costituzione: quella che oggi ci viene presentata come una specie di capolavoro giu-ridico e civile e che, in realtà, mostrò da subito la corda. Tanto per cominciare, si trattò di uno statuto compromissorio, pieno di elevati valori, ma poco efficace nel concreto: venne stilata a quattro mani da gente che si amava come si amano cani e gatti, coi comunisti che sedevano in assemblea, e che, al contempo, progettava-no la rivoluzione sovietica, ballando il tango con Stalin, e i democristiani che avevano in mente una specie di dépendance americana. Per inci-so: la commissione stragi della XIII legislatura ha raccolto un bel malloppo di documenti in cui i padri costituenti del Pci presiedevano riunioni il cui ordine del giorno parlava di insurrezione armata. Per ulteriore inciso: in Italia si è fatto un referendum per abolire le centrali nucleari, ed ospitiamo le testate multiple della Nato, nel-

di Marco Cimmino

PARETE nORD/PARETE nORD/

le basi americane sparse per la Penisola, dove nemmeno possiamo metter piede. Anche que-sto è la “Repubblica Italiana”. Ma torniamo alla nostra mirabile e intoccabile costituzione: sic-come uscivamo dal periodo buio del fascismo, la prima preoccupazione dei padri fondatori fu, inevitabilmente, quella di allontanare qualsiasi rischio di recidive. Impensabile, dunque, era l’idea, non si dice di una repubblica presiden-ziale, ma nemmeno di un governo forte, con ampie capacità decisionali e operative: si creò un bicameralismo perfetto, con un governic-chio debole debole e senza strumenti efficaci di intervento. Ne derivò quell’abitudine tutta italiota (e, tra parentesi, anticostituzionale) di governare normalmente per mezzo dei decreti-legge, che, invece, andrebbero usati solo in casi di assoluta necessità e urgenza. Insomma, una repubblica fondata sulla confusione, più che sul lavoro. Questo, non ci ha impedito di prospe-rare, malgrado tutto: finché la grande palude centrista poteva contare su larghi consensi, il

problema dell’ingovernabilità rimaneva come polvere sotto il tappeto. Prima o poi, però, i nodi vengono al pettine: a partire dagli anno Ottanta del secolo scorso, si sono visti nascere governi sempre più consociativi, in cui entrava-no quasi tutti i partiti moderati, attratti dal mi-raggio di un potere sempre più scricchiolante: il tetrapartito e il pentapartito, che partorirono Tangentopoli. Il resto è storia recente: anzi, per la verità, si tratta di chiacchiericcio, più che di storia, ma va bene così. Ecco, noi siamo que-sto: il 2 giugno, è questo che si festeggia. Una repubblica che è meno coesa, meno unita e meno dotata di speranzose prospettive oggi, di quanto non fosse all’indomani di una guerra spaventosa. Uno Stato in cui i giovani migliori scappano all’estero: in cui gli anziani sono vi-sti come zavorra e in cui chi lavora non sa se i soldi che versa per la propria pensione gli tor-neranno mai indietro. Bella repubblica davvero! Chissà se avrebbero potuto prevedere questo brillante risultato quelli che votarono, quel 2 giugno di tanti anni fa? Immagino di no: chi avrebbe immaginato un’Italia ridotta così? Sia-mo sempre stati dei poveracci, in Europa: però, perlomeno, avevamo buone scuole, una cultura che gli altri ci invidiavano; avevamo noi stessi e la nostra tradizione, e nessuno avrebbe potuto portarcele via, queste cose. Ce le siamo portate via da soli: non c’è stato bisogno di guerre né di rivoluzioni. Abbiamo perso la nostra anima nazionale in un dedalo di piccolissimi relativismi spiccioli: abbiamo calato le braghe senza nem-meno uno straccio di nemico che ci imponesse la resa a discrezione. E, adesso, guardiamo sfi-lare il nostro bel Tricolore, per i Fori Imperiali, tra gli scheletri formidabili di un’Italia che fu. Mentre i sardi della “Sassari” passano cantan-do Dimonios, come una parata di meravigliosi fantasmi.

festeggiamo la repubblica,ma se ci guardiamo intorno non resta che un Quadro desolante

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bonaldi, qual è stata la sua soddisfazione più grande nel biathlon?“La partecipazione alle Olim-

piadi. Mi ha lasciato delle emozioni fortissime, perché quando ho iniziato il mio percorso da professionista, non avrei mai pensato di arrivare sino a quel traguardo”.

E nello sci di fondo?“Quella di quest’anno, la vittoria della Coppa del Mondo nelle lunghe distanze”. Quanto si allena prima di una gara?“All’incirca quattro ore al giorno. Per arri-vare preparato alla Coppa del Mondo, mi sono allenato ininterrottamente per undici mesi, da maggio alla fine di marzo”. Sportivi si nasce o si diventa?“Uno e l’altro. Io ho iniziato da piccolo, all’età di sei anni, ma era una passione

che avevo dentro. Ero un bambino ipe-rattivo, che non riusciva a star fermo cinque minuti sulla sedia”. Come mai è passato dal biathlon allo sci di fondo?“È stata una scelta che ho preso nel 2007, dopo otto anni di corse. Per il biathlon, infatti, non ero abbastanza giovane per continuare con le gare brevi, quindi sono passato alle gare di lunga distanza, per le quali mi sento più portato”.

Quanto dura, in media, la carriera nello sci di fondo?“Ci sono molti atleti norvegesi di qua-rant’anni, passati alle gare lunghe, che stanno continuando a vincere. Nel mio caso non so fin dove arriverò, ma credo che per un paio d’anni riuscirò ancora a gareggiare a questo livello. Poi vedremo”. Cos’ha un fuoriclasse in più rispetto a un campione?“Il fuoriclasse vince sempre, a 15 anni, come a 30. Ha delle doti naturali che nessun allenamento può dare. Il cam-pione, al contrario, certe doti se le con-quista strada facendo, continuando a perseverare nell’allenamento”. Nello sci di fondo e in generale ne-gli sport invernali come siamo messi a finanziamenti? “Non benissimo, so-prattutto se guardiamo alle squadre scandi-nave. Credo che loro abbiamo dieci-venti volte i finanziamenti che abbiamo noi”. Cosa manca in Ita-lia?“Le grandi aziende che si interessino agli sport invernali. Da noi lo sport naziona-le è il calcio, nei Paesi scandinavi lo sci. Questo significa che loro hanno alle spal-le molti più tecnici di noi, oltre a poter fare maggiori ritiri durante l’anno. La no-stra è ancora una piccola realtà, costretta ad arrangiarci con quel che arriva”. Venendo ad altro, trova che per lo sport italiano sia un segnale positivo l’arrivo di un’atleta olimpica come Josefa Idem al Ministero dello Sport?“Penso proprio di sì. Con tutta l’espe-rienza che ha, credo che possa capire

fino in fondo ciò che serva agli atleti, al giorno d’oggi”. Se potesse fare una richiesta alla politi-ca italiana in favore dello sport, quale fa-rebbe?“Di seguire maggior-

mente i giovani atleti. Sono loro il futuro dello sport italiano”. Trova che i giovani di oggi si appas-sionano agli sport invernali come un tempo?“Molto meno. La mancanza di neve non aiuta, perché incide sul numero comples-sivo degli sportivi, adulti come giovani. Una volta, inoltre, c’erano più allenatori che seguivano i ragazzi, oggi molti meno”.Perché ?“Chi fa l’allenatore nei vivai, in genere, lo fa come seconda attività. Credo che il mi-nor tempo a disposizione e la mancanza di incentivi, siano le motivazioni princi-pali. Questa è una grossa ipoteca sul futu-

ro dello sport italia-no, perché quando manca il supporto alle nuove genera-zioni, manca tutto. Chi mi dice che tra i ragazzi che non ho potuto seguire, non ci fosse un cam-pione che sarebbe emerso dopo qual-che anno?”. Venendo alla scuo-

la, trova che le ore di educazione moto-ria siano sufficienti per i bambini?“Ne servirebbero di più. Non mi pare che la scuola dia molta importanza allo sport, soprattutto negli anni della cre-scita. Un vero peccato perché la scuola è un ambiente formativo fondamentale per i giovani, che dovrebbe accompa-gnarli nella crescita, non solo intelletti-va, ma anche motoria”. Una stima del Ministero della Salute fa un quadro sconfortante sull’obesità infantile. Più di un bambino su tre ha un peso superiore a quello che dovreb-be avere per la sua età. Come abbiamo

fatto ad arrivare a questo punto?“È una conseguenza di quello che di-cevamo prima. Se i giovani non vengo-no educati ad un corretto stile di vita, è normale che si arrivi a questo. A scuola si muovono poco, poi tornano a casa e studiano. Dopodiché al posto di uscire, come facevo io da bambino, giocano sul computer. È ovvio che ingrassino”. Da atleta quali sono gli errori più gra-vi che nota nell’educazione alimenta-re dei piccoli?“È una questione di “entrate ed uscite”. Lo spuntino non va fatto se non ci si muove. Bisognerebbe curare l’alimen-tazione, in base alle energie consumate durante il giorno”. Lei ha due figli. Ce la fa con loro?“Ci provo, ma non è facile. Posso anche dir loro di non mangiare merendine per dieci volte, ma se all’undicesima se la mangiano, non posso farci niente”. Venendo al doping e ad Alex Swarz, crede che qualcuno gli abbia fatto pressioni per vincere a tutti i costi?“Non lo conosco, ma penso che abbia scelto liberamente di usare il doping, senza alcuna pressione proveniente da fuori. Ognuno di noi è libero, tanto più nello sport”. Da ultimo, riesce a immaginarsi uno sport senza doping?“Qualche caso isolato temo ci sarà sem-pre. Detto questo, ritengo che la mag-gior parte degli atleti si impegni con le proprio forze, senza utilizzare alcun aiuto”.

di GiorDAnA TAlAMonA

intervista a Sergio Bonaldi, campione dello sci.

“la politica deve fare di più per sostenere gli

atleti. e lei, da ex canoista plurimedagliata, può capire

a fondo cosa serve al nostro mondo”

“un ministro come idempuò far bene allo sport” la scheda

Sergio Bonaldi nasce a San Giovanni Bianco il 7 agosto del 1978. Esordisce nel 1999 nel biathlon, in Coppa Euro-pa. Conquista la medaglia di bronzo agli Europei del 2001, disputati in Alta Moriana. Ai Mondiali di Hochfilze del 2005 si piazza 45° nell’individuale. Nel 2006 conquista il bronzo nella Sprint della Val Ridanna e l’argento nella Sprint della Val Martello. Dal 2007 si dedica allo sci di fondo, gareggian-do perlopiù nella Marathon Cup. Nel marzo del 2013 è oro nella FIS Mara-thon Cup, nella Engadin Skimarathon, sulla pista svizzera di Samedan.

I giovani oggi si appassionano meno agli sport invernali. Sarà dura scovare nuovi campioni

Difficile immaginare un mondo senza doping. Qualche caso isolato temo ci sarà sempre

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lavoro all’esterobiglietto

di sola andataC’è chi parte per motivi di studio, chi alla ricerca di un lavoro, chi all’avventura. Qualunque sia la motivazione, gli italiani che si trasferiscono all’estero sono sempre più numerosi.

di AleSSiA MArSiGAliA

secondo i dati Istat, nel 2012 sono 50mila le persone che in un anno hanno lasciato il no-stro Paese per atterrare su al-

tri lidi. Si tratta soprattutto di maschi, sempre più giovani, e con un titolo di studio sempre più elevato. In Europa sono Germania, Svizzera, Regno Unito e Francia i Paesi più gettonati, insieme

a quelli del Nord Europa, attualmente meno condizionati dalla crisi econo-mica. C’è però chi guarda con favore anche ai Paesi emergenti, come il Bra-sile, mentre gli Usa restano la meta per eccellenza per chi vuole farsi un buon curriculum. Addio quindi ai “bamboccioni” che cer-cano rifugio in famiglia, perché quasi il 60% dei giovani italiani è disposto ad andare all’estero per migliorare le pro-

prie opportunità di lavoro. I più decisi a lasciare nido e patria sono i giovani del Nord che, per cercare impiego si affidano sia all’invio dei curriculum vi-tae, sia al web – riconosciuto come uno strumento più importante rispetto alle Agenzie per il lavoro – inserendo il pro-prio cv in siti specializzati. Ma anche chi sta ancora studiando pensa già a “cosa fare da grande”: gli studenti italiani che completano gli studi all’estero s

DRIVEPD

La Fondazione Credito Bergamasco invitaa visitare gratuitamente la mostra dedicataa Zaccaria Cremaschi dal titolo Del vederesospeso, nella quale l’artista presenta alpubblico un’emozionante selezione dellasua suggestiva produzione artistica.

L’iniziativa rientra nelle celebrazioni delcentenario di apertura della filiale di Loveredel Credito Bergamasco.

Atelier del TadiniLovere, via G. Oprandi 11 maggio-7 luglio 2013

Orar i :da martedì a sabato,dalle ore 15,00 alle ore 19,00;

domenica e festivi, dalle ore 10,00 alle ore 12,00 dalle ore 15,00 alle ore 19,00

Ingresso libero In collaborazione con:

www.fondazionecreberg.it

Del vedere sospesoOpere di Zaccaria Cremaschi

esec. pag Cremaschi 200x260 mm:Layout 1 16/05/13 14:49 Pagina 1

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(60mila) sono in continuo aumento, e dal 2007 e al 2010 la percentuale è cresciuta del 42,6 per cento (fonte Censis). Altro fenomeno nuovo è il pen-dolarismo, non solo a breve raggio che, nel 2010, ha coinvolto 9,6 milioni di italiani, di cui oltre 13mila fanno spola tra Italia e estero. In questo contesto il termine fuga di cervelli appare quindi un po’ ridutti-vo rispetto alle scelte di questi uomini e donne che varcano i confini. “In una società sempre più de-territorializzata grazie ai media digitali, chi parte non si sente migrante in senso classico, pur continuando a vivere e sentire gli effetti dello spostamento – dice Delfina Lica-ta, caporedattore del Rapporto Italiani all’estero –. Il viaggio diviene centrale per la formazione culturale e l’identità di un giovane il quale, non di rado, re-alizza anche molteplici spostamenti resi possibili dalla facilità dei mezzi di comu-nicazione. I giovani italiani all’estero, quindi, vanno considerati un potenziale sociale, culturale ed economico a con-dizione di mantenere legami fruttuosi tra chi è partito e chi è rimasto. Cosa che non sempre avviene, per cui la po-tenzialità prima richiamata rimane solo formale”.

lonDrA EDOARDO, informaticoCosa ti ha spinto a partire?Imparare meglio il conversational-en-glish (parlato, la lingua vera che si usa al bar) e capire com’è la startup-scene qui a Londra, considerata la Silicon Valley d’Europa.Ti sei preparato prima di partire?Avevo fatto qualche ricerca sulle zone della città, sui siti web dove cercar casa e sui coworking; per il resto ho improv-visato.Perché hai scelto Londra?Perché la prima volta che sono venuto qui da turista mi sono sentito “a casa”; qui c’è la cultura delle startup e parlano inglese!Trovare casa è stata dura?Una volta arrivato, ho prenotato 5 gior-ni in B&B durante i quali ho cercato e trovato casa. Ho avuto una fortuna paz-zesca, a Londra trovare una casa decente in un posto decente a un prezzo ragio-nevole è un’impresa! E per il lavoro, essendo tu libero pro-

fessionista?Ho provato qualche coworking, per il resto non c’è differenza con l’Italia: si va per conoscenze!Ti sei appoggiato ad amici?No, avevo solo qualche contatto in caso di “emergenza”. Una scelta voluta per non adagiarmi e farcela da solo. A po-steriori, devo dire che è stata un’ottima idea: la consiglio a tutti!Riesci a vivere bene con quel che gua-dagni?A parità di lavoro, mediamente gli sti-pendi consentono un tenore di vita mag-giore qui che in Italia. Anche perché ci sono benefit aggiuntivi forniti dallo Sta-to (per chi ha figli, è disoccupato, ecc.).Quali sono secondo te gli aspetti po-sitivi, nel settore lavorativo, che qui trovi mentre in Italia no?C’è un abisso! Alcune cose che ho tro-vato qui: meritocrazia prima di tutto, opportunità decisamente interessanti, poche chiacchiere e tanta sostanza.Torneresti in Italia?Assolutamente sì!

BruXelleS CLAUDIA, funzionario della Commissione EuropeaPerché hai lasciato l’Italia?Volevo fare un’esperienza di lavoro presso le istituzioni europee, coeren-temente col mio percorso accademico. Non sono fuggita, ho solo inseguito un’ambizione e un’intuizione.Sapevi già cosa fare quando ti sei tra-sferita? Mi sono trasferita a Bruxelles due volte: la prima volta grazie a una borsa di stu-dio per un tirocinio al Parlamento Euro-peo. Dopo una serie di altre esperienze sono tornata in Italia, ma poi ho avuto un’importante occasione di lavoro che, in accordo col mio compagno, ho deciso di accettare. Ci siamo quindi trasferiti insieme a Bruxelles.Come trovi Bruxelles?È una città che amo molto e in cui imma-gino di poter restare per molti anni: pur essendo una capitale, è a misura d’uomo e il costo della vita è ragionevole. E poi la comunità italiana è così numerosa da colmare nostalgie culturali.Conoscevi la lingua prima di partire?A Bruxelles si vive in francese e si lavora in inglese: prima di trasferirmi avevo una conoscenza basica di entrambe le lingue

ma vivere e lavorare qui mi ha permesso di migliorarle molto e di raggiungere ra-pidamente ottimi livelli.Come ti sei organizzata all’inizio per vivere? I primissimi giorni ho approfittato del divano di una coppia di ex colleghi di master, il tempo di trovare una stanza in un appartamento condiviso. Conoscevi qualcuno? Avevo già una rete di conoscenze di ex alunni del master in Studi Europei che mi ha permesso di adattarmi bene, ma con lo stage ho conosciuto moltissimi giovani colleghi provenienti da tutta Europa. Lo stipendio che prendi ti basta per vivere a Bruxelles?Il mio attuale stipendio è triplicato ri-spetto al mio ultimo contratto a progetto che avevo in Italia, prima di partire. Tut-tavia non credo di guadagnare tanto, ma il giusto: a noi italiani queste cifre fanno effetto, condizionati da una visione al ri-basso delle remunerazioni, mentre que-sti stipendi dovrebbero essere la norma-lità per giovani con percorsi accademici e lavorativi di rilievo.Quali sono gli aspetti positivi che dif-ferenziano l’ambiente di lavoro da quello italiano?

Le tutele e le garanzie sociali, l’ambiente internazionale e l’investimento sulla for-mazione continua, lo stipendio calmie-rato agli standard europei, la possibilità di fare una carriera rapida se meritevoli e la non discriminazione di genere.Torneresti in Italia?Certo, sono anche attiva in un’associa-zione italiana che promuove la citta-dinanza attiva e l’innovazione sociale. Vorrei tornare per concludere il ciclo di circolazione e per partecipare alla rina-scita del mio Paese. Vivo la mia assenza dal Paese con un forte senso di respon-sabilità. Non sono però disposta a farlo a condizioni lavorative inferiori a quelle attuali, se non per incarichi di particola-re interesse e rilevanza.

PeCHino MARCO, insegnantePerché hai lasciato l’Italia?Nell’ordine: per fare un’esperienza all’estero, migliorare la lingua cinese, e perché non ce la facevo più a vivere nella mia città, Brescia.Sapevi già cosa fare quando ti sei tra-sferito? Ho cercato lavoro una volta arrivato a Pechino.Perché hai scelto proprio la Cina?Per ragioni inerenti lo studio della lin-gua e per la presenza di una folta comu-nità internazionale.Conoscevi la lingua prima di partire?Avevo delle basi di cinese, l’ho imparato veramente solo in seguito.Come ti sei organizzato all’inizio per vivere? Ho affittato una casa con altri ragazzi, facendo vari lavoretti.E ora?Ora ho un lavoro stabile da più di due anni.Che lavoro fai? Insegno lingua italiana, un lavoro che mi permette di vivere piuttosto bene e di mettere da parte dei soldi.Un aspetto positivo dell’ambiente di lavoro?La dinamicità, senza dubbio.Torneresti in Italia?Sto facendo di tutto per non tornare.

giovani bresciani che lavorano all’estero

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l’informagiovani

Italiani che vanno all’estero: dopo 15 anni di lavoro in questo settore, quali cambiamenti ha registrato?Negli ultimi anni si è spostata in avanti l’età: vengono da noi non solo giovani, ma anche persone adulte e spesso vicine alla pensione. Altro fattore, che riguarda soprattutto i giovani: si tende a prendere un biglietto di sola andata. Quali sono i Paesi più richiesti?Quelli con meno vincoli all’ingresso, come Canada e Australia. Gli Stati Uniti sono al top per motivi di studio, mentre il Brasile si è recentemente affacciato come meta tra le più richieste. Che tipologia di lavoro viene ricercata?

Il lavoro. È vero che c’è meno paura a partire forse grazie alla globalizzazio-ne e alle informazioni che circolano via web. Ma tra le persone che vengono da noi io leggo molta ansia e paura. Talvol-ta arrivano in lacrime, magari spinti dalla famiglia a partire perché qui non trova-no nulla o 17enni che non sanno cosa devono fare. Altri fenomeni rilevanti?Tanta utenza straniera: pakistani, alba-nesi e maghrebini. Qui non c’è lavoro e così decidono di partire. Un’utenza complessa, difficile da gestire burocra-ticamente, per la quale ci siamo dovuti attrezzare.

erasmus, uN trampoliNo di laNcio

leeDS (reGno uniTo) - luCACome mai hai scelto Leeds per fare l’Erasmus?Su consiglio di alcuni amici inglesi che frequentavano il mio stesso cor-so e devo dire che sono rimasto mol-to soddisfatto. Non solo ho miglio-rato il mio livello linguistico ma ho anche conosciuto maggiormente me stesso, i miei limiti e le mie paure.Quali differenze hai riscontrato tra il contesto universitario italiano e quello straniero?A Leeds il sistema universitario è molto più organizzato. Le dimensio-ni dell’università, lo stile e l’approc-cio alla lezione sono più semplici e diretti. Gli insegnanti sono molto disponibili sia durante la lezione che a colloquio. L’università italiana ha un’impronta decisamente più teorica rispetto a quella inglese, che predi-lige una formazione più pratica, con laboratori e lavori sul campo.Ora sei tornato in Italia, ma poi che farai?Poco dopo essere tornato ho deciso di fare una breve esperienza lavora-tiva all’estero. Se prima pensavo di passare tutta la mia vita in Italia, ora, grazie alla rete di conoscenze che ho sviluppato, ho svariati paesi dove vorrei vivere o almeno soggiornare per un periodo, e credo che questa “fame di nuovo” non passerà mai.

BArCellonA - FABio Quando sei arrivato, come ti sei or-ganizzato per vivere?Prima di tutto ho provato a verifi care le alternative indicate dall’università, ma nessuna di esse mi soddisface-va. Spesso sono distanti dal centro storico e dalla vita notturna. Così ho deciso di cercare una sistemazione per conto mio tramite i numerosi siti presenti nel web. Per un anno intero ho vissuto con altre 8 persone, tutte di nazionalità diversa, che considero come una famiglia, visto che ho avu-to la possibilità di fare da testimone di nozze ai miei coinquilini.Conoscevi già lo spagnolo?Quando sono arrivato non parlavo neanche una parola, ma per crescere ti devi “buttare”. Mi ha aiutato mol-to il fatto di non vivere con italiani, così adesso oltre allo spagnolo, par-lo anche l’argentino e il costaricense.Perché hai scelto proprio Barcellona?Credo che sia la città più multicul-turale e misteriosa d’Europa. C’ero già stato con la mia famiglia per un weekend e mi ero innamorato delle persone che vedevo camminare per strada. Era come se ad ogni svolta trovassi qualcosa per cui restare.Sei più tornato da quando hai fi nito l’Erasmus? Torno quasi ogni anno, per rivedere gli amici che sono rimasti.

Il progetto Erasmus è il sogno di molti studenti universitari, an-siosi di preparare le valige e avventurarsi in un ambiente nuovo e affascinante. Le possibilità di scelta è ampia, grazie ai contatti che le università italiane hanno stretto con le città europee.

Bisogna fare una distinzione. Molti di coloro che necessitano dell’aiuto dei nostri servizi sono persone non qualifi-cate, senza titolo di studio o esperienza. Quindi è un’utenza complessa che può essere indirizzata solo verso lavori sta-gionali nei settori rurale, di catering o turistico. Per i professionisti abbiamo soprattutto richieste da parte di laurea-ti in economia, ma anche di ingegneri e tecnici. Molte sono anche le richieste di artisti, dalla danza al teatro.Queste le richieste da Brescia, ma all’estero cosa cercano?Ingegneri e tecnici nei settori delle rin-novabili sono richiesti, in particolare

dalla Germania. Anche gli informatici.Francia e Gran Bretagna? Loro non chiedono nulla, hanno già ri-sorse interne che non sanno come im-piegare.La maggior parte torna o rimane?Purtroppo, come Informagiovani per-diamo un po’ traccia degli utenti: una volta all’estero credo che abbiano pen-sieri più importanti che tenerci aggior-nati. Ma nella cooperativa con cui col-laboro il dato è abbastanza alto: il 25% di chi parte per programmi di stage e volontariato non torna. In base alla sua esperienza, cosa sta alla base di questa nuova migrazione?

BreSCiA CATERINA BETTI, referente Eurodesk Informagiovani del Comune di Brescia e consulente della “Cooperativa tempo libero” per progetti di mobilità all’estero.

di Federico Cardani

L’Informagiovani di via San Faustino, a Brescia.

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matrimoni“fughe” all’estero

e sponsor per risparmiare

Ci si sposa sempre meno, di contro i costi per la cerimonia continuano a crescere. Così c’è chi si ingegna e trova finanziamenti grazie al web e chi dice “sì” su un’isola tropicale evitando spese ingenti e stress da preparativi.

l’Italia sta cambiando, almeno a guardare i dati Istat sul ma-trimonio. Non solo al nord le unioni civili hanno battuto

quelle religiose (51,7% a 48,3%), ma la tendenza è quella di sposarsi sempre meno. Una svolta che, come registrano gli ultimi dati Istat del 2011, segna un cambiamento socio-culturale in un Pae-se che solo in apparenza sembra influen-zato ancora fortemente dalla religione cattolica. È il sud l’ultimo baluardo del matrimonio religioso (60,2%), men-tre se al nord vincono le unioni civili, al centro la partita finisce in pareggio. Un trend che inquadra una società in netto mutamento, a una velocità ben più sostenuta di quella del legislatore, con unioni di fatto in crescita e famiglie (29,4%) composte da persone sole. Dati che fanno il paio con il trend della coesione sociale, che negli ultimi dieci anni, dal 1995 al 2010, hanno registra-to un’impennata delle separazioni (+ 68%) e dei divorzi (+100,3%).

CAro MATriMonioGli irriducibili che credono ancora nel-la vita coniugale (209mila coppie nel 2011), si devono tuttavia scontrare col caro matrimonio, questione salata che in tempi di crisi può far venire

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più di un ripensamento. In Italia per organizzare un matrimonio si spende, in media, dai 20 ai 40mila euro, senza strafare. Le voci di spesa che incidono maggiormente sono l’abito della sposa (da 800 a 10mila euro), quello dello sposo (da 800 a 4mila euro) e il ricevi-mento nuziale per il quale si può spen-dere da 7mila a 20mila euro per 100 invitati. Se la cerimonia è religiosa, ce la si cava con un’offerta libera, mentre se si sceglie il Municipio le cifre pos-sono essere significative. Si parte da un minimo di 300 euro per una sala consi-liare senza troppe pretese, per arrivare oltre a 1.000 euro per quelle dal valore storico. Se si desidera un matrimonio all’americana, celebrando il rito civile su un prato allestito, le cifre possono salire ulteriormente a causa dell’esiguità del-le location. Sono infatti ancora poche centinaia, in tutta Italia, le ville storiche private dov’è possibile celebrare il rito civile. A quel punto le cifre possono lievitare sino a 2.500 euro, vincolando la cerimonia all’utilizzo della location per il ricevimento. A tutto questo vanno aggiunte un’infinità di altre spese acces-

sorie che piovono dal cielo come caval-lette bibliche, pappandosi in un lampo i pochi risparmi messi da parte. Oltre alle necessarie fedi nuziali (da 350 a 1.500 euro), va tenuto conto del noleggio auto (da 600 a 2.000 euro), delle bombonie-re (oltre 1.000 euro), del servizio foto-grafico e video (da 1.300 a 5.000 euro) e degli addobbi floreali che, tra bouquet della sposa (da 300 euro), decorazio-ni della cerimonia (da 500 euro) e del ricevimento (da 1.000 a 3.000 euro), incidono considerevolmente sul bud-get finale. Tutto questo senza contare il viaggio di nozze che, mediamente, si aggira su 6mila euro a coppia.

lA SPonSorizzAzioneViste le cifre che girano per pronun-ciare l’agognato “sì”, molte coppie si stanno giocando la carta della spon-sorizzazione. Se sposarsi con meno di 2.000 euro sembra un sogno per molti, non lo è per Daniela Bresciani e Massimo Pilotti, che sono riusciti a farsi sponsorizzare circa l’80% del loro matrimonio. Ma non diamo limiti alla provvidenza perché il 14 settembre,

giorno in cui convoleranno a giuste nozze in quel di Muscoline (Brescia), è ancora lontano per sapere se riusci-ranno a ridurre ulteriormente la spesa del loro “giorno più bello”. A dar loro una mano ci stanno pensando 19 spon-sor che si occuperanno praticamente di tutto, dal vestito della sposa alle bomboniere, dal servizio fotografico all’allestimento floreale, sino al rice-vimento e alle fedi nuziali. Mancano solo il vestito dello sposo e il viaggio di nozze, per completare l’opera di quello che, nato come un gioco leggero, si sta trasformando in un business maledet-tamente serio. “Non chiediamo l’ele-mosina, come qualcuno ci ha accusato di fare! – ci tiene a precisare Massimo –. Nessuna pistola puntata alla tempia degli sponsor, che al contrario stanno

collaborando entusiasticamente, rice-vendo da noi non solo i ringraziamen-ti, ma la pubblicità su giornali e social network”. La sponsorizzazione del matrimonio è un must negli Stati Uniti, dove molte coppie si sposano ogni anno arrivando a risparmiare fino al 95% del budget pre-visto. I requisiti per entrare nelle grazie degli sponsor sono un blog creato ad hoc per il matrimonio, una buona dime-stichezza con i social network e molto tempo a disposizione per aggiornare costantemente le proprie pagine. “Da quando abbiamo cominciato quest’av-ventura, nell’ottobre del 2012 – spie-ga Massimo –, abbiamo ricevuto una trentina di offerte da sponsor di vario genere. Il primo, con grande sorpresa, dopo soli due giorni dalla creazione del

genitori di Massimo, anche se sperano di avere presto un posticino tutto loro. Che arrivi un altro sponsor a soccorrer-li? Non a caso la prima offerta arrivata proveniva proprio da un elettricista di-sposto a fare dei lavori nel loro futuro nido d’amore. Staremo a vedere.

i PArADiSi TroPiCAliSempre più italiani scelgono una ro-mantica fuga all’estero, evitando lo stress dei preparativi per il matrimonio. Sbarcata in Italia alle fine degli anni No-vanta, la tendenza di celebrare il proprio matrimonio su isole tropicali proviene dagli Stati Uniti, ma è oggi un must in Canada, Regno Unito, Russia e Cina. In Italia la tendenza è in crescita, come testimoniano le centinaia di richieste che arrivano ogni anno all’agenzia to-

Per organizzare un rito nuziale oggi si spendono mediamente dai 20 ai 40mila euro, senza strafare

nostro blog. Ad oggi siamo presenti sui principali social network e siamo quota-ti tra i migliori motori di ricerca legati al matrimonio”. Un “do ut des” che vive del ritorno d’im-magine degli sponsor, nella maggior parte piccoli negozianti o liberi profes-sionisti, che sperano di veder aumenta-re i propri clienti. “Non chiediamo agli sponsor di avere dei servizi gratuiti, ci basta che siano scontati – prosegue Massimo –. Con la crisi che c’è sarebbe eticamente sbagliato avere troppe pre-tese, tanto più per me che ho perso il lavoro e che sto vivendo sulla mia pelle questa grave situazione”. Magazziniere del terziario, Massimo è disoccupato dallo scorso febbraio, mentre Daniela lavora part-time. Ventinovenni entram-bi, convivono già da tempo nella casa dei

Daniela Bresciani e Massimo Pilotti

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scana Wedding in Paradise. L’identikit degli sposi italiani che optano per un matrimonio del genere è presto detto: prevalentemente del nord, età compre-sa tra i 30 e i 40 anni, al primo matri-monio (80%), con un’estrazione sociale molto variabile, dall’imprenditore al la-voratore dipendente. “Lombardia, Ve-neto, Liguria ed Emilia Romagna sono le regioni che optano più facilmente per il matrimonio all’estero – spiega Silvia Santi, titolare dell’agenzia –. Dal-le regioni del sud, più tradizionaliste, arrivano non solo meno richieste, ma anche di natura diversa”. Se gli sposini del nord preferiscono infatti una ro-mantica fuga per due, quelli del sud si portano un numeroso stuolo di invitati, tra parenti e amici, ben lieti di visitare isole favolose. Le mete più richieste sono le Seychelles, Antigua e le isole Cook, a cui fanno seguito il Messico e Zanzibar. “Le Seychelles sono al primo posto tra le scelte dei nostri clienti, non solo perché sono isole paradisiache, non interessate ancora dal turismo di massa, ma perché rispetto alle isole del Pacifico, sono raggiungibili in molte meno ore di volo”. Antigua si classifi-ca al secondo posto come meta ancora poco conosciuta, mentre le isole Cook, le più desiderate sino a metà anni 2000, si classificano al terzo posto. I costi di un matrimonio all’estero sono molto variabili in base all’isola e al resort scel-to dagli sposi. In media un pacchetto nuziale non supera gli 800 euro, extra esclusi, salvo alcuni resort di lusso dove le cifre possono salire fino alle 3.500 euro. Nel pacchetto nuziale sono com-presi il costo del celebrante, il certifica-to di matrimonio, i testimoni, le spese di registrazione, la licenza, il bouquet e le decorazioni floreali. Tutto questo senza contare il volo e il soggiorno. “In questi anni la forbice dei nostri clienti si è mol-to ampliata – spiega Santi –. Se prima vendevamo pacchetti molto esclusivi, oggi ci contattano anche persone che desiderano sposarsi con cifre molto più contenute”. A Zanzibar e in Messico è possibile celebrare un matrimonio low cost, comprensivo di pacchetto nuziale

AL bANdo PrANzI o ceNe troPPo LuNghI e grANde AtteNzIoNe ALLA boMboNIerA

i consigli del wedding planner“l’attenzione al dettaglio È tutto”Chi sogna un matrimonio da favola non può che rivolgersi a lui. Indispensabile in passato per i matrimoni di rappre-sentanza, oggi il wedding planner è diventata una delle figure professionali più richieste dalle coppie che vogliano celebrare un matrimonio glamour. Il wedding planner offre consulenza ai fu-turi sposi per tutte le scelte riguardanti il matrimonio, dall’individuazione della location, all’organizzazione del viaggio di nozze, sino alla gestione degli ospiti. È la regia artistica di quel giorno, colui che disbriga ogni formalità organizza-tiva e burocratica, sollevando gli sposi

dallo stress dei preparativi. “Per trasfor-mare un matrimonio in un grande even-to, l’attenzione ai dettagli è tutto, così come l’equilibrio tra le varie componen-ti della cerimonia e del ricevimento”, spiega Enzo Miccio, wedding planner e conduttore delle trasmissioni Wedding planners e Ma come ti vesti, entrambe su Real Time. Ma quali sono i consigli per un matrimonio perfetto? Per prima cosa è necessario scegliere la data e cercare la location. In media si parte con un anno d’anticipo per “non farsi soffiare quella villa tanto ambita”, soprattutto se il ma-trimonio si celebrerà in primavera, la

e soggiorno per una settimana, a soli 1.800 euro. Lo stesso dicasi per le Bahamas in bassa stagione, da aprile a dicembre. Oltre al matrimonio civile è possibile celebrare anche quello catto-lico in chiesa, ma esclusivamente alle Seychelles, ad Antigua e alle Bahamas. Mentre per il riconoscimento in Italia nessun problema, purché il matrimo-nio sia trascritto dalle ambasciate o dai Comuni di residenza. I tempi previsti, con validità retroattiva, cambiano mol-to in base al Paese: in media due mesi per Seychelles, tre mesi per il Pacifico,

cinque mesi per Mauritius, sei mesi per il Messico e dai cinque ai dieci mesi per i Caraibi. E per chi volesse celebrare il proprio matrimonio come una star di Hollywood, c’è solo l’imbarazzo della scelta, ma occorre muoversi per tempo. “Paradossalmente è più difficile trovare posto nelle location più esclusive, fre-quentate anche dal jet set americano – continua Santi – piuttosto che in altre, nonostante si parli di cifre tutt’altro che abbordabili”. Un esempio? Alle Fiji il Turtle Island Resort arriva a costare, a persona, sino a 2.000 euro al giorno.

Silvia Santi

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stagione favorita dagli sposi. Fatto il pri-mo passo, è meglio dedicarsi alla scelta del fotografo e dell’accompagnamento musicale, quest’ultimo tra gli elemen-ti più importanti per la buona riuscita dell’evento. “Nonostante l’Italia sia patria di grandi cantanti e melomani – spiega Miccio – quello della musica è tra le voci di spesa su cui si tende a lesinare. L’accompagnamento musicale, specie

durante l’aperitivo, è in realtà fonda-mentale per creare la giusta atmosfera”. Allo stesso modo, per l’abito della spo-sa occorre pensarci per tempo, almeno sette mesi prima del matrimonio. “La sposa vuole essere femminile e roman-tica – spiega –, per questo la gonna è diventata più ampia e il pizzo è tornato di gran moda. Allo stesso tempo si è ri-scoperto il valore della grande artigiana-

Ci hanno Detto…

Giorgia di Boltiere “Ho deciso di sposarmi alle Seychel-les per fare un matrimonio diverso dal solito, senza stress, spendendo una cifra accettabile. Di solito gli sposi organizzano un matrimonio che piaccia agli altri, noi l’abbiamo organizzato perché piaccia a noi”.

Fabio di Mornico“Mi ha preso un accidenti quando ho sentito certe cifre! Per una cena di nozze, in una location di medio li-vello, chiedono dalle 100 euro in su,

con un minimo di 50 invitati. Senza contare gli addobbi fl oreali sui tavoli, il tableau de mariage e altre scioc-chezze che fanno inutilmente lievita-re il prezzo”.

Sara di Treviglio“Per il mio matrimonio ho speso circa 27mila euro, viaggio di nozze compreso. Dai parenti e gli amici ho recuperato circa il 60-70% di quanto speso. Lo rifarei”.

Giorgio di Bergamo“Stiamo contribuendo a metà del ri-cevimento di nozze di nostra fi glia. Tremila euro non sono pochi, senza contare che pagheremo parte del suo viaggio di nozze. Siamo pensio-

nati, ma qualcosa da parte ce l’ab-biamo ancora”.

livia di Sarnico“Ho scelto di acquistare un abito low cost per il mio matrimonio. Cinque-cento euro appena. Mentre per le bomboniere abbiamo trovato un sito internet che vende sacchettini per confetti a soli 20 euro per 24 pezzi”.

Greta di Bergamo “Abbiamo prenotato una bellissima villa in provincia di Lecco, con un anno di anticipo. Il costo è di 2.500 euro, ma non mi importa. Ho sempre desiderato un matrimonio da sogno, sin da bambina. Alla favola non ri-nuncio”.

lità italiana, soprattutto per i ricami fatti a mano”. Scelto l’abito occorre pensare alle decorazioni floreali e al menù, con almeno cinque mesi d’anticipo. Al ban-do pranzi o cene troppo lunghi, per evi-tare l’insorgere di piaghe da decubito al povero zio Orazio. “È tra gli errori in cui è più facile incappare – spiega Mic-cio –. Molto meglio fare un aperitivo prolongée in piedi, di circa un’ora, che permetta agli ospiti di arrivare a tavola con la metà dell’appetito soddisfatto, continuando il ricevimento con massi-mo tre portate servite a tavola”. E per la wedding cake? Spettacolari come opere d’arte, le torte americane hanno sop-piantato già da qualche anno le classiche cake nuziali, dalla chantilly alla saint ho-noré, rubandone la scena nel momento clou del ricevimento nuziale. Per una wedding cake americana a più piani, il prezzo medio può andare dalle 10 alle 15 euro a porzione, cifra che può alzarsi vertiginosamente a seconda delle ore di realizzazione dei suoi elementi deco-rativi. Da ultimo le bomboniere. “Da anni lotto perché alle bomboniere venga riconosciuta giusta dignità – conclude –. È buona educazione, infatti, dopo aver condiviso una giornata con i propri ospiti fare loro un regalo per ringraziarli di aver partecipato all’evento. La bom-boniera, tradizionale o innovativa, va dunque sempre fatta”.

Enzo Miccio

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STRADE E quARTIERI/

arrivano le “turbomamme”e la celadina ritrova lo sprint

un’associazione di genitori sta provando con successo a ridare slancio e occasioni di incontro al vecchio quartiere, lontano dal centro e un po’ dimenticato.

di SArA noriS

un quartiere tagliato a metà. Da una parte Bergamo, dall’altra Gorle. Due ter-ritori diversi, due ammi-

nistrazioni comunali distinte, un unico quartiere, Celadina, che da sempre con-vive con questa strana realtà: “un po’ di qua, un po’ di là”, come dice chi ci abita e lavora. E la via Celadina, che comincia dal Portone del Diavolo – simbolo del quartiere – è il confine di questo mon-do a metà: sul marciapiede a destra si è in paese, dall’altra parte della strada in quel di Bergamo.

Nato e cresciuto una sessantina di anni fa con la prima edilizia popolare che al-lungava la città fino a Gorle e al confine con Seriate, il quartiere Celadina oggi raggiunge ottomila abitanti e dimostra tutti i suoi anni, soprattutto nei vecchi condomini abitati per lo più da immigra-ti, come in via Monte Grigna. Si tratta in maggioranza di sudamericani che, come raccontano i commercianti, sono perfet-tamente integrati alla vita del quartiere. Non era così fino a una decina di anni fa, quando via Rovelli era invece invasa dai rom e i residenti di Celadina facevano sentire la loro voce. Un grande quartiere – dove trovano

posto anche strutture imponenti come il carcere di via Gleno e il mercato or-tofrutticolo in via Borgo Palazzo – in cerca di una sua rivincita attraverso la rinascita di via Daste e Spalenga, con i suoi condomini nuovi di zecca, e una piccola piazzetta, che sta tanto a cuore alle mamme di Celadina, diventata cen-tro di eventi e giochi per i bambini. “Ri-vitalizzare il quartiere” è la parola d’or-dine alla Celadina. Con l’aiuto di tutti: dal centro anziani a quello giovanile, dall’oratorio all’associazione delle Tur-boMamme fino al gruppo delle famiglie extracomunitarie. Perché rivitalizzare fa rima anche con integrazione.

FABio CABrini e GiuliAnA zAnATTA(eDiColA) Via celadina

Quali sono i problemi del quartiere?“Non mi pare proprio che ci siano pro-blemi in questa zona. Sono qui da nove anni e non ci sono state situazioni di particolare disagio”.Ci sono molti stranieri?

“Sì, abbastanza. Ma la convivenza è buo-na, si vive bene”.Ci sono negozi che hanno chiuso ne-gli ultimi tempi?“Qualcuno sì, ma non credo dipenda dal quartiere. Sono tempi duri per tutti”.È un quartiere molto trafficato?“Abbastanza, per essere una via secon-daria c’è un bel via vai”.

STeFAno MArenzi(AliMenTAri MArenzi)Via celadinaCi sono servizi nel quartiere?“Sì. Tutti i servizi di prima necessità ci sono. Compresi gli uffici postali e gli am-bulatori dei medici di base. C’è tutto”.Non manca proprio nulla?“No, direi di no”.È un quartiere tranquillo?“Sì, forse dopo un certo orario, di sera, anche troppo”.Cosa trovano qui i giovani?“Oltre l’oratorio c’è il centro di aggrega-zione giovanile che funziona bene. Per il resto forse qualche pub e nulla di più”.

cI rAccoNtANolA CelADinA

PAESE CHE VAI…LE NOSTRE IMPRESSIONI

Girando tra le vie si ha l’impressione di un quartiere non solo vecchio, ma piuttosto ma-landato e forse proprio “dimenticato”. Essere lontano dal centro cittadino evidentemente non aiuta. Si respira però la semplicità della vita di quartiere e l’affabilità dei suoi abitanti. Dentro e fuori i negozi.

Fabio Cabrini e Giuliana Zanatta

Stefano Marenzi

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STRADE E quARTIERI/

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eMAnuelA e AnnA lonGAreTTi(PAniFiCio lonGAreTTi) Via celadina

Un pregio del quartiere.“È un quartiere popolato, si lavora bene e soprattutto ci si conosce tutti. Noi sia-mo di Costa Mezzate e abbiamo aperto qui l’attività ma è bello vedere come ci sia affiatamento tra le persone”.I difetti...“Ci sono alcune zone di degrado dove abitano rom ed extracomunitari”. Cosa chiederebbe al Comune se po-tesse?“Non mi viene in mente nulla di partico-lare. In questa zona si sta bene, è un bel quartiere”.Si organizzano eventi o iniziative?“No, niente. C’è però un gruppo di mamme della scuola che si dà molto da fare e organizza momenti d’incontro e attività per i bambini. Si sono chiamate “TurboMamme”.

STeFAniA lozzA(lozzA Fiori) Via celadinaÈ un quartiere vivibile?“Sì, non ci si può lamentare”.Problemi?“Il traffico. Tutti viaggiano molto velo-cemente ed è pericoloso. Tante volte abbiamo chiesto maggiori controlli”.Ci vivono molti anziani?“Sì, il quartiere è vecchio. Anche se negli ultimi anni sono arrivate giovani coppie. Possiamo dire che c’è un cam-biamento di generazioni”.Cosa manca nel complesso?“Manca l’autobus che porti a Gor-le”.

Le mamme in campo

“Ci siamo messe in gioCo per sentirCi utili al quartiere”

Sono nate per caso e quasi non ci credevano nemmeno loro. Il tempo di una merenda al parco e un po’ di chiacchiere tra mamme che con-dividono gli stessi problemi di ogni giorno in un quartiere che potrebbe offrire di più ai loro piccoli. E si sono dette “perché no?”. Le “TurboMam-me” della Celadina – e già il nome dice tutto – hanno dato vita a una vera e propria associazione, con tan-to di sito internet (http://sites.goo-gle.com/site/turbomamme/), pagina facebook (“Le Turbomamme”) e dal-lo scorso aprile anche con “Turbo-news, notizie dal quartiere”. E non intendono certo fermarsi qui. “Sia-mo sette mamme e un papà – spie-ga la portavoce Manuela Armati – e ci siamo trovati quasi per caso con l’idea di fare qualcosa per Celadina, anche semplicemente tagliare l’erba nelle aiuole o pulire il marciapiede, ma che per noi aveva il significato di voler adottare il nostro quartiere”. Come anche darsi una mano tra le famiglie con “l’ora d’aria”, iniziativa grazie alla quale, alcuni sabato sera e domeniche pomeriggio, nel perio-

do invernale le “turbo mamme” or-ganizzano a turno cene o merende ospitando i bambini e permetten-do così ai loro genitori di avere tre “ore d’aria” per rilassarsi. O i tanti laboratori d’arte, le letture animate, i giochi per i bambini. “Poi abbiamo iniziato adorganizzare momenti d’in-contro nel parco – spiega la Turbo-mamma – ed è stato bello vedere la partecipazione numerosa”. Il “Parco delle meraviglie”, nella piazzetta di via Daste e Spalenga, due giornate dedicate a giochi di ogni tipo, scam-bio di giocattoli, percorsi in bicicletta e anche una notte in tenda al parco, si è rivelato un successo e solamen-te l’anno scorso ha visto la parteci-pazione di cento campeggiatori. “È tutto gratuito – precisa Armati – si chiede solo la collaborazione. Perché l’obiettivo è fare qualcosa per noi”. E l’edizione 2013 si ripete. L’appun-tamento è per sabato 8 giugno, alle 18. Ma le attività delle Turbomam-me non “si esauriscono” qui. Perché abitare il quartiere per loro significa “coinvolgere tutti”. Con entusiasmo e tanta fantasia.

Emanuela e Anna Longaretti

Di crescere. Nel 2012 l’Aeroporto di Milano Bergamo è risultato il 4° aeroporto italiano con oltre 8 milioni di passeggeri, un dato che rispecchia la crescita costante degli ultimi dieci anni per un scalo che contribuisce all’aumento del pil provinciale generando ricchezza locale e sviluppo occupazionale del territorio.

Il futuro aspetta Bergamo a braccia aperte.

L’AEROPORTO È LIBERTÀ.

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azzanoresta un sogno il rilancio dell’area dell’eX castello

la carenza di fondi penalizza il progetto di rivitalizzazione. intanto il paese deve fare i conti con l’ingombrante presenza dell’aeroporto e dei vicini maxi centri

commerciali che portano traffi co e penalizzano il piccolo dettaglio.

di SArA noriS

villette e giardini. A parte i condomini, targati anni Ses-santa, che si affacciano sulla centralissima piazza IV No-

vembre, Azzano San Paolo più che un paese sembra un grande quartiere resi-denziale. Complice la vicinanza alla città che lo rende quasi il suo naturale pro-lungamento, l’abitato è un susseguirsi di casette, di giardini curati, vialetti e par-chi. Un’isola felice? Potrebbe anche es-serlo. Se non fosse per il fatto che a due passi c’è l’aeroporto, che ai suoi estremi ci siano due grandi centri commercia-li – “Orio Center” e “Le Due Torri” a Stezzano – e che la provinciale Crema-sca nell’ora di punta è invasa dal traffico, Azzano potrebbe essere un paese idea-le. Il condizionale è d’obbligo per chi ci abita e lavora. I commercianti e anche il sindaco Simona Pergreffi, infatti, punta-no il dito contro la grande distribuzione che “penalizza il commercio in paese” e soprattutto contro l’aeroporto, fonte di “disagio, rumori e inquinamento”, con i quali sono costretti a convivere. L’a-eroporto di Orio al Serio resta il nodo cruciale per la giunta leghista di Azzano che ha un solo obiettivo: far rispettare

decreti e criteri nella gestione dei voli: “Non si può chiudere l’aeroporto – commenta il sindaco Pergreffi – questo è ovvio, ma almeno cercare di attutirne i rumori sì”. E mentre il primo cittadino attende che aerei e compagnie possano modificare rotte e decolli – “ci vorreb-be una virata fissa in un punto fisso” precisa il sindaco – l’amministrazione comunale aspetta l’inizio dei lavori del “Polo del lusso”, il grande contenitore firmato Percassi dedicato alla moda, per il quale “ci sono già le autorizzazioni” ma in realtà è ancora tutto fermo. Intan-to i progetti per il paese – quasi ottomila abitanti – si concentrano sulla manuten-zione delle strade e su un nuovo impian-to d’illuminazione a Led, mentre la ri-strutturazione dell’area centrale dell’ex Castello resta per ora soltanto un sogno. “Ha costi stratosferici – spiega il primo cittadino mostrando le tavole di un pro-getto – tra i 3 e i 4 milioni di euro sol-tanto per la zona del Castello”. Una ri-strutturazione che, prevedendo una sala polivalente, nuovi uffici comunali, una piazzetta e nuovi negozi, cambierebbe il volto del centro storico. “Ci vorrebbero i privati, ma il momento non è facile” è l’amara conclusione del primo cittadino. E il progetto, per ora, resta nel cassetto.

PAESE CHE VAI…LE NOSTRE IMPRESSIONI

Nonostante le belle villette e le vie curate che rendono il paese a misura di famiglia, a pochi minuti dalla città, il centro sembra un poco spento e quasi vecchio. Purtroppo poi la vici-nanza con l’aeroporto si fa sentire…

cI rAccoNtANoAzzAno

nADiA reGGio(eDiColA) Piazza IV NovembreCome si lavora ad Azzano?“Bene, non ci si può lamentare. Io abito e lavoro qui da undici anni. Ci sono mol-

ti servizi, anche il supermercato”.Ci sono molti stranieri?“Sì, moltissimi. Sono brave persone, ben integrate”.C’è qualcosa che manca però in paese?“Manca una ferramenta, per il resto ci vorrebbe qualche iniziativa in più. Azza-no è un po’ spento”.È molto trafficato?“A volte, ma il traffico è soprattutto lungo la strada provinciale verso Zanica e nell’ester-no del paese, in direzione di Stezzano”.

MArCo roSSi(GioielleriA roSSi MArCo) Piazza IV NovembreQuali sono i problemi del paese?“È poco vissuto. La gente, vista la vicinan-za con la città, si sposta per gli acquisti. Senza contare che ci sono anche i vicini centri commerciali di Orio e Stezzano”.

È un paese sicuro?“Sì, a parte i soliti furti: l’anno scorso il paese è stato davvero preso di mira”.Hanno chiuso molti negozi?“Sì e il processo è ancora in corso. Per fare un esempio, avevamo due calzolai: nell’ar-co di tre anni hanno chiuso tutti e due”. Ci sono molti anziani?“Sì, il paese invecchia”.

CriSTiAno CiColAri(AK inForMATiCA) Via romaQuali sono i pregi del paese?“È tranquillo, vicino a tutto, ci sono servizi di ogni tipo, c’è anche un centro sportivo”.I difetti?“Poche iniziative ed eventi, il che rende un po’ spenta la vita della comunità”. Azzano è ben servito dai mezzi pub-blici?“Sì, abbastanza. Il fatto di essere vicino alla città aiuta comunque gli spostamenti”.

Nadia Reggio

Marco Rossi

Cristiano Cicolari

s

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La sua “Fioreria Amadei” è aperta dal 1958 proprio nel cuore del paese, a due passi da quel che resta dell’ex Castello, l’area che, fondi permetten-do, rimessa a nuovo potrebbe dare un volto nuovo ad Azzano. “Certo, permetterebbe di rivitalizzare il centro storico realizzando un gran-de centro commerciale all’aperto – ri-sponde Emiliano Amadei, presidente dell’Associazione commercianti del paese (Assacom) e vice presidente del Distretto Morus Alba che raggruppa i comuni di Azzano, Stezzano, Grassob-bio, Orio al Serio e Zanica –. C’è una grande corte molto bella che potrebbe essere utilizzata per diversi servizi. Un

progetto che l’amministrazione comu-nale deve però condividere con i priva-ti, visti i costi dell’operazione. Insieme ai privati bisogna sedersi attorno a un tavolo e capire quali possono essere le soluzioni. Ricreare un centro forte ad Azzano permetterebbe al paese di non essere più inghiottito dalla città”.Quali sono i maggiori problemi per i dettaglianti?“Innanzitutto la vicinanza con Bergamo rende meno attrattivo il paese. Sicché i commercianti devono specializzarsi nella qualità dell’offerta e nel servizio. Siamo anche circondati dai poli della grande distribuzione come Orio Center Le Due Torri. Per questo la ristruttu-

razione dell’area del Castello potrebbe essere importante per creare un punto di attrazione alternativo”. Organizzate eventi in paese?“Cerchiamo di fare il più possibile. Or-ganizziamo feste in occasione del Natale e di san Rosario (la quarta domenica di settembre) e le varie associazioni e grup-pi del paese, come l’asilo, l’oratorio e gli stessi commercianti, collaborano come sponsor nelle diverse occasioni”.

IL PreSIdeNte deLL’ASSAcoM

amadei: “rendere più attrattivoil centro È più che mai essenziale”

Le nostre domande a…

simona pergreFFi, sinDaCo Di aZZanoÈ a due passi dalla città, con tante belle villette e quartieri residenziali, ma provate a pronunciare la parola “aeroporto”. La risposta è una sola: “disagio”. Il sindaco leghista Simo-na Pergreffi non va tanto per il sot-tile: “Se ci sono delle norme vanno rispettate; se c’è un disagio deve essere distribuito tra i vari comuni e territori coinvolti”. Il primo cittadi-no di Azzano punta il dito contro lo scalo e in particolare contro i decolli: “Vogliamo che ci sia una virata fissa in un punto preciso”. Come vi state muovendo?“Nel 2012 abbiamo fatto un monito-raggio dell’aria, che però l’Arpa non riconosce perché il periodo preso in esame è inferiore all’anno. I rilievi hanno comunque dimostrato l’eleva-to tasso d’inquinamento. I rumori si sentono e alcuni residenti, nella zona verso Grassobbio, lamentano anche puzza di kerosene. Il disagio c’è e an-drebbe distribuito. Se c’è un decreto con criteri di gestione dei voli va ri-spettato. Alla proposta di installare doppi vetri in sei-sette appartamenti del paese rispondiamo con un ‘no,

grazie’. Nessuno sostiene che l’aero-porto vada chiuso: è una realtà eco-nomica che sta andando bene e dà lavoro, ma il disagio è notevole e va affrontato”. Il polo del lusso, invece? “Per ora ci sono tutte le autorizza-zioni. Spero che i lavori partano a breve, ma il periodo non è facile, le risorse non si trovano facilmente”. La ristrutturazione dell’area Castel-lo, nel centro storico, resta una chi-mera?“Anche quello è un problema di costi, che sono esorbitanti. Soltanto per una parte, quella appunto dell’antico ca-stello, la ristrutturazione costerebbe 3 o 4 milioni di euro. È chiaro che servi-rebbe l’intervento dei privati. Sarebbe davvero un intervento di rivitalizza-zione del centro storico, perché ver-rebbero collocati non solo spazi com-merciali, ma anche una grande sala polivalente e gli uffici del Comune”.Quali interventi invece potranno essere attuati?“Sicuramente il progetto d’illumina-zione pubblica con un nuovo impian-to a Led, l’apertura di una seconda

farmacia (il bando dovrebbe essere indetto a giugno) e la gestione del chiosco all’interno del parco da par-te dei genitori della scuola materna. Si potrebbe fare di più se avessimo i soldi…”.Qualche commerciante parla di un paese un po’ spento. “Non mi pare proprio che Azzano sia poco vitale. Soprattutto durante l’e-state organizziamo diverse iniziative. A luglio ci sarà la ‘Festa dei cinque sensi’, continuerà il festival ‘Levar l’ombra da terra’ che ha sempre suc-cesso, ci sono gli appuntamenti per i più piccoli e non mancano i momenti musicali per i giovani. Il calendario è ricco d’iniziative: non mi pare che non si faccia nulla”.

Emiliano Amadei

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l’alto sebinopunta sul turismoper integrare l’anima industriale

Da lovere a Castro, da Sovere a Costa Volpino e rogno, l’obiettivo comune è qualificare

l’offerta ricettiva per meglio intercettare una nuova domanda legata alle bellezze

storiche e naturalistiche.

arrivata nell’Alto Sebino come un’onda lunga, la crisi sta im-pattando con meno irruen-za rispetto ad altri territori

della provincia di Bergamo. Crogiolo di poche grandi industrie, costellato da innumerevoli microimprese che costi-tuiscono l’ossatura del territorio, l’Alto Sebino sta investendo capitali ed ener-gie alla ricerca di una vocazione turistica che non sia più solo un sogno, ma una

solida realtà occupazionale. Il turismo della sponda bergamasca del lago d’Iseo, ricca d’arte, storia e bellezze naturalistiche, è stato scarsamente valo-rizzato negli ultimi decenni. Quando il piatto era pieno, nessuno ha pensato di integrare l’anima industriale dell’Alto Sebino con quella ricettivo-turistica del territorio. Ora che il piatto piange, la corsa a politiche integrate con la Regio-ne Lombardia capaci di creare occupa-zione si è fatta più faticosa. Un’impresa difficile, ma non impossibile, grazie a un

territorio suggestivo che intervalla pae-saggi dolci a vertiginose pareti di roccia che si tuffano a picco nel lago. I punti panoramici mozzafiato non mancano a Lovere e a Castro, cosi come a Rogno e Costa Volpino, paese da cui ha inizio la frequentata pista ciclabile. Sovere è un paese grazioso, in passato meta del turismo delle seconde case dei milanesi. Negli anni il centro storico si è svuotato di attività commerciali, ridistri-buite via, via lungo la via Roma. Diviso in due dal torrente Borlezza, Sovere ha

di GiorDAnA TAlAMonA numerose costruzioni degne di nota tra cui il Palazzo Venturi, risalente al XVII secolo, con importanti affreschi in stile barocco. Situato nel Borgo San Grego-rio, come il Palazzo Bottaini sede della biblioteca civica, Palazzo Venturi è rico-nosciuto come monumento nazionale. Nel Borgo San Martino si trovano altri due palazzi degni di nota, Palazzo Ba-roni, che possiede interessanti affreschi e stucchi, e Palazzo Longhini, con una fontana ed un porticato di particolare pregio.

Lovere è il paese più rinomato della zona. Considerato tra i borghi più belli d’Italia ha un turismo vitale, merito dei suoi bei palazzi tra cui spicca la Galleria dell’Accademia Tadini, al cui interno sono conservate alcune preziose opere di Antonio Canova. Direttamente col-legata col traghetto a Montisola, l’isola lacustre più grande d’Europa, Lovere è entrata nel Distretto del Commercio con Castro e Bossico da circa un paio d’anni, facendo del turismo la prima vocazione dell’amministrazione locale.

Anche per questo è stato recentemen-te presentato il nuovo albergo diffuso “Torre Soca” e l’Ostello del Porto. En-trambi gli edifici sono stati oggetto di importanti interventi di riqualificazione energetica e funzionale, in parte ancora in fase di ultimazione. “L’apertura delle due attività ricettive – dichiara Giovanni Guizzetti, sindaco di Lovere –assume una rilevanza particolare se rapportata al periodo di grave crisi economica che stiamo vivendo. Testimonia la volontà del pubblico e del privato di investi- s

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re risorse economiche sul territorio in modo sostenibile partendo proprio da una consapevolezza comune: Lovere of-fre attrattive storico-artistiche, naturali-stiche, sportive e del tempo libero che lo rendono unico nel panorama regionale lombardo”. Sul territorio di Lovere è inoltre presente la più importante azien-da siderurgica di tutto il comprensorio, la Lucchini RS Group, che ha favore-volmente inciso sull’economia di tutto l’Alto Sebino.Allo stesso modo Castro deve buona parte della sua economia proprio alla vicina azienda siderurgica che, qualche anno fa, ha però concesso l’utilizzo dei terreni della Gola del Tinazzo. Da quel-le aree, dopo un profondo intervento di bonifica, è nato un parco gestito dai vo-

lontari di Legambiente che accoglieran-no turisti e scolaresche su tre sentieri naturalistici attrezzati. Le poche attività commerciali del borgo, molte delle quali storiche, si snodano lungo la via princi-pale che porta sino al lago. Costa Volpino ha un’estensione tale da aver creato, nelle sette frazioni del ter-ritorio, nuclei commerciali a se stanti, mai riunitisi in un’unica associazione dei commercianti. Questa caratteristica, unita alla mancanza di un centro storico che faccia da raccordo tra le frazioni, rende Costa Volpino un paese commer-cialmente anomalo, che avrebbe i nume-ri per organizzare eventi di richiamo, ma

che non trova la spinta aggregativa per farlo. Mai toccato da una seria riqualifi-cazione turistica, per la presenza di im-portanti aziende manifatturiere ed edili che creavano lavoro sul territorio, Costa Volpino sta guardando ora con più inte-resse a politiche ricettive locali. Rogno è un paese grazioso dove la vita scorre tranquilla. Le attività commer-ciali sono tutte concentrate nella piazza principale, davanti al palazzo del Muni-cipio. Da un punto di vista architettoni-co è di particolare importanza la Chiesa di Santo Stefano, che conserva ancora la facciata originaria dell’edificio sacro ri-salente alla fine del VI secolo.

Nelle pagine precedenti, Lovere. In questa pagina, dall’alto a sinistra, Castro, Sovere, Costa Volpino e Rogno.

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MAriAno AnGelo zAnni(BAr CoMMerCio) Via roma

Su cosa si basava l’economia dell’Alto Sebino?“Una volta su alcune ditte parastatali. A Lovere c’era la ex Italsider, oggi Lucchi-ni, e a Costa Volpino la Dalmine. Negli anni si sono ridimensionate e adesso i no-stri giovani hanno cominciato a fare i mu-ratori. Ma con l’edilizia ferma, capirà…”. È un paese vitale, legato alle proprie tradizioni?“Sì, anche se certe tradizioni legate ai vecchi mestieri non sono più recupera-bili. I miei nonni erano falegnami, come molti altri nella zona”.Il paese è molto esteso. “Questo perché è nato già diviso dal tor-rente, quindi nel passato sono stati cre-ati due centri. Oggi dicono che il centro del paese sia la via Roma, quella dove ci troviamo noi”. Manca qualcosa a questa via?“La via Roma è stata rifatta negli anni Sessanta, ma mancano ancora parte dei marciapiedi, costruiti fino ad un certo tratto… Si potrebbe iniziare da lì…”.

STeFAno BAroni (AliMenTAri) Via roma Che paese è Sovere?“Tranquillo, non c’è criminalità”. È stato per anni meta del fenomeno turistico delle seconde case?“Sì, soprattutto provenienti da Milano. Oggi sono quasi tutte chiuse…”. Crede in un rilancio turistico di Sovere?“No, purtroppo”. Il paese è cambiato molto negli anni?“Abbastanza. Sono arrivati altri abitanti, molti dei quali extracomunitari”. Sono integrati?“Ni. Dipende…”.Con la crisi quali abitudini hanno cambiato i suoi clienti?“Si indirizzano solo verso le offerte, al-trimenti escono e cercano altro”.

ADolFo zAMBlerA(PASTiCCeriA SAnTo STeFAno) Via roma Si sente la crisi?“Purtroppo sì. Le persone risparmiano sull’alimentazione, scegliendo prodotti di bassa qualità”. Che economia è quella di Sovere?

“Di artigiani, gente che adesso è tutta senza lavoro”. Si sono perse delle occasioni nel passato?“Sì, per inerzia dei nostri politici. In questo territorio nessuno ha pensato di puntare sul turismo. Quello che era un paese contraddistinto dalle seconde case dei milanesi, oggi non ha più alcuna vocazione legata alla ricezione”. Un pregio del paese?“È fatto di persone che hanno voglia di lavorare, che sono unite e solidali, anco-ra legate alle proprie tradizioni”.

JeSSiCA BArzAGHi (BAr) Via roma Lei ha appena rilevato questo bar.

Perché proprio a Sovere?“Ci lavoravo già. Ho voglia di fare, come molti della mia generazione”. Altro che giovani choosy?“I giovani hanno voglia di lavorare, il problema è trovare delle opportunità. Noi siamo due socie e le assicuro che di ore ne facciamo, eccome!”.Sovere è un paese vivo?“Sì, vedo che la gente ama uscire, pren-dere l’aperitivo, il caffè e fare due chiac-chiere”. Le piace?“Sì, è un paese grande, dove le persone sono molto cordiali. Da noi arrivano persone di tutti i tipi, dai giovani agli anziani. Abbiamo aperto solo da pochi

mesi, ma siamo già molto soddisfatte”.

MAriA ereSA Giurini(ArreDAMenTo) Via roma Com’è cambiato Sovere negli anni?“La zona storica del paese, prima ricca di attività, si è svuotata a causa dell’arri-vo dei centri commerciali. I negozi han-no cominciato a chiudere, talvolta senza riaprire, o redistribuendosi lungo le principali vie di passaggio. Oggi il vero centro del paese è la via Roma”. E la sera?“C’è poca gente in giro, soprattutto d’inverno, ma non si vive una sensazione di poca sicurezza”. Nel suo settore si sente la crisi?“Abbiamo tutta clientela affezionata. In

genere le giovani coppie rincorrono gli sconti promessi dai grandi mobilifici. Talvolta sento qualcuno che crede di acquistare mobili di grandi marche sal-vo scoprire, in un secondo tempo, che ha acquistato merce ‘similare’. Nessuno regala la qualità”.

Le nostre domande a…

FranCesCo Filippini, sinDaCo Di soVere

Quali sono le evidenze più clamoro-se della crisi?“L’aumento delle richieste ai servizi sociali, presentate da cittadini autoc-toni. Si tratta di situazioni impensabili, fi no a qualche anno fa. Fortunatamen-te sono casi limite, perché il nostro è un territorio contraddistinto ancora da forte coesione sociale tra le famiglie”. Quanto crede alla vocazione turisti-ca dell’Alto Sebino?“Tanto, per questo sto lavorando con gli altri Comuni e lo IAT (Infor-mazioni Accoglienza Turistica, ndr), che fa capo a Lovere, per creare de-gli itinerari integrati tra i territori. A Sovere, in particolare, abbiamo più di un’attrattiva”. Quali?“Abbiamo il Santuario Madonna della Torre, meta di turismo religioso du-rante tutto l’anno, e un bacino plei-stocenico dove, una decina d’anni fa, fu ritrovato un cervo fossile di 800 mila anni. Oggi il reperto è osserva-bile nel Museo Caffi di Bergamo, ma tutto il bacino è ricco di stratifi cazio-ni fossili, tanto che Sovere è spesso meta di ricercatori provenienti da tut-to il mondo. Il nostro intento è quello di rendere fruibile la visita del bacino fossile anche ai non addetti ai lavori,

attraverso visite guidate per turisti e scolaresche. Al momento, ciò che ci sta maggiormente frenando non è la mancanza di fondi, quanto la for-mazione delle guide che porteranno i visitatori nel sito. È un progetto in divenire, su cui crediamo molto”.Verranno realizzate opere durante l’anno? “La frana caduta qualche mese fa, nei pressi del ponte, sta assorbendo energie e denaro, quindi al momen-to siamo impegnati su quel fronte”.

Mariano Angelo Zanni

Adolfo Zamblera

cI rAccoNtANoSoVere

Jessica Barzaghi

Maria Eresa Giurin

PAESE CHE VAI…LE NOSTRE IMPRESSIONI

Capire quale fosse il centro, non è

stato facile. Abitanti gentili e molto

disponibili, con cui è piacevole scam-

biare quattro chiacchiere.

s

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4948 12/DODICIMESIMAggIO 12/DODICIMESIMAggIO

PROVInCIALA/PROVInCIALA/

cI rAccoNtANoCASTro

GABriellA VArAlli (il CAFFÈ) Via Matteotti

La sua è un’attività storica. Su cosa si basava l’economia del paese?“Sull’acciaieria Lucchini di Lovere, un’azienda che aveva circa 3.000 di-pendenti. Oggi ne conta appena 900. Credo che la presenza dell’azienda ab-bia sfavorito la vocazione turistica del nostro territorio”. In che senso?“Finché il settore industriale è andato a gonfie vele, nessuno ha pensato di in-vestire nel turismo locale. Purtroppo si sono perse delle occasioni”. Come va il Distretto del Commercio di Lovere, Castro e Bossico? “È stato ottenuto circa due anni fa, quin-di è ancora molto giovane. Sono arrivati dei fondi per la ristrutturazione dei ne-gozi, ma speriamo che possa continuare con maggiore spirito aggregativo”.

Quali sono le difficoltà?“A Castro ci sono pochissime attività commerciali, quindi soffriamo un po’ di questa situazione”. Crede che sia giusto puntare sul turi-smo?“Credo che dovrà essere la strada per il prossimo futuro. Anche per questo stia-mo cercando di creare degli itinerari, in-tegrati con gli altri territori, che possano chiamare turisti”.

GiuliA ColoMBi(eDiColA) Via Matteotti Anche la sua è un’attività storica.“Il negozio c’è da almeno 100 anni. Io son qui sin da bambina, prima di me c’e-ra mia madre.”. Trova che sia cambiato molto il paese?“A lungo è rimasto lo stesso. Nell’ulti-mo periodo è cambiato con la crisi”. In che modo?“Ricordo che c’era sempre un bel via vai di gente. Pensi che un tempo vendevo alme-no 100 copie del Corriere. Oggi solo 5”. Le tradizioni del paese?“Ci sono ancora. La festa più importante è quella della Madonnina del Cimitero, nata con la Seconda Guerra Mondiale”.

FeDeriCA BenDoTTi (AliMenTAri lA PiAzzeTTA) Piazza San giacomo Cos’è cambiato con la crisi?“Paradossalmente c’è qualche cliente che torna a far la spesa nel paese, sen-za andare a tutti i costi nei grandi centri commerciali”. Come se lo spiega?“Perché nei grandi supermercati stanno alzando i prezzi, mentre noi riusciamo a contenerli. Senza contare che al super-mercato sei un numero, qui sei una per-sona di famiglia”. Chi sono i suoi clienti?“Persone che conosco da una vita, molto spesso anziani, a cui facciamo servizio a domicilio”.

Le piace Castro?“Molto, è un paese piccolissimo ma molto grazioso. E poi ci si conosce tutti. È questo il bello di vivere in un paese!”.

ruDY BerTolA (riSTorAnTe VulCAno VillAGe) Piazza PortoLa vostra clientela “tipo” è tutta locale?“Per quanto riguarda la ristorazione sì, mentre per la ricezione alberghiera lavo-riamo spesso per le aziende”.È possibile cambiare la vocazione di Castro?“Ci stiamo provando nell’ambito del Distretto del Commercio con Lovere e Bossico. La Regione ci ha assicurato che a settembre metterà a disposizione delle navette che da Milano porteranno di-rettamente turisti sul nostro territorio. Proprio per questo stiamo creando degli eventi integrati tra i tre territori”.Manca qualcosa al paese?“Abbiamo tutto, considerato il numero di abitanti. Servirebbero forse dei par-cheggi in più, ma la conformazione stes-sa del paese ne ostacola la realizzazione. Quando verrà montata l’area feste, pro-prio nell’unico parcheggio a disposizio-ne, sarà ancora peggio”.

Le nostre domande a…

massimo rota, presiDente Del CirColo legamBiente alto seBinoÈ stato recentemente inaugurato il nuovo parco della Gola del Tinazzo. Com’è nato il progetto?“Lo stabilimento Lucchini, proprieta-rio dei terreni, ci ha dato in como-dato d’uso tutta l’area per adibirla a parco. Il lavoro è andato avanti in-cessantemente per cinque anni, per-ché a causa dell’incuria umana tutta la zona si era trasformata in una vera e propria discarica. Abbiamo mes-so in sicurezza tutte le falesie della gola, grazie all’intervento di esperti rocciatori che hanno ripulito le pareti della forra”. Con quali fondi?“Il progetto è stato tutto autofi nan-ziato, a parte dei fondi concessici dallo stabilimento e da altri sponsor.

Abbiamo investito circa 25mila euro per riportare l’area all’antico splen-dore naturalistico”. Cosa possono trovare i visitatori del parco?“Sono stati allestiti tre sentieri. Quel-lo dell’Energia, nella parte alta della gola, dov’è visitabile un maglio ad acqua e una centrale idroelettrica. C’è poi il Sentiero Storico, sulla vec-chia mulattiera, dov’è stata allestita una palestra di roccia e, infi ne, il Sen-tiero Naturalistico dove si trovano delle sorgenti d’acqua purissima in cui vive il gambero di fi ume, una tra le specie più protette in Europa. Pro-prio per la presenza di questa spe-cie rara, messa in pericolo da anni dall’aumento nei fi umi del gambero

rosso, chiederemo che al parco ven-ga riconosciuta la qualifi ca SIC (Sito di Importanza Comunitaria, ndr), che ci permetterà di ottenere dei fondi dall’Unione Europea”.

Gabriella Varalli

Federica Bendotti

PAESE CHE VAI…LE NOSTRE IMPRESSIONI

Un paesino dove il tempo sembra

essersi fermato. Prendere un caffè

e fare due passi è molto piacevole.

Ancora a misura d’uomo.

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cI rAccoNtANoloVere

eliDe MerSi(VoGliA Di PizzA) Piazza tredici Martiri

Lovere da quanti anni si è aperto al turismo?“Da poco, perché con la Lucchini da un lato e la Dalmine dall’altra, il nostro territorio non ha mai avuto bisogno di turisti. Negli ultimi decenni, tuttavia, la maggior parte dei cittadini che ha cambiato lavoro, si è indirizzata sul tu-rismo”. Nonostante la crisi, i turisti continua-no a venire a Lovere?“Fortunatamente sì. Arrivano stranieri durante tutto l’anno”. Manca qualcosa al paese?“No, a Lovere c’è di tutto: piste di patti-naggio, piscine, SPA, tennis, il traghet-to che porta a Montisola. Se c’è qualcosa che dovrebbe essere potenziata è la rice-zione turistica, anche se è appena stato creato l’albergo condiviso”.E durante l’inverno?“Siamo a poca distanza dalle principali

stazioni sciistiche, come Ponte di Le-gno, il Tonale e Colere”.

riCCArDo GrASSi (BAr WenDer) Piazza tredici Martiri

La fortuna di Lovere?“Che il turismo non manca. Se ci sai fare con i clienti, sei onesto, capace, il lavoro c’è”. Durante tutto l’anno?“Sì. D’inverno c’è un leggero calo, ma è normale che sia così”. Lei fa parte dell’associazione com-mercianti. Che valutazione dà del Di-stretto del Commercio? “È ancora presto per fare bilanci. Per

ora sono stati dati dei capitali per la ri-strutturazione dei negozi”. C’è qualcosa da cambiare?“La mentalità delle persone. Se voglia-mo che Lovere viva di turismo, occorre un’apertura diversa. Il turista dev’essere considerato una risorsa, non un fasti-dio”.

nADiA MileSi(BAr CAPrini) Via gramsciLei ha aperto da pochi mesi. Perché a Lovere?“Mi piaceva l’idea del bar familiare, con clientela abituale e questa struttura era già piuttosto conosciuta”. Come le sembra il centro storico?“Poco vivo. Molti mi dicevano che avrei notato un bel via vai di gente, ma per ora non mi sembra”. C’è qualcosa che andrebbe migliorato?“Nel centro storico non c’è possibilità di parcheggio e la Ztl non favorisce il pas-saggio di clientela. C’è da dire che il bar è in una delle vie interne del paese, dove passa poca gente rispetto al porto…”.Il paese le piace?“Sì, è molto grazioso”.

PAESE CHE VAI…LE NOSTRE IMPRESSIONI

Un paese suggestivo, che fa senti-

re subito in vacanza. Peccato che la

strada per arrivarci non sia all’altez-

za, letteralmente impercorribile du-

rante il weekend.

Elide Mersi

Riccardo Grassi

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PROVInCIALA/

ornellA ArriGoni(AlBerGo MoDerno) Piazza tredici Martiri

Lovere ha risentito della crisi?“Sì, molto. Purtroppo ha un turismo di persone anziane, con pochissimi giovani”. Da quando è arrivata la crisi?“Per noi da quest’anno”. Cosa manca?“La mentalità turistica. Lovere non l’ha

mai avuta, perché la sua economia è sempre stata centrata sull’industria”. La viabilità?“Ci penalizza tantissimo. Molti non im-maginano neanche che ci sia un paesino così bello sul lago d’Iseo. Sulla sponda bresciana la viabilità non è male, ma sul-la sponda bergamasca è terribile. Chi viene da fuori, generalmente si ferma a Sarnico a causa delle lunghe code”.Com’è cambiato il turismo?“Oggi è un turismo mordi e fuggi, men-tre qualche anno fa ci si fermava qualche settimana”.

DArio BAiGuini(riSTorAnTe AlMiCi)Piazza tredici Martiri Com’era il lavoro prima della crisi?“Subito dopo Pasqua iniziava la stagione con l’arrivo dei primi stranieri. Oggi oc-corre aspettare la fine di giugno”.

È un turismo altalenante?“Proprio così. Ci sono anni in cui si vedono più stranieri, altri più morti. Si lavora alla giornata”. Occorrerebbe qualcosa al paese?“La nostra piazza è un po’ sfavorita dall’area feste collocata al porto nuovo.”Come mai?“Qui siamo un po’ tagliati fuori, da circa otto anni…”.

Ornella Arrigoni e Gianfranco Cattaneo

Da destra, Anna Paris, Dario Baiguini e Anna Morandini

cI rAccoNtANoCoSTA VolPino

elenA BArCellA(PizzeriA BAr MozArT) Via Nazionale

Su cosa si basa l’economia del paese?“Sulle costruzioni e sulle industrie. Nel paese abbiamo sempre avuto la Dalmi-ne, che oggi si è molto ridimensionata”. Ci sono molti stranieri?“Sì, ben integrati”. Come è cambiato il paese con la crisi?“La sera è morto. Una volta la gente usciva per un aperitivo, oggi sta a casa”. È un paese sicuro?“Sì, molto”. C’è un’associazione dei commercianti?“Non più, da due anni”. Cosa manca al paese?“Un vero e proprio centro. Costa Volpi-no si è sviluppato in maniera strana, con sette frazioni che fanno ognuna vita a sé. Questa mancanza di un unico centro ha inciso sul commercio. Difficile immagi-nare una Notte Bianca”.

JeSSiCA oPrAnDi (Tre ArT CerAMiCHe) Via Nazionale Quanto si sente la crisi?“Abbastanza. Lavoriamo tanto per chi ha bisogno di fare fototessere e nel pe-riodo delle cresime e delle comunioni”. Che paese è Costa Volpino?“È ancora vivo, nonostante la crisi. Nella zona ci sono bei parchi che, tuttavia, non sono sufficienti per richiamare turisti”. Manca qualcosa al paese?“I parcheggi, purtroppo. Da commer-

ciante, inoltre, ritengo che l’intera zona non sia abbastanza valorizzata”. La viabilità?“Questa è una zona di passaggio, quindi piuttosto congestionata durante le ore di punta”. E i giovani?“Per divertirsi vanno preferibilmente ver-so Pisogne. Secondo me anche Lovere ha perso molto appeal in questi ultimi anni”.

liA MiCAli(CenTro eSTeTiCo BeAuTYCluB) Via Nazionale Con la crisi i clienti hanno cambiato abitudini?“Chi veniva una volta alla settimana a farsi la lampada, ora viene una volta al mese. Questo, come immaginerà, cam-bia di molto il nostro fatturato”. Come si è adeguata?“Abbiamo cercato di seguire quest’onda

lunga, ma è molto difficile. Senza conta-re che le attività dei cinesi, che hanno prezzi bassissimi a fronte di una qualità discutibile dei prodotti, ci hanno ulte-riormente penalizzato”.Le spese?“Eccessive per un negoziante. Le tasse sono pesantissime”. Cosa manca al paese?“Una piazza. Costa Volpino, per questa ragione, non raccoglie, ma disperde. Anche in zone centrali non c’è una buo-na sosta che agevoli il commercio”.

elenA BeTToli (FioriSTA) Via Lady Wortley La mancanza di una piazza, incide sul commercio?“No, perché il centro del paese è qui. Sen-za contare che il mercoledì, con il mercato, la maggior parte delle persone delle sette frazioni, si concentra in questa zona”.

Elena Barcella

Jessica Oprandi Lia Micali

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PROVInCIALA/

12/DODICIMESIMAggIO 12/DODICIMESIMAggIO

Si potrebbe migliorare qualcosa? “In ogni paese c’è qualcosa da migliora-re. Nel nostro caso, credo che la viabilità dovrebbe essere snellita durante le ore di punta”. Altro?“Sarebbe bene avere altri negozi, ma chi ha la proprietà di certi locali, non si de-cide ad affittarli…”.Con la crisi hanno chiuso molte attività?“No, non più di tanto”.

SerGio ConTeSSi (WAlK THe line TAToo)Via NazionaleQuesto è un settore che tiene bene, nonostante la crisi?“Assolutamente sì. Noi siamo aperti da un

paio d’anni e non ci possiamo lamentare”. Come mai?“Perché è un settore rivolto a un certo target di persone che non bada a spese, al di là che sia un dipendente o un libero professionista. C’è chi, pur di avere un tatuaggio di un certo tipo, spende tutto lo stipendio guadagnato in un mese”. Cosa manca a Costa Volpino?“Luoghi per i giovani. Per divertirsi molti vanno fuori, cercando lo sballo. È un po’ il problema della mia generazione e di questi paesini della Bergamasca…”.Come definiresti la tua generazione?“I giovani non hanno rispetto e voglia di fare. Io, dopo una giornata di lavoro, sono pronto ad andare a letto, mica a sballarmi”.

Le nostre domande a…

mauro Bonomelli, sinDaCo Di Costa VolpinoCome sta impattando la crisi a Co-sta Volpino?“In modo considerevole, sia per l’oc-cupazione che per le entrate fi sca-li. Sul nostro territorio sono infatti presenti molte aziende legate all’e-dilizia, oltre a due grosse industrie manifatturiere, la Tenaris Dalmine e Salzgitter Mannesmann, che prima della crisi davano lavoro a buona parte della popolazione. Senza con-tare che con la recessione, il nostro Comune ha visto diminuire del 60% gli oneri di urbanizzazione, oltre a tutti i tagli fatti dal Governo”. State approntando politiche sociali d’emergenza?“Al momento abbiamo messo a di-sposizione risorse per l’Associazione Costanti e Volontari, fi nanziando mil-le trasporti gratuiti all’anno per an-

ziani o disabili che abbiano la neces-sità di spostarsi (andare dal medico, in farmacia, ecc. ndr) e non possono permetterselo. I servizi offerti alla popolazione sono sempre stati alti nel nostro Comune e continuiamo a mantenere lo standard”. In futuro dell’Alto Sebino potrà es-sere legato al turismo?“Occorrerà pensare seriamente a come sarà il nostro territorio da qui a vent’anni. È chiaro, infatti, che le politiche a favore del turismo avran-no effetto sul medio-lungo periodo. Ci sono territori che in questi anni hanno lavorato molto bene, non ul-timi Castro e Lovere. Costa Volpino ha sempre avuto un’altra vocazione, grazie alla sua conformazione estesa e pianeggiante che ha favorito l’in-sediamento industriale. Ritengo, tut-

tavia, che quello del turismo possa essere una strada percorribile anche dal nostro Comune”. In che modo?“Credo che la chiave potrebbe esse-re quella di un turismo di giornata o durante i week end. Per questo stia-mo rifl ettendo sulla possibilità di cre-are una spiaggia e un’area di sosta camper, entrambe attrezzate”.

Elena Bettoli Sergio Contessi con la fi danzata

PAESE CHE VAI…LE NOSTRE IMPRESSIONI

Un paesone senza una evidente

“personalità”. Cittadini cordiali e

disponibili.

cI rAccoNtANoroGno

MiCHAel BeTToni(BAr ACli) Piazza druso

Si sente la crisi?“Molto. Questo è un territorio di picco-le aziende che sono andate in difficoltà. Anche nel nostro bar si nota un minor afflusso di clienti per un caffè o un bic-chiere di vino”. Le piace Rogno?“Sì, sono nato qui, sono affezionato al mio paese”. C’è qualcosa che andrebbe migliora-to?“Per me no. Abbiamo tutto. Certo, per divertirsi non c’è molto, per questo si va verso Lovere”. E per lo sport?“Abbiamo delle associazioni molto vali-de”.

GrAziellA DA SilVA PorTellA (CArPe DieM BAr) Via A. May Lei ha aperto da dieci mesi. Perché proprio qui?“Abbiamo avuto un’occasione e l’abbia-

mo colta al volo”. È un paese vitale?“Sì, molto. Lo trovo molto carino e piut-tosto animato la sera, soprattutto dai ragazzi”. Cosa andrebbe migliorato?“Il numero dei parcheggi, è una man-canza di cui si lamentano spesso i miei clienti”.

elenA BiAnCHi(ACConCiATurA) Via NazionaleLa sua è un’attività storica. Com’è cambiato il paese?“È rimasto, grossomodo, lo stesso, a parte l’aumento del numero degli abi-

tanti”. È un paese tranquillo?“Sì, molto. Nel nostro paese ci sono tutti i servizi principali, non ci possiamo lamentare”. E la crisi?“Nella nostra attività non ha impattato molto, ma in altri settori si è sentita, ec-come!”. Qualcosa da migliorare?“Andrebbero rifatti i marciapiedi di que-sta via perché sono un po’ pericolosi”.E per i bambini?“Abbiamo dei parchi attrezzati e una pista ciclabile che porta sino a Costa Volpino”.

Michael Bettoni

Graziella Da Silva Portella Elena Bianchi

PAESE CHE VAI…LE NOSTRE IMPRESSIONI

Piccolo, piccolissimo, ti giri e l’hai già

visto tutto. Carino.

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PROVInCIALA/

MADDAlenA BAlzArini(TABACCHeriA) Piazza drusoLa sua è un’attività storica. Com’è cambiato il paese?“È aumentata la popolazione, rispetto al passato. Quando andavo a scuola io, ricordo, eravamo poco più di 1.200 abi-tanti”. Con la crisi?“Stanno attenti a tutto. Il numero di clienti, tra l’inizio e la fine del mese, cambia considerevolmente”. Parcheggi?“Mancano. Qui è sempre pienissimo e, nonostante la crisi, la gente non perde l’abitudine di muoversi con la macchina anche per poche centinaia di metri”. I centri commerciali?“Ne abbiamo due vicini che, ben prima della crisi, hanno tagliato le gambe ai piccoli negozianti”. C’è un’associazione dei commercianti?“In passato sì. Ora siamo rimasti troppo pochi per pensare di riformarla”.

elDA BAlzArini (AliMenTAri PoleTTi) Piazza druso La crisi è arrivata come un’onda lun-ga a Rogno?“Direi di sì. Noi abbiamo iniziato a sen-tirla con l’arrivo del Governo Monti”. Sono cambiate le abitudini dei suoi clienti?“Non rinunciano a niente, ma sono più oculati. Stanno persino attenti al pane, acquistandone meno se avanzato dal giorno prima”. Manca qualcosa al paese?“Una buona viabilità. Questo ci svantag-gia molto, perché per arrivare alla prima autostrada, verso Bergamo o Brescia, ci vuole almeno un’ora”. Avete uno sportello per le aziende?“Sì, che interessa tutte le imprese del territorio, istituito da questa ammini-strazione. Quando c’è qualcosa di inte-ressante per le imprese, ne veniamo a conoscenza molto rapidamente”.

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InCHIESTAL/

gli allevamenti di visoniche infiammano la bassaAd Antegnate e a Misano sono in fase di realizzazione

le strutture che ospiteranno i mustelidi destinati a diventare pellicce. e le organizzazioni

animaliste sono insorte con animate proteste.

di roSAnnA SCArDi

“basta fare soldi sulla pelle degli animali”. Lo slogan contro gli allevamenti di visoni

infiamma la Bergamasca. Due i paesi al centro delle proteste. Da una parte Mi-sano Gera d’Adda, dove un agricoltore ha destinato un capannone della sua azienda all’allevamento di animali da pelliccia (che da maggio hanno già ri-

empito le gabbie), dall’altra Antegnate, dove è stato presentato il progetto per riconvertire una vecchia stalla in disuso. Nel frattempo, le associazioni animali-ste, Nemesi e Visoni liberi, ma anche Lav, Enpa, Animal Amnesty, Oipa e Lega anti-caccia manifestano e diffondo-no immagini dei loro reportage e video choc. L’obiettivo è mettere al bando tale produzione attraverso una legislazione ad hoc, come è accaduto a dicembre in Olanda, terzo produttore mondiale di s

InCHIESTAL/

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pelli, e di recente in Slovenia. I primi a chiedere il nulla osta per inizia-re la nuova attività sono stati, lo scorso 5 ottobre, i fratelli Legramandi, titolari di una cascina in via Martiri della Liber-tà, fuori dal centro abitato di Misano. “Hanno presentato la Scia (segnala-zione certificata di inizio attività) e noi come Comune abbiamo, per quanto di nostra competenza, dato l’autorizzazio-ne per effettuare i lavori edili: in prati-ca la costruzione di una recinzione e il posizionamento di un basamento dove sono appoggiate le gabbie – conferma Nunzio Mussi, geometra dell’ufficio tecnico di Misano –. Per un eccesso di zelo, e in via informale, abbiamo chiesto agli esperti dell’Asl veterinaria di effet-tuare un sopralluogo. Quello che acca-drà dopo, riguardo le condizioni degli animali, non possiamo saperlo. È come quando un’amministrazione dà l’ok per l’esercizio di un nuovo ristorante. Se il gestore userà cibo scaduto o non rispet-

terà le norme igienico-sanitarie, non si può prevedere”. Non entra nella questione etica neppu-re il sindaco, Daisy Pirovano: “Non ho mai indossato una pelliccia e amo gli animali – afferma la prima cittadina –. Ma il Comune ha le mani legate. Com-prendo le ragioni delle associazioni, al-cune composte da attivisti coscienziosi, altre da persone incivili che protestano imbrattando i muri, come è accaduto nei presidii dello scorso marzo”. Lo stesso titolare dell’attività, Damiano Legramandi, già allevatore di bovini da latte, motiva la decisione di allevare i visoni come una necessità e afferma di essersi trovato di fronte a un bivio: o raddoppiare l’allevamento di vacche o intraprendere, accanto a questa, un’al-tra strada, più remunerativa. Stessa scelta, tra la disoccupazione e un nuovo lavoro, per Franco Finetti, residente a Fontanella, ma titolare della cascina San Rocco, a sud di Antegnate, che conta

di ripopolare con i pregiati mustelidi. Un’attività bloccata sul nascere, nono-stante Finetti abbia già acquistato le attrezzature. “I documenti presentati non sono completi – spiega il sindaco, Andrea Lanzini, che ha anche incon-trato i manifestanti –. Siamo in attesa dell’autorizzazione dell’Asl e di quella dei comproprietari di capannone e ter-reni adiacenti”. Al contrario della ca-scina di Misano, la stalla di Antegnate è, infatti, dismessa da anni, non ci sono altri animali, e per avviare l’allevamento di visoni occorrono sostanziose opere di modifiche sia interne sia esterne. L’iter è iniziato a novembre. A febbraio il pri-mo cittadino ha emesso un’ordinanza sospensiva per effettuare approfondi-menti. “Finché la documentazione non sarà a posto, il permesso resta sospeso”, rimarca Lanzini. Entrambe le aziende bergamasche al-leverebbero soltanto i visoni, senza trattarne le pelli, divenendo di fatto s

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InCHIESTAL/

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InCHIESTAL/

satelliti del più grande centro in Italia, il Mi-Fo, situato a Campisico, frazione di Capralba (Cremona). In queste batterie ci sono almeno ventimila capi, alcuni di questi sono le fattrici che sono già fini-te a Misano. Nel paese del Cremonese sono partiti i primi cortei degli attivisti che aderiscono al gruppo Visoni liberi. Le proteste sono state rumorose e parte-cipate. Ci sono stati raid notturni in di-versi capannoni per girare dei video che mostrano gli animali rinchiusi in spazi ridottissimi ed esposti alle intemperie. “Alcune immagini sono state realizzate nella mia struttura – ammette Giovanni Boccù, che promette un open day nella sua azienda di Capralba, a settembre –. Ci fanno solo un favore, più se ne parla e più abbiamo pubblicità. Del resto, se si potesse tirare avanti solo con i polli, nessuno intraprenderebbe questa nuova strada. Ma per guadagnare meglio se-guire il mio esempio. Da trent’anni do da mangiare a otto famiglie. E, poi, fac-ciamo un lavoro ecologico riciclando gli scarti della lavorazione della carne e del pesce, ben un milione di tonnellate”. Le richieste del mercato estero, soprattutto russo, sono in aumento. Cinquanta mi-lioni sono le pelli prodotte nel mondo, di cui 180mila in Italia. Una cifra desti-nata a decuplicare entro il 2050 e a cui i 16 allevamenti censiti nel nostro Paese non potranno far fronte.

due MoNdI A coNfroNto

boccù: “dagli animalisti solo bugie”la replica di nemesi: “bestie in forte sofferenza”

Giovanni Boccù“Gli animalisti diffondono solo bugie – si difende Boccù –. Sostengono che le be-stie sono spesso malate, ma non è nel no-stro interesse vendere capi non sani. Di-cono che stanno al freddo e al vento per rinfoltire il pelo e renderlo più pregiato, ma anche questo non è vero. I visoni sono animali foto sensibili e loro muta inverna-le comincia in agosto, quando le giornate si accorciano. Quando i cuccioli, nati a maggio hanno sette mesi, vengono ab-battuti all’interno di camere a gas trami-te inalazione di monossido di carbonio. Una morte dolce. Si addormentano in pochi secondi, senza soffrire – spiega Boccù, che è anche presidente dell’Aiav, l’associazione italiana allevatori di visone –. Certo, vivono tutta la vita in prigione, ma perché forse i polli e i conigli non han-no lo stesso destino? Il nostro non è un lager, ma il meglio che possiamo offrire a un animale d’allevamento. All’ultima asta di Copenhagen, la più importante, le nostre pelli sono entrate nella classifica delle migliori al mondo. E per consegui-re questo risultato l’animale deve stare bene”. A fare del male ai visoni, secondo l’imprenditore, sono gli attivisti. “Sono dei fanatici che con le liberazioni condan-

nano i visoni a morte violenta – è la sua opinione –. Le abbiamo subìte anche noi nel 2003. E quasi tutti i capi sono finiti schiacciati sotto le ruote delle auto”. A vedere il reportage “Morire per una pelliccia”, realizzato da Nemesi Animale ed Essere Animali (visibile sul sito www.visoniliberi.org), emerge un’altra realtà. Uno degli autori, Lorenzo Loprete, si è infiltrato negli allevamenti. In diciotto mesi, con un gruppo di colleghi ha do-cumentato la vita in gabbia dei visoni, mostrando la sofferenza e quello che gli allevatori tengono nascosto. “Gli anima-li attendono la morte in gabbie dalle di-mensioni di un foglio A4 e si cibano attra-verso le maglie di ferro – spiega l’attivista di Nemesi –. Ogni istante è uguale al pre-cedente per questi esseri. Nel filmato ci sono esemplari con ferite alla testa e alle zampe, conseguenza dell’aggressività dovuta al sovraffollamento, ma anche altri affetti da patologie e infezioni agli occhi. Vengono lasciati morire perché una feri-ta, anche se curata, lascia il segno alla pel-le che viene passata sotto uno scanner alla Kopenhagen Fur, dunque non avrebbe più valore – prosegue –. Senza conside-rare i danni psicologici di creature spesso

in preda a movimenti compulsivi”. Per completare l’attività di investigazione, Nemesi ha inviato al Mi-Fo una perso-na che ha finto l’intenzione di aprire un allevamento. “Abbiamo scoperto che è un’attività che fa gola a parecchi, soprat-tutto di questi tempi – spiega Loprete –. Basta un investimento contenuto, di 40mila euro, e poche ore al giorno di fatica per avviare e mantenere un capan-none”. Le proteste mirano all’abolizione degli allevamenti di animali da pelliccia in Italia. “Vogliamo un cambiamento a piccoli passi, questa barbarie deve finire – chiarisce –. Le nostre manifestazioni servono per stroncare sul nascere questi progetti, aprendo un fronte importante nella lotta all’abolizione totale di que-sti allevamenti”. Intanto, proseguono le liberazioni illegali e anonime. “Non le approvo, né le condanno – conclude l’esponente di Nemesi –. I nostri visoni sono i figli degli animali catturati in Ame-rica tra la fine dell’800 e i primi del 900. Animali solitari, amanti dell’acqua e delle lunghe nuotate. Uno studio condotto dal “National Geographic” ha dimostrato che la loro indole selvatica non è minata dalla vita di prigionia, al punto che molti hanno creato colonie naturali. Basta un balzo per tornare a far parte di quel mon-do a cui si appartiene, anche se non lo si è mai conosciuto”.

Lorenzo Loprete

Ci hanno Detto…Alfredo, MisanoÈ d’accordo con gli allevamenti?“Sono contrario a ogni forma di pri-gionia, perché di questo si tratta”.L’alternativa?“Smetterla con le pellicce. Si può vi-vere anche senza, no?”.

Annalisa, AntegnateAnche lei ha manifestato contro gli allevamenti?“No, non amo questo genere di pro-testa”.Quindi le è indifferente quel che ac-cade ai visoni?“Non è questo il punto. Io credo che non si possa fare una classifica tra le bestie. Se si protesta così per i viso-

ni, perché non fare altrettanto per i polli, che vivono le stesse condizioni di allevamento? Anche tra chi prote-sta serve coerenza”.

Claudio, MisanoChe ne pensa del “business” visoni?“Se la legge lo permette è inutile prendersela con l’imprenditore?”.Anche se crea ricchezza sulla pelle degli animali?“Perché chi alleva vitelli, pecore e al-tri animali da macello non fa la stessa cosa?”.

romina, AntegnateHanno ragione gli animalisti?“Sì, non si possono tenere gli animali

in quelle condizioni. È pazzesco solo a pensarci”.Ma allora bisognerebbe smettere ogni forma di allevamento…“Non dico questo. Vorrei solo che fosse garantita a ogni bestia una vita decente, che si tratti di visoni, polli o capre”.

Alberto, MisanoSua moglie ha la pelliccia?“No, per fortuna. Mi pare assurdo, con i mezzi che abbiamo oggi, am-mazzare ancora animali per vestirci”.Però li ammazziamo per mangiare…“Beh, non abbiamo molte scelte, a meno di non tornare tutti a fare i cacciatori”.

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COSTuME E SOCIETÀ/

il “riuso” fa tendenzaTrashy fashion e swap-parties: abiti riciclati e feste

del baratto si stanno diffondendo e, complice la crisi, stanno dando nuovi input al mondo della moda.

avete mai sentito parlare di “riuso” in ambito moda? Riuso inteso non tanto come acquisto di capi vintage, ma

come reinvenzione, riutilizzo, nuova vita. I meccanismi del mondo della moda, si basano sul concetto del ciclico ritorno: del fare, rifare e poi rielaborare di nuo-vo. Ebbene, negli ultimi tempi, complice forse la crisi, il “riuso” sta diventando un vero e proprio fenomeno di massa. Assi-stiamo alla costante fioritura di botteghe, bottegucce, spazi condivisi e shop che offrono una nuova prospettiva alla clien-tela che diversamente se ne starebbe ben lontana dagli spazi espositivi.Il concetto di base è molto semplice: “hai qualcosa di vecchio che non usi più?” oppure ancora “possiedi dei capi nell’armadio che per svariati motivi non indossi?” “Portali da me. Posso aiutarti a reinventarli, oppure comprarli e poi rivenderli sotto nuova forma”. Questa tendenza, ormai diffusa in tutto il mon-do è comunemente chiamata, con un’e-spressione poco affascinante, “trashy fashion”.Esistono aziende improntate sul mondo del riciclaggio e della recology (con-trazione dei termini “reuse” ed “eco-logy”), come ad esempio la Sanitary Fill Company di San Francisco, che incenti-vano a piene mani la moda; in realtà, per parlare di riciclaggio dei rifiuti impron-tato alla realizzazione di nuovi materiali tessili non bisogna andare così lontano: anche alcune aziende municipalizzate

italiane propongono di riciclare le bot-tiglie in pvc per la creazione di tessili dall’appeal più o meno fascinoso.L’idea di trasformare la “spazzatura” in prodotto di moda è da tempo anche pa-trimonio culturale e ambito di studio e ricerca di scuole di creatività come l’Isti-tuto Europeo di Design o il Politecnico di Milano che svolgono da anni manife-stazioni di moda incentrate su questo tema.Se non vi sentite ancora pronte per il “trashy-chic” in senso esteso, sempre parlando di riuso, potrebbero fare per voi gli “swap-parties” (letteralmente “feste del baratto”). Recentemente, un folto gruppo di fashion victims america-ne, con la complicità di alcune fashion bloggers molto in vista, ne hanno orga-nizzati di grandiosi. E così, ecco compa-

rire swap-parties dappertutto.Gli swap parties in realtà non sono nul-la di nuovo, infatti, erano già in voga in America nel periodo tra le due guerre: le signore “bene” si incontravano di pomeriggio per bere il tè e… scambiarsi i vestiti! Tra un sorso di tè e una chiac-chiera quindi, si rinnovavano il guarda-roba a costo zero.La cosa bella degli swap parties è che si possono organizzare anche a casa tra amiche: basta spargere la voce, or-ganizzare una merenda o un happy our gourmand e il gioco è fatto!Se prima di provare a casa, volete testare qualcosa di già organizzato, vi segnalia-mo il sito http://www.swappartybre-scia.it; che organizza fantastiche feste in abbinata a simpatici mercatini vintage, a due passi dalla nostra città.

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wHAT ’S uP?/ wHAT ’S uP?/

Noi, le star e lo specchio di AleSSAnDrA Tonizzo

com’è difficile essere… al Naturale

Alzi la mano chi, come noi, si è stancato degli scatti “autocompiaciuti” sui vari Facebook, Twitter o Instagram. Questo voler immorta-lare continuamente, seduta stante, ogni cen-

timetro di pelle, di cemento, di tempo, di esperienza, traduce la tristezza di chi ha perso il significato della (semplice) condivisione per lanciarsi senza paraca-dute nell’empireo della simil-celebrazione. La luce soffusa, a bocca schiusa, è diventata il setting perfetto da ricreare ovunque, dal party nostrano al lavasecco sotto casa: l’importante è versare generosi dosi di glit-ters sul (troppo scialbo) reale. Finendo per immedesi-marci nei nostri alter-ego pixellati. Fino a qui, poco male. Lasciamo queste hollywoodia-ne velleità a chi non riesce a farne a meno, conso-landoci del fatto che, se la posa di tre quarti post-rasatura regala a Tizio una botta d’adrenalina per affrontare la sua giornata, tanto meglio per lui. Non ci resta, volendo, che andare a trovarlo meno spes-so sui suoi diari virtuali: les jeux sont faits!

Già nel 2011, in Gran Bretagna – attraverso l’Asa (Advertising Standards Authori-ty) e l’impegno della parlamentare Jo Swinson – si controllano forma e contenuto delle pubblicità: celebre il recente caso di un prodotto L’Oréal sponsorizzato dalle super-attrici Julia Roberts e Christy Turlington, le cui immagini furono ritoccate così pesantemente da convincere l’autorità suddetta a far ritirare il messaggio. Mentre ne stiamo discutendo, l’azienda cosmetica Dove promuove in lungo e in largo la campagna Beautify, in realtà un vero e proprio programma per gli addetti ai lavori (art director, graphic designer e manipolatori digitali di imma-gine) che, promettendo di “lisciare e illuminare la pelle” delle modelle ritrat-te, in realtà riporta l’immagine alla sua versione senza ritocchi. Una trappola miracolosa che, in poco tempo, è diventata virale, sulla rete. “Non manipolate la nostra percezione della vera bellezza”, ribadiscono da anni quelli del team Dove, consci che ancora oggi il 90% dei modelli pubblicitari non sono reali e fomentano un crescente disagio nel pubblico femminile, costretto a sentirsi pe-rennemente inadeguato. Fa discutere, infatti, che l’artista (provocatrice) Anna Utopia Giordano si sia sen-tita pungolata dall’irrefrenabile dilemma “come sarebbero le opere di Botticelli, Tiziano, Hayez se le modelle avessero i canoni estetici di moda oggi?” e (guarda caso), Photoshop alla mano, abbia alterato i tratti di celebri capolavori. Assotti-gliare, smussare, scarnificare. Le Veneri dell’arte – petto gonfio, vita sottile, cosce filiformi – si sono trasformate da donne reali a pseudo Barbie. Giusto quello di cui avevamo bisogno. Un lavoro inquietante. Che neanche di un film di Dario Argento in una notte da lupi soli in casa. Mille e mille (e ancora mille, e altre cento) volte peggio di una rughetta, un capello bianco, una naturalissima curva in più.

Perché il tranello sta proprio lì, in quella “naturalezza” coperta da chili di cerone e, peggio, dalla mano invisi-bile dell’esperto in fotoritocco. La buona notizia, però, è che è finito il tempo di stare a guardare, strappandosi i capelli e lappando yogurt magro. Ci stiamo man mano (e saggiamente) convincendo che la finzione è una cosa, la vita vera un’altra. Alla faccia delle fiction e di Photoshop. Ma di questo grande passo dobbiamo pur ringraziare qualcuno. Potremmo cominciare con Julia Bluhm, agguerrita quindicenne di Waterville, nel Maine, che, lo scorso anno, tanto puntò i piedi da riuscire a spuntarla: la crociata, da lei indetta online contro l’uso massiccio di Photoshop nelle pagine della rivista per adolescen-ti Seventeen, diede vita a una petizione (Seventeen Magazine: give girls images of real girls). Superate le 40mila firme, consegnata nella redazione di New York durante un incontro tra Julia e alcuni rappresentanti della rivista, questa guerra al fotori-tocco ha portato i responsabili del magazine a stipu-lare il “Trattato di pace del corpo”. In poche parole, Seventeen fa voto di non ritoccare l’immagine del cor-po e del viso delle modelle, di mostrare solo ragazze in buona salute (quindi non troppo magre), indipen-dentemente dalla taglia dei vestiti, (“essere in salute significa rispettare la tua forma naturale”, hanno san-cito) e mostrare ogni tipo di modifica fatta alle foto sul blog della rivista stessa.

Che fare, invece, contro l’artiglieria pesante? Pensiamo ai cartelloni pubblicitari che rivestono le città, ai giornali, le riviste, la tv, i siti in-ternet..: c’è un mondo, là fuori, che vuol farci credere – insistendo non poco – che ci si alza al mattino con la pelle che riluce, che non si può indossare una canottiera se non si hanno “ascelle a prova di bacio”, che i denti devono abbagliare, i capelli trainare (glabri) bellimbusti senza spezzarsi, e via dicendo. Una follia. Una pazzia. Un delirio. Cui tuttavia crediamo, soprattutto noi donne, non appena decidiamo di affamarci per raggiungere il peso forma di Demi Moore. Poco importa che la ex Mrs Kutcher abbia già bypassato qualche -anta e che, al naturale, abbia le sue (legittime) zampe di gallina corredate da ginocchia poco toniche e glutei stile Sunsweet.

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Quella voglia disentirsi aQuile

Da 44 anni l’AeroClub di Valbrembo sforna piloti di aliante.il presidente rota: “l’uomo non è nato per volare ma così si cerca

in qualche modo di imitare gli uccelli”. “Ci vogliono grande preparazione e rispetto, altrimenti vince sempre la natura”

di FulVio FACCi

“il fruscio del vento come unico rumore, l’alta quota, la neve sulle montagne”. Così racconta le emozioni

del volo a vela, il volo con gli alianti, Sal-vatore Rota, da poco presidente, dopo essere stato per 15 anni vicepresiden-te, dell’AeroClub Volovelistico Alpino cha ha sede a Valbrembo. E allo stesso tempo ammonisce: “Volare a vela è un po’ come scalare una montagna, ci vo-gliono grande preparazione e rispetto, altrimenti diventa una lotta impari, vince sempre la natura”.A Valbrembo si impara veramente a

volare. Da 44 anni in questo aeroporto esiste infatti una scuola per il volo a vela che ha brevettato centinaia di piloti e alla quale si è aggiunta recentemente anche una scuola per il volo a motore per il ri-lascio della licenza di pilota privato e per il volo commerciale di base. C’è anche una scuola per il pilotaggio di elicotteri, ma il cuore pulsante della struttura resta il volo libero. “Penso che il volo a vela – prosegue Rota – sia il vero volo, tanto che da noi arrivano per sperimentarlo piloti che hanno grande esperienza nei voli di linea o su aerei militari. Penso ci sia la stessa differenza che c’è tra la poe-sia e la prosa, è tutto più romantico, c’è tanta libertà. L’uomo non è nato per vo-

lare ma così si cerca in qualche modo di imitare il volo degli uccelli”.In realtà tutto si basa sulla struttura del velivolo e sulla capacità del pilota di sfruttare le cosiddette “termiche” cioè le correnti ascensionali di aria calda che consentono al mezzo di salire di quota. Per questo l’attività ha una sua stagiona-lità. Da ottobre a febbraio, in generale, si svolge prevalentemente attività didat-tica con l’aliante che viene trainato ad una quota di 700/1.000 metri e dopo un volo non particolarmente lungo, cir-ca un quarto d’ora, atterra alla base di partenza. Ci sono anche altre situazioni che consentono il volo ma necessitano di spiegazioni tecniche abbastanza pro-

fonde, ci limitiamo perciò a ricordarle, sono il volo di pendio o dinamico e il volo d’onda.Il concetto di base è che più si guadagna di quota più si guadagna in distanza. Un pilota esperto in una giornata media può percorrere circa 300 chilometri. Uno dei tragitti tradizionali per chi decolla da Valbrembo è una puntata verso il lago di Garda, Toscolano in particolare, poi si vira verso Laveno sul lago Maggiore e si torna alla base.Il presidente Rota tiene a sottolineare la meticolosità della preparazione nell’af-frontare anche quelli che si possono definire voli di routine. C’è infatti una pianificazione precisa del volo nella quale vengono individuati tutti gli ae-roporti, le avio superfici ma anche i campi agricoli nei quali può eventual-mente essere effettuato un atterrag-gio d’emergenza. Si fanno anche delle ricognizioni fotografiche per tenere aggiornata la situazione. “Anche per

voli di una certa durata l’impegno non è tanto fisico quanto mentale – precisa -, bisogna essere in grado di prendere delle decisioni in pochi secondi e quin-di ci vuole una certa dimestichezza che ovviamente si acquisisce col tempo. Ora però anche le strumentazioni tec-niche sono molto sofisticate e aiutano parecchio. Il variometro ad esempio, lo strumento che indica se si sta salendo o scendendo, prima richiedeva in pratica un occhio costante, adesso è acustico e ci può quindi concentrare su altro”. Sul fatto che sia uno sport affascinante non ci sono dubbi, ma forse il volo a vela non è per tutti. “Dal punto di vista fisico non ci sono requisiti particolari – afferma il presidente - salvo la buona costituzione fisica che viene controllata periodica-mente e con maggior frequenza quan-do l’età sale. Per il resto non possiamo certo definirlo un sport popolare. Il brevetto costa circa 3.000 euro e poi ci sono dei voli successivi da effettuare

obbligatoriamente per non farlo scade-re”. Del resto è evidente che per mante-nere e far funzionare strutture e mezzi le spese ci sono. “Noi abbiamo una base solida di circa 130 soci che provengono oltre che dalla provincia di Bergamo da Brescia e Milano. È un numero sul qua-le ci siamo stabilizzati anche se abbiamo una continua e interessante affluen-za ai corsi. L’età va dai 19 ai 70 anni. Abbiamo 15 alianti nostri, di cui alcuni biposto per la scuola e altri particolar-mente performanti che consentono di raggiungere una velocità di 250 chilo-metri all’ora. C’è anche un simulatore molto realistico alloggiato nella scocca di un aliante che sta incontrando molto apprezzamento soprattutto da parte dei giovani”.L’aeroporto di Valbrembo è dedicato alla memoria di Aldo Capoferri non solo fondatore della struttura e del Club ma anche autentico pioniere nazionale del volo a vela. s

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L’IStruttore

“in aumento i giovani che si avvicinano all’attività”

È affascinante vedere volteggiare gli alianti sopra l’aeroporto di Valbrembo. Bello vederli decollare al traino di aerei a motore o magari con il loro motore ausi-liare (i motoalianti) per vederli poi atter-rare. Si può passare tranquillamente un pomeriggio con il naso all’insù. Ma il cuore dell’attività dell’Ava è la scuola per piloti di alianti che ne sfor-na ogni anno a buon ritmo. Roberto Pirotta, ingegnere aeronautico, vola da undici anni e da sette è l’istruttore della scuola. “Da un punto di vista didattico è come la scuola guida per la patente dell’auto – spiega Pirotta –. C’è una parte teorica con un libro e con i quiz proprio come avviene per l’auto. E poi c’è la pratica: le “scuole di guida” se vo-gliamo. Sono previste complessivamen-te 13 ore di volo che vengono misurate da quando l’aliante si stacca da terra a

quando torna a toccare il suolo ed i mi-nuti vengono sommati. Ogni volo dura in media dai 15 ai 20 minuti, quindi in totale si effettuano una cinquantina di voli. I primi voli sono con alianti bipo-sto ed in pratica si svolgono nello spazio sovrastante l’aeroporto. Poi, quando si acquisisce un po’ di esperienza si può iniziare anche a divertirsi”.L’esperienza sembra essere la dote fon-damentale sia per le prestazioni sia per la sicurezza: un buon colpo d’occhio nel va-lutare una situazione che cambia repenti-namente. “Sono doti che si acquisiscono con le ore di volo ma nel mio ruolo di istruttore di base rilievo anche altri scogli da superare. Ad esempio una delle diffi-coltà maggiori è quella motoria. Si tratta di utilizzare contemporaneamente i piedi e le mani: i piedi per la pedaliera e la mani per la cloche. Si deve agire allo stesso

tempo su entrambi ma ci vuole sensibilità e delicatezza non è come il freno e la fri-zione dell’auto, tutto va molto calibrato. Certo anche la parte teorica ha le sue dif-ficoltà, c’è un programma ministeriale da rispettare. Ma in questo caso si può fare affidamento sulle lezioni e sulla logica delle decisioni. La difficoltà maggiore è proprio quella motoria”, rimarca.All’attività, come detto, si avvicinano persone di ogni età con una maggioran-za comunque di quarantenni, momento della vita in cui si dovrebbe avere siste-mato sia la famiglia sia la professione. Questa almeno è in parte la casistica dell’Ava, anche se “in questo periodo – nota Pirotta - abbiamo diversi giovani tra i 18 e i 25 anni che si avvicinano al volo a vela, stanno veramente aumentando. Devo ammettere che i giovani imparano molto più facilmente”.

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