12 Lezioni di Cittadinanza e Costituzione - 1 · L’organizzazione sociale e lo Stato 2 1 ......

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Vincenzo Conte 12 lezioni di Cittadinanza e Costituzione 1

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Vincenzo Conte

12 lezioni diCittadinanza e Costituzione

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Le regole del gioco valgono anche per i

più piccoli

Veduta aerea di Roma. Al centro il Circo

Massimo, a destra il Colosseo. Pubbliaerfoto

Vita sociale dell’uomo

Regolano INSIEME

DI NORME DIRITTO

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L’organizzazione sociale e lo Stato

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IL CONCETTO DI DIRITTO

Il concetto di «diritto» è strettamente connesso a quello di società: dove c’è la società lì c’è il

diritto (ubi societas ibi jus, dicevano i latini, ma secondo altri è vero anche il contrario e cioè

ubi jus ibi societas). Il sorgere della società, e cioè dello Stato, ha comportato l’emanazione da

parte di una autorità di regole precise. Queste regole, obbligatorie per tutti i soggetti, sono

però variabili in relazione al mutarsi della società e prendono il nome di diritto.

Nello stato di natura, come quello delle belve, vale la regola del più forte (o del più furbo); in

una comunità civile i rapporti tra i singoli sono invece regolati da norme precise. Chi subisce

un torto (o colui il quale pensa di averlo subito) non può farsi giustizia da sé ma si deve

rivolgere alla legge.

Defi nizione di diritto

Questa defi nizione fa riferimento a quel complesso di regole di condotta che disciplinano i

rapporti tra i membri di una data collettività, in un dato momento storico.

Ciò signifi ca che esiste un legame stretto fra fenomeno giuridico e fenomeno sociale. Il diritto

nasce là dove esiste una forma di aggregazione umana, così lo sviluppo della società si svolge

all’interno delle regole che disciplinano i rapporti tra i soggetti che la compongono.

Una persona che vivesse da sola su un’isola deserta come Robinson Crusoe non sarebbe

soggetta al diritto.

Anche nelle strutture sociali più semplici, esiste una serie di rapporti che scaturisce da regole

riconosciute o accettate.

Nello stesso modo, ad esempio, il gioco impone delle regole. Due squadre di calcio che si

aff rontano in uno stadio devono rispettare delle regole precise di comportamento (devono

esserci undici giocatori per parte; eccetto i portieri nessuno deve toccare il pallone con le

mani e così via); vi è inoltre la presenza di un arbitro che dirige l’incontro, il quale ha il compito

di fare rispettare le regole del gioco. Le regole non sono però stabilite dall’arbitro (che ha

la funzione di un giudice, ed infatti lo sentiamo anche defi nire «giudice di gara»), ma esse

preesistono onde evitare parzialità a favore dell’una o dell’altra squadra.

IL DIRITTO

L a parola italiana dritto deriva dal

tardo latino dirictum. Dirictum ave-

va sostituito il classico directum, partici-

pio passato del verbo dirigere − compo-

sto da de e regere − che aveva il valore

originario di eseguire un movimento in

linea retta e, in particolare, di indicare

una direzione o tracciare la via. Come

aggettivo la parola «diritto» si riferisce a

ciò che procede in linea retta, che non

ha deviazioni. E in tale maniera noi in-

tendiamo anche la giustizia: essa non si

sposta a destra o a sinistra per favorire

questa o quella persona.

Vincenzo Conte 12 LEZIONI DI CITTADINANZA E COSTITUZIONE - 1 © Zanichelli 2011

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L’organizzazione sociale e lo Stato

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1IL CONCETTO DI STATO

Il concetto di Stato parte dall’osservazione che l’uomo è un essere sociale e la convivenza

può esistere solo quando le relazioni molteplici che essa suppone sono determinate da

regole obbligatorie (norme), garantite da una forza superiore. Quando la società si organizza

politicamente per la tutela del diritto sorge la nozione di Stato, il cui fi ne essenziale è

l’attuazione del diritto nella convivenza sociale. Lo Stato è una comunità organizzata che si

costituisce in vista dell’utilità dei cittadini.

Dobbiamo osservare due cose:

1. il diritto non è solo una regola (come sono regole quelle degli scacchi o di una partita

di calcio), ma è una norma che disciplina le relazioni sociali, ed è assistita da una

organizzazione che ne assicura l’osservanza;

2. Il concetto di diritto non è disgiungibile da quello di Stato.

Diritto oggettivo e soggettivoL’espressione «diritto» può assumere due signifi cati:

a. l’ordinamento giuridico nella sua completezza e unità (diritto oggettivo);

b. un precetto o un insieme di precetti (diritto soggettivo).

Il diritto oggettivo è un insieme di regole (dette norme giuridiche) che servono appunto a

regolare i rapporti all’interno della società.

In pratica il diritto oggettivo determina ciò che è obbligatorio (ciò che si deve fare), vietato

(ciò che non si deve fare) o permesso (ciò che si può fare) nei rapporti con gli altri membri

della società.

Prende il nome di diritto soggettivo, la facoltà che, sulla base del diritto oggettivo, è

accordata a un soggetto di esigere da altri un determinato comportamento.

Il diritto soggettivo è quindi il diritto che la legge attribuisce a un soggetto per realizzare un

suo interesse secondo la propria volontà. Ad esempio, presto dei soldi ad una persona e alla

scadenza del debito voglio che il debitore mi paghi.

Il diritto soggettivo comprende sia i rapporti esistenti tra privati, sia i rapporti tra questi e la

pubblica amministrazione.

Stele di Hammurabi. Museo del Louvre,

Parigi. P. Quoniam

Tavoletta cuneiforme con inciso un testo

giuridico amministrativo, 2300 a.C. ca

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1 L’organizzazione sociale e lo Stato

L’ORGANIZZAZIONE DELLO STATO

Una Costituzione democratica riconduce la legittimazione di ogni organo dello Stato alla

sovranità popolare e assicura l’obbedienza degli organi statali alle regole procedurali e di

contenuto della Costituzione (Stato di diritto).

Nella Costituzione troviamo le disposizioni che regolano gli obblighi e i diritti fondamentali

dei cittadini. Fanno parte delle disposizioni che si trovano nel dettato costituzionale anche

quelle che fi ssano compiti e obiettivi essenziali dello Stato (norme programmatiche).

L’organizzazione dello Stato, e in particolare la designazione dei suoi organi e delle rispettive

funzioni, è l’elemento fondamentale dell’attività degli organi di governo.

La separazione dei poteriL’esercizio incontrollato e abusivo del potere può essere limitato soltanto quando la

Costituzione, grazie alla separazione dei poteri, preveda la separazione funzionale del potere

statale in Legislativo, Esecutivo, Giudiziario. Per ottenere una migliore protezione giuridica

dei diritti fondamentali di libertà è importante che i poteri siano separati anche dal lato

organizzativo e personale. Nei regìmi democratici rappresentativi si distinguono tre poteri

pubblici: legislativo, esecutivo e giurisdizionale.

La distinzione fu introdotta dalla rivoluzione borghese e dall’Illuminismo, e si stabilì che la

democrazia sostanzialmente risiede nel fatto che tali poteri siano separati l’uno dall’altro.

In tutti i Paesi d’Europa, il potere legislativo (il parlamento) è separato dal potere esecutivo (il

governo), e da quello giurisdizionale (la magistratura).

La separazione dei poteri viene intesa come tripartizione dell’attività fondamentale dello

Stato. I poteri fondamentali sono rappresentati da:

POTERE LEGISLATIVO: forma le norme che costituiscono l’ordinamento giuridico e il

diritto in senso oggettivo;

POTERE ESECUTIVO: rappresenta la cura concreta dei fi ni e degli interessi pubblici;

POTERE GIUDIZIARIO: mira a risolvere le controversie che insorgono tra i soggetti

dell’ordinamento.

La separazione dei poteri nella CostituzioneL’Italia, come Stato di diritto, prevede la «separazione dei poteri»:

1. legislativo, affi dato al Parlamento (artt. 55-82 Cost.) che ha però anche funzioni elettive,

ispettivo-fi nanziarie, di controllo e di indirizzo politico;

2. esecutivo, affi dato al Governo ed agli uffi ci, anche periferici («decentramento», artt. 5 e

129 Cost.) della Pubblica Amministrazione (artt. 92-100 Cost.);

3. giudiziario, affi dato ai Giudici (artt. 101-113 Cost.).

Prevede poi un Presidente della Repubblica il quale, come Capo dello Stato, «rappresenta

l’unità nazionale» ed ha funzioni in tutti e tre i poteri pur non essendo a capo di nessuno

di essi (artt. 83-91 Cost., e in particolare art. 87); e un’alta corte di giustizia costituzionale, la

Corte Costituzionale (artt. 134-137 Cost.).

Il Principe Antonio De Curtis, in arte Totò,

nel fi lm «Siamo uomini o caporali» del

1955, diretto da Camillo Mastrocinque.

Olycom

G ià alla fi ne del medioevo lo Stato

assoluto si caratterizza per due ele-

menti determinanti: l’accentramento del

potere nelle mani del re e l’unifi cazione

territoriale.

È quindi l’opposto dello Stato feudale,

dove non solo il territorio nazionale è

spesso frantumato in zone che sfuggono

al potere centrale, ma la stessa autorità del

sovrano è poco più che nominale.

Nello Stato assoluto chi pone in essere le

norme si identifi ca con chi è chiamato ad

eseguirle e controlla chi deve giudicare le

controversie relative alla loro violazione.

La conduzione del potere non potrà che

essere arbitraria e incontrollata.

Non è una situazione molto dissimile da

quella propria di ogni dittatura, come

quella, ad esempio, del regìme fascista in

Italia.

I CARATTERI DELLO STATO ASSOLUTO

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1L’organizzazione sociale e lo Stato

T utte le società si propongono di

raggiungere dei fi ni, che costitui-

scono la loro ragione di esistere. Così, un

ente di pubblica assistenza si proporrà di

assistere quanti si trovano in particolari

necessità; una società sportiva si proporrà

di incrementare determinate attività fi si-

che, e via dicendo.

Alcuni sono comuni a tutti gli Stati come

quelli della tutela dell’ordine interno e del-

la difesa armata dei confi ni. Altri variano

da caso a caso, da momento a momento.

Così, per esempio, lo Stato italiano si occu-

pa oggi di garantire un trattamento assi-

curativo ai lavoratori, il che non succede in

altri Stati e non succedeva nemmeno da

noi nel secolo scorso.

I FINI DELLO STATO STATO, SOCIETÀ E DIRITTO

Le caratteristiche dello Stato

Lo Stato è una persona giuridica, cioè un soggetto giuridico dotato di potestà (o poteri), obblighi

e doveri. I poteri sono suddivisi tra diversi uffi ci, perché lo Stato per svolgere i propri compiti deve

avvalersi delle persone fi siche.

SOCIETÀ NECESSARIA

Lo Stato è una società necessaria e non volontaria. Si chiamano volontarie le società delle quali

uno viene a fare parte per un proprio atto di volontà; necessarie quelle di cui uno viene a fare parte

indipendentemente dalla propria volontà. Si può scegliere di far parte di un partito politico o di un

circolo di scacchi, ma per il solo fatto di essere nati in Italia si è cittadini italiani.

SOCIETÀ TERRITORIALE

Lo Stato è inoltre una società territoriale, vale a dire che è un’entità che ha nel territorio uno degli

elementi costitutivi.

SOVRANITÀ

È questa la caratteristica essenziale dello Stato che permette di diff erenziarlo da tutte le altre socie-

tà e soprattutto dagli altri enti territoriali (Regioni, Province, Comuni, ecc.).

Dire che lo Stato è un ente sovrano signifi ca che ha il potere di comandare a tutti coloro che sono

soggetti ad esso e che non riconosce nessuna autorità superiore se non per sua espressa volontà

(organizzazioni sovranazionali), attuando anche con la forza i suoi comandi. Di ciò si hanno esempi

continui: si pensi per esempio alle leggi che lo Stato emana ed agli obblighi che pone a tutti i cit-

tadini ed anche agli stranieri che si trovano sul suo territorio; si pensi alle sentenze che fa eseguire,

sia nel campo civile che in quello penale. La Camera dei deputati a Roma

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Parlamento FIDUCIA DEL

GOVERNO

Capo dello Stato (Re o Presidente)

FIDUCIA DEL GOVERNO

REGÌMIPARLAMENTARI

REGÌMIPRESIDENZIALI

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La democraziacome forma di governo

LE FORME DI GOVERNO

Le forme di Stato in relazione al tipo di governo

La forma di governo rappresenta il modo in cui le varie funzioni dello Stato sono distribuite fra

i diversi organi. La forma di governo determina chi è il capo dello Stato, chi nomina o elegge

il capo del Governo, le funzioni che hanno i diversi organi e così via.

Oggi le forme base sono solo monarchie parlamentari, repubbliche parlamentari e

repubbliche presidenziali o semipresidenziali.

Monarchia e repubblica

La distinzione fra monarchia e repubblica è variamente intesa:

1. secondo alcuni il governo monarchico è quello in cui i poteri supremi sono affi dati ad

una sola persona fi sica, che non è né organo né rappresentante giuridico di una collettività.

Viceversa si ha governo repubblicano quando i poteri supremi sono affi dati o ad una

collettività ovvero agli organi o ai rappresentanti giuridici di essa;

2. secondo altri autori, monarchie e repubbliche si distinguono per le radici della sovranità

e la giustifi cazione del potere. Nelle monarchie la sovranità ha radici in se stessa, il potere si

giustifi ca da sé, o per «grazia di Dio» (teoria teocratica) o per lunga e riconosciuta tradizione

(teoria legittimista); nelle repubbliche la sovranità appartiene al popolo o deriva dal popolo, il

potere si giustifi ca per il rapporto di trasmissione di esso dalla base al vertice.

Regìmi parlamentari e presidenzialiTanto le monarchie quanto le repubbliche hanno almeno due sottospecie a seconda che in

esse il governo debba avere la «fi ducia», e cioè l’approvazione del programma e dei ministri,

da parte del parlamento o solo da parte del capo dello Stato.

Nel primo caso abbiamo le monarchie parlamentari (come sono oggi almeno tutte quelle

europee) e le repubbliche parlamentari (com’è la nostra).

Nel secondo caso abbiamo le monarchie costituzionali pure (come erano nell’800) e le

repubbliche presidenziali.

I l monarca abitualmente sale al trono

per ereditarietà della carica, ma po-

trebbe anche essere elettivo. Così Umber-

to II fu re d’Italia perché fi glio di Vittorio

Emanuele III, il quale a sua volta era salito

al trono perché fi glio di Umberto I, e via

dicendo.

Viceversa l’attuale Presidente della Re-

pubblica italiana non è tale per ragioni

familiari o comunque per una ragione di

preminenza che appartenga ad una classe

o ad una casta, ma solo perché così hanno

voluto gli organi competenti.

L’art. 83 della Costituzione italiana dispone:

«Il Presidente della Repubblica è eletto dal

Parlamento in seduta comune dei suoi

membri.

All’elezione partecipano tre delegati per

ogni Regione eletti dal Consiglio regionale

in modo che sia assicurata la rappresen-

tanza delle minoranze. La Valle d’Aosta ha

un solo delegato».

SUCESSIONE MONARCHICA

E PRESIDENZIALE

Luigi Einaudi, fotografi a del maggio 1948.Einaudi,

secondo Presidente della Repubblica Italiana (1948-

1955), è considerato uno dei padri della Repubblica

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DEMOCRAZIA POPOLARE

I Le democrazie popolari indicano,

secondo la teoria marxista-leninista,

quelle forme di Stato in cui il potere, ap-

partenente a tutti i lavoratori, viene eser-

citato dal partito comunista, col proposito

di garantire gli interessi della maggioranza

della popolazione. Tali forme di governo si

basano su un’organizzazione economica

particolare: la proprietà pubblica dei mez-

zi di produzione (delle imprese).

Le democrazie popolari, sorte con lo sco-

po di realizzare società socialiste, si sono

diff use in tutto l’Est europeo dopo la fi ne

della II guerra mondiale e sono rimaste

strettamente legate alla politica dell’Unio-

ne Sovietica che per molti anni ha impedi-

to, anche con la forza, le istanze di rinno-

vamento che venivano da alcuni di quei

Paesi (Ungheria, Cecoslovacchia, Polonia).

Alla fi ne degli anni Ottanta, però, presso-

ché tutte le democrazie popolari europee

sono cadute o si sono avviate verso una

profonda trasformazione in senso demo-

cratico: un processo che ha investito da

ultimo la stessa Unione Sovietica, fi no

al crollo del regìme comunista (agosto

1991), seguito, nel dicembre dello stesso

anno, dalla disgregazione dell’U.R.S.S.

MONARCHIA E REPUBBLICA

La monarchia

Nella monarchia si ha l’affi damento del potere ad un solo organo. Essa può essere:

MONARCHIA ASSOLUTA: il re assomma tutto il potere e lo distribuisce a suo piacimento.

In tale maniera erano organizzate quasi tutte le antiche monarchie e lo Stato era considerato

proprietà del sovrano: ad esempio il re Luigi XIV (il Re Sole) in Francia;

MONARCHIA LIMITATA: accanto al monarca sono presenti altri organi e l’autorità dello

stesso re trova un limite nella legge;

MONARCHIA COSTITUZIONALE: la potestà di governo è suddivisa equamente tra il

monarca e gli altri organi.

Nella monarchia costituzionale parlamentare accanto al monarca c’è il consiglio dei Ministri

che gode della fi ducia del sovrano e governa in suo nome; vi è poi il parlamento bicamerale

eletto a suff ragio universale con funzione legislativa. Tra governo e parlamento deve esserci

fi ducia perché, in caso contrario, il governo deve dare le dimissioni.

La repubblica

La repubblica è quella forma di Stato il cui potere deriva dal popolo.

Essa può essere:

1. aristocratica (il governo spetta ad una sola classe sociale);

2. democratica (il governo spetta al popolo).

Il governo presidenziale

Nel governo presidenziale il Presidente della Repubblica è capo dello Stato e capo del Governo e

leader del partito di maggioranza; ha quindi il potere di nomina dei Ministri.

La democrazia come forma di governo

Il termine «democrazia» deriva dal greco démos = «popolo» e kràtos = «potere», e signifi ca dunque

«governo del popolo».

La democrazia, così come è modernamente intesa, è la forma di governo in cui il potere spetta

al popolo che la esercita tramite suoi rappresentanti. Essa consente il mutamento del governo al

potere senza dover ricorrere alla violenza. Si tratta dunque di un sistema costituzionale nell’ambito

del quale è possibile tener conto dei mutamenti intervenuti negli interessi o nelle opinioni degli

uomini senza che per questo si giunga a sconvolgimenti violenti.

Tre sono i caratteri distintivi delle democrazie nel secolo XX:

1. scelta dei governanti ed esercizio dell’autorità nel pieno rispetto delle norme costituzionali;

2. garanzia delle libertà personali da parte di quanti hanno vinto le competizioni elettorali e assu-

mono temporaneamente il potere;

3. riconoscimento della pluralità dei partiti, quali strumenti indispensabili «per concorrere con

metodo democratico a determinare la politica nazionale» (art. 49 della Costituzione italiana).

Mao Zedong, fondatore della Repubblica Popo-

lare Cinese e suo Presidente dal 1949 al 1976

La democrazia come forma di governo

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Lo Stato italiano nel disegno della Costituzione

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È un insieme di teorie e di compor-

tamenti basati su una presunta di-

visione dell’umanità in razze «superiori»

e razze «inferiori». Secondo le teorie

razziste il patrimonio biologico deter-

minerebbe, oltre ai comportamenti

individuali, gli sviluppi (culturali, poli-

tici, economici, ecc.) dei gruppi e delle

società. Stabilendo questa connessione

fra tratti razziali ed evoluzione sociale, le

concezioni razziste ritengono superiori

le razze in grado di costruire società più

«evolute».

IL RAZZISMOLA NASCITA DELLA REPUBBLICA

Lo Stato italiano si presenta come un soggetto di diritto dotato di personalità giuridica propria

che agisce per il perseguimento dei fi ni attribuitigli dall’ordinamento, nel rispetto delle forme

e dei limiti dell’ordinamento stesso.

Il Regno d’Italia è sorto nel 1861 come continuazione del Regno sardo. Il Regno d’Italia e

quindi la monarchia furono aboliti alla fi ne della seconda guerra mondiale e si ebbe così

l’avvento della Repubblica e della Costituzione attualmente in vigore; fu così abrogato anche

lo Statuto Albertino che era la legge fondamentale del Regno d’Italia. Per comprendere le

ragioni della Costituzione, ripercorriamo brevemente la storia politica italiana.

Lo Statuto Albertino Lo Statuto era una forma di Costituzione fl essibile (poteva essere modifi cato da una legge

ordinaria); la forma di governo era quella del governo monarchico rappresentativo: il Re era

capo dell’esecutivo.

Lo Statuto Albertino del 1848 era inoltre una Costituzione concessa dall’alto, dal sovrano ai

suoi sudditi e, pur rappresentando la risposta del re Carlo Alberto ai moti insurrezionali che si

stavano diff ondendo in tutta Europa, nacque senza alcuna consultazione democratica.

A questo proposito approfondisci i moti del 1848 in Europa e in Italia.

Il regìme fascistaSuccessivamente alla fi ne della prima guerra mondiale, con l’enorme crisi economico-politica

che ne conseguì, la debolezza del sistema parlamentare permise il colpo di stato del 28

ottobre 1922 (marcia su Roma). Il Re nominò primo ministro Benito Mussolini che iniziò una

serie di mutamenti che trasformarono il sistema parlamentare in dittatura.

Si creò la fi gura del capo di Governo come fi gura gerarchicamente superiore ai ministri; il

ministro era responsabile solo davanti al Re e non davanti al Parlamento che venne esautorato

delle sue funzioni.

Si sciolsero tutti gli altri partiti e associazioni stabilendo come partito unico quello fascista.

Venne istituito il tribunale speciale per la difesa dello Stato che divenne organo di repressione

dei moti di libertà; nel 1938 furono introdotte le leggi razziali attraverso le quali venivano

discriminati i cittadini di origine ebraica.

La ResistenzaNel corso degli anni ’30 il regìme fascista si avvicinò sempre più alla Germania nazista fi no

a seguirla nella guerra mondiale. Dopo gli iniziali successi, le sorti del confl itto volsero al

peggio fi no allo sbarco degli alleati anglo-americani in Sicilia e poi a Salerno. Dopo la caduta

del fascismo e l’arresto di Mussolini, l’Italia si arrende l’8 settembre del 1943, ma questo non

comporta la fi ne del confl itto, in quanto i tedeschi hanno invaso l’Italia e si sono attestati nel

Centro Nord. Questo comporta una divisione in due dell’Italia: il Sud sotto il controllo degli

alleati, il Nord sotto quello di fascisti e nazisti. Nel corso della guerra, che nell’Italia del nord

diventò una guerra civile di partigiani italiani contro fascisti e nazisti, nacquero i CLN (Comitati

di Liberazione Nazionale) tutti repubblicani e contrari alla monarchia di Vittorio Emanuele III.

Solo con la liberazione di Milano il 25 aprile del 1945 la guerra può considerarsi fi nita.

Membri del Ku Klux Klan in un’immagine

degli anni ’20, quando il gruppo, che pro-

pugnava la superiorità della razza bianca,

ritrovò nuovo vigore e arrivò a contare ben

quattro milioni di aderenti.

Corbis/Bettmann

REFERENDUM ISTITUZIONALE RISULTATI PER AREE GEO-POLITICHE

Aree geografi che

Repubblica

voti %

Nord 7.272.993 64,8

Centro 2.828.550 63,4

Sud 1.701.171 32,6

Isole 915.927 36,0

ITALIA 54,3

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Lo Stato italiano neldisegno della Costituzione

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Monarchia TOTALE

voti % voti %

3.945.142 35,2 11.218.135 100,0

1.629.066 36,6 4.475.616 100,0

3.519.179 67,4 5.220.350 100,0

1.625.115 64,0 2.541.042 100,0

10.718.502 45,7 23.437.143 100,0

L’ABDICAZIONE

È la volontaria rinuncia di un re al trono.

L’abdicazione da parte di un monar-

ca, oltre che volontaria, deve essere asso-

luta, cioè non revocabile né temporanea;

deve risultare da un atto formale ineccepi-

bile e non può essere disposta a favore di

chi non sia legittimo successore alla coro-

na. In sostanza l’abdicazione produce gli

stessi eff etti giuridici della morte del re.

Il dopoguerraAlla fi ne della guerra si stabilì che la scelta tra repubblica o monarchia sarebbe stata affi data

al popolo mediante referendum e che la Costituzione sarebbe stata stilata dall’Assemblea

Costituente che nel 1946 iniziò i lavori.

L’Assemblea era dotata di potestà costituente, e cioè della capacità di operare le scelte

sull’assetto fondamentale dello Stato, potestà che in un particolare e diffi cile momento è

riconosciuta ad una o più forze politiche.

Il Decreto-Legge luogotenenziale n. 151 del 25 giugno 1944, durante il primo gabinetto

Bonomi, stabilì: «Dopo la liberazione del territorio nazionale, le forme istituzionali saranno

scelte dal popolo italiano che a tal fi ne eleggerà, a suff ragio universale, diretto e segreto, una

Assemblea Costituente per deliberare la nuova costituzione dello Stato» (art. 1, comma 1).

L’Assemblea Costituente avrebbe cioè dovuto, oltreché produrre la nuova carta costituzionale

che doveva sostituire lo Statuto Albertino, scegliere anche la forma di governo fra monarchia

e repubblica. Tale scelta fu poi devoluta direttamente al popolo, mediante referendum

istituzionale, dall’art. 1 del Decreto legislativo luogotenenziale n. 98 del 16 marzo 1945

(durante il primo gabinetto De Gasperi): «Contemporaneamente alle elezioni per l’Assemblea

Costituente il popolo sarà chiamato a decidere mediante referendum sulla forma istituzionale

dello Stato (Repubblica o Monarchia)».

La nascita della RepubblicaLa Costituzione italiana è il processo di una evoluzione storica; essa è nata in diretta antitesi con

il fascismo e si ricollega a taluni ideali che avevano guidato i migliori uomini del risorgimento.

Il processo inizia con lo Statuto Albertino del 1848 che subisce una interruzione nel periodo

fascista e riprende dopo la sconfi tta del regìme.

La democrazia non è il regìme spontaneo e naturale della convivenza umana; essa è una

conquista della civiltà: quando la si è perduta, riconquistarla è diffi cile.

Alla fi ne della seconda guerra mondiale l’Italia si trovava con rovine e lutti disseminati

ovunque. Dal punto di vista economico le comunicazioni erano diffi cili, vi era il razionamento

dei viveri e un’infl azione monetaria preoccupante.

Le esperienze diverse vissute dal Sud e dal Nord avevano creato divergenze e diffi denze nella

pubblica opinione.

I governi di emergenza del 1944-45 rifl ettevano le nuove forze politiche organizzate nei

partiti e nel Comitato di Liberazione Nazionale: il loro impegno unitario non riusciva però più

a eludere le divergenze soprattutto circa la monarchia e l’investitura dei poteri di governo (dal

C L N o dal reggente Umberto di Savoia).

Il referendum tra monarchia o repubblicaSotto il governo formato da Alcide De Gasperi il 2 giugno 1946 veniva risolto il problema

istituzionale col referendum tra monarchia o repubblica. Si tenevano le prime elezioni a

suff ragio universale maschile e femminile con libertà garantita e rispettata, per un’Assemblea

Costituente.

Il referendum assegnò la vittoria alla Repubblica, non senza contestazioni da parte degli

sconfi tti: esso non venne accettato da Umberto II (al trono dal maggio 1946 in seguito

all’abdicazione del padre), che però fi nì per cedere all’intimazione del Governo di lasciare

Manifesto elettorale del 1946

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Lo Stato italiano neldisegno della Costituzione

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3L’Assemblea CostituenteL’Assemblea Costituente, riunendosi il 25 giugno 1946, nominava Capo provvisorio dello

Stato il giurista Enrico De Nicola, che a sua volta incaricava di nuovo De Gasperi di formare il

Governo.

L’Assemblea poi, in vista del suo obiettivo, affi dò a una Commissione di 75 membri il compito

di preparare un progetto di Costituzione che successivamente discusse in sedute plenarie;

il testo veniva a essere il risultato di molteplici compromessi fra i programmi e le forze

rappresentate nell’Assemblea. In particolare emersero forti contrasti sulla scuola, sullo stato

giuridico dei sindacati, circa i rapporti tra Stato e Chiesa, conferendo carattere costituzionale

ai Patti Lateranensi del 1929.

La Costituzione fu approvata il 22 dicembre 1947, promulgata il 27 dicembre dello stesso

anno, ed entrò in vigore dal 1° gennaio 1948.

L’Italia Repubblica democratica parlamentare L’Italia diveniva una Repubblica democratica parlamentare con una Corte Costituzionale che

doveva garantire le libertà e i diritti dei cittadini annullando eventuali disposti anticostituzionali

delle leggi.

Una sezione particolare della Costituzione, detta «economico-sociale», delineava un

programma di misure a difesa dei diritti del lavoro, sul quale la Repubblica si dichiarava fondata,

dopo aver garantito le libertà tradizionali: di parola, di opinione, di stampa e associazione, di

religione. Non essendo il risultato di una trasformazione politico-sociale già realizzata, ma il

disegno di una società ancora da realizzare, l’attuazione della Costituzione era compito dei

governi e dei partiti al potere.

La Costituzione come documento storico-politicoLa Costituzione è «la madre di tutte le leggi»; essa stabilisce i fondamenti, cioè i princìpi e le

regole base, dell’ordinamento politico della società. Non è quindi soltanto un testo giuridico,

ma anche un documento politico, storico e culturale. Ed è l’espressione del consenso politico

di base; è immagine delle lotte politiche trascorse e, quindi, testimone del suo tempo. In essa

prendono corpo la tradizione politica e la coscienza del Paese.

I costituenti non erano preoccupati solo dei problemi politici del momento (come, ad

esempio, sradicare il fascismo), ma avevano soprattutto presenti i problemi reali del

Paese che si erano accumulati nel corso dei secoli: da quello dell’unità nazionale, a quello

delle nostre particolarità regionali; da quelli storici della nostra economia, del latifondo

e dell’inadeguatezza dell’apparato industriale, a quello del lavoro e dell’inserimento dei

lavoratori nella vita del Paese, e del riconoscimento dei diritti fondamentali della persona e

della loro tutela e promozione.

L a Costituzione rappresenta, come

la defi nì Piero Calamandrei (1889-

1956), un grande giurista antifascista e

membro dell’Assemblea Costituente «il

programma politico della Resistenza... Die-

tro ad ogni articolo di questa Costituzione,

o giovani, voi dovete vedere giovani come

voi: caduti combattendo, fucilati, impic-

cati, torturati, morti di fame nei campi di

concentramento... morti per le strade di

Milano, per le strade di Firenze, che hanno

dato la vita perché la libertà e la giustizia

potessero essere scritte su questa carta...».

E ancora: «... Dovunque è morto un italia-

no per riscattare la libertà e la dignità, an-

date lì, o giovani, col pensiero, perché lì è

nata la nostra Costituzione».

COSTITUZIONE E RESISTENZA

Donne partigiane per le strade di Milano.

Publifoto

La folla inneggia alla liberazione

e condanna la monarchia

Vincenzo Conte 12 LEZIONI DI CITTADINANZA E COSTITUZIONE - 1 © Zanichelli 2011

Scheda elettorale del referendum istitu-

zionale del 2 giugno 1946

LA STRUTTURA DELLA COSTITUZIONE

L’attuale struttura dello Stato italiano trova il suo fondamento nella Carta Costituzionale

entrata in vigore il 1° gennaio del 1948.

La Costituzione si apre con i princìpi fondamentali, che danno i lineamenti essenziali dello

Stato e rappresentano il fondamento ideologico dell’ordinamento statale. Segue la prima

parte, dedicata ai diritti e doveri dei cittadini, suddivisa in quattro titoli (rapporti civili, etico-

sociali, economici, politici). La seconda parte è dedicata all’ordinamento della Repubblica,

ed è suddivisa in sei titoli: Parlamento, Presidente della Repubblica, Governo, magistratura,

decentramento territoriale, garanzie costituzionali. Il testo si conclude con le disposizioni

transitorie e fi nali, che stabiliscono, tra l’altro, il divieto di ricostituzione del partito fascista, e il

divieto di ingresso in Italia per gli appartenenti di sesso maschile alla Casa Savoia (disposizione

recentemente abrogata).

Prova a chiedere a qualche persona anziana che cosa ricorda dei fatti che diedero l’avvio alla

Repubblica e alla Costituzione.

PRINCìPI FONDAMENTALI

1 – 12

PARTE PRIMA

TITOLO I Rapporti civili 13 - 28

TITOLO II Rapporti etico-sociali 29 - 34

TITOLO III Rapporti economici 35 - 47

TITOLO IV Rapporti politici 48 - 54

PARTE SECONDA Ordinamento della Repubblica:

TITOLO I

Il Parlamento:

Sezione I - Le Camere 55 - 69

Sezione II - La formazione delle leggi 70 - 82

TITOLO II Il Presidente della Repubblica 83 - 91

TITOLO III

Il Governo:

Sezione I - Il Consiglio dei ministri 92 – 96

Sezione II - La Pubblica Amministrazione 97 – 98

Sezione III - Gli organi ausiliari 99 - 100

TITOLO IV

La Magistratura:

Sezione I - Ordinamento giurisdizionale 101 - 110

Sezione II - Norme sulla giurisdizione 111 – 113

TITOLO V Le Regioni - Le Province - I Comuni 114 - 133

TITOLO VI

Garanzie costituzionali:

Sezione I - La Corte Costituzionale 134 - 137Sezione II - Revisione della Costituzione - Leggi costituzionali

138 - 139

DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI I - XVIII

Fara

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to, M

ilan

o

11

Lo Stato italiano neldisegno della Costituzione

2

3

S u 556 deputati, 21 furono le donne

elette: nove democristiane, nove

comuniste, due socialiste e una della

lista «Uomo qualunque». Cinque di loro

entrarono nella «commissione dei 75»

incaricata di scrivere la Carta Costitu-

zionale: le cattoliche Maria Federici e

Angela Gotelli, la socialista Lina Merlin

e le comuniste Teresa Noce e Nilde Iotti.

Nell’Assemblea le donne riuscirono a

realizzare una collaborazione trasversale

e moderna, per l’aff ermazione dei

princìpi di parità, contribuendo a scrivere

un testo ispirato all’uguaglianza di tutti i

cittadini «senza distinzione di sesso, di

razza, di religione, di opinioni politiche e

di condizioni personali e sociali» (art. 3). Fu

grazie a loro se lo stesso articolo 3, oltre a

dichiarare tutti i cittadini giuridicamente

uguali, stabilisce anche che la Repubblica

deve agire per rimuovere gli ostacoli che

a quell’uguaglianza si frappongono.

Sempre a loro va riconosciuto il merito

di aver contribuito a rinnovare la

struttura patriarcale della famiglia, con

il riconoscimento di pari doveri e pari

diritti ai coniugi, primo fra tutti quello di

educare i fi gli.

L’APPORTO DELLE DONNE NELLA REDAZIONE DELLA COSTITUZIONE

Vincenzo Conte 12 LEZIONI DI CITTADINANZA E COSTITUZIONE - 1 © Zanichelli 2011

I princìpi ispiratori della Costituzione

1

4

L a rappresentanza può essere attuata

mediante una oppure due assem-

blee o camere, e cioè col sistema unica-

merale o col sistema bicamerale. La loro

composizione, allo scopo di costituire

una rappresentanza fedele dei sentimenti

e degli interessi del Paese, è determinata

normalmente dalla elezione ed eccezio-

nalmente da criteri diversi (nomina).

LA RAPPRESENTANZA IL PRINCÌPIO DEMOCRATICO E LAVORISTA

Art. 1. L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Il primo articolo della Costituzione caratterizza la forma dello Stato italiano (repubblica) e

il metodo di governo (democrazia); stabilisce inoltre che l’origine del potere appartiene al

popolo. L’Italia non è però una democrazia diretta (ma diffi cilmente può esserlo una nazione

di oltre 50 milioni di persone), bensì rappresentativa: la sovranità viene esercitata nelle forme

e nei limiti della Costituzione.

Non ci sarebbe democrazia senza istituzioni rappresentative, in cui la sovranità popolare, da

aff ermazione teorica diventa princìpio concreto e ispiratore di un sistema bilanciato di poteri.

Democrazia diretta e rappresentativaSolo nelle piccole comunità è possibile che le leggi vengano fatte dall’intero popolo (democrazia

diretta); negli Stati moderni si è aff ermato il princìpio della democrazia rappresentativa (il popolo

elegge dei rappresentanti, i quali in nome del popolo fanno le leggi).

Una forma di democrazia diretta era quella ateniese dell’epoca di Pericle (V sec. a.C.). Ma si

ricordi che nell’Atene ai tempi di Pericle vigeva però la schiavitù: alcuni, e cioè gli uomini

liberi, pensavano allo Stato e alla politica; la maggioranza non godeva invece di diritti civili

ed era costretta a lavorare. Il termine e il concetto di democrazia nacquero in Grecia, anzi

proprio in Atene, verso la fi ne del VI sec. a.C. con la costituzione di Clistene. Lo Stato nel

regìme democratico non rappresenta più un’entità che domina dall’alto gli uomini, ma una

forma di organizzazione che i cittadini creano con il loro consenso e nel loro interesse, in

modo che l’obbedienza a questa volontà generale nasca dal basso.

Per Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) la democrazia doveva superare la contrapposizione

fra la maggioranza governata e la minoranza governante, attraverso un programma di

autogoverno, che richiedeva la partecipazione diretta e consapevole di ciascuno e rendeva

così la legge «espressione della volontà generale», senza alcuna forma di delega o di mandato

ai deputati, «che non sono né possono essere i rappresentanti del popolo, ma soltanto i suoi

commissari». Questo ideale di democrazia diretta non trovò però conferma sul piano

della verifi ca storica (salvo qualche limitatissimo esempio nelle piccole comunità

dei cantoni elvetici); l’estendersi dei sistemi politici moderni sopra spazi geografi ci

sempre più ampi rendeva infatti possibile solo la democrazia rappresentativa.

Dalla fi ne del XVIII secolo la concezione del «potere del popolo» non si identifi cò

dunque nel princìpio dell’autogoverno, secondo una formula cara ai giacobini,

eredi di Rousseau, ma servì a indicare l’eff ettivo «princìpio di legittimità» dei

governanti, che trovano nella libera volontà di chi li sceglie la «fonte politica» della

loro potestà governativa. Ciò venne aff ermato fi n dal 1776 nella «Carta dei diritti» (bill of rights) della Virginia, che infl uenzò la successiva carta costituzionale degli Stati

Uniti d’America del 1787, là dove sottolinea che «tutto il potere è nel popolo, e

in conseguenza da esso derivato... Ogni potere di sospendere le leggi, o la loro

esecuzione, da parte di qualsiasi autorità, senza il consenso dei rappresentanti

popolari, è lesivo dei diritti del popolo, e non dev’essere esercitato».

Premessa alla costituzione

americana

Ritratto di Abraham Lincoln

16º Presidente degli Stati uniti

d’America, considerato uno dei più

importanti in quanto pose fi ne alla

schiavitù.

Busto di Pericle. British Museum,

Londra

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4I princìpi ispiratori della Costituzione

LA SOLIDARIETÀ NELLA COSTITUZIONE

L a nostra Costituzione proprio nell’ar-

ticolo che riconosce i diritti inviolabili

dell’uomo, aff erma che essi devono essere

strettamente congiunti con «l’adempi-

mento dei doveri inderogabili di solida-

rietà politica, economica e sociale». Que-

sto articolo ha una storia legata anche al

nome di Giuseppe Dossetti (1913-1996),

che, tra i padri della Costituzione, anche in

tempi recenti ha levato ancora la sua voce

autorevole per sostenere quella Carta che

fonda i nostri diritti e doveri di italiani. Nei

lavori preparatori c’era stato un intervento

di Dossetti, che tendeva a porre in luce

«la precedenza sostanziale della persona

umana (intesa nella completezza dei suoi

valori e dei suoi bisogni non solo materiali

ma anche spirituali) rispetto allo Stato; la

necessaria socialità di tutte le persone,

le quali sono destinate a completarsi e a

perfezionarsi a vicenda mediante una reci-

proca solidarietà economica e spirituale».

I parlamentari di contrapposte posizioni

politiche accettarono la solidarietà, in

questo quadro di princìpi alla base della

vita sociale italiana, come un valore fonda-

mentale dell’uomo.

DIRITTI DELL’UOMO E SOLIDARIETÀ

Art. 2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle

formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili

di solidarietà politica, economica e sociale.

Evidenti appaiono le connessioni fra il princìpio democratico e gli altri princìpi fondamentali

rivolti alla tutela della persona. La tutela delle libertà civili e le condizioni che assicurino

un’eff ettiva partecipazione dei cittadini alla vita politica del Paese costituiscono la condizione

stessa del funzionamento eff ettivo della democrazia.

La Costituzione integra il princìpio personalista con quello pluralista.

La personalità dell’uomo e i suoi diritti inviolabili, si svolgono «nelle formazioni sociali». Viene

pertanto tutelato non soltanto il diritto degli individui di promuovere «formazioni sociali»

volte ad un pluralismo di fi ni che è limitato soltanto (art.18 Cost.) dal divieto di proporsi quei

fi ni che sono vietati ai singoli dalla legge penale. Le stesse formazioni sociali risultano pertanto

essere titolari di diritti che sono in via di princìpio del tutto assimilabili ai diritti della persona.

Non si deve quindi ritenere un vincolo alla libertà personale l’esistenza in Italia di numerosi

gruppi sociali organizzati, anzi si deve vedere in queste forme di associazione una garanzia

delle libertà democratiche.

Doveri inderogabili La Costituzione prevede una serie di comportamenti ed obblighi specifi ci di rilevanza sociale

che i cittadini sono chiamati ad osservare e rispettare.

Elenco aperto e chiuso dei diritti inviolabiliLa Costituzione non si limita a riconoscere i diritti inviolabili dell’uomo in maniera astratta,

ma impone allo Stato di impegnarsi a rimuovere gli ostacoli che ne impediscono l’esercizio.

A seconda dell’interpretazione di tale disposizione, in dottrina si sono delineate due teorie:

1. teoria del catalogo aperto dei diritti (criterio estensivo); nella formula dell’articolo 2

vengono riconosciuti come diritti tutelati tutti quegli interessi che l’evoluzione della coscienza

sociale e delle convenzioni internazionali porta ad accreditare;

2. teoria del catalogo chiuso dei diritti (criterio restrittivo); nella formula dell’articolo 2

vengono riconosciuti come diritti tutelati soltanto i diritti espressamente citati negli articoli

successivi del testo costituzionale.

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I princìpi ispiratori della Costituzione

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4IL PRINCÌPIO DI UGUAGLIANZA

Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione

di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di

fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana

e l’eff ettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del

Paese.

L’articolo 3 della Costituzione enuncia il princìpio di uguaglianza.

Nel primo comma esprime il princìpio di uguaglianza formale, nel secondo comma quello di

uguaglianza sostanziale.

Uguaglianza in senso formale: il legislatore non può operare discriminazioni tra i

cittadini; questo non vuol dire che tutti devono essere trattati allo stesso modo: la legge deve

trattare in maniera uguale situazioni uguali ed in modo diverso situazioni diverse. Il princìpio

di uguaglianza formale richiede leggi più astratte e generali possibili.

Uguaglianza in senso sostanziale: questa previsione, volta ad evitare che il princìpio

di eguaglianza rimanga una pura aff ermazione teorica, impone al legislatore ed agli altri

pubblici poteri di porre in essere tutte le misure idonee a conseguire i fi ni indicati. Il princìpio

di uguaglianza sostanziale esige leggi che risolvano singole situazioni di svantaggio.

I due princìpi si limitano e si completano a vicenda.

Il princìpio di uguaglianza è strettamente connesso a quello di democrazia e di libertà, i quali

a loro volta si fondano su quello di partecipazione.

È l’ideale che dà ad ogni uomo, indipen-

dentemente dalla sua posizione socia-

le e dalla sua provenienza, la possibilità di

essere considerato alla pari di tutti gli altri

uomini in ogni contesto. Si tratta di un ide-

ale presente in tutti i Paesi civilizzati per il

quale gli uomini si sono battuti moltissi-

mo in passato.

L’uguaglianza sociale è un obiettivo poli-

tico soprattutto dei partiti socialisti e so-

cialdemocratici. Essa diff erisce dall’egua-

litarismo di matrice comunista perché

mentre questo pone l’uguaglianza ed il

livellamento degli uomini come un punto

di arrivo, l’uguaglianza costituisce invece

per i socialisti il punto di partenza per una

società più giusta, dove tutti gli uomini

possano avere le stesse possibilità per cre-

arsi un avvenire.

L’UGUAGLIANZA SOCIALE

Il Quarto Stato, dipinto di Giuseppe Pelliz-

za da Volpedo, 1901, Civica Galleria d’Arte

Moderna, Milano

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I princìpi ispiratori della Costituzione 4

IL FENOMENO DEL MOBBING

Manifestazione di protesta contro i

licenziamenti a Milano negli anni ’50.

Archivio dell’Unità, Roma

I l mobbing è una forma di violenza

morale o psichica attuata dal datore di

lavoro o da altri dipendenti, nei confronti

di un lavoratore. Esso è caratterizzato da

una serie di atti e comportamenti, diversi

e ripetuti nel tempo in modo sistematico

ed abituale, aventi connotazioni aggres-

sive, denigratorie, tali da comportare un

degrado delle condizioni di lavoro e ido-

nei a compromettere la salute o la dignità

del lavoratore nell’ambito dell’uffi cio di

appartenenza. In certi casi tali comporta-

menti hanno il fi ne di escludere il lavora-

tore dal posto di lavoro.

In una recente pubblicazione l’OMS ha in-

dicato la prevalenza delle molestie morali

sui luoghi di lavoro nel 2000 in Europa pari

al 10%. In altre parole una persona su dieci

sarebbe vittima di azioni potenzialmente

mobbizzanti.

Tra i settori lavorativi più interessati dal

problema vi sarebbero la pubblica ammi-

nistrazione e quindi anche la scuola.

4IL PRINCÌPIO LAVORISTA

Art. 4. La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che

rendano eff ettivo questo diritto.

Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività

o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Il lavoro è un diritto/dovere per la Costituzione. L’articolo 4 riconosce a tutti i cittadini il diritto

al lavoro e promuove le condizioni che rendano eff ettivo questo diritto.

Lo stesso articolo precisa però che ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie

possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o

spirituale della società. Insomma nessuno dovrebbe stare con le mani in mano.

L’articolo 4 va letto in stretto collegamento con gli articoli 1 e 3; non avrebbe senso parlare

di una repubblica fondata sul lavoro se molte persone (sicuramente troppe e soprattutto

tra i giovani) sono disoccupate. Inoltre come vi potrebbe essere uguaglianza sostanziale

se il cittadino non è messo in grado di avere un lavoro e quindi un reddito per vivere

dignitosamente? Dare a tutti la possibilità di lavorare è un obbligo morale di fondamentale

importanza non solo per i governanti, ma anche per gli imprenditori.

A fronte di questo diritto e all’impegno, costituzionalmente previsto, dello Stato, di rendere

eff ettivamente praticabile l’attività lavorativa, vi è il dovere al lavoro. Chi ha la capacità e la

possibilità realistica di lavorare è obbligato moralmente a farlo. La società non ha bisogno

di oziosi anche se il tempo libero, il gioco, hanno nella vita di ognuno e nell’organizzazione

sociale un’importanza di grande rilievo.

Il fatto che la Costituzione fondi la Repubblica italiana sul lavoro (art. 1) o riconosca il lavoro

come un diritto fondamentale (art. 4) non basta a fondare «situazioni giuridiche soggettive»,

cioè pretese che un giudice può soddisfare direttamente. Esse sono aff ermazioni di signifi cato

essenzialmente politico; è poi il legislatore a dare sostanza a questi princìpi. Ciò non vuol dire

che esse siano disposizioni inutili sotto il profi lo giuridico: siccome esse prescrivono obiettivi al

legislatore, i giudici, per lo meno, possono impugnare le leggi che vanno in direzione opposta

a quella indicata dalla Costituzione, che ostacolano, anziché favorire, il raggiungimento di

detti obiettivi.

Il dibattito sul princìpio lavoristaLa defi nizione della Repubblica come «fondata sul lavoro» è stata oggetto di contrapposte

interpretazioni. È evidente che lo svolgimento di un’attività lavorativa non appare condizione

per il godimento dei diritti della persona: sia che si tratti di quelli di libertà individuale, sia che

si tratti di quelli relativi alla sfera politica.

Il princìpio lavorista appare, invece, essere un diritto spettante agli individui nella sfera

economico-sociale, ad ottenere un attivo intervento da parte dello Stato perché siano

realizzate tutte le possibili opportunità di lavoro per i cittadini.

Da questo punto di vista si pone il problema di quali possano essere gli strumenti attraverso

i quali lo Stato rende eff ettivo tale diritto.

Gli articoli 41 e 43 della Costituzione prevedono, a questo proposito, anche la possibilità di

forme di intervento diretto dello Stato nella sfera economica.

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4I princìpi ispiratori della Costituzione

IL PRINCÌPIO AUTONOMISTA E LA SUSSIDIARIETÀ

Art. 5. La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi

che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i princìpi ed i

metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.

L’autonomia e il decentramentoPer quanto riguarda la ripartizione territoriale del potere e delle funzioni, l’Italia è uno Stato

autonomista e decentrato. Si ha autonomia quando lo Stato centrale delega una parte

della sua sovranità agli enti territoriali ai quali viene riconosciuto non una semplice potestà

amministrativa ma un vero e proprio potere legislativo e regolamentare, sia pure in ambito

ristretto per territorio e per competenza di materie da trattare.

L’Italia è uno Stato autonomista e prevede l’esistenza di enti territoriali:

1. le Regioni con funzioni proprie e con propri poteri legislativi, sia pure ristretti per ambito di

materie da trattare e per effi cacia nello spazio;

2. Le Province, le Città Metropolitane e i Comuni con potestà regolamentare.

L’Italia, come Stato decentrato, porta su tutto il territorio nazionale i suoi uffi ci per adempiere

le sue funzioni capillarmente (si hanno così le prefetture, i provveditorati agli studi, le

questure, i dipartimenti territoriali delle fi nanze con gli uffi ci provinciali IVA e distrettuali del

registro e delle imposte dirette, gli uffi ci del genio civile, gli uffi ci provinciali INPS e distrettuali

INAIL, i distretti militari, le ambasciate e i consolati all’estero, ecc.) e delega alcune sue funzioni

amministrative agli enti autonomi sopra visti.

Il princìpio di sussidiarietà

Consiste nel fare svolgere all’ente gerarchicamente inferiore tutte le funzioni e i compiti di

cui esso è capace, lasciando all’ente sovraordinato la possibilità di intervenire per surrogarne

l’attività, laddove le risorse e le capacità dell’ente sottordinato non consentano di raggiungere

pienamente la soddisfazione di un interesse o l’eff ettuazione di un servizio. È il caso del

rapporto che può intercorrere tra comuni, province, regioni e Stato nazionale ad esempio in

un ordinamento federale.

Sul piano giuridico il princìpio di sussidiarietà contiene un duplice signifi cato:

a. sussidiarietà orizzontale. Indica un metodo che ordina i rapporti tra Stato, formazioni

sociali, individui. Il cittadino, sia come singolo che attraverso i corpi intermedi, deve avere la

possibilità di cooperare con le istituzioni nel defi nire gli interventi che incidano sulle realtà

sociali a lui più prossime. In questo signifi cato si contrappone all’idea di una «cittadinanza di

mera partecipazione» e promuove invece «una cittadinanza di azione» in cui è valorizzata la

creatività dei singoli e delle formazioni sociali;

b. sussidiarietà verticale. Identifi ca un criterio di distribuzione delle competenze tra Stato

e autonomie locali. In quest’ultimo senso si lega a una prospettiva federalistica in un’ottica

per cui la rottura di un potere centralizzato è vista come essenziale all’aff ermazione di una

democrazia che individua nella «prossimità» dei governanti ai governati un bene primario. La

ripartizione gerarchica delle competenze deve essere spostata verso gli enti più prossimi al

cittadino e, pertanto, più vicini ai bisogni del territorio.

L a Costituzione aff erma la tutela con

apposite norme delle minoranze lin-

guistiche (art. 6).

Oltre alla lingua uffi ciale in Italia si parla-

no: in Alto Adige anche il tedesco, in Valle

d’Aosta il francese, nelle province di Trieste

e Gorizia lo sloveno.

In tali regioni vige il bilinguismo, cioè oltre

alla lingua italiana nei documenti pubblici

si utilizza anche la seconda lingua.

Così chi frequenta la scuola può scegliere

di seguire i corsi di studio in una delle due

lingue uffi ciali.

LE MINORANZE LINGUISTICHE

Gli stendardi di alcuni Comuni. Dall’alto

in basso e da sinistra a destra: Gorizia,

Merano, Monfalcone, Bressanone

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Vincenzo Conte 12 LEZIONI DI CITTADINANZA E COSTITUZIONE - 1 © Zanichelli 2011

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4I princìpi ispiratori della Costituzione

IL PRINCÌPIO CONCORDATARIO

Art. 7. Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.

I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modifi cazioni dei Patti, accettate dalle due

parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.

Vi è quindi un rapporto privilegiato con la Chiesa cattolica data la tradizione religiosa del

nostro Paese.

Art. 8. Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni

religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non

contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.

I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.

Libera Chiesa in libero Stato: l’accordo fra Stato e ChiesaLa religione è una forza sociale, di fronte alla quale lo Stato non può e non deve restare

indiff erente.

Esso può cercare di provvedere direttamente alla sod disfazione dei bisogni religiosi, come

accadeva nell’Impero romano (ove l’imperatore era anche pontefi ce massimo) e come accade

tuttora in alcuni Stati protestanti, ove il Capo dello Stato è anche Capo della Chiesa nazionale.

Ma molte volte lo Stato non si arroga tale compito ed assume al riguardo atteggiamenti

diversi.

Nelle epoche meno recenti si sono avute forme di rela zioni fra Stato e Chiesa oggi ormai

superate come il sistema teocratico (sottoposizione dello Stato alla Chiesa) ed il si stema

giurisdizionalista (assoggettamento della Chiesa a controlli statali e concessione ad essa di

particolari privilegi).

Le forme più comuni di relazioni fra Stato e Chiesa sono oggi:

1. quella del separatismo, per cui lo Stato considera la Chiesa come un’organizzazione che

opera nel suo terri torio e l’assoggetta alla sua autorità sovrana;

2. quella del coordinamento, per cui lo Stato riconosce che la Chiesa ha una missione da

compiere e che, nel campo suo proprio, ha un’autorità diretta ed esclusiva.

Il sistema del coordinamento sfocia, nelle relazioni fra gli Stati e la Chiesa cattolica, nel

concordatarismo giacché Stato e Chiesa regolano i loro reciproci rapporti mediante un

trattato internazionale denominato concordato.

I PATTI LATERANENSI

I L’11 febbraio 1929 Benito Mussolini

e il cardinale Pietro Gasparri fi rma-

no i Patti (detti «lateranensi» dal Palazzo

del Laterano dove furono sottoscritti) fra

Stato e Chiesa articolati in un trattato, in

una convenzione fi nanziaria e in un con-

cordato. Con il trattato si riconosceva alla

Santa Sede la proprietà sovrana sul Vatica-

no e la Chiesa riconosceva uffi cialmente il

Regno d’Italia con capitale Roma. Con la

convenzione fi nanziaria si versava alla San-

ta Sede un indennizzo per l’occupazione

di Roma avvenuta nel 1870. Con il con-

cordato, rimasto in vigore fi no al 1984, si

garantiva la più assoluta libertà alla Chiesa

nell’esercizio delle sue funzioni religiose e

spirituali, si riconoscevano al sacramento

del matrimonio, disciplinato dal diritto

canonico, gli eff etti civili e si introduceva

l’insegnamento della dottrina cattolica

nell’insegnamento scolastico.

Il 18 febbraio 1984 l’allora Presidente del

Consiglio Bettino Craxi e il cardinale

Agostino Casaroli fi rmano un nuovo

concordato, col quale, fra l’altro, la Re-

pubblica italiana continuava ad assicurare

l’insegnamento della religione cattolica

nelle scuole pubbliche, ma garantiva a

ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi

o meno di detto insegnamento.

18 febbraio 1984: l’accordo di Villa

Madama. Il cardinale Agostino Casaroli e

il Presidente del Consiglio Bettino Craxi fi r-

mano a Villa Madama il nuovo Concordato

con la Santa Sede

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I diritti fondamentali dell’uomo nella Costituzione italiana: il diritto di libertà

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Che cosa sonoI diritti di libertà sono diritti soggettivi pubblici che consistono essenzialmente nella facoltà

di disporre liberamente del bene loro oggetto e nella pretesa a che i pubblici poteri (ed i terzi

in genere) non intervengano illegittimamente a turbare la sfera di libertà da essi riconosciuta

al titolare.

Chi sono i titolariLa titolarità compete a tutti, indipendentemente dalla cittadinanza. Se la Costituzione espli-

citamente ne restringe la validità ai soli cittadini, ciò non vieta al legislatore ordinario di

estenderla agli stranieri. Compete anche alle formazioni sociali ed ai soggetti astratti di diritto

(persone giuridiche ed enti).

I diritti di libertà costituiscono inoltre la premessa logica di tutte le altre categorie di diritti

soggettivi pubblici: i diritti civici e politici sono addirittura concepibili come estensione e

completamento dei diritti di libertà. Vediamo adesso quali sono i diritti di libertà.

1. LIBERTÀ PERSONALE

È intesa come la facoltà di disporre liberamente della propria persona fi sica di cui è titolare

ogni persona umana in quanto tale. Essa si distingue dagli altri diritti di libertà che senza

di essa non potrebbero attuarsi (mentre la privazione di questi ultimi non pregiudica

conseguentemente la libertà personale). Per questo l’articolo 13 della Costituzione dice che

«la libertà personale è inviolabile».

La libertà personale trova come limiti quelli disposti dall’articolo 13 in base ad un

provvedimento dell’autorità giudiziaria nei casi e nei modi stabiliti dalla legge.

L’arresto può essere eff ettuato dall’autorità di pubblica sicurezza solo in caso di fragranza

di reato (obbligatorio quando i reati comportino obbligatoriamente emissione di mandato

di cattura), oppure in casi eccezionali e specifi ci. In tal caso il provvedimento restrittivo della

libertà deve essere comunicato entro 48 ore all’autorità giudiziaria cui spetta il potere di

convalidarlo, pena l’ineffi cacia.

Analogamente il fermo di polizia è consentito anche senza fl agranza nei confronti di persone

gravemente indiziate per reati per i quali vi sia obbligo di mandato di cattura e pericolo di fuga.

LA LIBERTÀ PERSONALE NEL DIRITTO ANGLOSASSONE

N el diritto anglosassone la libertà

personale è tutelata da un istitu-

to giuridico antichissimo detto habeas

corpus; esso è tuttora vigente nell’ordina-

mento inglese e statunitense a tutela del

cittadino. Consiste nell’ordine emanato

dal giudice all’autorità di polizia di pre-

sentare davanti al giudice entro un ter-

mine perentorio chiunque sia detenuto,

indicando i motivi dell’arresto. Alla base

dell’habeas corpus (= abbi il tuo corpo,

cioè la tua libertà; parole con le quali ini-

zia il testo della legge inglese relativa) sta

il diritto del cittadino di non essere impri-

gionato se il giudice competente non lo

considera colpevole del reato per cui è

I DIRITTI DI LIBERTÀ

Guardia del settore est di Berlino che varca

il confi ne con la zona ovest

Durante una manifestazione contro la

pena di morte negli Usa, un uomo viene

arrestato dalla polizia. Jason Reed, 2007

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5Il divieto di violenza

Vi sono poi limiti riguardo il divieto di ogni violenza fi sica e morale e le modalità del

trattamento durante la privazione della libertà: art. 27 Cost. ( Le pene non possono consistere

in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato).

Gli artt. 30 e 32 Cost., inoltre, prevedono la restrizione della libertà con fi nalità educative

(assegnazione al riformatorio) o sanitarie (ricovero coattivo di alienati ed intossicati in appositi

istituti).

Sempre l’art. 32 Cost. prevede che per determinati trattamenti sanitari è necessaria una

esplicita previsione legislativa, disposto che richiama quello dell’art. 5 del Codice Civile

secondo cui è vietato ogni atto dispositivo del proprio corpo che leda l’integrità fi sica: gli atti

di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente

della integrità fi sica, o quando sono altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon

costume.

2. LIBERTÀ DI DOMICILIO

In ambito costituzionale il termine domicilio va inteso il più ampiamente possibile,

comprendendo il signifi cato civilistico, penalistico e tributario. La sua tutela è prevista

dall’art. 14 Cost. che ne prevede l’inviolabilità tranne nei casi di legittimo ordine dell’autorità

giudiziaria. Solo eccezionalmente per motivi di sanità, incolumità pubblica o economico-

fi scali le ispezioni possono realizzarsi senza tale ordine; inoltre le autorità di polizia possono

procedere a perquisizioni e a sequestri unicamente sulla base di sospetto della presenza di

armi o materie esplosive.

3. LIBERTÀ DI CIRCOLAZIONE E SOGGIORNO E DIRITTI CONNESSI

Questa è riservata ai soli cittadini comunitari. Mai può essere limitata per motivi politici ma

solo per ragioni di sicurezza e sanità riguardanti l’accesso ad un’area delimitata. L’ultimo

comma dell’art. 16 Cost. richiama il diritto di espatrio nel rispetto degli obblighi di legge

(essenzialmente limiti dovuti a ragioni giudiziarie o di prestazione del servizio militare).

Connesso a tali diritti sono il diritto di emigrazione (per motivi di lavoro) e il divieto di

estradizione per reati politici (artt. 10 e 26 Cost.).

4. LIBERTÀ DI CORRISPONDENZA

Secondo l’art. 15 Cost. è inviolabile la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma

di comunicazione, salvo, legittimo atto motivato dell’autorità giudiziaria. Indipendentemente

dal mezzo di trasmissione vi è la pretesa nei confronti dei destinatari e delle altre persone che

ne vengano eventualmente a conoscenza di non divulgarne il contenuto.

5. LIBERTÀ DI RIUNIONE E ASSOCIAZIONE

L’art. 17 Cost. garantisce il diritto di riunirsi liberamente nei luoghi privati, pubblici, aperti

al pubblico.

Luogo pubblico è ogni zona di libero e pubblico transito (strade, piazze, ecc.); luogo

aperto al pubblico ogni luogo passibile di limitazione in ordine all’ingresso da parte di chi

ne ha la disponibilità (chiese, bar, cinema, ecc.). Il raggruppamento di persone deve avere

carattere non stabile né meramente occasionale.

LE SETTE IN ITALIA

G li ultimi dati disponibili elencavano

137 gruppi settari, di cui 76 religio-

si e 61 magici: se ai primi aderivano circa

78.500 membri, ai secondi appartenevano

circa 4.600 soggetti. Le cosiddette psico-

sette raccoglievano invece circa 8.500

adepti, suddivisi in 15 gruppi.

I bambini vittime delle sette

Sono bambini che «non esistono», «vitti-

me dimenticate, ignorate e perfi no nega-

te» dai professionisti della giustizia, della

salute, del sociale. Secondo il rapporto

Miviludes del 2005, in Francia sarebbero

circa 50.000-60.000 i bambini vittime delle

sette.

In diverse zone della nostra Penisola si

sono verifi cati casi di riti satanici. Fino a

qualche anno fa se ne veniva a cono-

scenza grazie ai resoconti fatti per lo più

da adulti pentiti. Oggi si assiste ad un dif-

fondersi di episodi di abusi rituali satanici,

raccontati direttamente da bambini.

Manifestazione a Bologna Foto S. Lumia

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5Tale diritto ha due limiti:

a. deve svolgersi pacifi camente e senz’armi;

b. limitatamente alle riunioni in luogo pubblico è necessario dare preavviso alla locale

autorità di pubblica sicurezza da parte dei promotori.

Secondo l’art. 18 Cost.: i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione,

per fi ni che non sono vietati ai singoli dalla legge penale.

Sono proibite:

1. le associazioni segrete;

2. le associazioni militari o paramilitari aventi fi nalità politiche.

La libertà di associazione è poi raff orzata dalle altre (religiose, sindacali, politiche).

6. LIBERTÀ DI FEDE RELIGIOSA

L’art. 19 Cost. garantisce a tutti (non solo ai cittadini) la libertà di praticare la propria

religione. Comprende la facoltà di professare la propria fede, di esercitarla in forma

individuale e associativa, in privato e in pubblico (libertà di culto), di propagandarla.

La norma garantisce la li bertà di religione sia sotto il profi lo in dividuale che collettivo e, senza

operare alcu na distinzione a carattere confessionale, riconosce a tutti, non ai soli cittadini,

tre diritti: quello di professare la propria fede religiosa; quello di farne propaganda, e in fi ne,

quello di esercitare il culto in privato o in pubblico con l’unico limite della non contrarietà dei

riti al buon co stume.

Ancora, l’art. 20 Cost. protegge tale libertà impedendo limitazioni legislative e gravami

di carattere fi scale. Tutto ciò in combinazione con l’art. 3 Cost. che prevede uguale dignità

sociale di tutti i cittadini. Infi ne ricordiamo gli artt. 7 e 8 Cost. riguardanti i rapporti fra Stato e

Chiesa cattolica e confessioni non cattoliche. Non si tratta di privilegio, ma di una maggiore

considerazione per motivi storico-sociali.

Le norme co stituzionali sulle libertà in tema di religione esprimono l’esigenza di tener conto

dell’esperienza storica del passato, caratterizzata per quanto riguarda il problema religioso da

di scrimina zioni e posizioni di privilegio.

Alla luce di tale esperienza si è av vertito il bisogno di pre vedere una normativa capace di

consentire una pacifi ca convivenza delle organizza zioni so ciali con fi nalità religiosa e un

sistema di ga ranzie conforme alle nuove istanze di libertà.

L’attuale ordinamento costituzionale, dunque, ha escluso ogni possibile discriminazione fra le varie

con fessioni religiose, stabi lendo che sono ugualmente li bere davanti alla legge (art. 8, comma 1).

Anzi, la libertà re ligiosa è garantita dall’ordinamento in modo diretto sia ai singoli, sia ai gruppi

sociali. A ciascuna persona è dunque riconosciuta, quale diritto fondamentale e inviolabile

della coscienza, la più assoluta libertà di aderire a un credo religioso, di dissociarsene per

abbracciarne un altro, oppure di non abbracciarne alcuno.

Papa Giovanni Paolo II

durante una celebrazione all’inizio degli anni ’90

Due ebrei pregano davanti al Muro del Pianto a Gerusalemme

Musulmani in preghiera

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