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Ingegneria Solazzo S.r.l. – Viale Kennedy 4 - 90014 Casteldaccia (PA) – Tel/Fax: 091.941857 – e-mail: [email protected] 1 Viale Kennedy 4 90014 Casteldaccia (PA) www.ingegneriasolazzo.it PONTI E VIADOTTI FERROVIARI 1. Premessa [1] I ponti e i viadotti ferroviari hanno storicamente rappresentato, nei diversi paesi, una delle più importanti occasioni di realizzazione delle cosiddette “grandi opere d’arte”, la cui definizione si riferisce tradizionalmente a ponti di maggiore luce, oltre i 40 m di campata. Con lo stesso termine di opere d’arte si comprendono le gallerie, che pure hanno un ruolo molto importante nella rete ferroviaria della Penisola, come sarà mostrato nel prossimo articolo. I ponti ferroviari sono stati di fatto artefici della moderna scienza delle costruzioni, in particolare grazie al contributo degli studiosi e progettisti anche del nostro Paese, fra cui spicca il nome di Castigliano, autore di famosi teoremi su cui tutt’oggi si fonda questa disciplina e “ingegnere delle ferrovie dell’Alta Italia”, come amò definirsi nel suo celebre trattato sui sistemi elastici pubblicato in lingua francese (1879). Teorico e progettista di insigne fama, che purtroppo scomparve immaturamente (37 anni) mentre era responsabile dell’Ufficio d’ingegneria della Rete Adriatica, a Milano, a causa di una polmonite attribuita dalla cronaca ai gravosi impegni di lavoro. L’eredità di Castigliano, e quanto riportato nel suo manuale pratico per gli ingegneri, dovette essere comunque notevole sulle opere ferroviarie degli inizi del ‘900. Secondo questo Autore, si ammette per esempio di superare in modo sensibile i valori allora utilizzati di norma per le costruzioni civili, quando le murature fossero eseguite con “malta idraulica e mattoni eccellenti”. Egli era infatti convinto che se per le opere ferroviarie era giustificata una maggiore cautela, specie per le azioni notevoli, che potevano aumentare nel tempo, si poteva consentire una maggiore audacia per le murature in pietra da taglio selezionata.

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Viale Kennedy 4 90014 Casteldaccia (PA) www.ingegneriasolazzo.it

PONTI E VIADOTTI FERROVIARI

1. Premessa [1]

I ponti e i viadotti ferroviari hanno storicamente rappresentato, nei diversi paesi, una delle

più importanti occasioni di realizzazione delle cosiddette “grandi opere d’arte”, la cui

definizione si riferisce tradizionalmente a ponti di maggiore luce, oltre i 40 m di campata.

Con lo stesso termine di opere d’arte si comprendono le gallerie, che pure hanno un

ruolo molto importante nella rete ferroviaria della Penisola, come sarà mostrato nel

prossimo articolo.

I ponti ferroviari sono stati di fatto artefici della moderna scienza delle costruzioni, in

particolare grazie al contributo degli studiosi e progettisti anche del nostro Paese, fra cui

spicca il nome di Castigliano, autore di famosi teoremi su cui tutt’oggi si fonda questa

disciplina e “ingegnere delle ferrovie dell’Alta Italia”, come amò definirsi nel suo celebre

trattato sui sistemi elastici pubblicato in lingua francese (1879).

Teorico e progettista di insigne fama, che purtroppo scomparve immaturamente (37 anni)

mentre era responsabile dell’Ufficio d’ingegneria della Rete Adriatica, a Milano, a causa di

una polmonite attribuita dalla cronaca ai gravosi impegni di lavoro.

L’eredità di Castigliano, e quanto riportato nel suo manuale pratico per gli ingegneri,

dovette essere comunque notevole sulle opere ferroviarie degli inizi del ‘900.

Secondo questo Autore, si ammette per esempio di superare in modo sensibile i valori

allora utilizzati di norma per le costruzioni civili, quando le murature fossero eseguite con

“malta idraulica e mattoni eccellenti”.

Egli era infatti convinto che se per le opere ferroviarie era giustificata una maggiore

cautela, specie per le azioni notevoli, che potevano aumentare nel tempo, si poteva

consentire una maggiore audacia per le murature in pietra da taglio selezionata.

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Prima della costituzione delle FS, dalla sede di Bologna della Società per le Strade

Ferrate del Mediterraneo, partirono i progetti più accurati e moderni per le opere d’arte

ferroviarie, mentre la direzione della Rete Adriatica rimase fedele all’assioma che,

ovunque è possibile l’esecuzione di un ponte in muratura o pietra da taglio o mattoni,

“questo sia da preferirsi, in modo assoluto, perché in generale più bello, più duraturo,

esente da spese di manutenzione, e indifferente, specie i maggiori, ad aumenti di

sovraccarichi”.

Per cui notevoli e molto diffuse sono le realizzazioni che tuttora testimoniano questa

tradizione sulla nostra rete, che spesso rappresentano le forme di precedenti costruzioni,

erose dal tempo o distrutte dagli eventi del secondo conflitto.

Anche le prime applicazioni delle costruzioni in calcestruzzo semplice ed armato di una

certa importanza sono state eseguite alle origini del secolo trascorso, dalle stesse società

Adriatica e Mediterranea.

Nel 1908 fu proposto di sperimentare il conglomerato cementizio, che attraeva per la

monoliticità del getto.

Ma il primo esemplare del monolite, pur attuato con ogni cautela, oltre che sfortunato per

essere sommerso da una piena durante il periodo di maturazione, incominciò a fessurarsi

secondo strati quasi orizzontali, e l’arco si dovette demolire.

I nostri tecnici si informarono allora più in dettaglio dei metodi di esecuzione, anche in

base alle esperienze di francesi e tedeschi, per cui i volti dovevano essere eseguiti per

conci di limitato sviluppo.

Così fu fatto nella ricostruzione dell’arco, con le stesse dimensioni del precedente

crollato, e tutto andò bene; per cui il metodo nei dettagli fu consacrato in una circolare, e

non si ebbero più inconvenienti del genere.

L’impiego delle strutture murarie e specialmente di quelle ad arco si andò sempre più

diffondendo nel campo ferroviario, soprattutto nel periodo di gestione statale delle

ferrovie.

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Era naturale che le precedenti Società concessionarie, che sapevano di avere una durata

limitata, avessero preferito strutture di minor costo di impianto e soprattutto avessero

limitato le spese di fondazione.

Queste risultavano spesso superficiali ed esposte alla scarnificazione delle basi durante le

piene maggiori.

Nell’approssimarsi dello scadere delle concessioni, la manutenzione era stata trascurata

e l’esercizio di Stato si trovò di fronte al problema della sistemazione di tutte queste opere

più o meno fatiscenti. Nella sistemazione dominò imperativo il criterio di preferire, ove

possibile, le strutture murarie e soprattutto quelle ad arco, anche se di maggior costo

iniziale, quando questo poteva essere giustificato dalle minori spese di manutenzione

delle strutture murarie.

Nel 1910 fu costruito, ad esempio, sul fiume Cecina, presso l’omonima stazione della

linea Roma – Pisa, un ponte ad archi di conglomerato cementizio, con tre archi centrali di

30 m di luce e due laterali di 20 m di luce ciascuno; le cui fondazioni, con il sistema ad

aria compressa, furono spinte a circa 13 m sotto l’alveo (opera andata distrutta nel

conflitto e poi ricostruita).

In seguito, affinando i criteri di progettazione, e nonostante il crescente valore dei carichi

mobili, si realizzavano opere sempre più snelle; anche tramite l’impiego di una piccola

armatura metallica, per consentire una diminuzione generale degli spessori e perciò un

minor peso sulle fondazioni.

Ciò si è verificato sovente nella ricostruzione di opere disastrate dalla guerra, già

realizzate con strutture metalliche; infatti la difficoltà di reperire l’acciaio e il fatto che le

fondazioni esistenti avevano già subito un processo di assestamento, hanno spinto in tale

periodo all’adozione di strutture debolmente armate o semiarmate (con 25 – 50 kg di ferro

per m3 di arco)

[1] “Storia e tecnica ferroviaria” – CIFI (2007)

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2. I ponti in muratura [2]

I ponti in muratura moderni, e specialmente quelli ferroviari, sono stati costruiti nell’arco di

poco più di 100 anni, approssimativamente dal 1840 al 1930. Nonostante la costruzione

sia collocata in un periodo di tempo piuttosto limitato, questo tipo di ponte si presenta

con alcune soluzioni strutturali comuni, con alcune scelte strutturali di dettaglio e con

particolari esecutivi variabili in funzione dell’epoca di costruzione, dell’area geografica e,

probabilmente, anche del progettista.

Con riferimento alla figura sottostante, le parti che costituiscono un ponte in muratura

sono sinteticamente: l’arcata, che costituisce la struttura che porta il piano percorribile, le

strutture di sostegno delle arcate (spalla, pila), le opere di fondazioni, e gli elementi

apparentemente privi di efficacia strutturale, posti al di sopra dell’arcata per fornire un

piano percorribile piano (rinfranco, cappa e riempimento). Il riempimento è contenuto

lateralmente da due muri (timpani o muri frontali) impostati sulla parte esterna dell’arcata,

figura 1.

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La geometria del ponte è, in genere, condizionata dall’orografia della valle da

attraversare; valli ampie, ed in genere profonde, vengono attraversate da ponti a più

capate su pile alte (viadotti, figura 2), mentre valli ampie poco profonde richiedono ponti a

più campate ma su pile più basse (ponti propriamente detti, figura 3).

Valli minori e piccoli corsi d’acqua vengono di norma attraversate con ponti a singola

campata (ponti a campata singola, figura 4)

Le arcate

La parte principale della struttura è costituita dalle arcate (o volte). Nei ponti vengono

generalmente impiegate arcate a botte, ovvero con intradosso cilindrico ed a pianta retta;

nel mentre i casi di volte con geometria non cilindrica rappresentano esempi molto rari, i

ponti con volta a pianta non retta si presentano in numero piuttosto elevato in quanto

l’asse della linea ferroviaria si trova spesso ad attraversare il corso d’acqua secondo un

tracciato non ortogonale all’asse della valle.

Il profilo dell’intradosso è rappresentato da una superficie cilindrica con generatrice

costituita da un arco di circonferenza nelle arcata con un unico centro ed a raggio

costante. Le arcate policentriche sono superfici cilindriche in cui la generatrice è formata

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da tre o più archi di cerchio definiti da raggi e centri differenti raccordati; questo tipo di

volte, tuttavia, è piuttosto raro nella tipologia dei ponti ad arco in muratura, mentre pare

essere stato di più largo uso per la realizzazione dei ponti ad arco in calcestruzzo.

L’impiego così vasto della circonferenza, in sostituzione di altre forme, per gli archi,

geometriche possibili e strutturalmente più efficienti, come l’ellisse, è probabilmente

dovuto alla semplicità costruttiva nel tracciamento e nell’esecuzione delle centine.

Dall’analisi statistica di cui si riferisce in questo rapporto si è potuto rilevare come gli archi

policentrici siano stati impiegati tipicamente nei ponti ad arco in calcestruzzo con

armatura localizzata.

L’ampiezza della curva individua diverse tipologie distinte dal ribassamento, ovvero dal

rapporto freccia/luce (f/l):

• arco a tutto sesto (semicircolare): 0,4 <f/l< 0,5;

• arco ribassato (circolare, policentrico, molto raramente semiellittico), in cui si

definisce 0,11 < f/l < 0,4;

• arco acuto o ogivale, in cui gli archi di circonferenza non sono raccordati (tipologia

non ritrovata nei ponti ferroviari oggetto di studio, si tratta piuttosto di una tipologia

medievale e tardo medievale tipica del gotico e del neogotico): f/l > 0,5

L’intradosso di una volta può essere raccordato con i paramenti delle pile (archi a tutto

sesto, figura 2) ovvero può formare uno spigolo più o meno evidenziato da dettagli

architettonici (figura 3) che rende evidente la separazione tra arcata e pila. Nel primo

caso, per il calcolo di verifica si assume tipicamente che l’arco strutturale (la struttura

resistente) abbia le reni sollevate di 30° rispetto all’orizzontale (angolo al centro di 120°); è

evidente, quindi, come la classificazione di arco a tutto sesto è relativa alla geometria

esterna dell’arcata, mentre l’arco strutturale è comunque un arco ribassato con rapporto

f/l = 0,29. Questa prassi nel calcolo di verifica è motivata dalle esperienze sui ponti in

muratura giunti a collasso, dei quali si rileva la conservazione di una parte dell’arcata in

adiacenza alla pila, figura 5.

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L’impiego dell’arco a tutto sesto per l’intradosso delle arcate dei viadotti (figura 2) trova

probabilmente ragioni strutturali in fase esecutiva. L’esecuzione del viadotto per

avanzamenti successivi definisce alcune fasi operative in cui l’ultima arcata realizzata

poggia sull’ultima pila completata senza il contrasto delle arcate successive. In questa

condizione, figura 6, l’arco a tutto sesto, nell’eccezione precisata, è la struttura meno

spingente e che, quindi, induce le minime sollecitazioni flessionali nell’ultima pila.

L’arco ogivale è stato impiegato solo se esistono forti carichi concentrati in chiave, mentre

per altre condizioni di carico la sua risposta è peggiore di quella di altri archi ribassati o a

tutto sesto. Si tenga conto, poi, che l’arco ogivale richiede monte molto elevate per

coprire la luce della campata, costringendo ad aumentare il numero di campate per

rispettare le quote del piano del ferro.

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Nei viadotti a più ordini le arcate degli ordini inferiori non sono vere e proprie volte in

quanto hanno larghezza in genere ridotta rispetto alla larghezza della pila su cui vanno ad

innestarsi. Si tratta di strutture alle volte assimilabili ad archi piuttosto larghi, altre volte ad

arcate. La funzione strutturale di queste volte è quella di ridurre gli effetti flessionali sulle

pile di rilevante altezza, figura 7.

Le strutture di sostegno delle arcate: spalle, pile e pile-spalle

Le spalle dei ponti sono, in genere, massicci muri di sostegno in muratura che, oltre ad

assolvere alla funzione di sostegno del terreno, forniscono appoggio alle arcate terminali.

Mentre le volte centrali di un ponte trasmettono azioni prevalentemente verticali, almeno

con riferimento ai pesi propri, l’ultima arcata trasmette alla spalla una rilevante spinta

orizzontale che deve essere sopportata adeguatamente dalla struttura della spalla.

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Per questo motivo le spalle sono in genere più ampie della loro parte visibile, con sezione

trapezia o rettangolare, con sezione rettangolare massiccia o rettangolare con muri

d’irrigidimento nella direzione dell’asse longitudinale del ponte, figura 8.

Nei ponti in cui le spalle presentano uno spessore rilevante, le spalle possono essere

alleggerite mediante la realizzazione di volte interne alla spalla, talvolta visibili dall’esterno

se costituiscono sottopassaggi pedonali.

La realizzazione di spalle traforate, così come di pile cave, è legata all’esigenza di ridurre

l’impiego di materiale.

Talvolta, per una ripartizione uniforme dei carichi può essere realizzato un arco rovescio

al di sotto delle volte interne in modo da non ridurre la sezione della fondazione.

La tessitura delle spalle e delle pile è a corsi orizzontali, modificati solo nella zona

d’imposta per resistere alle elevate spinte trasmesse dall’arcata; per questo l’arcata viene

impostata o su porzioni di muratura con tessitura diversa o, talvolta, su blocchi di pietra

sagomati in modo da distribuire il più possibile le spinte della volta (volte a spessore

contenuto) o su veri e propri gradoni di pietra.

Le pile, dovendo riunire esigenze statiche ed estetiche, vengono realizzate nelle forme più

svariate. Esse hanno sezione orizzontale rettangolare (trapezia solo per i ponti con

sviluppo planimetrico non rettilineo); le pile fondate nei corsi d’acqua possono essere

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provviste di rostri per ridurre la turbolenza sottovento e per deviare il materiale

galleggiante trasportato dalla corrente.

I paramenti delle pile possono essere verticali (ponti) o a scarpa (viadotti), sia

rastremando il solo paramento esterno ovvero, nei casi di maggior impegno, rastremando

entrambe le dimensioni.

L’inclinazione dei lati corti è minore di quella dei lati maggiori; la legge di variazione del

profilo può essere lineare o curvilinea (in particolare logaritmica).

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Le pile – spalle sono presenti nei ponti a più luci ogni n campate e nascono dall’esigenza

di garantire la sopravvivenza almeno parziale del ponte quando dovesse collassare

un’arcata. Specie nei viadotti, il crollo di un’arcata determina l’insorgere di spinte

orizzontali in sommità alle pile, spinte cui la pila non può resistere.

Di conseguenza è possibile un collasso in sequenza di molte pile, che si arresta quando

una delle pile è in grado di equilibrare la spinta orizzontale dell’arcata residue.

Questa pila deve presentare maggiore resistenza mediante un ampliamento delle sue

dimensioni e costituisce quello che viene definito una pila – spalla, figura 9 e 10.

I testi storici di Tecnica delle Costruzioni in muratura riferiscono della pila – spalla anche

come di un modo per poter eseguire il ponte per gruppi di arcate: in questo caso l’ultima

arcata realizzata poggiava su una pila in grado di sostenere la spinta.

Rinfianco, cappa e riempimento

Al di sopra delle arcate, lo spazio necessario a realizzare un piano del ferro orizzontale

viene colmato con due distinti materiali: in prossimità della volta, e con spessore

maggiore al di sopra delle imposte e sulle pile, viene disposto il rinfianco, costituito da

materiale sciolto o conglomerato poverissimo che porta il livello complessivo della

struttura al piano viario, figura 1. Tra rinfianco e riempimento si trova la cappa che assolve

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la funzione d’impermeabilizzare il ponte. In figura 11 sono rappresentati il profilo di un

rinfianco, in figura 12 quello dell’intero ponte.

Il rinfianco è costituito, in genere, da un conglomerato con discrete caratteristiche

meccaniche, inferiori rispetto a quelle della muratura delle arcate, e di peso maggiore

rispetto a quello della volta. Esso assolve due funzioni:

1) zavorrare e, quindi, stabilizzare l’arco, in particolare deviando la spinta delle

imposte verso la direzione verticale (si riducono gli effetti flessionali delle pile);

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2) costituisce un ostacolo alla formazione del meccanismo di collasso dell’arco, ed in

genere è responsabile dell’innalzamento, rispetto alla posizione geometrica, della

posizione delle reni.

Il profilo superiore del rinfianco può essere rettilineo o, più spesso, è formato da

piani inclinati in genere con pendenza di 3/11 (27%) con la funzione di convogliare

l’acqua che s’infiltra nel riempimento verso i pluviali di scarico.

La cappa è formata da uno strato di materiale impermeabile posto a protezione della

muratura e dei rinfianchi; in corrispondenza dei piedritti la cappa crea una canaletta di

raccolta, raccordando con superfici cilindriche le diverse pendenze dei rinfianchi; la

canaletta è riempita con materiale drenante (pietrisco) e da essa si dipartono,

normalmente all’intradosso dell’arco, i pluviali di smaltimento, figura 13.

Essa è costituita da 3 – 4 cm di malta idraulica o cementizia (con molto legante, 350

kg/m3) preparata con sabbia grossa e ricoperta da 1,5 cm di asfalto bituminoso.

Per evitare le infiltrazioni lungo i muri andatori la cappa risale, con spessore ridotto, fino

sotto al cordolo di coronamento.

Nei ponti ferroviari il problema dell’impermeabilizzazione è particolarmente sentito, data lo

scarso impedimento all’acqua che danno la massicciata ed il riempimento.

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Il riempimento è posto al di sopra della cappa ed è contenuto lateralmente dai timpani.

Poiché esso deve essere abbastanza leggero, permeabile all’acqua senza originare

rigonfiamenti o disgregazioni, è in genere costituito da materiale sciolto, nei ponti

ferroviari spesso da ghiaia (smarino delle gallerie) o ballast.

Nei ponti stradali, invece, si riscontrano casi di riempimento eseguito con materiale di

recupero di ogni genere.

Secondo prescrizioni codificate dalla tecnica costruttiva (Albenga, 1953) l’altezza del

riempimento tra la suola della rotaia ed il punto più alto della cappa dovrebbe essere non

inferiore a 40 cm; se l’altezza della costruzione è limitata possono essere sufficienti 30 cm

(linee a scartamento normale e traffico notevole) per lo strato sotto la traversina. In genere

lo spessore del riempimento in chiave è pari allo spessore, in chiave, dell’arcata.

Nei ponti a più arcate il riempimento viene disposto a formare dei piani di raccolta delle

acque disposti secondo diverse falde, come rappresentato in figura 14.

Nei viadotti, specie con pile di rilevante altezza, non è raro trovare il riempimento sostituito

da una serie di voltine di mattoni; non è chiaro se questa tecnica sia dovuta a specifiche

esigenze di cantiere (difficoltà a reperire idoneo materiale di riempimento) ovvero se si

tratti di una tecnica finalizzata a ridurre il carico sull’arcata.

Dall’analisi dei viadotti delle linee del compartimento di Genova, e riportando la situazione

alle modalità esecutive, si deve concludere che questa tecnica sia finalizzata a ridurre le

masse poste in sommità delle pile.

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Timpani

I muri andatori, o timpani, hanno il compito di contenere il riempimento che insiste sulla

volta e sui rinfianchi, ovvero di assorbire le spinte orizzontali delle voltine di

alleggerimento longitudinali. Per evitare un sovraccarico puntuale alle estremità della

volta, costituito dal peso dei timpani, questi sono, in genere, costituiti con murature più

leggere di quelle dell’arcata e del rinfianco.

Spesso, negli alti viadotti, i muri andatori presentano parametri inclinati in prosecuzione

della pendenza dei piedritti: a questo modo la via sovrastante è più stretta degli archi e

delle pile; in questi casi il paramento interno è verticale, a scarpa ovvero con riseghe.

I muri andatori sono quasi sempre sovrastati da un coronamento in pietra da taglio o in

mattoni a coltello, figura 15.

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Viadotti

I viadotti sono opere piuttosto impegnative impiegate per superare ampie vallate: la

specificità dell’opera si traduce spesso in soluzioni piuttosto originali dovute alla

situazione orografica e alle scelte del progettista; ciononostante anche nei viadotti si

riconoscono delle tipologie ricorrenti, probabilmente dovute ad una serie di regole

dell’arte verificate dall’esperienza. Si possono quindi trovare opere con pile altissime e

arcate di luce modesta come il viadotto Lockwood, figura 16, pile molto alte con luci

significative delle arcate tutte uguali, come il viadotto Pesio.

Una tipologia piuttosto rara di ponte a più ordini di arcate è esemplificato dal viadotto di

Wiesen di figura 17, in cui l’ordine superiore di arcate è impostato su un arco di luce

maggiore, la struttura principale del ponte.

Per l’elevata snellezza delle pile, i viadotti presentano spesso un secondo ordine di

arcate, raramente anche un terzo ordine, con luci differenti o anche con luci piuttosto

simili, come nel caso del viadotto Stura sulla linea Fossano – Ceva, figura 7.

Nei viadotti ad un solo ordine di arcate, esse sono sempre semicircolari; la luce è piccola

(tra 10 e 20 m, spesso 15 m), a parte i casi in cui esiste una volta centrale più ampia.

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I viadotti a più ordini si riscontrano per altezza delle pile oltre i 20 – 30 m; le arcate inferiori

sono di importanza minore e quasi sempre ribassate.

Nei viadotti è molto frequente ritrovare le pile – spalle, che assumono la forma di una

lesena pronunciata affiancata da due mezze pile; la lesena può avere una pendenza

maggiore rispetto a quella del paramento esterno della pila ed essere prolungata fino

all’estremità superiore del ponte.

Ponti e viadotti in curva

Un ponte ferroviario di modesta lunghezza su una linea ferroviaria in curva viene

realizzato con impalcato di larghezza maggiore rispetto a quanto strettamente necessario

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in modo da consentire ai binari di realizzare la curvatura su un ponte rettilineo, di più

semplice costruzione rispetto ad un ponte in curva, figura 18.

Tuttavia questo accorgimento non è ammissibile se la lunghezza del ponte è rilevante, ed

in questo caso è necessario realizzare il ponte o il viadotto seguendo il tracciato della

linea, quindi con un profilo interno ed esterno di lunghezza diversa.

In genere le arcate mantengono la pianta rettangolare, mentre la differente lunghezza dei

due lati della struttura viene ottenuta mediante pile trapezoidali: i lati maggiori delle pile

sono paralleli all’asse trasversale dell’arcata che vi si imposta.

Al passaggio del treno la parte convessa delle pile risulta più sollecitata a compressione

(per la presenza di una componente centrifuga nell’azione del convoglio); la pendenza

del paramento sul lato esterno delle pile viene perciò aumentato fino ad 1/8 – 1/5 e, a

volte, conservata anche nei timpani.

In questo specifico tipo di struttura, la scarpata esterna della pila trapezia può non essere

costante, maggiore alla base e via via più ridotta verso la sommità.

[2] “Elementi costitutivi del ponte” – Dott. Ing. Antonio Brencich – Università degli Studi Di

Genova

3. I ponti in cemento armato [3]

Nel dopoguerra rinascono le opere e riprendono i progetti delle strutture in cemento

armato; per queste ultime in particolare si abbandonano i sistemi da prima introdotti

(Hennebique), con l’attenzione di superare gli inconvenienti che l’esperienza aveva

evidenziato, mai dipesi da difetti di calcolo, quanto talvolta da vizi costruttivi; per cui in

presenza di salsedine o di atmosfera inquinata dal fumo delle locomotive, le armature

quasi affioranti in superficie erano attaccate e degradate.

Nel 1948 nasce il viadotto di Recco (linea Genova – La Spezia), simbolo della

ricostruzione: tre binari in curva di raggio m 400 e sei archi parabolici in cemento armato

(c.a.) di luce oltre 42 m.

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Poiché le prime applicazioni del cemento armato non avevano esitato a ricopiare gli

schemi delle strutture metalliche, e gli ingegneri ferroviari avevano fatto largo uso delle

travi continue, specialmente a tre luci con classico rapporto dei 4/5 fra le luci di sponda e

quella centrale, non parve strano proporre una soluzione del genere anche con i nuovi

manufatti.

Sin dal 1908 le travate continue in c.a. avevano avuto estesa applicazione – si osserverà

in seguito – “con certa disinvoltura” dei tecnici ferroviari, subendo le opere cedimenti,

fortunatamente marcati da un ritmo a così lento decoroso, che le stesse opere avrebbero

potuto sostenere in virtù della componente plastica; mentre il Servizio Lavori e Costruzioni

si curava del confronto delle deformazioni teoriche con le prove di carico eseguite, e del

comportamento di ogni tipo di ponte sotto esercizio.

Almeno presso le FS non si trovano invece ponti a trave Gerber, e ciò perché le difficoltà

dell’esecuzione degli appoggi e le eventuali criticità di cedimenti locali si ritengono

superare i vantaggi della loro isostaticità, che pure le renderebbe adatte a sopportare

eventuali assestamenti dei terreni di fondazione.

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I progressi raggiunti dalle tecniche di precompressione hanno fatto sì che, sia pur

adottando alcune norme cautelative, sia ormai molto diffusa negli anni ’70, per le nuove

linee, la costruzione di ponti e di viadotti in cemento armato precompresso.

Ne sono un esempio i numerosi ponti e i lunghi viadotti della direttissima tra Roma e

Firenze.

Le norme precauzionali di cui sopra sono ovviamente in aggiunta agli usuali criteri di

progettazione e di corretta costruzione di questo tipo di strutture.

Ne possiamo così ricordare i principali:

- la tensione massima in tutte le barre ad aderenza migliorata di strutture a diretto

contatto con il terreno non deve superare i 1.600 kg/cm2;

- non devono essere adottate spalle con rilevato passante;

- non devono essere adottate soluzioni con sbalzi o del tipo a trave Gerber;

- in nessuna condizione di esercizio devono presentarsi trazioni nelle strutture in

c.a.p. e ciò per evitare, oltre tutto microfessurazioni che possono rappresentare via

di aggressione e di compressione, per corrosioni chimiche od elettriche;

- le frecce statiche di inflessione relative ai soli sovraccarichi accidentali, considerati

applicati staticamente, devono essere limitati ad un valore che, a seconda della

velocità di progetto della linea, deve essere fissato tra 1/2000 e 1/4000 della luce;

- gli impalcati devono essere isolati elettricamente tra di loro e rispetto alle pile, onde

evitare l’insorgere di correnti vaganti con pericolo di dannose corrosioni delle

armature;

- tutte le armature di ogni singola parte costituente il ponte vanno collegate con un

tondino di acciaio portato all’esterno, in modo da permettere il periodico controllo

di eventuali potenziali elettrici onde decidere l’eventuale adozione di protezioni

attive;

- la soletta superiore degli impalcati deve, in generale, essere monolitica.

- Anche nelle travi a cassone deve essere garantita, mediante appositi passi d’uomo

delle traverse, la facile ispezionabilità di tutte le strutture.

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Appaiono evidenti i motivi che, anche agli effetti della durabilità dell’opera, hanno dettato

le suddette precauzioni. La particolare rigidità richiesta, limitando le frecce ai valori

indicati, si è imposta specie per linee ad alta velocità.

Si tratta di una precauzione adottata per evitare perturbazioni nella marcia dei treni molto

veloci sia per effetto dei raccordi altimetrici sia per il rischio di innesco di oscillazioni di

risonanza.

Per quanto riguarda i sistemi adottati per la precompressione, in un primo momento ci si

era limitati all’uso di barre Diwidag, con ancoraggi a piastra o a campana, che con la loro

notevole sezione e con tesature unitarie ridotte, davano maggiore affidamento riguardo le

corrosioni elettrolitiche.

Successivamente, visti gli ottimi risultati conseguiti con gli accorgimenti di isolamento

elettrico adottati, si è fatto largo impiego di acciai in trecce e trefoli che consentono più

elevate tesature.

Le strutture adottate per l’impalcato possono attualmente dividersi nei seguenti gruppi:

- travi isolate, collegate da una soletta superiore a due traversi;

- travi monocassone;

- travi a cassone, preferibilmente uno per ogni binario;

- travi a cassoncini.

Il secondo ed il terzo tipo sono stati quelli più usati, in genere realizzati con

prefabbricazione delle travi e loro successivo varo.

Nel caso di strutture molto ripetitive, sulla Roma – Firenze, si sono adoperate attrezzature

di varo con centina reticolare auto varante o con carro ponte di varo semovente che

hanno reso particolarmente celere e sicura l’operazione di varo.

Non sono peraltro mancate situazioni in cui si è presentato come preferibile il sistema del

getto in opera, in genere per campate singole che si trovino in particolari posizione.

Si è detto che, per semplicità di costruzione e di esercizio, nelle linee a doppio binario si

considera preferibile una struttura con un cassone per binario. I due cassoni paralleli

vengono peraltro resi solidali con traversi pure loro compressi. Un tale collegamento fa sì

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che si riducano le sollecitazioni a fatica in quanto i due cassoni collaborano tra di loro in

quelle che sono le più frequenti situazioni di carico: nel transito, cioè, di un sol treno

sull’uno o sull’altro dei binari del ponte o della stessa campata di un viadotto.

Ciò ha consentito il passaggio della campata normale dai 25-30 m dei ponti in c.a. ai 30-

40 o anche 50 m di quelli in c.a.p. Ne sono esempio le travate centrali di attraversamento,

appunto di 50 m, di due ponti sul Tevere della direttissima Roma – Firenze.

[3] “Storia e tecnica ferroviaria” – CIFI (2007)

4. I ponti metallici [4]

Premesse introduttive

Prima di addentrarci nel tema vogliamo premettere cosa si vuole intendere per “ponte in

acciaio”.

Diremo anzitutto che il ponte interamente in acciaio in realtà non esiste, perché,

contrariamente a quanto consentono altri sistemi costruttivi, come le costruzioni in

muratura, le costruzioni in cemento armato, ed anche quelle in legno, alcune parti

essenziali del ponte in acciaio sono in genere realizzate con materiali e tecniche diverse

da quelle della carpenteria metallica.

Così ad esempio tutte le opere fondazionali e quelle in elevazione (pile, torri, ecc.)

vengono solitamente realizzate con cemento armato, mentre altre parti strutturali, come le

travi principali e quelle secondarie degli impalcati possono essere convenientemente

realizzate con strutture in acciaio.

In genere, al crescere delle luci, la convenienza di impiego delle strutture metalliche nei

ponti è caratterizzata da un aumento crescente della percentuale di elementi strutturali

metallici, rispetto a quella degli altri materiali che concorrono a formare l’intera struttura, e

da una corrispondente riduzione percentuale di questi ultimi.

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Così nel campo dei ponti di piccola e media luce (20 ÷ 100 m) la presenza dell’acciaio è

in genere limitata alle sole travi principali dell’impalcato ed ai suoi collegamenti

trasversali, mentre nel campo delle luci maggiori già l’intero impalcato può essere

convenientemente realizzato in acciaio (travate autoportanti in lamiera irrigidita), e,

passando alle cosiddette grandi luci, intendendo per tali quelle non inferiori ai 300 m,

l’acciaio, ritrova la sua convenienza di impiego nella quasi totalità delle sovrastrutture.

Consideriamo quindi "ponti in acciaio" quelli nei quali l'acciaio viene usato in modo

razionale e conveniente nei termini sopra – citati.

Nell'ultimo trentennio, ed in particolare negli ultimi 15 anni, il ponte in acciaio ha subito un

notevolissimo processo evolutivo, dovuto principalmente ai progressi della Siderurgia ed

a quelli della Scienza delle Costruzioni e delle Tecniche esecutive, ma soprattutto perchè

la costruzione metallica ha ripreso i criteri della costruzione leggera, criteri che venivano

già da qualche decennio applicati in larga misura in altri sistemi costruttivi, in particolare

nelle grandi strutture in cemento armato.

Ho detto riprendere perchè oltre un secolo fa, ossia dal 1850, i suddetti criteri vediamo

già adottati nella travata continua del ponte Britannia sullo stretto di Menai, in ferro

pudellato, con sezione a cassone e con due correnti a struttura cellulare. (Tav.1)

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La ripresa di quei criteri costruttivi, veramente connaturati con la costruzione metallica, ha

peraltro innescato uno straordinario processo semplificativo sia nell'architettura e anche

negli schemi statici e nei procedimenti esecutivi.

La conseguenza pratica di ciò è stata quella di un continuo spostamento verso luci più

grandi di quegli schemi strutturali una volta validi per luci minori.

Negli ultimi decenni, inoltre, sono stati fatti notevoli progressi nella costruzione del ponte

metallico in relazione all'adozione di acciai speciali ad alta resistenza, ossia con elevati

valori del carico di snervamento e di quello di rottura in rapporto al loro costo.

Le caratteristiche finora ricordate: carico ed allungamento di rottura e limite di

snervamento, non bastano per decidere sulla possibilità di impiego di un determinato

acciaio nella costruzione dei ponti, infatti, oltre alla resistenza statica fin qui considerata,

ha molta importanza la resistenza a fatica, in particolar modo per il proporzionamento

delle unioni, che sono sempre punti deboli delle strutture sottoposte a carichi cariabili col

tempo. Vi sono acciai con elevatissima resistenza statica i quali nel caso di intaglio (intesa

questa parola in senso molto lato così da comprendere qualunque diminuzione della

sezione trasversale, come sarebbe, ad esempio, quella provocata dai fori) hanno bassa

resistenza alla fatica e perciò costringerebbero limitare il tasso di lavoro a valori poco

superiori a quelli ammissibili per l'acciaio Fe 52.

Ma alla base del processo evolutivo del ponte in acciaio stanno anche i seguenti altri

aspetti fondamentali che qui di seguito elenchiamo:

1. la collaborazione fra soletta di impalcato in c.a. e travate metalliche, che ha

consentito, nei ponti di piccola e media luce, di rendere di nuovo competitiva nei

riguardi dei costi la struttura in acciaio in questa categoria di ponti;

2. il perfezionamento delle tecniche di giunzione che, con lo sviluppo della saldatura,

hanno determinato la quasi totale scomparsa della giunzione di assemblaggio

chiodata;

3. le tecniche di collegamento con giunzioni (in opera) ad attrito mediante uso

generalizzato di bulloni pretesi ad alta resistenza.

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4. i progressi conseguiti nelle tecniche di montaggio, specie nei procedimenti per

varo, per sbalzo, per sollevamento, procedimenti che oggi si fondano sull'impiego

di tecniche che rendono più controllate le varie operazioni e sull'impiego di mezzi

meccanici sempre più potenti.

Di seguito si riporta un quadro sintetico relativo ad una soluzione dei tipi strutturali dei

ponti in acciaio ferroviari derivanti dal processo di revisione critica cui abbiamo

accennato.

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Travate da ponte a struttura composta da travi in acciaio e soletta in calcestruzzo armato

collaborante

Nei ponti su luci comprese fra i 20 ed i 100 m, si sono ottenuti risultati molto interessanti

per quanto riguarda il comportamento statico e per quanto concerne l'aspetto

economico, adottando una struttura di tipo misto in cui vengono utilizzate a fondo si le

caratteristiche di resistenza proprie del calcestruzzo sia quelle dell'acciaio.

Tuttavia il "sistema misto" non è nato da un'abile intuizione di un ingegnere ma piuttosto

dalla interpretazione del comportamento delle travate metalliche da ponte su cui era

gettata un soletta in c.a. Invero circa quarant'anni or sono i costruttori, in particolare i

nord-americani ed i giapponesi, rilevavano nella costruzione di impalcati da ponte che la

soletta di calcestruzzo armata gettata su travi metalliche e su queste semplicemente

appoggiata, nella maggioranza dei casi, assorbiva un'aliquota dei carichi applicati, ben

maggiore di quella calcolabile attraverso una semplice ripartizione determinata nel

rispetto della congruenza, con riferimento alla flessione dei due elementi in parallelo.

Questa osservazione era sinteticamente messa in rilievo soprattutto dalle prove di carico

nei collaudi statici.

Osservazioni più acute posero chiaramente in evidenza uno spontaneo comportamento

d'assieme che denunciava stati tensionali delle travi metalliche sensibilmente alleviati

rispetto a quelli di calcolo, ed al contrario per la soletta dove apparivano zone ora

fessurate, ora eccessivamente compresse.

Non fu difficile individuare le ragioni di queste anomalie di comportamento: bastò fissare

l'attenzione su di un elemento fondamentale, ossia la possibilità o meno di verificarsi dello

scorrimento fra i due elementi, trave d'acciaio e soletta in calcestruzzo.

Si trattava in genere di travi chiodate, presentanti perciò superfici di estradosso tutt'altro

che lisce e di conseguenza la resistenza di aderenza da neutralizzare per ritrovare

l'ipotizzato scorrimento tra i due materiali risultava spesso tanta elevata da giustificare il

non verificarsi degli ipotizzati scorrimenti modificando così sostanzialmente le basi di

calcolo ed il previsto comportamento delle strutture.

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Da queste osservazioni gli ingegneri più tradizionalisti trassero ammaestramento

ponendo maggiore attenzione nel progettare le strutture, considerando sempre

indipendenti quelle metalliche da quelle in calcestruzzo armato, ma, allo scopo di

eliminare gli inconvenienti riscontrati, preoccupandosi di verificare che i parametri

meccanico – elastici dei due elementi (trave metallica e soletta in calcestruzzo) fossero

tali da minimizzare gli eventuali effetti di collaborazione non desiderati.

Altri ingegneri invece, e primi forse i giapponesi, fissarono la loro attenzione

particolarmente sui vantaggi che gli involontari effetti di collaborazione avevano posto in

luce, ossia la riduzione nelle travi in acciaio delle sollecitazioni e delle frecce elastiche

rispetto alla struttura costituita dai due elementi in parallelo.

Questi due principali effetti si traducevano essenzialmente in una possibile economia di

acciaio delle travi, qualora, assicurando un'efficace e sicuro legamento tra i due materiali,

potesse farsi completo affidamento sulla loro collaborazione ed avere al tempo stesso

strutture dotate di una maggiore rigidità flessionale.

Occorreva naturalmente, sin dalla impostazione di progetto, prendere in considerazione il

sistema costituito dai due elementi solidali, studiare i vincoli in modo da eliminare

possibili inconvenienti data l'eterogeneità del sistema e proporzionare la sezione dei due

materiali in modo da contenere le massime tensioni entro i rispettivi carichi di sicurezza.

Nacque così il primo sistema misto e furono delineati i primi fondamenti di una teoria

statica che si rendeva necessaria.

La teoria in questione era inevitabilmente meno semplice e meno sicura di quella relativa

alle strutture integralmente costruite da materiale omogeneo: la presenza di due materiali

di proprietà elastiche e resistenti tanto diverse tra loro rendeva più complesse ed incerte

le ipotesi poste a fondamento della teoria stessa; d'altra parte, proprio per questo un

affinamento della teoria era da ritenersi utile.

Era dunque necessario, assai più che nelle altre costruzioni, avere sempre presente il

reale comportamento da rilevarsi in numerose esperienze su ogni tipo di struttura, in

modo che la teoria, pur inquadrandosi negli schemi usuali della Scienza delle Costruzioni,

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e pur mirando a conseguire la maggiore generalità, conducesse a risultati rispecchianti il

più possibile la realtà.

Nei ponti il sistema misto apparve dapprima limitatamente al solo impalcato,

precisamente nella costruzione delle longherine e dei traversoni, e l'ancoraggio veniva

realizzato mediante spirali metalliche saldate alle travi (sistema alfa); successivamente si

estese alle travate appoggiate agli estremi di luce limitata (10-20m) per le quali risultava

ancora sensibile l'economia rispetto alle travate interamente metalliche.

Anzitutto la solidarietà tra i due materiali, acciaio e calcestruzzo, è stata ottenuta mediante

la predisposizione di un'opportuna staffatura di ancoraggio elettrosaldata alla suola

superiore delle travi metalliche. Anche il tipo di ancoraggio si è poi perfezionato, non

tanto nei riguardi della sue efficienza e del suo peso, che varia in misura sensibile da tipo

a tipo, ma soprattutto nei riguardi del suo costo. Nella Tavola 4 sono raccolti alcuni tipi di

ancoraggio trave – soletta adottati fino a qualche tempo fa ed alcuni altri più attuali.

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L'adozione del sistema misto si è sviluppato notevolmente nei ponti stradali, ma esso

risulta particolarmente adatto anche nei ponti ferroviari a via superiore come lo

dimostrano le numerose applicazioni realizzate nell'ultimo trentennio nei Paese in lingua

tedesca e recentemente anche in Italia [Lanciano (Tavola 5), Novi Ligure (Tavola 6)]

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I ponti di grande luce

In un passato non remoto le esigenze del traffico non erano in generle tali da richiedere

alle strade, e quindi alle opere di attraversamento, caratteristiche di progetto

particolarmente impegnative; soltanto più di un secolo fa la ferrovia, con le rigorose

limitazioni imposte alle caratteristiche dei tracciati nei riguardi delle pendenze , dei raggi

di curvatura, dei raccordi planimetrici e di quelli altimetrici, hanno automaticamente ed in

percentuale sempre crescente richiesto per gli attraversamenti opere di luci sensibilmente

maggiori di quelle realizzate in precedenza.

Le attuali esigenze del traffico, connesse con il grande sviluppo della motorizzazione

civile nell'ultimo trentennio, richiedono ai tracciati, anche nelle strade ordinarie,

caratteristiche tali che, sempre più frequentemente, nelle opere di attraversamento ci si

trova di fronte a strutture di grande luce.

Ciò premesso, soffermiamo l'attenzione sul concetto di "grande luce" e cominciamo

anzitutto col rilevare come esso sia, in senso assoluto, largamente indeterminato: infatti

già una luce di 100 n per un ponte in muratura o per un ponte in legno rappresenta un

lavoro di ingegneria tanto impegnativo che forse nè oggi nè in futuro verrà mai realizzato,

mentre per un ponte in acciaio la stessa luce non è per niente eccezionale e la sua

realizzazione è tra i normali compiti della pratica costruttiva.

Le più grandi realizzazioni da un secolo ad oggi nel settore dei ponti sono state rese

possibili, come abbiamo già rilevato in precedenza, per il notevole sviluppo, avvenuto

parallelamente, della Scienza delle costruzioni, della Siderurgia e delle Tecniche di

esecuzione delle costruzioni in acciaio e di quelle in cemento armato.

Tuttavia la relaizzazione di una luce non ancora raggiunta per un determinato sistema

costruttivo, richiede, in sede di progetto, una profonda cultura tecnica unitamente ad una

grande specifica esperienza.

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Ponte ad arco sottile e trave irrigidente

La struttura da ponte costituita da una travata generalmente a parete piena, (talvolta

reticolare), armata co archi sottili e sospensione a cortina di tiranti paralleli la cosiddetta

"Trave Langer" (dal nome dell'austriaco Fritz Langer che per primo la propose nel 1851), è

stata largamente impiegata nei paesi di lingua tedesca ed in quelli nord – americani per i

particolari pregi che la caratterizzano sia da un punto di vista statico che da quello

economico e costruttivo.

Essa, come è noto, è costituita dunque (tav. 15) dall'accoppiamento di un arco sottile e di

una trave sufficientemente rigida

��� �150 �

1100

collegati da tiranti verticali a cortina: i carichi vengono trasmessi attraverso la sospensione

a cortina dalla trave all'arco in modo uniforme in virtù della notevole rigidezza della trave.

L'arco sottile assume allora una rigidezza virtuale pari a quella della trave, rigidezza che

pertanto ne giustifica la stabilità nel piano della struttura, mentre le tensioni di flessione e

taglio che in esso si desterebbero se avesse realmente la rigidezza della trave, si

manifestano soltanto nella trave lasciando all'arco sottile l'assorbimento della sola

caratteristica normale (di compressione).

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Un notevole vantaggio di questa struttura è di non risentire gli effetti di variazioni termiche,

essendo isostatica per vincoli esterni.

Per evitare che la trave venga sottoposta a flessione per effetto del carico permanente, si

lascia in genere fino a getto ultimato della soletta dell'impalcato, una cerniera in mezzeria

della trave che rende temporaneamente isostatico il sistema.

Terminata la costruzione la cerniera si chiude, lasciando alla trave, finora priva di

sollecitazioni di flessione, il compito di assorbire gli sforzi di tensoflessione prodotti dai

carichi mobili.

Il comportamento statico della struttura è quindi del tipo di quello dei ponti a travata

irrigidente autoancorati (vedi fig. 104).

Un altro importante problema che interviene nella progettazione di questa struttura è

quello della verifica della stabilità elastica per carico di punta degli archi sottili.

Ponti sospesi con travata irrigidente

A titolo informativo, citiamo anzitutto le opere più significative realizzate nel corso di

questo secolo nel mondo, con questo tipo di strutture

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Nei primi esemplari di ponti sospesi i cavi sorreggono l'impalcato attraverso i soli tiranti

della sospensione: la grande deformabilità che ne deriva ha consigliato di interporre tra

l'impalcato e la sospensione una trave irrigidente.

Se la trave irrigidente è costruita da due tronchi collegati in mezzeria da una cerniera, il

sistema è staticamente determinato e la struttura portante si comporta in odo analogo ad

un arco a tre cerniere capovolto. Se si elimina la cerniera, la struttura portante diviene una

volta iperstatica e come incognita si assume in genere il valore della componente

orizzontale delle tensione del cavo.

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I ponti sospesi a travata irrigidente risultano tuttavia ancora notevolmente deformabili per

distribuzioni parziali del carico accidentale, e quando questo è molto pesante, come

avviene nel caso dei ponti ferroviari, la loro elevata deformabilità ha finora rappresentato

una grande remora alla applicazione di questo tipo di struttura.

Negli ultimi anni, infine, per ridurre la deformabilità delle strutture da ponte per i carichi

dovuti al traffico sono stati proposti e realizzati in vari paesi del mondo (Centro America,

Germania, Inghilterra) diversi sistemi con sospensioni ed elementi inclinati.

Questi sistemi pur non presentandosi sufficientemente efficaci per ridurre le deformazioni

entro i limiti richiesti dal traffico ferroviario, tuttavia influenzano positivamente l'intero

comportamento statico della struttura e consentono, la realizzazione di moderne soluzioni

costruttive, più economiche e più eleganti di quelle tradizionali.

Ponti con impalcato sospeso mediante elementi inclinati

Il sistema di sospensione ad elementi inclinati (vedi figura 111) è di notevole interesse

tecnico per le sue particolari caratteristiche funzionali; per i ponti ad arco in cemento

armato a via inferiore di media luce si ebbero notevoli applicazioni circa quarantanni fa

con la cosiddetta "trave Nielsen", ma soltanto più recentemente questo sistema ha trovato

le sue prime ed interessanti applicazioni nei ponti sospesi.

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In questi ponti l'arco o il cavo non sono irrigiditi soltanto dalla trave,ma la stessa

sospensione, funzionando da traliccio, conferisce al sistema un comportamento tipo

travatura reticolare.

È da notare che un tale sistema di sospensione ha anche un'efficace effetto contrastante

le insidiose vibrazioni flesso – torsionali autoeccitate da flotter sotto l'azione costante del

vento. Ad esse si collega il disastro, solenne, del ponte di Tacoma.

Ponti strallati a travata irrigidente

Da alcuni anni un nuovo sistema strutturale si sta affermando nella costruzione di ponti

per luci variabili fra i 200 e i 300 m. Si tratta delle cosiddette strutture strallate a travata

flessorigida di cui in questa sede vogliamo mettere in evidenza le fondamentali

caratteristiche statiche e costruttive.

L'idea fondamentale fu quella di creare dei punti intermedi di sostegno ad una trave di

grande luce mediante una serie di tiranti inclinati ormeggiati a strutture a torre che

consentano di ubicare ad un livello più elevato di quello della travata i vincoli dei tiranti

stessi.

Le prime applicazioni di tale sistema nella costruzione dei ponti apparvero sin dai secoli

XVII e XIX, ma soltanto da una ventina di anni circa tale sistema ha ritrovato in Europa le

sue più moderne ed interessanti applicazioni nei ponti stradali in acciaio per i notevoli

vantaggi d'ordine tecnico ed economico che esso offre rispetto ai sistemi tradizionali.

Le ragioni che giustificano una ripresa così tardiva di questo sistema nella costruzione di

ponti, possono ricercarsi nel fatto che nella prima metà del secolo scorso si riscontrarono

solenni insuccessi nei primi ponti strallati di questo tipo.

Incaricato di indagare sulle cause di questi collassi fu allora il Navier, che concluse le sue

ricerche sconsigliando l'adozione di tali ponti e suggerendo invece quella dei classici

ponti sospesi con cavo parabolico ed impalcato a travata irrigidente portato da tiranti

verticali, sistema al quale Egli, fin dai primi dell'800, aveva dato un notevole contributo di

studi, soprattutto nei riguardi del comportamento statico e dei metodi di calcolo.

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Dopo ciò i ponti strallati furono proscritti e dimenticati mentre il ponte sospeso

tradizionale iniziò il suo grande sviluppo con le note realizzazioni nord – americane.

Soltanto nel 1938, come si è già accennato, Fritz Dischinger iniziò a riscoprire il ponte

strallato proponendo un ponte ferroviario sospeso a doppio binario sul fiume Elba presso

Amburgo, con luce unica di 750 m, nel quale la sospensione delle parti laterali della luce

centrale era prevista con tiranti a ventaglio uscenti dalla sommità delle torri.

E' ben noto a tutti come il ponte sospeso tradizionale, anche se dotato di travi irrigidenti

ad elevato valore di momento di inerzia, sia troppo deformabile per ammettere il transito

dei carichi ferroviari.

Dischinger rilevò che tali deformazioni potevano essere sensibilmente ridotte mediante

l'adozione di cavi dritti obliqui, qualora questi fossero stati realizzati con acciaio ad

altissima resistenza, perchè quanto più è elevato il valore della tensione in essi presente,

tanto più si riduce la saetta prodotta dal peso proprio.

[4] “Ponti a struttura d’acciaio” – F. De Miranda (1972)

5. Alcuni esempi di ponti e viadotti

Archi della Marina [5]

Archi della Marina (in siciliano Archi dâ Marina) è il nome di largo uso tradizionale e

popolare con cui è chiamato il lungo viadotto ottocentesco in muratura, della ferrovia

Catania-Siracusa, che collega la stazione di Catania Centrale all'imbocco della galleria

dell'Acquicella.

Il viadotto venne realizzato, a semplice binario, mediante una successione ininterrotta di

archi in muratura poggianti su pile anch'esse in muratura. Nella scelta dei materiali di

decorazione venne utilizzata la tipica alternanza di colori, grigio basalto e avorio, che

caratterizza molte delle costruzioni cittadine. Il percorso del viadotto assume la forma di

una S coricata che inizia da un contrafforte artificiale all'altezza del molo foraneo del porto

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e termina poco oltre la porta Uzeda. Il percorso contorna all'esterno il vecchio perimetro

della città allargandosi sul mare all'incirca a metà del suo percorso.

[5] http://it.wikipedia.org/

Ponte della libertà [6]

Nel 1929, per opera dell'ingegnere Vittorio Umberto Fantucci, nacque il progetto che,

accortamente riveduto e modificato dall'ingegnere Eugenio Miozzi, verrà realizzato nel

1931. Scrive il principale artefice del ponte, Eugenio Miozzi, ingegnere capo del comune

di Venezia:

«Il 27 luglio 1931 furono iniziati i lavori per l'allacciamento stradale con la terraferma e

furono ultimati il 25 aprile 1933, dopo solo ventuno mesi di tempo.

Fu un'opera grandiosa: il ponte attraversante la laguna misura infatti quattro chilometri di

lunghezza ed è largo venti metri; altri quattro chilometri di strada furono costruiti sui terreni

pantanosi delle barene per raggiungere l'abitato di Mestre: il detto ponte rimase il più

lungo ponte del mondo [attualmente è il più lungo d'Italia, n.d.a.] e richiese trecento

chilometri di palafitte, quarantamila metri cubi di calcestruzzo, ventimila metri cubi di

mattoni,quarantacinquemila tonnellate di pietra da taglio; tanto che il Podestà Alverà, nella

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cerimonia dell'inaugurazione, poté dire che questa era l'opera più grandiosa compiuta

dopo la caduta della Repubblica e che poteva stare a pari con la costruzione dei

famosi Murazzi.

Insieme alla creazione del ponte si provvide alla sistemazione urbanistica della viabilità

interna, creando il Rio Novo che abbrevia di oltre due chilometri il percorso per Piazza San

Marco; si provvide alla costruzione del più grande garage del mondo, il quale tuttora

conserva questo primato; e si provvide alle numerose opere accessorie del nuovo

traffico».

All'atto dell'inaugurazione, avvenuta nell'anno XI dell'Era Fascista, il ponte translagunare fu

chiamato ponte del Littorio.

Nel 1945, tramontata quella breve era, fu ribattezzato Ponte della Libertà.

I due ponti translagunari paralleli, quello ferroviario e quello automobilistico,

rappresentano oggi le porte d'ingresso di Venezia, di gran lunga le più frequentate.

Rimangono, tuttavia, come scrive Thomas Mann in Morte a Venezia, le porte di servizio,

essendo sempre l'autentico ingresso principale quello mirabilmente fastoso del Bacino di

San Marco.

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[6] http://venicewiki.org/

Il ponte della ferrovia [7]

Il Ponte della Ferrovia è un ponte sull'Arno del comune di Pisa adibito al transito dei treni.

Il Ponte della Ferrovia è lungo 119,50 metri, ha un'altezza massima di 14 metri, ha cinque

campate con una luce massima di 18 metri, è largo 27 metri. La struttura è caratterizzata

da una trave metallica appoggiata sui pilastri di pietra, probabilmente preesistenti alla

distruzione del ponte avvenuta nel periodo bellico.

Il ponte, distrutto nel 1944, fu ricostruito nel primo dopoguerra. Il progetto è opera della

Ditta Odero Terni Orlando sotto la direzione delle Ferrovie.

L'Archivio di Stato di Firenze conserva i primi due progetti per l'attraversamento della

ferrovia nei pressi di Pisa. In ambedue il sito scelto è già quello attuale: la prima ipotesi

realizzativa, in legno, contava ben sedici luci, la seconda, più simile all'attuale nei

materiali, contava cinque luci, appoggi in pietra e trave in ferro.

I disegni sono senza data e senza firma ma, con buona approssimazione possono essere

datati intorno alla metà dell'Ottocento. La pianta più antica della città di Pisa che riporta il

ponte sulla ferrovia è datata invece 1878; il ponte riportato è a quattro luci invece che le

cinque del progetto, ma è molto probabile che sia un errore del disegno. La costruzione

realizzata nel 1860 sosteneva un unico binario che fu raddoppiato solo nel 1925.

L'intervento strutturale non modificò tuttavia l'aspetto dell'opera che rimase pressoché

inalterato.

Durante la seconda guerra mondiale il ponte venne minato e distrutto, per poi essere

ricostruito con il ripristino della via ferrata.

Il terzo binario venne aggiunto nel giugno 2004 per servire con un binario indipendente

anche la linea da Lucca.

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[7] http://it.wikipedia.org/

Viadotto del Paglia [8]

Il viadotto del Paglia è un lungo viadotto della linea ferroviaria Direttissima Firenze-

Roma composto da 205 campate di 25 m ciascuna e da 5 campate ad arco da 50

m poggiate su 106 piloni in calcestruzzo armato.

I lavori di realizzazione del viadotto sul fiume Paglia iniziarono il 25 giugno 1970 con

l'avvio della costruzione del primo pilone e aprirono la storia della Direttissima. Con i suoi

5.375 metri di lunghezza sarebbe stato il più lungo viadotto ferroviario d'Europa.

In poco più di tre anni di lavori il viadotto veniva ultimato. Il 23 novembre 1973 infatti, sul

viadotto del Paglia, avvenne la messa in opera dell'ultima grande campata a cui

assisterono i partecipanti alla conferenza tenuta a Firenze dall' UIC per la presentazione

del Piano Direttore ferroviario europeo, di cui la Direttissima era parte integrante.

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Il 2 ottobre 1975 il primo treno attraversò il viadotto del Paglia.

Il percorso era insediato nella piana del fiume Paglia e seguiva successivamente

la valle del suo affluente, il Rio Rivarcale. Le sue caratteristiche furono fortemente

innovative rispetto alle costruzioni precedenti sia per l'imponenza che per la tecnica

costruttiva:

• la sezione utile all'interno dei parapetti metallici venne infatti realizzata della larghezza

di tutti gli altri tratti di sede allo scoperto di 11 m e con banchine di servizio larghe 1,25

m ciascuna;

• vennero costruite 205 campate lineari della lunghezza di 25 m e 5 grandi campate

ad arco da 50 m;

• le fondazioni dei giganteschi piloni portanti vennero realizzate con plinti in cemento

armato costruiti su pali trivellati armati per l'intera lunghezza che, confitti sul terreno

per solidificarlo, erano in grado di sopportare carichi unitari anche di 600 tonnellate.

[8] http://it.wikipedia.org/

Il ponte ferroviario di Piacenza [9]

Il ponte ferroviario di Piacenza è percorso dalla linea Milano-Bologna, che vi attraversa il

fiume Po.

Venne aperto nel 1861; l'attuale struttura risale tuttavia al 1931 ed è stata ricostruita dopo

la seconda guerra mondiale.

Il primo ponte sul Po venne aperto al traffico il 4 novembre 1861, in contemporanea con

l'attivazione della tratta Milano-Piacenza, che completava la ferrovia Milano-Bologna.

A causa delle difficoltà incontrate nella costruzione del ponte definitivo, fu realizzato un

ponte provvisorio, in legno a struttura reticolare.

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Il ponte definitivo, di ferro, venne attivato il 3 giugno 1865; costruito dall'impresa Parent

Schaken, presentava due portali monumentali in stile neogotico.

Agli inizi del XX secolo, il ponte costituiva l'unico tratto della linea rimasto a semplice

binario; inoltre il manufatto non era più adeguato a sostenere i pesi sempre maggiori

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delle locomotive. Ne fu pertanto deciso il raddoppio, con sostituzione delle travate,

allargando le pile originali. Il nuovo ponte fu realizzato nel 1931-32. Danneggiato durante

la seconda guerra mondiale, venne successivamente ricostruito. Il ponte è composto di

11 coppie di travate in ferro, ad arco superiore parabolico. Sei travate hanno luce di

74,52 m, e cinque di 61,02.

[9] http://it.wikipedia.org/

Il ponte strallato sul Po [10]

La nuova linea ferroviaria ad alta velocità/capacità Milano – Bologna attraversa il fiume Po

vicino Piacenza in una sezione nella quale il fiume è normalmente largo circa 350 m e la

distanza tra gli argini in corrispondenza del ponte è di 1.000 m.

Il ponte è lungo 1.200 m, 400 m per il superamento dell’alveo con obliquità di 22° tra gli

assi della linea e del fiume. Due viadotti d’approccio lunghi 4 e 6 km completano l’opera,

la più importante della Milano – Bologna.

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Un numero di condizionamenti e vincoli ha guidato il progetto; tra questi, i più importanti

sono stati:

- la navigabilità;

- lo scalzamento;

- l’impatto ambientale;

- la sismicità dell’area.

Per la navigabilità è stata richiesta una larghezza libera di 70 m, che portò ad una

distanza minima tra le pile di circa 90 m, tenendo in considerazione l’obliquità della linea

rispetto al fiume.

Nel progetto preliminare vennero proposte quattro campate di 96 m per soddisfare

questa esigenza, ma la competente autorità per l’ambiente eliminò la pila centrale,

pervenendo quindi a una campata centrale di 192 m.

La riduzione del numero di pile in alveo fu una scelta confermata dall’elevato scalzamento

di progetto, fino a 16 m, che aumenta notevolmente il costo delle fondazioni.

La sismicità dell’area è bassa: l’analisi dei rischi locale ha calcolato l’accelerazione di

picco del terreno in 0,09 g, con un periodo di ritorno di 500 anni.

Oltre ai viadotti d’approccio esterni agli argini, sono presenti nell’attraversamento tre tipi

di strutture: il ponte strallato, 12 campate semplicemente appoggiate a sezione tricellulare

in riva destra, e due ponti continui a sezione tricellulare in c.a.p., necessari per

sovrapassare gli argini.

Gli impalcati sono suddivisi in modo tale che gli apparecchi di dilatazione della rotaia

sono necessari per mantenere l’escursione entro limiti accettabili.

Questa sarà l’unica eccezione lungo la linea AV/AC, che prevede l’utilizzo della lunga

rotaia saldata.

La normativa tecnica italiana proibisce qualsiasi tipo di costruzione a meno di 10 m di

distanza dal piede dell’argine.

Questo vincolo, insieme con l’elevata obliquità, portò a scegliere campate particolarmente

lunghe anche per il superamento degli argini.

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Sono stati progettati a tal fine due ponti continui in c.a.p. a sezione tricellulare: cinque

campate di 37 - 67,69 - 51,4 x 3 m in golena sinistra, e tre campate di 33,4 – 62,7 – 33,4 in

golena destra.

La sezione trasversale di questi impalcati continui è molto simile a quella del viadotto di

13 campate semplicemente appoggiate in golena destra.

La struttura principale dell’attraversamento è costituita da una campata centrale di 192 m

e due campate laterali di 104 m di lunghezza ciascuna.

L’impalcato è costituito da una trave continua a cassone in c.a.p. con il vincolo fisso in

corrispondenza di un’antenna e vincoli mobili all’altra antenna e in corrispondenza delle

pile di giunto.

A causa della disposizione dei vincoli si ottengono due lunghezze di espansione di 296 e

104 m che richiedono i giunti di rotaia.

L’altezza della sezione trasversale è costante e uguale a 4,5 m (L/42,7) nella campata

centrale; essa diminuisce fino a 3,70 m nelle campate laterali, al fine di raccordarsi agli

impalcati dei viadotti d’approccio. Traversi in c.a.p. sono previsti a ogni attacco della

coppia di stralli d’impalcato.

In queste zone le anime laterali dell’impalcato sono precompresse verticalmente con

barre in acciaio. La larghezza di piattaforma è pari a 15,7 m; 2,1 m più larga delle

piattaforme standard: ciò al fine di mantenere i piani degli stralli lontani dai supporti della

trazione elettrica, con una tolleranza rilevante rispetto alla rotaia più vicina.

Le antenne sono alte 60 m dal plinto e 51 m dall’impalcato. La forma singolare delle

stesse è stata causata dalla necessità di avere la base delle antenne orientata

parallelamente al fiume e la parte superiore parallelamente alla linea, cioè orientata di 22°.

La sommità delle antenne, dove sono ancorati gli stralli, è costituita da una struttura

composta in acciaio – calcestruzzo, a differenza della parte inferiore che è progettata in

calcestruzzo armato.

La scatola in acciaio resiste alla componente orizzontale dei tiri degli stralli, mentre il

calcestruzzo circostante è compresso dalle componenti verticali. Questa soluzione, molto

frequente nei ponti recenti, è di facile realizzazione ed evita di avere eccessive

concentrazioni di armature ordinarie.

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Gli stralli sono composti da trefoli da 0,6’’ super zincati, protetti da cera e singolarmente

inguainati, il cui numero per ciascuno strallo varia da 55 a 91.

La guaina esterna di ciascuno strallo è realizzata in polietilene ad alta densità di colore

grigio chiaro ed è iniettata in cemento con la tecnica dell’iniezione sotto vuoto; si realizza

pertanto una protezione quadrupla contro la corrosione, per ciascun trefolo.

La quantità di tonnellate di acciaio degli stralli è di 410 tonnellate, ovvero circa 6 kg a

metro quadrato di impalcato.

La fondazione di ciascuna antenna ha il plinto con una forma tale da ridurre l’interazione

con la corrente, con 28 pali di 2 m di diametro e lunghi 65 m.

Al fine di dimostrare la validità delle ipotesi progettuali teoriche del ponte, si sono

effettuati alcuni test anche su modelli fisici. Data l’importanza della struttura, è stato

installato un gran numero di strumenti per il monitoraggio.

Tutti i dati verranno raccolti dentro l’impalcato strallato e spediti a una centralina remota

che gestirà il monitoraggio di tutti i ponti della linea

Il costo dell’intero sistema di monitoraggio è circa l’1,5% del costo totale del ponte.

Il ponte strallato in cemento armato precompresso sul fiume Po è uno dei maggiori al

mondo per il suo genere

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[10] “Storia e tecnica ferroviaria” – CIFI (2007)

Ponte ferroviario di Peschiera del Garda [11]

Il ponte ferroviario di Peschiera del Garda, è un ponte della linea statale Milano –

Venezia che scavalca il fiume Mincio nei pressi di Peschiera del Garda; fu costruito

nel 1854 durante la dominazione austriaca e presenta sette campate in muratura.

[11] http://it.wikipedia.org/

Ponte di Ronciglione [12]

Il ponte di Ronciglione è un ardito ponte in ferro ad arco che varca la vallata in cui scorre

il Rio Vicano nei pressi del centro abitato di Ronciglione e della poco distante Stazione di

Ronciglione.

È percorso dalla linea ferroviaria Civitavecchia-Capranica-Orte, chiusa al traffico dal 1994.

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Nel maggio 2014 l'area circostante e sottostante il ponte è stata oggetto di una profonda

opera di bonifica da parte di RFI.

Realizzato nel 1928 dalla Società Nazionale Officine di Savigliano, la quale 40 anni prima

aveva costruito un analogo ponte sull'Adda di dimensioni maggiori, presenta la

particolarità di essere costituito di parti incernierate tra loro, secondo uno schema

isostatico. Tale progetto fu scelto a causa della natura cedevole del terreno secondo la

geniale soluzione dell'ingegnere svizzero Jules Röthlisberger che fu ingegnere capo fino

al 1911 (anno della sua morte), delle alacri Officine di Savigliano. Progetto proveniente

dal consolidato successo di ardite e avveniristiche realizzazioni di ponti, eretti già nella

seconda metà del XIX secolo.

Il Ponte di Ronciglione è interamente chiodato con rivetti e non fa uso di saldature. Le

macchine portatili per la saldatura, soprattutto quelle a elettrodi, si erano cominciate a

diffondere solo dopo la Prima Guerra Mondiale (1918). Quando il ponte fu costruito, la

tecnica della saldatura richiedeva impianti mobili ancora troppo poco pratici per essere

adoperati nei manufatti in opera, specie se di dimensioni così rilevanti e in posizioni poco

agevoli.

Gli abitanti della zona ancora ricordano, a memoria tramandata, gli imponenti ponteggi di

legno del cantiere, nel quale persero la vita anche diversi operai, impegnati nella

costruzione di questo arduo ponte.

La campata centrale è costituita da due archi parabolici simmetrici e affiancati,

leggermente inclinati tra di loro che sostengono i due piloni più piccoli dei quattro in ferro

del ponte. Straordinariamente questa gigantesca campata fatta a semicerchio non è un

blocco unico ma costituita da due metà separate, solamente appoggiate tra di loro a

contrafforte su due ristretti cunei centrali, incernierati nel punto più alto; in altre parole il

ponte è dotato di una specie di ammortizzatore che assorbe le sollecitazioni meccaniche

e termiche provocate dal passaggio di pesanti treni e dalle termo-dilatazioni del ferro

specialmente nei mesi estivi, evitando alla struttura il rischio immediato di collasso, totale

o parziale, un pericolo molto probabile per l'equilibrio statico delle strutture, diventate

troppo rigide e compatte perché bloccate con vincoli sovrabbondanti (iperstaticità).

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La scelta di un ponte a singola campata senza appoggi centrali a terra fu favorita sia dalla

particolare forma della larga gola, verticale e profonda e dalla volontà di non impiantare

alti e poco strutturali piloni nel fondo valle, percorso dal fiume Vicano .

È uno dei 9 ponti al mondo di questa tipologia costruttiva ad arco in ferro stile Eiffel,

l'unico al mondo per la cerniera mobile.

[12] http://it.wikipedia.org

Ponte San Michele [13]

Il ponte, progettato dall'ingegnere svizzero Jules Röthlisberger (1851-1911) e realizzato

dalla Società Nazionale Officine di Savigliano (il cui ufficio tecnico era diretto da

Röthlisberger), è lungo 266 metri e si eleva a 85 metri al di sopra del livello del fiume

Adda.

Fu tra i primi esempi di costruzione che utilizzò la teoria dell’ellisse di elasticità e venne

successivamente studiato a livello europeo assieme agli altri grandi ponti metallici eretti

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negli anni immediatamente precedenti o nello stesso periodo (come il ponte Maria

Pia di Oporto e il viadotto di Garabit).

Esso è formato da un'unica campata in travi di ferro da 150 metri di corda, che sostiene,

tramite 7 piloni sempre in ferro, un'impalcatura a due livelli di percorribilità, il primo

ferroviario e il secondo (6,3 metri più in alto) stradale. La sede stradale è larga cinque

metri ed è a singola corsia.

Nel più basso dei due livelli del ponte passa la linea ferroviaria elettrificata Seregno -

Bergamo, mentre sul livello superiore si trova la strada carrabile che collega la provincia

di Lecco a quella di Bergamo.

La campata è costituita da due archi parabolici simmetrici e affiancati, leggermente

inclinati tra loro e a sezione variabile più snella verso la cima. La scelta di un ponte a

singola campata senza appoggi a terra fu favorita sia dalla particolare forma della gola,

stretta e profonda, sia dalla volontà di non intralciare la navigazione sul corso d'acqua.

Gli archi si appoggiano a opere cementizie e murarie costruite a metà della parete della

scarpata che discende al fiume.

I plinti e i contrafforti di sostegno sono costituiti da oltre 5.000 metri cubi di pietra

di Moltrasio e 1.200 metri cubi di granito di Baveno.

La struttura è interamente chiodata e non fa uso di saldature: alla fine del XIX secolo,

quando il ponte fu eretto, la tecnica della saldatura richiedeva impianti ancora troppo

poco pratici per essere adoperati nei manufatti in opera, specie se di dimensioni così

rilevanti e in posizioni poco agevoli.

Nonostante tali limiti tecnici, il ponte risultò un'opera di ingegneria imponente per l'epoca,

con 100.000 chiodi ribattuti che reggono le oltre 2.500 tonnellate della complessa

struttura a maglie triangolari degli archi, dei piloni e dei due livelli percorribili.

Il doppio arco da solo pesa oltre 1.320 tonnellate, mentre la travata principale raggiunge

le 950 tonnellate e i piloni ammontano a 245 tonnellate.

Per le sue peculiarità tecniche, il ponte è considerato un capolavoro di archeologia

industriale italiana, nonché una delle più notevoli strutture realizzate dall'ingegneria

ottocentesca.

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Esso si trova a poca distanza da altri due impianti di grande rilevanza: le centrali

idroelettriche Esterle e Bertini.

La rilevanza del ponte San Michele dal punto di vista storico è paragonabile a quella

della Torre Eiffel, eretta esattamente negli stessi anni e con le stesse tecnologie.

Entrambe le strutture all'epoca della costruzione divennero il simbolo del trionfo

industriale per i rispettivi paesi.

All'epoca della sua costruzione, il ponte San Michele era il più grande ponte ad arco al

mondo per dimensioni e il quinto in totale per ampiezza di luce.

[13] http://it.wikipedia.org/

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6. Ponti e impalcati moderni [14]

I ponti e i viadotti compongono quasi il 18% dei 980 km delle nuove linee AV/AC ad alta

velocità/capacità attualmente in costruzione. Oltre il 90% di queste strutture è realizzato

con campate semplicemente appoggiate in c.a.p.; la restante parte è composta da

campate appoggiate in sezione mista acciaio – calcestruzzo e da alcuni implacati continui

in c.a.

Ponti e viadotti ferroviari con schema statico a campate semplicemente appoggiate sono

stati tradizionalmente usati nelle Ferrovie dello Stato per consentire l’adozione sistematica

della lunga rotaia saldata, così da evitare l’introduzione di apparecchi di dilatazione delle

rotaie, garantire un elevato comfort dei passeggeri e, al contempo, minimizzare i costi di

manutenzione.

Attraverso i ritorni di esperienza derivati dalla gestione dell’infrastruttura e dagli esiti delle

ispezioni periodiche delle linee ferroviarie della Direttissima Roma – Firenze, si è potuta

ottenere un’analisi dei difetti più frequenti degli impalcati da ponte: difficoltosa

ispezionabilità delle opere, problemi al sistema di impermeabilizzazione dei giunti tra gli

impalcati, copri ferri insufficienti, apparecchi di appoggio difficilmente mantenibili

(difficoltoso sollevamento degli impalcati per la sostituzione degli appoggi).

Questi risultati, insieme a uno studio dettagliato degli standard tecnici nazionali e

internazionali per la progettazione delle linee ad alta velocità nonché un esame critico

delle nuove tecnologie studiate e sperimentate degli ultimi anni, hanno portato alla nuova

definizione delle normative tecniche per il progetto, la costruzione ed il collaudo delle

nuove linee Alta Velocità/Capacità italiane.

Caratteristiche strutturali

In figura che segue sono mostrate le principali sezioni trasversali degli impalcati in c.a.p.

in oggetto.

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L’impalcato tipo “a” è costituito da due travi prefabbricate a cassone, oppure due travi a V

con coletta gettata in opera.

L’impalcato di luce massima pari a 34,5 m, è precompresso con trefoli longitudinali e i

due cassoni sono connessi da travi trasversali con cavi di precompressione post – tesi. La

norma prescrive per gli impalcati costituiti da due o più travi longitudinali di avere almeno

due traversi in c.a.p. intermedi, oltre quelli in corrispondenza degli appoggi, e più di due

per luci maggiori di 25 m.

L’impalcato tipo “b” è composto da quattro travi a V prefabbricate; la soletta viene gettata

in opera e l’interasse tra le pile arriva fino a 33,6 m. Le travi sono precompresse con trefoli

longitudinali e connesse trasversalmente da travi trasversali.

In alcuni casi, quando i trefoli causano elevate tensioni di trazione in testata, alcuni di essi

sono passivati in testata tramite inguainamento e successiva rimozione con l’intasamento

delle guaine.

Questo tipo d’impalcato è il più comune: rappresenta il 42% della lunghezza totale dei

ponti e viadotti a campate appoggiate; è il più flessibile, in quanto è uno dei pochi

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(insieme al tipo “e”) che consente la realizzazione delle campate in modo alternato senza

richiedere l’avanzamento successivo.

Inoltre i singoli elementi prefabbricati possono essere trasportati su strada.

L’impalcato tipo “c” è costituito da un monocassone; è presente in due versioni: di luce

massima 25 m prefabbricato e a trefoli aderenti, e gettato in opera su centina auto varante

con cavi di precompressione post – tesi, per una luce massima di 43,2 m (viadotto

Padulicella sulla Roma – Napoli, di 1,6 km di lunghezza).

L’impalcato di tipo “d” è adottato per il viadotto Piacenza della Milano – Bologna, per una

lunghezza di 5,1 km: la campata ha un profilo esterno curvilineo, due canne tipo

bicellulare ed è completamente prefabbricato a piè d’opera con cavi di precompressione

post – tesi. Costituisce un cassone monolitico di circa 10.000 kN, di luce 33,1 m, e

dispone di 119 km di guaine in plastica e 7.200 testate di precompressione isolate

elettricamente.

L’impalcato di tipo “e” è composto da quattro travi prefabbricate a I e soletta gettata in

opera. Le campate più lunghe dell’impalcato tipo 2e” sono anche le più lunghe campate

per gli impalcati in c.a.p. semplicemente appoggiate e misurano 46,2 m.

L’impalcato tipo “f” costituisce l’originale viadotto Modena, il quale rappresenta il primo

caso d’impalcato in c.a.p. a via inferiore per 10,7 km di viadotti.

La luce massima è di 31,5 m, la larghezza totale di 18,4 m; ogni impalcato è

precompresso con 20 cavi longitudinali, sono impiegati 566 km di guaine in plastica. È il

viadotto più lungo delle linee AV/AC in costruzione.

In tabella sono riportati i principali dati relativi agli impalcati in c.a.p. Si noti che il numero

di travi prefabbricate di tipo “b” è da incrementare del 30% se si considerano i viadotti a

singolo binario delle interconnessioni tra le linee AV/AC e le linee esistenti, poiché per

questi viadotti sono ampiamente utilizzati gli impalcati a due cassoni a V e soletta gettata

in opera.

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Sicuramente le condizioni di verifica più restrittive riguardano la limitazione delle tensioni

durante la costruzione e in esercizio: per ragioni associate alla durabilità non è ammessa

alcuna tensione di trazione longitudinale in esercizio. Inoltre, viene prescritta una

limitazione delle massime compressioni durante la costruzione e in esercizio.

Infine, grande attenzione viene posta nelle verifiche trasversali dell’impalcato, con

particolare riferimento alla soletta sotto ballast, in zona non ispezionabile, per la quale si

richiedono limitazioni particolarmente severe.

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Apparecchi di appoggio

Vengono utilizzati solo due tipi di apparecchio di appoggio: con i cassoni multicellulari

apparecchi di appoggio acciaio – teflon, con i monocassoni a disco elastomerico

confinato.

Al fine di evitare l’insorgere di forze parassite con un solo treno su un impalcato a doppio

binario, è stato studiato un nuovo tipo di appoggio fisso che ha un dispositivo che

controlla le rigidezze orizzontali.

I coprigiunti fra le solette delle campate adiacenti sono costituiti da elementi elastomerici

realizzati in neoprene armato con piastre d’acciaio vulcanizzato.

I nuovi dispositivi di appoggi e coprigiunti consentono una rapida operazione di

sostituzione degli appoggi con un sollevamento di un solo impalcato di 50 mm, realizzato

con martinetti idraulici senza alcun intervento sotto le rotaie.

La norma italiana su apparecchi di appoggio e giunti di ponti ferroviari richiede per questi

dispositivi un’omologazione preliminare, al fine di assicurare la qualità di ogni singolo

componente, nonché del prodotto assemblato.

Sui pulvini e sull’estradosso delle spalle sono disposti i “denti di arresto” sia trasversali sia

longitudinali: il loro scopo è di evitare l’uscita e la caduta degli impalcati in caso di rottura

accidentale degli appoggi fissi per forze sismiche devastanti

Durabilità e monitoraggio

Dall’esame dei dati sulle tipologie d’impalcato ferroviario si evince che per rendere rapido

ed efficiente il processo di costruzione delle infrastrutture ferroviarie esiste una grossa

tendenza a incrementare la prefabbricazione.

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Come illustrato, il tipo “b” con travi prefabbricate e soletta gettata in opera è attualmente il

più utilizzato, ma la prefabbricazione totale può essere indicata come la più importante

tendenza per le scelte future.

Inoltre tutti gli impalcati da ponte sono progettati per assicurare l’ispezionabilità e la

possibile sostituzione degli elementi complementari e di arredo tecnologico.

Alcune delle caratteristiche degli impalcati per assicurare l’ispezionabilità sono: l’altezza

libera minima all’interno degli impalcati a cassone di 1,6 – 1,8 m, scale tra pulvini e

impalcato ogni tre campate od ogni 100 m, larghezza minima di 60 cm per i percorsi di

ispezione per raggiungere gli appoggi e i denti di arresto e per passare da un impalcato

all’altro, e una larghezza minima di 50 cm per entrambi i camminamenti sulla soletta

d’impalcato.

Sugli impalcati viene disteso uno spesso strato d’impermeabilizzante per proteggerli dagli

agenti atmosferici. In caso di presenza d’armature di precompressione in soletta o di

condizioni di drenaggio particolarmente critiche, viene preferita l’impermeabilizzazione

poliuretanica a spruzzo di 3-5 mm di spessore (impalcati “a”, “c”, e “f”).

Grande attenzione viene dedicata all’arredo tecnologico (parapetti, barriere

fonoassorbenti, scale di discesa ai pulvini, ecc.): ogni elemento metallico viene installato

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con connessioni dielettriche isolate dall’armatura dell’impalcato e connesse a un

dispersore collegato a terra per motivi di sicurezza.

Ogni impalcato è isolato elettricamente dagli appoggi e dai giunti; inoltre, sono previsti

terminali metallici in connessione con l’armatura lenta al fine di misurare il potenziale

elettrico, la presenza di correnti vaganti e il grado d’isolamento, dopo l’attivazione del

traffico ferroviario.

Al fine di incrementare la conoscenza del comportamento degli impalcati e controllarla

nel tempo sotto l’influenza degli agenti esterni (azioni ambientali, carichi di traffico, eventi

sismici) è stato previsto un complesso sistema di monitoraggio installato su almeno un

impalcato per viadotto e, comunque, uno ogni 1000 m per i viadotti molto lunghi.

La strumentazione di un impalcato comprende un numero di almeno 50 strumenti

costituiti da estensimetri, inclinometri, termocoppie, celle di pressione e appoggi

strumentali. In qualche caso si dispongono anche accelerometri per valutare la risposta

dinamica dell’impalcato in caso di azioni sismiche.

Estetica delle opere d’arte

I ponti e i viadotti ferroviari vengono spesso annoverati tra le grandi opere d’arte più

difficilmente integrabili in un contesto paesaggistico di pregio quale quello della Penisola

italiana.

Del resto è ineludibile la circostanza che i requisiti prestazionali e funzionali che devono

essere garantiti (molto più stringenti di quelli relativi a infrastrutture stradali e

metropolitane) richiedono alle opere d’arte ferroviarie una notevole possanza strutturale

che li dota di connotati di maggiore “robustezza” rispetto alle analoghe opere non

ferroviarie.

In questo contesto si è constatato che le barriere fonoassorbenti e i parapetti in

calcestruzzo possono essere armonizzati con le strutture dell’impalcato ed essere

utilmente impiegate per mitigare l’inserimento ambientale dell’opera d’arte.

Un esempio di alto valore estetico nel campo delle campate semplicemente appoggiate è

rappresentato da un ponte ad arco a via inferiore, con impalcato in c.a.p. precompresso

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longitudinalmente e trasversalmente, arco in calcestruzzo armato e pendini in acciaio da

carpenteria metallica connessi con cerniere sferiche all’impalcato.

[14] “Storia e tecnica ferroviaria” – CIFI (2007)

Casteldaccia, lì 02.09.2014

Ing. Francesco Solazzo