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Paolo Bolpagni La questione del Gesamtkunstwerk dai primi Romantici a Wagner 1. Raffronti e ipotesi di collaborazione fra le arti L’idea compiuta di una “organizzazione inglobante” 1 delle arti, o di una loro paritetica fusione, unità – ars una –, collaborazione risale probabilmente ai primi esponenti del Romanticismo tedesco 2 , mentre il tratto peculiare delle estetiche settecentesche, almeno nei decenni centrali del secolo, era consistito nel tentativo prioritario di definire gli elementi caratteristici, le specificità, i mezzi e princìpi – oserei dire la “teleologia” – delle singole forme di espressione artistica, nel solco delle teorie gerarchiche e comparatorie in voga già nel Cinquecento, come documentato da Paul Oskar Kristeller 3 (la casistica è assai vasta, dal sommo Leonardo da Vinci 4 al meno conosciuto ma importante poligrafo fiorentino Cosimo Bartoli 5 ). Questo sistema equilibrato, ha notato Michela Garda, “appariva saldo grazie anche alla genealogia dell’unione delle arti in un’origine comune, la natura” 6 . Il riferimento forse più calzante è quello a Charles Batteux 7 , ma il pensiero non può che dirigersi immediatamente al celebre passo della Farbenlehre in cui Goethe sostiene che “colore e suono [e dunque: pittura e musica] … possono … essere riferiti a una formula superiore e da questa essere derivati, sebbene separatamente”, essendo “come due fiumi che nascono da un’unica montagna, ma che scorrono in condizioni del tutto diverse” 8 . Se Diderot intendeva soprattutto far riflettere sulla maniera in cui “il poeta, il pittore e il musicista rendano la stessa immagine” 9 , ossia manifestino nei rispettivi linguaggi particolari l’universalità del bello, mentre Grétry vedeva in ogni sonorità una corrispondente sfumatura cromatica di cui il compositore doveva tener conto 10 , in Kant si affacciò il problema di conciliare la tradizionale distinzione delle arti con l’incipiente aspirazione a una loro aggregazione cooperativa all’interno di un unitario prodotto creativo 11 . Della questione si occupò anche Hegel, nelle sue Vorlesungen über die Ästhetik, rilevando l’inevitabilità della prevalenza di un medium, di una modalità o forma 1 Th.W. Adorno, Wagner, trad. it. di M. Bortolotto (Versuch über Wagner, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1952), in Th.W. Adorno, Wagner - Mahler. Due studi, Einaudi, Torino 1966, p. 93. 2 Ch.-S. Kuon, Studie zur Idee des Gesamtkunstwerks in der Frühromantik. Zur Utopie einer Musikanschauung von Wackenroder bis Schopenhauer, Lang, Frankfurt am Main 2003. 3 P.O. Kristeller, Il sistema moderno delle arti, a cura di P. Bagni, Uniedit, Firenze 1977 (The Modern System of the Arts: A Study in the History of Aesthetics, in “Journal of the History of Ideas”, 12, 1951, pp. 496-527; 13, 1952, pp. 17- 46). 4 L. da Vinci, Trattato della pittura, Brancato, Catania 1990, pp. 13-14, 24-27. 5 C. Bartoli, Ragionamenti accademici di Cosimo Bartoli gentil’huomo et Accademico fiorentino, sopra alcuni luoghi difficili di Dante, Francesco de’ Franceschi senese, Venetia 1567, pp. 35v.-36. 6 M. Garda, Gesamtkunstwerk, sinestesia e convergenza delle arti, in G. Borio - C. Gentili (a cura di), Storia dei concetti musicali. Espressione, forma, opera, Carocci, Roma 2007, p. 276. 7 C. Batteux, Le belle arti ricondotte ad un unico principio, a cura di E. Migliorini, Il Mulino, Bologna 1983 (Les Beaux-Arts réduit à une même principe, Durand, Paris 1746). 8 J.W. Goethe, La teoria dei colori, a cura di R. Troncon, Il Saggiatore, Milano 1979 (Zur Farbenlehre, Cotta, Tübingen 1810), p. 185. Di estrema utilità per il lettore italiano è il seguente volume: J.W. Goethe, Sulla musica, Studio Tesi, Pordenone 1992, in particolare i passi citati alle pp. 52-53, 172, 176-177. 9 D. Diderot, Lettera sui sordomuti, a cura di E. Franzini, Guanda, Milano 1984 (Lettre sur les sourds et muets [1751], in D. Diderot, Œuvres complètes, a cura di J. Varloot, vol. IV, Hermann, Paris 1978, pp. 131-233), p. 48. 10 E. Fubini, L’estetica musicale dal Settecento ad oggi, Einaudi, Torino 1964, p. 81. 11 I. Kant, Critica della facoltà di giudizio, a cura di E. Garroni e H. Hohenegger, Einaudi, Torino 1999 (Critik der Urtheilskraft, Lagarde, Berlin-Libau 1790), p. 161.

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Paolo Bolpagni

La questione del Gesamtkunstwerk dai primi Romantici a Wagner 1. Raffronti e ipotesi di collaborazione fra le arti

L’idea compiuta di una “organizzazione inglobante”1 delle arti, o di una loro paritetica fusione, unità – ars una –, collaborazione risale probabilmente ai primi esponenti del Romanticismo tedesco2, mentre il tratto peculiare delle estetiche settecentesche, almeno nei decenni centrali del secolo, era consistito nel tentativo prioritario di definire gli elementi caratteristici, le specificità, i mezzi e princìpi – oserei dire la “teleologia” – delle singole forme di espressione artistica, nel solco delle teorie gerarchiche e comparatorie in voga già nel Cinquecento, come documentato da Paul Oskar Kristeller3 (la casistica è assai vasta, dal sommo Leonardo da Vinci4 al meno conosciuto ma importante poligrafo fiorentino Cosimo Bartoli5). Questo sistema equilibrato, ha notato Michela Garda, “appariva saldo grazie anche alla genealogia dell’unione delle arti in un’origine comune, la natura”6. Il riferimento forse più calzante è quello a Charles Batteux7, ma il pensiero non può che dirigersi immediatamente al celebre passo della Farbenlehre in cui Goethe sostiene che “colore e suono [e dunque: pittura e musica] … possono … essere riferiti a una formula superiore e da questa essere derivati, sebbene separatamente”, essendo “come due fiumi che nascono da un’unica montagna, ma che scorrono in condizioni del tutto diverse”8. Se Diderot intendeva soprattutto far riflettere sulla maniera in cui “il poeta, il pittore e il musicista rendano la stessa immagine”9, ossia manifestino nei rispettivi linguaggi particolari l’universalità del bello, mentre Grétry vedeva in ogni sonorità una corrispondente sfumatura cromatica di cui il compositore doveva tener conto10, in Kant si affacciò il problema di conciliare la tradizionale distinzione delle arti con l’incipiente aspirazione a una loro aggregazione cooperativa all’interno di un unitario prodotto creativo11. Della questione si occupò anche Hegel, nelle sue Vorlesungen über die Ästhetik, rilevando l’inevitabilità della prevalenza di un medium, di una modalità o forma

                                                            1 Th.W. Adorno, Wagner, trad. it. di M. Bortolotto (Versuch über Wagner, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1952), in Th.W. Adorno, Wagner - Mahler. Due studi, Einaudi, Torino 1966, p. 93. 2 Ch.-S. Kuon, Studie zur Idee des Gesamtkunstwerks in der Frühromantik. Zur Utopie einer Musikanschauung von Wackenroder bis Schopenhauer, Lang, Frankfurt am Main 2003. 3 P.O. Kristeller, Il sistema moderno delle arti, a cura di P. Bagni, Uniedit, Firenze 1977 (The Modern System of the Arts: A Study in the History of Aesthetics, in “Journal of the History of Ideas”, 12, 1951, pp. 496-527; 13, 1952, pp. 17-46). 4 L. da Vinci, Trattato della pittura, Brancato, Catania 1990, pp. 13-14, 24-27. 5 C. Bartoli, Ragionamenti accademici di Cosimo Bartoli gentil’huomo et Accademico fiorentino, sopra alcuni luoghi difficili di Dante, Francesco de’ Franceschi senese, Venetia 1567, pp. 35v.-36. 6 M. Garda, Gesamtkunstwerk, sinestesia e convergenza delle arti, in G. Borio - C. Gentili (a cura di), Storia dei concetti musicali. Espressione, forma, opera, Carocci, Roma 2007, p. 276. 7 C. Batteux, Le belle arti ricondotte ad un unico principio, a cura di E. Migliorini, Il Mulino, Bologna 1983 (Les Beaux-Arts réduit à une même principe, Durand, Paris 1746). 8 J.W. Goethe, La teoria dei colori, a cura di R. Troncon, Il Saggiatore, Milano 1979 (Zur Farbenlehre, Cotta, Tübingen 1810), p. 185. Di estrema utilità per il lettore italiano è il seguente volume: J.W. Goethe, Sulla musica, Studio Tesi, Pordenone 1992, in particolare i passi citati alle pp. 52-53, 172, 176-177. 9 D. Diderot, Lettera sui sordomuti, a cura di E. Franzini, Guanda, Milano 1984 (Lettre sur les sourds et muets [1751], in D. Diderot, Œuvres complètes, a cura di J. Varloot, vol. IV, Hermann, Paris 1978, pp. 131-233), p. 48. 10 E. Fubini, L’estetica musicale dal Settecento ad oggi, Einaudi, Torino 1964, p. 81. 11 I. Kant, Critica della facoltà di giudizio, a cura di E. Garroni e H. Hohenegger, Einaudi, Torino 1999 (Critik der Urtheilskraft, Lagarde, Berlin-Libau 1790), p. 161.

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espressiva sull’altra – mélos, dráma, poíēsis si potrebbe sintetizzare – qualora esse fossero associate nell’opera in musica12. 2. L’idea romantica di “opera d’arte totale”

Si diceva sopra che l’organica concezione di un’entità esteticamente connotata definibile come Gesamtkunstwerk si deve alla prima generazione del Romanticismo tedesco, quella di Tieck, di Herder, di Wackenroder, di Schiller, di Schelling, di Hoffmann. È pur vero che qualcuno, osserva Philippe Junod nella voce redatta per i “Kritische Berichte” di Ulma13, ha ugualmente invocato il teatro antico, i “misteri” medievali, le “fabbriche” (Bauhütten) gotiche, i grandi giardini rinascimentali, il bel composto di Bernini, il melodramma barocco, la féerie, l’arte pirotecnica, le entrate solenni, processioni, cortei storici e altre mascherate, ma si tratta pur sempre di ascendenze opinabili e non di rado contestate14. Del resto, se l’espressione “opera d’arte totale” è oggi utilizzata negli ambiti più differenti e per designare i più svariati frutti della creatività umana15, occorre però constatare che il termine Gesamtkunstwerk fu impiegato per la prima volta solo nel 1827, in un passo16 del trattato di estetica di Karl Friedrich Eusebius Trahndorff17, e che la sua attuale fortuna critica fu rilanciata anche dalla mostra curata da Harald Szeemann nel 198318. Nel monumentale catalogo che accompagnava le tre tappe della rassegna – Zurigo, Düsseldorf e Vienna – la sezione dedicata a Richard Wagner non era che una tra le circa cinquanta contemplate nell’Anthologie, ordinate in senso cronologico per movimenti e autori, dal settecentesco filosofo svizzero Johann Georg Sulzer (cui si deve una Allgemeine Theorie der schönen Künste) all’allora giovane pittore tedesco Anselm Kiefer, passando per architetti come Boullée, Gaudí, Behrens e Gropius, musicisti (dai prevedibili Skrjabin e Schönberg allo sfuggente Satie), scenografi (Appia, per esempio),

                                                            12 G.W.F. Hegel, Estetica, a cura di N. Merker, Einaudi, Torino 1972 (Vorlesungen über die Ästhetik, a cura di H.G. Hotho, Duncker-Humblot, Berlin 1836-1838), pp. 1004-1005. 13 Ph. Junod, Gesamtkunstwerk, in “Kritische Berichte. Zeitschrift für Kunst- und Kunstwissenschaften”, 3, 2007, pp. 72-76. Il medesimo testo, leggermente rivisto, è apparso anche in francese: Œuvre d’art totale, in Supplément de l’Encyclopaedia universalis, Paris 2008, pp. 681-689; si veda, inoltre, Ph. Junod, Synesthésies, correspondances et convergence des arts: la nostalgie de l’unité perdue, in Ph. Junod, Contrepoints. Dialogues entre musique et peinture, Contrechamps, Genève 2006, pp. 57-65. 14 B. Euler-Rolle, Kritisches zum Begriff des „Gesamtkunstwerks“ in Theorie und Praxis, in “Kunsthistorisches Jahrbuch Graz”, 25, 1993, pp. 365-374. 15 Junod ha acutamente osservato che il fenomeno sarebbe favorito dalla nostalgia di un’“unità perduta”, sorta di reazione compensatoria a quello che Max Weber chiamava “disincanto del mondo”, ovvero alla “demusicalizzazione” che Leo Spitzer ravvisa nella società moderna (Ph. Junod, Gesamtkunstwerk, 2007, p. 72). Si vedano S.J. Norman, Du Gesamtkunstwerk wagnérien aux arts des temps modernes: spectacles multimédias, installations minimalistes, in C. Amiard-Chevrel et al., L’œuvre d’art totale, CNRS, Paris 1995 (nuova ed. 2002), pp. 273-289; A. Trimarco, Opera d’arte totale, Luca Sossella, Roma 2001; A. Finger, Das Gesamtkunstwerk der Moderne, Vandenhoeck-Ruprecht, Göttingen 2006. In effetti, l’apparentemente vetusto retaggio wagneriano dell’“unità delle arti” e della tensione verso un utopistico Gesamtkunstwerk, passato attraverso le suggestioni simboliste e la stagione delle avanguardie storiche (si pensi al primo Kandinskij astratto e al suo rapporto con Schönberg), riemerge insospettabilmente negli anni sessanta e settanta del Novecento, quando esplode il fenomeno della intermedialità e, sotto l’insegna delle esperienze dadaisteggianti di happening e performance, si afferma un’ulteriore accezione di “opera totale”; la quale perdura fino ai tempi odierni, dando vita a vari (sotto)generi costituzionalmente improntati all’ibridazione e allo sconfinamento disciplinare (l’installazione, il video…), di solidissima fortuna e di notevole consapevolezza metalinguistica (non è cer-to un caso che “Fluxus”, il movimento artistico che forse contribuì maggiormente alla diffusione di tali pratiche di contaminazione, abbia in John Cage e La Monte Young, entrambi compositori, i propri autentici auctores). 16 “Tale possibilità [la fusione di musica, espressione gestuale e danza] si basa sulla tensione che pervade l’intero campo artistico di un Gesamtkunstwerk a cui contribuiscono tutte le arti” (cit. in D. Borchmeyer - V. Žmegač [a cura di], Moderne Literatur in Grundbegriffen, Niemeyer, Tübingen 1994, p. 181). 17 K.F.E. Trahndorff, Aesthetik, oder Lehre von Weltanschauung und Kunst, L.W. Krause, Berlin 1827. 18 H. Szeemann et al., Der Hang zum Gesamtkunstwerk. Europäische Utopien seit 1800 (cat. della mostra, Zurigo - Düsseldorf - Vienna), Sauerländer, Aarau - Frankfurt am Main 1983.

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drammaturghi (Artaud), letterati (il nostro d’Annunzio col suo Vittoriale) e beninteso artisti, da Runge a Kandinskij, da Mondrian a Duchamp, da Moholy-Nagy a Beuys19. 3. Il Gesamtkunstwerk in Richard Wagner fra teoria e prassi compositiva

È innegabile, però, che il concetto di Gesamtkunstwerk, almeno nella vulgata, resti legato in maniera indissolubile alla formulazione propostane da Richard Wagner20, quando non meramente al suo nome; tanto che, ancor oggi, gli innumerevoli tentativi di dar vita a opere multi- o intermediali, insomma “totali” (condotti sotto il denominatore comune della volontà di unire e aggregare di volta in volta tecniche e discipline, o i cinque sensi, o l’attore con lo spettatore, l’arte con la vita, con la scienza, se non l’universo intero21), sono spesso qualificati con l’etichetta di “wagneriani”, a prescindere dalla disparità degli indirizzi e intendimenti estetici che li sorreggano. Vi è in realtà, alla base di un simile fenomeno, un equivoco di fondo, la cui comprensione è un’imprescindibile premessa per chi si accosti al tema e alla materia: quel che noi siamo soliti definire Gesamtkunstwerk non è l’utopistico Wort-Ton-Drama vagheggiato negli scritti di poetica del compositore, bensì il concreto risultato artistico della sua attività musicale, che gli studi – ma anche soltanto l’attenta disposizione a un ascolto insieme analitico e sintetico – hanno ampiamente dimostrato quanto sia lontano dai presupposti teorici manifestati in Die Kunst und die Revolution, Das Kunstwerk der Zukunft e in Oper und Drama. Insomma, Der Ring des Nibelungen, nella considerazione comune, è il modello e l’emblema stesso del Gesamtkunstwerk, ma non corrisponde affatto, nelle sue caratteristiche, a ciò che Wagner aveva immaginato ed enucleato quale “opera d’arte totale”. Destino non raro per i sommi creatori, il cui estro artistico contraddice e sopravanza le regole e i princìpi astratti elaborati a priori come postulati e criteri inattaccabili cui attenersi, sicché a questi finiscono per conformarsi gli epigoni e gli imitatori pedissequi. Adorno, nel suo impareggiabile e demoniaco Versuch (espressione di un odi et amo degno di Nietzsche), imputa all’ideale wagneriano del Gesamtkunstwerk di mirare a un “qui pro quo dei mezzi estetici, che attraverso il perfezionamento artificiale deve celare tutte le saldature dell’artefatto, la sua differenza cioè dalla natura”, implicando, quindi, un’“alienazione radicale di tale spontaneità di natura”22, a dispetto dei proclami di segno opposto contenuti nei testi teorici del 1849-1851. Inoltre, il filosofo di Francoforte compie un’osservazione essenziale dal nostro punto di vista storico-interpretativo: che, “se l’intenzione di annullare i confini delle singole arti in nome dell’infinito onnipenetrante appartiene sempre, proprio come l’esperienza della sinestesia, ai fondamenti del Romanticismo”, tuttavia l’idea di Gesamtkunstwerk sistematizzata da Wagner è estranea “alle concezioni di cinquant’anni prima, propriamente romantiche”23. 4. Ascendenti della concezione wagneriana di “opera d’arte totale”

Si rivela di assoluta utilità, perciò, l’operazione di Nattiez, postosi con lucido acume a indagare le fonti del pensiero wagneriano riguardo alla questione del rapporto tra le arti, donde scaturisce una

                                                            19 A proposito di quest’ultimo, si può richiamare una sua celebre asserzione: “L’opera d’arte sociale e la società come opera d’arte, come utopia, la società come l’opera d’arte per eccellenza, superiore alle singole opere d’arte. Si potrebbe anche chiamarla l’opera d’arte totale. Che è fattibile solo con la partecipazione di tutti” (J. Beuys - M. Ende, Arte e politica. Una discussione, trad. it. di E. Picco, Guanda, Parma 1994 [Kunst und Politik. Ein Gespräch, Freie Volkshochschule Argental, Wangen 1989], p. 24). 20 Un’analisi tra le più accurate – peraltro, con una ricchissima bibliografia citata nelle note – del successo storiografico del termine si deve a G. Salvatori, “L’ombra di Wagner”: note sulla fortuna critica delle nozioni di Gesamtkunstwerk e Sintesi delle arti, in F. Abbate (a cura di), Ottant’anni di un Maestro. Omaggio a Ferdinando Bologna, vol. II, Paparo, Foggia-Roma 2006, pp. 749-756. 21 Mi rifaccio sempre al sapido ed esemplare saggio di Junod (Ph. Junod, Gesamtkunstwerk, 2007, p. 72). 22 Th.W. Adorno, Wagner, 1966, p. 93. 23 Ibidem.

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lista di riferimenti che reca in cima i nomi di Schiller, Hoffmann, Tieck, Schelling e Herder24. Analoga – quasi una sorta d’imprinting filosofico – è la nostalgia latamente platonica per una totalità originaria dell’uomo, per una condizione d’interezza, non ancora dimidiata e scissa, degli esiti della sua capacità d’esprimersi in chiave estetica; che si sarebbe manifestata al sommo grado nel dramma antico. Ma, ha commentato Michela Garda, se per i Romantici della prima generazione “la prospettiva di una fusione fra le arti era vista come un traguardo che si intravedeva al di là della situazione presente, un ideale evocato, auspicato”, nei saggi di poetica di Wagner “esso rappresenta, invece, l’unica alternativa storica non soltanto possibile, ma anche necessaria”25. Va ricordato, peraltro, che i vari Schiller, Hoffmann etc. non dedicarono al tema in oggetto che alcuni pur significativi accenni, “eccentrici nel contesto filosofico e letterario dei loro stessi autori”26 – spunti che soltanto decenni dopo andranno a coagularsi con forza ed efficacia nel colossale progetto estetico e musicale wagneriano. E che l’ambito del pensiero in cui tali germi caddero alla stregua d’impercettibile ma fecondissima semenza non era affatto orientato, come già adombrato, in direzione univoca. Certo, Schelling utopizzava un’intima fusione delle arti nella tragedia, sintesi di musica, parola, danza, pittura, teatro e scultura, elementi eterogenei amalgamati nella totalità del “grande stile”27; mentre Schlegel sognava un’interazione dei diversi linguaggi espressivi culminante nella “poesia universale e progressiva”28. Nondimeno, tra la fine del Settecento e i primi lustri del XIX secolo è pur sempre in voga il paradigma lessinghiano, con la risaputa distinzione fra arti dello spazio (pittura, scultura, architettura) e del tempo (musica e poesia) che, esposta nel 1766 nel Laokoon, aveva assunto fin da subito la forza di un riferimento imprescindibile per la riflessione e la pratica estetica, tanto che larga parte delle manifestazioni interdisciplinari succedutesi a cominciare dal primo Romanticismo, da Runge in poi, trae l’abbrivo, più o meno direttamente, proprio dalla volontà di confutare l’asserto di Lessing; il quale aveva inteso scoraggiare i creatori dal praticare tentativi d’emulazione tra le differenti arti, data l’incomparabilità delle caratteristiche dell’una rispetto a quelle dell’altra29. E ancora molti anni dopo il Laokoon il filosofo tedesco Johann Friedrich Herbart, convintamente attestato sul fronte antihegeliano30, opinava che ogni forma espressiva tendesse alla bellezza secondo maniere e “per canali affatto originali ed imparagonabili”31: posizione che pare riecheggiata, alla metà del secolo, dal campione per eccellenza dell’ala antiwagneriana, Eduard Hanslick, che si scaglierà con durezza contro la pretesa, comune a tutti grandi sistemi dell’Idealismo tedesco, di dedurre la normatività estetica delle singole arti “da un puro e semplice adattamento del concetto generale metafisico del bello”32.                                                             24 J.-J. Nattiez, Wagner androgino. Saggio sull’interpretazione, trad. it. di L. Cottino e C. Mussolini, Einaudi, Torino 1997 (Wagner androgyne. Essai sur l’interprétation, Christian Bourgois, Paris 1990). 25 M. Garda, Gesamtkunstwerk…, 2007, p. 281. 26 Ibidem. 27 F.W. Schelling, Philosophie der Kunst (1802), in F.W. Schelling, Ausgewählte Schriften, a cura di M. Frank, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1985, p. 564. 28 G. Pulvirenti, Altre scritture: il Gesamtkunstwerk nel primo Novecento, in G. Pulvirenti - R. Gambino - V. Scuderi (a cura di), Le muse inquiete. Sinergie artistiche nel Novecento tedesco, Olschki, Firenze 2003, p. 42. 29 Lo stesso Wagner principia la seconda parte del suo fondamentale trattato Oper und Drama richiamandosi alla partizione proposta nel Laokoon, pur aggiungendo, quasi ad autoassolversi preventivamente, che, “allorché Lessing studiavasi … di cercare e di stabilire i limiti della poesia e della pittura, aveva innanzi agli occhi quella poesia, che già non era più altro che descrizione” (R. Wagner, Opera e Dramma [1851], trad. it. di L. Torchi, Fratelli Bocca, Milano 1939 [Oper und Drama, J.J. Weber, Leipzig 1852], p. 145). 30 Evidente è la critica all’estetica idealista, la cui “intuizione mistica … presuppone che il bello sia uno solo e si trovi in tal guisa nell’ente primo da esserci accessibile, coll’immediata conoscenza di questo, anche lo stesso bello” (G.F. Herbart, Introduzione alla Filosofia, trad. it. di G. Vidossich, Laterza, Bari 1927 [Lehrbuch zur Einleitung in die Philosophie, August Wilhelm Unzer, Königsberg 1813], p. 17). 31 G. Guanti, Introduzione, in G. Guanti (a cura di), Romanticismo e musica. L’estetica musicale da Kant a Nietzsche, EDT, Torino 1981, p. 9. Osserverà Hippolyte Taine che ogni arte ha una sfera d’azione sua propria, e che decade quando tenti di prendere in prestito gli effetti di un’altra. 32 E. Hanslick, Il bello musicale, trad. it. di M. Donà, A. Martello, Milano 1971 (Vom Musikalisch-Schönen. Ein Beitrag zur Revision der Aesthetik der Tonkunst, Weigel, Leipzig 1854), p. 8.

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5. Il Gesamtkunstwerk nella riflessione di Richard Wagner: questioni terminologiche, filosofiche, estetiche

Resta da intendere quale sia effettivamente l’autentica nozione di Gesamtkunstwerk rinvenibile negli scritti teorici di Wagner. Illuminanti sono le osservazioni di Carl Dahlhaus: detto in modo talmente pregnante e perspicuo da sembrar quasi aere perennius, il compositore “sentiva la propria opera non come una forma particolare di dramma … ma come il vero e proprio dramma onnicomprensivo, come l’unico dell’età moderna, dei secoli dopo Shakespeare, che meriti il nome di dramma”33. E questo “dramma … significava tanto il compimento, quanto il superamento dell’‘arte’”34, giungendo a configurarsi, appunto, quale Gesamtkunstwerk35 o, altrimenti designato, künstlerisches Gesamtwerk36 (espressioni delle quali, peraltro, Wagner fece un uso alquanto parsimonioso), cioè “sintesi delle forme artistiche che esso abbraccia”37, in cui ognuna, presente al sommo grado della propria pienezza, contribuisce all’universalità e globalità del risultato estetico complessivo. Ma a quale accezione di “dramma” si riferisce Wagner, quando impiega la locuzione di “opera d’arte totale”? Anzitutto va affrontata la questione terminologica: nel sottotitolo di Tristan und Isolde, che è senza dubbio uno dei più compiuti paradigmi della sua concezione teatrale, l’autore utilizza la parola Handlung (azione, trama, intreccio), prescelta al fine di evitare precisamente la definizione di Drama, che nella prassi linguistica tedesca dell’epoca suggeriva l’idea di “spettacolo non cantato”, “pièce in prosa”, per così dire. Invece, le definizioni Bühnenfestspiel (saga scenica) e Bühnenweihfestspiel (saga scenica sacra), escogitate dal compositore per Der Ring des Nibelungen e per Parsifal, “non indicano tanto il genere cui appartengono queste opere quanto la loro pretesa di essere immuni dalla corruttrice routine teatrale cui l’opera lirica, nell’opinione di Wagner, era scaduta. La denominazione Musikdrama … sembra essersi affermata negli anni sessanta come contrassegno del carattere specifico dei lavori wagneriani”38, ma fu rigettata dall’autore stesso in un breve saggio del 1872, nel quale la medesima sorte era riservata alla similare locuzione musikalisches Drama, e il compositore concludeva con un divertito appello ai futuri frequentatori dei Festspiele bayreuthiani, affinché trovassero loro “un nome per quella ‘cosa’” ch’egli si proponeva di presentare agli amici “come una creazione artistica priva di nome”39. In realtà, quest’“opera dell’avvenire” perseguiva un’ambizione d’interezza, coltivata in relazione e reazione all’esperienza della disgregazione e della frantumazione dell’esistere, tratto costitutivo della modernità che Wagner aveva saputo cogliere sulla scia di un pensiero che procedeva dalla sinistra hegeliana a Marx, ma con un’originalità e freschezza determinate dal suo atteggiamento in fondo più psicologistico che sociologico, perlopiù alieno dalla tentazione di ridurre le dinamiche personali e comunitarie a ingranaggi di un sovrastrutturale meccanismo economico, produttivo e politico. Alla base dell’utopia del Gesamtkunstwerk, insomma, vi è un’analisi profonda, di marca pur sempre idealistica (trattasi comunque di fenomenologia dello spirito40), della condizione umana nel suo divenire storico: donde il tentativo di riaggregare e ricostruire una totalità distrutta,                                                             33 C. Dahlhaus, La concezione wagneriana del dramma musicale, trad. it. di M.C. Donnini Macciò, Discanto, Fiesole 1983 (Wagners Konzeption des musikalischen Dramas, Gustav Bosse, Regensburg 1971), p. 14. 34 Ibi, p. 18. 35 R. Wagner, Gesammelte Schriften und Dichtungen, vol. III, E.W. Fritzsch, Leipzig 1872, p. 60. 36 Ibi, p. 159. Si veda anche E. Borrelli, Estetica wagneriana, G.C. Sansoni, Firenze 1940, pp. 49-109. 37 C. Dahlhaus, La concezione wagneriana…, 1983, p. 18. 38 Ibi, p. 12. 39 R. Wagner, Sulla denominazione Musikdrama (Über die Benennung Musikdrama, in R. Wagner, Gesammelte Schriften und Dichtungen, vol. IX, E.W. Fritzsch, Leipzig 1873, pp. 302 ss.), in R. Wagner, Musikdrama, a cura di F. Gallia, Studio Tesi, Pordenone 1988, p. 58. 40 In Die Kunst und die Revolution Wagner definisce la storia come il “necessario movimento di una corrente che, nonostante le svolte, le deviazioni e le inondazioni, continua a fluire sempre nella direzione principale” (R. Wagner, L’arte e la rivoluzione [Die Kunst und die Revolution (1849), Weltgeist-Bucher, Berlin 1926], in R. Wagner, L’arte e la rivoluzione e Sul principio del comunismo, trad. it. di N. Pennacchietti, Fahrenheit 451, Roma 2003, p. 65).

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ripristinando l’originaria coesione dell’individuo, ricomponendo una compagine comunitaria disgregata e scissa. Il “dramma” wagneriano, quindi, vuole aggregare: a livello di “fruizione” e “ricezione” realizzare un sentimento di unità corale, e sul piano creativo (re)introdurre un procedimento compositivo sinergico, tale da coinvolgere ogni organo sensoriale e ingenerare un’“appercezione simultanea del fenomeno estetico sul piano di un’articolazione semantica plurivoca”41. Quella che nel 1851 è sviluppata in Oper und Drama non è, dunque, una semplice poetica, bensì un’autentica filosofia (o mitologia) della storia, che, attraverso l’azione catartica del nuovo Gesamtkunstwerk, ambisce al ripristino dell’originario, di “ciò che è puramente umano”. Con risvolti insieme psicologici e sociali: l’idea di ricuperare lo spirito della tragedia antica verte proprio sulla dimensione di rito collettivo che essa comportava42, e che sarà riproposta nei Bayreuther Festspiele. Poi, nemmeno Wagner spiega in modo dettagliato e univoco in che cosa debba tradursi, sotto il profilo dell’ordinamento e del vivere comunitario, questa rivoluzione. Lo rilevò con sagacia Thomas Mann quando scrisse che “per le sue idee politiche non fu certo patriota nel senso dello stato-potenza, ma piuttosto socialista, utopista culturale mirante ad una società senza distinzione di classi, liberata dal lusso e dalla maledizione dell’oro, fondata sull’amore; insomma il pubblico ideale sognato per la sua arte. Il suo cuore era per i poveri contro i ricchi”, benché, “seguendo il cammino percorso dalla borghesia tedesca”, egli sia infine passato “dalla rivoluzione alla delusione, al pessimismo e all’intimismo rassegnato all’ombra del potere”43. Anche riguardo alle modalità d’interazione tra i diversi media coinvolti nell’“opera d’arte totale”, le enunciazioni contenute degli scritti di Wagner sono tutt’altro che incontrastate e ferme. Si conferma ancora la discrepanza già rilevata fra teoria e prassi, tanto da lasciarsi quasi indurre a sottoscrivere, almeno in parte, un severo asserto di Giovanni Guanti, secondo cui questi “filosofemi”, “con l’apparato mitologico che li accompagna”, occuperebbero “i piani meno nobili di un gigantesco edificio spirituale che svettò ben altrimenti alto nelle pure costruzioni sonore che non nei concetti delegati a chiarificarne la funzione”44. L’ambiguità principale, che ha dato adito al maggior numero di fraintendimenti, risiede probabilmente nella definizione del rapporto tra musica e dramma nell’“opera d’arte dell’avvenire”, così com’è formulata nel celebre passo di Oper und Drama dove Wagner, manifestando quella che è in fondo la tesi portante del libro, definisce la prima quale “mezzo dell’espressione”, mentre il secondo ne sarebbe lo “scopo”. Vi sono, in un’affermazione così icastica, i vantaggi, ma anche e soprattutto i “difetti” – ha chiosato Dahlhaus – di uno “slogan, in quanto, attraverso un’apparente pregnanza e la drasticità dell’antitesi”, si cela “l’indeterminatezza della categoria centrale, il concetto di dramma”45. In effetti, “nell’intento di … formarsi un’idea concreta di quel dramma di cui la musica sarebbe funzione, gli esegeti sono sempre stati inclini ad identificare senz’altro il dramma col testo verbale” 46; ma “il testo, la poesia, non diversamente dalla musica, viene inteso da Wagner come mezzo del dramma, non come sua essenza”47, sicché “la questione della sudditanza della poesia alla musica o della musica alla poesia è … secondaria, se non addirittura irrilevante”48. Ambedue, per usare una terminologia matematica, sono funzioni di quel dramma che è

                                                            41 G. Pulvirenti, Altre scritture…, 2003, p. 40. 42 “La tragedia fu … il trasformarsi d’una cerimonia religiosa in opera d’arte”; in essa “s’affacciava il desiderio di rappresentare collettivamente e deliberatamente il ricordo” dell’origine comune della nazione, delle “tradizioni leggendarie” della tribù (R. Wagner, L’opera d’arte dell’avvenire, trad. it. di A. Cozzi, Rizzoli, Milano 1983 [Das Kunstwerk der Zukunft, O. Wigand, Leipzig 1850], pp. 251-252). 43 Th. Mann, Dolore e grandezza di Richard Wagner, trad. it. di L. Mazzucchetti, Discanto, Fiesole 1979 (Leiden und Größe Richard Wagners, Fischer, Berlin 1935), p. 49. 44 G. Guanti, Introduzione, 1981, p. 13. 45 C. Dahlhaus, La concezione wagneriana…, 1983, p. 15. 46 C. Dahlhaus, I drammi musicali di Richard Wagner, a cura di L. Bianconi, Marsilio, Venezia 1998 (Die Musikdramen Richard Wagners, Erhard Friedrich, Hannover 1971), p. 177. 47 C. Dahlhaus, La concezione wagneriana…, 1983, p. 15. 48 C. Dahlhaus, I drammi musicali…, 1998, p. 177.

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primariamente rappresentazione di un’“azione visibile”, nella quale si dovrebbe esprimere una “natura” umana riscoperta e depurata dalle incrostazioni deformanti delle convenzioni sociali. In questa maniera, si esplicherebbe nelle sue più alte facoltà la valenza della parola poetica, potenziata dalla musica e dalla gestualità corporea dell’evento scenico. Ché il dramma s’adempie precipuamente nella rappresentazione teatrale, dove suono e parola si fanno corpo e vita. 6. L’opera d’arte dell’avvenire

In Das Kunstwerk der Zukunft, pubblicato nel 1850 a Zurigo, Wagner analizza singolarmente le caratteristiche delle singole arti – la poesia, la danza, la musica, l’architettura, la scultura, la pittura – chiamate a costituire il Gesamtkunstwerk, e va poi a enucleare, nel quarto capitolo del trattato, i termini dell’incontro e della fusione delle forme espressive ed estetiche all’interno del dramma. Denunciata la sostanziale estraneità al grande pubblico dei prodotti creativi a lui contemporanei, che escludono dal loro godimento coloro che siano sprovvisti di sufficienti competenze tecniche e strumenti di decodificazione, Wagner sostiene che “l’arte, per avere una qualsiasi influenza sulla vita”, debba “essere essa stessa come il frutto di una cultura naturale, cioè d’una cultura che viene dal basso”49, e non la mera applicazione di un esteriore e pedantesco apparato di regole e norme imposto dal Beckmesser di turno. Essa, anzi, per raggiungere una fioritura feconda dovrà sottrarsi all’alleanza con l’individuo utilitario e aderire ai bisogni reali all’uomo nuovo. Il Gesamtkunstwerk, allora, si rende indispensabile proprio perché “nessun arte isolata può rivelarsi … al pubblico comune e per una comprensione completa se non accede a un contatto collettivo con le altre arti”50. Il dramma nasce, appunto, dal desiderio d’ogni forma espressiva di rivolgersi nel modo più diretto all’assemblea degli spettatori. Chiaramente, occorrerà ripartire i compiti e le funzioni: l’architettura non potrà nutrire “intenzione più alta di quella di creare, per un’accolta di uomini che si rappresentano artisticamente da se stessi, il luogo necessario all’opera d’arte umana per la sua manifestazione”51, ossia il teatro; edificio che, essendo “destinato a rispondere all’unico fine artistico collettivo”52, presupporrà da parte del progettista un agire pienamente conforme al Kunstwerk der Zukunft, perciò alieno dalla ricerca del mero lusso, che è un’esigenza superflua e innaturale. Costruita la struttura complessiva, all’architettura spetterà anche di innalzare la scena, cui è richiesto di rispondere a due incombenze principali: “realizzare tutte le condizioni di spazio che sono necessarie all’azione drammatica collettiva che si deve rappresentare” e “assolvere i suoi compiti in modo da rendere l’azione drammatica percepibile e intelligibile alla vista e all’udito di tutti gli spettatori”53. Quindi, un programma concreto e fattivo. Però, avverte Wagner, nemmeno “il più fastoso edificio di pietra” è di per sé sufficiente all’estrinsecazione dell’opera d’arte totale; è affatto essenziale una scenografia che sia in grado di suggerire l’“immagine vivente” dell’uomo, e dell’ambiente in cui si svolge la sua esistenza54. Ecco, dunque, che entra in causa la pittura, o, con più esattezza, la pittura di paesaggio, cui è demandato di ornare “dei freschi colori della natura, della calda luce dell’etere” le pareti della scena teatrale, affinché la vita vi sia resa “completamente intelligibile”55. Il disegno, l’uso del colore divengono così l’apporto dell’arte figurativa al Gesamtkunstwerk: essa si giustifica – e risulta del tutto comprensibile al “pubblico comune” – proprio nella misura in cui è assorbita nel dramma. L’obiettivo della pittura, in questa prospettiva, è di carattere eminentemente mimetico e

                                                            49 R. Wagner, L’opera d’arte dell’avvenire, 1983, pp. 281-282. 50 Ibi, p. 283. 51 Ibidem. 52 Ibi, p. 284. 53 Ibidem. 54 Ibi, p. 286. 55 Ibidem.

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rappresentativo: in poche parole, creare una “sensazione d’illusione perfetta”56. Ciò ch’è assai interessante e quasi profetico, nel discorso di Wagner, è il riferimento ch’egli compie, nell’additare tale scopo, a un “sapiente impiego artistico” della luce e “di tutti i procedimenti dell’ottica”57. In questa maniera, pare adombrato persino un superamento della pittura intesa come manipolazione di pigmenti in favore di un’arte di pure proiezioni luminose, di cui si ritroveranno le tracce nel clavier à lumières di Skrjabin, nel Sonchromatoskop di Alexander László, nelle sperimentazioni dei Farbenlichtspiele di Ludwig Hirschfeld-Mack al Bauhaus, nei film astratti di Ruttmann, Richter, Eggeling, Fischinger, giù giù fino a esperienze con i new media che procedono dagli anni sessanta fino a oggi. Il contributo della scultura all’opera drammatica complessiva è quello concettualmente più involuto nella trattazione di Wagner: postulata l’originaria derivazione dell’arte plastica dal movimento coreografico, se ne preannuncia ora la dissoluzione nell’organismo vivo della scena, sicché “le forme che gli statuari … si sforza[ro]no di effigiare nella pietra”, gli attori le modelleranno subito in se medesimi58. In tal modo, l’effetto d’“illusione” perseguito dallo scultore “diventa, nel dramma, verità”, e “l’artista figurativo tende la mano al danzatore, al mimo per divenire, per essere egli stesso danzatore e mimo”; anzi, nel Gesamtkunstwerk “danzatore, musicista e artista sono una cosa sola: nient’altro che l’uomo-artista che rappresenta, che si comunica alla più alta facoltà d’immaginazione secondo l’insieme di tutte le sue facoltà”59. Luogo precipuo di questa fusione è inevitabilmente il teatro, e suo fulcro assoluto – nonché criterio ordinatore – la messa in scena del dramma onnicomprensivo. Per descrivere tale intima unione Wagner non esita nemmeno a rispolverare la vecchia definizione delle “arti sorelle”, chiamate a fondersi per un’azione comune che consentirà a ciascuna di “poter essere e poter fare quel che vuole essere e quel che vuole fare secondo il suo carattere particolare”60. Nel Kunstwerk der Zukunft, infatti, la musica, la poesia, l’architettura, la pittura, la danza e persino la scultura saranno condotte alla massima forza espressiva, giungeranno “alla pienezza dei singoli valori”, cosicché non vi sarà risorsa che resti inutilizzata61. Perché, come si legge in Oper und Drama, soltanto alla scena è consentito di radunare in sé “tutte le proprietà e tutti i momenti dell’arte figurativa” nella loro perfetta compiutezza62. Per usare la felice espressione di Thomas Mann, si può affermare che emerga qui la “presunzione monistica” di Wagner, e forse anche il “dilettantismo di un autodidatta che assorbe da qualsiasi fonte nella certezza della propria infallibilità”63. Peraltro, egli sembra anticipare una prevedibile accusa di natura “tecnica” circa le modalità concrete di collaborazione e fusione delle varie discipline quando scrive che le “arti sorelle”, “completandosi reciprocamente nel loro giro alternato, … si metteranno in evidenza ora tutte insieme, ora a due a due, ora isolatamente, secondo la necessità dell’azione drammatica”, la quale è “unica legge e misura”, cui ogni aspetto ed elemento debbono conformarsi, sforzandosi di coglierne “l’intenzione”64. Nondimeno, non è certo così rintuzzata l’acuta critica di Adorno, che ammette sì come “istanza di reale umanesimo”65 il proposito di aggregare cooperativamente le arti (allo stesso modo gli organi di senso, nell’“uomo liberato”, “potrebbero un giorno associarsi”66), ma non si esime dall’osservare che “per un Gesamtkunstwerk valido … occorrerebbe una équipe di specialisti che pianificassero il lavoro”, essendo inattuabile che un unico individuo possa “farsi specialista per tutti i mezzi” di cui

                                                            56 Ibi, p. 288. 57 Ibidem. 58 Ibi, p. 290. 59 Ibi, pp. 291-292. 60 Ibi, p. 292. 61 Ibi, p. 293. 62 R. Wagner, Opera e Dramma, 1939, p. 146. 63 R. Tedeschi, Invito all’ascolto di Wagner, Mursia, Milano 1983, p. 147. 64 R. Wagner, L’opera d’arte dell’avvenire, 1983, pp. 294-295. 65 Th.W. Adorno, Wagner, 1966, p. 103. 66 Ibidem.

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il dramma abbisogna67. Emergerebbe ancora evidente, quindi, il carattere velleitario dell’utopia wagneriana, il cui risultato estetico rischia continuamente di tradursi in “mero agglomerato”68 (e, se ciò non accade, è in virtù della qualità musicale dell’insieme, piuttosto che della fondatezza dei presupposti teorici). Si tratta, del resto, di obiezioni che si affacciarono al compositore stesso, il quale, in un interessante passo citato da Adorno, associa l’autentica realizzazione del suo Kunstwerk der Zukunft al “sogno dell’uomo totale”69 vagheggiato per l’avvenire: “a nessuno meglio che a me può essere presente come l’attuazione del dramma da me inteso dipenda da condizioni che non sono nella volontà e nemmeno nella capacità del singolo, siano pur queste infinitamente più grandi delle mie; ma in una certa situazione, e in una cooperazione comune resa possibile da essa, di cui, ora, esiste soltanto l’esatto opposto”70. Uno dei più comuni fraintendimenti cui sarà soggetta la teoria wagneriana del Gesamtkunstwerk condurrà, invece, allo smarrirsi dello specimen dei rispettivi media in direzione di un “fluido” espressivo nel quale la pittura aspirerà a rendere con i colori l’effetto della vibrazione sonora, la musica a generare sensazioni visive, ogni arte a tramutarsi nell’altra quasi per pseudomorfosi, abdicando al proprio carattere o presupposto immanente. Anche ammettendo la natura spesso vaga e contraddittoria delle formulazioni contenute negli scritti di Wagner, va sottolineato che esiti siffatti costituiscono un palese forzatura, anzi un travisamento integrale di quanto esposto in Die Kunst und die Revolution, in Das Kunstwerk der Zukunft e in Oper und Drama. In quest’ultimo saggio l’autore, quasi presagendo gli equivoci cui poteva andare incontro la sua utopia totalizzante, avvertiva che “la confusione delle differenti specie d’arte non può che turbarne la comprensione. In fatti nulla vi ha per noi di più sconcertante che il vedere, p. e., il pittore, che rappresenta il suo soggetto in un’attitudine di moto, la cui descrizione non è possibile che al poeta, ma un completo disgusto noi proviamo, quando osserviamo un quadro, nel quale i versi del poeta sono messi come scritte nella bocca di un personaggio. Quando il musicista, – cioè il musicista assoluto, – tenta di dipingere, non produce né una musica né un quadro; ma se egli volesse accompagnare colla sua musica la contemplazione di un quadro reale, potrebbe star sicuro, che non si capirebbe né il quadro né la sua musica”71. In un altro passaggio del libro, stigmatizzando l’inconsistenza di talune reazioni critiche (o malevole) al suo ideale di Gesamtkunstwerk, Wagner mette in guardia anche dal rischio di fraintendere l’essenza vera del “dramma”, che mira ad attuare una “comunità di tutte le arti”72, e non certo un loro accostamento estrinseco73. Nemmeno su tale punto, però, manca d’appuntarsi la severa disamina di Adorno, il quale rileva, nella produzione scenica del compositore, una paradossale “indifferenza reciproca” dei media coinvolti, che sarebbe originata proprio dal loro avvicinamento “indiscreto”74, ossia dal fatto che l’autore non riuscirebbe ad “assegnare funzioni significanti” ai singoli elementi e idiomi espressivi, mescidati in una “falsa identità”, trattati come se convergessero, e per ciò stesso “violentati”, sfigurando la totalità ch’essi dovrebbero invece incarnare75. In realtà, pur senza pretendere di porsi nella prospettiva di una salomonica Aufhebung, occorrerebbe storicizzare sia il retroterra culturale delle affermazioni del filosofo, sia l’effettivo Kunstwollen del

                                                            67 Ibi, p. 104. 68 Ibidem. 69 Ibi, p. 105. 70 Cosima Wagner und Houston Stewart Chamberlain im Briefwechsel 1888-1908, Reclam, Leipzig 1934, p. 201, nota. 71 R. Wagner, Opera e Dramma, 1939, pp. 147-148. 72 R. Wagner, L’opera d’arte dell’avvenire, 1983, p. 298. 73 “Letterati puerilmente accorti si immaginano l’opera d’arte complessiva che ho indicata, come risultante della unione delle arti, quando essi credono di doverla considerare come l’atto, che amalgama alla rinfusa ogni specie d’arte”, come se “in una galleria di quadri, o in una sala dove siano esposte delle statue, si legga un romanzo di Goethe, e venga eseguita nel tempo istesso una Sinfonia di Beethoven” (R. Wagner, Opera e Dramma, 1939, p. 148). 74 Th.W. Adorno, Wagner, 1966, p. 98. 75 Ibi, p. 97.

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musicista: certamente, nella prima metà del Novecento la via maestra in direzione del Gesamtkunstwerk consistette nel tentativo di superare i limiti dei mezzi tradizionali, non più “assemblati in maniera addizionale” e con risultati monumentali, com’era in Wagner, “quanto piuttosto prodotti in un processo di genesi interna, per via di interazioni di natura analogica o di contrasto”76. Ma la constatazione nulla toglie alla profondità e alla coerenza di un pensiero estetico con cui è inevitabile ancor oggi confrontarsi. Paolo Bolpagni [email protected] Bibliografia di approfondimento

Sterminata, soprattutto nei Paesi di lingua tedesca, è la quantità di libri, cataloghi, saggi, articoli dedicati al tema dell’“opera d’arte totale”. Perciò, in aggiunta alle pubblicazioni citate nelle note a piè di pagina, mi sembra utile offrirne un ulteriore compendio nell’elenco a seguire, che è disposto in ordine cronologico.

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                                                            76 G. Pulvirenti, Altre scritture…, 2003, p. 43.

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