10 FEBBRAIO 2020 n.21 20 MAGAZINE Vitec Imaging WhatsApp … · 2020. 2. 10. · sappiamo quanto...
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MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
DAZN Linea Diletta Dietro le quinte di un format di successo09
2929
Lenovo X1 Extreme 2 Purosangue da corsa
SSD salva-MacBook a confronto
IN PROVA IN QUESTO NUMERO
Polichetti (ISS): “5G a rischio salute? Non c’è alcuna evidenza scientifica”Siamo andati all’Istituto Superiore di Sanità per capire se c’è qualcosa di vero nelle tesi dei movimenti “No 5G”, parlandone con il Primo Ricercatore, dott. Alessandro Polichetti
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Fatture a 28 giorni, la sentenza Il rimborso sarà automatico La sentenza del Consiglio di Stato sostiene la decisione dell’Agcom: i rimborsi agli utenti devono essere automatici e non solo per chi ne fa richiesta
Vitec Imaging Solutions è partner tecnico di DDAY.it 10
WhatsApp Pay parte nel 2020: pagamenti e scambi di denaro 06
Modem libero, ora lo è davvero Modem libero, ora lo è davvero Ecco gli scenari possibiliEcco gli scenari possibiliIl TAR del Lazio ha in gran parte respinto il ricorso di TIM e ora la delibera Agcom sul modem libero può essere attuata in tutte le sue parti, tranne una
JBL Link Bar Soundbar “all in one”
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LG e Samsung, linee di produzione LCD vendute ai cinesi 17
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TCL X10, il QLED che vuole battere l’OLED
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Il fotoxxxxxxIl fotoxxxxxx30 Pro
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DDAY.it: i l nuovo lab DDAY.it: i l nuovo lab test per l’autonomia test per l’autonomia degli smartphonedegli smartphone
Toyota e Panasonic Insieme produrranno batterie per auto
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MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
Finalmente sappiamo quanto guadagna YouTube. Gli azionisti non sono soddisfattiLa casa madre di Google, Alphabet, ha comunicato per la prima volta i ricavi pubblicitari di YouTube. I risultati sono in crescita costante, ma gli azionisti e gli investitori si aspettavano di più di Massimiliano DI MARCO
Conoscere per la prima volta i ri-cavi pubblicitari di YouTube non ha avuto l’effetto sperato da Google. Alphabet, la casa madre, ha an-nunciato che YouTube ha generato 15 miliardi di dollari in pubblicità nel 2019; sono entrati 4,7 miliardi di dollari tra ottobre e dicembre 2019. Nel 2018 il fatturato di You-Tube è stato di 11 miliardi. Sebbene gli azionisti abbiano applaudito alla trasparenza finanziaria, si aspetta-vano valori molto più alti, attorno ai 25 miliardi di dollari all’anno. Ecco perché, a poche ore di distanza dal resoconto finanziario, il valore del-le azioni di Alphabet è calato del 3%. Anche la divisione Cloud non ha stupito gli azionisti: 8,9 miliardi di dollari di fatturato nell’anno fi-scale 2019 e 2,6 miliardi nel quarto trimestre. La crescita del cloud è stata del 53% su base trimestrale, inferiore a quella di Microsoft, che ha registrato un miglioramento del 62% nelle vendite trimestrali. C’è un altro aspetto: sia nel caso di YouTube sia in quello di Google Cloud, Alphabet non ha divulgato gli effettivi profitti. La CFO di Alpha-bet, Ruth Porat, ha sottolineato l’in-cremento complessivo dei ricavi del gruppo (+18%) su base annua. Per Pichai “i nostri investimenti nel-la deep computer science, inclusi l’intelligenza artificiale, l’ambiente computing e il cloud computing, offrono una base solida per la cre-scita costante e per nuove oppor-tunità per Alphabet”.
di Roberto PEZZALI
L a delibera Agcom per il modem libe-
ro non si tocca: il TAR ha dichiarato
inammissibile il ricorso degli operato-
ri contro la parte di delibera che stabilisce
cosa succede a tutti coloro che stanno
tutt’ora pagando un modem.
Una decisione importantissima che ri-
guarda tanti utenti: chi oggi sta pagando
un contratto con il modem, che sia recen-
te o attivo da più di un anno, può decide-
re di contattare l’operatore chiedendo di
passare ad un contratto senza modem in-
cluso. L’operatore, a quel punto, è tenuto
a fargli una proposta di contratto che non
prevede il modem e l’utente può sceglie-
re se accettarla o rifiutarla, esercitando un
diritto di recesso senza penali per passa-
re ad un altro operatore. Il modem, però,
andrà restituito e sarà dovere dell’utente
portarlo al negozio o spedirlo.
L’operatore può fare una proposta di con-
tratto senza modem, e sarà il consumato-
re che dovrà quindi acquistare un modem
a sua scelta tra quelli compatibili disponi-
bili sul mercato, oppure potrà formulare
una proposta dove il modem non è più
a pagamento ma in comodato, e ovvia-
mente la proposta dovrà essere econo-
micamente più vantaggiosa del contratto
attivo, dove il modem si paga.
Chi può smettere di pagare il modem
quindi? Tutti coloro che lo stanno pagan-
do e dove in fattura è presente una qual-
che voce o qualche opzione che prevede
il modem, ed è il caso ad esempio di Vo-
dafone Ready, che costa 6 euro al mese
e che prevede tra i vari vantaggi anche il
modem. La delibera Agcom è chiara: ogni
operatore deve formulare una offerta con
e senza modem, quindi chi attualmente
sta pagando Vodafone Ready può chie-
dere a Vodafone di migrare ad un contrat-
to che garantisce esattamente le stesse
cose che offre l’opzione Vodafone Ready
ma con la quota del modem scorporata.
Oppure può cambiare operatore, senza
penali. Il TAR ha annullato solo una parte
di delibera, che effettivamente era forzata:
Agcom prevedeva che chi aveva ricevuto
un modem in comodato gratuito poteva
tenerlo, ma il Tar ha riconosciuto il diritto
degli operatori di ottenere la restituzione
dell’apparato di rete al termine del con-
tratto o dopo il passaggio ad un altro ope-
ratore. C’è un ultimo punto da chiarire, e
riguarda tutti coloro che hanno cambiato
operatore e si sono visti chiedere, dal pre-
cedente, il pagamento delle rate residue
del modem. Un utente che ha dovuto
pagare il modem contro la sua volontà
ora potrebbe impugnare questa senten-
za cercando un risarcimento: su questo
punto stiamo cercando di indagare. Una
vittoria per il modem libero, anche se
pure gli operatori, soprattutto TIM, hanno
ottenuto quello che volevano: dal ricorso
alla sentenza è passato tanto tempo e in
tutto questo tempo chi aveva un vecchio
contratto con modem probabilmente ha
finito di pagarlo o mancano ancora po-
che rate. E non è previsto in alcun modo
che le rate pagate fino ad oggi vengano
restituite. Si potrebbe ora far ricorso, ma
non conviene: con i tempi della giustizia
il ricorso verrebbe gestito quando ormai
non c’è più nessuno che sta pagando il
modem senza volerlo, i nuovi contratti sti-
pulati dall’inizio dello scorso anno ormai
prevedono tutti la possibilità di avere il
modem opzionale.
MERCATO Il TAR dichiara inammissibile il ricorso degli operatori. Una vittoria per il modem libero
Modem libero: TIM e Wind perdono il ricorso Chi sta pagando il modem ora può renderloLa delibera resta valida in tutti i suoi punti, tranne uno, che effettivamente era forzato
MERCATO 52 milioni le console Switch vendute dal lancio
Nintendo Switch continua a volare Per ora, ha battuto anche SNES
di Pasquale AGIZZA
Quasi 11 milioni di console vendute
in tre mesi, per un totale di oltre
52 milioni dal lancio. Sono questi
i dati di vendita di Nintendo Switch, la
console ibrida del produttore giappo-
nese che arriva, così, sul podio delle
console Nintendo più vendute di sem-
pre. Nintendo Switch ha fatto segnare un +15% di vendite rispetto allo stesso perio-
do dello scorso anno. L’azienda attribuisce questa impennata di vendite al rilascio di
Switch Lite e agli ottimi numeri in terra cinese. I 52 milioni di Switch venduti portano la
console ibrida nell’Olimpo delle console casalinghe Nintendo più vendute. A coman-
dare la classifica c’è Wii, irraggiungibile con i suoi oltre 100 milioni di console vendute.
Secondo posto per NES con circa 62 milioni e al terzo posto Switch, che supera di
poco (per ora) le vendite di SNES. Questa classifica, però, vale solo se consideriamo le
console casalinghe di Nintendo. Se apriamo il campo anche a quelle portatili, invece,
Switch è molto lontano dalla vetta detenuta dal Nintendo DS con gli oltre 150 milioni di
dispositivi venduti. Lontani anche GameBoy (120 milioni circa) e Nintendo 3DS (75 mi-
lioni). La chiusura della trimestrale di Nintendo evidenzia anche l’enorme successo del
parco software di Switch. A fare la parte del leone è Pokémon Spada e Scudo, con oltre
16 milioni di copie. In chiusura, Nintendo 3DS ha venduto appena 260mila copie, a di-
mostrazione di come Switch sia ormai la console di riferimento anche in campo mobile.
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MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
di Roberto PEZZALI
I l TAR del Lazio ha in gran parte respinto il ricorso di
TIM e ora la delibera Agcom sul modem libero può
essere attuata in tutte le sue parti. Il ricorso dell’ope-
ratore era legato ad una norma specifica della delibera,
l’Articolo 5, prima sospeso in attesa del pronunciamento
del TAR e ora a regime. La norma è la seguente:
Articolo 5 (Disposizioni transitorie):1. I fornitori di servizi di accesso ad Internet, entro 120
giorni dalla pubblicazione del presente atto, limitata-
mente ai contratti in essere che prevedono l’utilizzo
obbligatorio del terminale a titolo oneroso per l’utente
finale:
a. Propongono all’utente la variazione senza oneri della
propria offerta in una equivalente offerta commerciale
che preveda la fornitura dell’apparecchiatura terminale
a titolo gratuito o che non ne vincoli l’utilizzo attraverso
l’imputazione di costi del bene o dei servizi correlati al
terminale nella fatturazione;
b. In alternativa, consentono all’utente finale di recedere
dal contratto senza oneri diversi dalla mera restituzione
del terminale, dandone adeguata informativa.
Il termine previsto è stato poi esteso di 30 giorni, ma in
ogni caso al momento questa norma è attiva pertanto
si profilano diversi casi per gli utenti che in questi anni
hanno pagato un modem o stanno ancora pagando un
modem. La prima cosa però è capire a che condizioni
l’operatore ha dato il modem: era un comodato gratuito,
era un noleggio a rate o era un acquisto rateale?
Per poter smettere di pagare le rate o il noleggio del
modem restituendolo e per ottenere anche eventuali
rimborsi a seconda dei casi, é necessario che al tempo
della sottoscrizione del contratto il modem a titolo one-
roso fosse imposto, quindi che non ci fosse in vigore una
tariffa sottoscrivibile senza modem. L’utente può fare ri-
corso solo se non ha scelto lui di avere in modem, era
una scelta imposta. Per capire la condizione alla quale
è stato ceduto il modem è bene controllare la bolletta:
se esiste una riga che indica il prezzo del modem o se
ci sono pacchetti aggiuntivi nei quali è incluso anche il
modem a quel punto è facile ricondurre il tutto ad un
modem a pagamento. Resta il dubbio di cosa succede
per i clienti che hanno il modem in un pacchetto che
contiene opzioni multiple: il costo del modem non può
essere dedotto pertanto il cliente non può quantificare
il risparmio che scaturirebbe dalla restituzione del mo-
dem. È il caso ad esempio di Vodafone, dove il modem
è incluso in altre opzioni. Per questo solo AGCom potrà
dare un orientamento sui casi nei quali si può applicare
la condizione. Ecco i diversi casi.
1) Utente con contratto attivo che sta pagando un
modem sottoforma di noleggio o vendita
Questo è il caso più facile: l’utente con un contratto an-
cora attivo e con modem imposto a titolo oneroso (no-
leggio o vendita) può chiedere all’operatore di smettere
MERCATO Con la parziale bocciatura del ricorso al TAR del Lazio si aprono diversi interrogativi per chi paga o ha già pagato il modem
Modem libero, come chiedere il rimborso delle rate Il termine previsto è stato poi esteso di 30 giorni, ma al momento questa norma è attiva, quindi come fare? Ecco tutti i casi
di pagare le rate del modem, chiedendo la fornitura del
modem a titolo gratuito oppure restituendo il modem
all’operatore.
2)Utente con contratto attivo che sta pagando un
modem sottoforma di noleggio o vendita ma che
ha già chiesto negli ultimi mesi, quando ancora la
sentenza non era arrivata, di smettere di pagare.
Il caso è simile a quello sopra, ma se l’utente ha chiesto
all’operatore di smettere di pagare e esiste una qualche
forma di documentazione che lo prova, anche una mail,
può chiedere oltre a quanto gli spetta (vedi primo caso)
C’è però una nota a margine di questi due casi: un uten-
te con un contratto ancora attivo e con modem imposto
venduto potrebbe chiedere, in aggiunta alla trasforma-
zione del contratto di vendita del terminale in un con-
tratto di comodato gratuito o all’annullamento restituen-
do così il modem, anche la restituzione di tutte le rate
pagate. In linea teorica, se l’operatore stava vendendo
il modem a rate e la vendita viene ora annullata, par-
rebbe logico che, a fronte della restituzione del bene al
venditore, quest’ultimo rimborsi al compratore il prezzo
d’acquisto. Tuttavia in questo caso l’operatore potrebbe
porre resistenza, ma l’acquirente dovrebbe comunque
agire tramite una associazione dei consumatori o tramite
avvocati per ottenere quanto gli spetta. E le probabilità
di ottenere il rimborso sono buone. Ricordiamo anche
che in tutti questi casi di contratto attualmente in essere,
l’operatore può, alternativamente, consentire il recesso
dell’utente dal contratto, quindi l’utente può cambiare
operatore senza penali e senza altri oneri diversi dalla
sola restituzione del modem. Arrivano ora i casi più com-
plessi.
3) L’utente ha finito di pagare il modem, e/o non ha
più un contratto attivo, ma il contratto era attivo al
31/12/2018 e ha chiesto di non pagare il modem
Se questo utente ha chiesto di smettere di pagare il mo-
dem, potrebbe chiedere il rimborso dei canoni/rate del
modem corrisposti nel periodo intercorso dalla sua origi-
naria richiesta alla cessazione del contratto. Qui la situa-
zione è un po’ più complessa. L’operatore potrebbe far
spinta sul fatto che la condizione deve essere valutata
ad oggi, e non alla data di entrata in vigore della delibera
(poi sospesa). Tuttavia se l’utente aveva fatto esplicita
richiesta di smettere di pagare, con un reclamo o una
istanza di conciliazione, potrebbe avere buone probabi-
lità di ottenere quanto richiesto, ovvero la restituzione di
tutte le rate pagate.
4)L’utente ha finito di pagare il modem, e/o non ha
più un contratto attivo, ma il contratto era attivo
al 31/12/2018 e non ha mai chiesto di non pagare
il modem
Nel caso in cui il contratto è non più in essere, ma era in
essere al 31/12/2018, e non è mai stato chiesto all’opera-
tore di smettere di pagare il modem, potrebbe provare
comunque a chiedere il rimborso dei canoni di noleggio
pagati (almeno di quelli pagati da gennaio 2019 compre-
so) o dell’intero prezzo corrisposto per il bene, contro
la sua restituzione all’operatore. Questo caso è simile al
precedente, sicuramente ci sarà una forte resistenza da
parte degli operatori ad una richiesta simile e l’assen-
za di una richiesta esplicita da parte dell’utente rende
davvero difficile ottenere un eventuale rimborso. Qual-
cuno potrebbe chiedersi perché si parla di 31/12/2018
se la pubblicazione della /Delibera Agcom è avvenuta il
2/08/2018, e volendo un utente potrebbe tentare anche
una richiesta di risarcimento per contratto scaduti prima
del 31 dicembre 2018, ma sarà davvero difficile che una
richiesta tale possa venire accolta. Sarà molto importan-
te capire quali saranno i risultati dei primi reclami fatti da
parte degli utenti.
Come fare per ottenere il rimborsoLa prima cosa da fare è inviare un formale reclamo al-
l’operatore chiedendo quello che si può ottenere secon-
do i punti elencati sopra. Se un operatore rifiuta o non
accetta, o se entro 45 giorni dalla ricezione l’operatore
non ha fatto sapere nulla, è fondamentale aprire un pro-
cedimento su conciliaweb, la piattaforma dell’Autorità per
le garanzie nelle comunicazioni, semplice e interattiva,
per la risoluzione delle controversie tra utenti e operatori
di telefonia, Internet e Pay Tv. È anche importante, con-
testualmente al reclamo o all’apertura del procedimento,
segnalare la cosa direttamente ad AGCOM utilizzando il
modello D che si può compilare direttamente dal sito di
AGCOM: basta selezionare la voce “trasparenza tariffa-
ria”, indicare l’operatore e usare nel testo parole chiave
come “modem libero” o “Delibera 348/18/CONS”.
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MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
di Massimiliano DI MARCO
L ’Antitrust ha accertato un’intesa an-
ticoncorrenziale tra Fastweb, TIM,
Vodafone e Wind Tre per mantenere
un aumento dei prezzi mensili nel passag-
gio dalla fatturazione a 28 giorni a quella
mensile, resa obbligatoria a fine 2017. Per
tale ragione, l’Agcom ha sanzionato i 4
operatori per complessivi 228 milioni di
euro: 114 milioni di euro per TIM, 59 milioni
per Vodafone, 38 milioni per Wind Tre e 14
milioni per Fastweb, proporzionalmente
ai ricavi delle singole società. Le quattro
aziende hanno concordato la loro posi-
zione collettiva sul tema sia prima dell’en-
trata in vigore della disposizione legislati-
va di dicembre 2017 sia dopo, in modo da
coordinare le proprie offerte commerciali
ed effettuare un aumento dell’8,6% sui
prezzi mensili. Nella sua indagine, l’Anti-
trust ha accertato un coordinamento “sot-
teso a mantenere il prezzo incrementato,
vanificando il confronto commer-
ciale e la mobilità dei clienti”. Se
soltanto un’azienda avesse alzato
i prezzi, infatti, gli utenti avrebbero
potuto valutare le proposte com-
merciali degli altri operatori: così
non è stato poiché tutti e quattro
gli operatori hanno aumentato il
prezzo mensile delle tariffe mo-
bile e di rete fissa dell’8,6%. Le
aziende non hanno negato i contatti, ma
hanno contestato la ricostruzione fattuale
dell’Autorità Garante della Concorrenza e
del Mercato. Esse, infatti, hanno ritenuto
che tali concetti fossero leciti in quanto
riconducibili “all’esercizio del diritto di di-
fesa e in parte necessari e prodromici a
una legittima attività di lobby di categoria
verso il regolatore e verso il legislatore”.
Tale difesa è stata rigettata dall’Antitrust
in quanto, il coordinamento accertato
“travalica i confini della legittima attività di
lobby”. Già a marzo 2018, l’Antitrust ave-va adottato delle misure cautelari volte
a impedire l’attuazione dell’intesa tra Fa-
stweb, TIM, Vodafone e Wind Tre. Ecco
perché nell’imporre le sanzioni l’Antitrust
ha tenuto conto di questa circostanza,
ma ha proseguito affinché la maxi-multa
funga da deterrente “rispetto a possibili
future condotte concertate tra i suddetti
operatori”. L’Autorità ha anche preso in
considerazione l’esigenza che le sanzioni
“non siano ingiustificatamente afflittive”.
MERCATO Accertato un cartello tra gli operatori per mantenere l’aumento dei prezzi mensili
Fatture a 28 giorni, multa di 228 milioni dall’Antitrust Fastweb, TIM, Vodafone e Wind Tre si sarebbero accordati a danno della concorenza e dei clienti
di Sergio DONATO
L a fatturazione a 28 giorni delle telco
aggiunge un nuovo capitolo alle de-
cisioni delle autorità competenti. La
recente sentenza del Consiglio di Stato
ha sostenuto il diritto dell’Autorità per le
Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom) a
richiedere che i rimborsi agli utenti siano
automatici, e non destinati solo a chi ne
fa richiesta. Il Consiglio di Stato aveva
già stabilito a luglio 2019 che gli utenti avrebbero dovuto essere rimborsati per
gli importi aggiuntivi conseguenti alla fat-
turazione a 28 giorni degli operatori. Ma
le telco avevano interpretato la sentenza
come un rimborso su richiesta, cioè offer-
to a coloro che avrebbero compilato un
apposito modulo (solitamente) online.
Con la nuova sentenza, invece, il Consiglio
di Stato sostiene che i rimborsi delle fat-
turazioni a 28 giorni debbano essere au-
tomatici. Nel dettaglio, la sentenza 00879
del 2020 di cui si sta parlando respinge il
ricorso di Vodafone contro la delibera di
AGCOM sul diritto a rimborsare gli uten-
ti. Di fatto, la sentenza si
riferisce però a tutti gli
operatori, dato che l’atti-
vità di fatturazione a 28
giorni, nel suo comples-
so, è stata identificata
quale atto “sleale” e con
“aspetti eversivi”. Il Con-
siglio di Stato quindi ha
“spalleggiato” la decisio-
ne deliberata da Agcom
di rimborsare in modo automatico le vit-
time della fatturazione sleale, in quanto il
tipo di violazione richiede uno “strumento
della tutela indennitaria automatica di
massa a favore di tutti e ciascun utenti,
a fronte di violazioni generalizzate che
pregiudicarono una moltitudine di utenti
mediante un’unica e identica condotta
da parte dei più rilevanti operatori di te-
lefonia.” La sentenza fa anche scuola,
perché riconosce ad Agcom la possibi-
lità di stabilire una tutela indennitaria di
massa e di tipo automatico, eventualità
che non si è mai verificata prima d’ora.
Al di là delle multe a Fastweb, TIM,
Vodafone e Wind Tre di 228 milioni e
proprio per le fatture a 28 giorni, il qua-
dro generale delle recenti decisioni
del Consiglio di Stato sembra indicare
la consegna di un potere decisionale
più forte alle autorità competenti. Ne
è la prova la sentenza dell’AGCOM di fine gennaio che, puntellandosi sulla
n.8024/2019 del Consiglio di Stato, ha
sancito per la prima volta il principio se-
condo cui la variazione unilaterale a ope-
ra della telco può interessare solo servizi
già presenti nei contratti. Un potere nelle
mani delle autorità che tende ad aumen-
tare rispetto al passato.
MERCATO Il Consiglio di Stato supporta la decisione dell’Agcom: fatturazione a 28 giorni sleale
Consiglio di Stato sulle fatture a 28 giorni “I rimborsi devono essere automatici”Il quadro sembra indicare la consegna di un potere decisionale più forte alle autorità competenti
Estratto dai quotidiani onlinewww.DDAY.it
Registrazione Tribunale di Milanon. 416 del 28 settembre 2009
e
www.DMOVE.itRegistrazione Tribunale di Milano
n. 308 del’8 novembre 2017
direttore responsabileGianfranco Giardina
editingMaria Chiara Candiago
EditoreScripta Manent Servizi Editoriali srl
via Gallarate, 76 - 20151 MilanoP.I. 11967100154
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MAGAZINE
L’offerta Ultra HD di tivùsat si espande. Debutta Travelxp 4K al 225Nuovi arrivi sulla piattaforma satellitare Tivùsat di Hot Bird: al numero 225 c’è ora Travelxp 4K, un interessante canale che tra-smette documentari e programmi dedicati al turismo, alla natura, al lifestyle e alla storia. Tutto in de-finizione 4K con HDR per la gioia di chi ha già un TV predisposto. Travelxp 4K si affianca agli altri canali che vengono trasmessi a risoluzione Ultra HD su tivùsat, come Rai 4K, MyZen 4K, Fashion TV e NASA Ultra HD. Per vedere il nuovo canale è necessaria la tessera nera di Tivùsat, l’ultima arrivata e predisposta per la visione dei canali Museum e MyZen tv. Il canale dovrebbe comparire automaticamente nella lista LCN oppure a seguito di una nuova sintonizzazione.
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MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
BlackBerry si avvia alla fine. TCL smetterà di produrre i suoi telefoniTCL non produrrà e non venderà più i telefoni a marchio BlackBerry dal 31 agosto 2020. Il passaggio ad Android non è stato salvifico per BlackBerry, che rischia di scomparire di Sergio DONATO
La storia di BlackBerry sembra avvicinarsi alla fine. Almeno per la collaborazione con TCL Communi-cation, che il 31 agosto 2020 smet-terà di produrre e vendere telefoni a marchio BlackBerry. Ad annun-ciarlo è stata BlackBerry Limited sul suo profilo Twitter. La collabo-razione con TCL iniziata nel 2016 non è mai riuscita a riportare il mar-chio ai fasti dei primi anni duemila e con il picco massimo conquistato nel 2013, quando la società, allora ancora appartenente a RIM era riu-scita a vendere 6,8 milioni di tele-foni. Ma il BlackBerry OS ha soffer-to l’avanzata dei sistemi operativi concorrenti e la società si è dovuta servire di Android per rimanere in piedi. Si è poi consegnata definiti-vamente a TCL nel 2016, affidan-dole lo sviluppo, la produzione e la vendita dei telefoni successivi. Con TCL si è tentata anche la via dello smartphone “full touch”, ma l’iconica tastiera fisica era uno dei punti chiave e di immagine per la società, come anche la sicurezza. Pur tornando alla tastiera fisica, le cose non sono cambiate. BlackBerry ha definito il termine della collaborazione con TCL, ma non ha messo fine al nome Black-Berry, ma nel messaggio non c’è alcuna apertura circa i piani futuri, che non fa ben sperare.
di Massimiliano DI MARCO
L e vendite di PS4 calano preve-
dibilmente e i ricavi di Sony con
loro. La società ha annunciato un
fatturato trimestrale di 2.463,2 miliardi
di yen (20,5 miliardi euro), in aumento,
e un profitto operativo di 300,1 miliardi
di yen (2,5 miliardi di euro euro), in calo
rispetto al 2018. A riequilibrare il fisio-
lofico calo della divisione videoludica
ci hanno pensato i sensori fotografici
per smartphone. Il direttore finanziario
Hiroki Totoki ha sottolineato, anzi, che
nonostante le fabbriche di Sony abbia-
no lavorato alla massima efficienza non
sono riuscite a stare dietro all’enorme
domanda. Ormai sempre più smartpho-
ne adottano molteplici sensori, il che ha
sbilanciato l’equilibrio tra domanda e
offerta. Sony è il maggiore fornitore al
mondo di sensori per smartphone, che
vengono usati da produttori come Ap-
ple e Huawei. Sony ha toccato anche
l’argomento coronavirus, che in Cina
sta avendo un forte impatto economico
e logistico sulle filiere locali delle mul-
tinazionali. “Non possiamo escludere
la possibilità che la minaccia del virus
aumenti al punto da azzerare l’attuale
revisione al rialzo dei ricavi” ha detto
Totoki.
PS4, calo del 25%. Venduti anche meno smartphone, fotocamere e TVTra ottobre e dicembre 2019, Sony ha
venduto 6,1 milioni di PS4, in calo del
25% su base annua. Nell’intero 2019
sono state distribuite 14,7 milioni di
unità, meno del 2014, quando Sony ha
distribuito 15,4 milioni di console. Nel
2018 furono 17,7 milioni. Il calo delle
vendite di PS4 è fisiologico, perché
entro la fine dell’anno debutterà sul
mercato PS5.
I profitti derivanti dai sensori per smar-
tphone sono invece migliorati del 29%
su base fino a 298 miliardi di yen (circa
2,4 miliardi di euro). Sony ha citato un
miglioramento dell’offerta e un aumen-
to delle unità vendute come principali
catalizzatori della prestazione positiva.
Nel trimestre in esame, la società ha
venduto oltre 261 milioni di sensori;
erano 186,5 milioni nello stesso pe-
riodo del 2018. Notizie amare, invece,
per smartphone, TV e fotocamere,
racchiusi nella divisione Electronic Pro-
ducts & Solutions: i ricavi sono calati
del 9% a causa di un calo delle vendite
di smartphone e TV. Nello specifico,
nel trimestre ottobre-dicembre 2019,
Sony ha distribuito 1,3 milioni di smar-
tphone, 0,9 milioni di fotocamere e 3,4
milioni di TV. Nello stesso periodo del
2018 erano, rispettivamente, 1,8 milio-
ni, 1,1 milioni e 3,8 milioni. Nonostante
ciò, il profitto operativo della divisione
Electronics Products and Solutions è
migliorato; anzi, Sony è passata dal
passivo di 15,5 miliardi di yen del 2018
(128,9 milioni di euro) a un attivo di 7
miliardi di yen (58,2 milioni di euro),
dopo aver ulteriormente ridotto i co-
sti operativi legati alla vendita degli
smartphone. In ogni caso, Sony ha ab-
bassato del 2% la previsione dei ricavi
di questa divisione per l’anno fiscale
2019, che si chiuderà il 31 marzo 2020.
Come società, Sony ha invece alzato
del 5% il fatturato previsto per l’intero
anno fiscale.
MERCATO Il calo delle vendite hardware, da PS4 fino alle TV, bilanciato dai sensori per smartphone
Sony, ricavi su grazie ai sensori per smartphone Alzate le previsioni annuali del fatturato, ma le vendite di PS4, come prevedibile, calano
MERCATO Una commissione dovrà decidere le specifiche
Caricatore unico, l’Europa ha deciso Entro luglio arriveranno le regole
di Roberto PEZZALI
Troppi rifiuti elettronici, così l’Europa si prepara a fare una legge per obbligare i pro-
duttori ad utilizzare un caricatore che
sia compatibile con tutti i dispositivi.
Nella normativa non si fa alcun riferimento
al connettore: Apple, come altri produttori,
ha già rispettato il suggerimento che pre-
vede la separazione del cavo dal caricato-
re, pertanto l’unica cosa da fare sarà quella
di usare solo alimentatori con un connetto-
re che l’UE sceglierà, verosimilmente l’USB
Type C. Tutti gli alimentatori dovranno quindi avere da una parte la spina per attaccarlo
alle prese, e dall’altra un connettore USB Type C al quale collegare un cavo di ricari-
ca. Sarebbe impensabile obbligare il tipo di connettore sul dispositivo, anche perché
alcuni dispositivi di piccole dimensioni non possono avere un connettore standard.
L’Unione Europea ha anche tenuto in considerazione lo statement fatto da Apple relativo all’adozione di un caricatore unico, spiegando che terrà in considerazio-
ne anche l’evoluzione tecnologica dei prodotti. Anche se nessuno ha mai parlato del
connettore, tutta la partita fino ad oggi si è giocata sul caricatore. Apple, che è sempre
stata favorevole al caricatore unico, chiede di non regolamentare il connettore sugli
smartphone ma di limitarsi a rendere universale il caricatore per evitare sprechi. Se
l’Europa formulasse una legge dove i prodotti devono poter essere ricaricati con ogni
caricatore, questa legge impedirebbe ad esempio la creazione di prodotti privi di con-
nettore di ricarica, esclusivamente wireless.
torna al sommario 6
MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
di Gianfranco GIARDINA
D DAY.it annuncia la creazione di una nuova part-
nership con Vitec Imaging Solutions. Infatti Vi-
tec, con tutti i suoi prestigiosi marchi, diventa
partner tecnico di DDAY.it: la redazione sarà infatti
supportata nel suo lavoro dagli accessori e dalle do-
tazioni di Vitec, come i treppiedi, i supporti e le borse
Manfrotto, gli sfondi Lastolite, zaini e trolley Lowepro,
i supporti Joby, gli slider motorizzati Syrp, tanto per
citare alcuni prodotti della vastissima gamma del
gruppo.
Uno studio fatto solo con Manfrotto e compagniLa partnership si articola principalmente su due
aspetti: il primo è stata la “sfida” di creare uno stu-
dio video interamente equipaggiato con materiale
Vitec, tranne ovviamente le camere, che Vitec non
produce. E così è stato: inauguriamo ufficialmente un
nuovo studio in redazione interamente equipaggiato
Vitec. In particolare: tutti i treppiedi e tutte le teste
sono Manfrotto; sempre Manfrotto sono le strutture
che abbiamo montato per reggere tutte le luci, la
camera a soffitto e far passare tutti i cavi, grazie al-
l’impiego degli AutoPole, pali estensibili che vanno
in compressione a misura tra pavimento e soffitto,
fissandosi in qualsiasi punto senza necessità di fare
alcun lavoro né alcun buco. E poi i famosissimi Magi-cArm di Manfrotto che permettono di fissare ogget-
ti, come le luci, in qualsiasi posizione nello spazio e
soprattutto di correggerla facilmente in qualsiasi mo-
mento, semplicemente svitando una sola ghiera per
abilitare tutti i movimenti. Le luci sono i Manfrotto Lykos Bi-color, pannelli LED modulabili in intensità e
in temperatura di colore; sempre a marchio Manfrot-
to ma di derivazione LitePanels, altra celebre società
del gruppo Vitec. Il fondale a sfondi intercambiabili
è invece il Panoramic Background di Lastolite, mol-
to ampio, facilmente smontabile e trasportabile al
bisogno e con fondali intercambiabili velocemente
sostituibili. nfine, lo slider Syrp MagicCarpet con una testa motorizzata a tre assi Genie II completa
la dotazione. In questo studio faremo tutte le ripre-
se degli unboxing, dei tutorial e delle recensioni di
prodotto indoor.
MERCATO Il gruppo che governa marchi del calibro di Manfrotto, Lowepro, Lastolite, Gitzo e altri, diventa partner tecnico di DDAY.it
Vitec Imaging Solutions partner tecnico di DDAY.itInauguriamo un nuovo studio in redazione interamente equipaggiato Vitec. Fornirà materiale tecnico per lo studio e le trasferte
Ben equipaggiati per le “esterne”Il secondo aspetto su cui avremo il supporto tecnico
di Vitec è quello relativo agli accessori che sono in-
dispensabili per le nostre tante trasferte, in giro per
fiere e conferenze stampa, dove serve avere tutta
l’attrezzatura sempre con sé e, contemporaneamen-
te muoversi comodi. In quest’ambito le borse, gli zaini e i trolley Manfrotto e Lowepro sono compa-
gni preziosi, unitamente ai treppiedi più leggeri di
Manfrotto e agli accessori, supporti e luci, di Joby.
DDAY.it racconterà il mondo Vitec Imaging Solutions Cosa dà DDAY.it in cambio? Una collaborazione an-
che qui su due fronti: il primo è quello di diventare
uno dei “laboratori” pratici di Vitec: ci impegniamo
infatti a fornire ai progettisti Vitec tutti i nostri feed-
back di vita reale sui prodotti impiegati sul campo, e
questo per contribuire al costante miglioramento e
messa a punto delle soluzioni Vitec.
Il secondo fronte è quello del racconto dei prodotti
più interessanti e innovativi a favore dei nostri lettori:
unboxing, recensioni, guide alla scelta più corretta,
a seconda delle esigenze. E ovviamente siamo a di-
sposizione dei nostri lettori per approfondire deter-
minati temi e rispondere alle domande sui prodotti
Vitec, con l’aiuto anche del dipartimento tecnico
dell’azienda.
Il supporto di Vitec non condiziona DDAY.itUn chiarimento è doveroso: non si tratta di un accordo
di sponsorship. Non è previsto alcun trasferimento di
denaro collegato a questo accordo, Vitec non paga
DDAY.it e DDAY.it si impegna a formulare considera-
zioni e giudizi sui prodotti Vitec senza alcun condizio-
namento dovuto alla partnership tecnica in atto. I nostri
lettori non devono temere: i nostri giudizi sui prodotti
Vitec, come anche su quelli dei marchi concorrenti,
resta del tutto indipendente, onesto e rigoroso. Certa-
mente - e di questo non ne facciamo mistero - ci saran-
no molte più occasioni di parlare dei prodotti Vitec che
di altri marchi: ma questa è una cosa naturale, avendo
a disposizione un ampio parco di prodotti da provare.
Vitec Imaging SolutionsCome funziona la partenrship
lab
video
IL PANORAMIC BACKGROUND DI LASTOLITE LO SLIDER SYRP MAGICCARPET I MAGICARM DI MANFROTTO
torna al sommario 7
MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
di Roberto PEZZALI
Quali sono i criteri di scelta di uno smartphone di
oggi? Ce lo siamo chiesti, e siamo giunti alla con-
clusione che sono, estetica e sistema operativo a
parte, la qualità delle fotocamere, l’autonomia, la ricezio-
ne e la qualità delle chiamate. Tutti elementi che purtrop-
po è difficile valutare in modo oggettivo, fotocamera a
parte, e questo è un problema per chi come noi deve
dare un giudizio su prodotti che anno dopo anno miglio-
rano sempre di più. Uno dei punti sopra citati è sempre
stato un aspetto critico, quello legato all’autonomia, per-
ché i fattori che impattano sulla durata di uno smartpho-
ne sono tantissimi. Ecco perché, da più di un anno mesi,
abbiamo cercato di mettere a punto un test di laborato-
rio che fosse ripetibile, confrontabile e veritiero.
Dove siamo partiti, e dove siamo arrivatiSiamo partiti con la realizzazione di diversi robot che po-
tessero usare lo smartphone come noi, per fargli esegui-
re routine prestabilite, ma dopo svariati tentativi abbiamo
dovuto abbandonare l’idea.
Ago (foto 1), il primo robot che abbiamo stampato in
3D e progettato usando una configurazione a Delta e
una scheda Arduino, non era abbastanza grande per
gli schermi degli smartphone di ultima generazione, e
soprattutto richiedeva molte configurazioni e modifiche
per adattare le routine di test da un modello ad un altro.
Poi è arrivato Ago 2 (foto 2), un plotter cartesiano su
asse X/Y che al posto di usare una penna per scrivere
usava un pennino capacitivo: più efficace della prima
generazione, ma sempre complicato. Alla fine la scor-
sa estate abbiamo deciso di abbandonare la soluzione
“hardware” e siamo passati alla soluzione software, e
con la collaborazione di un partner tecnico che realizza
tool di automazione siamo riusciti finalmente a mettere
a punto quelli che sono veri e propri test di laboratorio
confrontabili che permettono di dare una valutazione
oggettiva e ripetibile. L’opposto di quanto viene fatto
oggi, dove valore come quello dell’autonomia sono cal-
colati con test assolutamente poco empirici e scientifici
o decisamente irreali. Uno sforzo enorme per mettere
MOBILE Dopo un anno di lavoro siamo riusciti a mettere a punto il primo vero test di laboratorio che simula un utilizzo “umano”
Arriva il test di autonomia degli smartphone No improvvisazione: valori confrontabili e ripetibiliI criteri di scelta di uno smartphone di oggi? Per noi, qualità delle fotocamere, autonomia, ricezione e qualità delle chiamate
a punto tutta la procedura per la misura, con continuo
aggiustamenti ai test e con diverse prove. Abbiamo fatto
le corse per arrivare ad una versione finale a inizio 2020,
e iniziare così a misurare i primi smartphone dell’anno
per poi proseguire con tutti i modelli più interessanti. Il
primo smartphone del 2020 che sarà misurato sarà con
ogni probabilità il Samsung Galaxy S20, ma anche le
prove che pubblicheremo le settimane prossime, quelle
di prodotti del 2019 come il G8X o il Realme X2 Pro. pas-
seranno dal laboratorio.
Come funziona esattamente il test della batteriaMa come funziona esattamente il test della batteria?
Semplice: grazie ad un tool di automazione e ad una se-
rie di scenari preparati e calibrati da noi ogni smartpho-
ne farà una serie di operazioni reali come se lo stesse
utilizzando un umano. Scattare foto, andare in standby,
mandare messaggi, scorrere le pagine di Facebook e
Instagram, fare telefonate e giocare. Le stesse cose, con
gli stessi tempi e gli stessi modi, ripetuti per tutti i model-
li. Siamo consapevoli che nessuno usa lo smartphone
allo stesso modo, e proprio per questo motivo abbiamo
scritto due diversi profili di utilizzo che restituiranno due
diversi valori di durata: un profilo “DDAY Medium”, pen-
sato per chi usa lo smartphone senza però averlo sem-
pre in mano e un profilo “DDAY Heavy”, pensato per chi
invece lo usa tantissimo. I profili sono simili, ma ci sono
alcune azioni, come ad esempio la ripresa video, che
vengono eseguite solo in alcuni scenari. Le condizioni
dei test saranno ovviamente le stesse per ogni smar-
tphone: ripristino dei dati di fabbrica e poi caricamento
di un backup con le stesse identiche applicazioni per
tutti gli smartphone. Le app precaricate, così come i ser-
vizi che ogni produttore attiva resteranno, ma è anche
giusto così: devono rientrare nelle varie valutazioni. Per
non falsare i risultati abbiamo preferito fare le misurazio-
ni partendo dalla batteria totalmente carica, 100%, fino al
10% di carica residua, anche per evitare che l’intervento
dei sistemi di risparmio energetico, più o meno aggressi-
vi, possa portare ad un risultato falsato.
Wi-fi, 4G e schermo come funzionano i nostri cicliQuando uno smartphone è carico inizia ad eseguire una
serie di cicli di azioni in autonomia, e si ferma solo quan-
do arriva al 10% di carica residua.
Uno smartphone non viene mai usato solo all’aperto,
sotto rete 4G, o al chiuso, sotto rete wi-fi, quindi abbia-
mo tenuto in considerazione anche questo fattore: ogni
ciclo prevede alcune operazioni sotto rete Wi-fi e sotto
rete 4G, e per avere uniformità di valori usiamo lo stesso
operatore, Vodafone, agganciato alla stessa cella. Ab-
biamo scelto Vodafone perché la zona dove abbiamo il
segue a pagina 08
1
2
lab
video
Lab test batteria di DDay.itL’unico test oggettivo
torna al sommario 8
MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
laboratorio è coperta dalla rete 5G pertanto, sui prodotti
compatibili, potremo fare anche test di autonomia con
rete 5G, verificando per i terminali più evoluti la differen-
za di consumo tra la connessione 4G e quella 5G.
Ogni scenario viene eseguito con lo smartphone carico
al 100% e ripetuto fino a quando non raggiunge il 10% di
carica residua.
Scenario di uso “medio” – DDay MediumCiclo di azioni che simula un uso in casa o in ufficio: lo
smartphone è in Wi-fi e luminosità dello schermo impo-
stata a 200 nits
Telefonata di 5 minuti
Controllo di Whatsapp e invio di un messaggio
1 minuto di scroll della timeline di Facebook
3 minuti di gioco (partita veloce)
5 minuti di visualizzazione di siti web noti (DDay, Gazzet-
ta, DMove, Corriere e Repubblica)
1 minuto di scroll della timeline di Instagram
Controllo di Whatsapp e invio di un messaggio
Invio di due email
Controllo di Whatsapp e invio di un messaggio
2 minuti di visualizzazione di siti web noti (Google, Me-
diaworld)
5 minuto di streaming video da Youtube
30 minuti di stand-by
Ciclo di azioni che simula smartphone in esterno, con
connessione 4G e luminosità dello schermo impostata
al massimo
Telefonata di 5 minuti
Controllo di Whatsapp e invio di un messaggio
1 minuto di scroll della timeline di Facebook
3 minuti di gioco (partita veloce)
5 minuti di visualizzazione di siti web noti (DDay, Gazzet-
ta, DMove, Corriere e Repubblica)
1 minuto di scroll della timeline di Instagram
Controllo di Whatsapp e invio di un messaggio
Invio di due email
Scatto di due fotografie dalla fotocamera posteriore
Controllo di Whatsapp e invio di un messaggio
2 minuti di visualizzazione di siti web noti (Google, Me-
diaworld)
5 minuto di streaming video da Youtube
Scatto di un selfie e pubblicazione sui social
30 minuti di stand-by
Scenario di uso “pesante”, DDay HeavyCiclo che simula un uso in casa o in ufficio: lo
smartphone è in Wi-fi e luminosità dello scher-
mo impostata a 200 nits.
Telefonata di 10 minuti
Controllo di Whatsapp e invio di tre messaggi
2 minuto di scroll della timeline di Facebook
5 minuti di gioco
5 minuti di visualizzazione di siti web noti (DDay, Gazzet-
ta, DMove, Corriere e Repubblica)
2 minuto di scroll della timeline di Instagram
Controllo di Whatsapp e invio di tre messaggi
Ricezione delle email ed invio di quattro email
Scaricamento di 100 MB di dati per simulare una even-
tuale installazione app
Controllo di Whatsapp e invio di tre messaggi
5 minuti di visualizzazione di siti web noti (Google, Me-
diaworld, Pitchfork, Amazon, Gazzetta)
10 minuti di streaming video da Youtube
15 minuti di stand-by
Ciclo che simula smartphone in esterno, con connessio-
ne 4G e luminosità dello schermo impostata al massimo
Telefonata di 10 minuti
Controllo di Whatsapp e invio di tre messaggi
2 minuto di scroll della timeline di Facebook
5 minuti di gioco
Scatto di due fotografie dalla fotocamera posteriore
1 minuto di registrazione video
5 minuti di visualizzazione di siti web noti (DDay, Gazzet-
ta, DMove, Corriere e Repubblica)
2 minuto di scroll della timeline di Instagram
Controllo di Whatsapp e invio di tre messaggi
Ricezione delle email ed invio di quattro email
Scaricamento di 100 MB di dati per simulare una even-
tuale installazione app
Scatto di due fotografie dalla fotocamera posteriore
Controllo di Whatsapp e invio di tre messaggi
5 minuti di visualizzazione di siti web noti (Google, Me-
diaworld, Pitchfork, Amazon, Gazzetta)
10 minuti di streaming video da Youtube
Scatto di un selfie e pubblicazione sui social
15 minuti di stand-by
Differenze evidenti sugli smartphone provatiAbbiamo eseguito questi scenari su alcuni smartphone
in redazione, e per far capire quanto effettivamente sia-
no efficaci possiamo mostrare nel grafico A.Il Galaxy Note 10 dura circa 6 ore, lo Xiaomi Mi9T Pro
14 ore. Nelle stesse identiche condizioni e con il profilo
Heavy. Gli smartphone non sono tutti uguali, e anche a
parità di batterie le differenze ci sono.
Oltre al valore di autonomia espresso in minuti e ore riu-
sciamo ad avere anche altri dettagli interessanti, come la
temperatura raggiunta dal dispositivo durante il test e la
curva di consumo della batteria (schema B).Tuttavia non pubblicheremo questi grafici, sono a nostro
avviso poco pratici e leggibili: quello che vedrete al ter-
mine di ogni prova sarà una scheda simile a quella qui
sotto (che ha all’interno valori finti) che vi darà per ogni
smartphone la durata nei due diversi profili, medio e pe-
sante, e la temperatura media e massima raggiunta dalla
batteria durante il test, segno della bontà della dissipa-
zione e anche il risultato dei migliori smartphone.
Un test unico nel suo genere, ma ne arrivano altri a brevissimoPer la prima volta, come avete potuto leggere, riusciamo
a dare qualcosa di davvero unico e innovativo, qualcosa
che non si può trovare da altre parti: un valore di durata
basato su una simulazione di uso reale e ripetibile. Ci
sono come sempre altri elementi che impattano sull’au-
tonomia, ma con questi dati che tengono in conside-
razione Wi-fi, 4G, schermo, rete e ogni altro parametro
siamo finalmente in grado di rendere il valore confron-
tabile tra dispositivi diversi. Non solo: uno strumento di
questo tipo ci permetterà di dare valutazioni oggettive e
realistiche dell’impatto di alcune funzionalità sulle quali
si è sempre dato un giudizio soggettivo: quanto incide
l’Always on Display? E uno smartwatch collegato? E il
refresh dello schermo o un aggiornamento di Android?
Con uno strumento di questo tipo potremo ripetere lo
stesso test variando semplicemente una condizione.
E siamo solo all’inizio: come abbiamo scritto oltre all’au-
tonomia è difficile dare una valutazione della qualità della
rete, della bontà del GPS e della qualità delle chiamate.
Stay tuned, per quando uscirà la prova del Galaxy S20, e
manca poco, arriveranno anche quelle: test di laborato-
rio veri con dati che non troverete da nessun’altra parte.
A B
MOBILE
Il test di autonomia degli smartphonesegue Da pagina 07
torna al sommario 9
MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
di Pasquale AGIZZA
I l 2020 sarà l’anno di WhatsApp Pay, al-
meno a sentire le dichiarazioni di Mark
Zuckerberg. Il dirigente americano, a
margine della conferenza sull’andamen-
to finanziario di Facebook, ufficializza
l’inizio delle operazioni entro i prossimi
sei mesi. “Nel 2018 abbiamo ottenuto
l’approvazione per testare WhatsApp
Pay con un milione di persone in India” la
dichiarazione del dirigente “E tantissime
persone hanno continuato a usarlo set-
timana dopo settimana. Sono davvero
entusiasta di questo, e mi aspetto che
inizi a diffondersi in un certo numero di
Paesi nei prossimi sei mesi”. Come evi-
denziato dalle parole di Zuckerberg, il
servizio è già disponibile per una selezio-
ne di utenti indiani. Il 2019 doveva essere
l’anno giusto per espandere il servizio a
tutta la popolazione dell’India, ma una
serie di beghe legislative hanno riman-
MOBILE L’annuncio è di Mark Zuckerberg, a margine della conferenza sui dati finanziari di Facebook
WhatsApp Pay partirà ufficialmente nel 2020 Pagamenti al bar e scambi di denaro tra privatiIl via entro i primi sei mesi del 2020, e l’Italia potrebbe essere fra le prime nazioni coinvolte
dato il lancio in grande stile del servizio.
In termini pratici, WhatsApp Pay è molto
simile ad altre piattaforme già diffuse. I
pagamenti passeranno, infatti, attraverso
la piattaforma WhatsApp, a cui va asso-
ciato un conto corrente o una carta di
credito. Consentirà non solo lo scambio
di soldi fra utenti, ma anche di pagare gli
esercenti e i siti di e-commerce che lo
supporteranno. Per chi è più attento alle
situazioni riguardanti l’Estremo Oriente,
WhatsApp Pay non può non ricordare
l’evoluzione di WeChat. L’applicazione
cinese, nata come semplice piattaforma
di scambio di messaggi, è diventata col
passare del tempo una piattaforma per il
business a 360 gradi.
Attraverso l’app gli utenti cinesi non solo
si scambiano soldi fra loro, ma pagano
anche le bollette, i biglietti del treno, gli
acquisti online, il conto del ristorante e
finanche le multe. Una storia di successo
che potrebbe guidare i prossimi passi di
Mark Zuckerberg.
Ecco come sarà Galaxy S20. Online le prime immagini ufficialiSamsung ha pubblicato per sbaglio la pagina relativa a Galaxy S20 sul sito tedesco. Confermate tutte le indiscrezioni, dal nome del prodotto allo schermo con il foro. A pochi giorni dal lancio si sa praticamente tutto di Pasquale AGIZZA
Schermo con foro centrale, settore fotografico rettangolare con le tre fotocamere in linea e, soprattutto, conferma del nome Galaxy S20 in-vece che S11. Tutte le indiscrezioni sui nuovi modelli top di gamma di Samsung hanno trovato la più au-torevole delle conferme.A togliere ogni dubbio è stata la stessa Samsung, che ha pubblica-to per errore la pagina relativa ai Galaxy S20 sul suo store tedesco. Dopo pochi minuti la pagina è stata rimossa, ma le immagini avevano fatto il giro del web. Oltre alla for-ma del telefono, le pagine hanno mostrato anche una nuova cover con griglia di LED simile a quella che il produttore aveva proposto per i vari modelli di S10. Questa pubblicazione arriva a pochi giorni dall’evento di San Francisco in cui Samsung svelerà i suoi nuovi top di gamma. L’appuntamento, infatti, è per l’11 febbraio e oltre ai nuovi Galaxy S20 c’è molta curiosità per la possibile presentazione di Gala-xy Z Flip. Samsung Galaxy S20 ar-riverà in tre versioni: normale, Plus e Ultra. Tutti i modelli utilizzeranno uno schermo con frequenza di aggiornamento di 120 Hz. La ver-sione più potente sarà il modello Ultra, che potrà contare anche su cinque fotocamere posteriori.
di Gaetano MERO
I l flusso di indiscrezioni in merito al Ga-
laxy Z Flip, nome provvisorio del pros-
simo smartphone pieghevole di Sam-
sung, sembra inarrestabile. A scatenare
l’entusiasmo degli utenti online è stata la
comparsa di alcuni render e la pubblica-
zione di una scheda tecnica dettagliata
a cura del magazine tedesco WinFuture.
Le immagini mostrano il Galaxy Z Flip nel-
le colorazioni purple e black che, secon-
do le informazioni, costituiranno due dei
quattro colori ufficiali dello smartphone.
Il design a conchiglia evidenzia, quando
il telefono è chiuso, una sorta di cornice
metallica sulla scocca che ha il compito
di conferire robustezza al Galaxy Z Flip
riparando dagli urti la parte centrale in
cui il display si flette. Passando ai dettagli
tecnici, Z Flip avrà un display AMOLED
da 6,7 pollici con risoluzione FHD+ e rap-
porto di 22:9, afferma WinFuture. Citato
anche l’Ultra Thin Glass di cui abbiamo già parlato, che proteggerà il display dai
MOBILE Non si placa la fuga di notizie sul nuovo smartphone pieghevole di Samsung, chiamato Flip
Galaxy Z Flip, il nuovo pieghevole di Samsung sarà così?In rete spuntano nuovi render e la scheda tecnica completa, a pochi giorni dalla presentazione
graffi e potrebbe a questo punto rappre-
sentare un materiale completamente
nuovo brevettato da Samsung per il set-
tore foldable. A bordo sarà presente qua-
si certamente il processore Snapdragon
855+, accompagnato da 8GB di RAM e
256GB per l’archiviazione interna, men-
tre sembra essere assente l’opportunità
di espandere la memoria con microSD.
Il comparto multimediale sarà costituito
da un doppio sensore 12MP+12MP gran-
dangolare, e una fotocamera interna da
10MP ricavata con un foro nel display e
dedicata chiaramente ai selfie. Conferma-
to il piccolo display di servizio esterno da
1’’ che si avvale della funzione Always On.
Galaxy Z Flip da aperto avrà uno spesso-
re di 7,2 mm, mentre con schermo piega-
to potrebbe raggiungere i 17 mm. Avanza-
te anche alcune ipotesi sulla batteria, con
una capienza da 3300 mAh, e sul prezzo
di lancio, attorno ai 1.500 euro.
Foto: winfuture.de
torna al sommario 10
MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
I TV italiani Sony, LCD e OLED, ricevono finalmente AirPlay e HomeKitNovità nel firmware dei TV AF9 e AG9 e delle serie XG di Sony. Pieno supporto di AirPlay e Home Kit di Apple, e Dolby Atmos che può essere sfruttato dagli altoparlanti integrati di Sergio DONATO
Sony fa passare di livello i suoi TV LCD Bravia e OLED Master Series 2018-2019, distribuendo la “secon-da fase” dell’aggiornamento ad Android 9 Pie e integrando una serie di nuove compatibilità, tra cui AirPlay e Home Kit. Le serie inte-ressate dall’aggiornamento sono AF9, ZF9, AG9, ZG9, XG85/XG87 e XG95. La versione aggiornata del firmware che porta le migliorie è la v6.3598. Al suo interno sarà compreso il supporto di AirPlay e HomeKit di Apple, e di Dolby At-mos attraverso gli altoparlanti del televisore, ma che potrà trovare l’output anche via HDMI ARC. Ap-ple identifica come compatibili ad AirPlay 2 i modelli serie Z9G (2019) serie A9G (2019) X950G (2019) e serie X850G (2019, modelli da 85”, 75”, 65” e 55”). Nelle note dell’aggiornamento si legge che è stato aggiunto anche un menu “Restart”, che permette di riavvia-re il TV tenendo premuto il tasto di accensione sul telecomando. Inoltre sono stati risolti alcuni pro-blemi audio delle cuffie bluetooth quando venivano riprodotti conte-nuti Netflix in 4K o in Dolby Vision. Visitando questa pagina Sony è possibile avere una lista completa di cambiamenti previsti dall’ag-giornamento del firmware.
di Massimiliano DI MARCO
L a spinta dell’8K in Giappone è stata
sopravvalutata. Sharp ha annunciato
che inizierà a vendere in Giappone
anche TV OLED 4K che usano un pan-
nello prodotto da LG per estendere il ca-
talogo, a causa delle vendite inferiori alle
aspettative dei suoi TV 8K.
Il produttore nipponico è tra quelli che più
ha creduto nell’8K, specialmente dopo
che l’emittente nazionale giapponese,
la NHK, ha attivato un canale lineare che trasmette in 8K, tra cui soprattutto do-
cumentari. Eppure, la strategia di Sharp,
sostenitrice della tecnologia LCD, non ha
pagato: a settembre 2019 ha perso 3,6
punti rispetto a dicembre 2018, quando
deteneva una quota di mercato pari al
25,8%. In Giappone, Sharp è stata su-
perata da Sony e Panasonic per volume
di TV distribuite. Per tale
ragione, Sharp ha confer-
mato che includerà nella
sua offerta TV 4K OLED
da 55” e 65” al fine di
adattarsi alle richieste del
mercato. Dal 2017 Sharp
ha investito nella promo-
zione di TV 8K, che usano
un pannello LCD realizza-
to in proprio, ma i risultati commerciali
sono stati deludenti. Il prezzo, inoltre, è
molto elevato: 12.000 euro per un TV da 70”. A tale situazione ha contributo
un calo delle vendite nel segmento di
fascia alta, che per Sharp significa aver
venduto meno TV 8K del previsto. Pana-
sonic ha invece registrato una crescita
superiore al 30% delle TV OLED dai 55”
in su. Ottimi risultati anche per i TV OLED
Sony della stessa fascia. I contenuti di
NHK non rappresentano al momento una
base sufficiente per investire nelle TV
8K, soprattutto a casa di una scarsissima
presenza di contenuti online a questa
risoluzione. Le Olimpiadi 2020 di Tokyo
saranno trasmesse anche in 8K, eppure
a oggi i consumatori sembrano molto più
indirizzati verso le TV 4K, più versatili e
proposte a prezzi molto più contenuti.
TV E VIDEO Ci aveva creduto già nel 2017, ma ora Sharp è costretta a fare un passo indietro
L’8K non decolla in Giappone malgrado il canale NHK Sharp abbraccia anche l’OLED con pannello LGLa Casa giapponese, da sempre tra i principali sostenitori della tecnologia LCD, cede all’OLED
di Sergio DONATO
L a notizia è di quelle che può sposta-
re capitali ed è necessario prenderla
con le pinze. Le vendite delle linee
di produzione LCD di Samsung e LG ad
aziende cinesi sembrerebbero indicare
che i due colossi coreani abbiano inten-
zione di concentrarsi sulle “nuove” tecno-
logie: leggasi, Quantum Dot e OLED.
LCD dalla Corea alla CinaDalla Corea del Sud arrivano indicazioni
circa la vendita di apparecchiature per
le linee LCD di generazione 8.1 di Sam-
sung - appartenute al Campus Asan - a
un produttore cinese di pannelli chiamato
Efonlong, con sede a Shenzhen. Le ap-
parecchiature saranno spedite in Cina a
febbraio e saranno installate da Efonlong
entro agosto. Lo spazio liberato dalle linee
LCD “tradizionali” sarà occupato da quello
necessario alle linee per la produzione di
pannelli Quantum Dot, che riguarderan-
no probabilmente i tagli dai 65” in su. Se
la vendita di Samsung ha già i termini di
consegna e installazione, LG sembra sia
ancora in fase negoziale con un’azienda
cinese non definita che sarebbe disposta
ad acquistare una linea di produzione
LCD P8 di LG.
Il desiderio di “liberarsi” degli LCD, LG lo
aveva già sussurrato al CES 2020, quan-
do aveva dichiarato che era sua intenzio-
ne terminare la produzione di TV LCD in Corea e concentrarsi sulla produzione
in Cina, come risposta al calo dei prezzi
dei pannelli LCD e all’eccesso di offerta
globale. L’intenzione di LG sarebbe quella
di passare a una percentuale di vendita di
TV OLED dal 30% del 2018 al 50% entro
il 2021, e per farlo ha bisogno di iniziare
ad accelerarne la produzione. Non è
escluso che il calo dell’offerta di pannelli
LCD da parte di Samsung e LG non porti
a una prima fase in cui i prezzi degli stessi
potrebbero aumentare, per poi diminuire
nel momento in cui la produzione cinese
prendesse piede.
TV E VIDEO Dalla Corea del Sud arrivano indiscrezioni. Il panorama dei pannelli TV sta per cambiare
LG e Samsung dicono addio agli LCD Linee di produzione vendute ai cinesiLa scelta sembra anticipare il desiderio dei due colossi di dedicarsi a OLED e Quantum Dot
Formation Duo, il primo sistema di altoparlanti senza fili per lo streaming che riesce a fornire la fedeltà "cablata" in modalità wireless,
per soddisfare l'audiofilo più esigente abituato allo standard Bowers & Wilkins.
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MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
di Paolo CENTOFANTI
Samsung al CES ha svelato in antepri-
ma i nuovi top di gamma 8K con cor-
nice ultra sottile, ma non si è lasciata
sfuggire nessuna anticipazione su quella
che sarà la gamma 2020 di televisori.
Giusto in tempo per il Super Bowl però,
Samsung ha annunciato in sordina negli
Stati Uniti la nuova serie Q60T, disponibi-
le per il momento solo in taglio da 85 pol-
lici. Si tratta di un TV con tecnologia QLED
e risoluzione 4K che introduce la nuova
retroilluminazione Dual LED, annunciata
da Samsung al CES parlando della nuova
gamma di TV Art. La tecnologia è stata
infatti sviluppata per offrire una più ricca
gamma cromatica, ma anche colori più na-
turali, e consiste essenzialmente nel mon-
tare due gruppi di LED “sintonizzati” su
temperature colore diverse, una più calda
e una più fredda, che verranno poi filtrati
dal “foglio” Quantum Dots per avere uno
spettro luminoso composto da sorgenti il
più possibile monocromatiche, il segreto
per avere un gamut più ampio. La serie
Q60T promette una copertura del 100%
in Ultra Wide Gamut e supporta i contenu-
ti masterizzati in HDR10+. Spulciando ulte-
riormente la scheda tecnica, intuiamo che
la serie Q60T offre tutte le novità annun-
ciate al CES per la piattaforma Smart TV
Tizen, con il supporto simultaneo per gli
assistenti vocali Amazon Alexa e Google
Assistant, oltre naturalmente a Bixby, inol-
tre si parla di “Supreme UHD Dimming” e
di “Quantum HDR 4x”, diciture simili ma
non del tutto a quelle utilizzate lo scorso
anno da Samsung, per cui non è chiaro se
il sostituto del Q60R diventa un Full LED o
rimane con retroilluminazione LED Edge.
Ricordiamo che la gamma QLED 2019 era
tutta full LED a partire dalla serie Q70R.
Ne sapremo sicuramente di più tra qual-
che settimana, quando Samsung dovreb-
be annunciare nel dettaglio tutte le novità
per gamma di TV 2020.
TV E VIDEO Già disponibile negli Stati Uniti la prima nuova serie 2020 di TV Samsung
Il primo TV 2020 di Samsung è il Q60T Presente la retroilluminazione Dual LEDEvoluzione del Q60R e che introduce la retroilluminazione Dual LED già presente sulla serie Art
di Sergio DONATO
Sembrano apparsi dal nulla i modelli
di TV OLED 4K denominati A85,
A87 e A89 da 55” e 65”. Non si era-
no visti nel corso del CES 2020, ma Sony
li ha esposti oggi sul proprio sito senza
indicarne il prezzo.
Le caratteristiche tecniche pubblicate
da Sony li rendono identici all’A8, quello
sì, visto a Las Vegas, e che è andato a
prendere il posto dell’AG8 presentato
nel 2019. Nel cuore degli A85, A87 e
A89 batte infatti lo stesso processore
X1 Ultimate che batte nella cassa tora-
cica dell’A8 e negli XH90, come anche
nel TV 8K ZG9. I pannelli da 55” e 65”
OLED 4K sono compatibili con l’HDR di
Dolby Vision e sono ovviamente prodot-
ti da LG Display. Piena compatibilità an-
che il suono Dolby Atmos, che proviene
direttamente dallo schermo grazie alla
tecnologia Acoustic Surface Audio che
riesce anche a rilevare la presenza de-
gli oggetti nella stanza al fine di ottimiz-
zare la resa audio del TV.
Il design è quello One Slate, il super
sottile di Sony con cornici altrettanto
minime, mentre il retro adotta lo stile
“Flush Surface” piatto, in modo da faci-
litare anche l’installazione a parete.
Il sistema operativo della serie A85,
A87 e A89 sarà ovviamente Android
TV 9, con piena integrazione con Alexa,
Google Assistant, AirPlay 2 e HomeKit
di Apple.
Sony non ha dato per il momento altre
indicazioni sul prezzo o sulla disponibilità
della nuova serie di TV OLED 4K.
TV E VIDEO Sono apparsi sul sito Sony tre nuovi modelli di OLED in due tagli, tutti della stessa serie
A85, A87 e A89: spuntano nuovi TV OLED 4K di Sony Fino a 65” con processore d’immagine X1 UltimateSono l’A85, A87 e A89 e sembrano identici all’A8, ma non si sono visti al CES 2020
AppleTV, l’app arriva sui televisori LG con video in 4K e Dolby VisionLG ha rilasciato in 80 paesi del mondo, Italia compresa, l’applicazione AppleTV per i suoi TV più recenti. Permette di accedere al servizio di streaming di Apple e alla libreria di contenuti onDemand, per la prima volta anche in Dolby Vision di Roberto PEZZALI
Da oggi, anche in Italia i possessori di una smart TV LG del 2019 pos-sono installare l’app di AppleTV e sottoscrivere i canali disponibili, AppleTV+ o Starz, o acquistare e film dalla library di iTunes alla mas-sima qualità, Dolby Vision incluso. LG è il primo partner di Apple a po-ter gestire su una periferica ester-na i contenuti di Apple TV in Dolby Vision: finora questo si poteva fare solo con il set top box Apple TV 4K. Manca solo il Dolby Atmos, che è ancora una “esclusiva” Apple. L’app è stata rilasciata per i TV del 2019 quindi le serie B9, C9, E9 e W9 OLED e per le serie di TV LCD Nanocell, SM9 e SM8. Nel corso dell’anno, verrà rilasciata anche per le UM7 e UM6, le serie LCD standard senza pannello NanoCell sempre 4K. Quando uscirà l’app per questi modelli, dopo l’estate forse, arriverà anche quella per i TV del 2018, mentre i TV del 2020 arriveranno con l’applicazione già installata. I TV del 2017 non saran-no supportati. Ora, grazie all’app, si possono vedere The Morning Show o For All Mankind dal TV, ba-sta solo fare l’account e sottoscri-vere il servizio da 5 euro al mese.
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MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
di Paolo CENTOFANTI
L a strada verso la realizzazione in Italia delle reti
cellulari in tecnologia 5G è segnata dalla nascita di
movimenti di protesta e opposizione come non se
ne sono mai visti per tutte le generazioni precedenti di
telefonia mobile. Lo scorso 25 gennaio si è addirittura
tenuta una giornata mondiale per dire stop alla speri-
mentazione e implementazione della nuova tecnologia,
che rappresenterebbe “una minaccia biologica di mas-
sa”, spesso sulla base di false convinzioni che nulla han-
no a che fare con il metodo scientifico.
Per riportare appunto la Scienza al centro del dibattito e
fare luce su quali possano essere gli elementi della tec-
nologia 5G che potrebbero realmente destare preoccu-
pazione, ci siamo recati all’Istituto Superiore di Sanità,
per fare una chiacchierata con il Dott. Alessandro Poli-
chetti, Primo Ricercatore e titolare del progetto Salute e
Campi Elettromagnetici, promosso dal Centro Controllo
Malattie del Ministero della Salute. Il Dott. Polichetti ha
infatti alle spalle una lunga serie di pubblicazioni scienti-
fiche sull’interazione tra campi elettromagnetici e corpo
umano e sugli effetti sulla salute. Quello che segue è
un estratto dell’intervista, che tocca i temi principali della
lunga chicchierata.
DDay.it: Dott. Polichetti andiamo dritti al punto: esi-
ste un’emergenza 5G relativamente ai rischi per la
salute pubblica?
Dott. Alessandro Polichetti: “Se c’è un’emergenza è
un’emergenza relativa alle preoccupazioni della popo-
lazione. Il discorso è se c’è un reale motivo di preoc-
cupazione. Sono due gli elementi principali che hanno
preoccupato la popolazione: uno, il fatto che è prevista
l’installazione di
molte più antenne,
più numerose di
quelle attuali. L’al-
tro motivo è che
verranno utilizzate
anche frequenze
che sono un po’ più
elevate di quelle utilizzate attualmente dalla tecnologia
cellulare 4G.
Intanto perché ci sarà un aumento del numero delle
antenne: l’evoluzione della tecnologia cellulare, già fin
dal 4G, è stata caratterizzata dall’installazione di più
antenne ma meno potenti e in generale da una ridu-
zione dei livelli di esposizione e con il 5G si continuerà
questa tendenza. Il 5G sarà poi destinato anche all’in-
ternet delle cose, quindi aumenteranno ancora di più
gli utilizzatori per cella, motivo per cui sarà necessaria
una diminuzione ulteriore delle dimensioni delle celle e
quindi un maggior numero di antenne. Parte della popo-
lazione si è preoccupata pensando che a tante antenne
corrisponda un aumento dell’esposizione, ma in realtà
SCIENZA E FUTURO Siamo andati all’Istituto Superiore di Sanità per capire se c’è qualcosa di vero nelle tesi dei movimenti “No 5G”
Ecco la verità scientifica del dott. Polichetti (ISS) “Il 5G non fa male, non c’è alcuna evidenza”Ne abbiamo parlato con il Primo Ricercatore dott. Alessandro Polichetti, che smonta tutti i “teoremi” degli allarmisti
avere tante antenne significa una diminuzione dei livelli
di esposizione, perché le potenze di emissione saranno
più basse.
Poi l’altro fattore è quello dell’utilizzo delle cosiddette
onde millimetriche (in realtà
superiori ai 30 GHz). In Italia
saranno utilizzate delle bande
di frequenza abbastanza simili
a quelle attuali, più una banda
a circa 27 GHz e si è detto che
per queste diverse frequenze
non sappiamo nulla sugli effet-
ti per la salute perché si tratta di frequenze inesplorate,
ma anche questo non è vero”.
DDay.it: Quali sono gli effetti biologici dei campi elet-
tromagnetici e a questo proposito c’è un intervallo
di frequenze che interagisce più di altri con il corpo
umano?
Dott. Polichetti: “Allora, intanto per i campi a radiofre-
quenza frequenza si intendono onde tra 100 KHz e 300
GHz. In questo intervallo di frequenze gli effetti che sono
stati accertati dalla ricerca scientifica sono gli effetti
connessi al riscaldamento. Sappiamo che un’onda elet-
tromagnetica che investe il corpo umano viene in parte
riflessa in parte assorbita dal corpo venendo convertita
in calore. Questo calore può tradursi in un aumento di
temperatura dei tessuti, ma l’aumento di temperatura è
limitato a causa del fatto che noi abbiamo un sistema
termoregolatore. Quali sono i livelli di esposizione che
possono dare luogo a questi effetti? Si usa per caratte-
rizzare questi effetti una grandezza detta SAR (specific
absorption rate) che per l’esposizioni localizzate della
testa non deve superare il valore di 2 Watt/kg, ed è un
limite previsto da uno standard internazionale di prote-
zione, che è stato ottenuto tramite fattore di riduzione
della soglia di effetto che è molto più alta in realtà: si
pensi a un fattore di protezione pari a circa 50 volte
rispetto alla soglia di effetto. Per avere un reale effetto
termico bisognerebbe avere potenze molto ma molto
più elevate. Il 5G questi livelli di esposizione non li dà.
Ci sono delle frequenze dove c’è un maggiore assorbi-
mento di energia e vanno da qualche MHz a qualche de-
cina di MHz, perché il corpo umano in questo intervallo
si comporta come un’ antenna risonante e abbiamo un
picco nell’assorbimento di energia. Questo non significa
che siano pericolose: tutto dipende dall’intensità. Per le
onde millimetriche sappiamo che per queste frequenze
l’esposizione del corpo è limitata agli strati più esterni,
quindi tutto l’assorbimento è limitato alla pelle. Questo
di per sé però non significa che non possano esserci
rischi naturalmente. Faccio un esempio: la radiazione
ultravioletta solare è una radiazione accertata come
cancerogena, nonostante il fatto che anch’essa venga
assorbita totalmente a livello della pelle. Però in quel
caso sappiamo che la radiazione ultravioletta ha degli
effetti mutageni che possono dare luogo appunto a dei
danni del DNA e poi abbiamo forti evidenze epidemio-
logiche di aumenti di tumori della pelle in persone che
sono state esposte molto alla radiazione solare, eviden-
za che non c’è per i campi elettromagnetici. Non abbia-
mo l’indicazione di questo e possiamo dire che anche
alle nuove frequenze del 5G i meccanismi noti sono
solo quelli termici.
segue a pagina 14
L’intervista al dott. PolichettiVersione ridotta
lab
video
“In realtà avere tante antenne significa una di-minuzione dei livelli di esposizione, perché le potenze di emissione saranno più basse, quindi il numero di antenne non dovrebbe costituire un elemento di preoccupazione”
torna al sommario 14
MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
Poi c’è tutto il problema aperto degli effetti a lungo ter-
mine come il possibile effetto cancerogeno dei campi
elettromagnetici, che è stato studiato ormai da decenni,
già prima dell’avvento della telefonia cellulare. Gli studi
sono sia sperimentali che epidemiologici, epidemio-
logici fatti sull’uomo direttamente esposto al campo
elettromagnetico, sperimentali su animali esposti in
laboratorio o su cellule
quando vogliamo capi-
re l’interazione a livello
di DNA. Ora, tutti questi
studi sono stati esami-
nati dall’Agenzia Inter-
nazionale per la ricerca
sul cancro nel 2011, che
sulla base di alcuni di
essi ha classificato i
campi elettromagnetici
a radiofrequenza come possibilmente cancerogeni per
gli esseri umani. Questi studi sono stati effettuati su casi
controllo di patologie molto rare, in cui invece di pren-
dere un campione di persone molto numeroso e andare
poi ad aspettare nel tempo di contare i casi di tumore, si
vanno a prendere già direttamente le persone malate,
creando un gruppo di controllo con un gruppo di per-
sone sane dalle simili caratteristiche sotto vari punti di
vista. Si va dunque a ricostruire l’esposizione nel passa-
to ai fattori di rischio, dieci anni in questo caso, e l’unico
modo che è stato ritenuto valido per farlo era quello di
utilizzare dei questionari.
L’Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro esami-
nando questi studi su casi di glioma, tumore maligno del
cervello, e del neurinoma del nervo acustico, che è un
tumore benigno, ha determinato che questi risultati po-
tevano essere effettivamente dovuti a una relazione di
causa/effetto tra campo elettromagnetico e tumore, ma
anche ad altri problemi negli studi tra cui la distorsio-
ne del ricordo: in sostanza, le persone malate possono
ricordarsi eventi passati, diversamente da quelle sane,
sovrastimando l’esposizione a fattori di rischio. Non
potendo stabilire con certezza la relazione, si dice che
l’evidenza proveniente da questi studi è limitata, quindi
non sufficiente a stabilire nell’uomo la cancerogenicità
dei campi elettromagnetici, ma questa evidenza limitata
viene utilizzata per classificare i campi elettromagnetici
come possibilmente cancerogeni e non come probabil-
mente cancerogeni, classificazione che invece si utiliz-
za per gli agenti per i quali è stata dimostrata la cance-
rogenicità su alcuni animali da laboratorio”.
DDay.it: Parlando di studi scientifici ce ne sono due
che tipicamente i promotori della campagna “No
5G” portano a evidenza della pericolosità dei campi
elettromagnetici, uno è quello dell’Istituto Marazzini
e l’altro, complementare, della NTP americana. Sono
da ritenersi validi in questo dibattito?
Dott. Polichetti: “Sono degli studi importanti, come
sono importanti tutti gli studi, il problema è che di studi
sui campi elettromagnetici ne sono stati fatti decine di
migliaia, ma la cosa importante da tenere presente è
che ogni studio, per quanto sia valido e importante, va
sempre visto nel contesto di tutti gli altri studi per vedere
se ci sono delle coerenze con gli altri studi, se i risultati
sono consistenti o meno; se poi lo studio dà un risultato
molto diverso bisogna capirne il perché e magari è dav-
vero lo studio giusto al momento giusto che ha mostrato
qualche cosa di nuovo. Ora diciamo che se uno va a
vedere il complesso di tutti gli studi, compresi questi due
ultimi studi sugli animali, in realtà non sembra che cam-
bi totalmente il quadro delle cose, quindi non ci si può
affidare solo su questi due studi. Bisogna fare poi delle
osservazioni su quale sia il risultato di questi studi. Il ri-
sultato è un aumento su topi
da laboratorio dello schwan-
noma cardiaco, un tumore
delle cellule nervose in pra-
tica, simile e questo è impor-
tante al neurinoma del nervo
acustico che era stato preso
in considerazione dagli studi
sui telefoni cellulari, il che è
un punto a favore dell’impor-
tanza di questo studio”.
I test sono stati fatti su ratti maschi e femmine e su topi
maschi e femmine però gli aumenti di schwannoma
sono stati osservati solamente nel ratto maschio non
nel ratto femmina e non nel topo, quindi già c’è qualche
problema. Poi sono esperimenti su animali, importanti
perché in condizioni controllate, ma rimane il problema
dell’estrapolazione da una specie all’altra, in particola-
re estrapolazione all’uomo. Intanto appunto ripeto, non
si può estrapolare nemmeno dal ratto al topo perché
nel topo non è stato osservato un aumento, quindi c’è
già qualche problema da
questo punto di vista. Poi
c’è il problema dei livelli
di esposizione, visto che
questi animali sono sta-
ti esposti, in particolare
nello studio americano, a
livelli molto molto elevati,
con un SAR di 6 Watt/kg.
Un’altra cosa importante
è che questi topi sono stati
esposti nello studio ameri-
cano per due anni, e nello
studio italiano dell’istituto
Ramazzini per tutta la vita
dell’animale, quindi due tre
anni, con esposizioni molto
prolungate. Ora se questi sono stati esposti a livelli di
campo tali che c’è un aumento di temperatura si potreb-
be ritenere che questo effetto sia dovuto a questo, cosa
che non c’è nelle persone esposte al telefono cellula-
re. Poi ci sono varie altre considerazioni. Per esempio
nello studio americano è stato osservato che gli animali
di controllo, cioè quelli non esposti, morivano prima di
quelli esposti, per qualche motivo che non è mai stato
individuato. E questo può avere un effetto sull’analisi
statistica, perché se gli animali di controllo muoiono
prima, potrebbero non aver vissuto abbastanza per
sviluppare il tumore come gli animali esposti, andando
a sporcare i dati. Viceversa l’animale esposto poteva
presentare il tumore, perché si è sviluppato nell’ultimo
TEST
Polichetti (ISS): “Il 5G non fa male”segue Da pagina 13
periodo di vita, e magari non perché è stato maggior-
mente esposto al campo elettromagnetico, ma perché
ha vissuto di più. Questi studi, come tutti gli studi danno
informazioni, hanno i loro pro e i loro contro, ma vanno
valutati insieme a tutti gli altri, e presi da soli non han-
no alcuna valenza nel dire che ci sono degli effetti dei
campi elettromagnetici. Se proprio ci fosse un effetto
dei campi elettromagnetici sull’animale bisogna tene-
re conto che sono stati esposti a livelli molto ma molto
elevati, quindi non sono confrontabili con l’esposizione
dell’essere umano che utilizza il telefono cellulare nor-
malmente”.
DDay.it: Tra l’altro tornando alle nuove frequenze uti-
lizzate da 5G, il fatto che come lei diceva interagisco-
no al massimo sullo strato superficiale della pelle, fa
pensare che anche negli edifici probabilmente queste
onde non penetreranno, eppure comunque in Italia la
normativa ha imposto un limite massimo per l’esposi-
zione negli ambienti abitati molto più basso rispetto
agli standard europei e piatto su tutto l’intervallo di
frequenze. Ha senso un limite del genere?
Dott. Polichetti: “Il limite che è stato dettato dalla nor-
mativa italiana risale al 1998, in un decreto ministeriale
che fissava i limiti di radiofrequenza compatibili con la
salute umana. In Italia cioè c’è una legge ispirata al prin-
cipio di precauzione, con limiti finalizzati a proteggere
la salute da eventuali effetti non accertati. Già all’epoca
non è che ci fossero queste evidenze di effetti a lungo
termine, e non c’è una base scientifica per definire un
valore al di sopra del quale non siamo tutelati dagli ef-
fetti a lungo termine che ancora non conosciamo”.
È un limite definito a livello arbitrario e il criterio che è
stato adottato è che fosse più basso dei livelli d’espo-
sizione necessari per gli effetti accertati di
aumento della temperatura: è stato intro-
dotto un fattore 10 che è del tutto arbitrario
e senza tenere conto della frequenza. Se
si vanno a vedere i limiti internazionali dei
campi per gli effetti accettati si vede che i
limiti hanno effettivamente un andamento a
scalino a seconda degli intervalli di frequen-
za, in base all’effetto risonanza del corpo
umano. Il valore di campo elettrico di 6 V/m
è stato definito costante tirando una linea
dritta, perché era un valore che poteva es-
sere accettabile dal punto di vista tecnico,
perché non dava problemi alle installazioni
che c’erano all’epoca. È stata una decisione
non su basi scientifiche ma essenzialmente
politica.
Una cosa importante da tenere presente per chi si
preoccupa del 5G è proprio che in italia c’è questa le-
gislazione protettiva particolarmente restrittiva rispetto
agli standard internazionali, rispetto a quelli raccoman-
dati dall’Unione Europea per gli effetti accertati. Per
quante antenne si andranno a mettere per il 5G, anche
trascurando il fatto di cui abbiamo parlato prima della
riduzione della potenza, c’è comunque una legge na-
zionale che impone questo limite molto restrittivo che
non può essere superato”.
segue a pagina 15
“Cosa vuol dire “possibilmente cancerogeni”: vuol dire in pratica che c’è qualche studio che mostra qualche indicazione di un aumento del rischio, che però potrebbe essere dovuta ad altri fattori, inclusi problemi su come sono stati condotti gli studi stessi”
“Qualsiasi studio, per quanto sia valido e importante, va sem-pre visto nel contesto di tutte le altre ricerche, per vedere se ci sono delle coerenze con gli altri studi e se i risultati sono consi-stenti o meno. Presi da soli non hanno alcuna valenza nel dire che ci sono degli effetti dei cam-pi elettromagnetici”
torna al sommario 15
MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
DDay.it: ha senso quindi alla luce di tutto ciò avere
dei comportamenti precauzionali, come l’utilizzare
un auricolare quando si parla con il cellulare?
Dott. Polichetti: “Gli effetti non sono dimostrati, per cui
neanche l’Organizzazione Mondiale della Sanità sug-
gerisce dei comportamenti precauzionali. Quello che
raccomanda l’Organizzazione Mondiale della Sanità
e anche il mio istituto è che si faccia un’informazione
corretta sui rischi per evitare an-
che allarmismi eccessivi: se io mi
voglio comunque cautelare del
rischio che non è dimostrato, lo
posso fare, è una mia scelta. Ma
almeno devo sapere quali sono
gli accorgimenti utili e quelli inu-
tili, perché se ne dicono tante di
cose infondate. Quindi, stabilito
che posso ridurre l’esposizione ma non il rischio, che
non è dimostrato, una cosa fondata è utilizzare l’aurico-
lare, perché si allontana il telefono e bastano già pochi
centimetri perché si riduca l’esposizione della persona,
perché bisogna sempre ricordare che la principale cau-
sa di esposizione della popolazione ai campi elettroma-
gnetici è data dall’utilizzo del telefono cellulare attac-
cato all’orecchio, e bisognerebbe dire anche quando
c’è l’emissione alla massima potenza, generalmente
quando c’è poca ricezione o all’inizio della chiamata.
Quando c’è una buona ricezione, quando c’è un buon
collegamento fra il telefono cellulare e l’antenna base,
la potenza viene ridotta anche per aumentare la durata
della batteria”.
DDay.it: Quindi in realtà anche in questo caso meglio
avere tante antenne…
Dott. Polichetti: “Certo, dal punto di vista dell’utilizzato-
re avere tante antenne è buono perché vuol dire ave-
re sempre un’antenna vicino e quindi bassa potenza
emessa dal cellulare. Ma in ogni caso, utilizzare l’aurico-
lare è un buon metodo per diminuire l’esposizione che
si avrebbe tenendo appoggiato il cellulare all’orecchio,
perché basta appunto allontanarlo di poco. Poi bisogna
però dire anche che se si utilizza un auricolare al fine di
ridurre l’esposizione è inutile che si metta il telefono in
tasca perché si sta spostando l’esposizione dalla testa
ad altre parti del corpo. Noi in realtà non abbiamo nes-
sun motivo biologico per definire che la testa sia a mag-
gior rischio: gli studi che hanno mostrato gli effetti sui
tumori della testa è perché erano studi relativi all’utilizzo
normale, soprattutto all’epoca, in cui il cellulare veniva
appoggiato all’orecchio, ma non c’è motivo di ritenere
che i tessuti cerebrali siano più a rischio, quindi se lo
mettete da un’altra parte del corpo è uguale. Se voglio
utilizzare l’auricolare per questo fine allora il cellulare lo
appoggio da qualche parte. Un altro accorgimento utile
è usare il viva voce per lo stesso motivo, si allontana te-
lefono. Oppure preferire messaggi vocali: anche se uno
parla col telefono abbastanza vicino alla bocca, mentre
parla non c’è nessuna emissione. L’emissione c’è solo
quando si invia, è un segnale molto breve.
Poi ci sono invece i consigli inutili. Un consiglio inutile e
ci tengo particolarmente a dirlo, è quello di comprare i
telefoni a bassa SAR; questa è una cosa che dal punto
di vista della protezione della salute non ha nessuna
base scientifica, perché intanto il SAR viene valutato in
un certo modo ai fini della protezione dagli effetti ter-
mici, in cui si hanno effetti a soglia e qui sappiamo che
se rispetto i 2 Watt/kg non succede nulla. Allora come
si fanno le valutazioni del SAR: i produttori fanno questi
test, si prende un fantoccio che simula dal punto di vista
elettromagnetico il corpo e la testa, si mette il telefono
vicino al telefono e viene attuata una condizione di
massima potenza continuativa, che non è quella reale:
è la massima potenza che il telefono può emettere, e si
vede se questo SAR supera
o meno la misura di 2 Watt/
kg, e non li deve superare.
Intanto la prima cosa: se io
ottengo 1 Watt/kg o 0,1 Watt/
kg, dal punto di vista degli ef-
fetti termici è la stessa cosa.
Perché basta che sono sotto
la soglia e non c’è riscalda-
mento eccessivo e non succede nulla. Per un’eventuale
protezione dagli effetti a lungo termine, questo tipo di
valutazione che viene fatta non è utile perché si valu-
ta ancora una volta il SAR a massima potenza, quindi
non sono nelle condizioni realistiche d’uso. Io posso
pensare che un telefono ad alto SAR sia più pericoloso
di un altro, ma magari è più efficiente di un altro tele-
fono a basso SAR e magari emette di meno. Quindi [in
condizioni normali] non
avrò quel SAR massimo,
avrò un SAR più basso.
Quindi non ho nessuna
indicazione dal valore
di SAR di quale sia più o
meno pericoloso. Quindi
quello che dico io è che
l’importante è che il SAR
rispetti il limite e se non
rispetta il limite non può
essere venduto e non può avere il marchio CE.
Altre cose che si dicono sono “non tenere il cellulare
in tasca”, ma se io sto semplicemente trasportando il
telefono cellulare in tasca quando vado da una parte
all’altra, questo telefono emette il segnale ogni tanto
per farsi riconoscere dalla rete, ma l’esposizione è del
tutto trascurabile. Oppure “non tenetelo acceso sul co-
modino”, ma pure lì: il telefono non sta trasmettendo.
Trasmette ogni tanto, quindi il fatto che durante la notte
questo telefono cellulare sia acceso dà un contributo
trascurabile all’esposizione”.
DDay.it E se è connesso a una rete Wi-Fi invece?
Dott. Polichetti: “Allora che cosa succede, con il tra-
sferimento dati il telefono cellulare emette solo se è in
upload e trasferisce i dati. Generalmente quando gli
smartphone sono accesi possono fare degli aggior-
namenti, ma con gli aggiornamenti si scaricano i dati
non si caricano, e quando si scarica si riceve, quindi
non c’è un aumento dell’emissione anzi non c’è proprio
un’emissione. Oppure quando si utilizza lo smartphone
per guardare i video, li si stanno ricevendo i dati, quindi
pure lì non c’è nessuna emissione”.
DDay.it visto che parliamo di wifi c’è anche chi la
notte sempre preferisce spegnere completamente il
router di casa oppure spegnere solo il Wi-Fi. Wi-Fi e
Bluetooth e simili, possono essere messi nello stesso
calderone dei cellulari o sono tutt’altra cosa?
Dott. Polichetti: “Noi ragioniamo sempre in termini di
esposizione, perché una volta premesso che i rischi non
sono accertati, anche in quel caso con il Wi-Fi l’esposi-
zione è molto bassa perché qui bisogna sempre tenere
conto delle potenze necessarie per coprire determinate
distanze. Mentre il telefono cellulare deve raggiungere
centinaia di metri, anche chilometri di distanza nelle si-
tuazioni peggiori di copertura, il Wi-Fi copre una venti-
na di metri, non più di tanto, quindi la potenza emessa
non è molto alta, proprio perché sarebbe inutile. Così
il Bluetooth, ancora meno: il Bluetooth copre una de-
cina di metri quindi potenza molto bassa. Infatti ci si
chiede, “ma l’auricolare Bluetooth io lo voglio utilizzare
per limitare l’esposizione, è un buon metodo visto che
lui emette?” Beh, diciamo che certo c’è un po’ di espo-
sizione rispetto all’auricolare a filo ma è sicuramente
molto più bassa dell’esposizione del telefono cellulare,
quindi anche l’auricolare Bluetooth comunque limita
di molto l’esposizione perché il campo che emette è
molto più basso rispetto a quello del telefono cellula-
re. Tenere acceso il Wi-Fi di notte... che poi le antenne
del Wi-Fi tra l’altro non solo hanno potenza più basse,
ma poi non viviamo vicino al modem e non abbiamo
l’antenna del modem vicino alla testa, è da qualche par-
te in casa. Qual è il problema se è acceso di notte? La
gente si preoccupa anche perché se prendo il telefono
cellulare, vedo tutte queste reti
Wi-Fi dei vicini di casa e penso
“chissà quanto c’è di esposizio-
ne”. In realtà sono valori molto
bassi perché praticamente i te-
lefoni cellulari e tutti i dispositivi
che utilizzano il Wi-Fi sono molto
sensibili, quindi il livello di campo
necessario per dire che c’è una
rete è molto basso.
DDay.it: Per concludere, un messaggio per quei sin-
daci che ci sono in italia che stanno ostacolando il 5G
dicendo no alle antenne, cosa possiamo dire loro?
Dott. Polichetti: “È ovvio che i sindaci si preoccupano
che sia tutelata la salute pubblica e soprattutto se ci
sono le persone in allarme nel loro comune, è tutto com-
prensibilissimo. Quello che però è importante capire è
che spesso si dice: “noi non faremo installare le anten-
ne finché non avremo la totale sicurezza di queste an-
tenne”. Allora, è un discorso che spesso non viene com-
preso: la sicurezza totale non si potrà mai determinare
per nessuna cosa. Quello che noi possiamo fare, e per
qualunque tecnologia, per qualunque agente, è cerca-
re evidenze di rischio. Noi cerchiamo queste evidenze,
studiamo, facciamo degli studi sulla base di conoscen-
ze scientifiche, che si applicano anche ai campi elettro-
magnetici del 5G. Al momento non abbiamo ragioni per
dire che ci siano motivi fondati di preoccupazione, più di
questo non si può dire. Poi è giusto, continuiamo le ricer-
che, però non fare installare l’antenna in attesa della ri-
cerca definitiva che dica al cento per cento che è sicuro,
vuol dire non installarle mai, perché non ci sarà mai una
ricerca che darà la sicurezza al cento per cento”.
TEST
Polichetti (ISS): “Il 5G non fa male”segue Da pagina 14
“Bisogna sempre ricordare che la prin-cipale causa di esposizione della po-polazione ai campi elettromagnetici è data dall’utilizzo del telefono cellulare attaccato all’orecchio”
“Non si ha nessuna indicazione dal valore di SAR pubblicato dai produttori su quale cellulare sia più o meno pericoloso. Un te-lefono ad alto SAR magari è più efficiente di un altro telefono a basso SAR e magari emette di meno in condizioni di normale utilizzo”
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MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
Hyperloop sbarca in Italia: 6 tratte in studio. Il primo viaggio entro 10 anniGabriele Gresta, fondatore di Hyperloop TT in America, ha annunciato il debutto di Hyperloop Italia. Una nuova società che si metterà subito al lavoro per realizzare in Italia 6 tratte ad altissima velocità già in progetto di Alessandro CUCCA
Hyperloop arriva in Italia. Merito di Gabriele Gresta, già fondatore di HyperloopTT negli Stati Uniti. Gre-sta ha lanciato a Roma Hyperloop Italia, una nuova startup che vuole realizzare in Italia il treno che può viaggiare fino a 1.200 km/h. Hyper-loop è già al lavoro su 6 ipotetiche tratte per questo nuovo mezzo di trasporto superveloce ed ecologi-co. Il nuovo team si metterà presto al lavoro per stipulare gli accordi necessari con aziende ed enti lo-cali e partire con i primi studi di fat-tibilità. Gresta conta di realizzare in tempi brevi la prima tratta, forse in meno di 10 anni dall’inizio dei primi studi, e assicura che la produzione “avverrà anche in Italia: essendo un modello basato sulle licenze, noi portiamo la tecnologia e poi facciamo consorzi con dei partner locali”. I Partner con cui Hyperloop Italia dovrà interagire sono Anas, Fs, Ferrovie Nord, e sono già sta-ti interessati anche i presidenti di varie regioni. Tra le 6 tratte imma-ginate finora ci sarebbero le linee Milano Stazione Cadorna-Malpen-sa che verrà coperta in meno di 10 minuti e poi Verona-Trieste in mez-z’ora e quella Corsica-Sardegna che aveva vinto la “Global Challen-ge” nel 2017.
di Sergio DONATO
Quello che sembra un mucchio di
chicchi di grano o il dettaglio di
un croccante ai cereali, è in real-
tà il nostro Sole. È l’immagine a più alta
risoluzione della superficie del Sole mai
ottenuta ed è merito dell’Inouye Solar
Telescope, nelle isole Hawaii.
Le immagini sono state mostrate dal
National Solar Observatory (NSO) de-
gli Stati Uniti, che illustrano il successo
ottenuto dall’Inouye Solar Telescope,
appollaiato a 3.000 metri sul vulcano
Haleakala a Maui. Il telescopio ha uno
specchio di 4 metri di diametro che ren-
dono la sua area di raccolta sette volte
maggiore rispetto ai più grandi telesco-
pi solari presenti sul globo.
Plasma in continuo movimentoL’immagine della superficie del sole
ottenuta copre un’area quadrata di
36.500 km per lato (qui l’immagine da scaricare), mentre i “chicchi gialli” che
vengono mostrati sono in realtà celle
convettive, ciascuna grande circa 1.000
km, generate dai movimenti del plasma.
Le celle si chiamano infatti “granuli” e
si formano grazie al plasma che sale
al centro di esse per poi espandersi e
raffreddarsi.
I bordi più scuri dei granuli sono i cor-
ridoi in cui defluisce il plasma ormai
“freddo”. Di fatto, i corridoi sono lo stes-
so plasma che appare più scuro perché
la sua temperatura è più bassa di quella
del plasma che sta continuando a risa-
lire per mantenere la forma dei granuli.
Un ciclo continuo.
SCIENZA E FUTURO Mostrate da “vicino” le celle convettive del plasma sulla superficie solare
Ecco il sole come non l’abbiamo mai visto La foto a più alta risoluzione della superficie L’incredibile immagine è stata prodotta dall’Inouye Solar Telescope, nelle isole Hawaii
Che tempo che fa nello spazioAl di là della bellezza mozzafiato del-
l’immagine, la capacità del telescopio
Inouye permetterà di produrre mappe
del campo magnetico presente nella co-
rona solare al fine di ottenere previsioni
più accurate delle tempeste solari e so-
prattutto di quello che viene chiamato
“space weather”, ovvero “tempo meteo-
rologico dello spazio”.
Non significa che gli scienziati siano in-
tenzionati a prevedere la pioggia nello
spazio. Per “meteorologia spaziale” si
intende lo studio delle variazioni delle
condizioni dello spazio che possono
avere ripercussioni sulla Terra.
Un esempio è il vento solare, cioè il flus-
so di materia emesso costantemente
dalla nostra stella e che si propaga per
tutto il sistema solare, Terra compresa.
Il presidente di Aura (Association of Uni-
versities for Research in Astronomy),
l’ente che gestisce il telescopio Inouye,
a tal proposito, ha dichiarato: “Le nostre
previsioni (del meteo spaziale, ndr) sono
in ritardo di 50 anni rispetto al meteo ter-
restre, se non di più. Ciò di cui abbiamo
bisogno è di comprendere la fisica che
sta alla base del tempo meteorologico
spaziale, e questo inizia dal Sole, che è
ciò che il telescopio solare Inouye stu-
dierà nei prossimi decenni”.
Le difficoltà nel fotografare il soleScattare una foto al sole non è una pas-
seggiata. Si parla di “telescopi solari”
proprio perché devono avere caratteri-
stiche particolari per poter puntare una
stella come il sole e riuscire a estrarre
un’immagine senza soffrire dell’enor-
me calore focalizzato. Nello specifico,
l’Inouye Solar Telescope focalizza una
luce solare nel suo fuoco primario di ben
13 kW. Per disperdere il calore ricevuto
durante l’osservazione del sole, l’Inouye
si serve di 10 km di tubature nelle quali
circola un liquido refrigerante che raf-
fredda tutta la struttura. Il liquido stesso
viene continuamente mantenuto freddo
grazie al ghiaccio prodotto nei pressi del
telescopio nel corso della notte.
Lo specchio primario dell’Inouye Solar Telescope nel 2018 al termine del processo di alluminizzazione.
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MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
di Roberto PEZZALI
D iletta Leotta intervista Francesco Totti. E Totti si
sbottona, ammettendo che con un cambio di
proprietà potrebbe anche tornare alla Roma da
dirigente. È successo tutto a Linea Diletta, nel corso
dell’ultimo episodio del format originale DAZN nato la
scorsa stagione e proseguito quest’anno che ha visto il
campione della Roma protagonista.
DAZN è conosciuta ormai in tutto il mondo come la
casa dello sport in streaming, ma di fianco agli even-
ti sportivi in diretta, dalla Serie A alla Boxe passando
per il football americano e la pallavolo, DAZN produce
contenuti di contorno di altissimo livello per raccon-
tare lo sport da diversi punti di vista. Chi ha visto un
episodio di Linea Diletta si sarà accorto dello stile mol-
to asciutto e particolare che contraddistingue questo
format, con interviste a campioni dello sport che ven-
gono “strappati” al loro habitat naturale, il campo da
gioco, e mostrati sotto una luce diversa.
Abbiamo seguito la produzione dell’episodio di Linea
Diletta partendo dal giorno delle riprese fino alla mes-
sa in onda del prodotto finito, per mostrarvi come vie-
ne realizzato e gestito un progetto apparentemente
semplice che però non è affatto semplice, anzi. La for-
za di Linea Diletta sta proprio nello spingere i prota-
gonisti a raccontarsi sotto una luce diversa senza filtri
e in modo diretto, un format inedito che però richiede
anche un ritmo incalzante, senza pause e con la prima
ripresa sempre buona.
Le sfide di un progetto simile sono molteplici e la prima,
come ci spiega Francesco Carabelli, autore e capopro-
getto, è quella forse più difficile: contattare gli sportivi
e organizzare il tutto, con tanto di scelta della location
per le riprese. La caccia all’intervistato può durare set-
timane, e spesso bisogna convincere non solo lo spor-
tivo ma anche tutto l’entourage a realizzare una inter-
vista non convenzionale, senza domande concordate
e assolutamente spontanea, in posti pure loro poco
convenziali. DAZN è stata però bravissima in questo,
perché il format piace, lo stile anche e si è scatenata
una sorta di reazione a catena che ha aiutato ad abbat-
ENTERTAINMENT DAZN produce anche contenuti originali e uno di questi, Linea Diletta, ha riscosso un enorme successo
Vi mostriamo come DAZN produce Linea Diletta Un format fatto con passione e cura dei dettagliViene trasmesso anche negli altri paesi del mondo dove c’è DAZN. Siamo andati sul set a vedere come nasce un episodio
tere qualche scoglio. Acchiappata la preda c’è lo script,
studiato nei minimi dettagli. L’autore della trasmissione
e Diletta Leotta studiano domande, stacchi, misurano
e pensano ai tempi giusti per piazzare le domande più
interessanti nel momento in cui l’intervistato, trascina-
to dalla spontaneità, è pronto a rivelare alcuni dettagli
legati ad aneddoti della sua vita che mai erano usciti
in altre trasmissioni. Le parole sono le assolute prota-
goniste, e la trasmissione ruota attorno alle parole e
all’intervista: per questo motivo DAZN mantiene uno
stile senza fronzoli, vuole essere diretto e tenere chi
guarda concentrato sulla scena.
Tre cameraman, un fonico e il regista. Ma se serve c’è anche un droneLa vera chicca di Linea Diletta è tuttavia la parte intro-
duttiva, dove il ritratto dell’intervistato viene dipinto
dalle voci della città che lo conosce e che lo ammira.
Nel caso della puntata con Francesco Totti le riprese
introduttive a Roma erano già state realizzate duran-
te la produzione dell’intervista a Ciro Immobile, e non
abbiamo assistito; per far raccontare il più grande
numero 10 della storia giallorossa dai tifosi DAZN si è
servita anche di droni. La produzione e la ripresa del-
l’intervista vera e propria richiede invece una troupe
di poche persone con equipaggia-
mento leggero: anche qui si cerca
di tenere una linea asciutta, proprio
per non creare troppa pressione su
chi viene intervistato: deve appari-
re una sorta di chiaccherata infor-
male, libera, spontanea, e un set
più imponente non sarebbe stato
d’aiuto. Con treppiedi e sei borso-
ni di equipaggiamento, il team è
arrivato alla Totti Soccer School di
Roma e dopo un breve sopralluogo
ha scelto insieme al regista Luigi
Montanaro la location per l’intervi-
sta. Una scelta guidata sia da esigenze artistiche sia
da esigenze tecniche, come lo studio della posizione
delle luci. La scelta, nel caso della Soccer School di
Totti, è caduta sul campo principale d’allenamento già
illuminato dai riflettori del campo al quale sono state
aggiunto, a supporto, alcune luci LED portatili.
Il gruppo è composto da tre operatori di camera e da
un fonico, che controlla costantemente i due canali dei
radiomicrofoni delle persone intervistate. La scelta, per
quanto riguarda le fotocamere, è caduta sulle ottime
Sony FS7, fotocamere XDCam Sony professional 4K
certificate anche da Netflix e di eccellente qualità.
Sulle fotocamere vengono utilizzate ottiche Canon
scelte a seconda delle diverse necessità, dai 24-105
f/4 ai 70-200 f/2.8L. A fianco delle camere professio-
nali come camera “leggera” viene usata una Sony
Alpha 7 III su un gimbal Ronin S DJI, gestito diretta-
mente dal regista.
Nonostante le camere possano riprendere in 4K, le
riprese vengono fatte a 1080p, più per una questione
di velocità in fase di editing.
segue a pagina 18
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MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
Gli accorgimenti in fase di ripresa sono decisamen-
te semplici: bilanciamento del bianco allineato tra le
fotocamere per evitare di intervenire pesantemente
in fase di post produzione. Usando fotocamere dello
stesso tipo, e della stessa marca perché c’è sempre la
piccola mirrorless, non emergono problemi di sorta.
La fase di ripresa porta via circa un paio d’ore: lo stile
di Linea Diletta prevede che i cameraman possano
apparire all’interno dell’inquadratura, e tutta la punta-
ta viene registrata in una sola ripresa continua, senza
stacchi. Se si deve tagliare qualcosa lo si fa successi-
vamente, in fase di editing.
Migliaia di tagli in fase di editing. La missione: tenere alto il ritmo e il coinvolgimentoIl montaggio è la parte che richiede più accorgimen-
ti e anche più tempo. L’assemblaggio della puntata,
che dura circa 30 minuti, viene fatta direttamente dal
regista utilizzando una workstation Windows con Ado-
be Premiere. Il tempo richiesto per l’editing dell’intera
trasmissione è di circa una settimana, incluso il tempo
necessario per preparare le grafiche in After Effects.
Tutto il workflow di lavorazione viene gestito a 1080p
e 25 fps, con un datarate a 50 Mbps: il risultato è poi
quello che, con gli opportuni livelli di compressione
necessari per poter gestire ogni tipo di connessione,
viene distribuito agli utenti tramite DAZN.
Nonostante la durata tutto sommato ridotta il lavoro
in fase di post produzione è complesso, come si può
vedere dalla time line di Adobe Premiere: centinaia e
centinaia di tagli e accorgimenti per mantenere alto
il ritmo e l’attenzione, tutto ovviamente realizzato in
multicam. Il lavoro di produzione e montaggio però
non tocca in alcun modo lo spirito dell’intervista, che
deve apparire per quella che è, naturale e spontanea.
Proprio per questo motivo certi ritocchi che possono
aggiungere uno strato di artificialità vengono ridotti al
minimo. “Ho utilizzato pochissimo la color correction,
volevo solo dare un colore leggermente più vivace al-
l’erba del campo” ci ha spiegato il regista. Tutto qui,
nessun altro intervento su quello che è il feeling tra-
ENTERTAINMENT
DAZN Linea Dilettasegue Da pagina 17
smesso: chi guarda deve sentire il profumo dell’erba,
non deve trovarsi di fronte a qualcosa che sembra
un film. Quello che potrebbe sembrare un lavoro che
finisce con la messa in onda dell’episodio in realtà è
un lavoro che non finisce mai, perché nonostante ogni
puntata sia studiata per essere sempre fresca e godibi-
le, anche dopo un anno, nel mondo dello sport posso-
no sempre capitare cose imprevedibili, come allenatori
esonerati o società vendute. In questo caso DAZN è
costretta a rivedere alcuni frangenti di interviste dove
si fa riferimento a queste situazioni che: le interviste di
Linea Diletta deve sembrare sempre attuali. Produzioni
italiane come questa vengono poi inviate anche sull’in-
terno network DAZN: si pensi ad esempio all’intervista
fatta sempre da Diletta Leotta a Cristiano Ronaldo, un
contenuto che interessa anche fuori dai confini italiani.
Il lavoro di post-produzione non si ferma qui: dal video
realizzato in 16:9 vengono estratte anche clip per i so-
cial, quindi il contenuto viene rielaborato in altri formati,
che possono essere quello quadrato per Instagram o
il verticale per le storie. I contenuti originali prodotti da
DAZN sono multipiattaforma, e sfruttando tutti i conte-
nuti ripresi durante le interviste vengono poi realizzate
pillole ed estratti da sfruttare durante le settimane che
separano le puntate. Alcune domande vengono invece
pensate già per uno sfruttamento social, o per condivi-
derle con eventuali partner o in altri Paesi dove DAZN
è presente. Una produzione originale completamente
pensata, realizzata e finalizzata in Italia, e poi distribuita
in tutto il mondo. Per un network basato sullo streaming
come DAZN essere rapidi e snelli è fondamentale, e
non deve stupire quindi la relativa velocità della pro-
duzione: tra editing e riprese tutto porta via poco più
di una settimana, ma se si aggiungono anche i tempi di
pre-produzione e organizzazione si toccano le tre set-
timane. E non è poco: Linea Diletta è il programma su
cui DAZN investe di più a livello produttivo e logistico.
Linea Diletta è ormai al secondo anno ed è il contenuto
originale di DAZN di maggior successo, ma non è l’uni-
co. Da “Piedi X Terra”, a “Parliamo di calcio” passando
ai tutorial sui fondamentali della pallavolo con Andrea
Zorzi da oltre un anno sta producendo ore e ore di con-
tenuti settimanali.
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MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
di Roberto PEZZALI
Chi oggi deve scegliere un set top box da attac-
care al televisore e vuole il modello più comple-
to possibile ha solo due opzioni: Apple TV 4K o
NVIDIA Shield. Entrambi sono ottimi, ma la Apple TV
4K, per i servizi a lei associati come Apple TV+, Apple
Arcade e la quantità di applicazioni di streaming che
si possono scaricare dallo store di tvOS, è senza dub-
bio un prodotto più commerciale del seppur valido set
top box NVIDIA.
Apple ha rilasciato tvOS 13.4 beta e all’interno del co-
dice sono stati trovati riferimenti a nuovi modelli di Ap-
ple TV. L’uscita potrebbe essere imminente, si parla di
un evento a metà marzo, ma non è escluso che, come
le AirPods Pro, la Apple TV versione 2020 possa arri-
vare all’improvviso. Un set top box per la fruizione di
contenuti, e per giocare, non segue necessariamente
lo stesso flusso di rinnovamento tecnologico di uno
smartphone e l’attuale Apple TV 4K è oggi più che
sufficiente per soddisfare le esigenze di tutti. Ci sono
tuttavia alcuni elementi che Apple potrebbe miglio-
rare. Il primo è il telecomando: lo storico telecoman-
do che accompagna da anni le Apple TV è tra tutti gli
elementi in orbita Apple TV il più criticato: l’attuale
forma ergonomica non rende immediato capire, al
buio, se lo si sta impugnando da verso giusto. E non
sarebbe male neppure avere una ricarica wireless
che ricarica il telecomando appoggiandolo sopra il
set top box.
Arriverà sicuramente un upgrade del processore:
il riferimento nel codice di tvOS 13.4 beta parla di
processore arm64e e questa architettura è stata
usata negli A12 e negli A13. L’A12X Bionic usato at-
tualmente sugli iPad Pro prenderà probabilmente il
posto dell’attuale, ma ancora valido, A10X Fusion;
inutile guardare all’A13 dell’iPhone 11, l’A12X Bionic è
più potente. A beneficiare di questo upgrade saran-
no i giochi, e per qualche platform dotato di grafica
semplice e ben ottimizzato con Metal si potrà ambire
anche ad una grafica in 4K.
ENTERTAINMENT All’interno della beta di iOS 13.4 sono stati trovati riferimenti a un nuovo modello di Apple TV 4K, in arrivo a breve
Sta per arrivare una nuova Apple TV Dove migliorare un media player già perfetto?Abbiamo pensato a quali sono le funzionalità che mancano alla versione attuale, ad oggi il più completo set top box al mondo
Sarebbe anche lecito pensare che la nuova Apple
TV possa gestire il codec AV1: Apple è nel consorzio
OpenMedia, e AV1 è il codec del futuro: Netflix ha
iniziato ad usarlo, e a breve lo farà anche Google. Ad
oggi non esistono processori Apple che gestiscono
la decodifica AV1, neppure il recente A13 riesce a
gestirla, ma è bene ricordare che da qualche anno
Apple ha tolto encoder e decoder hardware dal SoC
per spostarli all’interno del processore custom T1 e
T2. Nella nuova AppleTV 4K potrebbe debuttare un
nuovo T3 che gestisce, tra i vari codec, anche l’AV1.
AppleTV è oggi il set top box che meglio riesce ad
adattare il frame rate e il formato di uscita dei servizi
di streaming a quello dei televisori, ma usando al-
cune funzionalità dell’HDMI 2.1 come il Quick Media
Switching sarà possibile variare il frame rate senza
sgancio del segnale e senza che l’utente si accorga
di nulla. Sarebbe utile, anche in ottica Apple Arcade,
l’implementazione dell’Auto Low Latency Mode del-
l’HDMI 2.1, quindi la selezione automatica della mo-
dalità gaming e il Variable Refresh Rate. Fin dal 2017
Metal 2 e iOS per poter gestire il display ProMotion
degli iPad Pro gestiscono nativamente il frame rate
variabile oltre al refresh rate fino a 120 Hz: manca
solo la connessione verso il display, ma ora lo stan-
dard c’è.
Tutte le altre migliore richieste dagli utenti alla Apple
TV sono in realtà implementabili via software: il limite
più grande oggi della AppleTV 4K è l’impossibilità il
DTS-HD o il Dolby Atmos con le app di terze parti, ad
esempio Infuse o Plex, ma questo è dovuto all’attuale
implementazione di CoreAudio, non certo all’hard-
ware, e crediamo che verrà risolta già dalla prossima
major release di tvOS.
C’è poi la gestione dei 24p: la Apple TV gestisce
i contenuti a 23.976fps ma non a 24 fps, e questo
comporta un brevissimo e quasi inavvertibile saltino
che un occhio super allenato (1 su 1000) può notare:
anche qui la problematica è esclusivamente softwa-
re, e con le serie di AppleTV+ registrate in digitale a
24 fotogrammi al secondo ci aspettiamo una corre-
zione a breve.
C’è il supporto 4K di Youtube, che nemmeno la NVI-
DIA Shield al momento gestisce: qui è più colpa di
Google e del suo codec quasi proprietario VP9 che
di Apple e NVIDIA, e la cosa dovrebbe risolversi auto-
maticamente quando Google passerà all’AV1: ad
oggi la possibilità che Apple possa abbracciare
il VP9 è da escludere totalmente.
Infine c’è un ultima “correzione”, quella che ri-
guarda l’attuale incompatibilità di tvOS (e di iOS)
con il nuovo Pro Controller Elite 2 di Microsoft.
Anche se pochi lo ricordano, tvOS e iOS gesti-
scono perfettamente i controller dell’Xbox e del-
la PS4 che si possono usare per giocare su Ap-
ple TV, su iPhone e su iPad ai giochi di Arcade o
in remote streaming ai giochi delle console vere
e proprie, ma l’ultimo arrivato di casa Microsoft al
momento non si può collegare. Anche questa è
puramente software, nulla che abbia a che fare
con la Apple TV vera e propria.
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MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
di Franco AQUINI
A entrare nell’istituto Eugenio Bona di Biella, clas-
se 1913, verrebbe in mente tutto tranne che uno
degli Istituti più all’avanguardia nell’educazione
alla gestione dello smartphone a scuola. Qualcosa che
in molti genitori potrebbero (stupidamente) giudicare
marginale, ma che invece è al centro di uno dei grossi
drammi sociali del nostro tempo.
Se ci si ferma a pensare a quali sono i principali pro-
blemi dei ragazzi in età adolescenziale, ma anche pre
e post adolescenziale, la mente va subito a fenome-
ni pericolosissimi come il Cyberbullismo e all’eco che
hanno avuto i casi più drammatici sulla cronaca nera di
tutta Italia. Ma ci sono anche problemi più subdoli, più
nascosti, che lavorano in sordina danneggiando per
sempre lo sviluppo e la crescita dei ragazzi nell’età più
delicata. Come la dipendenza dagli schermi e tutti quei
fenomeni sociali che portano all’isolamento e alla chiu-
sura totale nei confronti del mondo. Tutto ruota attorno
allo smartphone e alla scarsa educazione all’uso di uno
strumento che per i ragazzi rappresenta quello che per
la generazione dei quarantenni di oggi è stato il televi-
sore, con un rischio potenziato dal fatto che, a differen-
za del televisore, in uno smartphone ci sta un mondo
intero. Ci sono relazioni, affetti, ricordi, divertimento,
comunicazione. Se è vero che i genitori e più in gene-
rale le famiglie fanno ancora troppo poco, è anche vero
che la scuola ha cercato fino ad ora delle soluzioni più
o meno valide. Tra tutte ci ha colpito quella di un Isti-
tuto tecnico commerciale di una piccola provincia del
nord, Biella, dove una preside coraggiosa, insieme ai
suoi collaboratori, ha sperimentato una soluzione che
è semplice quanto brillante: il pannello appendi-smar-
tphone. Una soluzione che non viene percepita dallo
studente come un sequestro. Il telefono è lì, nessuno te
lo chiude nel cassetto. Semplicemente non puoi usarlo
durante le lezioni. DDAY.it ha deciso di raggiungere
la dirigente Raffaella Miori nell’ufficio di presidenza
dell’Istituto Eugenio Bona, un edificio, tra le altre cose,
notevole anche sotto il profilo storico e architettonico.
Così, tra una chiacchierata informale e un breve giro
tra i corridoi dell’Istituto, abbiamo respirato questa sin-
golare miscela tra la storicità del posto e un’apertura
mentale alle nuove tecnologie che ci ha davvero stupi-
ti. Passare da un targhetta metallica posta all’ingresso
del bagno femminile riportante la scritta “Spogliatoio
signorine” alle classi dotate di Lavagne Interattive Mul-
timediali (anche note come LIM) confonde un po’, ma
poi basta vedere i ragazzi, totalmente a loro agio, per
capire che a Biella ce l’hanno fatta.
DDAY.it: Buongiorno Preside, partiamo dall’inizio.
Da dove nasce l’idea di appendere gli smartphone
all’inizio delle lezioni?
Prof.ssa Raffaella Miori: “L’idea nasce da un viaggio.
GDGET All’Istituto Eugenio Bona di Biella, la preside ha torvato una soluzione per la gestione degli smartphone. L’abbiamo incontrata
Smartphone “appesi”, l’idea che funziona Come risolvere la questione dei telefoni in classeIn ogni classe, ogni mattina, i ragazzi depositano il telefono in un pannello porta smartphone. Una soluzione efficace e semplice
Siamo stati con Erasmus in una scuola olandese che
si occupa di progetti di inclusione. Eravamo lì per stu-
diare questi progetti e ci siamo accorte che in quella
scuola erano affissi in aula dei pannelli numerati. In
quei pannelli i ragazzi posavano gli smartphone. A noi
è parsa un’idea geniale, anche perché anche da noi
molte scuole si attrezzano con scatole per raccoglie-
re gli smartphone, per esempio durante le verifiche.
Anche durante gli esami di Stato ci si attrezza con dei
raccoglitori per i cellulari, per fare in modo che i ra-
gazzi non copino”.
DDAY.it: Come lo avete messo in pratica? Avete tro-
vato molti ostacoli burocratici?
Prof.ssa Miori: “Il viaggio avvenne a Maggio 2019,
una volta tornati abbiamo cercato dei pannelli di que-
sto genere. Ne abbiamo trovati, pensati ovviamente
per altri scopi, su Amazon e così li abbiamo acquistati.
Oggi tutte le aule del nostro istituto, che sono circa
una cinquantina, hanno questi pannelli. Il cui costo tra
l’altro è ridicolo”.
DDAY.it: Com’è stata l’accoglienza da parte del cor-
po docenti?
Prof.ssa Miori: “Quando tornammo dal viaggio in
Olanda portammo con noi uno di questi pannelli per
mostrarlo nel corso di un collegio docenti e lì è scatta-
to l’applauso perché è sembrata una buona soluzione
al problema”.
DDAY.it: La domanda più importante: come l’hanno
presa gli studenti? Hanno capito lo scopo di questa
iniziativa?
Prof.ssa Miori: “Con i ragazzi delle prime classi l’uso
è stato immediato, hanno iniziato subito a utilizzare
i pannelli. È stato invece più difficile nelle classi ter-
ze e quarte, dove i ragazzi si sono opposti all’uso dei
pannelli. Anche con gli insegnanti ci sono state diffi-
coltà, perché alcuni di loro si sono posti il problema se
fosse legittimo o meno chiedere ai ragazzi di posare
lo smartphone. Premetto subito che questo non è un
sequestro. Il pannello è affisso in classe vicino alla la-
vagna, quindi tutti possono vedere la LIM (la lavagna
interattiva) e il pannello con i telefoni, che sono quindi
a disposizione di tutti”.
DDAY.it: Non è stata vissuta come un’iniziativa pu-
nitiva?
Prof.ssa Miori: “La nostra è una soluzione educativa:
ha come scopo quello di educare i ragazzi a non uti-
lizzare lo smartphone durante alcuni momenti della
giornata, per esempio quando c’è la spiegazione. Gli
insegnanti entrano al mattino, chiedono agli studen-
ti di posare il cellulare nel pannello (se non devono
utilizzarlo per scopi didattici) e lo lasciano lì fino al-
l’intervallo, quando i ragazzi lo riprendono e succes-
sivamente lo riportano. Lo stesso se devono andare
in laboratorio o in palestra. Le tasche sono numerate,
perciò ognuno ha il suo numero. Altre volte invece gli
smartphone vengono utilizzati durante l’ora di lezione
per delle ricerche o altre attività didattiche, per cui i
ragazzi prendono il cellulare per utilizzarlo nel corso
della lezione. Sappiamo che non è così facile che i
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MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
ragazzi accettino di rinunciare al loro smartphone,
perché è una loro estensione che utilizzano per comu-
nicare, ma ripeto: la nostra è una proposta educativa,
non un sequestro”.
DDAY.it: Ha accennato a maggiori resistenze da par-
te dei ragazzi più grandi...
Prof.ssa Miori: “Sì, è vero. Nelle terze e nelle quarte
invece si è dovuto discutere molto con i ragazzi, per
far capire loro che non si trattava di una punizione. Gli
abbiamo spiegato che in una riunione di lavoro non si
può usare il cellulare per i messaggi personali. Lì sei
obbligato ad ascoltare, bisogna abituarsi. Allo stesso
modo a scuola, durante la lezione, non si può usare il
cellulare, bisogna attendere il termine delle lezioni per
le comunicazioni personali”.
DDAY.it: A nessuno studente è venuto in mente di
imitare la trasmissione Rai “Il Collegio” portando a
scuola due smartphone, uno da consegnare e l’altro
da usare “sotto banco”?
Prof.ssa Miori: “Sappiamo che alcuni ragazzi hanno
posato nel pannello le cover o i cellulari dismessi. In
questo caso l’insegnante ha segnalato con un anno-
tazione sul registro, anche perché la famiglia deve sa-
pere che il ragazzo ha posato la cover o un cellulare
dismesso; si tratta di un patto tra noi e la famiglia”.
DDAY.it: Come hanno reagito i genitori? C’è stata
collaborazione?
Prof.ssa Miori: “I genitori, durante le attività di orienta-
mento, hanno reagito positivamente. La notizia poi è
uscita anche sui giornali, non credevamo potesse ave-
re questa diffusione. È chiaro che la gestione scolasti-
ca è una questione interna, ma i genitori l’hanno vista
come una proposta e una risposta a un problema. Noi
vogliamo evitare il sequestro. Sappiamo che togliere
lo smartphone e portare il ragazzo in presidenza pone
dei problemi. Noi invece vogliamo educare i ragazzi.
Ci sono degli insegnanti che, per dare il buon esempio,
posano il cellulare nell’ultima tasca, anche a prezzo di
dimenticarselo e dover poi tornare a scuola il pomerig-
gio a riprenderlo. Da parte dei genitori, comunque, non
abbiamo avuto proteste significative. Abbiamo avuto
invece qualche protesta per venire a riprendere i cel-
lulari quando venivano sequestrati. Questo perché il
genitore, in quel caso, era costretto a venire a scuola
per avere indietro il telefono del figlio”.
DDAY.it: Questa iniziativa ha suscitato l’interesse di
altri istituti? Ha ricevuto chiamate o messaggi da al-
tri presidi? E il Ministero?
Prof.ssa Miori: “Negli anni passati tutti gli istituti si
sono dotati di un regolamento al riguardo. Altri presidi
ci hanno chiesto se questo sistema funzionasse dav-
vero e dove avevamo comprato i pannelli. Ovviamente
funzionano come ogni altra azione educativa: se dal-
l’altra parte incontra il favore e la disponibilità allora
funziona, se invece l’appoggio non c’è, non funziona.
Se le famiglie sostengono questa metodologia sicu-
ramente funziona, perché i ragazzi ricevono lo stesso
messaggio anche a casa. Se le famiglie sono indiffe-
renti non possiamo aspettarci che i ragazzi accettino
questa soluzione senza problemi. Il Miur non ci ha con-
tattati direttamente, ma il Dirigente Territoriale (che è
il Provveditore) si è espresso favorevolmente. Anche
altri dirigenti scolastici lo hanno fatto.”
DDAY.it: In definitiva, per voi docenti e dirigenti, lo
smartphone è più una minaccia e un rischio o può
essere anche un supporto che, se sfruttato corretta-
mente, può aiutare gli studenti?
Prof.ssa Miori: “Lo smartphone non può essere consi-
derato una minaccia. È sicuramente uno strumento uti-
le. Lei pensi a tutte le volte in cui dobbiamo verificare
un dato e andiamo a “googlare” un termine o una tra-
duzione. Abbiamo in tasca un riferimento
importantissimo. Impedire ai ragazzi di
usarlo sarebbe stupido proprio dal punto
di vista didattico. Abituarli a verificare le
informazioni è invece assolutamente im-
portante. Un dato posso citarlo a memo-
ria perché lo ricordo, ma è importante ve-
rificare che quello che ricordo sia ancora
attuale, così come verificare la veridicità
delle informazioni e delle fonti. Fare in
modo che i ragazzi diventino consape-
voli della quantità di informazioni che
gira e di come sia possibile rintracciare
i dati corretti. Sicuramente è importante
per la loro formazione ma anche per la
formazione all’uso dello strumento. Negare l’uso del
cellulare è sicuramente anacronistico. Diverso invece
è l’uso personale o peggio l’abuso. Riprendere i com-
pagni e diffondere in rete video, o peggio fare azioni
di bullismo. Su questo l’attività educativa delle scuole
c’è ed è presente da anni. Tutte le scuole fanno attività
di sensibilizzazione insieme alla polizia postale e alle
forze dell’ordine, ma questo è un altro discorso”.
DDAY.it: Cosa ne pensa delle classi che lavorano
esclusivamente col tablet?
Prof.ssa Miori: “Noi ce le abbiamo, sono le classi “iPad”.
Negli anni però è diventato sempre più difficile. Sono
più di otto anni che il nostro istituto ha le classi “iPad”
ed è sicuramente un metodo agevole di lavorare, ma i
primi anni i tablet erano collegati soltanto al Wi-Fi del-
l’istituto, quindi venivano utilizzati come strumenti per
l’attività didattica, in qualche modo controllati dalla
scuola. Oggi hanno tutti la SIM personale e si connet-
tono indipendentemente, per cui diventa difficile per
i docenti controllare che i ragazzi lo utilizzino per fini
didattici o meno. In quelle classi, comunque, la comu-
nicazione con i genitori è molto proficua. Abbiamo in
media una o due classi “iPad” ogni 10 ogni anno, quindi
stanno diventando residuali, anche perché l’iPad vie-
ne sostituito dallo smartphone. Io credo che negli anni
si sostituirà questa didattica specifica con una norma-
le gestione del cellulare in affiancamento al normale
libro cartaceo. La didattica con l’iPad però ha aiutato
molto gli studenti con disturbi dell’apprendimento. In
casi gravi di discalculia o dislessia, è indubbio che lo
strumento digitale abbia favorito l’apprendimento”.
DDAY.it: In che modo gli strumenti digitali favorisco-
no gli studenti con disturbi dell’apprendimento?
Prof.ssa Miori: “Favoriscono l’apprendimento perché
lo strumento digitale è, per questi studenti, uno stru-
mento compensativo. L’attività di scrittura e lettura è
agevolata sul tablet. In molti casi, infatti, l’utilizzo del
tablet è stato davvero molto utile, anche per abituarli
alla ricerca dei termini e delle informazioni. Abbiamo
comunque in ogni calasse una LIM, perciò i docenti
sono abituati a utilizzare internet per cercare informa-
zioni. Il libro di testo, nell’epoca di Google, ha sicura-
mente un utilizzo specifico, ma ha anche limiti nella
ricerca delle informazioni”.
Le scale che portano ai piani superiori, mix di storia e contemporaneità.
Le tasche dove gli studenti posano lo smartphone all’inizio delle lezioni
GADGET
Smartphone “appesi” in classesegue Da pagina 20
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MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
di Sergio DONATO
L a EOS-1D X Mark III comincia a far
parlare di sé per il suo utilizzo sul
campo, e pare che Canon sia riusci-
ta a dare ai fotografi sportivi lo strumento
perfetto con la messa a fuoco perfetta,
che inchioda l’azione degli atleti. Dopo
l’annuncio, la Canon EOS-1D X Mark III è
finita finalmente tra le mani dei professio-
nisti che hanno potuto provarla nel corso
del loro lavoro. È il caso di Peter Read Miller, fotografo per Associated Press,
Sports Illustrated e la NFL. Miller ha po-
tuto provare la 1D X III proprio sui campi
da gioco del football americano, ed è ri-
masto impressionato dalle capacità della
macchina. È tutto il pacchetto ad alzare
l’asticella delle prestazioni, quindi il nuovo
sensore con processore Digic X che ot-
tiene uno stop in più negli ISO, mantenen-
do intatta la qualità; i 16 fps ottenuti con il
mirino che diventano 20 fps in Live View,
il supporto esclusivo
di schede CFexpress
che hanno un buffer
di 1.000 file e anche
al formato di immagi-
ni HEIF con 10 bit per
canale. Ma ciò che
ha impressionato Mil-
ler è stato l’autofocus
Dual Pixel (90% su un
asse e 100% sull’altro)
incorporato sul sensore e che Canon ha
istruito con routine di apprendimento in
grado di scattare immagini sportive come
non si erano mai viste. Miller afferma che
le 525 aree di messa a fuoco automatica
permettono al fotografo di concentrarsi
meglio sull’azione, invece che sentirsi im-
brigliato da un’area più piccola che spes-
so non dava i risultati sperati. Negli scatti,
Miller mostra come il soggetto, una volta
che viene “artigliato” dall’autofocus, non
viene più abbandonato dalla macchina.
Nel caso del football americano non è
insolito che molti giocatori si sovrappon-
gano sul piano focale del soggetto, ma la
1D Mark III è sempre riuscita a mantenere
il fuoco sul giocatore scelto da Miller, per
decine e decine di scatti. Miller ha chia-
mato la 1D Mark III una “game-changer”,
e pare proprio che, almeno nella fotogra-
fia sportiva, l’asticella da saltare sia stata
spostata molto in alto.
DIGITAL IMAGING Una manna per la fotografia sportiva, EOS-1D Mark III impressiona i professionisti
Canon EOS-1D Mark III, la “game-changer” La raffica con buffer da 1.000 file unita a un autofocus Dual Pixel “si incolla” al soggetto
di Sergio DONATO
F ujifilm ha annunciato la X100V, la
quinta generazione delle compatte a
ottica fissa che ormai hanno accumu-
lato un decennio di esperienza. La X100V
si presenta con lo stesso sensore APS-C
X-Trans da 26 MP della X-Pro3, rendendo-
la un “ibrido” di un certo interesse.
Il sensore è infatti quello già visto sulle
macchine premium a lenti intercambiabi-
li X-T3 e X-Pro3. Un BSI-CMOS formato
APS-C con il filtro colore proprietario di
Fujifilm, X-Trans e il processore d’immagi-
ne X-Processor 4. Il sensore porta con sé
un nuovo valore minimo di ISO: si parte da
160 e si sale fino a 12.800, che possono
diventare 51.200. La velocità del sensore
si manifesta in una raffica scatti di 20 fps
usando l’otturatore elettronico, che sale
a 30 fps se si sceglie di scattare con un
crop di 1,25x.
Il sensore dà nuove capacità all’autofo-
cus della X100V. Si tratta di un autofocus
a rilevamento di fase, come quello della
X-Pro3, con 425 punti
AF e tracciamento viso
e occhi. Trattandosi di
una compatta a lente
fissa, l’obiettivo merita
un’attenzione partico-
lare. Si tratta di un 23
mm f/2 che sulla carta
ha le stesse caratteri-
stiche della X100F che
l’ha preceduta, ma ha un nuovo design e
promette di migliorare il fuoco sui bordi
e gli scatti ravvicinati. L’aver ridisegnato
l’obiettivo non ha pregiudicato comunque
la compatibilità con le lenti di conversione
WCL-X100 e TCL-X100. Ancora presente il
filtro ND integrato da 4 stop che permette
di scattare a elevate aperture anche sotto
un’intensa luce solare. Il video conquista i
territori del 4K a 30p fino a 200 Mbps con
la simulazione della pellicola Eterna e la
possibilità di acquisire in F-Log, ma solo
in 8 bit. Il corpo macchina vede un mirino
ibrido ottico/elettronico preso in prestito
direttamente dalla X-Pro3 da 3,69 milioni
di punti e soprattutto OLED. Per la prima
volta in una X100, lo schermo posteriore
LCD diventa inclinabile e touch e ottiene
una risoluzione di 1,62 milioni di punti.
Novità importantissima: il corpo è protetto
dagli schizzi d’acqua. C’è anche la possi-
bilità di connettere un microfono con jack
da 3,5mm e fa capolino la nuova porta
USB-C per la ricarica e il collegamento a
un computer. Non ci sono Wi-Fi e Blue-
tooth, ma c’è l’HDMI. Fujifilm X100V sarà
disponibile da fine febbraio in due colori,
al prezzo indicativo di 1.529,99 euro
DIGITAL IMAGING La serie X100 di Fujifilm vive da 10 anni e la nuova X100V diventa “grande”
Fujifilm X100V è la compatta a ottica fissa che “saccheggia” tecnologie dalle macchine premiumSensore 26 MP X-Trans, 4K/30p e raffiche fino a 30 fps per la compatta a ottica fissa X100V
EOS R5 avrà stabilizzazione integrata e ripresa video 8K. Canon fa sul serioSi tratta di indiscrezioni, ma sembra che Canon abbia in cantiere per luglio di quest’anno una EOS R5 da 45 MP, stabilizzata IBIS e con la possibilità di acquisire video in 8K a 30 fps di Sergio DONATO
C’è aria di nuova EOS R in casa Canon. Almeno è quanto dice Ca-non Rumors, che ha ricevuto indi-screzioni circa lo sviluppo di una mirrorless full frame chiamata EOS R5 con sensore da 45 MP, raffica fino a 20 fps, con stabilizzatore IBIS, ma soprattutto con la possibi-lità di registrare video in 8K.Il sensore, dunque, sarà un CMOS full frame da 45 MP di cui non si sa molto altro. Gli scatti in raffica sono dati a una velocità di 12 fps con otturatore meccanico e 20 fps con otturatore elettronico.La stabilizzazione integrata IBIS sarebbe un’altra caratteristica da non sottovalutare, dato che finora Canon non era riuscita a trovare lo spazio necessario nelle proprie mirrorless per dare all’IBIS una casa. Colpisce anche l’acquisizio-ne di video in 8K a 30 fps in RAW e la possibilità di registrare in 4K fino a 120 fps. Ovviamente, non è chia-ro (sempre che le indiscrezioni ab-biano un fondo di verità) quali limiti potrà avere il RAW in 8K, anche in termini di banda, consumi e surri-scaldamento della macchina.Tra le indiscrezioni sembrerebbe esserci anche l’indicazione della data di lancio della EOS R5. Si par-la di luglio 2020.
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MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
di Riccardo DANZO
Chi si approccia per la prima volta al mondo dello
streaming o chi vuole, più semplicemente, regi-
strare la propria sessione di gioco su console
deve per forza valutare l’acquisto di una scheda d’ac-
quisizione video. Nonostante si rivolgano ad un pubbli-
co di nicchia, infatti, queste schede d’acquisizione sono
molto utilizzate dai videogiocatori in generale e, più
precisamente, dagli streamers di Twitch e dagli YouTu-
ber che devono registrare la loro sessione di gioco.
La configurazione è semplice e veloce, tranne nel nostro casoUno dei punti di forza della scheda da noi in prova, la
ULTRA GC553, dovrebbe essere la semplicità di con-
figurazione. Collegando la console alla scheda tramite
HDMI e la scheda al computer tramite USB e alla televi-
sione tramite HDMI, infatti, il computer dovrebbe subito
rilevare la schermata di gioco. Nel nostro caso, però,
non è stato così semplice.
Per un problema legato ai driver della scheda, infatti, ab-
biamo perso diverso tempo a leggere sul sito ufficiale di
AverMedia come risolvere tale problema. In sostanza,
sembra che la scheda sia uscita dalla confezione senza
i driver installati o con dei driver danneggiati e abbiamo
dovuto provvedere noi a scaricarli dal sito ufficiale, spul-
ciando tra i vari forum per capire il problema. Si tratta
sicuramente di un problema legato esclusivamente alla
nostra scheda, ma per chi è un po’ meno esperto pote-
va essere un po’ più in difficoltà. Una volta risolto questo
problema, poi, è stato effettivamente tutto molto facile.
Appena il computer è riuscito a rilevare la scheda, in-
fatti, è stato possibile gestire la schermata di gioco tra-
mite il software AverMedia dedicato, RECentral oppure
tramite altri software simili come OBS o Streamlabs.
Utilizzando un Mac come computer abbiamo preferito
utilizzare OBS ma il comportamento della scheda è so-
stanzialmente uguale su tutti questi software.
Nella confezione, poi, oltre alla scheda, è presente tut-
to l’occorrente per utilizzarla fin da subito: un cavo USB
C - USB 2.0 per collegare la scheda (USB C) al compu-
ter (USB 2.0) e un cavo HDMI.
GAMING Abbiamo provato la migliore scheda d’acquisizione video portatile disponibile sul mercato trasmettendo in diretta su Twitch
AverMedia GC553 Ultra: acquisizione in 4K per trasmettere in diretta su Twitch. La prova La scheda non è economica, ma la qualità è altissima sia per lo streaming sia per registrare delle sessioni di gioco offline
La qualità di registrazione è alta e la scheda lavora in totale silenzioLa qualità massima che la scheda riesce a gestire è altis-
sima, fino a 4K HDR a 30 fps oppure, per chi preferisce
un frame-rate elevato, fino a 120 fps in Full HD. Ovvia-
mente, poi, la qualità dipende molto anche dalla con-
sole che si utilizza. Nel nostro caso abbiamo utilizzato
una Playstation 4 e, avviando una streaming su Twitch,
abbiamo ottenuto davvero un’ottima qualità di riprodu-
zione. Non solo, durante la trasmissione, che è durata
qualche ora, la scheda non è mai stata troppo rumorosa
e non ha mai dato alcun problema di surriscaldamento.
La latenza tra la schermata di gioco riprodotta in TV e
quella riprodotta sul computer, inoltre, è sostanzialmen-
te pari a zero. Anche per quanto riguarda la più sem-
plice registrazione video, la qualità rimane comunque
massima e la scheda rimane silenziosa e fredda. Con-
siderando le dimensioni davvero ridotte della scheda,
è sicuramente una qualità importante nel caso si abbia
la necessità di usare la scheda in mobilità o di cambiarla
spesso tra vari dispositivi. Sulla stessa scheda, inoltre, è
presente un led che cambia di colore a seconda delle
occasioni e che si colora di rosso nel caso la streaming
si sia bloccata per un errore dovuto proprio alla scheda.
Il software di AverMedia è un po’ acerbo per trasmettere su TwitchPer chi vuole trasmettere in diretta su Twitch, il pro-
gramma fornito da AverMedia, RECentral, è ancora un
po’ troppo acerbo. Oltre alla scheda video, infatti, RE-
Central permette di gestire solo la webcam e poco più.
Per funzioni più avanzate come l’utilizzo di immagini
GIF animate o il caricamento della chat del canale è si-
curamente meglio utilizzare altri software come Stream-
Labs su Windows e OBS su Mac. Per delle semplici re-
gistrazioni della schermata di gioco, invece, RECentral
va più che bene ed è anche più semplice ed intuitivo
da utilizzare rispetto ad altri programmi. Ovviamente la
scheda può essere utilizzata in qualsiasi modo, colle-
gando sorgenti diverse dalle console alla scheda ma la
maggioranza delle persone che acquista questo tipo di
dispositivo è per un utilizzo in ambito gaming. Tuttavia,
per esempio, per chi vuole trasportare i vecchi DVD o
VHS sul disco del proprio computer, questa GC553 po-
trebbe essere perfetta.
La scheda non costa poco ma la qualità c’èAttualmente il prezzo della scheda (che ufficialmente
costa 249 euro) si aggira intorno ai 180 euro. Non si
tratta di un prezzo proprio economico per la funzione
che svolge ma sicuramente si tratta di un dispositivo
di qualità, in competizione con i prodotti Elgato, la qua-
le ha recentemente annunciato l’arrivo di una nuova scheda di alta gamma al CES, dal prezzo sicuramen-
te più elevato rispetto a questa GC553. Le differenze
tra la nuova scheda Elgato e questa GC553 sono mini-
me e riguardano più che altro la possibilità di registrare
le schermate direttamente su una scheda SD, senza
la necessità di un computer. Se non siete interessati
a questa funzionalità, probabilmente questa scheda
di AverMedia è la migliore che possiate acquistare sul
mercato in questa fascia di prezzo. Chi vuole trasmet-
tere live su Twitch o piattaforme simili o chi vuole re-
gistrare le proprie sessioni di gioco si troverà di fronte
al dubbio di quale scheda video acquistare. La Ultra
GC553 di AverMedia non è di certo economica ma se
si vuole un risultato di qualità, senza impegnarsi trop-
po nella configurazione del set-up, questa è la scheda
d’acquisizione fa per voi.
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MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
di Sergio DONATO
Jumpshot, una società sussidiaria
di Avast, sta vendendo i dati degli
utenti raccolti attraverso il program-
ma antivirus di Avast. I dati sarebbero ac-
quistati da clienti quali Google, Microsoft,
Pepsi, Sephora, Yelp.
L’indagine che ha portato a galla l’ac-
quisizione dei dati è opera di un lavoro
congiunto di Motherboard e PCMag. È
stato scoperto che, una volta collezio-
nati, Jumpshot “riconfeziona” i dati per
in pacchetti messi vendita a seconda
degli usi, tra cui l’”All Clicks Feed”, che
è in grado di tracciare il comportamento
dell’utente, i clic e gli spostamenti attra-
verso i siti web.
Ma la collezione dei dati di Jumpshot at-
traverso l’antivirus Avast comprende an-
che le ricerche su Google, le coordinate
GPS su Google Maps, i video YouTube
guardati e anche i termini di ricerca e le
visite sui siti pornografici.
Tutti i dati sono collezionati anonima-
mente. Non sono cioè associabili in
modo diretto a un utente: anche se i dati
stessi e la loro abbondanza potrebbero
fungere da “carta d’identità”.
L’attività societaria di Jumpshot è pro-
prio quella di “misuratrice di attività”
degli utenti in internet per servizi e piat-
tafrome come Netflix, Amazon, Google,
che poi sono acquistate dalle aziende
clienti per ottimizzare canali, migliorare
il marketing e la vendita di eventuali
prodotti. Il problema è che la raccolta di
dati non avviene attraverso un software
specifico o un servizio che ne dà nota,
ma attraverso il programma antivirus di
Avast. Sembra che Avast abbia iniziato
a chiedere il permesso per la raccolta
dati ai propri utenti. Ma sarebbe un po’
fuori tempo rispetto a quanto scoperto
dall’indagine, secondo la quale la col-
lezione dei dati avveniva all’insaputa
degli utenti.
Motherboard e PCMag hanno contat-
tato alcune delle società che hanno
acquistato i pacchetti da Jumpshot, per
avere contezza dell’attività di compra-
vendita. Microsoft non ha commentato
ma da detto che non ha rapporti corren-
ti con Jumpshot. Yelp ha risposto che si
è servita dei dati Jumpshot per stimare
l’impatto del comportamento anticon-
correnziale di Google. La stessa Goo-
gle, cliente di Jumphost, non ha offerto
alcun commento. Infine, le due testate
hanno posto domande dirette ad Avast,
la quale ha svicolato la maggior parte di
esse ma ha dichiarato: “Grazie al nostro
approccio, ci assicuriamo che Jumpshot
non acquisisca informazioni di identifi-
cazione personale, compresi nome, in-
dirizzo e-mail o dettagli di contatto, da
persone che utilizzano il nostro popola-
re software antivirus gratuito”.
Ha poi aggiunto: “Gli utenti hanno sem-
pre avuto la possibilità di scegliere di
non condividere i dati con Jumpshot. A
partire da luglio 2019, abbiamo già ini-
ziato a implementare una scelta esplici-
ta di opt-in per tutti i nuovi download del
nostro AV, e ora stiamo anche spingen-
do i nostri attuali utenti gratuiti a fare
una scelta esplicita, un processo che
sarà completato nel febbraio 2020.”
SOCIAL MEDIA E WEB L’indagine è opera di un lavoro congiunto di Motherboard e PCMag
L’antivirus Avast colleziona i dati degli utenti I dati raccolti erano poi rivenduti alle aziendeI dati sarebbero acquistati dai clienti, ta i quali Google, Microsoft, Pepsi, Sephora, Yelp
Così Linkiller difende la reputazione online dai link infamantiL’azienda italiana ha realizzato un servizio basato su app che aiuta gli utenti a eliminare dal web articoli infamanti, video e foto imbarazzanti, con la promessa di rimuovere i link sgraditi entro due settimane di Paolo CENTOFANTI
Si chiama Linkiller ed è un’applica-zione creata dalla startup bologne-se Tutela Digitale, che permette di far sparire link dalla rete, quelli che ci possono creare dei problemi. Non tutti i cittadini della rete hanno le conoscenze e gli strumenti per contrattaccare e difendersi: da qui l’idea di Tutela Digitale di offrire un meccanismo efficace, ma soprat-tutto veloce per aiutare chiunque a rimuovere link a contenuti offensivi contro la nostra persona: articoli, immagini, commenti, ma anche vio-lazioni di copyright. Il funzionamen-to dell’app è semplice: si segnala il tipo di problema (foto, video, ar-ticolo, etc,), il link al contenuto e i propri recapiti e il team di Linkiller si impegnerà a rispondere in 48 ore con un’analisi della situazione e fattibilità di rimozione dei conte-nuti sgraditi, con una proposta di contratto per far partire l’attività di rimozione. Linkiller lavora nell’am-bito del quadro normativo italiano, ma cerca di collaborare con le piat-taforme di contenuti rimanendo in campo extragiudiziale, proprio con l’obiettivo di velocizzare i tempi di rimozione dei link sgraditi. Soprat-tutto Facebook, YouTube, ma an-che quotidiani, blog, testate locali. Il costo per l’utente è a link rimos-so, ma il prezzo varia anche in fun-zione della difficoltà. Il pagamento avviene solo dopo la rimozione dei primi link individuati. Il costo per link può andare dai 50 euro fino a 190 euro.
SOCIAL MEDIA E WEB Progetto “Terms of Service; Didn’t Read”
Termini di servizio complessi? Questa estensione li semplifica
di Sergio DONATO
Se può capitare che lo si faccia per
le app o i programmi, è quasi certo
che i termini di servizio dei siti web
non li legge nessuno. Il progetto “Terms
of Service; Didn’t Read” (ToS;DR) prova
a venire in aiuto degli utenti di internet
collezionando in modo semplice le in-
formazioni raccolte dai siti, anche con
un estensione per browser. Il progetto
nasce nel 2011 e dal movimento Unho-sted, che si premura dell’esistenza di app che possano ridare il controllo dei dati sen-
sibili agli utenti, e ToS;DR si dice finanziato da piccole donazioni private e da società
non-profit. Visitando la pagina internet di ToS;DR è possibile cercare un sito e avere
come risultato una classificazione dello stesso secondo un etichetta alfabetica da A a
E, che definisce e separa i siti che rispettano i diritti e la privacy degli utenti, dagli altri
che invece sono considerati non trasparenti. Il riassunto espresso dall’etichetta viene
poi esploso in un elenco che può differire da sito a sito e con pollici in su verdi e pollici
versi rossi che indicano la trasparenza del sito in merito a diverse attività di navigazione.
Alcuni siti non hanno una classificazione perché la loro mappatura avviene grazie al
contributo degli utenti, possibile attraverso la pagina di ToS;DR e il tasto “Contribute”.
Le modifiche sono poi revisionate da un curatore del progetto.
torna al sommario 26
MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
di Pasquale AGIZZA
U n rapporto dell’organizzazione
dedita alla tutela dei diritti digita-
li Electronic Frontier Foundation
(EFF), mostra come Ring, una delle socie-
tà più famose nell’ambito di videosorve-
glianza, raccolga in maniera fraudolenta
tutta una serie di dati degli utenti, ceden-
doli poi di nascosto a cinque società ame-
ricane. Ring è di proprietà di Amazon.
Il rapporto dell’EFF mostra come Ring
ceda i dati dei clienti a società come Fa-
cebook e Google. La pietra dello scanda-
lo è l’app che gestisce il funzionamento di
videocitofoni, campanelli e telecamere di
sicurezza. Secondo il rapporto, infatti, l’ap-
plicazione è piena di tracker di terze parti,
installati proprio per carpire ed inviare alle
società quanti più dati possibili degli uten-
ti. Fra i dati inviati ci sarebbero anche dati
sensibili come il nome dell’utente, l’indiriz-
zo IP e tutti i dati rilevati dai sensori dello
smartphone.
Secondo il rapporto, inoltre, ci sarebbero
altre tre aziende coin-
volte nel furto dati oltre
i due giganti california-
ni: Branch (una piatta-
forma di deep-linking),
AppsFlyer (una società
attiva nel campo del-
la raccolta di big data)
e MixPanel, che fra le
cinque sembrava quel-
la più interessata a dati
sensibili come i nomi completi degli utenti
e il loro indirizzo mail. Contattata per un
chiarimento, Ring non ha negato questa
pratica ma ha voluto minimizzare la porta-
ta degli eventi. In un’intervista concessa al
sito Gizmodo ha infatti dichiarato: “Come
molte aziende, Ring utilizza fornitori di
servizi di terze parti per valutare l’utilizzo
della nostra app mobile, che ci aiuta a
migliorare le funzionalità, ottimizzare l’e-
sperienza del cliente e valutare l’efficacia
del nostro marketing”. Ha concluso, poi,
dichiarando di aver lavorato duramente
per ridurre al minimo la quantità di dati
condivisi con i propri partner. Ring, ac-
quisita da Amazon nel 2018, è famosa
per i propri videocitofoni e campanelli
intelligenti in grado di mostrare sullo
smartphone ciò che succede fuori dalla
nostra porta o in casa nostra. Ma fin dal-
la sua fondazione la compagnia è stata
al centro di moltissime lamentele riguar-
danti la privacy. Sono più di 200, infatti,
le cause intentate alla compagnia dai
propri utenti per la cessione non auto-
rizzata di immagini e video alla polizia.
SMARTHOME Le accuse a Ring, di proprietà di Amazon, in un rapporto di Electronic Frontier Foundation
I dati rubati di citofoni e videocamere Ring Coinvolti Facebook e Google e non solo I dati rubati comprendono nomi e indirizzi mail degli utenti, indirizzi IP e dati dei sensori
di Franco AQUINI
Anche i condizionatori sposano gli as-
sistenti vocali di Google e Amazon.
Parliamo delle due nuove serie Ethe-
rea VKE e TZ WKE di Panasonic, che oltre
a caratteristiche di altro profilo sia a livello
tecnologico che di efficienza energetica,
integrano il supporto agli assistenti vocali
Google Assistant e Amazon Alexa tramite
rete Wi-Fi. Il primo dei due, appartenen-
te alla linea Etherea serie VKE è dedi-
cato a chi cerca linee estetiche pulite
e ricercate. Inoltre, grazie ai 194mm di
spessore, è molto discreto. Il sistema di
purificazione dell’aria “nanoe X” ha lo
scopo di ridurre i livelli di agenti patoge-
ni dell’aria, contribuendo a migliorarne
la qualità. Non è da meno l’efficienza
energetica, che con i modelli da 2,5 e
3,5W raggiunge la classe A+++ sia per
il raffrescamento che per il riscaldamen-
to. Valori confermati an-
che dagli indici specifici
SCOP (Seasonal Coeffi-
cent Of Performance) e
SEER (Seasonal Energy
Efficency Ratio) di 8,50
e 5,10. La linea TZ serie
WKE invece sono condi-
zionatori pensati per le
case più piccole, dove si
possono installare in spazi limitatissimi,
visto che i modelli da 2 e 4,2 kW sono
larghi appena 779 mm e possono esse-
re installati sulle porte. Si tratta inoltre
di modelli estremamente silenziosi, che
producono soltanto 20 dB(A) in raffre-
scamento (vale per i modelli da 2,0/2,5
e 3,5 kW).
Le due nuove soluzioni di controllo della
climatizzazione sono compatibili con IF-
TTT, il servizio che permette di combina-
re azioni relative a servizi diversi, colle-
gandole tra loro in una sorta di “ricette”.
L’uso di IFTTT permette, per esempio,
di legare l’accensione e lo spegnimento
automatico in base alla posizione del
porprio smartphone. Oppure inviando
una notifica o un’email allo scatenarsi
di certi eventi. I condizionatori permetto-
no inoltre di utilizzare altri dispositivi per
la Smart Home, per collegare il controllo
della temperatura, per esempio, al meteo;
ma permettono anche il controllo dell’illu-
minazione in base all’ora del tramonto.
SMARTHOME I condizionatori Panasonic della serie Etherea e TZ con Google Assistant e Alexa
Condizionatori Panasonic ora con gli assistenti vocaliC’è anche il supporto a IFTTT, per automatizzare l’accensione e il controllo del clima domestico
OKOKOMBI, la lavasciuga smart AEG, promette di risparmiare acqua e di non danneggiare i capiÖKOKOMBI serie 9000 di AEG integra l’assistente personale Care Advisor, capace di consigliare sempre la combinazione di programma lavaggio e asciugatura migliori di Franco AQUINI
AEG ha dotato la lavasciuga ÖKO-Kombi delll’assistente personale Care Advisor attraverso il supporto all’app My AEG Care, con la qua-le si potrà gestire anche la serie 9000 della lavasciuga a pompa di calore. Lavasciuga che rispetto ai modelli tradizionali riduce lo spre-co di acqua e energia del 40%. La novità dell’app però, è l’assi-stente personale Care Advisor, sviluppato da un team di tecnici che ha pensato alla cura dei capi attraverso la scelta corretta del programma di lavaggio e di asciu-gatura, consigliando la combina-zione migliore in base al tessuto, al colore e al grado di sporco. ÖKOKombi integra una serie di tecnologie di lavaggio e asciugatu-ra innovative. Come SensiDry, che permette di assorbire l’umidità dai tessuti ad una temperatura del 50% inferiore rispetto alle asciugatrici convenzionali. I sensori ProSense combinano le opzioni migliori di lavaggio e tempi di asciugatura in base al carico e alla tipologia di tessuti, mentre DualSense regola temperatura e movimenti del ce-stello a seconda dei cestelli.
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MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
di Gianfranco GIARDINA
“La luce artificiale è stata uno dei più grandi
passi avanti dell’umanità - ci dice Jake Dy-
son, figlio del celebre fondatore dell’azienda
che porta il loro cognome -. Ci permette di estendere
le nostre attività anche oltre l’orario del tramonto. Ma
dobbiamo fare in modo che sia una luce ‘sana’. E noi
l’abbiamo fatto”.
Ecco la nuova sfida di “Re Mida” Dyson: la celebre
casa inglese ha presentato quest’oggi Lightcycle Mor-
ph, la nuova (e totalmente rivista) versione della pro-
pria lampada già in commercio, la Lightcycle. Si tratta
del prodotto che forse più di altri meritava un’evolu-
zione, visto che, complice un design forse un po’ trop-
po tecnico, la prima interpretazione di Lightcycle (che
è sbarcata nel settore consumer solo nel 2019) non ha
scatenato, almeno nelle prime battute di mercato, la
stessa “viralità” a cui ci hanno abituato aspirapolvere
e phon del marchio britannico.
Non si tratta di un semplice restyling malgrado anche
questo nuovo modello mantenga ben saldi i princi-
pi base della prima generazione. In realtà si tratta di
una completa reinterpretazione del tema guida che
ha portato Dyson a fare una lampada: la luce sem-
pre uguale è sbagliata - questo l’assunto alla base di
tutta la linea -: serve una luce che sappia adattarsi ai
momenti del giorno, al tipo di attività compiuta e alle
esigenze della persona che le compie, permettendo
di vedere senza fatica quando serve e che non dia
mai fastidio. Nel realizzare il nuovo prodotto, Jake
Dyson (il figlio del più celebre James; cura la divisio-
ne lighting da molti anni, ora integrata nella casa ma-
dre) ha deciso di andare oltre le linee decisamente
squadrate della prima generazione, che assomigliava
molto, nell’architettura, a una gru in miniatura.
La nuova Lightcycle Morph si basa invece su un brac-
cio snodato in grado di portare la luce ovunque nel
raggio d’azione e una testa girevole a 360 gradi per
orientare il fascio verso il basso, per esempio per il
lavoro da tavolo, o verso la parete o il soffitto, per
avere una morbida illuminazione diffusa. O anche
verso un punto specifico, per esempio un quadro, per
SMARTHOME Dyson lancia la nuova generazione della propria lampada Lightcycle. Morph è la nuova sfida di “Re Mida” Dyson
Lightcycle Morph, la lampada connessa di DysonLa luce giusta per ogni momento del giornoNon solo lampada da tavolo o da lettura, ma strumento polivalente, che si trasforma in base all’ora del giorno e all’età dell’utente
segue a pagina 28
funzionare come luce d’accento. La caratteristica più
importante e unica della Lightcycle Morph è quella
di rilevare la posizione della lampada (grazie alla lo-
calizzazione dello smartphone connesso), incrocian-
dola con l’ora del giorno in cui ci si trova: in questo
modo è in grado di ricreare la luce più coerente con il
periodo dell’anno e il luogo in cui ci si trova e di farla
evolvere nel tempo per non far mai sentire il “peso”
di un’illuminazione artificiale. Questo sulla base di un
milione di campionature di cicli luminosi in altrettanti
punti del mondo: in questo modo la lampada sa che
caratteristiche dovrebbe avere la luce in quel posto
in quel momento. Grazie alla connettività Wi-Fi e
Bluetooth, la lampada è anche in grado di interagi-
re con l’app Dyson e di rispondere ai comandi che
l’utente lancia, come per esempio richiamare uno dei
20 preset memorizzabili.
Non solo: sotto il braccio che regge la lampada c’è
un sensore che è in grado di rilevare la luminosità
del piano, quando la Lightcycle Morph è utilizzata
come lampada da tavolo. In questo modo, la lampa-
da può modulare l’emissione luminosa per centrare
sempre il livello di luminosità target: nel caso in cui
eventuale luce solare dovesse aumentare (per esem-
pio arriva un raggio di sole sul tavolo) la lampada
riduce la propria emissione fino a spegnersi pur di
mantenere costante la luminosità secondo le impo-
stazioni dell’utente. Sempre in modo adattativo, la
lampada può basarsi sull’età del proprio utente (che
conosce tramite l’app, correggendo i parametri per
meglio accordarsi alle mutate esigenze: un 65enne
- ci ha spiegato l’azienda - ha bisogno di una luce
quattro volte più intensa di un ventenne. Ci pensa la
lampada a creare le condizioni di miglior comfort; o
meglio a proporle, visto che poi l’utente può interve-
nire manualmente e correggere sia l’intensità che la
temperatura di colore come meglio crede operando
sui controlli touch presenti sulla parte terminale dello
stelo, vicino alla lampada.
A proposito di colori, vale la pena di citare anche
la modalità “precisione”, quella ottimizzata per fare
lavori al tavolo che richiedano la massimizzazione
dell’acuità visiva e ma la massima capacità di discer-
nere i colori: la Lightcycle Morph raggiunge un CRI
del 90% o superiore (l’indice di resa cromatica, ca-
ratteristica tra le più importanti delle fonti luminose),
posizionando l’apparecchio quindi in classe 1A, la
maggiore per questo tipo di valutazione.
Affinché la luce possa rendere giustizia a tutti i co-
lori (avendo quindi un alto CRI) devono essere ben
rappresentate tutte le frequenze dello spettro. Dy-
son sostiene che la luce di questa lampada è as-
solutamente “lineare”, ovverosia tutte le frequenze
sono presenti. Per dimostrarlo, almeno al grande
pubblico, ha fatto passare la luce emessa dalla lam-
pada attraverso un prisma che scompone la luce. E
il risultato quello nella foto 1. In realtà salta anche
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MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
SMARTHOME
Dyson Lightcycle Morphsegue Da pagina 27
il concetto dello stelo semplicemente funzionale a
reggere il braccio: anche lo stelo diventa una super-
ficie di emissione luminosa, almeno nella modalità
“ambiente”, emette luce, grazie a una microforatura
dell’alluminio di cui è composto.
In realtà è la lampada stessa ad essere la fonte lu-
minosa per la modalità ambiente, quando la testa è
ripiegata sullo stelo: la luce entra dall’alto e viene
riproposta attraverso i fori dello stelo.
Questa modalità può essere attivata anche da un
sensore di presenza persone, posizionato vicino alla
sorgente luminosa. In particolare, i fori sono 4.950
nella versione da tavolo e addirittura 16.740 in quella
da terra. Si tratta in questo caso di una luce calda,
che può assumere anche le tinte di una candela a
1700 gradi kelvin, per creare un ambiente riposan-
te ed accogliente, magari preparatorio a un sonno
ristoratore.
La stessa lampada può essere utilizzata anche per
ripartire nel modo giusto: un’apposita routine ottimiz-
zata per garantire un risveglio “morbido” e naturale
può essere “puntata” all’ora desiderata per mimare
l’alba anche a finestre chiuse. L’altro tema già caro a
Dyson nella prima generazione è il raffreddamento: i
LED, contrariamente a quanto si pensi, hanno proble-
mi di surriscaldamento. Se non riescono a dissipare
bene il calore (conm succede spesso aile strip LED
montate su gomma o plastica), la loro durata quasi
infinita precipita e il guasto è dietro l’angolo. Nella
nuova Lightcycle Morph, i LED sono in connessio-
ne con una giuida di dissipazione che garantisce un
funzionamento senza problemi per almeno 60 anni. l
prezzo è leggermente più alto rispetto alla prima ge-
nerazione e certamente non è per tutti, come molti
prodotti Dyson: 599 euro nella versione da tavolo e
799 euro in quella da terra; finiture nero o bianco/
argento.
Sotto il braccio ci sono alcuni tasti che permettono l’attivazione di alcune funzioni, come l’auto on/off sulla base del sensore di presenza persone o regolare il ciclo circa-diano nel caso la lampada non sia connessa con la app.
Il braccio ha due calamite che fanno sì che la posizione di riposo (con la lampada che guarda verso lo stelo) sia raggiungibile semplicemente con un gesto: ci penserà la calamita a bloccare il braccio nella giusta posizione.
Quando la lampada è accesa e ripiegata su se stessa, la luce entra nello stelo e si diffonde nell’ambiente grazie a migliaia di microfori pra-ticati nel tubolare di alluminio che regge l’intera struttura.
Nello spaccato è facile vedere il condotto in rame massiccio che conduce il calore lontano dai LED che così non soffrono di surriscaldamento anche dopo molte ore di funzionamento continuo.
La luce rientra dall’alto (qui in una versione “se-zionata” della lampada a puro uso dimostrativo) e va ad illuminare lo stelo. C’è anche un filtro arancio che scalda ulteriormente la luce che quindi passa da neutra fino a molto calda, simile a quella di una candela.
Nella foto dello spaccato, è possibile vedere la cupola bianca che contiene il sensore di presenza persone. Alla sua destra un piccolo sensore che è in grado di rilevare l’intensità luminosa sul tavolo, in modo tale ma mante-nerla costante modulando la luce emessa, che va a miscelarsi con eventuale luce ambiente.
1
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MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
di Roberto PEZZALI
L enovo X1 Extreme è stata una delle workstation più
apprezzate dell’ultimo anno per la sua versatilità e
l’ottimo rapporto dimensioni prestazioni. La secon-
da generazione, migliora sotto ogni punto di vista.
Negli ultimi anni moltissime workstation solitamente
orientate ad una pubblico business hanno preso una
derivazione consumer per offrire una alternativa a chi
usa Windows come sistema operativo, e tra questi i pro-
dotti più noti sono i Surface di Microsoft, i Dell XPS e la
serie Extreme di Lenovo. Il Lenovo X1 Extreme è arrivato
alla sua seconda generazione migliorando in tutto e per
tutto un prodotto comunque già eccellente: resta un ul-
tra portatile, ma sotto la scocca delle configurazione da
noi provata c’è un processore Core i7 Coffe Lake a sei
core di nona generazione affiancato da una GPU Nvidia
GTX1650 Max-Q da 35 watt che lo rendono una macchi-
na perfetta in ogni situazione.
Scocca robusta in carbonio e magnesioEsteticamente non è facile distinguere le due generazio-
ni di Lenovo Extreme X1: fatta eccezione per la camera
IR aggiuntiva nella parte alta, di fianco alla videocame-
ra che si può coprire con uno sportellino per ragioni di
privacy, sembrano esattamente identiche. La finitura è
quella a cui ci ha abituato Lenovo da tempo, quello chas-
sis in magnesio e fibra di carbonio che al tatto sembra
morbido e gentile, tanto da poter essere scambiato per
plastica. Ma non è così, è robusto, resistente agli sfregi
e ai graffi, sufficientemente rigido nella parte che rive-
ste e protegge lo schermo e nero, nerissimo. Il difetto
è una facilità fuori dal comune nel trattenere le impron-
te, soprattutto se si hanno le dita un po’ unte e umide:
usando per qualche settimana un Lenovo e un MacBook
Pro, che è il diretto concorrente se si guarda ad un altro
sistema operativo, il MacBook Pro con il suo alluminio
satinato sembra nuovo mentre il Lenovo ha già l’aria di
un notebook vissuto. Basta un panno umido per pulirlo,
ma resta il fatto che il coating superficiale poteva essere
pensato meglio.
Tante opzioni di schermo, ma forse la migliore è quella più banaleIl Lenovo X1 Extreme di seconda generazione può esse-
re ordinato con diverse configurazioni di schermo, tra le
TEST Abbiamo provato una delle workstation più leggere e potenti sul mercato, la seconda generazione dell’X1 Extreme di Lenovo
Lenovo X1 Extreme 2nd gen. Purosangue da corsaSiamo davanti ad una macchina eccezionale, forse uno dei migliori notebook “pro” con Windows che si possano acquistare oggi
quali c’è anche l’OLED. Lenovo ci ha fornito la versione
con schermo opaco 4K IPS, e dobbiamo dire che è uno
schermo davvero eccellente. Il nero non è impeccabi-
le, e la finitura opaca non aiuta perché il livello del nero
sembra agli occhi più alto di quello che una sonda po-
trebbe percepire, ma come resa cromatica e accuratez-
za ci troviamo davanti ad uno schermo impressionante.
La calibrazione di base è anche più precisa di quella del
MacBook Pro da 16” provato di recente, la luminosità
tocca i 480 nits ed è abbastanza uniforme su tutto il
quadro. Sconsigliamo l’OLED su un notebook, per di-
versi motivi: il primo è il refresh rate forzato a 60 Hz di
questo pannelli, il secondo è il timore di trovarsi da-
vanti ad uno schermo che può stamparsi con immagini
statiche e il terzo è il consumo. Perché su un notebook,
che ha immagini prevalentemente bianche e spesso
la luminosità è regolata pure al massimo per l’uso al-
l’aperto, uno schermo OLED potrebbe aumentare in
modo considerevole i consumi e il Lenovo X1 Extreme
ThinkPad X1 Extreme 2nd genTROVARE DI MEGLIO È DAVVERO DIFFICILE. E SI PUÒ MIGLIORARE ANCORA
2.200,00 €
Lenovo X1 Extreme non è un notebook “fighetto” come il MacBook Pro, e sebbene i materiali siano eccellenti esteticamente resta una workstation con un aspetto business. Non è brutta eh, ma non è nemmeno così appariscente. Se togliamo però l’aspetto estetico ci troviamo davanti ad una macchina per la produzione eccezionale, forse uno dei migliori notebook “pro” con Windows che si possano acquistare oggi. La tastiera è eccelsa, la qualità dello schermo ottima e parte dei problemi della prima generazione sono sorpassati. Si potrebbe migliorare an-cora, soprattutto in termini di autonomia e di ottimizzazione dei profili energetici perché in diversi casi emerge il power throttling, soprattutto quando il computer deve decidere se privilegiare la CPU o la GPU. Lenovo ha fatto una macchina versatile, un vero all-round che guarda a tutti gli aspetti, anche alla silenziosità e alla stabilità. Forse avrebbe potuto spingerlo un po’ di più, ma non senza sacrifici. Il consiglio è di non acquistare la nostra configurazione, quasi 2800 euro di notebook, ma di prendere quello con lo schermo Full HD da 500 nits: in questo caso il prezzo scende un po’. Qualcuno potrebbe anche pensare di pren-dere la configurazione minima con 256 GB di SSD e 8 GB di RAM da espandere successivamente, ma il prezzo a cui vende le opzioni Lenovo è allineato a quello di mercato, non ci si guadagna affatto.
Qualità Longevità Design Semplicità D-Factor Prezzo
9 9 7 8 7 98.5COSA CI PIACE COSA NON CI PIACEVersatilità massima grazie alla presenza di connessioni di ogni tipoPrestazioni bilanciate in ogni ambitoTastiera davvero eccellente come ergonomia
Qualche bug di troppo ancora irrisoltoPotrebbe andare più forte, ma i profili sono conservativiDisplay 4K inutile, sarebbe stato meglio avere un Full HD Touch
segue a pagina 30
Lenovo X1 Extreme 2nd Gen.La videorecensione
lab
video
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MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
non è un portatile che ha bisogno di consumare troppo,
la batteria è da 80 wattora e il setup inteso come cpu e
gpu decisamente energivoro. Con il senno di poi, aven-
do provato la versione 4K, possiamo dire che forse la
miglior soluzione per questo Lenovo è lo schermo Full
HD da 500 nits: non solo consuma meno del 4K ma non
essendo uno schermo hiDPI gestisce molto meglio alcu-
ne applicazioni legacy che litigano un po’ con la risolu-
zione elevatissima del pannello.
La tastiera è una goduria. E ci sono porte a volontàGuardare i due profili del Lenovo X1 Extreme è una vera
e propria gioia per gli occhi: ci sono connessioni di ogni
tipo, e l’unica presa che necessita di un adattatore è
quella di rete ethernet. L’adattatore, però, è fornito nella
confezione. Sul lato destro ci sono due porte USB 3.1 di
tipo classico e c’è uno slot per le card SD, mentre sul
lato sinistro troviamo due thunderbolt 3 a piena banda,
4 lane PCI Express, un’uscita HDMI per collegare un mo-
nitor esterno, un jack audio con uscita anche ottica e la
porta per l’alimentatore da 135 watt. Come sempre non
è un alimentatore con connessione standard, ma c’è
una buona notizia: un normale caricatore power delivery
(PD) riesce a ricaricare il notebook anche da presa USB
Type C: all’utente viene segnalato che non sarà una rica-
rica veloce, ma si ricarica.
Lo abbiamo caricato con l’alimentatore di una Ninten-
do Switch, e con quello di un MacBook: zero problemi.
Ovviamente non si può pensare di sfruttare la macchina
a piena potenza collegata ad un alimentatore che non
è il suo e che non riesce a fornire 130 watt: la batteria
aiuta, ma dopo un paio d’ore il notebook si scarica. Con
il suo alimentatore, grazie alla tecnologia RapidCharge,
si carica in poco più di un’ora. Il vero fiore all’occhiello
del Lenovo X1 Extreme è la tastiera, una tastiera mera-
vigliosamente piacevole da usare. Il rumore dei tasti, il
feedback tattile, la distanza e la sagomatura data a que-
sti ultimi permettono di digitare velocemente e senza
errori. Gli unici errori si fanno per un bug: ogni tanto salta
qualche lettera, ci è capitato soprattutto con la N. E salta
anche qualche spazio. Inizialmente abbiamo pensato
alla necessità di adattamento. Poi ci siamo accorti che ci
sono decine di acquirenti sui forum Lenovo che lamen-
tano questo problema e per il quale ad oggi ancora non
c’è un fix. Ed è strano, perché Lenovo è molto attenta
ai consumatori e ha già risolto con diversi update alcu-
ne problematiche che abbiamo avuto durante le prime
settimane di prove. Velocissimo il sensore fingerprint
laterale e ottimo il trackpad, anche se sui portatili “pro”
Lenovo c’è chi preferisce usare il Trackpoint.
Non va fortissimo, ma è perfettamente bilanciatoLa versione da noi provata, come anticipato, è quella
con processore Intel Core i7 9750H a 2.6 GHz, nona ge-
nerazione e 6 core, unito a 32 GB di RAM a 2666 MHz
(2 banchi da 16 GB) e ad una GPU NVIDIA GeForce GTX
1650 Max-Q con 4 GB di GDDR5.
Abbiamo trattato l’Extreme X1 come una macchina
versatile, anche se la maggior parte dei nostri test ha
interessato l’aspetto di produzione video e editing fo-
tografico. Non ci siamo lasciati però scappare qualche
sessione di gioco, dove il notebook si è comportato in
modo eccellente per essere un notebook “pro” e non
specifico per gamer: con la 1650 si riescono ad esegui-
re giochi anche impegnatici con dettagli medi o medio
alti, a patto di sopportare qualche calo di frame rate e di
rinunciare alla risoluzione 4K.
Come sempre dalle prove dei notebook ci si aspetta
qualche benchmark, e noi li abbiamo fatti anche se i ri-
sultati non sono quelli che ci aspettavamo: il Lenovo X1
Extreme poteva andare un po’ più veloce. Invece Leno-
vo ha fatto una scelta ben precisa, quella di creare dei
profili termici molto conservativi che tengono la CPU
e la GPU attorno agli 80° senza però esagerare con il
raffreddamento attivo: anche quando il computer sta
facendo un rendering pesante, o sta girando Cineben-
ch R15, le ventole partono ma non si sentono troppo.
Senza questi profili, e probabilmente cancellando l’im-
magine installata da Lenovo e usando una immagine
pulita di Windows si può dimostrare, il computer riesce
ad andare un po’ più forte, dal 7% al 10% circa, ma la
rumorosità sale e anche il consumo. Come per molti
TEST
Lenovo X1 Extreme 2nd gen.segue Da pagina 29
notebook Windows chi è abile a “smanettare” può
poi ricorrere ad un po’ di undervolting per cercare di
migliorare ulteriormente autonomia e prestazioni, ma
come sempre la domanda da farsi è: “Se si può miglio-
rare il notebook perché Lenovo non ci ha pensato?”. La
realtà è che migliorando qualcosa si peggiora altro, e il
Lenovo X1 Extreme ci è sembrato perfettamente bilan-
ciato per quanto riguarda prestazioni e consumi in ogni
ambito. E se sta lavorando a pieno carico non sembra
di avere un elicottero che decolla sulla scrivania, con
la scocca che non diventa affatto rovente nella parte
inferiore come. Una nota sulla parte audio, che rientra
nella media dei notebook: non pessima ma neppure
eccellente, sicuramente non è uno dei prodotti con la
miglior resa acustica che ci sia capitato di provare. E
anche la pressione sonora non è eccelsa, e nonostan-
te si fregi della compatibilità Atmos non sembra affatto
un prodotto “hi-fi”. Tra le ultime cose da dire riguardo
a questo X1 Extreme ci sono la presenza di una sche-
da wireless Intel Wi-fi 6 e la possibilità di usarlo anche
con Linux. Un prodotto di questo tipo può interessare
molto gli sviluppatori, soprattutto chi lavora nell’ambito
del machine learning, e sebbene non sia semplicissi-
mo ci sono guide per caricare sul notebook diverse
distribuzioni. Unico accorgimento un kernel superiore
al 5.1 per gestire la scheda wireless Wi-fi 6 con i driver
iwlwifi e una corretta installazione dei driver NVIDIA:
con Ubuntu 19.10, nel nostro caso, abbiamo dovuto
mettere in blacklist i driver Nouveau di Ubuntu per
usare quelli proprietari NVIDIA. Nulla che chi usa linux
non possa fare.
Autonomia non esagerata, lo schermo 4K non aiutaL’interno del Lenovo X1 di seconda generazione
non colpisce per pulizia e ordine come quello di un
MacBook, ma rispetto ai prodotti Apple ha un van-
taggio che molti apprezzeranno: è completamente
modulare e può essere aggiornato after market senza
problemi. Le RAM, la scheda wireless e i due slot PCIe
NVMe permettono all’utente di acquistare una confi-
gurazione scarna per poi espanderla come meglio si
crede. Nella parte bassa trova spazio la grossa batteria
al litio da 80 Wh. Una batteria che nella configurazione
da noi provata permette una autonomia di circa 6 ore
se si eseguono applicativi standard, quindi suite office,
browsing e mail, ma che può anche ridursi a meno di
due ore si si usa ad esempio Adobe Premiere o si gio-
ca sfruttando la GPU discreta NVIDIA.
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MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
di Roberto FAGGIANO
D i solito un diffusore del tipo soundbar ha il solo
compito di riprodurre l’audio del televisore, al
massimo troviamo anche la compatibilità con gli
assistenti vocali disponibili, ma JBL ha fatto di più per-
ché la sua Link Bar (prezzo di listino 399 euro) contiene
anche una completa sezione di Smart TV basata su
piattaforma Android TV.
Siamo quindi di fronte a un dispositivo che svolge ben
tre funzioni diverse, mantenendo aspetto e dimensioni
di una comune soundbar, molto interessante per chi
ha un televisore con qualche anno sulle spalle ma non
certo da rottamare. Le alternative alle singole tre fun-
zioni sono moltissime ma nessuno le ha riunite in un
solo dispositivo.
Esternamente la Link Bar appare come una comune
soundbar con subwoofer integrato, facilmente inseri-
bile davanti a un TV grande schermo oppure fissata a
parete. In dotazione troviamo un piccolo telecomando
che può essere utilizzato anche per attivare l’assisten-
te vocale di Google; il telecomando ha quindi un micro-
fono integrato che si attiva premendo il tasto con i pal-
lini colorati di Google. Sul lato superiore del diffusore
troviamo i tasti diretti per le funzioni essenziali, mentre
sotto la griglia frontale appaiono quattro punti luminosi
che indicano il livello del volume o l’interazione con il
telecomando. Il controllo completo avviene sullo scher-
mo del TV tramite un ampio menù che riunisce le im-
postazioni di tutte e tre le funzioni disponibili. Limitate
le opzioni della soundbar dal punto di vista acustico,
ridotte in sostanza a qualche elaborazione DSP e al
controllo del livello dei bassi. Sul telecomando però
non c’è un pulsante diretto per variare l’effetto DSP
del diffusore ma bisogna tornare al menù principale; lo
stesso vale per la regolazione dei bassi: decisamente
scomodo, tanto che alla fine in genere è meglio restare
sull’effetto standard e accontentarsi del risultato. Non
manca invece l’ormai ubiquo tasto dedicato al lancio
diretto dell’applicazione di Netflix.
TEST Abbiamo provato l’unica soundbar che unisce insieme le funzioni di diffusore, smart tv e assistente vocale di Google
Abbiamo provato la soundbar JBL Link Bar Il diffusore con Android TV e Google AssistantPerfetto per chi ha un TV datato ma ancora valido. Ma la resa sonora sarà stata sacrificata in nome delle altre funzioni?
Una soundbar sempliceDal punto di vista sonoro la Link Bar è un diffusore piut-
tosto semplice e usa un sistema due vie con accordo
reflex. In dettaglio ogni canale sfrutta due midwoofer
rettangolari da 44 x 80 mm e un tweeter da 20 mm
mentre ci sono due accordi reflex laterali che impon-
gono spazio libero ai lati in entrambe le direzioni. La
potenza massima erogata è di 100 watt. In tema di con-
nessioni non ci si può lamentare dato che sul retro tro-
viamo ben tre prese HDMI 2.0, un ingresso digitale ot-
tico e un mini-jack stereo; presente anche un pulsante
per l’abbinamento wireless di un eventuale subwoofer
esterno opzionale e c’è la presa di rete per il collega-
mento Ethernet cablato. Inoltre troviamo il Bluetooth in
versione 4.2 per collegare in riproduzione smartpho-
ne, tablet e altri dispositivi, e non manca la connettività
Wi-Fi 5 (802.11ac) per il collegamento alla propria rete
wireless in alternativa al cavo Ethernet.
Le dimensioni sono piuttosto abbondanti in larghezza,
raggiungendo gli 1,02 metri mentre il diffusore è com-
patto in altezza (solo 6 cm) e in profondità (nemmeno
10 cm). Possibile anche il posizionamento a parete con
dima di fissaggio in dotazione.
segue a pagina 32
TUTTO IN UNO O SOLUZIONI SEPARATE?
La Link Bar di JBL ha il merito di unire le funzioni di diffusore, smart tv e assistente vocale di Google in un solo diffusore, ma sarà una soluzio-ne utile per tutti considerando il prezzo di listino oppure conviene scegliere soluzioni separate? Se possedete un tv datato ma ancora valido la risposta è affermativa perché si ottengono tre funzioni in un colpo solo e tutte sono svolte in nodo soddisfacente. Se invece il vostro tv è da pensionare forse è meglio pensare a modello già smart e a una soundbar più economica ma con prestazioni simili, magari già predisposta per un assistente vocale. Comunque l’idea del tre in uno l’avuta JBL e bisogna sottolinearlo perché al momento non ci sono alternative in materia e le prestazioni sonore, specie con la musica, sono tipicamente da diffusore JBL; rimane non eccezionale il rapporto qualità/prezzo.
Qualità Longevità Design Semplicità D-Factor Prezzo
8 8 7 8 8 77.7COSA CI PIACE COSA NON CI PIACEPrestazioni sonore con programmi musicaliVersatilità ingressi e funzioniMenù funzioni su schermo
Funzionalità Google AssistantTelecomando con poche funzioniRapporto qualità/prezzo migliorabile
lab
video
JBL Link Bar 399,00 €
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MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
TEST
JBL Link Barsegue Da pagina 31
Android TV e Google AssistantPer la funzione aggiuntiva di smart TV, JBL ha scelto la
piattaforma Android TV. Troviamo le applicazioni più
comuni e sponsorizzate come Netflix già preinstallate,
ma mancano quelle localizzate per il mercato italiano
come ad esempio RaiPlay che andrà scaricata ma-
nualmente da Google Play.
Il movimento all’interno del menù è semplice tramite il
telecomando e volendo ci si può affidare all’assistente
vocale, anche se la risposta non è sempre immediata
e bisogna prima registrarsi a tutte le app preferite pri-
ma di poterle utilizzare. Affidandosi completamente a
Google e accettando praticamente qualsiasi cosa in
termini di privacy, si accorciano i tempi per l’installa-
zione; per quanto riguarda l’assistente vo-
cale, se si vuole essere sicuri della propria
privacy, alla bisogna il microfono può esse-
re disattivato con un tasto fisico sulla soun-
dbar. Abbiamo subito testato l’assistente
chiedendo di portarci direttamente su tre
diverse trasmissioni ma con risultati poco
convincenti: anche se l’assistente com-
prende perfettamente ciò che vogliamo,
otteniamo cose diverse. Chiedendo “Fio-
rello su RaiPlay” veniamo invece portati su
You Tube per scegliere alcune clip di Viva
RaiPlay, chiedendo un noto programma su
DPlay ci viene incomprensibilmente rispo-
sto che non possiamo accedere a DPlay
– cosa che invece facciamo tranquillamente subito
dopo agendo manualmente sul menù –. Netflix inve-
ce viene trattato molto meglio: chiediamo di vedere
La casa di carta su Netflix e non solo veniamo portati
immediatamente sulla pagina dedicata di Netflix, ma
parte pure una breve introduzione dell’assistente vo-
cale sulla serie TV.
Prestazioni sonore soddisfacentiAbbiamo collegato la soundbar al nostro TV di riferi-
mento con il cavo HDMI in dotazione e poi abbiamo
seguito le istruzioni a schermo per la connessione,
piuttosto laboriosa anche inserendo l’account perso-
nale di Google. Si può usare l’app di Google Home
ma la sostanza non cambia e le funzioni di Android
TV rallentano la messa in opera. Poi però la Link Bar
è subito a disposizione per dare il suo contributo alla
resa sonora e si attiva automaticamente all’accensio-
ne del TV. La resa in generale è piuttosto buona e
superiore a quella ottenibile dal 90% dei televisori:
voce ben focalizzata al centro, un discreto effetto an-
teriore che allarga un poco la scena, gamma bassa
profonda e ben controllata che convince soprattutto
riproducendo musica e programmi musicali. Mancano
però gli effetti di circondamento e tutto resta molto
centrato sul diffusore. Per i film più spettacolari manca
invece il colpo allo stomaco in gamma bassa che solo
un subwoofer separato potrebbe portare.
Abbiamo provato le diverse soluzioni DSP, traendo
qualche vantaggio solo con la musica, per il resto la
resa non cambia molto e neppure l’opzione film rie-
sce a creare un minimo di effetto surround. Conviene
rimanere nella posizione standard e lasciare il livello
dei bassi sul valore impostato in fabbrica. Insomma
prestazioni buone ma da un diffusore di questo prez-
zo e con il marchio JBL ci si aspetta di più.
di Roberto FAGGIANO
Anche se i film realizzati con la codi-
fica Dolby Atmos sono ancora re-
lativamente pochi, molti produttori
di soundbar hanno proposto i loro diffu-
sori compatibili con l’ultima codifica di
casa Dolby. Però non è semplice otte-
nere dei risultati sonori all’altezza delle
aspettative da un diffusore vincolato a
precise dimensioni e collocamento in
ambiente. Forse per questo Creative
ha chiamato direttamente i laboratori
Dolby per aiutare lo sviluppo della sua
SXFi Carrier, una soundbar con su-
bwoofer che punta subito alla fascia più
alta del mercato con i suoi 1.000 dollari
di prezzo di listino.
La nuova SXFi Carrier si presenta con
dimensioni più contenute della media,
giungendo a soli 88 cm di larghezza; ri-
dotto anche l’ingombro in altezza dato
che sul alto superiore ci sono gli alto-
parlanti che diffondono verso l’alto gli
effetti tipici del Dolby Atmos.
Altri altoparlanti diffondono il suono
frontalmente, lateralmente e dal centro
della soundbar. In tutto nella SXFi Car-
rier sono utilizzati sette altoparlanti con
potenza complessiva di 450 watt. Non
sono previsti sistemi di calibrazione per
semplificare l’installazione plug & play
tramite un solo cavo HDMI eARC verso
il tv. Creative ha però inserito nella cir-
cuitazione il suo esclusivo sistema Su-
per X-Fi già utilizzato nella sua gamma
di cuffie per ottenere un suono ancora
più realistico tramite l’ascolto persona-
le in cuffia.
In tema di collegamenti la SXFi Carrier
ha pure due prese HDMI 2.1, un jack
per cuffie e una presa USB C; non man-
HI FI E HOME CINEMA La SXFi Carrier è stata realizzata in stretta collaborazione con Dolby. Il subwoofer wireless è già in dotazione
Creative, la soundbar Atmos progettata insieme a DolbyForse la strada migliore per ottenere i risultati sonori che registi e progettisti vogliono effettivamente presentare al pubblico
ca il bluetooth 5.0 per ulteriori sorgen-
ti. Il subwoofer monta un bel woofer
da 25 cm orientato lateralmente che
può contribuire in modo decisivo a
completare verso il basso la resa de-
gli effetti più spettacolari con il clas-
sico colpo allo stomaco. L’arrivo della
soundbar sul mercato è è previsto en-
tro l’estate.
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MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
di Roberto PEZZALI
Se guardiamo a quello che offre oggi il mercato
dei TV ci sono ancora le due grandi categorie di
prodotto che si scontrano, almeno nel segmen-
to “Premium”: da una parte l’OLED, dall’altra l’LCD. Se
consideriamo quello che è successo però negli ulti-
mi due anni, è il segmento LCD quello che ha fatto
più passi in avanti, complici anche gli ottimi pannelli
OLED che restano gli stessi da diverse generazioni. Il
TCL X10, che siamo andati a provare nelle fabbriche di
TCL in Polonia, è senza alcun dubbio il TV LCD Quan-
tum Dots tecnologicamente più avanzato sul merca-
to. Qualcuno potrebbe azzardare un confronto con
Samsung, ma Samsung ha deciso da un paio d’anni
di sviluppare nuovi trend che uniscono tecnologia e
design, e ha portato sul mercato (o le sta portando)
innovazioni come il The Wall, il Sero o l’ottimo The
Frame, un televisore “quadro” unico sul mercato.
Mentre Samsung guarda al mercato e ai grandi nu-
meri, TCL ha deciso di spremere la tecnologia LCD al
massimo delle sue possibilità per andare a creare un
televisore che possa essere apprezzato soprattutto
da coloro che non sono interessati solo al design, al
form factor e a tutto il resto, vogliono solo la massima
qualità possibile.
E lo ha fatto perché oggi, negli studi di produzione di
tutto il mondo, molti reference monitor sono basati su
pannelli LCD, gli unici capaci di garantire la copertura
colore e il volume colore richiesti quando si effettua
la color correction di un contenuto HDR: se esistono
monitor LCD capaci di battere ogni display, possibile
che non si riesca a fare un TV simile?
TCL ha esperienza, produce pannelli da anni e ha
deciso di provare a inseguire questo traguardo: dare
all’appassionato un TV che possa colmare le lacune
degli OLED raggiungendo le stesse prestazioni degli
OLED nei segmenti dove questi ultimi sono ancora
imbattibili, vedi il nero. Il TCL X10, 65” e 2.499 euro
di prezzo di listino è il primo di questa nuova gene-
razione di TV che grazie alla tecnologia miniLED e al
pannello QLED riesce a raggiungere, almeno secon-
do TCL, la luminosità e il volume colore richiesti da
un contenuto HDR senza però sacrificare il nero, che
TEST Abbiamo trascorso una giornata insieme al top di gamma QLED della serie TCL, un TV promettente dal prezzo abbordabile
TCL X10, QLED e miniLED insieme per battere l’OLEDIl TV è il primo che, secondo TCL, grazie ai miniLED riesce a raggiungere le 768 zone di controllo con oltre 15.000 LED blu
grazie alla retroilluminazione FALD con un numero
elevato di zone dovrebbe rimanere eccellente. TCL
da buon brand cinese sta facendo un po’ quello che
ha fatto Huawei con gli smartphone a partire dal P10:
creare un prodotto con ottimi materiali e con tutta la
tecnologia possibile a bordo, ed effettivamente se si
guarda alla scheda tecnica e al prodotto difficilmente
ci si può lamentare.
È un TV in alluminio, con un design semplice e pulito
dotato di una soundbar nella parte bassa che funzio-
na anche da base. La soundbar è stata progettata in
collaborazione con Onkyo, un diffusore a 2.2 canali
con amplificazione digitale e compatibile Dolby At-
mos oltre che DTS.
Partendo dal pannello ci troviamo davanti ad un LCD
creato da TCL, con una retroilluminazione a LED blu
indispensabili per sollecitare il filtro quantum Dots
emettendo uno spettro cromatico quasi puro per le
tre componenti. Nella tabella A, la misura dello spet-
tro cromatico del TCL X10 QLED confrontato con
quello del Samsung Q90 e dell’OLED LG C9: TCL è la
linea continua, Samsung quella tratteggiata e l’OLED
LG quella con i punti.
I 15.000 LED vengono gestiti a zone perché al mo-
mento non è possibile fare meglio di così, ma già dal
prossimo anno con un controller a matrice attiva sarà
possibile aumentare ulteriormente il numero di zone
rendendole grandi un centimetro quadrato.
La luminosità di picco è di 1500 nits, ma
è un compromesso dovuto soprattutto
allo smaltimento del calore generato
dai LED e dal bilanciamento luminosità
/ blooming: più è alta la luminosità più
è difficile contenere il blooming, unico
vero difetto di molti TV Full Array Local
Dimming (FALD).
Il processore integrato è in grado di ge-
stire ogni tipo di HDR: noi lo abbiamo
provato via con Netflix in Dolby Vision
sia con Amazon Prime Video. Una nota:
se si guarda un contenuto su Amazon
Prime Video con HDR10+ e Dolby Vision
la precedenza viene data sempre al Dolby Vision se
il TV è in grado di gestire entrambi, quindi l’HDR10+
sul TCL X10 si può usare solo per quei contenuti in
HDR10+ per i quali non esiste anche la versione Dolby
Vision. Abbiamo poi guardato alcuni blu-ray in HDR0
standard.
Una nota, prima di passare alla visione, sulla parte
smart, basata su Android 9, con TCL che per la serie
X10 promette aggiornamenti fino ad Android 11. Non è
velocissima, il processore utilizzato è un classico SoC
per smart TV con una quantità di RAM base e una ve-
locità paragonabile a quella degli altri TV Android, ma
le app più importanti ci sono tutte. La fluidità di una
NVIDIA Shield è ancora invidiabile, nessun televisore
Android è riuscito a raggiungere tali livelli.
Il telecomando è nello standard, unità classica con
controllo vocale con una buona ergonomia ma nulla
di memorabile. C’è per un telecomando aggiuntivo
molto più pratico, anche se penso più per la fruizione
delle app che per l’uso come TV vera e propria. Per
quanto riguarda le connessioni ci troviamo davanti
ad un classico reparto di connettività con tre porte
HDMI 2.0, nessuna delle quali dispone di funzionali-
tà 2.1 come il VRR, il Quick Media Switching o l’Auto
Low Latency Mode. Il TCL X10 non è un TV pensato
esplicitamente per i giochi, anche se collegato ad una
console si comporta decisamente bene con un input
lag attorno ai 20 ms.
segue a pagina 34
A
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MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
TEST
TCL X10, QLED e miniLED insiemesegue Da pagina 33
Come si vede il TCL X10 rispetto ad un OLED?Sono due i TV sul mercato che entrano direttamente
in concorrenza con questo TCL X10: il Samsung Q90,
che può contare su una luminosità superiore ma con
meno zone e il C9 di LG, che si trova attorno ai 2.000
euro nella versione da 65” e che oggi forse è il TV
con il miglior rapporto qualità prezzo sul mercato.
Sappiamo quasi sono i punti di forza e i punti deboli di
ognuno: il Samsung ha una luminosità di picco eccel-
lente, una copertura del gamut completa e un volume
colore pieno, ma con le poche zone a disposizione
non riesce ad essere convincente come un OLED sul
nero. L’OLED ha una bassa luminosità di picco e un
ridotto volume colore, ma riesce ad essere imbattibile
su nero e scene a bassa luminosità grazie ai pixel self
emitting. Il TCL X10 dovrebbe posizionarsi esattamen-
te tra i due, e le stesse misure fatte mettono in luce
un televisore che non ha nulla di meno di quello che
riescono a dare, nella modalità “film” preimpostata,
gli altri due televisori.
Abbiamo guardato diverse sequenze, passando da
contenuti a definizione standard fino ad arrivare al
4K passando dai servizi di streaming come Netflix
e Amazon Prime Video al blu-ray Ultra HD Oppo. Il
TCL X10 lavora molto bene sullo scaling: migliorare
la risoluzione dei contenuti, anche se di qualità molto
bassa come quelli trasmessi dalla nostra televisione,
non è più una missione complessa come lo era negli
anni passati. Anche il sistema di motion interpolation
(il pannello è a 100 Hz) non lavora affatto male, seb-
bene siamo propensi a regolarlo ad un livello dove
la risoluzione in movimento aumenta leggermente
senza però portare l’immagine ad essere completa-
mente innaturale.
I micro-scatti del 24p restano, così come resta il fee-
ling si immagine cinematografica. I 1500 nits di picco
restituiscono immagini HDR di altissimo livello, ottima
dinamica, ottimo spunto su certe sequenze senza
mai apparire troppo fastidioso anche in un ambiente
oscurato. Quello che sicuramente tutti vogliono sape-
re è come funziona il local dimming, e per metterlo
a dura prova abbiamo utilizzato alcune sequenze di
The Martian e alcune scene con titoli di testa molto
luminosi su fondo nero e cieli stellati. Il riassunto,
senza dilungarsi troppo, è che nel 75% dei casi se
si guarda il televisore di fronte il local dimming fa un
lavoro eccelso, non c’è ritardo nel gestire le zone di
retroilluminazione e sembra di trovarsi davanti ad un
TV con un nero perfetto e un ottimo contrasto. Il bloo-
ming c’è, non è visibile come in molte altre situazioni
ma fuori asse rispetto al pannello diventa evidente.
Le zone piccole aiutano, ma non può sparire del tut-
to: basta mettere un cielo stellato per vedere come le
stelle, che sull’OLED sono puntini luminosi dispersi in
un unica macchia nera sul TCL sono macchie. Quante
volte è capitato di trovarsi davanti ad una scena simi-
le? Non tantissime effettivamente, ma può succedere.
Il TCL X10 è un ottimo televisore, ma è comunque un
televisore che di listino costa 2499 euro: TCL lo ha
fatto per raggiungere la qualità dei monitor HDR da
studio, e il TV riesce a restituire immagini di ottima
qualità in tantissimi casi, anche se la differenza vera
rispetto ad altri televisori riesce a farla sono con ottimi
contenuti HDR dove chi ha fatto il master ha pensato
bene a come gestire la luminosità della scena. Con
contenuti standard resta un buon local dimming, ma
in questo caso un OLED riesce ad essere più versatile
e funzionale. L’X10 è meglio dell’OLED quando c’è un
contenuto HDR ben fatto, altrimenti l’OLED riesce a
dare ancora qualcosa in più e soprattutto, a fronte di
un prezzo di mercato più basso, è già dotato di alcu-
ne feature dell’HDMI che strizzano l’occhio ai gamer.
La prossima generazione di TCL dovrebbe aumen-
tare il numero delle zone, e se solo TCL riuscisse a
ridurre ancora il blooming, che al momento resta il
tallone d’Achille dell’X10 in alcune scene, la sfida si
farebbe davvero interessante. Solo il futuro dirà se il
miniLED è la strada giusta per portare avanti ancora
qualche anno gli LCD in attesa delle prossime ge-
nerazione di pannelli, ma al momento ci è sembrata
l’unica strada percorribile per costi e resa, perché
eventuali LCD a doppia modulazione alzerebbero
ulteriormente i costi (e nel frattempo i prezzi degli
OLED scenderebbero ancora di più).
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MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
di Gianfranco GIARDINA
I l problema è un “grande classico” dei possessori di
MacBook (e non solo): il disco interno, che poi è un
SSD, non è mai abbastanza grande. E - come i pos-
sessori di questo notebook sanno - l’unità interna è
saldata sulla motherboard e non può essere oggetto di
upgrade.
Ovviamente sarebbe sempre meglio, potendoselo per-
mettere, scegliere in fase di configurazione e acquisto
il modello con il disco giusto, ovverosia un bel po’ più
grande delle proprie attuali necessità. Ma se il portafo-
glio sanguinante vi ha spinto verso un disco che pochi
mesi dopo si rivela troppo piccolo, la soluzione c’è: è un
SSD esterno, che oramai, grazie alle architetture NVMe,
ha raggiunto velocità paragonabili se non addirittura
superiori a quelli del disco interno. Certo - osserverà
qualcuno -, c’è la scomodità di avere un’unità esterna,
il cavetto, qualcosa da collegare… Ma è anche vero che
il disco esterno può tramutarsi facilmente anche in un
velocissimo “traghetto” per spostare grandi quantità
di file da un computer all’altro. O per impostare cicli di
lavoro “misti”, dove per esempio si inizia a lavorare sul
MacBook e si prosegue sull’iPad Pro, con piena condi-
visione dei dati. Lo scenario nel quale ci siamo messi è
quello di un lavoro su foto e file video su un MacBook
da 15” del 2018. Chi fa puro “office” difficilmente andrà
in grossa sofferenza di spazio; e se proprio capitasse,
può affidarsi con successo a supporti di memoria anche
meno performanti e capienti, come una buona chiavetta
USB. Nel nostro caso no, abbiamo ipotizzato di lavorare
di editing video direttamente sull’unità esterna senza
mai copiare sul disco interno i dati; allo stesso modo
abbiamo alloggiato sull’SSD esterno alcune immagini di
macchine virtuali di Parallels Desktop da attivare secon-
do necessità, anche queste da “lanciare” direttamente
dal disco esterno. Una vera estensione del disco inter-
no, a tutti gli effetti, che la tecnologia rende oggi possi-
bile, vera e propria “salvavita” (della vita del MacBook,
si intende) di macchine nate con la memoria interna un
po’ troppo stretta.
I quattro “champion” del mercato: Crucial, LaCie, Samsung e SanDiskAbbiamo analizzato quattro prodotti, i più importanti
sul mercato, apparentemente molto simili tra loro ma
in realtà con differenze importanti, sia di prezzo che di
prestazioni. E - come vedremo - ognuno si presta a dare
la soluzione più interessante a seconda dello scenario
di utilizzo. Abbiamo scelto in tutti i casi il taglio da 1 TB,
un giusto mezzo tra le poderose ma spesso costosissi-
me versioni da 2 TB e le non decisive sul fronte della
capienza da 500 GB. I prezzi sono molto diversi, diceva-
mo, ma comunque inferiori ai 500 euro che Apple chie-
de per passare da una configurazione di MacBook Pro
con 256 GB di disco al taglio da 1 TB. Tutti i dischi della
TEST Abbiamo messo sotto torchio 4 SSD esterni NVMe, ovverosia superveloci, soprattutto se si lavora con fotografie e video
Gli SSD superveloci salva-MacBook a confronto I 4 “campioni” Crucial, LaCie, Samsung e SanDiskAbbiamo scelto il taglio da 1 TB, ma prezzi e prestazioni diverse: ecco tutte le risposte nella nostra prova comparativa
comparativa sono in grado di collegarsi alla porta USB-
C del MacBook Pro: due però possono sfruttare tutta la
banda della connessione Thunderbolt 3 (40 Gbit/s teo-
rici), essendo compatibili con questo standard; gli altri
due dovranno “accontentarsi” (si fa per dire) della USB
3.1, che si ferma a 10 Gbit/s. La connessione, dicevamo,
resta la stessa, ma nel caso dei dischi Thunderbolt va
usato un cavetto adatto identificato dal classico “fulmi-
ne” sul connettore, pena la perdita della banda supple-
mentare.
Crucial X8, l’essenziale
Si tratta di un SSD esterno NVMe che bada decisamen-
te alla sostanza: interfaccia USB-C compatibile all’indie-
tro con i connettori di tipo A. Non è Thunderbolt 3, quin-
di, ma è in grado di collegarsi a porte in questo standard,
ovviamente alle velocità permesse dalla propria inter-
faccia. Piccolo e solido, ha un telaio in metallo, capace
di dissipare al meglio le temperature che il disco rag-
giunge in esercizio ed è totalmente nero, forse il meno
“sexy” del pool in prova sul fronte del design. Viene for-
nito, purtroppo, con il solo cavetto USB-C USB-A, per-
fetto per collegarsi a macchine più datate; andrà com-
prato a parte un cavetto USB-C USB-C del valore di
pochi euro: peccato non averlo incluso nella confezio-
ne. Certo, però, che il prezzo è assai convincente: l’unità
da 1 TB è l’unica del pool in prova a stare sotto i 200
euro (196,49 precisamente) e questo fa facilmente di-
menticare qualche concessione all’essenzialità.
LaCie Rugged SSD Pro, l’evoluto
Uno degli ultimi usciti, fa parte della linea Pro di LaCie ed
è quindi Thunderbolt 3. Questo ovviamente dovrebbe
sostanziarsi in velocità estreme se collegato a porte
Thunderbolt 3. Ma contrariamente ad altri prodotti simili
sul mercato, questo LaCie integra un controller in grado
di “rallentare” e rendersi compatibile anche con connes-
sioni USB 3.1. Attenzione, non USB generiche, ma solo in
versione 3.1, quindi su porta USB-C. Anche se buona
parte dei PC (e tutti i MacBook) con porta USB-C sono
anche Thunderbolt 3, una compatibiità di questo tipo
apre, per esempio, il mondo del facile travaso di dati tra
MacBook e iPad Pro, che appunto dispone, nelle ultime
versioni, di USB-C.
Il design il classico “rugged” di LaCie, con rivestimento
segue a pagina 36
Gli SSD salva-MacBookLa prova comparativa
lab
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torna al sommario 36
MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
TEST
Gli SSD superveloci salva-MacBooksegue Da pagina 35
in gomma antiurto, questa volta, dato il carattere “pro”,
con finitura nera e non la classica arancione. L’unità è
fornita con un cavetto Thunderbolt 3 molto corto, non
più di 20 cm: ci sta dovunque ma in alcuni frangenti qual-
che centimetro in più migliora l’usabilità. Prezzo al top
della comparativa: il taglio da 1 TB costringe a sborsare
480 euro. Sempre meno di quanto chiede Apple in fase
di configurazione per un upgrade da 750 GB, ma co-
munque un cifra non trascurabile.
Samsung X5, il rigoroso
È il primo disco SSD esterno con prestazioni davvero
estreme a essere arrivato sul mercato, un vero e proprio
missile, ed è caratterizzato dalla sola compatibilità con
Thunderbolt 3: non si collega a null’altro che una porta in
questo standard e rifiuta la connessione anche con
eventuali porte USB-C, malgrado condividano il medesi-
mo connettore. Perfetto quindi per chi ha un MacBook o
un PC con Thunderbolt 3 ma non per chi ha intenzione
di far risorgere un prodotto un po’ datato usando sempli-
ci porte USB-C o USB-A. Il design grigio rosso è molto
“stiloso” e la costruzione molto solida, con un telaio dal-
l’apparenza metallica e capace di dissipare bene il calo-
re. Le dimensioni però ne fanno l’unità più grande di
questa comparativa. Il Samsung X5 viene fornito con un
cavetto Thuderbolt 3 da mezzo metro: solo lui ha un va-
lore di mercato come minimo di 20 euro. Ma il prezzo del
Samsung X5 non è certo dei più bassi: questo disco nel
taglio da 1 TB ha un prezzo consigliato di 453,49 euro.
SanDisk Extreme Pro, il versatile
La proposta di SanDisk è all’insegna della versatilità:
l’unità disco, infatti è USB-C con performance USB 3.1
ma non è Thunderbolt. Se da un lato questo non può
che sostanziarsi nell’impossibilità di raggiungere le velo-
cità dei modelli Thunderbolt 3, dall’altro lato il controller
è facilmente retrocompatibile e quindi il disco si collega
a qualsiasi USB, anche USB-A, senza essere schizzino-
sa. Ovviamente, se non si utilizza una porta USB-C, sarà
la porta stessa ad essere il vero collo di bottiglia in termi-
ni di velocità di lettura e scrittura. Per la massima versati-
lità, il SanDisk Extreme Pro, che dispone di una porta
USB-C, viene fornito con doppio cavetto: uno USB-C da
entrambi i lati e l’altro con un connettore USB-A per il
collegamento a porte standard più datate. In questo
modo è facile adattarsi a qualunque situazione e qual-
siasi PC si incontri. Il design è molto bello (finitura super-
ficiale in gomma) ed è anche efficiente: l’unità è piccola
e sottile, forse la più sottile del pool. Il prodotto, nel taglio
da 1 TB è nuovissimo e non ha ancora un prezzo ufficia-
le. Ma certamente sarà compreso tra i 170 euro della
versione da 500 GB e i 647 di quella da 2 TB: ragionevo-
le pensare che si attesterà a poco più di 300 euro. Da
segnalare il servizio Rescue, già compreso nel prezzo,
per recuperare i dati nel caso di danneggiamento dei
disco; e tre mesi di abbonamento ad Adobe Creative
Cloud, giusto una prova ma che può tornare utile per
attività tattiche.
I testi di velocità: in generale, sono delle schegge. I Thunderbolt 3 ancora di più.Il primo test che abbiamo fatto è stato con il classico tool
gratuito Disk Speed Test di Blackmagic, pensato pro-
prio per chi fa editing video. Lo scopo del benchmark
è proprio quello di stabilire se l’unità disco testata si
presta o meno per ospitare i materiali video da editare,
precisamente lo scenario nel quale ci siamo calati. Il no-
stro riferimento è, ovviamente, l’unità interna del nostro
MacBook, quello che avremmo voluto più grande e che
aspiriamo ad estendere con le unità esterne. Nel test più
stressante (scritture e letture ripetute di file video da 5
GB) il disco interno ha presentato al benchmark velocità
di scrittura di quasi 1700 MB/s che diventano 2300 MB/s
in lettura. Ovviamente è garantita la compatibilità in edi-
ting con tutti i formati video con lettura, tanto per fare un
esempio, di quasi 600 frame al secondo in risoluzione
4K e codifica ProRes 422: significa che il disco intero po-
trà riprodurre una timeline con 10 di questi flussi video
in contemporanea a 50 fotogrammi al secondo, mante-
nendo anche un po’ di margine per le normali fluttuazio-
ni di prestazione del sistema. Ebbene, allo stesso test, il
Samsung X5 e il LaCie Rugged SSD Pro, i due dischi che
sulla carta sono più veloci degli altri grazie all’interfaccia
Thunderbolt 3, ci hanno fanno letteralmente cadere la
mascella, comportandosi decisamente meglio anche del
disco interno. In particolare il LaCie ha fornito le migliori
prestazioni al benchmark: oltre 2000 MB/s in scrittura,
che diventano quasi 2600 MB/s in lettura. Il limite dei fo-
togrammi gestiti in ProrRes 4k si sposta più avanti, oltre
i 650 fotogrammi al secondo. Il Samsung ha mostrato
le prestazioni leggermente superiori in scrittura (2085
MB/s) fermandosi, si fa per dire, ai 2350 MB/s in lettura.
Comunque meglio del disco interno del MacBook.
Dagli altri dischi, che non sono Thunderbolt 3, è ragio-
nevole attendersi prestazioni più basse. Le unità Crucial
e SanDisk hanno dato al benchmark Blackmagic risultati
analoghi, a circa 950 MB/s sia in scrittura che in lettura.
È evidente che in questo caso il collo di bottiglia non è
l’SSD NVMe ma la banda passante dell’intefafccia del
disco, che viene saturata sia in lettura che in scrittura. In
entrambi i casi stiamo parlando comunque di oltre 200
fps in ProRes 4K, il che significa, tanto per fare un esem-
pio, 8 flussi contemporanei in 25p. Abbiamo provato a
utilizzare anche l’unità LaCie Rugged SSD Pro con un
cavetto USB-C non Thunderbolt, cosa che ha fatto sca-
lare la velocità dell’unità simulando la connessione a un
device senza connessione iper-veloce. In queste condi-
zioni il LaCie è sceso in prestazioni, ma solo relativamen-
te, assestandosi sopra i 1500 MB/s sia in lettura che in
scrittura: un risultato eccellente.
Per ultimo, e giusto per avere un raffronto concreto, ab-
biamo rifatto il test con un disco esterno meccanico La-
Cie Rugged Thunderbolt 2, che abbiamo utilizzato con il
collegamento USB-C: si tratta del classico disco esterno
che i videomaker usano per backup e riversamento dei
materiali, il grande classico “arancione” del video edi-
ting. Ebbene, siamo lontanissimi dalle prestazioni degli
SSD sotto test: intorno ai 130 MB/s sia in lettura che in
scrittura, il che vuol dire non più di un flusso 4K ProRes
422 alla volta. Ecco perché, con quattro SSD in prova,
non stiamo parlando di “hard disk esterni” ma di vere e
proprie estensioni del disco interno, che possono ospi-
tare i “lavori in corso” e non fare solo da backup o siste-
ma per spostare file da una macchina all’altra.
Sotto pressione, Samsung è più veloceMa che succede se invece di lanciare un benchmark
proviamo a fare un trasferimento di file “reale”? Abbia-
mo quindi preso l’intera cartella di uno dei nostri video,
con tutti i materiali, gli intermedi e il rendering finale
(circa 45 GB in tutto) e l’abbiamo spostata in blocco dal
disco interno all’SSD esterno. Un’operazione “classica”
che ci dà un’idea concreta della velocità delle unità in
prova nel mondo reale. I tempi di trasferimento della no-
stra cartella test sono riportati nella tabella 1.Un’analisi dei tempi fa saltare all’occhio un fatto eviden-
te: in questa prova, arbitraria quanto si vuole ma asso-
lutamente realistica, il disco LaCie si distanzia di molto
dalle prestazioni del Samsung, che resta decisamente
più performante. Infatti il Samsung X5 termina la copia
in poco più di 24 secondi, mentre il LaCie, malgrado sia
anch’esso Thunderbolt 3, sfiora quasi i 40 secondi. In
effetti, lo si vede partire molto veloce per poi rallentare a
metà copia: probabilmente dipende dalla disponibilità di
cache superveloce disponibile, maggiore nel Samsung;
segue a pagina 37
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MAGAZINEn.215 / 2010 FEBBRAIO 2020
oppure in qualche altro fattore non determinabile senza
conoscere precisamente l’architettura e il comportamen-
to dei due controller. Fatto sta che il Samsung X5 è un
vero “missile” anche per trasferimenti corposi, mentre il
LaCie è superveloce per trasferimenti da qualche GB ma
tende a “sedersi” per quantità di dati più corpose. Non
a caso, il benchmark Blackmagic, con il quale il LaCie si
comportava addirittura meglio del Samsung, trasferisce
un pacchetto da 5GB. Parliamo comunque di troughput
eccellenti, lontanissimo da unità esterne convenzionali
(il LaCie meccanico ha impiegato più di 5 minuti per la
medesima copia). I due dischi SSD USB-C hanno mo-
strato prestazioni simili, con un leggero vantaggio per il
SanDisk (45 secondi contro 48) e comunque non troppo
distanti da quelle del LaCie.
Editing direttamente su SSD esterno: prestazioni allineate e soddisfacentiUno degli obiettivi della prova era verificare di poter fare
editing video in 4K, con più tracce sovrapposte, diret-
tamente su SSD esterno, senza impegnare neppure un
byte del disco interno. Abbiamo quindi caricato un pro-
getto complesso di un nostro video su tutti e quattro i
dischi e abbiamo provato a fare le classiche operazioni
di editing: in tutti i casi, abbiamo potuto operare senza
differenze particolari rispetto al lavoro diretto sull’SSD
integrato. L’unico vero rischio - a volerlo cercare - è l’eve-
nienza di staccare il disco accidentalmente mentre si sta
lavorando. Per il resto, il disco esterno non si paga, né in
termini di prestazioni né di affidabilità.
Potevamo forse attenderci qualche differenza nel ren-
dering dei video, visto che i sorgenti stanno sull’SSD
esterno e sempre sulla stessa unità siamo andati a sal-
vare il video esportato. Si tratta di un video di 8 minuti in
4K basato su un montaggio con tre camere e molti effetti
di color correction. L’esportazione è durata precisamen-
te lo stesso tempo con tutti i dischi, poco meno di 10
minuti (le piccole variazioni sono ascrivibili agli altri pro-
cessi presenti sulla macchina), segno che in operazioni
di questo tipo, tutti e quattro gli SSD hanno prestazioni
ampiamente superiori al collo di bottiglia, che in questo
caso è la codifica vera e propria, malgrado si trattasse di
una codifica con accelerazione hardware. Le conclusio-
ne di questo test sono quindi uniformi per tutti i dischi in
prova e ci dicono due cose. Primo, si può tranquillamen-
TEST
Gli SSD superveloci salva-MacBooksegue Da pagina 36
te fare editing video (e quindi praticamente qualsiasi al-
tra elaborazione) direttamente su SSD esterno; secon-
do: le prestazioni dei dischi, USB 3.1 e Thunderbolt 3,
sono praticamente analoghe ai fini dell’ediiting video su
disco esterno. Buono a sapersi.
Le macchine virtuali: come se fossero sul disco internoCome anticipato, abbiamo anche caricato tre macchine
virtuali di Parallels Desktop sui dischi in prova e quindi
abbiamo provato ad aprirle e ad usarle, anche in questo
caso senza percepire grandi differenze nelle prestazio-
ni. La macchina Windows 10, per esempio, in poco meno
di 7 secondi è arrivata alla maschera di autenticazione
in tutti e quattro i casi. Ancora un volta la velocità dei
dischi, anche di quelli meno rapidi, si è rivelata più che
sufficiente per star dietro all’elaborazione vera e propria,
senza creare colli di bottiglia particolari.
Conclusioni: ogni esigenza ha il suo discoQuattro prodotti simili, ma quattro prodotti diversi. Il
Samsung, tra l’altro il primo uscito, si conferma quello
che, nella vita pratica, risulta più veloce in tutte le condi-
zioni. Quando si copiano file e cartelle anche corpose,
per esempio da un paio di GB, la prima volta si resta at-
toniti di fronte alla velocità di caricamento, praticamente
istantanea. Tanto che - lo confessiamo - la prima volta
abbiamo pensato che qualcosa fosse andato storto; e
invece i file copiati erano lì, sul disco, al posto in cui li
avevamo messi. Il limite dell’X5 è ovviamente la rigida
compatibilità Thunderbolt 3, il che lo rende veramente
una mera estensione del disco interno, senza possibilità
di usarlo, neppure occasionalmente, per trasferire dati
verso una macchina non dotata di Thuderbolt 3.
Il LaCie aggiunge, rispetto al Samsung, la compatibilità
con USB 3.1. È vero che i device con porte USB-C 3.1,
che non siano anche Thunderbolt, non sono molti. Ma
per chi ha per esempio un iPad Pro, il LaCie Rugged SSD
Pro diventa la scelta migliore: velocità importanti e com-
patibilità più ampia rispetto allo “schizzinoso” Samsung.
Abbiamo provato, nello specifico, a fare un po’ editing
video con il LaCie su iPad Pro con grande soddisfazione,
malgrado le solite piccole complicazioni di iOS nell’ac-
cedere a file su supporti di memoria esterni. Gli altri due,
il SanDisk e il Crucial, sono invece la scelta del rappor-
to qualità-prezzo: l’oggettiva minore velocità dei dischi
USB, non si rispecchia particolarmente nell’esperienza
pratica che, a meno della copia file massiva, è del tutto
analoga a quella che si ha con i “fratelli maggiori” Thun-
derbolt. Inoltre, i dischi USB offrono tutta la compatibili-
tà all’indietro che serve per poter “dialogare” con altre
macchine di ogni ordine e grado. Il Crucial poi, malgrado
sia un po’ più “spartano”, arriva a livelli di prezzo che
poco tempo fa erano quelli di hard disk meccanici ester-
ni, ma con prestazioni dieci volte migliori: l’X8 è una vera
e propria prima scelta per chi vuole altissime prestazioni
ed è molto attento alla spesa. Da parte sua il SanDisk
offre, compreso nel prezzo, il prezioso servizio Rescue
per il recupero di eventuali dati da un disco danneggia-
to. Insomma, ogni prodotto, pur andando a dare risposta
alla medesima domanda, sembra avere una vocazione
leggermene diversa e tutti hanno motivo di esistere.
Segnaliamo solo una piccola mancanza per tutti i mo-
delli: ci sarebbe molto piaciuta una piccola pochette per
poter inserire disco e cavetto, che altrimenti finiscono
per vagare troppo liberi nello zaino: prodotti da qualche
centinaio di euro, così piccoli ma così preziosi, a nostro
avviso se la meriterebbero.
clicca per l’ingrandimento
1
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MAGAZINEn.48 / 2010 FEBBRAIO 2020
di Pasquale AGIZZA
Toyota e Panasonic creeranno una
società per la produzione di batte-
rie, da utilizzare sui veicoli Toyota
ma non solo. È questa la notizia bom-
ba, con la nuova società che potrebbe
diventare un punto di riferimento mon-
diale per quel che riguarda la mobilità
elettrica.
La joint-venture prenderà il nome di
Prime Planet Energy and Solutions e
sarà di proprietà di Toyota per il 51%.
Il progetto parla di una forza lavoro,
quando la nuova società avrà raggiun-
to la piena efficienza, di oltre 5000
dipendenti. Prime Planet, come detto,
non si limiterà a sviluppare batterie per
i veicoli ibridi di Toyota, ma si proporrà
come fornitore per tutte le altre azien-
de automobilistiche. In questo ambito
ricordiamo che Panasonic è il principa-
le fornitore di Tesla, anche se la socie-
tà americana ha più volte manifestato
BATTERIE La società si chiamerà Prime Planet Energy and Solutions, di proprietà Toyota al 51%
Colpaccio Toyota e Panasonic, c’è l’accordo Produrranno batterie per auto elettricheLa joint-venture ha tutte le carte in regola per diventare uno dei primi fornitori mondiali di batterie
l’intenzione di diversificare le fonti di
approvigionamento.
La creazione di Prime Planet eviden-
zia come l’idea della mobilità elettrica
abbia conquistato anche i produttori
giapponesi, spesso restii ad avvicinarsi
a questo tipo di soluzione. La joint-ven-
ture fra Toyota e Panasonic ha tutte le
carte in regola per diventare uno dei
primi fornitori mondiali di batterie.
Toyota ha rilasciato una breve dichia-
razione sull’accordo: “Le batterie, in-
tese come soluzione per fornire ener-
gia alle automobili, avranno un ruolo
sempre più centrale nella società del
futuro. L’accordo fra Toyota e Panaso-
nic ci consentirà di sviluppare batterie
altamente competitive, sicure ed eco-
nomiche. La nuova società non si limi-
terà a sviluppare batterie per Toyota,
ma fornirà batterie, in modo stabile, ad
un’ampia clientela”
Tesla recupera batterie anche in Cina: siglato accordo di fornitura con CATLCATL è uno dei maggiori produttori al mondo di batterie al litio, e Tesla ha appena firmato un accordo di fornitura per i prossimi due anni per centrare gli obiettivi in Cina di Alessandro CUCCA
Per garantire una certa produzione di auto elettriche, è necessario po-ter contare su forniture costanti e affidabili di batterie e questo Tesla lo sa bene, così come lo sa Toyota che si è appena alleata con Pana-sonic, mentre ad esempio Merce-des si è accorta di recente cosa può succedere in caso contrario. Per questo motivo Tesla ha appe-na chiuso un importante accordo di fornitura con la cinese CATL per assicurarsi per i prossimi due anni una fornitura, senza limiti imposti, di batterie per le sue auto.Tesla ha già chiuso un accordo simile lo scorso agosto con LG Chem, e da tempo si produce da sola le batterie nei suoi stabilimen-ti in Nevada in collaborazione con Panasonic. CATL è uno dei mag-giori fornitori di batterie al mondo, e ha già tra i suoi clienti altri pro-duttori di auto, mentre oggi viene siglato questo ulteriore accordo, molto interessante per Tesla che da poco ha inaugurato la sua fab-brica a Shangai e che quindi be-neficerà non poco dell’avere un fornitore a portata di mano, senza esser costretto a importare tutte le batterie dalle sue fabbriche in Nevada. Mentre scriviamo, il titolo azionario di CATL sta guadagnan-do circa il 10% nella borsa Cinese di Shenzhen, a dimostrazione che i mercati hanno apprezzato questo proficuo accordo per entrambe le aziende e vedono di buon occhio la scelta di Tesla di non affidarsi alla sola auto-produzione.
di Massimiliano ZOCCHI
l l fotovoltaico è una delle fonti di ener-
gia rinnovabile più sfruttate e con più
potenziale. Una delle problematiche
più grandi nello sviluppo dell’energia so-
lare è data però dall’intermittenza della
produzione che soffre, com’è logico che
sia, del ciclo giorno/notte e della coper-
tura nuvolosa.
Una ricerca dell’Università della Cali-
fornia, però, sembra voler mettere in di-
scussione questo concetto. Lo studio dei
ricercatori, infatti, verte sulla possibilità di
creare pannelli solari che funzionino an-
che di notte. La spiegazione a quello che
sembra, a tutti gli effetti, un controsenso
è da ricercarsi nel calore che la Terra ac-
cumula durante il giorno e poi rilascia. Lo
studio prevede l’utilizzo di un particolare
tipo di pannello che utilizzi una cella fo-
tovoltaica notturna capace di generare
FONTI RINNOVABILI La ricerca apre la strada a un nuovo modo di produrre energia solare
Pannelli solari che funzionano anche di notte Ecco lo studio dell’Università della CaliforniaI nuovi pannelli solari potrebbero catturare anche il calore rilasciato dalla Terra di notte
energia sfruttando
le radiazioni infra-
rosse.
A spiegarlo in ter-
mini più semplici
è Jeremy Munday,
uno dei professori
dell’Università del-
la California autori
dello studio: “Le
normali celle foto-
voltaiche raccolgono l’energia trasmessa
dal Sole alla Terra. Creano elettricità, in
pratica, sfruttando lo scambio di energia
fra un corpo caldo e uno freddo. La no-
stra teoria utilizza gli stessi principi, solo
che di notte il corpo caldo diventa la Ter-
ra e lo spazio diventa il corpo freddo. Vo-
gliamo convertire in energia il calore che
la Terra rilascia”. L’Università della Califor-
nia sta già lavorando ad alcuni prototipi di
pannello solare di nuova generazione. La
stima, piuttosto ottimistica, è quella di ge-
nerare di notte il 25% dell’energia che il
pannello riesce a generare di giorno.
C’è da segnalare che questo studio non
è il primo che prende in esame la pos-
sibilità di utilizzare i pannelli solari anche
di notte. Il primo studio a formulare que-
st’ipotesi, infatti, proviene dall’Università
di Stanford ed è datato novembre 2019.
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MAGAZINEn.48 / 2010 FEBBRAIO 2020
di Massimiliano ZOCCHI
Quando si parla di incentivi stata-
li per la mobilità elettrica, non
si parla solo di auto elettriche.
Come richiesto a gran voce dall’AN-
CMA (Associazione dei produttori di
cicli e motocicli), il Governo ha proro-
gato gli incentivi per l’acquisto di moto
elettriche e scooter elettrici anche per
il 2020. È disponibile un fondo di 8
milioni di euro, sostanzialmente un re-
siduo dei fondi originali del 2019. Nel
tentativo di migliorare l’utilizzabilità
di questi fondi, sono state però appli-
cate delle modifiche alle norme dello
scorso anno. Il contributo è accessibile
solo rottamando un vecchio prodotto
a fronte dell’acquisto di uno nuovo a
zero emissioni o ibrido. Stranamente
però, tra i veicoli accettati nella rotta-
mazione, non erano presenti gli Euro
0, tuttora spesso circolanti. Così una
prima modifica è stata includere anche
questi mezzi tra quelli accettati nella
pratica di rottamazione, che deve es-
AUTO ELETTRICA Il Governo ha prorogato gli incentivi per l’acquisto di moto e scooter elettrici
Incentivi, ancora disponibili 8 milioni di euro Non solo due ruote, ma anche per quadricicli È disponibile un fondo di 8 milioni di euro, in pratica un residuo dei fondi originali del 2019
sere chiaramente indicata nel contratto
di acquisto del nuovo.
Una seconda modifica prevede anche
l’inclusione negli incentivi dei veicoli
classificati L6e e L7e, ovvero i quadri-
cicli elettrici sia leggeri, sia pesanti,
come le varie tipologie di microcar,
o veicoli particolari come la Renault
Twizy. Ultima modifica è la rimozione
del limite di potenza di 11 kW sul nuovo
prodotto che si va ad acquistare, il che
escludeva quindi le moto da strada più
grandi e performanti. Ora anche que-
ste ultime possono essere acquistate
con incentivo, sempre però vincolati
alla rottamazione. In tutti i casi il con-
tributo sarà del 30% del prezzo, fino ad
un massimo di 3.000 euro. Inoltre il vei-
colo a due, tre o quattro ruote che si va
a rottamare deve essere di proprietà
della stessa persona che effettua l’ac-
quisto del nuovo, oppure di proprietà
di un familiare convivente, in entrambi
i casi da almeno 12 mesi.
Tornano gli Hummer in versione elettrica.Lo dice lo spot con LeBron James al Super BowlIl cestista dei Los Angeles Lakers diventa testimonial del ritorno dei fuoristrada americani. Confermate le poche informazioni tecniche che erano trapelate in brevi spezzoni i di Pasquale AGIZZA
Tornano i mastodontici Hummer, in versione elettrica, e testimo-nial della rinascita del fuoristrada è il campione di basket LeBron James, che si è definito un fan di Hummer sin dai tempi del liceo.Lo spot, andato in onda nella fantastica cornice del Super Bowl, racchiude i tre spezzoni che avevamo già segnalato, e si conclude con LeBron James che dà sfoggio di tutta la sua poten-za con una delle schiacciate che l’hanno reso celebre nell’NBA.Oltre allo spot di 30 secondi messo in onda durante un’inter-ruzione nel secondo quarto di gioco, GMC ha prodotto anche un video dietro le quinte. Nella clip di un minuto il giocatore, ora nei Los Angeles Lakers, esprime tutto il suo amore per i fuoristra-da americani. “È raro che un vei-colo così grande sia anche così silenzioso e potente. Parliamo di un mezzo capace di passare da 0 a 100 in meno di tre secondi, è pazzesco” dichiara nel video Le-Bron James “Diventare testimo-nial per GMC è stata una scelta naturale, tutti conoscono il mio amore per gli Hummer. Una pas-sione nata quando andavo an-cora al liceo”.
di Riccardo DANZO
FCA ha annunciato l’arrivo, sulle sue
vetture, di una nuova versione del
sistema di infotainment: Uconnect 5.
Si tratta di un importante aggiornamento
che, oltre ad aggiungere l’integrazione
con Alexa, introduce il supporto wireless
ad Apple CarPlay e Android Auto.
In particolare, FCA ha migliorato l’hard-
ware di Uconnect, che ora monta un
chip da 50 MIP (milioni di istruzioni al
secondo) con 6 GB di RAM e 64 GB di
memoria interna. Il nuovo sistema, inol-
tre, supporta display più grandi e con ri-
soluzioni maggiori, fino a 12.3 pollici con
risoluzione UHD. Secondo FCA, questo
nuovo hardware, garantisce prestazioni
5 volte migliori rispetto alla precedente
configurazione. Grazie all’integrazione
con Alexa, poi, sarà possibile controlla-
INFOTAINMENT FCA ha annunciato l’arrivo di un importante aggiornamento per Uconnect
FCA Uconnect 5: integrazione con Alexa e altre novitàOltre ad Alexa, sono in arrivo anche il supporto wireless ad Apple CarPlay e Android Auto
re tutte le funzioni dell’auto tramite co-
mandi vocali. Non solo, con le funzioni
home-to-car e car-to-home, infatti, sarà
anche possibile controllare l’auto o la
casa da remoto e, per esempio, accen-
dere il riscaldamento prima di entrare
nell’abitazione oppure sbloccare e bloc-
care l’auto direttamente dal soggiorno.
Il nuovo Uconnect 5 include anche tutti i
servizi TomTom come le mappe, il traffico
e la segnalazione degli autovelox. FCA,
infine, ha dichiarato di aver migliorato
anche il supporto agli aggiornamenti
software OTA che, nella precedente
versione, hanno avuto qualche proble-
ma. Uconnect 5 sarà disponibile per tutte
le auto del gruppo FCA: Chrysler, Dodge,
Jeep, Ram, Maserati, Fiat, Alfa Romeo,
Lancia, e Abarth. Per chi ha Uconnect 4
sarà possibile eseguire l’aggiornamento
ma, ovviamente, le modifiche saranno
solo software.
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MAGAZINEn.48 / 2010 FEBBRAIO 2020
di Massimiliano ZOCCHI
K ubota Corporation, l’azienda giap-
ponese specializzata in macchine
per agricoltura, per festeggiare i
suoi 130 anni ha presentato X Tractor, un
prototipo di trattore del futuro. L’aspet-
to è sicuramente d’impatto, tanto che
sembra uscito da un film di fantascien-
za, ma il vero punto di forza di X Tractor
è la totale autonomia. Si tratta, come
quasi ovvio al giorno d’oggi, di un vei-
colo a guida completamente autonoma,
che non necessita di assistenza di per-
sonale. L’autonomia non riguarda solo
la guida, ma si estende anche al fattore
decisionale. Infatti X Tractor, raccoglien-
do diversi dati ambientali, può decidere
quando effettuare le diverse lavorazioni,
come lavorazione del terreno, semi-
na o raccolto. I dati del singolo veicolo
possono anche essere condivisi su una
piattaforma comune, così da coordinare
il lavoro di più mezzi.
I dati vengono raccolti da una suite com-
pleta di sensori, a partire dal fondamen-
tale GPS, passando per sensori di bordo,
per arrivare fino a telecamere, il tutto
MOBILITÀ SOSTENIBILE L’azienda ha presentato un prototipo di trattore completamente autonomo
Sembra una Batmobile, ma non lo è Il trattore elettrico e autonomo di KubotaL’autonomia si estende anche al fattore decisionale. Nessuna info su data di lancio o prezzo
gestito da un sistema di intelligenza ar-
tificiale. In un’ottica futuristica, X Tractor
non poteva che essere elettrico, anche
se al momento non ci sono informazioni
precise sul powertrain e nemmeno sulla
batteria. Sappiamo però che sul tettuc-
cio è presente una superficie fotovoltai-
ca, per ricavare autonomia aggiuntiva sia
durante il lavoro, sia nei momenti di inu-
tilizzo. Il movimento avviene non tramite
semplici ruote ma con cingoli, quattro
separati tra loro e con possibilità di movi-
mento indipendente. Tutto questo facilita
gli spostamenti su ogni tipo di terreno e
aumenta la manovrabilità. Un aiuto in più
arriva anche dalla regolazione in altezza,
il che permette anche di poter operare
in contesti particolari, come le risaie. Il
progetto di X Tractor, secondo Kubota, si
è reso necessario a causa dell’aumento
dell’età media dei contadini giapponesi,
e della mancanza di nuove generazioni.
L’incremento di lavoro in agricoltura do-
vrà quindi essere gestito da macchine
autonome per via della scarsità di per-
sonale. Non ci sono tuttavia al momento
informazioni su una possibile data di
lancio o sul prezzo.
Tesla supera i 900 dollari ad azione. Ora il primato di Toyota non è un miraggioIncredibile corsa di Tesla in Borsa, che ha avuto un’altra impennata. Ora vale più di 160 miliardi di dollari di M. ZOCCHI
Meno di due settimane fa, avve-niva il sorpasso di Tesla ai dan-ni di Volkswagen, per quanto riguarda la capitalizzazione di Borsa. Il secondo posto agguan-tato appariva come un risultato incredibile, ma con il primo gra-dino del podio virtualmente ir-raggiungibile, con Toyota sicura del suo primato.Ora invece, complici una serie di concause e una buona iniezione di notizie positive, Tesla ha fatto un incredibile, quanto inaspetta-to balzo in avanti, e mentre scri-viamo ha già superato il valore di 900 dollari ad azione.Oltre alla notizia positiva dell’ac-cordo per la fornitura di batterie con CATL (ne abbiamo parla-to qui), pare che la crisi degli short contro Tesla stia giocan-do un ruolo fondamentale. Gli investitori che per mesi hanno scommesso contro Elon Musk sembra si stiano gradualmen-te arrendendo all’evidenza dei fatti, e stiano correndo ai ripari. Questo ha causato una ulterio-re impennata del titolo. Diretta conseguenza di questa crescita, è l’aumento del valore totale di capitalizzazione, ora oltre i 160 miliardi di dollari, il che fa sem-brare i 200 miliardi di Toyota non più così lontani da raggiungere, soprattutto se nei prossimi giorni la crescita dovesse continuare.
di R. DANZO
Cagiva, l’azienda italiana di moto-
ciclette fondata nel 1978, ritorne-
rà sul mercato completamente
“elettrificata”. A dirlo è l’amministratore
delegato di Agusta MV, società proprie-
taria del brand Cagiva, Timur Sardarov:
“Abbiamo in programma il rilancio nel
segmento urban commuter - ha detto
Sardarov - una fascia di mercato nuova
che nell’industria motociclistica non ha
contorni definiti, è un ambiente inedito”.
Sardarov, riguardo al mercato elettrico,
ha poi aggiunto che: “la discussione sul
mondo dell’elettrico è in atto. Stiamo ra-
gionando su quali modelli, come presen-
tarli, quali clienti”. Le ultime motociclette
presentate da Cagiva risalgono, oramai,
MOTO ELETTRICA A dare l’annuncio è l’AD di Agusta MV, società proprietaria del brand Cagiva
Cagiva pronta al rilancio sul mercato in veste elettricaArriveranno modelli completamente elettrici. Entro 12 mesi la prima presentazione ufficiale
al 2012. Agusta MV, poi,
negli ultimi anni, ha at-
traversato un periodo
difficile a causa di alcuni
problemi finanziari ma
ora sembra pronta a
rilanciarsi, con il brand
Cagiva come opzione
totalmente elettrica. La
prima moto elettrica
di Cagiva verrà presentata entro dodici
mesi e, probabilmente, sarà completa-
mente diversa dai vecchi modelli, sia
nel design che nella potenza. L’azienda,
infatti, si sta concentrando su motocicli
elettrici più piccoli, più precisamente da
4 kW (5,3 CV). In particolare, secondo
Canada Motor Guide, Cagiva sta collabo-
rando con Loncin, una società cinese di
moto elettriche, per portare sul mercato
una motocicletta, elettrica per l’appunto,
con un peso contenuto ma adatta anche
per i tratti autostradali. La piattaforma sul-
la quale Cagiva si sta concentrando è la
VOGE ER10, un modello di moto elettrica
prodotta da Loncin, esposto proprio in
Italia durante l’EICMA 2019.
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n.48 / 2010 FEBBRAIO 2020
I rumors su Model Y erano veri: consegne a marzo e con autonomia migliorataModel Y arriverà davvero prima del previsto. Tesla ha già iniziato la messa a punto della produzione del suo quarto modello di M. ZOCCHI
I numerosi rumors infine si sono rivelati veri, e Tesla è pronta per la produzione di serie della Model Y. Inizialmente prevista per un non meglio precisato 2020, ora le pri-me consegne sono date a marzo 2020. È quanto apprendiamo a margine dei dati trimestrali appe-na comunicati.I processi per portare a regime la produzione sono già iniziati nel mese di gennaio, nella fabbrica di Fremont, la stessa dove viene prodotta la sorella Model 3.Tesla negli ultimi mesi ha fatto un grande lavoro, pressando i forni-tori di componenti e premendo l’acceleratore della macchina organizzativa. Ma non ha trascu-rato il lato tecnico, infatti, sem-pre come appena comunicato, ha potuto migliorare l’autonomia massima di Model Y, che ora è data per 315 miglia, ovvero oltre 500 km per singola carica, men-tre precedentemente si fermava a 280 miglia. La nota recita esat-tamente: “Grazie ai continui pro-gressi ingegneristici sulla Model Y all-wheel-drive, siamo riusciti ad aumentare il range massimo su ciclo EPA a 315 miglia, rispet-to alla stima precedente di 280 miglia. Questo aumenta la supre-mazia di Model Y come SUV più efficiente al mondo”.
di Pasquale AGIZZA
Auto ibride ed auto e monopattini
elettrici entrano ufficialmente nel
paniere dei prezzi ISTAT, utilizzato
per rilevare i prezzi al consumo e calco-
lare i relativi numeri indici per la misura
dell’inflazione. La scelta dei prodotti che
compongono il paniere segue dei precisi
criteri quantitativi, comprendendo tutti i
prodotti più venduti nella nostra nazione.
Questo significa che possiamo conside-
rare auto ibride ed auto e monopattini
elettrici prodotti di largo consumo in Ita-
lia. Il paniere ISTAT fotografa, poi, una so-
cietà in rapida evoluzione. Oltre ai mezzi
elettrici di cui abbiamo parlato, entrano
nel novero dei prodotti campionati anche
il sushi take away, i pasti consegnati a do-
micilio, gli apparecchi acustici e i servizi
di lavatura e stiratura.
Grazie a queste ultime modifiche, il pa-
niere ISTAT conta ora 1681 prodotti sud-
AUTO ELETTRICA Aggiornamento del paniere ISTAT, tramite cui si misura il tasso di inflazione
Auto e monopattini elettrici nel paniere ISTAT Segno di una diffusione sempre maggioreAuto ibride, elettriche e monopattini elettrici ora considerati prodotti di largo consumo in Italia
divisi in 410 categorie. A tal proposito si
registra la dichiarazione dell’istituto: “L’ag-
giornamento dei beni e servizi compresi
nel paniere” si legge in una nota “tiene
conto delle novità emerse nelle abitudini
di spesa delle famiglie, dell’evoluzione di
norme e classificazioni e in alcuni casi ar-
ricchisce la gamma dei prodotti che rap-
presentano consumi consolidati”.
Infine, cambiano anche le modalità per la
rilevazione dei prezzi. Nei piccoli negozi
e nei discount non ci saranno più degli
addetti che girano con il preciso scopo
di rilevarlo, ma saranno inviati all’Istituto
quando i prodotti vengono passati alla
cassa e scansionati tramite codice a bar-
re. Questo uniformerà i piccoli negozietti
a supermercati ed ipermercati.
di Pasquale AGIZZA
L a più grande flotta di autoveicoli
elettrici al mondo. È questo l’obietti-
vo di Amazon, che per raggiungere
questo traguardo si è rivolta a Rivian, la
start-up americana specializzata in veicoli
elettrici e veicoli a guida autonoma.
Il gigante dello shopping online ha di-
chiarato che acquisterà 100mila furgon-
cini elettrici di Rivian, per quello che è,
a tutti gli effetti, uno dei più ambiziosi
programmi al mondo per quel che ri-
guarda il settore dell’elettrico. Un pro-
getto enorme anche per le cifre in ballo.
Si parla, infatti, di una commessa da più
di 4 miliardi di dollari. Ed ora, Amazon
ha fornito qualche dettaglio in più sul
furgoncino, con un video che mostra il
prototipo ed illustra la filosofia green di
Amazon e Rivian.
Né Amazon né Rivian hanno divulgato
AUTO ELETTRICA Il gigante dell’e-commerce mostra, in un video, il prototipo del furgoncino
Ecco il furgoncino che Rivian costruirà per Amazon Farà parte della più grande flotta elettrica del mondoIl furgoncino sarà costruito da Rivian. Amazon ha dichiarato di averne già ordinati 100mila
dettagli tecnici. Sono
molte di più le informa-
zioni sulla strumenta-
zione tecnologica del
furgoncino. Innanzitut-
to integrerà un quadro
strumenti e uno scher-
mo centrale diretta-
mente collegato alla
logistica di Amazon,
in modo che i corrieri
non abbiano bisogno di altri strumenti
per gestire le consegne. Integrazione
totale anche per Alexa, che consentirà
al conducente di operare sullo scher-
mo tramite controlli vocali, senza stac-
care le mani dal volante. Riguardo alle
tempistiche, i primi furgoncini di Rivian
inizieranno ad essere consegnati nel
2021. Entro il 2022 Amazon prevede di
avere oltre 10mila furgoncini elettrici in
attività, con l’obiettivo di arrivare, entro
il 2030, alla piena operatività di tutti i
100mila veicoli. Una tempistica molto
serrata, soprattutto perché Rivian non
ha ancora portato in produzione nes-
sun veicolo. Il progetto di Amazon è mol-
to ambizioso, come rimarcato anche da
Ross Rachey, alto dirigente dell’azienda:
“Vogliamo costruire la flotta di autovei-
coli più sostenibile al mondo. Ma non vo-
gliamo solo che sia ecologica, ma anche
che sia la più funzionale, performante e
sicura al mondo”.
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MAGAZINEn.48 / 2010 FEBBRAIO 2020
di Massimiliano ZOCCHI
A breve potrebbero arrivare presso i concessionari
i primi esemplari di Opel Grandland X Hybrid4, la
versione elettrificata del popolare SUV della casa
tedesca, che dopo le motorizzazioni classiche passa
per l’ibrido. Ibrido però non cosiddetto full, ma quello
che è definito Plug-in, o ricaricabile, come Opel ci tie-
ne a precisare. Opel infatti, che ora è parte del gruppo
PSA, dichiara apertamente che secondo la sua visione,
l’ibrido deve necessariamente essere Plug-in, e che il
full hybrid ormai è obsoleto.
La prima conseguenza di questa scelta, come noto a
chi ha già esperienza con questa motorizzazione, è che
Grandland X può muoversi in modalità 100% elettrica per
diverse decine di km, anche a velocità sostenute, senza
che il motore endotermico venga chiamato in causa.
La configurazione scelta per Grandland X Hybrid4 si
basa sul motore benzina da 1.6 litri Turbo a quattro ci-
lindri, con cambio automatico ad 8 rapporti. Ci sono poi
due motori elettrici, uno per asse, con potenza di 81 kW
al frontale e 83 kW al posteriore. In totale il SUV può
esprimere 300 CV di potenza e 520 Nm di coppia, e una
velocità massima di 235 km/h.
La batteria con celle al litio è da 13.2 kWh, ed è certifi-
cata nel ciclo WLTP per 59 km di autonomia massima. È
composta da 96 celle da 38 Ah, raffreddata a liquido, ed
è garantita per 8 anni o un massimo di 160.000 km. La ri-
carica è quella tipica dei veicoli plug-in, 3.7 kW standard
oppure 7.4 kW opzionale. Per ripristinare la carica, Opel
stima un tempo di circa 7 ore, se collegata ad una presa
domestica da massimo 1.8 kW, tempi che si riducono a
4 ore utilizzando le prese domestiche rinforzate oppure
colonnine a bassa potenza, per finire a 1 ora e 50 minuti
utilizzando una colonnina che possa erogare almeno 7.4
kW. Come abbiamo accennato, Opel Grandland X Hy-
brid4 offre la possibilità della trazione elettrica pura, il
che ha anche una rilevanza economica per il potenziale
proprietario. Calcolando costi energetici medi in Ger-
mania (non troppo lontani da quelli italiani), sfruttando
questa possibilità l’utente può avere un risparmio consi-
stente. Considerando una percorrenza di 100 km quoti-
diani, riuscendo ad utilizzare la modalità elettrica per 40
km risparmierebbe 828 euro all’anno (da una base di
3.648 euro). Se l’utilizzo in elettrico fosse di almeno 50
AUTO IBRIDA Abbiamo affrontato le impegnative strade della Foresta Nera, per testare il SUV ibrido ricaricabile di Opel
La prima guida della Grandland X Hybrid4 Secondo Opel, il vero ibrido è solo Plug-inL’auto unisce i vantaggi dell’ibrido alla praticità dell’elettrico, con trazione 4x4. Tre modalità di guida, elettrico quando serve
km, il risparmio salirebbe a 1.044 euro. Infine, potendo
sfruttare due ricariche quotidiane (di cui una magari
sul posto di lavoro), con 80 km elettrici si risparmiereb-
bero 1.668 euro, e con tutti i 100 km quotidiani a zero
emissioni rimarrebbero in tasca ogni anno 2.076 euro.
Quando serve ci sarebbe comunque un serbatoio di
benzina da 43 litri.
Come va in strada?Appena attivato (perché non si può parlare di “acce-
so”) se la batteria è abbastanza carica, Grandland X
Hybrid4 parte in modalità elettrica. Il motore termico può
accendersi in determinate circostanze, come clima par-
ticolarmente rigido, per supportare il riscaldamento, sia
dell’abitacolo che della batteria, ma non per intervenire
nella trazione. In questa modalità chiaramente l’andatu-
ra è da elettrica vera, con coppia prontissima e accelera-
zione progressiva e fluida. Fino a 135 km/h, ovvero la ve-
locità massima consentita dalla modalità elettrica, oltre
la quale entra in scena anche il motore endotermico. Il
sistema inoltre gestisce la trazione in base alle condizio-
ni di guida. Per la maggior parte del tempo viene utilizza-
to il motore elettrico posteriore, mentre quello frontale si
attiva nei momenti di maggiore richiesta di potenza. La
modalità però può anche essere decisa manualmente,
con un comando nei pressi della leva di selezione. An-
che con batteria carica è possibile forzare la modalità
ibrida, in cui termico ed elettrico collaborano a diversi
livelli, impostare le quattro ruote motrici, oppure la mo-
dalità sport, dove i tre motori danno il meglio, ma con
consumi più elevati. In ogni caso il propulsore a benzina
è un Euro 6D, e la vettura, in virtù della batteria, è certi-
ficata per emissioni di 36 grammi di CO2 per km. Dopo
qualche km per prendere confidenza con il veicolo, ab-
biamo deciso di di passare alla modalità ibrida, così da
risparmiare un po’ di batteria. Anche con il motore termi-
co in funzione quasi non ci siamo accorti del passaggio,
con l’abitacolo che resta molto ben isolato dai rumori.
Stupisce soprattutto il cambio automatico a 8 rapporti,
che a tratti sembra essere un unico rapporto, proprio
come un motore elettrico, senza pause tra il cambio di
marcia e senza giri motore con sbalzi improvvisi. Una
volta giunti sulle tortuose strade nella foresta nera, sia-
mo tornati alla modalità elettrica, particolarmente utile
nelle salite e nei tornantini. La coppia istantanea infatti
aiuta in queste circostanze, ed inoltre c’è la soddisfazio-
ne di mantenere la massima silenziosità in un zona che
lo merita certamente. Ma lo stesso discorso sarebbe va-
lido per un centro città o per una zona a traffico limitato.
La vera autonomia elettrica e la “riserva batteria”Dopo una breve pausa, proprio nel mezzo delle mon-
tagne, è iniziato il nostro percorso di ritorno. Da subito
abbiamo deciso di provare la modalità “riserva”, che
permette di forzare una modalità ibrida molto più im-
prontata sul motore termico, per decidere una quantità
di km elettrici da poter usare in un secondo momento. Il
sistema permette di scegliere tra 10 km, 20 km, o riserva
massima, caricando di fatto la batteria col motore termi-
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co. In questa situazione abbiamo sperimentato anche la
leva del cambio in posizione B, che a differenza della
normale D, attua una rigenerazione energetica molto più
accentuata, durante le frenate e le decelerazioni.
I 20 km di riserva che abbiamo scelto alla partenza si
sono presto accumulati, e quindi arrivati a un tratto in di-
scesa siamo tornati alla modalità elettrica, così da sfrut-
tare a nostro favore la differenza di altitudine. Le ripide
strade di montagna hanno infatti ricaricato per inerzia la
batteria fino a circa 3/4 del totale, percorrendo però nel
frattempo ben 25 km. Il percorso prestabilito a questo
punto ci ha portato verso la famosa Autobahn, l’autostra-
da tedesca senza limiti di velocità. Noi però non abbia-
mo deciso di testare la velocità massima di Grandland
X Hybrid4, 235 km/h, ma bensì abbiamo messo sotto
torchio il sistema elettrico, per verificare l’autonomia
elettrica ad alta velocità. Secondo il sistema di bordo,
nel momento di ingresso in autostrada, avevamo a di-
sposizione 30 km elettrici, ed a velocità compresa tra
110 km/h e 135 km/h, abbiamo potuto percorrere circa
25 km effettivi. Considerando la velocità sostenuta, e il
clima piuttosto rigido, si tratta di un valore più che buo-
no, anche in osservanza del fatto che la batteria viene
effettivamente sfruttata al massimo, ed il motore endo-
termico subentra in maniera molto morbida, senza che
quasi ci si accorga. Questo breve test ci dice che i 59 km
certificati potrebbero essere facilmente almeno 40 nel
mondo reale, e anche qualcosa in più. Ma questo
sarà oggetto di una prova approfondita che realiz-
zeremo più avanti.
Tecnologia dentro e fuoriSu un veicolo importante come Grandland X Hy-
brid4 non poteva certo mancare una dotazione
tecnologica degna di nota. Presenti quindi i più
completi sistemi di assistenza alla guida. Per nostra
fortuna non abbiamo dovuto testare la frenata au-
tomatica d’emergenza, ma in un tratto trafficato di
strada extraurbana non ci siamo lasciati scappare
l’occasione di provare il cruise control automatico:
l’auto segue quella che la precede, a una velocità
massima impostata, frenando e ripartendo in completa
autonomia. Il comportamento è risultato preciso, senza
frenate brusche e con un’ottima distanza di sicurezza.
Come in molte auto di pari segmento troviamo anche il
mantenimento di corsia, del quale è possibile settare
il livello di “invasività” nella guida, così come l’allerta
di angolo cieco. Abbiamo gradito l’aggiunta anche
del rilevatore di stanchezza del conducente. Anche
il sistema infotainment regala un’esperienza tecnolo-
gica di giusto livello. Il display touchscreen al centro
della plancia offre sia le regolazioni della vettura, sia
il sistema di navigazione. Abbiamo potuto testare il
navigatore satellitare integrato, con mappe Navi 5.0
IntelliLink, mentre nel viaggio di ritorno ci siamo affidati
alla connessione Android Auto, tramite uno smartphone
collegato via cavo, utilizzando Google Maps come navi-
gatore. Per chi avesse un iPhone, è ovviamente possibi-
le fare la stessa cosa anche con Apple CarPlay.
Prezzi e versioni
AUTO IBRIDA
Opel Grandland X Hybrid4segue Da pagina 43
La versione da noi testata, la 1.6 Hybrid4 Plug-in
AWD, con quattro ruote motrici, sarà la prima ad es-
sere disponibile. Il prezzo di listino, chiavi in mano, è
di 46.900 euro, ma con l’ecobonus statale e con lo
sconto aggiunto da Opel si arriva a un’offerta lancio
di 38.400 euro. Più avanti arriverà anche la 1.6 Hybrid
Plug-in FWD, con la trazione solo anteriore, con meno
potenza, 224 CV in tutto, e prezzo di 42.550 euro.
Anche qui tra incentivi e sconto, il prezzo scende fino
a 34.050 euro.
Inoltre per chi non fosse sicuro della tecnologia
odierna, pensando magari di utilizzare il plug-in come
motorizzazione di passaggio verso il full electric,
Opel propone anche il noleggio a lungo termine con
Free2Move Lease 36 mesi, con 45.000 km inclusi, a
399 euro al mese. A breve realizzeremo una prova
di lunga durata per sperimentare l’uso di Grandland
X Hybrid4 come prima auto nella vita di tutti i giorni.
di Massimiliano ZOCCHI
N el mercato delle eMTB c’è una
costante ricerca delle migliori per-
formance, e questa va spesso a
braccetto con motori più potenti e bat-
terie più capienti. Ma è solo un punto di
vista, mentre c’è chi crede che anche una
eBike possa essere leggera e manegge-
vole, e non per forza potentissima.
Così, anche Specialized ha deciso di
esplorare questa filosofia, con la Turbo
Levo SL, a sua declinata in diverse ver-
sioni, per equipaggiamento e prezzo. Il
denominatore comune però è sempre
lo stesso, ovvero cercare di tenere il
peso il più basso possibile, lavorando
sulla leggerezza dei componenti. Ad
occhio la differenza è subito evidente,
con una linea molto più esile, grazie al
motore appositamente realizzato, SL 1.1,
che per via del l’ho usino in magnesio
e della struttura interna compatta pesa
BICI ELETTRICA Specialized crede che anche una eBike possa essere leggera e maneggevole e non per forza potentissima
Turbo Levo SL, eBike con meno potenza ma peso recordLe versioni sono diverse e la forbice di prezzo può variare molto. C’è anche la Founder’s Edition, ma occhio al prezzo
solo 1.95 kg, contro i 2.1 kg del normale
SL 2.1. La dimensione si va ovviamente
a riflettere sulle caratteristiche tecniche.
SL 1.1 infatti ha solo 240 W di potenza e
35 Nm di coppia. Per questo motivo è in
grado solo di raddoppiare la forza appli-
cata ai pedali dal rider, mentre i motori
2.1 possono anche quadruplicarla.
L’ottimizzazione prosegue sulla stessa
linea anche per la batteria, che ha una
capacità di 320 Wh, ovvero poco meno
della metà delle batterie più moderne.
L’autonomia può essere aumentata con
il range extender esterno, agganciato al
posto della borraccia, con 160 Wh aggiun-
tivi. La dimensione relativamente piccola
dei componenti ha variato anche in parte
le geometrie, con l’attacco dell’ammor-
tizzatore più in basso, senza rinunciare
al tipico design “side-arm” di Specy. Ma
queste ottimizzazioni quanto si riflettono
sul peso? Nella variante S-Works Levo
SL 2020 in taglia L il peso è di 16.95 kg,
ben 4 kg in meno della
S-Works Levo norma-
le. Come anticipato, le
versioni sono diverse e
la forbice di prezzo può
variare molto. La so-
pracitata S-Works Levo
SL 2020 costa 12.990
euro, con forcella FOX
34 Factory FIT4 da 150
mm di escursione, la
stessa dell’ammortizza-
tore FOX FLOAT DPS Factory. Il telaio è
in carbonio, così come le ruote da 29”, ed
un range extender è incluso nel prezzo.
Si passa poi alla Turbo Levo SL Expert
2020, che per 8.690 euro propone sem-
pre telaio e ruote in carbonio, forcella
FOX 34 Performance FIT4 e ammortiz-
zatore FOX FLOAT DPS Performance. Il
peso è leggermente superiore, 17.70 kg.
Infine, la Turbo Levo SL Comp 2020 esi-
ste a sua volta in due varianti, una sempre
in carbonio e l’altra con telaio in alluminio.
I prezzi sono rispettivamente di 7.190 euro
e 5.990 euro, con montaggio leggermen-
te più economico.
Ma Specy propone anche la “Founder’s
Edition”, una edizione limitata in 250
esemplari, con colori e grafiche persona-
lizzate, componenti al top, trasmissione
wireless SRAM XX1 Eagle AXS e placca
numerata. Il prezzo non è propriamente
popolare: 14.990 euro. Per ordinarla, indi-
cazioni sulla pagina dedicata.