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1 marzo ore 19.30 2 marzo ore 21.30 3 marzo ore 16.00 Teatro Arena del Sole, Bologna Teatrino Giullare Menelao di Davide Carnevali uno spettacolo costruito, interpretato e diretto da Teatrino Giullare luci Francesca Ida Zarpellon scene Cikuska si ringrazia Gianluca Vigone una coproduzione Emilia Romagna Teatro Fondazione e Teatrino Giullare con il sostegno di Regione Emilia-Romagna durata 1 ora e 30 minuti Menelao di Davide Carnevali (menzione speciale della giuria alla prima edizione del Premio Platea 2016), portato in scena da Teatrino Giullare, ha debuttato in prima assoluta al Teatro Arena del Sole di Bologna sabato 16 febbraio. Lo spettacolo è una lucida riflessione sul concetto di “tragico” nella contemporaneità, attraverso la rilettura di uno dei miti più noti legati alla casa degli Atridi. Menelao, l’uomo più ricco della terra, sposo della donna più bella del mondo, vincitore a Ilio e regnante di Sparta, ha tutto ma non la felicità. Intuisce che qualcosa non funziona nella sua vita apparentemente così comoda; eppure non è capace di cambiare la sua situazione. In scena un tavolo, centro della vita di un uomo comune che non accetta la sua mediocrità, e per questo si rifugia nella scrittura della sua storia: Menelao vive nell’ossessione di essere ricordato nei libri come un eroe cui i postumi renderanno omaggio. Dall’alto lo osservano gli dèi, che ridono di lui, eterno infelice; Elena non riesce a confortarlo e l’ombra di Agamennone lo tormenta. La condanna di Menelao è senza fine, la sua sofferenza non ha soluzione e la sua vita rimane sospesa in un limbo invalicabile, in cui traspare il dramma dell’uomo contemporaneo. Come si legge nella motivazione della Menzione speciale del Premio Platea: «il Menelao di Carnevali è un uomo in piena depressione. Tornato da Troia e riacquisita la moglie Elena, proprio quando dovrebbe sentirsi pienamente soddisfatto, si trova invece preda di angosce e infelicità. La mitologia greca viene abilmente intrecciata all’attualità e al mondo contemporaneo per sondare gli eterni meccanismi del desiderio». Note di Davide Carnevali Sovrano e signore di una potente città occidentale, Menelao torna dalla guerra in Medio Oriente; una guerra fatta per questioni economiche, mascherate dietro l’inverosimile scusa dell’amore per una donna. Ma l’unico amore che conosce Menelao è quello per le idee e gli ideali propri della sua cultura, del suo

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1 marzo ore 19.302 marzo ore 21.303 marzo ore 16.00Teatro Arena del Sole, Bologna

Teatrino GiullareMenelao

di Davide Carnevali uno spettacolo costruito, interpretato e diretto da Teatrino Giullare luci Francesca Ida Zarpellonscene Cikuskasi ringrazia Gianluca Vigoneuna coproduzione Emilia Romagna Teatro Fondazione e Teatrino Giullarecon il sostegno di Regione Emilia-Romagna

durata 1 ora e 30 minuti

Menelao di Davide Carnevali (menzione speciale della giuria alla prima edizione del Premio Platea 2016), portato in scena da Teatrino Giullare, ha debuttato in prima assoluta al Teatro Arena del Sole di Bologna sabato 16 febbraio. Lo spettacolo è una lucida riflessione sul concetto di “tragico” nella contemporaneità, attraverso la rilettura di uno dei miti più noti legati alla casa degli Atridi.

Menelao, l’uomo più ricco della terra, sposo della donna più bella del mondo, vincitore a Ilio e regnante di Sparta, ha tutto ma non la felicità. Intuisce che qualcosa non funziona nella sua vita apparentemente così comoda; eppure non è capace di cambiare la sua situazione. In scena un tavolo, centro della vita di un uomo comune che non accetta la sua mediocrità, e per questo si rifugia nella scrittura della sua storia: Menelao vive nell’ossessione di essere ricordato nei libri come un eroe cui i postumi renderanno omaggio. Dall’alto lo osservano gli dèi, che ridono di lui, eterno infelice; Elena non riesce a confortarlo e l’ombra di Agamennone lo tormenta. La condanna di Menelao è senza fine, la sua sofferenza non ha soluzione e la sua vita rimane sospesa in un limbo invalicabile, in cui traspare il dramma dell’uomo contemporaneo.

Come si legge nella motivazione della Menzione speciale del Premio Platea: «il Menelao di Carnevali è un uomo in piena depressione. Tornato da Troia e riacquisita la moglie Elena, proprio quando dovrebbe sentirsi pienamente soddisfatto, si trova invece preda di angosce e infelicità. La mitologia greca viene abilmente intrecciata all’attualità e al mondo contemporaneo per sondare gli eterni meccanismi del desiderio».

Note di Davide CarnevaliSovrano e signore di una potente città occidentale, Menelao torna dalla guerra in Medio Oriente; una guerra fatta per questioni economiche, mascherate dietro l’inverosimile scusa dell’amore per una donna. Ma l’unico amore che conosce Menelao è quello per le idee e gli ideali propri della sua cultura, del suo sistema sociale e soprattutto di un sistema economico che riflette un determinato sistema di pensiero. Quella occidentale è una cultura profondamente positivista, radicata nella logica di Aristotele e Hegel; una cultura del calcolo, del beneficio, che esige che a ogni elemento sia attribuito un valore stabile in modo da poter essere inserito in un sistema di scambio. Inquadrando la realtà in uno schema razionale, abbiamo l’impressione di poterla dominare: da qui il primato del certo sull’incerto, della forma sull’informe, del racconto sull’esperienza. Ma l’esperienza, ben lo sappiamo, non sempre è riducibile alla sua narrazione; e la realtà reale delle cose fugge inesorabilmente alla logica della definizione.Menelao, figlio di una società in cui il mercato - come ricorda Zygmunt Bauman - tende a mantenere aperto l’orizzonte del desiderio perché questo non sia mai soddisfatto, il ricco borghese si trova alla mercè di aspirazioni eternamente incompiute. Non gli basta quel che la vita gli ha dato e brama ciò che non ha. Vorrebbe morire come un eroe, ma non è questo il suo destino; vorrebbe vivere felice come una persona qualsiasi, ma non si accontenta di esserlo. Come ogni uomo abituato ad avere davanti a sé molteplici opzioni, Menelao - per pietà o per paura - è incapace di sceglierne una, cadendo nello scacco di un’aporia a cui non vede soluzione. Così il non-eroe greco vive la peggiore delle tragedie: quella di una sofferenza che non conosce fine, una vita che non conosce redenzione, una storia che non conosce finale.

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Note di regia di Teatrino GiullareUn'idea esce dalla testa e la tragedia ha inizio. Tutta colpa della ragione.Menelao si arrovella, affina a tal punto il conflitto con le sue aspirazioni da non riuscire più a far distinzione tra idee e azioni, incapace di vivere e di amare. Tra libri e statue, segni della memoria, sotto lo sguardo severo degli dèi irriverenti, Menelao cerca una ragione alla sua vita e non la trova.Non è riuscito a diventare quel che voleva essere, non è un eroe, non ha un posto da protagonista nelle storie, è solo un personaggio minore, e così inventa le proprie imprese e le scrive, tentando di costruire il proprio personaggio, un altro se stesso, un eidolon anche lui impedito a vivere.Un cortocircuito tra reale e immaginario, un doppio gioco in cui pesano parole disperatamente comiche e in cui il mito affiora affrontando l'amore, il sogno, la coscienza, la morte.Eppure Menelao ha tutto, vive nel benessere, ma non riesce a godersi la vita. E cercando vanamente la soluzione alla sua infelicità esce dal tempo, non vive, non muore.Uno stallo depresso causato da desideri confusi, un uomo che si confronta con l'immagine che vorrebbe di se stesso, una tragedia contemporanea.

Davide Carnevali Drammaturgo, ha ottenuto il Dottorato in Teoria del teatro presso l’Universitat Autònoma de Barcelona. Ha scritto, tra gli altri: Variazioni sul modello di Kraepelin (Premio Theatertreffen Stückemarkt 2009; Premio Marisa Fabbri 2009; Premio de les Journées des auteurs 2012); Sweet Home Europa (Schauspielhaus Bochum, 2012); Ritratto di donna araba che guarda il mare (Premio Riccione 2013); Menelao (menzione al Premio Platea 2016). Nel 2018 ha portato in scena Maleducazione transiberiana al Teatro Franco Parenti e Ein Porträt des Künstlers als Toter alla Staatsoper Unter den Linden. I suoi testi, tradotti in tredici lingue, sono stati presentati in diverse stagioni teatrali e festival internazionali, e sono editi in Francia da Actes Sud. Con la casa editrice mexicana Paso de Gato ha pubblicato il saggio Forma dramática y representación del mundo en el teatro europeo contemporáneo. Per la sua attività, gli è stato assegnato nel 2018 il Premio Hystrio alla Drammaturgia.Nel 2018 pubblica Variazioni sul modello di Kraepelin (o il campo semantico dei conigli in umido), con Einaudi nella collana Collezione di teatro e Aristotele invita Velázquez a colazione e gli prepara uova e (Francis) Bacon e Menelao nella collana Linea di ERT Fondazione e Luca Sossella editore.

Teatrino GiullareTeatrino Giullare sviluppa dal 1995 la propria ricerca artistica indagando la drammaturgia tramite la creazione di strumenti teatrali, la commistione delle arti, l'esplorazione dell’espressività tramite il limite fisico, la sperimentazione di artifici scenici, creando una poetica originale che ha portato la compagnia a realizzare allestimenti, installazioni e laboratori in tutta Italia e tournée internazionali in 34 paesi del mondo (Europa, Usa, Canada, Argentina, Uruguay, Guatemala, Etiopia, Kenia, Russia, Turchia, Pakistan, India, Iran, Israele, Egitto, Marocco, Colombia, Venezuela).Tra i vari riconoscimenti ricevuti: Premio Speciale Ubu (2006), Premio Nazionale della Critica (2006), Premio della Giuria e Premio Brave New World per la regia al 47^ Festival Internazionale di Teatro MESS di Sarajevo (2007), Premio Hystrio Altre Muse 2011 e la Menzione Speciale della Giuria Internazionale al Premio Teatro Nudo (2016).

Presentazione del testo Menelao, pubblicato nella collana Linea di ERT Fondazione e Luca Sossella editoreVenerdì 1 marzo ore 17.30, BolognaLibreria Ubik Irnerio, via Irnerio 27 con Davide Carnevali, Michele Dell'Utri e Teatrino Giullareingresso libero

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1 marzo ore 21.002 marzo ore 21.30Teatro Storchi, Modena

Sergio BlancoEl bramido de Düsseldorf

testo e regia Sergio Blanco perfomers Gustavo Saffores, Walter Rey e Soledad Frugone video art Miguel Grompone allestimento, costumi e luci Laura Leifert e Sebastián Marrero design del suono Fernando Tato Castro preparazione vocale Sara Sabah preparazione al basso Nicolás Románcomunicazione e stampa Valeria Piana immagine di copertina Rubén Lartiguegraphic design Augusto Giovanetti fotografia Narí Aharonián assistente alla produzione Danila Mazzarelliassistente alla regia Juan Martín Scabinoproduzione e distribuzione Matilde López Espasandín

durata 1 ora e 40 minutiprima nazionalespettacolo in spagnolo sovratitolato in italiano e in inglese

Sergio Blanco, mai rappresentato in Italia, è una vera rivelazione della drammaturgia più recente. Qui anche in veste di regista, dirige tre attori in una storia di morte, amore e auto-finzione.El bramido de Düsseldorf (Il bramito di Düsseldorf), scritto nel 2016, racconta il viaggio di un autore teatrale a Düsseldorf, città in cui il protagonista è arrivato per realizzare un progetto (ma non sapremo mai con certezza di cosa si tratti) e dove si trova ad affrontare la morte del padre ricoverato in una clinica. Con lo svilupparsi della storia, le tre ipotetiche ragioni per cui lo scrittore si trova a Düsseldorf si intrecceranno in un vertiginoso gioco teatrale. Questi motivi oscillano tra: la partecipazione all’inaugurazione di una mostra su Peter Kürten, il serial killer tedesco dell’inizio del XX secolo, conosciuto con il soprannome di “vampiro di Düsseldorf”; la firma di un contratto come sceneggiatore di film porno per una delle più grandi società di produzione cinematografica europea; e/o, infine, la scelta di andare avanti con la conversione al giudaismo attraverso la circoncisione nella famosa sinagoga di Düsseldorf.Parallelamente all’argomento relativo alla morte del padre – che sarà parte essenziale della storia – lo spettacolo affronta anche i limiti dell’arte, la rappresentazione della sessualità e la ricerca di Dio.In scena una squadra di alto livello composta da artisti come Gustavo Saffores, Walter Rey e Soledad Frugone, scenografi come Laura Leifert e Sebastián Marrero, il videoartista Miguel Grompone e il sound designer Tato Castro.

Così scrive la drammaturga e scrittrice uruguayana Raquel Lubartowski: «Düsseldorf. Mentre il figlio lascia l’Ospedale per comprare le ciliegie, il padre muore ascoltando Il Messia di Händel. Inizia quindi un viaggio retrospettivo senza regole in cui ogni trasgressione era ed è possibile. Una “self-fiction” in evoluzione che affronta argomenti complessi. Nel testo, la ricerca di Giuda alimenta uno dei viaggi del figlio, svela le diverse forme di schiavitù contemporanee e la silenziosa reificazione di crimini storici e attuali. Per ogni piega che si svolge come un labirinto, Sergio Blanco interroga e viene interrogato dal vuoto e dagli abissi. Contemporaneamente, le sequenze – i boati – richiamano un’etica profonda, uno sguardo audace che descrive le parti oscure di ognuno di noi, mentre emerge la tenerezza e l’amore nel rapporto genitore-figlio. Nel cuore del El bramido di Düsseldorf, i raggi di felicità e vitalità denotano che è possibile e necessario scrivere e fare teatro dopo Auschwitz-Birkenau e durante gli olocausti contemporanei».

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Sergio BlancoAttualmente di casa a Parigi, il drammaturgo e regista teatrale di origine franco-uruguaiana Sergio Blanco, trascorre la sua infanzia e adolescenza a Montevideo. Dopo aver studiato filologia classica e regia teatrale alla Comédie Française, decide di dedicarsi alla scrittura e alla regia teatrale.Dal 2008, è uno dei registi di COMPLOT (Contemporary Performing Arts Company). Tra i numerosi premi e riconoscimenti ricevuti per le sue opere: l’Uruguayan National Drama, il Drama Award della città di Montevideo, il National Theater Fund Award, il Florencio Sanchez Award come miglior drammaturgia, l’International Casa de las Americas Award e il Theater Awards come miglior testo in Grecia. Nel 2017, lo spettacolo Tebas Land riceve il prestigioso premio British Off West End Award a Londra. Il suo lavoro è parte della Commedia Nazionale Uruguayana nel 2003 e nel 2007 con 45’ e Kiev. Fra i suoi spettacoli più conosciuti: Slaughter; 45’; Kiev; Opus Sextum; diptiko (vol. 1 & 2); Barbarie; Kassandra; El salto de Darwin; Tebas Land; Ostia, La ira de Narciso, El bramido de Düsseldorf and Cuando pases sobre mi tumba.Molti dei suoi testi, oltre a essere pubblicati e messi in scena nel paese d’origine, sono tradotti in diverse lingue e pubblicati in vari paesi. Negli ultimi anni, gli spettacoli di Blanco hanno debuttato in Francia, Germania, Regno Unito, Spagna, Italia, Grecia, Svizzera, Lussemburgo, USA, Argentina, Brasile, Cile, Colombia, Cuba, Messico e Perù.In parallelo al suo lavoro di drammaturgo e regista, Blanco porta avanti un’intensa attività accademica con seminari, workshop e conferenze, in diverse università e istituti culturali in Europa e America Latina, sempre seguiti da spettacoli, performance e interventi pubblici, come Escenas de Penitencias y Autopsias, 10 dramaturgos en la plaza pública, Louvre/Banlieue, África Street and Susurrantes. Fra il 2008 e il 2014 lavora per il Ministero dell’Educazione e della Cultura Francese, coordinando e dirigendo workshop di scrittura in diversi centri educativi; a marzo 2013, è scelto dall’Università Carlos III di Madrid come direttore artistico del progetto europeo “Crossing Stages”, che riunisce diverse università e istituzioni artistiche di più paesi europei. Nello stesso anno è invitato dalla Commedia Nazionale dell’Uruguay a dirigere il Primo Seminario Nazionale di Teatro e nel 2014 l’Istituto Nazionale di Arte Scenica dell’Uruguay gli affida la direzione di uno stage di ricerca sul tema dell’autofiction.Ad agosto 2013 debutta con Tebas Land; a marzo 2015 con Ostia, un testo interpretato da se stesso e da sua sorella, l’attrice Roxana Blanco; ad agosto 2015 va in scena La ira de Narciso con l’interpretazione e la regia di Gabriel Calderón; ad agosto 2017 debutta El bramido de Düsseldorf al Teatro Solis a Montevideo.Il suo ultimo testo Cuando pases sobre mi tumba debutta nel 2018 sempre a Montevideo.

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1 marzo ore 21.302 marzo ore 19.30Teatro Arena del Sole, Bologna

Kornél Mundruczó / Proton Theatre Imitation of Life

regia Kornél Mundruczó interpreti Lili Monori, Roland Rába, Annamária Láng, Zsombor Jéger, Dáriusz Kozma scena Márton Ágh costumi Márton Ágh, Melinda Domán luci András Éltető scritto da Kata Wéber drammaturgia Soma Boronkay musica Asher Goldschmidt assistente alla regia Anna Fehér producer Dóra Bükiproduction manager Zsófia Csatóproduzione Wiener Festwochen, Vienna, Austria; Theater Oberhausen, Germania; La Rose Des Vents, Lille, Francia; Maillon, Théâtre De Strasbourg / Scène Européenne, Francia; Trafó House Of Contemporary Arts, Budapest, Ungheria; Hau Hebbel Am Ufer, Berlin, Germania; Hellerau – European Center For The Arts, Dresden, Germania; Wiesbaden Biennale, Germania.

durata 1 ora e 40 minutiprima nazionalespettacolo in ungherese con sovratitoli in italiano e inglese

Kornél Mundruczó, regista teatrale e cinematografico tra i più noti nel panorama contemporaneo internazionale, presenta a VIE 2019 quello che viene considerato il suo capolavoro; un’opera intensa e coinvolgente, già ospite di teatri e festival in tutto il mondo e vincitrice di numerosi e prestigiosi premi internazionali.

Imitation of Life pone uno sguardo lucido sulle contraddizioni della società – ungherese ma non solo – in cui prevale ogni forma di discriminazione. Un ragazzo cresce in una famiglia rom, ma non assomiglia a loro, il colore della sua pelle è diverso. Il rifiuto delle origini pesa sulla sua infanzia, quindi cerca di trovare una nuova vita nell’anonimato della città, ma anche qui non troverà il suo posto. L’odio verso se stesso impedisce la sua integrazione sociale e alla fine lo spinge a compiere un atto omicida contro una giovane rom su un tram.Scegliamo noi il nostro destino o le nostre vite sono predestinate? Questo è il quesito sollevato da Kornél Mundruczó a seguito di un violento crimine realmente avvenuto a Budapest nel 2015. Gli attori diventano protagonisti di una storia immaginaria che inizia con lo sfratto di una donna single dal suo appartamento a Budapest da parte di un ufficiale giudiziario, ma una svolta inaspettata ostacola il suo piano. Nel frattempo, diventa chiaro che l’appartamento abbandonato nasconde oscuri segreti che i nuovi inquilini devono affrontare.Lo spettacolo è stato acclamato dalla stampa europea: «Questo teatro è una forza della natura» (Neue Zürcher Zeitung – Svizzera); «L’arte teatrale di Mundruczó riflette le relazioni sociali su piccola scala, utilizzando contorni netti. Ciò rende Imitation of Life un evento poetico e politico al tempo stesso» (Frankfurter Allgemeine Zeitung – Germania); «Questo è il teatro fatto della materia e del gioco della vita che commuove fino alle lacrime» (ruhrbarone.de – Germania).

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Kornél Mundruczó Nasce a Gödöllő in Ungheria nel 1975 e studia Cinema e Teatro all’Università; è considerato uno dei registi europei più noti. Le sue creazioni debuttano in prestigiosi festival.Lavora per il teatro dal 2003. Inizia un nuovo progetto ogni volta che incontra un soggetto stimolante, una squadra o un luogo nuovo, cercando spesso di lavorare con lo stesso cast d’attori, che è parte del suo team creativo; è con loro infatti che cura l’ideazione delle nuove produzioni. Dopo aver lavorato in autonomia per diversi anni con lo stesso gruppo di persone, nel 2009 fonda la compagnia di teatro indipendente Proton Theatre insieme alla producer Dóra Büki.Per la regia di Imitation of Life, nel 2017 riceve una nomination per il Faust Award. Nella storia di questo premio, Proton Theatre è la prima compagnia non tedesca a ricevere una nomination.Dal 2003 dirige anche opere liriche: The Makropulos affair, che debutta al Flemish Opera ad Anversa, è nominato per l’International Opera Award nella categoria Miglior Nuova Produzione, anche in questo caso la prima nomination ungherese.Nel cinema debutta al Festival di Cannes nel 2003. Nello stesso anno, ha fondato la compagnia di produzione cinematografica Proton Cinema Ltd, con Viktória Petrányi, sua stretta collaboratrice dai tempi del college. Il suo terzo lungometraggio, Johanna – un adattamento della storia di Giovanna d’Arco – è stato presentato nel 2005, nella sezione indipendente Un Certain Regard del Festival di Cannes, dove nel 2014 il suo sesto lungometraggio, White God, si aggiudica il premio principale della sezione. Con i lungometraggi Delta - 2008, TenderSon – 2010 e Jupiter’s Moon - 2017 ha partecipato al concorso ufficiale di Cannes.

Proton Theatre Nel 2009, Kornél Mundruczó, regista cinematografico e teatrale, e Dóra Büki, produttrice teatrale, fondano Proton Theatre, compagnia che ruota attorno al lavoro indipendente del regista, con l’obiettivo di garantire una struttura professionale ai loro progetti e spettacoli teatrali. Principalmente, i loro spettacoli sono realizzati con coproduttori internazionali come Wiener Festwochen; HAU Hebbel am Ufer, Berlino; KunstenFestivalDesArts, Bruxelles; Trafó House of Contemporary Arts, Budapest; HELLERAU, Dresda.Oltre a produrre spettacoli diretti da Mundruczó – fra cui The Ice (2006); Frankenstein project (2007); Hard to be a God (2010); Disgrace (2012); Dementia (2013); Winterreise (2015); Imitation of life (2016) – Proton Theatre offre spazi per la realizzazione di idee dei suoi componenti. In questo spirito sono stati creati i seguenti spettacoli: Last, diretto da Roland Rába (2014), 1 link, diretto da Gergely Bánki (2015) e Finding Quincy, diretto da János Szemenyei (2017).Gli spettacoli di Proton Theatre sono stati ospitati in oltre cento festival negli ultimi anni, da Avignone all’Adelaide International Festival di Singapore.

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2 marzo ore 10.15 Istituto “Crescenzi Pacinotti Sirani”, Bologna4 marzo ore 9.00 e 11.15Liceo Linguistico Statale “Ilaria Alpi”, Cesena5 marzo ore 9.00Istituto d’Istruzione Superiore “G. Guarini”, Modena 9 marzo ore 11.20Liceo Scientifico “Alessandro Tassoni”, Modena

Davide CarnevaliAristotele invita Velázquez a colazione e gli prepara uova e (Francis) BaconProgetto Classroomplay – primo anno

una creazione di Davide Carnevalicon Michele Dell’Utri e Simone Francia/Diana Manea e Jacopo Trebbirealizzazione video Olga Sargentisarta e attrezzista Virginia Manciniproduzione Emilia Romagna Teatro Fondazione

durata 1 ora e 15 minutiprenotazione obbligatoria

A cosa serve il teatro e in che modo può contribuire allo sviluppo della società? Una domanda che diventa ancora più urgente quando è formulata nell’ambito privilegiato in cui si costruisce la società del futuro: la scuola. Con i Classroomplay, il teatro si mette al servizio degli studenti e si fa strumento didattico, per mezzo di un approccio multidisciplinare che attraversa filosofia, storia, letteratura, arte.Il progetto, che si sviluppa nell’arco di un triennio, si incentra sulla relazione che intercorre tra una visione del mondo e le forme culturali attraverso cui essa si manifesta.Il primo anno, con Aristotele invita Velázquez a colazione e gli prepara uova e (Francis) Bacon, si indagheranno – a partire dalla Poetica aristotelica – i concetti di presentazione e rappresentazione dalla Grecia alla modernità, il principio di formalizzazione e il primato del verosimile sul vero. Negli anni seguenti saranno oggetto di studio il concetto di spazio ordinato, a partire da René Descartes, Umberto Eco, Gilles Deleuze, e di tempo cronologico, a partire da Friedrich Hegel, Albert Einstein e Walter Benjamin. Il tutto verrà condotto dagli attori in modo ironico, servendosi – come Brecht ha insegnato – del comico per veicolare una tematica seria, attraverso spettacoli di piccolo formato, di poco più di un’ora, con due attori, pochi oggetti e il supporto multimediale di video o smartphone. E coinvolgendo in prima persona gli studenti, chiamati a essere non più spettatori passivi, ma pensatori attivi e attori consapevoli di contribuire criticamente allo sviluppo della società in cui vivono.

Davide Carnevali Drammaturgo, ha ottenuto il Dottorato in Teoria del teatro presso l’Universitat Autònoma de Barcelona. Ha scritto, tra gli altri: Variazioni sul modello di Kraepelin (Premio Theatertreffen Stückemarkt 2009; Premio Marisa Fabbri 2009; Premio de les Journées des auteurs 2012); Sweet Home Europa (Schauspielhaus Bochum, 2012); Ritratto di donna araba che guarda il mare (Premio Riccione 2013); Menelao (menzione al Premio Platea 2016). Nel 2018 ha portato in scena Maleducazione transiberiana al Teatro Franco Parenti e Ein Porträt des Künstlers als Toter alla Staatsoper Unter den Linden. I suoi testi, tradotti in tredici lingue, sono stati presentati in diverse stagioni teatrali e festival internazionali, e sono editi in Francia da Actes Sud. Con la casa editrice mexicana Paso de Gato ha pubblicato il saggio Forma dramática y representación del mundo en el teatro europeo contemporáneo. Per la sua attività, gli è stato assegnato nel 2018 il Premio Hystrio alla Drammaturgia. Nel 2018 pubblica Variazioni sul modello di Kraepelin (o il campo semantico dei conigli in umido), con Einaudi nella collana Collezione di teatro e Aristotele invita Velázquez a colazione e gli prepara uova e (Francis) Bacon e Menelao nella collana Linea di ERT Fondazione e Luca Sossella editore.

Presentazione del libro Aristotele, pubblicato nella collana Linea di ERT Fondazione e Luca Sossella editoreVenerdì 1 marzo ore 17.30, Bologna - Libreria Ubik Irnerio, via Irnerio 27 con Davide Carnevali, Michele Dell'Utri e Teatrino Giullareingresso libero

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2 marzo ore 19.003 marzo ore 17.00Teatro delle Passioni, Modena

The Wild DonkeysA Bergman Affair

da Conversazioni Private, romanzo di Ingmar Bergman un progetto di Olivia Corsini e Serge Nicolaïregia Serge Nicolaï collaborazione artistica Gaia Saitta con Olivia Corsini, Gérard Hardy, Andrea Romano, Stephen Szekely e Serge Nicolaï drammaturgia Serge Nicolaï, Clément Camar-Mercier e Sandrine Raynal Paillet scenografia Serge Nicolaï creazione luci Marco Giusti, Elsa Revol creazione suono Emanuele Pontecorvo direzione tecnica Giuliana Rienzi amministrazione Eric Favre distribuzione Valentina Bertolino produzione Cie The Wild Donkeys, FZ Produçoes con la collaborazione di Porto Alegre em Cena Festival, Brasile e Les Subsistances – Lyon France, La Corte Ospitale – Italia, Il Funaro Centro Culturale – Italia, L’Aria Corsica. Nell’ambito di “Bergman100 – Ingmar Bergman Foundation”

durata 1 ora e 30 minutiprima nazionalespettacolo in francese con sovratitoli in italiano

«Lavoro solamente su questa macchia minuscola che è l’essere umano. È Lui che tento di sezionare, di analizzare sempre più intimamente per scoprirne i segreti». Così spiegava il suo lavoro Ingmar Bergman, il grande cineasta svedese, di cui nel 2018 ricorreva l’anniversario dei 100 anni dalla nascita, promosso dalla stessa Ingmar Bergman Foundation.La compagnia The Wild Donkeys fondata da Serge Nicolaï e Olivia Corsini, interpreti di lungo corso del Théâtre du Soleil di Ariane Mnouchkine, nasce nello stesso anno e sotto la stella del Maestro, cui dedicano A Bergman Affair, tratto liberamente dal romanzo Conversazioni Private.Anna, eroina bergmaniana per eccellenza, è prigioniera della sua vita: tre figli e un marito che non ama più. Quarantenne, dialoga con il suo pastore, con suo marito, con il suo amante. Malgrado la violenza psicologica di cui è vittima, assediata dalla pressione sociale, familiare, religiosa, Anna lotta per essere vicino alla sua verità, al suo desiderio e al suo corpo.In scena il romanzo si rivela come un’opera plurale, sia per le personalità degli interpreti che per i linguaggi teatrali applicati: su ispirazione dei principi dell’opera nel Bunraku, teatro di figura giapponese, i corpi dei cinque attori sono a tratti interamente diretti, come marionette, da un “manipolatore”, una figura altra, per tradurre fisicamente i conflitti dei personaggi, come se l’inconscio stesso fosse chiamato in soccorso. Un’anima, un doppio, una coscienza, una guida. Il personaggio è due.In Bergman l’intimità viene violata e sfogata con sincerità, attraverso le sue complessità e contraddizioni: conscio ed inconscio, corpo ed anima, umano e divino, amore e desiderio. La dinamica dell’attore, protagonista o manipolato da un corpo altro, integra un conflitto essenziale per Bergman come per tutto il teatro e per l’individuo nei suoi meccanismi sociali: cosa significa essere guidati da altri che se stessi?

Le opere teatrali di Ingmar Bergman sono rappresentate in Francia dall’agenzia DRAMA – Suzanne SARQUIER www.dramaparis.com in accordo con la Fondation Bergman www.ingmarbergman.se e l’Agence Josef Weinberger Limited a Londra.

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Serge NicolaïAttore, direttore di scena, regista e scenografo, Serge Nicolaï è un membro del Théâtre du Soleil dal 1997. È scenografo degli ultimi quattro spettacoli della compagnia. Studia al Conservatorio Nazionale di Cracovia con Vera Gregh e frequenta i corsi di Blanche Salan. Nel 2005 si aggiudica il premio Molière per la migliore scenografia in Le Dernier Caravansérail.È aiuto regista nei film di Ariane Mnouchkine. Come attore lavora con Irina Brook, Ariane Mnouchkine, con cui recentemente interpreta il ruolo di Macbeth. Attualmente lavora anche con Robert Lepage come attore.

Olivia Corsini Nasce a Modena. Studia alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano, con artisti come Tina Nilsen, Julie Anne Stanzak (Tanztheater Wuppertal Pina Baush), Kim Duk Soo, Carolin Carlson, Emma Dante, Julien Gosselin.Lavora per due anni con la compagnia internazionale Teatro de los Sentidos, guidata dal colombiano Enrique Vargas in Spagna. Nel 2002 si unisce al Théâtre du Soleil, guidato da Ariane Mnouchkine, dove interpreta ruoli di primo piano nelle creazioni collettive Le Dernier Caravansérail, Les Ephemeres e Les Naufragés du Fol Espoir, fino al 2014.Al cinema è interprete negli ultimi film di Ariane Mnouchkine e Tonino de Bernardi, è protagonista del film Olmo and the Seagull di Petra Costa (Produzione Zentropa, Tim Robbins).Attualmente lavora nel ruolo di protagonista in Democracy in America di Romeo Castellucci.

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3 marzo ore 15.00 e 18.00 Teatro Dadà, Castelfranco Emilia (MO)

Yeung FaïThe puppet-show man

design, performance Yeung Faï direzione Eric Domenicone progetto della struttura dei burattini Michel Klein progetto dei burattini Yeung Faï luci Marc Laperrouzeproduzione Manege Maubeuge – Scene Nationale coproduzione Perth International Arts Festival Australie

durata 50 minutiprima nazionaleprenotazione obbligatoria

Yeung Faï, ultimo membro di una dinastia di burattinai attiva da cinque generazioni, si afferma come indiscusso esperto di burattini cinesi, artista capace di esprimere con la massima precisione lo stato d’animo, il temperamento e i sentimenti dei personaggi che gestisce. Quando il maestro apre le sue valigie, cariche delle sue opere d’arte, svela e diffonde il loro contenuto attraverso storie che appaiono improbabili all’occhio dell’uomo contemporaneo. La tigre divora il buon monaco, gli studenti si scontrano in una violenta lotta con la spada, i piatti volano e non si rompono mai, le coppie si innamorano e si lasciano: i burattini cinesi ci conducono in un mondo in cui la leggerezza si fonde con la fantasia in spettacoli adatti a ogni tipo di pubblico e situazioni. Che siano terrazze o piazze dove prendere il caffè, ospedali o salotti, palcoscenici teatrali o aule, Yeung Faï si adatta all’ambiente. «Tendenzialmente, l’arte si influenza a vicenda – afferma il maestro – e questo accade in particolare con i burattini. Originariamente, nata nelle sale da tè era un modo per raccontare storie; poi venne aggiunta la musica, diventando così una forma d’arte a sé stante…».

Yeung FaïNato in Cina nel 1964, Yeung Faï apprende le basi dell’arte dei burattini, una delle più antiche arti popolari tradizionali in Cina, già dall’età di quattro anni da suo padre, vittima della Rivoluzione Culturale, evento che lascia tracce nella vita del figlio. Il suo spettacolo da solista Scene dell’Opera di Pechino viene rappresentato per circa venti anni nei più importanti festival internazionali in Asia, Nord America, Sud America ed Europa. Collabora per numerosi film per il piccolo e grande schermo ed è insegnante alla Scuola per Burattinai di Zhangzhou.Dal 2001 al 2010 lavora in Francia con il Teatro Jeune Public, il Centro Nazionale di Arte Drammatica (CDN) di Strasburgo e il direttore Grégoire Callies. Nel 2004, si esibisce in Snow in the middle of summer di Guân Hanging, una splendido poema cinese adattato da Grégoire Callies, maneggiando circa venti burattini. Nel 2005 progetta con una intera squadra lo spettacolo Don Quijote.Dal 2006 al 2010, realizza i burattini che egli stesso maneggia negli spettacoli Odyssey 1 e Odyssey 2, diretti da Grégoire Callies e rappresentati in Francia, Canada, Spagna e altri Paesi.Nel 2011 produce, per il Teatro Vidy-Lausanne, lo spettacolo autobiografico Hand Stories, portato sulla scena più di 300 volte, in Svizzera, Francia, Brasile, Stati Uniti, Taiwan, Hong-Kong, Germania, Ungheria e molti altri paesi. Nel 2013 crea, sempre al Teatro Vidy-Lausanne, il film-documentario Blue Jeans, ispirato alle condizioni di lavoro degli operai tessili in Asia. Vengono messe in scena più di settanta repliche, soprattutto in Svizzera, Francia e Taiwan. Nell’ aprile 2016, crea e dirige uno spettacolo prodotto per il Teatro Nazionale e Sala da Concerto di Taipei dal titolo Lifelines. Oltre ad essere burattinaio e regista, Yeung Faï tiene regolarmente corsi di formazione, soprattutto al Teatro Jeune Public di Strasburgo, alla Scuola Superiore Nazionale dell’Arte delle Marionette (ESNAM) di Charleville-Mézières, all’Atrium di Fort-de-France e al Teatro di Marionette di Parigi.Nel 2018 è accolto come artista residente al Perth International Festival in Australia. Nel 2018 Insegna inoltre all’Accademia Centrale di Arte Drammatica di Pechino.

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3 marzo ore 21.004 marzo ore 21.00Teatro Bonci, Cesena

Gabriel CalderónEx - que revienten los actores(Ex - esplodano gli attori)

testo e regia Gabriel Calderón con Gustavo Saffores, Dahiana Méndez, Alfonso Tort, Marisa Bentancur, Ramiro Perdomo, Diego Artucio, Natalia Acosta scene e luci Pablo Caballero costumi Pablo Auliso grafica e web Polder produzione Matilde López Espasandín

durata 1 ora e 20 minutiprima nazionalespettacolo in spagnolo sovratitolato in italiano e in inglese

Gabriel Calderón, autore e artista uruguaiano conosciuto internazionalmente, presenta a Cesena un testo che mescola realtà e fantascienza per esplorare il tetro territorio di impunità e responsabilità ancora irrisolte nell’attuale vita democratica. «C’è chi pensa che il tempo sani tutto, che calmi le acque e risolva i problemi. Ma cosa succede se il tempo dovesse sortire l’effetto opposto? Forse è quello che sta succedendo e non ce ne rendiamo conto».Ex - que revienten los actores è la storia di una famiglia che si riunisce a Natale dopo tanto, tanto, tanto tempo, protagonista una ragazza con il suo dolore, un male che diventa più forte nel tempo, un bisogno che si è aggravato con il passare dei giorni, un problema che alla fine emerge agli occhi di chi non voleva vedere. Lo spettacolo è costituito da scene del passato e del presente, per permettere al pubblico di ricostruire le informazioni sui vari personaggi e sulle vicende che li uniscono e nello sfondo la storia contemporanea dell’Uruguay, la dittatura e le sue conseguenze. Un ritratto che offre una chiara panoramica della situazione attuale del paese.«Mostrare un’atmosfera di confusione e caos che esiste al di fuori della dittatura diventa importante quanto ricordarne e denunciarne i crimini. Chi sono stati i colpevoli? Quando è iniziato tutto? Chi ha partecipato? Che ruolo ha giocato la società civile? Quali ruoli hanno svolto i cittadini? C’è stata una guerra oppure no? Questi traumi possono essere superati? Dovrebbero essere superati?». Questi alcuni degli interrogativi scottanti che emergono nell’intreccio drammaturgico: parti di una riflessione più ampia, storie individuali, storie disconnesse, storie originali, storie che tuttavia respirano la stessa aria, quella della irrinunciabile libertà di chiedere, ridere e piangere su questioni urgenti.

«Affinché il genere fantasy venga compreso, un elemento fuori dall’ordinario – straordinario – deve entrare in un modello ordinario. Questo elemento può essere fantastico, non reale, inesistente, può appartenente a un modello totalmente diverso, e che, attraverso la sua irruzione, produce un profondo turbamento nell’evoluzione della storia. Fantascienza e storie attuali, ambientate in contesti sociali come la famiglia, la città, la vita di coppia, smuovono le nostre idee e toccano, nel migliore dei casi, quegli spazi solidi delle nostre opinioni che necessitano, di volta in volta, di essere messi in discussione. Che cos’è la fantascienza, se non mettere in discussione ciò che davamo per certo, ciò che pensavamo non sarebbe mai successo? Una sorta di domanda eterna che si ripete in diverse lingue, in diverse forme, in diversi scenari. Gli unici che cambiano, siamo noi».

Gabriel Calderón

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Gabriel Calderón Classe 1982, nel 2005 fonda, insieme a Martin Inthamoussú, la compagnia teatrale COMPLOT, con cui crea oltre 25 spettacoli, coinvolgendo altri artisti come Mariana Percovich, Ramiro Perdomo e Sergio Blanco. Negli ultimi anni, con la compagnia COMPLOT è presente in molti festival internazionali.Per la scena scrive più di sedici drammaturgie, con cui si aggiudica diversi premi, tra i quali Premio Florencio, Iris Award, Premio Morosoli e nel 2006 il Young Talents Award della Bank Boston Foundation.Borsista nel 2004 alla Carolina Foundation per realizzare il Corso di professionisti in drammaturgia e regia teatrale, nel 2009 è drammaturgo residente presso il Royal Court Theatre di Londra. Dal 2011 è membro del Lincoln Center Theater Directors Lab e artista residente del Théâtre des Quartiers d’Ivry a Parigi.Le sue opere sono rappresentate in Argentina, Brasile, Panama, Perù, Spagna, Francia e Messico. I suoi testi sono tradotti in francese, tedesco, inglese e portoghese. In Francia è pubblicato dalla casa editrice Actes Sud. Tra il 2006 e il 2010 è Coordinatore Generale dei Progetti Culturali dentro alla Direzione Nazionale della Cultura del MEC, mentre nel 2011 coordina la Segreteria Esecutiva delle Celebrazioni per il bicentenario dell’Uruguay.

Presentazione dell’antologia Teatro. Gabriel Calderón. pubblicata da ERT Fondazione e Luca Sossella editore nella nuova collana LineaExtraDomenica 3 marzo ore 18.30, CesenaTamla, vicolo Cesuola 6con Gabriel Calderón e la curatrice Teresa Vilaletture di Diana Maneain collaborazione con We ReadingIngresso libero

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6 marzo ore 19.007 marzo ore 19.30Teatro delle Passioni, Modena

El ArceCasa Calabaza

regia Isael Almanza scritto da Maye Moreno drammaturgia Luis Eduardo Yee con Erandeni Durán, Mireya González, Patricia Hernández, Gloria Castro, Alfredo Monsivais scene, luci e costumi Natalia Sedano assistente alla regia Verónica Ramos fotografia Isael Almanza, Ricardo Trejo video e editing dell’intervista Jeronimo Barriga coro “Narcisa”, poesia di Maye Moreno, “Teca huiini sicarú”, “Zapotec song” Mireya Gonzálesproduttore generale Dense Anzures produzione Colectivo Escénico el Arce Opera vincitrice del Concorso nazionale di Teatro Carcerario 2014

durata 1 oraprima nazionalespettacolo in spagnolo con sovratitoli in italiano

Casa Calabaza, scritto da María Elena Moreno Márquez, più conosciuta come Maye, detenuta che sta scontando una pena di 28 anni nel carcere femminile di Santa María Acatitla, è un’opera autobiografia in cui l’autrice narra la sua vita, dall’infanzia fino al momento in cui viene arrestata per aver ucciso la madre.Nello spettacolo quattro figure femminili interpretano la protagonista: quattro Maye dislocate in tempi diversi ma in constante conflitto fra loro. Durante il periodo di detenzione Maye ha scritto diversi testi, accomunati da una stessa idea di fondo: le nostre vite non ci appartengono, appartengono al potere della forza.In Casa Calabaza l’autrice racconta il suo crollo e il regista Isael Almanza, che ha accolto la sfida di mettere in scena il testo, cerca di addentrarsi nel groviglio di emozioni racchiuse nella casa da cui l’autrice parte, per raccontare come un componente di una famiglia possa arrivare all’omicidio. La messinscena riflette una dura realtà sociale, quella della disintegrazione del nucleo familiare, demistificando il pregiudizio sociale di cui uomini e donne vivono nella reclusione.

«Lo spettacolo Casa Calabaza è nato da un laboratorio di ricerca artistico-giornalistico e dalla ricerca sulle drammaturgie scritte da carcerati in diversi stati del Messico. Da oltre 25 anni, il Programma Nazionale di Teatro Carcere in Messico favorisce la produzione teatrale in tutto il Paese, e in questo periodo infatti i detenuti hanno dato vita un centinaio di testi; tuttavia è la prima volta nella storia della drammaturgia penitenziaria che un’opera viene messa in scena da una compagnia professionista. Casa Calabaza non lascia indifferenti, come si legge su Milenio.com: «Ho appena assistito ad un atto commovente e di comunione teatrale che mi ha stretto il cuore e l’ha riempito di gioia».Come regista, il mio lavoro si è focalizzato sul rapporto diretto fra la storia e i personaggi-attori, gli stessi con cui ho lavorato in precedenti lavori come Las Bodas di Luisa Josefina Hernández, Confesión di Rodolfo Guillen, Looper di Verónica Maldonado e Heimweh di Myriam Orva.La mia ricerca artistica si basa sulla persona, sulla biografia del drammaturgo, degli artisti o dei produttori: realizzo così un mosaico di elementi personali reali che si inserisce nella finzione drammaturgica. Per Casa Calabaza ho pensato allo spettatore come testimone dello scorrere della cronologia dei fatti in continuo dialogo con la storia.Il progetto rispetta pienamente la drammaturgia originale, sia come storia che come resoconto dei fatti. Questo spettacolo fa parte di un’indagine che sto portando avanti su come le persone si relazionano con le esperienze e i ricordi del passato».

Isael Almanza

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Isael AlmanzaIsael Almanza nasce a Città del Messico nel 1985. Attore e direttore di teatro, è un membro attivo del Colectivo Escénico El Arce, attualmente assistente presso il laboratorio teatrale del corso di Letteratura Drammatica e Teatro della facoltà di Lettere e Filosofia, UNAM (Università Nazionale Autonoma del Messico). Diplomatosi alla Escuela Nacional de Arte Teatral (2006-2009), sotto la guida di Ricardo Ramírez Carnero, Angelina Peláez, Israel Martínez, Verónica Maldonado, Mauricio Jiménez e Martín Acosta.Si forma anche al Cedart Frida Kahlo (2000-2003) e all’Università di Veracruz (2005-2006). Partecipa a workshop assieme a Ximena Escalante, Cipriano Arguello Pitt (Argentina), Alberto Villareal e Mayra Sérbulo.A livello universitario viene premiato con merito per diverse opere, tra cui Tricipro (2009), Cucarachas (2009) e Confesión (2013), per la miglior compagnia teatrale e per la miglior performance femminile.Lavora con direttori quali Guillermo León, Mauricio Jiménez e Martín Acosta; con Ignacio Escárcega, per la messa in scena di El Camino de Sinsol (2010-2011) di Camila Villegas, Tutoriales (2012-2013) di Verónica Maldonado, Afterplay (2012-2013) e El Juego de Yalta (2014-2015) di Brian Friel. Lavora anche a Pie de Monte durante la stagione del Theater der Welt organizzata dal Goethe Institut e dalla Coordinación Nacional de Teatro (2014). Almanza partecipa inoltre alla formazione e alla direzione di La Amenaza Roja di Alejandro Licona, diretto da Ignacio Escárcega per il “carro de comedias” dell’UNAM (2014-2015).Come regista, il suo primo lavoro arriva nel gennaio del 2012 con lo spettacolo Confesión di Rodolfo Guillén. Dopodiché, dirige LOOPER (2013) di Verónica Maldonado alla Sala CCB  del Centro Cultural del Bosque e al Teatro della Casa del Lago a Xalapa, Veracruz; Las Bodas (2013) di Luisa Josefina Hernández e in collaborazione con le compagnie Teatro de Aire e Idiotas Teatro, presso il Teatro La Capilla; Heimweh-estaciones (2014) di Myriam Orva, con due stagioni al teatro La Capilla; FIESTA di Myriam Orva (2017); Ma/Pa, geografía intersexual di Alberto Castillo, presentata all’interno di BESO, variegata stagione teatrale di La Teatrería.Nel 2014, Almanza viene invitato a collaborare come giurato per il Festival Internazionale di Teatro Universitario della UNAM per la categoria B e nel 2015 per la categoria A, così come per il Festival Nazionale di Teatro Carceriario nel 2014.Casa Calabaza vince il Premio Penitentiary Theatre Dramaturgy Award nel 2014-2015 e il Premio per la miglior rappresentazione teatrale all’interno del penitenziario. Lo spettacolo, riconosciuto dall’Associazione di Critici e Giornalisti del Teatro nel 2016, è diventato una della messe in scena più note in quell’anno.

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6 marzo ore 19.30DAMSLab, Bologna

Marco D’AgostinFirst Love

un progetto di e con Marco D’Agostin suono LSKAconsulenza scientifica Stefania Belmondo e Tommaso Custodero consulenza drammaturgica Chiara Bersani luci Alessio Guerra direzione tecnica Paolo Tizianel promozione Marco Villari; organizzazione Eleonora Cavallo, Damien Modolo progetto grafico Isabella Ahmadzadeh produzione VAN 2018 coproduzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Torinodanza festival e Espace Malraux – scène nationale de Chambéry et de la Savoie, nell’ambito del progetto “Corpo Links Cluster”, sostenuto dal Programma di Cooperazione PC INTERREG V A – Italia-Francia (ALCOTRA 2014-2020) in collaborazione con Centro Olimpico del Fondo di Pragelato progetto realizzato in residenza presso la Lavanderia a Vapore, Centro Regionale per la Danza con il supporto di ResiDance XL, inTeatro

durata 45 minutiprenotazione obbligatoria

in collaborazione con

«Se dovessi raccontarti un’immagine di felicità, allora ti direi un’altura, io sopra una roccia, sotto il sole, con un libro in mano».

Stefania Belmondo

First love è un risarcimento messo in busta e indirizzato al primo amore. È la storia di un ragazzino degli anni ’90 al quale non piaceva il calcio ma lo sci di fondo – e la danza, anche – ma siccome non conosceva alcun movimento si divertiva a replicare quelli dello sci, nel salotto, in camera, inghiottito dal verde perenne di una provincia del Nord Italia. Quel ragazzo ora cresciuto, non più sciatore ma danzatore, non più sulla neve ma in scena, non più agonista ma ancora agonista, per via di un’attitudine competitiva alla coreografia che non si scolla mai, nostalgica e ricorsiva, ha incontrato il suo mito di bambino, la campionessa olimpica Stefania Belmondo, ed è tornato sui passi della montagna. È giunto il tempo di “gridare al mondo” che quel primo amore aveva ragione d’esistere, che strappava il petto come e più di qualsiasi altro.In una rilettura della più celebre gara della campionessa piemontese, la 15 km a tecnica libera delle Olimpiadi di Salt Lake City 2002, First love si fa grido di vendetta, disperata esultanza, smembramento della nostalgia.

Marco D’AgostinArtista attivo nel campo della danza e della performance.Dopo una formazione disarticolata con maestri di fama internazionale (Claudia Castellucci, Yasmeen Godder, Nigel Charnock, Rosemary Butcher), consolida il proprio percorso sia come interprete (per la Societas, Alessandro Sciarroni, Tebea Martin, Liz Santoro tra gli altri) che come autore (i suoi lavori ricevono numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali e circuitano dal 2010 a oggi in tutta Europa).La sua poetica è fluida, dinamica, in adattamento continuo.Nei suoi lavori riecheggiano frequentazioni con gli atlanti geografici, l’opera di M. P. Shiel, i cataloghi di creature estinte e le iconografie generate da video più o meno visualizzati su Youtube. Nella scrittura coreografica l’orecchio è teso alla lezione di Amelia Rosselli in poesia: «Quanto alla metrica poi, essendo libera essa variava gentilmente a seconda dell’associazione o del mio piacere. Insofferente di disegni prestabiliti, prorompente da essi, si adattava ad un tempo strettamente psicologico musicale ed istintivo».L’opera d’arte alla quale è più affezionato è The Disintegration Loops I di William Basinski.

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Nel 2018 si aggiudica il Premio Ubu come Nuovo attore o performer under 35 ex aequo con Piergiuseppe Di Tanno.

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6 marzo ore 21.00 Teatro Comunale, Carpi (MO)

Marco Martinelli ed Ermanna Montanari / Teatro delle Albefedeli d’Amorepolittico in sette quadri per Dante Alighieri

di Marco Martinelli ideazione e regia Marco Martinelli ed Ermanna Montanari in scena Ermanna Montanari musica Luigi Ceccarelli tromba Simone Marzocchi regia del suono Marco Olivieri spazio e costumi Ermanna Montanari e Anusc Castiglioni ombre Anusc Castiglioni disegno luci Enrico Isola tecnico luci e video Fagio tecnico ombre Alessandro Pippo Bonoli assistente luci Luca Pagliano setar persiano in audio Darioush Madani realizzazione musiche Edisonstudio Roma consulenza musicale Francesco Altilio, Giulio Cintoni, Cristian Maddalena, Mirjana Nardelli, Fabrizio Nastari, Giovanni Tancredi, Andrea Veneri consulenza iconografica Alessandro Volpe sartoria Laura Graziani Alta Moda grafica e serigrafia su tessuto La Stamperia laboratorio artistico di Andrea Mosconi elementi di scena realizzati dalla squadra tecnica del Teatro delle Albe Alessandro Pippo Bonoli, Fabio Ceroni, Luca Fagioli, Enrico Isola, Dennis Masotti, Danilo Maniscalco, Luca Pagliano direzione organizzativa Silvia Paglianoorganizzazione e promozione Francesca Venturi, Veronica Gennari consulenza e ufficio stampa Rosalba Ruggeriproduzione Teatro delle Albe/Ravenna Teatro in collaborazione con Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia 2018 (Progetto cofinanziato dal POC Campania 2014-2020) e Ravenna Festival

durata 1 ora

fedeli d’Amore è un “polittico in sette quadri”, un testo di Marco Martinelli “attorno” a Dante Alighieri e al nostro presente. A parlarci, nei singoli quadri, sono voci diverse: la nebbia di un’alba del 1321, il demone della fossa dove sono puniti i mercanti di morte, un asino che ha trasportato il poeta nel suo ultimo viaggio, il diavoletto del “rabbuffo” che scatena le risse a causa del denaro, l’Italia che scalcia se stessa, Antonia figlia dell’Alighieri, e “una fine che non è una fine”.Queste voci ci parlano del profugo, del poeta fuggito dalla sua città che lo ha condannato al rogo, e ora è sul letto di morte in esilio, a Ravenna, in preda a febbre malarica. La nebbia per prima si infila nelle fessure delle finestre e entra in quella cameretta, e ce lo descrive sulla soglia del passaggio estremo. Quelle voci sono sospese tra il Trecento e il nostro presente, e la scrittura di Martinelli accetta la sfida dantesca di tenere insieme “realtà” politica e metafisica, cronaca e spiritualità.Amore è evocato come stella polare dei fedeli d’Amore, forza che libera l’umanità dalla violenza, che salva “l’aiuola che ci fa tanto feroci”. Le voci di questo “polittico” sono un’unica voce che ne sa contenere innumerevoli, quella di Ermanna Montanari: aria, fuoco, suono, materia. Questo “polittico” per il palcoscenico arricchisce l’itinerario che, insieme a Ravenna Festival, Martinelli, Montanari e il Teatro delle Albe hanno iniziato nel 2017 con Inferno, e che proseguirà nel 2019 e 2021 con le altre due cantiche della Divina Commedia.fedeli d’Amore è un ulteriore tassello della loro incessante ricerca drammaturgica, vocale, musicale e visiva, insieme a Luigi Ceccarelli e Marco Olivieri, Anusc Castiglioni e Simone Marzocchi e si inserisce in quel solco dove centrale è l’alchimia vocale-sonora della figura.

Alchimia di Ermanna MontanariIeri abbiamo deciso di concederci due giorni di completo silenzio per riuscire a fare ordine nella difficoltosa ricerca del nostro prossimo lavoro: fedeli d’Amore, che fatica a scaturire con leggerezza. Da mesi siamo in

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bilico su questa materia, composta da pezzi musicali e versi poetici in gran parte appartenuti a  Inferno, l’opera realizzata l’estate scorsa su Dante. Abbiamo deciso di chiuderci “al mondo”. Cosa per noi difficile, sempre propensi al sì, al dialogo, alla superficie che è la pelle delle cose, e certo di grande sostanza, ma in questi giorni di concentrazione tutto questo rumore rischia di diventare confusione, la rocciosa fiducia nella comunità di riferimento diventa sfibrante e dobbiamo separarci dal fuori. Per me non è poi così difficile, mentre per Marco è una condizione da dichiarare alla compagnia. Marco ha liturgie quotidiane limpide come un’architettura rinascimentale. Dopo il risveglio, dopo aver dedicato una mezz’ora alla sua persona, inizia la giornata per scrivere e leggere e telefonare, mentre per me è tutta scombinata la mattina, quando si tratta di mattina, che spesso è mezzogiorno. Dipende se avrò voglia di lavarmi oppure no, se vorrò fare colazione oppure no, se andrò a camminare per un’oretta al mare oppure starò a guardare un poliziesco su Netflix, oppure… Marco sorride, e attende. E poi, una volta pronta, si inizia. Come in questi giorni a procedere per l’ideazione di fedeli d’Amore.Ci si inizia all’inatteso.Questa volta siamo davvero in alto mare. Non ci soddisfa la materia su cui stiamo lavorando, ci sembra debole, forse è solo un’affezione per quei ritmi cupi che le percussioni dei musicisti ci hanno lasciato in testa, per quei versi di Ugolino che non smettono di rincorrerci nella memoria. Abbiamo messo in mezzo una sapiente del teatro d’ombre, Anusc, perché ci sembrava essenziale lavorare con un filtro così potente per metterci a petto su Dante, sulla Vita Nuova, sulla confraternita dei fedeli d’Amore. Ma l’ombra si rivela fine a se stessa, e non riusciamo a vederci noi in relazione a essa. Così come con Ceccarelli, non abbiamo indicazioni per la musica, non abbiamo una struttura plausibile da proporgli perché lui possa iniziare il suo percorso nei suoni. Siamo muti. Entrambi coi nostri strumenti di riferimento. Marco a leggere Eliot e Pound, e io a terra, sul pavimento coperto di fogli e fotocopie con immagini che non mi dicono niente. Siamo nell’abisso, una distanza siderale ci divide dal vedere l’opera. C’è calma, fiducia nell’altro, in una possibile epifania. Raccolgo da terra alcuni versi ricopiati su un foglietto sotto il disegno sghimbescio di una vela, datato al gennaio scorso: Amore, oggi il tuo nome / al mio labbro è sfuggito / come al piede l’ultimo gradino… / Ora è sparsa l’acqua della vita / e tutta la lunga scala / è da ricominciare. / T’ho barattato, amore, con parole. / Buio miele che odori / dentro diafani vasi / sotto mille e seicento anni di lava / ti riconoscerò dall’immortale / silenzio. Sono versi di Cristina Campo. La sua scrittura cristallina, la sua devozione per la parola mi spinge a leggerli a Marco, lui stesso, come lei, impegnato a rendere conto di ogni parola, parole di pietra che vorrebbero tendere al canto. Lo spartito architettonico dei cervelli degli scrittori mi ha sempre affascinato e obbediente mi sottometto all’ascolto. Per loro la scrittura è spazio sacro. E a volte le parole si ergono come una diga per spaccare la durezza di una materia che fatica a darsi a vedere. Mentre leggo a voce alta, Marco batte il tempo con una matita sulla coscia, lo fa spesso, come se ascoltasse mentalmente l’armonia del mondo, mentre io mi distendo immobile sul pavimento freddo di marmo.A un certo punto della notte, dopo ore e ore di ipotesi infruttuose, di idee naufragate, come se fosse terminata una cerimonia iniziata con la scia di quei versi amorosi che la Campo ci aveva lasciato nel giorno, mi viene da dire: «Marco, e se fosse la nebbia a parlare? La nebbia, sì, una figura che prende voce, una figura del mondo».Marco mi guarda, sorpreso. La nebbia, sì, la nebbia. La nebbia che avvolgeva Ravenna la notte tra il 13 e il 14 settembre 1321, quando Dante moriva di febbre malarica, delirante, attorniato dai suoi cari, gli allievi dello Studio, i signori della città. E si mette a scrivere. Il rubinetto si è aperto.

Ermanna Montanari, 3 marzo 2018, Ravenna

Teatro delle AlbeNel 1983 Marco Martinelli, Ermanna Montanari, Luigi Dadina e Marcella Nonni fondano il Teatro delle Albe. La compagnia sviluppa il proprio percorso intrecciando alla ricerca del “nuovo” la lezione della Tradizione teatrale: il drammaturgo e regista Martinelli scrive i testi ispirandosi agli antichi e al tempo presente, pensando le storie per gli attori, i quali diventano così veri e propri co-autori degli spettacoli. Fondamentali all’interno del gruppo, oltre alla direzione artistica tenuta da Martinelli (Premio Drammaturgia infinita con Incantati nel 1995, Premio Ubu per la drammaturgia con All’inferno! nel 1997, Premio Hystrio alla regia nel 1999, Golden Laurel come “miglior regista” al Festival Internazionale "Mess" di Sarajevo con I Polacchi nel 2003) sono le accensioni visionarie e la vocalità inquietante di Ermanna Montanari (segnalazione al Premio Narni Opera prima con Confine nel 1986, nomination al Premio Ubu come "miglior attrice" nel 1997, Premio Ubu come “migliore attrice” con L’isola di Alcina nel 2000, con Sterminio nel 2007 e nel 2009 con Rosvita, Premio Adelaide Ristori nel 2001, Golden Laurel come "miglior attrice" al Festival Internazionale "Mess" di Sarajevo con I Polacchi nel 2003); il lavoro di attore-autore (nonché Presidente della cooperativa) di Luigi Dadina (Griot-fuler, scritto a quattro mani con Mandiaye N’Diaye, menzione al Premio Nazionale Stregagatto 1995-96); gli attori e attrici cresciuti nella fucina della non-scuola, ovvero

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Alessandro Argnani (Premio Ubu come “miglior attore under 30” con La canzone degli F.P. e degli I.M. nel 2006), Cinzia Dezi, Luca Fagioli, Roberto Magnani (Premio Lo Straniero nel 2001), Michela Marangoni, Laura Redaelli e Alessandro Renda, che dal ’98 a oggi hanno segnato con la loro presenza scenica il percorso della compagnia (nomination al Premio Ubu nel 1999 per I Polacchi e nel 2001 per Baldus nella categoria "nuovo attore o attrice under 30)"; la direzione tecnica di Enrico Isola, il lavoro sulle luci di Vincent Longuemare, la collaborazione con il musicista Luigi Ceccarelli, gli scenografi Cosetta Gardini e Edoardo Sanchi, gli scrittori Nevio Spadoni e Luca Doninelli. Nel 1999 le Albe creano il Cantiere Orlando, percorso triennale sui poemi cavallereschi rinascimentali, coprodotto con la Biennale di Venezia, Ravenna Festival e Santarcangelo dei Teatri. Nell’ambito di tale progetto hanno origine gli spettacoli L’isola di Alcina (2000), "concerto per corno e voce romagnola"; Baldus (2000), “riscrittura per lampi” dall’omonimo poema di Teofilo Folengo; Sogno di una notte di mezza estate, “riscrittura in giù da William Shakespeare”. 

Ermanna MontanariAttrice, autrice e scenografa, è fondatrice del Teatro delle Albe (1983) insieme a Marco Martinelli, con il quale ne condivide la direzione artistica. Amata da artisti e scrittori, come Susan Sontag e Gianni Celati, per il suo lavoro di attrice-autrice e per uno straordinario percorso di ricerca vocale, ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti: cinque volte Premio Ubu come “miglior attrice” e come “miglior progetto curatoriale” per Inferno; Golden Laurel al Mess festival di Sarajevo; Premio Lo straniero “dedicato alla memoria di Carmelo Bene”; Premio Eleonora Duse; Premio della Critica dell’Associazione Nazionale Critici di Teatro-ANCT; Premio Vereinigung Deutsch-Italianischer Kultur Gesellscaften. Nel 2011 ha firmato la direzione artistica del Festival internazionale di teatro in piazza di Santarcangelo. Scrive per riviste nazionali e internazionali quali The Open page, doppiozero, Teatro e storia, Culture teatrali. Nel 2017 ha pubblicato un libro di racconti Miniature Campianesi per Oblomov editore, per il quale ha ricevuto il Premio “Letteratura” dall’Istituto Italiano di Cultura di Napoli. Nel 2012 è uscita per Titivillus la biografia artistica di Laura Mariani Ermanna Montanari fare-disfare-rifare nel Teatro delle Albe (nel 2017 in versione inglese Do, undo, do over Ermanna Montanari in Teatro delle Albe) e sempre nel 2017 per Quodlibet Studio il volume in italiano e inglese a cura di Enrico Pitozzi Acusma Figura e voce nel teatro sonoro di Ermanna Montanari.  In relazione alla sua ricerca vocale sono stati pubblicati i cd de L’Isola di Acina e Ouverture Alcina (Ravenna Teatro), La Mano e Rosvita (Luca Sossella editore). 

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6 marzo ore 21.00Teatro Arena del Sole, Bologna

Simona Bertozzi Joie de vivre

progetto Simona Bertozzi, Marcello Briguglio ideazione e coreografia Simona Bertozzi danza Wolf Govaerts, Manolo Perazzi, Sara Sguotti, Oihana Vesga canto Giovanni Bortoluzzi, Ilaria Orefice musica e regia del suono Francesco Giomi dramaturg Enrico Pitozzi set e luci Simone Fini costumi Katia Kuo foto e video Luca del Piaproduzione Emilia Romagna Teatro Fondazione, Fondazione Teatro Comunale di Modena, Associazione Culturale Nexus con il contributo di MIBAC, Regione Emilia-Romagna, Fondo Regionale per la Danza d’Autore con il sostegno di Fondazione Nazionale della Danza – Aterballetto, Arboreto Teatro Dimora di Mondaino

durata 1 ora

«La vera felicità rappresenta il grande dilemma se non di tutti, quanto meno dei più saggi».Pierre Zaoui

Joie de vivre ha debuttato il 14 dicembre al Teatro Storchi di Modena. Lo spettacolo, di cui Bertozzi firma ideazione e regia, vede in scena un inedito ensemble di danzatori, Wolf Govaerts, Manolo Perazzi, Sara Sguotti e Oihana Vesga, scelti durante periodi di residenza e lavoro tra Londra e Bologna, e due cantanti specializzati nel canto difonico, Giovanni Bortoluzzi e Ilaria Orefice. Dramaturg di Joie de vivre è Enrico Pitozzi, set e luci sono di Simone Fini, musica e regia del suono di Francesco Giomi e costumi di Katia Kuo.

Joie de vivre è un pensiero in forma coreografica che si rivolge all’universo vegetale, il più antico e diffuso del pianeta, per ricercare quelle attitudini emergenti che tutti, vegetali e umani, mettono in atto nell’incessante tentativo di giungere a uno stato di felicità.Joie de vivre si rivolge a questa inesausta interrogazione dello stare tra le cose, è la propulsione organica che attraversa e configura atteggiamenti anatomici e risposte ambientali nell’esperienza di sé, degli altri, del territorio, del proprio habitat. E tutto questo lo fa guardando l’universo vegetale per coglierne inclinazioni arborescenti e rizomatiche, cambiamenti di stato incorporati in una logica di ostinate azioni di resistenza e trasformazione, capacità tattiche, mobilità dei confini, assemblaggi di comunità transitorie.Joie de vivre è intelligenza vegetale non teleologica. In essa non c’è progetto, direzione o scopo, nessun obiettivo verso cui tendere; solo un “fare spazio”, tracciare un territorio in cui le cose accadono e l’inatteso è accolto come un’epifania, una rivelazione.Joie de vivre dice di un’inclinazione naturale degli enti, di comportamenti emergenti e di relazioni polifoniche tra eventi ed elementi. In questi territori di confine, gli approdi non sono uniformi e le singolarità irrompono nel continuum dinamico dell’ambiente per conservare l’urgenza elementare della propria esistenza.Joie de vivre predilige la variazione di scala, in cui le variabili ritmiche scandiscono e orientano la composizione coreografica in gesti la cui origine vegetale è cercata nella profondità dei corpi, nelle infinite spazializzazioni dell’anatomia.

«Il processo di creazione di Joie de vivre si è nutrito di keywords e immagini, tutte tese a produrre un moto, una forma di dinamismo in grado di esaltare, e al contempo oggettivare, le forme di presenza e la loro diversità. Innevare, limite, linfa, timidezza, resistenza, vibrazione, lanciare, umidità, vento, brulicare, pollution, propulsione, luce, residualità. In ognuna di queste evocazioni si avverte l’ingresso potente, quando non scatenato, di fisicità e orientamenti energetici volti a attivare i necessari processi di insediamento e relazione con lo spazio delle azioni, al fine di procurarsi le migliori condizioni di vitalità. Senza entrare nell’ordito di una narrazione, le immagini di sotto-testo hanno permesso di rendere fecondo, alimentandone l’apertura, il dialogo tra i due “macro-sistemi” intorni ai quali Joie de vivre ha strutturato il

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proprio vocabolario di movimento e il percorso di creazione: l’universo vegetale e la ricerca della felicità. Delle piante ci ha interessato principalmente la dimensione sensoriale, vale a dire l’attivazione di capacità tattili, visive, uditive, o di altri sensi a noi non dati, come la percezione di campi magnetici, in grado di generare strutture comportamentali complesse e dinamiche collettive. Del concetto di felicità, il suo identificarsi con una condizione di dialettica oppositiva tra la dimensione individuale della ricerca e dello sforzo, e l’universalità di una proiezione verso l’evanescente, il non pienamente penetrabile, che è ricaduta in un agire frammentato, imperfetto, trasfigurato, incrinato. Joie de vivre si colloca nel tratto di reversibilità tra queste due prospettive. Con il gruppo (danzatori e cantanti) ho tracciato una serie di sezioni coreografiche e posture gestuali che producessero condizioni di resistenza e propulsione, sia nell’emersione delle singolarità che nella risonanza corale, ricercando, nell’immediatezza, la possibilità di un’esperienza gioiosa».

Simona Bertozzi

Compagnia Simona Bertozzi | Nexus È fondata nel 2008 e sviluppa la propria attività su territorio nazionale e internazionale. Tra le creazioni ricordiamo: progetto Homo Ludens, quattro episodi sull’ontologia del gioco (2009/2012), a cui si aggiunge il solo Bird’s Eye View (Audience Prize Masdanza International Festival); Elogio de La Folia su musiche di Arcangelo Corelli, co-prodotto da Ravenna Festival (2013); Guardare ad altezza d’erba, con danzatori di 10-12 anni (Biennale Danza Venezia, 2014); Animali senza Favola, creato con il sostegno di ERT Fondazione (2014); progetto Prometeo: sei quadri di durata variabile, ognuno con un tema, segno coreografico e nucleo di interpreti, tra cui And it burns, burns, burns finalista premio UBU 2017 (2015/16); Anatomia, creato insieme a Francesco Giomi e Enrico Pitozzi (2016); Wonder(L)and, contenitore di pratiche finalizzato alla ricerca coreutica (2017); Lotus, vincitore del bando Migrarti (MiBACT), con danzatrici Tamil di 8-16 anni, in un dialogo tra danza contemporanea occidentale e danza classica indiana (2017).

Simona BertozziCoreografa e danzatrice, si forma tra Italia, Francia, Spagna, Belgio, Inghilterra e completa gli studi universitari al DAMS di Bologna. Dal 2005 conduce un percorso autoriale di ricerca e creazione coreografica e nel 2008 dà inizio all’attività di Compagnia Simona Bertozzi | Nexus. Nei suoi lavori il linguaggio del corpo risente della compenetrazione di pratiche, pensieri e discipline che fanno dell’atto creativo un sistema complesso e volto a misurarsi con la contemporaneità. Dal 2014 le sue creazioni hanno coinvolto anche giovani interpreti, bambini e adolescenti. Parallelamente si occupa anche di percorsi di alta formazione e collabora con ricercatori e studiosi di arti performative.

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7 marzo ore 21.008 marzo ore 21.00Teatro Ermanno Fabbri, Vignola (MO)

BERLINTrue Copy

ideazione e direzione BERLIN (Bart Baele & Yves Degryse)con Geert Jan Jansenassistente di Geert Jan Luk Sponseleevideo BERLIN, Geert De Vleesschauwer, Jessica Ridderhof & Dirk Bosmansvideo editing BERLIN, Geert De Vleesschauwer & Fien Leysenscene Manu Siebens, Ina Peeters & BERLINcomposizione musicale & mixing Peter Van Laerhovenmissaggio dal vivo Arnold Bastiaanse o Hans De Prinsdisegno luci Barbara De Witpianoforte Govaart Hachévioloncello Katelijn Van Kerckhovenregistrazione del suono Bas De Caluwé & Maarten Moesencoordinamento tecnico Manu Siebens & Geert De Vleesschauwerassistenza tecnica Rex Teeamministratore di produzione Celeste Driesen & Jessica Ridderhofamministrazione Jane Seynaevedistribuzione Eveline Martenscomunicazione Sam Lonckeproduzione BERLINcoproduzione Brighton Festival (UK), le CENTQUATRE (Paris, FR), C-TAKT (Limburg, BE), deSingel (Antwerp, BE), Theaterfestival Boulevard (Den Bosch, NL), Het Zuidelijk Toneel (Tilburg, NL), PACT Zollverein (Essen, DE)con il supporto di the Flemish Government, Tax Shelter of the Belgian federal government, Podiumfondsgrazie a Saskia Verreycken, Diana Boro, Geert Jan Jansen per il suo aiuto nella preparazione e nella realizzazione dello spettacolo

durata 1 ora e 20 minutiprima nazionalespettacolo in fiammingo con sovratitoli in italiano e in inglese

Dopo il grande successo di Perhaps All The Dragons, allestito nella Chiesa San Carlo a Modena nel 2016, tornano a VIE i BERLIN con il loro ultimo spettacolo True Copy.È il 6 maggio 1994, i gendarmi irrompono nella tenuta in campagna di Geert Jan Jansen, dove trovano oltre 1600 opere di artisti fra cui Picasso, Dalì, Appel, Matisse e Hockney. Ma la maggior parte di questi quadri sono stati dipinti dallo stesso olandese. Per oltre vent’anni, Geert Jan è riuscito a ingannare il mondo dell’arte, in modo così convincente che anche Picasso e Appel hanno involontariamente fornito certificati di autenticità per le creazioni del falsario.Fino a oggi, i musei di tutto il mondo hanno esposto quattro opere di Geert Jan che nessuno identificherebbe come falsi. Ha avuto un successo immediato, tanto da diventare uno dei più famosi truffatori del mondo dell’arte. Nel corso degli anni, e all’ombra dei maestri, perfeziona la sua abilità. Il lavoro e la vita di Geert Jan sono in costante equilibrio tra finzione e realtà, nella perenne speranza di non crollare. Dopo Perhaps All The Dragons (in cui Geert Jan fa la sua prima apparizione come uno dei trenta narratori), True Copy prosegue la serie Horror Vacui e lo pone al centro dello spettacolo. I meccanismi psicologici che caratterizzano la complessità del carattere di questo uomo, fungono da manuale per mettere a nudo – tra le altre cose – l’ipocrisia all’interno del mondo dell’arte. Cosa significa davvero sincerità? E non è molto più soddisfacente dire di sì a una menzogna brillantemente confezionata?In questa nuova produzione, la compagnia usa il suo stile idiosincratico per unire due mondi e realtà differenti sul palco. Lo spettacolo mette a nudo una “piaga” aperta e deteriorata del mondo dell’arte, ma nello stesso momento racconta anche la storia universale di un uomo che cerca di farsi valere all’interno di una rete di bugie, o meglio, di variazioni della verità.

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BERLINBart Baele e Yves Degryse fondano la compagnia nel 2003. I registi decidono dall’inizio di non scegliere un genere in particolare, ma di avventurarsi nel regno del documentario e lasciare che siano i luoghi delle loro incursioni a guidare l’ispirazione. Questa filosofia ha dato vita a due cicli progettuali: Holocene (l’attuale era geologica) dove il punto di partenza è sempre una città o un altro luogo del pianeta, e Horror Vacui (paura del vuoto) nel quale storie vere e toccanti vengono delicatamente districate attorno a una tavola. Il ciclo Holocene comprende Jerusalem, Iqaluit, Bonanza, Moscow e Zvizdal. Gli episodi di Horror Vacui sono invece Tagfish, Land’s end, Perhaps All the Dragons, Remember the Dragons e True Copy.Holocene terminerà nella città di Berlino con la creazione di un progetto di docu-fiction che coinvolgerà gli abitanti delle città protagoniste degli episodi precedenti.La compagnia negli ultimi anni ha lavorato in 27 paesi diversi, all’interno di vari circuiti: da teatri a spazi espositivi, da festival a location speciali.

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7 marzo ore 21.00MAST. Auditorium, Bologna

Amyra Witness

con Junior Kusi al pianoforte

durata 1 ora prenotazione obbligatoria sul sito www.mast.org

Amyra (fka Amy León) presenta in concerto il suo ultimo album, Witness. Nata a New York, ad Harlem, per anni residente a Brooklyn e ora a Londra, Amyra è musicista, poetessa ed educatrice. «Il mio lavoro di educatrice – afferma – è fortemente basato sull’autoespressione. Insegno alle persone dai 6 ai 65 anni come sentirsi a proprio agio nei loro corpi, nella loro lingua e nelle loro comunità. Il mio obiettivo è quello di creare uno spazio in cui le persone si sentano sicure e non censurate nella loro auto espressione. È comune oggi sentirsi piccoli e incapaci: stimolare la fiducia in se stessi è il primo passo verso un’educazione di successo e verso un cambiamento duraturo. C’è così tanto potere nell’individuo e il mio obiettivo è quello di ricordare a tutti i miei studenti e colleghi che ognuno di loro conta qualcosa». «Musica e poesia – prosegue l’artista – esistono nello stesso universo per me. Prima ero una poetessa e il mio amore per il linguaggio mi ha portato naturalmente all’amore per la musica. La lingua è incredibilmente melodica e influenza costantemente la vibrazione unificante dell’esperienza umana. Quando scrivo le mie canzoni, mi concentro fortemente sui testi e faccio sempre del mio meglio per assicurarmi che ciò che intendo sia ciò in cui credo, e ciò in cui credo sia ciò che dico». Allieva della celebre Nuyorican Slam Team, Amyra ha saputo concentrare e fondere musica e poesia attraverso performance coraggiose e intime, concentrandosi sulle disuguaglianze sociali tra bianchi e neri, sulla celebrazione dell’amore e sulla difficoltà dell’essere donna. «Le donne nere sono ancora in fondo alla gerarchia universale. Siamo costantemente disumanizzate, sovradimensionate, sfruttate e dimenticate. La mia missione è quella di amplificare le nostre narrazioni e chiedere il rispetto per l’essere umano e per la comunità mondiale di donne nere. Quindi credo che il messaggio sia potente, è santo, è l’inizio e la fine di tutte le cose. Quando le donne nere saranno finalmente trattate con il rispetto che meritano, non ho dubbi che il mondo sarà un posto migliore».

«La voce di Amy León irrompe attraverso i limiti della competenza tecnica come i raggi del sole attraversano una finestra; le sue parole sono forti, personali e illuminanti» Huffington Post

«C’è stato anche quel momento in cui una straordinaria cantante e compositrice di nome Amy León (che ha cantato “Ballad of Hollis Brown” di Bob Dylan) ha chiesto al pubblico di inspirare ed espirare, inspirare ed espirare, e infine di urlare più forte che poteva. Molti bei suoni sono stati emessi quella notte, ma quell’urlo collettivo riassumeva meglio l’esperienza» The New York Times

AmyraAmyra è musicista, scrittrice ed educatrice. Suona molte volte in Inghilterra e negli Stati Uniti, collaborando – tra gli altri - con la BBC, Roundhouse e Amnesty International.È autrice di due pubblicazioni di poesie - The water under the bridge e Mouth Full of Concrete - e di molti progetti editoriali. Il suo debutto musicale, Something Melancholy, l’ha portata a condividere il palco con Talib Kweli, Common, Melanie Fiona e Alice Smith.

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8 marzo ore 20.30MAST.Auditorium, Bologna

Giorgina Pi / BluemotionWasted[prima scatola sonora]

di Kate Tempesttraduzione di Riccardo Durantiun progetto di Bluemotionideazione e regia Giorgina Picon Sylvia De Fanti, Xhulio Petushi, Gabriele Portoghesemusica, ambiente sonoro Collettivo Angelo Maiproduzione Emilia Romagna Teatro Fondazionein collaborazione con Angelo Mai / Bluemotion

durata 1 ora spettacolo in italiano con sovratitoli in inglese prenotazione obbligatoria sul sito www.mast.org

Si muorePerché altri possano nascere

S’invecchiaPerché altri possano essere giovani

Il senso della vita è vivereAmare se si può. E poi tramandare

Kate Tempest

La prima scatola sonora di Wasted presentata a VIE da Giorgina Pi e Bluemotion, è la prima tappa di un percorso che si concretizzerà in uno spettacolo teatrale prodotto da ERT Fondazione in collaborazione con Angelo Mai, dedicato al ‘fenomeno’ Kate Tempest.Il lavoro di Bluemotion su questa rivoluzionaria rapper, poetessa, scrittrice, performer è l’avvio di (E tu sei solo una cosa che capita come un elefante o un narciso) un progetto attorno al distacco dall’esistenza materica, al fine vita, alla compassione di chi resta, che porterà alla realizzazione di due spettacoli: Wasted di Kate Tempest che debutterà alla fine del 2019 e Here We Go di Caryl Churchill nel 2020.La ricerca di Bluemotion fonde musica e parola in ogni fase del lavoro attraverso la creazione condivisa da attori/attrici e musicisti/e. Testi drammatici e poetici vengono affrontati come composizioni miste tra scrittura scenica e musicale, passando dai Lieder di Richard Strauss alla spoken word performance, dalla Slam poetry alle sonorità post-rock e trip hop, dalla composizione orchestrale alla voce nuda. Kate Tempest è stata una rivoluzione assoluta per la scena culturale inglese. Le sue opere sono centrali per la poesia del Regno Unito dove è universalmente apprezzata come artista totale, rapper, live performer, poetessa, scrittrice. Ha poco più di trent’anni e canta di una generazione sofferente, divisa tra ambizioni e sogni infranti. Le strade della città sono il luogo letterario dove musica, poesia e politica si incontrano, dove personaggi duri e commoventi prendono vita.Wasted custodisce l’intera poetica di Kate Tempest, in questo caso scritta per la scena. Una storia che vede due uomini e una donna riunirsi per commemorare il decimo anniversario della scomparsa del loro più caro amico. Confronti, riflessioni e illusioni scorrono sul crinale del dolore. Sembra ormai impossibile diventare ciò che si voleva, si può solo essere, con difficoltà e lacerazione, quello che si può. Dal tramonto all’alba, in una città che diventa per dodici ore periferia del mondo immaginato, confessioni ed errori si mischiano a bilanci, droghe e tentativi di essere finalmente se stessi.

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“Hold your own” (resta te stesso/a) è il famoso motto di Kate Tempest diventato poema e discorso pubblico in Inghilterra di fronte a centinaia di migliaia di persone.«E Wasted è agli albori di questa consapevolezza, è il passo indietro disperato per caricare l’impeto della rincorsa. Questa è un’opera concepita in una lingua proteiforme che è poesia, flussi di coscienza, musica e squarci di minuta quotidianità insieme. Un coro d’ispirazione antica, interpretato dagli stessi personaggi, ci restituisce l’umanità rarefatta che l’espressione “Wasted” – polisemica e intraducibile – contiene. Persi e consumati, i protagonisti di questa storia ci trascinano in quella “Waste Land” che è diventata la nostra vita, un deserto dove mai abbastanza giovani e mai abbastanza vecchi, sembriamo destinati a non essere mai all’altezza. Eppure, sprecati e soli ci ostiniamo nel tentativo di vivere il primo giorno del resto della nostra vita.»

Giorgina Pi

Giorgina PiÈ un’artista nata e cresciuta a Roma. Laureata al Dams, studia regia e drammaturgia a Parigi. Autrice di saggi e articoli, coniuga fin da principio il lavoro in teatro con la ricerca sul contemporaneo e la comparatistica delle arti. Regista, attivista, videomaker, femminista, fa parte del collettivo artistico Angelo Mai – spazio indipendente per le arti di Roma (Premio Franco Quadri 2016). Con il gruppo Bluemotion realizza spettacoli e immagina ambientazioni, in una ricerca che coniuga arti della scena, ricerca visuale e musica. Ha collaborato con vari artisti tra cui Motus, Fanny & Alexander, Balletto Civile. Negli ultimi anni sta lavorando intorno ai testi di una delle più importanti autrici della drammaturgia mondiale, l’inglese Caryl Churchill, attraverso mise en espaces, traduzioni, radiodrammi e soprattutto direzione di spettacoli. (e tu sei solo una cosa che capita come un elefante o un narciso) è un progetto di Bluemotion attorno al distacco dall’esistenza materica, al fine vita, alla compassione di chi resta.

BluemotionÈ una formazione nata a Roma all’interno dell’esperienza artistica e politica dell’Angelo Mai.Performer, registi, musicisti e artisti visivi si uniscono per creare a partire dalle proprie suggestioni, confrontando i propri sguardi sul presente e sull’arte. Le opere di Bluemotion sono sempre creazioni collettive, risultato dello scambio e delle visioni dei membri del gruppo. Bluemotion crea, vive e condivide nello spazio indipendente per le arti Angelo Mai. Gli artisti di Bluemotion sono anche attivisti nel campo dei diritti umani e dei diritti dei lavoratori dello spettacolo e per questo più volte hanno subito accuse e processi che tentavano di tradurre il loro impegno civile in atti criminosi. Puntualmente scagionati da ogni accusa e tentativo di limitazione della loro libertà continuano a partecipare alle decennali attività dell’Angelo Mai. L’Angelo Mai riceve il prestigioso premio Ubu Franco Quadri 2016.Dal 2015 Bluemotion è impegnata nella diffusione in Italia dell’opera della drammaturga inglese Caryl Churchill, attraverso la partecipazione al progetto teatrale ed editoriale Non Normale, Non Rassicurante. Progetto Caryl Churchill. Regie, traduzioni, saggi, radiodrammi a cura del gruppo hanno riscosso molto interesse e Settimo Cielo, coprodotto dall’Angelo Mai con il Teatro di Roma, è stato candidato a due premi Ubu (Miglior testo straniero e Miglior ambiente sonoro 2018).

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8 marzo ore 22.309 marzo ore 19.0010 marzo ore 18.00 Teatro Arena del Sole, Bologna

Kepler-452F. Perdere le cose

scritto da Kepler-452 (Aiello, Baraldi, Borghesi) regia Nicola Borghesi dramaturg Enrico Baraldi in scena Paola Aiello, Nicola Borghesi e, da qualche parte, F.luci Vincent Longuemare spazio Vincent Longuemare e Letizia Caloricostumi Letizia Calorivideo Chiara Caliòmusiche Bebo Guidettisuono Alberto Irreracoordinamento Michela Buscemaproduzione Emilia Romagna Teatro Fondazione

durata 1 ora e 30 minuti prima assoluta

Dopo la positiva esperienza dello spettacolo Il giardino dei ciliegi – Trent’anni di felicità in comodato d’uso, si rinnova la collaborazione tra ERT Fondazione e la compagnia Kepler-452 per la nuova produzione F. Perdere le cose.

«F. non può entrare in scena con noi, ma è il protagonista dello spettacolo, il centro del dramma. F. lo abbiamo conosciuto un giorno che ci ha avvicinato e ci ha detto: io sono io. Da quel giorno abbiamo cominciato a provare insieme uno spettacolo che parlasse di lui, della sua storia, di chi è, del perché lui è lui. Insieme abbiamo ricordato, siamo incappati in buchi neri, pezzi rimossi, strappati, aperture vertiginose sull’abisso. Da quel giorno i confini dello spazio teatrale non sono stati più gli stessi.Ci sono delle leggi per le quali F. è tenuto lontano dal palcoscenico e noi non possiamo farci niente. Tutto ciò che possiamo fare è trascorrere del tempo con lui, ascoltare, costruire, lasciarci andare all’incontro e tentare poi di raccontare che cosa significhi per noi la sua assenza. Proprio perché non è da nessuna parte F. è ovunque. Siamo quindi di fronte ad un’assenza enormemente ingombrante, che non potevamo non portare in scena.Abbiamo quindi cominciato a domandarci: come si porta in scena un assente? Perché F. ci è tenuto lontano? Cosa dobbiamo temere da lui? È pericoloso? Come può entrare in scena senza salire sul palco? Che cosa, di lui, ci riguarda?F. è uno spettacolo che parla della ostinata volontà di incontrare qualcuno che è difficilissimo incontrare, di un enorme smarrimento, del confine tra palco e platea, tra ciò che è legale e ciò che non lo è.F. è, dopo Il giardino dei ciliegi – Trent’anni di felicità in comodato d’uso, una seconda foto sfocata scattata lungo la Via Emilia.F. è la domanda difficilissima: cosa è giusto fare in questo momento?F. è soprattutto F.»

Kepler-452

Kepler-452Che cos'è Kepler-452? A cosa serve?Kepler-452b è il pianeta più simile alla Terra che sia mai stato scoperto. Kepler-452 è una stella molto simile al Sole. Kepler è il telescopio che ha scoperto tutto questo.Kepler-452 è uno strumento per guardare mondi possibili e abitabili, ma molto lontani.Kepler-452 nasce nel 2015 a Bologna dall’incontro tra Nicola Borghesi, Enrico Baraldi e Paola Aiello. Il lavoro della compagnia si incardina su due assi principali: da una parte l’urgenza di rivolgersi ad un

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pubblico preciso (quello poco incline a entrare nelle sale teatrali), realizzando spettacoli e organizzando festival, rassegne, laboratori, travasi di pubblico dal mondo della musica indie rock; dall’altra indagare e mettere in scena le vite e le biografie di non professionisti (o “experts of everyday life”, come li definiscono i Rimini Protokoll), magnificandone le identità sulla scena.Kepler-452 ha fondato e organizza Festival 20 30, che dal 2014 ha coinvolto, attraverso spettacoli e laboratori, centinaia di giovani bolognesi, nell’ambito della stagione dell’Oratorio di San Filippo Neri curata dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e Mismaonda.La prima produzione di Kepler-452 è La rivoluzione è facile se sai COME farla, nata in collaborazione con Lo Stato Sociale, nota band dell’indie rock italiano. Lo spettacolo tocca nel 2016, a pochi mesi dal debutto, più di 25 piazze in Italia, quasi tutte sold out, muovendosi tra teatri e club musicali e con un pubblico spesso assente dalle sale teatrali, quello degli under 30. Tra il 2015 e il 2017 produce due format di teatro partecipato: La rivoluzione è facile se sai CON CHI farla, in cui si tenta di raccontare prospettive rivoluzionarie contemporanee attraverso i corpi e le voci di rivoluzionari incontrati nel corso delle ricerche, e Comizi d’amore, progetto che indaga luoghi e identità di non professionisti attraverso le domande dell’omonimo documentario di Pasolini. I due format sono stati replicati in diverse forme e contesti: Bè-Bologna Estate, Teatro Pedrazzoli, Accademia Perduta-Romagna Teatri, Dominio Pubblico, Agorà-Liberty Associazione, Teatro Laura Betti. Nelle estati 2016 e 2017 realizza per Ravenna Festival L’inferno dei viventi, un progetto laboratoriale per attori e scenografi alla ricerca degli inferni personali dei partecipanti e di quelli collettivi. Nel 2017 si occupa della produzione e organizzazione della mostra “Causerie” del collettivo artistico Calori&Maillard, in collaborazione con Arte Fiera e il MAMBO di Bologna. Nel 2017 produce, sempre nell’ambito di Festival 20 30, Lapsus urbano-Rimozione forzata, un percorso audioguidato che indaga il panorama urbano della periferia bolognese, e Manifesto, spettacolo che coinvolge in scena alcuni partecipanti a gruppi di visione e direzione artistica di festival under 30 da tutta Italia, interrogandosi sul senso e le ragioni del proprio impegno teatrale.A marzo 2018 debutta presso la Sala Thierry Salmon dell’Arena del Sole di Bologna lo spettacolo Il giardino dei ciliegi. Trent’anni di felicità in comodato d’uso in cui l’opera di Čechov si mescola alla storia vera di una famiglia di sgomberati (una produzione di ERT Fondazione).Ad aprile 2018 va in scena, sempre per Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, lo spettacolo Sotto i sampietrini c’è la spiaggia, un’indagine teatrale sull’eredità del movimento del ’68 cinquant’anni dopo, e sul senso oggi della parola utopia nell’immaginario dei giovani.A luglio 2018 la compagnia mette in scena, all’interno della rassegna organizzata dall’Associazione Parenti delle Vittime della Strage di Ustica, È assurdo pensare che gli aerei volino, uno spettacolo che tenta di ricostruire alcune identità degli ottantuno passeggeri del volo Itavia attraverso interviste e immagini.A settembre 2018 produce, nell’ambito di Bologna Estate 2018, Lapsus urbano // Dissenso Unico, percorso audio guidato a piedi attraverso la zona universitaria di Bologna.A dicembre 2018 va in scena lo spettacolo La grande età, realizzato per la stagione teatrale Agorà e che ha coinvolto i Centri sociali anziani di oltre dieci comuni della Unione Reno Galliera.La compagnia vince a dicembre 2018 il Premio Rete Critica come Miglior spettacolo / Migliore compagnia per Il giardino dei ciliegi-Trent’anni di felicità in comodato d’uso.Hanno collaborato con Kepler-452: Lodovico Guenzi, Michela Buscema, Alberto Guidetti, Letizia Calori, Vincent Longuemare, Chiara Caliò, il gruppo Avanguardie 20 30, Tiziano Panici, Riccardo Tabilio, Luigi Greco, Livio Remuzzi, Giuseppe Attanasio, Lo Stato Sociale, Annalisa e Giuliano Bianchi.

Presentazione del testo F. Perdere le cose, pubblicato nella collana Linea di ERT e Luca Sossella editoreGiovedì 7 marzo ore 18.30, BolognaLibreria Ubik Irnerio, via Irnerio 27con Kepler-452ingresso libero

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Fanny & AlexanderSe questo è LeviPerformance / reading itinerante sull’opera di Primo Levi

con Andrea Argentieri a cura di Luigi De Angelis/Fanny & Alexander produzione E / Fanny & Alexander

9 marzo ore 15.00 e 16.30 Liceo Fanti, Carpiparte 2. Il sistema periodico

durata 50 minutiprenotazione obbligatoria

si ringrazia il Liceo Scientifico Statale “Manfredo Fanti” di Carpi per la preziosa ospitalità

10 marzo ore 16.00Palazzo Foresti, Carpi (MO)parte 1. Se questo è un uomoparte 2. Il sistema periodicoparte 3. I sommersi e i salvati

durata 2 ore e 30 minuti prenotazione obbligatoria

si ringrazia per la preziosa collaborazione

A partire dai documenti audio e video delle teche Rai, l’attore Andrea Argentieri veste i panni dello scrittore Primo Levi, assumendone la voce, le gestualità, le posture, i toni, i discorsi in prima persona. È un incontro a tu per tu, in cui lo scrittore, attraverso il vincolo di verità che lo ha ispirato, restituisce la sua esperienza nei lager con una tecnica di testimonianza lucidissima, di scrematura della memoria e con la trasparenza di uno sguardo capace di esprimere l’indicibile a iniziare dal perimetro apparentemente sereno della ragione.Tre sono i luoghi in cui incontrare lo scrittore, ognuno di questi luoghi esprime una domanda diversa in relazione a tre differenti opere di Levi: Se questo è un uomo, Il sistema periodico, I sommersi e i salvati. Il rapporto più intimo tra Levi e la scrittura, la necessità vitale della testimonianza, il rapporto col padre e la famiglia, la sua appartenenza alla cultura ebraica; la relazione di una vita tra chimica e scrittura, la dignità del lavoro e la funzione comunitaria della letteratura, la necessità pubblica di un racconto che possegga la trasparenza scientifica di un processo chimico; il tema del giudizio, l’interrogazione sulla necessità della sospensione dell’odio a favore di una curiosità analitica entomologica.Grazie alla tecnica del remote acting, dell’eterodirezione, Andrea Argentieri compone un ritratto dello scrittore che si basa sulla vertigine di una domanda: quanto questa testimonianza è ancora urticante e capace di parlarci tramite la sensibilità di un attore che si lascia attraversare dai materiali originali a noi rimasti di quello scrittore? Può l’epifania di una voce, di un corpo-anima, imprimendosi nel corpo di un attore molto più giovane del modello-impronta che persegue, far sgorgare in maniera ancora più cogente la potenza e la necessità della sua testimonianza?Se questo è Levi è un ritratto d’attore. È il tentativo di concretizzare l’esperienza del resoconto, a tu per tu con lo scrittore.

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Fanny & Alexander È una bottega d’arte fondata a Ravenna nel 1992 da Luigi De Angelis e Chiara Lagani. Si uniscono stabilmente nel 1997 Marco Cavalcoli, attore e nel 2002 Marco Molduzzi, organizzatore.La compagnia, nell’arco di venticinque anni di attività, ha realizzato oltre una settantina di eventi, tra spettacoli teatrali e musicali, produzioni video e cinematografiche, installazioni, azioni performative, mostre fotografiche, convegni e seminari di studi, festival e rassegne.Tra i suoi lavori si ricordano il ciclo dedicato al romanzo di Nabokov Ada o ardore e vincitore di due premi Ubu; il progetto pluriennale dedicato a Il Mago di Oz (2007-2010) e l’affondo dedicato alla retorica pubblica con le serie dei Discorsi per indagare il rapporto tra singolo e comunità. Nel 2015 Fanny & Alexander cura regia, allestimento e costumi dell’opera Die Zauberflöte – Il flauto magico di W.A. Mozart su commissione del Teatro Comunale di Bologna. Tra gli ultimi lavori To be or not to be Roger Bernat, spettacolo che anticipa il futuro progetto sull’Amleto.Luigi De Angelis nel 2017 cura ideazione, regia, scene e luci di Serge, opera di teatro musicale dedicata alla figura di Sergej Djagilev che ha debuttato a marzo 2017 in Belgio e presentata a RomaEuropa Festival nel novembre 2018, con l’interpretazione di Marco Cavalcoli e di Solistenensemble Kaleidoskop di Berlino. Ancora nel 2017, Luigi De Angelis ha curato regia, scene e luci de L’Orfeo di Monteverdi per il progetto Jongerenopera prodotto da Muziektheater Transparant a De Singel, Belgio.Nel 2018 debutta I libri di Oz, conferenza spettacolo tratta dalla omonima pubblicazione uscita nel 2017 per I Millenni di Einaudi che Chiara Lagani ha tradotto e curato a partire dai testi originali e inediti in Italia di Frank Lyman Baum.Nei suoi oltre venticinque anni di vita, Fanny & Alexander ha ricevuto importanti riconoscimenti tra cui: Premio Giuseppe Bartolucci 1997, Premio Coppola Prati 1997, Premio speciale Ubu 2000, Premio di Produzione TTV 2002, Premio Lo Straniero 2002, Premio Speciale 36mo Festival BITEF di Belgrado 2002, Premio Sfera Opera di Ricerca Cortopotere Anno Tre 2003, Premio Speciale Ubu 2005, Premio dello Spettatore 2010/11 Teatri di Vita. Nel 2017, inoltre, la drammaturga Chiara Lagani si è aggiudicata il Premio Speciale dedicato all’Innovazione Drammaturgica assegnato nell’ambito del Premio Riccione.Dal 2012 Fanny & Alexander, insieme a gruppo nanou e Menoventi, fa parte della E, cooperativa di artisti e organizzatori che cura la gestione di progetti e creazioni.

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9 marzo ore 19.0010 marzo ore 16.00Teatro Dadà, Castelfranco Emilia (MO)

Compagnia Scimone SframeliSei

di Spiro Scimone (adattamento dei Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello) con Francesco Sframeli, Spiro Scimone, Gianluca Cesale, Giulia Weber, Bruno Ricci, Francesco Natoli, Mariasilvia Greco, Michelangelo Maria Zanghì, Miriam Russo, Zoe Perniciregia Francesco Sframeli scena Lino Fiorito costumi Sandra Cardini disegno luci Beatrice Ficalbi musiche Roberto Pelosi regista assistente Roberto Bonaventura foto di scena Gianni Fiorito direttore di scena Santo Pinizzotto assistente ai costumi Carolina Tonini amministrazione Giovanni Scimone produzione Compagnia Scimone Sframeli, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Teatro Biondo Stabile di Palermo, Théâtre Garonne-scène européenne Toulousein collaborazione con Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia

durata 1 ora e 10 minuti

Sei è la riscrittura di Spiro Scimone de Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello. In scena con Francesco Sframeli e una compagnia di attori, i due artisti siciliani ci restituiscono il testo dell’autore siciliano rendendolo più che mai attuale.

«L’adattamento dal titolo Sei, tratto dall’opera teatrale Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello nasce dal bisogno di mettere insieme il nostro linguaggio teatrale con la lingua del grande maestro. Durante il lavoro di elaborazione, abbiamo ridotto il numero dei personaggi, eliminato o aggiunto scene e dialoghi, sostituito qualche termine linguistico, ma senza stravolgere la struttura drammaturgica dell’opera originale.Siamo in un teatro, una Compagnia formata da due attori, due attrici e il capocomico, sta per iniziare la prova di uno spettacolo teatrale che, forse, non debutterà mai. Prima dell’inizio della prova, improvvisamente, un corto circuito, lascia al buio tutto il teatro. Per riaccendere la luce, uno degli attori va alla ricerca del tecnico, andato via dal teatro poco prima dell’inizio della prova. Ma il tecnico è introvabile e la luce arriverà solo con l’apparizione, in carne ed ossa, dei Sei Personaggi, rifiutati e abbandonati dall’autore che li ha creati. Sono proprio Il Padre, La Madre, La Figliastra, Il Figlio, Il Ragazzo e La Bambina che illuminano il teatro, con la speranza di poter vivere sulla scena il loro “dramma doloroso”.I componenti della compagnia, sconvolti da questa improvvisa apparizione, pensano che i “Sei” siano solo degli intrusi o dei pazzi e fanno di tutto per cacciarli via dal teatro. Ma, quando il Padre, inizia il racconto del “dramma doloroso” che continua a provocare sofferenze, tensioni e conflitti familiari; l’attenzione e l’interesse da parte degli attori e del Capocomico, verso i personaggi, cresce sempre di più e l’idea di farli vivere sulla scena diventa sempre più concreta e necessaria.Vivere in scena non è solo il desiderio dei personaggi; è anche il sogno degli attori. Entrambi, sanno che la loro vita in scena può nascere solo attraverso la creazione di un rapporto, attori /personaggi, di perfetta simbiosi. Un rapporto che si crea, di volta in volta, di attimo in attimo, durante la rappresentazione.Nella rappresentazione è indispensabile la presenza dello spettatore.Ed è proprio l’autenticità del rapporto, attore, personaggio, spettatore la vera magia del teatro, che ci fa andare oltre la finzione e la realtà».

Spiro Scimone e Francesco Sframeli

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Compagnia Scimone SframeliLa Compagnia Scimone Sframeli nasce nel 1994 grazie alla collaborazione artistica tra Spiro Scimone e Francesco Sframeli. In quell’anno, i due attori, spinti dalla necessità di ricercare nuovi linguaggi, mettono in scena l’opera prima Nunzio scritta da Scimone, in lingua messinese. L’opera (premio Istituto Dramma Italiano “Autori Nuovi” 1994 e Medaglia d’oro per la drammaturgia 1995), si rivela tappa fondamentale del loro percorso artistico, grazie all’incontro con una delle figure più eminenti ed autorevoli del teatro internazionale: Carlo Cecchi, che cura la regia della spettacolo che debutta al Festival di “Taormina Arte”.Nel 1997 Scimone scrive Bar interpretato insieme a Sframeli. Nello stesso anno vincono il Premio UBU, rispettivamente come “Nuovo Autore” e “Nuovo Attore” e nel 1999 i due attori interpretano La festa di Scimone.Tale opera nel 2007 viene messa in scena dalla Comédie Francaise di Parigi. Nel 2003 la compagnia co-produce con il Festival d’Automne à Paris, il Kunsten Festival des Arts di Bruxelles, il Théâtre Garonne de Toulouse e le Orestiadi di Gibellina, lo spettacolo Il cortile di Scimone (premio Ubu 2004 nuovo testo italiano).Nel 2006 Scimone scrive La busta e nel 2009 Pali (premio Ubu 2009 nuovo testo italiano) messi in scena con la regia di Sframeli, in coproduzione con l’Espace Malraux, Scène Nationale de Chambéry e Asti Teatro.Nel 2012 debutta Giù di Scimone, con la regia di Sframeli. Lo spettacolo (premio Ubu 2012 miglior scenografia) è co-prodotto con il Festival delle Colline Torinesi e il Théâtre Garonne de Toulouse. Nel 2015 Scimone e Sframeli interpretano insieme a Cesale e Giulia Weber lo spettacolo Amore (Premio Ubu 2016 Migliore novità o progetto drammaturgico e migliore allestimento scenico) scritto da Scimone e diretto da Sframeli. Nel 2018 la compagnia produce con il Teatro Nazionale Stabile di Torino il Teatro Stabile Biondo di Palermo e il Théâtre Garonne de Toulouse, lo spettacolo Sei di Spiro Scimone (riscrittura dei Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello) che debutta al Napoli Teatro Festival con la regia di Francesco Sframeli. Gli spettacoli della compagnia sono stati rappresentati in Inghilterra, Francia, Germania, Belgio, Spagna, Canada, Argentina, Portogallo, Olanda, Croazia, Grecia, Svezia e nei festival europei più prestigiosi, tra i quali il Festival d’Automne à Paris, il Kunsten Festival des Arts di Bruxelles, il Festival de Otoño a Madrid, Il Festival internazionale di Rotterdam, il Festival de Almada - Portogallo, Il Festival Inernacional de Teatro Mercosur Cordoba, Zagreb Festival. I testi sono tradotti in francese, inglese, tedesco, greco, spagnolo, portoghese, norvegese, croato, sloveno, danese e messi in scena in Francia, Germania, Portogallo, Spagna, Scozia, Grecia, Croazia, Slovenia, Svizzera, Belgio, Norvegia, Danimarca, Brasile, Cile, Venezuela. Sono anche pubblicati in Italia dalla Ubulibri, in Francia dall’Arche tradotti da Jean Paul Manganaro, in Spagna dal Teatro del Astillero, in Portogallo da Artistas Unidos. Scimone e Sframeli hanno diretto e interpretato il film Due amici (tratto dall’opera teatrale Nunzio) vincitore del Leone d‘oro come miglior opera prima alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2002 e candidato come miglior opera prima 2002 al Premio David di Donatello, Nastri d’argento, European film awards (Oscar europeo).Spiro Scimone e Francesco Sframeli hanno tenuto laboratori teatrali, incontri e lezioni di drammaturgia presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, la Sorbonne Nouvelle di Parigi, Università di Strasburgo, DAMS di Bologna, Università di Roma, di Messina, di Forlì, Scuola Holden di Torino, Scuola Nazionale di Drammaturgia di Gioia dei Marsi, Civica Scuola d’Arte Drammatica “Paolo Grassi” di Milano, Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” Roma, Napoli Teatro Festival.

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9 marzo ore 21.0010 marzo ore 19.30Teatro Storchi, Modena

Dimitris Kourtakis Failing to Levitate in My Studio

ideazione, regia, scene Dimitris Kourtakis drammaturgia Dimitris Kourtakis, Eleni Papazoglou, Anastasia Tzellou video Jérémie Bernaert musica Dimitris Kamarotos disegno luci Scott Bolman collaborazione artistica Efi Birbaassistente alla regia Natasha Triantafylli assistente al progetto Vassia Liriingegnere video Nikos Iliopoulosassistente al disegno luci Evina Vassilakopoulouresponsabile di produzione Dinos Nikolaoucostruzione scena Lazaridis Scenic Studiocostruzione in gesso del progetto Freddy Gizasinterpretazione Aris Servetalis 

durata 1 ora e 10 minuti prima nazionale spettacolo in greco con sovratitoli in italiano

Lo spettacolo Failing to Levitate in My Studio è stato realizzato con il contributo del Ministero della Cultura e dello Sport della Grecia

coprodotto da

Failing to Levitate in My Studio ha impressionato pubblico e critica al suo debutto al Festival di Atene ed Epidauro.Ispirandosi ai testi di Samuel Beckett, che esplorano l’incapacità dell’uomo di definire un Sé, il regista Dimitris Kourtakis ha creato una performance multimediale, in collaborazione con un gruppo di artisti riconosciuti a livello internazionale. Spicca l’interpretazione di Aris Servetalis, considerato uno degli attori greci più talentuosi, che lavora in cinema e in teatro diretto da maestri quali Dimitris Papaioannou e Yorgos Lanthimos.Chiuso nel suo studio e distaccato dal mondo, un performer usa il suo corpo come materia e come campo sperimentale, fino alla dissoluzione irreversibile del Sé e fino all’esaurimento delle parole, in uno spazio che tenta costantemente e invano di abitare.Lo spazio scenico: una struttura a due piani chiusa, dentro cui il performer filma se stesso e lo spazio come un altro Krapp. Lo spazio interno e il sé sono restituiti, in un riflesso inesauribile, come immagini che vengono filmate e proiettate in tempo reale sulle superfici esterne della struttura. La proiezione rende sia lo spazio che il se stesso intangibili, spettrali.La proliferazione di queste immagini rende teatralmente presenti gli elementi fondanti dell’universo beckettiano: persona, spazio/corpo e tempo. Fino a quando vengono negati.Osservando le azioni del personaggio attraverso le aperture e le proiezioni sui muri, gli spettatori sono invitati a prendere parte a una visione clandestina e in fin dei conti illusoria. Diventa presto chiaro che performer e spettatori condividono la stessa condizione: chiusi in una seconda anticamera, una stanza di vana attesa, diventano soggetti di osservazione e oggetti scrutati dai propri spettri, e quindi da un’assenza.

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Lo spettacolo si ispira a brani in prosa di Samuel Beckett e si avvale di artisti visivi come Bruce Nauman, Vito Acconci, Terry Fox, Absalon, Joseph Beuys, Gordon Matta-Clark, Rachel Whiteread e altri artisti che, a volte deliberatamente, a volte inconsciamente, si riferiscono all’universo beckettiano, esplorando attraverso il loro lavoro i limiti del sé, dello spazio e del linguaggio.

Dimitris KourtakisNato ad Atene nel 1972. Dopo aver studiato musica presso l’Ecole Normale de Musique di Parigi, diventa regista teatrale, mettendo in scena Roland Schimmelpfennig’s Arabian Night per Notos Theatre e Kafeneion (una sintesi di testi antichi) per il Festival di Atene.Studia sotto la guida di Krystian Lupa (Losanna, Strasburgo) e lavora con Dimiter Gotscheff, dirigendo il coro in Persians (Festival di Epidauro), e con Roula Pateraki. Scrive anche musica per alcune produzioni di danza e teatro e collabora, tra le varie istituzioni, con il Teatro di Danza del Teatro Nazionale della Grecia del Nord, con il Heidelberg Theatre, con l’International Theatre Institute (ITI) e il Volksbühne a Berlino.I suoi lavori sono stati messi in scena in festival internazionali, tra cui la Biennale di Danza a Lione, in Francia, in Brasile, a Singapore, in Germania, in Italia, in Portogallo e in Israele.Vive e lavora spostandosi tra Parigi e Atene.

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9 marzo ore 21.3010 marzo ore 15.30Teatro Arena del Sole, Bologna

Falk RichterI am Europe

testo e messinscena Falk Richter traduzione francese Anne Monfort con Lana Baric, Charline Ben Larbi, Gabriel Da Costa, Mehdi Djaadi, Khadija El Kharraz Alami, Douglas Grauwels, Piersten Leirom, Tatjana Pessoa coreografia Nir de Volff drammaturgia Nils Haarmann scenografia e costumi Katrin Hoffmann musica Matthias Grübel video Aliocha Van der Avoort luci Philippe Berthomé assistente alla messinscena Christèle Ortu assistente alla scenografia e ai costumi Emilie Cognardassistente alla messinscena in stage Barthélémy Fortierproduzione Théâtre National de Strasbourg in coproduzione con Odéon – Théâtre de l’Europe Comédie de Genève, Thalia Theater – Hambourg, Noord Nederlands Toneel (NNT) – Groningen, HNK – Croatian National Theatre in Zagreb, Théâtre de Liège et DC&J Créations, Dramaten – The Royal Dramatic Theatre of Sweden, Stockholm - Emilia Romagna Teatro Fondazionecon il sostegno di Goethe Institut Nancy/Strasbourg nell’ambito del progetto Freiraum, Tax Shelter del Governo Federale del Belgio e di Inver Tax ShelterIl progetto è sostenuto dall’Istituto Francese nell’ambito del programma “Théâtre Export”

Le decorazioni e i costumi sono stati realizzati nei laboratori del TNS Falk Richter è un artista associato del TNS

durata 2 oreprima nazionalespettacolo in francese e altre lingue sovratitolato in italiano

Dopo il successo di Je suis Fassbinder, l’autore-regista Falk Richter è chiamato a dirigere il coreografo Nir de Volff, il drammaturgo Nils Haarmann e un gruppo composto da otto giovani attori, danzatori e performer provenienti da diversi paesi europei.Insieme si interrogheranno sul concetto di identità. Come punto di partenza le storie, le passioni, le biografie degli artisti stessi e la lingua di ciascuno di loro. Singolarmente e collettivamente, danno forma a uno spettro complesso, volontariamente aperto, per cercare una risposta al significato di identità e comunità nell’Europa di oggi.A cosa potrebbe somigliare una famiglia nel mondo attuale? Qual è l’importanza di concetti come identità, origini, patria e casa in un’Europa che, già in precedenza nel corso della sua storia, ha pacificamente superato frontiere linguistiche e nazionali, ma continua ad essere minacciata dalla paura, dalle crisi e che rischia di ricadere nel nazionalismo e nel populismo di destra? Di quali relazioni, di quali legami siamo fatti? A quali comunità abbiamo la sensazione di appartenere, in quale tipo di comunità vorremmo vivere insieme?

«Formerò un gruppo di attori, danzatori e performer, tutti tra i 20 e i 35 anni, provenienti da diversi paesi europei. Alcuni vivono in Europa ma hanno un’eredità extra-europea: loro stessi o i genitori provengono da vecchie colonie di paesi occidentali e hanno una prospettiva diversa nei confronti dell’Europa attuale. Lavoreremo prima con venticinque artisti. Tutti avranno identità complesse, storie di famiglia e di origini che superano le consuetudini nazionali e culturali. Le lingue di lavoro saranno il francese e l’inglese. Potranno essercene altre, sia in prova che in scena. Per la rappresentazione, selezioneremo da sette a nove interpreti.

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Quali tracce ha lasciato nella vita di questi giovani performer la storia europea? In quali tipi di famiglia sono cresciuti? Qual è la loro idea di famiglia? Come si immaginano all’idea di abitare un’Europa minacciata dalla paura, dal populismo di destra, dove le democrazie sono sempre più consumate dall’odio e dalla demagogia? Come pensano sarà possibile vivere e affrontare insieme il futuro a venire? »

Falk Richter

Falk RichterFalk Richter, nato ad Amburgo nel 1969, è uno dei più importanti autori e registi contemporanei. Dal 1994 lavora per molti famosi teatri nazionali e internazionali, tra cui il Deutsches Schauspielhaus di Amburgo, il Schauspielhaus di Zurigo, il Schauspiel di Francoforte, la Schaubühne e il teatro Maxim Gorki di Berlino, l’Opera di Amburgo, l’Opera Nazionale di Oslo, il Toneelgroep di Amsterdam, il Teatro Nazionale di Bruxelles, il festival musicale Ruhrtriennale, il festival di Salisburgo e il festival di Avignone. Tra i suoi testi più noti, ricordiamo Dieu est un DJ, Electronic City, Sous la glace e Trust. Le sue opere teatrali, specchio di una scottante attualità, sono tradotte in più di trenta lingue e messe in scena in tutto il mondo. Negli ultimi anni ha sviluppato un numero sempre crescente di progetti indipendenti, basati sulle sue stesse opere, in collaborazione con una compagnia di attori, musicisti e ballerini. Con la coreografa Anouk van Dijk, ha dato vita a una serie di lavori che mescolano la danza al teatro e che fondano una nuova estetica, collegando in modo originale testo, musica e danza. Nothing hurts, Trust, Protect me, Ivresse e Complexity of belonging, le loro creazioni comuni, sono rappresentate in tutto il mondo e hanno riscontrato grande successo sulla scena internazionale.Nel 2013 ha vinto il premio Friedrich-Luft per lo spettacolo For the disconnected child, una miscela di musica, danza e teatro, concepito alla Schaubühne di Berlino in collaborazione con la Staatsoper im Schillertheater. Nel 2014, mette in scena molte delle sue opere: Small Town Boy al teatro Maxim Gorki di Berlino, ospitato al Teatro Nazionale di Strasburgo nel gennaio 2016; Complexity of Belonging con la compagnia ChunkyMove/Melbourne Theater Company al Melbourne Theatre Festival in Australia; Never forever in collaborazione con il coreografo Nir de Volff alla Schaubühne di Berlino e presentato nel 2015 alla Biennale di Venezia. Zwei uhr nachts è progettato allo Schauspiel di Francoforte, mentre nell’ottobre 2015 viene creato FEAR alla Schaubühne di Berlino.Falk Richter insegna regia in qualità di professore ospite nella scuola di arte drammatica Ernst Busch di Berlino. È inoltre artista associato ai progetti del Teatro Nazionale di Strasburgo da gennaio 2015.Le due classi della Scuola del Teatro Nazionale di Strasburgo hanno realizzato quattro versioni della sua opera Trust, presentate a Strasburgo nel dicembre 2015.Nel marzo 2016 Falk Richter realizza Je suis Fassbinder  in collaborazione con Stanislas Nordey, al Teatro Nazionale di Strasburgo. Nello stesso anno crea Città del Vaticano alla Schauspielhaus di Zurigo.

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9 marzo ore 22.3010 marzo ore 21.30Teatro delle Passioni, Modena

Violet Louise / Aglaia PappasStrange Tales

direzione, traduzione, musica, drammaturgia visiva e sonora Violet Louise performer Aglaia Pappas, Violet Louise sound design, studio produttivo Studio19 design luci Sakis Birbilis video Vasilis Kountouris (Studio 19) sound design Kostas Bokos (Studio 19) costumi Lilian Xydia camera Blaec Cinematography (Aris Pavlidis), Studio19 (Vasilis Kountouris) assistente alla regia Sevastianna Anagnostopoulouproduzione Athens and Epidaurus Festival 2018

durata 1 ora e 15 minutiprima nazionalespettacolo in greco con sovratitoli in italiano e in inglese

Violet Louise è regista, musicista, cantante e artista multimediale e in questo lavoro anche interprete accanto ad Aglaia Pappas, straordinaria attrice già incontrata nelle precedenti edizioni di VIE Festival, protagonista in Alarme e Amor, diretti da Theodoros Terzopoulos.La performance multimediale Strange Tales è basata sulle storie e sulle poesie di Edgar Allan Poe. In scena diversi dispositivi che producono suoni, luci e video, creano l’atmosfera di un laboratorio audiovisivo; le due artiste sul palco e i due ingegneri del suono lavorano insieme come un’orchestra multimediale.

Attraverso l’uso calcolato del linguaggio, Edgar Allan Poe indaga la natura della realtà e l’esistenza umana. Strange Tales è una storia sul mistero della vita e della morte. Una ragazza enigmatica visita una donna su una sedia a rotelle e trasforma la sua camera in un “laboratorio di memorie”. Con l’aiuto delle tecnologie visive e sonore, la ragazza si comporta come un’ipnotizzatrice. La donna inizia a richiamare il suo passato. Viaggiando indietro nel tempo, si prepara per il suo ultimo viaggio verso la luce della vita eterna.Poe riteneva ci fosse una connessione fra musica e letteratura. Ha eseguito sperimentazioni con il suono e il ritmo, usando tecniche come la ripetizione, il parallelismo, la rima interna, l’allitterazione. Nel suo saggio, “The Poetic Principle”, scrive: «E quindi non ci può essere alcun dubbio che nell’unione della poesia con la musica, nel suo senso popolare, troveremo spazio per lo sviluppo poetico nel suo senso più ampio».

Violet LouiseViolet Louise (Louiza Kostoula), è una regista teatrale, musicista, cantante e artista greca la cui ricerca verte sulla narrazione multimediale. Musica elettronica e suono sono i punti di partenza delle sue creazioni; lavora in modo organico su ogni singola parte dei suoi progetti (musica, suono, grafica, testo, scenografia).Costruisce dal vivo gli ambienti, producendo paesaggi sonori attraverso la narrazione, strumenti musicali, dispositivi midi, telecamere e video. Esamina il comportamento umano, le teorie dell'evoluzione, la famiglia e i problemi sociali osservandoli attraverso una lente d'ingrandimento. Le sue performance sono storie multimediali di vita quotidiana.Violet Louise ha studiato pianoforte classico e armonia al Conservatorio nazionale di Atene e ha conseguito il diploma in Performing arts. Ha lavorato come performer e musicista al National Theatre of Greece, all'Experimental Stage of National Theatre, al Festival d'Atene; ha collaborato con importanti registi greci e partecipato a festival musicali e teatrali in Grecia. Compone anche musica per il teatro.Il suo lavoro è stato presentato al Festival di Atene e Epidauro, che l’ha anche prodotto, al Museo Archeologico di Olimpia nel quadro degli eventi per la Cerimonia dell’accensione della Torcia Olimpica, alla Fondazione Michael Cacoyiannis (Theatres, Oliver Py), al French Institute di Atene (con Valere Novarina).

Page 38: 1 marzo ore 19  · Web view2019-02-18 · In scena un tavolo, centro della vita di un uomo comune che non accetta la sua mediocrità, e per questo si rifugia nella scrittura della

Aglaia PappasInterprete dalla rara intensità, potenza e finezza intellettuale, Aglaia Pappas testimonia con il suo percorso attoriale il rigore profondo della sua arte scenica, sempre aperta a esplorare nuove strade che l'hanno portata a lavorare nei più importanti teatri europei. È sia laureata alla National Theatre Drama School di Atene che, in lingua e letteratura francese, alla Aristotelian University di Salonicco. Nella sua carriera ha affrontato drammaturgie diverse, spaziando su più scritture della contemporaneità, come Il malinteso di Camus, Crave di Kane, Molly Bloom di Joyce (Premio del Grotowski Institute e Premio del Greek Critics Committee), ma lunga è la sua consuetudine con il linguaggio tragico. Ha recitato in Andromaca di Euripide diretta da Jacques Lassalle per il Festival d’Avignon, nell'Orestea e nelle Le supplici di Eschilo (qui diretta da Koek e Marmarinos per Epidaurus Festival e Veenfabrik). Importante la sua collaborazione con Theodoros Terzopoulos: per gli spettacoli Alarme, composizione scenica basata sulla corrispondenza tra la Regina Maria di Scozia e la Regina Elisabetta I, Amor, basato su un testo di Alevras. È stata la voce narrante in francese delle Cerimonie di aperture e chiusura dei Giochi Olimpici di Atene del 2004.