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La filosofia Moderna da metodo a sistema

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La filosofia Moderna

da metodo a sistema

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INTRODUZIONE

Se ogni teoria è uno sguardo sulla realtà occorre cercare di capire in quale comune direzione hanno diretto l’indagine su problemi e questioni nell’epoca moderna.

I tre filosofi, Giorgione di Castelfranco:

lo sguardo della filosofia moderna si dirige alla natura in modo originale, utilizza strumenti diversi e nuovi (matematizzazione), con riferimento costante all’esperienza sensibile e al rigore delle dimostrazioni

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PRECONDIZIONI: RINASCIMENTO E RIVOLUZIONE SCIENTIFICA

Modernità: epoca compresa tra Rinascimento e Rivoluzioni francese e industriale.

Epoca in cui forte è la consapevolezza della novità: scoperta dell’America, Riforma protestante, Umanesimo e Rivoluzione scientifica.

Si trasformano radicalmente i rapporti tra conoscenza, ricerca e realtà naturale.

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MODERNITA’ DEGLI ANTICHIRinascimento: contrapposizione al recente passato (Medioevo) e richiamo all’antichità come epoca perfetta, fonte di ogni valore.Filologia: ricerca, trascrizione e pubblicazione dei codici antichi.Rinnovamento degli studi aristotelici (Padova) e della lettura delle opere dello Stagirita.Riscoperta di Platone attraverso Marsiglio Ficino (1433-1499).Nuova modalità di lettura degli antichi: l’antichità ha generato una cultura diversa e irriducibile verso cui si prova grande ammirazione (fine della lettura allegorico-teologica)

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DIGNITA’ DELL’UOMO

De hominis dignitate, Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494).

La dignità dell’uomo risiede nalla sua intrinseca progettualità, egli può diventare tutto. La sua libertà si caratterizza per il fare e l’operare: l’antropocentrismo si laicizza poiché l’uomo persegue l’autonomo valore delle proprie attività.

La volontà diviene facoltà centrale ed esaltata come forza, energia, impulso ad operare nel mondo: Prometeo diviene il simbolo dell’uomo moderno che va elaborando la sua supremazia sulla natura e sulle cose.

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NUOVA VISIONE DELLA NATURA

Cresce l’interesse per i fenomeni naturali, per il controllo del mondo circostante, per la tecnica e le sue esigenze.

Tendenza a matematizzare il cosmo (platonismo), rivendicazione dell’autonomia della ricerca filosofica dalla religione, osservazione empirica sempre più valorizzata (aristotelismo padovano), visione pragmatica della conoscenza naturale: ne deriva una nuova idea della natura.

De rerum natura iuxta propria principia, Telesio 1509-1588): essa deve essere studiata facendo riferimento ai principi in esse presenti come appaiono all’osservazione empirica.

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RIVOLUZIONE ASTRONOMICANell’astronomia si sancisce l’affermazione della modernità: ribaltamento del sistema tolemaico attraverso la rivoluzione astronomica che diviene il primo passo della rivoluzione scientifica.1543 – De rivolutionibus orbium coelestium1687 – Philosophiae naturalis principia mathematicaDa un universo finito, geocentrico, di sgere concentriche e distinto in due parti, conforme ai principi teologici e morali del cristianesimo e coreente con il senso comune, ad un universo infinito (G.Bruno) e sostanzialmente destrutturato che crea disagio all’uomo moderno (Pascal, 1623-1662).

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UN NUOVO METODO

Compito della filosofia moderna è rifondare la capacità interpretativa dell’uomo ed elaborare un nuovo metodo della conoscenza per razionalizzare la nuova complessità del reale.

La scienza si presenta come un nuovo metodo d’indagine e come il sapere moderno per eccellenza: metodo, cioè percorso, via attraverso cui conoscere la realtà.

Essa, chiamata ancora filosofia naturale, unisce in sintesi felice la riflessione teorica e l’osservazione dei fatti: le teorie (necessarie dimostrazioni) sono costantemente e sistematicamente legare all’esperienza (sensate esperienze).

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LA SCIENZA MODERNA

Le leggi generali delle scienze sono la traduzione matematica del prodursi dei fenomeni (Galileo).(vedi testo di filosofia, storia, testo 3, pag. 67)

La nuova conoscenza non si presenta né come assoluta né come onnicomprensiva, bensì dinamica e continuamente alla ricerca di confronti e nuove prove (processo incompleto), senza paura di sconfitte e smentite, viste invece come occasioni di miglioramento.

N.B.Si rimanda al testo di Storia, pagine 40-57, dedicate alla Rivoluzione astronomica e a Galileo Galilei.

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IL PROBLEMA DEL METODO NEL SEICENTOGli intellettuali del Seicento sono estremamente razionalisti, cioè convinti dell’intelligibilità dei principi della realtà, accessibili alla conoscenza e omogenei alla natura umana.Occorrono nuove regole del pensare e del conoscere: un metodo inteso come il percorso ottimale, breve e sicuro per giungere alla conoscenza vera. Criteri e regole per un uso corretto della ragione: regole (azioni e atteggiamenti), in grado di preservare dall’errore, capaci di accrescere il sapere (azione cumulativa) e di esaurire il campo conosciti oggetto della ricerca. Una sapere a tappe, progressivo, inteso come scoperta utile anche nella vita pratica.

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FRANCESCO BACONE * 1561-1626

Propugnò la rifondazione della conoscenza poiché comprese che sapere di più significava potere di più.

Le invenzioni della modernità avevano aperto una epoca nuova fortemente discontinua: la conoscenza moderna aveva un’attitudine essenzialmente pratico-operativa in grado di dominare la natura.

Si rendeva necessaria la rifondazione della filosofia attraverso la liberazione dai preconcetti (pregiudizi) e la individuazione di procedure logiche per il nuovo sapere.

(vedi testo di filosofia, storia, testo 5, pag.71)

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LA TEORIA DELI IDOLI

Sono i pregiudizi, i fantasmi, le false nozioni che impediscono alla mente umana di rapportarsi in modo immediato con la natura:

Della tribù: pregiudizi propri della natura dell’uomo, come credere che i sensi siano la mis ura delle cose e che esso sia il fine dell’universo.

Della caverna: propri dell’uomo come individuo.

Del mercato: pregiudizi e fraintendimenti che derivano dall’uso del linguaggio, dal commercio con le parole e dall’uso di approssimazioni nel linguaggio scientifico.

Del teatro: sistemi filosofici creati come favole e recitati sulla scena de mondo.

(vedi testo di filosofia, storia, testo 6, pag.71)

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Occorre negare i pregiudizi elencati prima per poi definire una nuova teoria induttiva (procedimento logico che dall’osservazione di più casi particolari conclude a leggi generali). Aristotele aveva privilegiato un impianto gnoseologico essenzialmente deduttivo (dall’universale al particolare, dai principi alle cose). Ora occorreva con ordine e metodo partire dalle cose per giungere ai principi generali: prima una collezione ordinata di fatti ordinati e catalogati su apposite tabelle; poi l’analisi delle stesse e la formulazione di una prima ipotesi (prima vendemmia) sul fenomeno studiato; infine una serie di prove per conoscere con chiarezza. (vedi testo di filosofia, storia, testo 6, pag.71)

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CARTESIO * 1596-1650

Insoddisfazione per le tradizionali dottrine aristoteliche insegnate a La Flèche, pedanti e speculativamente vuote: la filosofia nonostante molti secoli di pensiero non ha raggiunto alcuna conoscenza certa ed è spesso pura abilità retorica. Occorre ricreare il legame tra parole e realtà, tra uomo e natura. (vedi inizio del Discorso sul metodo)

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Se questo discorso sembra troppo lungo per essere letto tutto in una volta, lo si potrà dividere in sei parti. E si troveranno, nella prima, diverse considerazioni sulle scienze. Nella seconda, le principali regole del metodo che l'autore ha cercato. Nella terza, qualche regola della morale ch'egli ha tratto da questo metodo. Nella quarta, gli argomenti con i quali prova l'esistenza di Dio e dell'anima dell'uomo, che sono i fondamenti della sua metafisica. Nella quinta, la serie delle questioni di fisica che ha esaminato, in particolare la spiegazione del movimento del cuore e di qualche altra difficoltà della medicina e, ancora, la differenza tra l'anima nostra e quella dei bruti. Nell'ultima, le cose ch'egli crede siano richieste per andare avanti nello studio della natura piú di quanto si è fatto, e i motivi che lo hanno indotto a scrivere.

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Il buon senso è fra le cose del mondo quella piú equamente distribuita, giacché ognuno pensa di esserne cosí ben dotato, che perfino quelli che sono piú difficili da soddisfare riguardo a ogni altro bene non sogliono desiderarne piú di quanto ne abbiano.

E in questo non è verosimile che tutti si sbaglino; è la prova, piuttosto, che il potere di ben giudicare e di distinguere il vero dal falso, che è propriamente quel che si dice buon senso o ragione, è per natura uguale in tutti gli uomini; e quindi che la diversità delle nostre opinioni non dipende dal fatto che alcuni siano piú ragionevoli di altri, ma soltanto da questo, che facciamo andare i nostri pensieri per strade diverse e non prestiamo attenzione alle stesse cose.

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Perché non basta avere buono l'ingegno; la cosa principale è usarlo bene. Le anime piú grandi come sono capaci delle maggiori virtú, cosí lo sono dei piú grandi vizi; e quelli che camminano assai lentamente possono progredire molto di piú, se seguono sempre la via diritta, di quelli che correndo se ne allontanano.

Quanto a me, non ho mai preteso che il mio ingegno fosse in qualcosa piú perfetto di quello comune; anzi ho spesso desiderato di avere il pensiero cosí pronto, l'immaginazione cosí netta e distinta, la memoria cosí capace o anche cosí presente, com'è in altri.

E non conosco altre qualità che servano a rendere perfetto l'ingegno; perché quanto alla ragione o discernimento, che è la sola cosa che ci rende uomini e ci distingue dai bruti,

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credo che essa sia tutta intera in ciascuno di noi, e intendo in questo seguire l'opinione comune degli scolastici, i quali affermano che il piú e il meno è solo negli accidenti, non mai nelle forme o nature degli individui di una medesima specie.

Ma penso, e non esito a dirlo, di avere avuto molta fortuna per essermi ritrovato fin da giovane su una strada che mi ha condotto a riflessioni e massime da cui ho forgiato un metodo, col quale mi sembra di poter aumentare per gradi la mia conoscenza, e portarla a poco a poco al punto piú alto che le consentono la mediocrità del mio ingegno e la breve durata della mia vita.

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Perché ne ho già raccolto frutti tali che sebbene cerchi, ogni volta che giudico me stesso, di piegare verso la diffidenza piuttosto che verso la presunzione, e sebbene, guardando con l'occhio del filosofo le diverse azioni e imprese degli uomini, non ne scorga quasi nessuna che mi sembri vana e inutile, pure continuo a trarre sempre il massimo piacere nel progresso che penso di avere già fatto nella ricerca della verità, e a concepire per l'avvenire speranze tali da osar credere che tra le occupazioni dell'uomo in quanto uomo ve ne è qualcuna davvero buona e importante, è proprio quella che ho scelto. E tuttavia può darsi ch'io mi inganni, che scambi per oro e diamanti quello che non è altro, forse, che un po' di rame e di vetro.

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So quanto siamo facili a sbagliarci in ciò che ci riguarda, e come dobbiamo diffidare anche dei giudizi dei nostri amici, quando sono a nostro favore.

Ma sarò ben lieto di mostrare in questo discorso quali strade ho seguíto e di raffigurarvi la mia vita come in un quadro, perché sia consentito a ognuno di giudicarne, e a me di acquistare, raccogliendo dalla voce della gente le opinioni che ne avrà, un nuovo mezzo di istruirmi, che aggiungerò a quelli di cui di solito mi servo.

Non intendo dunque insegnare qui il metodo che ciascuno deve seguire per ben giudicare la propria ragione, ma solo far vedere in che modo ho cercato di guidare la mia.

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Sono stato nutrito fin dall'infanzia di studi letterari, e poiché mi si faceva credere che per mezzo di essi si potesse acquistare una conoscenza chiara e salda di tutto ciò che è utile alla vita, ero oltremodo desideroso di apprendere.

Ma appena compiuto l'intero corso di studi al termine del quale si suole essere accolti nel rango dei dotti, cambiai del tutto opinione. Perché mi ritrovai impacciato da tanti dubbi ed errori che mi sembrava di non aver ricavato altro profitto, cercando di istruirmi, se non di avere scoperto sempre di piú la mia ignoranza. Eppure stavo in una delle piú celebri scuole d'Europa, dove pensavo dovessero trovarsi dei dotti, se mai ce n'erano in qualche parte della terra.

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Lí avevo imparato tutto quello che imparavano gli altri; e in piú, non contento delle scienze che ci insegnavano, avevo scorso tutti i libri di quelle ritenute piú curiose e piú rare, che mi erano capitate tra le mani. Oltre a ciò, sapevo dei giudizi che gli altri davano di me; e constatavo di non essere considerato in nulla inferiore ai miei compagni, benché ve ne fossero alcuni già destinati ad occupare il posto dei nostri maestri. Infine, il nostro secolo mi sembrava fiorente e fertile di buoni ingegni quanto ogni altro secolo precedente. Tutto questo mi induceva a prendermi la libertà di giudicare da me tutti gli altri, e di pensare che non ci fosse al mondo scienza, quale all'inizio me l'avevano fatta sperare.

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Non avevo tuttavia smesso di stimare gli esercizi di cui ci si occupa nelle scuole.

Riconoscevo che le lingue che vi si apprendono sono necessarie per l'intelligenza dei libri antichi; che la grazia delle favole sveglia l'ingegno, e che lo elevano le azioni memorabili delle storie, le quali, lette con prudenza, aiutano a formare il giudizio.

Riconoscevo che la lettura dei buoni libri è come una conversazione con gli uomini piú illustri dei secoli passati che ne furono gli autori, e per di piú una conversazione studiata, in cui quelli ci palesano solo i loro migliori pensieri. Riconoscevo che l'eloquenza ha forza e bellezza incomparabili, e la poesia delicatezza e dolcezze che incantano;

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che nelle matematiche ci sono invenzioni assai sottili, che possono ben servire sia a soddisfare i curiosi, sia a facilitare tutte le arti e alleviare il lavoro degli uomini. Riconoscevo che gli scritti che trattano dei costumi contengono parecchi utilissimi precetti ed esortazioni alla virtú;

che la teologia ci insegna a guardare il cielo, e la filosofia il mezzo per parlare di tutto con verosimiglianza e farci ammirare da quelli che ne sanno di meno; che il diritto, la medicina e le altre scienze danno onori e ricchezze a chi li coltiva; infine, che è bene avere esaminato tutte queste scienze, anche le piú cariche di pregiudizi o piú false, per conoscerne il giusto valore e non lasciarsene ingannare.

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Ma ritenevo di aver già dedicato un tempo sufficiente alle lingue e anche alla lettura dei libri antichi, alle loro storie e alle loro favole. Perché a conversare con gli uomini del passato accade quasi lo stesso che col viaggiare. È bene conoscere qualcosa dei costumi di altri popoli, per poter giudicare dei nostri piú saggiamente, e non pensare che tutto ciò che è contrario alle nostre usanze sia ridicolo e irragionevole, come fanno di solito quelli che non hanno visto nulla. Ma quando si spende molto tempo nei viaggi, si diventa alla fine stranieri in casa propria; e quando si è troppo curiosi delle cose del passato, si rimane di solito assai ignoranti di quelle del presente. Senza contare che le favole ci fanno immaginare come possibili molti fatti che non lo sono per nulla; e che anche le storie piú fedeli,

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se non alterano né accrescono il valore delle cose per renderle piú degne di essere lette, perlomeno ne omettono quasi sempre le circostanze piú basse o meno nobili: cosí quel che rimane appare diverso da quello che è, e chi vuol regolare i propri costumi sugli esempi che ne trae, rischia di cadere nelle stravaganze degli eroi dei nostri romanzi, e di concepire disegni che vanno al di là delle sue forze. Avevo grande stima dell'eloquenza, ed ero innamorato della poesia; ma pensavo che l'una e l'altra fossero doni dell'ingegno, piuttosto che frutto dello studio. Chi ha il raziocinio piú robusto e sa mettere meglio in ordine i propri pensieri per renderli piú chiari e intelligibili, può sempre, meglio di tutti, imporre le sue tesi, anche se parla soltanto il basso bretone e non ha mai imparato la retorica.

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E quelli che son capaci delle invenzioni piú piacevoli, e sanno esprimerle con maggior ornamento e dolcezza, continuano a essere i migliori poeti, anche se ignorano l'arte poetica. Mi piacevano soprattutto le matematiche, per la certezza e l'evidenza delle loro ragioni; ma non ne avevo ancora riconosciuto il vero uso e, pensando che servissero solo alle arti meccaniche, mi stupivo del fatto che, pur essendo le loro fondamenta cosí sicure e solide, su di esse non si fosse costruito nulla di piú alto. Come, al contrario, paragonavo gli scritti di morale degli antichi pagani a palazzi molto superbi e magnifici, ma costruiti sulla sabbia e sul fango. Innalzano al cielo le virtú, e le fanno apparire stimabili al di sopra di ogni altra cosa al mondo, ma non ce la fanno conoscere a sufficienza.

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Spesso quello che chiamano con un cosí bel nome non è altro che insensibilità, oppure orgoglio, o disperazione, o parricidio.

Riverivo la nostra teologia e aspiravo come chiunque altro a guadagnare il cielo; ma avendo appreso come cosa assai certa che questa strada è aperta ai piú ignoranti come ai piú dotti, e che le verità rivelate che ci conducono fino ad esso sono al di sopra della nostra intelligenza, non avrei mai osato sottoporle alla debolezza dei miei ragionamenti, e pensavo che per intraprenderne e condurre a termine l'esame era necessario ottenere una qualche straordinaria assistenza dal cielo ed essere piú che uomo.

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Non dirò nulla della filosofia, se non che, vedendola coltivata per molti secoli dagli ingegni piú alti senza tuttavia che vi si trovi qualcosa che non sia oggetto di dispute e di cui perciò non si dubiti, non avevo tanta presunzione da sperare qui un successo migliore di quello ottenuto da altri; considerando poi quante diverse opinioni su uno stesso oggetto possono essere sostenute dai dotti, senza che ce ne possa essere mai piú di una soltanto che sia vera, ritenevo quasi falso tutto ciò che era solo verosimile. Per altre scienze poi, dal momento che traggono i loro princípi dalla filosofia, giudicavo che non era possibile che si fosse costruito qualcosa di solido su fondamenta cosí instabili.

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E né l'onore, né i guadagni che promettono era sufficiente a impegnarmi in esse; giacché non ritenevo di essere, grazie a Dio, nella condizione di dover fare della scienza un mestiere, per migliorare la mia fortuna; e benché non professassi, come fanno i cinici, il disprezzo della gloria, pure stimavo assai poco quella che non stimavo di potere acquistare se non con falsi titoli. Infine, per quel che riguarda le scienze bugiarde, pensavo di conoscerne già abbastanza il valore per non correre il rischio di venir ingannato né dalle promesse di un alchimista, né dalle predizioni di un astrologo, né dalle imposture di un mago, né dalle frodi o vanterie di chi va dicendo di sapere piú di quanto non sappia. Per questo, non appena l'età mi liberò dalla tutela dei precettori, abbandonai del tutto lo studio delle lettere.

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E avendo deciso di non cercare altra scienza se non quella che potevo trovare in me stesso oppure nel gran libro del mondo, impiegai il resto della giovinezza a viaggiare, a visitare corti ed eserciti, a frequentare uomini di indole e condizioni diverse, a raccogliere varie esperienze, a mettere alla prova me stesso nei casi che il destino mi offriva, e a riflettere dappertutto sulle cose che mi si presentavano, in modo da trarne qualche profitto. Perché mi sembrava che avrei scoperto molta piú verità nei ragionamenti che uno fa sugli affari che lo interessano, e il cui esito punisce ben presto chi ha mal giudicato, che in quelli dell'uomo di lettere, chiuso nel suo studio, immerso in speculazioni senza effetto, e che non hanno per lui altra conseguenza se non che ne trarrà forse una vanità tanto maggiore quanto piú saranno distanti dal senso comune,

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perché in questo caso avrà dovuto impiegare piú ingegno e piú artifici per renderle verosimili. E avevo sempre un desiderio estremo di imparare a distinguere il vero dal falso, per veder chiaro nelle mie azioni e procedere con sicurezza in questa vita. È vero che, dedicandomi interamente all'osservazione dei costumi altrui, non vi trovai niente che mi sembrasse sicuro; e che notai qui una varietà quasi pari a quella già vista nelle opinioni dei filosofi. Per cui il maggior profitto che ne traevo, vedendo parecchie cose che pur apparendoci molto stravaganti e ridicole vengono tuttavia comunemente accolte e approvate da altri grandi popoli, era quello di non credere con troppa sicurezza a tutto ciò di cui mi avevano convinto solo con l'esempio e con l'uso;

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cosí mi liberai a poco a poco di molti errori che possono oscurare il nostro lume naturale, e renderci meno capaci di intendere ragione.

Ma dopo che ebbi cosí impiegato qualche anno nello studio del libro del mondo e nello sforzo di raccogliere varie esperienze, decisi un giorno di studiare anche in me stessostudiare anche in me stesso, e di applicare tutte le forze dell'ingegno a scegliere le strade che avrei dovuto seguire.

E questo mi riuscí molto meglio, mi pare, che se non mi fossi mai allontanato né dal mio paese né dai miei libri.

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UN NUOVO METODO

Il problema dell’affidabilità del sapere: il cosa si conosce è in funzione del come si conosce.

Rifiuto di ogni principio di autorità

Rifiuto di ogni illusione derivata dai sensi.

Criterio saranno la chiarezza e la distinzione, indicate magistralmente nel Discorso sul metodo attraverso le quattro regole per ben condurre la ragione, facoltà comune a tutti gli uomini:

1) evidenza, 2) risoluzione in parti semplici, 3) ricondurre i pensieri dal semplice al complesso, 4) enumerazione e revisione.

(vedi testo di filosofia, storia, testo 1, pag.95)

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L’evidenza (principale contrassegno della verità) è caratterizzata da chiarezza e distinzione, tratti propri dei concetti che la mente può intuire in modo immediato e semplice.

L’indagine razionale acquisisce un ordine in grado di liberare il soggetto conoscente dall’approssimazione e dall’opinabile.

Ora il metodo porta alla conoscenza certa, ma non sappiamo ancora se vera: occorre un fondamento per rendere valide le nostre conoscenze: si deve trovare un principio assolutamente indubitabile come fondamento del nuovo sapere.

Si dovrà provvisoriamente sospendere l’assenso ad ogni conoscenza: dubbio metodico.

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(vedi testo di filosofia, storia, testo 2, pag.97)

Distruzione generale di tutte le antiche opinioni, partendo dalle fondamenta su cui esse erano poggiate, per rifondare la conoscenza su basi certissime: la conoscenza sensibile poiché i sensi talvolta ingannano, e anche quando ciò sembra assurdo si può pensare all’inganno del sogno. Eppure anche nel sogno vi sono cose elementari a cui tutte le altre sono riconducibili (tempo, spazio, materia ..). Le scienze matematiche, che riguardano cose semplicissime, hanno fondamento indubitabile.

Eppure si può andar oltre con il nostro dubitare: dubbio iperbolico.(vedi testo di filosofia, storia, testo 3, pag.99)

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Genium aliquem malignum: è l’ipotesi di un genio maligno, non Dio, che ingannando l’uomo mette in discussione tutto, anche le verità logico-matematiche.

Eppure il dubbio totale (metodico e iperbolico) non può mettere in discussione il fatto stesso di dubitare:

se dubito sto pensando e

se sto pensando allora esisto – cogito ergo sum.

Solo il pensiero si presenta con la caratteristica dell’evidenza intuitiva (chiarezza e distinzione): questa è la certezza prima, il principio indubitabile di cui aveva bisogno Cartesio per provare la validità del suo metodo (il soggetto è la verità originaria).(vedi testo di filosofia, storia, testo 4, pag.100)

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HOBBES * 1588-1679

Estensione del metodo matematico ad ogni campo del sapere, dunque anche alle istituzioni politiche che devono avere fondamento razionale, con regole dedotte da postulati etici (poche proposizioni vere). Rifondazione della politica grazie al retto ragionamento. Il metodo è deduttivo, non induttivo, per avere certezza e non solo probabilità. Il filosofare si caratterizza come operazione razionale con un procedere di tipo matematico (calcolo). Si parte dalle definizioni dei nomi per arrivare alla coerenza, ordine-trama dei significati che l’uomo crea attraverso il linguaggio.(vedi testo di filosofia, storia, testo 1, pag.181)

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RAGIONE ED ESPERIENZA

La ragione è la facoltà chiave della filosofia moderna che è attraversata dal problema del valore della nostra conoscenza (corrispondenza delle rappresentazioni mentali con la realtà esterna). In particolare: quanto di essa deriva dalla percezione sensibile e quanto dall’attività della sola e pura ragione. Dal diverso ruolo attribuito alle due discendono le tendenze razionalista ed empirista.

Tutta la filosofia moderna è razionalista (nulla è conosciuto se non prima giudicato dalla ragione). Ma i secondi ne vedono il limite e la fonte nell’esperienza, i primi giudicano la ragione come unico fondamento di una conoscenza vera.

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LOCKE * 1632-1704

Padre dell’empirismo inglese. Vuole esaminare i limiti e le possibilità della ragione e della conoscenza umane esaminandone il funzionamento.(vedi testo di filosofia, storia, testo 3, pag.197)

Solo così sarà possibile salvarsi dall’illusione di una totale trasparenza della realtà.

Ruolo cruciale ha il problema critico che impone la riflessione preliminare sul metodo impiegato dalla ragione per conoscere.

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ILLUMINISMO

Ricondurre entro i limiti e i criteri di accettabilità fissati dalla ragione tutte le dimensioni dell’uomo in linea di continuità con razionalismo ed empirismo seicenteschi.

C’è la consapevolezza di vivere in un’epoca illuminata: la metafora della luce indica la conoscenza che giunge a verità e che si libera dal pregiudizio, dalla superstizione, dal fanatismo e dal dogmatismo, giudicando in piena libertà.

La riflessione razionale è dinamica, volta all’azione, al mutamento, capace di trasformare la realtà mondana attraverso la discussione pubblica (Encyclopédie).

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L’Enciclopedia (1751-1772) salda l teoria con la pratica, propugna le grandi idee di tolleranza e libertà, pone fiducia nel progresso.

Il filosofo ha un ruolo pubblico, non si allontana dalla società poiché è intellettuale impegnato per un’utilità pubblica della ragione.

Allo spirito di sistema del seicento succede lo spirito sistematico: ordine del sapere, classificazione e sistemazione, che esclude ormai l’esistenza di un sistema unico e indiscutibile, poiché i saperi hanno un ordine paritario e non gerarchico, con una destinazione essenzialmente operativa e strumentale.