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Il realismo lirico e simbolico

Pavese e Vittorini

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AL DI LÀ DEL NATURALISMO

OTTOCENTESCO Negli anni trenta e quaranta, e poi

nel corso del dopoguerra, è difficile individuare, nella narrativa, una linea di sviluppo univoca e dominante

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Alla ricerca di una letteratura nuova, Cesare Pavese (1908-50) ed Elio Vittorini (1908-66)

Prendendo le distanze dal Naturalismo ottocentesco, essi osservano la realtà adottando un punto di vista insieme lirico e simbolico.

il testo letterario non può essere ridotto a rispecchiamento mimetico del mondo esterno per entrambi uno dei fini principali della scrittura è

la capacità di illuminare la realtà. (tensione gnoseologica) deriva alla scrittura l’impegno (l’engagement, secondo il

termine proposto più tardi dalla cultura francese) che le fa cogliere la dimensione esistenziale e antropologica.

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IL MITO AMERICANO

La scoperta degli autori americani, che, per impulso di Pavese e Vittorini, vengono tradotti e diffusi nella cultura italiana degli anni trenta e quaranta, contribuisce a fornire una nuova lente attraverso cui guardare e interpretare il reale, con nuovi strumenti espressivi (dialogo) bisogno di concretezza e esigenza di universalità L’America eroica e leggendaria di Pavese e Vittorini, è

celebrata, a livello non solo letterario ma anche civile e politico, come luogo della libertà (contro l’immobilismo dalla dittatura fascista).

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AMERICANA una antologia della letteratura USA, fondata su classici

ottocenteschi (Poe, Hawthorne, Melville) fino ai contemporanei (Faulkner, Hemingway, Steinbeck), viene subito bloccata dalla censura fascista, perché presenta commenti da parte del curatore, Vittorini, che risultano sgraditi al regime.

America del New deal rooseveltiano emblema della dimensione a cui deve tendere chiunque sia deciso a difendere “la dignità della condizione umana”.

La nuova edizione, approntata nel 1942 e depurata delle note critiche di Vittorini, esce con una prefazione di Cecchi, i cui toni antiamericani nel denunciare la violenza, gli onori, la trasandatezza dello stile degli autori antologizzati sono giudicati “eccellenti” dal ministro della Cultura popolare fascista.

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UNA FORMA DI DISSENSO

L’America costituisce per molti scrittori la patria di una letteratura moderna e antitradizionale

Rispetto al provincialismo della cultura italiana ufficiale, la celebrazione del mito americano diventa un’espressione di critico dissenso contro la cultura autarchica del regime fascista Vittorini (e Vasco Pratolini) maturano simile

atteggiamento negli ambienti fiorentini del fascismo di sinistra

Pavese nella Torino antifascista e gobettiana di Giustizia e libertà

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LA GUERRA

Dopo l’8 settembre 1943 la nazione sembra sull’orlo della disfatta, occupata in parte dagli eserciti tedeschi e in parte dalle truppe angloamericane.

l’organizzazione della Resistenza per liberare l’Italia dai nazifascisti incide in profondità sulle idee e sugli atteggiamenti degli uomini di cultura, obbligandoli a una sorta di esame di coscienza, nella consapevolezza di trovarsi alle soglie di un’epoca nuova.

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LA SMANIA DI RACCONTARE

La guerra e la Resistenza, come ha osservato Italo Calvino nel 1964 (nella Prefazione aggiunta a una nuova edizione della sua opera d’esordio, il romanzo Il sentiero dei nidi di ragno, 1947), generano un’autentica smania di raccontare, frutto della ritrovata libertà dopo il tempo della dittatura.

desiderio di testimoniare nella forma immediata del documento (la lettera, il

diario, l’appunto, il resoconto) o per mezzo di scritture più elaborate (il romanzo o il

racconto).

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esprimere “quello di cui ci sentivamo depositari”

-Calvino

“era un senso della vita come qualcosa che può ricominciare da zero, un rovello problematico generale, anche una nostra capacità di vivere lo strazio e lo sbaraglio. L’essere usciti da un’esperienza che non aveva risparmiato nessuno, stabiliva un’immediatezza di comunicazione tra lo scrittore e il suo pubblico: si era faccia a faccia, alla pari, carichi di storie da raccontare, ognuno aveva avuto la sua, ognuno aveva vissuto vite irregolari drammatiche avventurose, ci si strappava la parola di bocca”.

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LE NUOVE COORDINATE DELLA

NARRATIVA POSTBELLICA

L’interesse per il documento, per la storia vissuta

concorso bandito dalla rivista “Il politecnico”, diretta da Vittorini, nel numero dell’8 dicembre 1945, ‘far conoscere agli italiani l’Italia al di fuori di qualsiasi retorica o leggenda”.

l’attenzione, la semplicità, la precisione, la verità diventano le coordinate della narrativa italiana

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modelli

l’esempio del realismo ottocentesco

la lezione di autori affermatisi in Italia sul finire degli anni venti, come Moravia, Alvaro, Silone

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“Neorealismo”. UN’ETICHETTA

CRITICA L’espressione, calco dell’equivalente tedesco Neue Sachlichkeit

(Nuova oggettività), con coi si designa il movimento artistico sorto in Germania negli anni venti come reazione all’Espressionismo, viene usata in Italia per la prima volta in ambito cinematografico, per indicare la novità del film Ossessione (1943) di Luchino Visconti (1906-76), tratto dal romanzo Il postino suona sempre due volte (1934) dello scrittore americano James Cain.

Ma è negli anni del dopoguerra che il termine si diffonde, per designare la tendenza del cinema italiano dell’epoca, con capolavori come Roma città aperta (1945), Paisà (1946) e Germania anno zero (1947) di Roberto Rossellini (1906-77) e Sciuscià (1946) e Ladri di biciclette (1948) di Vittorio De Sica (1901-74).

protagonista del nuovo cinema diventa la rappresentazione (in chiave morale e politica) della realtà quotidiana e popolare, spesso affidata ad attori anonimi e non professionisti.

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il termine viene applicato anche in

ambito letterario 1943 e il 1950

non tanto una scuola o una corrente, quanto una serie di costanti tematiche e formali peculiari della narrativa.

“Il Neorealismo non fu una scuola. Fu un insieme di voci, in gran parte periferiche, una molteplice scoperta delle diverse Italie, anche o specialmente delle Italie fino allora più inedite per la letteratura”. Calvino, Prefazione del 1964

limiti cronologici Maria Corti “nel 1943 ha inizio la Resistenza, così vitale e

produttiva [...] agli effetti dello strutturarsi di una “scrittura” neorealistica, mentre nel 1948 prende avvio l’involuzione politica italiana con le conseguenti delusioni degli intellettuali e il declino della narrativa fiduciosamente impegnata”.

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PUNTI DI VISTA SULLA REALTÀ

comune attenzione, sul piano tematico, alla recente storia italiana in Vittoriani prevale la ricerca di

soluzioni espressive liriche e musicali mentre in Pavese e in Fenoglio la

rappresentazione della realtà è piegata a riflessione sul significato universale dell’esistenza umana.

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LA FINE DELLE ILLUSIONI dal 1948, con le elezioni del 18 aprile risoltesi in

una netta vittoria della Democrazia cristiana contro le sinistre alleate nel Fronte popolare e tutti i partiti minori, inizia in Italia una fase di politica moderata e di radicale scontro ideologico.

Franco Fortini, “l’agonia ingloriosa della più grande speranza nazionale dopo il Risorgimento” sfiducia e la delusione degli scrittori neorealisti circa la

possibilità di contribuire con il proprio lavoro alla rappresentazione della realtà e al progresso della vita civile.

VEDI NOTE

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IL RITORNO AL PRIVATO

a partire dalla fine degli anni cinquanta la narrativa prende a cercare soluzioni nuove.

come testimonia l’inchiesta sul romanzo promossa nel 1959 dalla rivista “Nuovi argomenti”, dopo l’oggettività corale del Neorealismo e le memorie personali subentra il ritorno alla soggettività del racconto in prima persona. È il caso, per esempio, di scrittori come Carlo Cassola (1917-87) e Giorgio Bassani (1916-2000)

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Cesare Pavese L’INCONTRO CON GLI SCRITTORI AMERICANI

Dalla fine degli anni venti traduce alcuni capolavori della moderna letteratura inglese e americana: le opere di Sinclair Lewis, Moby Dick di Herman Melville, Riso nero di Sherwood Anderson, Dedalus di James Joyce, Il 42 parallelo di John Dos Passos.

“una letteratura legata al fare degli uomini, alla pesca delle balene o ai campi di granturco o alle città industriali, creando miti nuovi della vita moderna che avevano la forza di simboli primordiali della coscienza, creando dalla lingua parlata un nuovo linguaggio poetico tutto cose. La letteratura d’oltreoceano gli si presenta come un “grande laboratorio”, dove ciò che conta è ‘creare un gusto, uno stile, un mondo moderni, un nuovo linguaggio, materiale e simbolico”, Calvino

VEDI NOTE

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I MOTIVI ARCHETIPICI DELL’ESORDIO

POETICO Nel 1936 Pavese esordisce come poeta con la

pubblicazione, presso le Edizioni di “Solaria”, di Lavorare stanca

raccolta di liriche di stampo narrativo in netto contrasto, sotto l’aspetto stilistico e lessicale, con la linea dell’Ermetismo allora dominante.

L’originalità dell’opera scelte metrico-formali influenzate dal verso lungo

del poeta statunitense Walt Whitman (1819-92) linguaggio dimesso e prosaico, incline al racconto

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temi l’opposizione tra città e campagna il contrasto fra infanzia e maturità; il conflitto tra uomo e donna; la solitudine e lo sradicamento; la ricerca di un contatto impossibile con l’altro nel componimento in apertura del libro la matrice di una

delle costanti tematiche dell’intera opera pavesiana: l’immagine archetipica e fondamentale del nostos, del “ritorno” al luogo delle origini, come termine e approdo di ogni esistenza nomade e avventurosa, destinato a essere sviluppato e approfondito fino al romanzo conclusivo La luna e i falò (1950).

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L’APPRODO ALLA NARRATIVA

ANTINATURALISTICA Tra 1935 e 1936, per motivi politici, Pavese è

costretto dalla polizia fascista a trasconere un periodo di confino a Brancaleone Calabro; qui inizia a scrivere un diario privato, che, ritrovato fra le sue carte all’indomani della morte, verrà pubblicato nel 1952 col titolo Il mestiere di vivere.

Da queste pagine risulta l’interesse che, intorno alla metà degli anni trenta, Pavese comincia a rivolgere alla narrativa (racconto o romanzo breve), con l’intenzione di piegare questa forma espressiva in direzione antinaturalistica.

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PAESI TUOI romanzo breve apparso nel 1941 colpisce i lettori per il ritmo rapido e

diretto, per lo stile crudamente realistico.

Al centro del romanzo è l’avventura del giovane Berto, un meccanico di Torino, che, abbandonata la città, va a lavorare in campagna, scoprendo un mondo intriso di violenza, sangue e sesso.

VEDI NOTE

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IL MITO

Negli anni della guerra Pavese approfondisce lo studio delle tradizioni folkloristiche e popolari.

numerose fonti (la Scienza nuova di Vico, le opere dei filosofi romantici, i più recenti testi di psicoanalisi, antropologia ed etnologia, fra cui specialmente quelli di Carl Gustav Jung e di Ernesto De Martino Lucien Lévy-Bruhl, Kàroly Kerényi, James Frazer), egli arriva a scoprire nel mito una forma di conoscenza e rappresentazione della realtà superiore a quella attingibile mediante la logica razionale.

Lo sforzo di elaborazione teorica di una poetica del mito trova spazio nei racconti e nei saggi pubblicati da Pavese nelle raccolte Feria d’agosto (1946) e Dialoghi con Leucò (1947).

Paesi tuoi

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Mito-L’INFANZIA

valore del passato - importanza dei ricordi centralità dell’infanzia come età di straordinaria forza e

intensità percettiva, durante la quale ogni individuo si forma un proprio codice interpretativo, destinato a durare per tutta la vita.

Pavese: «L’arte moderna è - in quanto vale - un ritorno all’infanzia. Suo motivo perenne è la scoperta delle cose, scoperta che può avvenire, nella sua forma più pura, soltanto nel ricordo dell’infanzia. E in arte si esprime bene soltanto ciò che fu assorbito ingenuamente. Non resta agli artisti che rivolgersi e ispirarsi all’epoca in cui non erano artisti, e questa è l’infanzia”.

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IL COMPITO DELLA POESIA

importanza della memoria (individuale e collettiva), come strumento di recupero dell’autenticità perduta.

conoscere è sempre riconoscere (“Le cose si scoprono attraverso i ricordi che se ne hanno”), è vedere le cose una seconda volta, è ricordare.

spetta alla poesia il compito di risalire all’indietro e illuminare la matrice remota da cui deriva il senso della storia e della vita.

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Dal mythos al logos

Attraverso i ricordi si può raggiungere l’ assoluto, la radice stessa dell’essere, il suo nucleo mitico: assoluto è il selvaggio che sedimenta al fondo della civiltà, è il proibito (“la natura torna selvaggia quando vi accade il proibito: sangue o sesso”), è l’irrazionale, è il mistero.

Tuttavia, come il mito (per poter essere comunicato) deve essere ridotto a logos

“Poesia è ora lo sforzo di afferrare la superstizione —il selvaggio — il nefando — e dargli un nome, cioè conoscerlo, farlo innocuo».

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Feria d’agosto

Tutti questi temi sono sviluppati in quest’opera opera composita formata da racconti, pagine

saggistiche e riflessive, dichiarazioni di poetica da un lato esplora il mito del ritorno quale

esperienza paradigmatica dell’umanità che, dopo essersi staccata dalla natura, ritrova il selvaggio nel cuore della civiltà, come l’adulto ritrova nell’inconscio il bambino, che sopravvive

dall’altro, metaletterariamente, racconta l’operazione stessa del raccontare.

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Dialoghi con Leucò scritti tra il dicembre del 1945 e il settembre del 1946:

un’opera ardua e difficile, ma ritenuta dall’autore il suo libro “più significativo”.

Pavese adotta la forma dialogica sul modello delle Operette morali leopardiane e reinterpreta la mitologia classica alla luce delle moderne scoperte etnologiche, con una prospettiva insieme ironica e drammatica.

ventisette brevi «dialoghi” in cui gli eroi e gli dèi del mito greco rievocano l’incontro con i mostri che popolavano la terra prima del loro avvento.

Il passaggio dall’infanzia alla maturità, che significa assunzione di responsabilità ma anche accettazione dei propri limiti, viene qui rappresentato come passaggio dal mondo dei titani, caotico e irrazionale ma libero, a quello degli dèi e degli eroi, razionale ma pieno di obblighi e norme.

Leggi I ciechi

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LO SCONTRO CON LA REALTÀ E CON LA

STORIA Tra ottobre e dicembre del 1946

Pavese lavora a un nuovo romanzo, Il compagno (edito nel 1947), l’unica sua opera ascrivibile in qualche misura alla corrente neorealista storia di Pablo, un giovane nullafacente,

suonatore di chitarra, vagabondo, che approda alla maturità e all’antifascismo.

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La casa in collina ricco di riferimenti autobiografici La storia si svolge nel corso del 1943, all’epoca della guerra

partigiana e della caduta di Mussolini. La «collina”, elemento costitutivo dell’immaginario pavesiano,

appare all’inizio del romanzo come il luogo del mito, dell’assenza della storia, come il simbolo di un modo di vivere solitario, incline alla contemplazione più che all’azione; ma, nel corso dell’opera, il protagonista scopre drammaticamente che soltanto nell’incontro con la realtà, con la concreta società che lo circonda, egli può pervenire alla conoscenza di sé e del proprio destino.

Alla fine del romanzo, il ritorno di Corrado alla collina dell’infanzia, che ha le movenze di un viaggio fiabesco, di un cammino iniziatico, è un ritorno verso il luogo del proprio autentico essere, in contrapposizione alla città, spazio umano dell’inautentico, del divenire caotico;

ma diventa anche un procedere nel regno dei morti alla ricerca della propria identità: infatti anche sulla collina è arrivata la guerra, che non ha risparmiato lo spazio mitico del passato, anzi ne ha sancito la distruzione, la morte.

leggi

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IL VIAGGIO FALLIMENTARE DI

ANGUILLA Il rapporto tra mito e storia è centrale nell’ultimo romanzo

pavesiano, La luna e falò scritto nel 1949 e pubblicato l’anno successivo In esso viene ripreso il tema ulissiaco del nòstos, del ritorno ai

luoghi natali, di cui si predicano, al contempo, la necessità e l’impossibilità.

Il protagonista Anguilla, quarantenne, dopo avere fatto fortuna in America, decide di tornare nelle Langhe piemontesi dove è cresciuto, con la segreta speranza di ritrovare così le proprie radici. Ma la sua è una illusione, che viene smentita, come egli scopre presto, dai fatti e dalla storia: la terra della sua infanzia è profondamente mutata, le persone sono cambiate o scomparse, e il passato appare per sempre irrecuperabile.

La lune e i falò

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L’ULTIMO MESSAGGIO La luna e i falò è l’ultima opera dello

scrittore. Nei primi mesi del 1950 finisce la storia

con l’attrice americana Constance Dowling (Connie)

“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, scrive in una poesia del marzo del 1950; e, negli stessi mesi, annota nel diario: “Sono entrato nel gorgo: contemplo la mia impotenza [...]. La risposta è una sola: suicidio.

Nella notte fra il 26 e il 27 agosto 1950, in un albergo torinese, Pavese si uccide con una dose massiccia di sonniferi.

L’ultimo messaggio viene lasciato dall’autore, manoscritto, sulla prima pagina di una copia di Dialoghi con Leucò: “Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi”.

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Le ultime pagine del Mestiere di vivere

È la prima volta che faccio il consuntivo di un anno non ancor finito. Nel mio mestiere dunque sono re.

In dieci anni ho fatto tutto. Se penso alle esitazioni di allora.Nella mia vita sono più disperato e perduto di allora. Che cosa ho messo insieme?…..Non ho più nulla da desiderare su questa terra, tranne quella cosa che quindici anni di

fallimenti ormai escludono.Questo il consuntivo dell’anno non finito, che non finirò.Ti stupisci che gli altri ti passino accanto e non sappiano, quando tu passi accanto a tanti

e non sai, non t’interessa, qual è la loro pena, il loro cancro segreto?18 agosto.La cosa più segretamente temuta accade sempre.Scrivo: o Tu, abbi pietà. E poi?Basta un po’ di coraggio.Più il dolore è determinato e preciso, più l’istinto della vita si dibatte, e cade l’idea del suicidio. Sembrava facile, a pensarci. Eppure donnette l’hanno fatto. Ci vuole umiltà, non

orgoglio. Tutto questo fa schifo.Non parole. Un gesto. Non scriverò più.

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Verrà la morte e avrà i tuoi occhi 

  Verrà la morte e avrà i tuoi occhi 

questa morte che ci accompagna  dal mattino alla sera, insonne,  sorda, come un vecchio rimorso  o un vizio assurdo. I tuoi occhi  saranno una vana parola,  un grido taciuto, un silenzio.  Cosí li vedi ogni mattina  quando su te sola ti pieghi  nello specchio. O cara speranza,  quel giorno sapremo anche noi  che sei la vita e sei il nulla.  

Per tutti la morte ha uno sguardo.  Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.  Sarà come smettere un vizio,  come vedere nello specchio  riemergere un viso morto,  come ascoltare un labbro chiuso.  Scenderemo nel gorgo muti.     (Poesie, Einaudi, Torino 1961) 

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Paesi tuoi

approfondimento

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Paesi tuoi racconta una storia cupa e violenta di

passioni primitive la racconta in

prima persona Berto, un cittadino, un operaio uscito di galera, che è andato a lavorare in campagna con un suo compagno di prigionia, il contadino Talino.

Scopre così un mondo arcaico, selvaggio e irrazionale

in cui Talino, finito in carcere per aver dato fuoco alla cascina di un rivale, la Grangia, può avere avuto un rapporto incestuoso con la sorella Gisella.

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Tra Berto e la ragazza nasce un idillio.

Quando, durante la trebbiatura, Talino scorge la sorella che offre a Berto un secchio d’acqua, fuori di sé dalla gelosia e dalla stanchezza, la uccide per poi darsi alla fuga nei campi.

La lenta morte per dissanguamento della ragazza ha più il valore mitico di un rito arcaico (il sacrificio per le messi) che quello realistico di un documento sociale .

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Il tema

l’incontro-scontro tra città e campagna

l’individuazione nel mondo contadino di una forma di esistenza primordiale che continua a conservare tratti di una ritualità ancestrale

il suo «naturalismo iniziale risente, più che di Verga, del D’Annunzio verista e di Nietzsche.

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La campagna è colta dal punto di vista dell’uomo di città, dell’intellettuale

“In quei riti antichi di sangue e di sesso, vuole recuperare il senso vero dell’esistenza e finisce ogni volta per riscoprire la propria solitudine»

(R. Luperini, 1981). una frattura incolmabile tra

Pavese e la tradizione del naturalismo veristico

egli non rinuncia mai a immaginare un personaggio che esprima più o meno direttamente, il punto di vista dell’autore.

Paesi tuoi: cfr. J Steinbeck, Of mice and men e The sound and the fury di Faulkner

un romanzo nel quale la necessità di esprimere pensieri e parole di personaggi proletari e contadini immersi in una condizione di continua violenza costringe alla scelta di una lingua lontana dalla tradizione aulica e intessuta di dialettismi.

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Paesi tuoi è anche il più “americano” dei libri di

Pavese (evidente è l’influenza di Faulkner e

di Steinbeck), l’essenzialità dei gesti e dei dialoghi antiletterarietà. Per questo divenne

poi un punto di riferimento fondamentale della giovane narrativa del Neorealismo.

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Neorealista ma…motivazioni

completamente diverse da quelle degli scrittori

realisti si rivolge ad una realtà che scandaglia con strumenti che risentono dell’approccio sociologico e antropologico anglosassone

Ha curiosità per la psicologia junghiana, tendente a far emergere gli archetipi culturali collettivi, particolarmente forti nell’arcaica società contadina.

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La casa in collina

approfondimento

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La casa in collina -1948.

autoanalisi: l’intellettuale, messo di fronte alla tragedia della guerra e alle esigenze di impegno poste dalla Resistenza, rivela la propria ambiguità e incertezza.

Tema: la solitudine condizione

esistenziale, ma anche frutto di una situazione storica

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RIASSUNTO Nel corso del 1943

Corrado, che insegna scienze in un istituto di Torino, scende in città solo per lavorare: la sera torna sulla collina, dove vive in una stanza presa in affitto nella villa di proprietà di una vecchia e di sua figlia Elvira, zitella intorno alla quarantina.

è amorevolmente accudito da Elvira che non nasconde l’ambizione di accasarsi con lui

può ampiamente realizzare il suo desiderio di restare solo ed estraneo a quanto capita intorno a lui

ma non può sopportare le attenzioni di Elvira e della madre che hanno la tendenza ad «impossessarsi» di lui

non può eliminare un senso generale di insoddisfazione per il proprio astrarsi dalla vita.

La situazione di Corrado è soddisfacente sotto alcuni aspetti:

sfugge ai pericoli dei bombardamenti notturni

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Una sera, girando sulle colline, capita in un’osteria isolata nella campagna; lì incontra Cate, una giovane donna con la quale qualche

anno prima aveva avuto una relazione finita male

Ciò che colpisce Corrado è che Cate abbia un figlio, Dino, che per l’età potrebbe essere il suo: sospetto reso più forte dal fatto che Dino è il diminuitivo di Corrado

Questo lo spinge a frequentare Cate, la quale nega che Dino sia suo figlio.

Corrado cerca l’amicizia del bambino, l’ accompagna in lunghe passeggiate sulle colline, gli insegna alcune nozioni sulle piante e sugli animali, riconosce in lui alcuni tratti del suo carattere.

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Le serate passate all’osteria sono anche

momenti di discussione politica:

i proprietari sono i nonni di Cate che, assieme al fratello e ad altri, sono impegnati nell’attività antifascista.

La situazione sembra prendere una piega favorevole col 25 luglio del 1943:

ma il governo Badoglio, insediatosi dopo la caduta di Mussolini, dichiara la prosecuzione della guerra a fianco dei nazisti

le cose precipitano l’8 settembre, con la resa dell’Italia e la formazione nella parte settentrionale del paese della Repubblica di Salò.

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Comincia allora la guerra partigiana e le colline vengono percorse da soldati sbandati che tentano di rientrare alle loro case o di unirsi alle formazioni

partigiane. Inizia anche la

repressione dei nazi-fascisti: il fratello di Cate è imprigionato, e un giorno vengono arrestati tutti gli abitanti dell’osteria, dove venivano nascoste delle armi.

Anche Cate viene catturata e l’unico a scampare è Dino, raccolto da Corrado che lo affida ad Elvira: lui stesso deve cambiare aria perché, per quanto non coinvolto, era un frequentatore dell’osteria

Elvira gli procura un rifugio in un convento di Chieri dove, poco dopo, viene portato anche Dino.

Ma il bambino manifesta il desiderio di andare ad unirsi ai partigiani ed una mattina si allontana dal convento.

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Il nostos e la catabasi Corrado continua a

restare estraneo a quanto succede intorno, ma quando comincia a temere che i fascisti lo possano cercare anche nel suo rifugio, decide di rientrare a casa dei suoi genitori, nelle Langhe.

intraprende un viaggio attraverso le colline e le vallate, cercando di evitare i rastrellamenti e i posti di blocco

quando è già vicino a casa, assiste ad un’imboscata di partigiani contro una colonna fascista: la vista di quei giovani morti, di quelle vite spezzate gli fa improvvisamente prendere coscienza del fatto che non si può restare al di fuori, non è possibile rimanere neutrali a guardare, perché la guerra chiede conto a tutti del comportamento che ciascuno ha.

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LA CASA IN COLLINA: lo stile e la lingua

la vicenda narrata è chiara delineazione

di alcuni nodi simbolici

al di là dei fatti, una riflessione generale sui grandi problemi esistenziali.

analisi ed autoanalisi del linguaggio testimonianza ne Il mestiere di vivere. Diario 1935-1950

assoluta diffidenza di Pavese per tutte le avanguardie, o sperimentalismi fondati sulla forzatura o sulla distorsione dell’espressione linguistica

Rifiuto della la prosa d’arte, del frammentismo;

Vuole una lingua che sia insieme classica e parlata.

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Qui un iposistema [una specie di sistema linguistico profondo] largamente regionale. Più che abbassamento della lingua al dialetto, o innalzamento del dialetto alla lingua,si tratta di un’allusione al dialetto da parte della lingua (G.L. Beccaria, 1989).

le soluzioni adottate

in Paesi tuoi ed ancora nel Compagno erano in massima parte improntate all’inserimento di una certa quantità di termini dialettali nel contesto linguistico, soprattutto nei dialoghi

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Romano Luperini

La superiorità di La casa in collina sulle altre opere nasce dal coraggio di autoanalisi: ancora una volta l’intellettuale, messo di fronte alla Resistenza e alle esigenze di un impegno personale, rivela la propria ambiguità, un’incertezza che gli nasce dalla provvisorietà stessa del suo ruolo e della sua collocazione di classe.

(R. Luperini, 1981).

Calvino: «è la meditazione che nasce dal contrasto tra storia e morale umana metastorica» (I. Calvino, 1980).

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La luna e i falò

nuclei tematici attorno ai quali si addensa la materia narrata.

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narrazione frantumata sull'asse del tempo, in un arco che comprende più o meno tutte le età del narratore che parla in prima persona

quarant'anni.

è un uomo di circa quarant'anni che inizia a parlare nel momento in cui è tornato al paese dove è cresciuto: una località delle Langhe, di cui non si dice il nome, che è tuttavia identificabile con S. Stefano Belbo.

Egli risiede ancora a Genova, dove ha avviato un'attività commerciale dopo essere stato per parecchi anni negli Stati Uniti, e si reca al paese soprattutto durante l'estate.

tempo

Il protagonista e narratore

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«bastardo» era stato abbandonato e

nell'ospedale di Alba; da lì era stato tolto da una famiglia contadina, formata dal Padrino, da Virgilia e da due bambine, perché l'ospedale dava cinque lire al mese per il mantenimento del trovatello.

L'infanzia era trascorsa nella povertà e nel lavoro, fino a quando Padrino, non potendo più tirare avanti, aveva dovuto vendere il podere con la sua casa, «Gaminella», e andare a lavorare come bracciante;

.

il bambino era stato messo a servizio alla Mora, una grossa tenuta del signor Matteo, dove era cresciuto ed era diventato un uomo capace di guadagnare la sua giornata;

erano stati i contadini della Mora a dargli il soprannome col quale era conosciuto in paese, Anguilla.

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La città

Arrivato il tempo del servizio militare, era stato mandato a Genova dove aveva fatto l'attendente di un ufficiale e si era messo con la serva di casa, Teresa. A Genova era rimasto, frequentando una scuola serale e divenendo amico di alcuni operai antifascisti;

quando questi erano stati arrestati, Teresa gli aveva procurato un imbarco clandestino per gli Stati Uniti, dove Anguilla aveva fatto molti mestieri, spostandosi sempre più verso ovest, fino a stabilirsi in California.

Internato allo scoppio della guerra, in quanto cittadino di un paese nemico degli Stati Uniti, alla fine era tornato in Italia, a Genova.

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Al paese ritrova Nuto, con il quale cerca di capire il senso del,

proprio «andar via» dalle Langhe e del suo ritorno

Nuto, pur non avendo partecipato direttamente alla Resistenza è stato un fiancheggiatore delle bande partigiane, a spiegare il senso dello scontro e perché, alla fine, tutto sia tornato come prima: i poveri sono sempre più poveri, mentre continuano a comandare i ricchi e i preti.

illuminante l'episodio del ritrovamento del cadavere di due spie fasciste, uccise durante la lotta armata dai partigiani

il parroco del paese ne approfitta per celebrare solennemente il loro funerale e fare una predica contro il pericolo del comunismo.

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Gaminella nel passato e nel presente

La fine di Padrino Nuto narra le vicende

degli abitanti che sono morti durante l'assenza di Anguilla: come siano scomparsi uno dopo l'altro i componenti della sua vecchia famiglia adottiva, Virgilia, le due sorellastre e, per ultimo, ridotto a chiedere la carità, Padrino.

Su questo si innesta il secondo nucleo tematico:

ora alla «Gaminella» c'è una famiglia di mezzadri, formata dal Valino, sua cognata e sua suocera (la moglie è morta); c'è anche un bambino, nato storpio, Cinto.

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Il degrado della miseria Anguilla va a rivedere

la cascina e il podere dove è stato bambino, vede le condizioni di miseria estrema in cui vive la famiglia di Gaminella, nella quale la miseria e la disperazione fanno sì che tutti si comportino animalescamente

Valino ogni sera picchia le donne e Cinto.

A. con lui stabilisce un rapporto di amicizia, ha un sentimento quasi paterno, rivive in lui la sua fanciullezza;

comincia a parlargli della possibilità di andar via dalla valle del Belbo

gli regala un coltello simile a quello che aveva avuto anche lui alla sua età. Parlando con Cinto si ricorda dell'usanza di accendere dei falò sulle colline nella notte di san Giovanni.

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Il falò di Gaminel

la Una sera, dopo che la

padrona di Gaminella, ha fatto le parti del raccolto col Valino non lasciandogli neppure il cibo, questi, impazzito dalla disperazione, uccide le due donne e tenta di ammazzare anche Cinto, che lo minaccia col coltello e fugge; alla fine, l'uomo dà fuoco alla cascina e si impicca nella vigna.

Anguilla, allora appena adolescente, aveva conosciuto lì Nuto

aveva avuto occasione di osservare la vita dei signori: il Padrone Matteo, le sue due figlie di primo letto, Irene e Silvia, la seconda moglie e l'ultima figlia, una bambina, Santa.

il ricordo della vita alla Mora:

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La dissoluzione della famiglia

le due figlie più grandi erano passate da un fidanzamento sbagliato all'altro, fino a fare entrambe una misera fine: Irene era morta di tifo, Silvia aveva finito per sposare un fannullone dedito al gioco che, diventato padrone della Mora, se l'era mangiata in poco tempo.

Anguilla apprende tutto questo da Nuto, che però resta reticente riguardo alla sorte dell'ultima ragazza della Mora, Santa.

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Nella conclusione del romanzo si ha il ricongiungimento dei due temi, quello

di Cinto e di «Gaminella», e quello della fine della Mora.

Nuto e Anguilla accompagnano Cinto sul luogo della tragedia. Nuto, a questo punto, vedendo che, Anguilla ha ormai capito in quale condizione di miseria e di ingiustizia vivono ancora gli abitanti della valle del Belbo, decide di rivelargli l'ultimo segreto

il falò del cadavere di Santa

Santa si era legata ad alcuni squallidi personaggi del fascismo locale

nel momento in cui era scoppiata la guerra partigiana si era messa a fare il doppio gioco; forniva informazioni alle bande partigiane sulle colline. Ma alla fine si scoprì che Santa aveva anche fatto la spia per i fascisti

portata sulle colline era stata uccisa e il suo corpo bruciato, perché in quel tempo anche morta, poteva far gola a qualche sbandato che l’avrebbe violentata. A tale livello di abiezione riduce la guerra.

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Di fronte a tale realtà fallisce lo stesso progetto di ritrovare un’identità e un paese:

quest’ultimo è anch’esso diventato irrimediabilmente straniero.

Anguilla riparte dopo aver dolorosamente sperimentato il

crollo di ogni speranza di radicamento e d’identità.

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La luna e i falò

Un vero e proprio concentrato di archetipi tematici e narrativi

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La ricerca delle proprie radici

il protagonista, attraverso i colloqui con l'amico d'infanzia Nuto, e attraverso i contatti con la gente del posto, riacquista a poco a poco il senso del suo attaccamento a quella terra, che egli percorre in lunghe passeggiate riscoprendo i luoghi e le sensazioni di quando era bambino e adolescente.

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L’”eroe” Anguilla : bastardo - emigrante -sradicato- cercatore -e

“ulisse” La solitudine e l’estraneità del

protagonista Anguilla sono già implicite nella sua nascita di «bastardo» e in una vita trascorsa da espatriato in America. Quando ritorna, dopo anni, al paese

natale, non è solo per ritrovare nostalgicamente le proprie origini, ma per la speranza di un nuovo radicamento e di una sicura identità.

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Il bambino segnatoIl bambino segnatoAnguilla incontra Cinto, un

ragazzo sciancato, in cui egli rivive la propria infanzia.

Anche Cinto ha un destino simile al suo: è diverso dagli altri a causa della sua infermità fisica.

Cinto=Edipo, lo zoppo segnato dal destino

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Il topos del fuoco purificatore e rituale

due incendi: (ekpyrosis e palingenesi)

quello che Valino, padre di Cinto, vittima della povertà e preso da improvvisa follia, dà alla propria casa per sterminare la famiglia e poi suicidarsi

quello che brucia il cadavere di Santa, nella cui ambiguità (faceva la spia per conto dei partigiani ma anche dei repubblichini) si riflette quella stessa della borghesia che abita in villa sulle colline.

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Questi incendi rievocano i falò mitici, quelli visti

nell’infanzia e accesi allora per propiziare il raccolto

ma sono anche da essi irrimediabilmente diversi: esprimono l’onnipotenza dell’orrore storico.

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Su questo romanzo è grande l'influenza che esercitò la

letteratura americana

in particolare, quella grande allegoria che è il Moby Dick di Melville

Raccontare è monotono, saggio del 1949 Non crediamo che si dia racconto vivo senza un

fondo mitico, senza qualcosa d'inafferrabile nella sostanza. La ragione ultima - e prima - per cui ci s'induce a comporre una favola, è la smania di ridurre a chiarezza l'indistinto irrazionale che cova in fondo alla nostra esperienza. Questa riduzione non è mai totale, altrimenti il risultato sarebbero concetti e astrazioni - scienza o filosofia (C. Pavese, 1968).

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Nucleo concettuale:conflitto tra la tradizione della

cultura contadina (magica, fatalista, in una parola pre-razionale) e la cultura della

modernità); il romanzo non risolve tale contrasto, e in ciò si attua la sua dimensione mitica: Pavese non vuole indicare una «soluzione», piuttosto vuole rendere emblematico quel tipo di conflitto, fargli assumere il valore di simbolo di tutte le contraddizioni che nella cultura dell'uomo si aprono, tra passato e presente, tra tradizione e innovazione, tra nuovo e vecchio.

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altri miti, altri conflitti;

tra il restare e il partire, confronto tra i due protagonisti, Anguilla e Nuto

nel romanzo si dimostra come il partire possa essere niente altro che un prepararsi a tornare anche a livello di conoscenza c'è una

interscambiabilità tra il macrocosmo (l'America) e il microcosmo (la valle del Belbo).

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un romanzo in cui la Storia ha un ruolo

preminente l'autore in una pagina del suo diario Il mestiere

di vivere datata 17 novembre 1949 (cioè pochi giorni dopo la fine della scrittura del romanzo) scriveva, ripensando alle tappe della sua narrativa: «9 novembre finito La luna e i falò. Hai concluso il ciclo storico del tuo tempo: Carcere (antifascismo confinario), Compagno (antifascismo clandestino), Casa in collina (resistenza), La luna e i falò (postresistenza).

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Il presente, il dopoguerra, non offre se non storie private di disperazione, di

miseria o di prepotenza

sono le assenze che segnano il passaggio della Storia:

i borghesi della Mora non ci sono più,

non c'è più la famiglia di Padrino,

non ci sono più molti dei coetanei di Anguilla, morti

durante la guerra.

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la Storia è in una dimensione privata nella quale le scelte morali riassorbono anche le scelte politiche e ideologiche

dei personaggi.

( disillusione negli ambienti più conformisti del PCI, Pavese annota con amarezza nel Mestiere di vivere che di lui si diceva "Pavese non è un buon compagno…")

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Per ripassare e conoscere i testi

Pavese tutto