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1 1. Il miglioramento ambientale a fini faunistici Il concetto di miglioramento ambientale deve essere visto come una strategia di conservazione della fauna e dei diversi ambienti ad essa collegata: è un modo di pensare, di gestire e di fare gestione attiva dell’ambiente. Le varie tecniche di intervento devono essere applicate con una visione progettuale ampia ed organica, nell’intento di soddisfare le diverse esigenze delle varie specie sia di interesse gestionale sia di interesse naturalistico, attraverso la metodologia basata sul concetto delle specie “guida”. Di seguito sono descritte le interazioni tra le specie faunistiche e il loro ambiente, le caratteristiche auto ecologiche delle specie guida ed un abaco illustrante le diverse tecniche d’intervento per il miglioramento ambientale a fini faunistici. Zone umide Ambienti forestali Ambienti agrari ben strutturati Ambienti agrari

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1. Il miglioramento ambientale a fini faunistici Il concetto di miglioramento ambientale deve essere visto come una strategia di conservazione della fauna e dei diversi ambienti ad essa collegata: è un modo di pensare, di gestire e di fare gestione attiva dell’ambiente. Le varie tecniche di intervento devono essere applicate con una visione progettuale ampia ed organica, nell’intento di soddisfare le diverse esigenze delle varie specie sia di interesse gestionale sia di interesse naturalistico, attraverso la metodologia basata sul concetto delle specie “guida”. Di seguito sono descritte le interazioni tra le specie faunistiche e il loro ambiente, le caratteristiche auto ecologiche delle specie guida ed un abaco illustrante le diverse tecniche d’intervento per il miglioramento ambientale a fini faunistici.

Zone umideAmbienti forestali

Ambienti agrari ben strutturati Ambienti agrari

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2. L’Habitat e la fauna selvatica

L’Habitat ideale per la fauna selvatica (può sembrare un’ovvietà) deve avere quattro requisiti fondamentali: produrre cibo (funzione trofica), disporre di acqua, fornire uno spazio sufficiente (Home range o spazio vitale) e rappresentare un rifugio. Ogni specie presenta delle specifiche necessità ambientali. Per esempio lo scoiattolo si ciba preferibilmente di ghiande, noccioli e pinoli, il pettirosso mangia preferibilmente insetti, la lepre necessita di prati e terreni in cui costruire i propri covi, mentre il cardellino necessità di alti arbusti per costruire il proprio nido. Le necessità dell’habitat variano anche secondo la stagione, per esempio l’alimentazione estiva può essere molto diversa da quella invernale (es. cervo e capriolo), oppure il tipo di copertura vegetale che alcuni uccelli hanno bisogno per nidificare può essere diversa da quella necessaria durante l’inverno per sopravvivere. Molte delle necessità specifiche sono condivise da più specie, quindi interventi di miglioramento agroforestale possono portare benefici ad una pluralità di animali. Quindi si può dire che i tre fattori primari (cibo, acqua, rifugio e spazio vitale) definiscono l’habitat della specie animale. I primi tre fattori sono potenzialmente manipolabili, ma lo spazio vitale è un fattore difficilmente modificabile e quindi è alquanto limitante. Esistono varie tecniche d’intervento per modificare gli elementi di un paesaggio al fine di potenziare e mantenere i fattori primari che influenzano le popolazioni animali presenti. La quantità e la qualità di tali elementi del paesaggio determinano, inoltre, la capacità portante nei confronti delle diverse specie, ovvero il numero di animali che l’unità territoriale (unità paesaggio) può ospitare durante le condizioni stagionali più critiche. Ad esempio, la capacità portante di un territorio nei confronti del cervo dipende dalla presenza di aree adatte allo svernamento invernale nelle quali l’animale può trovare cibo e riparo. 2.1 Aree rifugio

Le aree rifugio possono essere varie in funzione delle specie a cui ci si riferisce ad esempio per il coniglio selvatico o il fagiano sono rappresentate dalle siepi campestri e dal margine forestale. In generale, le aree rifugio devono offrire agli animali un ambiente adatto per riprodursi, per alimentarsi (es. la ruminazione), per riposare, per costruire nidi o tane e per spostarsi in modo sicuro nel territorio. Molte specie presentano delle necessità particolari e quindi possono essere strettamente obbligate nei confronti di alcune tipologie di habitat, come il picchio che necessita della presenza di alberi vetusti o morti per alimentarsi e per costruire il nido. E’ quindi possibile incrementare la biodiversità animale è possibile attraverso misure d’intervento in grado di creare migliori condizioni ambientali per una o più specie. Tornando al picchio è possibile attirarlo o incrementarne la popolazione lasciando una certa quantità di alberi morti in un determinato contesto territoriale. Una maggiore diversità dell’ecomosaico territoriale (diversità di ambienti) comporta un migliore soddisfacimento delle esigenze fondamentali degli animali e quindi è possibile l’insediamento o un migliore mantenimento delle popolazioni. Le due fotografie aeree rappresentano due ambienti agroforestali completamente diversi, nell’ ortofoto (A) l’ecomosaico è molto diversificato con elementi che garantiscono il

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A

rifugio, le risorse alimentari e la disponibilità d’acqua, mentre nell’ortofoto (B) evidenzia un paesaggio agrario alquanto semplificato dove la matrice territoriale è rappresentata da monocoltura di cereali con scarso equipaggiamento di elementi forestali o agroforestali (siepi campestri), e quindi non permette alla maggior parte delle specie animali di soddisfare alcune fondamentali esigenze, come disporre di aree rifugio e di cibo in tutte le stagioni dell’anno. 2.2 Risorse alimentari e idriche

Tutti gli animali si cibano di altri animali o di vegetali per vivere. Un determinato ambiente può soddisfare le esigenze alimentari per alcune specie ma non per altre, un bosco maturo offre risorse alimentari adeguate allo scoiattolo, ma non può soddisfare completamente quelle del cinghiale. Le piante utilizzate come alimento possono fungere anche da rifugio (gli arbusti per il coniglio) o una vegetazione utilizzata come riparo/rifugio può essere utile anche come fonte alimentare. Spesso il luogo di alimentazione è diverso e distante da quello di rifugio, quindi è necessario intervenire con azioni che consentano di ridurre tale distanza. Un giusto collegamento fra le diverse zone a diversa funzione ecologica è fondamentale per raggiungere l’ obiettivi di una corretta gestione faunistica del territorio. Tali collegamenti

B

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rappresentano una rete ecologica locale realizzata con elementi naturali o seminaturali quali le fasce boscate e le siepi campestri. Molti animali, nei confronti delle fonti alimentari, sono generalisti, mentre altre specie sono più specialistiche ovvero dipendenti dalla presenza di determinate piante o animali. Lo sfruttamento delle risorse alimentari di un territorio da parte delle popolazioni animali presenti è complesso ed articolato, da questo si deduce, che in territori semplificati da un punto di vista strutturale, per raggiungere obiettivi di potenziamento o miglioramento delle di una o più popolazioni animali, è necessario implementare azioni che creino le condizioni necessarie tese al soddisfacimento delle necessità in rifugio, cibo e acqua. La presenza di risorse idriche è un altro importante fattore limitante per la presenza di popolazioni di animali, quindi la protezione ed il mantenimento delle sorgenti, delle pozze di abbeverata, dei torrenti e fiumi, dei fontanili e delle rogge è di fondamentale importanza. In ambienti agrari semplificati un obiettivo gestionale deve essere quello di disporre di acqua in zone prossime ai rifugi o alle aree di pastura (alimentazione). 2.3 Home range (area vitale)

L’area vitale corrisponde allo spazio che un animale frequenta per soddisfare i propri bisogni. L’ampiezza di tale area è in funzione del sesso dell’animale, del periodo dell’anno e della qualità ambientale (vocazione per la specie) dell’area stessa. Un’area vitale con una scarsa qualità ambientale avrà una superficie maggiore rispetto ad una altamente vocata per la specie considerata, in quanto l’animale sarà costretto ad esplorare una maggior superficie territoriale alla ricerca di ambienti e risorse che possono soddisfare le sue necessità. 2.4 L’ambiente forestale e la fauna selvatica

L’ambiente forestale svolge un ruolo fondamentale per le popolazioni animali, non solo per quelle che sono specifiche per questo ambiente, ma anche per quelle che frequentano l’orlo forestale (ecotono) dove possono trovare rifugio ed alimentazione. Il rapporto tra la fauna e le aree forestali dipende dalla struttura verticale ed orizzontale di queste ultime. L’ecosistema non è statico ma presenta un equilibrio dinamico che porta a dei cambiamenti d’ambiente anche nel breve e medio periodo, e con questi cambiamenti le specie animali e vegetali presenti cambiano sia in specie che in quantità. Il mutamento dell’ambiente forestale, indotto da tale equilibrio dinamico, viene schematizzato con la successone forestale. 2.4.1 La successione forestale

La successione forestale ed il regime idrico del suolo determinano le caratteristiche di un determinato habitat forestale. Ogni suolo, con le sue caratteristiche agronomiche e idriche, presenta una determinata copertura vegetale che si evolve nel tempo. L’evoluzione della copertura vegetale, attraverso stadi successivi, viene chiamata “successione forestale”. In linea generale si può affermare che ogni formazione forestale tende ad un equilibrio dinamico che porta alla rinnovazione della foresta. Lo stadio finale della successione, se non perturbato, tende a restare in equilibrio per lungo tempo. Quando per l’azione dell’uomo o per altre cause naturali (incendi, uragani, cambiamenti del regime idrico del suolo) la foresta allo stadio finale viene compromessa inizia una nuova evoluzione verso un nuova serie di stadi d’equilibrio dinamico.

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Come già detto, gli stadi di equilibrio non rappresentano una fase statica, ma una fase estremamente dinamica attraverso la quale le componenti arboree in decadenza vengono sostituite dalla rinnovazione naturale. I vari stadi evolutivi della succesione primaria possono essere così schematizzati: 1) Terra nuda (stadio iniziale) con copertura erbacea 2) Stadio di arbusteto 3) Fase di insediamento delle specie arboree o di rinnovazione 4) Fase di competizione 5) Fase di stablizzazione (biostasi) 6) Fase di decadenza La modalità con cui si sviluppano le diverse fasi dipende dal funzionamento del sistema forestale e dal grado di perturbazione a cui è sottoposto. La successione forestale inizia con una successione primaria se il substrato è privo di ogni copertura vegetale, esempio colate di lava, sabbie, limi o ghiaie abbandonate dai corsi d’acqua, oppure con una successione secondaria se la copertura vegetale è andata distrutta.

Colonizzazione del greto di un fiume, da parte del pioppo.

Colonizzazione di frassino ai margine di un bosco di conifere

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In generale la successione secondaria inizia con la fase di rinnovazione con la decadenza del soprassuolo del ciclo precedente e spesso avviene sottocopertura, successivamente si instaura una forte competizione che determina una stabilizzazione del popolamento forestale caratterizzato da una copertura colma. Al termine della fase di stabilizzazione il soprassuolo inizia una fase di decadenza e la rinnovazione comincia ad insediarsi e a volte inizia anche la fase di competizione. Questo meccanismo di perpetuazione è riferito ai boschi naturali, mentre nei boschi governati dall’uomo si riscontrano degli stadi di sviluppo del popolamento, ad esempio per una fustaia coetanea gestita secondo le tecniche della selvicoltura classica i vari stadi sono i seguenti:

• Novellato • Posticcia • Spessina • Perticaia • Fustaia matura • Fustaia ultra matura

Ogni fase della successione è caratterizzata dalla presenza di una comunità animale correlata a quella vegetale. Il meccanismo della successione forestale è da sempre alterato dall’azione dell’uomo (taglio, messa a coltura, incendi, uragani, ecc….), quindi nella realtà non si ha una vera e propria successione articolata nelle varie fasi. La natura, comunque, non rinuncia ha riconquistare il proprio spazio, e come succede nei territori collinari o di montagna, il bosco ricolonizza gli spazi, che gli erano propri, abbandonati dall’attività agricola o zootecnica (pascoli).

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La successione forestale può essere ritardata o accelerata in funzione degli obiettivi gestionali, ad esempio possono essere mantenute o create delle aperture nella copertura forestale (“Buche” o radure interne) e accelerare con interventi di riforestazione o di diradamento in favore di alcune specie. 2.4.2 La struttura verticale La vegetazione presente in una unità forestale può essere classificata in funzione del piano verticale occupato dalle sue chiome. Il primo piano è quello della vegetazione erbacea che cresce vicino al suolo. Il secondo piano è quello formato principalmente da arbusti di varia grandezza e giovani alberi, per questo viene indicato come strato arbustivo. I piani seguenti sono formati dalla chioma degli alberi e sono chiamati strati arborei. I diversi tipi di piani della foresta sono in stretta relazione gli uni con gli altri. Tale equilibrio è di fondamentale importanza per l’evoluzione del popolamento e per la presenza della fauna. Popolamenti forestali evoluti a stadio maturo o stramaturo possono presentare piani diversi sia come numero sia come tipologia. Ad esempio un certo tipo di foresta matura può avere una struttura verticale complessa, con la presenza di diverse tipologie di piano, un’altra, invece, può avere solamente il piano arboreo. Questa differenza di tipologia di struttura verticale influisce notevolmente sull’habitat, sia nei confronti della rinnovazione naturale sia per la presenza e consistenza della componente faunistica. Ad esempio, il cervo in una foresta con buona presenza del piano erbaceo ed arbustivo riesce facilmente ad alimentarsi, mentre in una foresta che possiede solo il piano arboreo non trova una quantità di alimento sufficiente. Una foresta con uno o pochi piani arborei possiede una bassa biodiversità, un habitat non idoneo per la vita di quelle specie che necessistano di strati erbacei ed arbustivi per vivere. Le fustaie, in funzione dei diversi piani presenti, vengono così classificate:

• fustaie monopoplane • fustaie biplane • fustaie multiplane

2.4.3 La struttura orizzontale (o tessitura)

Quando tutta la superficie forestale presenta un simile stadio di successione e un’uguale struttura verticale, la struttura orizzontale è spessa ed uniforme, e quindi la tessitura è omogenea. Nel caso in cui la superficie forestale è caratterizzata dalla presenza di zone a diversi stadi di successione e di struttura verticale, l’habitat nel suo complesso è diversificato, ovvero rappresenta un mosaico avente una tessitura di diversa tipologia: grossolana, fine ed intermedia, ovvero definita in funzione di come le diverse unità del mosaico si distribuiscono nello spazio. In questo caso la biodiversità è maggiore ed in particolare la fauna può soddisfare più facilmente le proprie necessità ambientali (alimentazione, copertura, rifugio ecc…). Importante è che all’interno del mosaico i vari gruppi a stadi diversi siano a contatto fra loro per poter svolgere una funzione continua di rifugio per la fauna. (rete ecologica interna per la fauna). In generale si può dire che un mosaico ambientale più articolato possiede una maggiore potenzialità per accogliere un maggior numero di specie vegetali ed animali, ma ogni unità

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elementare del mosaico non è adatta per tutte le specie, in quanto una data specie trova i requisiti di habitat solo in una o poche unità. Seguendo questa logica sarebbe bene avere una diversificazione basata solo su un numero basso di tipologie di stadi di successione. Un mescolamento di habitat (mosaico) comporta la presenza di più margini (ecotoni) tra i diversi ambienti, e questo aumenta la consistenza delle specie ecotonali. 2.4.4 L’ecotono

L’ecotono è un’area di transizione tra due ambienti o comunità vegetali confinanti. (es. il margine del bosco) La fascia ecotonale può avere diversa ampiezza : un passaggio repentino da un habitat ad un altro origina una fascia ecotonale molto ristretta, diversamente un passaggio graduale tra due habitat forma uno spazio ecotonale più ampio. La fascia ecotonale viene frequentata da molte specie che trovano in essa una gran varietà di cibo, copertura e rifugio, per questo vengono dette specie “ecotonali”. In generale le fasce ecotonali di buona ampiezza ospitano più specie di animali e vegetali, rispetto ad una fascia ecotonale di modesta entità o ridotta: infatti il concetto di effetto ecotonale o di margine deve essere correlato alle necessità di area vitale (Home Range) delle diverse specie. Aldo Leopold (1933) dimostrò che il numero di specie faunistiche e la loro densità sono più elevate negli ecotoni che in ciascuno degli stessi habitat presi separatamente. L’ecotono, come già descritto, è la linea di contatto tra due o più ambienti diversi che assume conformazioni, geometrie e andamenti diversi. In molti casi è ben definito, con aspetto, geometria e andamento regolari, in altri casi è rappresentato da una zona di transizione in cui le diverse tipologie d’ambiente a contatto fra loro si inseriscono gradualmente le une nelle altre. Esempio di ecotono tra una siepe campestre pluristraticicata e le coltivazioni agrarie

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Esempio di ecotono forestale complesso, ambio ed articolato in microambienti Esempio di ecotono forestale “netto” e poco diversificato

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Gli ecotoni possono essere classificati anche in funzione della loro permanenza nel paesaggio: Ecotoni permanenti: rappresentano elementi stabili in un contesto paesaggistico che si è originato da specifiche caratteristiche pedologiche, topografiche, climatiche e di uso antropico delle risorse. Questi elementi possono subire delle modificazioni dovute a cause naturali che li modificano lentamente, o per l’azione antropica che può causare delle modificazioni anche in tempi molto brevi. Quindi possono essere considerati elementi relativamente permanenti di un determinato contesto paesaggistico. Inserire esempi: siepi campestri, bordure prative ecc. del paesaggio agrario. Ecotoni temporanei: rappresentano dei cambiamenti a breve o medio periodo all’interno della vegetazione provocati da fenomeni naturali o dall’azione dell’uomo. Ad esempio in un popolamento forestale sono rappresentati dal contatto di due stadi di successione di diversa età che si sono differenziati per disturbi naturali, come il fuoco, la caduta di alberi vetusti (chabblis) o a causa dei tagli di curazione o di utilizzazione. Le attività umane che agiscono sulla vegetazione, come la coltivazione, il pascolo e la selvicoltura possono originare, nelle varie tipologie di vegetazione, questo tipo di fasce ecotonali. Le attività selvicolturali e le attività di gestione faunistica dell’ambiente sono occasioni preziose per creare questo tipo di margini. 2.4.5 La geometria forestale e l’ecotono Fu Aldo Leopold che, studiando l’ecologia del colino della Virginia e i suoi bisogni nei diversi ambienti (foresta, campi coltivati e arbusteti), ha avuto l’idea di giustapporre diversi tipi di ambienti per migliorare la qualità dell’habitat di tale specie. Una specie avente un’area vitale ristretta ha la possibilità di trovare in una zona di modesta ampiezza tutto quello che gli è necessario per soddisfare i propri bisogni. La qualità dei margini ecotonali è condizionata dalla loro forma (geometria) e dalla ampiezza della superficie foretale e dallo stadio evolutivo del popolamento. Ad esempio per un bosco di 10 Ha la forma circolare è quella che esprime uno sviluppo ecotonale minore. Più la forma geometrica si allontana da quella circolare, più lo sviluppo perimetrico aumenta. Il quadrato è migliore del cerchio e il rettangolo possiede uno sviluppo ancora migliore, soprattutto quando la lunghezza è molto più grande della larghezza. Le forme irregolari sono comunque quelle che originano sviluppi perimetrali molto consistenti ed hanno un aspetto alquanto naturale. Il modo in cui è frazionata la superficie condiziona lo sviluppo perimetrale a parità di ampiezza. A titolo di esempio, se si considera un popolamento forestale di 10 Ha in un corpo unico quadrato lo sviluppo perimetrale è di 1.264,9 m, suddividendolo in due corpi quadrati di 5 Ha ciascuno lo sviluppo perimetrale totale è di 1.788,8 m, suddividendo ulteriormente in quattro corpi quadrati di 2,5 Ha ciascuno si determinerà uno sviluppo perimetrale totale di 2.529,8 m. Quindi dividendo una grande superficie forestale in piccole superfici non continue si può aumentare la qualità relativa dello sviluppo dei margini. Per migliorare il valore ecologico dei margini esistono diverse tipologie d’intervento, la cui applicazione è in funzione dell’autoecologia delle specie d’interesse o della biodiversità in generale. I fattori più importanti da considerare sono i seguenti:

• composizione floristica; • diversità della struttura della copertura vegetale (stadio di successione o

selvicolturale, struttura verticale e orizzontale); • lunghezza dei margini ecotonali

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• superficie della fascia ecotonale o dell’accavallamento dei diversi tipi di ambienti 2.4.6 La necromassa forestale e la fauna selvatica(CWD corse woody debris)

Con il termine necromassa forestale si considerano sia i rami secchi di un albero invecchiato sia gli alberi completamente morti in piedi o a terra, o altre parti di piante come le ceppaie. La presenza di legno morto in un popolamento forestale è di fondamentale importanza per il mantenimento della biodiversità, in quanto rappresenta molteplici microhabitat per alcune centinaia di specie di invertebrati, per gli anfibi, per piccoli mammiferi e per gli uccelli. Alcuni ricercatori (Hunter 1990, Mc Comb 1999 ed altri) hanno rilevato che tra il 20% e il 40% delle specie in un ecosistema forestale dipendono dalla presenza di cavità in alberi morti, e una ricerca (stoklana 2004), condotta nei paesi scandinavi, ha evidenziato che circa 6000-7000 specie dipendono dalla presenza di legno morto. In generale, la presenza di necromassa gioca un ruolo chiave negli ecosistemi forestali: sequestra il carbonio, protegge i versanti dal’erosione, contribuisce al mantenimento della biodiversità e induce ad un aumento complessivo della produttività forestale. In particolare, il legno morto favorisce la formazione di humus recettivi la rinnovazione naturale dei soprassuoli e garantisce una fonte costante di elementi nutritivi nel suolo. La necromassa, come già detto, esprime un insieme di microhabitat che si evolvono nel tempo e la sua qualità e utilità per le diverse specie dipende dal suo grado di decomposizione, dalla specie vegetale che la caratterizza, dall’età dell’albero morto, dalla causa della morte, dalla posizione e dalle dimensioni dell’albero da cui si è originata, anche in relazione alle condizioni climatiche e microclimatiche della zona (Ryberg 2004). Gli elementi perturbativi dell’ecosistema forestale (eventi meteorici estremi, incendi, attacchi parassitari, ecc…) producono necromassa e nello stesso tempo creano, in un complesso boschivo, una diversificazione della struttura orizzontale, ovvero un mosaico di eco-tessere differenziate per stadi di successione forestale:

1. rinnovazione 2. competizione 3. biostatica 4. decadimento

Nelle foreste temperate l’azione del vento causa, all’interno di un popolamento forestale lo sradicamento degli alberi (chablis), spezza le piante ad una determinata altezza (volis, snags). Ogni eco-tessera forestale presenta una dotazione caratteristica dotazione di necromassa, dipendente

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dallo stadio di successione: allo stadio di rinnovazione sussiste una forte presenza di chablis, mentre il loro numero diminuisce e possiede minori dimensioni negli stadi biostatici e di decadimento, dove il legno morto si origina a causa della competizione tra i singoli alberi o per il distacco di branche. Quindi, la formazione di necromassa in foresta è un fenomeno casuale dipendente dalla frequenza e dalla intensità delle perturbazioni. La maggior diversità specifica si riscontra in presenza di legno morto di grandi dimensioni e con elevato grado di decomposizione. Fondamentale è anche la presenza dei cosiddetti “Habitat trees”, vecchi alberi con cavità marcescenti che permangono per lunghissimo tempo. Queste cavità sono in continua evoluzione e generano habitat complessi e stabili, importanti per la presenza di specie specializzate e rare di insetti saproxilici. All’interno delle cavità si formano dei microambienti diversificati: acqua e humus sul fondo, rasure di insetti e pareti progressivamente più secche verso l’alto. Tra le specie ornitiche sono molte quelle che utilizzano la necromassa forestale per soddisfare le proprie necessità. I picchi si nutrono degli insetti che vivono nel legno (fot lanca di azzanello) ed utilizzano il loro possente becco per scavare dei fori su vecchi alberi o già morti per ricavarne cavità adatte alla nidificazione. Quando i picchi abbandonano le cavità di nidificazione, queste spesso sono utilizzate da altre specie come le cincie, il picchio muratore, i gracchi, il luì piccolo, la taccola, il pigliamosche e le balie e la civetta capogrosso. 2.4.7 L’ambiente forestale e la fauna ungulata

Il bosco e la foresta rappresentano gli elementi più importanti per qualificare lo spazio in cui vivono gli ungulati. Infatti, la loro estensione e le loro caratteristiche ecologiche assumono una straordinaria importanza per la conservazione di queste specie selvatiche. Da questo discende che è imprescindibile che una corretta gestione forestale debba tener conto delle esigenze della fauna selvatica, al fine di garantire un giusto equilibrio dell’ecosistema forestale. La selvicoltura classica, nata ed applicata a partire dalla seconda metà del XVIII° secolo e basata su una razionalizzazione dell’utilizzazione e della rinnovazione dei soprasuoli forestali, ha portato ad una semplificazione del bosco, privilegiando la presenza di alcune specie e di strutture che garantiscono una sufficiente rinnovazione e i più alti livelli produttivi. In questo modo la naturale variabilità è andata sempre più diminuendo, riducendo il bosco ad un semplice sistema di produzione, ovvero a un complesso di alberi in grado di produrre legno e di rinnovare il soprassuolo. Questa semplificazione non ha riguardato solamente la diversità delle specie presenti, ma anche la diversità strutturale sia a livello del singolo popolamento forestale che territoriale. Tale impostazione tecnica gestionale ha portato ad avere la maggior parte di complessi forestali che non sono in grado di rispondere alle esigenze ecologiche di alcune specie di ungulati, in particolare per il cervo e, in maniera meno evidente, per il capriolo. Questa situazione forestale, congiuntamente all’espansione delle popolazioni animali, porta inevitabilmente ad un disequilibrio, con un grave impatto della fauna selvatica a carico dei soprasuoli e, soprattutto, della rinnovazione naturale. Non si tratta solamente di un problema selvicolturale, ma è, e deve essere, una tematica di più ampio respiro che coinvolge l’attività venatoria, il mondo agricolo e turistico ,e più in generale, il settore della gestione e pianificazione territoriale.

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Gli ungulati sono un elemento fondamentale dell’ecosistema forestale e una loro eliminazione o notevole riduzione a favore del bosco, come è avvenuto in passato, non è più una strada praticabile sia dal punto di vista ecologico che etico. La conservazione congiunta ed equilibrata del bosco e delle popolazioni di ungulati rappresenta una vera e propria emergenza di interesse pubblico. Una nuova selvicoltura (naturalistica e sistemica) e specifiche tecniche di intervento consentono di ricreare nei boschi e nelle foreste un ambiente idoneo alla vita degli ungulati al fine di favorire una loro equa conservazione e di limitare gli impatti negativi precedentemente descritti. Gli animali selvatici devono trovare nel bosco un “ambiente a mosaico” composto cioè da varie superfici in grado di fornire foraggio in tutte le stagioni, un luogo tranquillo e sicuro nei confronti dei predatori e dell’uomo e una copertura per il mantenimento della temperatura corporea nella stagione invernale. Queste esigenze fanno sì che si instaurino delle migrazioni tra le aree di svernamento invernale e i quartieri estivi o primaverili. Tale fenomeno è legato alla ricerca di luoghi adatti a soddisfare le diverse esigenze in funzione della stagionalità. In condizioni di assoluta naturalità le esigenze ecologiche degli ungulati sono soddisfatte dalla “successione forestale”, ovvero dagli stadi di sviluppo con cui la foresta si rinnova. Infatti nei primi stadi di successione (parti o pascoli, arbusteti e rinnovazione naturale) esprimono la più alta potenzialità foraggera e quindi la maggior capacità di fornire alimento agli animali. Negli stadi successivi di sviluppo del popolamento forestale vengono soddisfatte le esigenze di riparo e sicurezza e di riparo termico. Infine nello stadio ultra maturo o di senescenza del bosco viene garantita una struttura arborea in grado di distribuire la neve al suolo e quindi rendere disponibile una certa quantità di foraggio anche durante la stagione invernale. In realtà, in natura il meccanismo della successione forestale non si estende contemporaneamente su tutta la superficie di un bosco o di una foresta, ma piuttosto si trovano aree più o meno rilevanti a diversi stadi di successione che vanno a comporre un mosaico (tessere) diversificato in cui gli ungulati possono trovare le condizioni ideali per soddisfare le loro esigenze. Da questo si può affermare che nello spazio vitale (Home range) della popolazione o di un singolo individuo devono essere presenti ambienti diversificati in grado di soddisfare una o più esigenze. Ad esempio, il pascolo e le radure soddisfano le necessità alimentari, le spessine e le perticaie le necessità di riparo e sicurezza mentre le fustaie mature con rinnovazione svolgono la funzione di riparo termico. Il cervo è un ruminante “intermedio”, cioè si comporta da pascolatore ma anche da brucatore durante la stagione invernale, mentre il capriolo è per eccellenza un ruminante brucatore. Il ruminante “brucatore” si ciba prevalentemente di getti, gemme, fogliame e piante erbacee, ovvero alimenti altamente energetici, mentre il pascolatore si alimenta di piante erbacee dei pascoli naturali o artificiali. Il comportamento da brucatore rende il capriolo una specie che viene definita da “ecotono”, ovvero un animale che vive prevalentemente ai margini del bosco, ove è possibile trovare una eccellente quantità di arbusti, rinnovazione naturale e margini a prato o pascolo. Considerato quanto descritto in merito alla successione forestale, alle esigenze dei cervi e dei caprioli e, in particolare, per ciò che concerne le abitudini alimentari, è possibile individuare il tipo di gestione forestale adatta alla conservazione ed al mantenimento di popolazioni di queste due specie.

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2.4.8 I sistemi selvicolturali La selvicoltura è la scienza nonché la tecnica che si occupa della gestione e conservazione dei popolamenti forestali: l’impianto, l’insediamento, la cura della struttura e della composizione ed il loro utilizzo razionale e multifunzionale. Lo scopo attuale della selvicoltura è quello di concigliare gli obiettivi produttivi con quelli di conservazione della natura e le aspettative della società. Sebbene il bosco lasciato a se stesso sia in grado di perpetuarsi attraverso le fasi di successione forestale, la pratica della selvicoltura, nelle sue varie articolazioni, è estremamente importante per il governo dei processi evolutivi, in quanto la quasi totalità delle foreste sono state fortemente manipolate dall’uomo. Quindi l’arte della selvicoltura odierna consiste nel trovare un giusto equilibrio che permetta all’ecosistema forestale di mantenere e migliorare una buona complessità e funzionalità. Di seguito vengono riportate le principali forme di governo e di trattamento dei popolamenti forestali. Ceduo semplice E’ il sistema selvicolturale che prevede il taglio di tutto il popolamento. Successivamente al taglio si ha una rigenerazione gamica del bosco dovuta allo sviluppo dei polloni dalle ceppaie rimaste al suolo. Lo sfruttamento del bosco avviene tramite tagli ciclici dei polloni delle ceppaie.Questo tipo di sistema non può essere applicato a popolamenti definiti boschi dalla normativa forestale, ma è comunemente utilizzato per la gestione delle siepi e filari campestri o su piccole superfici boscate. E’ certamente il sistema di gestione che riduce, nell’immediato, maggiormente la biodiversità e scopre totalmente il suolo. Ceduo matricinato Il sistema di governo del ceduo matricinato prevede che con il taglio vengano rilasciati i polloni meglio conformati, a cui viene lasciato il compito di produrre seme e quindi nuove piantine per la rinnovazione del bosco (matricine). Con il taglio vengono anche asportate quelle piante che al taglio precedente erano state lasciate come matricine (quindi aventi un’età pari a due volte il turno, ovvero l’arco temporale tra due tagli), e vengono rilasciate le giovani piantine nate da seme (allievi). Ceduo composto A differenza del sistema precedente vengono tagliati tutti i polloni e le matricine di età pari a 3-4 volte il turno, e lasciati in piedi tutte le nuove giovani piante nate da seme, le nuove matricine e una parte delle matricine di età pari a 3 volte il turno. Questo sistema, vista l’elevata densità di matricine presenti, viene anche chiamato ceduo sotto fustaia. Una particolare variante di questo sistema è la “matricinatura a gruppi”, ovvero con il taglio si asporta circa il 25-50% della superficie del bosco, mentre nella restante parte vengono allevati gruppetti coetanei o disetanei di raggio pari all’altezza dominante del gruppo, scalati in cinque o sei classi di età e diradati in occasione del taglio del ceduo, contestualmente si tagliano anche i gruppi più vecchi.

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Questo sistema consente di raggiungere alcuni importanti obiettivi: 1)- Creazione e valorizzazione di microhabitat Le emergenze naturalistiche presenti nell’ecosistema forestale (presenza di specie rare, ristagni, necromassa, punti franosi, ecc…) possono essere salvaguardate. Con questa tecnica si aumentano notevolmente le fasce ecotonale interne al popolamento e viene mantenuta in queste zone la diversificazione strutturale del bosco, evitando il taglio delle piante dominate e dello strato arbustivo. 2)- Biodiversità La maggior diversità strutturale (sia verticale che orizzontale) consente una maggiore presenza di fasce ecotonali garantisce una maggior ricchezza floristica e faunistica, soprattutto nel caso di gruppi con dimensioni maggiori all’altezza dominante dei polloni o delle matricine. 3)- Protezione idrogeologica La matricinatura a gruppi consente maggiori garanzie nei confronti di rischi di erosione puntuali, anche se l’effetto protettivo su l’intera area è minore rispetto a quello svolto dalla matricinatura diffusa. Fustaie La fustaia è sostanzialmente un bosco governato ad “alto fusto” che si rinnova naturalmente o eccezionalmente per piantagione. In base all’età delle piante la fustaia può essere così classificata:

• Fustaia coetanea : è una fustaia in cui gli alberi possiedono tutti la stessa età; • Fustaia disetanea: è una fustaia in cui i vari alberi sono di età diverse.

Di seguito vengono descritte alcune tecniche di gestione e trattamento delle fustaie. Fustaia a taglio raso Questa forma di trattamento prevede la sostituzione del soprassuolo con un solo taglio di tutti gli alberi, e si articola in due forme principali:

a) Taglio a raso con rilascio di portasemi e rinnovazione artificiale; b) Taglio raso con rinnovazione artificiale c) Taglio raso a strisce o a buche, la rinnovazione si basa sulla disseminazione laterale e,

se necessario, su quella artificiale. Si opera con tagliate aventi una superficie da 500 a 5.000 mq che possono avere forma circolare o a strisce. I risultato è quello di avere un mosaico a piccoli popolamenti, con una struttura spaziale disetanea a gruppi.

Fustaia a taglio saltuario E’ la forma di trattamento dei boschi ad alto fusto che persegue l’obiettivo per raggiungere un giusto rapporto tra la produzione legnosa e le necessità di conservazione. Le fustaie così trattate vengono anche chiamate “Fustaie da dirado”. Questo tipo di trattamento si basa su alcuni principi:

1. Tagli con periodicità brevi e regolari (tagli di curazione) 2. Scelta delle piante d’abbattere cercando di conservare o d’instaurare una struttura

disetanea per singola pianta. La rinnovazione dovrebbe procedere attraverso un insediamento a chiazze sparse. L’applicazione di questa tipologia di trattamento è difficoltosa in presenza di specie eliofile, oppure in ambienti in cui l’insediamento della rinnovazione è lento o troppo rapido, come le faggete nelle stazioni più fertili. In questi casi è meglio impiegare trattamenti basati su

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criteri analoghi impostati sulla struttura disetanea a gruppi, senza escludere integrazioni di rinnovazione artificiale. Fustaia a taglio saltuario a gruppi A differenza delle fustaie a taglio saltuario per piede d’albero, questa tipologia tende a mantenere una struttura disetanea formata da gruppi diversi ma sufficientemente omogenei. Questa tipologia d’intervento si differenzia da quella dei tagli successivi a gruppi solamente per il fatto che non viene applicata secondo modelli spaziali precostituiti. Fustaia a tagli successivi E’ la forma di trattamento con cui l’insediamento della rinnovazione naturale viene procurato e governato attraverso una sequenza di tagli ripetuti a brevi intervalli (10-20 anni) : - taglio di sementazione: taglio parziale del soprassuolo con rilascio di alberi portaseme; l'entità del prelievo deve essere compresa fra il 25% e il 50% della massa presente. Con questo taglio si favorisce lo sviluppo delle piante restanti e si scopre parzialmente il suolo. La rinnovazione viene assicurata dal seme che è caduto prima del taglio;

• Tagli secondari con cui si elimina progressivamente parte delle piante rimaste; • Tagli di sgombero, questo intervento si effettua quando la rinnovazione appare

affermata e quindi si procede con l’abbattimento di tutte le piante rimaste nella tagliata.

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Tagli successivi su piccole superfici Con questo tipo di trattamento si creano condizioni ambientali diverse entro spazi ristretti dei margini del soprassuolo utilizzando, ove ne esiste la possibilità, gruppi di prerinnovazione ed eliminando gli alberi adulti che li sovrastano o li circondano. Questa tecnica permette di modificare la composizione e la struttura orizzontale del popolamento, perseguendo obiettivi sia economici sia ecologici. Il trattamento a tagli successivi per piccole superfici può assumere diverse forme1 : Tagli successivi a gruppi La rinnovazione inizia da punti in cui si è insediata

accidentalmente o dove si effettua un taglio di sementazione di alcune decine o centinaia di metri quadri. Intorno a questi gruppi si procede, successivamente, con tagli successivi applicati ad anelli concentrici. Tale forma di trattamento facilita la disetaneizzazione del popolamento in senso spaziale.

Tagli successivi a strisce Il taglio di sementazione viene attuato lungo una striscia larga da uno a due volte l’altezza media degli alberi, e poi, successivamente, si esegue un nuovo taglio di sementazione su una striscia adiacente, quando la rinnovazione della prima striscia si è affermata.

Tagli successivi ad orlo (Tagli marginali di Wagner)

Si taglia a raso una striscia, accanto alla quale un’altra striscia viene tagliata da sementazione. La rinnovazione è più efficace nella striscia a taglio raso.

Tagli successivi a gruppi e a strisce

Tale metodo combina i due precedenti, una volta ottenuta la rinnovazione dei gruppi, questi vengono collegati con un taglio a strisce. La rinnovazione inizia da un margine del popolamento.

Queste forme di trattamento sono caratterizzate dai seguenti elementi:

a) estensione, forma e orientamento delle tagliate b) andamento del margine delle tagliate c) utilizzazione della prerinnovazione comparsa accidentalmente o indotta d) durata del periodo di rinnovazione e) combinazione del principio dei tagli successivi con i principi del taglio raso e del

taglio saltuario

Fustaia a femelshlag Con questo termine si intendono diverse forme di trattamento, con cui inizia la rinnovazione su piccole superfici e sottocopertura parziale all’interno del soprassuolo partendo da più centri di rinnovazione scalati nel tempo. Fustaia transitoria

La fustaia transitoria è un popolamento precedentemente governato a ceduo che viene convertito in governo a fustaia.

1 P. Piussi “selvicoltura generale”

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Questa tecnica di conversione del ceduo matricinato prevede l'esecuzione, in genere dopo un periodo di invecchiamento (pari a 1,5-2 volte il turno del ceduo), di un diradamento del ceduo (taglio di avviamento all’altofusto) con rilascio di un elevato numero di allievi (più di 800/ha) ed eventualmente delle matricine presenti. A questo primo intervento ne seguiranno degli altri condotti con criteri analoghi a quelli adottati nei tagli intercalari della fustaia. Fustaia chiara La fustaia chiara è un particolare tipo di bosco costituito da una fustaia disetanea a cui è associato un ceduo (soprassuolo secondario) da sottoporre a un controllo affinché non possa impedire la rinnovazione da seme. Tale modello è indicato per la conversione di cedui misti con composizione specifica di mesofile e mesotermofile, con sottobosco di specie sciafile. 2.4.9 La selvicoltura prossima alla natura Uno dei principali fattori che determinano la biodiversità di ambienti all’interno di un ecosistema forestale è la dinamica intrinseca ad esso. La comunità eco sistemica è influenzata da una serie di disturbi che avviano fasi successionali diversificate, le quali determinano un aumento della diversità e della variabilità dell’ambiente forestale. La massima diversità a livello di bioma (diversificazione spaziale di stadi o fasi cronologiche di sviluppo) si riscontra quando sullo stesso soprassuolo forestale si sono verificati il più alto numero di disturbi (schianti e ribaltamento di alberi, incendi, ecc..), in quanto su quella superficie è possibile che siano presenti contemporaneamente più stadi successionali o più fasi cronologiche. Il risultato di questa dinamica è l’instaurarsi di un mosaico di microambienti nei quali possono essere presenti specie con autoecologia (necessità ecologiche) anche non molto diversa. La diversità descritta non solo è in funzione del numero di disturbi sull’unità di superficie, ma anche della loro periodicità e dalla intensità. Nei boschi naturali le aperture dovute alla caduta di alberi (disturbo) consentono l’affermarsi della rinnovazione naturale, ovvero l’inizio di una nuova fase di successione. Apparentemente le foreste, essendo caratterizzate da cicli molto lunghi, ci possono apparire come una comunità statica, mentre nella realtà il dinamismo è intenso e descrivibile attraverso le successioni forestali, le quali possono essere caratterizzate da una specifica ricchezza di specie e diversità differenziate. Ad esempio le specie successionali pioniere a crescita veloce sono poi sostituite da specie successionali definitive caratterizzate da uno sviluppo più lento. Da quanto descritto una gestione forestale eco-sostenibile deve salvaguardare la complessità funzionale dell’ecosistema e considerare che l’ambito forestale è caratterizzato da cicli molto lunghi e gli interventi gestionali o di ripristino possono essere giudicati e valutati solo dopo molti anni. Un modello di naturalità, intesa come interazione tra la funzionalità ecologica e diversità genetica, è rappresentato, secondo le scuole ecologiche statunitensi e canadesi, dalle old-forest growth (foreste vetuste), in quanto considerate gli ecosistemi forestali caratterizzati dal più alto valore conservativo di specie. Queste foreste possono originare la più alta variabilità di Habitat e di sostenere le più ampie catene trofiche di vita naturale.

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Le old-foreste growth sono quei soprassuoli (Hunter) in cui la composizione specifica si è stabilizzata, l’incremento di biomassa annuo medio è prossimo allo zero, l’età media è superiore al tempo che intercorre tra la rinnovazione/disturbo e la fase di degradazione, gli alberi del piano dominante posseggono un’età equivalente a quella della vita media attesa per la specie in una particolare stazione, l’utilizzo è assente o molto limitato. Queste foreste sono caratterizzate dalla presenza di una notevole quantità di biomassa e si possono riconoscere distribuzioni aggregate di alberi isodiametrici dello stesso stadio cronologico in numero e ampiezza che origina, nel popolamento, una struttura articolata. Secondo Oldeman una foresta vetusta può essere interpretata come un mosaico dinamico nello spazio e nel tempo, costituito da sub-ecosistemi, denominati eco-unità e definita come “ogni superficie sulla quale ad un certo momento una parte di foresta si insedia ed inizia a vivere secondo una propria dinamica”. Le fasi che contraddistinguo le eco-unità e la loro evoluzione nello spazio e nel tempo sono rappresentate dagli stadi della successione forestale: rinnovazione, costruzione/competizione, biostasi, degradazione e morte. Considerando ampi popolamenti forestali le eco-unità interagiscono creando rapporti tra loro e originando un “mosaico forestale”, cioè un “complesso forestale il quale, occupando spazi relativamente estesi e caratterizzati da condizioni stazionali uniformi, si identifica per un proprio dinamismo strutturale che risulta in una certa composizione di eco-unità che determinano l’architettura e le funzioni biologiche fino a quando tali condizioni permangono invariate”2 Le osservazioni inerenti queste foreste sono molto istruttive perché possono essere utilizzate come riferimento di una gestione forestale di tipo conservativo. La selvicoltura prossima alla natura mira a migliorare la biodiversità in generale e la diversità specifica, la protezione e il mantenimento della biodiversità in foresta devono essere considerati un obiettivo gestionale, da integrare nella pianificazione forestale accanto alle normali programmazioni di tipo economico.3 In quest’ottica non viene escluso nessuno degli interventi selvicolturali conosciuti, in quanto ognuno può essere utile a valorizzare il potenziale ecologico e/o produttivo del bosco, favorire la conservazione o la ricolonizzazione di specie e relazioni nell’ecosistema forestale e può rendere l’ecosistema più adatto a rispondere alle sollecitazioni o alle aspettative della società. La selvicoltura non si riduce quindi ad un problema di tecniche, ma è il modo con cui esse vengono applicate che qualifica, in termini ecologico-sostenibili, gli interventi selvicolturali. L’applicazione delle varie tecniche selvicolturali devono anche basarsi sulle tipologie forestali di riferimento e sui loro meccanismi evolutivi. 2.5 L’ambiente agrario e la fauna selvatica

Il paesaggio dell’ambiente può assumere diversi aspetti, dall’ambiente complesso e diversificato dell’agricoltura tradizionale, a quello estremamente semplificato e monotono delle grandi monocolture di cereali. Nell’ambiente agrario, nelle sue varie configurazioni, si possono riconoscere degli elementi caratterizzanti, alcuni dei quali sono di estrema importanza per la conservazione di specie faunistiche. 2.5.1 Le siepi campestri

Le siepi campestri sono degli elementi lineari creati dall’uomo e che caratterizzano il paesaggio agrario dei territori agricoli di quasi tutti i continenti. L’uomo ha realizzato queste siepi per vari motivi: delimitare le proprietà fondiarie, riparare 2 Oldeman “”elements of silvology” 3 PROSILVA associazione europea di forestali che praticano la selvicoltura prossima alla natura

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dal vento e dalle intemperie le coltivazioni ed il bestiame al pascolo e per produrre legna da ardere, che fino a pochi decenni fa era di estrema importanza per le popolazione rurali. La loro natura artificiale non ha impedito che molte specie vegetali ed animali si adattassero a vivere in questo habitat, infatti la loro valenza naturalistica, estrinsecata a vari livelli, è fondamentale per l’equilibrio ecologico di aree agricoli più o meno intensamente coltivate. Le siepi campestri sono importanti per il mantenimento di popolazioni, o meglio meta-popolazioni, di animali che utilizzano la siepe come zona di rifugio, di alimentazione e per la riproduzione. Anche diversi mammiferi si sono adattati a vivere in queste elementi forestali lineari, ad esempio la donnola, il ghiro, lo scoiattolo, il coniglio selvatico, la lepre comune, il tasso, la faina e persino il capriolo se le ampiezze e la densità delle siepi lo consentono. La presenza delle siepi campestri consente di mantenere nel territori agrario uccelli, invertebrati e micro-mammiferi che possono controllare specie dannose per le coltivazioni agrarie. Per comprendere meglio la funzione di una siepe presente in un territorio o per realizzarne una nuova, occorre conoscerne alcune caratteristiche fondamentali:

• La biodiversità della siepe Maggiore è il numero delle specie vegetali e la loro ripartizione nelle categorie (alberi, arbusto e vegetazione erbacea) maggiore è la possibilità che possa accogliere un elevato numero di specie animali. Infatti la presenza di specie di arbusti a fioritura differenziata nel tempo consente ad alcune specie animali di aver a disposizione cibo per un periodo più ampio. Un semplice esempio lo abbiamo con le siepi campestri arboree dove la componente vegetale è rappresentata quasi esclusivamente dalla robinia pseudoacacia. Tale siepe presenta un’abbondante fioritura concentrata in un periodo ristretto in primavera, viceversa se la componente vegetale fosse rappresentata da più specie con fioriture differenti le api potrebbero raccogliere il nettare ed il polline per un periodo decisamente più lungo.

• Maturità della siepe La maturità della siepe comporta, normalmente, la presenza di un maggior numero di

specie presenti. Esistono nel nostro territorio anche siepi molto antiche, probabilmente il residuo di lembi degli antichi boschi planiziali, nelle quali si rinvengono specie di difficile ritrovamento, e che costituiscono un serbatoio biologico per potenziali ricolonizzazioni. La quasi totalità delle siepi campestri presenti nei comprensori agricoli, sono siepi agrarie create dagli agricoltori e gestite a ceduo (ceppaie), oppure siepi spontanee come quelle che si originano in lembi di terreni abbandonati, lungo le linee ferroviarie o le scarpate stradali. Generalmente queste siepi, anche di notevoli dimensioni, possiedono un basso valore naturalistico, perché costituite da piante esotiche infestanti come la robinia, l’ailanto e l’acero negundo.

• La struttura forestale e dimensione della siepe Una struttura irregolare della siepe, sia nel senso della diversità di altezze e di età degli

alberi ed arbusti, permette alle popolazioni animali di trovare ambienti adatti alle proprie necessità. Ad esempio, diverse specie di uccelli necessitano di altezze di alberi diverse per poter nidificare, così anche diverse specie di mammiferi, che hanno bisogno di particolari micro-ambienti per avere un ambiente adatto al rifugio e alla riproduzione. In generale una maggior ampiezza trasversale consente ad una maggior quantità di specie d’insediarsi e permette d’avere una maggior complessità strutturale.

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Una sufficiente ampiezza e una buona complessità strutturale, sono in grado di originare delle aree o micro ambienti protetti, all’interno della siepe, da eventi climatici negativi, da potenziali inquinamenti e da predatori. La presenza di diversi microambienti permette a molte specie di poter avere nella siepe dei siti rifugio, ad esempio: La starna, il fagiano, la pernice rossa ed il coniglio selvatico (tane) trovano un ambiente-rifugio ideale nelle zone con vegetazione arbustiva densa o vegetazione ultra matura. In particolare la pernice rossa ed il coniglio selvatico preferiscono, generalmente, zone con arbusti bassi in cui predominano il rovo, il ligustro e il viburnum lantana in associazione con graminacee come l’erba mazzolina. La lepre preferisce siepi meno fitte per poter sfuggire più agevolmente in caso di pericolo. Analogalmente anche i siti per la riproduzione possono essere diversificati e risultare idonei a diverse specie, ad esempio:

• I merli e i tordi prediligono la vegetazione arbustiva per nidificare; • La tordela nidifica sulle biforcazione dei rami; • Il colombaccio usa le capitozze o le forcelle di maggiori dimensioni delle querce,

platani o dei frassini invase da edera per costruire il nido e proteggerlo dalla vista dei predatori;

• La tortora nidifica zone dove sono presenti grandi noccioli e biancospini. La diversificazione della siepe, influisce sulla sua funzione trofica, sia come azione diretta, attraverso la produzione di frutti e germogli, sia come azione indiretta, ovvero la presenza di numerose specie come gli insetti o piccoli roditori che costituiscono la base alimentare di altre. Ad esempio, il colombaccio si nutre dei frutti dell’edera o di ghiande; i tordi ed il merlo consumano bacche di biancospino; i pulcini dei galliformi e gli uccelli insettivori (silvie e cince) si cibano di insetti (trofia indiretta); infine i piccoli roditori rappresentano una fonte di nutrimento per molti predatori (rapaci, carnivori e rettili). La presenza di micro ambienti può essere favorita già nella fase d’impianto, oppure attraverso la gestione della siepe. Nella fase d’impianto o con la gestione possono essere attuati alcuni accorgimenti progettuali o gestionali, prevedendo:

• zone senza vegetazione; • zone con accumulo di pietre o ramaglie (pile) utili per favorire la funzione di rifugio; • zone con solo vegetazione erbacea alta e bassa; • arbusti di varie dimensioni, per migliorare le possibilità di rifugio e la funzione

trofica; • alberi a diversi stadi di maturità, elemento fondamentale per dare la possibilità a più

specie per trovare rifugio e riprodursi; • alberi morti, decadenti o marcescenti (necromassa); • piantare la siepe ad una quota maggiore di quella di campagna (terrapieno), che

consente di favorire la localizzazione di tane e nidi; • fasce in adiacenza alla siepe mantenute inerbite • fasce o tratti di suolo lavorato; • ampiezza minima di 2m, per permettere un minimo di diversificazione ambientale; • Orientamento perpendicolare ai venti dominanti, che consente alla fauna selvatica di

aver un lato protetto e più riparato dalle intemperie.

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Le principali funzioni della siepe nel paesaggio agroforestale

• Funzione ecologica Quanto detto nei paragrafi precedenti evidenzia l’importanza della siepe per il

mantenimento dell’equilibrio ecologico di un territorio agrario, soprattutto per il mantenimento di popolazione di animali (metapopolazioni). Le siepi costituiscono gli elementi più importanti per il collegamento di aree a più o meno elevata naturalità, perseguendo gli obiettivi della realizzazione di una rete ecologica territoriale, ovvero fungere da corridoi biologici. Il corridoio biologico consente la dispersione di molti organismi, favorendo i processi di colonizzazione e riducendo la probabilità d’estinzione di una specie in ambienti molto “isolati”. I corridoi biologici, per estrinsecare al meglio la loro funzione ecologica, devono avere caratteristiche ambientali simili agli ambienti che mettono in comunicazione, ad esempio per mettere in collegamento due boschi la siepe deve avere una struttura di tipo forestale. Le siepi campestri di una certa ampiezza poste lungo i corsi d’acqua svolgono l’importante funzione di “fasce tampone”. Le funzioni di filtro delle fasce tampone sono esercitate dagli ambienti di transizione tra ecosistemi terrestri e acquatici, attraverso meccanismi di fitodepurazione. L’azione tampone consiste nel contenimento dei carichi inquinanti che dall’ecosistema a monte si riversano in quello a valle.

• Funzione produttiva La siepe campestre ha sempre svolto il ruolo. Nel caso di un nuovo impianto di siepe la

sua progettazione deve prevedere un’accurata scelta delle specie arboree da mettere a dimora, un giusto sesto d’impianto e una gestione selvicolturale adatta agli obiettivi produttivi predefiniti (fustaia-ceduo, ceduo sotto fustaia, ceduo matricinato).

• Funzione protettiva nei confronti delle coltivazioni agrarie La presenza di siepi in un territorio agrario produce delle modificazione del microclima,

con il risultato di aumentare, nel complesso, la produttività delle coltivazioni adiacenti. Questo fenomeno è dovuto principalmente al loro effetto frangivento, ovvero alla capacità di opporsi alle masse ventose, diminuendone la velocità fino al 30-50%, soprattutto nello strato più basso vicino al suolo e quindi diminuire l’impatto del vento sulle colture. La riduzione dell’impatto si concretizza in un minor danno da allettamento subito dalle coltivazione in concomitanza con forti fenomeni atmosferici (forti venti, nubifragi ecc…). Tale funzione riveste sempre maggior importanza con la tropicalizzazione del clima che porta ad una maggior frequenza di fenomeni metereologici estremi soprattutto in aree nelle quali la coltivazione dei cereali a paglia (grano, orzo, ecc..) è particolarmente diffusa. Un altro effetto della siepe sul microclima è quello di influenzare l’evapotraspirazione delle colture. L’evapotraspirazione è il parametro che indica il complesso delle perdite d’acqua dell’insieme colturale, cioè è la somma delle perdite d’acqua dal terreno (evaporazione) e quelle perse dalle superfici fogliari delle colture (traspirazione). L’evaporazione è determinata dalle temperature e dalla torbulenza dell’aria. In condizioni di elevate temperature (periodo estivo) e di ventosità può succedere che le radici non riescano ad assorbire acqua ad una velocità tale da compensare le perdite per traspirazione. Per superare questa fase critica la pianta reagisce chiudendo gli stomi,

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riducendo drasticamente la traspirazione di vapor acqueo, per evitare la morte per disseccamento. Infatti, chiudendo gli stomi vengono impediti gli scambi gassosi tra i tessuti fogliari e l’atmosfera e pertanto l’anidride carbonica non potendo più entrare nelle foglie e blocca la sintesi degli zuccheri. Questo porta la pianta a interrompere la propria crescita e ha una ridurre la produttività. Le siepi proteggendo i campi dai flussi d’aria, permettono una riduzione della perdita dell’umidità dal campo coltivato, con la conseguente diminuzione del tempo di chiusura degli stomi fogliari e, quindi, aumentare la produttività della coltura. La diminuzione del vento riduce anche le perdite di evaporazione di umidità dal suolo, permettendo, di solito, sia di mantenere per più tempo le risorse idriche del terreno che una diminuzione di perdita di calore dal suolo, e nella prima fase della campagna agraria, permette un anticipo dei raccolti nei campi protetti dalle siepi. Gli operatori agricoli sono convinti che la presenza di siepi causino una perdita di produzione. Questa opinione è dovuta al fatto che le piante posizionate nella fascia a ridosso della siepe presentano sviluppi minori. In realtà la protezione indotta dalla siepe consente di aumentare la produttività del campo anche del 15 % per i cereali ( per quelli a paglia può essere anche maggiore). La siepe per svolgere un’efficiente funzione di frangivento deve possedere alcune essenziali caratteristiche: Orientamento Le siepi poste in modo ortogonale alla direzione dei venti devono avere buone altezze, mentre quelle poste lungo l’asse dei venti dominanti devono avere altezze medie o medio-basse. Struttura La struttura comprende i seguenti elementi costitutivi:

• elementi vegetali principali (specie arboree di 1° grandezza); • elementi vegetali intermedi (specie arboree di 2° grandezza e specie arbustive di

altezza elevata); • elementi vegetali bassi rappresentati da specie arbustive.

La siepe deve avere una permeabilità tale da produrre una riduzione del vento pari al 50%. Tale livello di permeabilità consente alla siepe frangivento di esplicare al meglio la sua funzionalità frangivento. Composizione specifica della barriera Le specie da utilizzare per ottenere un buon effetto frangivento devono essere latifoglie, in grado di non formare una barriera totalmente impermeabile al vento, ma devono creare le condizioni per avere una permeabilità pari al 50%. Le conifere, ad esempio, creano una barriere impermeabile, la quale crea delle condizioni di depressione nella parte sottovento con il conseguente aumento del danno alle coltura. Viceversa, una barriera semipermeabile (al 50%) è in grado di ridurre la velocità e ’impatto del vento, e di deviarlo verso l’alto per un tratto da 10 a 20 volte la sua altezza, in funzione della dimensione trasversale della siepe. Il coefficiente 20 è riferito a delle vere e proprie fasce boscate. Una parte della massa ventosa attraverserà la barriera e investirà le colture con una forza alquanto ridotta, mentre l’altra parte verrà deviata verso l’alto e ridiscenderà al suolo dopo un tratto proporzionale all’altezza della barriera. Se in concomitanza spaziale con la ridiscesa del vento viene posizionata una nuova barriera il vento verrà mantenuto “in quota” e la forza del vento al suolo rimarrà ridotta.

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• Disposizione nello spazio della struttura verticale Per ottenere la massima efficienza la struttura (sezione trasversale) deve avere una serie

di file di dimensioni progressivamente crescenti nella parte sottovento e una fascia di altezza decrescente sottovento. Tale struttura costituisce una barriera che consente di convogliare (in senso aerodimamico) il vento verso l’alto e far si che non si creino delle depressioni nella parte sottovento. 2.5.2 Le coltivazioni agrarie Fra le varie tipologie di colture agrarie possiamo distinguere:

• Colture sarchiate a semina primaverile Queste colture (mais, barbabietola, soia, ecc…) sono presenti solamente durante il

periodo primaverile-estivo, mentre durante la stagione invernale il terreno viene arato e lavorato. Le coltivazioni sarchiate sono utilizzate dai galliformi e dalla lepre come rifugio nel periodo primaverile estivo, ma durante la stagione invernale, se arate, non offrono alcuna risorsa per la fauna. La soia può costituire, nelle prime fasi di sviluppo, una risorsa trofica per la lepre. I residui colturali, se lasciati in campo, possono costituire una risorsa trofica ed un ambiente di rifugio, in particolare il mais da granella può rappresentare una fonte alimentare di grande rilevanza.

• Cereali autunno vernini I cereali autunno vernini rappresentano un elemento importantissimo per la fauna

selvatica dei paesaggi agrari. Nella stagione autunno invernale forniscono cibo come germogli e foglie alla lepre, al coniglio, al fagiano ed alla starna. Nella stagione primaverile, viene meno la loro importanza trofica, ma forniscono un ambiente per il rifugio e soprattutto per la nidificazione per i galliformi. Dopo la trebbiatura le cariossidi che restano al suolo diventano una rilevante fonte alimentare e, nelle stoppie si sviluppa una vegetazione spontanea in grado di fornire una copertura per il rifugio dei galliformi e della lepre.

• Prati e medicai I prati e medicai sono molto ricchi di entomofauna, indispensabile per l’allevamento

delle covate, e rappresentano un sito ideale di nidificazione per il fagiano, la starna e la quaglia, anche se i frequenti sfalci limitano molto il successo riproduttivo di queste specie e anche della lepre. Nonostante questo limite i prati svolgono un ruolo insostituibile per la conservazione della fauna, soprattutto rappresentano una risorsa trofica indispensabile durante la stagione invernale, soprattutto se il cotico è ricco in graminacee.

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2.6 La rete ecologica La conservazione della natura nel paesaggio agrario può essere perseguita attraverso la

creazione o il mantenimento di una rete ecologica. La frammentazione delle aree naturali o seminaturali è una delle principali cause di perdita di biodiversità e l’uso del territorio per le attività produttive isola ulteriormente "frammenti di natura" , spesso coincidenti con aree protette,le quali non possono più garantire la sopravvivenza delle popolazioni animali e vegetali che ospitano. In questo modo vengono minacciati i processi ecologi. La rete ecologica è un sistema interconnesso di habitat, in cui salvaguardare la biodiversità e si articola sulla creazione o il ripristino di "elementi di collegamento" tra aree di elevato valore naturalistico. In questo modo si forma una rete diffusa ed interconnessa di elementi naturali e/o seminaturali. Le aree ad elevato contenuto naturalistico hanno il ruolo di "serbatoi di biodiversità", mentre gli elementi lineari permettono un collegamento fisico tra gli habitat e costituiscono essi stessi habitat disponibili per la fauna, contrastando la frammentazione e i suoi effetti negativi sulla biodiversità. Gli elementi che formano una rete ecologica sono essenzialmente:

• aree centrali (core areas): aree ad alta naturalità o seminaturalità. • fasce di protezione (buffer zones): zone cuscinetto, o zone di transizione, collocate

attorno alle aree ad alta naturalità o ai corridoi di connessione al fine di garantire l'indispensabile gradualità degli habitat;

• fasce di connessione (corridoi ecologici): strutture lineari e continue del paesaggio, di varie forme e dimensioni, che connettono tra di loro le aree ad alta naturalità e rappresentano l'elemento chiave delle reti ecologiche poiché consentono la mobilità delle specie e l'interscambio genetico, fenomeno indispensabile al mantenimento della biodiversità;

• aree puntiformi o "sparse" (stepping zones): aree di piccola superficie che, per la loro posizione strategica o per la loro composizione, rappresentano elementi importanti del paesaggio per sostenere specie in transito su un territorio oppure ospitare particolari microambienti in situazioni di habitat critici (es. piccoli stagni in aree agricole).

• nodi

La presenza di una rete ecologica presenta molteplici vantaggi che, perseguendo obiettivi di sostenibilità ambientale, si ripercuotono positivamente anche sulle attività umane poichè:

• aumenta la libertà di movimento degli animali e quindi l’accesso a nuove risorse • aumenta la superficie di habitat disponibile per la fauna acquatica e terrestre • aumenta le nicchie ecologiche per la riproduzione e il nutrimento della fauna • favorisce la naturale depurazione di acque e suoli (fitodepurazione) • aumenta la stabilità geomorfologica del territorio • migliora il paesaggio • favorisce lo sviluppo di attività produttive ecocompatibili • favorisce la fruizione ecocompatibile di territori, altrimenti ambientalmente degradati

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Schema di realizzazione di una rete ecologica

Un ambiente è tanto meno a rischio nei confronti di fattori di perturbazione (es. inquinamento, cambiamenti climatici, siccità ecc.) quanto più è diversificato e, viceversa, un ambiente povero di diversità è più vulnerabile e rischia il collasso qualora intervengano cambiamenti che direttamente mettono in crisi le poche entità genetiche presenti. Per questo, un territorio ricco di specie animali e vegetali, è generalmente considerato sano. La biodiversità è, inoltre, una risorsa insostituibile per moltissime attività umane. L’elemento principe per la conservazione della natura nel paesaggio agrario e per la creazione di una efficiente rete ecologica è la siepe campestre, quale elemento di connessione tra habitat naturali relitti e molto distanti fra loro. Le siepi campestri sono degli elementi lineari creati dall’uomo che caratterizzano il paesaggio agrario dei territori agricoli di quasi tutti i continenti. L’uomo ha realizzato queste siepi per vari motivi: delimitare le proprietà fondiarie, riparare dal vento e dalle intemperie le coltivazioni ed il bestiame al pascolo e per produrre legna da ardere che, fino a pochi decenni fa, era di estrema importanza per le popolazione rurali. La loro natura artificiale non ha impedito che molte specie vegetali ed animali si adattino a vivere in questo habitat, infatti la loro valenza naturalistica, estrinsecata a vari livelli, è fondamentale per l’equilibrio ecologico di aree agricole più o meno intensamente coltivate. Le siepi campestri sono importanti per il mantenimento di popolazioni, o meglio meta-popolazioni, di animali che utilizzano la siepe come zona di

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rifugio, di alimentazione e per la riproduzione. Anche diversi mammiferi si sono adattati a vivere in questi elementi forestali lineari, ad esempio la donnola, il ghiro, lo scoiattolo, il coniglio selvatico, la lepre comune, il tasso, la faina e persino il capriolo, se le ampiezze e la densità delle siepi lo consentono. La presenza delle siepi campestri permette di mantenere nel territorio agrario uccelli, invertebrati e micro-mammiferi che possono controllare specie dannose per le coltivazioni agrarie. Per comprendere meglio la funzione della siepe presente nel paesaggio occorre conoscerne alcune caratteristiche fondamentali. La caratteristica principale è quella della biodiversità, maggiore è il numero delle specie vegetali e la loro ripartizione nelle categorie (alberi, arbusto e vegetazione erbacea) maggiore è la possibilità che possa accogliere un maggiore numero di specie animali. Infatti una presenza di specie di arbusti a fioritura differente consente ad alcune specie animali di aver a disposizione cibo per un periodo più ampio. La maturità della siepe comporta, normalmente, la presenza di una maggior numero di specie presenti. Esistono nel nostro territorio anche siepi molto antiche, forse il residuo di lembi dei antichi boschi planiziali, nelle quali si rinvengono specie di difficile ritrovamento, e che costituiscono un serbatoio biologico per potenziali ricolonizzazioni. La quasi totalità delle siepi campestri presenti nei comprensori agricoli, sono siepi agrarie create dagli agricoltori e gestite a ceduo (ceppaie), oppure siepi spontanee come quelle che si originano in lembi di terreni abbandonati, lungo le linee ferroviarie o le scarpate stradali. Generalmente queste siepi, anche di notevoli dimensioni, possiedono un basso valore naturalistico, perché costituite da piante esotiche infestanti come la robinia, l’ailanto e l’acero negundo. Una struttura irregolare della siepe, sia nel senso della diversità di altezze e di età degli alberi ed arbusti, permettono alle popolazioni animali di trovare ambienti adatti alle proprie necessità. Ad esempio, diverse specie di uccelli necessitano di altezze di alberi diverse per poter nidificare, così anche diverse specie di mammiferi che hanno bisogno di particolari micro-ambienti per avere un ambiente adatto al rifugio e alla riproduzione. In generale una maggior ampiezza trasversale consente ad una maggior quantità di specie d’insediarsi e permette d’aver un maggior complessità strutturale. Una sufficiente ampiezza e una buona complessità strutturale, sono in grado di originare delle aree o micro ambienti protetti, all’interno della siepe, da eventi climatici negativi, da potenziali inquinamenti e da predatori. La presenza di diversi microambienti permette a molte specie di poter avere nella siepe dei siti rifugio. Ad esempio, la starna, il fagiano, la pernice rossa ed il coniglio selvatico (tane) trovano un ambiente-rifugio ideale nelle zone con vegetazione arbustiva densa o vegetazione ultra matura. In particolare la pernice rossa ed il coniglio selvatico preferiscono, generalmente, zone con arbusti bassi in cui predominano il rovo, il ligustro e il viburnum lantana in associazione con graminacee come l’erba mazzolina. La lepre di siepi meno fitte per poter sfuggire più agevolmente in caso di pericolo. Nello stesso modo anche i siti per la riproduzione possono essere diversificati e risultare idonei a diverse specie, ad esempio: i merli, i tordi prediligono la vegetazione arbustiva per nidificare; la tordela nidifica sulle biforcazione dei rami; il colombaccio usa le capitozze o le forcelle di maggiori dimensioni delle querce, platani o dei frassini invase da edera per costruire il nido e proteggerlo dalla vista dei predatori. La diversificazione della siepe influisce sulla sua funzione trofica, sia come azione diretta, attraverso la produzione di frutti e germogli, sia come azione indiretta, ovvero la presenza di numerose specie come gli insetti o piccoli roditori che costituiscono la base alimentare di altre. Ad esempio, il colombaccio si nutre dei frutti dell’edera o di ghiande; i tordi ed il merlo consumano bacche di biancospino; i pulcini dei galliformi e gli uccelli insettivori (silvie e cince) si cibano di insetti (trofia indiretta); infine i piccoli roditori rappresentano una fonte di nutrimento per molti predatori (rapaci, carnivori e rettili). Quanto detto precedentemente evidenzia l’importanza della siepe per il mantenimento

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dell’equilibrio ecologico di un territorio agrario, soprattutto per il mantenimento di popolazione di animali (metapopolazioni).Il corridoio biologico consente la dispersione di molti organismi, favorendo i processi di colonizzazione e riducendo la probabilità d’estinzione di una specie in ambienti molto “isolati”.