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1 1 Il Foglio Letterario Anno 18/N. 5 - PISA BOOK FESTIVAL 10/12 novembre 2017 Il Foglio Letterario dal 1999 - Editore in Piombino dal 2003 Il Foglio Letterario è solidale con gli operai delle Acciaierie di Piombino, stanchi di troppe promesse non mantenute (Foto di Riccardo Marchionni)

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Il Foglio Letterario Anno 18/N. 5 - PISA BOOK FESTIVAL 10/12 novembre 2017 Il Foglio Letterario dal 1999 - Editore in Piombino dal 2003

Il Foglio Letterario è solidale con gli operai delle Acciaierie di Piombino, stanchi di troppe promesse non mantenute (Foto di Riccardo Marchionni)

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EDITORIALE

Eccoci ancora una volta al Pisa Book Festival, sempre presenti dal 1999, al punto che pos-siamo quasi dire di essere nati insieme. Se penso a come eravamo mi prende un po’ di no-stalgia, perché ci mancava l’esperienza ma avevamo tanto entusiasmo, un po’ affievolito da quando abbiamo capito che questo mondo letterario non lo cambieremo. Ci siamo ritirati nel nostro cantuccio d’ombra romita, in fondo stiamo bene dove siamo, facciamo come sempre le cose in cui crediamo, con minor rabbia e vigore - non abbiamo più trent’anni - ma le con-tinuiamo a fare. In barba ai soloni che pontificano di romanzi che devono puzzare, agli editor d’accatto che scrivono romanzi alle sbarbine, ai grandi marchi che si contendono il fenomeno di turno, agli scrittori del niente, siano di montagne, di laghi, di gialli del cazzo

ambientati in Norvegia. Vi promettiamo che non pubblicheremo mai una youtuber (come cazzo si scrive?), per questo ci sono già Rizzoli e Mondadori, oggi riuniti nel marchio Mon-nezzoli. Per il Pisa Book Festival due grandi novità: Fiabe storte - C’era una volta a Pisa, a cura di Federico Guerri, coordinatore de La cassetta degli attrezzi laboratorio di scrittu-

ra, e L’altra metà di Pisa - Racconti neri ambientati nell’area pisana, a cura di Mirko

Tondi. Ma abbiamo portato tutto il nostro catalogo, dalla narrativa al cinema, passando per poesia, fumetto e saggistica alternativa. Tra le novità di rilievo: Poltrone rosse del regista Francesco Barilli, I’m - Infinita come lo spazio della regista Anne-Riitta Ciccone

(presentato a Venezia), un libro su Daniele D’Anza di Mario Gerosa e Biagio Proietti, ma non mancano testi insoliti su Renato Pozzetto, Gloria Guida, Horror italiano, Spaghetti

Western, Klaus Kinski, Gualtiero Jacopetti, Mario Caiano, Ernesto Gastaldi, Aldo La-

do, Pablo Larrain, Luigi Scattini, Bruno Mattei… Insomma, se venite al Pisa Book Festi-val e non vi fermate da noi perdete un’occasione! (Gordiano Lupi).

IL FOGLIO LETTERARIO

Rivista fondata nel 1999

Anno 18 - Numero 5

PISA BOOK FESTIVAL 2017

10 - 12 novembre 2017

Testata Registrata al Tribunale di Livorno

Patrocinio del Comune di Piombino Direttore Responsabile: Fabio Zanello

Direttore Editoriale: Gordiano Lupi

Redazione: Via Boccioni, 28 57025 Piombino (LI) - CP 66

Sito Internet: www.ilfoglioletterario.it

Mail: [email protected] - Telefono 056545098

La collaborazione è gratuita e per invito.

Manoscritti e materiale inviato (non richiesto)

non verrà restituito. Il Foglio Letterario è il bol-

lettino aperiodico della omonima casa editrice, pubblica materiale selezionato dai direttori di

collana, in sintonia con il programma editoriale.

Numero dedicato agli operai

delle Acciaierie di Piombino

Catalogo libri: www.edizioniilfoglio.com

Mail: [email protected] Una piccola Casa Editrice

che ha partecipato per 6 volte al PREMIO STREGA e ha lanciato scrittori per GUANDA,

RIZZOLI, BOMPIANI, NEWTON & COMPTON, STAMPA ALTERNATIVA, MINIMUM FAX…

Patrocinio del Comune di Piombino dal 1999

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Adelmo, specie di notte (Romanzo finito)

di Vincenzo Trama Quando Mombu mi fissa così c’è il rischio di finire male. Però sono le 9 del mattino, è una bella giornata di sole e l’aroma di caffè del bar di Mario spizzica le narici che è una goduria. Decido: azzardo. “Mombu, ma perc”. “Taci, chiavica”. Apposto. Che sia un fascio di nervi lo capisco dallo spappolamento della sua brioche. La marmellata spurga come mag-ma vulvanica, colando in rivoli purpurei lungo il polso. Sto assistendo a un croissanticidio in diretta. “Mombu, ma stai uccidendo la bri”. “Ho detto taci”. “Chiavica”. “Giusto. Chiavica”. Fingo disinteresse, agguanto una Gazzetta dello sport e attacco a sfogliarla. Mombu sputa sul faccione di Hi-guain, uno juventino collassa al suolo e io non finirò di leggere mai l’articolo. “È che sei banale. Scrivi storie piene di azione, ma che è? Non sai che oggi non si fa più?”. “No?” “No. Oggi non si scrivono storie. Oggi si scrivono cose”. “In che senso?”. Giuro, mi sfugge il senso delle sue parole. Lui sbuffa, come un professore davanti a uno scola-ro impreparato, oltre che impertinente. “La sintesi della sintesi. Basta narrare, è uno schifo. Stop con Tizio che ammazza Caio e Sempronio che inda-ga, magari tra fiordi islandesi. Basta. Adesso bisogna far largo alla contemplazione”. “A che?” “Alla contemplazione. Non deve succedere un cazzo. I personaggi? Inutili. I paesaggi? Fondamentali. Il plot narrativo? Ininfluente”. “Ma tipo un esempio?”. Mombu ordina un flute di grappa Nonino e tira fuori dallo zaino due tomi. Me li schiaffa sul tavolo e mi guarda con aria di sfida. Le nostre anime di notte e Le otto montagne. “Kent Haruf e Paolo Cognetti. I due nomi del momento. Lo sai che succede in questi due libri?”. Abbozzo un sorriso, sapendo che qualsiasi risposta sarà sbagliata. Quindi svio con l' unico escamotage possibi-le. “Credo di sì, ma dimmelo tu”. “Niente”, fa lui. “Assolutamente niente. Ed è fichissimo. È tutto un dilatarsi di tempi, un intreccio di nuvole e sospiri che tu ti chiedi dove stia la storia. Ed è qui il bello: non c’è”. “Wow”. “Avanti, prova tu. Scrivimi un incipit di questa roba. Non una storia. Una roba. Meglio: una cosa”. Prendo un sospiro, chiedo carta e penna a Mario e butto giù. Adelmo ha paura di respirare all' aria aperta da quando ha inalato del Vix Vaporub scaduto che gli ha procu-

rato una grave infezione alle cavità nasali. Per questo vive rinchiuso in casa, cibandosi di scaglie di parmigia-

no e intrecciando relazioni sentimentali con olandesi sulla via dell’hikikomori. Fino a quando un giorno bussa

alla sua porta... Porgo a Mombu il mio pezzo e lui ride sguaiato. “Lo vedi? Eccedi. Taglia, sfina, illanguidisci. Questo Adelmo sta già vivendo troppo”. Riprendo in mano il mio incipit e spremo le meningi. Affilo la biro e vergo di nuovo. Adelmo è rinchiuso in casa per disintossicarsi da una dipendenza di Vix Vaporub e scaglie di parmigiano. Ri-

schia l' hikikomori quando un giorno bussa alla sua porta... Mombu sogghigna, ma si vede che non è ancora soddisfatto. “Meglio, ma c’è poca contemplazione e troppa vita. Più notte e montagne, meno pippe mentali”. Mi guardo intorno, in cerca di un’illuminazione. Poi ho una visione: nel bar entra Giorgio Faletti, intabarrato nel suo celebre cappotto. Mi soppesa con gli occhi e alla fine mi dice con un sorriso: “Ma dài, figa!”. Ora sì che ho capito. Adelmo uccide pugnalando con del Vix Vaporub chi vende parmigiano reggiano contraffatto. Un giorno bussa

alla sua porta il commissario Hikikomori... “Ho detto niente storia e qui ce n’è una badilata, perdipiù noir!” Mi scazzo. Invoco lo spirito di Ennio Flaiano e Achille Campanile, ma loro compaiono giusto per mostrarmi il medio: la loro è una prosa effervescente, esondante, che nulla ha a che vedere con l’anoressia narrativa di que-sti tempi. Li mando affanculo col pensiero, anzi affan per spirito di rivalsa sintetica. Peggio, contemplativa. Forse galvanizzato da questo calembour l’ispirazione m’insuffla dentro una staffilata da Premio Campiello 2018 e scrivo, stavolta certo del risultato.

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Adelmo, specie di notte. Poi lo do a Mombu, sicuro di soddisfarlo. Lui lo legge, gli occhi gli si inumidiscono. “È splendido …” uggiola prima di dirompere in un pianto disperato. Oggi Adelmo, specie di notte è edito da Bompiani. È l’unico libro il cui incipit corrisponde alla totalità del ro-manzo ed è previsto, per il 2020, un riadattamento televisivo per la RAI con Terence Hill nella parte di Adelmo e Claudio Bisio nella parte contemplativa della notte. Finalmente, dopo anni, il giusto riconoscimento per il mio talento. Era ora, che cazzo. Vincenzo Trama pubblica da milioni di anni con il Foglio Letterario di Gordiano Lupi. Autore del saggio mul-ticampione di incassi Black Metal: il sangue nero di Satana e del bellissimo ma pressoché invenduto Se fossi

postumo sarei (Ba)ricco, riesuma in questo testo i due personaggi di succitato testo nella speranza che le copie smerciate aumentino da due ad almeno tre. Se va bene quattro. In uscita, presso Bompiani, Adelmo, specie di

notte.

Riccardo Marchionni - Il pianto dell’acciaieria Il gigante seduto, il ciclope addormentato, il mostro stanco

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Frammenti di me

di Giulia Campinoti

È sempre stato così. Ho sempre vissuto in bilico fra due realtà, come un equilibrista che rischia costantemente di cadere dalla fune che può regalargli sorrisi e applausi oppure può decretarne un misero fallimento. Vessata dall’interferenza fra una realtà tangibile, nella quale fatico ad adattar-mi, e una realtà astratta, quella in cui sono la regina e dove, ogni volta, mi perdo e dalla quale non vorrei mai più fare ritorno. Sì, perché ogni volta ci provo, ma so già di trovare l’amara delu-sione ad attendermi a braccia aperte. Ogni qualvolta che indosso la mia muta, e provo a immer-germi nell’acqua della società, sento di essere uno strano animale nell’habitat sbagliato. Ma cosa? Ma chi? Ma dove? Se c’è… com’è… e dove sta l’errore? Queste domande affollano la mia mente da quando i miei piedi toccano il suolo di questa Terra, ma le risposte tardano ad arrivare. E allora, continuo a camminare, avvolta nel mantello dei miei interrogativi interiori, fiduciosa che, un giorno, il chiarore dell’oggettività verrà a cercarmi e mi raggiungerà. O forse, chissà, magari sarò io in sella al mio destriero scalpitante a catturare al lazo quei raggi di verità? Nel frattempo, mentre piovono fiumi di parole inutili ad alimentare l’oceano di vacuità, mare di lande deserte di valori dove si respira e, poco dopo, si soffoca per mano della grettezza, lo strano animale corre a perdifiato fino al suo fantastico atollo. Già. Purtroppo, però, la vacanza è di breve durata. Loro, sono già lì, pronti ad avvelenarti l’aria e a mozzarti il fiato: i grandi promotori di sciocchezze e problematiche edificate su castelli di carta. E allora, corri, seminali, non farti contagiare! Corri lontano. Alla ricerca della terra promessa dove gli strani animali possano finalmente respirare un’atmosfera permeata di ideali e profondità nella quale le crisi di identità e di valori possano trasformarsi in un lontano ricordo! Lungo la strada, ho trovato un altro strano animale come me. Esso, che così strano infine non era paragonandolo a me, si rivelò essere, in realtà, una bellissima ed elegante gazzella un po’ più grande di me. Anche se anagraficamente ci separava una generazione e le nostre specie erano differenti, lei mi donò la fiaccola dell’antica consapevolezza. Mi guardò silenziosamente, e taci-tamente i suoi occhi dolci mi invitarono a far buon uso di quel prezioso regalo. E fu così che le mie zampe di strano animale scorsero sulle pagine di carta, sempre più avide e desiderose di imparare. E fu così che incontrai Socrate nei miei liquidi pensieri, lo vidi passeg-giare nelle classiche vie di Atene, vestito di umiltà e sapienza, più intento ad aiutare chi soprav-viveva nel buio e nella cecità che se stesso. Fu così che, teso al continuo apprendimento, conscio che non ne avrebbe mai saputo abbastanza dell’intera esistenza umana neanche all’apice della senilità, e senza mai elevarsi sopra agli altri, visse saggiamente. Ed io, indignata come il suo gio-vane allievo Platone, segnato dall’imposta e ingiusta dipartita del suo maestro, strinsi crucciata la copertina del libro leggendo che il potere politico e che tutti gli uomini che aveva cercato di sal-vare dall’oscurità lo avevano condannato a morte costringendolo indirettamente a sorseggiare un calice carico di veleno. In quel momento, qualcosa dentro di me cambiò irrimediabilmente. Quella che ero stata, non c’era più. In quell’attimo, si plasmò e nacque un nuovo Io. In quell’istante, terminai il libro e, con gli occhi chiusi e il sorriso sulle labbra, decisi che avrei vissuto come Socrate. Giulia Campinoti (Piombino, 1988). Lavora come collaboratrice scolastica presso i vari istituti della scuola pubblica della Val di Cornia. Diplomatasi col massimo dei voti all’I.P.S.C.T. Alberto Cecche-relli di Piombino, nel 2006 partecipa al concorso letterario Sottobrigadiere Vincenzo Rosano classifi-candosi terza nella Sezione Racconti. Vi partecipa ancora nelle due seguenti edizioni ottenendo per ciascuna una menzione di merito nella Narrativa per Adulti. Sta per uscire il suo primo romanzo con Il Foglio Letterario: René Dubois - La vita ai tempi di Dario Mancuso. E-mail per contatti: [email protected]

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Il destino di un figlio

di Giuseppe Iannozzi Quando Carlo varcò le porte del Pronto Soccorso, i paramedici già sapevano che di lì a poco avrebbe tirato le cuoia. Non era il primo caso, e non sarebbe stato l’ultimo. L’ambulanza era arrivata nel giro di pochi minuti, che avrebbero potuto fare la differenza se solo ci fossero state delle speranze o un Dio in cui credere sul serio. L’avevano raccolto dal letto d’asfalto così come si raccoglie un uccellino ferito, con una delicatezza piena di commozione. Gli a-vevano tagliato la strada e Carlo era volato dal motorino, che da tempo usava per recarsi in Facoltà dove sudava sette camicie per diventare un bravo chirurgo. Figlio di due poveri con-tadini già avanti con l’età, Carlo aveva deciso di diventare un dottore il giorno in cui sua ma-dre, Giovannina, aveva avuto il primo infarto. La donna se l’era poi cavata, ma Carlo non aveva mai dimenticato il senso di impotenza e frustrazione che aveva provato di fronte alla madre più di là che di qua: quel giorno aveva giurato a sé stesso che lui avrebbe imparato a salvare delle vite umane. Era rovinato a terra, adagiandosi su un fianco. Non si era fatto male sul serio. Ma mentre tentava di rimettersi in piedi, una macchina, sbucata da chissà dove, l’aveva catapultato in aria. E subito era schizzata via, con il cofano ammaccato sporco di sangue. Il colpo era stato fracassante. Non era robusto, Carlo. Non più di cinquanta chili. L’auto l’aveva centrato in pieno. L’impatto era stato così tanto forte da fargli volare via il casco. Quando i paramedici lo raccolsero da terra, subito scossero il capo: trauma cranico, diverse costole rotte, un braccio e le gambe spezzate in due. E con tutta probabilità chissà quali disastrose emorragie interne erano già in atto. Lo raccolsero facendo attenzione a respi-rare piano, timorosi quasi che un fiato di troppo avrebbe potuto spezzare per sempre la vita del giovane. Lo conoscevano. Qualche anno prima erano stati loro a portare Giovannina, la madre di Carlo, in ospedale dove, per puro miracolo, l’avevano strappata alla morte. Lo sa-pevano che il ragazzo non ce l’avrebbe fatta. Lo caricarono sull’ambulanza e partirono a si-rene spiegate. Mentre lo portavano, Carlo ebbe un arresto cardiaco. Lo rianimarono. Non lo sapevano neanche loro come c’erano riusciti, ma il cuore di Carlo aveva ripreso a battere. A Giovannina non avevano avuto cuore di dirle che suo figlio era grave. Le avevano detto soltanto che aveva avuto un piccolo incidente. I due vecchi genitori attendevano posteggiati in sala d’attesa. La madre si tormentava e pre-gava stringendo il Crocifisso al petto. Pregava Dio perché salvasse suo figlio. Pregava il Dio Padre perché operasse quel miracolo che lui, nella sua smania di grandezza, a Gesù aveva negato.

Il santo

Lo hanno fatto fuori che diceva ancora messa. Una raffica di colpi. Sono entrati con le pisto-le spianate a volto scoperto, perché i pochi fedeli raccolti in chiesa potessero riconoscerli, uno per uno, senz’ombra di dubbio. Lo hanno freddato senza proferire parola, mentre diceva contro gli usurai, la mafia, il malaffare. Non ha avuto neanche il tempo di scoprirsi sorpreso. Sono usciti indisturbati. Non uno ha cercato di fermarli. Il corpo esanime è crollato sull’alta-re, che subito si è fatto di sangue. Dalla sua croce di legno, in silenzio, Gesù ha pianto in una chiesa che subito si è fatta vuota di persone. Giuseppe Iannozzi (Torino, 1972): è scrittore, giornalista, critico letterario e blogger. È autore dei romanzi Angeli caduti (Cicorivolta edizioni, 2012), L’ultimo segreto di Nietzsche (Cicorivolta edizioni, 2013), La

cattiva strada (Cicorivolta edizioni, 2014), La lebbra (Edizioni Il Foglio, 2013). Nel 2016 ha curato e tradotto gli apocrifi bukowskiani Bukowski, racconta! (Edizioni Il Foglio, 2016); nel 2017 ha pubblicato la sua prima antologia poetica, Donne e parole. Sulle orme di Leonard Cohen (Edizioni Il Foglio). In uscita Prima dell’a-

more li ha chiamati la morte (Edizioni Il Foglio).

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Il Foglio e la collana di Poesia

di Fabio Strinati Dire che il Foglio Letterario sia solo una casa editrice è molto riduttivo e non è un’iperbole, ma una realtà. Sostengo che si possa parlare, considerare di un posto quasi mistico, una porta verso una libertà di espressione che sa essere sana, calda e avvolgente e lo dico in quanto pienamente coinvolto, nel senso che faccio parte di questa famiglia ormai da tre anni. Riten-go, infatti, che Il Foglio sia un luogo prima di tutto da visitare, osservando con curiosità o-gni aspetto, anche quello che si cela nella penombra, che poi altro non è che l’aspetto più profondo di cui tutti noi abbiamo bisogno perché tutti quegli aspetti che non si possono toc-care né vedere, in qualche modo, sono fondamentali per la qualità della nostra vita. In questo caso, la penombra fa riferimento a quella totale devozione che parte dall’anima per poi toc-care le vette più alte di una sana e genuina passione. È, poi, un luogo sicuramente da vivere ed abitare proprio perché riesce a far emergere in superficie tutta la sua focosità, la sua atten-zione per una letteratura di qualità che viene considerata immensa e sacra. Ma Il Foglio è ancora di più. Ha un occhio che spazia dal cinema al fumetto, dalla narrativa alla poesia ma sempre con qualità, e un’eleganza, percepibile fin dal primo impatto. Io ho pubblicato quat-tro libri con il Foglio Letterario. Gordiano Lupi è per me come un padre, una figura da cui attingere quotidianamente sempre qualche utile consiglio. Non mancano mai il rispetto, la chiarezza e l’onestà, valori non facili da trovare oggi, in quanto viviamo in una società molto discutibile! Detto questo, ne approfitto per dire con molta umiltà, che se non fosse stato per Il Foglio Letterario forse il mio percorso non sarebbe mai potuto sbocciare. Ecco, un altro grande merito che gli va riconosciuto è quello di puntare sui giovani emergenti e ciò dimo-stra che questo meraviglioso luogo ha ben presente cosa significhi guardare al futuro. Ne approfitto per parlare dell’uscita imminente di un mio libro di aforismi dal titolo Aforismi

scelti Vol.2, con prefazione di Michela Zanarella, copertina originale e postfazione di Mauro Mazziero. Innanzitutto, va detto che scrivere un libro di aforismi richiede molto coraggio ma pubblicarlo ne richiede molto di più, ci tengo a sottolinearlo, ed è per questo che Il Foglio Letterario è come una macchina coraggiosa in grado di affrontare ripide salite, perché quan-do si ha la benzina giusta, di chilometri se ne possono fare parecchi. Questo è Il Foglio! Fabio Strinati (San Severino Marche, 1983), vive a Esanatoglia, un paesino della provincia di Macerata nelle Marche. Molto importante per la sua formazione, l’incontro con il pianista Fabrizio Ottaviucci. Ottaviucci è conosciuto soprattutto per la sua attività di interprete della musica contemporanea, per le sue prestigiose e dura-ture collaborazioni con maestri del calibro di Markus Stockhausen e Stefano Scodanibbio, per le sue interpreta-zioni di Scelsi, Stockhausen, Cage, Riley e molti altri ancora. Partecipa a diverse edizioni di Itinerari D'Ascol-to, manifestazione di musica contemporanea organizzata da Fabrizio Ottaviucci, come interprete e composito-re. Strinati è presente in diverse riviste ed antologie letterarie. Da ricordare Il Segnale, rivista letteraria fondata a Milano dal poeta Lelio Scanavini. La prestigiosa rivista Sìlarus fondata dal poeta Pietro Rocco, La rivista culturale Odissea, diretta da Angelo Gaccione, Il giornale indipendente della letteratura e della cultura naziona-le ed internazionale Contemporary Literary Horizon, la rivista di scrittura d’arte Pioggia Obliqua, la rivista “La Presenza Di Èrato”, la revista Philos de Literatura da Unia Latina, L’EstroVerso, Fucine Letterarie, La Rivista Intelligente, aminAMundi, EreticaMente, Il Filorosso, La Rivista Euterpe, Diacritica, Poeti e Poesia, Versante Ripido, L’Ottavo, Nel Futuro, La Macchina Sognante. È inoltre il direttore della collana poesia per Il Foglio Letterario. Per inviare testi, contattare Fabio Strinati a questa email: strinati,[email protected]. Pubblicazioni: Pensieri nello scrigno. Nelle spighe di grano è il ritmo (Il Foglio, 2014), Un’allodola ai bordi del pozzo (Il Fo-glio, 2015), Dal proprio nido alla vita (Il Foglio, 2016), Al di sopra di un uomo (Il Foglio, 2017), Periodo di transizione (Bibliotheca Universalis, Bucarest, 2017).

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Collana Poesia Due mie poesie inedite: la prima, scritta usando la tecnica del Lipogramma, ovvero senza utilizzare mai una lettera, in questo caso la lettera S. La seconda poesia, scritta con la tecnica del Tautogram-ma, ovvero, un componimento dove le parole iniziano tutte con la stessa lettera.

Paura

Paura è completamento di un’emozione indagata

che vive di vita in un governo percepito come elegia dell’abbondanza,

non è dubbio d’un brivido,

che nemmeno materia e augurio nel capire traiettoria nitida all’idea

valente e poi, nella vecchiaia troppo tardi nata?

L

Lampeggiano lampioni, laccamuffa

là,

lampada ladra lacrima lampi lordi, la lana,

luce lasciata...

Alcuni autori di poesia contemporanea de Il Foglio Letterario

Sabrina Amadori - Frammenti d’aria e grafite.

Ci son bambini nel Citarum

Ci son bambini nel Citarum

Che fan di una zattera di fortuna Un dorato veliero

Che solca le acque infette Pizzicate d’azzurro e di mercanzie preziose

E se di colpo s’appresta la pioggia Tendono le piccole mani al cielo Con lo sguardo di chi tutte quelle

Goccioline le vede cadere Come magia

E ancor si chiede da dove viene.

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Luca Frudà - Le pagine umane

Lontani dalla povertà

Sui cellulari si confrontano le app

di giochi di guerra mentre popoli sterminano popoli

per un po' d'acqua per un fazzoletto di terra.

Esseri umani muoiono senza un vaccino

lontani da un ospedale nello stesso mondo dove aerei privati

solcano i cieli per vacanze lussuose

o per il capriccio di una notte. Milionari creano campi da golf mentre anime grasse di dignità

tentano di seminare terreni aridi.

Dov'è il filo d'erba? Aspettano,

tanti aspettano un aiuto

che venga dal cielo, che venga da lontano.

Dario Arkel - Di vento di verso

Toulouse

Tra campanili e canali, marionette dorate, l'odore del pane e lo sbattere degli sportelli del mattino

Tra le strade che si illuminano di notte di luce vera, bella

perché sai che non è vera;

Tra le turbinose strade del giorno verso un altrove vicino e lontano,

il vento dalla Garonne e dall’Ariège

scuote gli alberi... posa l’orecchio là

dove la corteccia nasconde il libro,

ascolterai chi porta parola e bacio

nel vapore del tuo specchio.

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Giuseppe Iannozzi - Donne e parole

Maestro, mio Maestro L.Cohen

All’improvviso

un silenzio di silenzio sul sogno della perfezione calato

Non era in programma, non era proprio in programma

dimenticare l’impermeabile blu in questa casa piena di poesie

Ma nel tuo tè una rosa d’amore ha lasciato cadere Marianne,

ti sei così addormentato cullato dal canto dell’Angelo,

dal magico suono della sua voce Milioni di baci dimenticati,

naufragati e ripescati dal Mare della Discordia

Ma sull’alba vigila la Colomba costringendo lo sguardo di Dio

a un esame di coscienza per una più profonda ispirazione

Non era in programma, non lo era davvero,

così sul piatto della bilancia aggiusta la tua domanda, e fallo adesso, adesso

perché è una questione al di là delle possibilità della realtà, lo sappiamo bene entrambi

Accorda il violino dell’Ebreo che, al padre dimenticato

fra le lune delle calende greche, non chiedeva mai pane né pesci, e lascialo poi scivolare lontano

Lo sappiamo bene entrambi che il discorso fra me e te

riposa in sospeso, sappiamo che nulla mai si perde per sempre

sul pelo dell’acqua Forse non ti ho mai raccontata

per filo e per segno tutta la verità; e forse ho sbagliato ad amare

più di quanto fosse giusto E queste poesie, queste donne

ripetono la mia cifra, ti ripetono che soltanto per un pelo

non sono riuscito a chiarire il Nome, Signore

Per questo, per tutto questo con mani penitenti fra il poco e il tanto

che al tempo rauco ho donato, dal cavo della notte la mia voce scava;

e il famoso impermeabile blu insieme al rasoio lascialo riposare

là dove giusto ieri l’ho dimenticato, là dove con lo sguardo giusto ieri

l’ho incrociato.

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Ab ovo! dicevano i Latini

di Patrice Avella

Fammi Grazia, saggia compagna Apolline.

Tutto era cominciato l’anno passato… Roma Antica – Via Paisiello – Cinema “Il Caravaggio” giovedì 24 Giugno 2014 – 17h

Per la morte del “lapsi” Niccolò, tutto era cominciato l’anno passato a Roma… Tutto era cominciato nel quartiere di Villa Borghese e nel quartiere chic dei Parioli, durante una proiezione in una sala scura chiamata “Arte ed Essai” nel cinema “Il Caravaggio”, un giovedì, alla fine del pomeriggio. Uno di quei cinema di quartiere moribondi che riapriva dopo tre anni di chiusu-ra. Un altro cinema vicino, il “Rosso e Nero”, era stato trasformato in un Bingo, un altro in un par-cheggio, e l’ultimo in uffici. Il “Caravaggio”, cinema storico di via Paisello, beneficiava ora di un impianto moderno, con proiezione digitale e un sistema audio decente. Tutto era cominciato nei primi mesi dell’estate romana… Sì, tutto era cominciato con quel gruppo di amici, soprannominato “la Tribù” della Sapienza, una dozzina di studenti che si riunivano regolarmente per disputare, o meglio sbraitare, in incessanti pole-miche, di politica e di economia, ma soprattutto per bere, fumare marjuana, organizzare gite culturali, come quel giorno, per assistere al dibattito dopo la proiezione di un film impegnato in un cinema d’-Arte ed Essai, nel quartiere bobò della capitale. Si sarebbero ritrovati nel localino adiacente, un wine bar, dove gli spettatori potevano ristorarsi dopo la proiezione, trovando lì gli autori del film che tenevano una conferenza di cinema. In quel cinema non si vendeva Coca Cola e pop corn come nelle sale commerciali. Nel corso di questa serata inaugurale di riapertura, il “Caravaggio” aveva proiettato il film di protesta “Diaz”, del regista Daniele Vicario, e la Tribù si ritrovò nel wine bar, con in mano un calice di cri-stallo colmo di ottimo vino toscano, a conversare, nel dibattito che seguiva alla proiezione, con lui e le altri parti coinvolte, la sceneggiatrice Laura Paolucci e l’ispettore di polizia Simona Mammano, autrice di un libro sui tragici eventi di quel periodo. “Diaz” era il nome di una scuola di Genova durante la quale si erano riuniti giovani manifestanti pro-venienti da tutta Europa contro la riunione del G7 e la visita degli uomini più potenti del mondo in quella stessa città. Poco dopo mezzanotte del 20, aveva avuto luogo nella struttura l’irruzione di più di trecento agenti di polizia, con in testa circa 80 CRS anti-sommossa venuti apposta da Roma. Ciò provocò un’incredibile tragedia di violenze. Con i loro manganelli avevano dato addosso a più di un centinaio di ragazzi mezzo addormentati e disarmati. Ne avevano arrestati la maggior parte, e li ave-vano interrogati con metodi nazisti, andando contro ogni diritto umano. Dopo il dibattito, quando la Tribù uscì dal Cinema, erano tutti infuriati con la Giustizia, la Polizia, il Governo di Berlusconi e il malgoverno dell’Italia in generale. Si chiedevano, sulla metro da Porta Pinciana a Piazza di Spagna, come una democrazia europea come la loro fosse arrivata a negare così ferocemente i diritti umani e annichilire la libertà individuale di manifestare. Come ai tempi del Ven-tennio fascista. Come i lunghi vent’anni sotto la dittatura di Mussolini. Ciascuno si immedesimava con gli studenti che avevano vissuto quella notte di orrore con la polizia repubblicana del loro Paese. Dopo aver visto il film e alcuni firmati di repertorio su questo episodio nero della democrazia italiana durante il dibattito, erano sconvolti. Anche quando si ritrovarono nella loro cantina, il loro ristoranti-no abituale a Campo De’ Fiori, “Lo zozzone.”... (...) Fu quella sera che tutto cominciò…. Fu in quel ristorante che tutto cominciò, con la mia sorella Leda e la mia fidanzata Epona. Quest’ulti-ma, una ragazza esuberante ed estroversa, cercava sempre di essere al centro dell’attenzione, la cosa le dava sicurezza. In effetti, dissimulava con quell’atteggiamento esaltato una grande mancanza di

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affetto. Lasciai le due donne a bisticciare tra loro mentre osservavo dal mio piedistallo di uomo savio i miei squallidi amici che rollavano canne e bevevano birra. Il ragazzo di mia sorella, Pino, organiz-zava queste feste con gli amici dell’Università per spacciare droga e pagarsi la retta. Non poteva più chiedere soldi a sua madre, nonostante fosse ricca sfondata. Con quello che lei gli dava, non ci paga-va nemmeno l’affitto, nella capitale. Io invece andavo orgoglioso di non sentire il bisogno di intossi-carmi con quella roba. Avevo molta più forza di carattere, spirito e intelligenza di loro, come pensa-vo guardando come si comportavano dopo aver ingurgitato tutte quelle schifezze. “Fatti non foste a viver come bruti…. Ma per seguir virtute e canoscenza!” Li rimproverai citando il canto di Dante. Tentavo, come Ulisse, di convincere i miei compagni di piantarla di vivere come be-stie e di cercare di seguire precetti di virtù e conoscenza. Li odiavo. Io li odiavo tutti. Avevo deciso di ucciderli. Di uccidere tutti i miei amici… Avete appena letto un estratto dal prossimo romanzo di Patrice Avella, che prende il titolo da una frase dell’Otello di Shakespeare: I’m not what I am… (Non sono quello che sembro). Patrice Avella ha scritto per Il Foglio Letterario: Piazza Fontana e Pasta e cinema (quest’ultimo con la collabora-zione cinefila di Gordiano Lupi). Journalist-food per la rivista di Paris La Voce - il magazine degli

Italiani in Francia dove si dedica alla rubrica di Gastronomia.

I LIBRI DI PATRICE AVELLA

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Le Mirabolanti Avventure de

Lo Scrittore Sfigato

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La spiaggia della Sterpaia

di Roberto Mosi

La capanna, tronchi e rami d’albero portati dal mare

tegole, embrici di un naufragio: sulla spiaggia della Sterpaia

vicino al bar del Nano Verde.

Il falò di sterpi illumina il bambino, la mamma, Maria appena giunti dalla Palestina

su un barcone di migranti.

Intorno il villaggio di sabbia, il disegno di strade e capanne di animali in cammino verso

la capanna, nel profumo di alghe e conchiglie, di pini

e macchie sempre verdi. Lontano le luci affacciate sul Golfo, il cielo di stelle

il volo degli aerei, stelle comete.

Sono spente le fiamme dell’Alto

forno- la voce rabbiosa di Ioseph - davanti a noi un ammasso nero, scheletri e antenne rugginose.

Siamo il popolo del non lavoro,

disoccupati e cassa integrati, portiamo questa coperta rossa

al bambino, simbolo di riscatto

della rabbia per la vita ai margini

bagnata da cocenti sconfitte.

Le orate guardano stranite dal largo del mare, costrette nelle vasche d’allevamento

sospese sul gelo delle acque.

Il Nano Verde, la giacca sonante di sonagli, saluta dalla cima

dei pini, un bicchiere in mano invita i giovani a passare oltre

a ballare fino al mattino, musica e mohito per tutti.

Roberto Mosi si interessa di poesia, narrativa e fotografia. Le ultime opere di poesia Erato terapia

(2017) e l’antologia Poesie2009-2016. Ha scritto i romanzi Esercizi di volo (2016) e Non oltrepassa-re la linea gialla (2015); la guida Elisa Baciocchi e il fratello Napoleone. Storie francesi da Piombi-

no a Parigi (2013); per la fotografia l’e-book Firenze. foto grafie (LaRecherche, 2015) . Cura i blog www.robertomosi.it e www.poesia3002.blogspot.it. E’ redattore di Testimonianze e de L’area di Broca, collabora con Il Foglio Letterario.

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Addio ragionier Fantozzi

di Gianni Donaudi

Paolo Villaggio, il popolare Fantozzi ( ma non solo) dello schermo ci ha lasciati dopo averci fatto divertire e al contempo riflettere per quasi mezzo secolo. Molti di noi infatti, presi dal quotidiano stress, dalle varie sfighe , dal tutto-va-male, dalle delusioni (persino da parte di molti che credevamo amici o comunque vicini e, a volte persino dalla stessa famiglia), ave-vano finito con l’immedesimarsi con lui, e coinvolgersi, vedendo i suoi spettacoli , provando gli stessi stato d’animo del protagonista, fatti di rabbia e a volte anche di voglia di vendicar-si, ma, fortunatamente anche ridere su se stessi (anche se non mancava una minoranza di ottusi che si sentivano da Villaggio presi per il culo e che perciò lo odiavano, come se il co-mico ligure non si fosse limitato a descrivere una situazione realmente esistente e che coin-volgeva molta più gente di quanto comunemente si possa credere ). Paolo Villaggio apparte-neva a una famiglia medio - alto borghese del capoluogo ligure (anche se pare che il padre provenisse dalla Sicilia) - sua madre, genovese d.o.c., durante la guerra e grazie all’amicizia con un ufficiale tedesco della Wermatch, pare fosse riuscita a salvare un bambino di parziale origine ebraica, ancorché battezzato, e compagno di scuola di Paolo e del suo gemello. Per un certo periodo Villaggio si esibì come orchestrale a bordo delle navi da crociera e dei tran-satlantici della rotta inconcludente Genova - New York, oltre al giovanissimo Fabrizio De André ebbe come collega il poco più giovane Silvio Berlusconi, futuro Cavaliere e primo ministro. Il mio interesse per Villaggio e i suoi personaggi non fu dovuto solo alle affinità di molte situazioni consimili ma anche perché presto mi accorsi che i vari Fantozzi non erano presenti solo in Liguria, ma un po’ ovunque. Conobbi personaggi affini anche durante il mio lungo soggiorno in quel di Torino. A questo punto mi resi conto che un personaggio simile poteva importarsi in tutto il Pianeta. Da qui iniziano le mie novelas sudamericane (con lo pseudonimo di J. D. Cortes) ambientate a Maracaibo, capitale venezuelana del Petroleum, che avevano per protagonista l'alter ego, dal nome consimile Pablo Vallejo (scalognato di-pendente di una multinazionale e sempre esposto alla prepotenza di Mr. Roberto Gonzales JACOBOWSKY, il suo manager). Nel capoluogo piemontese mi resi conto che esistevano anche delle fantozze che sembravano la versione femminile del personaggio. Dall’impiegata bancaria che sta tutto il giorno seduta in ufficio e non ha nemmeno il tempo di andare in ba-gno, diventando stitica oppure le vengono le emorroidi, o recandosi al Carnevale di Ivrea si becca un grosso arancio sul naso e deve recarsi al P.S., a quella che in quel di Milano sbaglia linea del Metrò e fa due o tre volte la stessa strada avanti e indietro, a quella che si reca in vacanza a Procida o a Ischia e trova la spiaggia ricolma di spazzatura e di carta igienica sporca, o l’insegnante che ogni volta che si reca, il fine settimana nelle Valli, trova sempre piogge torrenziali e violenti temporali con fulmini e saette. Ricordo che negli anni Ottanta, in un'inchiesta su Imperia, il quotidiano La Repubblica definì il capoluogo del Ponente ligure la città dei Fantozzi. E infatti quotidianamente se ne potevano e se ne possono incontrare moltissimi. E non solo nella piccola borghesia, ma anche in quello che un tempo veniva defi-nito il proletariato. Nei decenni passati (ma ancora ultimamente) vi fu chi, anche all’interno della sinistra, accusava Villaggio di qualunquismo, populismo, giustizialismo e persino di cripto fascismo, nonostante si fosse presentato durante le elezioni del 1987 quale candidato di Democrazia Proletaria. Inoltre il Nostro era legato da fraterna amicizia con cantautori del-la Scuola di Genova quali Gino Paoli, Umberto Bindi, e sopratutto Fabrizio De André (per il quale, nel 1962, scrisse il testo di Carlo Martello e de Il fannullone) come decenni prima lo era stato con Luigi Tenco, ufficialmente suicida, morto in quel di Sanremo (Imperia) nel 19-67, ma in circostanze misteriose. Tutti spiriti liberi e anticonformisti.

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Alcune poesie dove troviamo Fantozzi

a cura di Gianni Donaudi Quartiere 11 Domenica...sono a letto.../ fuori una Torino da noia.../ poi il caldo di suoni antichi e zampognari, sembrano avere smesso la zappa due minuti prima. Stonano tra il metallico del Quartiere.../ la gente è tutta alle finestre...c’è anche Fantozzi... poi...non più caldo di suoni antichi e zampogne/ sempre più stridori da metropoli… e cintura sempre meno … i poeti Katia Di Stella (Torino) I focesi Scappano via quelli della Foce/ tra l’Aurelia e il Far West (passando per le Alpi Marittime) . Via dai soffocanti mostri di cemento/ dalle mega imprese/ da spietati e aristocratici accademici teuto-ni (veri e propri incubi sin dall’infanzia ) . Meglio fare gli scudieri al cavalier Brancaleone da Norcia (fuga nel Medioevo già iniziata/ dopo la Battaglia di Poiters). La Città Vecchia ormai annoia/ scopriamo la Francia/ ricerche psicoanalitiche/ su potenzialità eroti-che/ di un fuoco da rogo/ tradurre testi di c h a n t e u r s m a u d i t e s / linguedociani, oltre a progettare/ entro breve tempo/ il tritolo all’Eliseo / (e ai Parlamenti in genere) . Qualcuno cambia sesso/ sotto un rosso cielo rivierasco, / parodiando Chopin… Traslocare da vecchie mansarde/ felini randagi/ per quanto fedeli/ deludono/ ( intelligenza acuta co-me il piombo)/ più poetico è il Golfo. L'ex camallo indossa vecchi frack / gettati via da pescatori / del Salento/ ma a mezzanotte non può tuffarsi/ in un Bisagno/ prosciugato e ricoperto. C’è chi invece resta (magari aspettando i Cinesi )/ e nella solitudine, a tutti mormora: RITORNERAI! Ma uno non potrà tornare: /SANREMO può anche essere/ l' anticamera dell'Altromondo. Gianni Donaudi, 1988 Quello che ci prende a schiaffi Stanco di enumerare filatelici denti,/ di leccare (in tutti i sensi ) /di giocare al P.A.C. (Prendetemi a Calci) e/ al negozio/ bar/ ristorante/ vacanza / al P.Q.P. (Pelate quel Pollo), / stanco di ricevere pesci in faccia / persino dai tuoi simili, /dagli amici, /dalla stessa famiglia/ ti ribelli e gridi: POTERE OPERAIO!!! Ma si realizzeranno le tue aspettative? / O cambierai solo tipo di m a n a g e r a cui sottostare? Gianni Donaudi, 1988 Nuvole fantozziane Nuvolette fantozziane mi perseguitano/ facendomi calpestare fango e bloccandomi attività ludico - esistenziali ....

Gianni Donaudi, 1988

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Suggestioni piombinesi

di Gordiano Lupi

Troviamo di tutto nella nostra memoria: è una specie di farmacia, di laborato-

rio chimico, dove capitano tra le mani, a caso, ora una droga calmante, ora un

veleno pericoloso (1). Troviamo il mondo vuoto dell’inverno e il mondo fron-doso della primavera. Le strade della primavera conducono verso colazioni ma-rine sotto un cielo clemente, gite in barca, gite di piacere, un universo nuovo, allegro, fatto di pini marittimi, tamerici salmastre, oleandri amari. Le strade dell’autunno si aprono con suggestive albe adriatiche e si chiudono con i nostri tramonti dorati, capolinea d’un cielo stellato. Rosso affocato al mare è il mio tramonto che cade dietro il colle del Falcone, feconda rocce, innamora sponde, ritaglia nel soffuso addio fugace una nebbiosa bruma tutta elbana. Corsica rossa di Napoleone, lento declivio a mare dei pen-sieri, lasciarsi rischiarare dal tuo fuoco è gioco lieve, sinfonia fugace. E ti ritro-vi, come in un rimpianto, immerso nei pensieri di pinete, immaginate e perse nel ricordo, brulle marine in faccia alle scogliere, a contemplare il mare dell’in-fanzia, glaciale sponda del vicino ottobre. Tutti gli amori cercano il loro addio fugace mentre noi vogliamo piangere in anticipo ogni lacrima di rimpianto. Noi e le nostre abitudini, volate via nel vento in un istante, sogni vaganti, lacri-me e dolore, resteremo forse un po’ più soli. Rinunciare a un sentimento non sarà facile, certo, ma recherà più dolore perdere un’abitudine, l’abitudine di ve-dere il nostro mare affocato di sole nel tramonto infinito d’un giorno di settem-bre che profuma ancora d’estate. (1) Marcel Proust, Albertine scomparsa, volume VI de La Recherche.

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Riccardo Marchionni (Piombino, 1981), affascinato sin da piccolo dalla macchina fotogra-fica e dal desiderio di scattare foto. Frequenta un corso e a piccoli passi migliora la tecnica fotografica grazie al Fotoclub Il Rivellino. Da segnalare una mostra personale: Istantanee

fotografiche, che ha riscosso un grande successo, e il contributo fotografico per il libro Mira-

colo a Piombino di Gordiano Lupi. Pagina Facebook: Riccardo Marchionni fotografo, ricca di scatti. Nickname Marcatrice su Instagram. Le tre foto delle Acciaierie di Piombino che caratterizzano questo numero de Il Foglio Letterario sono opera sua.