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1° GIORNATA La tutela dei patrimoni: analisi comparata degli istituti a tutela del patrimonio Il Commercialista “giurista d’impresa” La consulenza per la tutela dei patrimoni

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1° GIORNATA

La tutela dei patrimoni: analisi comparata degli istituti a tutela del patrimonio

Il Commercialista “giurista d’impresa” La consulenza per la tutela dei patrimoni

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IL COMMERCIALISTA “GIURISTA D’IMPRESA” – MODULO GIURIDICO

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Collegio dei Ragionieri di Firenze Collegio dei Ragionieri di Udine

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Collegio dei Ragionieri di Genova Ordine dei Dottori Commercialisti di Venezia

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Sindacato Ragionieri di Livorno Ordine dei Consulenti del Lavoro di Venezia

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COLLABORATORI INTERNI

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Un comitato di Esperti, verifica ed approva il contenuto professionale delle singole giornate per garantire la massima correttezza, precisione e compiutezza delle informazioni. Esso è preposto, inoltre, al controllo e alla supervisione dei lavori per l’organizzazione delle attività e durante l’intero svolgimento delle stesse. È lo specifico impegno di Euroconference per assicurare i massimi livelli di professionalità nel fornire competenza altamente qualificata al professionista.

Vi auguriamo buon lavoro!

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IINNDDIICCEE

PRESENTAZIONE MODULO GIURIDICO pag. 6

II PPAATTTTII DDII FFAAMMIIGGLLIIAA

PATTI DI FAMIGLIA E IMPRESA a cura di Marco Avagliano pag. 9 - Fac simile di patto di famiglia (file a) pag. 33 - I Patti di Famiglia (art. 768-bis e ss. del C.c.) – Riepilogando pag. 36 a cura di Luigi Belluzzo

- Normativa di riferimento su “i Patti di Famiglia” pag. 45

IILL FFOONNDDOO PPAATTRRIIMMOONNIIAALLEE

IL FONDO PATRIMONIALE Tratto dal Consiglio Nazionale del Notariato pag. 47 • Obbligazioni familiari e fondo patrimoniale: i limiti all'esecuzione pag. 47 • Ipotecabilità di beni del fondo patrimoniale per scopi estranei ai bisogni della famiglia pag. 63 • Gli incrementi del fondo patrimoniale e l’autonomia convenzionale dei coniugi pag. 68 - Fac simile di fondo patrimoniale (file b) pag. 74 - Fondo patrimoniale (art. 167-171 del C.c.) – Riepilogando pag. 76

a cura di Luigi Belluzzo

- Normativa di riferimento su “il fondo patrimoniale” pag. 82

LLAA DDOONNAAZZIIOONNEE DD’’AAZZIIEENNDDAA

LA DONAZIONE DI AZIENDA E IL NUOVO PATTO DI FAMIGLIA a cura di Barbara Centrelli e Vincenzo Scorcia pag. 98 LA TASSAZIONE DELLE SUCCESSIONI E DONAZIONI NEL D. L. 262/2006 a cura di Alessandro Corsini pag. 107 PRIME INDICAZIONI DEL NOTARIATO DOPO IL D.L. 262 /2006 pag. 117 - Fac simile di donazione (file c) pag. 132 - La donazione (art. 769-809 del C.c.) – Riepilogando pag. 135

a cura di Luigi Belluzzo

- Normativa di riferimento su “donazione d’azienda” pag. 140

LLAA PPIIAANNIIFFIICCAAZZIIOONNEE SSOOCCIIEETTAARRIIAA

LA PIANIFICAZIONE SOCIETARIA –RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA a cura di Luigi Belluzzo pag. 150

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(file a)
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(file b)
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(file c)

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IILL TTRRUUSSTT

AMMISSIBILITÀ DEI TRUSTS IN ITALIA E NUOVO ART. 2645-TER: “C’è relazione tra la disciplina contenuta all’articolo 2645-ter del Codice Civile e l’istituto del Trust?” a cura di Luigi Belluzzo pag. 160 AMMISSIBILITÀ DEI TRUSTS E APPLICAZIONI PRATICHE NELL’ORDINAMENTO ITALIANO: PROFILI FISCALI a cura di Luigi Belluzzo pag. 169 - Fac simile di trust pag. 192 - Il trust – Riepilogando pag. 214

a cura di Luigi Belluzzo

- Normativa di riferimento su “il Tust” pag. 224

PPRROOFFIILLII TTRRIIBBUUTTAARRII

PROFILI TRIBUTARI DEI DIVERSI STRUMENTI ESAMINATI a cura di Luigi Belluzzo pag. 235

Come visionare e scaricare il materiale sopra citato: Collegarsi al sito www.euroconference.ited accedere all’area Master Breve/materiale didattico. Digitando la propria password e login, che verranno comunicate via mail alcuni giorni prima con la scaletta della giornata, (se privi di login e password digitare i propri dati e seguire le istruzioni che appaiono) si accede direttamente all’area riservata ai partecipanti al Master Breve, seguire poi le istruzioni che appaiono a video.

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Si vedano: a) Fac simile di patto di famiglia (in formato word) b) Fac simile di fondo patrimoniale (in formato word) c) Fac simile di donazione (in formato word) ● Patto di famiglia: profili civilistici (documenti Aristeia) ● I profili fiscali del patto di famiglia (documenti Aristeia) ● Il patto di famiglia (fondazione Luca Pacioli) ● La costituzione del fondo patrimoniale con riserva di proprietà (Consiglio Nazionale Notariato) ● Tavola di inquadramento giuridico sulle donazioni (Consiglio Nazionale Notariato)● Trust e imposte indirette (Consiglio Nazionale Notariato)● Tavola sinottica delle possibili agevolazioni societarie e dell’impatto della variabile fiscale nelle singole ipotesi

● Convenzione dell’Aja del 1985

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a) Fac simile di patto di famiglia (in formato word)
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b) Fac simile di fondo patrimoniale (in formato word)
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c) Fac simile di donazione (in formato word)

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PRESENTAZIONE MODULO GIURIDICO

Come di consueto anche quest’anno il Master Breve si articola in un percorso formativo di

sette incontri di una giornata ciascuno, strutturati in due sessioni di lavoro: una di carattere

giuridico tributario e l’altra più di carattere tributario.

Sessione giuridica: IL COMMERCIALISTA GIURISTA D’IMPRESA

Le sempre maggiori esigenze della clientela e l’evoluzione del mercato impongono un

approfondimento e un ampliamento delle competenze di natura giuridica. Per tali motivi , si è

focalizzata l’attenzione sugli strumenti a disposizione per la tutela dei patrimoni, sugli aspetti

critici dei contratti d’impresa e sull’assistenza che il commercialista è chiamato a dare al

socio/cliente di società di capitali e di persone.

La prima giornata del Master Breve, sezione giuridica, presenta spunti di rilevante

interesse scientifico e professionale.

Ci siamo intanto prefissi l’obiettivo di sintetizzare il crescente e fertilissimo dibattito sui patti

di famiglia recentemente introdotti dal legislatore, previa incisione per aggiunta del Codice

civile con gli artt. da 768-bis a octies.

In secondo luogo, faremo il punto su istituti non nuovi ma di grandissima rilevanza nell’ottica

della pianificazione strategica e della protezione dei patrimoni, anche in vista del passaggio

generazionale, cercando di recepire orientamenti dottrinari e giurisprudenziali. Così,

ragioneremo di fondo patrimoniale, di donazione e di trust, che non è istituto riservato a

pochi eletti, bensì reale opportunità di lavoro, purché ne si comprendano i tratti

fondamentali, i limiti e le opportunità.

La giornata è incentrata su profili meramente giuridici, con uno sguardo a quella branca, il

diritto tributario, alla quale siamo inesorabilmente legati. Su questo punto, tracceremo la

“mappatura” del decreto legge n. 262/2006, tenendo sotto controllo i possibili interventi in

sede di conversione.

Naturalmente, si tratta di obiettivi ambiziosi, e ne siamo consapevoli. Ma siamo altrettanto

convinti di poter trasferire un grande bagaglio di esperienza sul piano concreto e fornire

strumenti di lavoro semplici ed efficaci, da poter utilizzare fin da domani mattina sui nostri

tavoli di lavoro.

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Accanto alla dispensa, ulteriore materiale è reso disponibile sul sito. E’ un lavoro di

sistematizzazione che riteniamo prezioso, specie in materie come quelle oggetto di

approfondimento nella giornata.

A tutti Voi bentornati al Master Breve. E buon lavoro.

Massimiliano Tasini

Comitato Scientifico Euroconference Coordinatore della giornata

Luigi Belluzzo

Coordinatore della prima giornata giuridica Dottore Commercialista, TEP

Buon master!

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STRUTTURA DELLA PRIMA GIORNATA MODULO GIURIDICO

Modulo su:

Il commercialista “giurista d’impresa”

La tutela dei patrimoni: analisi comparata degli istituti a tutela del patrimonio

I patti di famiglia

Il fondo

patrimoniale

Donazione di azienda

La pianificazione

societaria

Il trust

Aspetti fiscali dopo la L. 262

• Patto di famiglia” (legge n. 55/2006)

• Sottoscrizione, forma e validità del “patto”

• Utilizzo dei “patti di famiglia” nella prassi professionale: opportunità e questioni controverse

• Possibili modifiche sul “patto” ed effetti: il caso dei legittimari sopravvenuti

• “Patto di famiglia” nel caso di trasferimento di un’azienda e in caso di trasferimento di una partecipazione

• Scioglimento del “patto di famiglia”

• Costituzione, vita ed estinzione del fondo patrimoniale

• Opportunità e aspetti problematici nell’utilizzo del fondo patrimoniale – aspetti di prassi operativa

• Quota disponibile e successione legittima

• Istituti della riduzione e della collazione ed in generale la tutela dei legittimari

• Atti di donazione e divieto dei patti successori

• Prospettive di modifica della fiscalità delle donazioni

• Operazioni straordinarie d’impresa come strumento di pianificazione per il passaggio generazionale

• • Incidenza dell’impatto tributario nelle operazioni di pianificazione societaria

• Nozione, struttura e aspetti operativi del trust

• Segregazione patrimoniale

• Trust di famiglia

• Trust per la governance di una holding di famiglia

• Trust per la tutela del patrimonio

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PATTI DI FAMIGLIA E IMPRESA a cura di Marco Avagliano1

1. La legge 14 febbraio 2006, n. 55 ed i "patti di famiglia": tra diritto dei contratti, commerciale e successorio

Da anni e da più parti si è sollecitata l'emanazione di una normativa che, tenendo conto della

peculiare natura e funzione dei beni oggetto di attività di impresa, ne agevolasse e tutelasse la

trasmissione generazionale. A tali inviti, provenienti, oltre che dal mondo imprenditoriale, e da

quello delle professioni e accademico, anche dall'Unione Europea2, ha dato in parte risposta il

legislatore italiano che, con la l. 14 febbraio 2006, n. 553, ha istituito e regolamentato, agli artt.

da 768 bis a 768 octies del codice civile, la figura del patto di famiglia4.

Le novità introdotte hanno suscitato un immediato interesse5, non solo perchè volte a

soddisfare le istanze prima riferite, quanto anche per la loro manifesta “transdisciplinarietà”6,

per quel loro visibile collocarsi tra le regole dei contratti, il diritto dell'impresa, e la materia

familiare e successoria. Proprio a quest'ultimo ambito appartiene quella che è stata da subito

salutata come la novità più appariscente, per quel suo incastonarsi nella disciplina del divieto

dei patti successori (artt. 1 della l. 55 del 2006 e 458 del codice civile)7, foggiandosi quale sua

1 Il presente scritto riproduce la relazione tenuta al Seminario di studi "Impresa e diritto di famiglia. Profili di comparazione e novità di diritto interno", svoltosi a Cassino il 6 aprile 2006, organizzato dall'Università degli Studi di Cassino, con la collaborazione del Consiglio Notarile di Cassino, in corso di pubblicazione in Familia e in Rivista del notariato. 2 Si vedano la Raccomandazione della Commissione della Comunità Europea, del 7 dicembre 1994, sulla successione nelle piccole e medie imprese in Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea, n. L 385 del 31 dicembre 1994; nonché la Comunicazione della Commissione della Comunità Europea relativa alla trasmissione delle piccole e medie imprese, n. 98/C 93/02, in Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea, n. C093 del 28 marzo 1998. 3 Recante le "Modifiche al codice civile in materia di patto di famiglia" (in Gazzetta Ufficiale, 1 marzo 2006, n. 50). 4 Va rammentato come detto provvedimento si ispiri e riprenda, con esiti difformi, quanto elaborato da una Commissione di studio organizzata dal Consiglio Nazionale delle ricerche, la quale, onde agevolare la successione dei beni produttivi, aveva proposto, senza allora immediato seguito, di introdurre nel codice civile i nuovi artt. 734 bis (Patto di famiglia) e 2355 bis (Patto di impresa): vedi in proposito, anche per le relative proposte di articolato, A. ZOPPINI, Il patto di famiglia (linee per la riforma dei patti sulle successioni future), in Dir. priv., 1998, pag. 255 ss.; M. STELLA RICHTER jr, Il “patto di impresa” nella successione nei beni produttivi, sempre in Dir. priv., 1998, pag. 267 ss.; M. IEVA, Il trasferimento dei beni produttivi in funzione successoria: patto di famiglia e patto di impresa. Profili generali di revisione del divieto di patti successori, in Riv. not., 1997, pag. 1371 ss. E si veda inoltre A. PALAZZO, Istituti alternativi al testamento, in Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato, diretto da P. Perlingieri, Napoli, 2003, pag. 207 ss., nonché P. RESCIGNO, Trasmissione della ricchezza e divieto dei patti successori, in Vita Not., 1993, pag. 1281 ss. 5 Tra i primissimi lavori elaborati sulla nuova legge possono ricordarsi: G. PETRELLI, La nuova disciplina del "patto di famiglia", pubblicato in Riv. Not., 2006, pag. 401 ss.; A. ZOPPINI, Il patto di famiglia non risolve le liti, in Il Sole 24 ore, 3 febbraio 2006, pag. 27; G.F. CONDÒ, Il patto di famiglia, in Federnotizie, 2006, pag. 59 ss.; U. FRIEDMANN, Prime osservazioni sui patti di famiglia, in Federnotizie, 2006, pag. 61 ss.; C. CACCAVALE, Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie, in Notariato, 2006, pag. 289 ss. (da cui le citazioni riportate di seguito), pubblicato anche, con il titolo Divieto dei patti successori e attualità degli interessi tutelati. Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie, in AA.VV., Patti di famiglia per l’impresa, in Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, Milano (Sole 24 ore), 2006, pag. 32 ss.; F. CORRENTE, Il patto di famiglia: una nuova legge al servizio dell'impresa, pubblicato in via telematica nel sito della Fondazione Italiana del Notariato (www.fondazionenotariato.it); ed inoltre M.C. LUPETTI, Patti di famiglia: note a prima lettura, pubblicato in via telematica nel sito della Fondazione Italiana del Notariato (www.fondazionenotariato.it); A. MERLO, Il patto di famiglia, pubblicato in via telematica nel sito della Fondazione Italiana del Notariato (www.fondazionenotariato.it); G. FIETTA, Patto di famiglia, pubblicato in via telematica nel sito della Fondazione Italiana del Notariato (www.fondazionenotariato.it). Vanno inoltre ricordate le relazioni svolte nell'ambito del Convegno di studio Patti di famiglia per l’impresa, tenutosi a Milano, il 31 marzo 2006, a cura della Fondazione Italiana per il Notariato, pubblicate nei relativi Quaderni, Milano (Sole 24 ore), 2006. 6 P. SPADA, nell’intervento conclusivo al Seminario di studi "Impresa e diritto di famiglia. Profili di comparazione e novità di diritto interno", cit. 7 In tema di patti successori si rimanda, tra gli altri, a: L. FERRI, Disposizioni generali sulle successioni, in commentario del codice civile Scialoja - Branca, a cura di F. Galgano, Libro secondo: Successioni art. 456 - 511, Bologna - Roma, 1997, pag. 98 ss.; C. M. BIANCA, Diritto civile. 2. La famiglia - Le successioni, Milano, 1989, pag. 404 ss.; M. V. DE GIORGI, I patti sulle successioni, Napoli, 1976, e, della medesima autrice, Patto successorio, in Enc. dir., vol. XXXII, Milano, 1982, pag. 533 ss.; A. PALAZZO, Istituti alternativi al testamento, in Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato, diretto da P. Perlingieri, Napoli, 2003, pag. 1 ss.; C. CACCAVALE, Il divieto dei patti successori, in Successioni e donazioni, a cura di P.

P A T T I

D I F A M I G L I A

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parziale deroga e, quindi, come sua prima visibile fenditura8. Da tale proclama se ne è fatta

discendere l'affermazione che anche il nostro ordinamento si accosta ormai a quelli che già da

tempo consentono all’autonomia dei privati di operare sistemazioni negoziali in funzione di

successioni non ancora dischiuse9. Si avverte tuttavia la sensazione che le norme introdotte

non esauriscano il loro portato in tale assunto: l'apertura in tema di accordi ereditari si

dimostra in fin dei conti circoscritta, e probabilmente, nonostante il dettato del nuovo art. 458,

c.c., non particolarmente rilevante10; salvo il contributo recato all’ormai acquisita

consapevolezza che tali norme non tratteggino più inibizioni dall’ineluttabile sapore dogmatico.

In verità gli effettivi profili di novità si dimostrano più penetranti di quelli captati

nell'immediato: la nuova legge, che come si è vista trae il suo accenno vitale dalle diverse

anime che ne hanno sollecitato l’emanazione, già ictu oculi si presenta ricca di contenuti e

spunti anche di natura sistematica. D'altronde non può non ricordarsi come la tecnica

legislativa adottata11, sebbene non appaia propriamente seducente per lo studioso di diritto,

a questi ed alla sua attività interpretativa affida in larga misura la delineazione della sua

sfera anche applicativa12.

Rescigno, Padova, 1994, vol. I, pag. 25 ss.; di recente M. IEVA, Divieto di patti successori e tutela dei legittimari, in Riv. not., 2005, pag. 934 ss.; Per le correlazioni con la nuova legge, si veda A. MASCHERONI, Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati, in AA.VV., Patti di famiglia per l’impresa, cit., pag. 19 ss.; PETRELLI, La nuova disciplina del "patto di famiglia", cit., pag. 402; CACCAVALE, Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie, cit., pag. 291 ss. Vanno quindi ricordati gli studi realizzati nel seno della Commissione Propositiva Legislativa del Consiglio Nazionale del Notariato, sebbene in misura più ampia volti ad ammorbidire il divieto dei patti successori, da V. ROPPO, Per una riforma dei patti successori, in Riv. dir. priv., 1997; C. CACCAVALE – F. TASSINARI, Il divieto dei patti successori tra diritto positivo e prospettive di riforma, sempre in Riv. dir. priv., 1997, pag. 74 ss., di seguito approfondito dai medesimi autori in Contributo per una riforma del divieto dei cd. patti successori rinunciativi, in Riv. dir. priv., 1998, pag. 541 ss. 8 Va rammentato come il divieto dei patti successori, così come quello di rinunzia all'azione di riduzione anteriormente all'apertura della successione (art. 557, secondo comma, c.c.), non siano mai assurti a rilievo costituzionale; così come è da ritenersi che la differente natura dei beni (produttivi e non) non si ponga in contrapposizione con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione: si rinvia sulla questione a PETRELLI, La nuova disciplina del patto di famiglia, cit. , pag. 404 ss.; G. BARALIS, Attribuzione ai legittimari non assegnatari dell'azienda o delle partecipazioni sociali, in AA.VV., Patti di famiglia per l’impresa, cit., pag. 218 ss.; e CORRENTE, Il patto di famiglia: una nuova legge al servizio dell'impresa, cit. 9 CORRENTE, Il patto di famiglia: una nuova legge al servizio dell'impresa, cit. In tema di accordi ereditari si rinvia, oltre agli autori già citati alle precedenti note, a G. GIAMPICCOLO, Il contenuto atipico del testamento. Contributo ad una teoria dell'atto di ultima volontà, Milano, 1954; M. IEVA, I fenomeni c.d. parasuccessori, in Successioni e donazioni, a cura di P. Rescigno, Padova, 1994, vol. I, pag. 124. Sui sistemi giuridici che ammettono i patti successori, e d in particolare sul contratto ereditario del diritto tedesco (Erbvertrag), disciplinato ai §§ 2274 e seguenti del BGB, si rimanda a A. ZOPPINI, Le successioni in diritto comparato, in Trattato di diritto comparato, diretto da R. Sacco, pag. 166 ss. 10 Non si avrebbe infatti vero e proprio patto successorio, neanche rinunciativo, ove si abdichi alla liquidazione, configurando questa non una situazione legata, almeno non direttamente, all’evento morte, quanto invero una rinuncia ad un diritto “attuale” sorgente dalla legge in virtù del procedimento negoziale ivi previsto. Per una critica all’effettiva incidenza delle nuove norme con il divieto dei patti successori, vedi CACCAVALE, Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie, cit., 292 ss., che si esprime, a pag. 302, in termini di “interferenza”, tutt’al più nella sua sola zona di confine, con la relativa proibizione; e si veda, ancorché in relazione al precedente progetto di nuovo art. 734 bis c.c., IEVA, Il trasferimento dei beni produttivi in funzione successoria: patto di famiglia e patto di impresa. Profili generali di revisione del divieto di patti successori, cit., pag. 1376, secondo il quale per il tramite del patto di famiglia, in virtù degli immediati trasferimento e individuazione dei beneficiari, non si realizza alcuna deroga al divieto dei patti successori, rivelandosi le reali eccezionalità al sistema successorio nella disattivazione della collazione e della riduzione. Per una salvezza della portata innovativa della disciplina nei confronti del medesimo divieto, si rimanda a SPADA, nell’intervento conclusivo al Seminario di studi "Impresa e diritto di famiglia. Profili di comparazione e novità di diritto interno", cit. 11 In certa misura, si perdoni il termine, "figlia della fretta", vista l’imminenza della fine dell’attuale legislatura. 12 E che ci fosse una certa premura nel rifiutare correttivi o emendamenti, benché considerati opportuni, onde evitare il rischio di non emanazione della legge, lo si desume dai lavori parlamentari, oltre che per dichiarazione del Sen. A. CARUSO, nell'intervento tenuto al Convegno di studio Patti di famiglia per l’impresa, svoltosi a Milano, il 31 marzo 2006, a cura della Fondazione Italiana per il Notariato.

Patti di famiglia e impresa

11

Nel corso delle note che seguiranno si cercherà peraltro di determinare se le nuove

prescrizioni, al di là degli intenti e della loro evidente trasversalità, possano o meno essere

apprezzate anche per una loro forte aderenza alle tematiche care e consone al diritto

commerciale. Il che si pone in linea con un atteggiamento, quasi una tendenza, del

legislatore che, negli ultimi anni, ha proceduto ad un marcato recupero delle medesima

concezione di "impresa"; questo concetto, spesso relegato a spazi di operatività marginale e

più teorici che effettivi, a tutto vantaggio dell’emersione di discipline di settore, viene sempre

più assunta come nozione centrale, sovente travalicando le singole discipline che ancora in

maniera non univoca di volta in volta la concernono13. Con un'avvertenza, ossia che dalla

predilezione per un angolo visuale più attiguo alla forza ed alla vivacità propria della lex mercatoria, possa discendere l’utilità ad esprimersi nei confronti di questa figura non nei

termini di patto, ma di "patti di famiglia"14: si pone in tal modo l'accento proprio

sull'eventuale esigenza dell'imprenditore, o comunque del soggetto disponente, di operare

anche diverse assegnazioni a più discendenti, così ottimizzando le proprie esigenze di

redistribuzione della ricchezza produttiva familiare.

D’altronde tematiche del genere non risultano del tutto nuove al legislatore di questi tempi.

Più che agli ultimi provvedimenti con i quali si è tentato di mitigare l’incidenza dell’azione di

riduzione, integrando il portato degli artt. 561 e 563 del codice civile15, il pensiero corre al

recentissimo nuovo art. 2645 bis, c.c., mediante il quale è stata disposta la trascrizione

dell’atto di destinazione di determinati beni, immobili e mobili registrati, ad uno scopo

meritevole di tutela. Ci si accorge come in tal modo si possa venire a delineare - prendendo

le mosse da una norma di pubblicità, in un'opera di analisi che trascende i circoscritti dati

testuali - la figura stessa dell’atto di destinazione, che può dunque venire ad essere

legittimata quale istituto generale del nostro ordinamento, e non solo di quello civile. Con

tutti i conseguenti riflessi scaturenti dalla possibile, sebbene relativa, sovrapponibilità di

questi fenomeni ove rivolti al soddisfacimento delle medesime finalità.

13 Basti pensare all'enfasi attribuita alle istanze dell'impresa nella riforma del diritto societario: si confronti ad esempio la legge Mirone 3 ottobre 2001, n. 366, sugli obiettivi prioritari del "favorire la nascita, la crescita e la competitività delle imprese" (art. 2, primo comma, lett. a)); nella prospettiva secondo la quale la riforma è destinata ad affrontare e risolvere i problemi dell'impresa, si rinvia a C. ANGELICI, La riforma delle società di capitali, Lezioni di diritto commerciale, Padova, 2003, pag. 21 ss.; e, si permetta, a M. AVAGLIANO, La costituzione della società per azioni, in AA.VV., Studi sulla riforma del diritto societario, Consiglio Nazionale del Notariato, Studi e materiali, Supplemento 1/2004, Milano, 2004, pag. 53. In tale linea si possono incasellare anche altri provvedimenti, quali il decreto di riforma delle procedure concorsuali, d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5; ovvero la recentissima legge delega 13 giugno 2005, n. 118, che, seppure per fini nettamente peculiari, disciplina la cosiddetta "impresa sociale". 14 Non a caso il recentissimo Convegno di studio organizzato a Milano, il 31 marzo 2006, dalla Fondazione Italiana per il Notariato, è stato intitolato "Patti di famiglia per l’impresa". 15 Vanno rammentate le leggi 14 maggio 2005, n. 80 (di conversione del cosiddetto "decreto competitività", d.l. 14 marzo 2005, n. 35, art. 2, comma 4 novies), e 28 dicembre 2005, n. 263 (art. 3), che, al fine di agevolare la circolazione dei beni soggetti a riduzione hanno integrato gli artt. 561 e 563 c.c., prevedendovi l'opposizione stragiudiziale alla donazione e la sua rinuziabilità. Si rinvia sul punto, tra gli altri a M. IEVA, La novella degli articoli 561 e 563 c.c.: brevissime note sugli scenari teorico-applicativi, in Riv. not., 2005, pag. 943 ss.; F. TASSINARI, La "provenienza" donativa tra ragioni dei legittimari e ragioni della sicurezza degli acquisti, in pubblicato in via telematica in C.N.N. Notizie del 13 settembre 2005; A. BUSANI, L'atto di "opposizione" alla donazione (art. 563, comma 4, cod.civ.), pubblicato in via telematica in C.N.N. Notizie del 19 gennaio 2006; C. LOMONACO - M. CATALLOZZI, In tema di atti di provenienza donativa, pubblicato in via telematica in C.N.N. Notizie del 25 maggio 2005.

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2. Lo spirito della legge: evitare la frammentazione di "beni ed entità produttive"

Se dunque l'attenzione al passaggio generazionale delle imprese costituisce motore e spinta propulsiva della recente legge, occorre valutare fino a che punto dette sollecitazioni siano state recepite, ovvero anche ulteriormente sviluppate, in quanto effettivamente emanato. Il momento nodale delle nuove regole può rinvenirsi in un trasferimento di azienda o di partecipazioni a favore di uno o più discendenti; proprio la qualità soggettiva dei destinatari fa assumere a tali operazioni carattere di specialità rispetto alle consuete donazioni avente il medesimo oggetto. Alla base di un’adeguata disciplina di tale passaggio sono state peraltro poste in luce più istanze fondamentali: si è dunque sottolineato, da un lato, l'interesse a preservare l'unità del bene produttivo, rimarcandosi dall'altro come a ciò di regola debba accompagnarsi l'univocità (sostanziale) del controllo; il tutto nell'ottica dell'anticipazione del trasferimento dell'impresa16. Allo stato antecedente alla legge 55 del 2006 dette petizioni risultavano in buona parte disattese: in presenza di più soggetti legittimari, ogni trasferimento di natura liberale comportava infatti, tranne limitatissime ipotesi previste dalla legge17, l'applicazione delle norme in tema di divisione

ereditaria e di successione necessaria: ed in particolare di quelle sulla collazione dei beni (art. 737 e seguenti c.c.), nonché di quelle che connotavano di realità l’azione di riduzione (art. 563). L'esperienza concreta ha confermato come l'operatività di queste discipline abbia sovente

originato tra gli eredi (in comunione d'azienda) dissidi insanabili, che hanno impedito la continuazione dell'impresa e della sua attività economica, per, mutuando una terminologia consona al diritto societario, una sua intrinseca e irreversibile "impossibilità di funzionamento"18:

ciò che si vuole allora evitare è, si perdoni l'accostamento, una "comunione che divida", ossia che disgreghi la valenza produttiva di tali realtà. La nuova legge, nell'ottica della promozione dell'attività di impresa, e della sua funzionale razionalizzazione19, tenta dunque di prevenire

l'insorgenza di un rischio del genere attraverso l'attribuzione di queste entità20 ai soggetti ritenuti più idonei, perché più capaci o dedicati o inclini. D'altronde, a ben vedere, il meccanismo adottato non risulta poi così estraneo al nostro sistema: esso infatti, più che un ritorno all’istituto

del maggiorato, ricorda, pur con le approssimazioni del caso e in misura atecnica, un anticipato stralcio divisionale21.

16 Vedi sul punto ZOPPINI, Il patto di famiglia, cit., pag. 262, come ribadito anche in Il patto di famiglia non risolve le liti, cit., pag. 27. 17 Vedi, in tema di dispensa da imputazione, L. MENGONI, Successioni per causa di morte, Parte speciale. Successione Necessaria, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. Cicu e F. Messineo, continuato da L. Mengoni, vol. XLIII, t. 2, Milano, 1992, pag. 257 ss. La questione offre molti spunti di attinenza con il fenomeno delle successioni anomale, di regola rapportato alle successioni legittime; sul punto si vedano: L. MENGONI, Successioni per causa di morte, Parte speciale. Successione Legittima, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. Cicu e F. Messineo, continuato da L. Mengoni, vol. XLIII, t. 1, Milano, 1992, pag. 235 ss.; BIANCA, Diritto civile. 2. La famiglia - Le successioni, cit., pag. 541 ss.; e G. CATTANEO, La vocazione necessaria e la vocazione legittima, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, vol. 5, Successioni, tomo primo, Torino, 1982, pag. 459 ss. 18 Il dato empirico ha infatti confermato, e non solo nell’esperienza italiana, come alla scomposizione della compagine degli eredi e del contesto familiare, non più unito e coeso, possa realisticamente conseguire una insana frantumazione del complesso produttivo. 19 Colgono tale importante finalizzazione anche PETRELLI, La nuova disciplina del "patto di famiglia", cit., pag. 402; nonché CACCAVALE, Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie, cit., pag. 290 ss. 20 Per la difficoltà a qualificare come beni le partecipazioni delle società di persone: vedi P. SPADA, Classi e tipi di società dopo la riforma organica (guardando alla «nuova» società a responsabilità limitata), in Riv. dir. civ., 2003, I, pag. 489 ss. 21 Oltre a mostrare, in qualche misura, attinenza con una prematura divisio inter liberos oggettivamente e soggettivamente parziale (art. 734 c.c.).

Patti di famiglia e impresa

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Va sottolineato che gli effetti di tale paventato processo di disgregazione non incidono

soltanto sui singoli assetti familiari, e sui corrispondenti dati patrimoniali. La peculiare natura

economica dei beni in questione fa sì che le conseguenze risultino di natura ben più estesa:

vengono infatti a rischio posti di lavoro, strutture, impianti e capitali22; per non parlare poi

delle esigenze dei creditori, delle banche e dei fornitori, e del possibile rischio di insolvenze,

e, in ultima analisi, di crisi delle relative imprese. Si assiste dunque ad un'incidenza diretta

sul mercato e sul circostante tessuto economico: sotto tale profilo, questi beni possono

considerarsi "produttivi" 23, non solo per la capacità di generare nei confronti dei propri

detentori reddito o altre utilità, quanto invero di concepire - per la connaturata fecondità e la

rilevanza degli interessi sottesi, questi ultimi di natura non squisitamente personale - anche

in relazione alla sfera dei soggetti effettivamente coinvolti, più estesi effetti positivi. Con

questa legge si conferma e si concorre dunque a rafforzare l'attenzione conferita

dall'ordinamento a tali categorie di beni, e il riconoscimento della loro valenza anche

“collettiva” 24, che giustifica, sul piano sociale ed economico, prima ancora che normativo, il

parziale accantonamento 25, di esigenze particolari, seppur importanti e meritevoli di tutela

come quella rappresentata dagli interessi familiari di successione.

2.1 "Stabilità" e "non aleatorietà" del patto: l'esenzione dalla collazione e

dall'azione di riduzione e le fondamentali regole della "attualizzazione" e

della "cristallizzazione"

Il legislatore, lungi dal voler attuare interventi di natura autoritativa, ha mantenuto la tutela

dei suddetti interessi su un piano di natura essenzialmente privatistica, affidando dunque in

gran parte all’autonomia dei privati ed alla loro libertà di autodeterminazione la composizione

delle relative esigenze.

Un obiettivo del genere non risulta tuttavia agevole, in quanto la continuazione effettiva

dell'attività produttiva può essere in qualche modo assicurata solo garantendo al

trasferimento che si viene ad effettuare un sufficiente grado di "stabilità" e di "non

aleatorietà"26.

Sulla funzione attributiva necessaria e divisoria eventuale, si rimanda a IEVA, Il trasferimento dei beni produttivi in funzione successoria: patto di famiglia e patto di impresa. Profili generali di revisione del divieto di patti successori, cit., pag. 1375, ancorché detta connotazione risultasse più marcata, anche per la sua collocazione sistematica, nella precedente proposta di formulazione di un nuovo art. 734 bis; ritiene invece che il patto di famiglia sia un istituto alternativo al testamento, affine alla divisio inter liberos, MERLO, Il patto di famiglia, cit. 22 Si veda anche CORRENTE, Il patto di famiglia: una nuova legge al servizio dell'impresa, cit. 23 Si perdoni anche qui l’utilizzo atecnico del termine, che peraltro si riprende dalle citate comunicazioni dell’Unione Europea e dal gruppo di lavoro del Consiglio nazionale delle ricerche, appunto focalizzati sulla"successione dei beni produttivi". È interessante notare come tali finalità siano riscontrabili nel (seppur fondamentalmente diverso) istituto successorio del "maso chiuso", della Provincia di Bolzano, regolato con decreto del Presidente della Giunta provinciale 28 dicembre 1978, n. 32: sul punto si rinvia a G. CATTANEO, La vocazione necessaria e la vocazione legittima, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, vol. 5, Successioni, tomo primo, Torino, 1982, pag. 472 ss. 24 Sull’esigenza di conservazione della efficienza dei beni produttivi, che giustificherebbe le deroghe compiute, ma non un più ampio intervento di riforma del divieto dei patti successori, si veda IEVA, Il trasferimento dei beni produttivi in funzione successoria: patto di famiglia e patto di impresa. Profili generali di revisione del divieto di patti successori, cit., pag. 1376. 25 Il che non toglie che tale posposizione debba peraltro ottenere un adeguato controbilanciamento, almeno sotto il profilo pecuniario (art. 768 quater, secondo comma, c.c.). 26 Vedi sul punto PETRELLI, La nuova disciplina del "patto di famiglia", cit., pag. 402.

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A tale situazione la legge ha cercato dunque di porre rimedio, e in ciò consiste, sul piano del

diritto positivo, un primo marcato profilo di novità rispetto agli strumenti tradizionalmente

conosciuti. E lo ha fatto disponendo d'imperio, ma come si è visto non in via arbitraria, al

verificarsi di determinati presupposti, e ancor più, all'osservanza di quello che appare un vero

e proprio percorso procedimentale, la non assoggettabilità di quanto trasferito a collazione e

ad azione di riduzione (art. 768 quater, quarto comma, c.c.).

Con la recente normativa si cerca dunque di evitare che all'apertura della successione altri

(coeredi) possano vantare diritti sulle entità, aziendali o societarie, trasferite, in tal modo

garantendo stabilità all'acquisto effettuato: si sostituisce quindi all'obbligazione, eventuale e

futura, ma di carattere reale, di consegna (di una porzione) del bene, quella attuale e

determinata, di natura obbligatoria, di liquidazione del corrispondente valore (art. 768

quater, secondo comma)27.

Proseguendo nell'analisi delle nuove disposizioni ci si accorge agevolmente come le stesse

non si limitino a tale importante, ma circoscritto, effetto di dissociazione, ma mirino a

garantire ulteriori esiti. Se la particolare natura dei beni oggetto del patto, da un lato

giustifica la deroga al regime delle successioni e delle donazioni28, dall'altro esige un

qualcosa di più, che assicuri, oltre alla stabilità del suo acquisto, anche la sua non

aleatorietà. Questa mancanza di rischio va peraltro intesa, oltre che dal punto di vista

giuridico, in senso economico, ossia come consapevolezza ed effettività dei costi da

sostenere. Il legislatore ha dunque previsto, alla data di stipula del patto o dei patti di

famiglia, la “attualizzazione” e la "cristallizzazione" del valore di quanto trasferito. Gli

assegnatari dell'azienda o delle partecipazioni societarie devono infatti liquidare gli altri

partecipanti con il pagamento di una somma "corrispondente al valore delle quote previste

dagli artt. 536 e seguenti" del codice civile29. Il vigore di tale regola si trova ribadito e

confermato, mutatis mutandis, dalle norme che regolano la liquidazione della quota dei

legittimari che non hanno partecipato al patto (art. 768 sexies, primo e secondo comma, e

768 quinquies30).

27 Va notato come tale meccanismo non risulti del tutto estraneo allo studioso del diritto civile, in quanto, anche se per ambiti dissimili, riecheggia in qualche modo quello previsto dal legislatore nei confronti dei figli naturali riconosciuti (art. 537, terzo comma, c.c.): detta norma dispone che "i figli legittimi possono soddisfare in denaro o in beni immobili ereditari la porzione spettante ai figli naturali che non vi si oppongano. Nel caso di opposizione decide il giudice, valutate le circostanze personali e patrimoniali". E ricorda anche, in misura ancora diversa, quello relativo ai figli naturali non riconoscibili (art. 580 c.c.), in particolare ove si concede agli stessi di richiedere la capitalizzazione dell'assegno loro spettante. 28 Si esprime in termini di “doppio binario”, PETRELLI, La nuova disciplina del "patto di famiglia", cit., pag. 404. 29 A tal fine dal generico riferimento al capo sui legittimari sembrerebbe intendersi che le quote debbano essere valutate, ai sensi dell'art. 556 c.c., operando una anticipata riunione fittizia, relativa peraltro solo ai beni produttivi coinvolti: per tale impostazione vedi PETRELLI, La nuova disciplina del "patto di famiglia", cit., pag. 436. Più in generale sulle modalità di calcolo della legittima, si rinvia a MENGONI, Successioni per causa di morte, Parte speciale. Successione Necessaria, cit., pag. 177 ss. 30 Detti articoli vanno infatti letti in maniera coordinata, in quanto la legge dispone da un lato che i soggetti non partecipanti al patto hanno diritto (art. 768 sexies, primo comma, c.c.) all'apertura della successione, al pagamento delle quote maggiorate degli interessi legali, calcolate ai sensi dell'art. 536 c.c. (art. 768 quater, secondo comma, c.c.); ove ciò non avvenisse troverebbe applicazione l'art. 768 quinquies c.c. (art. 768 sexies, secondo comma, c.c.), per effetto del quale il patto può essere "annullato". A parte i dubbi sull'opportunità del riferimento all'art. 1427 c.c., e più in generale della qualificazione di tale rimedio in termini di annullabilità - ma interessante appare una sua valutazione in termini di rimozione delle clausole negoziali, altrimenti ostacolo all'operatività di collazione e riduzione: vedi U. LA PORTA, La posizione dei legittimari sopravvenuti, in AA.VV., Patti di famiglia per l’impresa, cit., pag. 305 - sorge in tal caso il problema del dies a quo dal quale computarsi l'anno di prescrizione. E

Patti di famiglia e impresa

15

L' "attualizzazione" e la "cristallizzazione" dei valori si risolvono dunque in una previsione

fondamentale della nuova disciplina, perché contribuiscono ad impedire il sorgere di quella

comunione incidentale cui prima si accennava, anche attraverso la nascita dell'obbligo di

liquidazione, tendenzialmente quantificabile a priori, a carico del discendente assegnatario.

Ancor più, va notato ed è punto centrale, antecedentemente all'apertura della successione,

questa determinazione passa per la valutazione in contratto del bene produttivo esercitata,

nonostante il riferimento agli artt. 536 e seguenti c.c., operato dall'art. 768 quater, secondo

comma, c.c., consensualmente dai partecipanti, il cui potere negoziale è sì lato da potervi

abdicare, essendo loro consentito addirittura di rinunciarvi, anche parzialmente; mentre ai

legittimari non partecipanti, in particolare quelli cosiddetti di secondo grado, compete in

qualche misura solo un'aspettativa di diritto. In tale maggior risalto della volontà delle parti,

caratterizzante la situazione anteriore all'apertura della successione, va dunque colta, almeno

in linea di principio, un'importante differenza che si viene a creare con la situazione

successiva alla morte dell'imprenditore o del titolare di partecipazioni: d’altronde è nel

momento di stipula del patto e fino all'apertura della successione che si può riscontrare il

fondamentale concorso della volontà del soggetto disponente31.

Le modalità di valutazione possono tuttavia risultare foriere di talune esitazioni. Innanzitutto

non risulta ben chiaro se tale stima debba essere compiuta con riferimento a tutti i beni del

disponente, ovvero solo relativamente, come si crede, a quelli assegnati32. Ancor più, la

mancata previsione di esplicite indicazioni e limiti in relazione ai criteri di calcolo adottabili

pone infatti il dubbio se i legittimari che non abbiano partecipato al patto debbano sottostare

alla determinazione comunque effettuata dai precedenti contraenti, ovvero possano

svincolarsene, in forza di un accertamento dotato di un maggior carattere di obiettività. Il

dilemma investe il grado di vincolatività della "capitalizzazione" contenuta nel patto nei

confronti di chi, sebbene non vi abbia partecipato, reclami il pagamento della somma

prevista dal primo comma dell’art. 768 sexies c.c.. Detto in altri termini, ci si chiede se il

riferimento operato dalla legge agli artt. 536 e seguenti c.c., rischiari una via solo per il

conteggio delle proporzioni in base alle quali dividere e computare i relativi diritti soggettivi,

ovvero anche per compiere la stima dei medesimi beni. Si potrebbe infatti ritenere che in

virtù di tale richiamo detta indicazione vada compiuta, in termini analoghi a quelli

dell’apertura della successione, in base all’effettivo valore dei beni o delle entità trasferite

(art. 556 c.c.), pur se con l’evidente deroga relativa all'istante temporale di giudizio, qui di

necessità quello di stipula del patto.

dunque se esso vada infatti decorrere dalla data dell'apertura della successione, ovvero da quella del mancato pagamento o della erronea valutazione. Sono tutte questioni, come si vede, che richiedono approfondimenti appositi, ma che confermano la rilevanza della liquidazione della somma e della sua valutazione, dato che potrebbero condurre, a distanza di anni dalla sua stipula, ad inficiare la validità del patto e, cosa ancora più grave, l'efficacia degli atti prodotti e dei rapporti creatisi: e dunque la sua stabilità; ferma restando, nei confronti di terzi, almeno la salvaguardia prevista dall'art. 1445 c.c.. 31 Sì da far propendere per la necessaria e sufficiente bilateralità del patto: CACCAVALE, Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie, cit., pag. 297 ss. 32 In tal senso PETRELLI, La nuova disciplina del "patto di famiglia", cit., pag. 436.

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Questa fase può risultare quindi, almeno sotto il profilo concettuale e per ragioni di opportunità, scissa in più momenti. Volendo semplificare tali fasi al massimo, da un lato si assisterà infatti all’individuazione33, del valore dell’azienda o delle partecipazioni trasferite,

nonché delle corrispondenti quote proporzionali spettanti ai legittimari attuali. In un istante immediatamente successivo si procederà a convenire, anche in virtù dell’applicazione delle corrispondenti percentuali, le somme o i beni da liquidare a ciascuno dei legittimari non

assegnatari: individuazione che potrà conseguire conformemente alla stima prima determinata, ovvero, in virtù della maggiore incidenza di un profilo consensualistico, venire a risultare maggiore o minore, se non addirittura nulla in caso di rinuncia. Infine potrà

sopraggiungere l’eventualità di una separata riscossione o rinuncia a tali dazioni. Anche sulla base di tali considerazioni si avverte la sensazione come l'analisi delle soluzioni previste dalla legge tenda a traslocare dal piano del diritto civile, inteso in senso stretto, a

quello del diritto dell'impresa, proprio in virtù, oltre che degli interessi sottesi, delle positive modalità di soddisfacimento degli stessi. Punto d'arrivo è costituito dal fatto che l'assegnatario riceva in maniera definitiva il bene "produttivo", ad un costo tendenzialmente

certo34, perché quantificabile ad un dato momento temporale, restando disancorato dalle vicende, successorie o di altro genere, proprie del disponente o degli altri legittimari beneficiari. Una volta ottenuto tale risultato, egli può dunque impegnarsi a trecentosessanta

gradi nell'attività di impresa, certo di non dover dividere con nessun altro gli eventuali benefici della sua laboriosità; così come gli altri eredi rimangono successivamente estranei, in virtù di questa sorta di stralcio divisionale, oltre che ai risultati favorevoli dell'attività, anche a

quelli eventualmente negativi della stessa. Il patto ha dunque la funzione essenziale di fissare il momento temporale cui rapportare il valore dell’azienda o delle partecipazioni societarie. Una equilibrata determinazione dei valori

dell'azienda diviene allora momento imprescindibile35, potendo fungere da base anche ai fini del calcolo di cui all’art. 768 sexies, primo comma, c.c.. Ne discende l’opportunità che la stessa risulti la più possibile obiettiva e, pur con le difficoltà di valutazione dei beni in

oggetto, agevolmente giustificabile anche a distanza di tempo, onde evitare conflitti posteriori all’apertura della successione e possibili impugnative, per effetto di un uso, anche distorto, dell'azione di cui all'art. 768 quinquies c.c., come richiamata, ad onta del suo

apparentemente breve termine prescrizionale, dal secondo comma dell'art. 768 sexies c.c.36.

33 Detta valutazione potrà risultare anche implicita o presupposta. Una serie di ragioni, come meglio si vedrà di seguito, ne consigliano tuttavia l'esplicitazione, in particolare nell'ipotesi di non coincidenza con le somme da liquidare: la sua indicazione in contratto risulterà dunque fortemente opportuna oltre per motivi di ordine fiscale, di repertorio o altro, anche in relazione alla determinazione dei diritti dei legittimari non sopravvenuti, una volta aperta la successione (art. 768 sexies c.c.). 34 Ovviamente in via subordinata a tutti i pagamenti da effettuare ai sensi degli artt. 768 quater, secondo comma, e 768 sexies, primo comma, c.c.. 35 Sul punto, anche se la legge non lo richiede, risulterebbe sicuramente opportuna, una perizia giurata di stima, eventualmente redatta da tecnico designato da un soggetto terzo, quale ad esempio il Presidente del Tribunale, onde sconfessare al massimo, in particolare una volta aperta la successione del disponente, il rischio di sua impugnazione, in quanto ritenibile eccessivamente "di parte"; sul tema della valutazione di tali entità si veda R. D'IMPERIO - M. PEZZETTA - C. SICILIOTTI, La valutazione dell'azienda e delle partecipazioni, in AA.VV., Patti di famiglia per l’impresa, cit., pag. 214 ss. 36 Occorrerebbe comprendere infatti se l’art. 768 sexies, secondo comma, c.c., sia riferibile solo al mancato pagamento della somma, o anche al caso di valutazione diversa da quella ivi prevista, che d’altronde equivarrebbe in sostanza ad un inadempimento parziale, in tal caso consentendo l’impugnazione ai sensi dell’art. 768 quinquies c.c..

Patti di famiglia e impresa

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Ci si rende conto come, focalizzando tale peculiare prospettiva, l'asse risulti inclino a

spostarsi quindi dalla mera tematica, tutta civilistica, della "successione anticipata", di regola

attuata mediante il classico strumento della donazione, per passare su quello, più caro alla

materia dell'impresa, almeno sotto il profilo degli interessi coinvolti, del "trasferimento del

bene produttivo". D'altronde lo stesso art. 768 bis c.c., nel qualificare il patto di famiglia lo

definisce il contratto che "trasferisce" azienda e partecipazioni. Non rilevano quindi tanto gli

strumenti negoziali concretamente adottati, ma l'operazione normativo-economica nel suo

complesso, qui cumulativamente indicata come "patto o patti familiari di impresa". Si attua

pertanto un vero e proprio procedimento di "scorporo", di scissione operata a livello

personale, in virtù della quale una parte del patrimonio, aziendale o societario, di un

individuo si trasferisce, a titolo più o meno gratuito, ad un suo discendente; in tal modo

garantendo in maniera anticipata e idealmente definitiva e a un costo prestabilito l'univocità

del controllo sullo stesso37.

3. I soggetti e l'oggetto del patto di famiglia: imprenditore e azienda, e titolare di partecipazioni societarie

Sin dall'immediata sua emanazione la legge 55 del 2006 ha fatto sorgere numerose

perplessità, sia per quanto riguarda la qualità dei soggetti operanti il trasferimento, sia in

relazione all'esatta identificazione del relativo oggetto.

Su tali questioni conviene prendere le mosse dal dato testuale.

Per l'art 768 bis c.c. il disponente è, da un lato, l'imprenditore, ovvero, dall'altro, il titolare di

partecipazioni societarie; mentre, l'oggetto del trasferimento è costituito, rispettivamente,

dall'azienda o, appunto, dalle partecipazioni (quote) societarie. Le perplessità sono originate

dalla difficoltà di accomunare sotto la medesima ratio situazioni all'apparenza affini, per il

loro comune appartenere all'area del diritto commerciale, ma in buona sostanza dissimili, in

particolare ove osservate sotto il profilo delle capacità esplicative del potere, essenzialmente

di direzione, dei singoli privati.

Ci si chiede dunque se, stante la genericità del riferimento alle partecipazioni societarie, per

le quali non si ripete il requisito soggettivo dell'essere "imprenditore", ma solo "titolare" delle

stesse, il loro trasferimento debba essere letto nell’ottica del passaggio generazionale

dell’impresa, ovvero possa in qualche misura prescinderne. Detto in altri termini, sorge il

delicato dubbio se sia necessario, ai fini dell’operatività della speciale disciplina dei patti di

famiglia, che le partecipazioni siano in qualche modo riconnesse a posizioni di controllo e di

gestione imprenditoriale da parte del disponente, come nel caso di partecipazioni a società di

37 Si attua quindi un fenomeno idealmente speculare al fenomeno della comunione incidentale, non a fini produttivi. Non a caso detta tematica è cara agli argomenti d'impresa, come in materia di società evidenzia la dibattuta disposizione dell'art. 2248 c.c., che tende a estromettere ciò che è comunione di mero godimento, ossia non produttiva, dalla relativa disciplina delle società. Sul punto si vedano di recente le contrapposte ricostruzioni operate da G. FERRI jr., Riflessioni in tema di oggetto statutario di società di capitali, in Riv. dir. comm., 2002, pag. 495 ss., e G. BARALIS, Una “nuova” società semplice: la società immobiliare di mero godimento e la società semplice di mero godimento in genere, in C.N.N., Studi e materiali, 2003, vol. 2, pag. 683 ss.

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persone o quote rilevanti o di controllo di società di capitali; ovvero che invece sia sufficiente

la detenzione anche di marginali quote di investimento a legittimare i presupposti di

funzionamento del patto di famiglia.

Il disagio non appare peregrino, se si pensa che la valenza anche testuale delle nuove norme

ha condotto i primi commentatori ad esiti interpretativi nettamente difformi38.

L'incertezza si dimostra peraltro superabile, ove, unitamente al dato letterale, ci si accosti a

quello che si è prima rilevato essere lo spirito che anima la nuova normativa; questa,

sebbene si leghi naturalmente all'istanza di passaggio generazionale nell'impresa, non

esaurisce la propria utilità in tale apprezzabile ambito, ma trova una sua più pregnante

ragion d'essere in un intento relativamente più esteso: ossia quello di evitare la

frammentazione di beni ed entità, direttamente o indirettamente produttivi.

Si ritiene dunque di prediligere la soluzione che eviti di ancorare l’operatività delle norme in

esame a situazioni di natura esclusivamente “imprenditoriale”, nella consapevolezza tuttavia

che queste ultime ne costituiranno, idealmente e nei fatti39, l'ambito assolutamente più

rilevante. Sorge invero la sensazione che al concetto di impresa si sia fatto riferimento, ma,

al di là dell’apparentemente tecnicistico dualismo usato con le dizioni di imprenditore e

azienda, non in misura solo formale. Tale disciplina non appare dunque in senso stretto

ancorata alla qualificazione dell’art. 2082 del codice civile, che fissa lo sguardo sul soggetto

imprenditore, quanto invero si lega volutamente al dato oggettivo della qualità di quanto

trasferito: dunque azienda, o parte di essa, e partecipazioni societarie di qualunque matrice o

natura esse siano. Quanto finora asserito non sembra d’altronde essere sconfessato dai dati

testuali addotti a sostegno della tesi contraria40. 38 Predilige, in aderenza alle conclamate finalità della legge, una visione in qualche misura più rigorosa, SPADA, nell’intervento conclusivo al presente Seminario di studi "Impresa e diritto di famiglia. Profili di comparazione e novità di diritto interno", cit.; e PETRELLI, La nuova disciplina del"patto di famiglia", cit., pag. 415 ss., che oltretutto circoscrive l’operatività della legge solo nei riguardi di situazioni gestionali di piccole o medie imprese; nonché LUPETTI, Patti di famiglia: note a prima lettura, cit. Di contrario avviso, e nel senso del testo, sono invece L.A. MISEROCCHI, Il Patto di Famiglia: presupposti soggettivi, oggettivi e requisiti formali, nell'intervento tenuto nell'ambito del Convegno di studio Patti di famiglia per l’impresa, tenutosi a Milano, il 31 marzo 2006, a cura della Fondazione Italiana per il Notariato; CACCAVALE, Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie, cit., pag. 293 ss., che rinviene la ratio dell’inclusione delle partecipazioni societarie nel generale interesse alla promozione dell’attività di impresa, unitamente a quello di attrazione degli investimenti di capitale; e inoltre FIETTA, Patto di famiglia, cit. 39 Occorre forse anche smitizzare i timori che si sono avvicendati sul passaggio generazionale di pochi titoli di una società ad azionariato polverizzato. Si può dubitare infatti che chi possieda nel proprio patrimonio (solo) poche azioni di investimento, sia interessato dagli effetti derivanti da un patto di famiglia, ed acceda allo stesso, tendenzialmente operazione in qualche misura articolata, anziché ad una mera donazione, eventualmente con dispensa da collazione e da imputazione, ovvero ad un ancora più semplice, e meno oneroso, trasferimento per girata. E di fronte all’eventualità che si prediliga comunque l’adozione di un patto di famiglia, in tal caso non appare poi così bizzarro credere che la legge abbia preferito sacrificare rare situazioni di dubbia ragionevolezza per istanze di certezza della circolazione giuridica. 40 Per la verità alquanto "fragili", quali il termine “quote” utilizzato alla fine dell’art. 768 bis c.c., che sembrerebbe precludere l’adottabilità di tale disciplina nei confronti delle azioni; il che si crede provi un pò troppo, perché, al di là dell’evidente imprecisione della tecnica legislativa, allora non potrebbero trasferirsi neanche partecipazioni totalitarie di società per azioni o in accomandita per azioni. Salvo limitare allora, come prospetta sulla base dei lavori preparatori PETRELLI, La nuova disciplina del"patto di famiglia", cit., pag. 415 ss., l’operatività della legge solo alle piccole e medie imprese; opinione che non appare peraltro condivisibile, oltre che per la mancanza di qualsiasi accenno nelle norme emanate a tale profilo teleologico, anche per il fondamentale rilievo che non c’è ragione di escludere da tali patti proprio i gruppi imprenditoriali di maggiori dimensioni, tentando di evitarne gli effetti nocivi che una loro disgregazione può attuare, oltre che più in generale sul tessuto economico, su una serie di micro situazioni ed aspetti alle stesse imprese legati, quali la sorte dei lavoratori e dei dipendenti, nonché dei fornitori e dei creditori coinvolti. Altro profilo testuale si rinviene nei primi commi degli artt. 768 quater e 768 sexies c.c., laddove si fa riferimento all’apertura della successione del patrimonio del (solo) imprenditore: il che anche in tali casi appare dovuto ad una ancor più marcata imprecisione e dimenticanza.

Patti di famiglia e impresa

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L'adesione a tale opinione contribuisce anche ad evitare i notevoli problemi operativi che

altrimenti potrebbero sorgere per la concreta ed estrema difficoltà, a fronte di partecipazioni

non totalitarie o di maggioranza, di comprendere ed accertare la sussistenza di una qualche

qualità imprenditoriale41. Detto in altri termini, ci si chieda come possa il notaio, incaricato di

ricevere un patto di famiglia, ritenere sussistente in capo al disponente il presupposto

dell'imprenditorialità, in mancanza di corrispondenti poteri di accertamento di quella che poi

risulta essere una vera e propria indagine di fatto. In mancanza di altri indici manifesti e

ineccepibili, il pubblico ufficiale rogante, ferma restando l'esclusione di una sua

responsabilità, anche professionale, non potrebbe dunque che affidarsi alle dichiarazioni delle

parti; con il rischio che tale enunciazione si risolva in niente più che una clausola di stile.

L'affidamento al dato letterale, sebbene non propriamente appagante, contribuisce a

esplicare anche quanto sopra sostenuto in tema di partecipazioni societarie, e nel rileggere

quanto prima rilevato in tema di intenti del legislatore, ne conferma l’unicità di ratio. Lo

spirito della legge si rinviene non tanto nel favorire il passaggio generazionale nelle imprese,

o almeno non solo42, quanto invero nel dare consistenza e stabilità all’anticipato

trasferimento di quei beni, che direttamente o indirettamente, svolgano una funzione

comunque "produttiva"43. Il legislatore non guarda quindi alle società solo in termini di

impresa (più o meno svolta in forma collettiva), quanto in termini di fenomeno

obiettivamente capace, mediante l'investimento in un’attività economica, di produrre reddito

o altre utilità; in tal modo riconoscendone il peculiare valore nel nostro ordinamento e

l'esigenza di loro tutela, pur se a (relativo) discapito di altri rilevanti interessi.

In virtù della svalutazione del dato soggettivo formale dell’impresa a tutto vantaggio del lato

obiettivo del complesso di beni ed entità produttive, si ritiene dunque ammissibile,

ricorrendone i presupposti, la stipula di un patto di famiglia di partecipazioni societarie cui

non sia direttamente connessa una qualche forma di direzione o controllo dell'impresa44. Non

si supera in tali ipotesi il dato testuale posto dalla legge, quanto invero si cerca di coglierne,

anche mediante un'operazione di sua stima estensiva, il contenuto più ampio.

Dall'accoglimento di tale visuale ne deriva quindi una serie di asserzioni utili a dirimere 41 Si comprende quali esiti incerti comporterebbe il far riferimento a una qualsiasi delle innumerevoli nozioni di controllo. Senza peraltro tener conto che spesso anche partecipazioni minoritarie, ovvero di per sé apparentemente non espressive di un potere di gestione, possono essere in una fase di “crescita”, di loro graduale incremento; ovvero, come usualmente accade, in titolarità di coloro che sono i reali detentori del potere sociale, e che magari, ad altri fini, anche di natura contabile e fiscale, prediligono una certa discrezione riguardo all'evidenziazione delle effettive posizioni di comando. Si ponga attenzione al caso di una partecipazione infima in una società di capitali che peraltro, mediante l'utilizzo di patti parasociali o partecipazioni per il tramite di società fiduciarie, holding o con sede all’estero, sia rappresentativa del reale assetto titolare; ovvero ancora, volendo far riferimento anche a situazioni di minor ampiezza, si pensi anche alla classica ipotesi del socio accomandante di società in accomandita semplice, che nella realtà dei fatti sovente costituisce, ancorché in disaccordo con quanto previsto dall'art. 2320 c.c., il reale imprenditore. Inoltre il relativo accertamento a chi spetterebbe? Non certo al notaio, che appunto non ha strumenti per poter valutare dette situazioni di fatto, dovendosi in ultima analisi affidare alle dichiarazioni di parte. Sul punto si rinvia anche all'intervento di MISEROCCHI, Il Patto di Famiglia: presupposti soggettivi, oggettivi e requisiti formali, cit. 42 Ciò in quanto tale fenomeno ne contraddistingue comunque il fenomeno più rilevante, come scolpito dal fatto che il trasferimento di un patto di famiglia può essere attuato solo nei confronti di "discendenti" (art. 768 bis). 43 Dette osservazioni presterebbero ovviamente il fianco all’obiezione che beni produttivi non sono solo le aziende e le partecipazioni societarie, ma a tale dubbio è facile replicare che comunque il legislatore ha voluto agevolare il trasferimento di quelle di matrice dinamica, oltre che più diffuse. 44 Sul punto vedi soprattutto MISEROCCHI, Il Patto di Famiglia: presupposti soggettivi, oggettivi e requisiti formali, cit.

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ulteriori casi dubbi, nei quali non si assista ad una coincidenza tra titolarità dell’impresa e

dell’azienda: è il caso del disponente che non rivesta esteriormente la qualifica di

imprenditore, avendo affittato o ceduto in usufrutto i beni aziendali45.

3.1 La compatibilità con l’impresa familiare ed il rispetto delle differenti

tipologie societarie

L'art. 768 bis c.c. contiene due incisi sui quali conviene, almeno fugacemente, soffermarsi.

Con riferimento al primo, la legge prescrive, in maniera alquanto sibillina, che il contratto in

esame deve risultare compatibile "con le disposizioni in materia di impresa familiare".

Il legislatore si preoccupa dunque che tramite il patto di famiglia possano aggirarsi le relative

istanze di tutela dei partecipanti come codificate dall'art. 230 bis c.c.. Si pone dunque

l’accento sul diritto alla continuazione della collaborazione dei familiari all’attività d’impresa in

caso di prosecuzione da parte del discendente beneficiario46; nonché su quel profilo

fondamentale costituito dal diritto di prelazione spettante ai collaboratori familiari in caso di

alienazione dell'azienda (art. 230 bis, quinto comma, c.c.)47.

L'inciso dunque sancirebbe la regola della prevalenza delle norme dell'impresa familiare su

quelle dei patti di famiglia; prediligendo dunque, nel conflitto tra assegnatari dell'azienda e

collaboratori familiari della stessa, questi ultimi. La ratio va ricercata con tutta probabilità in

un'esigenza di tutela delle aspettative di chi già spende le proprie forze nella società, e i cui

interessi non possono essere aggirati da un utilizzo distorto del patto di famiglia48.

Il secondo inciso richiede invece che il trasferimento operato dal patto di famiglia rispetti le

"differenti tipologie societarie". È questo disposto apparentemente più arcano del

precedente, probabilmente da intendersi nel senso che il trasferimento delle partecipazioni

necessita dell'osservanza dei requisiti minimi di forma e, in particolare, di pubblicità e

opponibilità previsti dalla legge o posti dagli stessi privati49. Saranno dunque necessari, a

seconda delle società interessate, il deposito presso il registro delle imprese, l'iscrizione nel

libro dei soci e l'annotazione sui titoli emessi; oltre ovviamente il rispetto dei vincoli

eventualmente posti alla circolazione delle partecipazioni, quali unanimità dei consensi,

clausole di gradimento e prelazione, tetti di partecipazione, e via dicendo.

45 E magari affittuario o usufruttuario dell’azienda è proprio il soggetto a cui favore si vuole trasferire l’azienda, avendone in tal modo, mediante il contratto di affitto o la cessione di usufrutto, in qualche modo anticipato gli effetti. 46 PETRELLI, La nuova disciplina del "patto di famiglia", cit., pag. 414. 47 Vedi G. RIZZI, Compatibilità con le disposizioni in tema di impresa familiare e con le differenti tipologie societarie, in AA.VV., Patti di famiglia per l’impresa, cit., pag. 246 ss.: la specificazione dell'art. 768 bis c.c non si rivelerebbe dunque del tutto superflua, in quanto si tende di regola ad escludere che da atti di liberalità, ove di regola manca un corrispettivo, possa sorgere un diritto di predilezione; e peraltro va rilevata la peculiarità della prelazione "familiare", che si considera trovi applicazione anche nei riguardi, oltre che della divisione ereditaria, anche di atti donativi e di conferimento in società; contra PETRELLI, La nuova disciplina del "patto di famiglia", cit., pag. 414, che ne nega, vista la natura liberale che contraddistingue il patto, la possibilità di insorgenza di tale prelazione. 48 Senza tener conto oltretutto che gli stessi, proprio in virtù di tale impegno, risultano soggetti potenzialmente idonei, se non addirittura più affidabili, per la continuazione dell'attività produttiva. 49 Sempre RIZZI, Compatibilità con le disposizioni in tema di impresa familiare e con le differenti tipologie societarie, cit., pag. 253 ss..

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Sorge in tal caso la questione della sorte di un patto di famiglia ove non risultino assecondati

requisiti esterni allo stesso, come, ad esempio, il consenso dell'altro socio di società di

persone nella quale viga la regola dell'unanimità dei consensi (art. 2252 c.c.); ovvero il

gradimento degli amministratori di una società di capitali. In dette situazioni il patto di

famiglia, pur validamente ricevuto, risulterà, come un qualsiasi altro contratto di cessione di

azioni o quote, improduttivo di effetti nei confronti dei soggetti o degli enti cui si rivolga ed al

cui nulla osta sia in qualche modo subordinato50: così come, sempre in maniera analoga ad

una qualsiasi alienazione di partecipazioni societarie, si procederà a modificare o ad

aggiornare i relativi patti sociali, se richiesto o considerato opportuno51.

Quanto osservato non esime peraltro dal ritenere la specificazione operata dall'art. 768 bis c.c. in buona sostanza superflua; salvo voler ritrovare in essa una conferma della particolare

(pre)valenza del diritto societario, più in generale dell'impresa, sugli altri aspetti, anche

successori, del fenomeno qui considerato.

4. Inquadramento sistematico e aspetti negoziali: atto tra vivi e liberalità

Non è agevole fornire un preciso inquadramento sistematico del patto di famiglia, per questo

suo apparente collocarsi, come si è visto, tra il diritto proprio dei contratti, della famiglia e

delle successioni, e quello dell'impresa.

Sotto il profilo negoziale, provando a delineare dei primi punti fermi, può osservarsi che il

patto di famiglia, come dispone testualmente l'art. 768 bis c.c., rappresenta un “contratto”.

Non si crede peraltro che lo stesso configuri un contratto successorio, con efficacia a

decorrere dal momento della morte del disponente, e che vada in tal modo accostato a quelli

tradizionalmente operanti il trasferimento dei beni mortis causa, ossia la legge e il

testamento (art. 457 c.c.)52. Lo stesso art. 768 bis c.c. convalida tale assunto, nel momento

in cui qualifica come patto di famiglia il contratto mediante il quale si trasferiscono

“attualmente” l'azienda o le partecipazioni societarie53. Le norme di legge tratteggiano un

atto tra vivi, con efficacia, almeno limitatamente ai profili traslativi, immediata, ove siano

soddisfatti gli ulteriori presupposti, o non siano convenzionalmente posti altri limiti54. La

connotazione quale atto inter vivos ratifica, di converso, l'applicabilità della disciplina propria

dei contratti (art. 1321 e ss. c.c.). 50 Il che non toglie che per il principio di libertà di forme che tendenzialmente caratterizza tali ambiti - salvo il ricorso alla forma notarile, sovente solo ad regularitatem, e alla relativa pubblicità presso il registro delle imprese, onde rendere, se richiesto dalla legge o dai patti sociali, opponibili i relativi atti - che detti consensi o autorizzazioni possano essere già stati concessi in via preventiva, potendosi allora eventualmente richiamare nel patto di famiglia; ovvero possano essere resi contestualmente alla stipula del patto di famiglia. 51 Addirittura, all'inverso, riprendendo lo spunto del trasferimento di una quota di società di persone, l'atto modificativo dei patti sociali potrà contenere “anche” il patto di famiglia, rispettandone forme e presupposti. 52 Si rimanda sul punto anche a CACCAVALE, Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie, cit., pag. 296, che ritiene inoltre che il patto di famiglia abbia causa tra vivi per la decisiva ragione che non è strutturato come atto a causa di morte; considera invece il contratto tra disponente e beneficiario come modalità di trasmissione dell'azienda a causa di morte, CORRENTE, Il patto di famiglia: una nuova legge al servizio dell'impresa, cit. 53 Tra i diversi indici va ricordato, in qualche misura, anche l'art. 768 septies c.c., che si esprime per il patto nei termini di suo scioglimento e recesso, e non di sua revoca. 54 Quali ad esempio una condizione sospensiva o un termine iniziale.

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Dal punto di vista causale, è fuori di dubbio che i patti di famiglia possano raffigurare

(almeno in parte) una liberalità. Non avrebbe altrimenti senso ragionare, di fronte ad una

valida alienazione a titolo oneroso, o per la precisione in presenza di un tangibile

corrispettivo, in termini di esenzione dalla collazione e dalla riduzione (art. 768 quater, quarto comma, c.c.)55. D'altronde ne discende, ad evitare disparità di trattamento nei

confronti di chi non ha partecipato al patto, l'effetto legale che i beni assegnati ai

partecipanti cui non sia pervenuta l'azienda siano comunque imputati alla propria legittima

(art. 768 quater, terzo comma, c.c.)56. L'operazione può dimostrarsi quindi come liberale, sia

se osservata sotto il profilo del rapporto tra disponente e discendente assegnatario, ma

anche, almeno indirettamente, nella prospettiva degli altri legittimari, nei confronti dei quali

si opera in sostanza una redistribuzione dei relativi valori.

4.1 Le attinenze con il contratto di donazione Sorge a questo punto la questione se il patto di famiglia costituisca un tipo legale a sé, ovvero possa forgiarsi per il tramite di fenomenologie già conosciute dall'ordinamento.

Sotto tale ultima raffigurazione, può osservarsi come militi a favore della sua riconducibilità alla struttura della donazione, oltre al carattere liberale del trasferimento effettuato57, anche il venir meno di alcuni degli effetti, di collazione e riduzione, naturalmente discendenti

dall’atto donativo58. La relativa fase liquidativa, la cui rinunciabilità ne sancisce la potenziale irrilevanza, è alla stessa, seppur distinta, causalmente concatenata. Dette distinguibilità e connessione risultano confermate dall’art. 768 quater, terzo comma, c.c.: ove il pagamento

degli altri legittimari partecipanti sia successivo – ma tale configurazione appare ravvisabile anche in ipotesi di contestualità - è la legge stessa a qualificare tale negozio di assegnazione come “collegato” al primo, e dunque formalmente distinto da questo.

Ne discenderebbe dunque l'operatività dell'intera disciplina dettata in materia di donazione; ed, in particolare, in termini di forma, la necessità, oltre che dell’atto pubblico, anche della presenza dei corrispondenti testimoni. Sotto questo angolo prospettico, la nozione di patto di

famiglia contenuta all'art. 768 bis c.c. qualificherebbe più un’operazione complessa che non il singolo contratto posto in essere, che risulterebbe composto dalla combinazione di una donazione e patti o rinunce alla prima, contestualmente o di seguito, collegati. 55 Così anche, PETRELLI, La nuova disciplina del "patto di famiglia", cit., pag. 406, che osserva come non avrebbe particolare senso esprimersi in termini di stabilità e non aleatorietà di un contratto concluso a titolo oneroso. Anche se la sensazione che suscitano tali norme, una volta esclusa una loro effettiva incidenza sui patti successori, è che, quasi in via interpretativa, abbiano voluto escludere alla radice il sospetto che la collazione o la riduzione potessero operare. 56 Anche se non prevista espressamente, i primi studiosi ne hanno fatto discendere anche l’imputazione ex se di quanto ricevuto dal beneficiario assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni: vedi PETRELLI, La nuova disciplina del "patto di famiglia", cit., pag. 450. Più in generale, sul senso da dare a questa disposizione, si vedano i contrapposti interventi di MASCHERONI, Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati, cit., pag. 25, e MISEROCCHI, Il Patto di Famiglia: presupposti soggettivi, oggettivi e requisiti formali, cit. 57 Salvo poi considerare la stessa, a seconda delle concrete modalità di attuazione, un negotium mixtum cum donatione, ovvero una donazione indiretta, o altro; nel caso poi gli altri partecipanti non rinuncino alla liquidazione, la donazione nei confronti del discendente assegnatario di azienda o partecipazioni potrebbe configurarsi come modale: per tale impostazione vedi MERLO, Il patto di famiglia, cit.; e LUPETTI, Patti di famiglia: note a prima lettura, cit.; ma contra PETRELLI, La nuova disciplina del "patto di famiglia", cit., pag. 407. 58 Più in generale liberale: vedi ad esempio, per l’applicazione dell'art. 556 c.c. anche alle donazioni indirette, Cass. 30 dicembre 1997, n. 13117.

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4.2 Tra tipo legale a sé stante e fenomeno complesso in senso lato divisorio

Una ricostruzione del genere, se pur plausibile, rischia peraltro di apparire in qualche modo

riduttiva di quanto dal legislatore positivamente realizzato. Al di là del pur chiaro dato

testuale dell’art. 768 bis c.c., che testualmente definisce il patto di famiglia "il" contratto, ad

evidenziarne una sua specificità rispetto ad altre analoghe figure, va rammentato come la

legge infatti non si ponga come obiettivo il mero trasferimento a titolo gratuito di uno o più

beni, in funzione di anticipata successione; conferendo dunque degli strumenti, quali

l'esenzione alla disciplina della collazione e dell'azione di riduzione, perché detto

trasferimento risulti tendenzialmente stabile. Come già si è osservato in realtà l'ampio potere

concesso all'autonomia dei privati, in virtù pure, ma non solo, della funzione economica dei

beni che ne formano oggetto, appare permeato e giustificato dalla fondamentale esigenza di

attribuire la non aleatoria acquisizione di tali beni e l'univocità del controllo su di essi, onde

evitarne una non equilibrata spartizione.

Il contratto è caratterizzato infatti da almeno due profili: da un lato quello del trasferimento

operato a favore dell'assegnatario (art. 768 bis c.c.); dall'altro quello della liquidazione, anche

successiva, delle ragioni degli altri legittimari non beneficiari, o della loro eventuale rinuncia

(art. 768 quater, secondo comma, c.c.); e, si è osservato, fondamentale rilievo assume

quell'opera di cristallizzazione del relativo "costo" di acquisizione. Tale impianto, come visto,

sposta il piano di attenzione da quello dell'anticipata attribuzione in riferimento ad una futura

successione a quello dell'attuale acquisto di un bene a titolo di preventivo scioglimento di una

eventuale comunione incidentale in relazione al medesimo bene. L'azienda e le partecipazioni,

una volta rispettati tutti i presupposti di legge, sono quindi stralciati, scorporati dall'asse

patrimoniale del disponente, per poter pienamente e definitivamente essere assunti dal

beneficiario. In tale ottica vanno quindi lette le novità intervenute, come è confermato anche

dalla sua collocazione sistematica: davanti alle norme in materia di donazione e nell'ambito

della disciplina dettata in tema di divisione. La collocazione appare dunque opportuna, ove si

ponga l'accento sulla capacità effettiva di tali patti "di far cessare (ossia di non far sorgere) tra

i coeredi la comunione dei beni ereditari" (art. 764 c.c.). Sebbene tale equiparazione sia da

considerare in senso lato, più come descrittiva di un fenomeno e delle sue finalità, che

coincidente con il concreto assetto posto dal legislatore.

Va peraltro ricordato come una sua considerazione essenzialmente in termini di liberalità non

risulti pienamente soddisfacente, e ciò non solo per l'omesso richiamo al corrispondente

spirito, come invece testualmente disposto dall'art. 769 c.c.; quanto invero per una

connotazione causale che svela l'interesse tipizzante non tanto nell'attribuzione gratuita - che

tale potrebbe non essere appunto per la presenza di un meccanismo di liquidazione da,

almeno idealmente, compiersi nei confronti degli altri legittimari - quanto invero nell'istanza,

dotata di per sé di sufficiente autonomia caratterizzante, alla continuazione dell'impresa e

alla mancata frammentazione dei beni produttivi.

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Il dilemma sul se ci si trovi di fronte ad un tipo negoziale a sé stante, ovvero all’arricchimento e all’integrazione di strutture negoziali già note, viene comunque a sfumare notevolmente, anche perché a ben vedere si comprende come l'una configurazione non

escluda o rigetti necessariamente l'altra; quanto invero si sia in presenza di un'articolazione complessa il cui nucleo centrale è costituito da un fenomeno nella sua struttura affine a quello donativo, ma volto teleologicamente a scopi ulteriori, in parte latamente assimilabili

anche a quelli di una divisione, ancorché anche in questi non esaurientesi. Dall’adozione di un simile angolo visuale discendono dunque importanti corollari, ed in particolare la possibilità di farne confluire anche situazioni non propriamente previste dalla

relativa disciplina. Si potrebbe pensare all'ipotesi in cui le assegnazioni ai beneficiari non assegnatari dell'azienda, o delle partecipazioni, siano compiute con denaro o beni non del discendente beneficiario, ma dello stesso disponente, ovvero di terzi, quali soggetti

appartenenti al medesimo piano familiare, come coniuge, ascendenti o altri parenti 59. 4.3 I "patti" di famiglia L'evidente trasversalità, prima normativa e quindi negoziale, di tale innovativa figura induce, in un percorso volto a non sottovalutarne le amplissime potenzialità, ma a valorizzarle al massimo, a recuperare quel presupposto, quasi uno spunto, che si era anticipato all'inizio

della presente ricerca: ossia la considerazione in termini di "patti" di famiglia. In una visione non patologica del fenomeno, e dunque nel rispetto dell'integrità del valore produttivo dell'azienda o degli altri beni, esso diviene strumento utile di risistemazione degli assetti

patrimoniali familiari. Questo spostamento operato dal piano dell'atto a quello dell'attività, e dunque dell'operazione complessivamente considerata, consentirà di riscontrare nella medesima occasione un fascio plurimo di negozi, ancorché eventualmente contenuti in un

unico documento: tramite questi patti più disponenti, anche di diverse generazioni, possono compiere, pur reciprocamente, attribuzioni di più aziende o porzioni di esse e di disparate frazioni di partecipazioni societarie a più discendenti, assegnando anche i beni onde tacitare

le ragioni di coloro che non risultassero assegnatari. Quanto sopra potrà essere realizzato anche nella prospettiva di una più ampia riallocazione della ricchezza “comune” e quindi anche di beni diversi da quelli finora riguardati: con l'avvertenza che sortiranno gli effetti

propri del "patto familiare di impresa" - utilizzando dunque tale dizione per contraddistinguere il fenomeno previsto in senso stretto dalla legge - solo quei trasferimenti rivestenti i requisiti soggettivi e oggettivi richiesti dalla legge.

Detto in altri termini, nel medesimo atto si potranno realizzare contestualmente anche più patti di famiglia; ovvero ancora, uno o più patti di famiglia unitamente a fenomeni di natura, seppur concorrente, in parte diversa. La probabile evanescenza delle relative distinzioni

imporrà dunque al notaio, sulla base delle manifestazioni di volontà delle parti e della disciplina, anche fiscale, concretamente applicabile, di adottare una tecnica redazionale che impedisca confusioni concettuali e applicative.

59 Che potranno poi assumere, nello specifico, causa donativa, anche indiretta, o solutoria, o di altro genere, a seconda delle situazioni concretamente poste in essere.

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5. Profili di forma: atto pubblico e opportunità dei testimoni

Le considerazioni finora effettuate acquisiscono rilievo, come già accennato, anche se

osservate dal punto di vista formale: l'art. 768 ter c.c. dispone infatti che, a pena di nullità, il

patto di famiglia debba essere concluso per "atto pubblico". Si esclude dunque la sufficienza

della scrittura privata autenticata, per non disattendere quella funzione di adeguamento della

volontà delle parti riconnessa alla funzione del notaio nel ricevere un atto notarile (art. 47

della legge notarile 16 febbraio 1913, n. 89); oltre, è evidente, a garantire una maggiore

trasparenza dei patti stipulati.

L’attenzione prestata a tali profili conduce a dover tratteggiare conseguenze operative diverse.

Da un lato infatti, ove non si ancori tale negozio al mero schema della donazione, la

presenza dei testimoni non rileverà ai fini della sua validità; il che trova sostegno anche nel

confortante silenzio del dato testuale. Nel caso invece si rinvenga nel patto di famiglia la

rappresentazione di un’operazione donativa, i testimoni dovranno considerarsi, di converso,

necessari60.

Sotto altro profilo si può tuttavia osservare che la presenza dei testimoni possa risultare

comunque opportuna, ove il contratto non possa esser qualificato, al di là degli enunciati

formali conferitigli dalle parti, quale patto di famiglia, per la mancanza originaria o il venir

meno di uno o più dei suoi presupposti fondamentali; ovvero anche in vista dell'operatività di

una clausola di salvaguardia, di conservazione dei relativi effetti, espressamente apposta

all'atto (artt. 1367 e 1424 c.c.). Ne può discendere pertanto l’opportunità che il patto possa

essere riconsiderato come donazione, richiedendo allora ai fini della sua sopravvivenza,

anche la comparizione in atto dei relativi testimoni.

Va dunque posta attenzione al probabile rischio di confusione concettuale che ne possa

derivare, onde evitare di doversi affidare allo svolgimento a posteriori di una delicata attività

interpretativa, unitamente ai non improbabili risvolti conflittuali. Un'esigenza di certezza e di

consapevolezza del negozio da porre in essere comporterà da parte del notaio un'adeguata

indagine sulla volontà delle parti, tesa a comprendere se le stesse vogliano concretizzare una

mera donazione, al limite con correlative dispense, ovvero un contratto implicante i più

penetranti effetti propri della disciplina degli artt. 768 bis c.c. e seguenti. Rimane immutata

ovviamente la possibilità che gli stessi negozi attuati, ricorrendone i presupposti e l'esigenza,

possano essere a loro volta "convertiti" - in virtù di un'operazione ermeneutica o, ancor

meglio, come visto, di un'esplicita previsione negoziale - nell'una o nell'altra figura

contrattuale61.

60 E non vi osterebbe in tal caso la mancata previsione dell’art. 768 ter c.c., perché anche l’art. 782 c.c., in materia di donazioni, non li prevede, risultando il relativo obbligo dalla legge notarile, ed in particolare dall’art. 48 della l. 16 febbraio 1913, n. 89, come riformata ad opera della recente legge di semplificazione 28 novembre 2005, n. 246: vedi su tale novità G. CASU, Legge di semplificazione per il 2005. Le novità di interesse notarile, pubblicato in via telematica in CNN Notizie del 23 novembre 2005. 61 Sul punto si rinvia anche al case study tenuto, al citato Convegno di studio Patti di famiglia per l’impresa, di Milano, del 31 marzo 2006, da A. BUSANI, Patto di famiglia con impresa individuale e F. TONELLI, Patto di famiglia con partecipazione in società. Anche se una particolare delicatezza potrebbe incontrare un’iniziativa volta a riqualificare come patto di famiglia delle precedenti attribuzioni effettuate non a tale titolo nei confronti di discendenti e legittimari: in tal caso, sussistendone le premesse, andrà

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6. I soggetti che "devono" intervenire al contratto

Anche i profili di legittimazione e di partecipazione al contratto si sono rilevati fonte di

delicatissime esitazioni, dischiudendo problematiche, oltre che di non agevole soluzione, di

particolare rilievo sotto il profilo della pratica attuazione del patto. Sul punto occorre fare

riferimento al primo comma dell’art. 768 quater c.c., che dispone che “al contratto devono

partecipare anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si

aprisse la successione nel patrimonio dell’imprenditore”.

Si deve preliminarmente osservare che, se da un lato il trasferimento attuato con il patto di

famiglia può operare solo a favore di discendenti, con ciò escludendo - in via alquanto

opinabile - il coniuge62, ovvero parenti di grado vicino ma non in linea retta (quale ad

esempio il nipote ex fratre), invero il consenso deve essere prestato dagli attuali legittimari63.

Le incertezze scaturiscono dall'utilizzo nella disposizione del termine imperativo “devono”,

ingenerando il "drammatico" dilemma sulla reale portata precettiva di tale obbligo: è

necessario a tal punto esaminare singolarmente le diverse ipotesi ricostruttive.

6.1 La tesi della necessità del contestuale intervento di tutti i "legittimari

legittimati"

In aderenza ad una prima interpretazione si potrebbe infatti sostenere che la legge richieda

come presupposto indefettibile la contestuale presenza di tutti coloro che rivestirebbero la

qualifica di legittimari, ove venisse ad aprirsi a detto momento la successione. La conseguenza

del mancato intervento anche di uno solo dei soggetti legittimati comporterebbe dunque la

nullità del patto ai sensi dell’art. 1418 del codice civile per violazione di norma imperativa64,

oltre che, evidentemente, la sua completa inefficacia. Il tutto salva la possibilità, ricorrendone i

presupposti, e tra questi in particolare la presenza dei testimoni, che lo stesso venga a

trasmutarsi in un altro negozio legittimo, quale ad esempio una donazione pura e semplice: gli

effetti risulterebbero però, è evidente, diversi, ritornando in auge l’operatività di tutta una serie

di disposizioni, in primis quelle su collazione e riduzione. A tale impostazione si accompagna

quindi di necessità una lettura dell’art. 768 sexies c.c., che intenda per coniuge e altri

legittimari non partecipanti solo quelli cosiddetti “sopravvenuti”, ossia quelli non ancora

coniugati, nati o riconosciuti, o chiamati all’epoca del patto.

condotta una attenta e non facile opera di interpretazione, al fine di accertare la sussistenza del patto e l'applicabilità della relativa disciplina. 62 Non sembra acquisire reale rilievo il fatto che, la posizione del coniuge, di regola della medesima generazione del disponente, risulti in qualche misura estranea a tali norme, improntate sul passaggio "generazionale": il che risulterebbe in buona parte inopportuno, in quanto, nell'ottica della non frammentazione del bene produttivo, in determinate ipotesi proprio il coniuge, a differenza magari di discendenti troppo giovani o comunque immaturi, potrebbe garantire continuità degli assetti aziendali. Alla sua base sembrerebbe esservi, ma anche tale motivazione appare fortemente opinabile, l'idea che un coniuge possa variare: vedi anche per il precedente progetto IEVA, Il trasferimento dei beni produttivi in funzione successoria: patto di famiglia e patto di impresa. Profili generali di revisione del divieto di patti successori, cit., pag. 1376. 63 Tra questi il coniuge, richiamato in misura ridondante, forse in contrapposizione con il precedente progetto di art. 734 bis c.c., che invece appositamente lo scartava; mentre potrebbero risultare esclusi da tale cerchia, pur rivestendo la veste di discendenti, i nipoti ex filio ancora vivente, pertanto non ancora vocabili all’eredità. 64 Così MERLO, Il patto di famiglia, cit.

Patti di famiglia e impresa

27

Va infatti rilevata la particolare delicatezza che connota tali problematiche, in quanto è forte il

dubbio che le possibilità operative dischiuse dalla nuova legge possano prestare il fianco a

operazioni tendenti ad escludere uno o più legittimari dai propri diritti. Ciò in particolare ove gli

stessi non fossero consapevoli dell’intervenuto patto, perché volutamente esclusi o non informati,

e in virtù del meccanismo di valutazione previsto dall’art. 768 sexies c.c.. E ciò non tanto o non

solo a causa del possibile rischio di scorrettezze formali65, quanto invero per la deroga temporale

dallo stesso portata al disposto degli artt. 747 e seguenti e 556 c.c.: una cosa infatti è ottenere

un bene produttivo o una sua parte ad una determinata data, altra è invece ricevere un valore

storicamente precedente, pur se con la mera sommatoria degli interessi legali66.

Prudenza dunque sembrerebbe suggerire, in particolare in questa prima fase applicativa, che

il notaio che debba ricevere un patto di famiglia senza l'intervento di tutti i legittimari, ne

sconsigli l'adozione, ovvero vi dia adito quantomeno in presenza di testimoni ed unitamente

ad una clausola di conversione dei suoi effetti in quelli di una donazione o di altro contratto.

6.2 Intervento solo di alcuni degli aventi diritto e validità del contratto

Una prospettazione che vincoli la validità del patto al contestuale consenso di tutti gli aventi

diritto può apparire particolarmente rigida e forse eccessiva se solo si consideri che, in

concreto, alcuni degli aventi titolo potrebbero risultare irreperibili, se non proprio sconosciuti,

o quantomeno dimostrarsi indecisi: ipotesi queste di sicuro non peregrine o improbabili.

Si potrebbe allora ritenere che il patto o i patti, già stipulati solo tra alcuni dei soggetti

previsti dalla legge, risultino aperti anche a successive adesioni pur mantenendo intatta la

loro validità 67: non sembra infatti ostare ad alcun principio posto dall’ordinamento una

realizzazione progressiva di questi particolari negozi68. Il termine "devono" altro non

ribadirebbe quanto dettato in materia di contratti, ossia che per operare un effetto, in

particolare se sfavorevole o parzialmente tale, nei confronti di un soggetto è necessario

anche il suo consenso (artt. 1321 e 1372 c.c.)69. Dunque anche la rinuncia alla collazione ed

65 In quanto come si è visto, presupposto è costituito da una corretta valutazione dell’azienda, pena, come si è visto pur se in maniera dubitativa, il rischio di impugnazione del tutto, per il combinato disposto degli artt. 768 sexies, secondo comma, 768 quinquies, 768 quater, secondo comma, e 768 sexies, primo comma, c.c.. 66 Che ha invece riguardo al tempo dell’apertura della successione (art. 747 c.c.): d'altro lato è anche vero che ove si sia deprezzato il valore di quanto trasferito, ciò non andrà ad influire sulla relativa pretesa obbligatoria dell’avente diritto non partecipante, che appunto in quanto storicamente monetizzata, rimarrà insensibile a detti mutamenti. 67 Prospetta tale soluzione anche PETRELLI, La nuova disciplina del "patto di famiglia", cit., pag. 427 ss.; ritiene l’operatività del patto svincolata dall’adesione dei legittimari anche CACCAVALE, Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie, cit., pag. 298 ss., che non si nega come per tal via venga ad essere accentuata la forza d’urto del nuovo istituto sul sistema delle successioni, ma che in realtà i diritti dei legittimari, ancorché riplasmati, non vengono rinnegati, quanto invero confermati. 68 In particolare non sembra si debba ritenere di dover aderire ai rigorosi principi in tema di divisione, di cui all’art. 720 del codice civile e 784 del codice di procedura civile, come invece prospettato, in relazione al precedente progetto di art. 734 bis, da IEVA, Il trasferimento dei beni produttivi in funzione successoria: patto di famiglia e patto di impresa. Profili generali di revisione del divieto di patti successori, cit., pag. 1376; l’individuazione di una funzione latamente divisoria, se aiuta a comprendere la ratio della disciplina posta, non ne ricomprende peraltro l’applicabilità tout court della relativa disciplina: sul punto, partendo da premesse relativamente difformi, in quanto nega ogni profilo di anticipata divisione, anche PETRELLI, La nuova disciplina del "patto di famiglia", cit., pag. 427 ss. 69 Ritiene che la partecipazione al patto funga da condizione o presupposto di vincolatività per chi vi partecipi, PETRELLI, La nuova disciplina del patto di famiglia, cit. Opera un interessante parallelo con la disciplina del contratto a favore di terzo LA PORTA, La posizione dei legittimari sopravvenuti, cit., pag. 304 ss.

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all'azione di riduzione richiederebbe l’adesione di coloro a cui discapito opererebbe; con

un’eccezione: il momento temporale in cui il patto viene stipulato, necessariamente

antecedente all'apertura della successione del soggetto disponente, importa il dover

prescindere dal consenso di coloro che legittimari non sarebbero stati a quel momento.

A tale conclusione sembra condurre anche il dato testuale: l'art. 768 sexies, c.c.,

preoccupandosi di salvaguardare i diritti, almeno di natura puramente economica, dei

legittimari non assegnatari, consente a questi ultimi, alla morte del disponente, di chiedere ai

beneficiari del contratto il pagamento della somma prevista dall'art. 768 quater c.c., secondo

comma, c.c.. Quindi corrispondente al valore delle quote previste dagli artt. 536 c.c. e

seguenti, aumentata degli interessi legali. I legittimari non partecipanti dell'art. 768 sexies c.c. vanno dunque intesi, come indica anche il dato puramente testuale, come coloro che

non hanno partecipato al contratto, sia perché, pur avendone titolo, non sono intervenuti; sia

perché sopravvenuti, e quindi non ancora legittimati. L’ipotesi sostenuta trova ulteriori

conferme in altri punti della legge. Tra questi sempre l'art. 768 sexies c.c., la cui rubrica,

trattando dei rapporti con i soggetti non partecipanti, li intitola "rapporti con i terzi", evidenziando una loro estraneità all’assetto negoziale in senso stretto. Ma soprattutto

occorre fare riferimento all'art. 768 bis c.c., che definisce come patto di famiglia il contratto

con cui un “soggetto trasferisce a uno o più suoi discendenti”, disinteressandosi e non

menzionando in alcun modo gli altri legittimari; e dunque facendo sorgere più di un sospetto

sul fatto che sotto il profilo puramente strutturale tale contratto veda quali sue parti

necessarie solo "l'imprenditore o il titolare di partecipazioni societarie" da un lato e "uno o

più discendenti" dall'altro70.

La delicatezza degli ambiti appena trattati potrebbe suggerire di non spingersi oltre, o

almeno di non adagiarsi solo su dati letterali che, in virtù della tecnica legislativa usata,

potrebbero non apparire determinanti, se non addirittura utilizzati a sostegno di opposte tesi.

Un solido conforto a quanto finora affermato proviene tuttavia dal confronto con lo spirito

che anima la legge: la quale, come si è detto, si è preoccupata, per finalità di

razionalizzazione dell’attività di impresa, di salvaguardare l'unitarietà di beni produttivi,

evitando in nuce l'insorgere di comunioni incidentali potenzialmente pregiudizievoli. Non

risulta pertanto coerente con l’apparato proposto dalla nuova disciplina la facile possibilità di

frustrazione di queste istanze per effetto della mera mancanza o della voce di dissenso di

uno dei possibili legittimari. La tutela disposta dagli artt. 768 sexies, secondo comma, e 768

quinquies c.c. convalida tale opinione; in queste norme, e non nell'art. 768 quater, primo

comma, c.c., va infatti ravvisata la volontà del legislatore di proteggere i legittimari non

partecipanti da indebiti approfittamenti.

Ne consegue che il patto stipulato tra disponente e discendente è sufficientemente completo,

e valido, sebbene, fino all'apertura della successione, dischiuso all'intervento e all'adesione di 70 Vedi sul punto CACCAVALE, Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie, cit., pag. 298 ss.

Patti di famiglia e impresa

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tutti gli altri, si perdoni il gioco di parole, "legittimari legittimati". Né risulti necessario, seppur

opportuno - la legge non contiene appigli testuali di alcun genere - procedere nei confronti di

questi ultimi ad alcuna notifica, formale o meno, di invito ad intervenire al contratto71. Da ciò consegue di converso che possa tra l'altro ravvisarsi un idoneo patto di famiglia,

qualificabile come tale, anche nell'ipotesi in cui il disponente trasferisca l'azienda o le

partecipazioni al suo unico discendente, e non sussistano a tale momento altri legittimari,

ove intento delle parti fosse quello di far soggiacere quanto trasferito al particolare effetto

protettivo discendente dagli art. 768 bis c.c. e seguenti72.

6.3 L'efficacia del patto stipulato in "contumacia"

Se si ammette la possibilità che un patto di famiglia stipulato senza la presenza di tutti gli

eventuali aventi titolo possa essere considerato valido e come tale qualificabile, occorre a

questo punto domandarsi come tale “contumacia” si rifletta sulla corrispondente efficacia del

contratto concluso.

Anche al proposito possono prospettarsi almeno due soluzioni.

Da un lato potrebbe ritenersi che lo stesso non sia ancora completamente perfezionato, e

dunque non sortisca effetti di alcun tipo, né di trasferimento dei beni, né di esenzione da

collazione e riduzione o altro; di tal guisa assumendo le caratteristiche di un contratto

sospensivamente condizionato all'adesione di tutti i "legittimari legittimati".

Anche sulla base delle considerazioni prima svolte si crede preferibile ritenere che il patto,

pur rimanendo in qualche misura aperto, risulti tra i suoi partecipanti comunque completo e

concluso: esso sortirà immediatamente effetti vincolanti, ma solo nei confronti dei suoi

aderenti. Il contratto realizzerà, salvo diversa volontà, immediatamente il trasferimento,

cristallizzando i valori delle assegnazioni al momento della sua stipulazione, salvo un loro

riadattamento a seguito dell'intervento successivo di altri soggetti73.

Detta connotazione di accoglienza, e la conseguente facoltà di adesione successiva, e

dunque di contrattazione anche dei valori della liquidazione, risulterebbe ammissibile fino alla

morte del disponente. L'apertura della successione segna infatti il trapasso tra ciò che viene

attuato su base volontaria, negoziale, e la relativa applicazione di effetti prescritti dalla legge.

Ove si aprisse la successione, quanto ricevuto dai contraenti non sarebbe dunque

assoggettabile a collazione e riduzione, mentre gli altri non partecipanti, non intervenuti o

71 Sulla base di un’applicazione estensiva di quanto dettato dal terzo comma dell’art. 1113 c.c.: propende comunque per l’ultroneità della convocazione anche CACCAVALE, Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie, cit., pag. 301, che ritiene come sia precluso ai legittimari esclusi di opporsi efficacemente alla decisione maturata in loro assenza dal disponente e dagli altri soggetti. 72 Di diverso avviso PETRELLI, La nuova disciplina del "patto di famiglia", cit., pag. 434 ss., secondo il quale si avrebbe in tal caso una semplice donazione, con la possibilità di stipulare, nel caso sopravvengano legittimari, un contratto successivo ai sensi dell’art. 768 quater, terzo comma, c.c.. 73 E qui potrebbe sorgere l'ulteriore dubbio se i legittimari legittimati alla partecipazione al patto, debbano essere quelli individuati al momento di stipula dello stesso, ovvero quelli individuati al momento di conclusione totale dello stesso. Si predilige la prima soluzione, più aderente alla prospettiva di immediata efficacia, anche se soggettivamente parziale, del patto. Quella alternativa, oltre a creare problemi operativi di corretta individuazione degli aventi diritto, dovrebbe allora necessariamente poggiare sull'ipotesi di carenza di efficacia immediata del patto incompleto.

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sopravvenuti, potrebbero richiedere ai beneficiari del contratto il pagamento di una somma

corrispondente al valore delle rispettive legittime, aumentate degli interessi legali (artt. 768

quater, secondo comma, e 768 sexies, primo comma)74.

Rimanendo sempre in tema di efficacia, va rammentato come non ci siano dubbi che il patto o i patti di famiglia possano essere modulati in relazione alle diverse istanze che di volta in volta possano prospettarsi. Viene alla mente, tra le altre, quella di consentire al disponente,

che non voglia pienamente dismettere l'azienda o le partecipazioni, ovvero intenda riservarsi un giudizio sull'idoneità della persona designata, di mantenere un controllo su quanto trasferito, ovvero di graduare nel tempo l'efficacia dello stesso passaggio. Al patto o ai patti

possono dunque essere apposte, tra l’altro, oltre a presupposti e termini di efficacia vari, condizioni di riversibilità, ovvero di disporre dei beni trasferiti, nonché riserve di usufrutto (anche successivo) e divieti di alienazione. Nel caso poi i beni siano conferiti in società, e

comunque nel caso di partecipazioni societarie in genere, potranno prevedersi, conformemente ai diversi tipi sociali, particolari diritti amministrativi, clausole in tema di amministrazione, diritti di veto, quorum costitutivi e deliberativi più o meno articolati,

clausole limitative della circolazione, nonché, nei limiti della loro ammissibilità, clausole di riscatto e continuazione successoria, oltre, più in generale, alla stipula di veri e propri patti parasociali o ulteriori forme di controllo75.

6.4 Scioglimento e recesso del patto di famiglia Occorre soffermarsi, seppur velocemente, su quanto disposto dall'art. 768 septies c.c., che

consente lo scioglimento del contratto o il recesso dal medesimo. L’utilizzo di tali figure suggerisce una particolare accortezza: la natura produttiva dei beni oggetto del trasferimento, implica infatti l’istanza della salvezza dei rapporti instaurati manente patto con i terzi.

Soffermandosi sull’inserimento di una clausola di recesso, può avvertirsi come la sua previsione consigli, viste le incidenze sopra riferite, una estrema cautela e consapevolezza76. La legge 55 del 2006 non ne detta peraltro una disciplina, e dunque occorre giocoforza

affidarsi ai principi generali sul punto, e sulle particolari evenienze derivanti dagli effetti reali nel frattempo prodotti. Si potrà comunque modulare o graduare questa facoltà, condizionandola a determinate situazioni o eventi; o restringendola solo a parte dei beni o a

particolari diritti; ovvero consentendola solo ad alcuni dei contraenti; ovvero ancora dotandola solo di effetti obbligatori e non reali.

74 Salvo ovviamente, anche in tal caso, convenire forme alternative di liquidazione, mediante soluzioni negoziali affini allo schema della datio in solutum. Si conferirebbe inoltre anche un maggior senso a quella norma dell’imputazione alla quota di legittima di quanto ricevuto. I partecipanti al contratto potranno intervenire sul relictum, che non comprenderà i beni assegnati, ma previa imputazione di quanto assegnato: si impedisce in tal modo che soggetti già in parte soddisfatti, possano vantare le stesse pretese di quanti non lo siano. Anche in tal caso, ove i soggetti non partecipanti richiedessero le relative somme agli assegnatari, assisteremmo ad un riequilibrio delle relative quote, in quanto anch’essi dovrebbero imputare a loro volta alle quote di legittima loro spettanti. 75 Per queste ed altre ipotesi si rinvia ad A. BUSANI, Patto di famiglia e governance nell'impresa trasferita, in AA.VV., Patti di famiglia per l’impresa, cit., pag. 389 ss.. 76 Va ricordato come RESCIGNO, Trasmissione della ricchezza e divieto dei patti successori, cit., pag. 1281 ss., avvertisse come tale eccezionale potere di recesso fosse da accompagnarsi a cause tipicamente individuate o comunque per fatti in qualche modo inscrivibili in una nozione generale di giusta causa.

Patti di famiglia e impresa

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Da quanto osservato discende la difficoltà concettuale sul se tale prerogativa possa attribuirsi

solo al disponente o all'assegnatario o anche, come sembra preferibile, ad altri partecipanti.

Se si intende questo diritto nei termini di una possibilità di scioglimento delle rispettive

singole manifestazioni di volontà, non sembra che possa venire inficiato l'intero contratto ove

poi il recesso sia operato da uno o più dei soggetti non beneficiari dell’azienda o delle quote:

salvo valutazioni di essenzialità e diversi accordi, il patto per i restanti effetti, in particolare

per quelli traslativi, rimarrebbe comunque in piedi. Si attribuirebbe in tal modo anche un

maggior significato alla distinzione operata dalla legge tra le due situazioni dello scioglimento

(art. 768 septies, n. 1, c.c.) e del recesso (art. 768 septies, n. 2, c.c.)77.

6.4 Sul rilievo negoziale della partecipazione al patto dei legittimari non

assegnatari di azienda o partecipazioni societarie.

Ci si potrebbe chiedere infine quale valore negoziale si possa allora attribuire alla

partecipazione dei legittimari cosiddetti legittimati, e in cosa si distinguano dai successibili

non attuali o comunque non partecipanti di cui all'art. 768 sexies c.c. Sicuramente, da un lato, il loro intervento ha il valore di confermare il patto intercorso78,

contribuendo ad assecondarne la stabilità79. Ma è anche vero d’altronde che tale possibilità

non si crede preclusa anche a legittimari non ancora attuali, ma che in un momento

successivo potrebbero divenirlo80.

La linea di demarcazione può rinvenirsi allora, come già visto, nell'incidenza che assume in

tale rapporto il momento dell’apertura della successione: alla morte del disponente non sarà

più possibile intervenire “contrattualmente” al patto di famiglia, neanche con successivi

negozi collegati al primo: essa rimane dunque preclusa ai legittimari sopravvenuti, e a quelli

che non vi abbiano partecipato, pur residuando i diritti di credito di cui all’art. 768 sexies, primo comma, c.c..

Sorge pertanto il dubbio, di non agevole risposta, sulla qualità da conferire a tale fase di

negoziazione, al di là di quella di natura "rafforzativa" prima visto. È forte infatti la percezione

che, aderendo alla tesi della non necessità del loro intervento, tale momento di partecipazione

assuma comunque un rilievo limitato, almeno se osservato sotto il profilo degli interessi dei

legittimari non assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni. Probabilmente la risposta si trova

in quel momento di valutazione e di liquidazione delle relative competenze: in tal caso la

soddisfazione dei diritti dei legittimari partecipanti opera, almeno idealmente, su base

77 Il che si pone in linea con quanto sopra affermato sulla non necessità di intervento di tali legittimari ai fini della validità e della relativa efficacia del contratto. 78 Sempre in via approssimativa, tali interventi mostrano delle attinenze con le dichiarazioni da rendersi dal coniuge in tema di comunione legale, ai sensi dell'art. 179, secondo comma, c.c., nonché sui numerosi dibattiti che ha suscitato l’individuazione del loro reale valore, quale atto giuridico in senso stretto o a fini negoziali: nel senso del suo valore meramente ricognitivo, vedi BIANCA, Diritto civile. 2. La famiglia - Le successioni, cit., pag. 84. 79 Vedi anche PETRELLI, La nuova disciplina del "patto di famiglia", cit., pag. 432. 80 Una particolare attenzione andrebbe peraltro posta per l’eventualità che il patto venisse riqualificato come mera donazione: in tal caso la loro adesione, ove eccessivamente circostanziata, potrebbe essere considerata in contrasto con il divieto di cui al secondo comma dell’art. 557 c.c..

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consensuale. Il valore contrattuale di tale compartecipazione risulta dunque lo stesso che

descrive la legge all'art. 768 quater, secondo comma, c.c.: concordare sui beni da assegnare,

anche in natura, ai soggetti non beneficiari; ciò anche se la relativa esecuzione avvenga con

successivo contratto espressamente dichiarato collegato al primo. In tal senso dunque può

anche leggersi il terzo comma dell'art. 768 quater c.c., come momento di individuazione, e

dunque di delimitazione, di un profilo fondamentale relativo agli assetti in corso. Il punto

nodale caratterizzante tale fase è che ciò potrà realizzarsi in contraddittorio, oltre che con il

discendente beneficiario, anche e soprattutto con l’ascendente disponente. Si converrà dunque

un tavolo di confronto sulle opportunità e sulle aspettative di ripartizione della ricchezza

familiare, e soprattutto ciò costituirà occasione di uno o più accordi che vedano soddisfatte,

mercé la loro adesione, le esigenze, non solo puramente pecuniarie (potendosi la liquidazione

convenire anche in natura), di tutti i cointeressati. E che la libertà in tal senso sia massima lo

conferma la possibilità che alle stesse possano anche pienamente (o parzialmente) rinunciare

(sempre art. 768 quater, terzo comma, c.c.).

Giunti infine alla conclusione di questa iniziale e approssimativa indagine, può allora

recuperarsi e chiudersi lo spunto, quasi il proclama, con il quale tale legge è stata accolta,

ossia quello della deroga al divieto dei patti successori. Come si è detto, in tale sede gli altri

legittimari, potranno concordare il valore da attribuire al loro consenso, fino al punto di

abdicarvi. Ferme restando le considerazioni finora svolte, va ricordato come questo sia, non

a caso, anche l'aspetto più marcatamente di diritto ereditario, più a confine con il divieto dei

patti successori e che, almeno per prudenza e con tutta probabilità opportunamente, ha

indotto il legislatore ad aggiungere il relativo inciso all'art. 458 c.c.81.

81 Sull’opportunità o meno di tale collocazione, operata nei confronti del primo comma dell’art. 458 c.c., e non di quello successivo, quest’ultimo più propriamente dedicato ai patti dispositivi e rinunciativi, si rinvia alle riflessioni di CACCAVALE, Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie, cit., pag. 292.

Fac simile “patto di famiglia”

33

Di seguito si riporta uno Schema di patto di famiglia*

BOZZA

Repertorio n. Raccolta n.

PATTO DI FAMIGLIA

CON TRASFERIMENTO DI PARTECIPAZIONI DI SOCIETÀ

A RESPONSABILITÀ LIMITATA

REPUBBLICA ITALIANA

L'anno Duemilasei, il giorno trentuno del mese di ottobre.

- 31 ottobre 2006 -

In Milano, via ...

Avanti a me dottor Marco Avagliano, Notaio in Cornaredo, iscritto presso il Collegio Notarile

dei Distretti riuniti di Milano, Busto Arsizio, Lodi, Monza e Varese, alla presenza dei testimoni

signori:

- TESTI Teste, ...

- TESTE Testi, ...

sono comparsi i signori:

- ROMANI Romolo, ...

di seguito denominato anche "parte cedente";

- ROMANI Remo, ...

di seguito denominato anche "parte beneficiaria";

sono altresì intervenuti i signori:

- CAIA Caietta, ...

- ROMANI Lavinia ....

di seguito denominati anche "familiari";

Detti comparenti, della cui identità personale io Notaio sono certo,

premettono e dichiarano che:

a) il signor Romani Romolo è titolare di una quota di partecipazione del valore di euro ...

corrispondente al ... % (... per cento) del capitale della società ...

b) i signori Caia Caietta, Romani Remo e Romani Lavinia sono rispettivamente coniuge e figli

legittimi del signor Romani Romolo e, ove si aprisse in questo momento la successione del

signor Romani Romolo, suoi unici legittimari;

c) il signor Romani Romolo intende trasferire, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 768 bis e

seguenti del codice civile, al solo figlio Romani Remo l'intera/parte della propria quota di

partecipazione alla suddetta società. * scaricabile in formato WORD dal sito www.euroconference.it (vedi indice della presente dispensa)

file a

P A T T I

D I F A M I G L I A

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Tutto ciò premesso, convengono e stipulano quanto segue.

Art. 1. Consenso e oggetto

Il signor Romani Romolo cede e trasferisce, ai sensi e per gli effetti degli artt. 768 e seguenti

del codice civile, al signor Romani Remo, che accetta ed acquista la titolarità dell'intera / di

parte della propria quota di partecipazione di euro ... (...), corrispondente al ...% (... per

cento) del capitale della suddetta società ..., Ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 768 quater, primo comma, del codice civile, i signori Caia

Caietta e Romani Lavinia dichiarano di prestare il proprio consenso al presente patto di famiglia.

Art. 2. Valore

Le parti convengono e dichiarano che il valore delle quote di partecipazione trasferite è pari a

complessivi euro ....

[eventualmente: perizia di stima]

Art. 3. Effetti

La cessione di quota di partecipazione operata con il presente patto di famiglia è comprensiva

di ogni diritto connesso alla quota di partecipazione ceduta, senza eccezioni.

La parte cedente garantisce alla parte acquirente la proprietà e la piena disponibilità della

partecipazione ceduta, che dichiara essere libera da pegni, diritti di prelazione, vincoli ed

oneri di qualunque natura.

Le parti danno atto che quanto ricevuto per effetto del presente patto di famiglia non è

soggetto, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 768 quater, quarto comma, del codice civile, né

ad azione di riduzione né a collazione.

Le parti si impegnano reciprocamente a far annotare la cessione di quota di partecipazione

operata con il presente patto di famiglia sul libro soci, dopo il deposito previsto dall'art. 2470,

secondo comma, del codice civile, obbligandosi a compiere tutte le formalità a tale fine

necessarie od opportune.

Art. 4. Liquidazione dei diritti spettanti ai legittimari

Ai sensi e per gli effetti dell'art. 768 quater del codice civile, il signor Romani Remo

corrisponde quale liquidazione dei diritti ad essi spettanti ai signori Caia Caietta e Romani

Lavinia la somma di euro ... (...) ciascuna mediante numero ... assegni ... [eventualmente: liquidazione in natura; nel caso di immobili seguono le necessarie menzioni] I signori Caia Caietta e Romani Lavinia rilasciano pertanto rispettivamente ampia e finale

quietanza di saldo e liberazione, dichiarando e garantendo di nulla più avere a chiedere o

pretendere in dipendenza di quanto trasferito con il presente patto di famiglia.

[ovvero]

Fac simile “patto di famiglia”

35

Ai sensi e per gli effetti dell'art. 768 quater del codice civile, il signor Romani Remo si obbliga

a corrispondere ai signori Caia Caietta e Romani Lavinia la somma di euro ... (...) ciascuna

entro e non oltre la data del ...

[eventualmente: polizza fideiussoria o altra garanzia] [ovvero] Le parti si impegnano e obbligano a procedere alla liquidazione dei diritti spettanti ai familiari

ai sensi e per gli effetti dell'art. 768 quater, secondo comma del codice civile, con successivo

contratto da stipularsi, ai sensi e per gli effetti del terzo comma del medesimo articolo, per

atto pubblico entro e non oltre la data del ...

[eventualmente: definizione delle modalità di liquidazione, perizia di stima a tale o a diversa data, ...] [ovvero] Ai sensi e per gli effetti dell'art. 768 quater, secondo comma, del codice civile, i signori Caia

Caietta e Romani Lavinia rinunciano espressamente all'intera liquidazione delle proprie ragioni

da parte del signor Romani Remo [eventualmente: rinuncia solo parziale].

Art. 5. Recesso

Ai sensi e per gli effetti dell'art. 768 septies del codice civile, ciascuno dei contraenti potrà

recedere dal presente contratto entro ... mediante dichiarazione resa con atto pubblico ...

Art. 6. Disposizioni finali

Le spese, le imposte e le tasse del presente atto, le annesse e le dipendenti, sono a carico

della parte beneficiaria

[ovvero] Le spese, le imposte e le tasse del presente atto, le annesse e le dipendenti, sono a carico

delle parti con esclusione della parte cedente. Clausole fiscali E richiesto io Notaio ho ricevuto il presente atto, scritto da persona di mia fiducia e da me

Notaio, parte a macchina e parte di pugno, su pagine

di fogli e da me Notaio letto, previa

dispensa dalla lettura di quanto allegato, in presenza dei testimoni, ai comparenti, che

dichiarano di approvarlo e lo sottoscrivono, unitamente ai testimoni e me Notaio.

P A T T I

D I F A M I G L I A

36

Di seguito vengono affrontati in modo schematico i seguenti punti:

I Patti di Famiglia(art. 768-bis e ss. del C.c.)• Il nuovo “Patto di Famiglia”: panorama della disciplina ed individuazione della

ratio legis• Patto di Famiglia e compatibilità con il Divieto di Patti successori• Sottoscrizione, forma e validità del “Patto di Famiglia”• Utilizzo del “Patto di Famiglia” nella prassi professionale: opportunità e

aspetti problematici• Le possibili modifiche sul “Patto di Famiglia”: i legittimari sopravvenuti• Lo scioglimento del “Patto di Famiglia”• Pianificazione e “Patti di Famiglia”

IL NUOVO “PATTO DI FAMIGLIA”: PANORAMA DELLA DISCIPLINA ED INDIVIDUAZIONE DELLA RATIO LEGIS

• Quadro normativo sui patti di famiglia: libro II, titolo IV, il nuovo Capo V-bis,artt. 768-bis – 768-octies del Codice Civile.

Art. 768-bis C.c.

“E' patto di famiglia il contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l'imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l'azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti”

RIEPILOGANDO I Patti di Famiglia (art. 768-bis e ss. del C.c.)

a cura di Luigi Belluzzo

I patti di famiglia - riepilogando

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• Principi in materia di Diritto Successorio:

1.Impossibilità di vincolare la volontà testamentaria, piena libertà di disporre dei propri beni mediante testamento (e di revocarlo) in ogni momento della propria vita, salvo limiti imposti dalla legge.

2.Nullità dei patti successori ossia di ogni atto o contratto con cui un soggetto si impegni, durante la propria vita, a disporre dei propri beni dopo la propria morte, oppure i possibili interessati da una futura successione di un soggetto ancora vivente si accordino circa le sorti della trasmissione ereditaria di cui potrebbero essere beneficiari;

3.Tutela della legittima, riserva ex lege a favore di determinati soggetti (coniuge, discendenti e ascendenti, detti “eredi necessari” o “legittimari”) di una quota rilevante dell’asse ereditario, quota che il de cuius durante la sua vita non puòtendenzialmente intaccare né con donazioni, né con disposizioni testamentarie che ignorino o ledano gli interessi di tali soggetti, pena l'esercizio da parte di questi ultimi dell'azione di riduzione.

• Ratio della nuova disciplina:

1. soluzione al problema della trasmissione dell’impresa di famiglia (passaggio

generazionale) a garanzia della continuità e prosperità dell’impresa stessa:

successione nei beni produttivi;

2. risposta alle richieste dell’Unione Europea per un’attenuazione del divieto di

patti successori: Patti di Famiglia = apparente deroga nell’ordinamento italiano al divieto di Patti successori.

P A T T I

D I F A M I G L I A

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SOTTOSCRIZIONE, FORMA E VALIDITÀ DEL “PATTO”

• Requisiti per la validità del “Patto”

- Forma: atto pubblico a pena di nullità;

- Soggetti firmatari: l’ imprenditore o il tito lare di partecipazioni - cedente, i discendenti ai quali egli intenda trasferire l’azienda (assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni),

- Gli altri soggetti partecipanti: il coniuge, anche se legalmente separato, gli altri figli (legitt imi, naturali o adottivi), ovvero i discendenti dell’ imprenditore qualora gli stessi non fossero più in vita.

- Oggetto di trasferimento: l’azienda ovvero le quote di partec ipazione di una società.

- Possono fare ricorso a tale strumento gli imprenditori ai sensi del codice c ivile nonché i soci di una società (si discute se il soc io debba essere imprenditore, e quindi detenere il pacchetto di maggioranza o di controllo della società, ovvero se si possa presc indere, per il tenore letterale della norma, da tale requisito).

EFFETTI E FUNZIONAMENTO DEL “PATTO”• Causa tipica del contratto: appare del tutto nuova nel nostro ordinamento e deve

essere rinvenuta nella regolamentazione della successione nell’interesse dell’impresa e dei beni produttiv i.

• Effetti: in quanto convenzione-contratto inter vivos ad efficacia reale, comporta l’immediato effetto traslativo dall’imprenditore o dal soggetto cedente ai soli discendenti assegnatari (art. 768 bis: è il contratto con cui “trasferisce”), restando esclusi dall’attribuzione gli altri partecipanti (ad esempio la moglie rinunciataria dei propri diritti sull’azienda trasferita ai f igli).

• Funzionamento del “Patto”:I patti di famiglia si fondano sul seguente meccanismo di funzionamento:1. il trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni al capitale sociale da parte

dell’imprenditore o comunque del soggetto cedente ad alcuno dei suoi discendent i; 2. la liquidazione degli altri familiari non continuatori dell'attività di famiglia da parte dei

discendenti che hanno conseguito l’attribuzione dell'azienda o delle partecipazioni sociali.

I patti di famiglia - riepilogando

39

PATTI DI FAMIGLIA E VINCOLI ALLA CIRCOLAZIONE DELL’IMPRESA FAMILIARE

• L’Art. 230-bis c.c. definisce impresa familiare quella cui collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo;

• Il presupposto richiesto è la prestazione con carattere di continuità e prevalenza dell’attività lavorativa da parte dei soggetti indiv iduati;

• Rinuncia al diritto di prelazione a favore dei familiari che collaborano in azienda, in caso di trasferimento dell’azienda;

• Crediti spettanti ai collaboratori familiari; • Intrasferibilità del diritto di partecipazione agli utili, ai beni acquistati, agli

incrementi dell’azienda (incluso avviamento), salvo che:1. il trasferimento avvenga a favore di familiari (coniuge, i parenti entro il

terzo grado, gli affini entro il secondo), e2. con il consenso di tutti i partecipi.

PATTI DI FAMIGLIA E VINCOLI ALLA CIRCOLAZIONE DELLE QUOTE (VINCOLI CIVILISTICI E STATUTARI)

• Rispetto delle norme sulle modifiche statutarie relative alla compagine sociale (quorum, adempimenti pubblicitari, delibere assembleari)

• Adempimento delle formalità richieste dallo Statuto della società la cui partecipazione è oggetto del trasferimento (eventuale clausola di gradimento a favore dei soci o dell’organo amministrativo, rinuncia ad esercitare diritto di prelazione da parte degli altri soci);

• Possibile trasferimento della proprietà con riserva a favore del disponente del diritto di usufrutto

P A T T I

D I F A M I G L I A

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Modello di clausola di un Patto di Famiglia in materia di vincoli statutari alla circolazione quote:

“Stante l’intenzione del sig….. di cedere la partecipazione al capitale della… di sua proprietà e di cui al precedente punto a) mediante la stipula di un PATTO DI FAMIGLIA, come sopra precisato, sono state esperite tutte le necessarie formalità, così come previsto dall’art. … del vigente Statuto, al fine di:

- consentire agli altri soci di esprimere il proprio gradimento….- consentire agli altri soci di esercitare il diritto di prelazione, diritto a cui gli altri soci hanno

espressamente rinunciato con propria dichiarazione scritta ai sensi dell’art. … del vigente Statuto sociale”

UTILIZZO DEL “PATTO DI FAMIGLIA” NELLA PRASSI PROFESSIONALE: OPPORTUNITÀ E QUESTIONI CONTROVERSE;

Obiettivi realizzabili attraverso la stipula di un “Patto”:

1. Rafforzamento dell’unità delle famiglie proprietarie;

2. Ottimizzazione della governance dell’impresa;

3. Sviluppo personale, professionale ed economico dei familiari;

4. Pianificazione per tempo dei rapporti tra famiglia e azienda;

5. Programmazione per tempo del passaggio generazionale e la funzionalità futura del Family Business;

6. Maggiore trasparenza nella relazione tra famiglia ed impresa.

I patti di famiglia - riepilogando

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Opportunità per creare valore:

• Opportunità per un’eventuale ri-definizione della governance (il patto di famiglia puòavere anche valore di patto parasociale o può essere direttamente riportato all’interno dello Statuto);

• Difesa e conservazione dell’assetto proprietario;

• Opportunità di vincolare la circolazione delle quote verso terzi e dare stabilità al controllo da parte della Famiglia;

• Opportunità per la creazione di un Consiglio di Famiglia;

• Strumento di marketing utile ad aumentare la visibilità della Famiglia e del Businessdalla stessa gestito.

Gli aspetti problematici:

• Il reperimento della liquidità necessaria al beneficiario per il pagamento delle liquidazioni (finanziamento bancario - family buy out);

• L’indiv iduazione della base di calcolo della quota spettante al legittimario sopravvenuto (variazioni di valore dell’azienda / partecipazione);

• La determinazione di chi debba rimborsare l’eventuale familiare sopravvenuto;

• L'intervento necessario o meno di tutti i legittimari;

• La norma sembra disciplinare la successione delle aziende familiari, ma non vi è alcuna esplicita limitazione al trasferimento di un’impresa “non familiare”;

• Situazioni familiari particolarmente complesse (figli di diversi matrimoni, coniugi non conviventi, divorzi, ecc.), potrebbero rendere difficoltosa l’indiv iduazione dei legittimari;

• Il dante causa deve essere un “imprenditore”, secondo le norme del codice civ ile., ovvero è prevista una interpretazione estensiva della norma (azienda/partecipazione), per cui èsufficiente la generica titolarità di partecipazioni.

P A T T I

D I F A M I G L I A

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LE POSSIBILI MODIFICHE SUL PATTO: I LEGITTIMARI SOPRAVVENUTI

• In caso di sopravvenienza di nuovi soggetti rientranti nel novero dei legittimari, successivamente alla stipula del patto (ad esempio: caso di successivo matrimonio dell’imprenditore, nascita o riconoscimento di ulteriori figli …), è previsto il diritto dei legittimari sopravvenuti di chiedere ai beneficiari del patto il pagamento di una somma pari alla quota che sarebbe loro spettata se avessero partecipato al patto, aumentata degli interessi legali.

• I beneficiari del patto rispondono solidalmente verso il legittimario sopravvenuto, tuttavia, qualora i legittimari sopravvenuti non vengano compensati, possono impugnare il patto al fine di ottenerne l’annullamento.

LO SCIOGLIMENTO DEL “PATTO”Le ipotesi di scioglimento del “Patto”, previste dalla Legge, sono:

A- IMPUGNAZIONE EX art. 1427c.c.:• causa:“Errore, violenza, dolo” - (vizi del consenso);• soggetti legittimati: partecipanti al patto;• termine prescrizione: 1 anno.

B- IMPUGNAZIONE EX art. 768-SEXIES, 2°C, c.c.:• causa: mancato pagamento della somma di denaro o dei beni che costituiscono la quota di

ciascun partecipante non assegnatario dell’azienda unitamente ai relativi interessi legali;• soggetti legittimati: altri partecipanti al contratto diversi dagli assegnatari dell’azienda/quote di

partecipazione.

C- SCIOGLIMENTO O MODIFICA SUCCESSIVA DEL CONTRATTO EX. 768-SEPTIES c.c.:• soggetti legittimati: i partecipanti al patto;• modalità alternative:

– nuovo contratto;– recesso, purché espressamente previsto nel contratto iniziale , che si perfeziona con la

dichiarazione certificata agli altri contraenti da parte di un notaio.

I patti di famiglia - riepilogando

43

I Beni di primo grado

I Beni di secondo grado

Le operazioni straordinarie e la circolazione tributaria della ricchezza

PIANIFICAZIONE E <<PATTI DI FAMIGLIA>>

Attenzione: il Patto ex. Art. 768-bis e ss. può avere per oggetto solo azienda o partecipazione e NON altri beni!Pertanto nella prassi si sviluppano più operazioni per raggiungere gli obiettivi prefissati

TRASFERIMENTO AI FIGLI

TIZIO, VEDOVO CON DUE FIGLI: MARIO E MARISA

TIZIO, VEDOVO CONDUCE AZIENDA (W=1000)

GENITORE E FIGLI STIPULANO PATTO DI FAMIGLIA

GENITORE TRASFERISCE AZIENDA A MARIO

MARIO CON GARANZIA AZIENDA SI INDEBITA E TRASFERISCE SOMMA (DA DEBITO A MARIO) A MARISA

ESEMPIO 1

P A T T I

D I F A M I G L I A

44

MARIO E LUIGI HANNO EREDITATO AZIENDA (“SOCIETA’”) DAL PADRE

MARIO (50%) HA DUE FIGLI: GIORGIO IN AZIENDA E PAOLO NON IN AZIENDA

MARIO CON MOGLIE E FIGLI STIPULA UN PATTO DI FAMIGLIA (50/50 AI FIGLI) E SVINCOLO DA PRELAZIONE DI LUIGI

RINUNCIA DELLA MOGLIE CHE PARTECIPA AL PATTO

PERIZIA VALUTA 50% = 1000

MARIO TRASFERISCE 100% DELLA PARTECIPAZIONE A GIORGIO CHE A SUA OTTIENE UN MUTUO DI 500 SU AZIONI E LI VERSA A PAOLO

TRASFERIMENTO AI FIGLI – terza generazione

TRASFERIMENTO AI FIGLI – Famiglia “aperta”

MARIO HA UNA MOGLIE (SEPARATA E NON DIVORZIATA) E DUE FIGLI (GIORGIO E PAOLO) E CONVIVE CON FRANCESCA AVENDO UN BIMBO (CARLO) CHE HA RICONOSCIUTO

VUOLE PRESERVARE IL DIRITTO DEI FIGLI AD ENTRARE IN AZIENDA

Attenzione: il Patto ex. Art 768-bis C.c. non consente tale pianificazione in via esclusiva

ESEMPIO 2

ESEMPIO 3

Normativa su “patti di famiglia”

45

NORMATIVA DI RIFERIMENTO SU “PATTI DI FAMIGLIA” Legge 14 febbraio 2006, n.55

Modifiche al codice civile in materia di patto di famiglia

(GU n. 50 del 1-3-2006)

La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato;

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Promulga

la seguente legge:

Art. 1

1. Al primo periodo dell'articolo 458 del codice civile sono premesse le seguenti parole: «Fatto salvo

quanto disposto dagli articoli 768-bis e seguenti,».

Art. 2

1. Al libro II, titolo IV, del codice civile, dopo l'articolo 768 è aggiunto il seguente capo:

«Capo V-bis.

del patto di famiglia

Articolo 768-bis (Nozione). - È patto di famiglia il contratto con cui, compatibilmente con le

disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie,

l'imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l'azienda, e il titolare di partecipazioni societarie

trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti.

Articolo 768-ter (Forma). - A pena di nullità il contratto deve essere concluso per atto pubblico.

Articolo 768-quater (Partecipazione). - Al contratto devono partecipare anche il coniuge e tutti

coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio

dell'imprenditore.

Gli assegnatari dell'azienda o delle partecipazioni societarie devono liquidare gli altri partecipanti al

contratto, ove questi non vi rinunzino in tutto o in parte, con il pagamento di una somma

corrispondente al valore delle quote previste dagli articoli 536 e seguenti; i contraenti possono

convenire che la liquidazione, in tutto o in parte, avvenga in natura.

I beni assegnati con lo stesso contratto agli altri partecipanti non assegnatari dell'azienda, secondo il

valore attribuito in contratto, sono imputati alle quote di legittima loro spettanti;

l'assegnazione può essere disposta anche con successivo contratto che sia espressamente dichiarato

collegato al primo e purchè vi intervengano i medesimi soggetti che hanno partecipato al primo

contratto o coloro che li abbiano sostituiti.

Quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione o a riduzione.

Articolo 768-quinquies (Vizi del consenso). - Il patto può essere impugnato dai partecipanti ai

sensi degli articoli 1427 e seguenti.

L'azione si prescrive nel termine di un anno.

P A T T I

D I F A M I G L I A

46

Articolo 768-sexies (Rapporti con i terzi). - All'apertura della successione dell'imprenditore, il

coniuge e gli altri legittimari che non abbiano partecipato al contratto possono chiedere ai beneficiari

del contratto stesso il pagamento della somma prevista dal secondo comma dell'articolo 768-quater,

aumentata degli interessi legali.

L'inosservanza delle disposizioni del primo comma costituisce motivo di impugnazione ai sensi

dell'articolo 768-quinquies.

Articolo 768-septies (Scioglimento). - Il contratto può essere sciolto o modificato dalle medesime

persone che hanno concluso il patto di famiglia nei modi seguenti:

1) mediante diverso contratto, con le medesime caratteristiche e i medesimi presupposti di cui al

presente capo;

2) mediante recesso, se espressamente previsto nel contratto stesso e, nec

Articolo 768-octies (Controversie). - Le controversie derivanti dalle disposizioni di cui al presente

essariamente, attraverso

dichiarazione agli altri contraenti certificata da un notaio.

capo sono devolute preliminarmente a uno degli organismi di conciliazione previsti dall'articolo 38 del

decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5».

La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti

normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare

come legge dello Stato.

Data a Roma, addì 14 febbraio 2006

CIAMPI

Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Visto, il Guardasigilli: Castelli

LAVORI PREPARATORI

Camera dei deputati (atto n. 3870):

Presentato dall'on. Buemi ed altri l'8 aprile 2003.

Assegnato alla II commissione (Giustizia), in sede referente, il 12 maggio 2003 con parere della

commissione I.

Esaminato dalla II commissione il 23 settembre 2003; 21 ottobre 2003; 11 marzo 2004; 3 maggio

2005; 16 e 21 giugno 2005; 6-19 e 21 luglio 2005.

Esaminato in aula e approvato il 25 luglio 2005.

Senato della Repubblica (atto n. 3567):

Assegnato alla 2ª commissione (Giustizia), in sede referente il 28 luglio 2005 con parere della

commissione 1ª.

Esaminato dalla 2ª commissione in sede referente l'8 novembre 2005 ed il 16 gennaio 2006.

Assegnato nuovamente alla 2ª commissione in sede deliberante il 25 gennaio 2006 con il parere della

commissione 1ª.

Esaminato dalla 2ª commissione in sede deliberante il 26 gennaio 2006 e approvato il 31 gennaio 2006.

Vista la materia in frequente evoluzione verrà reso disponibile ulteriore documentazione

47

IL FONDO PATRIMONIALE

OBBLIGAZIONI FAMILIARI E FONDO PATRIMONIALE: I LIMITI ALL'ESECUZIONE*

1. Costituzione del fondo patrimoniale e sua funzione

Il fondo patrimoniale, come recita l'art. 167 c.c., consiste nella imposizione convenzionale, da

parte di uno dei coniugi o di entrambi o di un terzo, di un vincolo in forza del quale

determinati beni, immobili o mobili iscritti in pubblici registri, o titoli di credito, sono destinati

a far fronte ai bisogni della famiglia (ad sustinenda onera matrimonii). Esso pur costituendo

un adeguamento dell'istituto del patrimonio familiare82[ alle nuove esigenze della famiglia,

che, ormai, nella nuova configurazione dei rapporti patrimoniali fra i coniugi discendente

dalla riforma del 1975, mal sopportava un vincolo così assorbente alla disponibilità dei beni,

è, in realtà, una figura giuridica del tutto nuova. La previsione di un potere di

amministrazione congiunto, meglio in appresso determinato nel suo contenuto e nei suoi

confini, di più sfumati limiti alla alienabilità, di un espresso limite all'esercizio delle ragioni

creditorie, unitamente ad un pregnante dovere di destinare i frutti e, più in generale, le

utilità tratte dai beni oggetto del fondo alle necessità della famiglia costituiscono, le linee

cardine sulle quali si fonda la nuova costruzione del legislatore.

Tale strumento permette, infatti, la realizzazione di un duplice scopo: innanzitutto, dà

maggiore forza e concretezza alla fruizione da parte della comunità familiare dei beni

conferiti nel fondo e dei frutti degli stessi; inoltre, accanto alla previsione di un vincolo di

inalienabilità, convenzionalmente definibile nel suo contenuto e, pertanto, attenuabile, la

statuizione di una rigorosa forma di inespropriabilità a tutela delle pretese dei creditori

familiari (secondo criteri in seguito descritti), consente da una parte di porre i beni oggetto

del fondo al di fuori dei rischi discendenti da una non oculata gestione delle vicende

patrimoniali dei coniugi e, dall'altra, di agevolare la possibilità di accedere al credito per la

soddisfazione di esigenze di tipo strettamente familiare83.

Il fondo patrimoniale rappresenta, insomma, uno strumento privilegiato di assolvimento

dell'obbligo di contribuzione dei coniugi ai bisogni della famiglia “in relazione alle proprie

sostanze ed alla propria capacità di lavoro" (art. 143 c.c.)84 e dunque elemento di attuazione

* Approvato dalla Commissione Studi del Consiglio Nazionale del Notariato 82 Parla di "ammodernamento" del patrimonio familiare F. CORSI, Il regime patrimoniale della famiglia t. II, sez.2, Milano, 1984, p. 84. Contra F. CARRESI, voce Fondo patrimoniale, in Enciclopedia Giuridica Treccani, Roma, XIV, 1989, p. 1 reputa invece che "le radicali trasformazioni" abbiano fatto sì che il fondo patrimoniale rappresenti "un istituto diverso e non semplicemente come una versione ammodernata del patrimonio familiare". Il patrimonio familiare deve, piuttosto, l'insuccesso della sua applicazione al fatto di essere un "prodotto di laboratorio" legislativo.(G. GABRIELLI, in Voce Patrimonio familiare e fondo patrimoniale in Enciclopedia del diritto, XXXII, 1982, p. 294). Non condivide il pessimismo sulla sorte relativa alla applicabilità dell'istituto de quo G. OPPO, (in Patrimoni autonomi familiari ed esercizio di attività economica in Riv. dir. Civ., 1989, I, p. 287). 83 Il vincolo costituisce in tal modo per un verso peculium familiare e per altro garanzia espressa per i creditori (sic F. CORSI op. cit., p. 88; V. DE PAOLA, Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale, Tomo III, Milano 1996, p. 30). 84 Un autorevole studioso ha rilevato che i coniugi dovranno concorrere con i frutti provenienti dai beni personali o in comunione legale solo ove siano insufficienti quelli derivanti dai beni costituiti in fondo patrimoniale o oggetto di usufrutto legale. Al contrario, potranno accantonare i frutti dei beni costituiti in fondo patrimoniale, ove eccedano il livello di vita prescelto (T. AULETTA, Il fondo patrimoniale in AAVV, Il regime patrimoniale della famiglia a cura di G. BONILINI e G. CATTANEO Torino, 1997, p. 349-350).

F O N D O

P A T R I M O N I A L E

48

dell'indirizzo familiare prescelto dai coniugi, fonte e misura dei poteri e doveri reciproci di

marito e moglie, sia pure in relazione ai beni che ne formano oggetto.

Una sicura chiave di ricostruzione sistematica dell'istituto in esame e, conseguentemente, dei

limiti alla esecuzione sui beni del fondo e sui frutti degli stessi, deve essere individuata negli

interessi che il legislatore ha inteso riconoscere e tutelare. L'interesse della famiglia è la

risultanza, infatti, di dinamiche non univoche provenienti dall'interno del gruppo: il potere di

iniziativa patrimoniale disgiuntiva spettante a ciascuno dei coniugi in attuazione dell'indirizzo

familiare prescelto insieme, e pertanto rivolto alla realizzazione dei bisogni del nucleo familiare,

impegnando l'altro coniuge non agente, permette di realizzare l'eguaglianza sostanziale ed

effettiva nell'ambito del matrimonio. Ciascuno dei coniugi deve contribuire, ordunque, a

realizzare l'indirizzo prescelto ed i bisogni familiari ad esso conseguenti. Ecco che la misura

globale della contribuzione discende dall'entità dei bisogni familiari, una volta determinatone il

contenuto minimo; ed all'opposto i coniugi non possono far discendere viceversa dalla scelta di

un indirizzo di vita particolarmente alto, elevati bisogni familiari: in tal caso, è infatti la capacità

di contribuzione complessiva a rappresentare eccezionalmente il limite "rigido e anelastico alla

progressione dei bisogni" medesimi85. Sulla misura dell'obbligo di contribuzione incide, inoltre,

la costituzione del fondo patrimoniale. I coniugi possono scegliere infatti l'indirizzo della vita

familiare reso possibile dal reddito prodotto dal fondo, dalle sue possibilità di utilizzo, nonché

dal suo valore capitale, e potrebbero decidere di mettere da parte i frutti eccedenti in vista di

un reimpiego in futuro per la soddisfazione delle esigenze di famiglia. In tale ipotesi, in realtà,

non trova applicazione il principio di proporzionalità, che piuttosto riemergerà nell'ipotesi in cui

essendo insufficienti i beni costituiti in fondo patrimoniale ed i frutti ricavati per la

soddisfazione delle esigenze della famiglia, occorrerà ricorrere ai beni facenti parte della

comunione ed ai beni personali dei coniugi. Sarà proprio in tale fattispecie che non potrà non

tenersi in conto del contributo eventualmente non proporzionato apportato dal coniuge nella

costituzione del fondo patrimoniale86.

Tali considerazioni permettono, allora, di attribuire all'istituto del fondo patrimoniale, al di là delle interminabili dispute sulla sua natura giuridica87, lo svolgimento di una essenziale 85 Tale limite costituisce nel contempo la fonte e la misura del dovere contributivo. Sul punto diffusamente A. FALZEA, Il dovere di contribuzione nel regime patrimoniale della famiglia in Riv. dir. civ., 1977, I, p. 609 e ss., secondo il quale la regola giuridica con la quale il legislatore della riforma ha risolto il problema della eguaglianza sostanziale è quella del dovere di contribuzione, in quanto situazione giuridica diversa dal dovere di mantenimento (p. 619). Tale assunto rappresenta, secondo tale autorevole dottrina, la principale connotazione della legge di riforma del diritto di famiglia. Cfr. altresì F. SANTORO PASSARELLI, Poteri e responsabilità patrimoniali dei coniugi per i bisogni della famiglia, in Diritto di famiglia - raccolta di scritti in onore di Rosario Nicolò, Milano 1982, p. 415 e ss., il quale analizza il governo della famiglia dopo la riforma, con riguardo particolare al potere di impegnare giuridicamente il coniuge non agente, in relazione all'obbligo di contribuzione ed alle scelte di indirizzo familiare. 86 T. AULETTA, Il fondo patrimoniale Artt.167-171 in Il Codice Civile Commentato diretto da P. Schlesinger, Milano, 1992, p. 204 e ss.; F. CORSI op. cit., p. 94. Solo allora dovrà tenersi conto dell'onere contributivo del coniuge costituente in fondo. L'accoglimento di una tesi contraria condurrebbe a violare l'inderogabile principio statuito dall'art. 143, comma 3° c.c. (sic espressamente F. CORSI, op. cit., p. 96). 87 La dottrina, che pure è quasi del tutto concorde nel reputare i beni del fondo patrimoniale quale patrimonio di destinazione o di scopo, si divide nel qualificarlo come patrimonio autonomo (R. LENZI, Struttura e funzione del fondo patrimoniale in Riv. Not. 1991, p. 54) o separato (V. DE PAOLA op. cit., p. 32, A. e M. FINOCCHIARO, Riforma del diritto di famiglia, I, Milano, 1975, p. 515). Sul punto diffusamente E. MANDES, Il fondo patrimoniale - Rassegna di dottrina e giurisprudenza in Riv. Not., 1990, p. 641. Sull'autonomia del fondo G. OPPO, In tema di autonomia del fondo patrimoniale, in Persona e Famiglia - Scritti giuridici, V, Padova, 1992, p. 324 e ss., nonché in AA.VV., Questioni di diritto patrimoniale e della famiglia, Padova, 1989, p. 119 e ss., in uno studio per la soluzione del seguente "Responsum": "Tizio e Mevia, che hanno costituito all'atto del loro matrimonio, un

Fondo patrimoniale

49

funzione nella realizzazione dell'indirizzo di vita prescelto ai sensi dell'art. 144 c.c., funzione dinamica, attesa la sua adeguabilità alle esigenze che di volta in volta emergessero nella famiglia, e soprattutto funzione di tutela non meramente passiva, ma progressiva e

propositiva nei confronti dei creditori per esigenze familiari, che possono trovare maggiori elementi di convincimento nella concessione del credito per i bisogni della famiglia, proprio perché specificamente garantiti.

E' a questo punto importante la tipizzazione delle fattispecie costitutive del fondo patrimoniale, allo scopo di poter in un secondo tempo definire in termini il più possibile accurati l'operatività dell'art. 170 c.c.. Dall'analisi ermeneutica dell'art. 168 c.c., il quale

statuisce al primo comma che "la proprietà dei beni costituenti il fondo patrimoniale spetta ad entrambi i coniugi, salvo che sia diversamente stabilito nell'atto di costituzione", la prevalente dottrina88 ha tratto argomenti per sostenere la possibilità per il costituente o i

costituenti il fondo di riservarsi, in tutto od in parte, la proprietà dei beni conferiti o nell'ipotesi di fondo costituito da un terzo, la facoltà per quest'ultimo di attribuirne la proprietà, in tutto od in parte ad uno dei coniugi89. Sono, allora, astrattamente configurabili

le seguenti ipotesi: 1) Ove il costituente sia uno solo dei coniugi è ammissibile:

a) che riservi a sé stesso la proprietà;

b) che trasferisca la proprietà al coniuge;

fondo patrimoniale in comproprietà, attendono un figlio quando Tizio fallisce, nell'esercizio di un'impresa commerciale iniziata dopo il matrimonio. Quale la sorte del fondo"; in tale sede l'Autore ha espresso la opportunità di un'interpretazione che salvaguardasse anche gli interessi del concepito. 88 In tal senso G. GABRIELLI, op. cit., p. 295 e ss.; G. CIAN E G. CASAROTTO, voce Fondo patrimoniale della famiglia, in Novissimo Digesto Italiano, Appendice III, 1982, p. 833 (ampiamente); A. e M. FINOCCHIARO, Diritto di famiglia, vol. 1°, Milano, 1984. A. PINO, Il diritto di famiglia, Padova, 1984, p. 143; F. CARRESI, voce Fondo patrimoniale, cit., p. 2; F. GALLETTA, I regolamenti patrimoniali tra coniugi, Napoli, 1990, p. 149; B. GRASSO, in Trattato di diritto privato diretto da Pietro Rescigno, 3, Persone e famiglia, T. 2, Torino 1996, p. 425; T. AULETTA, Il fondo patrimoniale, in AA.VV., Il regime patrimoniale della famiglia, op. cit., p. 362; A. NICOLINI, Fondo patrimoniale in Notariato, 1998, p. 451; F. CORSI, op. cit., p. 95 (il quale ammette la difficile pratica realizzazione di una riserva a favore di un soggetto terzo, pur senza escluderne l'astratta configurabilità, per la quale sembra però nutrire una certa avversione quando afferma alla nota n.9, p. 86: “quanto va ad assomigliare alla dote questo fondo!”); nello stesso senso, sia pure trattando di altra questione, G. OPPO, op. ult. cit. p. 326, nota 4. 89[8] La caratteristica del fondo patrimoniale di poter coesistere con un regime primario patrimoniale familiare, attesa la sua portata oggettivamente limitata, conduce a ritenere ammissibile il conferimento da parte di coniugi in regime di comunione legale in fondo patrimoniale di beni conservando e mantenendo la proprietà degli stessi in regime appunto di comunione. Appare altrettanto astrattamente ammissibile che un terzo, nel costituire alcuni beni in fondo patrimoniale a favore di coniugi, nel contempo riservi a favore di un altro terzo la "nuda proprietà" degli stessi (sul punto diffusamente E. MANDES, op. cit., p. 669, R. LENZI, op. cit., p. 65 e ss.). Si sostiene in senso opposto che manca una norma espressa in tal senso, che inoltre la possibilità di riserva della proprietà dei beni del fondo per il terzo urta con la previsione legislativa dell'art. 169 c.c. che attribuisce solo ai coniugi la facoltà di alienare, e che, infine, la disciplina di cui all'art. 171 c.c. relativa alla cessazione del fondo è incompatibile con la riserva di proprietà in capo al terzo costituente o comunque in generale in capo ad un soggetto terzo rispetto ai coniugi. In tal senso diffusamente V. DE PAOLA, op. cit., p. 41 e ss.. In realtà, la previsione legislativa della facoltà di alienare non esclude che oggetto del fondo possa essere un diritto reale su un bene diverso dalla proprietà, ad esempio la superficie o l'usufrutto (si pensi all'inciso "salvo che sia diversamente stabilito" di cui all'art. 168 c.c.); il potere di alienazione riguarda "beni", non il diritto relativo; inoltre, la disciplina dell'art. 171 c.c. è relativa alla fattispecie in cui non ci sia scissione fra titolare del potere di amministrazione del fondo e titolare del bene costituito in fondo, ma non consente aprioristicamente di escludere la configurabilità di detto iato. Non può neppure affermarsi che all'attribuzione da parte del terzo del bene ad un solo coniuge osta il divieto di cui all'art. 166 bis c.c.: il conferimento della proprietà ad un solo coniuge non determina un mutamento del potere di amministrazione devoluto ai coniugi e, dunque, non crea una diseguaglianza fra loro, con conseguente nullità dell'atto di autonomia. Anzi è proprio nella costituzione di fondo ad opera del terzo che emerge in tutta la sua utilità la riserva a favore del costituente: in tal caso, infatti, il terzo sarebbe maggiormente incentivato dal destinare ai coniugi le utilità ed i frutti dei beni conferiti nel fondo, attesa l'inoperatività dell'art. 170 c.c.. L'ammissibilità della riserva conduce in sé un ulteriore duplice vantaggio: innanzitutto, che alla cessazione del fondo i beni restano nella disponibilità del costituente, senza bisogno di alcun atto ulteriore, ed in secondo luogo l'imputabilità all'onere contributivo del solo coniuge riservatario costituente anche dei frutti e delle utilità tratte dal fondo (in tal senso, specificamente, F. CORSI, op. cit., p. 95-6).

F O N D O

P A T R I M O N I A L E

50

c) che conferisca la proprietà nel fondo, con attribuzione della stessa in capo ad entrambi;

d) che il fondo abbia ad oggetto un bene, la cui proprietà sia attribuita ad un terzo. 2) Ove costituenti siano entrambi i coniugi è ammissibile:

a) che sia attribuita la proprietà ad uno solo dei coniugi;

b) che sia riservata in capo ad entrambi; c) che sia conferito il godimento da parte di entrambi; d) che il fondo abbia ad oggetto un bene, la cui proprietà sia attribuita ad un terzo90.

3) Ove il costituente sia un terzo, è ammissibile: a) che sia attribuita la proprietà ad uno solo dei coniugi; b) che sia attribuita la proprietà ad entrambi i coniugi;

c) che sia riservata al terzo; d) che il bene, costituito in fondo patrimoniale quanto al godimento, sia dal terzo

contestualmente trasferito ad un altro soggetto estraneo ai coniugi.

2. L'esecuzione sui beni e sui frutti: operatività dei limiti Le considerazioni svolte sino a questo punto possono essere utili per esaminare alla luce del

complessivo sistema normativo, l'art. 170 del codice civile (come novellato dall'art. 52 della Legge 1975/151) che così statuisce: "L'esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può aver luogo per debiti che il

creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia". La principale novità che emerge dalla lettura combinata del suddetto testo, frutto della riforma del diritto di famiglia, e della norma abrogata, relativa al patrimonio familiare, è

l'ammissibilità di un'esecuzione anche sui beni stessi costituiti in fondo, e non solo sui frutti dei medesimi. Tale previsione è posta non solo a maggior tutela delle ragioni creditorie, ma a voler anche segnalare la volontà del legislatore di conciliare la preminente realizzazione delle

esigenze familiari con l'esclusione astratta o, quanto meno, con la limitazione in concreto di un ricorso fraudolento allo strumento giuridico in esame91.

2.a. Titolarità dei diritti sull'oggetto del fondo

La configurabilità di una crasi fra l'amministrazione e la titolarità dei diritti sui beni conferiti nel

fondo permette di porre un primo evidente limite alla esecutabilità di tali oggetti giuridici. In

effetti, la dottrina, che pure quasi unanimemente ha aderito a tale assunto, ha espresso 90[9] E' possibile, altresì, postulare le ipotesi in cui i beni costituiti in fondo appartengano in regime di comunione legale o ordinaria ai coniugi stessi (sic R. LENZI op. cit., p. 66). E' bene per completezza sottolineare la necessità dell'accettazione da parte dei coniugi per il perfezionamento della costituzione del fondo patrimoniale da parte di un terzo con atto inter vivos ex art. 167 c.c., secondo comma. Tale statuizione è in linea con il generale principio di intangibilità della sfera giuridica altrui. Sul punto diffusamente R. LENZI, op. cit., p. 68 e ss.. 91 Sul punto L. BELLANTONI e F. PONTORIERI, La riforma del diritto di famiglia, Napoli 1976, p. 123 e ss., i quali citano il progetto Falcucci di riforma che al riguardo così statuiva "Espropriabilità del patrimonio familiare. L'esecuzione sui beni costituiti in patrimonio familiare non può aver luogo per debiti contratti per scopi diversi dalla diretta soddisfazione dei bisogni della famiglia". Gli AA. affermano che le espressioni impiegate nel progetto di riforma poi non accolto, erano più "ristrette" sotto il profilo obiettivo, in quanto doveva trattarsi di debiti contratti per la soddisfazione diretta delle necessità primarie della famiglia, e sotto il profilo soggettivo, non richiedendosi alcuna indagine psicologica sul terzo creditore. Sottolineano, infine, i rischi che discendono da un ricorso alla simulata esistenza di debiti inesistenti nei confronti di terzi da parte dei coniugi in danno di figli minori, ottenendo la liquidazione di beni altrimenti vincolati. La proposta di riforma non accolta in realtà avrebbe comportato maggiori rischi, attesa l'inesistenza di vincoli alla posizione soggettiva del creditore.

Fondo patrimoniale

51

impostazioni del tutto eterogenee sulla natura giuridica di tale istituto e conseguentemente sullo

statuto da applicare allo stesso. Ove la riserva sia stata disposta dal titolare del bene costituito in

fondo, chiunque egli sia, ai coniugi viene attribuita una sorta di mero diritto di godimento su di

esso, funzionalizzato ai bisogni della famiglia; emerge in tal senso, con particolare evidenza,

l'accostamento di quest'ultimo all'usufrutto, sia pure assoggettato a peculiari vincoli, e, in

particolare, all'usufrutto legale dei genitori sui beni del figlio disciplinato dagli articoli 324 c.c. e

ss.. Anzi, in realtà, un siffatto diritto di godimento in capo ai coniugi per alcuni profili partecipa

del regime dell'usufrutto ordinario, mentre per altri dello statuto dell'usufrutto legale. Infatti, tale

fruizione ad esempio, perdura, dopo la morte di un coniuge sino al raggiungimento della

maggiore età da parte di tutti i figli, laddove opera un limite vitalizio per l'usufrutto ordinario; per

contro, i coniugi, a differenza dell'usufrutto legale attribuito loro, non possono mutare la

destinazione economica dei beni che ne formano oggetto92.

Al riguardo, al fine di meglio evidenziare il primo orientamento, un Autore ha definito tale

situazione giuridica quale usufrutto di scopo. Siffatta configurazione, strettamente

connaturata al vincolo di destinazione familiare affettante i beni costituiti in fondo, fa

conseguire direttamente da tale premessa l'impossibile assoggettamento dei beni in

questione a trasferimento volontario o coattivo93. Accogliendo tale impostazione,

particolarmente sostenuta dalla dottrina formatasi in tema di patrimonio familiare, in ipotesi

di riserva da parte del o dei costituenti il fondo, i creditori potranno, in presenza delle

condizioni richieste dall'art. 170 c.c., esecutare esclusivamente i frutti civili e naturali dei

beni, ma non i beni in sé.

Un altro indirizzo dottrinale,94 da ritenersi oggi prevalente, ha rilevato in senso opposto che

l'inalienabilità e l'inespropriabilità dell'usufrutto legale trovano il loro fondamento nella

necessità di garantire che i beni del figlio minore, soggetto debole, vengano coinvolti nella

soddisfazione di interessi della famiglia, depauperando il suo patrimonio. Una tale necessità

92 T. AULETTA, Il fondo patrimoniale, in AA.VV., Il regime patrimoniale della famiglia, cit., p. 362, nonché p. 382 e ss., il quale aggiunge, altresì, che i coniugi siano tenuti a fare l'inventario e a prestare idonea garanzia al costituente riservatario. Tale assunto non è però condiviso da G. GABRIELLI, op. cit., p. 297, il quale dedica attenzione e cura all'esame di tale questione, giungendo a conclusioni opposte dall'Auletta ed, in particolare, negando sia l'obbligo di inventario, sia l'obbligo di prestare garanzia, perché in contrasto con il favor familiae (sic p. 298). E' evidente che il problema del limite discendente dalla qualificazione di siffatto diritto di godimento non si pone ove si acceda alla tesi sopra segnalata di pur autorevole dottrina che esclude una siffatta scissione fra titolarità e amministrazione del godimento (cfr. retro nota 8 nonché V. DE PAOLA, op. cit., p. 41 e ss.). 93[ G. GABRIELLI, op. cit., p. 302, il quale afferma, altresì, che l'assunto dell'incedibilità del diritto de quo non risulta attenuato dal fatto che possa essere oggetto di rinuncia, addirittura verso corrispettivo. Tale ultima affermazione sembra però reintrodurre elementi di dubbio in una ricostruzione tutto sommato organica del problema. Nello stesso senso, G. CIAN e G. CASAROTTO, op. cit., p. 828. 94 T. AULETTA, Il fondo patrimoniale, in AA.VV., Il regime patrimoniale della famiglia, cit., p. 382. Nello stesso senso, F. CARRESI, voce Fondo patrimoniale, cit. p. 2, il quale sottolinea la riconducibilità del diritto di godimento nell'ambito dell'usufrutto ordinario e la sua natura reale. Sul punto cfr. A. e M. FINOCCHIARO, op. cit., p. 837; C.M. BIANCA, Diritto Civile, La famiglia e le successioni, Milano 1985, vol. II, p. 105; A. PINO, op. cit., p. 44, il quale rileva che i creditori personali del costituente riservatario o del riservatario tout court non potranno mai espropriare i frutti dei beni costituiti in fondo, che "spettano sempre e necessariamente ai coniugi e non fanno parte quindi del patrimonio del debitore esecutato" (p. 44); contra quest'ultimo A. in modo specifico G. OPPO, In tema di autonomia del fondo patrimoniale, cit., p. 327, nota 4. F. CORSI (op. cit., p. 103), che esclude la riserva a favore del terzo costituente, afferma piuttosto essere in linea con il sistema normativo l'esecuzione su beni costituiti in fondo, ma appartenenti ad uno solo dei coniugi da parte del creditore per obbligazione contratta per soddisfare i bisogni della famiglia. Descrittivamente sul punto cfr. F. GALLETTA, op. cit., p. 150; E. MANDES, op. cit., p. 684.

F O N D O

P A T R I M O N I A L E

52

non si rinviene nella materia del fondo patrimoniale atteso che spesso è proprio l'alienazione,

è conseguentemente la esecutabilità del diritto come costituito, a consentire di realizzare il

corrispettivo necessario per soddisfare le esigenze della famiglia. In tal senso, il diritto di

godimento attribuito ai coniugi dal costituente riservatario diviene diritto esecutabile e

alienabile, sia pure nel rispetto dell'art. 170 c.c. e nessun ostacolo incontrerebbe il creditore

familiare a far valere pienamente il proprio credito in sede esecutiva. La disciplina posta a

rimedio degli atti abusivi dei coniugi beneficiari è poi già sufficiente ad arginare l'attività

amministrativa svolta in modo non corretto, senza che sorga la necessità di ricorrere al

principio di inalienabilità assoluta, che peraltro comporterebbe un trattamento

ingiustificatamente difforme dalle ipotesi, come si vedrà nel prosieguo, ammesse quasi

unanimemente di diritti reali di godimento su cosa altrui, finanche temporalmente circoscritti.

Né, peraltro, siffatta configurazione limiterebbe il potere del costituente riservatario il quale

potrebbe ben disporre separatamente del suo diritto sul bene conferito nel fondo

patrimoniale, così come del pari il suo diritto è autonomamente esecutabile dai suoi creditori.

Ammissibile appare, altresì, il conferimento nel fondo dei diritti di usufrutto, di nuda

proprietà, di enfiteusi, e del concedente enfiteusi, di superficie, anche se temporanei o

sottoposti a condizione risolutiva, e nessun ostacolo discende da tale assunto alla piena

operatività della disciplina dell'art. 170 c.c.95. Nello stesso senso positivo sono risolvibili le

perplessità relative alla costituzione in fondo patrimoniale dell'uso o dell'abitazione di un

certo immobile; non è di ostacolo, infatti, a tale impostazione né il carattere temporaneo

degli stessi (dovendosi altrimenti escludere anche l'usufrutto, che viceversa viene

comunemente ammesso quale oggetto), né il fatto che tali istituti non possano formare

oggetto di autonoma disposizione convenzionale dal momento che essi verrebbero costituiti

in fondo ab initio a favore dei coniugi96. Non appare neppure in astratto da escludersi

l'ammissibilità di costituire in fondo diritti reali turnari quali qualificati nella recente disciplina

del decreto legislativo del 9 novembre 1998, n.42797.

2.b. La nozione di famiglia E' particolarmente importante, nel delineare i contorni dell'art. 170 c.c., l'accertamento del

significato del termine "famiglia". Il legislatore, infatti, impiega tale termine con diverse

95 Ricorda le perplessità circa la possibilità di conferire un "comune diritto di usufrutto" in patrimonio familiare sorte sotto la previgente disciplina normativa, sottolineando che appariva fortemente limitativa dell'autonomia l'affermazione dell'impossibilità di prevedere un oggetto che avesse durata in astratto o per espressa convenzione più breve di quella della famiglia T. AULETTA, Il fondo patrimoniale Artt.167-171, op. cit., p. 180, il quale ipotizza che addirittura "per la servitù la destinazione ai bisogni della famiglia può realizzarsi se il diritto viene costituito a favore di un terreno conferito in fondo patrimoniale" (p. 182) e che nonostante l'assenza di riscontri normativi precisi possa "destinarsi al fondo un diritto personale di godimento, come quello derivante da un contratto di locazione o di anticresi" (p. 182). Rileva F. CARRESI, (voce Fondo patrimoniale cit. p. 3), che al fondo patrimoniale non potrà essere apposto alcun termine, iniziale o finale; tale assunto tuttavia non confligge con la costituibilità di un fondo patrimoniale su un diritto "per sua natura temporaneo", quale appunto l'usufrutto. In tal senso specificamente su quest'ultimo punto C.M.BIANCA, op. cit., p. 106. 96 RUBINO, L'ipoteca immobiliare e mobiliare, in Trattato di diritto civile e commerciale diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1956, p. 103; P. BOERO, Le ipoteche, in Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, diretta da W. Bigiavi, 1984, p. 187. 97 In tema di multiproprietà cfr. lo studio n.2330 di C. ANGELICI e M. VELLETTI, Prime osservazioni sulla nuova normativa in tema di multiproprietà, nonché G. CASELLI, La multiproprietà, Milano, 1999.

Fondo patrimoniale

53

accezioni che variano dalla famiglia nucleare a quella parentale intesa, quest'ultima, in modo

più o meno ampio. Il fondo patrimoniale è, come già scritto, strumento privilegiato di

assolvimento del dovere di contribuzione: in tale senso, esso assolve la funzione privilegiata

di soddisfacimento dei bisogni di coloro che i coniugi sono in primo luogo obbligati a

mantenere e cioè i figli, siano essi legittimi od adottivi, nonché gli affiliati ed i minori in affido

temporaneo, siano essi già nati o sopravvenuti al tempo di costituzione del fondo.

L'orientamento prevalente98 ammette la possibilità di destinazione delle utilità del fondo

atrimoniale alle esigenze dei figli di uno solo dei coniugi (siano legittimi, adottivi o naturali),

purché conviventi. La costanza di vita comune con entrambi i coniugi costituisce motivo serio

e giustificato di inserimento nel nucleo familiare del figlio unilaterale, che può ritenersi così

membro a pieno titolo della famiglia. Non sembra che possa affermarsi il contrario,

argomentandosi dal fatto che l'usufrutto legale sui beni del figlio unilaterale, ove il genitore

abbia contratto nuove nozze, sia destinato al solo suo mantenimento (art. 328 c.c.). In tal

senso, il figlio infatti beneficerebbe delle utilità del fondo, senza essere tenuto a contribuire

in alcun modo: in realtà, anche il figlio unilaterale convivente è tenuto all'obbligo di

contribuzione in virtù del principio di solidarietà derivante dalla convivenza,

indipendentemente dall'inutilizzabilità agli effetti che qui interessano dell'usufrutto legale.

In ipotesi di figlio unilaterale non convivente, il coniuge genitore dovrà provvedere al suo

mantenimento con i propri beni personali e non con quelli costituiti in fondo. Autorevole

dottrina ritiene, tuttavia, che in assenza di beni ulteriori rispetto a quelli costituiti in fondo, il

coniuge possa fruire delle utilità dello stesso per mantenere il proprio figlio nei limiti in cui è

possibile, con particolare attenzione e moderazione, che i bisogni individuali assumano un

rilievo familiare99.

Il problema si ripropone per i figli maggiorenni della coppia. Al riguardo, non può trarsi

argomento utile in senso negativo dall'art. 171 c.c. che prevede l'estinzione del fondo in caso di

assenza di figli minori100 e quindi anche se sussistessero esclusivamente figli maggiorenni. In

realtà, la norma è stata posta per evitare che alla dissoluzione del matrimonio ed al conseguente

scioglimento del fondo potessero arrecarsi pregiudizi ai figli minori, soggetti deboli per

eccellenza. Se i coniugi sono obbligati a mantenere i figli pur maggiorenni ma non ancora

autonomi sotto il profilo patrimoniale, allora tale esigenza può rilevare quale bisogno familiare.

Acquista, altresì, il carattere di esigenza familiare il bisogno del figlio maggiorenne,

indipendente finanziariamente, che versi accidentalmente in stato di difficoltà economica, sia

convivente o meno con i suoi genitori. In tale fattispecie, ove detti ascendenti siano gli

obbligati in via primaria agli alimenti, questi ultimi dovranno provvedere ad assicurare al loro

immediato congiunto un tenore di vita dignitoso. Il fondo, dunque, appare essere destinato a 98 V. DE PAOLA, op. cit., p. 38; T. AULETTA, Il fondo patrimoniale Artt.167-171, op. cit., p. 187, il quale rileva che l'orientamento negativo basa le sue affermazioni sulla supposta necessità che l'obbligo di provvedere alle varie esigenze spetti alla coppia nella sua interezza. In senso negativo in qualunque ipotesi relativa ai figli unilaterali, G. GABRIELLI, op. cit., p. 299. 99 T. AULETTA, Il fondo patrimoniale Artt.167-171, op. cit., p. 189. 100 Sic G. CIAN - G. CASAROTTO, op .cit. p. 830. In senso limitato ai soli figli maggiorenni conviventi cfr. G. GABRIELLI, op. cit., p. 299.

F O N D O

P A T R I M O N I A L E

54

soddisfare esigenze anche dei figli maggiorenni non conviventi ed indipendenti

economicamente e pertanto non strettamente connesse ad un concetto di famiglia

propriamente nucleare. In tale luce le utilità dell'istituto possono essere rivolte anche al

mantenimento dei discendenti minori verso i quali sussista un obbligo in tal senso (ad

esempio, i nonni nei confronti dei nipoti con loro conviventi, orfani dei propri genitori).

Autorevole dottrina101 ha ritenuto ammissibile il patto convenuto in sede di costituzione del

fondo patrimoniale con il quale si restringe o si amplia la categoria dei beneficiari delle utilità

tratte dai beni o dai frutti del fondo, sia pure con l'avvertenza che sarebbero comunque

inammissibili quelle determinazioni accessorie tali da snaturare la struttura dell'istituto. Si

impone, tuttavia, ove si accogliesse tale indirizzo, un'analisi estremamente prudente da parte

dell'operatore del diritto delle fattispecie che in concreto potrebbero verificarsi, ed un ricorso

molto oculato all'impiego di una tale pattuizione. Di peculiare delicatezza è, poi, al riguardo,

ove si ammettesse una siffatta convenzione, il problema della pubblicità da dare ad un

accordo del genere in esame, al fine di attribuire alle obbligazioni assunte a tale scopo, in

modo palese e chiaro per i terzi, la colorazione della destinazione familiare, atteso che,

comunque, altrimenti al creditore agente per la tutela delle sue ragioni, potrebbe essere

opposta dai coniugi debitori animati da intenti fraudolenti, in ipotesi di patto restrittivo, la

non corrispondenza ai bisogni familiari dell'obbligazione assunta nei suoi confronti.

Deve escludersi, infine, nettamente la configurabilità di un fondo patrimoniale costituito da

due conviventi more uxorio. La eccezionalità della disciplina normativa, tipica e connessa al

presupposto della celebrazione del matrimonio consente in tale materia di ritenere del tutto

inassimilabili la famiglia di fatto e quella legittima102.

2.c. Bisogni familiari Si è precisato l'ambito soggettivo di riferimento delle obbligazioni che possono essere

soddisfatte con i beni costituiti in fondo patrimoniale e le utilità tratte dagli stessi. E'

necessario, a questo punto, tentare di approfondire il concetto di "bisogni", inteso in senso

oggettivo, individuandone, appunto, i limiti contenutistici.

In prima approssimazione, è di tutta evidenza che, neppure mediante un'espressa

pattuizione è possibile rendere comuni esigenze sotto il profilo tipologico strettamente

personali di un membro del nucleo familiare, come sopra delimitato. E' evidente che un tale

orientamento103, che fa da contraltare all'impostazione che reputa essere modulabile l'ambito

soggettivo di riferimento del fondo patrimoniale, esclude, ab origine, l'ammissibilità di un

potere in capo al costituente di adeguare specificamente la destinazione dell'oggetto del

fondo, limitandola od ampliandola. Innanzitutto è, al riguardo, da sottolineare in modo netto 101 F. CARRESI, voce Fondo patrimoniale, cit., p. 5, "seppur con qualche perplessità". Contra T. AULETTA, Il fondo patrimoniale Artt.167-171, p. 203. E' evidente che è palesemente inammissibile che siffatte limitazioni od ampliamenti provengano dal terzo costituente con atto inter vivos o mortis causa. 102 Sul punto diffusamente R. LENZI, op. cit. p. 60-63. 103 T. AULETTA, Il fondo patrimoniale Artt.167-171, p. 203, esclude la configurabilità da parte del terzo di una "graduatoria" di "bisogni", ritenendo non meritevole di tutela da parte dell'ordinamento giuridico una siffatta pattuizione.

Fondo patrimoniale

55

che l'eventuale ipotizzabilità di limiti di tal fatta provenienti da un terzo conferente, importa

che quest'ultimo si arrogherebbe in tal modo il potere di influire sulla determinazione del

livello delle esigenze della famiglia e, pertanto, mediatamente, sul potere di indirizzo della

vita familiare, devoluto, invece, esclusivamente ai coniugi. In secondo luogo, una siffatta

clausola introdurrebbe un limite alla responsabilità patrimoniale del debitore ex art. 2740

c.c., potendo piuttosto tali deroghe discendere solo dalla legge. E', per altro verso, tuttavia,

altrettanto vero che la famiglia è legata al suo interno da uno stretto vincolo di solidarietà fra

i suoi componenti e che in questa luce i bisogni individuali, purché siano in linea con

l'indirizzo determinato dai coniugi ai sensi dell'art. 144 c.c., assumono rilevanza familiare

impegnando la famiglia stessa al suo soddisfacimento104. L'indirizzo familiare è, pertanto, il

limite di sussunzione tra le necessità familiari delle esigenze personali.

Sono, allora, in tal senso, necessità familiari non sono quelle che accomunano tutti i

componenti la famiglia, ma anche quelle personali tese a realizzare un interesse comune o,

in senso più ampio, l'indirizzo di vita per il quale i coniugi hanno optato105. Non può, infatti,

adottarsi un concetto di bisogni familiari disgiunto dal parametro di riferimento di cui all'art.

144 c.c., né peraltro un metro di valutazione così ampio da far qualificare quale esigenza

familiare ogni semplice desiderio del singolo membro della famiglia.

La giurisprudenza106 ha in merito ampliato l'ambito dei bisogni familiari attesa nel comune

sentire la costante propensione della famiglia ad ottenere un "maggiore benessere materiale

e spirituale dei suoi componenti." Sono in tal modo ricompresi in detti bisogni "anche quelle

esigenze volte al pieno mantenimento ed all'armonico sviluppo della famiglia, nonché al

potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze di natura

voluttuaria o caratterizzate da intenti speculativi". Appare così del tutto superato l'indirizzo

restrittivo che considerava i bisogni quali espressione delle "esigenze indispensabili" del

nucleo-famiglia, perché necessarie alla sua stessa esistenza.

La dottrina ha sostanzialmente accolto tale assunto ed ha tentato di individuare le ipotesi

concrete rientranti all'interno delle linee-guida sin qui delineate. Sono esigenze della famiglia,

ai sensi dell'art. 170 c.c., in via meramente esemplificativa, il vitto; il vestiario; i medicinali e

le cure mediche alle quali dovessero sottoporsi i componenti la famiglia (compreso il parto);

l'abitazione; l'educazione dei figli; l'addestramento professionale o lavorativo dei suoi

membri; la conduzione di una normale vita relazionale; gli svaghi e la villeggiatura, il

104 A. FALZEA, Il dovere di contribuzione nel regime patrimoniale della famiglia, op. cit., p. 617, il quale afferma che "se un coniuge si rivolge all'altro per i propri bisogni di rilevanza familiare non fa valere una esigenza meramente individuale bensì un interesse della famiglia, per conto della quale avanza la pretesa di contribuzione". E', peraltro, importante sottolineare l'estrema prudenza necessaria nella valutazione di congruità dei bisogni del singolo componente con l'indirizzo optato. 105 Ad esempio, le spese sostenute da un coniuge per ritornare in famiglia, da un paese lontano dopo un periodo di separazione (sic T. AULETTA, Il fondo patrimoniale Artt.167-171, p. 193). 106 In tal senso Cass. civ. sez. III, 7 gennaio 1984, n. 134, riportata in Giur. it., 1984, I, 1, p. 740, in Foro it., 1985, I,I, p. 558; in Dir. Fam. e pers., 1984, I, p. 480 e 1984, p. 881 (con nota di DALL'ONGARO); in Vita Not., 1983, p. 1646; in Giust. civ., 1984, I, p. 663; in Arch. Civ., 1984, I, p. 885; citata anche in Giurisprudenza del diritto di famiglia, a cura di M. Bessone, II, Milano, 1997, p. 495 e 496 ed in Nuova Rassegna di giurisprudenza sul codice civile, C. Ruperto e V. Sgroi a cura di A. e M. Finocchiaro, G. Stella Richter, Tomo III, Milano, 1994, p. 1370; nonché Cass. Civ. sez. III 9 aprile 1996, n.3251, riportata in Giust. Civ. 1996, I, p. 2959 ed in Dir. fam. e pers., 1996, II, p. 1382.

F O N D O

P A T R I M O N I A L E

56

risparmio (inteso quale accantonamento per la soddisfazione di esigenze futuranti) nonché

quant'altro assicuri alla famiglia un dignitoso livello di vita107.

Restano fuori da tale canovaccio non solo le ipotesi di necessità potenzialmente dannose o

immeritevoli di tutela, e quelle inerenti al singolo membro della famiglia, ma anche, secondo

l'orientamento prevalente, i debiti di gioco, in quanto espressione di esigenza strettamente

legata alla persona, sebbene in assoluto non possa radicalmente escludersi che, a mo’

d'esempio, il pagamento di detta obbligazione naturale contratta da un figlio rappresenti per

il nucleo di appartenenza un'esigenza di grande rilievo108.

Il fondo può essere, poi, rivolto a soddisfare l'esigenza di realizzare un tenore di vita

particolarmente elevato e lussuoso, anche per avventura più elevato delle possibilità

economiche del nucleo familiare, ove ciò coincida con la scelta di un corrispondente indirizzo

di vita. L'esclusione di una tale possibilità potrebbe comportare il rischio del pregiudizio dei

creditori della famiglia, pur consapevoli della sproporzione del tenore di vita rispetto alla

capacità economica e, conseguentemente, la esecutabilità solo dei beni personali dei coniugi

medesimi. Il fondo è esposto alla soddisfazione delle obbligazioni contratte da ciascun

coniuge in attuazione dell'indirizzo concordato. La scelta dell'indirizzo di vita da parte dei

coniugi, ove individuabile con estrema chiarezza, costituisce, ordunque, il parametro di

riferimento, nei rapporti con i terzi creditori .

Può accadere, peraltro, che i coniugi non abbiano preventivamente concordato le linee

direttrici di cui all'art. 144 c.c. o che, ad esempio, per la brevità della durata della loro vita

comune, non sia possibile in modo chiaro e netto evidenziarle. Ecco che in tal caso riemerge

la capacità contributiva di entrambi i coniugi quale limite "anelastico" alla progressione dei

bisogni, come sopra detto, e cioè quale metro oggettivo di valutazione di estraneità

dell'esigenza da soddisfare rispetto alla categoria dei bisogni familiari. Tutto ciò che eccede

tale limite oggettivamente individuabile si evidenzia quale estraneo alle necessità della

famiglia ed è inopponibile solo ai creditori che ne fossero ignari109.

107 I bisogni dunque non possono essere limitati esclusivamente all'obbligo alimentare (art.458), ma devono comprendere la realizzazione "delle varie esigenze materiali, culturali, spirituali, che possono essere soddisfatte in relazione alla condizione economica e sociale di ciascuna famiglia" F. SANTORO-PASSARELLI, op. cit., p. 426. Cfr. sul punto A. FUSARO, Il regime patrimoniale della famiglia, Padova, 1990, p. 127 il quale cita, riportandone ampi passi, una nota sentenza della Suprema Corte del 19 maggio 1969, n. 1717, che, sia pure con riguardo all'art. 188 c.c. oggi abrogato, definisce "bisogni della famiglia" "le più complesse e varie esigenze del nucleo familiare, considerate anche sotto il profilo dinamico e teleologico in relazione al futuro incremento del benessere della famiglia". Non rientrano nel genus tuttavia le spese effettuate per l'esercizio concreto e quotidiano dell'attività professionale dei suoi membri (sic V. DE PAOLA, op. cit., p. 37). 108 In tal senso T. AULETTA, Il fondo patrimoniale Artt.167-171, p. 194. Tale A. esclude, altresì, i bisogni sorti prima della celebrazione del matrimonio e la gestione del patrimonio personale di ciascun componente. T. AULETTA, Il fondo patrimoniale, in AA.VV., Il regime patrimoniale della famiglia, cit., p. 348. F. CARRESI, Fondo patrimoniale, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia Padova, Tomo I, p. 345, con riferimento alla copertura di un debito di gioco. Contrario a siffatta ultima possibilità V. DE PAOLA, op. cit., p. 36, nota 42. 109 Sic G. CIAN - G. CASAROTTO, op. cit., p. 829 (per i quali anche il costo spropositato di una vacanza rientra tra i bisogni, se voluto dai coniugi in linea con l'indirizzo adottato). Rileva T. AULETTA che il fondo non è necessariamente diretto alla conservazione dei beni che ne formano oggetto, ben potendo i coniugi disfarsi anche del capitale per la realizzazione delle esigenze familiari; osserva altresì che quest'ultima rappresenta una caratteristica peculiare della disciplina vigente rispetto alla normativa che regolava il patrimonio familiare (op. ult. cit., p. 195). Quest'ultimo A. altrove ha poi sottolineato che rientrano nel concetto di "bisogni" le pur eccessive esigenze della famiglia, qualora corrispondano all'indirizzo di vita adottato, "sempre che il creditore fosse in grado di rendersene conto" ( T. AULETTA, Il fondo patrimoniale, in AA.VV., Il regime patrimoniale della famiglia, cit. p. 347). Sic V. DE PAOLA, op. cit., p. 36 e 37. F. GALLETTA esclude che possa accogliersi una nozione di bisogni familiari che vada molto oltre il concetto di mantenimento, pur adottando di quest'ultimo un'accezione così ampia da

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57

La dottrina dominante ha, inoltre, ammesso che rientrassero nella categoria dei bisogni

familiari anche le spese affrontate dai coniugi, nel rispetto delle regole di amministrazione del

fondo, per farlo fruttificare. Detta interpretazione estensiva è direttamente connessa

all'adozione di un concetto ampio di bisogni della famiglia, tale da comprendere anche

quanto è necessario per aumentare la produttività dei beni conferiti, purché non si tratti

naturalmente dell'impiego di strumenti speculativi110.

Peculiare attenzione merita, infine, il problema della pertinenza ai bisogni familiari delle

spese effettuate in relazione all'impresa coniugale (o di uno dei coniugi). L'opportunità di una

ricostruzione organica dell'intera materia impone, innanzitutto, di non accogliere l'indirizzo

dottrinale che richiede un esame delle fattispecie, singolarmente valutate caso per caso111. E'

altrettanto insufficiente il criterio della inerenza alle esigenze familiari delle spese dirette alla

produzione del reddito da destinare a tali bisogni (cd. criterio funzionale). Il reddito

d'impresa di uno o entrambi i coniugi influisce, infatti, esclusivamente sulla loro rispettiva

capacità di assolvere la propria obbligazione contributiva. Detto reddito non va interamente

destinato ad soddisfare le necessità familiari, anche qualora esso provenga dall'attività

professionale svolta; le spese relative al miglioramento o più in generale allo svolgimento

dell'impresa o della professione conseguentemente non possono allora ritenersi effettuate in

adempimento di bisogni familiari, atteso che il primo beneficiario di esse è proprio il titolare

delle stesse, e solo parzialmente e mediatamente la famiglia. Non è così piuttosto per le

spese dirette alla fruttificazione dei beni del fondo i cui redditi sono, invece, per intero

devoluti a beneficio della famiglia112.

L'orientamento della stessa giurisprudenza conduce, invece, a considerazioni non univoche: la Suprema Corte ha reputato essere inerenti ai bisogni familiari le somme pagate in relazione a mutui concessi alla parte interessata per la fruttificazione del podere dalla stessa

coltivato, poiché idonei a consentire "alla parte mutuataria ed alla sua famiglia colonica un più sereno e proficuo svolgimento dell'attività comune a tutti i componenti il nucleo familiare"113. Sono da escludersi, inoltre, dal novero delle esigenze familiari solo le attività di

ricomprendere anche quanto serve per il potenziamento della capacità lavorativa del singolo componente (op. cit., p. 152); contra su quest'ultimo punto T. AULETTA, Il fondo patrimoniale, in AA.VV., Il regime patrimoniale della famiglia, cit. p. 347; ed anche G. GABRIELLI, op. cit., p. 300, il quale però ritiene essere atti abusivi quelli che travalicano i limiti della "nozione di mantenimento dei coniugi e dei figli". F. CARRESI, Fondo patrimoniale, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, op. ult. cit., p. 345 afferma che i bisogni della famiglia vanno individuati in primo luogo con riguardo all'indirizzo della vita coniugale ed in secondo luogo sussidiariamente con riferimento alle condizioni economiche e di ceto sociale nonché ai principi morali cui si ispirano nella loro condotta. Accede integralmente a quest'ultimo indirizzo F. CORSI, op. cit., p. 89. B. GRASSO (op. cit., p. 431) afferma che i "bisogni" vanno individuati "oggettivamente". 110 G. GABRIELLI, op. cit., p. 300, il quale giunge a postulare anche l'ammissibilità di una radicale trasformazione dei beni costituiti in fondo, allo scopo di farli fruttificare. Sic anche C. M. BIANCA, op. cit., p. 108. 111 F. CORSI, op. cit., p. 89 il quale afferma che è "questione da risolversi secondo le circostanze". 112 T. AULETTA, Il fondo patrimoniale Artt.167-171, op. cit., p. 201, il quale rileva acutamente che le spese dirette a rendere maggiormente produttiva l'attività del proprio figlio o del coniuge non rientrano fra quelle che i familiari sono tenuti a sostenere e sono soggette in quanto liberalità a collazione ex art.741 c.c.. Non può aver luogo l'esecuzione sui beni costituiti in fondo e sui relativi frutti ove le obbligazioni non siano rivolte alla soddisfazione "diretta e quindi per le necessità primarie della famiglia" (L. BELLANTONI e F. PONTORIERI, op. cit., p. 123), e dunque per debiti discendenti dall'attività di impresa. 113 La sentenza cui si fa riferimento è quella della III sez. della Suprema Corte del 7 gennaio 1984, n. 134 (cfr. retro nota n.25). La sentenza della Suprema Corte del 9 aprile 1996 (cfr retro nota n.25) sembra confermare gli assunti ora espressi (sottolineando il rilievo, in un obiter dictum, "della qualità del debito"). La giurisprudenza invero, anche in materia di dote (cfr. Trib.Napoli 13 maggio 1965, in Temi Nap., 1966, I, p. 231; nonché Suprema Corte 19 maggio 1969, n. 1717 in Giust. civ., 1969, I, p. 1436, commentata da A. FUSARO, op. cit., p. 127), ha esaminato la questione con mero esclusivo riferimento alle

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speculazione e di mera voluttà; e se nessun dubbio può sorgere circa l'individuazione delle attività voluttuarie, il concetto di speculazione si presta invece ad interpretazioni più o meno late. Ove infatti si intenda per speculazione, tralasciando le accezioni negative pur diffuse nel

comune sentire, la capacità di prevedere gli orientamenti del mercato in cui si opera, in detta species non può non sussumersi anche l'attività d'impresa, sia essa svolta uti singulus o in forma societaria, dal momento che nessuna attività imprenditoriale può prescindere dall'analisi

del settore in cui viene svolta114. Dovrà considerarsi, allora, estranea ai bisogni familiari qualunque obbligazione inerente l'esercizio dell'impresa coniugale o di uno solo dei coniugi.

Quid juris dell'impresa familiare alla quale però partecipi l'intera famiglia? La ricordata

pronuncia del Supremo Collegio, a ben vedere, riguardava l'attività dell'intera famiglia

colonica solo in forma mediata, in quanto poneva attenzione in modo diretto soprattutto al

fatto che le somme concesse a titolo di mutuo servivano alla fruttificazione del bene-terreno

agricolo oggetto del fondo e concesso in garanzia. Si trattava, dunque, nel caso di specie

all'esame della Corte di legittimità, di debiti inerenti ai bisogni familiari non perché

concernevano l'attività svolta dall'intera famiglia colonica, ma perché relativi al miglioramento

della capacità produttiva del bene oggetto del fondo. Può rilevarsi, tuttavia, che se si

accoglie il predetto assunto circa la delimitazione del concetto di attività di "speculazione",

sia pure con qualche perplessità, non si può espungere da tale categoria l'impresa familiare

alla quale pure partecipino tutti i membri. Discende immediatamente da tale considerazione

che le obbligazioni assunte in relazione all'impresa familiare non ineriscono ai bisogni del

nucleo famiglia, quali specificati nell'art. 170 c.c.. Si può, al riguardo, inoltre, rilevare come

l'ampiezza soggettiva del concetto di bisogni familiari come delineata in precedenza non

coincide con il concetto di "familiare" di cui al 3° comma dell'art. 230 bis c.c., che considera

tali i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo. Autorevole dottrina115 ha,

peraltro, sottolineato che parte del reddito dell'impresa familiare ex art. 230 bis c.c. può

essere distribuita ai singoli membri sotto forma di utili e come tale impiegata liberamente

spese inerenti il bene oggetto del patrimonio separato. In tal senso, anche il commento in Giurisprudenza del diritto di famiglia, a cura di M. Bessone, op. cit., p. 495 e ss.. Manifesta preoccupazione per il sottile discrimine tra opere di trasformazione e miglioramento dei beni oggetto del fondo ed attività di speculazione A. FUSARO (op. cit., p. 129), il quale rileva che l'ipotesi di specie della quale la giurisprudenza di legittimità si era occupata con la più volte citata del 7 gennaio 1984, concerneva un debito contratto per "fini esistenziali" della famiglia stessa e che in realtà con l'esclusione dei soli "intenti voluttuari e speculativi" dal genus "bisogni familiari", aveva pericolosamente esteso anche alle esigenze lavorative tale categoria giuridica, "minando di fatto la ratio stessa dell'istituto che è quella" di vedere tutelata una certa massa patrimoniale "non solo da sperperi voluttuari, ma anche da iniziative avventate e pregiudizievoli". 114 Deve evidenziarsi che il carattere speculativo di un attività è cosa ben diversa dal requisito dello scopo di lucro, non espressamente previsto dall'art. 2082 c.c. quale caratteristica dell'imprenditore, ma reputato dalla dottrina prevalente quale elemento immanente di tale istituto. Lo scopo di lucro (inteso in senso oggettivo) è l'idoneità dell'impresa a dare un profitto, laddove il carattere speculativo di un'impresa afferisce, invece, alla previsione dell'orientamento del mercato (G. CIAN - A. TRABUCCHI, Commentario breve al codice civile, Padova, 1997, sub 2082 c.c., pag. 1997). I debiti contratti nell'esercizio dell'impresa sono di natura commerciale e, dunque, per A. CECCHERINI, di natura "speculativa per definizione" (I rapporti patrimoniali nella crisi della famiglia e nel fallimento Milano, 1996, p. 579). Costituisce abuso del diritto di godimento del fondo "l'impiego delle sue utilità" a profitto delle "aziende appartenenti a uno o ad alcuni soltanto dei membri della famiglia" (G. GABRIELLI, op. cit., p. 300). 115 Sic T. AULETTA, Il fondo patrimoniale Artt.167-171, op. cit., p. 201; V. DE PAOLA, op. cit., p. 37; G. CIAN e G. CASAROTTO, op. cit., p. 829 (i quali osservano che estendere il concetto di bisogni familiari anche alla gestione di un'azienda familiare, condurrebbe ad un'aggressione indiscriminata ai beni del fondo patrimoniale); contra G. GABRIELLI op. cit., p. 300, (purché tutti i familiari partecipino agli utili ed agli incrementi della stessa). Deve, inoltre, rilevarsi che la convivenza, elemento essenziale al fine della delimitazione soggettiva del concetto di famiglia ai sensi dell'art. 170 c.c, non è caratteristica pregnante dello stesso concetto rilevante ai fini di cui all'art. 230 bis c.c..

Fondo patrimoniale

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dagli stessi. La mancanza, pertanto, di un obbligo di reimpiego a favore della famiglia,

conduce a ribadire l'affermata estraneità ai bisogni familiari delle obbligazioni contratte anche

per la conduzione di un'impresa familiare e, dunque, l'esistenza di una impossibile totale

coincidenza tra gli interessi dell'impresa ed i bisogni della famiglia116.

2.d. Modalità e tempo di assunzione delle obbligazioni da parte dei coniugi Dopo aver individuato l'ambito soggettivo ed oggettivo delle obbligazioni assunte e rilevanti

ex art. 170 c.c. è opportuno affrontare il problema della responsabilità dei coniugi per dette

obbligazioni ed, in particolare, la necessità o meno che l'assunzione di tali debiti sia

effettuata congiuntamente da parte degli stessi.

Un primo indirizzo117 ha sostenuto che, pur riconosciuta in sede di amministrazione la

legittimazione di un coniuge alla spendita del nome dell'altro, non può riconoscersi per gli atti

rivolti alla realizzazione di esigenze familiari. Sorgerebbe in tal modo una responsabilità

senza debito per il coniuge non agente, il quale si troverebbe esposto all'attività dell'altro,

senza possibilità di tutela; inoltre tale orientamento permetterebbe una migliore garanzia per

i beni oggetto del fondo, che, sia pure pro parte non sarebbero sottoposti ad esecuzione

forzata. I creditori della famiglia dovrebbero pretendere l'espressione congiunta del consenso

(e tale pretesa non trova alcun fondamento positivo) rendendo con ciò oltremodo gravosa

l'amministrazione del fondo. Il coniuge non agente potrebbe inoltre trovare adeguata tutela

delle ragioni della famiglia nei confronti dell'abusiva attività del coniuge agente in sede di

opposizione alla esecuzione intrapresa dal creditore insoddisfatto. Nonostante appaia degna

di rilievo la preoccupazione di chi ha formulato siffatta tesi, una tale limitazione di

responsabilità non può trovare applicazione nei confronti del terzo creditore, atteso il potere

attribuito dall'ordinamento giuridico ad un solo coniuge nell'interesse del nucleo familiare. Il

coniuge non agente potrebbe infatti agire ex art. 183 c.c. per l'esclusione dell'altro

dall'amministrazione. E' evidente che il potere di agire da soli non avrebbe rilievo, ove ad

116 Contra F. GALLETTA (op. cit., p. 153) la quale sostiene che l'esecuzione sui beni e sui frutti dei beni costituiti in fondo patrimoniale deve essere consentita anche per le obbligazioni contratte nell'esercizio dell'impresa in tutti i casi e non solo ove tutti i componenti vi prestino la loro attività. Tale A., pur evidenziando "l'opportunità di tenere distinto lo scopo dell'impresa, cioè la produzione del reddito, da quello del fondo, di assicurare la soddisfazione dei bisogni della famiglia", sottolinea la totale sovrapponibilità degli interessi di impresa e famiglia, contraddicendo invero l'assunto di partenza. L'assenza di una siffatta relazione non è tuttavia di ostacolo alla tutela delle ragioni creditorie ove la costituzione del fondo patrimoniale sia stata concepita a palese frode mediante l'esercizio dell'azione revocatoria ordinaria o fallimentare o dell'azione simulatoria. L'esistenza di un tale rischio era stata evidenziata dai progetti di riforma del diritto di famiglia Gatti - Caporaso e Jotti i quali, giusta l'esperienza negativa maturata con gli istituti della dote e del patrimonio familiare ne avevano promosso la soppressione. Se la disposizione di cui all'art. 170 c.c. finisce per giocare in concreto a favore dei coniugi che svolgano attività di impresa, i creditori hanno altri mezzi per la tutela dei propri interessi patrimoniali: ecco in tale luce il grande rilievo della pubblicità dell'atto di costituzione o modificazione del fondo patrimoniale . Sul punto cfr. G.C. BOTTI, Il fondo patrimoniale: pubblicità, opponibilità e strumenti di reazione dei terzi creditori, in Il Dir. di fam. e delle pers., 1998, p. 395 e ss., nonché p. 422 e ss., nonché la celebre pronuncia della Corte Costituzionale del 6 aprile 1995, n. 111 pubblicata in Dir. fam. e pers, 1995, p. 897 e ss. Trib. Milano, 2 giugno 1983, in Giust. civ., 1983, p. 2729; Trib.Napoli del 18 gennaio 1993 e del 27 gennaio 1993, in Banca, Borsa e Titoli di Credito, 1994, II, p. 580; Corte di Cassazione sez. I civile, 18 marzo 1994, n.204, in La Nuova Giurisprudenza civile commentata, 1995, I, p. 264, con nota di M.R. GUGLIANO; Corte di Cassazione, sez. I civile, in Foro It., 1997, I, p. 3148. Un breve accenno merita da ultimo la quaestio della inammissibilità di costituire quale oggetto di un fondo patrimoniale un'azienda (G. OPPO, Patrimoni autonomi familiari ed esercizio di attività economica, cit., p. 289). 117 G. CIAN e G. CASAROTTO, op. cit., p. 828, i quali rilevano che il coniuge agente espropriato permarrà quale amministratore del bene non espropriato per la residua quota; in tal caso l'unica forma di tutela nei confronti del soggetto dissipatore potrà rinvenirsi ancora una volta nell'esclusione dall'amministrazione ex art. 183 c.c..

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esso non si accompagnasse una correlativa responsabilità del fondo medesimo nella sua

interezza. Può affermarsi, allora, che il fondo è complessivamente assoggettato agli atti di

esecuzione ove gli atti di amministrazione siano legittimamente stati compiuti (art. 168,

comma 3° c.c.) da un solo coniuge ed in particolare:

a) per l'ordinaria amministrazione, salvo opposizione dell'altro; b) giusta autorizzazione

giudiziale, nelle ipotesi di agli articoli 181 e 182 c.c., per la straordinaria amministrazione118.

E' stato sostenuto119 poi che, in ogni caso, qualora l'obbligazione sia stata contratta congiuntamente da entrambi i coniugi essa debba ritenersi, comunque, conforme ai bisogni della famiglia, argomentandosi sia dal fatto che con il loro consenso, in assenza di figli minori

è possibile "alienare, ipotecare, dare in pegno o comunque vincolare" i beni ed i frutti del fondo (art. 169 c.c.), sia dalla difficoltà di stabilire l'estraneità dell'obbligazione ai bisogni della famiglia, in presenza del congiunto consenso di entrambi coloro ai quali compete in

forza dell'art. 144 c.c. proprio la determinazione dell'indirizzo di vita. In realtà, tale orientamento non può essere accolto dal momento che, innanzitutto, ove il legislatore abbia inteso liberare i coniugi dal controllo di corrispondenza dell'atto alle esigenze familiari lo ha

fatto in modo chiaro ed espresso; inoltre, non avrebbe avuto alcun senso prevedere una positiva conoscenza dell'afferenza del debito alle necessità del nucleo familiare in questione in capo al creditore, laddove ad inficiare l'oggettiva valutazione di appartenenza

dell'obbligazione fosse stato sufficiente il consenso congiunto dei medesimi coniugi120. L'anteriorità del credito rispetto alla costituzione del fondo non costituisce ostacolo alla esecuzione sui beni del fondo, purché, naturalmente la detta obbligazione sia successiva alla

celebrazione del matrimonio ed inerisca ai bisogni della famiglia, come fin qui delineati121. La testuale redazione dell'art. 170 c.c., che statuisce, appunto, che l'esecuzione su beni e frutti del fondo non può aver luogo per debiti afferenti "scopi estranei ai bisogni della famiglia", non

riproduce l'art. 169, 3° comma c.c. abrogato (secondo il quale non era opponibile l'inalienabilità dei beni del fondo ai terzi il cui credito fosse sorto anteriormente alla trascrizione dell'atto o alla nascita del vincolo sui titoli di credito) e non ha alcun riguardo al tempo in cui il

debito è sorto, ma solo ed esclusivamente alla sua natura ed alla sua qualità. La vigente normativa consente, dunque, l'opponibilità ai creditori anteriori alla costituzione, del vincolo del fondo patrimoniale, eccezion fatta per l'ipotesi di esistenza di una garanzia reale.

118 T. AULETTA, Il fondo patrimoniale Artt.167-171, op. cit., p. 314; ID., Il fondo patrimoniale, in AA.VV., Il regime patrimoniale della famiglia, cit., p. 376 e ss.; F. GALLETTA, op. cit., p. 149; G. OPPO, Persona e Famiglia, cit. p. 326; A. e M. FINOCCHIARO, op. cit., p. 836 (che argomentano approfonditamente a favore della tesi accolta); in tema di comunione legale, con spunti utilizzabili nella materia de quo sentenza del Trib. Napoli del 6 aprile 1990 in Giur. It. 1991, I, II, p. 116 e ss. con nota di R. DE FALCO, Obbligazioni personali dei coniugi e responsabilità patrimoniale sussidiaria dei beni comuni. 119 A. PINO, op. cit., p. 130 e p. 144-145. 120 F. CARRESI, voce Fondo patrimoniale, cit. p. 5; ID., Fondo patrimoniale, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, Padova 1992, Tomo III, p. 65; V. DE PAOLA, op. cit., p. 124-125; G. CIAN e G. CASAROTTO, op. cit., p. 829; A. FUSARO, op. cit., p. 131 (il quale rileva acutamente che la più volte citata sentenza della Suprema Corte del 7 gennaio 1984, consideri irrilevante il fatto che il debito fosse stato contratto da un solo coniuge); A. e M. FINOCCHIARO, op. cit., p. 835. 121 Sul punto in modo particolare Cass. Civ. sez. III 9 aprile 1996, n. 3251, riportata in Giust. Civ., 1996, I, p. 2959 ed in Dir. fam. e pers., 1996, II, p. 1382, la quale ha ad oggetto l'ipotesi di debiti (scoperti di conto corrente bancario), inerenti ad una impresa commerciale ed insorti anteriormente alla costituzione del fondo. I creditori in questo caso potranno agire facilmente in revocatoria ex art. 2902 c.c.. B. GRASSO, op. cit., p. 431; E. MANDES, op. cit., p. 686; G. CIAN e G. CASAROTTO, op. cit., p. 829 (i quali in ipotesi di creditori del de cuius, costituente il fondo a mezzo di testamento, affermano che i creditori dovranno chiedere la separazione dei beni nei confronti del beneficiario); contra V. DE PAOLA, op. cit., p. 123. Cfr anche Trib. Catania, 27 maggio 1993, in Dir. Fam. e pers., 1994, II, p. 1263.

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2.e. Obbligazioni contrattuali e legali La lectio dell'art.170 c.c. fa riferimento esclusivo alle sole obbligazioni aventi fonte contrattuale, atteso l'impiego da parte del legislatore dell'inciso debiti "che il creditore conosceva essere stati contratti". La terminologia della novella del 1975, non modifica,

peraltro, l'espressione utilizzata dal legislatore del 1942 sia pure in materia di patrimonio familiare nella redazione dell'originario 2° comma dell'art.170 c.c., avvalorando la tesi della inapplicabilità del limite della estraneità ai bisogni familiari alle obbligazioni di fonte legale. E',

peraltro, evidente che una tale soluzione attribuisce, da una parte, pieno vigore alla responsabilità del debitore ex art.2740 c.c., dall'altro tiene in conto la peculiare tutela che l'ordinamento giuridico attribuisce, in considerazione del rilievo degli interessi in gioco, ad

una situazione creditoria. La soluzione contraria, accolta da certa dottrina122, deriva dalla considerazione che corrisponde al soddisfacimento di un bisogno familiare anche l'assunzione di un'obbligazione non negoziale. Basti pensare all'ipotesi di obbligazioni nascenti ex lege per

il pagamento di imposizioni tributarie relative ai beni costituiti in fondo o di contributi previdenziali o assistenziali per il personale addetto alla manutenzione degli stessi. Basti ancora, in via esemplificativa, pensare alla responsabilità dei genitori per i danni causati dai

figli minori con loro conviventi ex art.2048 c.c., o per il crollo dell'edificio oggetto del fondo o degli animali adibiti alla coltivazione del terreno oggetto del fondo stesso. In realtà, la comparazione della qualità del credito con le esigenze familiari, risulta spesso in conflitto con

lo stesso sentire comune, poiché la minorata tutela delle ragioni creditorie pur aventi un rilievo preponderante e pur sottendendo un interesse di tipo pubblicistico discenderebbe da un giudizio spesso estremamente soggettivo circa la imputabilità in sé dell'obbligazione ex lege al soddisfacimento dei bisogni del nucleo familiare stesso. E' pertanto preferibile l'orientamento che esclude l'applicabilità alle obbligazioni di fonte legale dell'art.170 c.c. Rappresenta, peraltro, ostacolo alla applicabilità dell'art.170 c.c. il fatto che la norma richieda la

conoscenza positiva del creditore dell'inerenza ai bisogni della famiglia dell'obbligazione. Difetta, infatti, in capo al creditore per fonte legale una siffatta conoscenza "positiva" all'atto dell'insorgere del rapporto obbligatorio della corrispondenza del debito alle esigenze familiari.

Inoltre, sembra più in linea con la norma l'escludere il ricorso all'art.170 c.c. in ipotesi di obbligazioni sorte ex lege, anche per la impossibile configurabilità concreta di una "conoscenza" di tal fatta, piuttosto che per una "fictio" dottrinale ritenere inutile un siffatto requisito.

2.f. Atteggiamento psicologico del creditore ed onere della prova. Eccezione di estraneità del debito "L'esecuzione sui beni e frutti del fondo non può aver luogo per debiti che il creditore

conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia", recita l'art. 170 122 F. Galletta op. cit. p.153, la quale reputa che il soddisfacimento delle esigenze familiari può discendere anche dall'assunzione di obbligazioni legali. Un altro A. rammenta inoltre che la dottrina precedente la riforma medesima affermava che per le obbligazioni ex lege riprendeva vigore la regola generale di libera pignorabilità dei beni del debitore (T. Auletta "Il fondo patrimoniale Artt.167-171" op. cit. p.202). La responsabilità, continua l'Auletta, si estende anche alle obbligazioni che discendono dalla mera titolarità dei beni del fondo. Sul punto cfr. S. Tondo "Note sul fondo patrimoniale", approvato dalla Commissione studi del Consiglio Nazionale del Notariato il 26 maggio 1998, recante il n.1994; V. De Paola op. cit. p.124; G. Gabrielli op.cit.p.301; C.M. Bianca op. cit., p.109.

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c.c. Il creditore deve allora "positivamente" essere a conoscenza della estraneità

dell'obbligazione alle esigenze della famiglia. Non basta la mera conoscibilità astratta o la

dimostrazione che il creditore con la diligenza ordinaria avrebbe conosciuto una siffatta

alienità. Né è sufficiente un semplice stato di non conoscenza o di ignoranza del creditore,

magari a causa della neutralità dell'obbligazione in questione.

La prova di tale conoscenza, anche mediante semplici presunzioni, grava sui coniugi123; in

particolare, costoro dovranno provare la non corrispondenza, in modo oggettivo,

dell'obbligazione sorta nei confronti dell'esecutante ai bisogni del loro nucleo familiare. Si è

opposto che i coniugi potrebbero restare inerti dinanzi alle iniziative del creditore estraneo

allo scopo di distrarre i beni dalla loro destinazione. In tal caso, la legittimazione a provare

l'estraneità del debito spetterà ai figli, in via autonoma se maggiorenni, o con il ricorso ad un

curatore speciale, se minorenni124. Dinanzi all'inerzia di tutti costoro, in via surrogatoria, è

ammissibile ritenere legittimati anche i creditori per obbligazioni familiari, che potrebbero

vedere lese le loro ragioni ove nessuno frapponesse ostacoli all'esecuzione dei creditori

estranei . Può, infine, rilevarsi che anche il coniuge non agente potrà opporre al creditore

esecutante l'estraneità alle esigenze della famiglia dei debiti contratti dall'altro coniuge125.

2.i. Privilegi, ipoteche e fondo patrimoniale Non sembra sussistere alcun dubbio circa l'esecutabilità del fondo patrimoniale nell'ipotesi in

cui il creditore ipotecario sia assistito da garanzia reale sul bene conferito. Il creditore potrà,

infatti, soddisfarsi sul bene sia che la sua garanzia sia sorta anteriormente all'atto costitutivo

del fondo (anche per obbligazioni estranee ai bisogni della famiglia) sia successivamente (per

obbligazioni solo inerenti le esigenze familiari), prevalendo sul vincolo di cui all'art. 167 c.c.126.

Eguale prevalenza sul vincolo di destinazione deve attribuirsi al creditore ipotecario, ove la garanzia reale a suo favore sia sorta in seguito alla costituzione del fondo, seppur a garanzia di debiti non attinenti ai bisogni della famiglia, ma in assenza di figli127. In tale fattispecie in

realtà non si ha specificamente una eccezione ai principi sin qui esposti, ma ove abbia luogo l'esecuzione, più esattamente la sottrazione dello stesso bene alla destinazione imposta.

123 Nello stesso senso T. AULETTA, Il fondo patrimoniale Artt.167-171, op. cit., p. 324. G. GALLETTA, op. cit., p. 151 (la quale parla di conoscenza "effettiva"); L. BELLANTONI e F. PONTORIERI, op. cit., p. 124 (i quali mettono in evidenza i rischi che possono discendere da eventuali accordi con creditori simulati, soprattutto in presenza di figli minori); A. e M. FINOCCHIARO, op. cit., p. 835; A. PINO, op. cit., p. 144 (che evidenzia rischi di accordi fraudolenti); B. GRASSO, op. cit., p. 431; E. MANDES, op. cit., p. 685; G. CIAN, e G. CASAROTTO, op. cit., p. 829; G. GABRIELLI, op. cit., p. 301; F. CORSI, op. cit., p. 104. Contra F. CARRESI, Fondo patrimoniale, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, cit., p. 65 (che reputa incombere sul creditore l’onus probandi). Sulla prova per presunzioni cfr. C.M. BIANCA, op. cit., p. 108. 124 Sono legittimati tutti coloro che hanno interesse, in quanto fruitori delle utilità del fondo (vedi retro par. 2b). 125 Sic F. CARRESI, voce Fondo Patrimoniale, cit., p. 4; E. MANDES, op. cit., p. 685; G. GABRIELLI, op. cit., p. 301, il quale esclude la rilevabilità d'ufficio dell'estraneità del debito. 126 E. MANDES, op. cit., p. 686 la quale afferma altresì che il vincolo di inespropriabilità del fondo patrimoniale cede dinanzi ad una espropriazione per pubblica utilità. 127 Il caso è ipotizzato nello studio Ipotecabilità di beni del fondo patrimoniale per scopi estranei ai bisogni della famiglia di A. RUOTOLO, approvato dalla Commissione studi del Consiglio Nazionale del Notariato il 21 luglio 1997 al n. 1605. Una recente pronuncia del Trib. Minorenni di Venezia (decreto 17 novembre 1997) pur in mancanza di espressa disposizione di legge, ammette lo scioglimento del fondo patrimoniale per espressa volontà manifestata in tal senso dai costituenti, pur in presenza di figli minori (Riv. Not. 1998, p. 223, con nota di A. VIANELLO). Argomentando da siffatta pronuncia potrebbe ammettersi la ipotecabilità del bene immobile oggetto del fondo, per scopi estranei alla famiglia, anche in presenza di figli, previa autorizzazione del giudice competente.

Fondo patrimoniale

63

Pertanto non si verifica una particolare ipotesi di prevalenza del creditore estraneo rispetto al vincolo di destinazione, bensì la distrazione del bene oggetto del fondo rispetto allo scopo per il quale era stato vincolato, mediante un anticipato consenso all'esecuzione forzata

prestato da entrambi i coniugi, privi di prole, in sede di iscrizione del pregiudizio ipotecario.

Eguale prevalenza sul vincolo di destinazione deve attribuirsi al privilegio speciale su beni

mobili ed al privilegio speciale sugli immobili128. Quest'ultimo ex art. 2748, secondo comma,

c.c. prevale anche sui creditori ipotecari, risolvendo a loro danno eventuali conflitti di

esecuzione sui beni del fondo. La peculiarità dei crediti assistiti da siffatti privilegi, spesso di

natura pubblicistica, limita di fatto la tutela dovuta agli interessi del nucleo familiare, al

soddisfacimento dei quali è preposta la costituzione del fondo patrimoniale. Il privilegio è

infatti un titolo di prelazione accordato dalla legge in considerazione della causa del credito

alla quale l'ordinamento giuridico attribuisce un particolare riconoscimento. E' bene, tuttavia,

rilevare che la prevalenza di detti privilegi opera solo ove la "qualità" oggettiva

dell'obbligazione contrattuale a cui corredo essi sono stati posti, sia inerente ai bisogni della

famiglia medesima, qualora il credito in esame abbia natura privata (ad esempio, crediti

derivanti da contratti di mezzadria e colonia ex art. 2765 c.c. o crediti del locatore di immobili

ex art. 2764 c.c.). Qualora piuttosto il credito sia di natura pubblica (ad esempio in materia

di imposte e tasse) la prevalenza avverrà tout court, nel rispetto però degli oggetti di

riferimento specifico del privilegio, come indicati di volta in volta dal Codice civile o dalle leggi

speciali. Non può, infine, postularsi la prevalenza del privilegio generale mobiliare sul vincolo

di destinazione del fondo patrimoniale, atteso che, in forza dell'art. 2747 c.c. esso non può

esercitarsi in pregiudizio dei diritti spettanti ai terzi sui mobili che ne formano oggetto, salvo

quanto è disposto dagli articoli 2913, 2914, 2915 e 2916129.

IPOTECABILITÀ DI BENI DEL FONDO PATRIMONIALE PER SCOPI ESTRANEI AI BISOGNI DELLA FAMIGLIA*

È stato posto il quesito se sia ammissibile la costituzione di un'ipoteca su un bene di un

fondo patrimoniale a garanzia di debiti contratti per esigenze estranee ai bisogni della

famiglia. Nel quesito viene precisato che non vi sono figli minori e che nell'atto di

costituzione del fondo patrimoniale è espressamente prevista la possibilità di sottoporre i

beni che vi sono stati conferiti ad ipoteca con il consenso di entrambi i coniugi.

* Approvato dalla Commissione Studi del Consiglio Nazionale del Notariato 128 V. DE PAOLA, op. cit., p. 124. 129 S. MERZ, Manuale pratico dei privilegi, delle prelazioni e delle garanzie, Padova, 1999, p. 112, il quale rileva che il privilegio concerne esclusivamente i beni mobili destinati all'esercizio dell'impresa. Vi è un vincolo di "inerenza economica" fra il tributo ed i beni strumentali all'impresa; ciò importa che i beni mobili sui quali grava il privilegio disciplinato dall'art. 2759 c.c. devono essere in modo "attuale ed immediato" a servizio dell'imprenditore (sic Codice civile annotato, a cura di P. Perlingieri, Torino, 1980, p. 308; Commentario al codice civile diretto da P. Cendon, Torino, 1991, vol. VI, sub 2759 c.c.; Codice civile a cura di P. Rescigno, Milano, 1997, p. 3086; AA.VV., Trattato di diritto privato diretto da P. Rescigno, Torino, 1997, p. 747-748, a cura di G. TUCCI). E' bene sottolineare, infine, l'estensione temporale biennale del privilegio di cui all'art. 2759 c.c.

F O N D O

P A T R I M O N I A L E

64

1. Natura del fondo patrimoniale

L'art. 167 c.c. stabilisce che ciascuno o ambedue i coniugi, per atto pubblico, o un terzo, anche

per testamento, possono costituire un fondo patrimoniale, destinando determinati beni, immobili,

o mobili iscritti nei pubblici registri, o titoli di credito - vincolati attraverso la nominatività con

annotazione del vincolo o in altro modo idoneo - a far fronte ai bisogni della famiglia.

Si ritiene da parte di alcuni che il fondo patrimoniale costituisca un'ipotesi di "patrimonio di

destinazione", in funzione di adempimento e garanzia delle obbligazioni contratte per soddisfare i

bisogni familiari130; ovvero che si tratti di un "patrimonio allo scopo", dotato di parziale

autonomia rispetto al patrimonio personale dei coniugi131; o, infine di "patrimonio separato132".

Il fondo patrimoniale viene considerato come regime patrimoniale della famiglia a carattere

convenzionale, non alternativo rispetto ai regimi generali della comunione e della

separazione dei beni in quanto relativo a determinati beni, e dalla cui costituzione deriva un

vincolo di destinazione a far fronte ai bisogni della famiglia133. Questa destinazione dei beni

del fondo ad sustinenda onera matrimonii viene assicurata attraverso limitazioni e divieti

all'alienazione discrezionale da parte dei coniugi (art. 169 c.c.) e alla espropriabilità da parte

dei creditori (art. 170 c.c.)134.

Si realizza così la duplice esigenza di dare, da un lato, maggiore stabilità al godimento dei

beni e all'utilizzazione dei relativi frutti da parte di tutta la famiglia, e dall'altro, di mettere i

beni stessi al riparo dalle vicende economiche dei coniugi.

2. Alienabilità ed ipotecabilità dei beni del fondo patrimoniale

Viene dunque in questione l'art. 169 c.c. che, nel disciplinare la alienazione dei beni del

fondo patrimoniale, stabilisce che "non si possono alienare, ipotecare, dare in pegno o

comunque vincolare beni del fondo patrimoniale se ciò non è stato espressamente consentito

nell'atto di costituzione se non con il consenso di entrambi i coniugi e, se vi siano figli minori,

130 P. PERLINGIERI, Sulla costituzione di fondo patrimoniale su "beni futuri", in Dir. fam. pers., 1977, II, 281. 131 F. SANTOSUOSSO, Delle persone e della famiglia, Il regime patrimoniale della famiglia, Torino, 1983, 121; A. FINOCCHIARO - M. FINOCCHIARO, Diritto di famiglia, I, Milano 1984, 801. 132 A. PINO, Il diritto di famiglia, Milano, 1975, 138; L. RAGAZZINI, La revocatoria delle convenzioni matrimoniali, in Riv. not., 1990, 19. 133 V. DE PAOLA, Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale, III, Il regime patrimoniale famiglia, Milano, 1996, 23 ss.. Sebbene la dottrina sia divisa sul punto vi è chi rileva come il negozio di costituzione del fondo si inquadri fra le convenzioni nel solo caso in cui i beni che si conferiscono appartengano alla comunione legale, dato che si viene ad alterare il regime patrimoniale legale, rendendosi così applicabile l'art. 210 c.c.; mentre non v'è dubbio che non si tratti di convenzione nell'ipotesi in cui essa avvenga ad opera del terzo per testamento, dato che l'effetto costitutivo del fondo si riconduce esclusivamente al testamento, dato che l'integrazione attraverso l'accettazione della disposizione a titolo universale da parte dei coniugi non ha la natura di convenzione matrimoniale, poiché altrimenti si cadrebbe nell'assurdo di dover assegnare identica natura anche al mancato rifiuto, nel caso di legato (G. GABRIELLI, voce Patrimonio familiare e Fondo patrimoniale, in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, pp. 310 - 311).In tutti gli altri casi di costituzione di fondo patrimoniale per atto tra vivi la natura di convenzione matrimoniale appare quantomeno dubbia dato che con tali atti non si dà vita ad un vero e proprio regime patrimoniale, in sostituzione di quello legale, ma ci si limita a porre una condizione giuridica particolare a determinati beni ( F. CORSI, Il regime patrimoniale della famiglia, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, Milano 1979, pp. 51 ss.; in senso contrario T. AULETTA, Il fondo patrimoniale, Milano 1990, p. 61). 134 Da un lato dunque si ha una deroga al principio generale, stabilito dall'art. 1379, per il quale l'autonomia privata può porre limiti alla alienazione dei beni per un tempo circoscritto e comunque con effetti limitati alle parti; dall'altro si deroga altresì al principio generale posto dall'art. 1372 secondo il quale il contratto non può avere effetti negativi e, dunque, impegnare il patrimonio di terzi ad esso estranei da quello sancito dall'art.2740, secondo il quale il debitore risponde delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Per queste considerazioni, V. DE PAOLA, Il diritto patrimoniale, cit., 26. Su queste figure giuridiche più dettagliatamente V. DURANTE, voce Patrimonio, in Enc. Giur.

Fondo patrimoniale

65

con l'autorizzazione concessa dal giudice, con provvedimento emesso in camera di consiglio,

nei soli casi di necessità o utilità evidente".

In sostanza il legislatore ha previsto che, ove non vi siano figli minori e l'atto costitutivo non

disponga altrimenti, è necessario il consenso di entrambi i coniugi per alienare o ipotecare i beni

del fondo patrimoniale. Il vincolo reale di inalienabilità può dunque essere attenuato dai coniugi

attraverso una espressa previsione pattizia, manifestata in sede di costituzione del fondo.

Ove invece vi siano figli minori sarà altresì necessaria l'autorizzazione del giudice, concessa in

camera di consiglio, nei soli casi di necessità o utilità evidente: dalla formulazione della

norma sembrerebbe che la necessità o utilità evidente vengano in considerazione solo per la

valutazione che dovrà compiere il tribunale in sede di autorizzazione e non anche per la

determinazione della volontà dei coniugi nel caso in cui non vi siano figli.

La norma in oggetto non precisa tuttavia se il bene possa essere alienato o ipotecato solo in

quanto ciò sia necessario al fine di far fronte ai bisogni della famiglia, ovvero se ciò possa

avvenire anche per esigenze estranee.

La questione è quanto mai controversa, per cui allo stato attuale, non possono darsi che

alcune indicazioni di massima.

In giurisprudenza infatti non risultano precedenti specifici, mentre in dottrina si registrano

posizioni discordanti.

V'è un orientamento per il quale non si può far luogo all'alienazione né iscrivere ipoteca sui

beni del fondo patrimoniale se non in relazione ai bisogni della famiglia135 e, quindi, le

somme ricavate dalla vendita dei beni del fondo patrimoniale devono essere destinate a far

fronte alle esigenze familiari, mentre non si può iscrivere ipoteca se non a garanzia di un

debito contratto nell'interesse della famiglia.

Alcuni di questi Autori ritengono che, ove si voglia derogare al vincolo di destinazione

alienando o ipotecando il bene per finalità diverse dal soddisfacimento dei bisogni della

famiglia, è necessario operare in conformità al modello previsto dall'art. 163 c.c. per le

modificazioni delle convenzioni matrimoniali. Nel caso di specie - stante l'assenza di figli

minori - troverebbe applicazione l'art. 171, ultimo comma, c.c., il quale, con riferimento alla

cessazione del fondo, stabilisce che "se non vi sono figli minori si applicano le disposizioni

sullo scioglimento della comunione legale". A tale riguardo potrebbe, ad una prima lettura,

sorgere il dubbio che, dovendosi considerare tale disposizione come norma speciale e di

stretta interpretazione, lo scioglimento del fondo patrimoniale dovrebbe operare solo con

riferimento all'intero fondo e non a singoli beni in esso conferiti.

In altre parole il richiamo della legge alle norme sullo scioglimento della comunione potrebbe

essere inteso come esclusivo all'art. 191 c.c. (cioè ai casi di dichiarazione di assenza o di

morte presunta, di annullamento, scioglimento e cessazione degli effetti civili del matrimonio, 135 CARRESI, in Commentario al diritto italiano della famiglia, a cura di Cian, Oppo e Trabucchi, III, Padova, 1992, 63 secondo il quale ciò costituisce il tratto distintivo tra fondo patrimoniale e donazione obnuziale; G. GABRIELLI, op. cit., 308; F. SANTOSUOSSO, op. cit., 140, per il quale l'alienazione deve avvenire nell'interesse di entrambi i coniugi e dei figli, e la somma ricavata deve essere reinvestita in modo che possa servire ai bisogni della famiglia, in quanto ciò è nella ratio dell'istituto.

F O N D O

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66

di separazione personale o giudiziale, di mutamento convenzionale del regime patrimoniale,

di fallimento di uno dei coniugi) e quindi tale da coinvolgere tutto il complesso dei beni del

fondo. Questa interpretazione tuttavia può essere agevolmente superata considerando che le

disposizioni relative al fondo patrimoniale operano più richiami alle norme sulla comunione

legale, (ad es. l'art. 168, ultimo comma, in tema di amministrazione dei beni costituenti il

fondo patrimoniale) per cui il rinvio alle norme sulla comunione legale potrebbe essere

esteso anche all'art. 210 c.c., che disciplina le modifiche convenzionali alla comunione legale

- e quindi lo scioglimento della comunione rispetto ad un bene - richiamando a sua volta

l'art. 162 c.c. per quanto concerne le forme. Questa soluzione consente in primo luogo di

evitare la tesi più drastica per cui, una volta costituito il fondo, questo non è più nella

disponibilità delle parti; il che porterebbe alla paradossale conseguenza di poter svincolare

quei beni che vi sono conferiti solo con l'annullamento, lo scioglimento o la cessazione degli

effetti civili del matrimonio, senza poterli altrimenti più distogliere da tale destinazione,

magari non più rispondente alle attuali esigenze dei coniugi.

Inoltre i creditori del fondo patrimoniale ricevono anche una qualche forma di tutela

attraverso la annotazione a margine dell'atto di matrimonio e la annotazione a margine della

trascrizione delle convenzioni matrimoniali (art. 163, commi 3 e 4, c.c.), in quanto da un lato

la mancanza di tale pubblicità rende l'atto a loro inopponibile, e dall'altro possono essere

sempre a conoscenza delle vicende concernenti i beni costituiti in fondo patrimoniale

attraverso le risultanze pubblicitarie e, se del caso, agire per la revocatoria.

Di diverso avviso sono altri Autori per i quali una volta costituito il fondo questo non è più

nella disponibilità delle parti136.

Altra parte della dottrina137 sostiene invece, con una soluzione più liberale, che la

destinazione dei beni, operata con la costituzione del fondo patrimoniale, non comporta

sostanziali limitazioni alla possibilità di alienare e di ipotecare gli stessi, considerato che

quelle limitazioni previste dall'art. 169 c.c. - costituite dalla necessità del consenso di

entrambi i coniugi e, se vi sono figli minori, dell'autorizzazione del tribunale – operano

soltanto qualora nell'atto di costituzione non sia stato stabilito diversamente. Ove infatti

nell'atto costitutivo i coniugi si riservino la facoltà di alienare o di ipotecare i beni è evidente

che i coniugi potranno alienare o ipotecare ad libitum i beni stessi: per cui da un lato il

vincolo di destinazione risulta sottoposto a condizione risolutiva potestativa138 e dall'altro

emerge che il fondo patrimoniale altro si presta ad essere un mezzo per sottrarre i beni

136 e M. FINOCCHIARO, Riforma del diritto di famiglia, III, Milano, 1975, 408. 137 RUSSO, L'autonomia privata nella stipulazione delle convenzioni matrimoniali, in Le convenzioni matrimoniali ed altri saggi sul nuovo diritto di famiglia, Milano, 1983, 129, secondo il quale a questa conclusione induce anche la mancata riproduzione del comma 2 dell'art. 167 vecchio testo, nel quale si affermava che la costituzione del fondo patrimoniale comporta la inalienabilità dei beni; L. MILONE, Appunti per uno studio sul fondo patrimoniale, in Dir. fam. pers., 1975, 1757; F. CORSI, Il regime patrimoniale della famiglia, II, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo e da Mengoni, Milano, 1984, 99. Sostanzialmente su queste posizioni anche A. PINO, op. cit., 96.

138 RUSSO, op. cit., 129.

Fondo patrimoniale

67

all'aggressione dei creditori, il che determina l'attenuazione, se non la vanificazione, del

vincolo impresso ai beni conferiti nel fondo139.

Quest'ultima soluzione sembrerebbe trovare il conforto della formulazione della norma, che

pare privilegiare in larga misura l'aspetto dell'autonomia privata e quindi il rispetto

dell'esigenza di favorire la commercializzazione dei beni del fondo patrimoniale140.

D'altronde l'art. 169 prevede testualmente la possibilità di alienare, ipotecare e dare in pegno

il bene costituito nel fondo patrimoniale, senza peraltro imporre espressamente alcun

Obbligo di reimpiego del prezzo ricavato dalla vendita o riferire l'ipoteca e il pegno a debiti

contratti per far fronte ai bisogni della famiglia.

Un ulteriore argomento che può essere fatto valere in questa direzione è costituito dal fatto

che il vincolo di destinazione che viene a crearsi con la costituzione del fondo patrimoniale ha

ad oggetto solo beni concretamente individuati - quali beni immobili, beni mobili iscritti nei

pubblici registri e titoli di credito (art. 167) - e non beni non concretamente individuabili e

fungibili quale il denaro ricavato dalla vendita del bene costituito nel fondo patrimoniale.

L'esistenza di un vincolo di destinazione ad sustinenda onera matrimonii gravante sul denaro

ricavato dalla vendita del bene del fondo patrimoniale non potrebbe peraltro essere accertata

attraverso un sistema di pubblicità, quale quello della trascrizione ex artt. 2647 e 2685 c.c.,

con riferimento, rispettivamente, ai beni immobili e ai beni mobili iscritti nei pubblici registri

costituiti nel fondo patrimoniale141.

In ogni caso poi, ove si considerasse il vincolo sul singolo bene costituito nel fondo come

vincolo non eliminabile attraverso la volontà dei coniugi, si dovrebbe ritenere il vincolo stesso

come attinente ad un interesse superiore ed immanente - quello della famiglia - che

prescinde dall'interesse dei singoli soggetti che ne fanno parte. Il che, se può ritenersi

plausibile laddove sia in gioco l'interesse di figli minori e quindi sia necessaria

l'intermediazione di un soggetto terzo - il giudice - che valuti, tenendo come riferimento tali

interessi, la presenza dei requisiti della necessità o utilità evidente (art. 169), non è

altrettanto plausibile ove non vi siano figli minori. Qui l'interesse della famiglia corrisponde

all'interesse dei due coniugi, i quali, come hanno conferito il bene nel fondo patrimoniale

affinché questo venga destinato a far fronte ai bisogni della famiglia, così possono sottrarre

lo stesso a tale destinazione - di comune accordo o secondo le modalità che sono stabilite

nell'atto costitutivo del fondo - allorché siano sorte nuove esigenze, preponderanti rispetto al

mantenere in vita quel vincolo di destinazione.

139 Così MILONE, op . cit., 1768. Indicativa in tal senso può considerarsi una pronuncia di merito (Trib. Firenze, 6 marzo 1987, in Dir. fall., 1987, 524) che afferma che il fatto che alla costituzione del fondo patrimoniale siano immediatamente seguite delle iscrizioni ipotecarie è indice della volontà delle parti di sottrarre i beni agli atti esecutivi dei creditori e non già di vincolare i beni ai bisogni della famiglia, per cui è ammissibile l'azione revocatoria. Non v'è dubbio comunque che in tal modo esiste la rilevante possibilità di abusare dell'istituto del fondo patrimoniale, dato che la costituzione del fondo da parte dei coniugi con riserva della possibilità di alienazione può avere lo scopo di tentare di sottrarre i beni all'aggressione dei creditori.

140 In tal senso Pret. Barra, 8 dicembre 1978, in Foro it., 1982, I, 1031. 141 A meno di non voler considerare il prezzo della vendita come "frutto" ai sensi dell'art. 168, comma 2.

F O N D O

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68

Seguendo quest'ultima interpretazione - atteso che nel caso di specie non vi è la presenza di

figli minori - l'espressa previsione nell'art. 169, per la quale i coniugi possono, con il

consenso di entrambi, ipotecare i beni conferiti nel fondo patrimoniale, attribuisce al vincolo

di destinazione un valore più tenue; e ciò consente di poter concludere - non senza qualche

perplessità dovuta alla situazione che si viene a creare nei confronti dei creditori - che

l'ipoteca possa essere iscritta anche a garanzia di crediti estranei ai bisogni della famiglia.

GLI INCREMENTI DEL FONDO PATRIMONIALE E L’AUTONOMIA CONVENZIONALE DEI CONIUGI*

Il fondo patrimoniale, come recita l'art. 167 c.c., consiste “………….” (VEDI SOPRA) Dalla lettura delle poche norme del codice civile emerge subito un duplice livello di disposizioni: da una parte, viene garantita la concreta destinazione dei beni conferiti in fondo patrimoniale alla soddisfazione dei bisogni della famiglia e, dall’altra, la famiglia viene protetta da eventuali usi distorti delle risorse ivi confluite, preservandone l’integrità economica. Una delle questioni di maggior rilievo poste dallo scarno dato normativo che disciplina il fondo patrimoniale concerne proprio la determinazione dell’oggetto del fondo e soprattutto i margini che l’ordinamento attribuisce alla determinazione convenzionale del contenuto di esso (in special modo in ordine agli incrementi ed ai decrementi) e delle regole pattizie che lo governano.

Non si tratta, tuttavia, di un problema nuovo.

Un siffatto dubbio emerge immediatamente anche dall’esame delle disposizioni in tema di

patrimonio familiare, immediato antecedente storico del fondo patrimoniale.

Il patrimonio familiare poteva, infatti, essere costituito da entrambi i coniugi ovvero da uno

di essi per atto pubblico, ovvero ancora da un terzo per atto pubblico o testamento. In tutti i

casi, la costituzione poteva, comunque, esser fatta non solo prima, ma anche durante il

matrimonio. I coniugi non potevano conferire, tuttavia, il mero godimento dei beni,

riservandosene la proprietà dal momento che una tale possibilità era, infatti, attribuita solo

ed esclusivamente al terzo costituente.

Entrambi i coniugi potevano, invece, costituire il patrimonio familiare con beni di ciascuno di

essi, restando nel contempo ciascuno titolare dei propri. In tal caso, il risultato concreto

sarebbe stata la creazione di due patrimoni familiari del tutto autonomi tra loro, amministrati

ciascuno dal proprio titolare secondo regole predefinite convenzionalmente.

La questione della ammissibilità di una pluralità di patrimoni familiari, riproposta in seguito

anche in tema di fondo patrimoniale, aveva insomma, avuto una risposta positiva142.

In questa sede l’esame ermeneutico avrà ad oggetto esclusivamente la possibile variazione

* Approvato dalla Commissione Studi del Consiglio Nazionale del Notariato 142 Sul punto, G. TRAPANI Il vincolo di destinazione dei beni oggetto del fondo patrimoniale ed i limiti all’autonomia privata dei costituenti in corso di pubblicazione in Atti Convegno Cesifin.

Fondo patrimoniale

69

in incremento della consistenza immobiliare del fondo patrimoniale ed in particolare la

modulazione del regime pubblicitario previsto in generale per le fattispecie modificative al

caso specifico.

I commi terzo e quarto dell’art. 163 c.c. statuiscono rispettivamente che le “modifiche

convenute e la sentenza di omologazione hanno effetto rispetto ai terzi solo se ne è fatta

annotazione a margine dell’atto di matrimonio” e che “l’annotazione deve essere fatta a

margine della trascrizione delle convenzioni matrimoniali ove sia richiesta a norma degli artt.

2643 ss.” c.c. .

Tale disciplina, introdotta dall’art. 44 della Legge 19 maggio 1975, n. 151, rappresenta invero

una delle novità di maggior rilievo previste dalla novella sul diritto di famiglia, poiché ha

radicalmente mutato il sistema pubblicitario delle variazioni delle convenzioni matrimoniali.

Dalla lettura del r.d. 1238/1939 (l’ormai abrogato ordinamento dello stato civile) non

emergeva, infatti, alcuna norma regolatrice della fattispecie, essendo, prima dell’entrata in

vigore della appena ricordata riforma, la pubblicità delle convenzioni matrimoniali del tutto

devoluta alla trascrizione o all’annotazione della relativa formalità presso i Registri

Immobiliari, competenti per territorio.

E’ stato posto in particolare il problema se un tale atto convenzionale, incidente

esclusivamente sull’oggetto del fondo patrimoniale, debba allora essere solo trascritto o

annotato nei Registri Immobiliari oppure se debba esser piuttosto anche annotato nell’atto di

matrimonio presso gli uffici dello Stato civile, per effetto dell’applicazione della disciplina

dettata per le modifiche delle convenzioni matrimoniali dall’art. 163 c.c..

E’ stato affermato143 che l’inserimento di nuovi beni nel fondo patrimoniale è possibile ma

importa sempre e comunque una modifica della originaria convenzione costitutiva dello

stesso e la conseguente applicazione delle regole poste dal codice civile per tali fattispecie.

Sarà, allora, necessario in tal caso il consenso di tutte le parti originarie o dei loro eredi.

Secondo una diversa impostazione dottrinale144 il fondo patrimoniale originario può esser

senza dubbio incrementato da nuovi oggetti: in tal caso un tale obiettivo è realizzato non

solo con uno specifico atto diretto a tale scopo (purché sia munito dei requisiti formali di cui

all’art. 163 c.c.), ma anche a mezzo di più atti posti in essere da persona o persone diverse e

che tali incrementi rientrano nell’ambito “dell’originario fondo patrimoniale dando luogo ad

un’unica comunione”. La mera variazione in incremento dei beni che ne formano oggetto non

costituirebbe, insomma, in tal senso, modifica di sorta di convenzione patrimoniale.

Altra dottrina145 ha rilevato, poi, che la possibilità convenzionale di un’alienazione dei beni del

143 A. e M. FINOCCHIARO Diritto di famiglia, III, Milano, 1984, 376 ss.; A. PINO Diritto di famiglia Padova, 1998, 141; V. DE PAOLA Il diritto patrimoniale della famiglia, III, Milano, 1996, 106, il quale afferma che un tale effetto può essere perseguito solo attraverso la stipula di un’apposita convenzione matrimoniale. 144 F. CARRESI Del fondo patrimoniale in Commentario al diritto italiano della famiglia a cura di Cian, Oppo e Trabucchi, 3, Padova, 1992, 54; F. CARRESI, Fondo patrimoniale in Enc. Giur. Treccani, XIV, Roma, 1989, 1; M. FRAGALI La Comunione Appendice in Trattato Cicu - Messineo , Milano, 1977, p. 30, il quale afferma la possibilità di costituire un solo fondo patrimoniale. 145 F. CORSI, Il regime patrimoniale della famiglia, in Tratt. di dir. civ. e comm. a cura di Cicu e Messineo, VI, t. II, sez. 2, Milano, 1984, 93; G. GABRIELLI e M.G. CUBEDDU Il regime patrimoniale dei coniugi Milano, 1997, 287; A. AUCIELLO, F.

F O N D O

P A T R I M O N I A L E

70

fondo patrimoniale senza alcun intervento tutorio, ove regolata esattamente la clausola di

libera alienabilità, mediante il mero consenso di entrambi i coniugi, limita, in subiecta materia, il concetto di modifica alle ipotesi di riduzione dei beni del fondo costituito da terzi o

sui quali beni i terzi si siano riservati la proprietà, e di sostituzione dei beni del fondo.

Secondo tale impostazione, l’art. 163 c.c. è applicabile pertanto solo in siffatti casi.

Non sembra infatti secondo tale impostazione146 che possa considerarsi incremento di un fondo

già esistente la mera “destinazione ad esso di nuovi beni” e che si tratti, in tal caso, piuttosto non

“di incremento di un unico fondo” già esistente, ma di una vera e propria “costituzione di fondo

ulteriore”, con conseguente evidente esclusione dell’applicazione dell’art. 163 c.c. ed anche della

disciplina autorizzatoria prevista dall’art. 2 della Legge 10 aprile 1981, n. 142. Ed ancora afferma

che la possibile previsione di una pluralità di fondi non lede né “l’unità familiare” né nuoce ai terzi

di buona fede. Qualsiasi costituzione di fondo patrimoniale successiva alla prima è, in ogni caso,

secondo siffatta visione, un nuovo fondo patrimoniale, diverso dal precedente e da esso del tutto

autonomo, logicamente e giuridicamente.

Del tutto diversa, pur nella medesima ottica di partenza, è la posizione di chi147 sostiene,

invece, che la convenzione con la quale siano conferiti ulteriori beni nel fondo patrimoniale,

vada esclusivamente trascritta ex art. 2647, 2° comma, c.c. (che concerne la trascrizione

degli acquisti immobiliari che successivamente alla originaria costituzione entrino a far parte

del fondo patrimoniale già esistente), ma non debba essere annotata nell’atto di matrimonio

ai sensi dell’art. 163, 3° comma, c.c. atteso che quest’ultima forma di pubblicità attiene

esclusivamente alla modifica delle convenzioni matrimoniali.

L’effetto di una tale ultima impostazione dottrinale è certamente diametralmente opposto

rispetto all’indirizzo appena ora ricordato. Secondo tale ultimo Autore, infatti, dall’esame del

dato positivo può essere desunto che tutti i nuovi apporti vanno a “confluire nell’originario

fondo, dando luogo ad un unico patrimonio separato”; non è dunque configurabile, secondo

una tale visione, la coesistenza di più fondi patrimoniali del tutto autonomi tra loro. Si

tratterebbe148, inoltre, nella fattispecie del semplice incremento del fondo patrimoniale

originario, un mero atto di gestione patrimoniale, che non può assolutamente essere

considerato, secondo tale impostazione, modifica “in senso proprio”; un tale atto deve,

allora, essere soltanto trascritto nei registri immobiliari, se concerne beni immobili, ma non

deve, invece, essere mai annotato nei registri dello stato civile.

Da tale ipotesi deve essere distinta, poi, la fattispecie nella quale l’attribuzione patrimoniale è

rivolta piuttosto essenzialmente ed in modo specifico alla costituzione di un autonomo fondo

patrimoniale del tutto nuovo, espressamente autonomo rispetto al precedente, ancora

vigente. In entrambi i casi non è necessario mai il consenso del terzo: nel caso BADIALI, C. IODICE, e S. MAZZEO La volontaria giurisdizione e il regime patrimoniale della famiglia, Milano, 2001, 352. 146 F. CORSI Il regime patrimoniale della famiglia, II, op. cit. 94. 147 V. DE PAOLA Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale, op. cit., 104. 148 T. AULETTA Il fondo patrimoniale Artt. 167-171 in Cod. civ. Commentario Schelsinger, Milano, 1992, 163; M. L. CENNI Il fondo patrimoniale in Trattato di diritto di famiglia Zatti, vol. III, Regime patrimoniale della famiglia a cura di F. Anelli e M. Sesta Milano, 2002, 624; , G. BENETTI Natura e pubblicità del fondo patrimoniale in Contratti 2000, 1, p. 768.

Fondo patrimoniale

71

dell’incremento del fondo patrimoniale originario, perché si tratta di un atto di

amministrazione devoluto alla esclusiva competenza coniugale, nella seconda fattispecie

perché il nuovo fondo patrimoniale è del tutto autonomo dal precedente149.

Il panorama dottrinale assai complesso e l’ampia articolazione delle letture suggerite

all’interprete dalla dottrina permettono per altro verso di riscontrare un dato di base della

fattispecie del tutto peculiare: l’autonomia delle parti, nell’espressione della facoltà di scelta

se costituire un nuovo fondo patrimoniale o incrementare l’oggetto del fondo già esistente,

non può subire limitazioni di sorta non espressamente indicate dal legislatore150.

Spetta, infatti, di volta in volta solo alla valutazione esclusiva dei coniugi stabilire se

corrisponde meglio alle esigenze della famiglia ampliare il fondo patrimoniale già costituito o

piuttosto dare origine ad un fondo patrimoniale nuovo.

Il pregio di una tale opinione è evidente, poiché essa consente senza esitazioni di distinguere

l’ipotesi dell’incremento oggettivo del fondo originario dalla successiva costituzione di un fondo

patrimoniale del tutto nuovo, applicando a ciascuna delle ipotesi la relativa specifica disciplina.

Altrettanto evidenti sono le conseguenze giuridiche che da tale impostazione discendono.

Ove il nuovo bene sia considerato mero incremento dell’originario fondo patrimoniale, il terzo,

non diviene perciò stesso quale parte costituente dell’originario fondo già esistente ed il suo

consenso non è necessario per apportare qualsiasi modifica all’atto costitutivo stesso151.

La disciplina convenzionale del nuovo fondo patrimoniale che abbia avuto origine successiva al

primo, potrà, invero, essere del tutto autonoma rispetto a quella del fondo già costituito. Al nuovo

fondo patrimoniale si applicheranno, poi, tutte le regole normative previste per la costituzione ex novo tout court. I fondi patrimoniali in tal modo costituiti, del tutto reciprocamente indipendenti,

avranno la comune finalità della soddisfazione dei bisogni della famiglia.

Dalle considerazioni sin qui svolte emerge un primo chiaro dato.

Ad ambedue i coniugi spetta prestare il consenso per la perfezione dell’atto di costituzione

del fondo, da chiunque provenga l’iniziativa diretta alla sua origine. Compete esclusivamente,

allo stesso modo, ai coniugi, ai quali sono devolute le funzioni amministrative del patrimonio,

anche prestare il consenso ai nuovi incrementi del fondo originario, siano essi provenienti da

parte di entrambi o da parte di ciascuno di loro o anche da parte di soggetti a loro estranei.

Ai coniugi è devoluta, altresì, un’altra valutazione di opportunità, in relazione alle esigenze della

famiglia alla cui soddisfazione siffatti nuovi beni sono destinati: stabilire se, per effetto dei nuovi

apporti, vada incrementato l’originario fondo patrimoniale oppure se sia addirittura preferibile la

costituzione di un secondo fondo patrimoniale del tutto autonomo dal precedente.

149 Sul punto T. AULETTA Il fondo patrimoniale Artt. 167-171, op. cit., p. 165. 150 T. AULETTA Il fondo patrimoniale Artt. 167-171, op. cit., p. 166. 151 T. AULETTA Il fondo patrimoniale Artt. 167-171, op. cit., p. 165, il quale afferma altresì che al nuovo acquisto non si applicano le formalità per la costituzione del regime, onde detto acquisto può avvenire automaticamente, secondo le regole successorie in caso di legato a favore del fondo. Riprendono lo stesso assunto A. GALASSO e M. TAMBURELLO Del fondo patrimoniale in Comm. del cod. civ. Scialoja e Branca, I, Bologna – Roma 1999, 1. La tesi non è tuttavia per nulla condivisibile, attesa comunque la necessità di un’accettazione da parte dei coniugi. La configurazione della fattispecie dell’iniziativa del terzo non muta se si tratta del fondo originario o delle modifiche a quest’ultimo.

F O N D O

P A T R I M O N I A L E

72

Nessuna preclusione vi è infatti nella legge alla costituzione di una pluralità di fondi

patrimoniali: una siffatta scelta è attribuita all’autonomia negoziale dei coniugi. In questo

particolare senso, può affermarsi, allora, che gli incrementi del fondo patrimoniale

costituiscono atti di gestione del patrimonio.

E’, dunque, perfettamente possibile che i coniugi decidano liberamente, in conformità al

giudizio da loro espresso in ordine agli interessi della famiglia, di optare o per la costituzione

ex novo di un fondo patrimoniale o per l’ampliamento dell’oggetto del primo fondo

patrimoniale. L’incremento del fondo originariamente costituito ed ancora vigente, è

insomma pur sempre modifica di fondo patrimoniale, in quanto mediante l’estensione del

vincolo di destinazione ad altri beni determinati, è variato uno degli elementi essenziali della

struttura dell’istituto.

Il quadro normativo prima delineato si è di recente arricchito di un’altra disposizione. L’art.

69 lettera b) del d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396 lettera b) infatti nella parte in cui statuisce

che debba farsi annotazione negli atti di matrimonio delle convenzioni matrimoniali e “delle

relative modificazioni”, rappresenta una vera e propria novità. Siffatta disposizione si pone,

invero, in linea di continuità con il disposto dell’art. 163 c.c., sopra ricordato, disponendo che

qualsiasi “modificazione” della convenzione matrimoniale già stipulata debba essere annotata

a margine dell’atto di matrimonio.

Ebbene, l’ampliamento dell’originario fondo patrimoniale è modificazione di un’originaria

convenzione matrimoniale, in quanto importa l’estensione del vincolo reale di destinazione da

essa discendente in origine imposto solo su determinati beni anche ai nuovi apporti patrimoniali.

L’ampiezza del termine impiegato e la saldatura tra il dettato della nuova norma e la

disciplina di cui all’art. 163 c.c. impongono l’annotazione nei registri dello Stato civile dell’atto

con il quale l’originario fondo patrimoniale accoglie i nuovi apporti patrimoniali. Gli atti che

non attengono alla regolamentazione del regime originario del fondo patrimoniale come

costituito, ma si limitano ad ampliarne esclusivamente l’oggetto, sono dunque, soggetti alla

formalità della trascrizione dell’atto nei registri immobiliari e alla diversa formalità

dell’annotazione nell’atto di matrimonio. Da tali ipotesi, vanno differenziate le fattispecie nelle

quali, invero, venga a costituirsi un fondo patrimoniale del tutto nuovo.

In conclusione, appare essenziale al fine di determinare lo statuto ed il regime pubblicitario

dell’atto, interpretarlo pienamente nelle sue caratteristiche.

Ove i coniugi si limitino ad incrementare i beni oggetto del fondo patrimoniale al nuovo

acquisto non si applicheranno le norme necessarie per la sua costituzione ed il bene viene

sottoposto alla medesima disciplina del fondo patrimoniale al quale in virtù dello specifico

consenso accede. Tale atto di modificazione andrà trascritto presso la Conservatoria dei

Registri Immobiliari competente ed annotato nei registri dello stato civile.

Qualora, infine, i coniugi intendano costituire un fondo patrimoniale nuovo, tale volontà non

è certo preclusa dall’esistenza pregressa di un altro fondo. La pluralità di fondi patrimoniali

Fondo patrimoniale

73

appare del tutto perfettamente configurabile, con la possibile differenziazione delle

fattispecie l’una dall’altra per regime convenzionale, parti ed oggetto specifico.

Va ricordato, da ultimo, che l’art. 163 c.c. 4° comma recita che l’annotazione della modifica

“deve inoltre essere fatta a margine della trascrizione delle convenzioni matrimoniali ove

questa sia richiesta a norma degli articoli 2643 e seguenti”.

L’art. 2648, 2° comma, c.c. recita che le trascrizioni devono essere effettuate anche

“relativamente ai beni immobili che successivamente entrano a far parte del patrimonio

familiare” (rectius fondo patrimoniale).

La lettura combinata delle due norme è molto utile.

La dottrina152 che si è occupata della questione ha affermato che il termine “annotazione” è

impiegato in modo atecnico e che tale assunto emerge in modo chiaro proprio con riguardo

al conferimento di nuovi immobili in un fondo patrimoniale già costituito.

L’art. 2648, 2° comma c.c. conferma senza dubbio alcuno tale impostazione. L’atto con il

quale si incrementa l’oggetto immobiliare del fondo patrimoniale originario, va, insomma,

soltanto trascritto e non anche “annotato” nei registri immobiliari.

152 G. LO SARDO La comunione convenzionale nel regime patrimoniale della famiglia in Riv. Not. 1991, 1364.

Disponibile ulteriore documentazione sul sito www.eurconference.it - PROFESSIONAL LIBRARY

F O N D O

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riservata ai partecipanti al Master Breve

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Di seguito si riporta uno Schema di FONDO PATRIMONIALE*

Repertorio n. Raccolta n.

FONDO PATRIMONIALE

REPUBBLICA ITALIANA

L'anno Duemilasei, il giorno trentuno del mese di ottobre

- 31 ottobre 2006 -

In Milano, via ... Avanti a me dottor Marco Avagliano, Notaio in Cornaredo, iscritto presso il Collegio Notarile

dei Distretti riuniti di Milano, Busto Arsizio, Lodi, Monza e Varese, alla presenza dei testimoni

signori:

- TESTI Teste, ...

- TESTE Testi, ...

sono comparsi i signori:

- ROMANI Romolo, ...

- CAIA Caietta, ...

Detti comparenti, della cui identità personale io Notaio sono certo, convengono e stipulano

quanto segue:

Premesso che:

a) i suddetti signori ROMANI Romolo e CAIA Caietta, dichiarano di aver contratto matrimonio

in Comune di Milano, il ..., in regime di comunione legale /separazione dei beni ...

b) con atto a rogito del Notaio Marco Avagliano, di Cornaredo, in data ..., i signori Romani

Romolo e Caia Caietta, hanno acquistato, in Comune di Milano, via Roma n. 1, un

appartamento con annesso un vano di cantina ed un vano ad uso autorimessa come di

seguito meglio descritto;

c) su dette unità immobiliari grava un'ipoteca iscritta, a favore della "Banca di .... Tutto ciò premesso, i comparenti dichiarano e convengono quanto segue.

Art. 1. Consenso ed oggetto

I signori Romani Romolo e Caia Caietta costituiscono un fondo patrimoniale ai sensi e agli

effetti dell'art. 167 del codice civile, destinando a far fronte ai bisogni della famiglia i diritti

sulle seguenti unità immobiliari site in Comune di Milano, via Roma n. 1 e precisamente:

- appartamento posto al piano primo, composto da tre locali oltre servizi, con annesso un

vano di cantina al piano seminterrato;

- vano ad uso autorimessa posto al piano seminterrato.

* scaricabile in formato WORD dal sito www.euroconference.it (vedi indice della presente dispensa)

file b

Fac simile di fondo patrimoniale

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Il tutto distinto nel Catasto Fabbricati del Comune di Milano, come segue:

- l'appartamento con annesso vano cantina: foglio ...

- il vano ad uso autorimessa: foglio ...

Detti immobili risultano confinanti da nord verso est in senso orario:

- l'appartamento con: ...

- il vano cantina con: ...

- il vano ad uso autorimessa con: ...

Il tutto salvo errori e come meglio in fatto.

Art. 2. Patti e condizioni

In deroga all'/Ai sensi dell' art. 169 del codice civile e nei limiti consentiti dalla legge, i diritti

costituiti in fondo patrimoniale potranno essere alienati, ipotecati e comunque vincolati con il

consenso di entrambi i coniugi e senza necessità/previa di autorizzazione giudiziale.

I signori Romani Romolo e Caia Caietta dichiarano di volersi riservare le rispettive quote di

proprietà sugli immobili costituiti in fondo patrimoniale. Pertanto il presente atto, salvo il

vincolo con lo stesso costituito, non determina nessun trasferimento immobiliare o,

comunque, nessuna modifica nella titolarità dei beni in oggetto.

L'amministrazione dei beni costituenti il fondo sarà regolata dalle norme previste e richiamate

dall'ultimo comma dell'art. 168 del codice civile. Le parti dichiarano di consentire all'annotazione di questo atto a margine dell'atto di

matrimonio, ai sensi dell'art. 162 del codice civile, ed alla sua trascrizione, ai sensi dell'art.

2647 del codice civile.

Art. 3. Spese

Le spese, le imposte e le tasse del presente atto e sue dipendenti sono a carico di entrambe

le parti.

E richiesto io Notaio ho ricevuto il presente atto, scritto da persona di mia fiducia e da me

Notaio, parte a macchina e parte di pugno, su pagine

di fogli e da me Notaio letto in

presenza dei testimoni ai comparenti, che dichiarano di approvarlo e lo sottoscrivono,

unitamente ai testimoni e a me Notaio.

F O N D O

P A T R I M O N I A L E

76

Di seguito vengono affrontati in modo schematico i seguenti punti:

FONDO PATRIMONIALE (ART. 167-171 C.C.)

• Nozione di fondo patrimoniale, funzione e caratteristiche essenziali

• Costituzione del Fondo Patrimoniale • Beni conferibili nel Fondo: proprietà ed amministrazione dei beni • I frutti prodotti dai beni del Fondo• Effetti del Fondo: protezione patrimoniale e regime di

responsabilità• Cessazione del Fondo: figli minorenni e poteri del giudice • Opportunità e aspetti problematici del Fondo Patrimoniale

Convenzione istitutiva di un nuovo regime giuridico con cui si appone un vincolo a determinati beni componenti il patrimonio di un individuo, destinandoli al soddisfacimento dei bisogni della famiglia;

Semplice e utile strumento di protezione del patrimonio di famiglia;

Cos’è un fondo patrimoniale?

RIEPILOGANDO Fondo patrimoniale (art. 167-171 del C.c.)

a cura di Luigi Belluzzo

Fondo patrimoniale - Riepilogando

77

FUNZIONE E CARATTERI ESSENZIALI DEL FONDO PATRIMONIALE:

Tale strumento previsto dal codice civ ile, ha la funzione principale di vincolaredeterminati beni (immobili, o mobili iscritti in pubblici registri, o titoli di credito) componenti il patrimonio di un determinato soggetto a fare fronte ai bisogni della famiglia, di fatto proteggendoli da eventuali future aggressioni di soggetti terzi o comunque estranei a tale ambito.

Dunque, la funzione:- tipica secondo la ratio del legislatore: strumento di tutela della FAMIGLIA LEGITTIMA,

nonché dei fabbisogni relativ i alla stessa;- concretamente assunta nella prassi: strumento adottato dal coniuge imprenditore-

libero professionista per sfruttare l’effetto segregativo e mettere al riparo da possibili future azioni esecutive dei propri creditori personali parte del proprio patrimonio personale.

COSTITUZIONE DEL FONDO PATRIMONIALE

Art. 167 C.C.:“Ciascuno o ambedue i coniugi, per atto pubblico, o un terzo, anche per testamento

possono costituire un fondo patrimoniale, destinando determinati beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri, o titoli di credito, a far fronte ai bisogni della famiglia.(…)”.

I soggetti e la forma

• i soggetti che per legge sono legittimati ad istituire un fondo patrimoniale sono: ciascuno o entrambi i coniugi, per atto pubblico, oppure una terza persona, quest'ultima anche per testamento;

• i soggetti beneficiari dell’istituzione del fondo: coloro che rientrano nella definizione di “famiglia” (i figli, legittimi o adottivi, gli affiliati e i minori in affido temporaneo, sia già nati che sopravvenuti al tempo di costituzione del fondo).

F O N D O

P A T R I M O N I A L E

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BENI CONFERIBILI NEL FONDO: PROPRIETÀ ED AMMINISTRAZIONE DEI BENI

1. Nel fondo patrimoniale, possono rientrare:• i beni immobili;• i beni mobili iscritti in pubblici registri;• i titoli di credito (nominativi).

2. Sono esclusi dal fondo: il DENARO, i beni non iscritti in pubblici registri (ad es. gioielli e oggetti d’arte), nonché l’azienda ed i beni (mobili) componenti il patrimonio aziendale.

• La proprietà dei beni costituenti il fondo patrimoniale spetta ad entrambi iconiugi, salvo che l’atto costitutivo del fondo stesso disponga diversamente;

• L’amministrazione dei beni del fondo segue le stesse norme previste in materia di comunione legale. La disposizione dei beni del fondo da parte dei coniugi è libera (senza obbligo di reimpiego) in assenza di figli minori (art. 169 c.c.), mentre in presenza di figli minori, nei soli casi di necessitàod utilità evidente e con l’autorizzazione del Tribunale ordinario (salvo espressa deroga contenuta nella convenzione);

Fondo patrimoniale - Riepilogando

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I FRUTTI PRODOTTI DAI BENI DEL FONDO

I frutti sono destinati al soddisfacimento dei bisogni della famiglia.

Ai coniugi, cui sono devolute le funzioni amministrative del patrimonio spetta la valutazione di opportunità, in relazione alle esigenze della famiglia, se:A. destinare i frutti derivanti dai beni disposti nel fondo ad incremento

dell’originario fondo patrimoniale, oppure

B. sia addirittura preferibile la costituzione di un secondo fondopatrimoniale del tutto autonomo dal precedente.

NB. Si precisa che i frutti dei beni del fondo patrimoniale sono aggredibilidai creditori, salvo destinazione nel fondo originario o in un nuovo fondo con conseguente sorgere del vincolo.

EFFETTI DEL FONDO: PROTEZIONE PATRIMONIALE E REGIME DI RESPONSABILITÀ

Art. 170 c.c.:“L’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può avere luogo per debiti che il

creditore conosceva essere contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia”.

Il regime di responsabilità relativo ai beni costituenti il fondo, prevede che:• Gli stessi possano essere oggetto di azione esecutiva solo per debiti contratti

nell’interesse della famiglia;• la protezione risulta efficace e legittima nei confronti di crediti sorti posteriormente

all’iscriz ione del vincolo da cui origina il fondo stesso, ma non per quelli anteriori;• l’esistenza del fondo risulta irrilevante, laddove le circostanze del caso portino a

concludere che il fondo sia stato istituito prevalentemente per la sottrazione di determinati beni alla garanzia dei creditori (imprenditore dissestato che vi ricorre per cercare di sottrarre uno o più beni ai suoi creditori); in tal caso incidenza dell'azione revocatoria, salvo situazioni di frode o altro.

F O N D O

P A T R I M O N I A L E

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CESSAZIONE DEL FONDO: FIGLI MINORENNI E POTERI DEL GIUDICE

Art. 171 Cessazione del fondo“La destinazione del fondo termina a seguito dell`annullamento o dello scioglimento o

della cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Se vi sono figli minori il fondo dura fino al compimento della maggiore età dell̀ ultimo figlio. In tale caso il giudice può dettare, su istanza di chi v i abbia interesse, norme per

l̀ amministrazione del fondo.

Considerate le condizioni economiche dei genitori e dei f igli ed ogni altra circostanza, il giudice può altresì attribuire ai f igli, in godimento o in proprietà, una quota dei beni del

fondo.Se non vi sono figli, si applicano le disposizioni sullo scioglimento della comunione legale”

• Il fondo patrimoniale è caratterizzato dalla temporaneità;• Il fondo presuppone l'esistenza del vincolo coniugale, dunque, non vi è

fondo patrimoniale senza matrimonio:

l'annullamento, lo scioglimento o la cessione degli effetti civili del matrimonio determinano la cessazione del fondo, salvo che vi siano figli minori; in tali ipotesi, il fondo avrà vita sino al raggiungimento della maggiore età dell'ultimo figlio (articolo 171, secondo comma, c.c.)

Fondo patrimoniale - Riepilogando

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OPPORTUNITÀ E ASPETTI PROBLEMATICI DEL FONDO PATRIMONIALE

I vantaggi offerti dal Fondo quale strumento di pianificazione patrimoniale:Conservazione dei beni appartenenti al patrimonio personale o di Famiglia dalle possibili disavventure dell’impresa o comunque dell'attività economica;Protezione contro le pretese dei creditori inclusa l’Amministrazione Finanziaria;

Flessibilità (rimozione successiva del vincolo a discrezione dei soggetti che lo hanno disposto);

Costi fiscali contenuti legati all’imposizione indiretta solo qualora l’istituzione realizzi un effettivo trasferimento di beni e in caso di trasferimento di beni immobili o mobili registrati (da valutarsi alla luce della nuova normativa: d.l. 262 del 2006).

Tra i limiti principali di questa soluzione:

Temporaneità della soluzione;

Aggredibilità dei frutti derivanti dai beni del Fondo;

Vincoli soggettivi rigidi: la necessaria presenza tra i presupposti essenziali all’istituzione del matrimonio (impossibile il ricorso a questa soluzione da parte di coppie di fatto o o single);

Instabilità: derivante dall’annullamento o scioglimento del matrimonio;

Difficoltà per operare lo scioglimento su base volontaria.

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NORMATIVA, PRASSI E GIURISPRUDENZA DI RIFERIMENTO SU “FONDO PATRIMONIALE” Codice civile

LIBRO I - DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA TITOLO VI - DEL MATRIMONIO CAPO VI - DEL REGIME PATRIMONIALE DELLA FAMIGLIA Sezione I - Disposizioni generali … OMISSIS Sezione II - Del fondo patrimoniale 167. Costituzione del fondo patrimoniale Ciascuno o ambedue i coniugi, per atto pubblico, o un terzo, anche per testamento, possono costituire un fondo patrimoniale, destinando determinati beni, immobili o mobili iscritti in pubblici registri o titoli di credito, a far fronte ai bisogni della famiglia. La costituzione del fondo patrimoniale per atto tra vivi, effettuata dal terzo, si perfeziona con l’accettazione dei coniugi. L’accettazione può essere fatta con atto pubblico posteriore. La costituzione può essere fatta anche durante il matrimonio. I titoli di credito devono essere vincolati rendendoli nominativi con annotazione del vincolo o in altro modo idoneo. 168. Impiego ed amministrazione del fondo La proprietà dei beni costituenti il fondo patrimoniale spetta ad entrambi i coniugi, salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di costituzione. I frutti dei beni costituenti il fondo patrimoniale sono impiegati per i bisogni della famiglia. L’amministrazione dei beni costituenti il fondo patrimoniale è regolata dalle norme relative all’amministrazione della comunione legale. 169. Alienazione dei beni del fondo Se non è stato espressamente consentito nell’atto di costituzione, non si possono alienare, ipotecare, dare in pegno o comunque vincolare beni del fondo patrimoniale se non con il consenso di entrambi i coniugi e, se vi sono figli minori, con l’autorizzazione concessa dal giudice, con provvedimento emesso in Camera di consiglio, nei soli casi di necessità od utilità evidente. 170. Esecuzione sui beni e sui frutti L’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia. 171. Cessazione del fondo La destinazione del fondo termina a seguito dell’annullamento o dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio. Se vi sono figli minori il fondo dura fino al compimento della maggiore età dell’ultimo figlio. In tale caso il giudice può dettare, su istanza di chi vi abbia interesse, norme per l’amministrazione del fondo. Considerate le condizioni economiche dei genitori e dei figli ed ogni altra circostanza, il giudice può altresì attribuire ai figli, in godimento o in proprietà, una quota dei beni del fondo. Se non vi sono figli, si applicano le disposizioni sullo scioglimento della comunione legale.

Normativa di riferimento su “fondo patrimoniale”

83

Giurisprudenza Civilistica

ART. 167

• La costituzione del fondo patrimoniale, di cui all’art. 167 cod. civ., dev’essere ricompresa tra le

convenzioni matrimoniali e, pertanto, è soggetta alle disposizioni dell’art. 162 cod. civ., circa le forme

delle convenzioni medesime, ivi inclusa quella del terzo comma, che ne condiziona l’opponibilità ai

terzi all’annotazione del relativo contratto a margine dell’atto di matrimonio, mentre la trascrizione del

vincolo stesso, ai sensi dell’art. 2647 cod. civ., con riferimento agli immobili che ne siano oggetto,

resta degradata a mera pubblicità-notizia, inidonea ad assicurare detta opponibilità. Ne consegue,

come in ogni caso in cui la legge dispone che per l’opponibilità di determinati atti è necessaria una

certa forma di pubblicità, che la forma di pubblicità costituita dalla suddetta annotazione non ammette

deroghe o equipollenti e che resta anche irrilevante l’effettiva conoscenza della costituzione del fondo

che il terzo abbia altrimenti potuto conseguire, pur dovendosi escludere che l’annotazione predetta

assuma in tal modo una funzione costitutiva, giacché l’unico effetto che condiziona è l’opponibilità ai

terzi, mentre non incide a qualunque altro effetto sulla validità ed efficacia dell’atto. (Nella specie, la

Suprema Corte, in applicazione di tali principi, ha escluso che la costituzione del fondo potesse essere

divenuta opponibile ad un terzo per effetto di una comunicazione a lui indirizzata da parte dei

costituenti tramite una lettera). — Cass. 19-11-99, n. 12864, rv. 531329.

• L’atto di costituzione del fondo patrimoniale (art. 167 cod. civ.) compiuto dal fallito nel biennio

anteriore al fallimento, rientrando nel genus degli atti a titolo gratuito, è soggetto ad azione

revocatoria da parte del curatore del fallimento, ex art. 64 legge fall., atteso che esso, creando un

patrimonio di scopo che resta insensibile alla dichiarazione di fallimento ed impedendo che i beni

compresi in tale patrimonio siano inclusi nella massa attiva, incide riduttivamente sulla garanzia

derivante alla generalità dei creditori dall’art. 2740 cod. civ.— Cass. 28-11-90, n. 11449, rv. 469939

(conf. Cass. 20-6-2000, n. 8379, rv. 537822).

• La costituzione del fondo patrimoniale — che è atto a titolo gratuito anche se effettuata da entrambi

i coniugi, non sussistendo, neanche in tale ipotesi, alcuna contropartita in favore dei costituenti — può

essere dichiarata inefficace, nei confronti dei creditori, a mezzo di azione revocatoria ordinaria, in

quanto rende i beni conferiti aggredibili solo a determinate condizioni (art. 170 cod. civ.), così

riducendo la garanzia generale spettante ai creditori sul patrimonio dei costituenti. — Cass. 18-3-94,

n. 2604, rv. 485792.

• La costituzione del fondo patrimoniale determina soltanto un vincolo di destinazione sui beni confluiti

nel fondo stesso, affinché con i loro frutti assicurino il soddisfacimento dei bisogni della famiglia, ma

non incide sulla titolarità della proprietà dei beni stessi, né implica l’insorgere di una posizione di diritto

soggettivo in favore dei singoli componenti del nucleo familiare, neppure con riguardo all’inalienabilità

dei beni. Ne consegue che è inammissibile, per difetto di legittimazione sostanziale, il ricorso per

cassazione proposto, ex art. 111 Cost., dalla madre, nella qualità di legale rappresentante del figlio

minorenne, avverso il decreto con il quale il giudice delegato abbia dichiarato, ex art. 64 legge fall.,

inefficace l’atto costitutivo del fondo patrimoniale al quale era stato destinato un immobile di proprietà

del padre, poi fallito. — Cass. 29-11-2000, n. 15297, rv. 542252.

• Qualora il patrimonio familiare sia stato costituito dai coniugi con un unico atto ed ognuno di essi

abbia apportato un immobile di sua proprietà, si è di fronte ad una convenzione tra coniugi (art. 159

F O N D O

P A T R I M O N I A L E

84

cod. civ.) con costituzione unitaria del patrimonio familiare, che sarebbe disintegrato, ove venisse a

mancare uno dei cespiti in esso conferiti, nello scopo comune che i coniugi si sono proposti nello

stipulare lo atto e nei suoi effetti. Da ciò consegue che ciascuno dei costituenti sottoscrittori della

convenzione è portatore di un interesse che lo autorizza a resistere in un giudizio che abbia per fine la

dichiarazione di inefficacia dell’atto di costituzione del patrimonio familiare sia pure limitatamente a

parte dei beni che ne hanno formato oggetto. — Cass. 29-8-63, n. 2406, rv. 263713.

• Diverso è l’oggetto del patrimonio familiare rispetto a quello della comunione degli utili e degli acquisti,

potendo il primo costituirsi su beni singoli, attuali e determinati (beni immobili o titoli di credito), mentre la

comunione ha per oggetto beni non attuali, e cioè gli acquisti futuri e gli utili (di beni presenti o futuri) che i

coniugi conseguiranno durante la comunione. — Cass. 16-9-69, n. 3111, rv. 343056.

• La costituzione di beni in patrimonio familiare, secondo la previsione degli artt. 167-176 cod. civ., nel

testo anteriore alla riforma introdotta dalla legge 19 maggio 1975 n. 151, determina un vincolo di

destinazione su tali beni, affinché con i loro frutti assicurino il soddisfacimento dei bisogni della

famiglia, ma non incide sulla titolarità della proprietà, né implica l’insorgere di una posizione di diritto

in favore dei singoli componenti del nucleo familiare, neppure con riguardo alla inalienabilità dei beni.

Ne consegue che i familiari del costituente, nel caso di trasferimento dei suddetti beni, non sono

portatori di diritti opponibili all’acquirente, né quindi sono abilitati ad un intervento autonomo nella

controversia inerente al trasferimento stesso, ma possono spiegare soltanto un intervento ad

adiuvandum. — Cass. 31-5-88, n. 3703, rv. 458954.

• In tema di azione revocatoria, l’atto di costituzione del fondo patrimoniale, essendo atto a titolo

gratuito, può essere dichiarato inefficace nei confronti del creditore, purché ricorrano le condizioni di

cui al n. 1 dell’art. 2901 cod. civ. — Cass. 17-6-99, n. 6017, rv. 527619.

• In tema di regime patrimoniale della famiglia, nella disciplina introdotta dalla legge 19 maggio 1975

n. 151, la costituzione del fondo patrimoniale prevista dall’art. 167 codice civile e comportante un

limite alla disponibilità di determinati beni con vincolo di destinazione per fronteggiare i bisogni

familiari, va compresa fra le convenzioni matrimoniali, e, pertanto, è soggetta alle disposizioni dell’art.

162 codice civile, circa le forme delle convenzioni medesime, ivi incluso il terzo comma, che ne

condiziona l’opponibilità ai terzi all’annotazione del relativo contratto a margine dell’atto di matrimonio,

mentre la trascrizione del vincolo stesso, per gli immobili, di cui all’art. 2647 codice civile, resta

degradata a mera pubblicità-notizia, inidonea ad assicurare detta opponibilità. — Cass. 27-11-87, n.

8824, rv. 456186.

• La costituzione del fondo patrimoniale prevista dall’articolo 167 cod. civ., che comporta un limite di

disponibilità di determinati beni con vincolo di destinazione per fronteggiare i bisogni della famiglia, va

compresa tra le convenzioni matrimoniali e pertanto è soggetta alle disposizioni dell’articolo 162 cod.

civ. che, per l’opponibilità ai terzi del vincolo, impone l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio,

mentre la trascrizione del vincolo per gli immobili ai sensi dell’articolo 2647 cod. civ. resta degradata a

semplice pubblicità-notizia e non sopperisce al difetto di annotazione nei registri dello stato civile;

pertanto, la costituzione del fondo effettuata da imprenditore poi fallito, trascritta prima del fallimento,

ma annotata successivamente, è inopponibile alla massa. — Cass. 1-10-99, n. 10859, rv. 530373.

• L’art. 2647 cod. civ. — che prescrive la trascrizione delle convenzioni matrimoniali, relative ad immobili,

«che escludono i beni medesimi dalla comunione tra i coniugi» — impone la trascrizione di dette

Normativa di riferimento su “fondo patrimoniale”

85

convenzioni insieme con gli acquisti di singoli beni effettuati a titolo personale a parziale deroga di un

preesistente regime generale di comunione patrimoniale, ma non esige la trascrizione delle convenzioni

totalmente derogative con cui i coniugi optino per l’opposto regime della separazione dei beni, poiché tale

scelta assoluta di regime trova la sua pubblicità necessaria e sufficiente nell’annotazione a margine dell’atto

di celebrazione del matrimonio. Di conseguenza, una volta adottato il regime di separazione patrimoniale,

restano esclusi dall’obbligo di trascrizione previsto dall’art. 2647 cod. civ. gli acquisti immobiliari operati

«successivamente» in via esclusiva da uno dei due coniugi ancorché sia richiamato il prescelto regime

(generale) di separazione. — Cass. 22-1-86, n. 397, rv. 444010.

• L’esecuzione sui beni e sui frutti del fondo patrimoniale è consentita, a norma dell’art. 170 cod. civ.,

soltanto per debiti contratti per fare fronte ad esigenze familiari; l’accertamento relativo alla

riconducibilità dei beni alle esigenze della famiglia costituisce accertamento di fatto, istituzionalmente

rimesso al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo per vizio di motivazione. — Cass.

I, sent. 11683 del 18-9-2001, rv. 549276.

• L’atto di acquisto di un immobile successivamente costituito in fondo patrimoniale è suscettibile di

azione revocatoria da parte del creditore, nel concorso delle condizioni di legge dettate dall’art. 2901

cod. civ., anche se compiuto in epoca successiva rispetto al credito vantato, poiché, rispondendo il

debitore con tutti i suoi beni, presenti e futuri, dell’adempimento delle proprie obbligazioni (art. 2740

cod. civ.), il creditore ha diritto di soddisfarsi anche sui beni entrati nel patrimonio del debitore stesso

dopo l’insorgere del credito, poiché il suo diritto è ben suscettibile di risultare pregiudicato anche da

atti di disposizione che cadano su beni che ancora non esistevano, al momento della nascita del

credito, nel patrimonio del debitore. — Cass. III, sent. 4422 del 27-3-2001, rv. 545212.

ART. 168 • I frutti del patrimonio familiare possono essere esuberanti rispetto ai normali bisogni della famiglia, a vantaggio della quale sono destinati per legge, e nessuna norma prescrive che i frutti non consumati debbano essere reimpiegati come ulteriore patrimonio familiare. Essi possono essere devoluti alla comunione coniugale e divenire beni della stessa, come tali affidati all’amministrazione del marito, non sussistendo inconciliabilità fra i due istituti, intesi entrambi ad un rafforzamento del nucleo familiare. — Cass. 16-9-69, n. 3111, rv. 343057. ART. 169 • Con riguardo all’alienazione di beni costituenti il patrimonio familiare, previa autorizzazione del tribunale (art. 170, vecchio testo, cod. civ.), la circostanza che il venditore, mediante l’indicazione nel contratto di un prezzo inferiore a quello effettivo, miri a sottrarsi, in parte, all’obbligo del reimpiego, non spiega effetti invalidanti sul contratto medesimo, atteso che questo, assolvendo ad un’effettiva e non vietata funzione di scambio, non è qualificabile come negozio in frode alla legge, né come negozio con causa illecita, ed altresì non può essere viziato da un motivo illecito proprio di uno soltanto dei contraenti (in quanto il compratore, ancorché a conoscenza, non ne partecipa e comunque non se ne avvantaggia). — Cass. 24-9-90, n. 9676, rv. 469317.

• L’ordinanza con la quale il giudice di merito (nella specie, tribunale ordinario) dichiari la propria incompetenza a conoscere di un’istanza introduttiva di un procedimento unilaterale di volontaria giurisdizione (nella specie, richiesta di autorizzazione al compimento di atti di disposizione su beni costituiti in fondo patrimoniale per i bisogni di una famiglia composta, tra gli altri, da figli minori),

F O N D O

P A T R I M O N I A L E

86

indicando, nel contempo, come competente altra autorità giudiziaria (nella specie, tribunale dei minorenni) è legittimamente impugnabile con l’istanza di regolamento di cui all’art. 42 cod. proc. civ., trattandosi di provvedimento che statuisce irretrattabilmente sulla competenza ed assume, per l’effetto — sia pur ai soli, limitati fini «de quibus» — natura di sentenza. — Cass. I, ord. 6167 del 27-4-2002, rv. 554036.

• L'ordinanza con la quale il giudice di merito (nella specie, tribunale ordinario) dichiari la propria incompetenza a conoscere di un'istanza introduttiva di un procedimento unilaterale di volontaria giurisdizione (nella specie, richiesta di autorizzazione al compimento di atti di disposizione su beni costituiti in fondo patrimoniale per i bisogni di una famiglia composta, tra gli altri, da figli minori), indicando, nel contempo, come competente altra autorità giudiziaria (nella specie, tribunale dei minorenni) è legittimamente impugnabile con l'istanza di regolamento di cui all'art. 42 cod. proc. civ., trattandosi di provvedimento che statuisce irretrattabilmente sulla competenza ed assume, per l'effetto - sia pur ai soli, limitati fini «de quibus» - natura di sentenza. — Cass. I, ord. 6167 del 27-4-2002, rv. 554036.

ART. 170

• Con riguardo a beni conferiti in fondo patrimoniale, l’art. 170 cod. civ. — secondo cui l’esecuzione

sui beni del fondo e sui frutti di essi non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere

stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia — non limita il divieto di esecuzione forzata ai

soli crediti (estranei ai bisogni della famiglia) sorti successivamente alla costituzione del fondo. Ne

consegue che detto divieto estende la sua efficacia anche ai crediti sorti prima di tale data,

ferma restando in questo caso la possibilità per il creditore di agire in revocatoria ordinaria, qualora ne

ricorrano i presupposti, al fine di far dichiarare l’inefficacia nei propri confronti dell’atto costitutivo del

fondo patrimoniale. — Cass. 9-4-96, n. 3251, rv. 496860.

• La costituzione del fondo patrimoniale può essere dichiarata inefficace nei confronti dei

creditori a mezzo azione revocatoria ordinaria, in quanto rende i beni conferiti aggredibili solo a

determinate condizioni (art. 170 cod. civ.), così riducendo la garanzia generale spettante ai creditori

sul patrimonio dei costituenti. — Cass. 2-9-96, n. 8013, rv. 499435.

• In tema di esecuzione sui beni del fondo patrimoniale e sui frutti di essi, il disposto dell’art. 170 cod.

civ. — nel testo di cui alla legge 19 maggio 1975 n. 151 — per il quale detta esecuzione non può aver

luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della

famiglia, va inteso non in senso restrittivo, come riferentesi cioè alla necessità di soddisfare

l’indispensabile per l’esistenza della famiglia, bensì — analogamente a quanto, prima della riforma di

cui alla richiamata legge n. 151 del 1975, avveniva per i frutti dei beni dotali — nel senso di

ricomprendere in detti bisogni anche quelle esigenze volte al pieno mantenimento ed all’armonico

sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando

escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi. — Cass. 7-1-84,

n. 134, rv. 432391.

• Il giudicato, che accerti l’opponibilità alla curatela del fallimento di un atto costitutivo di patrimonio

familiare (art. 169, vecchio testo, cod. civ.), e, quindi, l’inespropriabilità dei beni del patrimonio stesso

in quanto esclusi dall’attivo fallimentare, spiega effetti anche nei confronti di coloro che abbiano

comprato i beni medesimi in sede di liquidazione concorsuale, nonché dei successivi acquirenti,

Normativa di riferimento su “fondo patrimoniale”

87

considerato che il loro diritto, presupponendo il potere dispositivo del curatore, resta travolto dal

suddetto accertamento. — Cass. 7-4-89, n. 1661, rv. 462428.

• La costituzione del fondo patrimoniale ex art. 167 cod. civ. effettuata dall’imprenditore

successivamente fallito può essere dichiarata inefficace nei confronti della massa a mezzo di

azione revocatoria ordinaria proposta dal curatore a norma dell’art. 2901 cod. civ., espressamente

richiamato dall’art. 66 legge fall. — Cass. 18-9-97, n. 9292, rv. 508118.

• L’esecuzione sui beni e sui frutti del fondo patrimoniale è consentita, a norma dell’art. 170 cod. civ.,

soltanto per debiti contratti per fare fronte ad esigenze familiari; l’accertamento relativo alla

riconducibilità dei beni alle esigenze della famiglia costituisce accertamento di fatto, istituzionalmente

rimesso al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo per vizio di motivazione. — Cass.

I, sent. 11683 del 18-9-2001, rv. 549276.

• L’atto di acquisto di un immobile successivamente costituito in fondo patrimoniale è suscettibile di

azione revocatoria da parte del creditore, nel concorso delle condizioni di legge dettate dall’art. 2901

cod. civ., anche se compiuto in epoca successiva rispetto al credito vantato, poiché, rispondendo il

debitore con tutti i suoi beni, presenti e futuri, dell’adempimento delle proprie obbligazioni (art. 2740

cod. civ.), il creditore ha diritto di soddisfarsi anche sui beni entrati nel patrimonio del debitore stesso

dopo l’insorgere del credito, poiché il suo diritto è ben suscettibile di risultare pregiudicato anche da

atti di disposizione che cadano su beni che ancora non esistevano, al momento della nascita del

credito, nel patrimonio del debitore. — Cass. III, sent. 4422 del 27-3-2001, rv. 545212.

• Se è vero che i giudici di merito possono trarre elementi di giudizio in ordine alla credibilità dei testi

escussi e alla attendibilità delle loro affermazioni, ponendo a raffronto deposizioni dagli stessi rese in

momenti o in sede diversa, tuttavia tale comparazione è legittima solo quando le varie e diverse

deposizioni siano acquisite agli atti del processo e tutte quindi concorrano a costituire il materiale

probatorio sul quale le parti, prima del giudice, possano portare, occorrendo, la loro indagine critica.

Qualora la sentenza d’appello non sia stata notificata al procuratore costituito, a norma dell’art. 285 in

relazione al primo comma dell’art. 170 cod. proc. civ., ma alla parte personalmente, l’irregolarità di

tale notificazione impedisce la decorrenza del termine per la proposizione del ricorso per cassazione.

— Cass. I, sent. 47 del 11-1-1957, rv. 881997

ART. 171

• L’ordinanza con la quale il giudice di merito (nella specie, tribunale ordinario) dichiari la propria

incompetenza a conoscere di un’istanza introduttiva di un procedimento unilaterale di volontaria

giurisdizione (nella specie, richiesta di autorizzazione al compimento di atti di disposizione su beni

costituiti in fondo patrimoniale per i bisogni di una famiglia composta, tra gli altri, da figli minori),

indicando, nel contempo, come competente altra autorità giudiziaria (nella specie, tribunale dei

minorenni) è legittimamente impugnabile con l’istanza di regolamento di cui all’art. 42 cod. proc. civ.,

trattandosi di provvedimento che statuisce irretrattabilmente sulla competenza ed assume, per

l’effetto — sia pur ai soli, limitati fini «de quibus» — natura di sentenza. — Cass. I, ord. 6167 del 27-

4-2002, rv. 554036.

• L'ordinanza con la quale il giudice di merito (nella specie, tribunale ordinario) dichiari la propria

incompetenza a conoscere di un'istanza introduttiva di un procedimento unilaterale di volontaria

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giurisdizione (nella specie, richiesta di autorizzazione al compimento di atti di disposizione su beni

costituiti in fondo patrimoniale per i bisogni di una famiglia composta, tra gli altri, da figli minori),

indicando, nel contempo, come competente altra autorità giudiziaria (nella specie, tribunale dei

minorenni) è legittimamente impugnabile con l'istanza di regolamento di cui all'art. 42 cod. proc. civ.,

trattandosi di provvedimento che statuisce irretrattabilmente sulla competenza ed assume, per

l'effetto - sia pur ai soli, limitati fini «de quibus» - natura di sentenza. — Cass. I, ord. 6167 del 27-4-

2002, rv. 554036.

PRASSI

Circolare 30 novembre 2000, n. 221

Successioni e donazioni ipotecaria e catastale trattamento tributario degli atti di

costituzione del fondo patrimoniale

L'argomento oggetto della presente circolare é stato esaminato in occasione della riunione tenutasi il 28

giugno 2000 con i responsabili dei Servizi di Consulenza Giuridica delle Direzioni Regionali delle Entrate. Al

riguardo, si partecipano le definitive determinazioni cui é pervenuta la scrivente sulla base anche delle

osservazioni emerse nella predetta riunione o successivamente pervenute dalle Direzioni Regionali.

********

L'art. 49 della legge 19 maggio 1975, n. 151 ha modificato l'art. 167 del c.c., introducendo nel nostro

ordinamento la costituzione del fondo patrimoniale, con lo scopo di "far fronte ai bisogni della

famiglia". Il fondo é costituito per iniziativa di uno o ambedue i coniugi, per atto pubblico, oppure per

iniziativa di un terzo, anche per testamento, con beni di varia natura (immobili, mobili iscritti in

pubblici registri e titoli di credito).

Tali beni, sottoposti a un vincolo di destinazione, configurano una sorta di patrimonio separato il cui

elemento distintivo e caratterizzante è dato dalla sua particolare ed indefettibile destinazione ai

bisogni della famiglia.

I beni costituenti il fondo patrimoniale sono soggetti, infatti, ad alcuni limiti: a) i frutti prodotti possono essere utilizzati solo per i bisogni della famiglia; b) la loro amministrazione è regolata dalle norme relative alla comunione legale; c) non possono essere alienati, ipotecati, dati in pegno o comunque vincolati senza il consenso di

entrambi i coniugi e, se vi sono figli minori, solo con l'autorizzazione concessa dal giudice, salvo che non sia stato espressamente consentito nell'atto di costituzione;

d) il fondo e i suoi frutti non possono essere oggetto di azioni esecutive per debiti che il creditore sapeva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.

Il vincolo di destinazione del fondo viene a cessare a seguito dell'annullamento, dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio, tranne nell'ipotesi in cui vi sia la presenza di figli minori; in tal caso il fondo dura sino al compimento della maggiore età dell'ultimo figlio ed il giudice può impartire disposizioni per l'amministrazione dei beni. Dal punto di vista giuridico, l'atto costitutivo del fondo patrimoniale riveste natura negoziale. Al riguardo, con particolare riferimento alla costituzione del fondo ad opera di uno solo dei coniugi, va osservato che, secondo una parte della dottrina, tale costituzione si perfeziona senza necessità dell'accettazione dell'altro coniuge (tesi dell'atto unilaterale), mentre, per altri, trattandosi di una convenzione matrimoniale é necessaria l'accettazione del coniuge (tesi della convenzione bilaterale).

Normativa di riferimento su “fondo patrimoniale”

89

Ne discende che, per quanto riguarda la natura giuridica del fondo patrimoniale, se si ritiene non

necessario il consenso dell'altro coniuge si delinea un atto unilaterale di destinazione; al contrario, se

tale consenso é ritenuto necessario, la costituzione del fondo patrimoniale è riconducibile ad un

contratto, o meglio, ad una convenzione matrimoniale bilaterale. Come si preciserà più avanti,

l'accettazione ha importanti riflessi anche dal punto di vista fiscale.

La costituzione del fondo patrimoniale e la successiva gestione danno origine a diverse problematiche

di ordine fiscale.

Pertanto, al fine di inquadrare in modo corretto l'atto di costituzione del fondo nell'ambito della disciplina

delle imposte di registro, sulle successioni e donazioni, nonché ipotecaria e catastale, si procederà ad una

classificazione delle varie ipotesi configurabili sulla base dei soggetti che lo costituiscono.

a) fondo costituito con beni di proprietà di entrambi i coniugi

In tale ipotesi l'atto di costituzione del fondo esprime soltanto una volontà "vincolante", essendo del

tutto esclusa ogni volontà traslativa.

Ne consegue l'inapplicabilità dell'imposta sulle successioni e donazioni per assenza del presupposto

d'imposta, ossia il trasferimento di beni e diritti a titolo gratuito per atto inter vivos o mortis causa.

Ai fini, invece, dell'imposta di registro l'atto di costituzione del fondo non potrà considerarsi nemmeno

di natura dichiarativa. Ed infatti, mentre gli atti con efficacia dichiarativa rafforzano, affievoliscono,

specificano la situazione precedente oppure eliminano una situazione di incertezza, l'atto di

costituzione del fondo crea sui beni che ne fanno parte un vincolo di destinazione, realizzato

attraverso particolari regole di amministrazione e di responsabilità.

Pertanto tale atto, nell'ipotesi in esame, andrà inquadrato nell'art.11 della parte prima della tariffa

allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, approvato con DPR 26 aprile

1986, n. 131, e soggetto, pertanto, all'imposta nella misura fissa di L. 250.000.

b) fondo costituito con beni di proprietà di uno solo dei coniugi che se ne riserva la proprietà

Anche in tale ipotesi non vi é effetto traslativo. A tale conclusione induce la considerazione che il fondo é

funzionale ai bisogni della famiglia e che fa carico ai coniugi, e più precisamente al coniuge proprietario,

l'obbligo di assistenza economico - materiale della famiglia (cfr. Cass. 7 maggio 1992 n. 5415).

Lo stesso c.c., rispettivamente negli artt. 143 e 147, disciplina l'obbligo reciproco dei coniugi

all'assistenza materiale nonché i doveri dei genitori verso la prole.

A tale fattispecie si estendono, pertanto, le conclusioni formulate con riferimento all'ipotesi a) e,

specificamente, l'inapplicabilità dell'imposta sulle successioni e donazioni e l'applicazione dell'imposta

di registro nella misura fissa di L. 250.000.

c) fondo costituito con beni di proprietà di uno solo dei coniugi che non se ne riserva la

proprietà

Al riguardo si ritiene di dovere distinguere il caso in cui vi sia accettazione da parte dell'altro coniuge

dal caso in cui ciò non avvenga. In caso di assenza di accettazione, fermo restando il vincolo di destinazione dei beni, non si verifica però alcun effetto traslativo della proprietà sugli stessi. Pertanto, per gli stessi motivi addotti con riferimento alle ipotesi di cui alle lettere a) e b), é dovuta la sola imposta di registro in misura fissa. Qualora, invece, vi sia accettazione da parte del coniuge che non conferisce i beni, si verifica l'effetto traslativo per la quota pari al 50% dei beni destinati al fondo, per i quali sia intervenuta l'accettazione. L'atto é, pertanto, soggetto al regime tributario previsto per le donazioni con riferimento al solo valore corrispondente all'attribuzione patrimoniale.

F O N D O

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90

d) fondo costituito con beni di un terzo che non se ne riserva la proprietà

In tale fattispecie si é in presenza di effetti traslativi della proprietà; l'atto é, pertanto, soggetto

all'imposta sulle donazioni se e nella misura in cui vi sia stata accettazione.

e) fondo costituito con beni di un terzo che se ne riserva la proprietà

Anche nell'ipotesi in cui il fondo viene costituito con beni di un terzo che se ne riserva la proprietà, il

relativo atto deve essere assoggettato al trattamento impositivo previsto per gli atti di trasferimento a

titolo gratuito.

Infatti, in questo caso, sebbene non si verifichi l'effetto traslativo della piena proprietà dei beni

conferiti, tuttavia, dalla costituzione del fondo deriva per i coniugi il vantaggio, di carattere economico,

di utilizzare i frutti prodotti dai beni che vi sono destinati.

Questa fattispecie non risulta espressamente disciplinata dal testo unico dell'imposta sulle successioni

e donazioni e, pertanto, ai fini della determinazione del valore della base imponibile, troveranno

applicazione i criteri previsti dall'articolo 17 del medesimo decreto per la determinazione del valore

delle rendite.

Per completezza di argomento, si fa cenno al regime tributario degli atti in argomento ai fini delle

imposte ipotecaria e catastale.

L'obbligo della trascrizione del vincolo derivante dalla costituzione del fondo patrimoniale è previsto

dall'art. 2647 del c.c.. Al riguardo si precisa che la Corte di Cassazione, con sentenza del 27 novembre

1987 n. 8824, ha attribuito a tale trascrizione la funzione di pubblicità-notizia.

Ne consegue che:

* qualora la costituzione del fondo patrimoniale non comporti trasferimento di beni immobili, per la

formalità di trascrizione é dovuta l'imposta ipotecaria in misura fissa di cui all'art. 4 della tariffa

allegata al testo unico delle disposizioni concernenti le imposte ipotecaria e catastale, approvato con

d.lgs 31 ottobre 1990, n. 347.

* qualora, invece, la costituzione del fondo patrimoniale comporti trasferimento di beni immobili, sono

dovute le imposte ipotecaria e catastale nella misura proporzionale stabilita rispettivamente dall'art. 1

della tariffa allegata al suindicato testo unico e dall'art. 10 dello stesso testo unico.

Le Direzioni Regionali vigileranno sulla corretta applicazione delle presenti istruzioni.

GIURISPRUDENZA FISCALE

Sentenza Corte di Cassazione del 28/10/2005 n. 21056

Intitolazione:

Imposta di registro - Convenzione per la costituzione di un fondo patrimoniale - Tassazione in misura

proporzionale si sensi dell'art. 9 della tariffa allegata al T.U. n. 131/86 - Esclusione.

Massima:

L'atto di costituzione di un fondo patrimoniale è una convenzione costitutiva di beni, aventi un vincolo

di destinazione a carattere reale per il soddisfacimento dei bisogni familiari. Il regime di tassazione di

tale atto va individuato nella categoria residuale contemplata dall'art. 11 della tariffa, parte prima,

allegata al TU n. 131/86.

*Massima redatta dal Servizio di documentazione economica e tributaria.

Normativa di riferimento su “fondo patrimoniale”

91

Testo: Fatto Ritenuto che i coniugi F.M. e G.B. proposero ricorso alla Commissione tributaria di I grado di Pisa avverso l'avviso di accertamento con il quale l'ufficio del registro di quella città aveva rettificato il valore dichiarato nell'atto con cui essi avevano costituito in fondo patrimoniale un fabbricato in comproprietà, eccependo l'illegittimità dell'avviso per avere assoggettato l'atto all'imposta in misura proporzionale anzichè fissa; che la Commissione adita accolse il ricorso; che l'appello dell'ufficio venne respinto dalla Commissione tributaria regionale della Toscana, la quale, con sentenza depositata il 19 gennaio 1998, confermò l'applicabilità dell'imposta in misura fissa, ai sensi dell'art. 11 della Tariffa, Parte Prima, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, trattandosi di atto non avente ad oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale;

che avverso tale sentenza il Ministero delle finanze propone ricorso per cassazione, sulla base di un motivo;

che i contribuenti intimati non si sono costituiti; che il ricorso, ai sensi dell'art. 375 del codice di procedura civile, è stato fissato, per la trattazione, in camera di consiglio. Diritto Considerato che il ricorrente - denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 9 della Tariffa, Allegato A, Parte Prima, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, e degli artt. 167 e 168 del codice civile, nonchè vizio di motivazione - insiste nella tesi dell'assoggettabilità dell'atto di costituzione del fondo patrimoniale all'imposta di registro in misura proporzionale, sostenendo che detto atto ha natura e consistenza tipicamente patrimoniali, in quanto "pur non verificandosi alcun effetto traslativo si realizza la costituzione di un particolare regime giuridico su uno o più beni indicati", e pertanto rientra nell'ipotesi contemplata nell'art. 9 della Tariffa predetta (relativo agli atti, diversi da quelli indicati negli articoli precedenti, "aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale"); che il ricorso è manifestamente infondato; che, infatti, in base all'orientamento più recente ed ormai consolidato di questa Corte, che il Collegio pienamente condivide, l'atto di costituzione di un fondo patrimoniale, di cui all'art. 167 del codice civile, non è un atto traslativo a titolo oneroso, nè un atto avente per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale, nè, infine, un atto avente natura meramente ricognitiva, bensì una convenzione istitutiva di un nuovo regime giuridico, diverso da quello precedente, costitutivo di beni in un patrimonio avente un vincolo di destinazione a carattere reale, in quanto vincola l'utilizzazione dei beni e dei frutti solo per assicurare il soddisfacimento dei bisogni della famiglia, senza incidere sulla titolarità della proprietà dei beni e senza che insorgano posizioni di diritto soggettivo in favore dei singoli componenti del nucleo familiare; con la conseguenza, in tema di imposta di registro, che il regime di tassazione di tale atto non è quello dell'imposta proporzionale, di cui agli artt. 1 (atti traslativi a titolo oneroso), 9 (atti diversi, aventi ad oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale), o 3 (atti di natura dichiarativa) della Tariffa, Parte Prima, allegata al D.P.R. n. 131/1986, ma va individuato nella categoria residuale contemplata nell'art. 11 della Tariffa stessa, con conseguente applicabilità dell'imposta nella misura fissa ivi indicata (Cass. nn. 8162 del 2002, 8289 e 10666 del 2003; contra, Cass. n. 3343 del 2002); che non vi è luogo a provvedere sulle spese, in assenza di svolgimento di attività difensiva da parte dei contribuenti intimati. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso. S

F O N D O

P A T R I M O N I A L E

92

Sentenza Corte di Cassazione del 07/07/2003 n. 10666

Intitolazione:

IMPOSTA DI REGISTRO - APPLICAZIONE DELL'IMPOSTA - IN GENERE -

Atto di costituzione di un fondo patrimoniale - Natura – Imposta proporzionale ex artt. 1, 3 o 9 della

tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 - Applicabilità - Esclusione - Imposta in misura fissa ex art. 11

della tariffa medesima - Applicazione - Legittimità.

Massima:

L'atto di costituzione di un fondo patrimoniale, di cui all'art. 167 del cod. civ., non è un atto traslativo

a titolo oneroso, nè un atto avente per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale, nè, infine, un

atto avente natura meramente ricognitiva, bensì una convenzione istitutiva di un nuovo regime

giuridico, diverso da quello precedente, costitutivo di beni in un patrimonio avente un vincolo di

destinazione a carattere reale, in quanto vincola l'utilizzazione dei beni e dei frutti solo per assicurare il

soddisfacimento dei bisogni della famiglia. Ne consegue, in tema di imposta di registro, che il regime

di tassazione di tale atto non è quello dell'imposta proporzionale, di cui agli artt. 1 (atti traslativi a

titolo oneroso), 9 (atti diversi, aventi ad oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale), o 3 (atti di

natura dichiarativa) della tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ma va

individuato nella categoria residuale disciplinata dall'art. 11 della tariffa stessa, con conseguente

applicabilità dell'imposta nella misura fissa ivi indicata.

Massima tratta dal CED della Cassazione.

In termini v. Cassazione n.8162 del 06/06/2002 e n.8289 del 26/05/2003.

Contra v. Cassazione n.3343 del 07/03/2003.

Testo:

Fatto - Con atto pubblico del 5 giugno 1993 i coniugi C.L. e B.B. costituivano in fondo patrimoniale un

immobile, sito in Pisa, di proprietà della moglie, senza trasferimento di proprietà che restava esclusiva

della B.

L'ufficio del Registro di Pistoia, in sede di registrazione della convenzione, applicava l'imposta dell'1 per

cento, prevista per gli atti dichiarativi, di cui all'art. 3, Tariffa, Parte Prima, allegata al D.P.R. 26 aprile 1986,

n. 131, con il pagamento di L. 1.400.000, anzichè tassare con l'imposta fissa di L. 150.000.

I coniugi, con ricorso alla Commissione tributaria, chiedevano il rimborso della somma di L. 1.250.000

ritenuta non dovuta, adducendo che trattavasi di atto che non comportava il trasferimento di

proprietà, nè aveva natura dichiarativa, in quanto non conteneva la ripartizione o qualificazione di

diritti già contenuti nel diritto di proprietà.

La Commissione Tributaria di primo grado di Pistoia, con la sentenza n. 89/1996, accoglieva il ricorso

e riteneva l'atto assoggettabile a tassa fissa, sul presupposto che l'atto non era traslativo di alcun

diritto reale e creava solo un nuovo vincolo senza valore patrimoniale.

L'Ufficio proponeva gravame, sostenendo che si è in presenza di una divisione, atto non traslativo di

diritti, ma neppure ricognitivo del diritto preesistente, in quanto il diritto del quotista è distinto da

quello del proprietario esclusivo; l'atto era innovativo degli effetti giuridici di un diritto preesistente.

La Commissione tributaria regionale, con la sentenza in epigrafe, respingeva l'appello dell'Ufficio,

motivando che, nel caso di specie, non vi era stato trasferimento del bene, in quanto la moglie si era

Normativa di riferimento su “fondo patrimoniale”

93

riservata la proprietà, e la costituzione del fondo patrimoniale aveva creato solo un vincolo di

destinazione a carattere reale.

Avverso questa decisione l'Amministrazione finanziaria ha proposto ricorso per cassazione, notificato il

27 maggio 1999, con l'articolazione di un solo complesso motivo.

I coniugi contribuenti non si sono costituiti.

Diritto - 1. L'Amministrazione finanziaria ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione

dell'art. 9 della Tariffa, Allegato A, Parte Prima, del D.P.R. n. 131/1986 e degli artt. 167 e 168 del

codice civile, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3), del codice di procedura civile. In particolare, la

censura viene così articolata: nel caso in cui il coniuge si riservi la proprietà del bene con cui si

costituisce il fondo patrimoniale, l'altro coniuge acquista sul medesimo bene un particolare diritto di

godimento, equiparabile all'usufrutto, opponibile erga omnes; l'acquisto dei frutti avviene pro quota in favore di ciascun coniuge, anche per quello non titolare del diritto di proprietà; l'amministrazione dei beni del fondo è regolata dalle norme sulla comunione legale e cioè doveva essere congiunta; per qualsiasi atto di disposizione dell'immobile è necessario il consenso dell'altro coniuge; fondato era l'accertamento dell'Ufficio del Registro che aveva rettificato il valore dell'immobile dichiarato nell'atto di costituzione del fondo, applicando l'imposta di cui al richiamato art. 9, in quanto l'atto aveva per oggetto prestazioni a carattere patrimoniale; l'acquisto ex lege del diritto di godimento aveva natura e consistenza patrimoniale; quindi, la fattispecie era regolata dal citato art. 9 e, come tale, era soggetta al giudizio di congruità di cui all'art. 52, D.P.R. n. 131/1986. 2. Il ricorso non si reputa fondato. In consapevole dissenso rispetto all'orientamento espresso da questa Corte, nel senso che il regime di tassazione ad imposta di registro dell'atto costitutivo di un fondo patrimoniale è quello previsto dall'art. 3 della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131/1986, con liquidazione dell'imposta in misura proporzionale (Cass., Sez. tributaria, 7 marzo 2002, n. 3343), si intendono svolgere le seguenti argomentazioni per motivare la convinta adesione all'altro orientamento che ha individuato tale regime nella categoria residua di atti prevista dall'art. 11, stesso D.P.R., con tassazione nella misura fissa ivi prevista (Cass., Sez. tributaria, 6 giugno 2002, n. 8162). 3. Atteso lo stato della dialettica processuale e considerato che la fase di legittimità introduce un dibattito a critica circoscritta, il fondamentale thema decidendum va riferito alla sussumibilità, ai fini dell'applicazione dell'imposta di registro secondo la richiamata normativa, sotto l'art. 3 (che prevede l'aliquota dell'1 per cento) oppure sotto l'art. 11 (applicazione dell'imposta nella misura fissa di L. 250.000) della Tariffa, Parte Prima (atti soggetti a registrazione in termine fisso). Più specificamente l'art. 3 riguarda gli ""atti di natura dichiarativa relativi a beni o rapporti di qualsiasi natura"; l'art. 9 riguarda atti diversi a contenuto patrimoniale; l'art. 11 concerne - per quanto qui rileva - gli "atti pubblici e scritture private... non aventi per oggetto prestazioni a carattere patrimoniale". La soluzione del delineato tema di fondo discende sia dal carattere speciale delle richiamate norme tributarie, sia dalla natura civilistica dell'istituto del fondo patrimoniale. 4. Appare imprescindibile la soluzione del quesito attinente alla qualificazione giuridica dell'atto costitutivo di fondo patrimoniale, istituto introdotto con la riforma del diritto di famiglia attuata con la L. 19 maggio 1975, n. 151 (finalizzata, sul punto, a colmare parzialmente la lacuna verificatasi nella precedente disciplina dei rapporti patrimoniali tra coniugi in conseguenza dell'abolizione degli istituti della dote e del patrimonio familiare).

La natura giuridica di convenzione matrimoniale attribuibile all'atto costitutivo del fondo patrimoniale

discende dalla considerazione del contenuto, della funzione e della pubblicità.

F O N D O

P A T R I M O N I A L E

94

Il fondo ha per oggetto beni immobili, beni mobili registrati, titoli di credito.

La finalità è quella di destinare questi beni ed i loro frutti al soddisfacimento del bisogni della famiglia.

Questo vincolo di destinazione esistente sui beni (più intenso di quello derivante dalla comunione

legale) fa sorgere un limite alla libera disponibilità dei beni da parte dei coniugi. Questa ricostruzione,

che riconosce "unità funzionale" tra fondo patrimoniale e convenzioni matrimoniali, di cui all'art. 162

del codice civile, è accolta dalla dottrina prevalente e dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ.,

Sez. I, 27 novembre 1987, n. 8824).

In tema di pubblicità, con riferimento al fondo patrimoniale sono previste due distinte forme di

pubblicità dichiarativa, aventi valenza operativa autonoma: l'annotazione a margine dell'atto di

matrimonio (ex artt. 162 e segg. del codice civile) realizza l'effetto di rendere opponibile ai terzi la

vigenza ed il contenuto della convenzione matrimoniale; la trascrizione dell'atto costitutivo di fondo

patrimoniale avente ad oggetto beni immobili o beni mobili registrati (ex art. 2647 del codice civile)

adempie la peculiare funzione di rendere opponibile ai terzi il vincolo di inespropriabilità che afferisce

ai singoli beni conferiti nel fondo.

Per essere il fondo patrimoniale opponibile ai terzi, rispetto alla pubblicità-notizia, prevista dall'art.

2647 del codice civile, ha certamente valore prevalente l'annotazione a margine dell'atto di matrimonio

dell'avvenuta costituzione del fondo patrimoniale, dal momento che l'art. 162, comma 4, del codice

civile espressamente prevede l'annotazione a margine dell'atto di matrimonio come condizione di

opponibilità ai terzi della convenzione.

5. Deve ora passarsi alla delibazione dei profili fiscali, che qui specificamente rilevano, tenendo ben

presenti le considerazioni svolte sul piano civilistico.

Tale convenzione non è un atto traslativo a titolo oneroso (art. 1 richiamato), in quanto non vi è

trasferimento di proprietà o altro diritto reale, dal momento che la proprietà esclusiva resta al coniuge

conferente.

Non è un atto che ha per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale, perchè tra gli stipulanti non vi

è scambio di alcuna prestazione e controprestazione patrimoniale o, comunque, alcuno scambio di

prestazioni tra i coniugi in un sinallagma economicamente rilevante (citato art. 9). Non è un atto

avente mera natura ricognitiva, perchè - come si è detto - fa sorgere un vincolo di destinazione dei

beni, efficace erga omnes. È, invece, una convenzione costitutiva di un nuovo regime giuridico,

diverso da quello precedente, costitutivo di beni in un patrimonio avente un vincolo di destinazione a

carattere reale, in quanto vincola l'utilizzazione dei beni e dei frutti solo per assicurare il

soddisfacimento dei bisogni della famiglia.

In conclusione, dai molteplici profili delineati discende che corretta è l'inclusione dell'atto costitutivo di

fondo patrimoniale nella categoria residuale disciplinata dall'art. 11, con la conseguenziale operatività

del regime di tassazione dell'imposta di registro in misura fissa.

6. Per le argomentazioni svolte, il ricorso deve essere disatteso.

Non va adottata alcuna statuizione in ordine alle spese, in quanto i coniugi contribuenti non si sono

costituiti.

P.Q.M. - La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Normativa di riferimento su “fondo patrimoniale”

95

Sentenza Corte di Cassazione del 26/05/2003 n. 8289

Intitolazione: IMPOSTA DI REGISTRO - APPLICAZIONE DELL'IMPOSTA - IN GENERE - Atto di costituzione di un fondo patrimoniale - Natura – Imposta fissa ex art. 11 della Tariffa allegata al d.P.R. 131/1986 - Applicazione - Legittimità. Massima: In tema di imposta di registro, l'atto di costituzione del fondo patrimoniale di cui all'art. 167 cod. civ. non ha natura dichiarativa, enunciativa o accertativa di una situazione giuridica preesistente, perchè determina un "quid novi", un vincolo di destinazione dei beni confluiti nel fondo e dei loro frutti al soddisfacimento dei bisogni della famiglia, e non ha ad oggetto prestazioni patrimoniali, perchè si limita a porre il suddetto vincolo, senza incidere sulla titolarità della proprietà dei beni e senza che insorgano posizioni di diritto soggettivo in favore dei singoli componenti del nucleo familiare. Ne consegue che l'imposta di registro è applicabile nella misura fissa prevista dall'art. 11 della Tariffa allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 e non nella misura proporzionale indicata dall'art. 9 della stessa Tariffa (nè in quella di cui al precedente art. 3). Massima tratta dal CED della Cassazione. Contra, Cassazione n.3343 del 07/03/2002.

Testo:

Svolgimento del processo Con atto 23/11/1989 i coniugi (...) B. e (...) G. hanno costituito un fondo

patrimoniale ai sensi dell'art. 167 c.c., destinando a far fronte ai bisogni della famiglia un fabbricato

per civile abitazione già del B., di cui il medesimo ha conservato la proprietà.

Con avviso di liquidazione notificato il 17/12/1992 l'Ufficio del Registro di Pistoia ha ingiunto ai

costituenti il pagamento dell'imposta suppletiva dell'l% sul valore dichiarato, prevista per gli atti di

natura dichiarativa dall'art. 3 della Tariffa allega ta al D.P.R. n. 131/86.

Il B. e la G. hanno impugnato l'avviso di liquidazione deducendo che con la costituzione del fondo era

stato semplicemente creato un vinco lo di destinazione sul bene, sicchè correttamente era stata

applicata all'atto, in sede di registrazione, l'imposta in misura fissa.

La Commissione Tributaria di primo grado di Pistoia ha accolto il ricorso e la Commissione Tributaria

Regionale della Toscana ha respinto l'appello che l'Ufficio ha proposto ribadendo la natura

dichiarativa dell'atto.

Avverso quest'ultima decisione il Ministero delle Finanze ha proposto ricorso per cassazione affidandolo

ad un motivo: violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 9 della tariffa allegata al D.P.R. n. 131/86 e

dell'art. 167 c.c. Il ricorrente ha altresì denunciato l'insufficiente e contraddittoria motivazione su un

punto decisivo della controversia, ma tale censura non ha trovato esplicilazione nel ricorso.

Gli intimati non hanno resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Col motivo proposto il ricorrente ha dedotto che la Commissione Regionale ha errato nel ritenere che

l'atto di costituzione del fondo patrimoniale non avesse ad oggetto prestazioni a contenuto

patrimoniale e fosse ad esso applicabile l'imposta di registro in misura fissa, ex art. 11 della tariffa

allegata al D.P.R. 131/86, trattandosi, invece, di atto costitutivo di un diritto di godimento di natura

reale, equiparabile all'usufrutto, a favore del coniuge non proprietario del bene conferito nel fondo,

F O N D O

P A T R I M O N I A L E

96

quindi di atto non solo avente "natura dichiarativa e qualificativa di diritti", ma addirittura rientrante,

per i suoi effetti tipicamente patrimoniali, nella previsione dell'art. 9 della tariffa stessa, e pertanto

assoggettabile all'imposta proporzionale del 3%.

La censura è insieme inammissibile e infondata.

La questione controversa, oggetto dei due gradi del giudizio di merito, è se alla costituzione del fondo

dovesse applicarsi l'art. 3 della tariffa, in quanto atto di natura dichiarativa relativo a beni o rapporti, e

quindi l'imposta proporzionale dell'l%, come sostenuto sempre dall'Ufficio, ovvero l'art. 11, e quindi

l'imposta nella misura fissa di lire 250.000, per mancanza di prestazioni a contenuto patrimoniale,

come sostenuto dai contribuenti e ritenuto da entrambe le Commissioni Tributarie.

Il ricorrente, pertanto, col sostenere che l'atto di costituzione del fondo avrebbe avuto come effetto

patrimoniale immediato quello di far sorgere in capo al coniuge non proprietario del bene un

particolare diritto di godimento dai caratteri tipicamente reali, sicchè ad esso andrebbe addirittura

applicata l'imposta proporzionale del 3%, ai sensi dell'art.9 della tariffa, ha introdotto una questione

del tutto nuova, improponibile in sede di legittimità. Non solo, ma nel sostenere altresì la natura

dichiarativa dell'atto senza argomentare minimamente al riguardo, e, soprattutto, senza fornire alcuna

spiegazione dell'asserita coesistenza, in relazione agli stessi effetti patrimoniali, di una natura

costitutiva e di una natura dichiarativa o qualificativa, il ricorrente ha finito per formulare anche una

censura estremamente generica.

D'altra parte, come ritenuto da Cass. 6 giugno 2002, n.8162, in contrasto con Cass. 7 marzo 2002, n.

3343, ossia dal più recente orientamento giurisprudenziale in materia, che il Collegio condivide, l'atto

di costituzione del fondo patrimoniale non può avere natura dichiarativa, o enunciativa o accertativa di

una situazione giuridica preesistente, perchè determinava quid novi, un vincolo di destinazione dei

beni confluiti nel fondo e dei loro frutti al soddisfacimento dei bisogni della famiglia, e non ha ad

oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale, nel senso desumibile dalla ratio dell'art. 9 della tariffa,

perchè si limita a porre il suddetto vincolo, senza incidere sulla titolarità della proprietà dei beni e

senza che insorgano posizioni di diritto soggettivo in favore dei singoli componenti del nucleo familiare

(Cass. 29 novembre 2000, n. 15297), sicchè correttamente è stata ad esso applicata, anche per la sua

funzione residuale, la norma dell'art. 11 della tariffa.

Il ricorso va dunque respinto.

Non va provveduto sulle spese in mancanza di attività difensiva degli intimati.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Sentenza Corte di Cassazione del 06/06/2002 n. 8162 – Parte I

Intitolazione:

IMPOSTA SULLE SUCCESSIONI E DONAZIONI - IN GENERE – OGGETTO DELL'IMPOSTA - IN GENERE -

Imposta sulle donazioni - Atto costitutivo di fondo patrimoniale - Applicabilità - Esclusione - Fondamento.

Massima:

L'imposta sulle donazioni, nel testo vigente <<ratione temporis>> (art. 1 D.Lgs. n. 346 del 1990),

non è applicabile, per difetto del presupposto impositivo, all'atto costitutivo di un fondo patrimoniale,

atteso che questo determina soltanto un vincolo di destinazione sui beni confluiti nel fondo, affinchè i

Normativa di riferimento su “fondo patrimoniale”

97

loro frutti assicurino il soddisfacimento dei bisogni della famiglia, ma non incide sulla titolarità dei beni

stessi che non divengono oggetto di trasferimento <<inter vivos>>, per spirito di liberalità.

* Massima tratta dal Ced della Cassazione.

Testo:

Testo non disponibile Sentenza Corte di Cassazione del 06/06/2002 n. 8162 – Parte II

Intitolazione:

IMPOSTA DI REGISTRO - APPLICAZIONE DELL'IMPOSTA - IN GENERE -

Atto di costituzione di un fondo patrimoniale - Imposta proporzionale di registro di cui agli artt. 1, 3, o

9 della Tariffa allegata al d.P.R., n. 131 del 1986 - Esclusione - Imposta in misura fissa ex. art. 11

della Tariffa cit. - Applicabilità - Fondamento.

Massima:

In tema di imposta di registro, il regime di tassazione dell'atto costitutivo di un fondo patrimoniale non

è nè quello stabilito dall'art. 1 della tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131 (atti di natura

dichiarativa), e neppure quell'altro disciplinato dall'art. 9 della stessa Tariffa (atti diversi, aventi ad

oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale), ma va individuato nella categoria residua di atti

prevista dall'art. 11 dello stesso testo normativo, tassati nella misura fissa ivi prevista.Infatti, l'atto

costitutivo del patrimonio familiare non ha natura ricognitiva, ma solo costitutiva: esso muta il regime

giuridico del bene, costituendolo in patrimonio separato, pur senza che sia creata una nuova

soggettività patrimoniale.

* Massima tratta dal Ced della Cassazione.

Testo:

Testo non disponibile

F O N D O

P A T R I M O N I A L E

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DONAZIONE DI AZIENDA E IL NUOVO PATTO DI FAMIGLIA * a cura di Barbara Centrelli e Vincenzo Scorcia

* Sul sito disponibile una tavola di inquadramento giuridico sulle donazioni ** Vista la materia in frequente evoluzione verrà reso disponibile ulteriore documentazione

Premessa

La recente approvazione della Legge 14 febbraio 2006, n. 55 sul patto di famiglia ha dato una risposta alla pressante esigenza di assicurare il passaggio generazionale dell’impresa a condizioni di maggiore certezza e stabilità rispetto al passato, consentendo all’imprenditore la trasmissione della propria azienda, in presenza di accordo tra tutti i legittimari, con effetti di definitività, in quanto al riparo da possibili azioni di riduzione ed obblighi di collazione. La riforma offre pertanto lo spunto per una riflessione – che peraltro non pretende di essere esaustiva rispetto alle numerose problematiche che deriveranno dall’applicazione del nuovo istituto – al fine di individuare le differenti conseguenze giuridiche cui il patto di famiglia darà luogo, rispetto allo strumento della donazione di azienda. Nozione e caratteristiche del contratto di donazione di azienda

La donazione di azienda è il contratto con il quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, trasferendole la proprietà dell’ azienda o di un ramo particolare di essa (art. 769 – 2556 c.c.). Si tratta di un contratto consensuale a titolo gratuito che importa una diminuzione patrimoniale per il soggetto donante, il quale non riceve alcun corrispondente vantaggio quale corrispettivo dell’attribuzione e che si perfeziona con il semplice consenso legittimamente manifestato dalle parti senza che occorra la materiale consegna del bene che ne è oggetto (in materia di donazione in generale l’unica eccezione al principio della consensualità è infatti costituita dalla donazione di beni mobili di modico valore di cui all’art. 783 c.c. che richiede per il suo perfezionamento la traditio rei). Trattasi inoltre di un contratto traslativo formale in quanto consiste, di regola, nel trasferimento dell’azienda intesa come complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa (art. 2555 c.c.) e che richiede l’atto pubblico sotto pena di nullità (art. 782 c.c.) e la presenza irrinunciabile dei testimoni (art. 48 L. 89/1913 sull’ordinamento del notariato). Natura giuridica dell’azienda

E’ tuttora controversa la natura giuridica dell’azienda, tuttavia sembra preferibile la tesi seguita dalla giurisprudenza costante della Cassazione e da autorevole dottrina che inquadra l’azienda nelle universalità di fatto. L’azienda, infatti, quale strumento di produzione, comprende solo i beni, materiali e immateriali che la compongono (immobili, impianti, attrezzature, merci, ditta, insegna, marchi, opere e servizi dei collaboratori, organizzazione, avviamento, clientela). I contratti e i

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Donazione di azienda e il nuovo patto di famiglia

99

crediti aziendali, invece, restano esterni al nucleo aziendale anche se, grazie ad essi, l’imprenditore è in grado di esercitare la sua attività.

Si ritrovano, quindi, nell’azienda i caratteri tipici delle universalità di fatto (cfr. art. 816 c.c.) e

cioè la pluralità dei beni, la destinazione unitaria e l’appartenenza alla stessa persona.

Quest’ultimo carattere sussiste peraltro anche quando l’imprenditore utilizza, in tutto o in

parte, beni non propri ma ricevuti ad esempio in usufrutto o in affitto: appartenenza

all’imprenditore non significa infatti proprietà dei beni aziendali, ma disponibilità dei beni in

modo da imprimere agli stessi la destinazione unitaria ai fini dell’impresa.

Ovviamente, intanto potrà parlarsi di donazione di azienda come universitas in quanto si sia in

presenza di un’azienda efficiente e non anche, come è ovvio, nel caso di azienda disintegrata (in

liquidazione o cessata), ovvero di azienda in cui l’attività di impresa non sia ancora iniziata. In tali

casi, infatti, mancherebbe quella organizzazione necessaria perché l’insieme dei beni aziendali

presenti un’obiettiva attitudine strumentale all’esercizio dell’impresa.

Ed infatti, è innegabile l’importanza del vincolo funzionale che unisce i vari elementi

dell’azienda e ne fa un organismo vivo, la cui consistenza economica è ben superiore alla

somma delle singole cose che la compongono.

La forma della donazione di azienda

In dottrina e in giurisprudenza ci si è posti il problema se in caso di donazione di azienda sia

o meno necessario, a pena di nullità dell’atto, specificare ed indicare il valore di tutti i singoli

beni mobili che la compongono.

La questione si è posta in relazione al combinato disposto degli artt. 2556, co. 1 e 782, co. 1 c.c..

L’art. 2556 primo comma c.c. dispone infatti che per i contratti che trasferiscono la proprietà

dell’azienda, occorre l’osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei

singoli beni che la compongono o per la particolare natura del contratto; l’art. 782 c.c.

stabilisce inoltre che la donazione deve essere fatta per atto pubblico sotto pena di nullità e

che se ha per oggetto cose mobili, essa non è valida che per quelle specificate con

indicazione del loro valore nell’atto medesimo della donazione, ovvero in una nota a parte

sottoscritta dal donante, dal donatario e dal notaio.

La ratio di quest’ultima disposizione viene ricondotta all’esigenza, che poi sta a base della

forma pubblica per la donazione (con l’unica eccezione per la donazione di mobili di modico

valore), di impedire che l’atto sia l’effetto di un impulso inconsulto del donante, privo, in

quanto tale, della ponderazione che richiederebbe, attesa l’assenza di corrispettivo che

deriva dall’attribuzione a titolo gratuito.

La giurisprudenza prevalente, sia pure risalente, richiede l’analitica specificazione con

l’indicazione del valore dei singoli beni mobili costituenti l’azienda (soluzione peraltro

condivisa nella prassi sia pure a soli fini di opportunità).

D O N A Z I O N E

D I

A Z I E N D A

100

A sostegno di tale soluzione si è rilevato che il Legislatore, pur tenendo nel debito conto

l’unità economica dell’azienda, ha disposto all’art. 2556 c.c. che ciascuno dei beni facenti

parte dell’azienda stessa segua il regime giuridico suo proprio in relazione sia alla natura dei

singoli beni (mobili o immobili), sia alla natura del contratto (vendita, donazione ecc.).

Pertanto ai sensi dell’art. 2556 c.c. predetto, non rileverebbe per le alienazioni dei beni che

compongono l’azienda né la natura giuridica dell’azienda, né la sua funzione economica

unitaria, seppur indubbiamente rilevante.

La prevalente dottrina (seguita da qualche sentenza minoritaria di merito) ritiene invece che

la forma della donazione debba ritenersi rispettata quando è esplicitato il valore globale

dell’azienda in termini comprensivi del valore di avviamento, in quanto la donazione di

azienda, quale che sia la sua natura giuridica, non avrebbe per oggetto un insieme di cose

mobili, ma un bene unitario il cui valore non è dato dalla somma dei valori delle sue

componenti materiali, ma è determinato proprio dal complesso unitariamente considerato

(comprensivo, appunto, anche dell’avviamento). Né risulterebbe in contrasto con la suddetta

tesi l’eventuale presenza di un bene immobile nell’azienda. Infatti per gli immobili, la

necessità della loro indicazione sarebbe determinata dal regime di circolazione che è loro

proprio, dall’esigenza della pubblicità, e quindi da ragioni ben diverse da quelle che

giustificano la disposizione dell’art. 782 c.c. e che non vengono meno neppure di fronte

all’unità funzionale dell’azienda.

Il passaggio generazionale dell’impresa

Nella prassi, l’utilizzo dello strumento della donazione di azienda specie nel caso di imprese individuali,

ha giocato senz’altro un ruolo di assoluta rilevanza nell’ottica di una pianificazione del passaggio

generazionale dell’impresa, costituendo una valida alternativa al trasferimento mortis causa.

Con la donazione, infatti, il passaggio della proprietà aziendale, finalizzato all’avvicendamento

nella gestione dell’impresa, ha avuto ed ha tuttora lo scopo di trasmettere la proprietà

dell’azienda ai familiari dell’imprenditore, affinché questi continuino l’attività di impresa nei

tempi e nei modi opportunamente concordati dalle parti, senza l’incertezza e l’emergenza

emotiva proprie della successione per causa di morte.

Tale esigenza è stata recepita dal Legislatore fiscale il quale con alcune recenti disposizioni

normative ha accordato alla donazione d’azienda esenzioni e agevolazioni non inferiori a

quelle riconosciute per il trasferimento d’azienda mortis causa, prevedendo uno specifico

regime di neutralità fiscale (cfr. art. 58, co. 1 Tuir). Tale regime agevolativo, dapprima

limitato alle sole donazioni a favore di familiari, è stato successivamente riconosciuto anche

nell’ipotesi di donazioni a favore di soggetti estranei (anche non persone fisiche) e non

familiari del donante, a condizione che la donazione venga effettuata agli stessi valori

fiscalmente riconosciuti in capo al donante e che il donatario continui nell’esercizio

dell’attività economica (cfr. R.M. 18.07.2002 n. 237/E).

Donazione di azienda e il nuovo patto di famiglia

101

Inconvenienti pratici della donazione d’azienda

Se tuttavia, definitivo dovendosi, in sede di apertura della successione, assicurare la parità di come si è visto, lo strumento della donazione di azienda è stato rilanciato dal Legislatore tributario attraverso un trattamento fiscale particolarmente vantaggioso, esso non ha trovato un rispondente utilizzo operativo per gli inconvenienti cui può dar luogo. La donazione di azienda viene infatti spesso sconsigliata per i problemi giuridici connessi al possibile esercizio dell’azione di riduzione da parte di eventuali legittimari lesi nella quota di riserva e, nel particolare caso di donazione d’azienda effettuata a favore del coniuge o dei figli del de cuius o loro discendenti legittimi e naturali, anche per la sua assoggettabilità a collazione. La collazione (artt. 737 ss. c.c.) è l’atto con cui determinati soggetti (coniuge, figli legittimi e naturali del de cuius e loro discendenti legittimi e naturali), avendo accettato l’eredità, conferiscono alla massa ereditaria e cioè ai coeredi, tutto ciò che hanno ricevuto in vita dal defunto per donazione diretta o indiretta. Si tratta di una fase delle operazioni divisionali che fa sorgere in capo a tali soggetti l’obbligo di restituire, attraverso un conferimento (per imputazione o in natura), le liberalità ricevute in vita dal de cuius e che trova il suo fondamento nella considerazione che la donazione effettuata in vita dal de cuius in favore di tali soggetti deve intendersi una semplice anticipazione dell’eredità, con la conseguenza che l’acquisto da parte del donatario non può considerasi trattamento a tutti i coeredi. I soggetti sopraindicati non potranno sottrarsi all’obbligo di collazione, salvo espressa dispensa, la quale non produce però effetto se non nei limiti della quota disponibile. Ne derivano conseguenze di non minimo rilievo, in quanto potendo la donazione d’azienda essere assoggettata a collazione, non si riuscirebbe a garantire la stabilità dell’acquisto dell’azienda in favore del donatario. La donazione di azienda, quale che sia il soggetto beneficiario della disposizione, è inoltre esposta al non trascurabile rischio di essere soggetta ad azione di riduzione da parte del legittimario leso. L’azione di riduzione (art. 555 c.c.) è infatti il mezzo specifico concesso all’erede legittimario per far dichiarare nei suoi confronti l’inefficacia delle disposizioni lesive della quota di legittima. Si tratta di un’azione di accertamento costitutivo ad efficacia relativa che ha l’effetto di far accertare l’esistenza della lesione e di rendere inefficace la disposizione lesiva nei confronti del legittimario che l’ha proposta e nella misura necessaria per la reintegrazione della quota di spettanza. Dopo aver esperito vittoriosamente l’azione di riduzione, il legittimario, potrà agire nei confronti del donatario per ottenere la materiale restituzione del bene donato ovvero, nel caso in cui il bene donato sia un immobile che è stato a sua volta alienato a terzi, potrà agire, sussistendone i presupposti e previa escussione dei beni del donatario, nei confronti dell’acquirente.

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102

Con particolare riferimento a quest’ultima ipotesi, occorre sottolineare che nel caso di

complesso aziendale comprendente uno o più immobili, la donazione di azienda ha trovato

un ulteriore disincentivo per le conseguenze civilistiche che avrebbe potuto comportare

anche in relazione alla successiva circolazione degli immobili aziendali, separatamente

dall’azienda, e dunque alla posizione di terzi estranei rispetto alla famiglia della cui

successione si tratta.

In tale ipotesi, infatti (il caso è quello in cui il donatario di azienda in cui è compreso un immobile

alieni successivamente tale immobile separatamente dall’azienda), i terzi acquirenti, per effetto

del vittorioso esperimento dell’azione di riduzione da parte di eventuali legittimari lesi, potrebbero

subire un evidente pregiudizio se, a seguito di un’azione giudiziale di restituzione, fossero

condannati alla restituzione del bene acquistato o al pagamento del suo valore.

I diritti dei terzi, almeno fino all’entrata in vigore della L. 80/2005, rimanevano perciò in ogni

caso a rischio di essere pregiudicati, raggiungendosi una sicurezza assoluta (in caso di

immobili) soltanto decorsi dieci anni dall’apertura della successione del donante senza che

fosse stata trascritta l’azione di riduzione da parte di alcun legittimario (cfr. art. 2652 n. 8).

Finchè era in vita il donante perciò tutti i diritti acquistati da terzi sugli immobili di

provenienza donativa erano teoricamente a rischio, poiché nessuno, qualunque fosse stata la

situazione personale del donante, poteva dimostrare se non in termini puramente

probabilistici, l’esclusione del presupposto per esperire, da parte di qualsiasi legittimario, una

volta che si fosse aperta la successione del donante, la tutela di cui agli artt. 561 e 563 c.c..

I problemi ricollegati alla successiva circolazione del bene (in caso di azienda comprensiva di immobili ove l’immobile fosse stato alienato separatamente dall’azienda) e in generale al possibile esperimento dell’azione di riduzione da parte del legittimario leso, ovvero alla

possibile assoggettabilità a collazione in caso di donazione d’azienda effettuata in favore del coniuge o dei figli legittimi e naturali dell’imprenditore o loro discendenti legittimi e naturali, ha inciso negativamente sull’utilizzo dell’istituto della donazione di azienda

nonostante, paradossalmente, il Legislatore fiscale abbia previsto un trattamento di particolare favore.

Il patto di famiglia avente ad oggetto l’azienda

Al fine di garantire il passaggio generazionale dell’azienda a favore di uno o più dei discendenti dell’imprenditore, evitando che la sua stabilità potesse essere intaccata dall’esperimento di azioni di riduzione e dall’assoggettabilità a collazione, rischio cui era

esposta, come si è visto, la donazione di azienda, e contemperare, al contempo, le ragioni economiche dei legittimari attraverso la liquidazione dei loro diritti di legittima, il legislatore è intervenuto con il disegno di legge approvato dal Senato il 31.01.2006, ma non ancora

pubblicato sulla G.U., con la quale ha introdotto nel c.c., il capo V bis, intitolato del patto di famiglia (formato da sette articoli da 768 bis a 768 octies) e ha modificato l’art. 458 c.c. in materia di patti successori.

Donazione di azienda e il nuovo patto di famiglia

103

Si tratta di una riforma rientrante nel progetto di revisione dei patti successori che ha come

antecedente logico e non solo cronologico la L. n.80/05 la quale ha introdotto alcune novità

in tema di azioni di riduzione e di restituzione, modificando il testo degli artt. 561 co. 1 e 563

comma 1-2 c.c..

Ratio La riforma mira a soddisfare l’esigenza di fornire all’imprenditore uno strumento giuridico

adeguato per programmare per tempo non solo il passaggio generazionale dell’impresa, ma

soprattutto la funzionalità futura delle aziende in modo da realizzare la naturale ed auspicata

coincidenza tra titolarità e responsabilità di gestione, contemperando altresì l’esigenza di tutelare

le ragioni economiche degli altri legittimari attraverso la liquidazione dei loro diritti di legittima.

Forma L’art. 768 ter c.c. prevede che il patto di famiglia debba essere concluso per atto pubblico a pena di nullità (forma ad substantiam). Viene dunque prevista la forma solenne, come per le convenzioni matrimoniali, le donazioni e il testamento pubblico, quale evidente misura di

garanzia per gli interessi coinvolti. Probabilmente, a fini di opportunità, attesa la controversa natura giuridica del patto e i profili di liberalità che lo stesso sottende, sarà previsto l’intervento dei testimoni in atto, sebbene la

legge sull’ordinamento del notariato, ad oggi, non ne preveda la necessità. Caratteri del patto di famiglia e divieto dei patti successori Come emerge dalla dizione letterale delle nuove norme (art. 768 bis, 768 ter e 768 quater co. 1 c.c.), il patto di famiglia è un contratto, da stipulare per atto pubblico e con la necessaria partecipazione del coniuge e di tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel

momento si aprisse la successione (condizione legale di efficacia, ovvero requisito di validità del patto), in forza del quale, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare (fermi restando, ad esempio, i diritti di partecipazione di cui all’art. 230 bis co. 4

c.c. che, a prescindere dalle liquidazioni e tacitazioni della legittima conseguenti al patto di famiglia, dovranno comunque essere liquidati dall’imprenditore), l’imprenditore trasferisce in tutto o in parte la propria azienda ad uno o più discendenti (art. 768 bis c.c.). A differenza di un normale patto successorio istitutivo che è un atto mortis causa, con il quale si dispone della propria successione per contratto e, ovviamente, per il periodo successivo alla morte, il patto di famiglia è un atto tra vivi che esplica effetti traslativi

immediati ed ha il non trascurabile vantaggio di essere, al contrario della donazione di azienda, inattaccabile, in quanto al riparo da eventuali azioni di riduzione tese a renderlo inefficace o da eventuali obblighi di conferimento a titolo di collazione, fatto salvo comunque

quanto previsto dall’art. 768 sexies c.c di cui infra.

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104

Con il patto di famiglia infatti si incide sui diritti di legittima spettanti ai partecipanti al

contratto, precludendo ad essi l’esperimento di azioni di riduzione ed escludendo

l’assoggettamento delle attribuzioni a collazione.

Gli assegnatari dell’azienda devono infatti liquidare gli altri partecipanti al contratto, ove

questi non vi rinunzino in tutto o in parte, con il pagamento di una somma corrispondente al

valore delle quote di legittima. I contraenti possono inoltre convenire che la liquidazione

avvenga, in tutto o in parte, in natura (art. 768 quater c 2 c.c.).

Tali atti dispositivi o rinunziativi delle quote di legittima costituiscono una deroga eccezionalmente

ammessa al generale divieto dei patti successori di cui all’art. 458 c.c. e consistono:

1) in un patto successorio dispositivo in forza del quale i non assegnatari dell’azienda

ottenendo dall’assegnatario, a titolo di liquidazione, quanto loro spetta a titolo di

legittima sui beni oggetto del patto, dispongono dei diritti che possono loro spettare

appunto sui beni oggetto del patto, facenti parte di una successione altrui (quella

dell’imprenditore) non ancora aperta;

2) in un eventuale altro patto successorio rinunciativo in forza del quale i non assegnatari

dell’azienda rinunciano preventivamente, in tutto o in parte, ai diritti di legittima che

possono loro spettare sui beni oggetto del patto, facenti parte di una successione (quella

dell’imprenditore) non ancora aperta.

I casi di impugnativa del patto di famiglia e la sopravvenienza di altri legittimari all’apertura della successione Il patto di famiglia potrà essere impugnato dai partecipanti al contratto, in caso dierrore,

violenza e dolo nel termine di prescrizione di un anno (art. 768 quinquies c.c.). La previsione di un termine annuale di prescrizione, che costituisce un’eccezione rispetto al

generale termine quinquennale per l’azione di annullamento, si giustifica appunto con la

finalità di garantire una certa stabilità e certezza al patto, limitando in un arco temporale più

ristretto la possibilità di impugnativa. Lo scopo del Legislatore, infatti, è quello di attuare una

“anticipata successione” che sia il più possibile stabile nel tempo.

Non si precisa tuttavia da quale momento decorrerà il suindicato termine di prescrizione. Al

riguardo potrebbero prospettarsi due soluzioni:

decorrenza dalla stipula del patto o del contratto successivo;

decorrenza dal giorno in cui è cessata la violenza o è stato scoperto l’errore o il dolo ex art. 1442 c.c.

Sembrerebbe preferibile tale seconda soluzione, anche in ragione dell’espresso richiamo alla

disciplina di cui agli artt. 1427 ss c.c., salvo che per quanto attiene al termine prescrizionale

espressamente previsto.

Ulteriore motivo speciale di impugnativa del patto è costituito dall’ipotesi di mancata

liquidazione dei diritti dei legittimari sopravvenuti al momento dell’apertura della successione

(art. 768 sexies c 2 c.c.).

Donazione di azienda e il nuovo patto di famiglia

105

All’apertura della successione dell’imprenditore, infatti, il coniuge e gli altri legittimari che non

abbiano partecipato al contratto possono chiedere ai beneficiari del contratto il pagamento

della somma corrispondente al valore della quota di legittima loro spettante per legge,

aumentata degli interessi legali (art. 768 sexies c 1 c.c.).

E’ evidente, infatti, che anticipando la distribuzione del patrimonio dell’imprenditore (o di parte di

esso) ad un momento anteriore all’apertura della successione, la situazione presente in tale

momento potrebbe essere diversa da quella esistente al momento dell’apertura della successione.

In ogni caso, per espressa disposizione legislativa (art. 768 octies c.c.), le controversie derivanti

dalle disposizioni in materia di patto di famiglia saranno devolute preliminarmente ai c.d. organismi di conciliazione stragiudiziale di cui all’art. 38 D.Lgs. 5/03, sebbene al riguardo la scelta

legislativa sia stata criticata alla luce della recente sentenza della Corte Costituzionale 08.06.2005

n. 221 che ha dichiarato l’incostituzionalità della legge che imponga l’arbitrato come strumento di

risoluzione della controversia (sia pure in un caso, diverso da quello di specie, in cui la

conciliazione non dava sbocchi sulla tutela giurisdizionale).

Scioglimento del contratto Il patto di famiglia potrà essere sciolto o modificato dalle medesime persone che hanno

concluso il patto di famiglia nei modi seguenti:

1) mediante diverso contratto con le medesime caratteristiche e i medesimi presupposti;

2) mediante recesso, se espressamente previsto nel contratto stesso e, necessariamente,

attraverso dichiarazione agli altri contraenti certificata da notaio (art. 768 septies c.c.). Aspetti problematici del patto di famiglia – la valutazione dell’azienda e i mutamenti soggettivi Si è detto che è sul valore dell’azienda che deve essere calcolata la somma (corrispondente

alla quota di legittima rapportata a tale valore) spettante ai soggetti non assegnatari

dell’azienda stessa.

Ne deriva che la valutazione concordata e quindi definitiva del valore dell’azienda oggetto del

patto è essenziale al fine di calcolare il quantum dovuto ai non assegnatari partecipanti al

patto, con tutte le problematiche connesse.

Se ciò vale per i partecipanti al patto, deve ritenersi che la valutazione del valore dell’azienda

sia al contempo vincolante anche per i legittimari sopravvenuti all’apertura della successione,

i quali potranno chiedere ai beneficiari del contratto il pagamento della somma loro spettante

a titolo di legittima, in rapporto al valore dell’azienda quale risulta dal patto (art. 768 sexies co. 1 c.c.). La domanda sarà indirizzata contro tutti i beneficiari del contratto e non solo

contro l’assegnatario dell’azienda.

Ai fini della liquidazione si dovrà quindi procedere ad un ricalcolo delle somme dovute sulla

base dei criteri applicabili in relazione alla nuova situazione e ciascun beneficiario sarà tenuto

alla liquidazione, in proporzione della quota di legittima spettantegli, oltre agli interessi legali.

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Ne deriva che la valutazione del bene azienda risulta di assoluta rilevanza, come pure

assolutamente rilevante, ai fini di cui sopra, sarà la precisazione in atto del valore liquidato a

ciascun partecipante non assegnatario a tacitazione della propria quota di legittima.

In caso di inosservanza delle disposizioni di cui al primo comma dell’art. 768 sexies c.c. il legittimario sopravvenuto potrà impugnare il patto ex art. 768 quinquies c.c.. Non essendo, tuttavia, chiaro se l’inciso utilizzato dal Legislatore “inosservanza delle

disposizioni di cui al primo comma dell’art. 768 sexies c.c.” equivalga all’ipotesi di

inadempimento (anche di uno solo dei beneficiari tenuto all’obbligo di liquidazione), ovvero si

riferisca ad ipotesi di vizi funzionali del patto (quale ad esempio l’imprecisione in merito alla

valutazione dell’azienda), è stato espresso il dubbio che il patto possa essere sanzionato con

una declaratoria di annullamento, anche a seguito di azione promossa dai legittimari

sopravvenuti all’apertura della successione, per profili che attengono alla valutazione

dell’azienda, che costituisce pertanto uno degli aspetti più delicati e rilevanti della

regolamentazione pattizia.

Atteso poi che nel patto di famiglia le questioni relative alla soddisfazione della legittima

trovano una soluzione definitiva rispetto all’oggetto del patto, non si possono sottacere le

difficoltà e i problemi che pure meriteranno un serio approfondimento allorché muti la

composizione dei legittimari al momento dell’apertura della successione, ovvero nel caso in

cui taluno dei beneficiari del patto perda ogni diritto successorio (vedi ad esempio il caso del

coniuge divorziato), soprattutto con riferimento alla sorte delle attribuzioni ricevute.

La lacunosità della normativa sul patto di famiglia dovuta al fulminante iter parlamentare che

l’ha contraddistinta, comporterà perciò una necessaria riflessione sugli aspetti processuali e

patologici dell’istituto, al fine di superare in via interpretativa quelle questioni che la stipula

del patto in esame inevitabilmente determinerà nella prassi.

La difficoltà di configurare esattamente la natura giuridica dell’istituto, la mancata previsione

del regime fiscale applicabile, il problema dell’esclusione dalla comunione legale, dei beni

assegnati con il patto di famiglia, che il legislatore non sembra avere espressamente risolto,

sono solo alcuni dei problemi che l’operatore del diritto si troverà ad affrontare all’indomani

dell’entrata in vigore delle nuove norme.

107

LA TASSAZIONE DELLE SUCCESSIONI E DONAZIONI NEL D. L. 262/2006

a cura di Alessandro Corsini

Premessa

L’annunciata reintroduzione delle imposte di successione e donazione non è in effetti

avvenuta153, ma ciò non significa affatto che i trasferimenti a titolo gratuito non rappresentino,

per l’attuale governo, un’occasione per creare materia imponibile. La scelta, infatti, è stata quella

di agire su un altro versante delle imposte indirette, segnatamente quelle di registro, ipotecarie e

catastali. Così, con l’art. 6 del D. L. 262/2006, che anticipa parte della manovra finanziaria per il

2007, si introduce un generale inasprimento dell’imposizione che riguarda questi trasferimenti

anche se, in alcuni casi, sono mantenute delle esenzioni simili a quelle esistenti fino al 2 ottobre

2006 e, addirittura, si creano delle situazioni di maggiore vantaggio.

Avvertiamo subito che la nuova normativa ha effetto solo per le donazioni fatte e le

successioni apertesi dal 3 ottobre 2006, data di entrata in vigore del D. L. 262/2006. Quindi,

e ad esempio, una successione apertasi prima di tale data, ancora da perfezionare quanto a

trascrizione della proprietà di beni immobili, resta assoggettata alla precedente, e più

favorevole, disciplina.

Ancora, la manovra non resta insensibile alle costituzioni dei trust. Infatti, sono colpiti anche

i trasferimenti che implicano vincoli di destinazione. Su questo argomento interverremo più

avanti con un contributo specifico.

Aspetti generali

Le tabelle poste al termine del presente intervento riepilogano schematicamente

l’imposizione dovuta sui trasferimenti a titolo gratuito e, osservandole, si può dire che

l’imposizione richiesta per le successioni coincide sostanzialmente con quella richiesta per le

donazioni, a meno di un aspetto piuttosto rilevante che riguarda il caso in cui i beneficiari

sono il coniuge e i parenti in linea retta, ipotesi in generale agevolata rispetto alle altre.

Questa sovrapponibilità dovrebbe significare che l’arbitraggio tra l’una e l’altra ipotesi di

scelta – donare o attendere la successione - non genera vantaggi sostanziali, anche se il

gioco delle franchigie in alcuni casi di trasferimento di immobili tra parenti stretti potrebbe

rendere più appetibile la donazione rispetto alla successione, per quanto si dirà tra breve.

La memorizzazione delle regole introdotte con l’art. 6 del D. L. 262 non è facile, anche se

possiamo cercare di tracciare alcune indicazioni di fondo:

1. I soggetti beneficiari possono essere raggruppati in tre categorie:

a) il coniuge e i parenti in linea retta (genitore, figlio);

b) i parenti entro il 4° grado (fratello), gli affini in linea retta (suocero), gli affini in

linea collaterale entro il 3° grado (cognato); 153 Considerazioni valide al momento di stampa del presente documento didattico

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108

c) altri soggetti.

2. I beni trasferiti gratuitamente possono essere raggruppati in due categorie:

a) immobili;

b) altri beni, con una diversa rilevanza del denaro contante, imponibile solo nelle donazioni.

3. Le imposte dovute sono:

a) per gli immobili: le ipocatastali sempre, con importo fisso o proporzionale a seconda dei

vari casi affrontati in tabella, e l’imposta di registro, con aliquote diverse, solo nel caso

di trasferimenti di cui al precedente n. 1, lett. b e c; in sostanza, il trasferimento a

favore del coniuge e dei parenti in linea retta è fortemente agevolato;

b) per gli altri beni: l’imposta di registro, con aliquote diverse a seconda dei beneficiari,

e con un’agevolazione nel caso in cui il trasferimento avvenga a favore dei soggetti

di cui al precedente n. 1 lett. a, cioè del coniuge e dei parenti in linea retta.

Di conseguenza, l’intervento dell’art. 6 del D. L. 262/2006 si rivolge sia al D. lgs. 347/1990

(T. U. delle imposte ipotecaria e catastale), sia al DPR 131/1986 (T. U. dell’imposta di

registro), sia alla L. 383/2001 (normativa che aveva soppresso le imposte di successione e

donazione, e regolato i casi in cui questa seconda restava comunque in essere), generando il

sistema di imposizione che, per non annoiare eccessivamente il lettore, come detto

riassumiamo nelle tabelle inserite alla fine del lavoro, peraltro evidenziando, nei paragrafi che

seguono, alcune particolarità della nuova disciplina.

Tassazione dei trasferimenti per successione

Come si evince dalla tabella, il trasferimento di immobili di qualsiasi tipo a favore del coniuge

e dei parenti in linea retta non è soggetto a imposta di registro, esattamente come accadeva

dopo la L. 383/2001. Tuttavia, a differenza della vecchia disciplina, l’imposta di registro è

dovuta quanto gli eredi sono soggetti diversi dai precedenti, e l’aliquota cresce (2% e 4%)

via via che il grado di parentela o affinità con il de cuius si attenua.

Quanto alle imposte ipotecaria e catastale, si può dire che queste sono sempre dovute,

rispettivamente con aliquota del 3% (quindi aumentata rispetto alla precedente disciplina, in

cui l’aliquota era al 2%), e dell’1%, e ricordando che la base imponibile è identica per

entrambe dette imposte, e riconducibile a quella valida ai fini del registro (v. infra). È tuttavia

concessa un’agevolazione, che deriva da un nuovo articolo 1-quinques introdotto nella tariffa di

cui al D. lgs. 347/1990, a opera del n. 2 lett. b del co. 1 dell’art. 6 in esame: in caso di caduta

in successione di un immobile che era l’abitazione principale del defunto, e se i beneficiari sono

il coniuge o i parenti in linea retta, le ipocatastali sono dovute entrambe in misura fissa - quindi

due volte € 168 – e ciò fino a un valore, da riferirsi all’intero immobile154, di € 250.000. Per la

parte eccedente tale valore le imposte sono dovute in misura proporzionale. Non si tratta, così,

di una franchigia vera e propria, quanto piuttosto di un contenimento di tali imposte alla 154 V. A. Busani, Successioni, torna l’imposta, in Il Sole 24 Ore del 2 ottobre 2006.

La tassazione delle successioni e donazioni nel D. L. 262/2006

109

misura fissa entro i limiti del predetto valore. Altra innovazione rispetto alla precedente

disciplina è data dal fatto che l’agevolazione compete se l’immobile caduto in successione era

l’abitazione principale del defunto, non essendo più rilevante il fatto che tale immobile

rappresenti la prima casa per l’erede155. Senz’altro, così facendo, si amplia il perimetro delle

ipotesi agevolate - è più probabile che cada in successione l’abitazione principale del defunto

piuttosto che questa rappresenti la prima casa per l’erede – e così si genera un’agevolazione

che opera indipendentemente da come si configura l’immobile per l’erede, qui creandosi una

situazione che può essere migliore rispetto al passato. Di conseguenza, per vedere se questo

requisito ricorre, sembra possibile fare riferimento al concetto di abitazione principale valido ai

fini delle imposte sui redditi: per abitazione principale si intende quella nella quale il

contribuente o i suoi familiari (coniuge, parenti entro il terzo grado ed affini entro il secondo

grado) dimorano abitualmente. Tuttavia va osservato che l’art. 10 co. 3-bis del Tuir assimila

esplicitamente, all’abitazione principale, anche le relative pertinenze, mentre una tale

estensione manca nella nuova norma valida ai fini delle imposte ipocatastali dovute in caso di

successione. Quindi, l’assenza di un richiamo legislativo esplicito alle pertinenze dell’abitazione

principale del defunto porta, per ora, a non ritenerle rilevanti ai fini dell’agevolazione in

commento, essendo questo uno dei punti che dovranno essere precisati, meglio in sede di

conversione del D. L. 262 che in via amministrativa.

Il trasferimento di beni diversi dagli immobili è soggetto a imposta di registro, anche in questo

caso con aliquote crescenti mano a mano che il vincolo di parentela o affinità tra beneficiari e

de cuius si attenua. L’elenco dei beni che fa scattare l’imposizione sembra tassativo: aziende,

azioni, obbligazioni, altri titoli o quote sociali. Non rilevano, quindi, altri beni tra cui, in

particolare, il denaro contante (come detto, invece rilevante nell’ambito delle donazioni) e i

titoli di stato, che già fruivano di esenzione; inoltre si nutre qualche dubbio a proposito dei

fondi comuni di investimento che però, a rigore, non sono assimilabili a titoli veri e propri.

Le successioni di beni diversi dagli immobili a favore del coniuge o dei parenti in linea retta

godono di una franchigia di € 100.000, al di sopra della quale, e solo per l’eccedenza,

l’imposta è dovuta con aliquota del 4%. Questa franchigia non sembra spettare al singolo

erede, ma sembra doversi riferire al valore complessivo dei beni che cadono in successione.

Infatti, se si confronta il testo della norma che interessa questo caso – nuovo articolo 2-bis

della Tariffa, parte I, di cui al DPR 131/86 – con l’art. 7 co. 2 del D. lgs. 346/90, emerge una

differenza lessicale per la quale se, in questa seconda norma, risulta chiaro che la franchigia

delle vecchie Lit 350 milioni competeva per ciascuna quota (quindi per il singolo erede) ora,

in quella nuova, si fa riferimento “al valore complessivo dei beni dichiarati eccedente € 100.000.” Se questa lettura è corretta, la situazione peggiora non solo rispetto alla normativa

precedente, di certo particolarmente favorevole, ma addirittura rispetto alla riforma

dell’imposta di successione intervenuta con la L. 342/2000, almeno sotto il profilo della 155 In tal senso è da intendersi la disapplicazione dei co. 4 e 5 dell’art. 69 L. 342/2000, che la relazione di accompagnamento al D. L. 262/2006, peraltro, non esita a definire abrogazione.

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misura delle franchigie concesse156. Tra l’altro, con la nuova normativa, se prima della

successione fosse intervenuta una donazione, la franchigia spettante per il caso di

trasferimento a causa di morte sarebbe erosa dal valore dei beni precedentemente donati, e

ciò in forza di un nuovo co. 2-bis introdotto nell’art. 13 della L. 383/2001, di cui ancora si

dirà tra breve.

Tassazione dei trasferimenti per donazione

Abbiamo già osservato che, dal confronto tra le due tabelle che riassumono la tassazione dei

trasferimenti gratuiti mortis causa e inter vivos, si può vedere come questa sia

sostanzialmente identica, tranne le particolarità di cui diremo tra breve.

Fermo restando che la donazione di immobili di qualsiasi tipo fatta al coniuge o a parenti in

linea retta non è soggetta a imposta di registro, ma solo a imposte ipocatastali, ai fini di

queste ultime è concessa un’agevolazione, che implica il pagamento in misura fissa - € 168

per ciascuna di dette imposte – quando l’immobile rappresenta, per il donatario, la prima

casa, e comunque fino a un valore di € 180.000 che, in questo caso, è da riferire a ciascun

beneficiario (v. in tal senso la lett. a del nuovo art. 1-quater della Tariffa allegata al D. lgs.

347/90). Per la parte eccedente, le ipocatastali sono dovute in misura proporzionale, con un

meccanismo in parte analogo a quello già visto per le successioni.

Emerge quindi una differenza sostanziale rispetto alle successioni, nel senso che là, per

l’agevolazione, rileva il requisito di abitazione principale per il de cuius mentre, nel caso della

donazione, l’immobile deve rappresentare prima casa per il donatario, dovendosi fare

riferimento, per chiarire tale concetto, a quanto prevede la nota II bis all’art. 1 della Tariffa

annessa al DPR 131/1986. Diverso è anche il funzionamento delle franchigie: € 250.000

riferiti al valore dell’abitazione principale del de cuius, € 180.000 riferiti al valore della quota

dell’immobile prima casa ricevuto da ciascun donatario.

Franchigie

Successioni Donazioni

€ 250.000 € 180.000

Valore dell’immobile prima casa del defuntoValore della quota di prima casa per

ciascun donatario

156 Infatti, come detto nel corpo testo, la franchigia di Lit 350 milioni operava a favore del singolo erede e non in relazione al valore dell’intera eredità.

La tassazione delle successioni e donazioni nel D. L. 262/2006

111

Sarà quindi possibile, ad esempio nel caso di padre con due figli privi di immobili, donare a

ciascuno di essi un’abitazione che rappresenta per loro quella principale, fruendo per

entrambe le donazioni della franchigia di € 180.000.

Quanto all’applicazione dell’imposta di registro sui trasferimenti di immobili a soggetti diversi

dal coniuge e dai parenti in linea retta, valgono le considerazioni proposte per le successioni

ricordando che, in tal caso, la disciplina è contenuta nell’art. 13 della L. 383/2001, così come

risulta modificato dal D. L. 262/2006.

È sempre l’art. 13 della L. 383/2001 che disciplina il trasferimento di beni diversi dagli

immobili, assoggettandoli a imposta di registro come specificato nella tabella. Si ribadisce

che, in questo caso, risultano assoggettati a tassazione tutti i beni rilevanti in caso di

successione, con la significativa aggiunta del denaro contante. La norma prevede

un’agevolazione, concedendo una franchigia di € 100.000 alle donazioni fatte al coniuge e ai

parenti in linea retta, ma non aiuta a capire se questa opera a favore del singolo beneficiario,

una sola volta anche in presenza di più donazioni, come nella precedente disciplina157, o in

riferimento al valore complessivo dei beni donati, e sempre una sola volta. Infatti, il

linguaggio è diverso sia se confrontato con l’analoga disciplina delle successioni (“sul valore complessivo dei beni dichiarati eccedente € 100.000), sia se confrontato con la concessione

della franchigia di € 180.000 per il caso visto in questa sezione (“fino al valore di € 180.000 per ciascun beneficiario”). Tra le due ipotesi sembra preferibile alimentare quella per cui la

franchigia opera una sola volta con riferimento al valore complessivo dei beni donati, vista

anche una logica similitudine con la successione.

Sul punto va inoltre osservato un duplice intervento normativo, operato dal D. L. 262/2006

sull’art art. 14 della L. 383/2001:

1. è soppresso, nel co. 1, il riferimento alla disciplina delle franchigie vigente in passato per

le donazioni – franchigie che, quando operavano, spettavano al singolo beneficiario,

come accennato - con il che si intuisce che il Legislatore vuole introdurre, sul punto, una

disciplina affatto innovativa, essendo in tal senso molto esplicita la relazione governativa

di accompagnamento al D. L. 262/2006.

2. è introdotta una norma antielusiva (nuovo co. 2-ter), che impone al coniuge e ai parenti

in linea retta, in caso di donazioni plurime di beni diversi dagli immobili, di indicare, negli

atti successivi, gli estremi dei precedenti atti, il che sembra avere l’obiettivo di accertare

il corretto utilizzo della franchigia, evitando che sia applicata più volte, così

indirettamente confermando che essa spetta una sola volta, indipendentemente dal fatto

che si tratti di successione o donazione.

In ogni caso, essendo di fronte a rilevanti novità legislative, molti aspetti dovranno essere

chiariti con estrema tempestività.

157 V. paragrafo 2.2 della Circolare 91/E/2001.

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112

La determinazione degli imponibili e la dichiarazione di successione

In caso di successione l’imponibile si determina azionando il DPR 131/1986 e, nello specifico,

una norma di nuova introduzione (lett. i-bis dell’art. 43), che tratta i casi di trasferimento per

successione di:

1. immobili e diritti reali immobiliari - in sintesi la base imponibile è il valore catastale,

tranne per i casi di immobili privi di rendita e di aree edificabili; a tale conclusione si

perviene perché la nuova disposizione richiama, tra gli altri, l’art. 52 del testo unico

dell’imposta di registro, ma non il suo comma 5-bis, introdotto dal D. L. 223/2006; ciò

sta a significare che, in caso di successione, non interviene la generale disapplicazione

del criterio catastale previsto dalla norma che, appunto, non è stata richiamata; per

essere più chiari, in tali circostanze l’accertamento non si innesca se il valore dichiarato è

superiore o comunque non inferiore al valore catastale;

2. altri beni - si applicano le regole proprie del D. lgs. 346/1990 (Testo unico delle imposte

di successione e donazione) e, in particolare:

- aziende: rileva il valore del patrimonio netto contabile senza considerare

l’avviamento (art. 15 co. 1);

- titoli quotati: rileva la media delle quotazioni del trimestre precedente l’apertura

della successione (art. 16 co. 1 lett. a);

- partecipazioni non quotate: rileva il valore della partecipazione determinato in

funzione del valore contabile del patrimonio netto della società, ancora senza

considerare l’avviamento (art. 16 co. 1 lett. b).

È la norma stessa che esclude la rilevanza dell’avviamento e, inoltre, non consente di tenere

conto delle passività ereditarie, se non di quelle che riguardano le aziende.

Le stesse regole si applicano alle donazioni, visto quanto dispone il co. 1 dell’art. 14 della L.

383/2001. Quanto precede è confermato da una Circolare del Consiglio Nazionale del

Notariato, in corso di pubblicazione158.

L’aspetto dichiarativo relativo alle successioni prende le mosse da una modifica apportata

all’art. 2 del DPR 131/1986, che crea la nuova ipotesi di atto soggetto a registrazione per la

dichiarazione di trasferimento per causa di morte, da presentare all’ufficio nella cui

circoscrizione risiedeva il de cuius. Il sito dell’Agenzia delle Entrate, proponendo ancora il

vecchio modello di dichiarazione di successione, reca questa avvertenza: “A breve sarà

approvato, e contestualmente reso disponibile sul sito, il nuovo modello di dichiarazione di

successione e voltura catastale automatica che tiene conto delle modifiche normative al

regime fiscale delle successioni per causa di morte.”

158 V. A. Busani, Controlli circoscritti sulle successioni, in Il Sole 24 Ore del 11 ottobre 2006.

La tassazione delle successioni e donazioni nel D. L. 262/2006

113

La dichiarazione continua a dover essere presentata entro dodici mesi dall’apertura della

successione, ricordando che la decorrenza del termine può essere diversa, in relazione alle

diverse fattispecie trattate nell’art. 31 del D. lgs. 346/1990. La presentazione di questa

dichiarazione innesca la procedura complessiva, principalmente per quanto riguarda il

versamento delle imposte, che vanno auto liquidate, e le trascrizioni immobiliari.

Per quanto riguarda la donazione, da redigersi per atto pubblico, la registrazione avviene in

termine fisso, e la tassazione opera direttamente sull’atto.

Alcune simulazioni

Primo esempio – cade in successione a favore di un figlio un immobile che aveva le

caratteristiche di abitazione principale per il defunto, ma non di prima casa per l’erede; il suo

valore è di € 200.000.

Vecchio regime Nuovo regime

Imposta di registro No No

Imposta ipotecaria (1) € 4.000 € 168

Imposta catastale (1) € 2.000 € 168

Totale dovuto € 6.000 € 336

(1): con la vecchia normativa si applicava il 2% di ipotecaria e l’1% di catastale sul valore complessivo; non si

dava rilevanza al fatto che l’immobile fosse abitazione principale del de cuius.

Secondo esempio – cade in successione a favore di un figlio un immobile che aveva le

caratteristiche di abitazione principale per il defunto, e di prima casa per l’erede; il suo valore

è di € 400.000.

Vecchio regime Nuovo regime

Imposta di registro No No

Imposta ipotecaria (1) € 8.000 € 168

Imposta ipotecaria (2) - € 4.500

Imposta catastale (1) € 4.000 € 168

Imposta catastale (2) - € 1.500

Totale dovuto € 12.000 € 6.336

(1): con la vecchia normativa si applicava il 2% di ipotecaria e l’1% di catastale sul valore complessivo; non si

dava rilevanza al fatto che l’immobile fosse abitazione principale del de cuius; (2): con la nuova normativa si applica il 3% di ipotecaria e l’1% di catastale sul valore eccedente €

250.000, quindi su € 150.000; in questa ipotesi è irrilevante il fatto che l’immobile caduto in

successione abbia le caratteristiche di prima casa per il figlio, essendo rilevante solo il fatto che esso

fosse adibito ad abitazione principale dal de cuius.

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114

Terzo esempio – cade in successione a favore del coniuge un negozio, il cui valore è di € 300.000.

Vecchio regime Nuovo regime

Imposta di registro No No

Imposta ipotecaria (1) € 6.000 € 9.000

Imposta catastale € 3.000 € 3.000

Totale dovuto € 9.000 € 12.000

(1): con la vecchia normativa si applicava il 2% di ipotecaria e l’1% di catastale sul valore complessivo del

negozio; con la nuova normativa la regola è identica ma aumenta al 3% l’aliquota dell’imposta ipotecaria.

Quarto esempio – il padre dona al figlio una partecipazione del valore di € 400.000.

Vecchio regime Nuovo regime

Imposta di registro No 4% (1)

Totale dovuto € 0 € 12.000

(1): con la nuova normativa l’imposta di registro del 4% si applica al valore eccedente la franchigia di

€ 100.000, quindi su € 400.000 - € 100.000 = € 300.000.

Quinto esempio159 – lo zio dona al nipote un immobile con i requisiti prima casa, con un

valore di € 250.000.

Vecchio regime Nuovo regime

Imposta di registro No € 5.000

Imposta ipotecaria € 168 € 7.500

Imposta catastale € 168 € 2.500

Totale dovuto € 336 € 15.000

Con la vecchia normativa l’agevolazione prima casa operava in un perimetro più ampio

rispetto all’attuale; con la nuova normativa l’imposta di registro del 2%, l’imposta ipotecaria

del 3% e la catastale dell’1% si applicano al valore complessivo dell’immobile donato senza

franchigia, posto che questa agisce solo se la donazione è fatta a favore del coniuge o dei

parenti in linea retta.

159 Tratto da A. Busani, Successioni a perimetro incerto, Il Sole 24 Ore del 3 ottobre 2006.

La tassazione delle successioni e donazioni nel D. L. 262/2006

115

SUCCESSIONI

Immobili Altri beni: aziende, azioni, obbligazioni, altri titoli o quote sociali Soggetti beneficiari

Registro Ipotecaria Catastale Registro

- Fissa (€ 168) fino al valore di € 250.000160

- 3% sull’eccedenza

- Fissa (€ 168) fino al valore di € 250.000

- 1% sull’eccedenza

- L’agevolazione compete se l’immobile era abitazione principale del defunto

- L’imposta proporzionale si aggiunge a quella fissa

- Coniuge - Parenti in linea

retta Non soggetti

- 3% - 1%

- Esclusi fino a € 100.000161

- 4% su valore eccedente

- Parenti entro il 4° grado

- Affini in linea retta

- Affini in linea collaterale entro il 3° grado

- 2% - 3% - 1% - 6%

- Altri - 4% - 3% - 1% - 8%

160 Riferito al valore complessivo dell’immobile. 161 Riferito al valore complessivo dei beni caduti in successione.

116

DONAZIONI

Immobili

Altri beni: aziende, azioni, obbligazioni, altri titoli, quote sociali, denaro contante Soggetti beneficiari

Registro Ipotecaria Catastale Registro

- Fissa (€ 168) fino al valore di € 180.000162

- 3% sull’eccedenza

- Fissa (€ 168) fino al valore di € 180.000

- 1% sull’eccedenza

- L’agevolazione compete se l’immobile è prima casa per il donatario

- L’imposta proporzionale si aggiunge a quella fissa

- Coniuge - Parenti in linea

retta Non soggetti

- 3% - 1%

- Esclusi fino a € 100.000163 - 4% su valore eccedente

- Parenti entro il 4° grado

- Affini in linea retta - Affini in linea

collaterale entro il 3° grado

- 2% - 3% - 1% - 6%

- Altri - 4% - 3% - 1% - 8%

162 Riferito alla quota spettante a ciascun beneficiario. 163 Riferito al valore complessivo dei beni oggetto di donazione.

117

PRIME INDICAZIONI DEL NOTARIATO DOPO IL D.L. 262 /2006*

* Tratto dal Consiglio Nazionale del Notariato

Il decreto-legge collegato alla Legge Finanziaria per il 2007 contiene disposizioni di carattere

fiscale di immediata ricaduta sugli atti notarili che verranno stipulati a partire dall’entrata in

vigore del decreto.

Il Consiglio Nazionale del Notariato offre una prima interpretazione delle modifiche in campo

fiscale introdotte dal decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, in attesa di conversione in legge.

Imposte

Imposta ipotecaria e catastale

Per le volture relative a donazioni e ad altri atti a titolo gratuito è prevista l’imposta per

ciascun intestatario:

- in misura fissa, se eseguite in favore del coniuge o di un parente in linea retta, in possesso

dei requisiti e delle condizioni previste in materia di acquisto della prima abitazione

dall’articolo 1, comma 1, quinto periodo, della tariffa, parte prima, allegata al testo unico

delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, approvato con decreto del Presidente

della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, fino a concorrenza del valore di euro 180.000;

- nella misura proporzionale dell’1 per cento per il valore eccedente detto importo.

Per le volture conseguenti alla presentazione delle dichiarazioni di trasferimento di beni per

causa di morte l’imposta si applica:

- in misura fissa se relativa alla successione dell’abitazione principale del defunto eseguita in

favore del coniuge o di parenti in linea retta, fino a concorrenza del valore di euro 250.000;

- nella misura proporzionale dell’1 per cento per il valore eccedente detto importo.

All’art. 1 della Tariffa, riguardo all’imposta ipotecaria, è soppresso il riferimento ai certificati

di successione ed in luogo di questo dopo l’art. 1 bis sono inseriti:

- l’art. 1-ter che prevede l’imposizione nella misura del 3 per cento per le trascrizioni, in

favore di soggetti diversi dal coniuge o di parenti in linea retta, di certificati di

successione, di donazioni o di altri atti a titolo gratuito che importano il trasferimento di

proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari,

anche per quote nonché vincoli di destinazione sugli stessi;

- l’art. 1-quater che prevede l’imposizione:

a) nella misura fissa di 168 euro per le trascrizioni di donazioni o di altri atti a titolo

gratuito che importano il trasferimento di proprietà di beni immobili o la costituzione

o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote, nonché vincoli di

destinazione sugli stessi se eseguite in favore del coniuge o di un parente in linea

retta, in possesso dei requisiti e delle condizioni previste in materia di acquisto della

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118

prima abitazione dall’articolo 1, comma 1, quinto periodo, della tariffa, parte prima,

allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, approvato

con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, fino al valore di

euro 180.000 per ciascun beneficiario in possesso dei requisiti;

b) nella misura proporzionale del 3 per cento oltre il valore di euro 180.000 di cui

all’ipotesi sub a), nonché in ogni altro caso.

- l’art. 1-quinquies che prevede l’imposizione:

a) nella misura fissa di 168 euro per le trascrizione dei certificati di successione di cui

all’articolo 5 del testo unico che comportino il trasferimento di proprietà di beni

immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti immobiliari, anche per quote

nonché vincoli di destinazione, sugli stessi se relativa alla successione dell’abitazione

principale del defunto eseguita in favore del coniuge o di parenti in linea retta, sulla

quota di valore fino a di 250.000 euro;

b) nella misura proporzionale del 3 per cento sulla quota di valore eccedente 250.000

euro di cui all’ipotesi sub a), nonché se relativa alla successione di altri beni o diritti

reali immobiliari del defunto.

Viene inoltre precisato che ai trasferimenti degli immobili o dei diritti sugli stessi per atto a

titolo gratuito o per causa di morte non si applicano le disposizioni di cui ai commi 3 e 4

dell’articolo 69 della legge 21 novembre 2000, n. 342 che prevedevano l’applicazione delle

imposte ipotecaria e catastale nella misura fissa per i trasferimenti della proprietà di case di

abitazione non di lusso e per la costituzione o il trasferimento di diritti immobiliari relativi alle

stesse, derivanti da successioni o donazioni, quando, in capo al beneficiario ovvero, in caso

di pluralità di beneficiari, in capo ad almeno uno di essi, sussistano i requisiti e le condizioni

previste in materia di acquisto della prima abitazione dall'articolo 1, comma 1, quinto

periodo, della tariffa, parte prima, allegata al testo unico delle disposizioni concernenti

l'imposta di registro, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986,

n. 131.

Quindi a seguito delle modifiche apportate dal presente decreto i requisiti e le condizioni

predetti devono essere verificati in capo a ciascun beneficiario, essendo oramai scomparsa la

figura del “beneficiario per estensione”.

Infine si evidenzia che le disposizioni predette introducono un’autonoma fattispecie

impositiva concernente i vincoli di destinazione, che sembra doversi interpretare nel senso di

assoggettare all’imposta ipotecaria proporzionale costituzioni di vincoli che non importino

trasferimenti della proprietà o di diritti reali immobiliari.

Emergono pertanto difficoltà operative nel caso di specie per la verifica della sussistenza

delle condizioni previste per il regime di favore di cui all’art. 1-quater, lettera a), cit.

La dizione generica utilizzata dal decreto sembra in diretta correlazione con l’art. 2645-ter cod. civ.

Prime indicazioni del notariato dopo il D.L. 262 /2006

119

Imposta di registro

Trasferimenti per causa di morte A completamento dell’elencazione degli atti soggetti a registrazione di cui all’art. 2 del d.p.r. n.

131/1986 è inserita la fattispecie: “dichiarazioni di trasferimenti per causa di morte”.

Per questi atti l’Ufficio competente a ricevere le dichiarazioni di trasferimento per causa di

morte è quello di cui agli gli articoli 6 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 e 15,

comma 3, della legge 18 ottobre 2001, n. 383 ovverosia quello nella cui circoscrizione era

l’ultima residenza del defunto o, se questa era all’estero, quello nella cui circoscrizione era

stata fissata l’ultima residenza italiana o, se questa non è nota, quello di Roma.

Relativamente ai termini per la richiesta di registrazione, alle dichiarazioni di trasferimenti per

causa di morte si applicano i termini previsti dall’articolo 31 del decreto legislativo 31 ottobre

1990, n. 346; esse, dunque, debbono essere presentate entro dodici mesi dalla data di

apertura della successione. L’individuazione della decorrenza del termine avverrà secondo le

previsioni del comma 2 del citato art. 31.

La liquidazione e il versamento dell’imposta deve avvenire a cura degli eredi, dei legatari e

degli altri soggetti obbligati, unitamente agli altri tributi dovuti, entro i termini previsti per la

presentazione della dichiarazione.

Quanto alla determinazione della base imponibile per le dichiarazioni di trasferimenti per

causa di morte:

- relativamente ai diritti sui beni immobili si applicano le disposizioni di cui agli artt. 47

(enfiteusi), 48 (valore della nuda proprietà, dell’usufrutto, dell’uso e dell’abitazione), 51

(valore dei beni e dei diritti) e 52 (rettifica del valore degli immobili e delle aziende) con

esclusione del comma 5-bis del d.p.r. n. 131/1986164. In ragione dell’espressa

disapplicazione del comma 5-bis alla fattispecie in esame, risulta quindi applicabile il limite al

potere di accertamento dell’Ufficio stabilito dai commi 4 e 5 dell’art. 52;

- per ogni altro bene o diritto si applicano, compatibilmente con la normativa della

Comunità Europea, le disposizioni di cui al Titolo II, Capo II, del decreto legislativo 31

ottobre 1990, n. 346, in materia di valutazione di aziende, azioni, obbligazioni, altri titoli

e quote sociali; nella determinazione della base imponibile non si tiene conto delle

passività ereditarie che non afferiscono alle aziende né dell’avviamento;

- non sono soggetti all’imposta i titoli del debito pubblico, tra i quali si intendono compresi

i buoni ordinari del tesoro e i certificati di credito del tesoro, nonché gli altri titoli di

Stato, garantiti dallo Stato o equiparati e ogni altro bene o diritto, dichiarati esenti da

imposta da norme di legge.

Riguardo ai soggetti obbligati al pagamento dell’imposta, per le dichiarazioni di trasferimento

per causa di morte risultano obbligati i beneficiari dei trasferimenti per quanto a loro

164 Si ricorda che ai sensi del citato comma 5-bis “le disposizioni dei commi 4 e 5 dell’art. 52 non si applicano relativamente alle cessioni di immobili e relative pertinenze diverse da quelle disciplinate dall'articolo 1, comma 497, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, e successive modificazioni”.

D O N A Z I O N E

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120

perviene a seguito della successione, nonché coloro che, a qualsiasi titolo, sono tenuti a

presentare la dichiarazione.

Infine, per la corretta interpretazione ed applicazione dell’imposta è previsto che per i

trasferimenti per causa di morte si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui al

decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346.

Restano comunque ferme le agevolazioni previste da altre disposizioni di legge.

Conseguentemente, nella Tariffa, parte prima, del d.p.r. n. 131/1986 viene introdotto un

articolo relativo alle “dichiarazioni di trasferimenti per causa di morte” per la tassazione delle

quali occorre distinguere:

- se hanno per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari:

a) devoluti a favore di parenti fino al quarto grado e di affini in linea retta nonché di

affini in linea collaterale fino al terzo grado, con esclusione del coniuge e dei parenti

in linea retta: 2 per cento;

b) devoluti a favore di altri soggetti: 4 per cento;

- se hanno per oggetto aziende, azioni, obbligazioni, altri titoli o quote sociali:

a) devoluti a favore del coniuge e di parenti in linea retta sul valore complessivo dei

beni dichiarati eccedente 100.000 euro, tenuto conto del valore di donazioni o di

altri atti a titolo gratuito di cui all’articolo 13, comma 2-bis165, della legge 18 ottobre

2001, n. 383: 4 per cento;

b) devoluti a favore di parenti fino al quarto grado e di affini in linea retta nonché di

affini in linea collaterale fino al terzo grado: 6 per cento;

c) devoluti a favore di altri soggetti: 8 per cento.

Trasferimenti per donazione o per altri atti a titolo gratuito Intervenendo con modifiche alla legge 18 ottobre 2001, n. 383 recante la soppressione dell’imposta sulle successioni e donazioni, si è mantenuta tale soppressione (art. 13, comma 1) e

si è modificata la disciplina dei trasferimenti per donazione o per altri atti a titolo gratuito. Quanto ai trasferimenti per donazione o per altri atti a titolo gratuito di beni immobili e diritti reali immobiliari compresa la rinuncia pura e semplice agli stessi e la costituzione di vincoli di

destinazione, fatti a favore di soggetti diversi dal coniuge e dai parenti in linea retta, si è scelto di sostituire l’attuale disciplina contenuta nel secondo comma dell’art. 13 della citata legge del 2001166, prevedendo per i trasferimenti per donazione o per altri atti a titolo

gratuito l’applicazione dell’imposta di registro con le seguenti aliquote: a) se fatti a favore di altri parenti fino al quarto grado: 2 per cento; b) se fatti a favore di altri soggetti: 4 per cento. 165 Il comma 2 bis è introdotto dal medesimo decreto legge che qui si illustra e riguarda i trasferimenti per donazione o altri atti a titolo gratuito di aziende, azioni, obbligazioni, quote sociali, altri titoli e denaro contante. Cfr. oltre al paragrafo relativo alle modifiche della legge 18 ottobre 2001, n. 383. 166 Secondo cui detti trasferimenti sono soggetti alle imposte sui trasferimenti ordinariamente applicabili per le operazioni a titolo oneroso, se il valore della quota spettante a ciascun beneficiario è superiore all’importo di euro 189.759,92 ed in questa ipotesi si applicano, sulla parte di valore della quota che supera l’importo suddetto, le aliquote previste per il corrispondente atti di trasferimento a titolo oneroso.

Prime indicazioni del notariato dopo il D.L. 262 /2006

121

E’ bene precisare che le modifiche alla citata legge n. 383 hanno riguardato solo il secondo comma dell’art. 13 e l’eliminazione del termine “franchigie” dal successivo art. 14. Resta dunque tuttora in vigore l’ulteriore portata dispositiva del citato art. 14 laddove al primo

comma prevede “le disposizioni concernenti esenzioni, agevolazioni e determinazione della base imponibile, già vigenti in materia di imposta sulle successioni e donazioni, si intendono riferite all’imposta dovuta per gli atti di trasferimento di cui all’art. 13, comma 2”.

Ciò comporta che, ai fini della determinazione dell’imposta, risulta ancora applicabile l’art. 56 del D.lgs. n. 346/1990, il cui quarto comma prevede che “il valore dei beni e dei diritti donati è determinato a norma degli artt. da 14 a 19 e dell’art. 34, commi 3, 4 e 5”, laddove in

particolare il quinto comma dell’art. 34 dispone espressamente il limite al potere di accertamento degli Uffici per cui “non sono sottoposti a rettifica il valore degli immobili iscritti in catasto con attribuzione di rendita dichiarato in misura non inferiore, per i terreni, a

settantacinque volte il reddito dominicale risultante in catasto e, per i fabbricati, a cento volte il reddito risultante in catasto, aggiornati con i coefficienti stabiliti per le imposte sui redditi, né i valori della nuda proprietà e dei diritti reali di godimento sugli immobili stessi

dichiarati in misura non inferiore a quella determinata su tale base a norma dell'art. 14. La disposizione del presente comma non si applica per i terreni per i quali gli strumenti urbanistici prevedono la destinazione edificatoria” (cfr. A. Pischetola, I limiti ai poteri di rettifica dell'amministrazione finanziaria e valutazione catastale "automatica" dopo il "decreto Bersani" n. 223/2006, Studio n. 117/2006 della Commissione studi tributari, disponibile su www.notariato.it ).

In altri termini, in ragione dei citati rinvii, analogamente a quanto previsto per le dichiarazioni di trasferimento per causa di morte, sembrerebbe potersi confermare che neanche alla fattispecie dei trasferimenti per donazione o per altri atti a titolo gratuito di beni

immobili e diritti reali immobiliari trova applicazione la disciplina di accertamento introdotta dal “cd. decreto Bersani” con il comma 5 bis dell’art. 52 del d.p.r. n.131/1986, restando dunque in vigore il sistema della valutazione automatica.

Relativamente ai trasferimenti per donazione o per altri atti a titolo gratuito di aziende, azioni, obbligazioni, quote sociali, altri titoli e denaro contante, nonché la costituzione di vincoli di destinazione si è parimenti previsto l’assoggettamento all’imposta di registro, ma

con le seguenti aliquote: a) se fatti a favore del coniuge e di parenti in linea retta, sul valore eccedente euro

100.000: 4 per cento;

b) se fatti a favore di parenti fino al quarto grado: 6 per cento; c) se fatti a favore di altri soggetti: 8 per cento. E’ stato previsto che negli atti di donazione e negli altri atti a titolo gratuito, nonché negli atti di cui all’articolo 26 del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, aventi per oggetto aziende, azioni, obbligazioni, quote sociali, altri titoli e denaro contante, fatti a favore del coniuge e di parenti in linea retta, devono essere indicati gli estremi delle donazioni e degli altri atti a titolo gratuito (probabilmente, seppur nel silenzio della norma,

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aventi il medesimo oggetto) anteriormente fatti dal dante causa a favore del coniuge, dei parenti in linea retta o di alcuno di essi nonché i relativi valori alla data degli atti stessi. Per l’omissione, l’incompletezza o l’inesattezza di tale indicazione è stata previsto, a carico solidalmente del dante causa e del beneficiario, la sanzione amministrativa da uno a due volte la maggiore imposta dovuta. Coerentemente con la previsione della franchigia solo per queste ipotesi viene introdotta una disciplina del coacervo limitatamente ad esse. Entrata in vigore Le disposizioni di cui sopra hanno effetto dalla data di entrata in vigore del decreto stesso per gli atti pubblici formati, per gli atti a titolo gratuito fatti e per le scritture private autenticate a partire da tale data, per le scritture private non autenticate presentate per la registrazione nonché per le successioni apertesi dalla data medesima. Tasse ipotecarie Inoltre, il successivo art.7 del decreto legge apporta modificazioni alla Tabella delle tasse ipotecarie allegata al testo unico delle disposizioni concernenti le imposte ipotecaria e catastale, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347: a) al numero d’ordine 1.2 (riguardante ogni formalità con efficacia anche di voltura) la

tariffa in euro è sostituita dalla seguente: “55,00” in luogo dei precedenti 35,00 euro. b) al numero d’ordine 4.1 le Note sono sostituite dalle seguenti: «L'importo è dovuto

anticipatamente. Il servizio sarà fornito progressivamente su base convenzionale ai soli soggetti autorizzati alla riutilizzazione commerciale. La tariffa è raddoppiata per richieste relative a più di una circoscrizione o sezione staccata.».

c) il numero d’ordine 7 è sostituito dal seguente: “7 Trasmissione telematica di elenco dei soggetti presenti nelle formalità di un determinato giorno: 7.1 per ogni soggetto ___________ 4,00. L'importo è dovuto anticipatamente. Il servizio sarà fornito progressivamente su base convenzionale ai soli soggetti autorizzati alla riutilizzazione commerciale.”. Tributi speciali catastali L’art. 7 dispone altresì che il Titolo III della Tabella A allegata al decreto legge 31 luglio 1954, n. 533, convertito con modificazioni, nella legge 26 settembre 1954, n. 869, concernente i tributi speciali catastali è sostituito da quello di cui alla Tabella B allegata al decreto-legge.

Base imponibile

La base imponibile ai fini della nuova imposizione relativa ai trasferimenti per

causa di morte e a titolo gratuito

Il decreto legge collegato alla finanziaria per il 2007 ha introdotto una nuova disciplina

relativa alle imposte indirette applicabile ai trasferimenti per causa di morte nonché alle

donazioni e altri atti a titolo gratuito. In particolare, a queste fattispecie si applicano

Prime indicazioni del notariato dopo il D.L. 262 /2006

123

l’imposta di registro, ipotecaria e catastale con aliquote diverse a seconda del grado di

parentela intercorrente tra de cuius, o donante, e beneficiario.

Una disciplina specifica è dettata con riferimento alla base imponibile dei trasferimenti in

esame.

Più precisamente:

La base imponibile dei trasferimenti “mortis causa”

L’art. 6 del decreto legge in esame ha modificato l’art. 43 d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131, che

reca le disposizioni di carattere generale relative alla determinazione della base imponibile

degli atti soggetti all’imposta di registro, aggiungendo la lettera i-bis), ai sensi della quale:

«per le dichiarazioni di trasferimenti per causa di morte relativamente ai diritti sui beni

immobili si applicano le disposizioni di cui ai successivi articoli 47, 48, 51 e 52 con esclusione

del comma 5-bis. Per ogni altro bene o diritto si applicano le disposizioni di cui al Titolo II,

Capo II, del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, in materia di valutazione di aziende,

azioni, obbligazioni, altri titoli e quote sociali; nella determinazione della base imponibile non

si tiene conto delle passività ereditarie che non afferiscono alle aziende né dell’avviamento.

Non sono soggetti all’imposta i titoli del debito pubblico, tra i quali si intendono compresi i

buoni ordinari del tesoro e i certificati di credito del tesoro, nonché gli altri titoli di Stato,

garantiti dallo Stato o equiparati e ogni altro bene o diritto, dichiarati esenti da imposta da

norme di legge».

Ai fini della determinazione della base imponibile viene operata dalla norma una netta

distinzione in ragione della tipologia dei beni oggetto della dichiarazione di trasferimento

mortis causa imponibile: nel caso di diritti su beni immobili si fa riferimento alle regole

proprie dell’imposta di registro, per ogni altro bene o diritto si applicano le regole stabilite dal

testo unico delle imposte sulle successioni e donazioni con riguardo alla valutazione di

aziende, azioni, obbligazioni, altri titoli o quote sociali.

I. La valutazione dei beni immobili secondo le regole dell’imposta di registro

Per le dichiarazioni di trasferimenti per causa di morte aventi ad oggetto diritti su beni immobili il

valore di questi è stabilito ai sensi degli artt. 47 (nel caso si tratti di enfiteusi) e 48 (nel caso di

nuda proprietà, usufrutto, uso e abitazione), nonché ai sensi dell’art. 51 d.p.r. n. 131/1986, che

costituisce la norma generale di riferimento per la valutazione dei beni e dei diritti, prescrivendo

in particolare che «per gli atti che hanno per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari … si

intende per valore il valore venale in comune commercio» (comma 2).

Alle dichiarazioni dei trasferimenti mortis causa in esame è applicabile inoltre, in forza di

espresso richiamo nella lett. i-bis cit., anche l’art. 52 riguardante la rettifica del valore degli

immobili, con esclusione del comma 5-bis.

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Si ricorda che quest’ultimo comma, introdotto dall’art. 35, comma 23-ter d.l. 4 luglio 2006 n.

223, convertito in legge 4 agosto 2006 n. 248, ha escluso l’applicabilità del limite al potere

degli uffici finanziari di eseguire la rettifica del valore dei beni immobili secondo il

meccanismo della cd. valutazione automatica (di cui ai commi 4 e 5 dell’art. 52 cit.) alle

“cessioni di immobili e relative pertinenze diverse da quelle disciplinate dall’articolo 1, comma

497 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, e successive modificazioni".

In ragione della dichiarata inapplicabilità del comma 5-bis cit. alle dichiarazioni di

trasferimenti mortis causa aventi ad oggetto beni immobili, il valore di questi ultimi non è

sottoposto a rettifica se dichiarato in misura non inferiore al cd. valore catastale, ai sensi dei

commi 4 e 5 dell’art. 52 cit.

II. La valutazione dei beni immobili ai fini delle imposte ipotecaria e catastale

Nulla è detto nel decreto legge con riferimento alla determinazione della base imponibile ai

fini dell’applicazione delle imposte ipotecaria e catastale, che dunque è disciplinata secondo

le regole ordinarie di cui al d.lgs. 31 ottobre 1990 n. 347, ed in particolare dall’art. 2, comma

1, il quale stabilisce che «l’imposta proporzionale dovuta sulle trascrizioni è commisurata alla

base imponibile determinata ai fini dell’imposta di registro o dell’imposta sulle successioni e

donazioni», e dall’art. 10, comma 1, ai sensi del quale «le volture catastali sono soggette

all’imposta del 10 per mille sul valore dei beni immobili o dei diritti reali immobiliari

determinato a norma dell’art. 2».

Considerato che a seguito delle novità introdotte dal decreto legge in esame, ferma restando

la soppressione dell’imposta sulle successioni e donazioni, le dichiarazioni dei trasferimenti

mortis causa sono imponibili ai fini dell’imposta di registro, sembra ragionevole ritenere che

per l’applicazione delle imposte ipotecaria e catastale si debba fare riferimento alle regole per

la determinazione della base imponibile ai fini della imposta di registro, ossia all’art. 43 lett. i-

bis cit., ed alle norme ivi richiamate.

III. La valutazione delle aziende, azioni, obbligazioni, altri titoli e quote sociali secondo le regole dell’imposta sulle successioni e donazioni Per ogni altro bene o diritto si applicano le disposizioni di cui al Titolo II, Capo II, del decreto

legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, in materia di valutazione di aziende, azioni, obbligazioni,

altri titoli e quote sociali. Il richiamo è in particolare alle regole di cui all’art. 15, per le

aziende, ed all’art. 16, per le azioni, obbligazioni, altri titoli e quote sociali.

Il decreto legge precisa inoltre che nella determinazione della base imponibile non si tiene

conto dell’avviamento, con ciò ribadendo la cd. sterilizzazione dell’avviamento nella

valutazione dei beni in esame derivante dalle modifiche agli artt. 15 e 16 cit. apportate

dall’art. 69 legge n. 342/2000.

Prime indicazioni del notariato dopo il D.L. 262 /2006

125

Per le aziende la base imponibile è sostanzialmente rappresentata, quindi, dal valore del

patrimonio netto contabile; e la previsione per i soggetti tenuti all’inventario di avere

riguardo anche “ai mutamenti successivamente intervenuti” dovrebbe essere intesa nel senso

di «tener conto di eventuali mutamenti (sia dal lato attivo che passivo) della composizione

dell’inventario nel periodo intercorrente fra l’ultimo inventario regolarmente redatto e

vidimato (coincidente con la chiusura del bilancio) ed il momento del trasferimento

dell’azienda … attraverso una “valorizzazione” in base alle risultanze delle scritture contabili.

Senza che la previsione normativa volta a considerare i mutamenti sopravvenuti significhi

obbligo di “rivalutare” i beni che compongono l’azienda in base al loro reale valore, stante

l’inesistenza di un siffatto obbligo nell’ambito delle disposizioni relative alla redazione

dell’inventario» (così P. Puri, I trasferimenti liberali di partecipazioni ed aziende: profili dell’imposizione indiretta, cit., 164 s.).

Anche per le quote ed azioni di società non quotate in mercati regolamentati la valutazione è

basata sul patrimonio netto contabile, interpretando il riferimento ai “mutamenti

sopravvenuti” negli stessi termini evidenziati con riferimento all’azienda.

Per i titoli quotati in borsa o negoziati in mercati regolamentati invece si assume come base

imponibile «la media dei prezzi di compenso o dei prezzi fatti nell’ultimo trimestre anteriore

all’apertura della successione, maggiorata dei dietimi o degli interessi successivamente

maturati, e in mancanza il valore di cui alle lettere successive» (art. 16, comma 1, lett. a).

Il decreto legge esclude, infine, nella determinazione della base imponibile dei beni in esame,

la rilevanza delle passività ereditarie che non afferiscono all’azienda.

Ne deriva che nell’ambito della disciplina delle passività deducibili contenuta nella sezione III

del Capo II del Titolo II, applicabile per la determinazione della base imponibile dei beni in

esame in forza del richiamo contenuto nel decreto legge, si dovrà tener conto solo delle

norme concernenti le passività inerenti alle aziende.

IV. Beni esclusi dall’imposizione Per l’individuazione dei beni esenti da imposizione occorre muovere dal tenore del terzo

periodo della lett. i-bis, del comma 1 dell’art. 43 citata per cui “non sono soggetti all’imposta

i titoli del debito pubblico, tra i quali si intendono compresi i buoni ordinari del tesoro e i

certificati di credito del tesoro, nonché gli altri titoli di Stato, garantiti dallo Stato o equiparati

e ogni altro bene o diritto, dichiarati esenti da imposta da norme di legge”.

Una volta individuati i beni che ai sensi della citata lett. i-bis sono assoggettati ad

imposizione e i beni che ne risultano esclusi, resta tuttavia da chiarire se i trasferimenti

mortis causa aventi per oggetto beni diversi da questi (ad esempio i crediti) debbano o meno

scontare l’imposta di registro.

Al riguardo, in sede di primo commento e salvo ulteriori riflessioni, si osserva che:

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- l’imposta di registro è applicata in ragione di una «dichiarazione» di trasferimento mortis causa ovverosia ad un atto a contenuto vincolato, privo di contenuto negoziale, avente

natura di dichiarazione di scienza (e quindi non assoggettabile a registrazione volontaria);

- l’impianto della riforma sembra portare i trasferimenti per causa di morte nella logica

dell’imposta di registro secondo regole espressamente individuate con rinvii a specifiche

categorie di beni sia quanto alla base imponibile che alle aliquote, lasciando intendere

che la tassazione avvenga in relazione ai singoli trasferimenti (non già all’individuazione

di una massa ereditaria).

Pertanto, seppur il nuovo comma 3 bis dell’art. 80 del d.p.r. n. 131/1986 stabilisce

l’applicabilità delle disposizioni di cui al d.lgs. n. 346 ai trasferimenti per causa di morte con il

limite della verifica della compatibilità, sembra potersi ritenere che l’ambito di

assoggettabilità all’imposta per i trasferimenti mortis causa debba essere circoscritto alle

fattispecie espressamente individuate nella predetta lett. i-bis del citato art. 43, nonché

nell’art. 2 bis della tariffa, parte prima.

Sulla base di analoghe considerazioni si ritiene di poter affermare che a seguito della riforma

in esame non possono considerarsi operanti le disposizioni di cui agli artt. 9 e 11 del D.lgs. n.

346/1990.

La base imponibile delle donazioni e degli atti a titolo gratuito

Il decreto legge con riferimento alle donazioni e agli atti a titolo gratuito interviene a

modificare la legge n. 383/2001 sostituendo il secondo comma dell’art. 13.

Pertanto l’imposta sulle successioni e donazioni ai sensi dell’art. 13 comma 1 resta

soppressa, mentre l’impianto normativo del d.lgs. n. 346/1990 permane quanto al rinvio

esplicito di cui all’art. 14, comma 1 (salvo per l’eliminazione del riferimento alle “franchigie”),

ai sensi del quale “le disposizioni concernenti esenzioni, agevolazioni e determinazione della

base imponibile, già vigenti in materia di imposta sulle successioni e donazioni, si intendono

riferite all’imposta dovuta per gli atti di trasferimento di cui all’art. 13, comma 2”.

Di conseguenza per la determinazione della base imponibile dell’imposta di registro

applicabile ai trasferimenti per donazione e per atti a titolo gratuito di cui ai nuovi commi 2 e

2 bis dell’art. 13, occorrerà fare riferimento alle norme del testo unico sull’imposta di

successione e donazione. Più precisamente ai sensi dell’art. 56, quarto comma, del D.lgs. n.

346/1990, “il valore dei beni e dei diritti donati è determinato a norma degli artt. da 14 a 19

e dell’art. 34, commi 3, 4 e 5”.

Il richiamato quinto comma dell’art. 34 dispone espressamente il limite al potere di accertamento degli Uffici per cui “non sono sottoposti a rettifica il valore degli immobili iscritti in catasto con attribuzione di rendita dichiarato in misura non inferiore, per i terreni, a

settantacinque volte il reddito dominicale risultante in catasto e, per i fabbricati, a cento volte il reddito risultante in catasto, aggiornati con i coefficienti stabiliti per le imposte sui

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redditi, né i valori della nuda proprietà e dei diritti reali di godimento sugli immobili stessi dichiarati in misura non inferiore a quella determinata su tale base a norma dell'art. 14. La disposizione del presente comma non si applica per i terreni per i quali gli strumenti

urbanistici prevedono la destinazione edificatoria”. Ne deriva allora che, in ragione dei citati rinvii, analogamente a quanto previsto per le dichiarazioni di trasferimento per causa di morte, sembrerebbe potersi confermare

l’inapplicabilità ai trasferimenti per donazione o per altri atti a titolo gratuito di beni immobili e diritti reali immobiliari della disciplina di accertamento introdotta dal “cd. decreto Bersani” con il comma 5 bis dell’art. 52 del d.p.r. n. 131/1986.

In altri termini per questa tipologia di trasferimenti resta in vigore il sistema della valutazione automatica. Si deve ritenere che nulla sia mutato in relazione alle imposte ipotecarie e catastali dovute in

dipendenza degli atti di donazione, come espressamente chiarito, del resto, nella circolare dell’Agenzia delle Entrate (Circ. Agenzia Entrate 18 ottobre 2001 n. 91/E, paragrafo 2.2.) a seguito dell’emanazione della legge n. 383/2001.

Coacervo

Il coacervo nei trasferimenti gratuiti dopo il decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 1. Premessa

La novella di cui al decreto legge n. 262 del 2006167 pone il dubbio se debba essere operato o meno (ai fini di una corretta applicazione dei diversi criteri di liquidazione dell’imposta di volta in volta dovuta e specificamente al fine della eventuale erosione delle franchigie168) il

coacervo, maggiorando il valore del trasferimento posto in essere di un importo pari al valore complessivo di precedenti trasferimenti gratuiti fatti dal medesimo dante causa al medesimo avente causa.

La riflessione in subiecta materia è ulteriormente stimolata dal fatto che l’art. 14, comma 1, della legge 18 ottobre 2001 n. 383 (portante applicazione anche agli atti di donazione ed altre liberalità tra vivi dei medesimi criteri per la determinazione della base imponibile già vigenti in

materia di imposta di successioni e donazioni) non appare inciso dalla novella al vaglio169. Pare opportuno fare i dovuti distinguo a seconda dell’ambito (donativo o successorio) in relazione al quale si intenda porre e risolvere la problematica.

167 In G.U. 3 ottobre 2006 n. 230. 168 Non potendo più il coacervo – come noto – essere utilizzato ai fini della determinazione delle aliquote, dopo le innovazioni introdotte con legge 21 novembre 2000 n. 342 (in G.U. n. 276 del 25 novembre 2000). 169 Se non quanto alla eliminazione dell’inciso “franchigie”, giusta quanto disposto dalla lettera b) comma 5 art. 6 del decreto; il che comporta la soppressione di tutte le franchigie già previste dal T.U. n. 346/90 in materia di imposta sulle successioni e donazioni cui l’art. 14 comma 1 legge n. 383/2001 faceva espresso riferimento, ivi compresa quella di cui all’art. 7 comma 2-bis del detto T.U.(introdotta dall’art. 69 della legge 21 novembre 2000 n. 342) che consentiva l’applicazione dell’imposta solo sulla parte del valore eccedente un miliardo di lire (pari ad euro 516.456,90) qualora beneficiario fosse stato un discendente in linea retta minore d’età o una persona con handicap riconosciuto grave ai sensi della legge 21 maggio 1998 n. 162. Inoltre è opportuno sottolineare – con particolare riferimento alle ipotesi nelle quali in seguito alla novella in commento la fattispecie donativa o comunque a titolo gratuito risulti essere esente da imposta anche per effetto della franchigia – che non è dovuta alcuna imposta (di registro) neanche in misura fissa, coerentemente con quanto già aveva ritenuto l’A.F. con circolare n.91/E del 18 ottobre 2001.

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2. Coacervo nelle donazioni e negli altri atti a titolo gratuito E’ previsto espressamente dal nuovo n. 2-ter art. 13 legge n. 383/2001 (così come introdotto dal comma 5 art 6 del decreto in commento) che negli atti di donazione e negli altri atti a

titolo gratuito nonché negli atti di cui all’art. 26 del TUR n. 131/86, aventi per oggetto aziende, azioni, obbligazioni, quote sociali, altri titoli e denaro contante debbano essere indicati gli estremi delle donazioni e degli altri atti a titolo gratuito anteriormente fatti dal

dante causa a favore del coniuge, dei parenti in linea retta o di alcuno di essi nonché i relativi valori alla data degli atti stessi170, prevedendo poi in caso di omissione, incompletezza o inesattezza di tale indicazione l’applicazione di una sanzione amministrativa (con vincolo di

solidarietà passiva tra beneficiario e dante causa) da una a due volte la maggiore imposta dovuta. Intuitivamente ciò viene richiesto – anche se espressamente tale volizione legislativa non emerge dalla lettera della disposizione – allo scopo di verificare se risulti o meno erosa la

franchigia di euro 100.000,00, fino a concorrenza della quale la donazione o altro atto a titolo gratuito avente ad oggetto i siffatti beni ed a favore dei prenominati soggetti va esente da imposta di registro.

Dal che se ne deduce che la menzione dei dati di che trattasi si rende necessaria solo nell’ipotesi suddetta e non quando l’atto riguardi soggetti diversi da quelli previsti dalla

norma al vaglio. Così come tale superfluità si profila qualora l’atto abbia ad oggetto beni immobili e/o diritti

reali immobiliari, in quanto – e sempre ai fini dell’imposta di registro – in tal caso il trasferimento è esente da imposta se effettuato a favore del coniuge e dei parenti in linea retta e negli altri casi inciso con aliquota del 2% (qualora beneficiario sia un altro parente

fino al 4° grado, un affine in linea retta nonché un affine in linea collaterale fino al terzo grado) o del 4% (qualora beneficiario sia un soggetto diverso dai precedenti), senza che possa darsi luogo alla erosione di alcuna franchigia (neanche concepita dal legislatore della

novella nelle dette fattispecie) e quindi alla necessità del meccanismo di coacervo. 2.1. Se sia applicabile o meno il beneficio della imposta ipotecaria e catastale in misura fissa in caso di acquisto della "prima abitazione" Si potrebbe altresì pensare che siffatto meccanismo si renda opportuno per verificare se – in riferimento alla sola ipotesi di donazione o altro atto a titolo gratuito a favore del coniuge e/o

parente in linea retta – sia applicabile o meno il beneficio della imposta ipotecaria e catastale in misura fissa, ricorrendo le condizioni e i requisiti in materia di acquisto della "prima abitazione" di cui all’art. 1 comma 1, quinto periodo della tariffa parte prima allegata

al TUR n. 131/86. In tal caso infatti opera una franchigia pari ad euro 180.000,00 solo fino a concorrenza della quale il beneficio risulta applicabile; e pertanto se in forza di donazioni o

170 Al riguardo sembra qui di poter dire che le menzioni non debbano riguardare anche donazioni o altri atti a titolo gratuito anteriori aventi ad oggetto beni immobili e/o diritti reali immobiliari , trattandosi di fattispecie esenti da imposta di registro (se poste in essere a favore dei soggetti richiamati nel testo) e quindi come tali insuscettibili di apparire rilevanti ai fini del coacervo.

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altri atti gratuiti precedenti effettuati dal medesimo dante causa a favore del medesimo beneficiario questi ha già beneficiato della franchigia, questa più non dovrebbe operare – nell’ottica qui illustrata e sempre con esclusivo riferimento alle imposte ipotecaria e catastale

– per le donazioni e gli atti gratuiti successivi, eccedenti la stessa. Tale linea di pensiero però pare sconfessata dal disposto di cui all’art. 13 del T.U. n. 347/90 che prevede per l’imposta ipotecaria e catastale l’applicazione delle disposizioni relative

all’imposta di registro e all’imposta sulle successioni e donazioni solo quanto all’accertamento e alla liquidazione, e certo non quanto alla base imponibile in riferimento alla quale opera il meccanismo del coacervo. Né appare determinante la circostanza che l’art. 2 del T.U. n.

347/90 (e l’art. 10 che si riporta al detto art. 2) stabiliscano la commisurazione della base imponibile – ai fini dell’applicazione dell’imposta di trascrizione e di catasto – a quella determinata ai fini (dell’imposta di registro o) dell’imposta sulle successioni e donazioni: a ben

vedere il legislatore della novella non ha richiamato l’applicazione del meccanismo del coacervo già disciplinato dal T.U. n. 346/90 in materia di successioni e donazioni, ma al contrario ha previsto una disciplina "speciale" di applicazione dell’imposta di registro dovuta in

relazione alle ipotesi sopra illustrate, disciplina in sé conchiusa ed autonoma. Il che, proprio in considerazione della "specialità" dell’istituto del coacervo introdotto dalla novella, comporta l’implausibilità di una interpretazione estensiva (tanto meno analogica) delle previsioni già

pensate e dettate dal T.U. n. 346/90 per un ambito impositivo del tutto diverso. Non pare perciò possibile, conclusivamente, che in relazione a dette ultime imposte (ipo-catastali) il meccanismo del coacervo possa legittimamente trovare applicazione.

2.2. Menzioni richieste negli atti di cui all’art. 26 del TUR n. 131/86 La novella al vaglio stabilisce che le menzioni (di cui si è detto nel superiore paragrafo)171

siano riportate (oltre che nella donazioni e negli altri atti a titolo gratuito) anche negli atti di cui all’art. 26 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 aventi ad oggetto aziende, azioni, obbligazioni, quote sociali, altri titoli e danaro contante.

A sua volta detto art. 26 stabilisce una presunzione di liberalità in riferimento a trasferimenti immobiliari e/o di partecipazioni sociali posti in essere tra coniugi ovvero tra parenti in linea retta o che tali siano considerati ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni, quando il

valore della partecipazione o la differenza tra valore e prezzo siano superiori all’importo di Euro 180.759,91. E’ intuitivo peraltro che tali menzioni dovranno ritenersi necessarie solo in caso di

trasferimenti di partecipazioni sociali e non anche immobiliari, in quanto solo nei primi si porrà l’esigenza di verificare l’(eventuale) assorbimento della franchigia in forza di trasferimenti gratuiti pregressi.

D’altra parte al riguardo è pensabile che il legislatore della novella abbia voluto invocare il richiamo dell’art. 26 piuttosto per far riferimento ai soggetti tra i quali intercorre la

171 E cioè gli estremi delle donazioni e degli altri atti a titolo gratuito anteriormente fatti dal dante causa nonché i relativi valori alla data degli atti stessi.

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convenzione, legati da un rapporto particolare (di coniugio o parentela in linea retta) che non per individuare le fattispecie in esso art. 26 pedissequamente descritte. Sicché sarà senz’altro opportuno e corretto ritenere che le dette menzioni debbano essere

riportate anche negli atti intercorrenti tra i soggetti ora ricordati aventi ad oggetto il trasferimento (oltre che di partecipazioni sociali anche) di aziende, azioni, obbligazioni, altri titoli e danaro contante.

3. Coacervo nelle successioni Analogamente nell’ambito dei trasferimenti per causa di morte, il valore delle donazioni e

degli altri atti a titolo gratuito posti in essere precedentemente alla delazione ereditaria assume rilevanza172 (ai fini del coacervo e al limitato scopo di verificare la già avvenuta erosione della franchigia) solo qualora questa operi a favore del coniuge e/o di parenti in

linea retta ed abbia ad oggetto la devoluzione di aziende, azioni, obbligazioni, altri titoli o quote sociali: se infatti risulti già erosa la franchigia pari ad euro 100.000,00, risulterà applicabile l’imposta di registro con aliquota del 4% sul valore eccedente.

In via consequenziale risultano sottratte al meccanismo del coacervo tutte le altre fattispecie successorie a favore di soggetti diversi dal coniuge e parenti in linea retta, aventi ad oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari, aziende, azioni, obbligazioni, altri titoli o quote sociali.

La novella non lo precisa, ma appare indubbiamente opportuno nell’apposita dichiarazione di trasferimento per causa di morte fare espresso riferimento alle (eventuali) donazioni o atti a titolo gratuito intercorsi tra l’autore della successione ed il beneficiario o – intuitivamente –

all’assenza degli stessi, e ciò soprattutto ai fini della corretta applicazione dell’imposta dovuta.

Tabelle

Tabelle riepilogative della tassazione dei trasferimenti mortis causa e delle donazioni dopo il decreto-legge n. 262/2006 Dichiarazioni di trasferimenti per causa di morte a favore del coniuge e di parenti in linea retta

Imposta di

registro Ipotecaria Catastale

Immobili e diritti reali immobiliari

0% 3% (Se abitazione principale del defunto imposta fissa fino a 250.000 €, oltre 3%)

1% (Se abitazione principale del defunto imposta fissa fino a 250.000 €, oltre 1%)

Aziende, azioni, obbligazioni, altri titoli, quote sociali

Esente fino a 100.000 €, oltre 4%

- -

Titoli di Stato Esenti - -

172 Così come dispone il novellato art. n. 2-bis della tariffa parte I allegata al TUR n. 131/86, e richiamando quanto già precisato nella precedente nota 4 in ordine alla irrilevanza dei trasferimenti a titolo gratuito anteriori aventi ad oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari.

Prime indicazioni del notariato dopo il D.L. 262 /2006

131

Dichiarazioni di trasferimenti per causa di morte a favore di parenti fino al quarto grado, di affini in linea retta nonché di affini in linea collaterale fino al terzo grado

Imposta di registro Ipotecaria Catastale

Immobili e diritti reali immobiliari 2% 3% 1%

Aziende, azioni, obbligazioni, altri titoli, quote sociali 6% - -

Titoli di Stato Esenti - -

Dichiarazioni di trasferimenti per causa di morte a favore di soggetti diversi

Imposta di

registro Ipotecaria Catastale

Immobili e diritti reali immobiliari 4% 3% 1%

Aziende, azioni, obbligazioni, altri titoli, quote sociali 8% - -

Titoli di Stato Esenti - -

Donazioni e altri atti a titolo gratuito a favore del coniuge e di parenti in linea retta

Imposta di

registro Ipotecaria Catastale

Immobili e diritti reali immobiliari

0% 3% (Se prima casa imposta fissa fino a 180.000 € per ciascun beneficiario, oltre 3%)

1% (Se prima casa imposta fissa fino a 180.000 € per ciascun beneficiario, oltre 1%)

Aziende, azioni, obbliga-zioni, quote sociali, altri titoli, denaro

Esente fino a 00.000 €, oltre 4%

- -

Donazioni e altri atti a titolo gratuito a favore di parenti fino al quarto grado, di affini in linea retta nonché di affini in linea collaterale fino al terzo grado

Imposta di

registro Ipotecaria Catastale

Immobili e diritti reali immobiliari 2% 3% 1%

Aziende, azioni, obbligazioni, quote sociali, altri titoli, denaro 6% - -

Donazioni e altri atti a titolo gratuito a favore di soggetti diversi

Imposta di registro Ipotecaria Catastale

Immobili e diritti reali immobiliari 4% 3% 1%

Aziende, azioni, obbligazioni, quote sociali, altri titoli, denaro

8% - -

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Di seguito si riporta uno Schema di DONAZIONE*

Repertorio n. Raccolta n.

DONAZIONE

REPUBBLICA ITALIANA

L'anno Duemilasei, il giorno trentuno del mese di ottobre.

- 31 ottobre 2006 -

In Milano, via ...

Avanti a me dottor Marco Avagliano, Notaio in Cornaredo, iscritto presso il Collegio Notarile dei

Distretti riuniti di Milano, Busto Arsizio, Lodi, Monza e Varese, alla presenza dei testimoni signori:

- TESTI Teste, ...

- TESTE Testi, ...

sono comparsi i signori:

- ROMANI Romolo, ...

di seguito denominato anche "parte donante";

- TIZI Tizio, ...

di seguito denominato anche "parte donataria".

Detti comparenti, della cui identita' personale io Notaio sono certo,

premesso che:

...

Tutto ciò premesso, convengono e stipulano quanto segue.

Art. 1. Consenso e oggetto

Il signor Romani Romolo dona e trasferisce al signor Tizi Tizio, che accetta ed acquista, la

piena proprietà delle seguenti unità immobiliari site in Comune di Milano, via Roma n. 1, e

precisamente:

- appartamento posto al piano primo, composto da tre locali oltre servizi, con annesso un

vano di cantina al piano seminterrato;

- vano ad uso autorimessa posto al piano seminterrato.

Il tutto distinto nel Catasto Fabbricati del Comune di Milano, come segue:

- l'appartamento con annesso vano cantina: foglio ...

- il vano ad uso autorimessa: foglio ...

Detti immobili risultano confinanti da nord verso est in senso orario:

- l'appartamento con: ...

- il vano cantina con: ...

* scaricabile in formato WORD dal sito www.euroconference.it (vedi indice della presente dispensa)

file c

Fac simile di donazione d’azienda

133

- il vano ad uso autorimessa con: ...

Il tutto salvo errori e come meglio in fatto.

I suddetti immobili sono individuati, contornati con linee di colore verde, anche nelle

planimetrie che si allegano al presente atto alle lettere "A" e "B".

Alle suddescritte porzioni immobiliari compete la proporzionale quota di comproprieta' degli

enti, spazi ed impianti comuni, in conformita', in ogni caso, al regolamento di condominio ed

alle tabelle millesimali, ben noti alla parte acquirente.

Art. 2. Valore

Le parti dichiarano che il valore di quanto donato e' pari a complessivi euro ....

Art. 3. Possesso e godimento

La donazione degli immobili suddetti viene fatta con ogni diritto, azione e ragione, servitù,

uso, accessione e pertinenza, nello stato di fatto e nella situazione urbanistica in cui si trova,

nulla escluso ed eccettuato.

La proprietà, il possesso e il godimento di quanto trasferito viene dato dalla data di oggi;

pertanto da tale data vantaggi e oneri andranno rispettivamente a profitto e carico della parte

donataria, compresi in particolare gli oneri relativi alle parti comuni.

Art. 4. Garanzie

La parte donante presta ogni garanzia di legge.

In particolare la parte donante garantisce la titolarità di quanto trasferito per averne

acquistato la piena ed esclusiva proprieta' in data 1 gennaio 2000 dal signor ..., con atto di

compravendita ....

Al suddetto atto le parti fanno ampio riferimento per quanto in esso contenuto, allegato e

richiamato.

La parte donante garantisce la liberta' del medesimo immobile da ipoteche e trascrizioni

pregiudizievoli ad eccezione della seguente formalità:

- ipoteca iscritta, a favore della "Banca ...", presso....

Le parti danno atto di essere edotte delle vigenti norme in tema di riducibilità delle donazioni.

Art. 5. Regime patrimoniale

Ai sensi e per gli effetti della legge 19 maggio 1975, n. 151, le parti dichiarano:

- il signor Romani Romolo, di essere di stato libero;

- il signor Tizi Tizio, di essere coniugato in regime di comunione dei beni, ma che quanto

donato costituisce bene personale ai sensi e per gli effetti dell'art. 179, primo comma, lett. a)

del codice civile, in quanto acquistato anteriormente al matrimonio.

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Art. 6. Dichiarazioni urbanistiche

Ai sensi e per gli effetti delle vigenti disposizioni in materia di edilizia ed urbanistica, ed in

particolare della l. 28 febbraio 1985, n. 47, del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 e delle successive

modificazioni, la parte donante attesta e conferma, quale dichiarazione sostitutiva di atto

notorio ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 76 del d.p.r. 28 dicembre 2000, n. 445, portata a

conoscenza delle conseguenze anche penali in caso di dichiarazioni non rispondenti al vero,

che il fabbricato di cui fa parte il bene in oggetto e' stato costruito in epoca anteriore all'1

settembre 1967, e che successivamente a tale data non sono state eseguite opere che

richiedano il rilascio di provvedimenti concessori o autorizzativi ad eccezione di quelle per le

quali è stata rilasciata dal Comune di Milano concessione edilizia ...

Art. 7. Agevolazioni fiscali

La parte donataria chiede l'applicazione al presente atto delle agevolazioni fiscali previste per

l'acquisto della prima casa e relative pertinenze, di cui all'art. 1, nota II-bis, della tariffa, parte

prima, allegata al d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131, e successive modificazioni ed integrazioni (art.

69, l. 21 novembre 2000, n. 342).

A tal fine la parte donataria dichiara:

- di essere residente nel Comune in cui sono ubicati gli immobili acquistati;

- di non essere titolare dei diritti di proprieta', usufrutto, uso e abitazione di altra casa di

abitazione ed autorimessa nel territorio del Comune in cui situati gli immobili in oggetto;

- di non essere titolare, neppure per quote, su tutto il territorio nazionale dei diritti di

proprieta', usufrutto, uso, abitazione e nuda proprieta' su altra casa di abitazione e

autorimessa acquistati dallo stesso soggetto con le agevolazioni di cui all'art. 1, nota II-bis

della tariffa, parte prima, allegata al d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131;

- che l'unita' immobiliare urbana oggetto di agevolazioni e' destinata ad uso non di lusso,

secondo i criteri di cui al d.m. 2 agosto 1969, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 218, del 27

agosto 1969, e successive modificazioni ed integrazioni.

Art. 8. Spese

Le spese, le imposte e le tasse del presente atto e sue dipendenti sono a carico della parte

donataria.

E richiesto io Notaio ho ricevuto il presente atto, scritto da persona di mia fiducia e da me

Notaio, parte a macchina e parte di pugno, su pagine

di fogli e da me Notaio letto, previa

dispensa dalla lettura di quanto allegato, in presenza dei testimoni, ai comparenti, che

dichiarano di approvarlo e lo sottoscrivono, unitamente ai testimoni e me Notaio.

Le donazioni - Riepilogando

135

Di seguito vengono affrontati in modo schematico i seguenti punti:

1. La donazione: strumento giuridico e caratteristiche essenziali;

2. Esempi di clausole di applicazione professionale;

3. Rapporto tra donazione e legittima (successione necessaria);

4. La Collazione e la Riduzione;

5. Atti di donazione e Divieto di Patti successori;

6. Il D.L. 262/06 dal 3 ottobre u.s. ha modificato la fiscalitàdelle donazioni.

la Donazione (artt. 769 - 809 c.c.)

COS’È LA DONAZIONE?

1. La donazione è il contratto (art. 782 c.c.) con cui, per spirito di liberalitàuna parte (donante) arricchisce l’altra (donatario) disponendo a favore di quest’ultima un diritto proprio, presente nel patrimonio (è esclusa la donazione di beni futuri o altrui), o assumendo verso la stessa un’obbligazione.

2. unico strumento giuridico di trasmissione a titolo gratuito di beni inter vivos, si distingue dal testamento in quanto strumento di circolazione del patrimonio a titolo gratuito, produttivo di effetti solo mortis causa.

RIEPILOGANDO La donazione (art. 769-809 del C.c.)

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a cura di Luigi Belluzzo

136

FORMA E PUBBLICITÀ DEL CONTRATTO:La donazione deve essere fatta:

• per atto pubblico a pena di nullità;

• in presenza irrinunciabile di due testimoni, salvo particolari e relative eccezioni (donazione manuale, di modico valore di cosa mobile, donazione indiretta, ecc.…);

• Necessaria la registrazione entro 20 o 60 giorni dalla data dell’atto a seconda che sia formato in Italia o all’estero.

CLAUSOLE PRINCIPALI DI APPLICAZIONE PROFESSIONALE

Chi dona può apporre all'atto di donazione svariate clausole per il raggiungimento di finalità particolari, che danno vita a diverse fattispecie di donazione, quali ad esempio:

• donazioni modali (cum onere), • donazioni con apposizione di condizioni o di un termine, • donazione con riserva di usufrutto,• donazione con clausola di reversibilità, • donazione con dispensa dalla collazione o dall’imputazione.

Le donazioni - Riepilogando

137

CLAUSOLA DI REVERSIBILITÀ E DONAZIONE MODALE

Clausola di reversibilità:• Con l’apposizione di tale clausola nel contratto di donazione, il donante prevede

espressamente che quanto donato “ritorni indietro” in caso di premorienza del donatario, ovvero del donatario e dei suoi discendenti.

Donazione modale:• il donante impone un’obbligazione a carico del donatario: ad es., donazione di

un immobile ad un ente pubblico con l’onere di costruire un ospedale; oppure onere di mantenimento da parte del donatario a favore del donante…

• Il donante può anche disporre, per il caso di inadempimento del donatario, larisoluzione, che deve essere richiesta al giudice.

RAPPORTI TRA DONAZIONE E SUCCESSIONE NECESSARIA

Legittimari e successione necessaria:

• I legittimari sono eredi cui la legge riserva una quota predeterminata dell’asse ereditario, in virtù dello stretto legame che li unisce al defunto; tale quota che non può essere tendenzialmente intaccata neppure da disposizioni testamentaria o da atti di donazione disposti dallo stesso de cuius durante la propria vita.

• La successione nei confronti di questi particolari soggetti è definita “successione necessaria”;

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La lesione della quota di legittima e l‘AZIONE DI RIDUZIONE:• Azione di riduzione = rimedio previsto dalla Legge contro gli atti di donazione del

de cuius, compiuti durante la propria vita, lesivi della quota di legittima.

• Soggetti che possono proporla: i legittimari, i loro eredi o aventi causa, contro i destinatari delle disposizioni testamentarie o delle donazioni eccedenti la quota disponibile.

• Termini di prescrizione: 10 anni a decorrente dall’apertura della successione; dunque una donazione lesiva è impugnabile entro 10 anni dalla morte del donante(salvo quanto previsto dall'art. 563 c.c.).

• Condizioni: solo qualora non sia possibile la soddisfazione dei diritti del legittimario leso sul restante patrimonio del de cuius.

• Quote di legittima e disponibili in funzione dei partecipanti alla successione:si guarda al patrimonio complessivo del de cuius, formato da relictum - debiti + donazioni anteriori (vedi Tabella)

Si precisa che in ogni caso al coniuge sono comunque riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni

MetàMetàConiuge separato, cui non sia stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato (in mancanza di figli e ascendenti)

Un quartoMetàUn quarto

Il coniuge e ascendenti legittimi, in assenza di figli e discendenti:– A favore del coniuge– A favore degli ascendenti legittimi

Un quartoMetàUn quarto

Il coniuge e due o più figli:– Ai figli, complessivamente– Coniuge

Un terzoUn terzo Un terzo

Il coniuge e un figlio– A favore del coniuge– A favore del figlio

Due terziUn terzoAscendenti legittimi (se chi muore non lascia né figli né coniuge )

Un terzoDue terziDue o più figli legittimi, legittimati, adottivi o naturali (quando manca il coniuge)

MetàMetàUn solo figlio legittimo, legittimato, adottivo o naturale (quando manca il coniuge)

Quote di patrimonio Di riserva Disponibile

qualora il de cuius

Le donazioni - Riepilogando

139

LA COLLAZIONE• La COLLAZIONE: è l’atto con cui determinati soggetti che hanno accettato

l’eredità (figli legittimi e naturali, i loro discendenti e il coniuge), conferiscono alla massa attiva del patrimonio ereditario le donazioni ricevute in vita dal de cuius, al fine di dividerle con gli altri coeredi, in proporzione alle rispettive quote.

• Presupposti:1. Esistenza di un attivo ereditario da dividere;2. Accettazione dell’eredità da parte del soggetto che vi è tenuto (necessaria

la qualifica di erede).

• Dispensa dalla Collazione: è possibile mediante l’inserimento di un’apposita clausola nell’atto di donazione o in un testamento successivo

DIVIETO DI PATTI SUCCESSORIArt. 458 c.c.

“È nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. È del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una

successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi”

• L’ordinamento italiano prevede il divieto di patti successori

• In sostanza, è vietato disporre in vita della propria successione (patti istitutiv i), disporre dei diritti che possono spettare su una successione non ancora aperta (patti dispositiv i), ovvero rinunciare ai diritti che possono spettare su una successione non ancora aperta (patti rinunciativ i). La sanzione per tali patti è la nullità.

• Esiste un’apparente DEROGA a tale div ieto disposta dalla nuova disciplina dei PATTI DI FAMIGLIA sui patti di famiglia, (Legge n. 55 del 14 febbraio 2006 recante “Modifiche al codice civ ile in materia di patto di famiglia")

• Patti di Famiglia: convenzioni-accordi utilizzabili dai soggetti imprenditori o titolari di partecipazioni societarie che desiderano pianificare per tempo e in modo opportuno il momento della successione nella propria attività imprenditoriale (c.d. Family Business).

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LA NUOVA FISCALITÀ DELLE DONAZIONI

Il nuovo regime fiscale delle donazioni

• Sotto il profilo tributario, le donazioni erano state quasi completamente de-tassate dalla legge n. 383/2001 (c.d. legge dei "100 giorni").

• Con il d.l. 3 ottobre 2006, n. 262 (art. 6), è stata reintrodotta un'articolata e onerosa tassazione degli atti a titolo gratuito.

NORMATIVA DI RIFERIMENTO SU “DONAZIONE”

Codice civile

Art. 769

DEFINIZIONE

1. La donazione e` il contratto col quale, per spirito di liberalita`, una parte arricchisce l'altra,

disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa una obbligazione.

Art. 770

DONAZIONE RIMUNERATORIA

1. E` donazione anche la liberalita` fatta per riconoscenza o in considerazione dei meriti del donatario

o per speciale rimunerazione.

2. Non costituisce donazione la liberalita` che si suole fare in occasione di servizi resi o comunque in

conformita` agli usi.

Art. 771

DONAZIONE DI BENI FUTURI

1. La donazione non puo` comprendere che i beni presenti del donante. Se comprende beni futuri, e`

nulla rispetto a questi, salvo che si tratti di frutti non ancora separati.

2. Qualora oggetto della donazione sia un'universalita` di cose e il donante ne conservi il godimento

trattenendola presso di se`, si considerano comprese nella donazione anche le cose che vi si

aggiungono successivamente, salvo che dall'atto risulti una diversa volonta`.

Normativa di riferimento su “le donazioni”

141

Art. 772

DONAZIONE DI PRESTAZIONI PERIODICHE

1. La donazione che ha per oggetto prestazioni periodiche si estingue alla morte del donante, salvo

che risulti dall'atto una diversa volonta`.

Art. 773

DONAZIONE A PIU` DONATARI

1. La donazione fatta congiuntamente a favore di piu` donatari s'intende fatta per parti uguali, salvo

che dall'atto risulti una diversa volonta`.

2. E` valida la clausola con cui il donante dispone che, se uno dei donatari non puo` o non vuole

accettare, la sua parte si accresca agli altri.

Art. 774

CAPACITA` DI DONARE

1. Non possono fare donazione coloro che non hanno la piena capacita` di disporre dei propri beni. E`

tuttavia valida la donazione fatta dal minore e dall'inabilitato nel loro contratto di matrimonio a norma

degli artt. 165 e 166.

2. Le disposizioni precedenti si applicano anche al minore emancipato autorizzato all'esercizio di

un'impresa commerciale. Art. 775 DONAZIONE FATTA DA PERSONA INCAPACE D'INTENDERE O DI VOLERE 1. La donazione fatta da persona che, sebbene non interdetta, si provi essere stata per qualsiasi causa, anche transitoria, incapace d'intendere o di volere al momento in cui la donazione e` stata fatta, puo` essere annullata su istanza del donante, dei suoi eredi o aventi causa. 2. L'azione si prescrive in cinque anni dal giorno in cui la donazione e` stata fatta. Art. 776 DONAZIONE FATTA DALL'INABILITATO 1. La donazione fatta dall'inabilitato, anche se anteriore alla sentenza d'inabilitazione o alla nomina del curatore provvisorio, puo` essere annullata se fatta dopo che e` stato promosso il giudizio d'inabilitazione.

2. Il curatore dell'inabilitato per prodigalita` puo` chiedere l'annullamento della donazione, anche se

fatta nei sei mesi anteriori all'inizio del giudizio d'inabilitazione.

Art. 777 DONAZIONI FATTE DA RAPPRESENTANTI DI PERSONE INCAPACI 1. Il padre e il tutore non possono fare donazioni per la persona incapace da essi rappresentata. 2. Sono consentite, con le forme abilitative richieste, le liberalita` in occasione di nozze a favore dei discendenti dell'interdetto o dell'inabilitato. Art. 778 MANDATO A DONARE 1. E` nullo il mandato con cui si attribuisce ad altri la facolta` di designare la persona del donatario o di determinare l'oggetto della donazione.

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2. E` peraltro valida la donazione a favore di persona che un terzo scegliera` tra piu` persone designate dal donante o appartenenti a determinate categorie, o a favore di una persona giuridica tra quelle indicate dal donante stesso. 3. E` del pari valida la donazione che ha per oggetto una cosa che un terzo determinera` tra piu` cose indicate dal donante o entro i limiti di valore dal donante stesso stabiliti. Art. 779 DONAZIONE A FAVORE DEL TUTORE O PROTUTORE 1. E` nulla la donazione a favore di chi e` stato tutore o pro- tutore del donante, se fatta prima che sia stato approvato il conto o sia estinta l'azione per il rendimento del conto medesimo. 2. Si applicano le disposizioni dell'art. 599. Art. 780 DONAZIONE AL FIGLIO NATURALE NON RICONOSCIBILE N. Redaz. - La L. 19.05.75, n. 151, art. 205 ha abrogato il presente articolo. Art. 781 DONAZIONE TRA CONIUGI 1. I coniugi non possono, durante il matrimonio, farsi l'uno all'altro alcuna liberalita`, salve quelle conformi agli usi. Con sentenza del 27.06.73, n. 91, la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale il presente articolo

Art. 782

FORMA DELLA DONAZIONE 1. La donazione deve essere fatta per atto pubblico, sotto pena di nullita`. Se ha per oggetto cose mobili, essa non e` valida che per quelle specificate con indicazione del loro valore nell'atto medesimo della donazione, ovvero in una nota a parte sottoscritta dal donante, dal donatario e dal notaio. 2. L'accettazione puo` essere fatta nell'atto stesso o con atto pubblico posteriore. In questo caso la donazione non e` perfetta se non dal momento in cui l'atto di accettazione e` notificato al donante. 3. Prima che la donazione sia perfetta, tanto il donante quanto il donatario possono revocare la loro dichiarazione. 4. Se la donazione e` fatta a una persona giuridica, il donante non puo` revocare la sua dichiarazione dopo che gli e` stata notificata la domanda diretta a ottenere dall'autorita` governativa l'autorizzazione ad accettare. Trascorso un anno dalla notificazione senza che l'autorizzazione sia stata concessa, la dichiarazione puo` essere revocata. Art. 783 DONAZIONI DI MODICO VALORE 1. La donazione di modico valore che ha per oggetto beni mobili e` valida anche se manca l'atto pubblico, purche` vi sia stata la tradizione. 2. La modicita` deve essere valutata anche in rapporto alle condizioni economiche del donante. Art. 784 DONAZIONE A NASCITURI 1. La donazione puo` essere fatta anche a favore di chi e` soltanto concepito, ovvero a favore dei figli

di una determinata persona vivente al tempo della donazione benche` non ancora concepiti.

Normativa di riferimento su “le donazioni”

143

2. L'accettazione della donazione a favore di nascituri, benche` non concepiti, e` regolata dalle

disposizioni degli art. 320 e 321.

3. Salvo diversa disposizione del donante, l'amministrazione dei beni donati spetta al donante o ai suoi

eredi, i quali possono essere obbligati a prestare idonea garanzia. I frutti maturati prima della nascita sono

riservati al donatario se la donazione e` fatta a favore di un nascituro gia` concepito. Se e` fatta a favore

di un non concepito, i frutti sono riservati al donante sino al momento della nascita del donatario.

Art. 785

DONAZIONE IN RIGUARDO DI MATRIMONIO 1. La donazione fatta in riguardo di un determinato futuro matrimonio, sia dagli sposi tra loro, sia da altri a favore di uno o di entrambi gli sposi o dei figli nascituri da questi, si perfeziona senza bisogno che sia accettata, ma non produce effetto finche` non segua il matrimonio. 2. L'annullamento del matrimonio importa la nullita` della donazione. Restano tuttavia salvi i diritti acquistati dai terzi di buona fede tra il giorno del matrimonio e il passaggio in giudicato della sentenza che dichiara la nullita` del matrimonio. Il coniuge di buona fede non e` tenuto a restituire i frutti percepiti anteriormente alla domanda di annullamento del matrimonio. 3. La donazione in favore di figli nascituri rimane efficace per i figli rispetto ai quali si verificano gli effetti del matrimonio putativo. Art. 786 DONAZIONE A ENTE NON RICONOSCIUTO 1. La donazione a favore di un ente non riconosciuto non ha efficacia, se entro un anno non e` notificata al donante l'istanza per ottenere il riconoscimento. La notificazione produce gli effetti indicati dall'ultimo comma dell'art. 782. 2. Salvo diversa disposizione del donante, i frutti maturati prima del riconoscimento sono riservati al donatario. Art. 787 ERRORE SUL MOTIVO DELLA DONAZIONE 1. La donazione puo` essere impugnata per errore sul motivo, sia esso di fatto o di diritto, quando il motivo risulta dall'atto ed e` il solo che ha determinato il donante a compiere la liberalità Art. 788 MOTIVO ILLECITO 1. Il motivo illecito rende nulla la donazione quando risulta dall'atto ed e` il solo che ha determinato il donante alla liberalita`. Art. 789 INADEMPIMENTO O RITARDO NELL'ESECUZIONE 1. Il donante, in caso d'inadempimento o di ritardo nell'eseguire la donazione, e` responsabile soltanto per dolo o per colpa grave Art. 790 RISERVA DI DISPORRE DI COSE DETERMINATE 1. Quando il donante si e` riservata la facolta` di disporre di qualche oggetto compreso nella

donazione o di una determinata somma sui beni donati, e muore senza averne disposto, tale facolta`

non puo` essere esercitata dagli eredi.

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Art. 791

CONDIZIONE DI RIVERSIBILITA`

1. Il donante puo` stipulare la riversibilita` delle cose donate, sia per il caso di premorienza del solo

donatario, sia per il caso di premorienza del donatario e dei suoi discendenti.

2. Nel caso in cui la donazione e` fatta con generica indicazione della riversibilita`, questa riguarda la

premorienza, non solo del donatario, ma anche dei suoi discendenti.

3. Non si fa luogo a riversibilita` che a beneficio del solo donante. Il patto a favore di altri si considera

non apposto.

Art. 792

EFFETTI DELLA RIVERSIBILITA`

1. Il patto di riversibilita` produce l'effetto di risolvere tutte le alienazioni dei beni donati e di farli

ritornare al donante liberi da ogni peso o ipoteca, ad eccezione dell'ipoteca iscritta a garanzia della

dote o di altre convenzioni matrimoniali, quando gli altri beni del coniuge donatario non sono

sufficienti, e nel caso soltanto in cui la donazione e` stata fatta con lo stesso contratto matrimoniale

da cui l'ipoteca risulta.

2. E` valido il patto per cui la riversione non deve pregiudicare la quota di riserva spettante al coniuge

superstite sul patrimonio del donatario, compresi in esso i beni donati.

Art. 793

DONAZIONE MODALE

1. La donazione puo` essere gravata da un onere.

2. Il donatario e` tenuto all'adempimento dell'onere entro i limiti del valore della cosa donata.

3. Per l'adempimento dell'onere puo` agire, oltre il donante, qualsiasi interessato, anche durante la

vita del donante stesso.

4. La risoluzione per inadempimento dell'onere, se preveduta nell'atto di donazione, puo` essere

domandata dal donante o dai suoi eredi.

Art. 794

ONERE ILLECITO O IMPOSSIBILE

1. L'onere illecito o impossibile si considera non apposto; rende tuttavia nulla la donazione se ne ha

costituito il solo motivo determinante.

Art. 795 DIVIETO DI SOSTITUZIONE 1. Nelle donazioni non sono permesse le sostituzioni se non nei casi e nei limiti stabiliti per gli atti di ultima volonta`. 2. La nullita` delle sostituzioni non importa nullita` della donazione. Art. 796 RISERVA DI USUFRUTTO 1. E` permesso al donante di riservare l'usufrutto dei beni donati a proprio vantaggio, e dopo di lui a vantaggio di un'altra persona o anche di piu` persone, ma non successivamente

Normativa di riferimento su “le donazioni”

145

Art. 797 GARANZIA PER EVIZIONE 1. Il donante e` tenuto a garanzia verso il donatario, per l'evizione che questi puo` soffrire delle cose donate, nei casi seguenti: 1) se ha espressamente promesso la garanzia; 2) se l'evizione dipende dal dolo o dal fatto personale di lui; 3) se si tratta di donazione che impone oneri al donatario, o di donazione rimuneratoria, nei quali casi la garanzia e` dovuta fino alla concorrenza dell'ammontare degli oneri o dell'entita` delle prestazioni ricevute dal donante. Art. 798 RESPONSABILITA` PER VIZI DELLA COSA 1. Salvo patto speciale, la garanzia del donante non si estende ai vizi della cosa, a meno che il donante sia stato in dolo

Art. 799

CONFERMA ED ESECUZIONE VOLONTARIA DI DONAZIONI NULLE

1. La nullita` della donazione, da qualunque causa dipenda, non puo` essere fatta valere dagli eredi o

aventi causa dal donante che, conoscendo la causa della nullita`, hanno, dopo la morte di lui,

confermato la donazione o vi hanno dato volontaria esecuzione.

Art. 799

CONFERMA ED ESECUZIONE VOLONTARIA DI DONAZIONI NULLE

1. La nullita` della donazione, da qualunque causa dipenda, non puo` essere fatta valere dagli eredi o

aventi causa dal donante che, conoscendo la causa della nullita`, hanno, dopo la morte di lui,

confermato la donazione o vi hanno dato volontaria esecuzione

Art. 800

CAUSE DI REVOCAZIONE

1. La donazione puo` essere revocata per ingratitudine o per sopravvenienza di figli.

Art. 801

REVOCAZIONE PER INGRATITUDINE

1. La domanda di revocazione per ingratitudine non puo` essere proposta che quando il donatario ha

commesso uno dei fatti previsti dai numeri 1, 2 e 3 dell'art. 463, ovvero si e` reso colpevole d'ingiuria

grave verso il donante o ha dolosamente arrecato grave pregiudizio al patrimonio di lui o gli ha

rifiutato indebitamente gli alimenti dovuti ai sensi degli art. 433, 435 e 436.

Art. 802

TERMINI E LEGITTIMAZIONE AD AGIRE

1. La domanda di revocazione per causa d'ingratitudine deve essere proposta dal donante o dai suoi

eredi, contro il donatario o i suoi eredi, entro l'anno dal giorno in cui il donante e` venuto a

conoscenza del fatto che consente la revocazione.

D O N A Z I O N E

D I

A Z I E N D A

146

2. Se il donatario si e` reso responsabile di omicidio volontario in persona del donante o gli ha

dolosamente impedito di revocare la donazione, il termine per proporre l'azione e` di un anno dal

giorno in cui gli eredi hanno avuto notizia della causa di revocazione.

Art. 803

REVOCAZIONE PER SOPRAVVENIENZA DI FIGLI

1. Le donazioni, fatte da chi non aveva o ignorava di avere figli o discendenti legittimi al tempo della

donazione, possono essere revocate per la sopravvenienza o l'esistenza di un figlio o discendente

legittimo del donante. Possono inoltre essere revocate per il riconoscimento di un figlio naturale, fatto

entro due anni dalla donazione, salvo che si provi che al tempo della donazione il donante aveva

notizia dell'esistenza del figlio.

2. La revocazione puo` essere domandata anche se il figlio del donante era gia` concepito al tempo

della donazione.

Art. 804

TERMINE PER L'AZIONE

1.L'azione di revocazione per sopravvenienza di figli deve essere proposta entro cinque anni dal giorno

della nascita dell'ultimo figlio o discendente legittimo ovvero della notizia dell'esistenza del figlio o

discendente, ovvero dell'avvenuto riconoscimento del figlio naturale.

2. Il donante non puo` proporre o proseguire l'azione dopo la morte del figlio o del discendente.

Art. 805

DONAZIONI IRREVOCABILI

1. Non possono revocarsi per causa d'ingratitudine, ne` per sopravvenienza di figli, le donazioni

rimuneratorie e quelle fatte in riguardo di un determinato matrimonio.

Art. 806

INAMMISSIBILITA` DELLA RINUNZIA PREVENTIVA

1. Non e` valida la rinunzia preventiva alla revocazione della donazione per ingratitudine o per

sopravvenienza di figli.

Art. 807

EFFETTI DELLA REVOCAZIONE

1. Revocata la donazione per ingratitudine o sopravvenienza di figli, il donatario deve restituire i beni

in natura, se essi esistono ancora, e i frutti relativi, a partire dal giorno della domanda.

2. Se il donatario ha alienato i beni, deve restituirne il valore, avuto riguardo al tempo della domanda,

e i frutti relativi, a partire dal giorno della domanda stessa.

Art. 808

EFFETTI NEI RIGUARDI DEI TERZI

1. La revocazione per ingratitudine o per sopravvenienza di figli non pregiudica i terzi che hanno

acquistato diritti anteriormente alla domanda, salvi gli effetti della trascrizione di questa.

Normativa di riferimento su “le donazioni”

147

2. Il donatario, che prima della trascrizione della domanda di revocazione ha costituito sui beni donati

diritti reali che ne diminuiscono il valore, deve indennizzare il donante della diminuzione di valore

sofferta dai beni stessi.

Art. 809

NORME SULLE DONAZIONI APPLICABILI AD ALTRI ATTI DI LIBERALITA`

1. Le liberalita`, anche se risultano da atti diversi da quelli previsti dall'art. 769, sono soggette alle

stesse norme che regolano la revocazione delle donazioni per causa d'ingratitudine e per

sopravvenienza di figli, nonche` a quelle sulla riduzione delle donazioni per integrare la quota dovuta

ai legittimari.

2. Questa disposizione non si applica alle liberalita` previste dal secondo comma dell'art. 770 e a

quelle che a norma dell'art. 742 non sono soggette a collazione.

Circolare 30 novembre 2000, n. 221 (Riportata anche a pagina 88, qui presente per completezza)

SUCCESSIONI E DONAZIONI IPOTECARIA E CATASTALE TRATTAMENTO TRIBUTARIO

DEGLI ATTI DI COSTITUZIONE DEL FONDO PATRIMONIALE

L'argomento oggetto della presente circolare é stato esaminato in occasione della riunione tenutasi il 28

giugno 2000 con i responsabili dei Servizi di Consulenza Giuridica delle Direzioni Regionali delle Entrate. Al

riguardo, si partecipano le definitive determinazioni cui é pervenuta la scrivente sulla base anche delle

osservazioni emerse nella predetta riunione o successivamente pervenute dalle Direzioni Regionali.

********

L'art. 49 della legge 19 maggio 1975, n. 151 ha modificato l'art. 167 del c.c., introducendo nel nostro

ordinamento la costituzione del fondo patrimoniale, con lo scopo di "far fronte ai bisogni della

famiglia". Il fondo é costituito per iniziativa di uno o ambedue i coniugi, per atto pubblico, oppure per

iniziativa di un terzo, anche per testamento, con beni di varia natura (immobili, mobili iscritti in

pubblici registri e titoli di credito).

Tali beni, sottoposti a un vincolo di destinazione, configurano una sorta di patrimonio separato il cui

elemento distintivo e caratterizzante e' dato dalla sua particolare ed indefettibile destinazione ai

bisogni della famiglia.

I beni costituenti il fondo patrimoniale sono soggetti, infatti, ad alcuni limiti:

a) i frutti prodotti possono essere utilizzati solo per i bisogni della famiglia;

b) la loro amministrazione è regolata dalle norme relative alla comunione legale;

c) non possono essere alienati, ipotecati, dati in pegno o comunque vincolati senza il consenso di

entrambi i coniugi e, se vi sono figli minori, solo con l'autorizzazione concessa dal giudice, salvo che

non sia stato espressamente consentito nell'atto di costituzione;

d) il fondo e i suoi frutti non possono essere oggetto di azioni esecutive per debiti che il creditore

sapeva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.

Il vincolo di destinazione del fondo viene a cessare a seguito dell'annullamento, dello scioglimento o della

cessazione degli effetti civili del matrimonio, tranne nell'ipotesi in cui vi sia la presenza di figli minori; in tal

caso il fondo dura sino al compimento della maggiore età dell'ultimo figlio ed il giudice può impartire

disposizioni per l'amministrazione dei beni.

D O N A Z I O N E

D I

A Z I E N D A

148

Dal punto di vista giuridico, l'atto costitutivo del fondo patrimoniale riveste natura negoziale.

Al riguardo, con particolare riferimento alla costituzione del fondo ad opera di uno solo dei coniugi, va

osservato che, secondo una parte della dottrina, tale costituzione si perfeziona senza necessità

dell'accettazione dell'altro coniuge (tesi dell'atto unilaterale), mentre, per altri, trattandosi di una

convenzione matrimoniale é necessaria l'accettazione del coniuge (tesi della convenzione bilaterale).

Ne discende che, per quanto riguarda la natura giuridica del fondo patrimoniale, se si ritiene non

necessario il consenso dell'altro coniuge si delinea un atto unilaterale di destinazione; al contrario, se

tale consenso é ritenuto necessario, la costituzione del fondo patrimoniale é riconducibile ad un

contratto, o meglio, ad una convenzione matrimoniale bilaterale. Come si preciserà più avanti,

l'accettazione ha importanti riflessi anche dal punto di vista fiscale.

La costituzione del fondo patrimoniale e la successiva gestione danno origine a diverse problematiche

di ordine fiscale.

Pertanto, al fine di inquadrare in modo corretto l'atto di costituzione del fondo nell'ambito della disciplina delle

imposte di registro, sulle successioni e donazioni, nonché ipotecaria e catastale, si procederà ad una

classificazione delle varie ipotesi configurabili sulla base dei soggetti che lo costituiscono.

a) fondo costituito con beni di proprietà di entrambi i coniugi.

In tale ipotesi l'atto di costituzione del fondo esprime soltanto una volontà "vincolante", essendo del

tutto esclusa ogni volontà traslativa.

Ne consegue l'inapplicabilità dell'imposta sulle successioni e donazioni per assenza del presupposto

d'imposta, ossia il trasferimento di beni e diritti a titolo gratuito per atto inter vivos o mortis causa.

Ai fini, invece, dell'imposta di registro l'atto di costituzione del fondo non potrà considerarsi nemmeno

di natura dichiarativa. Ed infatti, mentre gli atti con efficacia dichiarativa rafforzano, affievoliscono,

specificano la situazione precedente oppure eliminano una situazione di incertezza, l'atto di

costituzione del fondo crea sui beni che ne fanno parte un vincolo di destinazione, realizzato

attraverso particolari regole di amministrazione e di responsabilità.

Pertanto tale atto, nell'ipotesi in esame, andrà inquadrato nell'art.11 della parte prima della tariffa

allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, approvato con DPR 26 aprile

1986, n. 131, e soggetto, pertanto, all'imposta nella misura fissa di L. 250.000.

b) fondo costituito con beni di proprietà di uno solo dei coniugi che se ne riserva la proprietà.

Anche in tale ipotesi non vi é effetto traslativo. A tale conclusione induce la considerazione che il fondo é

funzionale ai bisogni della famiglia e che fa carico ai coniugi, e più precisamente al coniuge proprietario,

l'obbligo di assistenza economico - materiale della famiglia (cfr. Cass. 7 maggio 1992 n. 5415).

Lo stesso c.c., rispettivamente negli artt. 143 e 147, disciplina l'obbligo reciproco dei coniugi

all'assistenza materiale nonché i doveri dei genitori verso la prole.

A tale fattispecie si estendono, pertanto, le conclusioni formulate con riferimento all'ipotesi a) e,

specificamente, l'inapplicabilità dell'imposta sulle successioni e donazioni e l'applicazione dell'imposta

di registro nella misura fissa di L. 250.000.

c) fondo costituito con beni di proprietà di uno solo dei coniugi che non se ne riserva la proprietà.

Al riguardo si ritiene di dovere distinguere il caso in cui vi sia accettazione da parte dell'altro coniuge

dal caso in cui ciò non avvenga.

In caso di assenza di accettazione, fermo restando il vincolo di destinazione dei beni, non si verifica

però alcun effetto traslativo della proprietà sugli stessi. Pertanto, per gli stessi motivi addotti con

riferimento alle ipotesi di cui alle lettere a) e b), é dovuta la sola imposta di registro in misura fissa.

Normativa di riferimento su “le donazioni”

149

Qualora, invece, vi sia accettazione da parte del coniuge che non conferisce i beni, si verifica l'effetto

traslativo per la quota pari al 50% dei beni destinati al fondo, per i quali sia intervenuta l'accettazione.

L'atto é, pertanto, soggetto al regime tributario previsto per le donazioni con riferimento al solo valore

corrispondente all'attribuzione patrimoniale.

d) fondo costituito con beni di un terzo che non se ne riserva la proprietà.

In tale fattispecie si é in presenza di effetti traslativi della proprietà; l'atto é, pertanto, soggetto

all'imposta sulle donazioni se e nella misura in cui vi sia stata accettazione.

e) fondo costituito con beni di un terzo che se ne riserva la proprietà.

Anche nell'ipotesi in cui il fondo viene costituito con beni di un terzo che se ne riserva la proprietà, il

relativo atto deve essere assoggettato al trattamento impositivo previsto per gli atti di trasferimento a

titolo gratuito.

Infatti, in questo caso, sebbene non si verifichi l'effetto traslativo della piena proprietà dei beni

conferiti, tuttavia, dalla costituzione del fondo deriva per i coniugi il vantaggio, di carattere economico,

di utilizzare i frutti prodotti dai beni che vi sono destinati.

Questa fattispecie non risulta espressamente disciplinata dal testo unico dell'imposta sulle successioni

e donazioni e, pertanto, ai fini della determinazione del valore della base imponibile, troveranno

applicazione i criteri previsti dall'articolo 17 del medesimo decreto per la determinazione del valore

delle rendite.

Per completezza di argomento, si fa cenno al regime tributario degli atti in argomento ai fini delle

imposte ipotecaria e catastale.

L'obbligo della trascrizione del vincolo derivante dalla costituzione del fondo patrimoniale é previsto

dall'art. 2647 del c.c.. Al riguardo si precisa che la Corte di Cassazione, con sentenza del 27 novembre

1987 n. 8824, ha attribuito a tale trascrizione la funzione di pubblicità-notizia.

Ne consegue che:

* qualora la costituzione del fondo patrimoniale non comporti trasferimento di beni immobili, per la

formalità di trascrizione é dovuta l'imposta ipotecaria in misura fissa di cui all'art. 4 della tariffa

allegata al testo unico delle disposizioni concernenti le imposte ipotecaria e catastale, approvato con

d.lgs 31 ottobre 1990, n. 347.

* qualora, invece, la costituzione del fondo patrimoniale comporti trasferimento di beni immobili, sono

dovute le imposte ipotecaria e catastale nella misura proporzionale stabilita rispettivamente dall'art. 1

della tariffa allegata al suindicato testo unico e dall'art. 10 dello stesso testo unico.

Le Direzioni Regionali vigileranno sulla corretta applicazione delle presenti istruzioni.

D O N A Z I O N E

D I

A Z I E N D A

150

LA PIANIFICAZIONE SOCIETARIA* a cura di Luigi Belluzzo

* Disponibile sul sito una tavola sinottica delle possibili agevolazioni societarie e dell’impatto della variabile fiscale nelle singole ipotesi

PIANIFICAZIONE PATRIMONIALE

La circolazione delle ricchezza a mezzo della pianificazione societaria:

• Operazioni straordinarie d’impresa come strumento di pianificazione per il passaggio generazionale– Obiettivi del passaggio generazionale– Strumenti per la realizzazione del passaggio generazionale – Oggetto e momento del passaggio– Situazione aziendale di partenza – Modalità del passaggio e livello di coinvolgimento dei successori

• Incidenza dell’impatto tributario nelle operazioni di pianificazione societaria

OBIETTIVI DEL PASSAGGIO GENERAZIONALE• tutela dell’integrità del patrimonio aziendale in presenza di molteplici eredi

con capacità imprenditoriali diverse,

• tutela del patrimonio familiare nei confronti di soggetti indesiderati dalla famiglia,

• Valutazioni circa la continuità d’impresa; scelta di chi sarà il vero continuatore dell’azienda di famiglia e mantenimento (totale/parziale) del controllo da parte del fondatore fino alla sua morte o ritiro.

• ottimizzazione fiscale

La pianificazione societaria

151

STRUMENTI PER LA REALIZZAZIONEDEL PASSAGGIO GENERAZIONALE

SOLUZIONI A DISPOSIZIONE

a) Donazione;

b) Creazione di Società Holding di Famiglia;

c) Affitto di azienda e successiva cessione, con cui attraverso l’affitto il fondatore prova le capacità imprenditoriali dell’erede designato, al cui termine viene posto in essere l’effettivo trasferimento della titolaritàdell’azienda;

d) Trasferimento della nuda proprietà della partecipazione azionaria ai futuri eredi e mantenimento dell’usufrutto in capo al fondatore, con conseguente mantenimento del controllo delle gestione fino alla morte dello stesso;

e) Trusts e strumenti di protezione e segregazione;

f) Patti di Famiglia e Family Buy Out;

Oggetto del passaggio

Possono costituire oggetto di trasferimento:

1. Patrimonio immobiliare

2. quote e partecipazioni (beni di 2° grado)

3. Azienda

4. Altri beni

P I A N I F I C A Z I O N E

S O C I E T A R I A

152

Momento del passaggioIl trasferimento dal fondatore ai discendenti può essere realizzato: inter vivos (Separazione della gestione aziendale dalla proprietà ai fini di un trasferimento graduale e progressivo coinvolgimento eredi attività imprenditoriale –formazione):

– Nuda proprietà delle quote con riserva di usufrutto in capo al fondatore; – Stipula di patti di famiglia e patti parasociali per agevolare il ricambio

generazionale;– Istituzione di un Trust con atto inter vivos– Categorie speciali di azioni con diritti di voto o con diritti di nomina del Consiglio

di Sorveglianza (in caso modello dualistico S.p.a); poteri di nomina organo amministrativo in SRL.

•post mortem, trasferimento assume efficacia a favore dei discendenti,– Disposizioni testamentarie– Previsione di un Trust testamentario;

Situazione aziendale di partenza

• Azienda sana vs azienda in difficoltà finanziarie/economiche/patrimoniali

• Diverse opzioni in funzione dello status dell’azienda e della consistenza del restante patrimonio aziendale.

• Passaggio generazionale comporta accanto a problematiche di razionalizzazione e riassetto anche un supporto finanziario (coinvolgimento di Fondi di Private Equity, interlocutori finanziari, banche)

La pianificazione societaria

153

Modalità di realizzazione del passaggio

a titolo oneroso (cessione) ovvero a titolo gratuito (donazione, successione);

Livello di coinvolgimento degli eredi

• Attribuzione della proprietà, di diritti di godimento o altre posizioni giuridiche;

• Rapporto con l’imprenditore

• Eventuale coinvolgimento di soci esterni alla famiglia;

La creazione di una holding può essere evento propedeutico a qualunque decisione, in ragione dell’accentramento del patrimonio che ne deriva.

Può poi risultare strumento di pianificazione a sé, in ragione dell’adozione di particolari schemi di governance o di patti parasociali.

Una società holding dispiega in realtà una molteplicità vantaggi, quali:1.l’ottimizzazione del controllo e dell’allocazione delle risorse;2.l’accentramento del patrimonio e della finanza, con benefici effetti verso le banche

(Basilea2), nonché i servizi comuni (es. contabilità);3.la possibilità di sfruttare i nuovi strumenti offerti dalla Riforma Fiscale.

Da prestare attenzione comunque alla maggior burocrazia che la caratterizza (UIC), all’applicazione della normativa sulle società di comodo e all’interposizione fiscale di un soggetto ulteriore tra persone fisiche proprietarie e società operative.

LA SOCIETÀ HOLDING DI FAMIGLIA

P I A N I F I C A Z I O N E

S O C I E T A R I A

154

Una particolare modalità di realizzo è data dall’art. 177, co. 2, del TUIR.

LA HOLDING DI FAMIGLIA: COME CREARLA

SRL YSRL X SRL Z

ALFA

SPA / SRL

Partecipazioni Holding

Partecipazioni operative

Conferimento in natura (con perizia), la cui neutralità presuppone:- l'apporto di una partecipazione che consenta alla conferitaria l'acquisto del controllo della data società (51%)- un aumento di patrimonio netto della conferitariapari al costo fiscale delle partecipazioni trasferite.

HOLDING ITALIANA

SRL BSRL A SRL C SRL BSRL A SRL C

HOLDING

SRL BSRL A SRL C

PRIMA DELLOSCAMBIO

DOPO LOSCAMBIO

IN PIENA NEUTRALITA’

La pianificazione societaria

155

Alternativo è il ricorso agli artt. 178 e ss. del TUIR, con costituzione di una holding presso una diversa giurisdizione comunitaria → pianificazione come momento di cambiamento.

LA HOLDING DI FAMIGLIA: LA SCELTA INTERNAZIONALE

Condizioni meno stringentiNecessità di condurre un processo di comparazione su:- condizioni e modalità di applicazione dei sistemi concorrenti di “participation exemption”

(quota esente dei dati proventi, periodo minimo e condizioni di applicazione in primis);- ammontare di capitale minimo di dotazione;- “Thin Capitalization”;- “Controlled Foreign Companies”;- tassazione delle società di comodo;- sistema di ritenute interno e l’ampiezza del network convenzionale.

Attenzione alle norme anti abuso e all’inversione della prova sulle presunte “esterovestite” (art. 73 Tuir novellato dalla L. 248/06).

HOLDING <<EUROPEA>>

SRL BSRL A SRL C SRL BSRL A SRL C

HOLDINGUE

SRL BSRL A SRL C

PRIMA DELLOSCAMBIO

DOPO LOSCAMBIO

IN PIENA NEUTRALITA’

P I A N I F I C A Z I O N E

S O C I E T A R I A

156

La riforma del diritto societario ha portato molte argomentazioni all’utilizzo della

S.r.l. quale veicolo di governance e patto tra familiari, accanto alla quale vanno

certamente valutate le varie opzione che sono inseribili nello statuto di una

S.p.a. e, per le situazioni particolarmente complesse, l’utilizzo delle S.a.p.a.

LA HOLDING DI FAMIGLIA: LA S.A.P.A. / LA S.P.A. /LA S.R.L.

caso pratico 1

1 0 0 , 0 % 1 0 0 , 0 % 5 1 , 0 % 1 0 0 , 0 %

8 5 , 0 % 8 0 , 0 %

1 2 3

s o c i e t à o p e r a t i v a

A 1 S . r . l .

s o c i e t à o p e r a t i v ai m m o b i l i d i p r o p r i e t à

s o c i e t à o p e r a t i v a

B 1 S . r . l .

i m m o b i l i d i p r o p r i e t à

3 R a m i f a m i l i a r i

i m m o b i l i d i p r o p r i e t à

s o c i e t à o p e r a t i v a

i m m o b i l i d i p r o p r i e t à

s o c i e t à o p e r a t i v a

A S . r . l . B S . r . l . D S . r . l .C S . r . l .

Triplice volontà di:- accentrare il tema dei rapporti tra i tre rami familiari, adottando altresì una soluzione

capace di assicurare la pacifica convivenza (oggi perfetto equilibrio), prima della scomparsa di uno dei tre capostipiti;

- creare le condizioni per una pianificazione per ramo e per singolo;- riorganizzare il gruppo e renderlo societariamente efficiente e “basilea II”

La pianificazione societaria

157

caso pratico 2

1 0 0 %

8 0 % 8 5 % 1 0 0 % 1 0 0 % 1 0 0 %

1 ) I ra m i p a r te c ip a tiv i (A 1 S .r . l.) e im m o b ilia r i ( (d i A , C e D ) s o n o s ta t i s p o s ta t i a m e zz o d i u n a c o n te s tu a le tr ip la s c is s io n e .

2 ) L e p a r te c ip a z io n i d e te n u te a t ito lo p e rs o n a le n e lle o p e ra tiv e A , C e D s o n o s ta te c o n fe r ite n e lla H o ld in g , e x B , a m e z zo d e ll'a r t. 1 7 7 , c o . 2 , d e l T U IR ;

3

H o ld in g (e x B S .r . l .)

im m o b ili + f in a n z a

3 R a m i fa m ilia r i

1 2

D S .r . l.A S .r . l.

s o c ie tà o p e ra tiv a s o c ie tà o p e ra tiv a s o c ie tà o p e ra tiv a

C S .r . l.

s o c ie tà o p e ra tiv a

B 1 S .r . l.

s o c ie tà o p e ra tiv a

A 1 S .r . l.

1/3 1/3 1/3

Tre capostipiti + Commercialista di Fiducia Un rappresentante per ramo della nuova generazione

Ramo 1 Ramo 2 Ramo 3

CdS(Consiglio di Sorveglianza)

CdGConsiglio di Gestione)

Poteri di controllo Poteri gestori

Holding in forma di Spa

Azioni speciali per nomina di un rappresentante per ramo nel CdSPoteri residuali dell'Assemblea

Capitale ripartito equamente

Adozione di un sistema dualistico, con rispetto delle posizioni di tutti i rami, mantenimento del controllo dei capostipiti e possibilità di crescita e responsabilizzazione della nuova generazione (nomina anche nelle operative).

Soluzione individuale per ramo e per membro del processo successorio.

Clausole statutarie e patto parasociale di coesione.

caso pratico 3

P I A N I F I C A Z I O N E

S O C I E T A R I A

158

SRL: Flessibilità e Governance

caso pratico 4

IL FAMILY BUY-OUTVariante delle diverse tecniche di acquisizione di azienda mediante il ricorso ad indebitamento (merger leveraged buy out), risolve il problema della scarsa capacità del familiare che intende rilevare le partecipazioni degli altri.

1. Creazione di una Newco.

2. Suo indebitamento;

3. Acquisto delle partecipazioni target, con fusione;

4. Produzione attesa di flussi per il rimborso del debito (in alternativa a processi di dismissione assets).

La pianificazione societaria

159

CESSIONE VS. CONFERIMENTO (CENNI)

CESSIONE AZIENDA

a) CESSIONE QUOTE

40% Plusv. tassata Irpef

b) CESSIONE AZIENDA

Plusvalenza tassata al 33% in capo alla società, e al 40% Irpef, come utile, presso il socio.

SRL A SRL A

SRL B

CESSIONE QUOTE DI B IN

PEX

NO 37-BIS

CONFERIMENTO NEUTRALE ex art. 176 TUIR

SRL

P I A N I F I C A Z I O N E

S O C I E T A R I A

160

AMMISSIBILITA’ DEI TRUSTS IN ITALIA E NUOVO ART. 2645-TER: “C’è relazione tra la disciplina contenuta

all’articolo 2645-ter del Codice Civile e l’istituto del Trust?”

a cura di Luigi Belluzzo

1. Premessa

L’approvazione dell'articolo 39 novies del D.L. 30 dicembre 2005173, n. 273, c.d. D.L “mille proroghe”, ha introdotto nel Codice Civile il nuovo articolo 2645-ter che prevede “la trascrivibilità nei registri immobiliari dell’atto con cui beni immobili o beni mobili registrati vengono destinati alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela”.

Con riferimento alla nuova disposizione, si possono porre interessanti rilievi circa la sua applicazione ad un istituto, che è divenuto oggetto di interesse crescente per la flessibilità e per la molteplicità di utilizzi in ambito economico, finanziario e giuridico: il trust, la cui genesi

è riconducibile all’ordinamento inglese sorretto dai principi dell’Equity e di Common Law, e “importato” nell’ordinamento giuridico italiano solo in un secondo momento. Lo scopo che il presente scritto si propone è quello di indagare la rilevanza che la

disposizione neo - introdotta assume in tema di riconoscimento del trust nell’ordinamento italiano e dunque di legittimazione sul piano civilistico interno del citato istituto giuridico.

2. Ammissibilità del Trust in Italia

Come sopra anticipato, l’istituto del trust costituisce uno strumento di autonomia privata flessibile sul piano operativo che consente di perseguire scopi talvolta anche difficilmente realizzabili mediante i tipici strumenti di civil law e di proteggere interessi non tutelabili

mediante il ricorso ai tradizionali strumenti giuridici; questa sua caratteristica ne ha determinato l’attrattività anche per gli ordinamenti, incluso quello italiano, a cui l’istituto era originariamente sconosciuto, che dunque si sono attivati al fine di una sua introduzione o

riconoscimento. A tal fine, l’Italia, nonostante ad oggi sia ancora sprovvista di una norma di diritto positivo che disciplini l’istituto in questione, ha sottoscritto e ratificato la Convenzione dell’Aja sul

riconoscimento giuridico degli effetti dei trusts con legge del 16 ottobre 1989, n. 364 entrata in vigore il 1° gennaio 1992. La Convenzione dell’Aja, all’art. 2, definisce trust “quel rapporto giuridico istituito da una persona, il disponente con atto tra vivi o mortis causa, qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico”, individuando pertanto, i presupposti oggettivi e soggettivi essenziali affinché si possa affermare di essere

in presenza di un trust ai fini convenzionali.

Alla luce del quadro normativo attuale, convenzionale ed interno, è ormai indubbia la co-

esistenza di tre modelli principali di trusts: il modello tradizionale inglese, il modello del trust

Si ringraziano la Dr Giulia Padovani e il Notaio Dr Lorenzo Salvatore. * Vista la materia in frequente evoluzione verrà reso disponibile ulteriore documentazione 173 Il D.L. 30 dicembre 2005, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 30 dicembre 2005, n. 303, è stato convertito con Legge del 23 febbraio 2006, n.51 con decorrenza dal 1 marzo 2006.

*

Ammissibilità dei trusts in Italia e nuovo art. 2645-TER

161

internazionale e il c.d. trust “amorfo”174 o convenzionale. Il trust convenzionale presenta le

seguenti caratteristiche:

a) i beni del trust costituiscono una massa distinta e non fanno parte del patrimonio del trustee;

b) i beni del trust sono intestati a nome del trustee o di un’altra persona per conto del trustee;

c) il trustee è investito del potere e onerato dell’obbligo, di cui deve rendere conto, di

amministrare, gestire o disporre dei beni secondo i termini del trust e le norme

particolari impostegli dalla legge.

Il fatto che il disponente mantenga alcune prerogative o facoltà non risulta in contrasto con

l’esistenza e la validità del trust.

Alla luce dell’attuale dibattito, è utile precisare che, sotto il profilo del riconoscimento e

dell’ammissibilità di tale istituto nell’ordinamento italiano, si deve rilevare come non tutti i modelli

richiamati sono in grado di “circolare” in Italia producendo validamente effetti giuridici.

Il riconoscimento di uno specifico trust all’interno del nostro ordinamento, stante l’assenza di

una legge interna che regoli direttamente l’istituto, deve effettuarsi caso per caso,

verificando il soddisfacimento dei requisiti della già citata Convenzione dell’Aja.

Pertanto, non essendo il trust un istituto tipico del nostro ordinamento, il singolo negozio

istitutivo deve essere sottoposto di volta in volta ad un giudizio di meritevolezza.

In virtù delle disposizioni Convenzionali sono riconosciuti in Italia:

i trusts esteri/ internazionali, intendendosi per tali, ai sensi del combinato disposto degli

artt. 7175 e 13176, i trusts in cui i beni, la sede del trustee, la nazionalità o residenza del

settlor, del trustee o del beneficiario, il luogo di amministrazione del trust sono collegati

ad altri ordinamenti giuridici diversi da quello italiano - riconosciuti ai sensi dell’art. 11

della Convenzione;

i trusts interni177, i cui elementi soggettivi e obiettivi appena richiamati sono tutti

connessi all'ordinamento italiano e l’unico elemento di internazionalità è costituito dalla

legge regolatrice scelta dalle parti - riconosciuti ai sensi. artt. 6178 e 7 della Convenzione.

174 L’espressione trust “amorfo” è stata introdotta da M. Lupoi per individuare il modello di trust che ha origine dalla definizione di trust di cui all’articolo 2 della citata Convenzione dell’Aja, che differisce sotto il profilo degli elementi essenziali costitutivi rispetto agli atri modelli esistenti, per un approfondimento della nozione di trust “amorfo” si confrontino gli scritti dello citato autore: “Introduzione ai Trusts” Ed. Giuffrè 1994 e “Trusts” Ed. Giuffrè 2001. 175 Art. 7 della Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985: “Qualora non sia stata scelta alcuna legge, il trust sarà regolato dalla legge con la quale ha collegamenti più stretti. Per determinare la legge con la quale il trust ha collegamenti più stretti, si fa riferimento in particolare: a. al luogo di amministrazione del trust designato dal disponente; b. alla ubicazione dei beni in trust; c. alla residenza o domicilio del trustee; d. allo scopo del trust e al luogo ove esso deve essere realizzato”. 176 Art. 13 della Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985: “Nessuno Stato è tenuto a riconoscere un trust i cui elementi significativi, ad eccezione della scelta della legge applicabile, del luogo di amministrazione o della residenza abituale del trustee, siano collegati più strettamente alla legge di Stati che non riconoscono l’istituto del trust o la categoria del trust in questione”. 177 M.Lupoi, Trusts ed. Giuffrè 2001, pag.546. 178 Art. 6 della Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985: “Il trust è regolato dalla legge scelta dal disponente. La scelta deve essere espressa oppure risultare dalle disposizioni dell’atto che istituisce il trust o ne fornisce la prova, interpretate se necessario alla luce delle circostanze del caso. Qualora la legge scelta in applicazione al precedente comma non preveda l’istituto del trust o la categoria del trust in questione, tale scelta è senza effetto e verrà applicata la legge di cui all’art. 7”.

T R U S T

162

Laddove il riconoscimento di trusts esteri all’interno dell’ordinamento italiano sotto il profilo

pratico e teorico non ha mai sollevato particolari profili problematici, il processo per il

riconoscimento della seconda tipologia di trusts è stato graduale e ha stimolato un intenso

dibattito dottrinale.

Attualmente si ritiene che, in presenza di fattispecie configuranti un trust interno179, qualora

la legge scelta dal disponente preveda l’istituto del trust ed anche la specifica figura di trust

cui il disponente vuol dar vita, ai sensi della Convenzione dell’Aja, suddetto trust sia

riconosciuto nell’ordinamento italiano e produttivo degli effetti previsti dalla legge regolatrice

straniera, nel rispetto delle norme imperative e sull’ordine pubblico vigenti in Italia nonchè

dei limiti scaturenti dal disposto combinato degli artt. 13, 15, 16 e 18 della Convenzione.

Infatti, in virtù dell’articolo 13 della Convenzione il giudice italiano ha la facoltà di negare il

riconoscimento degli effetti giuridici di un trust all’interno dell’ordinamento, tuttavia lo stesso

non può esercitare in modo arbitrario suddetta facoltà e negare il riconoscimento ad un trust

interno adducendo quale unica motivazione il fatto che il trust è localizzato in Italia e tutti gli

elementi oggettivi e soggettivi sono collegati all’ordinamento italiano, dovendo sussistere

altre motivazioni di carattere sostanziale.

Le pronunce di Giurisprudenza delle Corti Italiane, portano a concludere che la facoltà di cui

all’articolo 13 della Convenzione debba essere esercitata qualora il riconoscimento di uno specifico

trust interno non possa avvenire né sulla base della legge regolatrice scelta dal disponente, né di

quella individuata dai criteri di collegamento territoriale di cui all’art. 7 della Convenzione.

Una seconda ipotesi tipica di disconoscimento degli effetti giuridici di un trust interno da

parte dei Tribunali Italiani è costituita dalle fattispecie che risultano avere come finalità

prevalente l’aggiramento o la violazione di norme di legge, realizzando in concreto un “abuso di diritto” ovvero un utilizzo in “frode alla legge” di un istituto atipico quale il trust. In tale

ipotesi l’illiceità della causa sottostante il negozio ne determina l’incapacità di produrre

validamente effetti giuridici.

Dunque, nonostante il problema dell’ammissibilità del trust interno in Italia abbia per lungo

tempo animato il dibattito dottrinale, la dottrina maggioritaria e le pronunce di

Giurisprudenza più attuali180 sembrano oramai concordi sul riconoscimento degli effetti di tale

modello di trust all’interno dell’ordinamento italiano.

Non solo anche alla luce delle posizioni assunte di recente dal Consiglio Nazionale del Notariato181 in materia di ammissibilità e di un’analisi comparativa condotta sul

179 Le fattispecie cui si fa principale riferimento è quella di trusts istituiti in Italia da soggetti ivi residenti, su beni siti in Italia, a favore di beneficiari ivi residenti, e in cui eventualmente il trustee sia residente in Italia, svolgendo all’interno del territorio l’amministrazione dei beni allo stesso trasferiti.

180 Nelle seguenti pronunce è stata affermata in modo espresso dal Giudice nazionale la legittimità dei trusts interni: Trib. Genova Giudice tutelare provvedimento del 14.03.06, Trib. Pordenone ordinanza del 20.12.05, Trib. Trieste Giudice Tavolare 23.09.05, Trib. Firenze sentenza del 02.07.05, Trib. Velletri 29.06.05, Trib. Napoli 16.06.05, Trib. Trento 07.04.05, Trib. Parma 03.03.05, Trib. Milano 23.02.05, Trib. Venezia 04.01.05, Il Tribunale di Velletri 29.06.2005 Il Tribunale di Firenze 2.07.2005, Trib.Trieste 23.09.2005, Corte Suprema Cass. dell’08.12.04, Trib. Brescia 12.10.04, Trib. Trento Giudice Tavolare 20.07.04, Trib. Firenze Giudice Tutelare 07.07.04, App. Napoli 27.05.04. 181 Si veda la Circolare del Consiglio Nazionale del Notariato: “Il trust: diritto interno e Convenzione de l’Aja – ruolo e responsabilità del Notaio” in www.notariato.it.

Ammissibilità dei trusts in Italia e nuovo art. 2645-TER

163

riconoscimento dei trusts interni da parte dei principali paesi che hanno ratificato la Convenzione dell’Aja182, non pare sussistere alcun dubbio circa il riconoscimento di tale categoria di trusts nell’ambito dei rispettivi ordinamenti.

3. Disciplina all’art. 2645-ter Codice Civile

L’impostazione assunta ad oggi dalla dottrina maggioritaria183, dalla Giurisprudenza184, nonché dalla stessa Amministrazione Finanziaria185, con riguardo alla riconoscibilità degli

effetti del trust in Italia, dovrà ora tener conto della recente introduzione nel Codice Civile dell’art. 2645-ter, che sembrerebbe forse introdurre accanto ai modelli di trust già riconosciuti dall’ordinamento italiano - il trust estero ed il trust interno - il trust che

potremmo definire “italiano”, ossia i cui elementi essenziali oggettivi e soggettivi sono completamente ed esclusivamente legati all’ordinamento italiano. La fattispecie in questione parrebbe qualificabile come l’istituto che a prescindere da

qualsiasi requisito convenzionale, soddisfa i presupposti oggettivi e soggettivi di cui all’art. 2645-ter, producendo legittimamente effetti giuridici in virtù della sola normativa interna. Tuttavia, difettando di un espresso richiamo al termine trust, appare quanto mai opportuno

analizzare in modo più approfondito la disposizione per individuare se effettivamente la stessa sia diretta a disciplinare l’istituto del trust ovvero altri istituti, che possono presentare tratti similari, chiarendo dunque la relazione esistente tra la norma italiana e l’istituto in questione.

182 Il riferimento per il confronto sul regime di ammissibilità dei trust interni è fatto alla prassi internazionale e in particolare ai seguenti Paesi: Regno Unito e Paesi ad esso annessi (Bermuda, Isole Vergini britanniche, Isole Falkland, Gibilterra, Isola di Man, Sant’Elena e altri territori di cui ha la rappresentanza internazionale, Monserrat , Jersey, Guernsey, Turks and Caicos Islands e Hong Kong), Malta, Lussemburgo, Paesi Bassi, Canada, Australia, Svizzera, San. Marino. Note: 183 In dottrina, in senso favorevole alla riconoscibilità del trust interno: M. Lupoi, Trusts, Milano, 2001, M. Lupoi Legittimità dei trusts “interni”, I. Benvenuti (cur.), I trusts in Italia oggi , 29; De Angelis, Questioni di diritto sostanziale e tributario connesse al riconoscimento del trust nell’ordinamento italiano: lacune normative e prospettive di regolamentazione, Fiducia e Trust, n. 9, 2002 (allegato al Fisco 15 Aprile 2002), 6214 (I Parte); Fiducia e Trust, n. 10, 2002, (allegato a Fisco, 23 sett. 2002), 12700 (II Parte); C. Garbarono , La soggettività del trust nelle Convenzioni per evitare le doppie imposizioni, in Dir. e Prat. Tribut., 2000, III, 377 a pag. 398; ID., Trust “trasparenti” ed “opachi” nell’ambito dei Tax Treaties, in T&AF, 2001, 515, a p. 521. 184 Oltre alle pronunce di Giurisprudenza già citate, per una panoramica completa si esamini: Corte App. Milano, 06.02.1998, Trib. Alessandria, decreto 05.04.2000 e 2.05.2000, Trib. Milano, ordinanza 11.05, Trib.Lucca, sentenza del 23.09.1997, confermato dalla Corte App. di Firenze del 09.08.2001, Trib. Bologna, decreto del 28.04.2000 Trib. Milano decreto del 29.10.2002, Trib. Milano sentenza del 20.10.2002, Trib. Perugia del 26.06.2001, Trib. Perugia decreto del 16.04.2002 Trib. Genova decreto del 24.04.1997, Trib. Chieti ordinanza del 10.04.2000, Trib. Pisa del decreto 22.12.2001, Trib. Verona dell’08.01.2003. 185 L’Amministrazione finanziaria, direttamente investita dalla questione, giacché ai fini dell’applicazione delle disposizioni fiscali ad una determinata fattispecie deve procedere ex ante ad una corretta qualificazione giuridica della stessa, si è espressa in senso favorevole all’ammissibilità del trust interno nelle seguenti pronunce di prassi: Risposta a Interpello 911-7/2002 – ART. 11, legge 27-7-2000, n. 212, del 24 settembre 2002, Prot. n. 2002/150208, che si legge sul sito www.il-trust-in-italia.it., divenuta poi Risoluzione n. 8/E del 17 gennaio 2003, che si legge in T&AF, 2003, 319; in Fisco, 2003, 620; in Corr. trib., 2003, 664, con nota di G. Stancati; in Riv. dir. trib., 2003, con nota di A. Salvati; Risposta a Interpello 954-249/2002 – ART. 11, legge 27-7-2000, n. 212, del 1 ottobre 2002, Prot. n. 178580/2002, che si legge in T&AF, 2003, 473; sul sito www.il-trust-in-italia.it.; Risposta a Interpello 576/2002 – ART. 11, legge 27-7-2000, n. 212, del 4 marzo 2003, Prot. n. 2003/30900 che si legge in T&AF, 2003, 658; in Fisco, 2003, 11683, con nota di M. Lupoi; sul sito www.il-trust-in-italia.it; Direzione Regionale della Liguria, Risposta a Interpello 903-86/2003 – ART. 11, legge 27-7-2000, n. 212, del 24 luglio 2003, Prot. n. 19972/2003, che si legge in Fisco, 2005, 5535, con nota di G. Semino; in T&AF, 2005, 298; sul sito www.il-trust-in-italia.it.; Direzione Regionale della Liguria, Risposta a Interpello 903-104/2004 – ART. 11, legge 27-7-2000, n. 212, del 13 settembre 2004, Prot. n. 903-14743/2004, che si legge in Fisco, 2005, 5538, con nota di G. Semino; in T&AF, 2005, 480; in Dialoghi di diritto tributario, 2004, 1398; con nota di D. Stevanato, R. Lupi; sul sito www.il-trust-in-italia.it; un cenno anche in Circolare n. 99/E del 4 dicembre 2001, al punto 2.3, che si legge in Fisco, 2001, 14776; Studio realizzato dal Gruppo di lavoro presso la Direzione delle Entrate dell’Emilia Romagna con la partecipazione di componenti dell’Ordine dei Dottori Commercialisti di Bologna, del Collegio dei Ragionieri di Bologna, del Consiglio Notarile di Bologna e dell’Ordine degli Avvocati e Procuratori di Bologna dal titolo “Il trust riconosciuto in Italia. Profili civilistici e tributari”, che si legge in Fiducia e Trust, 2-2002 (allegato al Fisco), 12711.

T R U S T

164

4. La disposizione:

L’articolo in commento, rubricato “Trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche” prevede che:

“Gli atti risultanti da atto pubblico, con cui beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell’articolo 1322, secondo comma, possono essere trascritti al fine di rendere opponibile a terzi il vincolo di destinazione; per la realizzazione di tali interessi può agire, oltre al conferente, qualsiasi interessato anche durante la vita del conferente stesso. I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto dall’articolo 2915, primo comma, solo per i debiti contratti per tale scopo”.

Al fine di comprendere la ratio sottostante la disposizione richiamata pare imprescindibile muovere

dalla scelta operata dal Legislatore circa la sua collocazione nel Libro VI del Codice Civile, “Della tutela dei Diritti”, Titolo I “Della trascrizione”, Capo I “Della trascrizione dei beni immobili”. Infatti, la disposizione richiamata si occupa degli effetti prodotti dalla trascrizione di atti

risultanti da atto pubblico da cui scaturisce un vincolo di destinazione su determinati beni, e

dispone l’opponibilità ai terzi degli atti in questione.

Esaminando i presupposti giuridici necessari al fine di realizzare l’effetto di opponibilità

previsto dalla norma, si osserva che, per quanto attiene ai presupposti soggettivi, non viene

fatta espressa menzione dei soggetti che sono legittimati a richiedere la trascrizione o che

realizzino la stessa, pertanto chiunque desideri istituire un vincolo di destinazione su

determinati beni e persegua il fine di rendere opponibile ai terzi suddetto vincolo può

avvalersi della disposizione in questione.

Al contrario, i presupposti oggettivi richiesti dalla disposizione sono individuati in modo

preciso:

1. la forma dell’atto che istituisce il vincolo di destinazione è necessariamente solo l’atto

pubblico, escludendosi dunque la scrittura privata autenticata;

2. l’oggetto cui può riferirsi il vincolo di destinazione è rappresentato unicamente da beni

immobili e beni mobili iscritti nei pubblici registri;

3. la durata massima del vincolo di destinazione è pari a 90 anni o alla vita del beneficiario

persona fisica;

4. i soggetti a cui vantaggio è posto il vincolo di destinazione possono essere: persone con

disabilità, Pubbliche Amministrazioni, ovvero , altri enti o persone fisiche;

5. la finalità che legittima l’apposizione del vincolo ai fini giuridici, ossia validità dello stesso

nell’ordinamento è rappresentata dal perseguimento di interessi meritevoli di tutela

Ammissibilità dei trusts in Italia e nuovo art. 2645-TER

165

riferibili ai soggetti di cui al punto precedente. A questo proposito, per chiarire la

rilevanza che assumono nell’ordinamento italiano gli interessi meritevoli di tutela, viene

espressamente richiamato nel testo della disposizione in esame, l’art. 1322 c.c. che al

secondo comma stabilisce come l’autonomia negoziale delle parti in ambito contrattuale,

nei limiti imposti loro dalla legge, è libera di esprimersi anche attraverso la conclusione

di contratti che non appartengono al numerus clausus dei contratti c.d. tipici, ossia

conosciuti e disciplinati all’interno dell’ ordinamento, purché siano diretti a realizzare

interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.

A questo punto si pone il problema di chiarire ed identificare quali interessi siano o meno

degni di una qualche forma di tutela secondo l’ordinamento giuridico italiano e quali invece

non abbiano tale caratteristica e non rappresentino dunque una legittimazione sufficiente -

causa lecita - all’utilizzo di uno strumento giuridico atipico.

L’ordinamento riconosce quali cause lecite alla base di un contratto le causa che non siano contrarie alle norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume, e in tal senso vanno certamente ricondotti gli interessi meritevoli di tutela, tuttavia non pare sufficiente il rispetto

di tali condizioni affinché l’obiettivo perseguito con l’atto di destinazione sia ritenuto meritevole. Pertanto, la meritevolezza di tutela di un interesse o un gruppo di interessi dovrà essere valutata di volta in volta con riferimento allo specifico caso, lasciando non poche

incertezze sui limiti di tale definizione e sulla facoltà che la disposizione sembra attribuire al giudice di sindacare le scelte espressione dell’autonomia privata. Soddisfatti i presupposti di cui sopra, l’effetto scaturente dalla trascrizione è l’istituzione di un

vincolo di destinazione che determina l’enucleazione dei beni oggetto del vincolo dal patrimonio del soggetto disponente e la “segregazione” ossia la formazione di un patrimonio separato destinato in modo esclusivo alla realizzazione del fine che il disponente intende realizzare.

Gli effetti scaturenti dalla segregazione sono l’inaggredibilità dei beni segregati da parte dei creditori personali del disponente, del suo coniuge o dei suoi eredi, e l’obbligo di impiegare gli stessi, nonché i frutti derivanti dagli stessi solo per la realizzazione del fine di

destinazione, potendo costituire, al contrario, oggetto di pretese esecutive solo per i debiti contratti in relazione a tale scopo. Si osserva come la fattispecie appena delineata presenti alcuni tratti tipici comuni anche

all’istituto del trust, quale il perseguimento di specifici interessi mediante l’istituzione di un vincolo di destinazione e l’effetto naturale segregativo che da tale vincolo deriva, tuttavia, esistono alcune fondamentali differenze che portano chi scrive a concludere a sfavore della

coincidenza della fattispecie disciplinata dalla norma civilistica con l’istituto del trust186: 1. la forma richiesta dall’atto istitutivo di un trust al fine di ottenerne il riconoscimento in

Italia ai sensi della Convenzione dell’Aja si estende non solo all’atto pubblico ma a

qualsiasi forma scritta che ne provi l’esistenza;

186 M. Lupoi, in commento alla neo - introdotta disposizione, si esprime in tal senso: “l’art. 2645-ter c.c. è solo la conferma di quanto da tempo eravamo in molti a sostenere, sia pure con diversità di accenti: esiste un cammino dell’ordinamento verso la specializzazione dei patrimoni e chi rifiuta di accorgersene dovrà ora prenderne atto”- T&AF, n°1 marzo 2006, pag. 169.

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2. l’oggetto della segregazione da parte del disponente in caso di trust non si limita solo ai beni immobili o ai beni mobili registrati, ma fa espresso riferimento ai beni, in senso più ampio, con la conseguenza che un trust può essere istituito validamente e disporre

unicamente di beni mobili liquidità o attività finanziarie. 3. la durata del trust non subisce alcuna limitazione ai fini convenzionali, e pertanto i trust

regolati da leggi estere, quale ad esempio quella di Jersey, che possono prevedere una durata

superiore ai 90 anni, resterebbero esclusi dall’ambito d’applicazione della norma civilistica; 4. i soggetti nel cui interesse può essere istituito un trust a fini convenzionali non subiscono

alcuna limitazione di sorta, potendo assumere la veste di beneficiari anche società che al

contrario non sono state contemplate dalla disposizione civilistica. 5. la finalità che secondo il disposto convenzionale legittima l’istituzione ed il riconoscimento di

un trust in Italia, non fa alcun riferimento alla meritevolezza degli interessi perseguiti

secondo l’ordinamento italiano, ma più semplicemente si riferisce alla creazione di un rapporto giuridico nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato.

Un ulteriore profilo che porta, ad avviso di chi scrive, ad allontanare la fattispecie di cui

all’art. 2645-ter dall’istituto del trust è dato dall’assenza di un richiamo agli effetti traslativi che nella prassi costituiscono un elemento tipico del trust. Infatti l’atto istitutivo di un trust è idoneo solamente a far sorgere il vincolo di destinazione

con cui si segregano i beni dal patrimonio originario del disponente, tuttavia, nella prassi, ad eccezione del trust “autodichiarato”187- ove il disponente si rende trustee di se stesso - , poiché le figure del disponente e del trustee non coincidono è necessario un atto traslativo

che trasferisca la proprietà legale (legal ownership) dei beni segregati in capo al trustee affinché ne disponga alla luce di quanto stabilito nel Deed of Trust. All’articolo 2645-ter non viene fatto alcun riferimento espresso all’effetto traslativo dal

disponete al trustee, pertanto l’unica fattispecie indubbiamente disciplinata, cui la norma riconosce legittimità è quella del trust “autodichiarato”, in cui cioè disponente e trustee coincidono e non vi sarebbe alcun atto traslativo della proprietà, ma solo una trascrizione del

vincolo che sorge su tali beni. Secondo l’opinione di chi scrive altri rilievi dovrebbero poi essere mossi con riferimento alla fattispecie cui è diretto l’art. 2645-ter. In considerazione della collocazione della disposizione in commento nell’ambito degli adempimenti pubblicitari previsti a tutela dei diritti – Libro VI del Codice Civile - , nonché delle problematiche che la prassi ha incontrato, a seguito della ratifica della Convenzione

dell’Aja e della circolazione del trust nel nostro ordinamento, nel coordinare ovvero riconciliare la disciplina interna dei suddetti adempimenti con quella Convenzionale dell’istituto, l’articolo in commento sembra costituire la soluzione prospettata dal Legislatore

italiano al fine di confermare la trascrivibilità degli atti di destinazione di beni che per loro natura ed espressa previsione di legge sono ordinariamente soggetti agli adempimenti pubblicitari citati.

187 Cfr. sul tema S. Bartoli, Il trust auto-dichiarato nella Convenzione dell’Aja sui trust, in T&AF, 2005, 255 e ss.

Ammissibilità dei trusts in Italia e nuovo art. 2645-TER

167

In realtà, sotto questo profilo, non solo la dottrina maggioritaria, ma anche la recente Giurisprudenza e la prassi notarile188 erano ormai giunte a riconoscere pienamente la trascrivibilità del vincolo in trust, semplicemente alla luce del disposto dell’art. 12 della

Convenzione, ritenendo la citata disposizione sufficiente a legittimare la trascrizione che riveli l’esistenza del trust. Ne consegue che nonostante sotto un profilo formale la trascrivibilità degli atti suddetti abbia

ricevuto un’ ulteriore investitura formale con l’articolo 2645-ter, da un punto di vista sostanziale tali adempimenti pubblicitari erano già ritenuti applicabili all’istituto del trust e concretamente compiuti, non avendo a tal fine contribuito il nuovo intervento normativo.

Al contrario, se si assume quale termine di confronto della fattispecie di cui al 2645-ter l’istituto del fondo patrimoniale, disciplinato all’art. 167 del Codice Civile -“Costituzione del fondo patrimoniale” - si possono porre in evidenza interessanti analogie: 1. la forma richiesta per la costituzione di un fondo patrimoniale, è l’atto pubblico, al pari di

quella prescritta all’art. 2645-ter; 2. l’oggetto del fondo patrimoniale cui sono destinati i beni da parte del coniuge/i sono solo

immobili, beni mobili iscritti nei pubblici registri o titoli di credito, con ciò escludendo come all’art. 2645-ter altri beni o diritti.

3. i soggetti che nel caso del fondo patrimoniale devono avere lo status giuridico di coniugi

non subiscono alcuna limitazione all’articolo 2645-ter, posto che come già anticipato, chiunque può costituire un vincolo di destinazione sui propri beni.

4. la finalità che legittima la costituzione del fondo patrimoniale mediante istituzione del

vincolo di destinazione è espressamente individuata quale “necessità di far fronte ai bisogni della famiglia”, ed è certamente riconducibile a quell’insieme di interessi meritevoli di tutela, che costituiscono il presupposto dell’art. 2645-ter.

In conclusione, sulla base dei rilievi sollevati e guardando agli elementi sostanziali, la fattispecie disciplinata dal neo-introdotto 2645-ter si avvicina maggiormente a quella di un fondo patrimoniale, costituito per atto unilaterale, da chiunque vi abbia interesse, non essendo richiesto

il requisito soggettivo dell’esistenza del vincolo coniugale di cui all’art. 167 c.c.. Lasciando il tema agli studiosi di diritto civile, se si possa configurare o meno una nuova fattispecie atipica, il nuovo strumento giuridico potrebbe portare alla realizzazione di intessi

specifici che non si limitano al beneficio della famiglia. Pertanto, pare che la ratio sottostante al 2645-ter, sia quella di legittimare la costituzione di patrimoni destinati ad uno specifico scopo, arricchendo gli strumenti a disposizione

dell’autonomia negoziale volti a realizzare determinati interessi, aggiungendo la nuova fattispecie di cui all’ art. 2645-ter alle ipotesi già contemplate dalla disciplina pre-vigente quali: • il fondo patrimoniale, art 167 c.c.(strumento giuridico a disposizione esclusivamente di

coloro che hanno lo status giuridico di coniuge, ovvero di altro soggetto, qualora disponga anche mediante testamento);

188 Sul punto l’intervento di Daniele Muritano, notaio in Firenze e docente presso la Scuola del Notariato, nell’ambito del XLI Congresso Nazionale del Notariato - Pesaro, 18/21 settembre 2005 “Civil Law – Common Law: Sviluppo Economico e certezza giuridica nel confronto tra sistemi deiversi”, in www.notariato.it .

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168

• il patrimonio destinato ad uno specifico affare, art. 2447-bis e ss.(strumento a disposizione delle sole società, la cui disciplina è stata di recente introdotta al Titolo V “Delle società” dal D.Lgs. 6/2003).

A chi scrive pare ulteriore conferma dell’interpretazione appena prospettata il fatto che, anche alla luce di una consolidata giurisprudenza e prassi, fosse già stato chiarito ogni dubbio in materia di ammissibilità dell’istituto del trust nell’ordinamento italiano.

Al contrario, la disposizione citata, non solo non fornisce chiarimenti circa la circolazione ed ammissibilità del trust, quanto introduce alcuni profili di dubbiosità che potrebbero portare a riconoscere la trascrivibilità solo ai trust aventi ad oggetto beni immobili e mobili registrati.

A tal senso un primo orientamento giurisprudenziale sulla portata effettiva della neo - introdotta disposizione è stato fornito in data 7 aprile 2006 dal Giudice Tavolare del Tribunale di Trieste189, che, sebbene non entri nel merito di un’interpretazione dell’articolo 2645-ter, richiama la “anomala disposizione normativa” chiarendo che la stessa “viene ad introdurre nell’ordinamento solo un particolare tipo di effetto negoziale, quello di destinazione, accessorio rispetto agli altri effetti di un negozio tipico o atipico cui può accompagnarsi”, e

riferendosi espressamente alla posizione in materia di chi sostiene che “con tale disposizione non si è voluto introdurre nell’ordinamento un nuovo tipo di atto ad effetti reali, un atto innominato, che diventerebbe il varco per l’ingresso del tanto discusso negozio traslativo atipico; e che la stessa disposizione non costituisce la giustificazione legislativa di un nuovo negozio la cui causa sarebbe quella finalistica della destinazione del bene alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela. Non c’è infatti alcun indizio da cui desumere che sia stata coniata una nuova figura negoziale… ”. Dunque appare quanto mai auspicabile un dibattito in materia con cui venga chiarita la portata applicativa della norma e gli effetti sul piano pratico che dalla stessa derivano.

Per quanto attiene i trusts, chi scrive ritiene siano uno strumento oramai imprescindibile nella pianificazione patrimoniale; siano trusts internazionali o trusts interni, sarà compito della prassi sviluppare soluzioni a problemi meritevoli di tutela tali da ottimizzare i risultati, anche

tenendo conto, nella scelta della legge di riferimento e dei soggetti coinvolti nel trust, della stabilità e certezza dei riferimenti normativi e giurisprudenziali.

189 Cfr. Tribunale di Trieste Ufficio del giudice tavolare, 7 aprile 2006, g.n. 3996/06, risposta alla domanda di intavolazione del diritto di proprietà di beni immobili a nome del trustee fondato su un atto pubblico dal quale non risulta il programma negoziale enunciato nell'atto istitutivo di trust.

169

AMMISSIBILITÀ DEI TRUSTS E APPLICAZIONI PRATICHE NELL’ORDINAMENTO ITALIANO: PROFILI FISCALI

a cura di Luigi Belluzzo

1. Premessa

Il tema dei profili fiscali del trust è assai dibattuto in dottrina e vede varie opinioni a

confronto, delle quali si darà debita informazione. E’ importante distinguere il tema all’interno

della prassi professionale, riservando quanto segue al merito dell’approfondimento dottrinale;

il tema è infatti caratterizzato da confini per lo meno incerti e fortemente correlato alle

singole fattispecie oggetto di analisi. Il riferimento specifico è alle tipologie di trusts190 e alle

difficoltà, in taluni casi, di poter pienamente conciliare la specifica fattispecie con le categorie

del diritto tributario interno.

E’ noto a tutti, infatti, come la grande duttilità del trust renda difficile tipizzare tutte le varie

fattispecie in cui tale istituto può configurarsi e come questa peculiarità renda pertanto arduo

fornire una definizione di trust. Senza alcun pregiudizio alla dottrina giuridica, a chi scrive piace

particolarmente la seguente definizione: “Uno schema astratto di rapporti, precisati di volta in volta e perciò sfuggenti ad un inquadramento generale e definitivo”(Bernardi, 1957). Ad ogni

modo anche agli scopi del presente contributo è necessario fare riferimento alla dottrina

giuridica, cui si fa ampio rinvio anche in relazione alla definizione di trust interno (o amorfo)191

Pur non rientrando nella presente trattazione il tema della compatibilità con il sistema

giuridico italiano dei trust interni a seguito della ratifica della Convenzione dell’Aia, sul punto

ci si limita ad indicare come un numero sempre maggiore di orientamenti giurisprudenziali

portino a fare prevalere la tesi di una loro compatibilità192. Il riconoscimento di uno specifico

trust andrà comunque effettuato caso per caso, in considerazione del suo specifico atto di

trust e nel rispetto dei principi inderogabili dell’ordinamento, ivi includendo l’aderenza alle

norme imperative.

Sul fronte fiscale, pur non mancando alcune precisazioni e alcuni orientamenti che saranno

oggetto di esame successivo, occorre notare come la mancanza di una specifica disciplina

interna porta ad ampie aree di incertezza.

190 Senza pretesa di completezza si ricordano: i trust liberali, i trust commerciali, i trust revocabili o irrevocabili, i trust di scopo,i trust caritatevoli (“charity”), i trust discrezionali, i constructive trust. Per altro le relazioni che sono precedute hanno fornito un ampio inquadramento teorico. 191 Lupoi, Trusts, 1997; Benvenuti (a cura di), I trusts in Italia oggi, 1996, Buttà (a cura di), Introduzione ai trust e profili applicativi, Quaderni n. 2 Trusts e attività fiduciarie, 2002. 192 Lupoi, Leggitimità dei Trusts “interni”, I Trust in Italia oggi, Milano,1996, p. 29; De Angelis, Questioni di diritto sostanziale e tributario connesse al riconoscimento del Trust nell’ordinamento italiano. Lacune normative e prospettive di regolamentazione, in due parti in Fiducia e Trust n° 9 e n° 10/2002, allegata a Il Fisco n° 15 del 15 aprile 2002 e n° 34 del 23 settembre 2002; Braun, Trusts interni, Rivista diritto civile, 2002, II, p. 573 con ricca evidenza delle varie posizioni di dottrina; Busani, Per il Trust un futuro a tutto campo, Il Sole 24 Ore, 14 ottobre 2003, p. 28 e 15 ottobre 2003, p. 29. Castronovo, Ma per il Trust una sentenza non fa primavera, Il Sole 24 Ore, 18 ottobre 2003, p.27. Come noto, dal 2003 è ammessa la richiesta diretta del non residente Paese Membro UE per l’attribuzione diretta della Partita IVA,.

T R U S T

170

Come noto, la Convenzione dell’Aia all’art. 19 recita: “La Convenzione non deroga alla competenza degli stati in materia fiscale”. Quindi non può essere pregiudicata la potestà erariale.

Quanto sopra anticipato, tuttavia, non deve e non può distogliere l’attenzione dal fatto che i

trusts sollevano interessi meritevoli di tutela e spesso si possono dimostrare più efficaci di

altri strumenti propri del nostro ordinamento civile. Anche a fini fiscali pertanto si può

affermare che per talune fattispecie specifiche il trust interno sembra avere trovato un saldo

orientamento, con il pregio di diminuire (o annullare) quella alea che può risultare deterrente

soluzioni che pur si possano dimostrare efficaci in ambito civile.

In conclusione, si ritiene di ben potere affermare che solo una legge ad hoc può contribuire

all’ulteriore diffusione del trust in Italia. Anche se poco condiviso dalla principale dottrina

giuridica, che trova giustamente ampio spazio nella Convenzione e nei principi generali, da

un punto di vista meramente fiscale occorre rilevare la preminenza della necessità di fornire

al contribuenti delle fattispecie il più possibili esenti da alea interpretativa e normativa.

L’auspicio è dunque che l’intervento del Legislatore sia orientato all’introduzione di una

normativa che possa competere (il riferimento è alla fair tax competition comunitaria) e

rivelarsi quindi con doti di chiarezza e convenienza per l’utilizzatore. Un precedente potrebbe

rilevarsi nel novellato istituto lussemburghese della “fiducie”, sottolineando come il

Legislatore lussemburghese – un Paese di Civil Law - accanto a tale riforma abbia ratificato la

Convenzione dell’Aia con l’intento di rendere la “fiducie” pienamente riconoscibile a livello

convenzionale193.

2. Residenza e soggettività passiva dei trusts: profili dottrinali

Pur trattando in questa trattazione di trust interni, non si può non fare riferimento ai trust

internazionali, che oltre al loro diffuso utilizzo, sono stati e sono il vero campo di discussione

dottrinale in tema di residenza tributaria. Per quanto attiene i Trust internazionali, alla luce

degli scopi del presente lavoro, ci si limita all’esigenza di chiarire come, ad avviso di chi

scrive, per evitare la residenza in Italia non sia condizione sufficiente l’ultroneità territoriale

degli elementi caratterizzanti lo specifico trust.

Quando un particolare comportamento concludente determina il sorgere di presupposti

applicativi in Italia, si avrà l’effetto di rendere fiscalmente imponibile l’operato del trust.

Ovviamente, in applicazione dei principi generali del diritto tributario internazionale, il trust

non residente dovrà comunque assolvere agli obblighi dichiarativi e di versamento in

relazione all’attività territorialmente svolta nel nostro Paese, ivi includendo l’eventualità di

una stabile organizzazione.

193LuigiBelluzzo, Nuova struttura fiduciaria in Lussemburgo, Il Bollettino dell’internazionalizzazione n° 12, dicembre 2003, p. 24;P. Panico, Trasferimento di proprietà a titolo di garanzia, Trusts e attività fiduciarie, 2003, p. 549.

Ammissibilità dei trusts e applicazioni pratiche nell’ordinamento italiano: profili fiscali

171

Secondo certa dottrina, ulteriore elemento di attrazione nell’alveo della soggettività tributaria può essere il fatto che l’oggetto principale sia situato in Italia; opinione che può anche essere condivisa ma che, va detto, nella pratica operativa pare piuttosto rara.

Qualora un Trust internazionale sia qualificato a fini impositivi in Italia, dovrà, come qualunque soggetto non residente, nominare un proprio rappresentante e adempiere gli obblighi di dichiarazione e di versamento194.

La residenza dei trusts va dunque ricondotta ad una analisi circa la loro soggettività passiva, ovvero ad una analisi e presa di posizione circa il soggetto in capo al quale sorge l’obbligo impositivo. E’ questo il principale argomento di dibattito, anche se va indicato come sembri

oramai prevalente una determinata tesi. La dottrina in argomento è in effetti divisa tra coloro (tesi maggioritaria) che propendono per una soggettività tributaria del trust e coloro (tesi minoritaria) che propendono per ricondurre

la soggettività tributaria in capo al Trustee, non riconoscendo una autonomia tributaria in capo al trust195. Rinviando ad una analisi della citata dottrina, l’argomento si può affrontare attraverso

un‘analisi della fattispecie atta ad individuare l’area di imponibilità in capo al Settlor o al Trustee o ad altro soggetto coinvolto, ovvero direttamente in capo al trust. La tesi prevalente argomenta evidenziando come il Trustee vada escluso; da un lato si porta l’analisi dell’istituto

e la piena evidenza che il Trustee non è il titolare dei beni in trust, costituendo detti beni un patrimonio separato (“segregato”) sia rispetto agli altri beni del Trustee sia a riguardo dei beni del Settlor. Inoltre il Trustee non può disporre dei beni in trust, se non nei limiti e

secondo le linee guida contenute nell’atto di trust. Ulteriore argomentazione atta ad escludere la soggettività del Trustee è connessa all’esigenza di valutare quelle strutture in cui i Trustee siano più di uno, magari con profili di residenza tributaria transnazionali.

L’altra tesi è sostenuta in particolare evidenziando la carenza di “organizzazione” in capo al trust e la conseguente imponibilità in capo al Trustee dei redditi, ovviamente tenuto conto dei vari patrimoni segregati per i quali svolge la funzione medesima. Non pare ad alcuni poi sufficiente la

tesi della segregazione in capo al Trustee in quanto, proprio in connessione con il contenuto dell’atto di trust, è il Trustee ad amministrare il patrimonio e, se da una lato la natura del trust comporta la distinzione piena tra reddito proprio del Trustee e reddito del patrimonio in trust, ciò

non di meno il presupposto soggettivo si manterrebbe in capo al Trustee.196

194 La legge di riferimento è il DLgs 19/06/2002 n. 191. Gli attuativi e la modulistica sono usciti nel 2003. 195 Per un riconoscimento della soggettività tributaria in capo al trust, a volte con importanti distinguo, si vedano: Maisto, The taxation of trusts in Civil Law Countries, European taxation, n° 8/1998, p. 246; Lupi, La tassazione dei redditi del Trust: il Trustee, I Trust in Italia Oggi, cit., p. 335; Tundo, Implicazioni di diritto tributario connesse al riconoscimento del Trust, Diritto e Pratica Tributaria, 1993, p. I-1295; Puoti, La tassazione dei redditi del Trust, I Trust in Italia oggi, cit., p. 323; Perrone, La residenza del Trust, Rassegna tributaria, n° 6/1999, p. 1603; Miccinesi, Il reddito del Trust nelle varie tipologie, Trusts e attività fiduciarie, 2000, p. 309, Aprile, Gli aspetti fiscali del Trust, Il Fisco, n° 14/2001, p. 5282. De Angelis, cit., parte prima, p 6225. Per un assoggettamento impositivo in capo al Trustee si vedano: Dominici, Dattiloscritto master di fiscalità internazionale, Euroconference, 2002; Gallo, La soggettività ai fini Irpeg, Il reddito d’impresa nel nuovo testo unico, cit., p. 661; Marino, La residenza nel diritto tributario, Padova, 1999, p. 164; Ficari, Il Trust nelle imposte dirette: un articolato modulo contrattuale oppure un autonomo soggetto passivo?, Bollettino Tributario, 2000, p. 1536; Cociani, I trust come strumento di pianificazione fiscale internazionale, Il Fisco n° 44/2000, p.12996; Giovannini, Soggettività tributaria e fattispecie impositiva, 1996, p. 422; Fedele, Visione di insieme della problematica interna, I Trusts in Italia oggi, cit., p. 270. 196 Così Dominici, Op.Cit., ove argomenta la carenza di “organizzazione” in capo al trust facendo riferimento al concetto stesso di “organizzazione”, che presuppone un complesso di beni oggettivamente idoneo al perseguimento di uno scopo. Tale requisito non sembra sussistere “in un compendio patrimoniale soggettivamente unificato per volontà del disponente”.

T R U S T

172

In via ulteriore si può evidenziare come sia il Trustee a doversi fare carico delle imposizioni

connesse al trust, quale ordinaria gestione del patrimonio in trust. Infine, sempre a supporto

della posizione minoritaria, è opportuno osservare come l’ iscrizione di beni in trust sia nella

prassi operata in capo al Trustee e non al trust. Il riferimento è alla ormai consolidata prassi

notarile relativa alla trascrizione di beni immobili e di diritti reali.197

In ottica teorica, ma non solo, il dibattito va infine coniugato con i novelli istituti della

trasparenza fiscale introdotti dalla Riforma dell’Ires, come noto primo passo ad una completa

riscrittura dei principi alla base del sistema fiscale italiano.198

Ulteriore aspetto, complice l’approfondimento di tematiche internazionali tributarie, può

poggiare sull’evidenza che solo una “stabile organizzazione” in Italia porta a considerare

l’assoggettamento passivo in capo al trust; se ciò può confortare alcune ipotesi ove l’azienda

sia direttamente gestita e amministrata, tale parallelismo può supportare la tesi generale per

la previsione del trust quale soggetto passivo. Ma in molte altre fattispecie, forse la

maggioranza, il patrimonio in trust si risolve in denaro, titoli e comunque investimenti

staticamente detenuti dal trust e affidati in gestione a terzi soggetti; fattispecie queste che,

sovente, non qualificano ai fini dell’istituzione di una stabile organizzazione in Italia.

Comunque, lasciando a futura dottrinale discussione quanto sopra, si ritiene corretto

evidenziare nel prosieguo l’opinione in tema della maggioranza, per altro supportata anche

dall’unica presa di posizione ufficiale (Se.C.I.T.) e da alcune opinioni rese

dall’Amministrazione, di cui si darà debito conto.

Come già ricordato, in tema di trust interni, nella definizione propria della dottrina non

tributaria non pare esservi dubbio alcuno circa l’esistenza dei presupposti impositivi in Italia.

Ricorrendo ai principi generali in vigore, il riferimento va dunque all’art. 73 del Tuir e in

particolare al comma 2 dove maggiore è l’attenzione della dottrina. Va tuttavia notato che il

dettato normativo non riconosce la “tipicità” fiscale di tale istituto. Sul tema, con l’aiuto di

autorevole e recente dottrina, si può infatti affermare che il trust non è menzionato tra i

soggetti passivi delle imposte sul reddito. “Non lo era nel precedente testo unico. E non lo è neppure nel nuovo testo unico, attuativo di una parte della Riforma Tremonti, benché nel più significativo dei progetti di legge prodotti negli ultimi anni per disciplinare il fenomeno

197 Sul tema si rinvia a: Salvatore, Il trend favorevole all’operatività del trust in Italia: esame ragionato di alcuni trusts compatibili in un’ottica notarile, Contratto e Impresa, 2000, p. 645; Piccoli, Trascrizione dell’acquisto immobiliare del Trustee, Trusts e attività fiduciarie, 2000, p. 227. Si noti ulteriormente come certa dottrina ha infatti evidenziato la non compatibilità di tale comportamento con le tesi dell’assoggettamento tributario del trust; si veda De Angelis, cit., p 6221. 198 Tra i progetti di legge scaduti con la scorsa legislatura ricordiamo il n° 5194 del 12 novembre 1998, poi scisso nel novembre del 1999 in due distinti progetti: quello contrassegnato con il n° 5194-bis sulla riforma delle società fiduciarie e il n° 5194-ter sulla disciplina del trust. Notevolmente più articolata della precedente e per questo degna di nota è la proposta di legge n° 6547 presentata alla Camera in data 11 novembre 1999; essa prevedeva le formalità per l’istituzione del trust interno, riconosceva a banche, sgr e imprese di investimento abilitate, oltre quindi alle società fiduciarie, la possibilità di esercitare la funzione di Trustee e, sul piano fiscale, annoverava i trust tra i soggetti passivi dell’Irpeg prevedendo un’imposta sostitutiva con modalità molto simili a quelle previste per i fondi comuni d’investimento aperto. Per le imposte indirette prevedeva l’imposta di registro proporzionale, con la possibilità di godere di un regime agevolato ad imposta fissa, e l’imposta sulle successioni e donazioni in capo ai beneficiari.

Ammissibilità dei trusts e applicazioni pratiche nell’ordinamento italiano: profili fiscali

173

(proposta 6547/1999199) se ne prevede l’inclusione nella sfera dei soggetti passivi dell’Irpeg”200. Secondo la riferita dottrina, in sé e per sé il dettato normativo non pare atto a

ricomprendere il trust e, allo scopo di intercettare fenomeni non altrimenti “in modo sistematicamente persuasivo “ e costituzionalmente adeguato, evidenzia correttamente la

necessità che il trust:

- sia configurato come organizzazione (insieme di persone e/o di beni stabilmente

strutturato per il raggiungimento di un determinato scopo);

- non appartenga ad altri soggetti passivi;

- abbia attitudine a realizzare il presupposto dell’imposta in “modo unitario ed autonomo”.

Il riferimento va dunque al comma 2 dell’art. 73 del Tuir atto a ricomprendere nelle categorie

di cui alle lettere b) [“enti pubblici o privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali”] e c)

[“enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali”] “oltre alle persone giuridiche, le associazioni non riconosciute, i consorzi e le altre organizzazioni non appartenenti ad altri soggetti passivi, nei confronti dei quali il presupposto dell’imposta si verifica in modo unitario e autonomo. (…)”, richiamando anche le società e le associazioni ex

art. 5 Tuir (Redditi prodotti in forma associata).

Sul punto pare dunque di poter commentare come la disposizione in commento non sembri

tale da attrarre chiaramente il trust e confutare così ogni contraria interpretazione dottrinale,

pena l’assimilazione dello stesso ad una società o ad un “ente di ogni tipo”, che però è

richiamato alla lettera d) del comma 1 dell’art. 73 del Tuir.

Muovendo nuovamente al difuori delle categorie del trust interno, richiamando che il tema delal

residenza meglio si analizza con la prospettiva del trust internazionale, particolare riferimento

potrebbe andare all’art. 153 del Tuir, ove è stata richiamata un’apposita sezione (capo V) per gli

“enti non commerciali non residenti”; va considerato che nel Tuir previgente non vi era

distinzione (si veda il vecchio art. 112 del Tuir) tra la categoria in commento e le società e gli enti

commerciali non residenti. Condividendo i toni del dibattito emergente, è probabile che il

Legislatore, nell’attesa della riforma IRE, abbia voluto marcare la differenza, pur mantenendo i

presupposti impositivi nell’ambito del principio generale della territorialità, mutuando il disposto

dell’art. 23 Tuir. Sarà dunque da attendere la mossa del Legislatore in campo Ire.

In tema dunque si ritiene prevalga la necessità di attendere una ufficiale posizione

dell’Amministrazione a commento della Riforma introdotta dal Legislatore, evidenziando

come una posizione, anche solo in via interpretativa, possa probabilmente fare superare, nel

caso dei trust interni, le perplessità e conseguentemente definire con certezza la soggettività

tributaria in capo al trust per tutte le possibili fattispecie di trusts.

199 Per una disamina del quale si fa ulteriore rinvio a Cecere, Inquadramento giuridico - tributario del trust, in Il trust nell’ordinamento giuridico italiano, cit., p. 170 200 Zizzo, Note minime in tema di trust e soggettività tributaria, Il Fisco n. 20/2003, p. I-4658.

T R U S T

174

Prevalendo la tesi della piena soggettività tributaria del trust, diretta conseguenza sarà

dunque una imposizione diretta ai fini Ires, Irpef/Ire e, ove si manifesti la proprietà di un

immobile, anche dell’imposta comunale. In definitiva occorre applicare il Fisco “come se” si

trattasse di un ente non commerciale (o commerciale) residente, ovviamente e in

dipendenza dell’effettiva attività svolta (detenzione di partecipazioni o titoli, immobili,

aziende, ecc.).

Analogo comportamento dovrà essere dedicato ai rapporti transnazionali, applicandosi ove previsto

il Trattato201. E in generale le altre disposizioni del diritto tributario internazionale italiano.

3. Imposizione

Passando ad esaminare l’attività svolta dal trust e/o dai soggetti che ne sono coinvolti, si può

preliminarmente osservare come non possa essere assunto analogo giudizio innanzi ai vari

tipi di trust che la prassi e la legislazione di riferimento ha prodotto. Si dovrà così distinguere

tra i trust inter vivos e i trust mortis causa (o trust testamentari). Sempre semplificando,

all’interno della prima categoria si potranno evidenziare i cd “trust commerciali”, quali ad es.

gli escrow trust (trust di garanzia) o i trusts che conducono direttamente aziende, per i quali

si dovrà valutare la posizione soggettiva dei vari soggetti coinvolti, con evidenti implicazioni

in ordine alle imposte indirette (ad es. Iva) e dirette. Altra categoria, cui si farà primario

riferimento, sono i cd “trust liberali” distinguendo così quelli che prevedono atti di

disposizione e/o di attribuzione a titolo oneroso.

Parlando di trust interni, e pertanto convenzionali, si ricorda che la Convenzione prevede

solamente trusts istituiti per atto tra vivi o mortis causa, così escludendo numerose altre

fattispecie presenti nei vari ordinamenti internazionali.

Ad ogni modo, solo l’attento esame del contenuto dell’atto di trust, al di là delle dichiarazioni

di forma, potrà consentire una corretta qualificazione tributaria.

Con riferimento all’imposizione indiretta, discutendo di presupposti di imponibilità,

normalmente i momenti possono essere idealmente divisi tra l’atto istitutivo, l’atto di

disposizione (in una o più volte e che potrà essere anche contemporaneo al primo momento,

ad es. nei trust testamentari), che comporta il trasferimento della proprietà, l’attività di

amministrazione e gestione del patrimonio in trust operata dal Trustee sulla base del

contenuto dell’atto e, infine, l’atto di attribuzione del patrimonio in trust ai beneficiari,

trasferendone così la proprietà. Ovviamente non in tutte le fattispecie i momenti sono

esattamente quelli esposti, ma nella generalità dei casi la ripartizione si può dimostrare un

utile strumento di indagine.

Tali momenti “topici” portano la necessità di verificare se e in quanto si ottemperino i

presupposti impositivi presenti nel nostro ordinamento. 201 Sacchetto, Brevi note sui trusts e le convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni sul reddito, Trusts e attività fiduciarie, 2000, p. 64; Garbarino, La soggettività del trust nelle convenzioni per evitare le doppie imposizioni, Diritto e pratica tributaria, 6/2000, p.377.

Ammissibilità dei trusts e applicazioni pratiche nell’ordinamento italiano: profili fiscali

175

Nella disamina dell’imposizione diretta, invece, si deve osservare come particolare

caratteristica debba essere attribuita anche alle posizioni soggettive.202

Sempre allo scopo di fornire un quadro sistematico, anche l’analisi dell’imposizione diretta

seguirà i momenti “topici” prima descritti.

Si cercherà quindi nel proseguo, con evidenti semplificazioni legate alle esigenze di sintesi e

alla impossibilità di affrontare tutte le diverse fattispecie di trusts, di affrontare i sopra

descritti argomenti con attenzione dapprima all’imposizione diretta e successivamente

all’imposizione indiretta. Seguendo l’impostazione che chi scrive si è dato, si cercherà di dare

conto sia delle diverse teorie formulate dalla Dottrina, sia di alcuni interventi giurisprudenziali

e prese di posizione dell’Amministrazione. A queste ultime, tuttavia, e alla luce degli scopi del

presente contributo, si darà anche separata menzione dei principali e più recenti

dell’amministrazione e della giurisprudenza tributaria.

3.1. Imposizione diretta

Per quanto attiene l’atto dispositivo occorre esaminare l’attività del disponente. Qualora il

Settlor esercitasse attività d’impresa, si dovranno a lui applicare tutti i principi stabiliti

dal Tuir203 e conseguentemente il trasferimento di beni strumentali e/o patrimoniali (ad es.

azioni) potrà essere classificato ex art 87 Tuir, mentre negli altri casi si dovrà trattare ex art

86 Tuir. Ovviamente a ciò corrisponderà l’applicazione dell’Iva, quando dovuta204. Con

l’introduzione dell’Ires e dell’art. 87 del nuovo Tuir ci si può interrogare sulla possibilità di

cedere partecipazioni ad un trust e, godendo dette partecipazioni dei presupposti atti a

considerarle “qualificate”, produrre plusvalenze esenti in capo al Settlor. Quando quest’ultimo non esercita attività imprenditoriale si dovrà valutare, caso per caso,

l’eventuale presenza di presupposti impositivi di altre categorie reddituali, secondo i principi in

vigore. Secondo opinione prevalente, il trasferimento dei beni da parte di soggetto non

imprenditore parrebbe fiscalmente irrilevante, in considerazione dell’assenza di corrispettivo non

202 Allo scopo di mantenere sistematicità espositiva ma avvisando nel contempo come l’attento esame delle posizioni soggettive non possa essere trascurata, pare opportuno riprendere in codesta nota, pur sinteticamente, alcune osservazioni.. Per quanto attiene il Trustee, occorre distinguere nell’ambito della tesi dottrinale cui si fa riferimento; per coloro che aderiscono alla tesi dominante, le posizioni soggettive del Trustee sono irrilevanti, ovviamente con riferimento al patrimonio in trust. Al contrario, per chi aderisce alla tesi minoritaria. Pur rimanendo irrilevanti le posizioni soggettive del Trustee, occorre evidenziare il suo ruolo verso il Fisco di “sostituto d’imposta” coerentemente con l’idonea impostazione dell’atto di trust. E’ utile poi osservare come l’impostazione maggioritaria possa dare adito ad opportunità fiscali, alla luce dell’ordinamento vigente; il riferimento è ad esempio al caso della cessione a titolo gratuito dell’azienda quando i beneficiari sono i familiari del donante; in tema anche se a commento del “vecchio” Tuir si vedano Pessina – Pittalunga, Il trust interno nelle imposte dirette, Il Fisco n. 40/2003, p. 1-6243. Muovendo a valutare una figura (non sempre presente) quale quella del Protector (o Enforcer o Grantor, ecc), risottolineando l’importanza di qualificare con esattezza tale figura in base al testo dell’atto di trust e in particolare della legge di riferimento anche allo scopo di evitare fraintendimenti nella qualifica di ciò che comunemente in italiano si definisce “Protettore”, è opportuno specificare che il comportamento di questi, in ragione o meno dei poteri lui attribuiti nell’atto di trust, potrebbero presentare dei profili tributari. Se da un lato la semplice residenza tributaria italiana del Protector non è di per sé condizione sufficiente a rendere fiscalmente residente il trust, d’altro canto un Protector non residente potrebbe per il suo effettivo comportamento generare i presupposti idonee a qualificare il reddito prodotto in Italia. Da ultimo si dovrà prestare attenzione nell’esame del comportamento in sé di un soggetto che, a prescindere dall’effettività del trust, potrebbero comportare l’emersione di profili impositivi soggettivi. 203 Ivi comprendendo il criterio di valutazione “a valore normale”. 204 Orientamento sostenuto anche da DRE Emilia Romagna, commentata in seguito.

T R U S T

176

si configurerebbe alcuna fattispecie impositiva, per altro indipendentemente dalla qualifica di

imprenditore o meno del ricevente Trustee in ragione del principio di segregazione.

Va segnalata la posizione per la quale, in alcune fattispecie di trust commerciali, si sia

sostenuta la tesi per una equiparazione della disposizione al caso di cessione di beni ai creditori

in caso di concordato preventivo, non costituendo quindi presupposto impositivo.205 Particolari

casi possono poi risultare vantaggiosi alla luce dei principi fiscali inseriti nel Tuir; si pensa alla

cessione dell’unica azienda per atto di morte o per atto gratuito a favore di familiari.

Occorre rilevare come, nella generalità dei casi, l’atto di disposizione avvenga a titolo

gratuito. Il riferimento va dunque ai trusts liberali.

Esaminata la fase legata all’atto di disposizione, si deve dare contro dei redditi

(eventualmente) prodotti dal patrimonio in trust.

Assumendo la posizione maggioritaria per la quale il trust è il soggetto passivo, per altro in

tema di trust interni cessando ogni necessità di discussione in merito alla residenza, si deve

coerentemente sostenere che la manifestazione di capacità contributiva (art. 53 Cost.)

risiede nel trust medesimo, mentre l’adempimento all’obbligazione tributaria è in capo al

Trustee206. Stabilito l’assoggettamento passivo in capo al trust, quando il soggetto sarà

equiparato ad ente non commerciale si dovrà qualificare il reddito prodotto secondo le

categorie proprie di ciascun reddito. E’ stato coerentemente sostenuto che la qualificazione

soggettiva del trust non è retta solo dall’art. 87 (vecchio Tuir, art. 73 nuovo Tuir), comma 2,

ma dal fatto che il trust soddisfa le condizioni di non appartenere ad altri soggetti passivi e

con un presupposto impositivo unitario e autonomo.

A titolo esemplificativo quindi il trust ritrarrà redditi di capitale in merito agli interessi da

obbligazioni o titoli. Da notare come in questo caso il trust interno si troverà in una posizione

di svantaggio rispetto ad un soggetto residente in un Paese “White list”, che potrà

eventualmente porre in essere pratiche di ottimizzazione fiscale207

Il Trustee, agendo in adempimento all’obbligazione tributaria del trust dovrà dunque

attribuire un codice fiscale per ogni trust e, ricorrendone i presupposti, chiedere l’attribuzione

di un numero di P. IVA. La dottrina, sul punto, ha evidenziato diverse soluzioni per la

contabilizzazione e il bilancio del trust208.

Particolare attenzione dovrà comunque essere dedicata alla cessione di beni in trust, sia

come conseguenza delle indicazioni dell’atto sia quale conseguenza delle valutazioni di

205 Gaeta, Aspetti tributari dei trust interni, cit., p. 167 206 Al riguardo occorre distinguere tra Trustee professionale o meno. Nel primo caso terrà una contabilità separata per ogni trust amministrato, supportata da un Libro degli eventi. Se il Trustee professionale è costituito in forma societaria (trust company) sarà preferibile iscrivere i beni in trust tra i conti d’ordine e non nell’Attivo, proprio perché detenuti “in qualità di Trustee” e sarà il legale rappresentante della trust company ad inserire i propri dati e firmare la dichiarazione Modello Unico apponendo, accanto alla firma, la dicitura “in qualità di Trustee del trust X”. Ad ogni trust sarà attribuito un codice fiscale ed eventualmente una partita Iva. A favore di quanto precedentemente sostenuto vedasi anche la posizione della DRE Emilia Romagna in tema di adempimenti. 207 Gallo, Trust, interposizione ed elusione fiscale, Rassegna tributaria, 1996, p.105. 208 Mancinelli – Bastianelli, Impresa disponente e trustee professionale: problematiche tributarie e di bilancio dei beni in trust, Trusts e attività fiduciarie, 2003, p. 51; Marchese, Il bilancio del trustee, aspetti contabili, in Il trust in Italia, congresso 1999.

Ammissibilità dei trusts e applicazioni pratiche nell’ordinamento italiano: profili fiscali

177

opportunità gestionale autonomamente assunte dal Trustee. In questo caso ci si interroga se

si verifichino profili impositivi in capo al trust. Anche in tal caso si registrano varie posizioni,

anche se sembra prevalere l’orientamento in base al quale occorra fare riferimento ai principi

ordinari contenuti nel Tuir e conseguentemente alla fattispecie esatta, non solo del tipo di

trust, ma anche al contenuto dell’atto di trust. Lo studio della DRE Emilia Romagna, del quale

si darà menzione in seguito, arriva a sostenere che in caso di cessione di beni non effettuate

nell’esercizio dell’impresa si potrà fare riferimento all’art. 66 Tuir ovvero a fattispecie non

rilevanti fiscalmente perché altrimenti non inquadrabili (viene fatta esplicita esemplificazione

del caso della vendita di un quadro).

Per quanto attiene il trasferimento (o attribuzione) ai beneficiari occorre distinguere

tra le attribuzioni di redditi durante la vita del trust e attribuzioni del patrimonio finale.

Su entrambi temi il dibattito dottrinale è aperto; una tesi evidenzia la necessità di ricondurre i presupposti alle categorie reddituali stabilite dal Tuir (ex art. 6) e conseguentemente una rendita vitalizia (o comunque una rendita periodica) sarà da ricondurre ai redditi assimilati a

quelli di lavoro dipendente e come tale considerata imponibile. L’attribuzione di una somma, non correlata a rendita, potrebbe così essere fiscalmente non imponibile. Del resto il tema va considerato anche alla luce dell’effettiva transazione, ben potendo trattarsi dell’attribuzione

di una somma derivante da una dismissione operata dal Trustee di una parte del patrimonio in trust; patrimonio dunque nel quale occorre verificarne il percorso reddituale alla luce dei principi generali; in ipotesi, considerando imponibile in capo al beneficiario tale somma

attribuita, si potrebbero aprire problematiche di doppia imposizione (art. 163 Tuir). Si può anticipare in questa sede la peculiare tesi sostenuta dalla Direzione Regionale Entrate Emilia Romagna per la quale, nel caso di attribuzioni che non derivano da smobilizzi patrimoniali, “il presupposto impositivo si realizza esclusivamente in capo al trust, non potendo ritenersi che l’esistenza di un obbligo in capo al Trustee di trasferire al beneficiario determinate somme possa modificare la soggettività passiva del trust ed i relativi obblighi fiscali”. Infine, oggetto di indagine può essere il caso nel quale i beneficiari cedano i loro diritti. Secondo l’orientamento prevalente, tale fatto parrebbe equiparato alla cessione del credito e rileverà profili di imposizione diretta in dipendenza della soggettività reddituale del

beneficiario. Si nota ovviamente come tali eventualità si possano riscontrare in particolari trust commerciali, ma anche in alcuni casi di trusts non liberali. Sul tema, tuttavia, occorre verificare ed esaminare il caso specifico, ben potendo esistere fattispecie di trust in cui

l’aspettativa del beneficiario è da classificare quale cosa diversa rispetto ad un diritto di credito. Particolare attenzione va posta ai cd. “accumulation trust” o ai cd. “trust di scopo”, rispetto ai quali non sembra ipotizzabile una diversa imputazione del reddito se non al trust

in quanto i beneficiari, ancorché individuati o individuabili, non hanno diritto all’immediata percezione del reddito.209

209 Zizzo, Op. Cit., p. I-4659.

T R U S T

178

Lo stesso dicasi per i cd “trust discrezionali” ove i beneficiari non sono individuati; in tale

fattispecie il beneficiario potrebbe anche non essere al corrente della sua posizione

soggettiva, che quindi risulterà costituita all’atto della percezione del patrimonio in trust, ma

solamente quando questa rivesta i presupposti per essere qualificata reddito ai sensi del

nostro ordinamento.

3.2. Imposizione indiretta

Passando all’analisi dell’imposizione indiretta si dovrà dapprima indagare se il mero atto istitutivo

integri o meno i presupposti impositivi. Pur segnalando la (logica) distinzione tra i trusts in cui

l’atto (o gli atti) dispositivo sia temporalmente differito da quello istitutivo da quelli in cui vi sia

coincidenza temporale, la dottrina pare unisona nell’evidenziare la sola applicazione dell’imposta

di registro in misura fissa. Particolarità va tuttavia osservata in alcuni casi.

Innanzitutto nel caso, non privo di riscontro nella prassi professionale, in cui l’atto di trust

non evidenzia i beneficiari, sia perché trattasi di trust discrezionale che perché trattasi di

trust con la previsione di condizioni senza il raggiungimento delle quali non si indica il

beneficiario; in tal caso una importante posizione dottrinale, in cui anche chi scrive tende a

riconoscersi, evidenzia come il presupposto impositivo sorgerebbe solo al momento

dell’effettiva individuazione dei beneficiari in quanto il Trustee non “subisce” alcun

arricchimento, in virtù della segregazione che avvolge il patrimonio in trust.210

In secondo luogo si devono valutare quelle situazioni soggettive, anch’esse non prive di

riscontro nella prassi, in cui vi sia coincidenza tra i diversi soggetti correlati al trust

ed in particolare tra Settlor e beneficiario o tra Settlor e Trustee o tra Settlor e Protector. Nella prima fattispecie, quando non è dubbia la configurabilità del trust211, la fattispecie non

pare molto lontana da quella che si genera ad esempio nel fondo patrimoniale212, e

conseguentemente l’imposizione indiretta può essere considerata chiara e con una

consolidata prassi applicativa; parrebbe quindi indubbia l’applicazione dell’imposta fissa di

registro. Si segnala, per poi approfondire in seguito, come sia rinvenibile un prezioso

precedente di giurisprudenza tributaria nella Sentenza Commissione Tributaria Regionale

Venezia del 2002.

Ulteriore aspetto è da dedicare ai cd trust testamentari. Chi scrive aderisce ad una corrente

dottrinale per la quale il trust testamentario sia altro rispetto ad una successione.

Ovviamente distinguendo tra trust convenzionale e non convenzionale, si ritiene infatti che

210 Di Maio, Italia Oggi, 12 marzo 1998, p. 8; Giovannini, Soggettività tributaria e fattispecie impositiva, Padova, 1996, p. 1118 e ss; Busani, L’istituto del trust, Guida Normativa (Il Sole 24 Ore) n. 294/97; Marino, Riorganizzazioni personali internazionali, trusts ed elusione fiscale, Rivista Dottori Commercialisti, 1999, p. 32. 211 Il riferimento è ad alcuni casi oggetto di recente posizione da parte dell’Amministrazione, dei quali si darà menzione in seguito. 212 Così si è espressa al riguardo la Commissione Tributaria Regionale di Venezia (sentenza n° 104 del 24 ottobre 2002).:“l’istituto che realizza il medesimo effetto del contratto di trust, cioè la segregazione del patrimonio, è il fondo patrimoniale”, pur evidenziano le differenze tra questi istituti. Lo scopo del fondo patrimoniale, estremamente circoscritto, è quello di far fronte ai bisogni della famiglia e l’amministrazione dei beni del fondo, che restano distinti da quelli dei coniugi, spetta normalmente ai coniugi stessi, e non ad un soggetto terzo. Così anche De Angelis, Op. Cit.

Ammissibilità dei trusts e applicazioni pratiche nell’ordinamento italiano: profili fiscali

179

occorra fare riferimento alle condizioni sospensive contenute nell’atto di trust che ben

potrebbe disporre il mantenimento del patrimonio in trust per un periodo successivo alla

dipartita del De cuius/Settlor. Conseguentemente il patrimonio in trust non entrerebbe in

successione, pur lasciando tuttavia che l’istituzione si sia verificata in periodo anteriore e non

in concomitanza con il testamento, che dispone quindi la sola disposizione. Quanto prima in

diretta conseguenza del principio di segregazione che avvolge il patrimonio in trust.213

Muovendo all’atto di disposizione, ovvero a quell’atto attraverso il quale il patrimonio del

Settlor viene segregato in trust e affidato al Trustee, la dottrina si interroga da tempo sui

profili impositivi. Semplificando, le principali correnti si possono sintetizzare attorno a coloro

che ritengono sia applicabile l’imposta di donazione oppure attorno a coloro che ritengono

che sia applicabile l’imposta di registro ovvero l’Iva, quando dovuta, per i casi correlati a

Settlor diversi da soggetti non imprenditori214.

All’interno della seconda categoria, un’ulteriore distinzione divide coloro per i quali l’atto di

disposizione non realizza in sé un atto di (reale) trasferimento, complice il citato principio di

segregazione, e conseguentemente avanzano la tesi dell’applicazione fissa dell’imposta di

registro e coloro per i quali l’atto di disposizione integra i presupposti per l’applicazione

dell’imposta proporzionale di registro.215

Tra coloro che avanzano la tesi dell’applicazione proporzionale dell’imposta di registro

occorre ulteriormente distinguere tra chi ritiene che, complice il principio di segregazione,

nonostante la mancata onerosità del titolo si rende applicabile l’aliquota del 3% (art. 9

Tariffa)216, e coloro che ritengono applicabile l’imposta in maniera correlata ai beni oggetto di

trasferimento, ovviamente nel rispetto dei principi applicativi dell’imposta di registro217.

Per la dottrina citata, coerentemente, ove ricorrano i presupposti vigerà il principio di

alternatività e quindi l’atto sarà assoggettato ad Iva.

Diretta conseguenza delle posizioni in campo di registro è l’evidenza che atti dispositivi aventi

ad oggetto immobili o aziende territorialmente dislocati in Italia sarà sempre imponibile,

mentre in determinati casi e per beni diversi da quelli sopra descritti sarà possibile applicare

l’imposta solo in caso d’uso, con l’accortezza di formare l’atto all’estero.

213 Serbini, Appunti sul trust e sui riflessi fiscali conseguenti al suo riconoscimento, Il Fisco n. 33/94, p. 7873. 214 Sostengono l’imposta di donazione, fra gli altri, Tundo, Implicazioni di diritto tributario connesse al riconoscimento del trust, Diritto e pratica tributaria, 1993, p.1285, Gaffuri-Albertini, Disciplina fiscale del trust: costituzione e trasferimento dei beni, Bollettino Tributario, n° 23/1995, p.1701. A favore dell’imposta di registro, fra gli altri, Lupoi, Op. Cit., p.481, Di Maio, Il trust non è una donazione ma paga l’imposta di registro, Italia oggi del 19 febbraio 1997. 215 Così nello studio della DRE Emilia Romagna: ”Nonostante la natura gratuita di tale atto traslativo, si ritene che nei confronti del trustee non si realizzi alcuna attribuzione liberale da parte del disponente, atteso che proprio per la posizione segregata dei beni trasferiti, lo stesso trustee non ottiene alcun arricchimento sostanziale del suo patrimonio”, concludendo che ove applicabile l’imposta deve essere quella prevista dall’art. 11 della Tariffa (tassa fissa). Quanto prima salvo che il disponente essendo imprenditore non disponga assoggettato ad Iva. 216 Fedele, Visione di insieme della problematica interna, I trusts in Italia oggi, 1996, cit., p.287, Busani, L’istituto del trust, Guida normativa del “Il Sole-24 Ore” del 27 ottobre 1997, n.294, Di Maio, Il trust non è una donazione, ma paga l’imposta di registro, Italia Oggi del 19 febbraio 1997, Cesaro, Il trust. Quale disciplina?, I contratti n° 6/1998, p. 625, Giovannini, Trust e imposte sui trasferimenti, Rassegna tributaria n. 4/2000, p.1115. 217 Secondo tale tesi occorre pertanto verificare l’esatta portata dell’atto di trust e qualora si verificasse il trasferimento, lo stesso avrebbe un indubbio effetto anche sui beneficiari. Si veda Screpanti, Trusts e imposizione indiretta, Il Fisco n. 13/2001, p. 4931.

T R U S T

180

Una prima conclusione può già essere delineata in questa fase; l’analisi dovrà essere operata caso per caso allo scopo di ben definire l’inquadramento tributario idoneo alla fattispecie specifica. Del pari sarà opportuno valutare la rispondenza o meno dell’atto al contenuto della

Convenzione dell’Aia218.

Ulteriore profilo d’analisi riveste il passaggio del patrimonio in trust al beneficiario.

All’interno di questa categoria sembra ancora primaria l’esigenza della valutazione del contenuto dell’atto di trust e conseguentemente la definizione della specifica fattispecie. Così

quando il trasferimento in oggetto pare essere la definitiva manifestazione della volontà del Settlor potrebbe profilarsi il presupposto per l’applicazione di una liberalità indiretta e dunque, ove ne ricorrano le condizioni, potrebbe doversi applicare l’imposta sulle

donazioni219. Nel dibattito dottrinale, ampio e correlato agli aspetti già evidenziati in precedenza, assume carattere importante la tesi che propone l’assoggettamento all’imposta di registro anche del passaggio oggetto della presente disamina220 ed altrettanto deve dirsi

con riferimento all’altra tesi per la quale pare prevalere l’assimilazione al mandato senza rappresentanza221. Ovviamente solo un rinvio alla citata dottrina può dare ragione delle importanti argomentazione a sostegno di ciascuna tesi. In questo ambito si ritiene preferibile

fornire evidenza di come l’effetto tributario paia essere una diretta conseguenza della pianificazione del contenuto dell’atto del trust, in aderenza alle volontà del Settlor, allo scopo di individuare quelle fattispecie che consentano maggiori margini di certezza. Agli scopi della

presente disamina può essere utile fornire indicazioni circa la distinzione operata in dottrina per quei trust nei quali i beneficiari siano o meno designati nell’atto di trust e in via preventiva se l’atto di trust possa dirsi riconoscibile ai sensi della Convenzione dell’Aia222. Nel

caso di trust convenzionali con beneficiari non dichiarati, la dottrina citata sostiene come l’imposizione indiretta possa essere rinviata fino alla definizione del beneficiario, ma allorquando il trust non possa essere riconosciuto allora si assiste ad un trasferimento

patrimoniale con la diretta conseguenza dell’applicabilità dell’imposta di registro. Correttamente, l’argomento sostenuto evidenzia come la designazione del beneficiario possa essere anche implicita, oltre che esplicita, recuperando ad imposizione dunque anche quelle

attribuzioni patrimoniali o reddituali. 218 Pienamente condividisibile l’evidenza di De Angelis, Op. Cit, allorquando riferisce come sia “essenziale appurare se sulla base della legge applicabile, della sede e di ogni altro elemento rilevante, si sia in presenza di un trust in grado di ottenere il riconoscimento ai sensi della Convenzione dell’Aia, o meno”. Solo un trust convenzionale può essere oggetto di rinvio temporale dell’imposta allorquando i beneficiari non vengano dichiarati nell’atto di trust. Nel caso opposto si assiterà ad un effettivo trasferimento, come tale oggetto di immediata tassazione. 219 Dominici, Brevi note sull’incidenza della soppressione dell’imposta sulle successioni e donazioni con riguardo alle imposte indirette gravanti sui conferimenti in trust, Fiducia e Trust, n° 55 allegato a Il Fisco n° 44 del 3 dicembre 2001 . Nello stesso senso anche la Direzione Regionale Entrate Emilia Romagna quando afferma che “Se lo scopo perseguito dal disponente attraverso il trust è quello di devolvere il patrimonio a soggetti terzi, beneficiari finali, il trasferimento rappresenta la realizzazione di finalità di natura liberale che trovano la loro fonte nella volontà del disponente. Si configura una sorta di liberalità indiretta che costituisce il presupposto per l’applicazione dell’imposta sulle donazioni nei confronti dei beneficiari finali, ove ne ricorrano le condizioni”. 220 Lupoi, Trusts, cit., p. 647 221 Giovannini, , Op. Cit., p. 1111; Fedele, Op. Cit., p. 287. 222 De Angelis, Op. Cit., p. 6231 ove, ai fini della determinazione delle imposte indirette dovute all’atto di trasferimento del patrimonio ai beneficiari, ritiene essenziale, in primis, appurare se lo specifico trust abbia o meno le caratteristiche per poter essere riconosciuto ai sensi della Convenzione dell’Aja, e poi distinguere il caso in cui i beneficiari siano o meno designati dall’atto di trust.

Ammissibilità dei trusts e applicazioni pratiche nell’ordinamento italiano: profili fiscali

181

Infine si può dare menzione di alcuni casi particolari. Il caso in cui un effettivo trust ( e

non un cd. sham trust223) porti all’attribuzione di beneficiario il medesimo Settlor; anche in

questo caso varranno le medesime considerazioni svolte in merito ai beneficiari terzi. Altro

caso è quello in cui si operi una successione del Trustee; anche qui, in dipendenza della

dottrina di riferimento, c’è chi ritiene che si sia innanzi ad un atto di trasferimento, come tale

da sottomettere ad imposta di registro o a Iva, in dipendenza del caso di specie.224

Da ultimo si vuole solo citare il caso, non ignoto alla prassi, in cui il trustee di un trust

discrezionale che ha ricevuto dal Settlor un bene, decida in piena autonomia, sempre alla

luce delle possibilità concesse dall’atto, di cedere quel determinato bene e di investire il

ricavato in altre attività, sempre con lo scopo di attribuirne un giorno ai beneficiari il

patrimonio. E’ evidente come sia particolarmente difficile l’inquadramento giuridico tributario

di tale fattispecie, ma contemporaneamente appaia maggiormente percorribile se in luogo di

una intestazione diretta in capo al trust si ricorresse alla più agevole situazione legata

all’esistenza di una società commerciale (ciò che gli anglosassoni chiamano un “special purpose vehicle”). “Trasformando” beni di primo grado in beni di secondo grado, tutto pare

rientrare nell’ambito della “normalità” tributaria collocando la detenzione delle partecipazioni

in trust in un alveo che pare a chi scrive maggiormente dotato di quelle certezze che impone

la prassi professionale nel consigliare la clientela che si avvicina ai pregi dell’istituto in

commento, con prevalenza di interesse per i suoi caratteri non tributari.

4. I diversi orientamenti in tema di imposizione indiretta

Pur facendo ampio ricorso al rinvio ad altre trattazioni specifiche, per le esigenze della

presente relazione si ritiene utile fare cenno autonomo alle principali posizioni espresse, che

possono influenzare (e hanno influenzato) la dottrina tributaria ed anche la prassi

professionale.

4.1. Orientamenti del Se.C.I..T.

Con deliberazione n. 37 dell’ 11 maggio 1998 il Se.C.I.T. è intervenuto nel dibattito fiscale

cercando di delineare una possibile qualificazione del trust nel nostro sistema tributario.

Come unanimemente sottolineato dalla dottrina, se da un lato può risultare apprezzabile il

tentativo di delineare delle linee guida, dall’altro il quadro pare viziato da un difetto di

(piena) comprensione delle molteplici e cangianti fattispecie che sono riconducibili ai trusts e

al loro utilizzo. Le posizioni espresse sono riassumibili di seguito:

223 Come intelligentemente fattomi notare la traduzione in italiano potrebbe essere “fasullo”, anche se non dispiace la traduzione letterale “sceneggiata” che forse esprime ancora meglio il concetto. 224 Così si è espressa al riguardo la DRE Emilia Romagna: “Poiché nel caso di successione di trustee la titolarità dei beni deve essere trasferita al nuovo Trustee, qualora si sia in presenza dei presupposti di registrazione dell’atto, si renderà applicabile l’imposta di registro in misura fissa di cui all’art. 11 della Tariffa, Parte Prima, del D.P.R. n. 131/1986.”

T R U S T

182

(i) comprensione del meccanismo di riconoscimento legato alla ratifica della Convenzione

dell’Aia;

(ii) presa di posizione circa l’applicabilità della sola imposta fissa di registro per l’atto

istitutivo;

(iii) presa di posizione nell’ambito dei cd trust testamentari, prevedendone una

qualificazione al fine di essere assoggettato ad imposta sulle successioni (per altro

prevedendo che l’imposta sia assolta dal Trustee);

(iv) presa di posizione nell’ambito dei trusts inter vivos, con assoggettamento ad imposta

sulle donazioni (per altro prevedendo che l’imposta sia assolta dal Trustee);

(v) presa di posizione in merito alla soggettività passiva, considerando il trust quale

contribuente Irpeg ricorrendo le condizioni ex art. 87 del vecchio Tuir;

(vi) presa di posizione in capo ai beneficiari sia con raccomandazioni di provvedere alla rimozione

di eventuali doppie imposizione sia mediante previsione della tassazione in capo agli stessi

dei redditi percepiti durante l’esistenza del trust (con qualifica a redditi di capitale).

Come anticipato, la deliberazione è stata oggetto di numerose e ben argomentate critiche225

e in aggiunta non ha preso posizione circa le fattispecie maggiormente utilizzate dalla prassi

professionale.

4.2. Orientamenti della D.R.E. Emilia Romagna

Con il documento “Il trust riconosciuto in Italia - Profili civilistici e tributari” la Direzione

Regionale delle Entrate in oggetto, con il contributo di alcuni componenti gli ordini

professionali, ha stilato un documento che ha l’indubbio merito di prendere una posizione

chiara, per lo meno negli orientamenti. Di alcune posizioni si è già dato conto, equiparando il

documento ad una (chiara) posizione dottrinale.

Sempre procedendo per sintesi, e con solo riferimento alle principali fattispecie tributarie, il

documento prevede:

(i) che la casistica è talmente variegata da impedire categorizzazioni assolute, limitando la

presa di posizione ai trust inter vivos in cui i beneficiari siano determinati o determinabili

(in generale riferendo ai cd trust liberali); (ii) per quanto attiene alle imposte dirette che le problematiche essenziali siano legate al

trasferimento dei beni al trust, ai redditi prodotti, ben ponendo la tesi del trattamento fiscale degli (eventuali) frutti del patrimonio in trust e inquadrando infine il tema dei compensi percepiti dal Trustee. Lo studio evidenzia correttamente la distinzione tra beni

225In particolare, contro l’assimilazione del testamentary trust alla figura del fidecommissum di diritto romano al fine di ritenere applicabile l’imposta sulle successioni, vedi il Tribunale di Lucca, sentenza del 23 settembre 1997, Stevanato, Donazioni e liberalità indirette nel tributo successorio, Padova, 2000, p.181, Screpanti, Op. Cit., p.4929, Aprile, Op. Cit., p. 5282, De Angelis, Op. Cit., paragrafo 10. Fa notare lo stesso De Angelis l’erroneità della delibera del Se.C.I.T. nell’ipotizzare che l’imposta, facente capo al Trustee, possa essere assolta da quest’ultimo anche disponendo del trust fund; l’erronea assimilazione dei trusts venuti ad esistenza durante la vita del disponente per volontà di costui ai fidecommissa e la mancanza di alcuna menzione relativamente ai cc.dd. discretionary trusts, nei quali i Beneficiaries non sono nominati. Contro la tesi sostenuta dal Se.C.I.T. si veda la posizione assunta dal Notariato nello Studio n. 80/2003/T, riportata al paragrafo successivo e nella nota 37.

Ammissibilità dei trusts e applicazioni pratiche nell’ordinamento italiano: profili fiscali

183

di pertinenza dell’impresa e altri beni e prende posizione netta in merito alla soggettività tributaria in capo al trust, evidenziando il ruolo del Trustee quale soggetto tenuto ad adempiere alle obbligazioni reddituali (ma non solo) del trust. Come anticipato assume un‘opinione particolarmente forte circa l’esclusività del rapporto impositivo in capo al trust, anche innanzi a somme da questo corrisposte ai beneficiari;

(iii) per quanto attiene alle imposte indirette evidenzia come a rilevare siano gli effetti e consegue che “il trasferimento dei beni dal disponente al Trustee e da questi ai beneficiari, pur se realizzati con atti distinti, sono espressione di un unico disegno volto a consentire la realizzazione dell’attribuzione liberale al beneficiario”. Circa il trasferimento correlato all’atto di disposizione, la DRE assume la posizioni di disconoscere ogni realizzo di attribuzione liberale e consegue con l’assoggettamento ad imposta di registro (art. 11 Tariffa), osservando come nel caso di disponente diverso da soggetto non imprenditore, si dovrà applicare l’Iva. Passando invece al trasferimento in capo ai beneficiari, fa prevalere la finalità di natura liberale prendendo posizione per l’applicazione dell’imposta di donazione, ove ne ricorrano le condizioni. Lo studio esprime poi un opinione in merito alla successione dei Trustee e dei guardiani, evidenziando come si ritenga applicabile l’imposta di registro in misura fissa. Con riferimento agli atti di trasferimento che occorrano al patrimonio in trust, sempre facendo riferimento all’imposta di registro, lo studio evidenzia l’applicazione dell’imposta proporzionale, in dipendenza della fattispecie, salva l’applicazione dell’Iva ricorrendone i presupposti. Infine viene presa una posizione, condivisibile, in merito alle imposte ipotecarie e catastali che, se dovute, saranno da considerare in misura fissa nel trasferimento da Settlor a Trustee e in misura proporzionale nel passaggio da trust a beneficiari.

4.3. Orientamenti del Notariato Con lo Studio n. 80/2003/T226, approvato dalla Commissione studi tributari il 21 novembre 2003, il Notariato ha preso posizione relativamente al quesito concernente il trattamento tributario, sotto il profilo delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, di un atto istitutivo di trust interno, regolato da legge straniera, che preveda il trasferimento di beni immobili. La trattazione riprende lo schema già proposto sopra, distinguendo l’atto istitutivo, l’atto di disposizione, il trasferimento ai beneficiari ed alcuni casi particolari, sostenendo o confutando le tesi dottrinali o dell’amministrazione. Ricordando inoltre come, in virtù dell’art. 19 della Convenzione dell’Aja, ogni singolo stato ratificante mantenga la competenza in materia fiscale, e mancando ancora un intervento legislativo in tal senso in Italia, il regime impositivo applicabile ad un trust convenzionale, ovvero rispondente ai requisiti previsti dall’art 2 della Convenzione stessa, sarà individuato esaminando ogni singola fattispecie, al fine di comprendere il risultato economico raggiunto e quindi “le fattispecie tributarie di diritto italiano che si rivelino funzionalmente analoghe”, ovvero assimilabili al trust sul piano del trattamento tributario.

Il primo atto rilevante è l’atto istitutivo del trust; la posizione del notariato, coerentemente a

quanto sostenuto dalla corrente dottrinale maggioritaria e dal Se.C.I.T, si stanzia sull’applicabilità 226 Disponibile sul sito www.euroconference.it

T R U S T

184

dell’imposta di registro in misura fissa quando tale atto, che non ha ad oggetto prestazioni a

contenuto patrimoniale, limitandosi a delineare il programma di attribuzioni da parte del settlor, riveste la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata.

Più problematico risulta invece l’inquadramento tributario dell’atto dispositivo.

Escludendo dall’analisi il trust testamentario, che a seguito della soppressione dell’imposta

sulle successioni e donazioni con la legge 18 ottobre 2001, n. 383 non sembra più soggetto

ad alcuna imposizione227, il Notariato sostiene l’impossibilità di assimilare il negozio

dispositivo dal Settlor al Trustee alla donazione con conseguente imposizione in capo al

Trustee, contraddicendo così le argomentazioni del Se.C.I.T. e di parte della dottrina e della

giurisprudenza. Per la tesi in commento né la causa, né gli effetti di tale negozio coincidono

con quelli della donazione; il Settlor non è mosso da un intento di liberalità nei confronti del

Trustee, quanto piuttosto nei confronti dei beneficiari; il Trustee “non manifesta una capacità contributiva propria con riferimento ai beni affidatigli fiduciariamente”. Sul piano degli effetti,

invece, il depauperamento del patrimonio del Settlor può ben verificarsi anche in atti a titolo

gratuito non donativi e comunque, a fronte di tale effetto, non si verifica un corrispondente

arricchimento del patrimonio del Trustee.

Non si ritiene corretta neanche la teoria che sostiene l’applicabilità all’atto di disposizione dell’imposta sui trasferimenti (imposta di registro/IVA o categoria residuale ex art. 9, tariffa, parte prima allegata al d.p.r. 131/86) in quanto il Trustee non manifesta alcuna capacità

contributiva non avendo la proprietà sostanziale del bene, in forza dell’effetto segregativo, ed essendo tale attribuzione meramente strumentale al raggiungimento del fine ultimo del trust. Sulla questione il Notariato conclude a favore dell’applicabilità dell’imposta fissa di registro ex

art. 11 ed eventualmente, laddove se ne presentino i presupposti impositivi, dell’imposta ipotecaria e catastale. Il successivo trasferimento dal Trustee ai beneficiari sarà invece fondamentale ai fini della

determinazione del tipo e della misura dell’imposta applicabile: in base alle argomentazioni precedenti, emerge come gli unici soggetti passivi d’imposta siano, infatti, i beneficiari. Esaminando il contenuto specifico dell’atto di trust e l’effettiva volontà del Settlor, qualora

l’attribuzione ai beneficiari rientri nella categoria delle liberalità, si riterrà applicabile, sussistendone i requisiti, l’imposta sulle donazioni; viceversa, l’atto andrà sottoposto all’imposta di registro con aliquota variabile in base all’oggetto del trasferimento. E’ ritenuta

dal Notariato altrettanto fondata la teoria di coloro che ritengono applicabile l’imposta proporzionale del 3% ex art. 9 della tariffa, parte prima, allegata al d.p.r. n. 131/86, in relazione ad un atto di trasferimento senza corrispettivo, ma la cui causa è l’adempimento di

un obbligazione da parte del Trustee.

Particolare menzione è data poi dal Notariato all’orientamento della D.R.E. Emilia Romagna,

riportato al paragrafo precedente, ed espressamente condiviso insieme ad altre tesi che

227 Sostenendo la tesi del Tribunale di Lucca, sentenza del 23 settembre 1997, il Notariato non concorda con l’assimilazione del trust testamentario alla sostituzione fedecommissaria prevista dal Se.C.I.T al fine di ritenere applicabile l’imposta sulle successioni al Trustee che, come condiviso dalla dottrina, non potrebbe mai assumere la qualità di successore mortis causa del Settlor.

Ammissibilità dei trusts e applicazioni pratiche nell’ordinamento italiano: profili fiscali

185

considerano l’atto istitutivo e dispositivo neutro dal punto di vista fiscale, in quanto non

comporta trasferimento di proprietà, e quindi assoggettato alla sola imposta fissa di registro,

e fiscalmente rilevante, in base al negozio cui corrisponde, il successivo atto di trasferimento

ai beneficiari.

4.4. Alcuni altri orientamenti dell’amministrazione anche in risposta ad interpello

E’ utile richiamare, tra le varie prese di posizione, anche in campo contiguo a quello oggetto

della presente disamina, alcune recenti risoluzioni e conseguenti orientamenti.

L’Agenzia delle Entrate ha recentemente reso tre pronunce su altrettante istanze di

interpello, che possono contribuire alla definizione delle problematiche in campo tributario228.

Trust “Gli aquiloni”

Un primo parere è quello riferito con Ris. 8/E del 7 gennaio 2003229. Il caso specifico riguarda

un trust discrezionale secondo legge di Jersey ove il Settlor con l’obiettivo di provvedere “ove altri non vi provvedano” al benessere della famiglia e in particolare dei nipoti, trasferisce ad

un Trustee un patrimonio in denaro allo scopo di garantire alla nuova generazione alcune

regalie predeterminate (“paghetta settimanale proporzionata all’età .. un giocattolo ad ogni festa di compleanno e ogni Natale”), nonché provvedere all’istruzione universitaria

specialistica e, per un terzo del fondo del trust, all’avvio di un’attività

professionale/imprenditoriale.

Il problema emerso nella specifica fattispecie è tuttavia legato alle posizioni soggettive. Nel

trust in commento il Settlor è anche l’Enforcer (guardiano) e, secondo l’impostazione

dell’atto, dotato del potere di gestire e disporre dei beni in trust. L’Amministrazione, a fronte

del presunto effettivo “soffocamento” dei poteri del Trustee, conclude per una

riqualificazione dell’istituto in mandato con rappresentanza, con i conseguenti effetti tributari.

Pur non conoscendo nello specifico gli elementi del trust in oggetto, la riqualificazione

operata dall’Amministrazione non pare completamente condivisibile, anche se probabilmente

supportata da esigenze di tutela innanzi al timore di propositi illeciti o elusivi. In effetti

l’Amministrazione riporta come “non ravvisandosi nel concreto un effettivo potere di gestione e amministrazione del Trustee, tale negozio non è qualificabile come istitutivo di un trust, secondo il modello convenzionale (…). Piuttosto è riconoscibile una della fattispecie negoziali che secondo il rapporto Ocse del 26 e 27 aprile 2001, “Report on the misure of corporate vehicles for illicit purposes”, potrebbero prestarsi ad usi non del tutto trasparenti. E’ il caso ad esempio, secondo tale rapporto, di un trust formalmente regolare in cui il Settlor mantiene l’effettivo controllo sui beni attraverso un guardiano che – persona di fiducia o consigliere del Settlor – può sostituire il Trustee per qualsiasi ragione e in qualsiasi

228 Si veda Lupoi, Osservazioni sui primi interpelli riguardanti trust, Il Fisco, n. 28/2003, p. I-11678 229 in Il Fisco, n. 4/2003, p. II-620, con nota Belluzzo-Lo Presti, ivi, Il Fisco n. 22/2003, p. I-3398; Si veda anche la nota di Stancati in Corriere Tributario, 2003, p. 667.

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momento”. Gli aspetti di non condivisione sono in gran parte correlati alla riqualifica operata

sulla base dell’assenza di un effettivo potere gestorio del Trustee; pur comprendendo che il

trust è denominato quale discrezionale, occorre ricordare anche i bare trusts (trust nudi) nei

quali è praticamente inesistente il potere gestorio del Trustee230 e di come l’Amministrazione

avrebbe potuto riqualificare l’Enforcer nel vero Trustee. Parecchie perplessità solleva tuttavia

la clausola in base alla quale il disponente ha pieno dominio gestorio circa la possibilità di

variare tipo, modalità e grado di rischio degli investimenti, nonché il diritto di imporre il

cambio della struttura cui è appoggiata la gestione patrimoniale; l’Agenzia, citando l’atto di

trust, riporta che “il Trustee è tenuto ad aderire a tale richiesta” (del Settlor)231. In sé è

probabilmente sufficiente quest’ultima caratteristica dell’istituto in esame per consentire una

riqualificazione. Come correttamente citato dall’Agenzia “Se la gestione del trust è riconducibile al Settlor o diponente, il trust è tanquam non esset, come pacificamente riconosciuto in dottrina e affermato dalla nota sentenza della Royal Court of Jersey nella causa Rahma e Chase Bank, 1991”.

Trust “accomandante”

Un secondo parere a è rinvenibile nella risposta del 1 ottobre 2003 all’Interpello 954-

249/2003232.

Secondo la ricostruzione desumibile dalla risposta in commento, trattasi di un trust in cui

Settlor e beneficiario sono la medesima persona. Il trust ha acquistato una partecipazione,

unico bene del trust fund, ed è quindi da considerarsi socio accomandante di una società.

Senza riprendere quanto condivisibilmente affermato dalla già citata dottrina, si osserva

brevemente come l’Amministrazione sembri semplificare le proprie affermazioni a fronte di

una costruzione poco adatta della domanda di interpello e, forse, del medesimo atto di trust.

L’Amministrazione afferma (correttamente) che “è lasciato all’autonomia di ciascuno Stato contraente l’individuazione del regime impositivo da applicare. Ne consegue che, in assenza di un intervento del legislatore in materia, posta la riconducibilità della fattispecie concreta al modello convenzionale di trust delineato dall’art. 2 della Convenzione, occorre individuare, data l’estrema duttilità di questo istituto, l’idonea disciplina fiscale in relazione agli effetti prodotti in concreto”. Con questa (idonea) premessa tuttavia conclude per una

riqualificazione del trust in mandato con rappresentanza. Occorre qui menzionare che

l’interpellante ha fatto ricorso ad argomentazioni discutibili, cercando di introdurre una

dicotomia con riferimento ai redditi prodotti da partecipazione e altri redditi, evidenziando

come nel primo caso si sarebbe innanzi ad una interposizione reale di persona con il trust

230 Lupoi, Op. Ult. Cit., Il Fisco, p. 11680, nota 31 231 Come correttamente rilevato da Lupoi, Op. Ult. Cit, Il Fisco, p. 11681 “non è certamente esorbitante il potere di prestare il proprio consenso in caso di alienazione di beni in trusts (…) Anzi: qui siamo nel terreno elettivo del guardiano, che è il terreno del “veto” come distinto dal terreno delle “istruzioni” con citazione a supporto dell’art. 20 Jersey Trusts Law per la quale “The terms of a trust may requie a trustee to obtain the consent of some other person before exercising a power or a discretion”. Il richiamo dell’art. 10 b da parte dell’Amministrazione è forse legato alla particolare costruzione del trust “gli aquiloni”. 232 Pubblicato in Trusts e attività fiduciarie, 2003, p. 473

Ammissibilità dei trusts e applicazioni pratiche nell’ordinamento italiano: profili fiscali

187

che si configurerebbe quale soggetto interposto e il beneficiario quale interponente,

richiamando una clausola dell’atto di trust che prevede l’attribuzione per trasparenza dei

redditi di partecipazione ai beneficiari.233 Le ragioni alla base della riqualificazione operata

dall’amministrazione sono tre: (i) il potere del disponente di revocare il Trustee; (ii) l’identità

tra Settlor e beneficiario; (iii) la circostanza che il reddito prodotto da tale partecipazione

societaria fluisce direttamente in capo ai beneficiari.

Sull’argomento si conclude analogamente alla citata dottrina: “Nessuna tra queste ragioni resiste a elementari obiezioni”, da ciò derivando il giudizio anticipato che (probabilmente) ha

portato l’Amministrazione ad alcune semplificazioni, con un primario riferimento al timore di

possibili operazione elusive o indebiti salti d’imposta.

Trust “Licia”

Un terzo parere è il n. 30900 del 4 marzo 2003234. Il trust in questione è un trust a favore di

un soggetto disabile e lo scopo, da quanto si apprende dalla risposta, è quello di assicurare

al disabile (beneficiario) “l’assistenza necessaria vita natural durante”, cosicché “in nessun caso dovrà trascorrere la propria vita in Istituti di Assistenza per invalidi.”. Non è dato di

conoscere aspetti circa Settlor e Trustee, ma trattasi di trust interno “retto da legge inglese”.

Proprio quest’ultimo fatto, unitamente alla mancanza di un guardiano, portano alla

conclusione che trattasi di un trust non convenzionale e pertanto come “soggetto passivo d’imposta ai fini delle imposte dirette sia il soggetto nominato quale Trustee nell’atto istitutivo”. Con attinenza alla legge inglese, l’Amministrazione arriva a rilevare che “la legge inglese non esiste invero in senso proprio”, non consentendo la documentazione prodotta di

verificare la conformità del trust in esame all’art. 6 della Convenzione dell’Aia. Prende poi una

posizione a dir poco peculiare, entrando nel merito all’opportunità della presenza di un

guardiano, quasi che il Trustee in sé non possa assolvere ai diritti e alle aspettative del

beneficiario. La posizione apre il fianco maggiormente a (condivisibili) critiche d’ordine

giuridico che tributario235 .

Altri riferimenti non in materia di trust Brevemente, anche se non pervengono agli istituti del trusts, può essere utile in questa sede dare menzione della Circ. n. 20/E del 27 marzo 2003 e della Circ. n. 23/E del 1° marzo 2002 in merito a disposizioni concernenti interessi, premi e altri frutti delle obbligazioni e titoli

similari pubblici e privati, nonché altri redditi di capitale e taluni redditi di diversa natura finanziaria conseguiti da soggetti non residenti236, allo scopo di evidenziare come si menzionino anche i trusts, in “compagnia” delle lussemburghesi “holding del 29” e delle

233 Sul tema si fa ampio rinvio a Paparella, Trust e interposizione fittizia di persona nella disciplina delle imposte dirette, Il Fisco n° 17/96, p.4812. 234 Pubblicato in Il Fisco n. 28/2003, p. I-11683 235 Lupoi, Op. Ult. Cit., Il Fisco, p. 11682. 236 in Fiscovideo.

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“partnership” prevedendo come nonostante la normativa in esame ricomprenda anche gli enti “privi di soggettività tributaria”, nel caso specifico si limita la possibilità di quei soggetti che non offrono alla generalità del pubblico la possibilità di usufruire della propria attività nel

campo finanziario, salvo poi ristabilire, con la più recente circolare, che per i trusts il regime di esenzione può essere accordato a condizione che essi non siano stati istituiti per consentire ai partecipanti di fruire indebitamente del regime di esenzione associato alla

“White list”, ulteriormente specificando come, quando il trust operi una gestione esclusiva a favore di investitori istituzionali (ad es. fondi pensione), sarà sufficiente per godere dell’esenzione che il rappresentante attesti tale circostanza di esclusività.

Ulteriormente si può osservare come, per certe fattispecie particolari e come più innanzi richiamato in merito alla decisione della Commissione Tributaria Regionale di Venezia del 2002, possa essere interessante valutare le prese di posizione dell’Amministrazione in tema

di fiscalità dei fondi patrimoniali (ex art. 167 codice civile), secondo il contenuto della Ris. 221/E del 30 novembre 2000 L’Amministrazione prevede l’ applicazione dell’imposta di registro in misura fissa nei casi in cui non si verifica l’effetto traslativo, ma solamente l’effetto

di costituire un vincolo di destinazione sui beni che fanno parte del fondo patrimoniale. L’orientamento citato è condizionato dal fatto che i beni su cui si iscrive il vincolo siano di proprietà di entrambi i coniugi o di proprietà di uno solo dei coniugi che se ne riserva la

proprietà o quando, pur non riservandosi la proprietà, non si verifica l’accettazione da parte dell’altro coniuge. Nel caso in cui, invece, i beni che vengono a costituire il fondo patrimoniale appartengano ad un terzo che non se ne riserva la proprietà, nella misura in cui

vi sia accettazione da parte dei coniugi, si verifica l’effetto traslativo con la conseguente applicazione dell’imposta sulle donazioni. 237. Applicando tale orientamento dell’Amministrazione per cercare di risolvere il problema della

tassazione indiretta del trust, sembrerebbe poter concludere come sia rilevante il percorso pragmatico che si vuole adottare con riferimento all’effetto prodotto dall’atto di disposizione. Secondo tale linea si propenderà per l’applicazione dell’imposta fissa di registro quando si

intenderà valorizzare la finalità dell’atto di trust ove prevalgano le connotazioni liberali all’interno di soggetti quali i genitori o i genitori e i figli, pur comportando un effetto traslativo unitamente ad uno segregativo.

Ulteriore elemento di interesse può essere ricavato dall’esame della posizione dell’Amministrazione circa il tema dell’intestazione di immobili all’interno del negozio fiduciario italiano.

L’Agenzia delle Entrate-della Lombardia, con parere n. 118299 del 31 dicembre 2001, ha affermato come l’intestazione di beni immobili alla società fiduciaria non comporti il trasferimento della proprietà degli stessi, che rimane quindi in capo al fiduciante, ma solo il

trasferimento dei poteri di amministrazione e gestione dell’immobile. Riconducendo questa operazione alla figura del mandato senza rappresentanza, l’Amministrazione ha quindi

237 Sul tema si rinvia a Screpanti, Op. Cit., al paragrafo 4.4.

Ammissibilità dei trusts e applicazioni pratiche nell’ordinamento italiano: profili fiscali

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stabilito la registrazione in termine fisso dell’atto e l’applicazione dell’imposta di registro nella misura del 3% ai sensi dell’art. 9 della Tariffa, Parte Prima, del D.P.R. 131/1986. Anche l’Agenzia delle Entrate-dell’Emilia Romagna si è pronunciata in riferimento al

trattamento fiscale da riservare all’intestazione fiduciaria di immobili. Con la risoluzione in esame, la Direzione Regionale ha specificato come si sia in presenza di due distinti negozi: il trasferimento di proprietà formale, senza corrispettivo, dal fiduciante al fiduciario e la

retrocessione dello stesso bene, senza corrispettivo, in adempimento di un sottostante contratto di mandato senza rappresentanza, a titolo oneroso, stipulato, appunto, tra fiduciante e fiduciario.

Secondo tale interpretazione, il mandato fiduciario dovrà perciò essere registrato in termine fisso e sottoposto ad imposta di registro proporzionale del 3% mentre le due cessioni, prive di contenuto patrimoniale, sconteranno l’imposta fissa di registro.

Infine, perché richiamato nel tema assegnato, anche se non si rilevano particolari profili in ambito di imposizione diretta o indiretta, si dà un cenno al parere del Consiglio di Stato (sezione III ) del 1 luglio 2003 in ordine al potere dell’Agenzia delle Entrate di richiedere

informazione alle società fiduciarie ai sensi dell’art. 32, c. 1, n. 5) del D.P.R. n. 600/73 e successive modifiche, che verte nel merito di un’ipotetica “zona franca” costituita da un ipotetico segreto fiduciario legato alla distinzione di ciò che la prassi definisce fiduciarie

“dinamiche” e fiduciarie “statiche”. Il parere in commento conclude che trattasi di un problema di grande delicatezza e pur dando ragione alla tesi dell’Amministrazione rileva come per “la soluzione di tale specifico problema apparirebbe necessario un intervento d’adeguato livello normativo”.

5. Orientamenti giurisprudenziali

In relazione agli orientamenti giurisprudenziali, la massima attenzione va dedicata alla

decisione della Commissione Tributaria Regionale di Venezia, sezione XIX, n. 104 del 24 ottobre 2002 in base alla quale si deve escludere l’assimibilità del trust alla donazione e alla conseguente imposizione in misura proporzionale ad imposta di registro, in quanto è da

evidenziarsi l’assenza di ogni e qualsiasi intento di liberalità da parte del Settlor nei confronti del Trustee, quest’ultimo sostituendo solo il mezzo per la realizzazione del programma voluto, ovvero attribuire un vantaggio patrimoniale ai beneficiari finali.238

Il caso va esaminato nel dettaglio in quanto può essere annoverato in quelle particolari

fattispecie che sembrano, anche innanzi agli aspetti tributari, trovare sistemazione nella

“assimilazione tributaria” del caso di specie con il fondo patrimoniale, per lo meno nella fase

di disposizione. La sentenza in commento non consente purtroppo di prendere posizione

circa gli altri elementi e in particolare in conclusione recita “Il successivo passaggio alla cessazione del fondo, così come alla scadenza del trust, sono oggetto di atti suscettibili di imposizione tributaria”, con ciò non contribuendo a chiarire lo scenario.

238 In Il Fisco n. 20/2003, p. 1 2341.

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Sul punto si può tuttavia osservare come l’aspettativa sia per un’impostazione coerente con

le posizioni assunte. E’ opportuno notare in questa sede come il caso specifico (cui si fa

normalmente riferimento con il nome “Trust rinascita”) prevedesse un Settlor (Sig. A) che ha

disposto immobili nominando Trustee il marito (Sig. B). L’atto di trust prevede

espressamente che i beneficiari siano il figlio (Sig. C) per la nuda proprietà e al marito (Sig.

B) per l’usufrutto , prevedendo comunque una serie di condizioni e criteri direttivi in caso di

premorienza dei soggetti o nel caso in cui si dovesse valutare conveniente la cessione del

patrimonio in trust.239 L’analisi della decisione in commento merita alcune ulteriori considerazioni. Con la sentenza di primo grado n° 27-8-01 del 12-2-2002, la Commissione Tributaria Provinciale di Treviso aveva infatti respinto il ricorso del contribuente contro l’avviso di liquidazione, per imposta suppletiva di donazione di usufrutto, emesso dall’Ufficio del Registro di Conegliano, dove l’atto era stato registrato. A sostegno di tale decisione, la tesi per la quale “lo “scopo” economico dell’atto di devoluzione del patrimonio è quello di una donazione”, con conseguente applicazione dell’imposta su una quota di valore pari all’usufrutto. Va quindi dato il merito al giudizio di secondo grado di avere correttamente interpretato l’atto, senza alcuno sviamento correlato all’identità personale del Trustee e del beneficiario; ciò in applicazione del principio della segregazione patrimoniale. Il diritto attribuito al beneficiario non potrà infatti essere assimilato ad un diritto reale (di usufrutto), bensì ad un diritto meramente personale (non reale), che può essere chiamato diritto del beneficiario, quale “creditore” della proprietà equitativa del patrimonio in trust240. Infine occorre ben ponderare l’equiparazione giurisprudenziale della specifica fattispecie di trust con quella del fondo patrimoniale (nella sentenza si dice “non deve ritenersi infondato quanto sostenuto dalla difesa del contribuente secondo cui l’istituto realizza il medesimo effetto del contratto di trust, cioè la segregazione di un patrimonio, è il fondo patrimoniale”); a chi scrive, pur lasciando ogni approfondimento al dibattito tra giuristi, parrebbe che il fondo patrimoniale ponga certamente un vincolo (ex art. 167 e ss. del codice civile), che tuttavia è da intendersi altro rispetto alla segregazione patrimoniale tipica dei trusts.241 In altre parole chi scrive vorrebbe che, accanto alla sottolineata portata della decisione in commento, fosse particolarmente ponderata la già ricordata interpretazione dell’Amministrazione in tema di fiscalità indiretta correlata al fondo patrimoniale, comportando, ancora una volta, una potenziale assimibilità dei due istituti solo per alcuni particolari tipi di atti di trust, sostanzialmente richiamabili in trust liberali nei quali si vadano a cogliere gli indubbi vantaggi migliorativi dell’istituto in commento. Non tutti gli atti di disposizione, quindi, possono essere equiparati.

239 Il testo dell’atto di trust è pubblicato in Trust e Attività fiduciarie, 2002, p. 240; per una disamina del caso si rinvia a Rotondo, Senini e Lizza, Profili donativi nel trasferimento al trustee di un trust liberale, Trust e Attività fiduciarie, 2003, p. 371 per i quali (tra l’altro) “Sgomberato definitivamente il campo dall’imposta di donazione, non resta che ricondurre a tassabilità dell’atto nel solco dell’imposta di registro secondo il criterio generale contenuto nel già citato art. 20 D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131”. 240 Ciò consente di richiamare anche il cd “Caso Webb”; si veda la decisione della Corte Europea di Giustizia, causa C-294/92 in, Giustizia Civile, 1996, p. I-1529. 241 Si veda comunque Screpanti, Trust e imposizione indiretta: i possibili riflessi di alcuni recenti interventi normativi e orientamenti ministeriali, Il Fisco, n. 13/2001, p. 4926 per il quale “a parte queste differenze, però, sembra che i due istituti possano essere esaminati, almeno per certi aspetti, come fenomeni assimilabili”.

Ammissibilità dei trusts e applicazioni pratiche nell’ordinamento italiano: profili fiscali

191

6. Considerazioni conclusive

L’istituto del trust merita attenzione per le doti di flessibilità operativa che dimostra.

Nel merito non vi è dubbio che, anche con riguardo all’utilizzo dei trust interni, una norma specifica tributaria si dimostrerebbe, se ben fatta, un acceleratore, consentendo di superare quelle perplessità che spesso, per esigenze di certezza, consigliano di utilizzare Trust

internazionali. Il recente dibattito e le prese di posizione dell’Amministrazione, tuttavia sembrano portare sempre maggiore certezza, per lo meno circa alcune fattispecie specifiche e in particolare per

l’argomento dei trust liberali che qui maggiormente interessa. Nella disanima che è preceduta si è cercato di fornire un possibile inquadramento generale in ambito di fiscalità diretta e indiretta, riportando, pur in massima sintesi, le diverse posizioni dottrinali e le prese

di posizione dell’Amministrazione. Chi scrive rimane convinto che, anche in ambito tributario, i trusts presentano tali peculiarità da richiamare necessariamente l’attenzione sul reale ed effettivo contenuto dello specifico atto di trust e comportamento concludente dei soggetti

coinvolti. Conscio del fatto che l’elemento tributario deve essere misurato all’interno dell’utilità specifica che induce al meritevole utilizzo del trust, si può concludere evidenziando come l’inquadramento tributario in Italia debba, in un certo senso, essere precedente

all’inquadramento giuridico, in modo da consentire di evitare percorsi accidentati che potrebbero sconsigliare l’utilizzo di questo utile strumento, semplicemente per la poca certezza. Spesso la soluzione più semplice e meno onerosa è così quella di operare con beni

di secondo grado anche attraverso la ricerca di imposte sostitutive in capo ai redditi eventualmente prodotti così da minimizzare le incertezze interpretative e normative in ambito tributario. Nell’attesa di una legislazione tributaria specifica, chiara e possibilmente in grado

di recepire e migliorare le principali legislazioni internazionali comunemente utilizzate dalla prassi per i trust internazionali..

Di seguito proponiamo un fac simile di trust

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Di seguito vengono affrontati in modo schematico i seguenti punti:

IL TRUST1. Cos’è un Trust?

2. Elementi soggettivi ed oggettivi caratteristici

3. Le varie tipologie di TRUSTS

4. Trust e riconoscimento in Italia

5. Trusts interni ed internazionali

6. Trust come strumento di pianificazione in un contesto imprenditoriale (non è uno strumento per eludere il fisco e/o per frodare creditori o familiari !!!)

7. PIANIFICAZIONE E TRUSTS

COS’È UN TRUST?

Il Trust è un atto attraverso il quale il disponente (chiamato Settlor), sia esso

persona fisica o persona giuridica, trasferisce un bene o un diritto (detto Trust Fund) a un altro soggetto, il Trustee, (persona fisica o giuridica) per il

perseguimento di uno specifico scopo, ovvero nell’interesse di uno o più soggetti

beneficiari.

RIEPILOGANDO Il Trust

a cura di Luigi Belluzzo

Il trust - Riepilogando

215

SETTLOR BENEFICIARIES

TRUSTEE

Atto di disposizione

Atto di destinazione

PATRIMONIO

IN TRUST

PROTECTOR

IL TRUST

I SOGGETTI:

1. Settlor: soggetto che segrega alcuni beni o diritti di cui è titolare, che andranno a costituire il trust fund, ossia patrimonio segregato e destinato al raggiungimento di specifiche finalità o nell’interesse dei beneficiari

2. Trustee, legal owner del patrimonio in trust soggetto cui sono trasferiti i beni/diritti con il compito di amministrarli, e disporne nell’interesse dei beneficiari a cui saranno trasferiti a conclusione del trust;

3. Beneficiaries, soggetti individuati al momento istitutivo ovvero successivamente, nel cui interesse è gestito il patrimonio in trust fino all’attribuzione definitiva alla cessazione del trust.

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I TRATTI FONDAMENTALI:

1. Scorporo del patrimonio e segregazione, conseguenze principali:Vincolo di destinazione inefficacia della revocatoria atoria ordinaria ex 2901 c.c. erevocatoria fallimentare ex. art. 67 R.D. 16 marzo 1942, n.267);

2. Sdoppiamento del diritto di proprietà nella proprietà formale attribuita al trustee (legal ownership) e quella sostanziale-equitativa attribuita ai beneficiari(equitable ownership).

3. Eventuale nomina del Protector/Grantor/Enforcer, che affianca il trusteenella gestione del patrimonio in trust per controllarne l’operato ed il rispetto delle fiducia accordatagli dal disponente.

Le varie tipologie di TRUSTS

Tra le varie tipologie di trusts emergono:

1. I Fixed trusts;

2. I Discretionary trusts;

3. I trusts di scopo (purpose trusts). In Inghilterra, allo stato attuale sono ammessi esclusivamente i charitable purpose trusts. Nel modello c.d. di trust internazionale sono generalmente ammessi anche i non charitable purpose trusts.

4. Gli Asset Protection trusts;

5. I Business trusts;

Il trust - Riepilogando

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1. Prevalenza delle sentenze a favore ammissibilità dei Trusts interni in Italia: – Tribunale penale di Venezia (4 gennaio 2005) ha dichiarato la legittimità dei

trust internisostenendo che il legittimario che si affermi leso deve agire in riduzione e non per la nullità del trust;

– Tribunale di Trieste (23 settembre 2005), afferma la legittimità dei trust interni ed ordina l'intavolazione del diritto di proprietà su un'area trasferita al trustee dal Comune di Duino;

– Tribunale di Firenze (2 luglio 2005), dichiara con ampia motivazione la validitàin linea di principio dei trust interni, ritiene che il disponente possa vincolare in trust la propria quota di comunione ereditaria, ma non trasferire al trustee la proprietà dei beni provvisoriamente assegnatagli dal Tribunale,

2. Assente ad oggi una legislazione interna in materia tuttavia riconoscimento degli effetti grazie alla ratifica della Convenzione, unico intervento normativo recente: art. 2645-ter del c.c. Trust o fondo patrimoniale unilaterale?)

TRUST E RICONOSCIMENTO IN ITALIA

I TRUSTS E LA PRASSI IN ITALIA

Istituiti in ItaliaRequisiti soggettivi ed oggettivi di cui all’art. 2645-ter C.c.Sono veri trusts?

“Trusts italiani”

Istituiti in Italia normalmente con Settlor italiano, Beneficiari italiani e Trustee italianoLegge regolatrice ESTERA, rappresenta l’unico elemento di estraneità (Convenzione dell’Aja)

Trusts cd. interni

Istituiti all’esteroNormalmente la prevalenza dei beni in trusts NON presenta collegamenti con l’ Italia ed il Trustee ha sede nella giurisdizione (Legge regolatrice) del trustUsualmente si utilizzano: Trusts fissi, Trusts di scopo, Trusts discrezionali ed irrevocabili

Trusts internazionali

Caratteristiche fondamentali (cenni)Modello di Trusts

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TRUSTS INTERNI ED INTERNAZIONALI

Le opportunità e le problematiche dei Trusts interni

Le opportunità e le problematiche dei Trusts internazionali

I Trusts irrevocabili e discrezionali nella prassi anglosassone e la loro applicazione in Italia

I Trusts irrevocabili e discrezionali nella prassi anglosassone e la loro applicazione per disponenti e/o beneficiari fiscalmente residenti in Italia

TRUST COME STRUMENTO DI PIANIFICAZIONE IN UN CONTESTO IMPRENDITORIALE:

1. Strumento per la gestione di partecipazioni sociali; 2. Strumento per dare solidità e consolidare i patti

parasociali;

del socio

1. Strumento di garanzia di prestiti obbligazionari;2. Veicolo per la realizzazione di operazioni finanziarie

complesse

della società

1. Strumento di separazione della componente personale e familiare del patrimonio da quella d’impresa;

2. Efficace garanzia per il finanziamento bancario di singoli progetti o affari;

3. Strumento di realizzo del trapasso generazionale;

dell’imprenditore

Finalità:A servizio

Il trust - Riepilogando

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IL TRUST E GLI STRUMENTI AFFINI DI SEGREGAZIONEIl Fondo Patrimoniale Si rivela più rigido in ragione dei limiti esistenti circa le finalità, i tipi di beni segregabili (immobili; mobili registrati; titoli di credito), i soggetti coinvolti e la durata.

FondazioneI punti di svantaggio risultano l’esistenza di una finalità di pubblica utilità, la maggiore complessità strutturale, oltre al sistema di obblighi e controlli.

La S.r.l. uni-personaleI punti di svantaggio concernono principalmente la rigidità nelle finalità perseguibili, la complessità strutturale, i gravami in termini di gestione operativa, oltre ai limiti potenziali alla responsabilità limitata.

FiduciaMinor grado di protezione sul fronte dei creditori s ia del f iduciante, che del fiduciario, soprattutto nella forma più diffusa che è quella della fiducia germanistica (mera legittimità all’esercizio dei poteri).

Il negozio di destinazione ex art. 2645-ter c.c.

Trascrivibilità, con conseguente opponibilità verso i terzi, degli atti in forma pubblica che impongono a immobili e beni mobili registrati un vincolo di destinazione:- per interessi meritevoli di tutela riferibili a persone disabili, pubbliche

amministrazioni o altri enti e persone ex art. 1322, co. 2, c.c.. (interpretazione ampia: non devono essere valicati i limiti della liceità, dell’ordine pubblico e del buon costume);- di durata non superiore a 90 anni o vitalizi in funzione del beneficiario

Più simile al fondo patrimoniale che al trust, soprattutto in ragione dell’assenza di un evento traslativo (nonostante i termini poco felici usati dal Legislatore).

Ad ogni modo, importanza in considerazione del beneficio effetto che potrebbe produrre laddove vi fossero ancora remore sui trust interni.

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IL TRUST E GLI STRUMENTI AFFINI DI GARANZIA

Il depositoOffre minori garanzie ora nei confronti del creditore del depositante (se regolare), ora del depositario (se irregolare).

CaparraTale meccanismo di garanzia presenta gli stessi inconvenienti del deposito regolare o irregolare, a seconda che si abbia o meno l’effetto traslativo immediato.

Il trust è istituito per amministrare il gruppo ed il residuo patrimonio, sino al raggiungimento da parte dei figli del Settlor di una certa età ed istruzione.In tale sede, il Trustee, vigilato nel suo operare dall’ eventuale Protector, disporrà nel modo più efficiente di tutto il patrimonio in oggetto, nel rispetto della Legge.

Lo schema evidenzia due elementi di sicuro interesse:- la separazione qualitativa del patrimonio, più funzionale, se del caso, a

rispondere alle diverse capacità dei rappresentanti la nuova generazione;

- l’utilizzo del trust quale strumento di governance della holding di famiglia, in alternativa ai sindacati di voto e con migliori garanzie di consolidamento delle posizioni di controllo.

I TRUST E LA PRASSI IN ITALIA

Il trust - Riepilogando

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PIANIFICAZIONE E TRUSTS • Obiettivo protezione del patrimonio – Trust “familiare”

• Obiettivo passaggio generazionale;

• Obiettivo governace: Trust e patti parasociali (istituzione di un Voting Trust);

• Obiettivo detenzione patrimonio mobiliare e liquidità: apertura di un c/c da parte di un Trust;

• Obiettivo garanzia di un prestito obbligazionario o di una compravendita: Trust di garanzia;

• Obiettivi extra-aziendali: Trust e beneficenza, Trust e collezione d’arte;

I TRUST E LA PRASSI IN ITALIAA) Il trust di famiglia e la Consob: validità e obblighi di comunicazione

Fonte: Corriere della Sera / 2003

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B) Il trust di famiglia e passaggio generazionale

Patrimonio A Patrimonio B

Holding

Gruppo

Trustee

Settlor BeneficiariesProtector

TRUST DI FAMIGLIA

conservare patrimonio e preservare gli attacchi del patrimonio personale dalle disavventure dell’impresa;

destinare il patrimonio familiare secondo la volontà e le esigenze personali e le capacità imprenditoriali;

realizzare l’obiettivo della riservatezza del patrimonio imprenditoriale-familiare;

dividere il complesso patrimonio familiare dando separata detenzione e gestione delle diverse componenti (liquida, mobiliare, aziendale) in ragione delle diverse attitudini dei membri della famiglia (concedere il gruppo ad un figlio e il patrimonio B all’altro, mentre A resta ai genitori, oppure

amministrare il gruppo e gli investimenti diversificati, sino a quando i figli del Settlor non sono di una data età e di una data istruzione;

Il trust - Riepilogando

223

Trust per la governance di una Holding di Famiglia

Trust quale strumento di governance di una holding di famiglia quale strumento di controllo e detenzione del patrimonio aziendale ed imprenditoriale;

“Contenitore” ottimale non solo della componente aziendale del patrimonio di famiglia ma anche di quella immobiliare e finanziaria-mobiliare;

Effettivo trasferimento delle partecipazioni sociali al trustee, affinchè sia opponibile a terzi e alla società stessa;

Consolidare le posizioni di controllo sulla società;

Utilizzo in alternativa ai patti di sindacato per l’eserciz io del diritto di voto (vantaggi in termini di stabilità, durata);

Possibilità di prevedere diverse categorie di azioni per distinguere la partecipazione dei diverso membri della famiglia interessati o meno alla gestione diretta;

TRUST A BENEFICIO DI SOGGETTI “DEBOLI” O PER FINALITÀ FILANTROPICHE

Destinazione beni a protezione o beneficio di soggetti deboli a prescindere dai limiti temporali connessi alla durata della vita del disponente o al fondo patrimoniale, (Caso Tribunale di Milano 9 giugno 2006 Trust B&A- continuazione fondo patrimoniale per il mantenimento di figli maggiorenni);

Apposizione di un vincolo di destinazione: protezione, inattaccabilità, impossibilità di distogliere i beni dalla finalità originaria prevista dal disponente;

Possibità di util izzo anche per la realizzazione di finalità filantropiche (culturali, mediche, di ricerca…) in alternativa alla Fondazione (vantaggi in termini di rapidità nell’istituzione, minori vincoli ed adempimenti formali, burocratici). (Caso Wellcome Trust, Bill&Melissa Gates Foundation: trust non solo strumento per la destinazione di patrimoni esistenti, ma anche veicolo di raccolta di nuovi ed ulteriori fondi a sostegno attività filantropiche.

Il trust può essere utilizzato quale strumento nell’interesse di soggetti “deboli” ( disabili, minori);

T R U S T

224

NORMATIVA, PRASSI E GIURISPRUDENZA DI RIFERIMENTO SU “TRUST” Art. 2645-ter

((Trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilita', a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche)) ((Gli atti in forma pubblica con cui beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilita', a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell'articolo 1322, secondo comma, possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione; per la realizzazione di tali interessi puo' agire, oltre al conferente, qualsiasi interessato anche durante la vita del conferente stesso. I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto dall'articolo 2915, primo comma, solo per debiti contratti per tale scopo)).

PRASSI

Risoluzione del 17/01/2003 n. 8

Oggetto: Istanza di interpello - Art. 11, legge 212/2000 - TRUST X rappresentato dal Sig. ZY - Disciplina tributaria ai fini delle imposte dirette Con interpello presentato ai sensi dell'articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212, il Sig. ZY, quale rappresentante legale e co-trustee del TRUST X, ha posto il seguente

QUESITO Se il TRUST X, costituito a norma della Convenzione dell'Aja del 1 luglio 1985, ratificata dalla Repubblica Italiana con legge 16 ottobre 1989 n. 364, possa individuarsi come soggetto passivo dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche ai sensi dell'articolo 87, secondo comma, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.

SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DALL'ISTANTE L'istante fa presente che nel caso specifico si e' in presenza di un trust interno, i cui elementi caratterizzanti, ad eccezione della legge regolatrice, sono tutti connessi all'ordinamento nazionale. E' ravvisabile in particolare un trust "discrezionale dove i beneficiari ancorche' individuati non sono fissi, dove il reddito prodotto viene accumulato e ripartito solo al presentarsi di un evento jove altri non vi provvedano'" Cio' premesso, l'istante ritiene che il TRUST X presenti gli elementi caratteristici del trust come definito dall'articolo 2 della citata Convenzione dell'Aja del 1985 e che il soggetto passivo dell'imposta sul reddito - a norma dell'articolo 87, secondo comma, del TUIR - sia il trust stesso, soggetto organizzato, nei confronti del quale "il presupposto dell'imposta si verifica in modo unitario ed autonomo", in senso conforme alla delibera del Comitato di coordinamento del Servizio Centrale degli Ispettori Tributari (Se.C.I.T.) dell'11 maggio 1998, n. 37. Sotto il profilo dell'imposizione indiretta, l'istante dichiara di avere applicato l'imposta di registro di cui all'articolo 11 della Tariffa, parte I, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, in misura fissa "non disponendo l'atto stesso nessun trasferimento" L'istante inoltre, ritiene corretto considerare il particolare trust quale ente non commerciale, tenuto a presentare il modello unico di dichiarazione solo in presenza di redditi da tassare ai sensi dell'articolo 108 del TUIR.

Normativa di riferimento su “Il trust”

225

PARERE DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE

A seguito della ratifica, senza riserva, della Convenzione dell'Aja del 1 luglio 1985, intervenuta con

legge 16 ottobre 1989, n. 364, possono essere riconosciuti effetti giuridici in Italia al trust costituito

secondo la legge di uno Stato che lo preveda nel proprio ordinamento giuridico quale istituto tipico.

Ai fini della Convenzione, l'articolo 2, comma 1, definisce il trust come il complesso dei " rapporti

giuridici istituiti da una persona, il disponente - con atto tra vivi o mortis causa - qualora dei beni siano

stati posti sotto il controllo di un trustee nell'interesse di un beneficiario o per un fine determinato".

Rientrano pertanto nell'ambito di applicazione della Convenzione i soli negozi giuridici riconducibili al

concetto di trust come sopra definito.

Si osserva, inoltre, che se l'articolo 11 prevede in via generale l'obbligo di riconoscimento del trust

istituito secondo la legge di uno Stato che lo preveda nel proprio ordinamento giuridico quale istituto

tipico, con riferimento invece al trust cosiddetto interno, i cui elementi essenziali soggettivi e oggettivi

sono collegati al nostro ordinamento, il successivo articolo 13 stabilisce che "nessuno Stato e' tenuto a

conoscere un trust i cui elementi importanti, ad eccezione della scelta della legge da applicare, del

luogo di amministrazione e della residenza abituale del trustee sono piu' strettamente connessi a Stati

che non prevedono l'istituto del trust o la categoria del trust in questione". Al riguardo si ritiene,

conformemente all'orientamento della piu' recente giurisprudenza e della dottrina prevalente, che il

citato articolo 13 non preveda un divieto di riconoscimento. L'articolo 6, infatti, che prevede che "il

trust e' regolato dalla legge scelta dal costituente", non sottopone la scelta di quest'ultima ad alcun

limite, nel rispetto della piu' ampia autonomia delle parti.

Per quanto di interesse, si ritiene che la "riconoscibilita'" dei trust debba effettuarsi non in astratto,

considerando innanzitutto la loro natura "domestica" o meno, bensi' caso per caso, tenuto conto del

limite espressamente previsto dall'articolo 15 della Convenzione, ossia il rispetto delle norme

imperative e dei principi inderogabili dell'ordinamento giuridico.

Circa il relativo trattamento tributario, l'unico riferimento normativo e' dato dall'articolo 19 secondo cui

"la Convenzione non pregiudica la competenza degli Stati in materia fiscale".

L'individuazione del regime impositivo da applicare e' quindi lasciata all'autonomia di ciascuno Stato

contraente. Ne consegue che in assenza, tuttora, di un intervento in materia da parte del legislatore,

deve soccorrere l'interpretazione al fine di individuare nell'ordinamento vigente le regole applicabili alle

singole fattispecie.

Sul terreno squisitamente tributario, le implicazioni derivanti dal riconoscimento - prima tra tutte la

segregazione dei beni in trust - devono essere valutate dall'interprete in concreto, tenuto conto della

molteplicita' dei rapporti giuridici, della loro evoluzione oltre che della circostanza che sono modificabili

ex post gli essenziali elementi di collegamento del trust con il territorio nazionale (localizzazione dei

beni, sede di amministrazione del trust, residenza del trustee o dei beneficiari, ecc. ...).

Cio' premesso, con riguardo alla fattispecie in esame, la cui legge regolatrice e' la legge di Jersey,

Isole del Canale, si evidenzia che trattasi di un trust "interno". L'unico elemento di internazionalita' di

tale trust, infatti, e' la legge regolatrice, mentre sono residenti in Italia il disponente, i beneficiari, il

trustee, e sono situati in Italia il luogo di amministrazione del trust e i relativi beni. Il trust in esame,

inoltre, e' un trust discrezionale, nel quale - per di piu' - il flusso del reddito verso i beneficiari puo'

essere attivato o interrotto, nell'ipotesi in cui "altri provvedano" alle erogazioni che ne costituiscono lo

scopo. In particolare, nell'atto istitutivo si premette che il disponente, " non essendo piu' giovane, e'

consapevole di non poter provvedere personalmente - nel tempo - ai piccoli bisogni degli ultimi nipoti,

T R U S T

226

cosi' come ha provveduto per i primi nipoti ormai maggiorenni o quasi; pertanto si e' determinato a

stipulare il presente Strumento avvertendo l'obbligazione morale e giuridica di provvedere ai bisogni di

tali nipoti ovvero dei figli del suo secondogenito", pur senza ledere - si afferma - gli interessi dei

legittimari, poiche' sarebbero trasferite al trustee modiche somme comunque non eccedenti la

porzione disponibile.

Lo scopo del trust, "ove altri non vi provvedano", e' pertanto quello di garantire ai beneficiari del

reddito "la paghetta settimanale proporzionata all'eta'...un giocattolo ad ogni festa di compleanno e ad

ogni natale" e dunque "l'istruzione, anche universitaria e specialistica...un terzo del patrimonio del

trust - di loro spettanza - per iniziare un'attivita' di lavoro autonomo.

Di conseguenza, il disponente "si obbliga a trasferire al trustee le somme necessarie per aprire un

rapporto di conto corrente sul quale provvedere ad investimenti finanziari", precisando che "potranno

essere trasferiti in seguito ...altri beni mobili o immobili, titoli di credito, diritti di ogni tipo e genere e

quanto altro possa comunque formare oggetto di trasferimento."

Posto che - come affermato dall'istante - l'atto istitutivo non ha comportato nessun trasferimento della

titolarita' giuridica dei particolari beni mobili, occorre in primo luogo stabilire se il negozio posto in

essere e' qualificabile come istitutivo di un trust secondo la richiamata definizione convenzionale.

L'art.2, comma 2, della Convenzione individua quali elementi essenziali del trust la distinzione dei beni

del trust dal patrimonio del trustee, l'intestazione degli stessi al trustee o ad un altro soggetto per

conto del trustee, il fatto che "il trustee e' investito del potere e onerato dell'obbligo, di cui deve

rendere conto, di amministrare, gestire o disporre dei beni in conformita' alle disposizioni del trust e

secondo le norme imposte dalla legge al trustee".

Piu' in particolare, l'art.8, comma 1 lett.d) e e) prevede che la legge regolatrice del trust dovra'

disciplinare i poteri del trustee, di amministrare e disporre dei beni, di darli in garanzia e di acquisire

nuovi beni, nonche' di effettuare investimenti.

Pertanto, requisito essenziale del trust e' l'effettivo potere-dovere del trustee di amministrare e

disporre dei beni, a lui effettivamente affidati dal disponente. Ne consegue che i diritti e le facolta' che

il settlor puo' riservare a se stesso, devono essere tali da non precludere al trustee il pieno esercizio

del potere di controllo sui beni. Cio' del resto trova conferma nell'articolo 2, comma 3, secondo cui "il

fatto che il disponente conservi alcuni diritti e facolta' ...non e' necessariamente incompatibile con

l'esistenza del trust".

In sintesi, "il rapporto tra disponente e trustee - osserva autorevole dottrina - nasce e muore in un

attimo". Diversamente, il negozio non potrebbe essere qualificato come trust ai fini della Convenzione

e dei suoi effetti.

In proposito, dall'esame dell'atto istitutivo del trust in questione emerge che il potere di gestire e

disporre dei beni permane intatto in capo al disponente.

Assume rilevanza centrale, infatti, la figura del guardiano (enforcer), prevista dall'art.10B della legge

regolatrice, che in atto si identifica con il disponente stesso, e la cui volonta' prevale su quella del

trustee in ordine a qualsiasi attivita' di amministrazione e disposizione dei beni.

In particolare, l'art.5 dell'atto istitutivo prevede che il primo guardiano del trust sia il disponente il

quale, comunque, puo' in qualsiasi momento nominare o revocare, in tale funzione, altri soggetti. In

caso di morte o sopravvenuta incapacita' del disponente, la sua posizione giuridica si trasferisce al

guardiano (art.2).

Normativa di riferimento su “Il trust”

227

L'art.14 regola i poteri del guardiano in modo estremamente ampio, che non trova corrispondenza

nelle previsioni della stessa legge regolatrice.

Viene precisato che le disposizioni che prevedono l'acquisizione del consenso del guardiano

comportano "che il trustee debba richiedere e ottenere tale consenso prima del compimento dell'atto

al quale esso si riferisce, a pena di invalidita' dell'atto stesso e di responsabilita' per ogni danno

arrecato". Nel senso sopra precisato, e' dunque richiesto il consenso del guardiano prima del

compimento di qualsiasi atto di alienazione di beni del trust, di costituzione di garanzie reali su di essi,

di stipulazione di contratti che ne attribuiscano a terzi il godimento per qualsiasi titolo per un periodo

eccedente i nove anni (art.14) Il trustee non ha il potere di accettare da terzi (art.31) ne' di sostituire

(art.33) i beni in trust senza il consenso del disponente o del guardiano.

Per di piu', ogni disposizione dubbia deve essere interpretata "nel senso della maggiore latitudine"

delle prerogative del guardiano (art.14) Con riguardo agli investimenti, l'art.23 prevede che il trustee

non possa modificare il tipo, le modalita' di amministrazione e gestione, ne' il grado di rischio,

determinati dal disponente al momento del loro trasferimento. Spetta solo al disponente richiedere - e

in tal caso "il trustee e' tenuto ad aderire a tale richiesta -di rivolgersi ad altra struttura o di variare

tipo, modalita' e grado di rischio degli investimenti.

In coerenza con la persistente connotazione di dominus del rapporto giuridico che l'atto in esame

attribuisce alla figura del disponente/guardiano, l'art.31 introduce una previsione che, ancora una

volta, non trova riscontro nell'omologo art.50 della legge di Jersey. I beni del trust sono dichiarati non

aggredibili dai creditori del trustee, ne' - ed e' questa l'enunciazione nuova e significativa - dai creditori

del disponente. Pertanto, non ravvisandosi nel concreto un effettivo potere di gestione e amministrazione del trustee, tale negozio non e' qualificabile come istitutivo di un trust, secondo il modello convenzionale di trust quale delineato dall'articolo 2 della Convenzione. Piuttosto e' riconoscibile una delle fattispecie negoziali che secondo il rapporto Ocse del 26 - 27 aprile 2001, Report on the misure of corporate vehicles for illicit purposes, potrebbero prestarsi ad usi non del tutto trasparenti. E' il caso ad esempio, secondo tale rapporto, di un trust formalmente regolare in cui il settlor mantiene l'effettivo controllo sui beni attraverso un guardiano che - persona di fiducia o consigliere del settlor - puo' sostituire il trustee per qualsiasi ragione e in qualsiasi momento (Part.I, B, 47) Se la gestione del trust e' riconducibile al settlor o disponente, il trust e' tamquam non esset come pacificamente riconosciuto in dottrina e affermato dalla nota sentenza della Royal Court of Jersey nella causa A e B. Se quindi non si verifica un reale spossessamento del disponente, e i beni in trust sono - come nel caso - beni mobili, il negozio rileva ai fini fiscali come un mandato con rappresentanza, con la conseguente diretta imputabilita' dei redditi al disponente. La risposta di cui alla presente risoluzione, sollecitata con istanza di interpello presentata alla direzione regionale, viene resa dalla scrivente ai sensi dell'articolo 4, comma 1, ultimo periodo del DM 26 aprile 2001, n.209. Delibera Secit 11-5-1998, n. 37

La circolazione dei trust esteri in italia VISTA la relazione (33 d.A/254) degli ispettori tributari dr. Riccardo Greco e dr. Iginio Rossi avente ad oggetto: "La circolazione dei trusts esteri in Italia"; UDITO il relatore dr. Maurizio Leo;

T R U S T

228

Rilevato che l'istituto del trust, pur non essendo direttamente disciplinato dalla normativa civilistica e

fiscale nazionale, ha trovato ingresso nel nostro ordinamento, a decorrere dal 1° gennaio 1992, a

seguito della ratifica, senza riserve, della Convenzione dell'Aia del 1° luglio 1985, intervenuta con L. 16

ottobre 1989, n. 364;

Considerato che la mancata formulazione di riserve nella ratifica della Convenzione dell'Aia del 1°

luglio 1985, comporta l'assoggettamento integrale dell'Italia alle norme convenzionali sancite dalla

suddetta Convenzione e, in particolare, legittima il ricorso a qualsiasi modello di trust regolato dalle

leggi dei diversi paesi ove l'istituto ha trovato ingresso, con l'unico limite della verifica della

configurabilità del trust attraverso il concreto confronto della corrispondenza del modello di istituto

prescelto dal disponente con le caratteristiche del modello convenzionale indicate dall'art. 2 della

predetta Convenzione (distinzione dei beni del trust dal patrimonio del trustee, intestazione degli

stessi al trustee o ad altra persona per suo conto, obbligatorietà della condotta del trustee

nell'amministrazione, gestione e disponibilità dei beni secondo le finalità del trust e le norme

particolari impostegli dalla legge regolatrice);

Rilevato che, pur essendo previste dalle diverse discipline nazionali plurime modalità di costituzione

dei trusts (per atto volontario del disponente o per precetto legislativo o giudiziario), la Convenzione

dell'Aia del 1° luglio 1985 ha accordato il riconoscimento, in via naturale, al solo trust volontario,

riservando eventuali estensioni alle altre tipologie ad esplicite dichiarazioni dei Paesi aderenti;

Preso atto che lo scopo dell'analisi effettuata dagli ispettori redigenti relativamente al possibile

inquadramento civilistico e fiscale dell'istituto è volto a fornire, da un lato, un dato di confronto per

l'amministrazione periferica per la risoluzione dei casi pratici e, dall'altro, uno stimolo alla riflessione, al

fine di addivenire ad interventi di regolamentazione normativa;

Considerato che l'istituto in esame, pur necessitando di una puntuale disciplina normativa, appare in

linea generale definibile come il negozio giuridico (accordo) con il quale uno o più soggetti (settlers)

trasferiscono la proprietà di beni mobili o immobili ad un altro soggetto (trustee) con l'obbligo a carico

di quest'ultimo di amministrarli e, allo scadere dell'accordo o a scadenze periodiche, di trasferire a

soggetti beneficiari (beneficiaries) i redditi derivanti dalla gestione del trust oppure il patrimonio

originariamente trasferito;

Considerato che gli aspetti peculiari dell'istituto consentono di ritenere assoggettabile ad imposizione

fiscale il trust in quanto connotato nei suoi elementi costitutivi (disponibilità di un patrimonio,

percezione di un reddito, trasferimento della ricchezza nella forma e con il contenuto previsti dalle

norme impositive) dalla capacità giuridico-economica alla contribuzione (art. 53 della Costituzione);

Considerato, tuttavia, che per una corretta applicazione delle imposte disciplinate dal nostro

ordinamento all'istituto in esame, sia nel settore della imposizione indiretta che diretta, non può

prescindersi dall'intervento normativo che individui espressamente il trattamento tributario applicabile

alla fattispecie nonché gli elementi essenziali dell'imposizione, non potendosi ritenere a tal fine idonea

l'azione amministrativa che, ad oggi, si rende applicabile mutuando modelli normativi che con difficoltà

si attagliano alla fattispecie stessa;

Ritenuto, comunque, di condividere le proposte formulate dagli ispettori redigenti in merito alla

necessità di una evidenziazione dei trusts costituiti in Italia mediante idonea catalogazione

meccanografica che ne permetta la conoscibilità sia ai fini giuridici che fiscali attraverso l'attribuzione

del codice fiscale, della partita Iva e mediante individuazione di uno specifico codice di attività;

Normativa di riferimento su “Il trust”

229

Ritenuto, altresì, di poter condividere in linea generale il complessivo inquadramento dell'istituto

delineato, sotto il profilo fiscale, dagli ispettori redigenti, pur ribadendo l'imprescindibile necessità di

un intervento normativo che disciplini espressamente la fattispecie;

Ritenuto, in particolare, di considerare possibile l'applicazione delle seguenti imposte alle singole

operazioni di costituzione e di gestione del trust secondo le modalità di seguito indicate:

Imposte indirette

Il trasferimento dei beni nell'ambito del trust, per atto mortis causa o inter vivos, costituisce il

presupposto impositivo ai fini dell'applicazione delle imposte indirette.

Costituzione del trust per atto mortis causa: in questo caso, al relativo trasferimento di beni,

assimilabile al legato, si renderebbe applicabile l'imposta di successione, tranne nel caso in cui detto

trasferimento, soddisfacendo le condizioni previste per l'applicazione del regime agevolato recato

dall'art. 3 del D.Lgs. n. 346 del 1990, così come modificato dall'art. 19 del D.Lgs. n. 460 del 1997,

risultasse esente dall'imposta.

Per quanto riguarda l'individuazione del soggetto passivo, condividendo il processo analogico operato

dagli ispettori tributari nella delibera in esame, si riterrebbe possibile assimilare, sotto il profilo

economico tributario, l'istituto del trust a quello della sostituzione fedecommissaria disciplinata dall'art.

69 del codice civile, con conseguente applicazione delle disposizioni contenute nell'art. 45 del D.Lgs. n.

346 del 1990. Da tale ricostruzione deriva che l'imposta applicata sul trasferimento patrimoniale al

trustee, sul quale incombe l'onere relativo all'adempimento degli obblighi formali e quello del

pagamento dell'imposta mediante prelevamento di fondi dal patrimonio costituito in trust, dovrebbe

essere applicata su un valore pari a quello dell'usufrutto sui beni facenti parte del patrimonio

trasferito, mentre il pagamento dell'imposta residuale, a carico del beneficiario, dovrebbe essere

collegato al momento in cui il trust viene meno all'atto dell'attribuzione finale dei cespiti al beneficiario

stesso. Nel caso di trust perpetuo, avendo in questo caso l'istituto le caratteristiche di un vero e

proprio trasferimento di proprietà, in sede successoria verrebbe tassato come tale, con conseguente

applicazione dell'imposta relativa alla piena proprietà nei confronti del trustee, da effettuarsi mediante

prelevamento di fondi dal patrimonio costituito in trust.

Per quanto riguarda l'aliquota d'imposta, essendo in presenza di un istituto specifico di tipo

triangolare, nel cui contesto avviene il trasferimento dei beni, dovrebbe rendersi applicabile, così come

evidenziato nella relazione in esame, l'aliquota riservata dal D.Lgs. n. 346 del 1990 agli estranei.

Costituzione del trust per atto inter vivos: in questo caso, il relativo trasferimento di beni connotato

dalle caratteristiche della liberalità e comportante l'effetto della decurtazione del patrimonio del

disponente, sarebbe attratto dalla disciplina sulle donazioni prevista dall'art. 809 del codice civile e,

sotto il profilo fiscale, si renderebbe applicabile l'imposta sulle donazioni prevista dal Titolo III del

D.Lgs. n. 346 del 1990.

Per quanto riguarda l'individuazione del soggetto passivo tenuto al pagamento dell'imposta, si ritiene

possibile applicare anche in questa ipotesi il trattamento previsto nel caso della sostituzione

fedecommissaria sopra esaminata, in forza del richiamo operato dall'art. 58, comma 3, del D.Lgs. n.

346 del 1990 alle disposizioni contenute nell'art. 45 del medesimo decreto. Analogamente a quanto

precisato con riferimento alle disposizioni testamentarie, nel caso in cui il trust per atto tra vivi soddisfi

le condizioni previste dall'art. 3 del D.Lgs. n. 346 del 1990, ad esso verrebbe accordato il medesimo

regime di esenzione dall'imposizione in virtù del richiamo contenuto nell'art. 55 del più volte citato

D.Lgs. n. 346 del 1990.

T R U S T

230

Per quanto riguarda gli adempimenti, gli atti di costituzione di trust inter vivos recanti attribuzione di

patrimonio, dovranno essere sottoposti alla registrazione entro il termine di venti giorni e il

competente ufficio del registro procederà alla liquidazione dell'imposta di donazione, applicando il

disposto di cui all'art. 56 del D.Lgs. n. 346 del 1990 nonché le norme procedurali riguardanti gli atti da

registrare in termine fisso previste dal D.P.R. n. 131 del 1986.

Così come precisato nella relazione in esame, nel caso in cui l'atto di costituzione di trust non

contempli la contemporanea attribuzione di un patrimonio, dovrebbe rendersi applicabile l'art. 11 della

Tariffa, parte I, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, che prevede l'applicazione dell'imposta di registro

in misura fissa per gli atti pubblici e le scritture private autenticate non aventi per oggetto prestazioni

a contenuto patrimoniale.

Imposte dirette

I redditi che derivano dall'attività di gestione del trust da parte del trustee e quelli che vengono

eventualmente erogati, in virtù delle disposizioni del settler, ai beneficiari finali costituiscono il

presupposto per l'applicazione delle imposte dirette previste dal nostro ordinamento.

Per quanto riguarda l'individuazione dei soggetti passivi, così come emerge dalla relazione degli

ispettori tributari, occorre fare riferimento, da un lato, al trust come soggetto passivo autonomo che

risponde dell'obbligazione d'imposta con i beni assegnatigli dal settler e, dall'altro, ai beneficiari finali,

qualora essi siano destinatari di proventi derivanti dall'attività gestoria del trust.

Quanto al trust, sembra possibile inquadrare detto soggetto passivo tra gli enti ricompresi nell'art. 87

del D.P.R. n. 917 del 1986, soggetti ad Irpeg. In particolare, qualora il trust abbia la sede legale o

amministrativa o l'oggetto principale dell'attività in Italia e svolga, in via esclusiva o principale,

un'attività commerciale, si renderebbero applicabili le disposizioni recate dall'art. 95 del Tuir, mentre

nel caso di ente non residente o non esercente attività commerciale, si renderebbero applicabili le

disposizioni previste dagli artt. 108 e seguenti del medesimo testo unico.

Quanto ai beneficiari, sembra corretto contemplare la non imponibilità ai fini reddituali delle

attribuzioni loro conferite dal settler come trasferimento di quota del capitale o del patrimonio

costituito in trust, rilevando tali disposizioni nella successiva sede di attribuzione definitiva della

proprietà sotto il profilo della imposizione indiretta. Qualora, invece, l'attribuzione ai beneficiari finali

sia configurata dal settler come distribuzione della ricchezza prodotta dall'attività gestoria del trust,

allora i relativi proventi dovrebbero essere tassati in dipendenza della loro qualificazione ricavabile

dalle disposizioni dell'atto costitutivo del trust [essenzialmente come redditi di capitale - art. 41, lettera

h), del D.P.R. n. 917 del 1986 - o come redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente - art. 47, lettere

h) ed i), del D.P.R. n. 917 del 1986].

Poiché, come evidenziato dagli ispettori redigenti, la ricostruzione della fattispecie fin qui delineata

comporterebbe la tassazione di uno stesso incremento di ricchezza sia in capo al trust, come reddito

da questa prodotto, sia nei confronti dei beneficiari, come utile attribuito dal disponente e che deriva

dall'utilizzazione del patrimonio costituito in trust, potrebbe essere contemplata una soluzione che eviti

l'imposizione congiunta mediante la previsione della deducibilità in capo al trust della quota di reddito

trasferita ai beneficiari. Tale deducibilità opererebbe alla stregua di una componente negativa del

reddito d'impresa, nel caso di svolgimento, da parte del trust, di attività esclusivamente o

prevalentemente commerciale ovvero quale onere deducibile dal reddito, nel caso il trust non svolga

attività commerciale.

Normativa di riferimento su “Il trust”

231

Osservato, per quanto riguarda i rapporti internazionali, che il modello OCSE per le Convenzioni

internazionali contro le doppie imposizioni, pur non comprendendo esplicitamente i trusts nell'ambito

soggettivo di applicazione delle disposizioni convenzionali, riferibile alle "persone" di cui all'art. 3,

potrebbe ritenersi estensibile anche a dette entità, anche se la mancanza di apposite clausole volte a

regolamentare tali figure può comportare problemi di carattere applicativo;

Rilevato, sul punto, che l'Amministrazione finanziaria, con risoluzione n. 104/E del 6 maggio 1997, ha

affermato che nell'ambito soggettivo di applicazione delle convenzioni contro le doppie imposizioni

rientrano i trustees ed i beneficiari qualora vi sia un'attestazione delle competenti Autorità fiscali che

certifichi la residenza delle suddette entità giuridiche, riconoscendole, in tal modo, soggetti giuridici

autonomi e, ciò, alla luce della considerazione che il concetto di residenza convenzionale ricomprende

i presupposti "dell'assoggettabilità a tassazione" e dello status di "persona";

Precisato che la risoluzione sopra citata è stata emanata con esclusivo riferimento ai trustees e non ad

altri tipi di società che possono configurare l'esistenza di un nominee e che la certificazione delle

Autorità fiscali estere circa la residenza dei soggetti rientranti nell'ambito soggettivo di applicazione

delle Convenzioni fiscali fornisce una sufficiente garanzia circa la sussistenza dei requisiti richiesti dagli

Accordi per l'applicazione del regime convenzionale;

Ritenuto di prevedere, nelle modalità di applicazione delle Convenzioni internazionali per evitare le

doppie imposizioni, specifiche regole sui trusts che uniformino i criteri da adottare ai fini della

qualificazione dei redditi attribuiti dai trusts esteri a beneficiari italiani;

Ritenuto che l'intera materia oggetto di trattazione debba trovare in una armonica disciplina legislativa

la regolamentazione dei diversi profili di indagine esaminati;

All'unanimità

DELIBERA

di far luogo alle seguenti segnalazioni:

a) necessità della evidenziazione dei trusts costituiti in Italia mediante idonea catalogazione

meccanografica che ne permetta la conoscibilità sia ai fini giuridici che fiscali;

b) necessità della previsione, nelle modalità di applicazione delle Convenzioni internazionali per evitare

le doppie imposizioni, di specifiche regole sui trusts che uniformino i criteri da adottare ai fini della

qualificazione dei redditi attribuiti dai trusts esteri a beneficiari italiani;

c) necessità di un intervento normativo diretto a disciplinare i diversi profili civilistici e fiscali

dell'istituto esaminato. GIURISPRUDENZA

Sentenza Commissione tributaria provinciale Brescia, sez. I, 11-01-2006, n. 205

Registrazione degli atti - Costituzione di un trust - Applicazione dell'imposta proporzionale al conferimento - Esclusione - Imposta fissa - Applicabilità L'atto dispositivo di costituzione di un trust, redatto in forma pubblica, è assoggettato alla sola imposta fissa di registro ex art. 11 della tarifa, parte prima, del D.P.R. n. 131/1986 (e non all'imposta proporzionale del 3% del valore del conferimento, in applicazione dell'art. 9 del D.P.R. n. 131/1986), poiché dall'atto di conferimento, in quanto tale, non può farsi conseguire una favorevole certezza di positivi risultati gestionali, tanto che lo stesso patrimonio consegnato in gestione potrebbe affievolirsi. Il risultato, in termini di valori, sarà riscontrato con lo spirare del contratto di destinazione patrimoniale a favore del trustee e quindi con l'erogazione in retrocessione del capitale o del capitale e

T R U S T

232

del plusvalore o con la liquidazione intermedia di quote economiche. Nel dubbio sul risultato, quindi, e

in mancanza di arricchimento attuale di alcuno dei soggetti individuati dal contratto, non appare

coerente la provvisoria richiesta anticipata di imposta

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

E' proposto ricorso contro il silenzio - diniego dell'Agenzia delle Entrate in ordine al rimborso di

imposte relative all'atto costitutivo di trust.

Il carico fiscale addebitato riguarda imposta di registro, imposta ipotecaria e imposta catastale

riconoscendosi all'atto la connotazione di una rendita costituita a favore dei beneficiari finali. L'opposizione all'interpretazione dell'Ufficio mette in evidenza come il conferimento patrimoniale al trustee abbia la sola connotazione di un'efficiente ed efficace gestione di risorse patrimoniali al fine di conseguire un futuro previsto beneficio a favore della stessa disponente o degli individuati aventi diritto. Non si costituisce pertanto, per effetto dell'atto, un valore aggiunto o una rendita né a favore dell'immediato destinatario del patrimonio, trustee, che assume solo l'obbligo di gestire per conto e di far conseguire sperabili utilità conclusive ai beneficiari finali, né ai beneficiari finali stessi che sono portatori di una sola non certa aspettativa futura; non è altresì un attuale valore la previsione di possibile utilizzazione di liquidità, anche attraverso sessioni patrimoniali, a favore dei beneficiari principali in presenza di non quantificabili straordinarie gravi motivazioni. Il vantaggio finale sperato non è un diritto ma semplicemente un'aspettativa condizionata dal finale apprezzamento del gestore e dallo sperato mantenimento o incremento dei valori patrimoniali conferiti. L'atto dispositivo di costituzione di trust, redatto in forma pubblica, dovrebbe essere assoggettato alla sola imposta fissa di registro ex art. 11 della tariffa - parte prima - del D.P.R. 131/1986, non avendo per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale. Di fatto l'atto è solo prodromico all'erogazione di sperati benefici che saranno assoggettati ad imposta nel momento del loro godimento in capo ai beneficiari. In opposizione l'Ufficio insiste sulla debenza dell'applicata imposta proporzionale di cui si chiede il rimborso non riconoscendo esclusività al rapporto fiduciario che lega conferente e trustee, ma sostenendo l'indispensabilità, secondo legge, di un'interpretazione che vada oltre il rapporto meramente strumentale al conseguimento del risultato finale. Ricerca pertanto e chiede conforto con una interpretazione della volontà delle parti da cui è desumibile che: "deve attribuirsi rilievo preminente nell'imposizione di un atto alla sua causa reale e che il richiamo all'autonomia dei soggetti ed ai requisiti del negozio non può valere ad escludere la rilevabilità fiscale degli effetti economici della regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti, anche se mediante una pluralità di pattuizioni non contestuali". Da ciò ha fatto conseguire l'applicazione dell'imposta sui trasferimenti e quindi di una percentuale proporzionale del 3% del valore del conferimento in applicazione dell'art. 9 del D.P.R. 131/86 in tema di imposta di registro prevista per le categorie contrattuali residuali. E' pur vero che la volontà del disponente predispone strumenti di possibile godimento futuro di utilità da parte dei beneficiari finali, ma appare altrettanto vero che dall'atto di conferimento, in quanto tale, non può farsi conseguire una favorevole certezza di positivi risultati gestionali, tanto che lo stesso patrimonio consegnato in gestione potrebbe anche affievolirsi se dovesse essere mancata l'aspettativa di positivo riscontro differenziale finale. Il risultato, in termini di valori, sarà riscontrato con lo spirare del contratto di destinazione patrimoniale a favore del trustee e quindi con l'erogazione in retrocessione del capitale o del capitale e del plusvalore o con la liquidazione intermedia di quote economiche a superamento di disagi psico - fisici gravi e riconosciuti e come riferiti in contratto.

Normativa di riferimento su “Il trust”

233

Appare conseguentemente, in una materia disciplinata da incerta normazione, non condivisibile l'applicazione di imposta proporzionale su un atto neutro sotto il profilo dei valori messi in gioco. Non c'è arricchimento attuale di alcuno dei soggetti individuati in contratto e nel dubbio sul risultato non appare coerente la provvisoria richiesta anticipata di imposta. La Commissione P.Q.M. Accoglie il ricorso. Spese compensate. Sentenza Commissione tributaria provinciale Treviso 29-03-2001, n. 27

Trust – conferimento di immobili – imposte indirette Svolgimento dei fatti Con tempestivo e rituale ricorso, qui depositato il 28 giugno 1999, il signor xxx di Conegliano Veneto (Tv), impugnava l'avviso di liquidazione emesso dall'Ufficio del Registro di Conegliano Veneto (Tv) e regolarmente notificato. Il provvedimento dell'Ufficio era afferente alla rettifica e liquidazione (n. art. 87/IV/1999) e collegamento alla costituzione di un trust con "conferimento di immobili". L'avviso, precisamente, era relativo ad imposta supplettiva donazione di usufrutto su atto di costituzione di un trust come sopra indicato. Il ricorrente sostiene che sia erroneo l'inquadramento sotto la fattispecie di "donazione di usufrutto" dal momento che l'usufrutto - diritto reale su cosa altrui che attribuisce all'usufruttuario diritti e doveri ben precisi - non è paragonabile o assimilabile (come ha fatto l'Ufficio) all'istituto del trust o eventualmente a quello della sostituzione fidecommissoria disciplinata dall'art. 692 del c.c. L'Ufficio ha seguito l'indicazione di una delibera del S.e.c.i.t. ma - sostiene il ricorrente - si può affermare che questo modo di procedere è solo un "modo" per realizzare una tassazione "immediata e sostanziosa" che, però, non può essere accettata trattandosi di una "teoria" mobile proprio con riferimento alle caratteristiche e alle finalità del trust. Al caso in esame va applicata l'imposta di registro in misura fissa e, alla scadenza del trust "... l'Ufficio potrà richiedere la differenza tra l'imposta dovuta secondo le norme vigenti al momento della formazione dell'atto e quella pagata in sede di registrazione". Con nota del 16 luglio 1999, l'Ufficio controdeduce precisando - manca una normativa nazionale che disciplini il regime giuridico del trust. Trattandosi di un istituto completamente nuovo vi è stato un intenso dibattito circa l'applicabilità dell'imposta di registro o di quella sulle donazioni; in prevalenza si è indicata l'applicazione della prima "... in quanto nella costituzione del trust, per atto tra vivi, non vi sarebbe un vero intento di liberalità nella disposizione da parte del settlor verso il truster. Nella realtà, però, resta chiaro un elemento e cioè "... l'impoverimento del donante e, con esso l'effetto dell'atto consistente nella devoluzione dell'intero o di una parte del suo patrimonio". "Se si tiene, poi, conto che non è previsto che i beni costituiti in trust ritornino nel patrimonio del disponente e il trasferimento degli stessi beni è definitivo andando a beneficio dei destinatari finali indicati nell'atto, l'Ufficio ritiene, correttamente, di sottoporre l'atto ad imposta di donazione". Valutata, infine, la particolarità del caso, l'Ufficio ha "affievolito" l'imposta tassando non il valore primo del trasferimento (L. 400 milioni) ma il valore del solo usufrutto (L. 249.244.200) riducendo così sensibilmente l'imposta da pagare.

T R U S T

234

"L'Ufficio conclude osservando che, se si tenesse conto delle considerazioni avanzate nel ricorso, si sarebbe in presenza non di una elusione fiscale, ma di una vera e propria evasione dal momento che i trust non sarebbero atti imponibili né come atti di liberalità né come atti traslativi a titolo oneroso". Richiesto il rigetto del ricorso con vittoria delle spese di giudizio. Con una successiva memoria del 17 gennaio 2001, il ricorrente riprende gli argomenti del ricorso osservando che non si è in presenza - tenendo conto degli effetti giuridici dell'atto - di una donazione, ma della costituzione di un fondo patrimoniale e, di conseguenza, va applicata, come già sostenuto, la tassa fissa, così come è stato fatto in sede di registrazione dell'atto. Dal momento, infine, che alla scadenza del trust (20 anni) è prevista l'attribuzione del diritto reale (usufrutto o proprietà) ai vari usufruttuari è in quel momento, e solo allora, che potranno essere applicate le imposte previste agli stessi beneficiari. Confermate le richieste. E' stata chiesta la pubblica udienza e sono presenti, per la parte ricorrente: il signor xxx, per la parte resistente: la signora xxx Le parti in causa, come in verbale rappresentate, illustrano le rispettive posizioni con la riconferma delle richieste avanzate negli atti. Motivi della decisione La Commissione, esaminati gli atti e udite le parti, osserva, preliminarmente, come si è in presenza di un istituto particolare che non ha ancora trovato una sua definitiva disciplina giuridica. Nel caso in esame si tratta della gestione di un patrimonio immobiliare che è stato conferito in trust da un disponente (settlor) ad un gestore (trustee) che ha la piena facoltà di gestire i beni senza che il disponente possa interferire nelle sue decisioni. Il gestore quindi, non diventa proprietario, ma ha comunque la titolarità di disporre del bene compiutamente. I beneficiari, poi, della gestione del trust vanno ai beneficiari che godono della rendita per un periodo predeterminato e, alla fine di detto periodo, il patrimonio (gli immobili ed eventuali altri beni conferiti) sarà assegnato ai beneficiari indicati nell'atto costitutivo del trust e nel rispetto delle norme in esso contenute. Collegata e consequenziale la questione del trattamento fiscale da applicare al trust che non può non rispettare le norme fiscali vigenti, malgrado la esistente scissione fra titolarità del reddito e titolarità della fonte; scissione che è propria dell'istituto in esame. Per il caso in questione si condivide, innanzitutto, l'osservazione dell'Ufficio circa "l'impoverimento del donante e, con esso, l'effetto dell'atto consistente nella devoluzione dell'intero o di una parte del suo patrimonio". Se si può convenire che manca, espressamente indicato l'animus donandi esiste, da subito, un vantaggio per i beneficiari e agli stessi va, poi, la proprietà del bene al termine del periodo prefissato e alle condizioni espressamente indicate nel provvedimento costitutivo del trust. Si è in presenza, in definitiva, di un atto che, pur avendo una causa giuridica particolare, realizza comunque lo scopo economico che caratterizza una donazione definita come "contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l'altra disponendo a favore di questa un suo diritto o assumendo verso la stessa una obbligazione (cfr. art. 769 c.c.). La Commissione poi condivide l'applicazione dell'imposta ad una quota parte del valore del bene conferito; quota pari al valore dell'usufrutto. La Commissione, pertanto, ritiene non accoglibile il ricorso e, data la novità della vertenza, dichiara compensate le spese di giudizio, sussistendone i motivi. P.Q.M. Respinge il ricorso. Spese compensate

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PROFILI TRIBUTARI DEI DIVERSI STRUMENTI ESAMINATI a cura di Luigi Belluzzo

IL D.L. 262/06

• In vigore dal 3 ottobre 2006

• Introduce un nuovo set di regole sulle donazioni e le successioni

• Evoluzione normativa in Parlamento, aspettative e dibattito dottrinale.

• Altre norme tributarie specifiche (L. 248/06) e Manovra Finanziaria 2007

LA “NUOVA” IMPOSTA DI DONAZIONE

soggettidonazione registro ipo. cat. donazione registro donazione registro ipo. cat. donazione registro donazione registro ipo. cat. donazione registro

CONIUGE E PARENTI E LINEA RETTA 3% FISSA 2% 1% 3% FISSA 0% FISSA 2% 1% 0% FISSA 0% 0%

168 euro f ino a 180 mila euro (se

abitazione principale donatario);

3% su eccedenza; 3% in altri

casi

168 euro f ino a 180 mila euro (se

abitazione principale

donatario); 1% su

eccedenza; 1% in altri

casi

0%

168 euro f ino a 100 mila euro e

4% su eccedenza

PARENTI FINO AL 4o GRADO, AFFINI IN

LINEA RETTA, AFFINI IN LINEA COLLATERALE

FINO AL 3o GRADO

5% FISSA 2% 1% 5% FISSA 0% FISSA 2% 1% 0% FISSA 0% 2% 3% 1% 0% 6%

ALTRI SOGGETTI 7% FISSA 2% 1% 7% FISSA 0% FISSA 2% 1% 0% FISSA 0% 4% 3% 1% 0% 8%

franchigia € 180 000 franchigia € 0

fino al 24/10/01

regime "TREMONTI"fino al 02/10/2006

regime "VISCO 2"dal 03/10/2006 (D.L. 262/06)

TRASFERIMENTI PER DONAZIONE

franchigia € 180 000

IMMOBILI ALTRI BENI IMMOBILI ALTRI BENI IMMOBILI ALTRI BENI

regime "VISCO 1"

P R O F I L I

T R I B U T A R I

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ASPETTI FISCALI DEL FONDO PATRIMONIALEImposte dirette

Art. 4 del Tuir, comma 1, lettera b)“I redditi dei beni che formano oggetto del fondo patrimoniale di cui agli articoli 167 e seguenti del codice civile sono imputati per metà del loro ammontare netto a ciascuno dei coniugi".• Ai fini delle imposte dirette, non si riconosce nessuna rilevanza alla effettiva

titolarità della proprietà dei beni costituiti in fondo patrimoniale, in quanto èstabilito che i frutti spettino in misura uguale ad entrambi i coniugi.

• La descritta ripartizione si applica anche relativamente alle plusvalenze derivanti dalla vendita dei beni.

Esempio: Immobile nel fondo patrimoniale

• Se un immobile appartenente alla moglie viene inserito nel fondo senza alcun trasferimento di proprietà ed è locato a terzi, il reddito di locazione è dichiarato al 50% dalla moglie e dal marito.

• La presunzione, invece, non opera in sede di ICI. Essendo soggetti all’imposta i proprietari o i titolari di un diritto reale di godimento dell’immobile, a fronte di un fondo patrimoniale il versamento spetta comunque al coniuge proprietario o titolare di un diritto reale di godimento dell’immobile.

Profili tributari dei diversi strumenti esaminati

237

Imposte indirette(Circolare Ministeriale n. 221/E del 30 novembre 2000)La costituzione di un Fondo Patrimoniale comporta i seguenti oneri fiscali in materia di imposte indirette:• Imposta sulle successioni e donazioni: non risulta dovuta per assenza del presupposto di

imposta;

• Imposte di registro:1. qualora il fondo sia costituito con beni di proprietà di entrambi i coniugi: in misura fissa, ex

articolo 11 della Tariffa, parte prima, del D.p.r n. 131/86;2. qualora il fondo sia costituito con i beni di proprietà di uno solo dei coniugi che se ne riserva la

proprietà è soggetto a imposta fissa di registro, (cfr. Cass. n. 5415 del 7.5.1992);3. qualora il fondo costituito con i beni di proprietà di uno solo dei coniugi che non se ne riserva la

proprietà, e vi sia accettazione da parte del coniuge che non conferisce i beni, si applica il trattamento tributario previsto per le donazioni.

• Imposte ipotecarie e catastali:1. qualora non vi sia trasferimento di immobili, si applica l’imposta ipotecaria in misura fissa (articolo 4

della tariffa allegata al Testo unico approvato con D.lgs n. 347/90);2. Qualora siano trasferiti immobili, si applicano le imposte ipotecaria e catastale nella misura

proporzionale (articolo 1 della tariffa e dall'articolo 10 dello stesso Testo unico).

ASPETTI FISCALI DEL FONDO PATRIMONIALE

L’impatto del D.L. 262/06

Una tesi sostenibile è quella che occorra verif icare nel caso di specie se si presentino i presupposti applicativi legati al “trasferimento” di beni immobili e/o di altri beni (azioni, obbligazioni, ecc.)

• Quando non si evidenzia un trasferimento si applica l’interpretazione della Circolare Ministeriale n. 221/E del 30 novembre 2000

• Quando si evidenzia un trasferimento è probabile l’applicazione del D.L. 262/06

Altra tesi sostenibile, più letterale, è quella dell’inclusione oggettiva della costituzione di “vincoli di destinazione” nei presupposti applicativ i del D.L. 262/06 in ogni fattispecie (art. 13 L. 18/10/2001 n. 383 come modificato)

Ovviamente in tema si attendono circolari interpretative e i risultati di un dibattito dottrinale già iniziato.

P R O F I L I

T R I B U T A R I

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ASPETTI FISCALI DEL VINCOLO EX 2645-TER

• La fiscalità segue l’atto giuridico;

• Una tesi sostenibile è che la fiscalità sia assimilabile a quanto visto per il Fondo patrimoniale in quanto fattispecie costitutiva di un “vincolo di destinazione”;

• Ovviamente in tema si attendono circolari interpretative e i risultati di un dibattito dottrinale già iniziato;

ASPETTI FISCALI DEL PATTO DI FAMIGLIA

• La fiscalità del patto di famiglia parrebbe seguire l’aspetto civilistico e quindi:1. La fiscalità associata alla circolazione dell’azienda;2. La fiscalità associata alla circolazione della partecipazione;

• L’impatto del D.L. 262/06 sembrerebbe determinante in quanto atti inter vivos a titolo non oneroso;

• Ampio dibattito in dottrina;

• Rinvio

Profili tributari dei diversi strumenti esaminati

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ASPETTI FISCALI DEL TRUST

Dov’è la residenza fiscale di un Trust?

• Art. 19 Convenzione dell’Aja del 1985

• Trust interni e Trust internazionali

• Ampio dibattito in dottrina

• In ambito di trust interni la discussione perde le connotazioni internazionali e si assiste ad una prevalenza della tesi che vede nel trust il soggetto tributario

• Rinvio

• Solo l’attento esame del contenuto dell’atto di trust, oltre che il comportamento dei soggetti coinvolti, consente la qualificazione reddituale in capo al soggetto imponibile che potrebbe essere:– trust– disponente (imprenditore e non)– trustee– protector (grantor, enforcer)– Beneficiari

• Ris. 99/E/2001 recita che a titolo meramente esemplificativo si deve ritenere soggetto interposto un trust revocabile (per cui il titolare va identificato nel settlor) ovvere un trust non discrezionale, nei casi in cui il titolare può essere identificato nel beneficiario.

• Orientamento: sono oramai numerosi i casi pratici

P R O F I L I

T R I B U T A R I

240

TASSAZIONE DIRETTA

• Momento della disposizione in trust

• Momento dell’amministrazione e gestione del

patrimonio in trust

• Momento dell’attribuzione ai beneficiari del patrimonio in trust e dei redditi da questo prodotti

TASSAZIONE INDIRETTA

• Momento della istituzione

• Momento della disposizione dal disponente al trust

• Momenti legati ai trasferimenti durante l’esistenza del trust

• Momento della attribuzione dal trust al beneficiario (patrimonio e/o reddito)

ORIENTAMENTI DELL’AMMINISTRAZIONE• Se.C.I.T. (delibera n. 37 del 1998)• D.R.E. Emilia Romagna (documento di studio “Il trust riconosciuto in Italia profili

civ ilistici e tributari”)• Parere Ris. 8/E del 17 gennaio 2003 (Trust “Acquiloni”)• Parere ad interpello del 1 ottobre 2003 (Trust “Accomandante”)• Parere n. 30900 del 4 marzo 2003 (Trust “Licia”)• Altri riferimenti in materie diverse dal trust• Direzione Centrale Normativa e Contenzioso (28 settembre 2004), si esprime sulla

imposizione indiretta e su quella diretta. • D.R.E. Liguria del 24 07 2003 e del 13 09 2004 in materia di trust nudo

PRINCIPALI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZA• Sentenza CTR Venezia 23 gennaio 2003 (Trust “Rinascita”);• Sentenza Trib. Brescia 11 gennaio 2006.

CNN (Consiglio Nazionale Notariato)• Trust e imposte indirette – Studio n. 80/2003/T

Profili tributari dei diversi strumenti esaminati

241

• L’impatto del D.L. 262/06 è da discutere con attenzione.

• Solo l’attento esame del contenuto dell’atto di trust, oltre che il comportamento dei soggetti coinvolti, consente la qualificazione reddituale

• La tipologia del trust potrebbe risultare per altro determinante nella valutazione dei presupposti di imponibilità essendo in alcuni casi di Trust interni (di famiglia) una tesi sostenibile quella che prevede la non imponibilità per assenza della causa in capo alla disposizione in Trust, con conseguente applicazione dell’imposta di donazione nell’attribuzione del Trust fund ai beneficiari.

FISCALITÀ E TUTELA DEL PATRIMONIO

• L’attività di “private banking” e “wealth management” sviluppa su base costante strumenti fiscalmente efficenti, il cui unico limite sembrerebbe essere legato alla dimensione del patrimonio da proteggere e/o da investire.

• E’ particolarmente importante consigliare la clientela secondo il principio “sostanza sulla forma”, fuggendo da soluzioni semplicistiche e spesso border line

• L’Italia e le altre giurisdizioni rispettano le norme contro l’antiriciclaggio e prevedono delle norme anti abuso che occorre ben conoscere così da pianificare l’efficenza tributaria all’interno dei limiti di liceità e nel più ampio corredo di soluzioni non tributarie.

CONCLUSIONI

L’utilizzo degli strumenti trattati ha una diffusione oramai non più di nicchia e, come sempre, partendo da una seria conoscenza si riescono ad apprezzare gli strumenti ed individuarne le opportunità di utilizzo concreto.

P R O F I L I

T R I B U T A R I

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La seconda giornata del Master Breve – Area Giuridica, affronterà il seguente argomento:

I CONTRATTI DI’IMPRESA (I° modulo): ELEMENTI FONDAMENTALI DEL CONTRATTO

Secondo il seguente calendario:

FIRENZE 15 novembre 2006

VENEZIA 16 novembre 2006

TREVISO 16 novembre 2006

MILANO (1^ ed) 21 novembre 2006

GENOVA 21 novembre 2006

ALESSANDRIA 22 novembre 2006

TORINO 22 novembre 2006

PESARO 23 novembre 2006

MILANO (2^ ed) 28 novembre 2006

BRESCIA 28 novembre 2006

VICENZA 29 novembre 2006

VERONA 29 novembre 2006

BOLOGNA 30 novembre 2006

ROMA 30 novembre 2006

BERGAMO 5 dicembre 2006

UDINE 6 dicembre 2006

CAGLIARI 6 dicembre 2006

Per ulteriori informazioni telefonare allo 045/8201828 o consultare il sito www.euroconference.it