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School life – Giornalino della Zani febbraio 2013 Ma che bel castello… F F F O O O N N N T T T A A A N N N E E E L L L L L L A A A T T T O O O Un’antica tradizione, però non documentata, vuole che Fontanellato sia stato fondato da una famiglia di origine longobarda che, nel X secolo, costruì il primo castello in una zona ricca di risorgive. Proprio per la ricchezza d’acqua il luogo fu chiamato Fontana Lata, cioè fontana larga, estesa. Leggendo i documenti storici, si apprende che la posizione del castello e una delle torri, quella quadrata, probabilmente fu fatta costruire dai Pallavicino (allora si chiamavano Pela Vicino). Quello che è certo e quello che interessa a noi è che i Sanvitale iniziarono ad abitarvi intorno al 1386. E’ proprio in questo periodo che il nostro castello inizia a cambiare e a prendere, piano piano, l’aspetto che ancora oggi, con grande orgoglio, ci mostra. A proposito di orgoglio, prima di tutto, è unico (ok, tutti i castelli del nostro tour sono unici, perché ognuno è diverso dall’altro, ma questo lo è ancor di più). La sua particolarità è data dal fossato che lo circonda, uno dei pochi, in Italia, con acqua corrente. Fino a qualche decennio fa, le acque del fossato erano alimentate da una risorgiva detta “Fontana Serena. L’acqua, scorrendo da sud verso nord entrava ed usciva mantenendo limpide le acque del fossato. Da una mappa del XVIII secolo la “Peschiera” (come veniva chiamato nell’antichità) si trovava al centro di un sistema di canali che rendevano fertile e salubre il territorio circostante e permettevano il funzionamento di numerosi mulini. Nel passato, c’era un altro fossato, costruito come difesa, che circondava l’intero borgo a cui si poteva accedere attraverso la Porta si sopra, posta a est della Rocca e la Porta di sotto, posta a nord. In alcuni punti, ancora oggi, sono ben

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School life – Giornalino della Zani febbraio 2013 Ma che bel castello…

FFFOOONNNTTTAAANNNEEELLLLLLAAATTTOOO

Un’antica tradizione, però non documentata, vuole che Fontanellato sia stato fondato da una famiglia di origine longobarda che, nel X secolo, costruì il primo castello in una zona ricca di risorgive. Proprio per la ricchezza d’acqua il luogo fu chiamato Fontana Lata, cioè fontana larga, estesa.

Leggendo i documenti storici, si apprende che la posizione del castello e una delle torri, quella quadrata, probabilmente fu fatta costruire dai Pallavicino (allora si chiamavano Pela Vicino). Quello che è certo e quello che interessa a noi è che i Sanvitale iniziarono ad abitarvi intorno al 1386. E’ proprio in questo periodo che il nostro castello inizia a cambiare e a prendere, piano piano, l’aspetto che ancora oggi, con grande orgoglio, ci mostra. A proposito di orgoglio, prima di tutto, è unico (ok, tutti i castelli del nostro tour sono unici, perché ognuno è diverso dall’altro, ma questo lo è ancor di più). La sua particolarità è data dal fossato che lo circonda, uno dei pochi, in Italia, con acqua corrente. Fino a qualche decennio fa, le acque del fossato erano alimentate da una risorgiva detta “Fontana Serena. L’acqua, scorrendo da sud verso nord entrava ed usciva mantenendo limpide le acque del fossato. Da una mappa del XVIII secolo la “Peschiera” (come veniva chiamato nell’antichità) si trovava al centro di un sistema di canali che rendevano fertile e salubre il territorio circostante e permettevano il funzionamento di numerosi mulini. Nel passato, c’era un altro fossato, costruito come difesa, che circondava l’intero borgo a cui si poteva accedere attraverso la Porta si sopra, posta a est della Rocca e la Porta di sotto, posta a nord. In alcuni punti, ancora oggi, sono ben

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visibili i segni di queste antiche sistemazioni. Uno di questi è una delle antiche porte chiamata ora ”Voltone” e sotto il quale passiamo per andare verso il castello che non ha perso nulla del fascino di costruzione medioevale dove compaiono il mastio, sulla facciata e le quattro torri merlate, una quadrata (la più antica) e tre tonde, agli angoli del castello. Oggi, come allora, si entra dal torrione d’ingresso (naturalmente non più attraverso un ponte levatoio ma attraverso un ponte in muratura) che è da sempre il mastio del castello e si accede al cortile su cui si affacciano eleganti porticati e loggiati (con siringa e pennello, colonna dopo colonna, sono stati sottoposti a restauro conservativo). Se siete tipi nostalgici o romantici è il posto che fa per voi perché, con la fantasia o il desiderio potreste vedervi dame o cavalieri passeggiare per il cortile, nel giardino, conversare sui loggiati… La visita prosegue salendo ai piani nobili dove si incontrano bellissime sale e stanze arredate in diversi stili. Una di queste è la Sala delle Armi dove sono esposte armi costruite, e probabilmente utilizzate, dal ‘600 all’800 e un forziere molto particolare che farebbe impazzire anche i ladri più esperti! Un’altra stanza che merita attenzione è la camera nuziale in cui il letto è ricoperto da una bellissima coperta di seta e lino, del ‘600, da poco restaurata, e in cui appare un ritratto di Barbara Sanseverino Sanvitale, contessa di Colorno, famosa per la sua bellezza ed intelligenza, che però venne fatta decapitare dal Duca Ranuccio I Farnese, con il pretesto di una congiura contro di lui. Qualcuno la vorrebbe vedere vagare di notte per il castello…ma lei non si fa né sentire nè vedere! Nella camera si può ammirare anche l’altorilievo in terracotta "La Madonna Addolorata" datato tra il 1550 e il 1599 anche questo sistemato da poco così come il piacevole Salottino dei Sanvitale, un angolo dove i conti ricevevano gli ospiti o ascoltavano musica. Stanze, quadri, arredi, oggetti…tutto è bello ma la curiosità ci spinge ad andare veloci verso il piano terra. Perché? Ma…perché sì!!!!! Ma perché ci attende la stanza più bella di tutto il castello: la “Saletta di Diana e Atteone” affrescata dal Parmigianino (Francesco Mazzola) tra il 1523 e il 1424 Per il Conte Galeazzo Sanvitale e sua moglie Paola Gonzaga.La volta è decorata con putti sullo sfondo di un fitto pergolato con al centro un ampio squarcio di cielo e uno specchio tondo recante il monito “respice finem”. Più sotto ci sono 14 lunette raffiguranti il mito di Diana e Atteone, tratto dalle “Metamorfosi” di Ovidio. Non vi raccontiamo la storia che è qui rappre- sentata. Vi diciamo solo che è molto bella anche se piuttosto triste. Se non avete tempo di fare l’intera visita potete fermarvi anche solo a questa sala.

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A, R, A, A, F (sono le iniziali di alcuni dei nostri compagni) hanno anche un’altra fretta: andare alla camera ottica, nel giardino pensile, nella torre di sinistra.

Tutti ne restano profondamente affascinati, perché il torrione della Rocca ospita l'unica camera ottica

plurisecolare, ancora oggi funzionante.

Si entra nella stanza del torrione sul fossato, completamente buia. Chiusa la porta, si

scopre piano piano un effetto ottico molto suggestivo che si forma su due schermi

concavi. I raggi del sole vengono filtrati attraverso un sapiente gioco di prismi che proietta con due sistemi di specchi le immagini del mondo esterno come se esse penetrassero attraverso i muri. ²

A noi è piaciuta tanto anche la Sala del Teatrino dove è appunto custodito un teatrino giocattolo di notevole importanza storica, appartenuto ad Albertina di Montenovo, figlia di Maria Luigia d’Austria duchessa di Parma e Piacenza. Databile tra il 1820 e il 1825, il teatrino è costituito da una scatola di legno che funge da base e lo contiene una volta smontato. E’ alto 107 cm e profondo 91 cm. Sul frontone è raffigurato lo stemma di

famiglia. Il sipario in tela, con un meccanismo per l’avvolgimento nella parte superiore, rappresenta un giardino con un lago e al centro un’ isoletta con un tempietto classico. Il teatrino è corredato da 24 marionette alte 18 cm. Una di queste è alta solo 11 cm. ed era presumibilmente usata per favorire l’illusione prospettica. Le marionette – tra cui ritroviamo Arlecchino, Brighella, il Dottore, il Re, la Regina, servitori e nobili di corte - sono in legno e stucco. I costumi e gli accessori sono originali. Corredano il teatrino 6 scenografie su cartoncino, con vari ordini di quinte che raffigurano ambienti diversi: boschi, giardini, interni di palazzi ed esterni di città. Marionette, sipario, scenografie e frontone sono dipinti a tempera.

Per te La visita si può effettuare tutto l’anno anche se gli orari cambiano a seconda della stagione fredda o calda le visite sono solo guidate (meglio, si sta più attenti) è possibile percorrere due itinerari diversi: percorso intero o percorso solo a piano terra (naturalmente cambiano i costi) visite in lingua straniera accesso ai disabili ascensore

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guardaroba book-shop laboratori didattici è possibile prenotare la Sala dei Merli e la Sala delle Gelosie per convegni, riunioni di lavoro… sempre che non ci si faccia distrarre troppo dalla splendida veduta che da lassù si può ammirare per chi desidera sposarsi in Rocca con rito civile (meglio parlarne più avanti?), è a disposizione la Sala delle Donne Equilibriste.

Il Castello offre continuamente eventi e manifestazioni a cui partecipare: arte, musica, giornate a tema, conferenze, serate animate… Tutti possono trovare qualcosa adatto a loro… bastachiederea: [email protected] School life – Giornalino della Zani gennaio 2013 Ma che bel castello… La Bella mutilata LA ROCCA SANVITALE LA ROCCA SANVITALE DI SALA BAGANZADI SALA BAGANZA

La Rocca, come la vediamo oggi, è solo una parte di ciò che era alle origini perché nel corso dei secoli tra ristrutturazioni e distruzioni, non è stato possibile conservarla. Quando andrete a visitarla, vi apparirà una costruzione che “assomiglia” a un grande parallelepipedo da cui sono scomparsi il

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mastio centrale, le torri angolari e la corona di caditoie, dalla corte d’onore sono sparite le logge da cui si affacciavano gli appartamenti dei signori del castello. Visitando le stanze però si percepisce chiaramente l’imponenza e la ricchezza di questa dimora che, nel corso dei secoli, si è arricchita di bellezze artistiche, come gli affreschi di Samacchini e del Baglione da poco fatti restaurare dal Comune. Un altro importante restauro che il Comune ha affrontato in questi anni è stato quello del’immenso giardino che custodisce, al centro, un’ampia vasca circolare. Il restauro ha rispettato l’antico progetto dei Farnese quindi…la bellezza è assicurata. Il giardino , ora, è patrimonio di tutti e tutti possono entrare. Il Comune è intervenuto anche mettendo in sicurezza parte dei muri del giardino, facendo opere di consolidamento della piazza e del cortile interno dell Rocca, ha messo in sicurezza l’accesso che attraversa l’antico fossato (vuoto) e ha ricostruito parte del muro di cinta (meno male che c’è!!!!) Tutto questo ha restituito alla cittadinanza e all’Italia un patrimonio di grande valore artistico e culturale.

Pare che Michele Varron (il tenente di napoleone), che fece demolire parti del castello, diede a Maria Luigia parti del materiale, ottenuto dalla demolizione, per ampliare il Casino dei Boschi,

una villa del 1700 appartenuta ai Farnese e adibita a chalet di caccia.

Aperto tutto l’anno seguendo la scansione dei mesi caldi e dei mesi freddi

percorsi didattici, sala convegni, ascensore per disabili,

bookshop,

card del Ducato, EMAIL: [email protected]

WEB SITE: www.comune.sala-baganza.pr.it -

E’ visitabile la mostra permanente “Sacroprofano” della scultrice Jucci Ugolotti, artista di Parma che per le sue sculture usa marmo, bronzo ma anche materie povere come terracotta e gessi

”Le domeniche in Rocca”: nelle prime domeniche di maggio, giugno e luglio, il giardino è teatro di giochi e creatività (Il giardino Magico) mentre nelle prime

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domeniche di settembre, ottobre e novembre il giardino offre il suo spazio per la “caccia al tesoro alla scoperta dei Sanvitale” .

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School life – Giornalino della Zani marzo 2013 Ma che bel castello… Belforte è una piccola frazione del Comune di Borgotaro immersa in una natura incontaminata che, dal punto di vista naturalistico è interessante per la presenza di rocce ofiolitiche (conosciute come rocce verdi perché il verde predomina nei minerali che la compongono) e altri minerali. Per salire al Castello bisogna attraversare il piccolo borgo, abitato da poco meno di venti persone, percorrendo una mulattiera. Del castello, costruito in una postazione ottimale per la difesa del territorio, oggi, purtroppo, restano pochi ruderi e come dice Calidoni in “Castelli e Borghi”:”difficile immaginare la struttura del castello solo affidandosi alle vecchie immagini che ora ne testimoniano l’importanza, ciò che risulta evidente è l’esistenza di una cerchia interna con al centro un grande pozzo, profondo circa 20 metri, e di una cerchia esterna alla

quale, sul lato ovest, si addossavano costruzioni varie”. Dai documenti risulta che a volerne la costruzione sia stato il Comune di Parma per tenere sotto controllo i movimenti tra l’Emilia e la Toscana. Tra le varie vicende che riguardano questo castello va ricordato che durante gli attacchi dll’Imperatore Federico II, Belforte fu occupato da suo figlio, Re Enzo. In seguito, Parma sconfisse gli imperiali, si riprese la fortezza e l’affidò a un podestà. Pensate che sia finita? Nient’affatto! Da questo momento, a contendersi il castello sono i Rossi e i Sanvitale. Dopo un susseguirsi di lotte, sconfitte e riprese, finalmente, nella seconda metà del 1500, bel forte rimase “pacifico possesso” dei san vitale fino al 1733, anno in cui Giacomo Antonio san vitale decise di scambiare bel forte con Noceto perché molto più vicino alla Rocca di Fontanellato.

Non siamo gli unici a guardare verso Belforte… nemmeno a farlo apposta…Una nuova escursione lontana dai percorsi più conosciuti , nella parte di Appennino Parmense al confine con la Toscana e compresa fra il Passo della Cisa e il Passo del Bratello: visitando una piccola valle nel territorio di Borgo Val di Taro caratterizzata da antichi borghi, rarità geologiche, una natura incontaminata e un castello che sta per rinascere. È questa la Giornata Fai di primavera, proposta dalla Delegazione di Parma del Fai (Fondo per l ’ambiente italiano): domenica 29 marzo 2013 un itinerario nella valle del Cogena,

alla scoperta del borgo di Belforte. Dal punto di vista naturalistico, la valle conserva ancora oggi un aspetto antico e misterioso, caratterizzato dalla presenza di rocce ofiolitiche e da altre particolarità mineralogiche. Senza dimenticare che sia i Farnese sia dei privati , all ’ inizio del XX secolo, tentarono lo sfruttamento di giacimenti d’oro e di rame nella zona, lasciando testimonianze ancora visibili . “Quella che propone il Fai è una bella occasione di visita per andare alla scoperta di una zona assolutamente poco conosciuta anche da parmigiani e parmensi. Il nostro Appennino

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è un patrimonio di straordinarie emergenze che si intersecano tra loro: elementi naturali, paesaggistici, storici, anche scientifici creano un contesto nel quale muoversi è non solo piacevole ma anche arricchente”, ha detto nella presentazione di oggi in Provincia il presidente

Vincenzo Bernazzoli, che ha ribadito l’importanza di “valorizzare tutto il territorio, dall’Appennino alla Bassa”.

Piccolo ma ricco A Belforte lavora Giorgio Giliotti, liutaio (uno dei pochi rimasti) che grazie a passione e abilità riesce ad ottenere musica da un pezzo di legno. Durante la Seconda Guerra Mondiale, a bel forte viene nominato comandante delle Formazioni Partigiane di Parma Giacomo Ferrari, originario di Langhirano, che diventò, poi Ministro dei Trasporti del Governo De Gasperi. I resti del castello sono liberamente visitabili soprattutto ora che sono state messe in sicurezza le parti pericolanti e reso più agibile il sentiero di accesso. Il nostro consiglio è quello di andare in primavera per ammirare vegetazione e fiori oppure in autunno per godere dei colori caldi di questa stagione. Il nostro “ordine” è ANDATECI!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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School life Giornalino della Zani

Raccolta di articoli presentati nella rubrica

Ma che bel castello…

LE FORTEZZE School life – Giornalino della Zani gennaio 2013 Ma che bel castello…

Il castello di Montechiarugolo è costruito sulla riva sinistra del torrente Enza, nella strategica posizione di confine tra il parmense ed il reggiano e poggia le fondamenta su un terrazzo naturale da cui deriva il toponimo del suo nome Monticulus Rivoli. La sua è una storia antica e come tutti i “vecchi” ne ha viste tante e ne

ha subite tante, cioè tante lotte, tante discordie, tante distruzioni e ricostruzioni… Fu costruito da Guido Torelli nel secolo XV sui resti di una torre che potrebbe essere il mastio che, oggi, si affaccia sul cortile è che è l’elemento più vistoso di tutta la costruzione. Del periodo della costruzione rimangono ancora i tre cortili che contribuiscono a dargli

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una forma piuttosto irregolare (un po’ come i nostri disegni geometrici!). Dev’essere abbastanza intrigante attraversarlo. Guardandolo con Google Earth si può vedere che dal lato del fiume si trova il cortile maggiore, cui s'accede attraversando un rivellino e un ponte e che da un secondo cortiletto, collegato al primo, si raggiungono con una scala i cammini di ronda mentre del tutto separato è il terzo cortile. E’ veramente bello vedere quanto verde ci sia al suo interno: in un giardino-spalto ci si arriva mediante un altro ponte… Guardandolo dall’esterno, così massiccio e imponente con una doppia cinta muraria non ti aspetteresti di trovare tanta leggerezza al suo interno: sale affrescate, statue del '700 che arrivano dal Giardino ducale di Colorno (furono acquistate dalla famiglia Marchi alla fine dell’Ottocento, quando fu smantellata la Fontana «del Trianon», ora al centro della

«peschiera» nel Giardino Ducale di Parma), arredi, quadri… Tanta bellezza probabilmente l’ha raggiunta con Pomponio Torelli che è forse il più conosciuto di tutta la famiglia per la sua preparazione culturale. Purtroppo pure lui, come tanti altri signori di castelli, che abbiamo incontrato nel nostro tour, finì nelle mani dei Farnese. Non lui in persona, ma suo figlio Pio, che non aveva affatto il suo carattere, finì per rimetterci la testa (famosa congiura del 1612) e lui il suo castello. Con l’andar del tempo anche il suo castello ha perso qualcosa come la terza cerchia di mura, i ponti levatoi, gli arredi dell’epoca, le decorazioni delle sale… ma una cosa rimarrà per sempre: la presenza della fata Bema, una presenza dolce e gentile che tutti amano perché si prende cura dei bisognosi. Il castello ora è proprietà privata: appartiene alla famiglia Marchi che l’ha acquistata nei primi anni successivi all’Unità d’Italia.

La visita è bella e tranquilla, nessuno qui può far paura e allora: Visite guidate tutto l’anno però solamente di sabato, domenica e festivi gli orari seguono le stagioni) card del Ducato feste e manifestazioni cerimonie e feste private e.mail: [email protected] sito web: www.castellodimontechiarugolo.it

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School life – Giornalino della Zani febbraio 2013 Ma che bel castello…

IL CASTELLO DEL GRANDE AMORE

TORRECHIARA

 Un po’ di storia…anzi…600 anni!!!!!!! Gazzetta di Parma 18/03/2013 -

Pier Maria, l'uomo e il mito Pier Paolo Mendogni Seicento anni fa – esattamente il 25 marzo 1413 - nasceva nel castello di Berceto Pier Maria Rossi «il magnifico», il più celebre e celebrato protagonista della storia parmigiana del Quattrocento per la sua spiccata personalità di valoroso guerriero, di uomo colto e protettore delle arti. Umanista «esperto di molti saperi» conosceva bene il latino, parlava disinvoltamente francese e spagnolo, amava la poesia e la musica – egli stesso suonava e componeva poesie –

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si dilettava di aritmetica accoppiando questo interesse a quello delle fortificazioni militari. I castelli erano uno dei suoi hobby preferiti; alcuni li ha ereditati, altri li ha conquistati con la forza, altri ancora li ha fatti costruire o ricostruire. E’ arrivato a possederne una trentina, molti dei quali oggi non esistono più. Il castello per lui non era solo una roccaforte utile per presidiare il territorio e un segno di potere; gli piaceva progettarlo, vederlo nascere, arricchirlo di affreschi, statue e decorazioni per cui ancora oggi alcuni di questi – Torrechiara, Roccabianca, San Secondo, Felino – costituiscono un prezioso patrimonio culturale e un rilevante richiamo turistico. Petrus Maria era figlio di Pietro Maria (1374 – 1438), conte di San Secondo, Berceto e Corniglio, e di Maria Giovanna Cavalcabò, figlia del marchese Ugolino, signore di Viadana. Lo stemma della casata è costituito da un leone d’oro rampante su fondo azzurro. Sulla sua giovinezza non si hanno molte notizie. Si sa che seguì a Venezia il padre al quale venne confermata la nobiltà veneziana e per alcuni anni abitò nella città lagunare, dove la sua formazione si è notevolmente arricchita in quel clima cosmopolita. A 15 anni ha sposato Antonia Torelli, di sette anni più anziana, figlia di Guido conte di Montechiarugolo. Non fu un matrimonio d’amore ma prolifico in quanto nacquero nove figli. La famiglia viveva prevalentemente a San Secondo e Antonia era spesso sola in quanto il giovane marito seguiva il padre nelle imprese belliche. Si era fatto un uomo robusto, di corporatura «quadrata atta a sopportare le fatiche della guerra»; di statura media, viene descritto d’aspetto tra ilare e severo; portava la berretta rossa, tipica del tempo, e vestiva «alla corta». In una medaglia appare paffutello, col doppio mento, il naso all’insù, lo sguardo penetrante. Sui vent’anni Pier Maria entrava nelle armate viscontee con una sua compagnia composta da un migliaio di uomini partecipando alla guerra che Milano stava combattendo contro Venezia. Nell’anno seguente a Felino si spegneva il padre e Pier Maria veniva investito di nuove responsabilità dovendo badare anche agli interessi che la casata aveva nel Parmense e che si scontravano con quelli degli altri nobili, soprattutto i ghibellini Pallavicino, Sanvitale e Da Correggio. Insieme all’insegna araldica del leone rampante, Pier Maria ne fece una propria consistente in un cuore rosso in campo azzurro (colore dei guelfi) cinto da corone dorate e incatenate. Intanto continuava a cogliere successi sul campo di battaglia al fianco di Francesco Sforza. Negli anni Quaranta alla corte viscontea il conte aveva un colpo di fulmine per Bianca Pellegrini da Como, sposata col ben più anziano Melchiorre d’Arluno, la quale lascerà il marito e si trasferirà nel castello di Roccabianca, costruito appositamente per lei tra il 1446 e il 1463. In quegli stessi anni Pier Maria ricostruiva il castello di San Secondo per farne la residenza ufficiale della famiglia e edificava il fiabesco castello di Torrechiara tra il 1446 e il ’60, che diventava il tempio dell’amore fra lui e Bianca, che lì si incontravano. Molto devoto alla Madonna – essendo nato nel giorno dell’Annunciazione e portandone il nome - ha posto la collinare «rocha altiera e felice» sotto la protezione della «redemptrice» e sulle rive della Parma ha fondato un monastero benedettino dedicato a Santa Maria della neve. Alla morte del duca Filippo Maria Visconti (1447), Pier Maria stava al fianco di Francesco Sforza, che gli ha affidato in custodia i suoi figli quando è andato alla conquista di Milano. Poi lo stesso Rossi sconfiggeva i Terzi, riconquistava le terre nel Parmense e veniva accolto trionfalmente in città dove era proclamato «Padre della Patria, autore della libertà parmigiana». Dopo la pace di Lodi (1454) per Pietro Maria vi erano anni di relativa tranquillità nei quali poteva dedicarsi alla poesia, alla musica, alla cura delle sue terre, dei suoi castelli. I rapporti con la moglie erano stati sempre puramente formali e nel 1457 Antonia Torelli col suo seguito si ritirava a Parma nel monastero delle benedettine di San Paolo, dove morirà nel 1468. In occasione della elezione a Papa di Sisto IV (1471), il duca Galeazzo Maria Sforza lo inviava a Roma a porre le congratulazioni ufficiali. Purtroppo nel ’76 il duca veniva assassinato e la moglie Bona di Savoia assumeva la reggenza in nome del figlio Gian Galeazzo. Pier Maria restava al fianco di Bona che nel 1480 veniva soppiantata dal fratello del defunto, Ludovico detto il Moro che, sobillato dai Pallavicino, vedeva nel Rossi un nemico da annientare. Mandava così nel Parmense le sue truppe che il 25 luglio 1482 conquistavano Roccabianca (Bianchina era morta da due anni).

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Pier Maria, che si trovava a San Secondo ammalato, si faceva trasportare in lettiga a Torrechiara, scortato da cento armigeri. Le sue condizioni peggioravano rapidamente e il 2 settembre cessava di vivere, evitando l’umiliazione della sconfitta. Imbalsamato, rivestito di una veste di broccato d’oro, veniva posto su un seggiolone dove «rimaneva a lungo», ricevendo l’omaggio dei sudditi. Era poi sepolto all'interno del castello nell’oratorio di San Nicomede, davanti all’altare, nella tomba dove già si trovava l’amata Bianchina.

Stato di conservazione Alla morte di Pier Maria il castello passò al figlio Guido Rossi, conquistato nel 1483 da Lodovico il Moro, continuò a passare, fino al 1912, quando fu acquistato dal Demanio statale nelle mani di diverse famiglie nobiliari. Oggi, è un monumento nazionale tutelato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e considerato uno dei più significativi e meglio conservati esempi di architettura castellana del Quattrocento in Italia. Quasi tutti i castelli Italiani sono stati costruiti in pietra ma quasi tutti quelli dell’Italia centrale sono stati costruiti in mattoni  questo  dà  ai  castelli  una  caratteristica  del  tutto  particolare  e,  nel  Castello  di  Torrechiara,  se  ne  raggiunge  la  massima  espressione.  In origine, il castello era una struttura difensiva che nel tempo è stata rimaneggiata per diventare dimora abitativa del Conte Pier Maria Rossi. Il castello era difeso da tre cerchie di mura: la prima circondava la collina su cui sorge, la seconda proteggeva il borgo e la terza riparava il castello vero e proprio. Per superare ogni cerchio di mura era necessario passare attraverso un ponte levatoio perché vi erano anche due fossati, uno proteggeva il borgo e l’altro il castello, l’unico visibile ancora oggi. I fossati comunque erano asciutti e questo per evitare che i nemici si nascondessero nell’acqua ma potessero essere facile bersaglio. Le torri quadrate, quelle che ancora oggi sono visibili,e che hanno subito gravi danni con il terremoto del 2008, ma abilmente ristrutturate, erano collegate fra loro da una doppia cinta di mura per garantire un ottimo sistema di sicurezza. Da queste torri, infatti, in caso di attacco, grazie a feritoie (piccole aperture) e caditoie (botole aperte nel pavimento), potevano essere gettati detriti e acqua bollente per colpire gli assalitori.

EEnnttrr iiaammooooooooooooooooooooooo

Entrando nel cuore della vecchia fortezza, compreso tra le quattro torri, si arriva al cortile d’onore in cui si trova un pozzo profondo più di 60 metri e l’ingresso alla cappella di San Nicomede.

Sempre al piano terra, si possono visitare sale che si susseguono, una in fila all’altra, i

cui nomi richiamano il tema principale dell'affresco. Anche al primo piano troviamo

bellissime sale tra cui la più bella è una stanza fatta affrescare dallo stesso Pier Maria

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Rossi per lui e per Bianca da Benedetto Bembo: la Camera d’Oro, forse la stanza più

bella di tutto il castello anche se l’oro zecchino che ricopriva le formelle del muro oggi non c’è più. la stanza celebra il trionfo dell'amore dei due giovani signori, ma anche il prestigio della famiglia Rossi nel parmense, attraverso il viaggio immaginario di Bianca, "pellegrina" per amore, tra i vasti possedimenti e le terre del feudo. Purtroppo, il terremoto ha colpito anche questa stanza così come le altre sale del

primo piano [Sala del Meriggio (mezzogiorno), Sala del Vespro (tramonto), Sala dei

Giocolieri, affrescate dal Baglione]: frammenti degli splendidi affreschi sono caduti

con l'aprirsi di crepe nell'intonaco, diversi archetti sono crollati…quasi tutte le finestre

hanno subito lesioni… Ma non preoccupatevi, ora, tutto è sistemato e il tutto ha ritrovato un fascino incredibile.

Qualcuno è riuscito pure a trovare un lato positivo nei “guai” causati dal sisma: “Il

sisma ha permesso di capire meglio la conformazione architettonica del castello

all’indomani del 1462 e quali interventi lo hanno invece portato a quella attuale” e

allora…chissà, fra qualche anno, tornando a visitare il castello potremmo avere il

piacere di vedere “cose mai viste”!

Paura ?

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School life – Giornalino della Zani marzo 2013 Ma che bel castello…

Il buon vecchio ferito Il Castello di Compiano

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School life – Giornalino della Zani gennaio 2013 La seconda tappa del percorso i “castelli dei fantasmi” è la

Rocca di Soragna, paese situato

nella Bassa Parmense. E’ uno dei pochi castelli abitato ancora da un principe, il Principe Diofebo Meli Lupi, ultimo discendernte della nobile famiglia Lupi proveniente (pare) dall’Oltrepò. L’altra parte di nome, cioè Meli arriva più tardi, quando, leggiamo in Castelli Parmigiani :”Nel 1514 moriva Giampaolo Meli, cremonese, che gli era nipote per Crlo V co parte materna… Solo Diofebo Lupi, senza lasciare eredi diretti; egli aveva fatto testamento in favore di il 10 aprile 1530 l’Imperatore ncede al marchese Giampaolo di aggiungere al proprio cognome quello dell’estinto casato del Lupi, ed il privilegio di porre nel primo quarto dello stemma l’insegna imperiale dell’aquila bicipite”. Neppure questa famiglia fu risparmiata da lotte, si sa, non era periodo. Il casato Meli-Lupi trova un po’ di pace verso la fine del 1600 e il 4 agosto 1709 l’Imperatore Giuseppe I d’Asburgo accorda a Giampaolo Maria IV Meli Lupi il

titolo di principe, trasmissibile ai primogeniti maschi. Questo è il passato. La storia che oggi attira e che ha contribuito a rendere famoso questo castello è la vicenda di Donna Cenerina, in realtà Cassandra Marinoni moglie di Diofebo II, accoltellata dal cognato, Conte Giulio Anguissola di Piacenza. Il nome Cenerina le deriva dal color biondo cenere dei suoi capelli. Scrive capacchi: “…in paese circolano le dicerie più strane: lo spettro procede per il castello veleggiando a due spanne da terra; porta la testa tagliata stringendola sotto un braccio, alla maniera di san Donnino, si lascia dietro una scia di sangue; all’alba sale

sugli alberi del parco e rosicchia i rami, dopo brevi passeggiate in barca sul laghetto. Tutto questo avviene a Soragna e non a Piacenza dove è stata uccisa, perché il cadavere straziato di cassandra venne sepolto qui (e questo è vero)”. Questa è leggenda però c’è chi si preoccupa di documentare fatti, che avvengono all’interno del castello, come l’udire per alcune ore,e a volte anche per più giorni, gemiti e rantoli in sale deserte ol’improvviso sbattere di porte e finestre che si aprono e chiudono con un suono assordante. Questi fenomeni, avvertiti da chi occupa il castello, si verificano in occasione di situazioni dolorose per la famiglia meli Lupi, m, come dice Capacchi: “Che poi si tratti

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proprio della tagliuzzata cassandra, non lo garantiamo”. Se non lo fa lui, che conosce i segreti di tutti i castelli!!!??!!!

Quando deciderete, sempre che non l’abbiate già fatto, di andare a visitare la Rocca di Soragna vi troverete di fronte a…

… avete finito di urlare? Riprendiamo il discorso: quando arriverete davanti alla Rocca, niente paura, vi troverete di fronte a due superbi leoni (ancora? Forse è meglio che stiate a casa!!!!!) che introducono al castello. Il castello è a pianta quadra con quattro

torri ai lati ed una quinta al centro della facciata principale anche se ben conservato ha però perso la sua fisionomia originale. Ad esempio, il fossato che lo circondava e che era alimentato dallo Stirone è ora prosciugato; l’antico ponte levatoio è stato sostituito da un ponte in muratura; i vecchi loggiati, nel cortile d’onore, sono stati chiusi e nei tratti di cinta muraria, fra le torri, dove le sentinelle facevano la guardia, sono stati costruiti appartamenti. Sbirciando fra le fessure del cancello d’ingresso, si possono vedere, adagiati a terra, gli antichi capitelli dei pilastri sostituiti da colonne in pietra. L’interno, sempre che non abbiate paura ad entrare, è diviso in due: una parte aperta al pubblico e una abitata dal Principe. L’abitazione del principe, naturalmente, non si può visitare, ma tutto il resto, che merita davvero una visita, sì. Gli interni sono ben conservati e molto belli: sale e gallerie con affreschi, stucchi, mobili e arredi originali,la sala del trono, il salottino dorato… All’esterno, il giardino, ricco di alberi, dove si può passeggiare fiancheggiando il laghetto artificiale.

visitabile tutto l’anno

informarsi prima della visita che non ci siano convegni o manifestazioni che occupino parti visitabili

EMAIL: [email protected]

WEB SITE: www.roccadisoragna.it

sono a disposizione sale per convegni e banchetti

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School life – Giornalino della Zani febbraio 2013 Ma che bel castello… Guardasone

Il castello sentinella

Guardasone è una frazione del Comune di Traversetolo che si erge sul Monte Lugolo e dalla sua altezza domina la Valle dell’Enza (il fiume che segna il confine tra Parma e Reggio).

Riguardo all’origine del nome sono state fatte tante ipotesi ma Capacchi sostiene che l’etimologia più corretta derivi dal dialetto “guarda zò”

(guarda giù)”. Gli abitanti di traverse tolo invece preferiscono pensare che

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Guardasone derivi da “guarda e sogna” forse perché è immerso in un bellissimo paesaggio ricco di verde. Le origini di questo castello sono molto antiche e quindi poco precise. Sicuramente era già in vita fin dal X secolo anche se nei documenti compare per la prima volta soltanto nel 1248. Più volte, nel corso di sanguinose e disastrose battaglie è stato distrutto e poi ricostruito. Sono tante le famigliem che si sono succedute tra le sue mura, tra cui Re Enzo figlio dell’Imperatore federico II, i Baratti, Gli Azzo da Correggio, i Visconti, i Terzi. Alla fine delle lotte, quando ormai anche i castelli inutili

venivano abbattuti, Guardasone venne consegnato a Don Giambattista Rondani di nobile famiglia parmigiana. Ancora oggi, il castello è proprietà di questa famiglia, che lo abita e

continua a farlo vivere. La struttura conserva solo in parte l’aspetto di fortezza di un tempo, con la torre merlata dotata di ponte levatoio e i resti della Torre di Guardia (chiamata Guardiola) posta in posizione sopraelevata rispetto al castello stesso. Comunque, da quel poco che resta, si può vedere che il mastio (torrione) è stato costruito su pianta rettangolare. Questa caratteristica lo differenzia dai castelli costruiti in quel periodo che avevano invece tutti una pianta quadrata. Dalla parte opposta si scorge un portale in stile gotico che serviva di passaggio dalla piazza d’armi all’area gentilizia dove abitava il signore del casytello. Girando intorno al colle si può veder un terreno terrazzato su cui, un tempo, scorrevano due mura di cinta che si interrompevano incontrando i calanchi (pendii argillosi solcati dall’erosione dell’acqua). La bellezza di questo antico castello sta nei suoi ricordi ma anche e soprattutto nell’incantevole paesaggio in cui è inserito. Merita proprio una visita. Le domeniche di primavera potrebbero essere l’occasione di andarlo a trovare anche se non si può entrare. Una domanda però viene spontanea: “Come fanno i signori Rondani a convivere con il fantasma? Riportiamo il testo della leggenda così come la racconta Elia Bertoli Armani poetessa e scrittrice traversetolese. A quel tempo era signore del paese il nobile Ottobono Terzi che, come tutti i potenti, non era di cuore tenero e pretendeva dai suoi sudditi tasse impossibili. Essi abitavano in misere casupole e coltivavano le magre terre lasciate dai boschi e dopo aver pagato i tributi non restava loro di che sfamare la famiglia. Questa vita di privazioni, a lungo andare, fiaccò i sudditi che decisero di ribellarsi. La voce giunse a Ottobono che, temendo di perdere il potere, mandò a dire ai contadini che avrebbe concesso loro condizioni migliori e li aspettava una sera nel grande cortile del castello. Questi accorsero in massa increduli e timorosi, ben conoscendo la malvagità del padrone, ma la proposta non sembrava rischiosa. Si radunarono nello spiazzo e con loro sorpresa vennero accolti con offerte di vino e bevande. Approfittarono avidamente di quell’improvvisa abbondanza e cortesia, solo più

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tardi comparve il padrone che, con inconsueti modi gentili, li ascoltò ed accettò le loro proposte. Stupiti ma felici si abbandonarono ad applausi e ringraziamenti ma alterati dall’effetto del vino non si avvidero del tranello teso loro dal perfido signore. Mentre loro gridavano di gioia i soldati nascosti tra il fogliame cominciarono a colpirli con potenti frecce che li uccidevano sul colpo. Le grida dei primi colpiti indussero gli altri a fuggire ma si trovarono il passo sbarrato da altri soldati che non risparmiarono nessuno.

Le donne in ansia attendevano nelle case, non vedendo gli uomini tornare si allarmarono e cautamente, protette dal buio, si avvicinarono al castello. Giunte vicino al cortile si trovarono di fronte quello spettacolo di morte. Fuggirono allora temendo anche per la loro vita e quella dei bambini. Ora, private dei mariti, dei figli adulti e dei padri, nei loro cuori colmi di dolore si insinuarono l’odio per il malvagio Ottobono ed il proposito di vendetta. Attesero pazientemente il momento propizio e durante una solitaria passeggiata colpirono a morte lo spietato padrone. Per suo maggior castigo nascosero il corpo nel folto bosco, esso diventò così pasto per gli animali. Lo spirito, privato della sepoltura del corpo, fu costretto a vagare senza il riposo eterno, la vendetta fu così completa. A tutt’oggi c’è chi afferma che il fantasma di Ottobono stia ancora vagando nella sua armatura e in quella zona, in certe notti di luna, si mostri trascinando catene dal rumore sinistro. Lasciamo da parte pipistrelli e fantasmi e riportiamo due notizie un po’ più leggere:

♣ Nel castello, pare nel 1342, soggiornò il Petrarca che trovò ispirazione, immerso nel verde delle colline, per i suoi scritti.

♣ Da Guardasone partì Fanfulla che, nella disfida di Barletta,

avvenuta all’inizio del 1500, lottò contro i Francesi per difendere l’Italia.

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IL VECCHIO BUON GIGANTE

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LA ROCCA DI BARDI

Bardi, paese montano della nostra

provincia, si trova a ridosso dei confini con la Liguria e Piacenza. Entrando in paese non si ha l’impressione di entrare in un luogo antico ma, man mano si sale verso il centro, camminando sui ciottoli di strade che diventano sempre più strette e incontrando abitazioni di pietra appoggiate le une alle altre, si avverte la presenza di qualcosa di particolare. E’ una presenza che, pur nel suo silenzio, è imponente e importante perché da sempre è il gigante che custodisce il suo paese. Abbiamo letto in “Castelli Parmigiani” di Guglielmo Capacchi citazioni, risalenti ai primi del ‘600, che traducono lo stupore che ci ha attraversati nel vedere la

Rocca. “Bardi ha una fortezza in cima

a un sasso tutto rosso (diaspro), durissimo e altissimo fuori ogni scalata, fortificata per ogni sorta di Batterie, monittionata sì di vivere, come d’Artiglieria, e altre monitione per offesa e diffesa” E ancora “…dolcemente si sale sulla sommità poi l’area circondata fino a mezza persona di muro è tanto lunga e larga, che con tutta comodità ci si può giuocare a palla. Attorno ci stanno le torri ed i bastioni; entro stanze magnifiche, cenacoli, abitazioni, la sede per accogliere i principi splendidamente adorna, con un buon e sufficiente presidio di soldati e con apparecchio forni mento di bombarde e di tutte quelle cose che servono alla guerra. Giorno e notte come a Compiano, si fa la guardia e la sentinella… se potesse effettarsi ed avvenisse che tutto l’alto edificio, o a colpi di cannone o per assalto dei nemici, o per qualche altro accidente fosse smantellato e rovinasse, nella roccia sono tagliate e scavate tante dimore, che in quelle potrebbe trovarsi un comodissimo rifugio per salvarsi o per starvi, a patto che vi fosse abbondanza di viveri…questa è la forma della Rocca di bardi, simile alla quale tutta Europa non ne vanta forse un’altra…”

Bardi ha una lunga storia che lo

vede legato ai Longobardi impegnati a difendere le zone di pianura dagli attacchi da parte degli Ungari. Nel 1257 il feudo passa ai Landi di Piacenza che

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vi rimangono per oltre quattro secoli, favorendo l'organizzazione amministrativa ed economica del territorio e promuovendo l'ampliamento della rocca. La fortezza, progettata come formidabile strumento di difesa, ha assunto, piano piano, le caratteristiche di capitale di un piccolo stato che comprendeva il territorio dell'alta Val Ceno e dell'alta Val Taro. Dopo la morte del principe Federico, l'edificio viene ceduto ai Farnese nel 1682 diventa poi presidio militare e caserma, e resta tale fino al 1868, quando diventa sede del municipio.

La Rocca di Bardi una rocca piena di

misteri quasi da Collana “Piccoli Brividi”… Un mistero è già nel nome perché la leggenda vuole che il nome Bardi derivi da “Bardus” o “Barrio”, uno degli elefanti di Annibale, l’ultimo, che morì da queste

parti nella discesa verso Roma. In realtà, Bardi deriva dalla nobile

famiglia longobarda che si era stabilita in questo luogo prima dell’800. Un secondo mistero è dato dalla presenza dei fantasmi del cavalier Moroello e di Soleste. Moroello, che non era di famiglia nobile, visse presso il castello verso la fine del 1400 ed ebbe la fortuna o la disgrazia di innamorarsi di Soleste, giovane castellana già destinata sposa ad un nobile della zona. La leggenda racconta che Moroello dovette partire per la guerra e che Soleste ogni giorno andasse sul mastio del castello per scrutare il suo ritorno. Dopo mesi di attesa, la giovane castellana vide un gruppo di cavalieri avvicinarsi alle mura della fortezza…quando furono più vicini, si accorse che indossavano le armature dei nemici portando il loro vessillo. Soleste non poteva immaginare…e dal dolore si buttò dalla torre e morì. In realtà, sotto quelle armature c’erano i cavalieri di bardi che per rimarcare la loro vittoria avevano indossato i panni dei vinti. Moroello non riuscì ad accettare un dolore così grande e si buttò dallo stesso punto da cui si buttò Soleste.

S i r a c c o n t a c h e d a q u e l g i o r n o n e l l e s t a n z e e n e i c o r r i d o i d e l c a s t e l l o , l o s p i r i t o d i M o r o e l l o va g h i d i s p e r a t o a l l a r i c e r c a d e l l a s u a a m a t a !!!!!!!!! Ai visitatori il maestoso complesso si presenta in ottimo stato di consevazione anche se, nella sua lunga storia è stata ampliata e adattata ai diversi periodi:

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da fortezza a palazzo signorile, da carcere militare a Municipio. Il castello conserva ancora il vecchio mastio, che è la torre quadrata più alta e decentrata rispetto all’intera costruzione. Le alte torri angolari segnano i vertici, gli angoli da raggiungere per completare un percorso molto interessante perché si può compiere per intero il giro delle mura, lungo il cammino di ronda. Ma, si sa, il tempo non perdona per cui in questi ultimi anni sono stati fatti

interventi in vari punti sia per restaurare sia per consolidare sia per recuperare spazi non agibili. Per mantenere in buon stato la millenaria costruzione è stato

necessario impermeabilizzare la copertura di alcune parti per evitare infiltrazioni d’acqua, è stato necessario il restauro della volta nella Sala d’Onore come il

consolidamento della Torre dell’Orologio e la sistemazione della Piazza d’Armi. Tutto è pronto! Andate tranquilli! Fate però attenzione, quando girate tra la ghiacciaia e le stalle o quando vagate tra l’androne e il corpo di

guardia o , ancora di più tra i camminamenti di ronda e le sale di tortura… i rumori che sentite potrebbero essere il segno che Moroello è nei paraggi!!!! Prendete un po’ di respiro perché nelle altre sale, quelle che ospitano il Museo della Civiltà Valligiana, il Museo del Bracconaggio e il Museo degli Alpini, tutto è più tranquillo! A questo punto crediamo che abbiate bisogno di qualche consiglio: • Visite chiuse

da dicembre a febbraio (siamo in montagna) • Book shop • Servizi per

disabili (quelli che serviranno a voi dopo aver visto Moroello) • Card del

Ducato • Attività

didattiche • Da aprile a

novembre la visita avviene solamente con guida • ATTENZION

E! In caso di neve il castello resterà chiuso. Verificare preventivamente l'apertura chiamando il numero 0521.821139

• Sito ufficiale del Castello: www.castellodibardi.it e qui informatevi per le tante iniziative che si tengono tra le mura del castello.