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IL CASO.it Sezione II Dottrina, opinioni e interventi documento n. 233/2011 5 marzo 2011 Sezione II Dottrina, opinioni e interventi 1 LAMMISSIONE DELLA PROVA TRA POTERE OFFICIOSO DEL GIUDICE E POTERE DISPOSITIVO DELLE PARTI (Relazione tenuta all’incontro di studio del Consiglio Superiore della Magistratura in Roma, il giorno 22 febbraio 2011, nell’ambito della prima settimana di tirocinio ordinario in materia civile riservata ai magistrati nominati con D.M. 5 agosto 2010) LAURA DE SIMONE Sommario: 1. Art. 115 c.p.c. Il diritto alla prova e la disponibilità delle prove. 2. Dispense dall’onere probatorio: il fatto notorio e la non contestazione. 3. I poteri of ficiosi del giudice. 4. In particolare la previsione dell’art. 281 ter c.p.c. e il giuramento suppletorio. 5 La deduzione delle prove. Le preclusioni. 6. Il giudizio di ammissibilità e rilevanza delle prove. 7. Preclusioni e istruzione probatoria nel rito sommario di cognizione. 1. Art. 115 c.p.c. Il diritto alla prova e la disponibilità delle prove. Il riparto tra i poteri di iniziativa delle parti ed i poteri inquisitori del giudice in ambito probatorio è disciplinato dal disposto del primo comma dell’ art. 115 c.p.c. per cui il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i fatti specificatamente non contestati, e questo salvi i casi previsti dalla legge. La regola quindi è la disponibilità delle prove e l’eccezione sono gli interventi ex officio del giudice di volta in volta previsti dalla legge. In dottrina questo modello è definito di tipo misto, o più precisamente di diritto dispositivo attenuato 1 . Il principio enunciato 2 è diretta espressione del diritto di azione e di difesa, sancito dall’art. 24 cost. e dall’art. 6.1 della Convenzione Europea dei diritti 1 Sul tema v.Carnicini, Tutela giurisdizionale e tecnica del processo, Studi in onore di E.Redenti , Milano, 1951, 768; Comoglio, Le prove civili, Torino, 2010, 131; Liebman, Manuale di diritto processuale civile,Principi, VI ed., Milano, 2002, 304 e ss.; Mandrioli,Corso di diritto processuale civile, vol.I, 96 e ss.; Cappelletti, La testimonianza della parte nel sistema dell’oralità, I, Milano, 1962, 318; La China, Diritto processuale civile. Le disposizioni generali, Milano, 1991, 630 e ss. 2 Nella relazione al codice di procedura civile del 1940, il principio dispositivo viene definito un "aforisma dell'antica sapienza" ed enunciato con il brocardo "juxta alligata atque probata partium judex iudicare debet".

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5 marzo 2011 Sezione II – Dottrina, opinioni e interventi

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L’AMMISSIONE DELLA PROVA TRA POTERE OFFICIOSO DEL GIUDICE E

POTERE DISPOSITIVO DELLE PARTI (Relazione tenuta all’incontro di studio del Consiglio Superiore della Magistratura in Roma,

il giorno 22 febbraio 2011, nell’ambito della prima settimana di tirocinio ordinario in materia civile

riservata ai magistrati nominati con D.M. 5 agosto 2010)

LAURA DE SIMONE

Sommario: 1. Art. 115 c.p.c. Il diritto alla prova e la disponibilità delle prove. 2. Dispense

dall’onere probatorio: il fatto notorio e la non contestazione. 3. I poteri officiosi del

giudice. 4. In particolare la previsione dell’art. 281 ter c.p.c. e il giuramento suppletorio. 5

La deduzione delle prove. Le preclusioni. 6. Il giudizio di ammissibilità e rilevanza delle

prove. 7. Preclusioni e istruzione probatoria nel rito sommario di cognizione.

1. Art. 115 c.p.c. Il diritto alla prova e la disponibilità delle prove.

Il riparto tra i poteri di iniziativa delle parti ed i poteri inquisitori del giudice

in ambito probatorio è disciplinato dal disposto del primo comma dell’art.

115 c.p.c. per cui il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove

proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i fatti specificatamente

non contestati, e questo salvi i casi previsti dalla legge. La regola quindi è la

disponibilità delle prove e l’eccezione sono gli interventi ex officio del

giudice di volta in volta previsti dalla legge. In dottrina questo modello è

definito di tipo misto, o più precisamente di diritto dispositivo attenuato1.

Il principio enunciato2 è diretta espressione del diritto di azione e di difesa,

sancito dall’art. 24 cost. e dall’art. 6.1 della Convenzione Europea dei diritti

1 Sul tema v.Carnicini, Tutela giurisdizionale e tecnica del processo, Studi in onore di E.Redenti,

Milano, 1951, 768; Comoglio, Le prove civili, Torino, 2010, 131; Liebman, Manuale di diritto

processuale civile,Principi, VI ed., Milano, 2002, 304 e ss.; Mandrioli,Corso di diritto

processuale civile, vol.I, 96 e ss.; Cappelletti, La testimonianza della parte nel sistema

dell’oralità, I, Milano, 1962, 318; La China, Diritto processuale civile. Le disposizioni generali,

Milano, 1991, 630 e ss. 2 Nella relazione al codice di procedura civile del 1940, il principio dispositivo viene definito un

"aforisma dell'antica sapienza" ed enunciato con il brocardo "juxta alligata atque probata partium

judex iudicare debet".

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dell’uomo, principio che necessariamente comprende tanto il diritto delle

parti di proporre le prove dei fatti che reputano significativi per

l’accoglimento delle domande o delle eccezioni formulate, quanto il diritto

delle parti ad una valutazione del giudice che dia conto delle prove fornite

dai contendenti3.

La prova è pertanto lo strumento a cui la parte può accedere per attuare

giudizialmente i propri diritti, ma specularmente è anche un onere che sulla

stessa incombe per vedere positivamente accertate le proprie pretese.

Prevede l’art. 2697 c.c. che la parte che intende far valere un diritto in

giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento e del pari chi

eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero che il diritto si è modificato o

estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione di fonda.

Il giudice quindi non potrà ricercare da sé se le circostanze allegate dalle

parti siano o meno vere e neppure potrà avvalersi delle proprie conoscenze e

della propria scienza privata (art. 97 disp.att. c.p.c), spettando di regola ai

litiganti di dimostrare in giudizio la fondatezza di quanto affermano.

Ulteriore garanzia costituzionale che occorre tener presente nell’accingersi

ad esaminare la disciplina processuale dell’attività istruttoria è l’art. 111

cost., che in questa materia si concreta nella garanzia del contraddittorio tra

le parti, in condizioni paritarie, nella imprescindibile terzietà ed imparzialità

del giudice, nella necessità che il diritto alla prova non pregiudichi la

ragionevole durata del processo.

A margine del potere delle parti di introdurre nel giudizio il materiale

probatorio da porre alla base della decisione del giudice, lo stesso art. 115

c.p.c. riserva al giudice poteri officiosi, peraltro non così residuali come il

titolo dell’articolo sembrerebbe prospettare, facoltà che si giustificano da un

lato con la necessità di consentire al giudicante un controllo incisivo

dell’attività delle parti in maniera tale da favorire una più sollecita

definizione delle controversie, a garanzia della ragionevole durata del

processo e dall’altro, con l’esigenza di assicurare, per quanto possibile,

soprattutto in determinate materie di interesse superindividuale, la ricerca

della verità materiale4. E’ comunque indiscusso, come vedremo tra poco, che

l’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio debba essere subordinato alla

3 Consolo, Il processo di primo grado e le impugnazioni delle sentenze, Padova, 2009, vol.III, 181.

4 Si è correttamente osservato tuttavia che, mentre nel primo caso l’intervento officioso va nella

direzione di una maggiore celerità e razionalizzazione del processo (in particolare, con il rilievo

d’ufficio delle preclusioni), nell’altro, al contrario, quando il giudice dispone l’assunzione di un

mezzo di prova non richiesto dalle parti, il risultato è un’inevitabile dilatazione dei tempi del

giudizio, v. Giacomelli, L’istruzione della causa, relazione per l’Ufficio per Incontri di studio del

CSM nel corso Il punto sul rito civile del 24/26.5.2010.

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garanzia di imparzialità ed equidistanza sancita dall’art. 111 II co. cost., al

principio del contraddittorio e alla regola processuale - che sta a monte -

della disponibilità dell’oggetto del processo (art. 112 c.p.c.).

In ordine a quest’ultimo aspetto deve segnalarsi che tra le questioni aperte

relative alla portata del principio dispositivo vi è quella che riguarda il

rapporto tra l’onere di allegazione delle prove e l’onere di allegazione dei

fatti. Per i fatti principali, intesi come fatti costituitivi del diritto azionato o

che integrano l’oggetto di eccezioni in senso stretto, il problema non si pone

posto che opera il principio della domanda di cui agli artt.99 e 112 c.p.c.. La

questione controversa riguarda i fatti principali posti a fondamento di

un’eccezione in senso lato e i fatti secondari, cioè quei fatti che se provati

consentono di risalire, in via presuntiva, ai fatti principali. Se è pacifico che il

giudice potrà tener conto di questi fatti ogni qualvolta emergano dagli atti di

causa senza necessità di una formale allegazione di parte, si discute in

dottrina5 se quando questi fatti non sono allegati e non emergano dagli atti di

causa il giudice possa porsi il problema della loro esistenza e

conseguentemente attivarsi per l’accertamento anche attraverso l’esercizio di

poteri istruttori officiosi o se invece questo non gli sia consentito.

Va ricordato infine come corollario del principio dispositivo il principio di

acquisizione processuale per cui le parti sono si libere di scegliere di quali

prove avvalersi per fornire riscontri ai propri assunti, ma le risultanze

istruttorie acquisite al processo devono intendersi comuni alle parti ed il

giudice è libero di formare il proprio convincimento in ordine a domande ed

eccezioni proposte avvalendosi indifferentemente delle prove fornite dall’una

o dall’altra parte.

2. Dispense dall’onere probatorio: la non contestazione e il fatto notorio

Il testo del primo comma dell’art. 115 c.p.c. come novellato dalla L. n.

69/2009 prevede che il giudice debba porre a fondamento della decisione

anche “i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita” recependo

così un principio precedentemente elaborato dalla giurisprudenza (per tutte si

veda Cass. Sez. Un. 23/1/2002 n°7616), che negli anni aveva equiparato

5 Nel senso che l’accertamento di questi fatti deve rispettare il principio dispositivo, Liebman, op.

cit., 305; Tarzia, Il litisconsorzio facoltativo nel processo di primo grado, Milano, 1972, 351 e ss;

Cavallone, Il giudice e la prova nel processo civile, Padova, 1991, 123 e ss.; contra Cappelletti,

op.cit., 340 e 343; Verde, Profili del processo civile, VI ed., I, Napoli, 2002, 2. 6 “Proposta domanda di pagamento di differenze retributive, la contestazione del convenuto

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all’ammissione vera e propria il sistema difensivo della controparte fondato

su circostanze o argomentazioni che - sebbene non costituivano

contestazione specifica - erano comunque logicamente incompatibili con il

disconoscimento del fatto7.

Poiché l’argomento è già stato oggetto di specifica relazione del collega

Buffone non mi soffermerò sulle molte peculiarità dell’istituto, ma solo

occorre in questa sede rilevare che ora la non contestazione è una regola di

giudizio normativamente prevista, non diversa da quella sull’onere della

prova o sull’efficacia probatoria del fatto notorio8.

Il fatto non contestato è espunto dal thema probandum (si noti che il

giudice “deve” porre a fondamento della decisione i fatti non specificamente

contestati dalla parte costituita non “può”) e questo per ragioni di economia

processuale9 e di selezione dei fatti rilevanti per il processo.

dell'esistenza del diritto azionato rende irrilevante la non contestazione dei conteggi relativi al

"quantum", qualora la contestazione sull'"an" abbia investito tutti i fatti costitutivi della domanda”

Cass. sez. un., 23/1/2002, n. 761 in F.it, 2002, I, p.2019 con nota di Cea, Il principio di non

contestazione al vaglio delle Sezioni Unite; e in F.it.,2003, I, p.604 con nota di Protopisani,

Allegazione dei fatti e principio di non contestazione nel processo civile. In dottrina il principio

era già da tempo valorizzato, v. Balena, Le preclusioni nel processo di primo grado, in Giur.it.,

1996, IV, 279; Caratta, Il principio di non contestazione nel processo civile, Milano, 1995, 330;

Proto Pisani, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, 158; Ciaccia Cavallari, La

contestazione nel processo civile. II. La non contestazione, carattere ed effetti, Milano, 1993, 34. 7 E’ stato osservato da Tribunale Piacenza, 2/2/2010, n. 81 in Giur. Merito, 2010, 5, 1322 che “Il

principio di non contestazione, pur se codificato legislativamente solo con la l. n. 69 del 2009

tramite la modifica dell'art. 115 c.p.c., aveva in realtà già da diversi anni trovato cittadinanza

nell'ordinamento, in virtù di un'interpretazione sistematica ormai consolidata da parte della

Suprema Corte; pertanto, l'intervento legislativo non può essere ricostruito come una vera e

propria modifica normativa, ma piuttosto come una mera ricognizione di un precetto già sancito in

via interpretativa sulla base del dato normativo pregresso, con la conseguenza che il principio, così

come ricostruito dalla giurisprudenza a partire dal 2002, deve essere utilizzato anche nella

decisione delle controversie cui la novella del 2009 non è ratione temporis applicabile”. V. anche

Trib. Rovereto 3.12.2009 e Trib. Varese 1.10.2009, sempre in Giur. merito, 2010, 1322 ss. 8 Per approfondimenti sul tema M.Fabiani, Il nuovo volto della trattazione e dell’istruttoria, in

Corr.Giur., 2009, 1162 ss.; Rota, I fatti non contestati e il nuovo art. 115, in Il processo civile

riformato, Bologna, 2010, 181 e ss.; Sassani, L’onere di contestazione, in www.judicium.it;

Balena, La nuova pseudo-riforma della giustizia civile (un primo commento della L.18 giugno

2009 n.69) in Giusto proc.civ., 2009, 777; Proto Pisani, La riforma del processo civile: ancora

una riforma a costo zero (note a prima lettura), Foro it., 2009, 221 ss.; Briguglio, Le novità sul

processo ordinario di cognizione nell’ultima, ennesima riforma in materia di giustizia civile,

Judicium.it; Chiarloni, Le principali novità introdotte nel c.p.c. con la l. 69/2009, Judicium.it;

Consolo, La legge di riforma 18 giugno 2009, n. 69: altri profili significativi a prima lettura,

Corr. giur., 2009, 877. 9 Proto Pisani, Ancora sulla allegazione dei fatti e sul principio di non contestazione nei processi a

cognizione piena, in Foro it., 2006, I, 3143; Cea, La non contestazione dei fatti e la Corte di

Cassazione: ovvero di un principio poco amato, in Foro it., 2005, I, 730; Cass., 13/6/2005, n.

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Il principio opera solo se la parte è costituita10

e non può essere aggirato

con una contestazione generica, avendo le parti l’onere - negli atti

introduttivi e nelle successive memorie - di prendere posizione in modo

preciso (“specificatamente”) su tutte le circostanze allegate dalla controparte.

La non contestazione dovrà riguardare solo i fatti storici da accertare nel

processo e non l'interpretazione data dalle parti alla disciplina legale o

contrattuale del rapporto, essendo la qualificazione giuridica dei fatti e

l’applicazione di regole giuridiche compito del giudice, senza che possa

risultare condizionata dalle prospettazioni difensive e dai comportamenti

processuali delle parti.

La regola della non contestazione riguarda tutte le parti del giudizio

(attore, convenuto e terzi) e in assenza di specificazione nel dato normativo

deve considerarsi riferita non solo ai fatti principali, ma anche ai fatti

secondari, sempre che si tratti di fatti conosciuti dalla parte contro cui sono

allegati11

.

Con riguardo al rapporto tra non contestazione e vincolo decisorio deve

aderirsi all’impostazione della maggioritaria dottrina per cui la non

contestazione non vincola il giudice, risolvendosi in una relevatio ab onere

probandi, ben potendo comunque il giudice decidere in iure la lite,

prescindendo dal fatto non contestato, ma pure decidere sulla base

dell’ulteriore materiale probatorio acquisito agli atti, e questo anche senza il

ricorso da parte del giudice a poteri istruttori officiosi, dovendo sempre

compiersi una verifica del fatto non contestato alla luce delle ulteriori

risultanze di causa12

.

1263. 10

Osserva M.Fabiani, Il nuovo volto cit., con riguardo alla scelta legislativa di operatività della

non contestazione solo per la parte processuale costituita che “condividere la tesi della neutralità

della contumacia volontaria è un modo per semplificare un argomento che, invece, dovrebbe

essere trattato con minore approssimazione; infatti, assumere che la non contestazione possa

provenire solo dalla parte costituita non rende neutrale la posizione del convenuto, il quale si

avvantaggia del fatto che l’attore sarà costretto a provare tutti i fatti costitutivi del diritto fatto

valere; la sua, dunque, è una posizione di vantaggio. D’altra parte la contumacia non è affatto

neutrale rispetto alla produzione dei documenti e all’effetto di riconoscimento imposto dall’art.

215 c.p.c. Forse sarebbe risultato eretico rispetto alla tradizione, ma non eterodosso rispetto alla

funzionalità del processo far derivare effetti di prova equivalenti alla non contestazione in caso di

contumacia volontaria rispetto ad un atto introduttivo del processo (o successivo atto regolarmente

portato a conoscenza della parte non costituita) nel quale vi fosse una analitica rappresentazione di

fatti con un concorrente avviso sulle conseguenze della non costituzione al modo di quanto

previsto ex art. 163 n.7 c.p.c.”. 11

Morlini, Questioni sostanziali sulla prova, relazione per l’Ufficio incontri di studio del CSM. 12

M.Fabiani, Il nuovo volto cit., 1062 ss.; Comoglio, op.cit., p.129; Taruffo, Verità negoziata? In

Riv.trim.dir.proc.civ., num.spec., p.69-98; Caratta, il principio della non contestazione cit., 203;

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Il principio dell’onere della prova presenta un ulteriore temperamento nel

secondo comma dell’art. 115 c.p.c. laddove si esclude la necessità di verifica

probatoria per i c.d. fatti notori e si stabilisce che il giudice “può tuttavia,

senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto

che rientrano nella comune esperienza”.

Si indicano con l’espressione fatti di comune esperienza le nozioni di

esperienza comune di un individuo medio in un dato tempo e in un dato

luogo13

, quei fatti generalmente conosciuti, almeno in una determinata zona o

in un particolare settore di attività o di affari da una collettività di persone di

media cultura, e la giurisprudenza interpreta il concetto in senso rigoroso,

come fatto acquisito dalla collettività con tale grado di certezza da apparire

indubitabile e incontestabile.

Certamente nella fattispecie che il giudice è chiamato ad esaminare il

notorio potrà essere valutato anche con riferimento ad una specifica e

qualificata cerchia sociale, intesa come insieme di persone aventi in comune

una determinata cultura settoriale o interessi, così che potrebbero rientrare

nell’alveo del notorio anche nozioni sicuramente esorbitanti da quella cultura

media che rappresenta il naturale parametro della definizione14

.

L'utilizzazione della nozione di comune esperienza introduce nel processo Rota, op.cit., 192-193. 13

Cass. sez. II, 31/5/2010, n. 13234 non valuta che possano rientrare tra le nozioni di comune

esperienza le acquisizioni specifiche di natura tecnica e quegli elementi valutativi che richiedono il

preventivo accertamento di particolari dati estimativi, nella specie i "prezzi di mercato" di lavori in

appalto; Cass. sez. lav., 12/3/2009, n. 6023 afferma che non può farsi ricorso alla nozione di

notorio per affermare lo svolgimento di prestazioni di lavoro straordinarie dei commessi dei

supermercati dopo l’orario di chiusura del punto vendita, restando onere del lavoratore

dimostrarne l'effettivo svolgimento; Cass. sez. II, 18/12/2008, n. 29728 ha ritenuto in tema di

circolazione stradale che non costituiscano fatto notorio le caratteristiche e il posizionamento dei

cartelli stradali.

Solo a titolo esemplificativo si sono viceversa ritenuti appartenenti ai c.d. fatti notori: la

circostanza che gli indumenti di lavoro forniti ai dipendenti addetti alle operazioni di raccolta dei

rifiuti abbisognino di lavaggi periodici (Cass. sez. lav., 20/5/2009, n. 11729); i particolari

geografici o topografici di una città (Cass. Sez.III, 21/12/2001, n.16165); l’incremento del valore

degli immobili negli ultimi anni in tutto il territorio nazionale (Cass. sez. I, 13/5/2009, n. 11141);

il fatto che per l'attività di chirurgo fosse essenziale un' adeguata manualità, e che la relativa

professionalità decadesse in mancanza di esercizio (Cass. sez. lav., 9/9/2008, n. 22880); la durata

della stagione turistica in una determinata località (Cass. sez. III, 19/8/2003, n. 12112). 14

Cass. sez. lav., 24/4/2002, n. 5978 ha ritenuto che la lettura degli elettrocardiogrammi rientra

usualmente, per nozione diffusa tra gli utenti dei servizi sanitari, nella attività del medico, anche se

non specialista in cardiologia; Cass. sez. II, 19/4/2001, n. 5809 ha affermato che è notorio che

l'imprenditore (gioielliere) generalmente opta per la formula di assicurazione a primo rischio

assoluto, pur pagando un premio più elevato rispetto a quello dei contratti ex art. 1907 c.c.,

nell'intento di evitare contestazioni con l'impresa assicuratrice in caso di furto parziale della merce

esistente.

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civile elementi probatori non forniti dalle parti e relativi a fatti dalle stesse

non vagliati né controllati, in deroga al contraddittorio, elementi che per

questo devono essere valutati alla stregua del "id est", con tale grado di

certezza da non ammettere la prova contraria15

.

In dottrina si distingue tra fatti notori, quali fatti specifici, concretamente

avveratisi, conosciuti dalla generalità dei consociati e che concorrono alla

ricostruzione dei fatti di causa, e le massime dell’esperienza che

costituiscono proposizioni di contenuto generale tratte dalla reiterata

osservazione di fenomeni naturali o socio-economici che possono essere

utilizzate dal giudice quali regole di giudizio16

.

Non si possono, quindi, ritenere rientranti nella nozione di fatti di comune

esperienza, quegli elementi valutativi che implicano nozioni particolari o

anche solo la pratica di determinate situazioni, né quelle nozioni che

appartengono nella scienza privata del giudice17

, poiché questa, in quanto

non universale, non rientra nella categoria del notorio (art. 97 disp.att. c.p.c.).

Neppure possono rientrare nel notorio quelle acquisizioni tecniche e quegli

elementi valutativi che richiedono il preventivo accertamento di particolari

dati, come ad esempio l’applicazione delle cosiddette tabelle utilizzate da

molti uffici giudiziari per la liquidazione del danno biologico, per cui il

Giudice che intenda avvalersene, per non incorrere nell’errore di omessa

motivazione, deve dare conto dei criteri indicati ed utilizzati per il caso

concreto18

.

15

De Stefano, Fatto Notorio, in Enc. Diritto, XVI, Milano, 1967, 1005; Satta, Commentario al

codice di procedura civile, I, Milano, 1959. Contra in giurisprudenza Cass. sez. II, 26/10/1996, n.

9357 ove si afferma che “incorre nella violazione del principio di disponibilità delle prove il

giudice di merito il quale fondi la propria decisione sul criterio del "notorio" acquisito alla comune

esperienza, pretermettendo la valutazione delle specifiche prove offerte dalla parte”. 16

Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, V ed., Napoli, 2006, 417 e ss.; analogamente

Cass. sez. lav., 24/6/1983, n. 4326. 17

L’art. 97 disp. att. c.p.c. espressamente stabilisce che “il giudice non può ricevere private

informazioni sulle cause pendenti davanti a sé, né può ricevere memorie se non per mezzo della

cancelleria”. Cassazione civile, sez. III, 27/01/2010, n. 1696 afferma che non costituisce fatto

notorio la valutazione dello stato dei luoghi che può avere il giudicante (“Chi conosce i luoghi di

causa sa infatti benissimo che, rimanendo fermi al semaforo di viale …, non si possono

assolutamente vedere i veicoli che sopraggiungono da..."). 18

“Il giudice, nel procedere alla liquidazione del danno biologico, deve fare ricorso al criterio

equitativo (art. 2056 e 1223 c.c.), considerando le circostanze del caso concreto - specificamente,

la gravità delle lesioni, gli eventuali postumi permanenti, l'età, le condizioni sociali e familiari del

danneggiato - valutato in relazione ai due momenti della inabilità temporanea e della Invalidità

permanente del danneggiato; nell'operare questa valutazione, il giudice può anche ispirarsi a criteri

predeterminati e standardizzati, quali le tabelle elaborate da alcuni uffici giudiziari, che assumono

quale parametro il valore medio del punto di invalidità, calcolato sulla media dei precedenti

giudiziari, ma, poiché dette tabelle non rientrano nelle nozioni di fatto di comune esperienza di cui

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Analogamente deve ritenersi escluso dall’ambito di applicazione dell’art.

115 II co c.p.c. il c.d. notorio giudiziale, l’insieme di circostanze direttamente

percepite dal magistrato nella pregressa trattazione di analoghe

controversie19

, trattandosi sempre di scienza privata del giudice per cui

ricorre il divieto di utilizzazione a mente dell’art. 97 disp.att. c.p.c., se non

nei casi previsti dalla legge, quali gli articoli 273 e 274 c.p.c. in tema di

riunione di procedimenti.

Poiché è rimessa alla discrezionalità del giudice fondare la decisione o

comunque avvalersi nella formazione del proprio convincimento delle

nozioni di comune esperienza, la giurisprudenza dominante afferma che la

scelta non può essere censurata in sede di legittimità anche se la motivazione

del giudicante sul punto è carente o assente, essendo sindacabile

esclusivamente l’errato riscontro concreto degli estremi del notorio,

trattandosi nella specie di errore di diritto nell’applicazione dell’art. 115 II

co. c.p.c..20

3. I poteri officiosi del giudice.

All’interno del quadro delimitato dalle garanzie costituzionali previste dagli

art. 24 e 111 cost., la disponibilità dei mezzi di prova varia nel nostro

ordinamento in ragione degli interessi sostanziali che il processo mira a

regolare. Come si è detto, la scelta di fondo del legislatore, sancita dall’art.

115 c.p.c., è per il principio dispositivo, limitatamente derogato da poteri

officiosi attribuiti al giudice e che comunque possono solo integrare l’attività

delle parti, collocandosi questi poteri inquisitori all’interno di un sistema in

cui le domanda e le allegazioni dei fatti (quanto meno quelli principali) spetta

ai contendenti.

Laddove tuttavia si controverte di rapporti di matrice pubblicistica, di all'art. 115 c.p.c., né sono recepite in norme giuridiche, qualora faccia ricorso ad esse, deve

congruamente motivare sulle modalità della loro applicazione al caso concreto” (Cass. sez. lav.,

1/10/2003, n. 14645, in senso sostanzialmente conforme Cass. sez. III, 29/02/2008, n. 5505; Cass.

sez. III, 1/6/2006, n. 13130). 19

Cass. sez. II, 29/4/2010, n. 10285 afferma che rientrano nella scienza privata del giudice quelle

nozioni particolari o pratiche di determinate situazioni che derivino al giudice medesimo dalla

pregressa trattazione di analoghe controversie. Analogamente Cass. sez. II, 18/12/2008, n. 29728;

Cass. sez. lav., 7/3/2005, n. 4862; Cass. sez. I, 27/2/2004, n. 3980. 20

Tra le tante Cass. sez. lav., 20/5/2009, n. 11729; Cass. sez. lav., 12/3/2009, n. 6023; Cass. sez.

lav., 9/9/2008, n. 22880; Cass. sez. III, 19/8/2003, n. 12112; Cass. sez. II, 10/8/1998, n. 7822.

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interesse superindividuale o di natura indisponibile, anche la disponibilità

delle parti dei mezzi di prova si attenua per lasciare spazio ad un più incisivo

intervento officioso del giudice, teso alla ricerca della verità materiale, si

pensi al rito del lavoro (art. 421 II co .c.p.c.) o ai procedimenti speciali, sia

disciplinati dal c.p.c. (art. 738 c.p.c., art. 669 sexies II co. c.p.c.) che dal c.c.

(es. art. 155 VII co. c.c. in tema di provvedimenti da adottare nei

procedimenti di separazione personale dei coniugi in ordine alla prole) o da

leggi speciali (art. 6, 9° comma, l. 1.12.1970 n. 898 in tema di scioglimento

del matrimonio e art. 23 L.n.689/81 in tema di opposizione ad ordinanza-

ingiunzione).

In particolare nel processo del lavoro, in ragione della natura dei diritti di

cui si discute e del potenziale squilibrio tra i contendenti, il principio

dispositivo si adombra innanzi al dovere di ricerca della verità materiale per

cui il giudice se ritiene insufficienti le prove fornite dalle parti avrà sempre il

potere/dovere, nei limiti delle allegazioni delle parti, di procedere ad una

istruttoria officiosa21

. Si noti che sono talmente rilevanti nel processo del 21

Osserva la giurisprudenza che nel rito del lavoro, dove, per la particolare natura dei rapporti

controversi, il principio dispositivo va contemperato con quello della ricerca della verità materiale

mediante una rilevante ed efficace azione del giudice nel processo, quando le risultanze di causa

offrono significativi dati di indagine, non può farsi meccanica applicazione della regola formale di

giudizio fondata sull'onere della prova, occorrendo, invece, che il giudice, ove reputi insufficienti

le prove già acquisite, eserciti il potere-dovere di provvedere d'ufficio agli atti istruttori sollecitati

da tale materiale e idonei a superare l'incertezza sui fatti costitutivi dei diritti in contestazione,

senza che a ciò sia di ostacolo il verificarsi di preclusioni o decadenza in danno delle parti (Cass.

sez. lav., 24/10/2007, n. 22305; Cass. sez. un., 17/6/2004, n. 11353; Cass. sez. lav., 12/3/2004, n.

5152; Cass. sez. lav., 15/12/2000, n. 15820).

Ma anche ne rito del lavoro la Corte ha cercato di scandagliare i limiti entro cui deve esercitarsi il

potere officioso conferito al giudice dalla norma di cui all'art. 421 c.p.c. in tema di ricerca di prove

suppletive od integrative a supporto della domanda, ritenendo indispensabile la presenza, in seno

al processo, tanto di taluni elementi positivi, quanto l'assenza di altri, ed opposti, elementi ostativi,

onde non travalicare l'ambito della disposizione "de qua" (trasmodando nell'arbitrio scaturente

dalla sovrapposizione della volontà del giudicante a quella delle parti in conflitto di interessi), e

non oltrepassare, così, il limite obbligato della terzietà che, comunque, deve sorreggere l'attività

del giudicante (e sulla quale i detti, ampliati poteri, pur applicati in senso lato, non possono

prevalere). Elementi positivi devono, pertanto, essere considerati la circostanza che,

dall'esposizione dei fatti compiuta dalle parti - o dall'assunzione degli altri mezzi di prova offerti

dalle stesse - siano dedotti, pur se implicitamente, quei fatti e quei mezzi di prova idonei a

sorreggere (sia pur non compiutamente) le rispettive ragioni con profili di decisività della

controversia; il fatto che l'esplicazione dei poteri istruttori del giudice venga specificamente

sollecitata dalla parte con riferimento alla qualificata integrazione sopra descritta; la impossibilità,

soggettiva od oggettiva, di reperire o dedurre la prova carente, ovvero di integrare, ad opera della

parte, quella lacunosa o polivalente, pur nella sua acclarata idoneità a sorreggere le ragioni

dedotte; gli elementi negativi afferiscono, invece, ai limiti che l'attribuzione al giudice di poteri

istruttori d'ufficio incontra, e concernono il rispetto del principio della domanda; l'onere di

deduzione in giudizio dei fatti costitutivi, impeditivi od estintivi del diritto controverso; il rispetto

del divieto di utilizzazione della conoscenza privata da parte del giudice; l'eventuale inerzia

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lavoro i profili inquisitori nell’acquisizione della prova che la maggior parte

della giurisprudenza citata nel presente paragrafo relativa all’iniziativa

officiosa è proprio tratta da controversie giuslavoristiche.

E’ indubbio che l’intervento officioso del giudice con riguardo

all’istruzione probatoria può condizionare la decisione e quindi l’esito della

lite e per questo è indispensabile che detto potere sia esercitato nel rispetto

del giusto processo e nella salvaguardia del principio di imparzialità del

giudice, non dovendo finalizzarsi al soccorso di una piuttosto che l’altra parte

ma alla ricerca della verità dei fatti allegati.

Si consideri che nel nostro ordinamento è vietato il non liquet e il giudice è

chiamato a decidere sulla base della regola di giudizio fondata sull’onere

della prova (art. 2697 c.c.). Se l’attore o il convenuto non forniscono riscontri

probatori ai propri assunti il giudice è sempre in grado di decidere la lite,

unicamente verificando in capo a quale dei soggetti coinvolti deve essere

attribuito l’onere probatorio (actore non probante reus absolvitur). Il

giudizio in questo caso si chiude senza l’accertamento del fatto dedotto, in

quanto non provato, con la conseguenza del rigetto della domanda o

dell’eccezione su di esso fondata22

.

Si osserva tuttavia in dottrina che se il materiale probatorio fornito dalle

parti lasci adito ad incolpevoli incertezze il giudice non può astenersi da un

calibrato esercizio dei poteri inquisitori che la legge gli riconosce, trattandosi

di passaggio necessario prima di addivenire alla regola di chiusura prevista

dall’art. 2697 c.c.23

probatoria, ovvero l'eventuale rinuncia, esplicita o "per facta concludentia", della parte, cui il

giudice non può ovviare con il suo potere officioso (in questo senso Cassazione civile, sez. lav.,

06/03/2001, n. 3228; nello stesso senso Cass., sez. lav., 16/5/2002, n. 7119. 22

Ha osservato Consolo, Il processo di primo grado cit., p.189 che “affermare che un soggetto è

gravato dall’onere della prova di un determinato fatto significa che egli porta il rischio della

mancata (acquisita) prova di quel fatto (della mancato persuasione del giudice in ordine alla sua

positiva esistenza); non significa invece, si badi, affermare che la parte onerata non potrà vincere

se non adempie quell’onere perché il fatto può essere pacifico, notorio, ammesso, confessato,

dimostrato in virtù dei poteri inquisitori del giudice (nella misura in cui essi siano previsti – e lo

sono più ampiamente nel rito del lavoro; art. 412 - ed egli li eserciti)”. 23

Fabbrini, Potere del giudice, in Enciclopedia del diritto, XXXIV, Milano,1985, 721; Comoglio,

op.cit., 310 e ss.; osserva M.Fabiani, Garanzia di terzietà e imparzialità del giudice ed efficienza

del processo, in www.judicium.it., 41-42 che “la circostanza che al giudice siano affidati poteri di

ricerca della prova su fatti allegati non attenta al principio dispositivo, ma come si dice, costituisce

principalmente un fatto di tecnica processuale, ma non solo. Le parti quando si controverte su

diritti disponibili possono scegliere come regolare la crisi del loro rapporto, ma se optano per la

devoluzione della lite innanzi al giudice accettano di assoggettarsi ad un sistema di regole in parte

elastico là dove si prevede la partecipazione del giudice, non come mero convitato di pietra

incaricato solo di “jus dicere”, ma quale co-protagonista. Non si perdono le tracce del processo

dispositivo sol perché il giudice è coinvolto nell’istruttoria quando il muro invalicabile è costituito

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In tale contesto, il giudice che esercita poteri istruttori officiosi deve porsi,

in qualsivoglia modello processuale, il più possibile equidistante dalle parti,

proprio perché il suo intervento altera la meccanica applicazione della regola

dell’onere probatorio24

.

Affinché ciò avvenga ed il potere istruttorio officioso del giudice si

presenti come equilibrato e rispettoso della garanzia costituzionale del giusto

processo, si ritiene generalmente che l’iniziativa debba essere esercitata sulla

base di precise regole25

:

dovere di rispettare l’allegazione dei fatti effettuata dalle parti26

;

possibilità di unicamente integrare le fonti di prova acquisite, per

oggettive difficoltà delle parti nel fornire prove ulteriori, senza che sia

possibile colmare vuoti istruttori imputabili a colpa o inerzia delle parti27

, su

cui incombe l’onere probatorio previsto dall’art. 2697 c.c.;

indispensabilità e potenziale essenzialità del mezzo officioso per la

risoluzione della controversia;

rispetto del principio del contraddittorio (previsto ora dall’art. 183 8°

comma c.p.c.).

Passando in rassegna i principali poteri officiosi che si possono riscontrare

nel processo di cognizione ordinario, si trova28

:

1. potere di disporre l’interrogatorio libero delle parti, che oltre a

consentire una chiarificazione delle rispettive posizioni, pur non essendo un

dal monopolio che le parti hanno in ordine alla richiesta di tutela e in ordine alla individuazione

dei fatti che giustificano quella determinata richiesta”. 24

Sempre M.Fabiani, Garanzia di terzietà e imparzialità del giudice cit, 39-40 rileva che “Non è

peraltro necessario prendere una posizione decisa (fare cioè una netta scelta di campo) a favore di

un giudice attivo o a favore di un giudice al traino della volontà delle parti, per poter cercare una

soluzione che porti a rendere imparziale la discrezionalità del giudice. Come il giudice “passivo”

può essere parziale (in quanto condizionato dalla sua ideologia o dai suoi preconcetti), allo stesso

modo il giudice “attivo” può essere imparziale (in quanto indifferente alle parti ed interessato solo

a rendere una decisione giusta). Ciò non toglie che quando l’esercizio di poteri discrezionali del

giudice può direttamente influire preventivamente sull’esito della lite, una qualche attenzione

verso il rispetto della garanzia di imparzialità sia onesto porsela.” 25

Comoglio, op.cit., p.139; M.Fabiani, Garanzia di terzietà e imparzialità cit., 43. 26

Cass. sez. lav., 28/5/2003, n. 8468; Cass.S.U. 17/6/2004 n.11353. 27

Cass.sez. lav., 10/1/2006, n. 154; Cass. sez. I, 12/12/2005, n. 27391; Cass. sez. lav., 1/9/2004, n.

17572. 28

In merito v. Giordano, Giuramento suppletorio, in Giur. merito, suppl. n. 2, 2009, 20 ss.;

Porreca, Poteri del giudice e prova testimoniale: testimonianza de relato, riduzione della lista dei

testimoni e confronto, in Giur. merito, suppl. n. 2, 2009, 34 ss.; Villani, La richiesta di

informazioni alla pubblica amministrazione, in Giur. merito, suppl. n. 2, 2009, 57 ss.; Villani,

L’ispezione giudiziale, in Giur. merito, suppl. n. 2, 2009, 65 ss.

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mezzo di prova, potrà fornire al giudice argomenti di prova sia con riguardo

all’ammissione o non contestazione di fatti rilevanti per la decisione sia

valutando il contegno processuale delle parti (art. 117 c.p.c.)29

;

2. ordine di ispezione di persone e di cose (artt.118 e 258 c.p.c.) 30

;

3. potere di disporre la consulenza tecnica (art. 61 e 191 c.p.c.)31

,

quand’anche si tratti non di un mezzo di prova ma di un mezzo di

valutazione della prova;

4. comunicazione ed esibizione di scritture contabili (art. 2711 II co. c.c.

in relazione all’art. 212 c.p.c.)32

;

5. richiesta di informazioni alla p.a. (art. 213 c.p.c.)33

;

29

Le molteplici funzioni dell’interrogatorio libero sono ben esemplificate in motivazione di Cass.

sez. lav. 15/12/2000 n. 15820 “mettere a fuoco, attraverso il rapporto diretto con le parti, il tema

oggetto della controversia, sfrondare il fatto e le esigenze istruttorie dalle circostanze ridondanti o

non più necessarie di prova a seguito delle ammissioni o non contestazioni del convenuto;

richiedere alle parti i chiarimenti necessari (art. 183 comma 3 c.p.c.) e quindi anche la

precisazione di circostanze dedotte in maniera non chiara, e tutto ciò nella maniera più efficace e

produttiva, perché svolto dal giudice nel contraddittorio con le parti e i loro difensori (Cass.

27/2/1990 n. 1519)”. In ordine all’efficacia probatoria delle risposte ha affermato recentemente

Cass. sez. lav., 2/7/2009, n. 15502 che “Il giudice può condurre l'interrogatorio libero delle parti

nel modo che ritiene più opportuno e senza necessità di motivare espressamente sulle modalità

adottate, mentre può accertare i fatti basandosi esclusivamente sulla prospettazione fattane da una

parte nel corso dell'interrogatorio medesimo”. 30

L’art. 118 c.p.c., così come il successivo art. 257 c.p.c., riferendosi alla “indispensabilità”

dell’ispezione e all’esito della prova testimoniale già espletata, offrono una chiara indicazione

circa l’utilizzabilità di questi strumenti solo per integrare le prove già offerte. 31

V. Cass. sez. III, 8/1/2004, n. 88, secondo cui “In tema di procedimento civile, la consulenza

tecnica d'ufficio - che può costituire fonte oggettiva di prova tutte le volte che opera come

strumento di accertamento di situazioni di fatto rilevabili esclusivamente attraverso il ricorso a

determinate cognizioni tecniche - è un mezzo istruttorio sottratto alla disponibilità delle parti e

rimesso al potere discrezionale del giudice, il cui esercizio incontra il duplice limite del divieto di

servirsene per sollevare le parti dall'onere probatorio e dell'obbligo di motivare il rigetto della

relativa richiesta. Ne consegue che il giudice che non disponga la consulenza richiesta dalla parte

è tenuto a fornire adeguata dimostrazione - suscettibile di sindacato in sede di legittimità - di

potere risolvere, sulla base di corretti criteri, tutti i problemi tecnici connessi alla valutazione

degli elementi rilevanti ai fini della decisione, senza potere, per converso, disattendere l'istanza

stessa ritenendo non provati i fatti che questa avrebbe verosimilmente accertato”. 32

Per regola generale “L'ordine di esibizione può essere impartito ad una delle parti del processo

con esclusivo riguardo ad atti "la cui acquisizione al processo sia necessaria" ovvero "concernenti

la controversia", e, quindi, ai soli atti o documenti specificamente individuati o individuabili, dei

quali sia noto, o almeno assertivamente indicato, un preciso contenuto, influente per la decisione

della causa”, Cass. sez. I, 8/9/2003, n. 13072; nello stesso senso Cass. sez. I, 11/7/2003, n. 10916;

Cass. sez. I, 13/6/1991, n. 6707. 33

“L'esercizio del potere, previsto dall'art. 213 c.p.c., di richiedere d'ufficio alla p.a. le

informazioni relative ad atti e documenti della stessa che sia necessario acquisire al processo

(nella specie, documentazione comprovante la sussistenza di rapporti di convenzionamento tra un

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6. redazione di scritture di comparazione sotto dettatura (art. 219 I co

c.p.c.)34

;

7. deferimento del giuramento suppletorio e di estimazione (art. 240 e

241 c.p.c. in relazione all’art. 2736 c.p.c.);

8. riduzione delle liste dei testi sovrabbondanti (art. 245 c.p.c.)35

;

9. potere di rivolgere al teste domande utili a chiarire i fatti (art. 253

c.p.c.)36

;

10. potere di disporre il confronto tra i testimoni (art. 254 c.p.c.);

11. potere di audizione di testi a riferimento (art. 257 I co. c.p.c.)37

;

medico e la Asl), rientra, al pari del ricorso ai poteri istruttori previsti dall'art. 421 c.p.c., nella

discrezionalità del giudice e non può comunque risolversi nell'esenzione della parte dall'onere

probatorio a suo carico, con la conseguenza che tale potere può essere attivato soltanto quando, in

relazione a fatti specifici già allegati, sia necessario acquisire informazioni relative ad atti o

documenti della p.a. che la parte sia impossibilitata a fornire e dei quali solo l'Amministrazione sia

in possesso proprio in relazione all'attività da essa svolta (Cass. sez. lav., 13/3/2009, n. 6218; nello

stesso senso ex pluribus Cass. sez. trib., 27/6/2003, n. 10219; Cass. civ., Sez.II, 12/4/1999,

n.3573). Il ricorso al mezzo istruttorio in questione è stato riconosciuto, in concreto, con riguardo

a norme regolamentari edilizie o PRG (Cass. civ., Sez.II, 5/5/2003, n.6837) sia con riferimento ai

verbali redatti dall’Autorità intervenuta in sede di sinistro stradale (Cass. civ., Sez.III, 13/5/2003,

n.7291), pur se possono ipotizzarsi molte ulteriori applicazioni. Si osservi anche che ai sensi

dell’art. 96 disp.att. c.p.c. il documento di risposta proveniente dalla pubblica amministrazione è

inserito nel fascicolo e acquisito al processo e quindi non è nella disponibilità delle parti, come

viceversa sono i documenti dalla stessa prodotti che sono contenuti nel fascicolo di parte e

possono essere ritirati dalla parte prima della decisione della causa e non più restituiti. 34

Tale potere viene di regola esercitato dal giudice in presenza del consulente tecnico, perito

grafologico, quando le scritture di comparazione appaiono insufficienti o non adeguate. 35

La riduzione delle liste testimoniali sovrabbondanti costituisce un potere tipicamente

discrezionale del giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità, ed esercitabile anche nel

corso dell'espletamento della prova, potendo il giudice non esaurire l'esame di tutti i testi ammessi

qualora, per i risultati raggiunti, ritenga superflua l'ulteriore assunzione della prova. Tale ultima

valutazione non deve essere necessariamente espressa, potendo desumersi per implicito dal

complesso della motivazione della sentenza (Cass. sez. III, 22/4/2009, n. 9551, in senso conforme

Cass. sez. lav., 16/8/2004, n. 15955; Cass. sez. lav., 16/5/2000, n. 6361). 36

In Cass. sez. lav. 15/12/2000 n. 15820 si osserva in motivazione che durante l'espletamento del

mezzo istruttorio il giudice ha il potere “di apportare rettifiche e financo integrazioni alla formula

del capitolo di prova testimoniale sia per escludere le parti per le quali la prova non potrebbe

essere ammessa, sia per meglio adattarla alle esigenze istruttorie della causa…” e questo “si può

considerare espressione del generale principio di lealtà, che informa il nostro ordinamento

processuale (art. 175 c.p.c.)…”. Certo è che detto strumento va esercitato con misura, atteso che se

da un lato potrà consentire di superare la genericità di alcune domande (purché di base ammissibili

e rilevanti) dall’altro non è possibile utilizzarlo per aggirare preclusioni in cui la parte sia incorsa. 37

In assenza di indicazioni normative può ritenersi che il teste di riferimento ammesso su istanza

di parte o d’ufficio possa essere sentito non soltanto sui capitoli già dedotti dalle parti ma, altresì,

su capitoli allo stesso formulati dal giudice in relazione alle circostanze apprese de relato da altro

teste già escusso.

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12. l'audizione dei testimoni ritenuti superflui e rinnovazione

dell’audizione dei testi già escussi (art. 257 II co. c.p.c.);

13. effettuazione di esperimenti o riproduzioni meccaniche (artt.261 e 262

c.p.c.);

14. il giuramento nelle cause di rendimento dei conti (art. 265 c.p.c.);

15. potere, riservato al tribunale in composizione monocratica, di disporre

la prova testimoniale, con formulazione dei capitoli, quando le parti

nell’esposizione dei fatti si sono riferite a persone che appaiono in grado di

conoscere la verità (art. 281 ter c.p.c.) Si noti che la norma è stata introdotta

dall’art. 68 D.Lgs.n.51/1998 e regola una fattispecie diversa dall’audizione

dei testi di riferimento a cui si siano richiamati i testi escussi, riguardando

testi di riferimento non già indicati da altri testi ma menzionati dalle parti

nelle loro allegazioni.

Affinché possa ritenersi che il giudice abbia fatto corretto esercizio dei

poteri istruttori officiosi che la legge gli attribuisce ogni qualvolta il giudice

valuta opportuno ricorrere a questi strumenti dovrà38

:

I) motivare in ordine alle ragioni della scelta di ricorrere al mezzo di prova

officioso;

II) individuare il mezzo di prova più coerente con la fattispecie concreta;

III) consentire alle parti di addurre prove nuove.

E’ evidente che se all’esito della prova introdotta ex officio il fatto non

risulta comunque provato, soccorre sempre la regola di giudizio fondata

sull’onere della prova.

Si discute in dottrina e in giurisprudenza circa un possibile sindacato

impugnatorio sull’esercizio di poteri officiosi da parte del giudice e la

soluzione dipende proprio dalla ricostruzione dell’istituto. Da un lato vi è chi

ritiene che l’esercizio di tale potere sia integralmente discrezionale e quindi

non censurabile39

, e dall’altro vi è chi configura i poteri officiosi come

poteri/doveri, da esercitarsi in nome dell’imparzialità, con il fine di

perseguire l’accertamento della verità materiale dei fatti e di evitare quanto

possibile il ricorso alla regola di giudizio di cui all’art. 2697 c.c., per cui

ritiene possibile un sindacato sia sotto il profilo del controllo sulla

38

M. Fabiani, in Garanzia di terzietà e imparzialità del giudice cit., 48. 39

La giurisprudenza è sostanzialmente unanime e ritiene incensurabile in sede di gravame

l'esercizio da parte del giudice del potere di disporre d'ufficio di mezzi di prova, involgendo questa

scelta un giudizio di mera opportunità, rimesso al suo apprezzamento esclusivamente

discrezionale e pertanto sottratto al sindacato di legittimità, anche sotto il profilo del difetto di

motivazione. Tra le tante: Cassazione civile, sez. III 11/03/2002 n. 3505; Cass. sez. lav.,

27/9/1999, n. 10658; Cass. sez. lav., 25/7/1994, n. 6903; Cass. sez. lav., 15/4/1994, n. 3549.

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motivazione sia sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di

legge40

.

Se viceversa i poteri officiosi non sono esercitati, la scelta del giudice

rimane sottratta ad ogni successivo controllo giudiziario, a meno che sia stata

una delle parti a sollecitare il giudice all’esercizio di poteri officiosi, poiché

in tal caso viceversa il giudice è tenuto a giustificare in modo adeguato e

corretto la sua decisione41

.

4. In particolare la prova testimoniale d’ufficio e il giuramento

suppletorio.

L’art. 281 ter c.p.c., introdotto dall’art. 68 D.Lgs. n.51/98, prevede che il

giudice (solo il tribunale in composizione monocratica) possa disporre

d’ufficio la prova testimoniale (si noti solo la prova testimoniale e non “ogni

mezzo di prova” come nel rito del lavoro), formulando i relativi capitoli,

ogniqualvolta le parti nell’esposizione dei fatti si sono riferite a persone che

appaiono in grado di conoscere la verità. La disposizione era originariamente

prevista dall’art. 317 c.p.c. per il rito pretorile ed era stata trasferita nell’art.

312 c.p.c., modificato dalla L.n.374/99, ed estesa anche al giudice di pace.

Come già osservato in generale per l’esercizio dei poteri istruttori ex

officio, affinché la facoltà attribuita al giudice sia interpretata nel rispetto del

precetto della terzietà e finalizzata ad un accertamento imparziale della verità

dei fatti controversi, riducendo il rischio di dover ricorrere alla regola di

giudizio prevista dall’art. 1697 c.c.42

, devono ritenersi sussistenti alcune

delimitazioni:

- la prova testimoniale d'ufficio può riguardare soltanto fatti già

tempestivamente allegati dalle parti e non fatti derivanti dalla scienza privata

40

Comoglio, op.cit., 145 e ss.; M. Fabiani, Garanzia di terzietà e imparzialità del giudice cit, 43;

in questo senso Cass.S.U. 17/6/2004 n.11353 “I poteri istruttori d'ufficio del giudice del lavoro, il

cui esercizio non è subordinato ad una esplicita richiesta delle parti né al verificarsi di decadenze o

preclusioni, non possono mai essere esercitati in modo arbitrario ed il loro esercizio, o mancato

esercizio, è suscettibile di sindacato in sede di legittimità tanto sotto il profilo del controllo sulla

motivazione quanto sotto quello della violazione o falsa applicazione di legge”; analogamente

Cass. sez. lav., 2/3/2006, n. 4611; Cass. sez. lav., 23/5/2003, n. 8220; Cass. sez. lav. 10/5/2001 n.

6531. 41

Cass. sez. III, 25/5/2010, n. 12717; Cass. sez. I, 21/4/1983, n. 2736; Cass. sez. lav., 2/4/1982, n.

2044. 42

V.Trib.Reggio Emilia, 13/1/2003 in F.it., 2003, I, 3463.

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del giudice (art. 97 disp. att. c.p.c.)43

,

- devono ritenersi operanti per la prova disposta d'ufficio gli stessi limiti

generali di ammissibilità della prova testimoniale previsti nel codice civile44

;

- l’indicazione dei testi deve essere operata dalle parti ma l’espressione va

intesa in senso ampio, non essendo necessario che il riferimento debba

emergere dagli atti scritti, potendo anche intervenire per mezzo di

dichiarazioni orali e in particolare dall’interrogatorio libero45

;

- deve essere rispettato il principio del contraddittorio, con termini

concessi obbligatoriamente alle parti ai sensi dell’art. 183, 8° comma, c.p.c.

per la deduzione dei mezzi di prova che ritengano necessari in relazione alla

testimonianza disposta d’ufficio nonché per repliche;

- l’iniziativa officiosa non deve consentire di superare lacune difensive

delle parti e neppure decadenze istruttorie già verificatesi e quindi deve porsi

come integrativa dell’eventuale prova già dedotta a riscontro dei fatti

allegati46

.

43

Il giudice non può ricercare autonomamente fonti materiali di prova e/o fatti non acquisiti

(legittimamente) al processo, e tanto meno può farli oggetto di prova che possa disporre d’ufficio

v. sul punto E.Fabiani, Sul potere del giudice monocratico di disporre d’ufficio la prova

testimoniale ai sensi dell’art. 281 ter c.p.c. , in F.it., 2000,I, 2093. 44

In questo senso Trib.Foggia 4/11/1999, in F.it., 2000,I, 2093 con nota adesiva di E.Fabiani, Sul

potere del giudice monocratico cit.. 45

E.Fabiani, in nota critica a Trib.Chiavari, 6/3/2001, in F.it, 2003, I, 922; Satta, Commentario al

codice di procedura civile, Milano, 1959, II, 1, 459; Civinini, Il nuovo procedimento davanti al

pretore, in Quaderni CSM, 1994, fasc.75, La riforma del processo civile, III, 85. 46

Cassazione civile, sez. lav., 10/1/2006, n. 154; Cassazione civile, sez. I, 4/4/1995, n. 3949;

Trib.Napoli, 30/9/2002, in F.it., 2003, I, 3464; Trib.Bologna, sez.Imola, 3/5/2002 in F.it., 2003, I,

3464; Reali, Sulla prova testimoniale disposta d’ufficio, in F.it., I, 935 ; M. Fabiani, in Garanzia

di terzietà e imparzialità del giudice cit, 43, prendendo occasione dalla disamina della prova

officiosa consentita dall’art. 281 ter c.p.c., osserva “Se fosse vero che l’ingresso della prova

officiosa presuppone sempre che la parte abbia fatto tutto il possibile per offrire la prova, mai

potremmo spiegare la prova testimoniale officiosa, visto che si tratta di un mezzo di prova identico

a quello che può essere introdotto ad iniziativa di parte. Il tema è alquanto delicato perché l’art.

281 ter, diversamente dalle iniziativa officiose sempre ricollegate alla prova testimoniale (art. 257

c.p.c.), sembra prescindere dallo svolgimento di una prova per testi sollecitata dalle parti. Così,

mentre è evidente la natura integrativa della prova ex art. 257, non altrettanto si dovrebbe dire per

quella ex art. 281 ter che sembra sganciata da una precedente attività istruttoria. In tale cornice a

me pare che la formula dell’art. 281 ter vada intesa in senso assai più restrittivo di quanto la lettera

della disposizione non lasci trasparire. Come vedremo fra poco, se si postula che il giudice

esercita, solo, un potere integrativo e non interamente sostitutivo, allora il presupposto di

applicazione dell’art. 281 ter sta nel fatto che il giudice dispone la prova testimoniale se la parte

non l’ha autonomamente dedotta in quanto convinta di avere già, per altre forme, fornito la prova

di quel fatto; una convinzione “oggettiva” nel senso che il giudice la riconosce ma la giudica

insufficiente. Ed allora dovremmo correggere la formula “dall’avere la parte fatto tutto quanto era

nelle sue possibilità per provare il fatto “, aggiungendo “nel momento in cui le prove erano

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Operativamente, il giudice, disponendo la prova testimoniale, deve fissare

l’audizione di persone a conoscenza della verità dei fatti allegati che siano

state espressamente indicate dalle parti47

, deve formulare i capitoli, con le

modalità di cui all’art. 244 c.p.c., mentre all’intimazione dei testi dovranno

provvedere le parti ex art. 104 disp.att.c.p.c., e non la cancelleria dell'ufficio

giudiziario.

Si è anche affermato48

che l’art. 281 ter c.p.c. si applica sia nel caso di

persone a cui le parti hanno fatto riferimento ma che non sono state indicate

dalle stesse come testi, sia nei casi in cui la persona che appare conoscere la

verità è stata indicata come testimone (da una o da entrambe le parti), ma non

su tutte le circostanze su cui è opportuno che venga ascoltata.

Se il potere officioso risulta essere utilizzato oltre i limiti (oggettivi,

soggettivi e temporali) previsti dal sistema, il vizio che ne deriva può formare

oggetto di controllo in sede di impugnazione e, se riconosciuto sussistente da

parte del giudice del gravame, comporterà per quest'ultimo il dovere di

decidere non tenendo conto della prova testimoniale acquisita d'ufficio in

modo irregolare49

.

Circa la possibilità di un controllo di legittimità in ordine all’esercizio di

questo potere, come si è già osservato trattando in generale del potere

officioso del giudice, le opinioni variano a seconda che si ritenga che i poteri

istruttori officiosi abbiano carattere essenzialmente discrezionale, con

esclusione quindi di qualsivoglia vaglio sul loro esercizio (o il mancato

utilizzo)50

, ovvero si configurano come poteri/doveri che impongano al

giudice un intervento tutte le volte in cui risulti effettivamente necessario, in

cui si riscontri una situazione probatoria incerta, al fine di evitare

l’applicazione automatica del criterio dell’onere della prova di cui all’art.

2697 c.c.51

.

Passando ad esaminare l’istituto del giuramento suppletorio, scarnamente

disciplinato dall’art. 2736 c.c. e art. 240 c.p.c., quale ulteriore importante deducibili prima di incorrere nelle decadenze”. 47

Va escluso che il giudice possa ricercare d'ufficio le persone in grado di conoscere la verità dei

fatti. In questo senso Trib. Chiavari 6.3.2001, in Foro it., 2002, 922. 48

Trib.Foggia 4.11.1999, in F.it., 2000,I, 2093. 49

Trib.Bologna, sez.Imola, 3/5/2002 in F.it., 2003, I, 3463. 50

Lazzaro-Guerrieri-D’Avino, Il giudice unico nelle mutate regole del processo civile e nella

nuova geografia giudiziario, Milano, 1998, 131; Bucci, Manuale pratico del giudice unico nel

processo civile, Padova, 1999, 77. 51

Il controllo potrebbe avvenire ai sensi dell’art. 360 n. 4 e 5 c.p.c., v. Fabbrini, Potere del giudice

cit., 737; E.Fabiani, Sul potere del giudice cit., 2099.

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mezzo di prova sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso al potere

officioso del giudice, e per questo ritenuto da taluno in dottrina addirittura

uno strumento di violazione del diritto di difesa e del principio di

eguaglianza52

, deve innanzi tutto ricordarsi che quanto agli effetti, essi sono

gli stessi tipici previsti per il giuramento decisorio, trattandosi sempre di una

prova legale con finalità decisoria.

In generale si tratta di strumento complementare e sussidiario all’istruttoria

fornita dalle parti che potrà essere utilizzato dal giudice in quelle ipotesti di

situazione di incertezza obiettiva riscontrata nell’accertamento dei fatti

rilevanti per la decisione della causa, quando all’esito dell’istruttoria le

risultanze sono carenti e non si può affermare né che la prova è mancata né

che la prova sia stata fornita in maniera completa.

E’ il giudice che sceglie se avvalersi di questo mezzo istruttorio ma anche

quale dei due contendenti far giurare, soggetto che si identifica, in concreto,

di regola in quella delle due parti che ha maggiormente assolto al proprio

onere probatorio, pur senza esservi riuscita integralmente53

.

Peraltro il contendente prescelto dal giudice a cui il giuramento è deferito

d’ufficio non potrà a sua volta riferirlo alla controparte (art. 242 c.p.c.).

Va anche notato che il campo di applicazione del giuramento suppletorio è

molto ampio, posto che le uniche liti in cui non può essere deferito

riguardano diritti indisponibili, fatti illeciti o attinenti a contratti per i quali è

richiesta la forma scritta ad substantiam e riguardanti fatti attestati con atto

pubblico (art. 2739 c.c.).

Per l’ammissibilità del giuramento suppletorio si ritiene generalmente che

sussistano i medesimi limiti già individuati per l’esercizio del potere

istruttorio ex officio, per cui il fatto da provare deve essere stato ritualmente

allegato dalle parti o comunque risultare acquisito al processo, il deferimento

del giuramento non potrà mai supplire l’inattività delle parti, non potrà

sanare carenze istruttorie imputabili alle parti, il mezzo officioso risulta

indispensabile e potenzialmente risolutivo54

.

Il problema è discerne le ipotesi in cui il giudice dovrà disporre d’ufficio

questo così invasivo mezzo di prova e quando rivolgersi alla regola

tranquillizzante di giudizio di cui all’art. 2697 c.c..

52

Balena, Giuramento, voce del Dig.civ., IX, Torino, 1993, 105. Il giudice delle leggi non ha

viceversa rilevato profili di incostituzionalità per violazione del giusto processo, v.Corte cost.,

4/5/1972, n. 83. 53

Cass. sez. I, 15/1/2003 n.525. 54

Comoglio, op.cit., 740; Fabbrini, Potere del giudice, cit., 730 ss., M. Fabiani, in Garanzia di

terzietà e imparzialità del giudice cit, 46.

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Mentre se le prove fornite dalle parti sono adeguate o assolutamente

inadeguate a provare gli assunti posti a fondamento di domande ed eccezioni

non sussistono dubbi in ordine all’esito della lite, il dilemma “si pone quando

questo convincimento è incerto (sembra un ossimoro, ma non lo è perché il

giudice è convinto della parzialità della prova), nel senso che il giudice si

forma l’idea che la parte abbia fornito un frammento di prova, ma questo

frammento non consente di ritenere provato il fatto”55

. In queste ipotesi il

giudice è chiamato a verificare l’opportunità di avvalersi del giuramento

suppletorio, atteso che la regola dell’onere della prova è meramente formale

e dovrebbe trovare applicazione solo dopo aver verificato la possibilità di

raggiungere la verità materiale attraverso gli strumenti che l’ordinamento

consente.

Ecco quindi che l’attenzione va incentrata sulla definizione di semiplena

probatio, posto che il giudice ha il potere/dovere di avvalersi del giuramento

suppletorio ogni volta che l’istruzione esperita consente di ritenere provati in

cospicua parte i fatti allegati ma ancora residuano spazi incerti e sulla base

delle prove raggiunte il giudice non riesce a formarsi un convincimento. E’

nella valutazione della misura della prova raggiunta che si gioca il margine di

discrezionalità del giudice in ordine alla scelta di avvalersi del mezzo

officioso 56

.

Quanto ai poteri del giudice di appello allorché la lite sia stata definita in

primo grado in base al predetto mezzo di prova, escluso che il giudice

d’appello possa revocare l'ordinanza ammissiva del giuramento, essi si

sostanziano nella rivalutazione del materiale probatorio raccolto prima della

delazione del giuramento sicché, qualora egli pervenga al convincimento che

gli elementi acquisiti risultavano di per sè idonei alla decisione della

vertenza, nel senso tanto dell'accoglimento, quanto del rigetto delle domande,

potrà allora legittimamente pronunciare sentenza che prescinda dall'esito del

giuramento 57

.

55

M. Fabiani, in Garanzia di terzietà e imparzialità del giudice cit, 46. 56

“La discrezionalità del giudice non dovrebbe quindi ravvisarsi nel poter scegliere se dare

ingresso al mezzo di prova officioso, ma nel valutare se la prova raccolta consente di ritenere

provato il fatto in misura almeno superiore al 50% .Tale valutazione, però, non può essere omessa

e ciò consente che la si sottoponga a controllo, sia nel corso del processo che nelle fasi di

impugnazione. Sul piano epistemologico è indubbio che la formula aritmetica si presta a

manipolazioni da parte di quel giudice che volesse essere parziale nel dare ingresso a prove

officiose. Ma se si condivide l’idea più generale che quello del giudice è un potere-dovere e che

come tale è insindacabile, ecco allora che la formula quantitativa torna ad essere utile in quanto

consente un più agevole sindacato di controllo da parte del giudice dell’impugnazione”, M.

Fabiani, in Garanzia di terzietà e imparzialità del giudice cit, 47. 57

Cass. sez. III, 11/2/2004, n. 2659.

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Con riguardo alla sindacabilità in Cassazione del provvedimento con cui il

giudice abbia disposto, negato o revocato il giuramento suppletorio, e quindi

le valutazioni in ordine alla sussistenza del requisito della cosiddetta

semiplena probatio ed alla scelta della parte alla quale deferirlo, anche in

questo caso la giurisprudenza è divisa tra un orientamento che afferma

l’assoluta non censurabilità del provvedimento involgendo apprezzamenti di

mero fatto58

, e un altro che viceversa ritiene possibile il sindacato in sede di

legittimità, sotto il profilo della adeguatezza della motivazione 59

.

5. La deduzione delle prove. Le preclusioni.

L’esercizio delle attività istruttorie sino ad ora esaminate deve essere ora

calato nel sistema delle preclusioni previsto nel processo ordinario di

cognizione.

Nel quadro normativo attuale le parti possono indicare prove e produrre

documenti negli atti introduttivi e in tutta la prima fase del procedimento sino

ai provvedimenti del giudice di cui all’art. 183 VII/IX co. c.p.c..

Pur prevedendo gli artt.163 e 167 c.p.c., quale contenuto dell’atto di

citazione e della comparsa di risposta, l’individuazione specifica dei mezzi di

prova di cui le parti intendono avvalersi, nulla sostanzialmente è cambiato

nelle più recenti novelle con riguardo all’indicazione dei mezzi di prova ed in

particolare non è sancita alcuna nullità o decadenza in relazione alla omessa

58

“La valutazione in ordine all'ammissibilità e rilevanza del giuramento suppletorio ed estimatorio

rientra nella discrezionalità del giudice di merito, e la omessa motivazione su tale discrezionale

decisione non può essere invocata in sede di legittimità. (Fattispecie nella quale il richiesto

giuramento non era stato ammesso)”(Cass, sez. lav., 18/8/2004, n. 16157), nello stesso senso Cass.

sez. II, 19/8/2002, n. 12235; Cass. sez. III, 16/5/2001, n. 6742. 59

“La valutazione con cui sia stato disposto o negato il giuramento suppletorio, ovvero si sia

proceduto alla revoca del giuramento suppletorio già disposto, è censurabile in cassazione come

vizio di violazione di norme sul procedimento ai sensi del n. 4 dell'art. 360 c.p.c. sia quando una

motivazione manchi, sia quando il giudice abbia giustificato l'esercizio del suo potere assumendo

che il relativo presupposto non sia quello della semiplena probatio bensì diverso, sia quando la

motivazione sia esplicitata ed il giudice abbia assunto a presupposto della conseguente decisione

rispettivamente l'esistenza o meno di una situazione di semiplena probatio, attribuendo o negando

tale natura alla situazione probatoria esistente nel giudizio in relazione alla fattispecie giudicata

con una valutazione che risulti erronea secondo le categorie della logica generale o di quella

giuridica pertinenti nella specie (Cass. sez. III, 20/6/2008, n. 16800). Nello stesso senso tra tante

Cass. sez. III, 10/3/2006, n. 5240; Cass. sez. lav., 2/4/2004, n. 6570, Cass. sez. I, 15/1/2003 n.525

in F.it, 2003, I, 3107 con nota di E.Fabiani, Brevi note sulla sindacabilità in sede di legittimità del

potere del giudice di deferire il giuramento suppletorio.

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articolazione dei mezzi istruttori negli atti introduttivi60

. Anzi, la sanzione di

decadenza che il secondo comma dell’art. 167 c.p.c. stabilisce per la sola

proposizione di domande riconvenzionali ed eccezioni processuali e di

merito non rilevabili d’ufficio, nonché per la chiamata di terzo (art. 269 II co.

c.p.c.), rafforza l’opinione sopra espressa per cui non sono ravvisabili

preclusioni istruttorie negli atti introduttivi.

D’altro canto le disposizioni citate si differenziano notevolmente dalle

norme che regolano il rito del lavoro in cui le parti devono, a pena di

decadenza, indicare nel primo atto i mezzi di prova di cui intendono avvalersi

(art. 415 n.4, 416 III co. c.p.c.) ed il giudice ha il potere di ammettere oltre ai

mezzi di prova “già proposti dalle parti” solo “quelli che le parti non abbiano

potuto proporre prima” (art. 420 V co. c.p.c.).

Sicuramente le parti potranno esaurire la fase di trattazione e chiedere

l’ammissione delle prove all’udienza di cui all’art. 183 c.p.c. e il giudice

potrà provvedere nell’udienza stessa in ordine alle prove già dedotte, ma

neppure per la prima udienza di trattazione sono imposti oneri tassativi alle

parti per l’indicazione dei mezzi di prova. Il giudice quindi ammette le prove

indicate dai contendenti solo nell’eventualità, peraltro infrequente, che

entrambe le parti abbiano compiutamente formulato le loro istanze.

Nella maggioranza dei casi, in ragione delle necessità della dialettica

processuale, è chiesta dalle parti, ma anche da una sola di esse, la

concessione dei termini per memorie di cui all’art. 183 VI co. c.p.c., per cui è

con lo scadere di questi termini61

che si consuma sul piano logico e

cronologico, prima la possibilità di modificare l’oggetto della controversia e

poi di indicare gli strumenti probatori di cui le parti intendono avvalersi. Il

potere di impulso istruttorio delle parti si esaurisce in questa fase con lo

spirare dei termini perentori previsti e segue quindi la definitiva

individuazione del tema della decisione62

.

60

Comoglio, op.cit., 160 e ss.; Taruffo, Preclusioni (dir.proc.civ.), in Enc. Dir., Aggiornamento, I,

Milano, 1997, 794-810 61

Quando uno dei termini di cui all’art. 183, 6° comma, c.p.c. viene a scadere in un giorno festivo

o di sabato, esso viene di regola considerato prorogato al primo giorno non festivo

immediatamente successivo, con la conseguenza che “è solo da quest’ultimo giorno che inizia a

decorrere il termine per il deposito della memoria successiva”, v. sul punto Trib. Torino

11.12.2006, in Giur. merito, 2007, 6, 1684, con nota di Macagno, L'udienza «ripescata» ed altre

nuove (e meno nuove) questioni in tema di ammissione delle prove e decadenze istruttorie. 62

Come autorevolmente è stato affermato, “le preclusioni, insomma, servono non soltanto a far

presto, ma a far bene: da un lato rendendo razionale la più forte presenza del giudice attraverso la

rapida determinazione del contesto su cui i suoi poteri andranno ad esercitarsi; dall’altro

trasformando un assurdo gioco “a mosca cieca” in un leale confronto dominato dalla legge del

dialogo, con relativa crescita non solo dei poteri direttivi del magistrato ma anche della dignità

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Con il sistema delle preclusioni che è stato introdotto dalla legge

26.11.1990 n. 353 e poi modificato con Dl.14.3.2005 n.35 (convertito con

modificazioni nella L.14.5.2005 n.80) e ancora modificato dalla

L.28.12.2005 n.263 - il legislatore ha cercato di contemperare il diritto di

difesa e le esigenze di efficienza del processo. Non potendo essere negato il

diritto delle parti alla concessione dei termini di cui all’art. 183 VI co. c.p.c.

la possibilità per il giudice di ritenere la causa matura per la decisione senza

bisogno di assunzione di mezzi di prova (prevista dall’art. 187 I co. c.p.c. e

dell’80 bis disp. att. c.p.c.) sembra ora limitata all’ipotesi in cui le parti non

abbiano richiesto l’assegnazione dei termini. Oltre al dato testuale del sesto

comma dell’art. 183 c.p.c. (“Se richiesto, il giudice concede..”), un duplice

ordine di argomenti in tal senso63

si ricava dall’attuale formulazione dell’art.

187 c.p.c.. In primo luogo il I comma legittima l’immediata fissazione di

udienza di precisazione delle conclusioni laddove la causa sia “matura per la

decisione”, e chiarisce che ciò accade quando il Giudice ritenga non vi sia

“bisogno di assunzione di mezzi di prova”, essendo viceversa implicitamente

necessario, perché la causa possa essere matura per la decisione, che le parti

siano state poste nella condizione di effettuare l’emendatio libelli ed abbiano

definitivamente indicato quantomeno il proprio thema decidendum64

. In

secondo luogo il IV comma dell’art. 187 c.p.c., prevede, nel caso di

rimessione della causa in istruttoria, la concessione dei soli termini di cui

all’art. 183, 8° comma, c.p.c. (anziché, come era previsto in precedenza, di

quelli di cui all’art. 184 c.p.c., cui corrispondono gli odierni termini dell’art.

183, 6°comma, n. 2 e n. 3 c.p.c., che pertanto debbono essere già stati

assegnati prima che la causa sia trattenuta in decisione)65

.

Il primo termine che viene assegnato, di trenta giorni, è funzionale al

deposito di memorie “limitate alle sole precisazioni o modificazioni delle

domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte”.

Il secondo termine, pure di trenta giorni, consente alle parti di “replicare

alle domande ed eccezioni nuove, o modificate dall’altra parte”, nonché di

delle parti e del ministero dei difensori", A.Attardi, Le preclusioni nel giudizio di primo grado, in

Foro it., 1990, V, 385. 63

Sul punto Giacomelli, op.cit., 11 64

Morlini, La riforma e l’udienza ex art. 183 c.p.c., relazione tenuto a Roma il 26/28.2.2007, per

l’Ufficio per gli Incontri di studio del CSM, 4. 65

Vi è tuttavia in dottrina anche chi afferma che non essendo stato abrogato l’art. 80 bis disp. att.

c.p.c. il giudice ben potrebbe rifiutare la concessione dei termini richiesti, ritenendo la causa

matura per la decisione e fissando conseguentemente udienza di precisazione delle conclusioni, v.

Stefani, L’udienza ex art. 183 c.p.c. e l’operatività delle preclusioni nel quadro delle novità

normative e dei più recenti orientamenti della Corte di Cassazione, relazione tenuta a Roma il

13/3/2006 per l’Ufficio Incontri di studio del CSM, 29.

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“proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni

medesime” e in particolar modo è il momento entro il quale si impone

“l’indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali”.

Il terzo termine, di venti giorni, è previsto per “le sole indicazioni di prova

contraria”.

L’espressione “prova contraria” va intesa non tanto in senso astratto,

quanto piuttosto dinamico, tenendo conto della stretta correlazione tra le

richieste istruttorie avanzate di questa fase con quelle delle parti proposte

nella seconda memoria ex art. 183 c.p.c.

E’ prova contraria sia quella diretta ad inficiare il fatto costitutivo

dell’avversa domanda purché oggetto di qualche istanza probatoria (c.d.

prova contraria diretta), che quella volta a dimostrare fatti incompatibili con

l’esistenza del fatto principale oggetto dell’altrui richiesta istruttoria (c.d.

prova contraria indiretta)66

. Posto che con la seconda memoria di cui all’art.

183 VI co. c.p.c. è possibile che le parti effettuino nuove allegazioni o

precisino le domande ed eccezioni già svolte nell’espressione “indicazioni di

prova contraria” devono ritenersi compresi anche i nuovi mezzi di prova che

si rendessero necessari in conseguenza delle nuove contestazioni ritualmente

formulate67

.

Si osservi anche che la contrarietà della prova rispetto a quella “diretta”

dell’avversario non richiede che i due mezzi istruttori siano omogenei,

essendo sempre possibile contrastare una prova attorea testimoniale con la

produzione di un documento tendente a dimostrare il contrario od un fatto

incompatibile con quello oggetto della prova diretta avversaria68

.

Quanto all’oggetto possibile della prova contraria, si discute se nel terzo

termine concesso sia possibile fornire la prova contraria relativamente a tutte

66

Farolfi, I poteri istruttori del giudice. L’ammissione e l’assunzione della prova, relazione tenuta

a Roma il per l’Ufficio per gli Incontri di studio del CSM, p.7/8. 67

Così Reali, L’istruzione probatoria nel processo ordinario e in quello del lavoro, relazione

tenuta a Roma il 24.11.2009 per l’Ufficio incontri di studio del CSM, 7. 68

v. Cass. 9/2/2005 n. 2656, in Foro it., 2005, 1730, ove si riconosce che le prove contrarie

ricomprendono, oltre alle prove orali, anche quelle documentali, allorché siano rivolte a

contrastare le prove dell’altra parte. Una volta scaduto il termine, la produzione documentale può

ritenersi ammissibile solo se il documento si sia formato successivamente allo scadere dei termini,

ovvero se la parte decaduta sia stata rimessa in termini.

Si noti che l’art. 345, 3° comma, c.p.c. come riformulato dalla L. 18.6.2009 n. 69 nel prevedere il

divieto di nuove prove in appello fa riferimento anche la produzione dei documenti, salvo che il

collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione ovvero che la parte dimostri di non

aver potuto produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile; la nuova

disposizione fa proprio l’indirizzo già tracciato da Cass. sez. un. 20/4/2005 n. 8202 e n.8203, con

riferimento al rito del lavoro ed al rito ordinario.

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le prove formulate da controparte (ad esempio anche negli atti introduttivi) o

solo rispetto a quelle proposte entro il secondo termine di cui all’art. 183 VI

co. c.p.c.. In assenza di specificazioni normative, il primo orientamento69

,

che consente di articolare prova contraria relativamente a qualunque prova ex

adverso dedotta ed in ogni momento indicata, appare più convincente.

Pretendere che in ipotesi di istanze istruttorie enunciate negli atti introduttivi

la prova contraria sia articolata nel termine previsto per la prova diretta (il

secondo termine di cui all’art. 183 VI co. c.p.c.) sarebbe irrazionale, ben

potendo, nella prima memoria istruttoria, la controparte potrebbe

abbandonare o comunque riformulare le istanze in precedenza rassegnate, e

quindi rendere inutile la formulazione di prova contraria rispetto a tali prove.

Certo è che le parti come possono sempre rinunciare a tutti i termini

previsti se concordino tra loro circa la non necessità dei medesimi70

, così

possono rinunciare a solo l’uno o l’altro dei termini possibili ad esempio, ben

potendo limitarsi a domandare la concessione dei soli termini per modificare

e precisare le proprie domande, eccezioni e conclusioni nonché per repliche,

senza invece richiedere anche i termini istruttori (ad esempio nelle

controversie aventi natura documentale per le quali le produzioni possibili

risultano già effettuate e nelle controversie implicanti la soluzione di

questioni di mero diritto) o viceversa insistere esclusivamente per i termini

istruttori stabilendo tra loro di definire il thema decidendum nell’udienza ex

art. 183 c.p.c.

Riassumendo in ordine ai mezzi di prova, all’esito dell’udienza ex art. 183

c.p.c., possono verificarsi le seguenti ipotesi:

a) le parti non formulano istanza di concessione dei termini, perché

ritengono la causa matura per la decisione di merito senza bisogno di mezzi

di prova oppure per la risoluzione di una questione avente carattere

pregiudiziale o preliminare potenzialmente idonea a definire l’intero

giudizio, per cui il giudice fissa l’udienza di precisazione delle conclusioni71

;

b) le parti chiedono l’ammissione dei mezzi di prova già indicati

(negli atti introduttivi o in prima udienza) e il giudice si pronuncia sulle

prove già dedotte e se ritiene di ammetterle fissa l’udienza prevista dall’art.

184 c.p.c. per l’assunzione delle prove72

;

69

Cass. sez. III 9/2/2005 n. 2656. Contra Trib. Pistoia 25/10/1997, in Foro It., 1997, I, 3684. 70

Cassazione civile, sez. III, 22/10/2004, n. 20592 71

In tal caso si intendono implicitamente rinunciate le istanze istruttorie formulate negli atti

introduttivi e altrettanto implicita l’adesione del giudice ex art. 245 II co. c.p.c.:v. Cass. sez. III,

6/9/2007, n. 18688; Cass. sez. II, 19/8/2002, n. 12241. 72

“Nel regime processuale di cui alla l. 26 novembre 1990 n. 353, mentre le preclusioni relative

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c) le parti chiedono i termini per alcune o tutte le memorie di cui

all’art. 183 VI co. c.p.c., il giudice non può negare la concessione dei termini

richiesti73

, anche se ritiene la causa matura per la decisione, per cui

comunque il giudice si riserva di decidere se ammettere o meno le prove

dedotte all’esito del deposito delle memorie (con ordinanza fuori udienza

emessa nei trenta giorni successivi la scadenza dell’ultimo termine), ovvero

fissa una nuova udienza in cui provvedere all’eventuale ammissione delle

prove74

;

d) il giudice dispone d’ufficio i mezzi di prova che la legge gli

alla facoltà delle parti di individuazione del thema decidendum sono collegate agli introduttivi

della causa ed all'udienza di trattazione di cui all'art. 183 c.p.c., quelle attinenti al thema

probandum si riferiscono alla fase processuale immediatamente successiva. L'ammissione delle

prove, pertanto, costituisce il provvedimento proprio dell'udienza regolata dall'art. 184 c.p.c. nel

testo anteriore a quello modificato dalle l. 14 maggio 2005 n. 80 e 28 dicembre 2005 n. 263,

sicché solo ove le parti concordino sulla necessità di ammettere le prove già richieste da entrambe

e non ritengano di doverne chiedere altre, il giudice può provvedere sull'ammissione delle prove

medesime nella prima udienza di trattazione”, Cass. sez. II, 12/6/2009, n. 13733. 73

In ordine alla mancata concessione dei termini, che comportando una violazione del diritto di

difesa, configura un vizio che rende nulla la sentenza, ha osservato la Suprema Corte che “La

nullità della sentenza di primo grado, derivante dalla violazione delle regole processuali destinate

alla definitiva determinazione del "thema decidendum" e del "thema probandum", non può essere

rilevata d'ufficio dal giudice d'appello, dovendo essere dedotta dalle parti con specifico motivo di

gravame; peraltro, l'appellante, ove faccia valere la suddetta violazione, non deve limitarsi ad una

generica richiesta di rimessione in termini, ma ha l'onere di indicare, attraverso specifiche censure,

le attività assertive e istruttorie pregiudicate dal vizio del procedimento” (Cass. sez. I, 9/4/2008, n.

9169 in F.it., 2009, I, 1187 con nota di Adorno; in senso analogo v.Cass. sez. I, 2/4/2008, n.

8493). 74

Questa ipotesi, quand’anche non espressamente prevista dal dettato normativo non può ritenersi

vietata, tanto più che con la definitiva versione dell’art. 183 VII co. c.p.c. operata dalla L. n.

263/2005 è abrogata la previsione della necessaria assunzione di riserva, limitandosi a stabilire che

la decisione tramite ordinanza riservata è solo una delle opzioni possibili (“se provvede mediante

ordinanza pronunciata fuori udienza”). Di fatto la fissazione dell’udienza è prevista in molti

Tribunali (compreso il Tribunale di Mantova in cui svolgo le mie funzioni) in quanto consente: 1)

un contraddittorio orale finale in ordine alle prove già articolate, che riduce la possibilità di errori

ed omissioni, 2) di acquisire il consenso sull’eventuale assunzione della testimonianza scritta (art.

257 bis c.p.c.), 3) di verificare che la causa non sia stata già definita transattivamente tra le parti,

4) di sentire le parti con riguardo al calendario del processo (art. 81 bis disp.att. c.p.c.) in un

momento in cui già è palese la tipologia di istruzione probatoria che è proposta dalle parti (in

merito a questa prassi v. anche Morlini, La riforma e l’udienza ex art. 183 c.p.c., relazione per

l’Ufficio per gli Incontri di studio del CSM, per un corso tenuto a Roma il 26/28.2.2007, 4; Reali,

L’istruzione probatoria nel processo ordinario e in quello del lavoro, relazione tenuta a Roma il

24.11.2009 ad un corso organizzato dal CSM, 10. Cfr. Trib. Torino 19.12.2008, Giur. merito,

2009, 9, 2159; Trib. Torino 24.10.2006, Giur. merito, 2007, 6, 1682, con nota di Macagno,

L'udienza «ripescata» ed altre nuove (e meno nuove) questioni in tema di ammissione delle prove

e decadenze istruttorie.

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consente e quindi assegna alle parti un doppio termine perentorio affinché

queste deducano entro il primo termine “i mezzi di prova che si rendono

necessari” in relazione ai mezzi di prova ammessi d’ufficio ed un secondo

termine per memoria di replica, e all’esito provvede per l’eventuale

ammissione di tali ulteriori prove indicate.

L’ultimo comma dell’art. 183 c.p.c. stabilisce che l’ordinanza di

ammissione delle prove, se pronunciata fuori udienza, è comunicata dal

cancelliere alle parti, entro tre giorni dal deposito, oltre che nelle forme

prescritte dall’art. 136 c.p.c. anche a mezzo telefax o posta elettronica, nel

rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione

e la trasmissione dei documenti informatici e teletrasmessi.

Il regime delle preclusioni, in sintesi, può essere così delineato:

il convenuto può proporre le eccezioni in senso stretto non rilevabili

d’ufficio, nonché le eccezioni di incompetenza (art. 38 I co. c.p.c.), le

domande riconvenzionali o provvedere alla chiamata in causa di terzo

unicamente nella comparsa di costituzione e risposta depositata

tempestivamente, entro il termine fissato dall’art. 166 c.p.c.;

l’attore solo all’udienza ex art. 183 c.p.c. può proporre domande o

eccezioni nuove che siano conseguenza domande riconvenzionali o delle

eccezioni proposte dal convenuto nella comparsa di costituzione e risposta e

può chiedere di essere autorizzato alla chiamata in causa di terzo, se

l’esigenza è sorta dalle difese del convenuto;

entrambe le parti possono precisare o modificare le domande, le

eccezioni e le conclusioni già proposte entro l’udienza ex art. 183 c.p.c. o

entro il primo termine di cui all’art. 183 VI co. c.p.c., se richiesto;

le parti possono replicare alle domande ed eccezioni nuove nonché

proporre nuove eccezioni che siano la conseguenza delle domande ed

eccezioni medesime entro il secondo termine di cui all’art. 183 VI co. c.p.c.,

se richiesto, e entro lo stesso termine possono indicare i mezzi di prova

(anche precedentemente mai proposti) e produrre documenti, nonché

effettuare nuove allegazioni di fatti che entreranno nel thema probandum;

entro il terzo termine perentorio dell’art. 183 VI co. c.p.c. le parti

possono articolare l’eventuale prova contraria.

Decorsi i termini indicati alle parti è pregiudicata qualsiasi modificazione

del thema decidendum e del thema probandum, salvo eventuali remissioni in

termini ove consentite o interventi del giudice che disponga d’ufficio di

mezzi istruttori.

Va notato che il sistema delle preclusioni è espressamente applicabile

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anche ai documenti, come si evince dal chiaro tenore letterale dell’art. 183

c.p.c., non trovando giustificazione né appiglio normativo un trattamento

differenziato e, pertanto, salvo ipotesi di rimessione in termini, la produzione

dei documenti deve avvenire entro lo spirare del secondo termine di cui

all’art. 183 c.p.c. ovvero qualora si tratti di documenti che si intende produrre

a prova contraria entro la terza memoria di cui all’art. 18375

.

Entro lo stesso termine previsto per le deduzioni istruttorie le parti hanno

l’onere, qualora richiedano l’espletamento di una prova testimoniale, non

solo di formulare i capitoli di prova ma anche di indicare il nominativo dei

testi da assumere (art. 244 c.p.c.). In questo senso è la giurisprudenza più

recente76

, quand’anche un orientamento contrario si sia autorevolmente

affermato nel rito del lavoro77

, ove opera tuttavia l’art. 421 c.p.c. e

l’indicazione dei testi può avvenire nel termine indicato dal giudice per

sanare l’irregolarità, termine peraltro perentorio che se violato comporta la

decadenza dal diritto di assumere la prova.

Il sistema delle preclusioni, che trova fondamento nell’esigenza di

contenere la durata del processo e trova garanzia costituzionale nel principio

del giusto processo, postula altresì la rilevabilità d’ufficio dell’intervenuta

preclusione78

, nonché l’inammissibilità della rinuncia implicita od esplicita a

75

V. Cass. sez. I, 19/3/2004, n. 5539; Cass. sez. I, 26/11/2008, n. 28219; C. Cost.28/7/2000 n.

401/2000, che ha dichiarato manifestamente infondata l'eccezione di legittimità costituzionale

dell'art. 184 c.p.c., all’epoca vigente, laddove considerava inammissibile la produzione di

documenti dopo la concessione dei termini istruttori. In senso contrario, si riscontra l’orientamento

minoritario che consente le produzioni documentali anche dopo lo spirare del termine per le

deduzioni istruttorie, v. Trib. Roma 14/7/1997, in Giust. Civ., 1998, I, 2957. 76

Cass. sez. III, 31/5/2010, n. 13250; Cass. sez. III, 7/12/2005, n. 27007; Cass. sez. III, 16/6/2005,

n. 12959. 77

Cass., sez. un., 13/1/1997, n. 262. 78

“Con riferimento al sistema di preclusioni introdotto dalla l. n. 353 del 1990, la garanzia della

ragionevole durata del processo, espressamente sancita dall'art. 111, comma 2, cost., deve fungere

da parametro di costituzionalità delle norme processuali, per essere oggetto oltre che di un

interesse collettivo, di un diritto di tutte le parti, costituzionalmente tutelato, non meno di quello di

un giudizio equo e imparziale. L'opera ermeneutica, pertanto, deve essere sorretta dalla

consapevolezza che i termini acceleratori e le preclusioni volte a impedire l'ingresso nel processo

di un fatto e/o di una prova, sono funzionalizzati proprio a tutelare il suddetto principio della

ragionevole durata e a quello a esso correlato della economicità del giudizio. Il regime delle

preclusioni di cui alla ricordata normativa, pertanto; ha inteso raggiungere un punto di equilibrio

tra le esigenze di efficienza del processo e il diritto di difesa delle parti, onde evitare una modifica

o un’ampliamento del "thema decidendum" dopo la udienza di cui all'art. 183 c.p.c. In particolare

nel sistema introdotto dalla l. n. 353 del 1990 anche per le allegazioni di parte il "thema

decidendum" non è più modificabile dopo la chiusura della prima udienza di trattazione o la

scadenza del termine concesso dal giudice ai sensi dell'art. 183, comma 5, c.p.c. Dopo dette

scadenze, infatti, possono formularsi solo istanze istruttorie per provare i fatti allegati e la tardività

di domande, eccezioni, allegazioni e richieste deve essere rilevata d'ufficio indipendentemente

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far valere l’avversa decadenza79

.

Si noti che a parziale contemperamento del regime delle preclusioni opera

la previsione dell’istituto della rimessione in termini, ora disciplinato in via

generale dall’art. 153 II co. c.p.c. Perché le preclusioni possano essere

superate è necessario che vi sia istanza di parte (non essendo mai concedibile

d’ufficio) e che venga dimostrata la non imputabilità alla parte della

decadenza in cui la stessa è incorsa, richiamando l’espressione utilizzata i

principi in tema di “caso fortuito” e “forza maggiore” di derivazione

contrattuale80

. Gli aspetti procedimentali della rimessione in termini sono

regolati dalla previsione dell’art. 294 II e III co. c.p.c., anche se si osserva in

dottrina che la regolamentazione dell’istituto è lacunosa mancando in

particolare la fissazione di un termine ultimo per la presentazione

dell’istanza, essenziale per impedire il protrarsi all’infinito di situazioni di

incertezza81

.

La non imputabilità ricorre, ad esempio, nella produzione di documenti di

formazione successiva allo spirare delle preclusioni istruttorie (pur se, deve

aggiungersi, ove si tratti di atti da formarsi ad istanza di parte occorre,

quantomeno, che l’istanza fosse stata proposta prima dei citati termini82

).

La decisione sull’istanza di rimessione in termini non è reclamabile, non

avendo natura cautelare83

(cfr. Trib. Roma 11 giugno 2003), pur se deve

ritenersi consentita la sua denunzia e conversione in motivo di gravame al

giudice superiore.

Va da ultimo osservato che le preclusioni stabilite dall’art. 183 c.p.c. non

dall'atteggiamento processuale della controparte al riguardo (Cass. sez. II, 20/3/2007, n. 6639);

nello stesso senso Cass. sez. III, 18/3/2008, n. 7270; Cass. sez. I, 13/12/2006, n. 26691. 79

E’ incoerente ipotizzare la derogabilità del regime delle preclusioni sull’accordo delle parti,

trattandosi di termini perentori e ostandovi quindi il disposto dell’articolo 153 c.p.c.. 80

L’impedimento non imputabile viene pressoché costantemente negato dalla giurisprudenza

nell’ipotesi che riguardi il difensore: “L'art. 9, comma 3, l. 22 gennaio 1934 n. 36, prevedendo la

possibilità per il procuratore costituito di farsi rappresentare per il compimento di singoli atti da un

altro procuratore, con incarico dato per iscritto negli atti di causa o anche con dichiarazione

separata, senza ulteriori formalità, esclude che lo stato di malattia del difensore possa

rappresentare causa di impedimento non imputabile, tale da giustificare la rimessione in termini

della parte, ai sensi dell'art. 184 bis c.p.c., in ordine alla decadenza dalla prova testimoniale

verificatasi per mancata comparizione del procuratore in udienza” (Cassazione civile, sez. III,

12/07/2005, n. 14586) 81

Briguglio, Le novità sul processo ordinario di cognizione nell’ultima, ennesima riforma in

materia di giustizia civile, in Giust.civ., 2009, II, 259; Caponi, Rimessione in termini:estensione ai

poteri di impugnazione, in F.it.,2009, V, 283. 82

Farolfi, op.cit., 11. 83

Tribunale Roma, 11/06/2003 in Giur. Romana, 2003, 422.

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operano per tutti i mezzi di prova esperibili, non estendendosi al giuramento

decisorio (art. 233 c.p.c.), che può essere deferito “in qualunque stato della

causa”, e al disconoscimento della scrittura privata, quando il documento sia

stato prodotto, come prova contraria, con la terza memoria di cui all’art. 183

VI co. c.p.c., atteso che il disconoscimento, ai sensi dell’art. 215, n. 2, c.p.c.

deve avvenire “nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla

produzione”, e quindi eventualmente potrà avvenire appena oltre l’ultimo

termine concesso.

Ma con riguardo ai poteri officiosi del giudice trova applicazione il regime

delle preclusioni?

La norma di riferimento è sempre l’art. 183 c.p.c., al comma VIII, che

tuttavia non è particolarmente chiara, limitandosi stabilire che il giudice

provvede all’eventuale ammissione di mezzi di prova d’ufficio con la

medesima ordinanza ammissiva delle istanze istruttorie formulate dalle parti

e quindi di regola, dopo la deduzione delle prove delle parti. Ciò che non si

comprende è se il giudice sempre deve provvedere ad esercitare i poteri

inquisitori che gli competono con la stessa ordinanza con cui ammette le

prove dedotte dalle parti ovvero se in alternativa a questo modo di procedere

può comunque, se necessario, provvedere in ogni tempo all’attività istruttoria

ex officio che gli è consentita.

Con particolare riguardo al potere di disporre d’ufficio la testimonianza, a

mente dell’art. 281 ter c.p.c., sul tema si affrontano due orientamenti.

Il primo, avvallato da una pronuncia di inammissibilità della Corte

Costituzionale (C.Cost.14.3.2003 n.69)84

, evidenzia la mancata

riproposizione nel processo di cognizione ordinaria dell’inciso “in qualsiasi

momento” contenuto nell’art. 421 c.p.c. e ritiene che l’esercizio dei poteri

previsti dall’art. 281 ter c.p.c. sia assoggettato alle scadenze dettate dall’art.

183, VI co. c.p.c. per le preclusioni istruttorie e quindi il giudice dovrebbe

rispettare gli stessi termini previsti per le deduzioni istruttorie delle parti, in

quanto il potere di disporre la testimonianza d'ufficio non sarebbe un potere

istruttorio principale ma solo complementare, posto che diversamente si

creerebbe un vulnus al principio della parità delle armi delle parti in causa.

Tale soluzione troverebbe conferma nel dettato letterale dell’art. 183, VIII

co. c.p.c. che appunto prevede che il giudice deliberi l’assunzione delle prove

officiose con l'ordinanza del VII co. c.p.c. congiuntamente all’ammissione 84

In Foro it., 2003, I, 1631; Trib.Foggia 4/11/1999, in F.it., 2000,I, 2093; Trib.Udine,

sez.Palmanova, 14/7/2003, in F.it., 2003, I, 3463; Trib.Bari, 27/1/2004, in F.it., I, 935; Tarzia,

L’istituzione del giudice unico di primo grado e il processo civile, in Riv.dir.proc., 1999, 633;

Grasso, L’istituzione del giudice unico di primo grado. Prime osservazioni sulle disposizioni

relative al processo civile, in Riv.dir.proc., 1998, 651.

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delle prove dedotte dalle parti, dopo la scadenza del termine a queste

assegnato per deduzioni istruttorie.

Il secondo orientamento85

, maggiormente condivisibile, partendo dalla

considerazione che la previsione dell’art. 281 ter c.p.c. è strumento con la

finalità pubblicistica di consentire quanto possibile la ricerca della verità

effettiva, e sovente l'esigenza di ammettere la prova testimoniale d'ufficio

può sorgere anche (e soprattutto) in un momento successivo all’ordinanza di

cui all’art. 183 VII co c.p.c., quando ormai è esaurita l’attività istruttoria,

consente l’esercizio del potere officioso sino all’udienza di precisazione delle

conclusioni, non potendo i poteri inquisitori del giudice subire l’incidenza

restrittiva di preclusioni o decadenze se la legge non lo preveda

espressamente.

In entrambi i casi comunque, nel rispetto del contraddittorio, il giudice

deve concedere d’ufficio alle parti un primo termine perentorio finalizzato a

consentire la proposizione di ulteriori prove “che si rendono necessarie” in

relazione alla prova disposta d’ufficio, ed un secondo termine, pure

perentorio, per depositare eventuali memoria di replica, riservandosi di

provvedere ai sensi del 7° comma dell’art. 183 c.p.c., e quindi con ordinanza

prima dell’assunzione – possibilmente contestuale - di tutte le prove

ammesse.

E’ stato sottolineato come il giudice debba valutare con particolare rigore

il requisito della “necessità” delle nuove prove, previsto dalla norma in

esame, al fine di evitare che lo svolgimento delle ulteriori attività istruttorie

si traduca in un’elusione, ad opera delle parti, delle preclusioni istruttorie86

.

Se contrariamente al disposto normativo il termine per la deduzione di

mezzi dei prova necessari in relazione a quelli disposti d’ufficio non viene

concesso la tesi che pare preferibile è quella che prevede che la nullità della 85

Trib. Nocera Inferiore, 2/7/2003, in F.it., 2003, I, 3463; Trib.Napoli, 30/9/2002, in F.it., 2003, I,

3464; Cassazione civile, sez. II, 11/1/1982, n. 121; Trib. Reggio Emilia 13/1/2003, in Foro It.,

2003, I, 3463; Cea, L’art. 281 ter c.p.c. e il “non liquet” della Corte Costituzionale, 1633-1634;

Cavallone, Un tardo prodotto dell’ “art déco” (il nuovo art. 281 ter c.p.c., in Riv.dir.proc, 2000,

99; E.Fabiani, Sul potere del giudice cit., 2102; Reali, Sulla prova testimoniale cit., 935 in nota

critica a Trib.Bari, 27/1/2004; Balena, La riforma (della riforma) del processo civile. Nota prima

lettura sulla L. 28/12/2005 n. 263, in Foro it., 2006, I, 65. 86

E’ stato anche osservato (Farolfi, I poteri istruttori del giudice. L’ammissione e l’assunzione

della prova, relazione tenuta a Roma il 10/5/2005 per l’Ufficio incontri di studio del CSM, 18) che

“argomentandosi dall’espressione “mezzi di prova che si rendono necessari in relazione a” quelli

disposti dal giudice, che alla parte sia accordata in effetti la sola possibilità di dedurre una “prova

contraria” vertente sugli stessi fatti oggetto della prova d’ufficio, tendente a farne emergere

l’insussistenza (c.d. prova contraria diretta), sia la prova di fatti diversi, dai quali possa dedursi

l’insussistenza o la diversa configurazione dei fatti oggetto della prova d’ufficio (c.d. prova

contraria indiretta)”.

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prova per violazione di legge, con eccezione da formularsi, a pena di

decadenza, nella prima istanza o difesa successiva, rimanendo in caso

contrario la nullità sanata ex art. 157 c.p.c.87

6.Il giudizio di ammissibilità e rilevanza delle prove.

Ai sensi dell’art. 183 VII co. c.p.c. il giudice provvede all’assunzione dei

mezzi di prova che ritiene ammissibili e rilevanti.

Il giudizio di ammissibilità e rilevanza delle prove, che costituisce il limite

del diritto alla prova, riguarda le prove costituende, quelle cioè di tipo orale o

sperimentale da assumersi nel corso del giudizio, mentre le prove

precostituite, che essenzialmente si identificano nelle prove documentali,

sono semplicemente prodotte dalle parti, o acquisite per mezzo di ordine di

esibizione, e possono essere al più soggette a verificazione del corso del

processo.

Per le prove precostituite la rilevanza e l’ammissibilità (compresa la

valutazione di tempestività) sono valutate in concreto al momento della

decisione, senza che il giudice possa vietare ex ante la produzione o

espungere i documenti dal fascicolo di causa dopo che sono stati ritualmente

acquisiti ex art. 74 e 87 disp.att.c.p.c., pure quando saranno di fatto

inutilizzabili per la decisione.

E’ proprio il sistema previsto dall’art. 87 disp.att. c.p.c. che esclude un

giudizio di ammissibilità delle produzioni che le parti intendono effettuare, se

si considera che la previsione per cui i documenti di parte prodotti vengono

direttamente inseriti nel fascicolo di parte con la sottoscrizione dell’elenco da

parte del cancelliere mentre per i documenti prodotti in udienza essi devono

essere menzionati a verbale, senza che operi alcuna discrezionalità in merito

del giudicante.

Certo è che, in virtù del principio dispositivo delle prove, ciascuna delle

parti potrà liberamente ritirare il proprio fascicolo e ometterne la restituzione,

ed in tal caso, tuttavia, il giudice dovrà comunque decidere nel merito della

causa, sulla base delle risultanze istruttorie ritualmente acquisite e degli atti

riscontrabili nel fascicolo dell'altra parte ed in quello di ufficio88

.

In ogni caso il giudice nella formazione del proprio convincimento non

potrà tener conto di qualsivoglia documento prodotto dalle parti ma

87

Trib. Bari 9/10/2003, in Foro it., 2005, I, 935. 88

Cass. sez. III, 26/4/2010, n. 9917.

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esclusivamente di quelli che la parte che li abbia prodotti o che se ne voglia

avvalere abbia specificatamente e ritualmente richiamati, posto che se così

non fosse risulterebbe violato il principio del contraddittorio

nell’impossibilità di chi subisce la produzione avversaria di una quantità

enorme di documenti di difendersi se negli atti non è menzionata la rilevanza

della produzione effettuata89

.

Con riguardo alle prove costituende (le principali sono l’interrogatorio

formale, la testimonianza, il giuramento, l’ispezione, l’esibizione) viceversa

il giudice deve valutare l’ammissibilità e la rilevanza del mezzo istruttorio

richiesto.

Il giudizio di ammissibilità è di carattere giuridico e riguarda la c.d.

“legalità” della prova90

e quindi la verifica circa la sussistenza di divieti

legali all’assunzione del mezzo istruttorio prescelto (es. artt.1417, 1967,

2721-2725, 2731, 2737, 2739 c.c.)91

, l’accertamento che l’istanza probatoria

sia stata formulata secondo la prescrizione processualcivilistica (es.rispetto

dell’obbligo previsto dagli art. 230 e 244 c.p.c. di deferire l’interrogatorio

formale e di dedurre la prova testimoniale su capitoli specifici e separati; o

dell’obbligo di non indicare come testimoni persone portatrici di interesse

che potrebbe legittimarne la partecipazione in giudizio ex art. 246 c.p.c.), e

che sia stata tempestivamente dedotta, non oltre il termine previsto per le

89

Osservano le Sezioni Unite della Suprema Corte sul punto che “Il giudice ha il potere-dovere di

esaminare i documenti prodotti dalla parte solo nel caso in cui la parte interessata ne faccia

specifica istanza esponendo nei propri scritti difensivi gli scopi della relativa esibizione con

riguardo alle sue pretese, derivandone altrimenti per la controparte l'impossibilità di controdedurre

e per lo stesso giudice impedita la valutazione delle risultanze probatorie e dei documenti ai fini

della decisione. Infatti, poiché nel vigente ordinamento processuale, caratterizzato dall'iniziativa

della parte e dall'obbligo del giudice di rendere la propria pronuncia nei limiti delle domande delle

parti, al giudice è inibito trarre dai documenti comunque esistenti in atti determinate deduzioni o

indicazioni, necessarie ai fini della decisione, ove queste non siano specificate nella domanda, o -

comunque - sollecitate dalla parte interessata (Cass. sez. un., 1/2/2008 n. 2435). 90

Comoglio, op.cit., 183. 91

Solo a titolo esemplificativo: circa l’ammissibilità della prova testimoniale della simulazione di

una vendita compiuta dal de cuius richiesta dall'erede legittimario, posto che egli assume la qualità

di terzo rispetto ai contraenti, v. Cass. sez. II, 13/11/2009, n. 24134; circa l’ammissibilità della

prova testimoniale in tema di transazione (art. 1967 c.c.) quando il negozio è invocato non come

fonte di diritti e di obblighi dei quali si chieda l'adempimento, ma come mero fatto storico

influente sulla decisione della controversia, v. Cass. sez. lav., 06/11/2002, n. 15591; circa i limiti

legali di ammissibilità della prova orale (art. 2722-2725c.c.), e quindi, delle presunzioni, che non

operano quando la prova sia diretta non già a contestare il contenuto del documento, ma a

renderne esplicito il significato o a chiarire la effettiva volontà dei contraenti, v. Cass. sez. I,

9/4/2008, n. 9243; circa il divieto di deferire o riferire il giuramento decisorio sui contratti per la

validità dei quali è richiesta la forma scritta ad substantiam (art. 2739, comma 1, c.c.) che non

sussiste nell'ipotesi in cui un atto scritto vi sia, ed attraverso il giuramento si tenda a dimostrare

non la sua esistenza ma soltanto il suo carattere simulato (Cass. sez. III, 18/2/2010, n. 3899).

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istanze istruttorie.

Con riguardo all’inammissibilità generalmente riconosciuta – a mente

degli art. 244 e 253 c.p.c. - per il capitolo di prova testimoniale contenente

valutazioni, dovendo avere la prova testimoniale per oggetto esclusivamente

la narrazione di fatti resa da un soggetto terzo, estraneo alla lite, ha osservato

la Cassazione92

che “il principio secondo cui la prova testimoniale deve avere

ad oggetto non apprezzamenti o giudizi, ma fatti obiettivi, deve essere inteso

nel senso che il testimone non deve dare un’interpretazione del tutto

soggettiva o indiretta delle circostanze di fatto ed esprimere apprezzamenti

tecnici o giuridici su di esso, ma ciò non comporta, peraltro, che egli non

possa riferire anche il convincimento sul fatto e le sue modalità derivatogli

dalla sua stessa percezione ed esprimere gli apprezzamenti che non sia

possibile scindere dalla deposizione dei fatti”. Se quindi sicuramente sono

sempre da ritenersi inammissibili i capitoli di prova che importano

interpretazioni soggettive dei fatti, possono ritenersi consentiti quegli

apprezzamenti che esprimono percezioni sensoriali che risultano inscindibili

dalla descrizione dei fatti.

A parte le espresse previsioni legislative che escludono l’ammissibilità di

determinati mezzi istruttori tipici, il giudizio di ammissibilità assume

significatività in particolar modo con riguardo alle cd. prove atipiche, non

disciplinate dal legislatore. La giurisprudenza dominante, ancorandosi al

principio del libero convincimento del giudice, generalmente ammette la

possibilità che la decisione sia fondata prove non espressamente previste dal

codice di rito, purché la motivazione dia conto dell’utilizzazione di dette

prove, rimanendo, in ogni caso, escluso che le prove atipiche possano

consentire di aggirare preclusioni o divieti dettati da disposizioni sostanziali

o processuali, permettendo di introdurre surrettiziamente elementi di prova

che non sarebbero altrimenti ammessi o la cui ammissione avrebbe richiesto

il necessario ricorso ad adeguate garanzie formali93

. Le tipologie più

frequenti di prove atipiche sono le dichiarazioni di scienza contenute in scritti

provenienti da terzi94

, le perizie stragiudiziali, le indagini genetiche ed

ematologiche95

, i verbali di prove costituende o le consulenze tecniche

92

Cass. sez. lav., 2/1/2001, n. 5; nello stesso senso Cass. sez. III, 22/04/2009, n. 9526 in Resp. civ.

e prev. 2010, 03, 0559 B, con nota di Ferraris, Note sull’ammissibilità di “apprezzamenti

personali” all’interno di una dichiarazione personale. 93

Cass. sez. II, 5/3/2010, n. 5440; Cass. sez. II, 25/3/2004, n. 5965; Cass. sez. II, 11/10/2001, n.

12411. 94

Cass. sez. III, 30/11/2005, n. 26090; Cass. 3/2/2002 n. 11652; Cass. 14/10/2005 n. 19354. 95

La giurisprudenza non solo attribuisce da tempo valore probatorio a queste tipologie di indagini

ma riconosce valore probatorio anche al rifiuto ingiustificato della parte a sottoporsi a tali esami,

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formati in altri procedimenti, magari tra parti diverse96

.

Generalmente si esclude che tra le prove innominate possano essere

qualificate ammissibili le prove illecite, intendendosi con questa espressione

sia le prove acquisite in violazione delle procedure previste dalla legge, sia

ottenute con sistemi antigiuridici (produzione di un documento rubato,

confessione estorta con violenza o minaccia)97

Il giudizio di rilevanza è viceversa di ordine logico, dovendo il giudice

valutare a priori se la prova proposta può consentire la ricostruzione dei fatti

come allegati a fondamento delle pretese esposte e possa fornire al giudice

gli elementi necessari per formare il proprio convincimento98

. Il giudice deve

quindi verificare la sussistenza di un nesso logico tra i fatti che si è chiesto di

provare e l’eventuale riconoscimento della fondatezza delle domande e/o

delle eccezioni svolte.

E’ fondamentale per questa valutazione che il giudice conosca la

distribuzione dell’onere probatorio con riguardo alle singole fattispecie e che

gli sia chiaro chi - deve - provare - che cosa99

in maniera tale che possa di tal

v. Cass. sez. I, 16/4/2008, n. 10051; Cass. sez. I, 22/8/2006, n. 18224; Cass. sez. I, 7/6/2006, n.

13276. 96

Il giudice civile, ai fini del proprio convincimento, può autonomamente valutare, nel

contraddittorio tra le parti, ogni elemento dotato di efficacia probatoria e, dunque, anche le prove

raccolte in un processo penale e, segnatamente (come nella specie), le dichiarazioni verbalizzate

dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali (Cass. sez. II,

19/10/2007, n. 22020) nello stesso senso Cass. sez. I, 2/3/2009, n. 5009; Cass. sez. I, 13/5/2009, n.

11141; Cass. sez. III, 27/3/2009, n. 7537. 97

Consolo, Il processo di primo grado cit., 184. Approfonditamente sul tema v.Angeloni, Le

prove illecite, Padova, 1992. 98

Ha recentemente osservato la Cassazione che anche in tema di interrogatorio formale, come per

la richiesta di ammissione di prova testimoniale, la parte richiedente può soltanto invocare il

potere discrezionale del giudice di merito di ammettere tale mezzo di prova in relazione alla sua

indispensabilità ai fini della decisione, senza che sussista un dovere del giudice di merito di

ammettere in ogni caso il mezzo istruttorio in quanto volto a provocare la confessione della

controparte (Cass. sez. III, 18/9/2009, n. 20104). 99

Emblematico è il percorso giurisprudenziale giurisprudenziale compiuto con riguardo all’onere

probatorio connesso all’inadempimento contrattuale. Sino alla pronuncia delle Sezioni Unite

30/10/2001 n.13533, l’orientamento maggioritario (Cass.22/9/1981 n.5166; Cass.17/11/1990 n.

11115; Cass.9/1/1997 n.124) diversificava il regime probatorio secondo che il creditore agisse per

l'adempimento, nel qual caso si riteneva sufficiente che l'attore fornisse la prova del titolo che

costituiva la fonte del diritto vantato, ovvero per la risoluzione, nel qual caso si riteneva che il

creditore dovesse provare, oltre al titolo, anche l'inadempimento, integrante anch'esso fatto

costitutivo della pretesa. Con la pronuncia citata le Sezioni Unite hanno aderito ad un precedente

minoritario indirizzo (Cass.7/2/1996 n. 973; Cass.15/10/1999 n. 11629) che tendeva ad unificare il

regime probatorio gravante sul creditore, senza distinguere tra le ipotesi in cui agisse per

l'adempimento, per la risoluzione o per il risarcimento del danno, per cui si è stabilito che “Il

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guisa individuare i fatti costitutivi dei diritti che dovranno essere oggetto di

prova.

Si noti che con riguardo al vaglio di rilevanza della prova contraria

indicata dalle parti, che il giudizio dovrà essere compiuto non in sé ma

verificando le prove dirette richieste. Così, ad esempio, la prova contraria

vertente sulla dimostrazione dell’inesistenza di un fatto principale oggetto

dell’onere probatorio dell’attore, che in concreto nessuna istanza istruttoria

sul punto abbia svolto, dovrà ritenersi irrilevante. E ancora se una parte ha

richiesto a prova diretta, esorbitando dal proprio onere probatorio, una prova

costituenda tendente ad inficiare l’esistenza dei fatti su cui si fonda l’avversa

eccezione estintiva, modificativa od impeditivi, alla parte gravata dal relativo

onere sarà consentito di indicare, quale prova contraria, una richiesta

tendente ad offrire la positiva dimostrazione del fatto stesso100

.

Certo è che anche il comportamento processuale che le parti nel corso del

giudizio scelgono di adottare può incidere sull’onere probatorio e sulla

rilevanza delle prove dedotte, posto che ai sensi dell’art. 115 c.p.c. se i fatti

non contestati, come si è visto nel § 2, essi non sono abbisognevoli di prova.

Affinché l’istanza istruttoria sia accolta le valutazioni di ammissibilità e

rilevanza devono avere entrambe esito positivo, atteso che se manca uno dei

due presupposti il mezzo di prova va rigettato101

.

creditore che agisce in giudizio, sia per l'adempimento del contratto sia per la risoluzione ed il

risarcimento del danno, deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto (ed

eventualmente del termine di scadenza), limitandosi ad allegare l'inadempimento della

controparte, su cui incombe l'onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito

dall'adempimento”. Nella sentenza: A) si sottolinea la necessità che i tre rimedi previsti dall’art.

1453 c.c. (azione di adempimento, di risoluzione, di risarcimento del danno) comportino per

l’istante una omogeneità nell’onere dell’attore atteso che si ricollegano al medesimo presupposto

costituito dall’inadempimento; B) si valorizza il principio della presunzione di persistenza del

diritto, desumibile dall'art. 2697, in virtù del quale, una volta provata dal creditore l'esistenza di un

diritto destinato ad essere soddisfatto entro un certo termine grava sul debitore l'onere di

dimostrare l'esistenza del fatto estintivo; C) si fa applicazione del principio di riferibilità o di

vicinanza della prova, ponendo in ogni caso l'onere della prova a carico del soggetto nella cui

sfera si è prodotto l'inadempimento, e che è quindi in possesso degli elementi utili per paralizzare

la pretesa del creditore, sia questa diretta all'adempimento, alla risoluzione o al risarcimento del

danno, fornendo la prova del fatto estintivo del diritto azionato, costituito dall'adempimento. 100

Farolfi, op. cit., p.8. 101

Il giudizio sull'ammissibilità e rilevanza dei mezzi di prova proposti dalle parti, che il giudice

di merito deve compiere (a norma dell'art. 184 c.p.c. nel testo attuale e dell'art. 187 c.p.c. nel testo

anteriore alla riforma del 1990) prima di decidere sull'ammissione, consta di due valutazioni che,

per un verso, non sono entrambe sempre necessarie (atteso che, una volta ritenuta l'inammissibilità

della prova richiesta, il giudice non è tenuto, per decidere, a valutarne anche la rilevanza) e, per

altro verso, non sono legate in termini di priorità l'una all'altra (nel senso che il giudice debba

sempre prima procedere alla valutazione sull'ammissibilità e poi a quella sulla rilevanza), ben

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Nell’ordinanza con cui il giudice provvede sulle prove si ritiene di regola

che debbano essere contemperate l’esigenza di una motivazione del rigetto

delle istanze e la necessità di non anticipare completamente la decisione sul

merito della causa. La giurisprudenza non contrasta la possibile adozione di

rigetti impliciti, che si concretano nell’immediata fissazione della

precisazione delle conclusioni, purchè il giudice dia conto dell’esaustività

delle altre prove acquisite al giudizio al fine della pronuncia definitiva sulla

controversia102

.

7. Preclusioni e istruzione probatoria nel rito sommario di cognizione.

Solo alcune brevissime osservazioni con riguardo al sistema delle preclusioni

e all’istruzione probatoria nel nuovo rito sommario di cognizione103

.

Il III comma dell’art. 702 ter c.p.c. prevede che se il giudice ritiene che le

difese svolte dalle parti richiedano un’istruzione non sommaria, con

ordinanza non impugnabile converte il rito e fissa l’udienza di cui all’art. 183

c.p.c.

Affinché il giudice possa effettuare la valutazione che la legge gli

richiede, ovvero verificare se la controversia posta alla sua attenzione sia

semplice - per oggetto della lite o perchè necessitano di un’attività istruttoria

limitata - è necessario che sia stato delineato dalle parti l’oggetto del

processo e l’attività istruttoria richiesta.

In assenza di indicazione normativa, non essendo previsto che il ricorso e

la comparsa di costituzione indichino a pena di decadenza i fatti posti a

fondamento delle domande, difese ed eccezioni e neppure i relativi mezzi di

prova, deve ritenersi che il thema decidendum trovi una sua definizione, di

regola, in prima udienza, con l’adozione da parte del giudice di eventuali

decisioni sulle questioni preliminari e provvedimenti in ordine alle prove

richieste dalle parti.

L’art. 702 ter c.p.c. invero non specifica neppure quando si delimita il

thema probandum, tanto che in dottrina ed in giurisprudenza le opinioni non potendo il giudizio sulla non ammissibilità essere conseguente alla ritenuta irrilevanza della prova

in relazione al "thema decidendum". (Cass., sez. I, 15/6/2000, n. 8164). 102

Cass. sez. lav., 8/1/2003, n. 87; Cass. sez. III, 20/2/1998, n. 1783. 103

Ho trattato più approfonditamente il rito sommario di cognizione nella relazione Il nuovo

procedimento sommario di cognizione come modalità accelleratoria di gestione del processo, per

l’Ufficio incontri di Studio del CSM in relazione ad un corso tenutosi a Roma il 6-10/9/2010.

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sono unanimi e questo principalmente proprio perché gli sbarramenti al

potere delle parti di modificare domande, eccezioni, articolare prove non

sono formali ma esclusivamente funzionali alla decisione che il giudice

adotterà all’udienza e che potrebbe essere immediata.

Parte degli interpreti104

, e con essi il protocollo adottato dal tribunale di

Modena, ritiene compatibile con le caratteristiche del procedimento la

concessione alle parti di termini per richieste istruttorie e per difese scritte,

quand’anche in misura limitata.

Altra parte della dottrina105

, condivisa dal protocollo del tribunale di Roma

e Verona, più cautamente, ritiene che le parti debbano formulare tutte le

proprie istanze, anche istruttorie, negli atti introduttivi o nella prima udienza,

e questo proprio nel rispetto della sommarietà dell’istruzione, che tale deve

risultare già sulla base degli atti valutabili dal giudice in limine litis.

L’opportunità di un’articolazione delle prove sin dagli atti introduttivi è

infatti correlata funzionalmente alla necessità del giudice di essere posto

nella condizione, quanto meno all’udienza, di valutare se mantenere il

procedimento nell’ambito del rito sommario prescelto dall’attore o disporre

la conversione in rito ordinario106

.

104

Menchini, L’ultima “idea” del legislatore per accelerare i tempi della tutela dichiarativa dei

diritti:il processo sommario di cognizione, in www.judicium.it, 2; Ferri, Il procedimento sommario

di cognizione, in Riv.trim.dir. e proc.civ., 2010, I, 98. 105

Olivieri, Il procedimento sommario di cognizione (primissime brevi note), in www.judicium.it.,

3 e Mondini, Il nuovo giudizio sommario di cognizione. Ambito di applicazione e struttura del

procedimento, in www.judicium.it, 5, per i quali la prima udienza segna il limite per la definizione

del thema decidendum e del thema probandum. 106

Queste considerazioni sono già state svolte in giurisprudenza dal Tribunale di Varese

(ord.18/11/2009 – Est. Buffone, in Giur.merito, 2010, 2, 406) ove si rileva che “se il giudice deve

decidere sulle sorti del sommario alla prima udienza (fissata ex art. 702 bis, comma III, c.p.c.), ciò

vuol dire che la piattaforma probatoria deve essersi per tale momento processuale già stabilizzata,

quanto fa ritenere che la natura fisiologica del rito e la sua auspicata celerità impongano alle parti

di individuare il thema probandum già negli scritti introduttivi del giudizio, seppur nelle forme

snelle del sommario e, dunque, senza le solennità tipiche del giudizio ordinario (ad es.,

articolazione dei capitoli per i testi). Si vuol dire che l’ultimo momento utile per delimitare il

ventaglio delle richieste istruttorie è l’udienza di prima comparizione, ove le parti possono

specificare le prove già richieste nei propri atti o formulare istanza per quelle determinate

dall’altrui difesa; si può dubitare circa l’articolazione – solo all’udienza di prima comparizione - di

“nuove prove” dirette, diverse da quelle già previste negli atti introduttivi, atteso che il sommario,

se è snello nell’istruzione, è formale e procedimentalizzato nell’introduzione. E, però, ragioni di

ordine sistematico e di coerenza con il rito, impongono di ritenere che le parti possono formulare

richieste istruttorie sino alla pronuncia del giudice in ordine alla decidibilità della controversia con

le forme del sommario (art. 702 ter, comma V, c.p.c.) e, dunque, sino all’ordinanza che provvede

sulle richieste di prova indicando gli atti di istruzione ritenuti rilevanti. Oltre tale sbarramento, alle

parti non è consentito dedurre nuovi mezzi di prova poiché si incorrerebbe nel rischio di favorire

atteggiamenti difensivi secundum eventum litis, ovvero meramente orientanti a provocare una

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Definito anche il thema probandum il giudice è chiamato a valutare se

l’istruttoria da compiersi per la decisione della causa sia compatibile con il

rito sommario.

Nell’elaborare questa valutazione il giudice dovrà tener conto dell’oggetto

delle domande delle parti, del sistema difensivo adottato, della semplicità

della controversia, delle istanze istruttorie formulate107

.

E’ discussa in dottrina l’applicabilità dell’istituto della non contestazione

(art. 115 c.p.c.), al fine di consentire al giudice di escludere dall’attività

istruttoria i fatti non contestati dal convenuto, e quindi di valutare istruibile

con procedimento sommario un giudizio che, in ipotesi di contestazione,

richiederebbe una complessa attività istruttoria. Se da un lato il principio

appare a taluni applicabile per regola generale108

, altri109

ne escludono

conversione del rito ove al percorso scelto dal giudice per l’istruzione del sommario si ritenga di

preferire il procedimento ordinario. Resta salvo il potere di provvedere a nuovi mezzi di prova ex

officio, anche su impulso delle parti, dopo o durante l’istruzione probatoria, ove il giudice lo

ritenga necessario, ma senza che possa più provvedersi alla conversione del rito”. 107

Tribunale di Mondovì (ord. 5/11/2009 – Est. Demarchi, in F.it., 2009, I, 3506.) ove il giudice

sostiene “che la non sommarietà dell’istruzione debba valutarsi non tanto con riferimento

all’oggetto della domanda, quanto, piuttosto, in relazione alle prove necessarie per la decisione,

sulla base delle difese assunte dalle parti. Questa affermazione si giustifica con la considerazione

che ai fini del rito in esame le cause non devono essere divise tra cause oggettivamente complesse

e cause semplici, ma tra cause in cui l’istruttoria può essere complessa e lunga ed altre cause in cui

l’istruttoria può essere condotta in modo deformalizzato e con rapidità. La differenza tra le due

tipologie può dipendere dalla natura della lite (che non richiede accertamenti in fatto, o li richiede

in misura limitata), ovvero, spesso, dalle posizioni assunte dalle parti, dal momento che esse

determinano la quantità e la qualità di domande ed eccezioni (che vanno ad integrare il thema

decidendum) e, soprattutto, la quantità di istruttoria necessaria, attraverso le contestazioni o meno

dei fatti allegati dalla controparte107

. Poiché nel giudizio civile opera il principio di disponibilità

della prova, è attraverso le difese delle parti che si può accrescere o diminuire il carico istruttorio

della causa, cosicché anche una causa teoricamente complessa – quale può essere una causa di

responsabilità professionale o, come nel caso di specie, un’azione revocatoria – può essere decisa

senza fare luogo ad un’istruttoria lunga e “formale”. Nel caso in esame, la causa ha prevalente

natura documentale e necessita esclusivamente di ctu sul valore dell’immobile, che può essere

eseguita con rapidità e senza necessità di complessi accertamenti”. Analoghe considerazioni con

riguardo alla necessità di non avere a riferimento l’oggetto della domanda ma le prove necessarie

per la decisione con riguardo alle difese svolte dalle parti per valutare l’idoneità della causa ad una

istruzione non sommaria si rinvengono in Tribunale di Torino, ord.11/2/2010, in

www.altalex.com. 108

Il giudice deve astenersi da ogni controllo probatorio dei fatti non contestati che deve valutare

sussistenti, in quanto sono proprio le scelte difensive delle parti che estromettono i fatti non

contestati dal thema probandum (Cass.8/4/2004 n.6939, Cass.25/5/2004 n.10031). Per un

approfondimento sul punto si veda M.Fabiani, Il nuovo volto della trattazione e dell’istruttoria, in

Corriere Giuridico 1/2009, 9 e ss.; Basilico, Il procedimento sommario di cognizione, in

www.treccani.it, 5; Bove, Il procedimento sommario di cognizione di cui agli articoli 702 bis ss.

c.p.c., in www.judicium.it, 5; Ferri, Il procedimento sommario cit., 99; Mondini, Il nuovo giudizio

sommario cit., 8; in giurisprudenza Trib.Mondovì 5/11/2009 in F.it., 2009, I, 3506.

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l’operatività per assenza, nel procedimento sommario, di un’udienza di

trattazione entro cui contestare, a pena di decadenza, i fatti dedotti

dall’attore.

Quanto all’attività istruttoria ammissibile nel rito sommario, ai sensi

dell’’art. 702 ter V co. c.p.c. se il giudice ritiene la propria competenza,

l’ammissibilità della domanda e valuta che la causa richieda un’istruzione

sommaria, “sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al

contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di

istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto…”.

La norma riproduce quasi esattamente l’art. 669 sexies c.p.c., ma attesi i

presupposti completamente diversi del rito sommario rispetto al

procedimento cautelare, alle espressioni utilizzate non può essere attribuito lo

stesso significato che assume nella sede originaria.

Si discute quindi tra gli interpreti circa il modo in cui deve essere condotta

nel procedimento sommario l’attività istruttoria, dovendo essere omessa ogni

“formalità non essenziale”:

Parte della dottrina afferma che l’espressione generica scelta dal

legislatore consente l’utilizzabilità di prove atipiche o atipicamente

assunte110

, nonché l’acquisizione di prove documentali anche in assenza

dell’istanza di parte prevista dall’art. 210 c.p.c..

Altra parte della dottrina111

, maggiormente condivisibile, sottolinea che il

109

Acierno, Il nuovo procedimento sommario: le prime questioni applicative, in Corr.giur., 2010,

514; Olivieri, Il procedimento sommario cit., 3, il quale non ritiene che il principio di non

contestazione possa operare al di fuori del procedimento a cognizione piena. 110

Concorda con la sussistenza di una discrezionalità dell’ufficio circa la determinazione delle

attività da compiere e delle modalità di esecuzione delle stesse Menchini, L’ultima “idea” cit., 2.

Nello stesso senso è il protocollo del Tribunale di Modena. 111

In merito Consolo, La legge di riforma 18 giugno 2009 n.69: altri profili significativi a prima

lettura, in Corr.giur., 2009, 885; Balena, Il procedimento sommario di cognizione, in Foro it.,

2009, V, 330; Acierno, Il nuovo procedimento cit., 513; Basilico, Il procedimento sommario cit..,

8; Dittrich, Il Nuovo procedimento sommario di cognizione, in www.judicium.it, 5. Osserva

M.Fabiani, Le prove nei processi dichiarativi semplificati, in www.judicium.it e in Riv.trim.d.ir e

proc. civ., 2010, II ., 7 “ …E’ proprio il procedimento di formazione della prova che si connota

per l’atipicità; ma sia chiaro che: i) le modalità con cui si attua la deformalizzazione non possono

snaturare il mezzo di prova; ii) il mezzo deformalizzato non può trasformarsi in un mezzo illecito.

L’opzione per un processo deformalizzato sembra rimandare al principio della libertà delle forme,

ma occorre pur sempre considerare che nel nostro sistema le forme esprimono sostanza quanto ad

assetto finalistico; infatti le forme “libere” reggono se organizzate per conseguire un ben

determinato scopo”.Ed ancora a pag.8, che “Il rapporto fra poteri delle parti e poteri del giudice

deve rimanere equilibrato; nessuna fuga in avanti verso l’inesplorato terreno della verità materiale,

ma al contempo nessuna censura in ordine alla scelta di sdrammatizzare lo schematismo delle

forme necessarie. Se un uso accorto di poteri istruttori officiosi, nei rigorosi limiti dei fatti allegati

dalle parti, non è tale da pregiudicare la posizione di terzietà del giudice, è ragionevole che il

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principio dispositivo non è derogato nel procedimento sommario e i poteri

istruttori officiosi sono quelli e solo quelli previsti per il rito ordinario. Il

giudizio sommario è volto all’accertamento pieno della verità, ma con

strumenti semplificati, per cui la qualità della cognizione non deve essere né

inferiore a quella prevista per il giudizio ordinario di cognizione, né

superficiale. La possibilità di derogare le regole ordinarie dell’istruzione

probatoria non riguarderebbe quindi la tipologia di atti di istruzione ma le

modalità di acquisizione dei singoli mezzi di prova112

.

giudice non modifichi il proprio atteggiamento di neutralità solo perché può muoversi, con una

metafora sportiva, fra i paletti da slalom gigante anziché da slalom speciale”. Ed ancora Bina, Il

procedimento sommario di cognizione, in Riv.trim.dir. e proc. civ., I, 126, il quale puntualizza che

“i due modelli procedimentali (ordinario, sommario) tra i quali il giudice deve decidere si

differenziano, pertanto, non in relazione all’oggetto della prova o all’estensione ed alla qualità del

thema probandum, ma solamente per le modalità di assunzione delle prove”. Nello stesso senso è

il protocollo del Tribunale di Verona. 112

In giurisprudenza, il Tribunale di Mondovì, nell’ ordinanza già citata del 5 novembre 2009

dichiara l’inammissibilità delle prove orali in assenza di idonea capitolazione delle circostanze di

fatto di cui chiede l’accertamento e dell’indicazione nominativa dei testimoni. Osserva il

giudicante che “Quanto alle prove orali dedotte, esse si palesano inammissibili, per i seguenti

motivi: l'attore non ha provveduto né ad idonea capitolazione delle circostanze di fatto di cui

chiede l'accertamento, né all'indicazione nominativa dei testimoni. L’art. 702-bis c.p.c., mediante

il rinvio all’art. 163 n. 5 c.p.c., richiede anche nel procedimento sommario di cognizione

l’indicazione specifica dei mezzi di prova, il che non significa che l’attore può limitarsi ad una

generica indicazione del mezzo di prova richiesto (prova testimoniale, giuramento, …), ma deve

invece specificarlo, delimitandone l’oggetto e indicando le persone che devono compierlo”.