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n ° 1-2 Rassegna di dottrina e giurisprudenza a cura dell’Ordine degli Avvocati di Roma ANNO LXII GENNAIO – GIUGNO 2014

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n° 1-2 Rassegna di dottrina e giurisprudenzaa cura dell’Ordine degli Avvocati di Roma

ANNO LXIIGENNAIO – GIUGNO 2014

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n° 1-2 Rassegna di dottrina e giurisprudenzaa cura dell’Ordine degli Avvocati di Roma

Direttore Responsabile: Mauro VAGLIO

Direttore Scientifico: Alessandro CASSIANICapo Redattore: Samantha LUPONIO

Comitato Scientifico:Paola BALDUCCI, Antonio BRIGUGLIO, Luigi CANCRINI,

Pierpaolo DELL’ANNO, Antonio FIORELLA, Giovanni Maria FLICKGiorgio LOMBARDI, Carlo MARTUCCELLI, Ugo PETRONIO

Eugenio PICOZZA, Giulio PROSPERETTI, Giorgio SPANGHERAlfonso STILE, Federico TEDESCHINI, Roberta TISCINI,

Giancarlo UMANI RONCHI, Romano VACCARELLA

Comitato di Redazione:Mauro VAGLIO, Pietro DI TOSTO, Antonino GALLETTI

Riccardo BOLOGNESI, Fabrizio BRUNI, Antonio CAIAFAAlessandro CASSIANI, Domenico CONDELLO, Antonio CONTE

Mauro MAZZONI, Aldo MINGHELLI, Roberto NICODEMIMatteo SANTINI, Mario SCIALLA, Isabella Maria STOPPANI

Coordinatori:Antonio ANDREOZZI, Andrea BARONE, Camilla BENEDUCE

Domenico BENINCASA, Marina BINDA, Ersi BOZEKHUFrancesco CASALE, Francesco CIANI, Benedetto CIMINO, Irma CONTI

Antonio CORDASCO, Alessandro CRASTA, Carmelita DE FINISAnnalisa DI GIOVANNI, Ruggero FRASCAROLI, Maria Vittoria FERRONI

Fabrizio GALLUZZO, Alessandro GENTILONI SILVERI, Mario LANAPaola LICCI, Andrea LONGO, Giuseppe MARAZZITA, Franco MARCONIAlessandra MARI, Gabriella MAZZEI, Arturo MEGLIO, Chiara PACIFICI

Ginevra PAOLETTI, Chiara PETRILLO, Tommaso PIETROCARLOAurelio RICHICHI, Sabrina RONDINELLI, Serafino RUSCICA

Marco Valerio SANTONOCITO, Massimiliano SILVETTI, Luciano TAMBURROFederico TELA, Antonio TESTA, Federica UMANI RONCHI, Clara VENETO

Segretario di redazione: Natale ESPOSITO

Progetto grafico: Alessandra GUGLIELMETTIDisegno di copertina: Rodrigo UGARTE

____________Temi Romana - Autorizzazione Tribunale di Roma n. 320 del 17 luglio 2001 - Direzione, Redazione: P.zza Cavour - Palazzo di Giustizia - 00193 Roma

Impaginazione e stampa: Infocarcere scrl - Via C. T. Masala, 42 - 00148 Roma

Passeggiata in libreria

“CODICE DELL’UDIENZA FALLIMENTARE”Antonio Caiafa DIKE GIURIDICA EDITRICE, ROMA

pp. 660, euro 25,00Nell’epoca della “nevrosi” del legislatore si pone all’interprete l’esigenza di avere, perciascuna materia di riferimento, un quadro legislativo chiaro e puntuale delle norme diapplicazione quotidiana. La collana degli Oscar Dike vuole offrire al giurista una serie benordinata di testi legislativi di facile e maneggevole consultazione, arricchita, per le normepiù importanti, dai testi storici delle disposizioni. Per conseguire l’auspicato fine, gli OscarDike sono curati da Maestri indiscussi del diritto italiano e presentano la comodissimaveste del codice tascabile.

“PROCESSO AMMINISTRATIVO E TUTELA CAUTELARE”Maria Vittoria Lumetti CEDAM, ASSAGO

pp. 736, euro 60,00Si tratta della prima opera, dopo l’entrata in vigore del codice processuale

amministrativo, che affronta in maniera sistematica e globale tutta la problematica delprocesso cautelare amministrativo in ogni fase e grado del giudizio, compresi il

processo di ottemperanza, la revocazione, l’accesso, il silenzio, il ricorso straordinarioal Presidente della Repubblica, il giudizio risarcitorio, la sospensione della sentenza

pendente ricorso in Cassazione e in Adunanza plenaria, la rimessione alla Corte digiustizia e alla Corte costituzionale. Il libro, alimentato dalla passione che il processoamministrativo è ancora in grado di suscitare ed arricchito dall’esperienza quotidiananelle aule giudiziarie, si propone di offrire una visuale completa della tutela cautelare

nel processo amministrativo, anche in raffronto con altri processi e alla luce delleinnovazioni recate dal codice e dal diritto comunitario.

“ABUSO SESSUALE SUI MINORI.SCENARI, DINAMICHE, TESTIMONIANZE”Giuliana Olzai ANTIGONE, TORINO

pp. 375, euro 28,00L’orrore degli orrori, quello che nessuno ha voglia di scoprire. L’abuso sessuale suibambini e le bambine è forse l’ultimo tabù rimasto, quello su cui gravano ancora unaforte condanna da parte dell’opinione pubblica e una pesante sanzione di mass media erappresentanti politici. Su questo reato odioso cerca di far luce il volume di GiulianaOlzai, laureata in Statistica e specializzata in Metodi e tecniche per la ricerca sociale,che ha analizzato i 288 procedimenti giudiziari del Tribunale penale di Roma nelquadriennio 2000-2003 riguardanti proprio gli abusi sui minori di 14 anni.Con un lavoro accurato, l’autrice ha seguito i percorsi processuali delle denunce, haripercorso l’iter giudiziario compiuto dalle vittime che denunciano una violenza,perpetrata quasi sempre da persone che conoscono bene, con le quali hanno spesso unlegame affettivo. Un’analisi che cerca di aiutare il lettore a comprendere come questostretto legame fra vittima e carnefice abbia un effetto diretto sull’invasività e la gravitàdegli abusi, sulla ripetizione delle violenze così come sul tempo che trascorre primache il bambino o la bambina abbia il coraggio di denunciare.

“MANUALE PRATICO DEI MARCHI E BREVETTI” (CON CD ROM)Andrea Sirotti Gaudenzi MAGGIOLI EDITORE, SANTARCANGELO DI ROMAGNA

pp. 666, euro 74,00L’opera, aggiornata al D.L. 1/2012 convertito con modifiche in L. 27/2012 che modifica il codice dellaproprietà industriale (D.Lgs. 30/2005) e alla recente giurisprudenza, caratterizzata da un’impostazione

sistematica degli argomenti, ripercorre con taglio agile tutti i principali temi legati alla proprietàindustriale, offrendo all’operatore tutti i necessari strumenti pratici. Il testo è suddiviso in sette parti

con i rispettivi capitoli e paragrafi che analizzano in modo completo ed esaustivo le materie di“marchi, segni distintivi e brevetti per invenzioni e modelli”.

In libreria

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1Temi Romana

Sommario

2 PIERO CALAMANDREI: LA STORIAA cura della Redazione

4 SAGGII delitti di criminalità organizzata e il c.d. regime del doppio binario nella sua articolazione penale, investigativo-processuale e del trattamento penitenziario previsto nei confronti dei soggetti detenuti per tali fattispecie di reatoIole Falco

11 La duttilità della fase cautelare: intrecci, compressione, ampliamento e conversione in altri riti. Alla ricerca della fase di merito nella costellazione dei segmenti cautelariMaria Vittoria Lumetti

24 L’ascolto del minore: dovere del giudice e diritto del figlio. Riferimenti normativiSamantha Luponio

29 Il fenomeno del pentitismo nella prospettiva criminologica integrataGiovanni Neri

35 Competenza legislativa concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica e vincolidi riequilibrio finanziari anche nei confronti delle Regioni a statuto speciale: ultime pronunce in tema della Corte costituzionale e prospettive di riformaMaria Giulia Putaturo Donati

43 Criteri d’individuazione del titolare della qualifica soggettiva nell’ambito delle organizzazionicomplesse e operatività della delega di funzioni, con particolare riferimento, alla responsabilitàdi Amministratori e Sindaci di società - Parte I - Delega di funzioni, teorie e criteri Francesca Zignani

52 OSSERVATORIO LEGISLATIVOSulla non equivalenza del credito per retribuzioni e quello di regresso per t.f.r.Antonio Caiafa

59 La disciplina del contratto a termine dopo il decreto Poletti e la legge di conversioneAndrea Lutri

62 NOTE A SENTENZALa depenalizzazione della colpa lieve nell’attività medico-chirurgicaRoberta Mencarelli

67 Quando il potere diventa arbitrioAngelo Miele

69 CRONACHE E ATTUALITÀL’Avvocatura Pubblica quale strumento per la realizzazione dei principi di legalità,economicità, efficacia ed efficienza dell’attività amministrativaStefania Ricci

74 La mediazione in Europa e in ItaliaGiorgio Santacroce

n°1-2Rassegna di dottrina e giurisprudenzaa cura dell’Ordine degli Avvocati di Roma

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2 Temi Romana

Piero Calamandrei: la storia

A cura della Redazione

Piero Calamandrei nasce a Firenze il 21 aprile1889, città dove muore il 27 settembre 1956. Diantica famiglia di giuristi (suo padre, professore e

avvocato, era stato anche deputato repubblicano) si lau-rea a Pisa nel 1912.Nel 1915 è già docente di procedura civile all’Univer-sità di Messina e, se si esclude la parentesi della primaguerra mondiale (dove partecipò come ufficiale volon-tario combattente nel 218° reggimento di fanteria, con-seguendo dapprima il grado di Capitano e, successiva-mente, la promozione a Tenente Colonnello) ha sempreinsegnato: Modena (1918), Siena (1920) e, dal 1924sino ai suoi ultimi giorni, nell’Ateneo fiorentino (di cuifu anche Rettore) come Professore ordinario di Dirittoprocessuale civile.Subito dopo l’avvento del fascismo fece parte delConsiglio direttivo dell’«Unione Nazionale», fondata daGiovanni Amendola. Durante il ventennio fascista fu unodei pochi professori che non ebbe né chiese la tessera, con-tinuando sempre a far parte di movimenti clandestini.Collaborò a «Non mollare», nel 1941 aderì a «Giustizia eLibertà» e, nel 1942, fu tra i fondatori del Partito d’Azione.Dopo l’8 settembre fu colpito da mandato di cattura.Assieme a Francesco Carnelutti e a Enrico Redenti fuuno dei principali ispiratori del Codice di proceduracivile del 1940, dove trovarono formulazione legislati-va gli insegnamenti fondamentali della scuola diChiovenda. Si dimise da professore universitario pernon sottoscrivere una lettera di sottomissione al«Duce» che gli veniva richiesta dal Rettore del tempo.Presidente del Consiglio Nazionale Forense dal 1946alla morte, fece parte della Consulta Nazionale e dellaCostituente in rappresentanza del Partito d’Azione.Partecipò attivamente ai lavori parlamentari come com-ponente della Giunta delle elezioni della commissioned’inchiesta e della Commissione per la Costituzione. I suoi interventi nei dibattiti dell’assemblea ebberolarga risonanza, specialmente quelli sul piano generaledella Costituzione, sugli accordi lateranensi, sullaindissolubilità del matrimonio, sul potere giudiziario.Celebre il discorso tenuto il 4 marzo 1947 sulla “chia-rezza” nella Costituzione, esortazione (a volte spirito-sa, a volte accorata o solenne) a costruire un testo giu-ridicamente limpido quale strumento effettivo di demo-crazia. Un documento che ci riporta a un altroCalamandrei: non il paladino della piena attuazionedella nostra legge fondamentale ma il giurista di rango,capace di coglierne in statu nascenti tutte le incon-

gruenze e le possibili debolezze future. Una lezione dimetodo democratico e di passione civile che non haperso la sua straordinaria carica ideale. Così disseCalamandrei: “È un po’ successo, agli articoli di questaCostituzione, quello che si dice avvenisse a quel liber-tino di mezza età, che aveva i capelli grigi ed aveva dueamanti, una giovane e una vecchia: la giovane gli strap-pava i capelli bianchi e la vecchia gli strappava i capel-li neri; e lui rimase calvo. Nella Costituzione ci sonopurtroppo alcuni articoli che sono rimasti calvi”. Nel 1948 fu deputato per «Unità socialista». Nel 1953prese parte alla fondazione del movimento di «Unitàpopolare» assieme a Ferruccio Parri, TristanoCodignola e altri.Fondatore nel 1945 del settimanale politico-letterario IlPonte, che diresse per dodici anni, Piero Calamandreifu anche direttore con Carnelutti della Rivista di dirittoprocessuale, con Finzi, Lessona e Paoli della rivista IlForo toscano, con Alessandro Levi del Commentariosistematico della Costituzione italiana, Accademiconazionale dei Lincei e direttore dell’Istituto di dirittoprocessuale comparato dell’Università di Firenze.Molto apprezzato dai cultori del Diritto, il suo Elogio deigiudici scritto da un avvocato e, memorabile per effica-cia, l’epigrafe dettata da Calamandrei per la Lapide adignominia, che il Comune di Cuneo ha dedicato al gene-rale nazista, criminale di guerra, Albert Kesselring.

ALCUNI DEI SUOI TESTI

Non c’è libertà senza legalità“La legalità è condizione di libertà. Senza certezza deldiritto non può sussistere libertà politica”. Di fronte allo“spaventoso caos di un mondo in rovina”, nel terribileinverno tra il 1943 e il 1944, Piero Calamandrei com-prese come ogni speranza di “duratura rinascita” nonpoteva non fare affidamento sul ripristino del principiodi legalità a “metodo di governo”. Se il fascismo erastato il regime dell’illegalità dispiegata, una legalitàrepubblicana non soltanto doveva essere consideratacome fondamento essenziale della libertà, ma dovevaanche essere “una legalità che può modificare tutte leleggi meno quelle poste a priori come condizioni neces-sarie per il rispetto della libertà”. “La libertà di culto, distampa, di pensiero, di riunione, la uguaglianza dei cit-tadini nonostante ogni diversità di razza o di religione,sono considerate come estrinsecazioni insopprimibili

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della personalità umana, che non si potrebbero meno-mare senza per questo sopprimere la libertà. Le leggipossono far tutto meno che sopprimere questi dirittiintangibili: il liberalismo si può dunque considerare unregime di legalità entro le barriere dei diritti di libertà”.

Il fascismo come regime della menzognaIn questa opera Calamandrei redige un bilancio delventennio all’indomani della Liberazione, un inno allalibertà ritrovata, un’analisi a caldo del regime in cui“Bisogna fare di tutto perché quella intossicazionevischiosa non ci riafferri: bisogna tenerla d’occhio,imparare a riconoscerla in tutti i suoi travestimenti. Inquel ventennio c’è ancora il nostro specchio. Solo guar-dando ogni tanto in quello specchio possiamo accorger-ci che la guerra di Liberazione, nel profondo dellecoscienze, non è ancora terminata”.

Elogio dei giudici scritto da un avvocatoPrincipi processuali, aneddoti, ambiente e vita giudi-ziaria si trovano in questo nobile libro di PieroCalamandrei. Come in un caleidoscopio, incalzanovivide scenette. Attualissime discussioni si accendonotra fautori del collegio e fautori del giudice unico.Seguono considerazioni dissacranti, secondo cui,molte volte, il cliente dovrebbe ringraziare della vitto-ria non il proprio ma l’avvocato dell’avversario.Intercalati, compaiono ritrattini di giudici fin troppoassorti nel proprio magistero, tanto da ignorare la vita-le realtà che tumultua (magari a sproposito) fuori dallacamera di consiglio.

CITAZIONI

Al giudice occorre più coraggio ad essere giusto appa-

rendo ingiusto, che ad essere ingiusto apparendo giusto.“La legge è uguale per tutti” è una bella frase che rin-cuora il povero, quando la vede scritta sopra le teste deigiudici, sulla parete di fondo delle aule giudiziarie; maquando si accorge che, per invocar la uguaglianza dellalegge a sua difesa, è indispensabile l’aiuto di quella ric-chezza che egli non ha, allora quella frase gli sembrauna beffa alla sua miseria.

Dietro ogni articolo della Costituzione, o giovani, voidovete vedere giovani come voi che hanno dato la vitaperché la libertà e la giustizia potessero essere scrit-te su questa Carta.

L’avvocato che si lagna di non essere capito dal giudi-ce, biasima non il giudice, ma sé stesso. Il giudice nonha il dovere di capire: è l’avvocato che ha il dovere difarsi capire.

Proprio per questo dovrebbero essere i giudici i piùstrenui difensori dell’avvocatura: poiché solo là dovegli avvocati sono indipendenti, i giudici possono esse-re imparziali; solo là dove gli avvocati sono rispettati,sono onorati i giudici; e dove si scredita l’avvocatura,colpita per prima è la dignità dei magistrati, e resaassai più difficile ed angosciosa la loro missione digiustizia.

Per trovar la giustizia bisogna esserle fedeli: essa, cometutte le divinità, si manifesta soltanto a chi ci crede.

La nobile passione dell’avvocato dev’essere in ognicaso consapevole e ragionante: avere i nervi così solidida saper rispondere alla offesa con un sorriso amabile,e da ringraziare con un garbato inchino il presidenteburbanzoso che ti toglie la parola.

3Temi Romana

Piero Calamandrei: la storia

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4 Temi Romana

Saggi

Il nostro ordinamento giuridico non fornisce unaprecisa nozione di criminalità organizzata e, alcontempo, non individua specifiche fattispecie

configurabili appunto quali “delitti di criminalità orga-nizzata”. Pertanto, il concetto di criminalità organizzata, pur pre-standosi a svariate e disparate letture, può comunemen-te identificarsi – in una chiave dai marcati connotatisociocriminologici – con l’attività di quelle associazio-ni criminali contraddistinte da strutture organizzativeparticolarmente complesse e sofisticate, in cui è propriol’elemento dell’“organizzazione” ad assumere un ruolopreminente ed autonomo rispetto ai singoli associati. Ne consegue che si considerano delitti di criminalitàorganizzata tutti quei reati posti in essere da una plura-lità di soggetti che operano attraverso un’articolata reteorganizzativa, al fine di perseguire uno specifico pro-gramma criminoso, in grado di suscitare un particolareallarme sociale.Nell’attuale situazione normativa è possibile individua-re due serie principali di delitti: quella contenuta nelcomma 3 bis dell’art. 51 c.p.p. e quella risultante dal-l’art. 407 co. 2 lett. a c.p.p..In particolare, la norma da ultimo citata – in tema ditermini massimi di durata delle indagini – comprendeun gruppo molto vasto ed eterogeneo di norme incrimi-natrici. In essa si annoverano, infatti, taluni delitti obiettiva-mente collegati a strutture associative e talaltri reati chenon presuppongono necessariamente il substrato diun’organizzazione criminale. La seconda elencazione

di delitti è quella prevista dal comma 3 bis dell’art. 51c.p.p., introdotto dalla L. 306/92 e funzionale all’indi-viduazione dei c.d. “reati distrettuali” (cioè i delitti lecui indagini sono attribuite alle Direzioni DistrettualiAntimafia). Ciò premesso, non stupisce che il catalogo in esamecontenga, per prima cosa, i delitti tipicamente connessialla criminalità organizzata e cioè il reato di cui all’art.416 bis e i delitti commessi avvalendosi delle condizio-ni previste dalla predetta norma ovvero al fine di age-volare l’attività delle associazioni previste dal medesi-mo art. 416 bis c.p..Tale fattispecie di reato, introdotta dalla L. 646/82 c.d.legge Rognoni-La Torre, spicca all’interno dei reatiassociativi, in quanto rappresenta il fulcro sistematicodi un reticolato di disposizioni di diritto penale specia-le finalizzate alla lotta contro il fenomeno della crimi-nalità organizzata.La previsione contenuta nella legge Rognoni-La Torreè, infatti, una fondamentale chiave di volta dell’interosistema di contrasto alle compagini criminali e meritaattenta lettura soprattutto quando focalizza il nucleo diantistatualità della condotta del reato nel far parte dellaassociazione organizzata in una struttura stabile, al finedi avvalersi dell’accordo associativo e di utilizzare laforza di intimidazione derivante da tale vincolo pertrarre vantaggio dalla condizione di assoggettamento edi omertà, diffuse nel territorio, con il fine di commet-tere ulteriori delitti ed acquisire utilità non solo econo-miche ma delle più varie tipologie.Le vicende legate ai fatti di criminalità organizzata

I delitti di criminalità organizzata e il c.d. regimedel doppio binario nella sua articolazione penale,investigativo-processuale e del trattamento penitenziarioprevisto nei confronti dei soggetti detenutiper tali fattispecie di reatoIole FalcoCommissario di Polizia Penitenziaria

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5Temi Romana

Saggi

hanno influenzato massicciamente l’attività legislativain materia di giustizia e sicurezza, dando vita ad unaserie di norme e di interventi imposti dall’emergenza.Il quadro normativo che ne è venuto fuori, insieme allaframmentarietà delle disposizioni di legge contro la cri-minalità organizzata, si caratterizza per la scelta diffe-renziata, all’interno del sistema, tra fattispecie di crimi-nalità comune e reati commessi nel contesto di organiz-zazioni criminali.Va però detto che la disciplina presente nell’attualesistema penale, investigativo-processuale e penitenzia-rio impone l’adozione in via stabile e permanente di unsistema di c.d. doppio binario, volto a coniugare le esi-genze di difesa sociale con la necessità di assicurare leadeguate garanzie degne di un moderno stato di diritto.In relazione al profilo del trattamento penale differen-ziato il legislatore, in piena attuazione del regime deldoppio binario, ha previsto a carico di chi commettedelitti tipici di criminalità organizzata uno specialesistema di circostanze aggravanti tra le quali assumeparticolare rilievo l’aggravante speciale di cui all’art. 7del D.L. 152/91 che risulta applicabile quando un delit-to, punito con una pena diversa dall’ergastolo, sia com-piuto avvalendosi delle condizioni previste dall’art.416 bis c.p. o al fine di agevolare l’associazione di cuiallo stesso articolo e causa un aumento della pena pre-vista per quel delitto da un terzo alla metà.La ratio di tale disposizione è, essenzialmente, quelladi contrastare in maniera più decisa, stante la loro mag-giore pericolosità e determinazione criminosa, gliatteggiamenti di coloro che partecipi o meno in reatiassociativi, ostentino in maniera evidente e provocato-ria una condotta idonea ad esercitare sui soggetti passi-vi quella particolare coartazione e quella conseguenteintimidazione propria delle organizzazioni criminali.Da ricordare è, altresì, il comma 6 dell’art. 416 c.p.come modificato dalla recente L. 94/2009 la quale haintrodotto un aggravamento di pena sia per i promoto-ri, costitutori e organizzatori dell’associazione, sia peri partecipi della stessa, non solo nel caso in cui il soda-lizio sia diretto a commettere i delitti di c.d. tratta (artt.600, 601 e 602 c.p.) ma anche quando lo scopo comu-ne sia quello di realizzare fatti di sfruttamento dell’im-migrazione clandestina.Sempre in relazione al profilo del trattamento penalesono, all’inverso, previste speciali diminuzioni di pena

per chi, dopo avere commesso tali fattispecie di reato,decide di dissociarsi e di collaborare con l’Autoritànella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzionedei fatti e l’individuazione dei colpevoli.Sotto il profilo investigativo e processuale, l’insiemedelle deroghe alla disciplina ordinaria ha creato un veroe proprio “sottosistema processuale” volto ad assicura-re un contrasto effettivo alla criminalità organizzata.Innanzitutto la specialità della procedura antimafia siriscontra nella fase preliminare e, in special modo, inquell’insieme di norme finalizzate a modellare l’orga-nizzazione delle indagini alle peculiari modalità investi-gative richieste dal fenomeno del crimine organizzato.L’azione di contrasto del fenomeno mafioso è assicura-ta da organi investigativi specializzati, tra i quali siannoverano i servizi centrali e interprovinciali di poli-zia giudiziaria (art. 12 del D.L. n. 152 del 1991, con-vertito nella legge n. 203 del 1991) e la Direzione inve-stigativa antimafia (art. 3 D.L. n. 345 del 1991). Ma la diversificazione soggettiva più significativa è,sine dubio, quella che ha riguardato l’organizzazionedegli uffici dell’accusa. Invero, con il decreto legge n. 367 del 1991 (poi con-vertito nella legge n. 8 del 1992) intitolato, appunto“Coordinamento delle indagini nei procedimenti perreati di criminalità organizzata” si è differenziata ladisciplina in tema di acquisizione della notizia di reatomediante l’istituzione delle Direzioni DistrettualiAntimafia e della Direzione Nazionale Antimafia, cui èpreposto il Procuratore Nazionale Antimafia.A seguito di tale intervento legislativo, le indagini suireati di cui all’art. 51 comma 3 bis c.p.p. sono concen-trate presso uno speciale ufficio del pubblico ministero,appositamente costituito presso il tribunale del capo-luogo del distretto (le DDA, appunto), in modo da raf-forzare l’unitarietà dell’accusa e annullare la possibili-tà che possa insorgere un contrasto.Alle singole procure distrettuali è stato preposto –secondo una “logica verticale” – un organo istituitonell’ambito della Procura Generale presso la Corte diCassazione: la “Procura Nazionale Antimafia”, cuisono demandate funzioni di impulso dell’attività inve-stigativa, di ricerca e sistemazione delle informazioniattinenti al crimine organizzato (art. 371 bis c.p.p.),nonché di investigazione preventiva come previsto dalc.d. “Decreto sicurezza” del 2008 (D.L. n. 92 del

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6 Temi Romana

Saggi

2008). Sempre con riguardo alle indagini preliminari,la specialità investe altresì la tempistica e i meccanismidi proroga. Ed invero, le esigenze di assicurare la completezza diinvestigazioni complesse e di garantirne la segretezzanei procedimenti per i “delitti di grande criminalità”(art. 407 comma 2 lett. a c.p.p.) hanno portato il legi-slatore a predisporre un secondo gruppo di disposizio-ni derogatorie:- l’art. 407 comma 2 lett. a. c.p.p. che allunga a due

anni la durata massima complessiva delle indaginipreliminari, contro un termine ordinario di diciottomesi;

- l’art. 405 comma 2 c.p.p. che, in maniera analoga,fissa in un anno (il doppio rispetto ai procedimentiper reati “comuni”) il termine entro il quale il pub-blico ministero è normalmente tenuto alla conclu-sione delle indagini preliminari;

- l’art. 406 comma 5 bis c.p.p. che contempla unadisciplina ampiamente derogatoria rispetto al regimeordinario di comunicazioni e avvisi per una serie piùristretta di reati, escludendo, infatti, ogni forma dicontraddittorio con la persona sottoposta alle indagi-ni riguardo alla proroga, perciò definita “coperta”, alfine di salvaguardare gli sviluppi delle attività inve-stigative dai tentativi di depistaggio o inquinamentoche puntualmente si registrano nelle inchieste relati-ve ai delitti di criminalità organizzata;

- l’art. 335 comma 3 c.p.p. che, analogamente, dero-ga al regime ordinario di conoscibilità dell’indaginesancendo la non comunicabilità esterna delle infor-mazioni iscritte nel registro delle notizie di reato.

Continuando la carrellata sugli elementi di specialità, unasignificativa differenziazione si registra anche in relazio-ne alle attività esperibili nell’indagine preliminare.Nei procedimenti di criminalità organizzata è, infatti,incrementata la facoltà di iniziativa, nonché l’incisivitàdei poteri investigativi e coercitivi attribuiti alla poliziagiudiziaria.Si segnala, a tal proposito, la possibilità affidata agliufficiali e agli agenti di p.g. di procedere – nel corso diprocedimenti per la prevenzione e la repressione delreato di cui all’art. 416 bis C.P. e di quelli commessi inrelazione ad esso – a controlli, ispezioni e perquisizio-ni con l’autorizzazione, anche successiva, del pubblicoministero (art. 27, commi 1 e 2, della legge n. 55 del

1990). Altrettanto degno di nota è il potere in capo agliorgani di p.g. di compiere, previo controllo dell’autori-tà giurisdizionale, perquisizioni in interi edifici o bloc-chi di essi attribuito dall’art. 25 bis D.L. n. 306 del1992 per i delitti di cui all’art. 51 comma 3 bis c.p.p. erecentemente esteso nell’ambito del contrasto al terro-rismo internazionale.Ciò consente un allargamento eccezionale dei poteri diricerca degli organi di polizia, qualora ci sia fondatomotivo di sospettare che un latitante o un evaso stia tro-vando riparo in un contesto urbano.Un’ultima menzione, per concludere, si rivolge allapossibilità da parte del pubblico ministero o degli uffi-ciali di polizia appartenenti alle strutture investigativespecializzate di raccogliere, previa autorizzazione, ledichiarazioni dei soggetti detenuti o internati, a finipreventivi o repressivi, attraverso colloqui riservati einformali, per i quali non è nemmeno prevista la pre-senza del difensore (art. 18 bis legge n. 354/75, intro-dotto dalla legge n. 306 del 1992). Nella dissertazione sulla specialità degli strumentiinvestigativi, le intercettazioni meritano uno spazioautonomo. Infatti, l’art. 13 D.L. n. 152 del 1991 (convertito nellalegge n. 203 del 1991, come modificato, da ultimo, dallalegge n. 63 del 2001) prevede specifici presupposti edifferenti limiti di durata per l’ascolto occulto delle con-versazioni telefoniche e ambientali, in deroga ai para-metri imposti dagli artt. 266 e 267 c.p.p. per la conces-sione di questi invasivi mezzi di ricerca della prova.In particolare, per quanto riguarda la captazione dicomunicazioni telefoniche, si attenua il rigore dei pre-supposti richiesti per l’atto di autorizzazione (il riscon-tro di “sufficienti indizi” di tale tipologia di reato, unparametro meno stringente rispetto a quello ordinariodella “assoluta indispensabilità”, dello strumento “perla continuazione delle indagini”) e si allungano i tempidi durata per le operazioni (quaranta giorni con proro-ga di venti, anziché quindici giorni con proroga dellamedesima durata).Inoltre, ai fini dell’autorizzazione allo svolgimento diintercettazioni di conversazioni “tra presenti” nei luo-ghi indicati dall’art. 614 C.P., non è necessario un fon-dato motivo che al loro interno si stiano svolgendo atti-vità criminose, potendo tale ultima particolare modali-tà di captazione essere ammessa anche “quando si trat-

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ta di agevolare le ricerche di un latitante” (art. 295comma 3 c.p.p.). Per i “delitti distrettuali”, l’art. 226 disp.att. c.p.p. pre-vede, altresì, che la polizia giudiziaria, con un provve-dimento motivato del Procuratore della Repubblica,possa svolgere controlli sulle comunicazioni quandoquesti siano indispensabili per la prevenzione del cri-mine organizzato.Si ricorda, però, che – in quanto strumenti preventivi –i risultati di tali intercettazioni saranno sprovvisti diqualsiasi valore processuale, valendo quindi unicamen-te a giustificare successive attività idonee a costituireautonoma fonte di acquisizione di notizie di reato. Dall’analisi sinora compiuta, si ricava che uno dei trat-ti di specialità più marcati dei procedimenti per fatti dicriminalità organizzata riguarda l’attività di ricerca – inmaniera costante e diretta – della notitia criminis daparte degli organi inquirenti.A questo scopo il legislatore è andato implementandosempre più quello che è stato efficacemente definitocome un “apparato di auto-approvvigionamento diinformazioni” sui sodalizi criminali (dati ambientali,forme organizzative ecc.).Tale apparato si traduce, quindi, in una “super indagi-ne” rivolta a porre le basi conoscitive sull’associazionecriminale, funzionali alla stessa indagine preliminare.In altri termini, si registra la predisposizione di unostrumentario giuridico finalizzato a disciplinare quelle“inchieste preparatorie” favorite dalla stessa fattispeciedel reato di cui all’art. 416 bis c.p..Si tratta, dunque, di una fase che il legislatore qualificacome “preventiva”, per la quale dispone che gli ele-menti raccolti in essa non siano in alcun modo utilizza-bili nel procedimento penale in senso stretto. Un ulteriore profilo di specialità dei procedimenti inesame si registra sul terreno delle misure cautelari. Invero, in materia di compiti cautelari del giudice, vigeun regime differenziato in base al quale, per gli accusa-ti di delitti di criminalità organizzata, si realizza unarretramento del principio di inviolabilità della libertàpersonale e si nota una netta prevalenza del carcererispetto alle altre modalità di custodia.In particolare, l’art. 274 lett. c c.p.p. ammette la possi-bilità di disporre un provvedimento cautelare non soloquando vi sia un pericolo di fuga o di inquinamento delmateriale probatorio, ma anche quando sussista il

rischio che l’indagato torni a commettere determinatidelitti particolarmente efferati, tra cui quelli connessiall’associazionismo criminale.La descritta occorrenza cautelare – definita “esigenzadi tutela della collettività” – è espressione di una logi-ca in cui si confondono le istanze preventive con quel-le direttamente sanzionatorie. Ma la disposizione di cui sopra deve essere letta con-giuntamente a quella prevista dal terzo comma dell’art.275 c.p.p., il quale fissa, per i procedimenti in esame,una presunzione di inadeguatezza delle misure cautela-ri diverse dalla custodia cautelare in carcere, inverten-do in tal modo la regola “ordinaria” del carcere comeextrema ratio.Occorre aggiungere sul punto che il regime specialesopra descritto – nonostante sia caratterizzato da una“presunzione relativa di periculum libertatis” e da una“presunzione assoluta” circa l’adeguatezza del carcere– ha regolarmente superato il vaglio di legittimità daparte della Corte Costituzionale e della Corte europeadei diritti dell’uomo, le quali ne hanno giustificato lasussistenza in ragione delle peculiarità strutturali e cri-minologiche dei delitti per cui è predisposto. La differenziazione sul versante processuale per l’ac-certamento dei reati di criminalità organizzata hariguardato anche la fase dibattimentale.Tra queste norme occorre ricordare quelle che, dal1998 hanno contribuito a disciplinare il c.d. processo“virtuale”.Si tratta, invero, di particolari modalità di formazionedella prova, quali la partecipazione a distanza della per-sona in stato di detenzione (art. 146 bis disp. att. c.p.p.) el’esame delle persone che collaborano con la giustizia odegli imputati di reato connesso (147 bis disp. att. c.p.p.). In particolare, mediante la prima disposizione citata, illegislatore ha predisposto un apposito sistema di colle-gamento audiovisivo per l’esame di una persona che sitrovi in stato di detenzione in carcere e versi in unadelle ipotesi tassative previste dalla norma.Si tratta, quindi, di una disposizione che, limitando glispostamenti dei detenuti, consente di evitare dilatazio-ni dei tempi processuali, in procedimenti già afflittidalle lungaggini del gigantismo processuale e di garan-tire la tutela della sicurezza pubblica, poiché riguarda iltrattamento di detenuti particolarmente pericolosi.Per concludere, è sufficiente ricordare – in questa sede

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– come la specialità dei processi di criminalità organiz-zata sia arrivata a permeare anche il versante del proce-dimento probatorio in senso stretto.Nei procedimenti di criminalità organizzata si riscon-trano, infatti: una peculiare limitazione del diritto allaprova per evitare la c.d. “usura delle fonti” (art. 190 bisc.p.p.); un particolare uso probatorio delle sentenze(art. 238 bis c.p.p.) e un singolare atteggiarsi del mec-canismo di accertamento dell’intimidazione, ai fini delrecupero delle precedenti dichiarazioni (art. 500 commi4 e 5 c.p.p.).Parallelamente al corpus di norme costituenti il regimeprocessuale ed investigativo differenziato per coloroche rispondono dei delitti di criminalità organizzataesistono altri strumenti atti a differenziare sul pianopenitenziario l’attività di contrasto alla criminalitàorganizzata da tutte le altre forme di difesa sociale con-tro il crimine.Nei primi anni ’90 alla recrudescenza della criminalitàorganizzata e, in particolare, ad alcuni feroci attacchialle istituzioni lo Stato rispose, in materia penitenziaria,attraverso l’introduzione di un vero e proprio “doppiobinario trattamentale”: da un lato i condannati ordinari,nei cui confronti continua ad essere prevalente la fina-lità specialpreventiva e rieducativa della pena e aiquali, pertanto, è offerto un trattamento penitenziarioed extrapenitenziario funzionale alla risocializzazione;dall’altro lato, i detenuti per i delitti di maggiore allar-me sociale, in relazione ai quali appare necessario raf-forzare le esigenze di prevenzione generale e di neutra-lizzazione.Dal 1991 in poi, infatti, per quest’ultima categoria didetenuti, la possibilità di procedere ad un trattamento ead un regime differenziato per assicurare la sicurezzasia interna degli istituti che pubblica, si è fatta strada indue diverse direzioni: da un lato, attraverso l’individua-zione di un accesso differenziato ai benefici e allemisure alternative, secondo le previsioni introdotte dal-l’art. 4 bis o.p. e, dall’altro, attraverso la sospensione intutto o in parte, per taluni detenuti, delle regole di trat-tamento e degli istituti previsti dalla legge penitenzia-ria, mediante l’introduzione dell’art. 41 bis co. 2 o.p. adopera della legge 356/92.A questa categoria di detenuti, per i quali vige una pre-sunzione assoluta di pericolosità criminale o sociale, èpreclusa o limitata la concessione delle misure alterna-

tive alla detenzione (fatta eccezione per la liberazioneanticipata), dei permessi premio e del lavoro all’ester-no, fruibili solo mediante l’offerta della “collaborazio-ne con la giustizia” qualificata ex art. 58 ter o.p., essen-do questo l’unico modo per dimostrare l’avvenuta rot-tura dei collegamenti con la criminalità organizzatache, altrimenti, si presumono sempre esistenti. Da qui,la necessità, secondo il legislatore, di intervenire nonsolo nel settore delle misure alternative alla detenzione,ma anche in quello del trattamento penitenziario,restringendo al massimo le opportunità di contatto deidetenuti ex art. 4 bis o.p. con l’esterno.Per soddisfare tale esigenza, il legislatore, con legge356/92, ha introdotto nell’art. 41 bis un 2° comma rela-tivo ad un’ipotesi particolare di sospensione delle nor-mali regole trattamentali (sostanzialmente identica allaabrogata disciplina di cui all’art. 90 o.p.).Il provvedimento ministeriale consente l’adozione dimisure in deroga al regime ordinario che comportano lasospensione, nei confronti dei detenuti o internati pertaluno dei delitti di cui al primo periodo del comma 1dell’art. 4 bis o.p. e in relazione ai quali vi siano ele-menti tali da far ritenere la sussistenza di collegamenticon un’organizzazione criminale, terroristica o eversi-va, dell’applicazione delle regole di trattamento e degliistituti che possano porsi in concreto contrasto con leesigenze di ordine e di sicurezza. La formula presente nella versione originaria del 2° co.dell’art. 41 bis o.p. è stata arricchita dalla precisazioneche le restrizioni adottate devono essere necessarie peril soddisfacimento di tali esigenze e per impedire i col-legamenti con l’associazione criminale di appartenenza.La Corte Cost., pur riconoscendo all’amministrazionepenitenziaria il potere di adottare provvedimenti inordine alle modalità di esecuzione della pena, ha speci-ficato, con sentenza n. 349/93, che tali provvedimentirestano comunque soggetti ai limiti e alle garanzie pre-visti dalla Costituzione in ordine al divieto di ogni vio-lenza fisica e morale (art. 13 co. 4 Cost.) o di trattamen-ti contrari al senso di umanità (art. 27 co. 3) ed al dirit-to di difesa (art. 24). Le modifiche apportate dalla legge 94/2009 risponden-do all’intento di spezzare ogni legame tra il carcere e ilmondo esterno, allo scopo di isolare gli appartenenti aorganizzazioni criminali per indebolire la loro posizio-ne, hanno inciso in modo particolarmente pesante sul

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contenuto del provvedimento sospensivo delle regoletrattamentali delineato nel co. 2 quater dell’art. 41 biso.p. La nuova formulazione premette all’elenco dellerestrizioni la precisazione che i soggetti sottoposti alregime in peius sono ristretti all’interno di istituti a loroesclusivamente dedicati, collocati preferibilmente inaree insulari, ovvero comunque all’interno di sezionispeciali e logisticamente separate dal resto dell’istitutoe custoditi da reparti specializzati della polizia peniten-ziaria (il c.d. GOM – Gruppo Operativo Mobile).Prima di analizzare le singole restrizioni è interessanteevidenziare che nel secondo periodo del co. 2 quaterdell’articolato normativo in esame si dice che lasospensione prevede, anziché, come nella versione pre-cedente, può prevedere, volendo in tal modo significa-re che non è possibile modulare il contenuto del decre-to ministeriale in ragione delle esigenze riscontrate nelcaso concreto ma che necessariamente sono impostetutte le limitazione indicate, le quali, dunque, sono rite-nute tutte presuntivamente necessarie, eliminando ognipossibile spazio discrezionale.Per quanto concerne le singole limitazioni elencate nelcomma in esame, occorre rilevare che si tratta dellestesse che già caratterizzavano i decreti ministerialinella vigenza del vecchio co. 2 dell’art. 41 bis o.p. e chesono dirette ad incidere su due fronti: quello dei rappor-ti con il mondo esterno e quello relativo alla vita intra-muraria, determinando un ulteriore inasprimento delregime a seguito dell’intervento legislativo del 2009.Per quanto concerne il primo versante la sospensioneincide sui colloqui con i terzi che sono esclusi, salvocasi eccezionali determinati di volta in volta dal diret-tore (o dall’A.G. procedente per gli imputati), nonchésui colloqui con i familiari ridotti ora ad uno solo men-sile e da svolgersi in locali muniti di vetri divisori e dicitofoni, onde evitare il passaggio di oggetti.I colloqui inoltre possono essere sottoposti a controlloauditivo e a registrazione, previa motivata autorizza-zione dell’A.G. competente, diversamente dunque daquanto previsto dal regime ordinario che all’art. 18 o.p.consente il controllo a vista non auditivo.La sospensione incide, altresì, sulla corrispondenzatelefonica che, tuttavia, può essere autorizzata nellamisura di una telefonata mensile solo nei confronti dicoloro che non effettuano colloqui, purché siano decor-si sei mesi dall’applicazione del 41 bis ed è comunque

sempre sottoposta a registrazione.La volontà di inasprire il regime e soprattutto di rende-re ancora più duro l’isolamento di tali soggetti non harisparmiato neppure i contatti con il difensore.Infatti, tali colloqui sono stati ridotti al numero massi-mo di tre alla settimana, sia che si tratti di colloquidiretti o di conversazioni telefoniche che avranno lastessa durata di quelli con i familiari. Parimenti voltaad incidere sui rapporti con il mondo esterno è la dispo-sizione di cui alla lett. e del comma in esame che con-sente il visto di censura sulla corrispondenza, fattasalva quella con i membri del Parlamento o con autori-tà europee o nazionali aventi competenza in materia digiustizia.Pur non contenendo alcun riferimento all’interventoautorizzativo dell’A.G. si deve ritenere che la prescri-zione di tale lettera abbia efficacia solo a patto cheintervenga l’autorizzazione al visto di controllo daparte dell’A.G. competente.Per quanto concerne le attività che strettamente afferi-scono alla vita in carcere è prevista nella lett. d del co.2 quater l’esclusione dalle rappresentanze dei detenutie degli internati e nella lettera f la permanenza all’ariaaperta ridotta, a seguito dell’intervento del 2009, daquattro a due ore e in gruppi che non possono esserecomposti da più di quattro persone.Si pone, nella prospettiva di incidere sulla vita internaall’istituto e nel contempo indirettamente sui contatticon il mondo esterno, la prescrizione della lett. c voltaa limitare le somme, i beni e gli oggetti che possonoessere ricevuti dall’esterno e, non anche inviati, al finedi garantire esigenze di ordine e sicurezza atte ad impe-dire illecite comunicazioni all’interno e all’esterno del-l’istituto.Si noti che, mentre nei decreti ministeriali applicatividel regime differenziato antecedenti alla legge279/2002, si poneva un divieto assoluto di invio e diricezione di somme, nella lett. c in esame è prevista lapossibilità di imporre limitazioni la cui entità è lasciataalla discrezionalità dell’amministrazione penitenziaria. La lettera a del co. 2 quater in esame afferma che lemisure di elevata sicurezza interna ed esterna adottatesono finalizzate a prevenire contatti con l’organizzazio-ne di appartenenza o di attuale riferimento, contrasticon elementi di organizzazioni contrapposte, interazio-ne con altri detenuti o internati appartenenti alla mede-

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sima organizzazione ovvero ad altre ad essa alleate.Si tratta, dunque, di misure di difficile individuazionecertamente volte ad ampliare la gamma, peraltro giàassai ampia, degli interventi limitativi ad opera del-l’amministrazione penitenziaria.Il secondo comma dell’art. 41 bis o.p. rappresenta, dun-que, uno strumento di politica criminale volto a neutra-lizzare la pericolosità sociale di taluni detenuti e a indur-re scelte di rottura con l’organizzazione di appartenenzasenza con ciò incidere sugli istituti trattamentali.Le differenziazioni sopra esposte, infatti, non dovrannomai implicare disparità nel concreto esercizio dei dirit-ti, nella fruizione delle opportunità trattamentali offer-te dall’o.p., né tantomeno nell’osservanza dei doveridei detenuti, essendo connesse solo a garantire nei con-fronti degli interessati un livello superiore di sicurezza.

Invero, le attività del trattamento penitenziario devonocomunque essere consentite nel rispetto delle finalitàrieducative della pena, mantenendo però un atteggia-mento di osservazione dei fenomeni che consenta divalutare possibili strumentalizzazioni di attività legitti-me per fini illeciti. È noto, infatti, che operare conatteggiamento burocratico nei confronti di soggettiorganizzati e che operano utilizzando precise strategiecomportamentali, aumenta il rischio di deviazioni dallefinalità istituzionali.È necessario, pertanto, controllare che il trattamentoconsegua correttamente il suo scopo ed impedire che lostato detentivo dei soggetti in questione invece checonfigurarsi quale ostacolo all’ulteriore delinquere necostituisca il veicolo o faciliti l’incontro di personalitàe alleanze.

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1.Gli intrecci cautelari. Il processo cautelare ei suoi segmenti processuali o microgiudizicautelari

Il meccanismo tipico del rito cautelare viene utilizzatoin altre tipologie processuali come una sorta di ritopasse-partout per risolvere problemi altrimenti di diffi-cile soluzione.Il rito del processo cautelare è il modello di riferimen-to, seppure con qualche variante, anche dei riti camera-li speciali. Questi ultimi, che si sviluppano in microseg-menti cautelari, privilegiano, senza alcuna distorsioneprospettica, l’obiettivo di velocizzare la definizione digiudizi il cui esito si pone in rapporto di strumentalitàe di accessorietà con eventuali processi pendenti o suc-cessive azioni giurisdizionali. Il processo cautelare èormai costituito da segmenti cautelari, microgiudizi,miniprocedimenti: si profila una cautela caratterizzatada tanti innesti.Oltre che nel giudizio contro il silenzio (art. 117 c.p.a.),la legge prevede lo schema del giudizio cautelare nellafase di esecuzione delle pronunce cautelari (art. 114 co5 c.p.a.), nel rito dell’accesso (art. 116 c.p.a.)1 e anchenell’ipotesi di regolamento preventivo di competenzada parte del Consiglio di Stato (art. 15 comma 3). Ilprincipio è stato codificato in via generalizzata dall’art.

87 c.p.a. comma 2, il quale espressamente dispone che“oltre agli altri casi espressamente previsti, si trattanoin camera di consiglio i giudizi cautelari, quelli relativiall’esecuzione delle misure cautelari collegiali, il giudi-zio in materia di silenzio, di accesso ai documentiamministrativi, di ottemperanza, di opposizione aidecreti che pronunciano l’estinzione o l’improcedibili-tà del giudizio”.È evidente l’intento del legislatore di imporre, per par-ticolari materie, che i ricorsi concernenti pretese lesio-ni di posizioni giuridiche dei singoli debbano esseredecisi dal giudice amministrativo entro tempi brevissi-mi, che si configurano come del tutto incompatibili conquelli tipici della procedura ordinaria2. Si è parlatoanche di rito camerale accelerato e deformalizzato3 nontanto per la previsione, in alcuni casi, di un terminemassimo per la pronuncia, ma per il rito processuale,che è quello proprio del rito camerale ordinario.Abbiamo visto che nel processo cautelare sono prospet-tabili vari innesti: l’innesto del giudizio immediato nelprocesso cautelare e abbreviato, l’innesto della tutelaante causam e della tutela monocratica in quella colle-giale, l’innesto della tutela ante causam nel giudizioimmediato e abbreviato. È innegabile che siamo passatidal procedimento cautelare ai procedimenti cautelari.

La duttilità della fase cautelare: intrecci, compressione,ampliamento e conversione in altri riti. Alla ricerca dellafase di merito nella costellazione dei segmenti cautelariMaria Vittoria LumettiAvvocato dello Stato dell’Avvocatura Generale

SOMMARIO: 1. Gli intrecci cautelari. Il processo cautelare e i suoi segmenti processuali o microgiudizi cautelari –2. La conversione dell’incidente cautelare in decisione sul merito: dal rito cautelare al rito immediato – 3. Compressione o ampliamento della fase cautelare – 4. Rapporti tra giudizio cautelare e giudizio di merito; laaccentuata connessione tra fase della cautela e fase di merito prevista dal c.p.a; l’Adunanza plenaria del Consigliodi Stato n. 917/2011 – 5. Il deficit culturale della fase di merito: sua eventualità e sviluppo sostenibile – 6.L’anticipazione della soglia di tutela: merito come “appello domestico”? – 7. La bulla aurea del processo caute-lare: declino della fase di merito… – 8. …o declino della fase cautelare? – 9. La rivincita dell’udienza di merito:la conversione della fase cautelare nella fase di merito e il corto circuito cautelare – 10. Il nuovo codice e l’ab-bondanza delle corsie acceleratorie – 11. La tutela cautelare come momento unificante – 12. Il grande processocautelare – 13. Il processo amministrativo è il processo cautelare?

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2. La conversione dell’incidente cautelare in deci-sione sul merito: dal rito cautelare al rito imme-diato

Come è stato esaminato è possibile anche l’innesto delgiudizio immediato nel processo cautelare e abbreviato. La conversione del rito cautelare in rito immediato4 siverifica in quattro ipotesi: nel caso dell’artt. 60 cheregola il giudizio immediato in generale, dell’art. 74,riguardante i casi speciali di giudizio immediato, appli-cabile solo in determinati casi previsti dalla legge(manifesta fondatezza, irricevibilità, inammissibilità,improcedibilità o infondatezza del ricorso), nell’ambi-to del giudizio abbreviato (art. 119 comma 3) ed anco-ra del giudizio abbreviato speciale (art. 120 comma 6).Entrambe le disposizioni di cui agli artt. 119 comma 3e 120 comma 6 rinviano all’art. 60 e alla disciplina ivicontenuta, che è quella relativa al rito immediato. La conversione dell’incidente cautelare in decisione sulmerito della controversia può verificarsi anche senza ilpassaggio attraverso il rito immediato.L’art. 55 comma 10 infatti, introducendo una forma ditutela intermedia, elimina la fase cautelare in presenzadi determinati presupposti individuati dal giudice.Lo stesso accade nel caso dell’art. 71 comma 5 checonsente la fissazione “di un merito a breve” in cambiodella rinuncia della parte al cautelare o dell’art. 72, chelegittima il giudice ad obliterare la fase cautelare e difissare con priorità l’udienza di merito in presenza diricorsi vertenti su un’unica questione.Lo strumento della conversione della fase cautelare o,il che è lo stesso, della sua eliminazione, costituisce unimportante mezzo di accelerazione del processo ammi-nistrativo e indica uno sfavor legislativo nei confrontidella tutela cautelare stessa, in quanto la spinta innova-tiva è ormai tutta proiettata verso il processo di meritoe, in ogni caso, in direzione dell’esecuzione coattivadella pronunzia della sentenza di primo grado, che èemanata sulla base di una cognizione piena. La norma si pone in linea con la nuova formulazionedell’art. 111 della Costituzione che afferma il principiodel rispetto del giusto processo, nonché del 1° commadell’art. 117 Costituzione, come novellato con la leggecostituzionale 12 ottobre 2001 n. 3 (Modifiche al titoloV della parte seconda della Costituzione), che imponeuna interpretazione conforme anche ai vincoli ed agliobblighi internazionali.

3. Compressione o ampliamento della fase cautelareLa duttilità della fase cautelare si ravvisa non solo nellasua attitudine alla conversione in altri riti, ma anchenella sua compressione o nel suo ampliamento, aseconda dei casi.Come si è detto il congegno regolato dall’art. 199comma 3 c.p.a. provoca una compressione della tutela-re cautelare che non decolla, ma si prepara a converti-re in giudizio di merito, pur sussistendo i presuppostiper poterla prendere in esame. Si tratta di una fase cau-telare “finta”, che tuttavia si amplia in un’altra direzio-ne: nella dilatazione della fase istruttoria, che diventapiena, come nel giudizio di merito, proprio perché ilprocesso sta mutando, attraverso una metamorfosi chesfocerà nel vero e proprio giudizio di merito. Nel casodel rito abbreviato speciale questo non avviene e,fermo restando la conversione in rito immediato aisensi dell’art. 60, il giudice può comunque adottare lemisure cautelari, qualora ravvisi i presupposti ordinaridel fumus e del periculum.Ma anche in questo caso, la fase cautelare, che non èpiù finta, si amplia: l’art. 120 comma 8 dispone che ilgiudice, proprio in quella fase, possa ordinare adempi-menti istruttori e concedere termini a difesaLa norma sembra voler indicare che anche in questocaso trattasi di fase cautelare anomala, comunque pro-iettata verso il giudizio di merito, che anzi viene addi-rittura anticipato in parte nella fase cautelare stessa.Può accadere che il giudice non ritenga di disporrealcuna misura cautelare e, anche in tal caso, assistiamoad una curiosa conversione della fase cautelare in fasedi merito.È la prova evidente che l’allocazione incidentale delprocedimento cautelare non va necessariamente a sca-pito dell’efficienza della tutela, e questo grazie alla dut-tilità dello strumento cautelare.

4. Rapporti tra giudizio cautelare e giudizio dimerito; la accentuata connessione tra fase dellacautela e fase di merito prevista dal c.p.a.;l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n.917/2011

La riforma apportata dal c.p.a. alla struttura della tute-la cautelare e che ne ha ampliato la portata, incide sullemisure che tutelano la fruttuosità dell’azione di merito5. L’art. 55 comma 4 evidenzia il carattere accessorio

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della tutela d’urgenza rispetto al giudizio di merito,prevedendo l’improcedibilità della domanda cautelarefino a quando non viene presentata l’istanza di fissazio-ne dell’udienza di merito, a meno che quest’ultima nondebba essere fissata d’ufficio6. La stessa legge 205 del 2000 aveva attribuito al giudiceamministrativo il potere di adottare “le misure cautela-ri... che appaiano, secondo le circostanze più idonee adassicurare interinalmente gli effetti della decisione sulricorso” (art. 21 comma 8 della L. 6.12.1971 n. 1034 cosìcome sostituito dall’art. 3, L. 21 luglio 2000, n. 205). La misura cautelare atipica delineata dal legislatore del2000 e confermata dal codice appare più idonea dellamera sospensiva dell’atto impugnato a tutelare soprat-tutto gli interessi pretensivi. Si riconosce, di fatto,all’autorità giudiziaria, la possibilità di emettere ordi-nanze non solo di natura propulsiva, ordinando allaP.A. di provvedere nuovamente, fatto salvo l’esito defi-nitivo del processo, ma anche di natura decisoria,mediante l’adozione di un nuovo provvedimento emes-so direttamente dal giudice in provvisoria sostituzionedell’atto impugnato, sino alla definizione del meritodella causa. Le aperture della giurisprudenza prima delle ultimeriforme volte a riconoscere la possibilità di ricorrerealla “sospensiva” anche avverso i provvedimenti nega-tivi, pur se condizionate dalla necessità che il giudicenon utilizzi i poteri esclusivi della P.A., hanno sicura-mente influenzato il legislatore7. La disposizione di cuiall’art. 55 comma 4 mira a contemperare l’esigenzadella rapida definizione del giudizio con quella dellasalvaguardia del diritto alla difesa. Tale fine viene per-seguito mediante l’attribuzione al giudice cautelare delpotere di emettere una decisione immediata nel merito,previo accertamento della completezza del contraddit-torio e dell’istruttoria, estendendo così alla generalitàdelle controversie la disciplina finora prevista solo perle cause in materia di aggiudicazione di appalti di operepubbliche9. La norma dispone anche che in caso di estrema gravitàed urgenza, tale da non consentire neppure la dilazionesino alla data della camera di consiglio, l’autorità giu-diziaria possa, su domanda di parte ed anche inauditaaltera parte, disporre misure provvisorie, efficaci finoalla pronuncia cautelare del collegio, cui la questione èsottoposta alla prima camera di consiglio utile. Si trat-

ta della c.d. tutela cautelare anticipata, disciplinata oradall’art. 56 del c.p.c. e precedentemente regolata dal-l’art. 3, L. 21 luglio 2000, n. 205 abr. che a sua voltasostituiva l’originario settimo comma dell’art. 21, L.6.12.1971, n. 1034. E ancora, nel caso in cui l’ammini-strazione non dia ottemperanza alle misure cautelari,l’art. 59 del c.p.a. attribuisce al Tribunale che ha con-cesso la misura cautelare il potere di disporre le misureattuative, con la potestà estesa al merito propria delgiudice dell’ottemperanza, dettando gli opportuni prov-vedimenti attuativi e le modalità10. Inoltre, l’art. 62 del c.p.a. riduce notevolmente i termi-ni rispetto alla normativa precedente: i termini per pro-porre l’appello cautelare sono di 30 giorni dalla notifi-cazione e 60 giorni dalla pubblicazione della ordinanzacautelare. Nei casi in cui dall’esecuzione della misura cautelarepossano derivare effetti irreversibili, il giudice puòsubordinare l’efficacia della misura cautelare concessaalla prestazione di una cauzione, peraltro esclusa qua-lora l’istanza riguardi interessi essenziali della persona,quali il diritto alla salute, all’integrità dell’ambienteovvero ad altri beni di primario rilievo costituzionale.L’accoglimento della domanda cautelare presuppone,secondo i principi della disciplina processualistica, ungiudizio sulla sussistenza del fumus bonis iuris e delpericulum in mora. Quanto al primo elemento, è neces-sario sottolineare come in seguito alla riforma essoabbia assunto una rilevanza ben maggiore del pericu-lum in mora. La riforma, infatti, impone al giudice cau-telare di pronunciarsi sulla base della “ragionevole”previsione dell’esito del ricorso. Pertanto, il giudizio sulla sussistenza dell’elemento nonha ad oggetto l’approssimativa verosimiglianza del-l’esistenza del diritto ma, di fatto, rappresenta l’antici-pazione del giudizio di merito. Da questo mutato qua-dro normativo, decisione cautelare e decisione di meri-to risultano intimamente collegate, tanto che la nuovalegge impone all’autorità giudiziaria cautelare non piùun obbligo generico di motivazione, come si limitava afare la disciplina previgente, ma prevede la descrizionedell’iter logico che ha portato alla decisione11. I presupposti della pronuncia cautelare sono differentida quelli della decisione di merito: se il pericolo attua-le di un pregiudizio grave e irreparabile, a fronte di undanno presuntivamente ritenuto sempre rimediabile

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non sia ritenuto sussistente, il giudice cautelare nonpuò affrontare l’esame dei profili di merito della causa.Se risulta invece ravvisabile, l’esame del merito deveessere limitato alla parvenza di fondatezza del ricorso. Al contrario, il giudice del merito deve esaminare lecensure per acquisire la prova piena della loro fonda-tezza: anche l’evidenza del fumus non ha nulla a chevedere con quella della fondatezza della controversia.La connessione tra fase della cautela e fase di merito siriscontra anche nella possibilità da parte del TAR o delConsiglio di Stato, in sede cautelare, di fissare l’ordi-nanza collegiale e la data di discussione del ricorso nelmerito (art. 55 comma 10 c.p.a.) in caso di accoglimen-to del ricorso in sede cautelare (art. 55 comma 11 c.p.c.e art. 3 L. 205/2000 abr.). L’Adunanza plenaria delConsiglio di Stato n. 917/2011 ha evidenziato e accen-tuato la connessione tra fase cautelare e fase di meritoprendendo atto che, in presenza di un orientamento nonomogeneo circa l’interpretazione di norme di legge,anche tenendo conto della natura cautelare del provve-dimento appellato, è necessario attendere che l’esamedei profili di diritto sia affrontato nella rituale sede dimerito, dinanzi al giudice di primo grado12. Tale pronuncia potrebbe essere considerata sintomodella non utilità del processo cautelare nella trattazionedi determinate questioni complesse e di notevole diffi-coltà interpretativa, che possono essere approfondite,per quanto attiene all’esame dei profili di diritto, soloin sede di merito. La Corte Costituzionale ha, datempo, proprio in riferimento alla giurisdizione ammi-nistrativa calibrata essenzialmente sull’annullamentodegli atti illegittimi, posto in luce il carattere essenzia-le della procedura cautelare e l’intima compenetrazio-ne della stessa con il processo di merito, dichiarandoillegittima l’esclusione o la limitazione del potere cau-telare di determinate categorie di atti amministrativi oal tipo di vizio denunciato (sentenze n. 227 del 1975 en. 284 del 1974)13. Il raccordo rapido tra fase cautelare e fase di merito èfavorito anche dall’art. 55 comma 12 c.p.a. che, rece-pendo una prassi già in uso presso i TAR, dispone chein sede di esame della domanda cautelare il collegiopossa adottare, su istanza di parte, i procedimentinecessari per assicurare la completezza dell’istruttoriae l’integrità del contraddittorio. Quanto al processo civile è noto che la tutela cautelare

è da considerarsi distinta dalla tutela cognitiva ed ese-cutiva in quanto non ha funzione autonoma ma stru-mentale: si è precisato tuttavia che la strumentalitàdella tutela ordinaria rispetto al giudizio ordinario nonne esclude l’autonomia14.

5. Il deficit culturale della fase di merito: sua even-tualità e sviluppo sostenibile

L’art. 21, comma 8 della legge n. 1034 del 1971, oraabrogato dal codice, attribuiva valore di diritto positivoal principio di strumentalità della misura cautelare chela dottrina aveva individuato come carattere ontologicodi tali rimedi processuali15. L’art. 55 comma 10 del codice processuale introduceuna novità: la possibilità da parte del TAR o delConsiglio di Stato, in sede cautelare, di fissare conordinanza collegiale la data di discussione del ricorsonel merito. Il presupposto di tale concessione è che leesigenze del ricorrente siano apprezzabili favorevol-mente e tutelabili adeguatamente con la sollecita defi-nizione del giudizio nel merito. L’art. 55 comma 10c.p.a. che, come abbiamo visto, introduce la possibilitàda parte del TAR o del Consiglio di Stato, in sede cau-telare, di fissare con ordinanza collegiale la data didiscussione del ricorso nel merito, potrebbe indurre aritenere che in questi casi i presupposti per la richiestacautelare non sussistano. Stessa cosa potrebbe ritenersi riguardo al comma 11 delmedesimo articolo 55, il quale prevede che l’ordinanzacon cui è disposta una misura cautelare fissi anche ladata di discussione del ricorso nel merito. Un intervento normativo di qualche anno fa ha mutatoi termini della questione anche nel processo cautelarecivile. L’art. 669 octies comma 6 dispone che “Ledisposizioni di cui al presente articolo e al primocomma dell’art. 669 novies non si applicano ai provve-dimenti di urgenza emessi ai sensi dell’art. 700 c.p.c. eagli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticiparegli effetti della sentenza di merito, previsti dal codicecivile o da leggi speciali, nonché ai provvedimentiemessi a seguito di denunzia di nuova opera o di dannotemuto ai sensi dell’art. 688, ma ciascuna parte può ini-ziare il giudizio di merito”.Il comma è stato aggiunto dall’art. 23, lett. e bis, n. 2.3,D.L. 14 marzo 2005, n. 35, conv., con modificazioni,dalla L. 14 maggio 2005, n. 80. La modifica legislativa

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dell’art. 669 octies c.p.c. ha reso meramente eventualela fase di merito: le disposizioni relative alla prosecu-zione nel merito del procedimento cautelare definitocon ordinanza non si applicano ai provvedimenti d’ur-genza emessi ex art. 700 c.p.c. e agli altri provvedimen-ti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della senten-za di merito nonché ai provvedimenti emessi a seguitodi nuova opera e di danno temuto ex art. 688 c.p.c.16.Ne consegue che solo nei casi di sequestri e procedi-menti cautelari previsti da leggi speciali si richiede laverifica della natura anticipatoria o conservativa delprovvedimento. Ma la stessa giurisprudenza aveva individuato nellastruttura bifasica del procedimento possessorio unaragione non ostativa alla concentrazione delle due fasiallorché gli elementi raccolti nella fase a cognizionesommaria consentano al giudice di definire la causacon un provvedimento unico che, in quanto conclusivodell’intero procedimento, abbia natura di sentenza17. Iltermine per l’inizio del giudizio di merito dopo la con-cessione del provvedimento cautelare ai sensi dell’art.669 octies c.p.c. decorre dalla comunicazione di can-celleria dell’avvenuto deposito del provvedimento cau-telare18. Prima della riforma si insisteva sulla naturainterinale e strumentale del provvedimento d’urgenza19,ora la dottrina processualcivilistica pone l’accento sullaattenuazione del nesso di strumentalità tra provvedi-mento cautelare e la sua necessaria correlazione con unprovvedimento principale, chiedendosi se non si debbaora parlare di autonomia ed esaustività del procedimen-to cautelare20. Di conseguenza ci si chiede se i provve-dimenti di cui al 6° comma dell’art. 669 octies sianoancora da qualificare come cautelari, o invece da inse-rire in una diversa categoria di provvedimenti decisorisommari di cognizione a contenuto anticipatorio21.Il dibattito ha avuto ripercussioni anche nel diritto pro-cessuale amministrativo a proposito della sentenza suc-cintamente motivata: la strumentalità della misura cau-telare non pregiudica infatti l’autonomia della fased’urgenza da quella di merito.

6. L’anticipazione della soglia di tutela: meritocome “appello domestico”?

Nel processo amministrativo il giudizio cautelare, cheha carattere strumentale rispetto al giudizio di merito, èautonomo da quest’ultimo solo sotto l’aspetto proces-

suale e non anche sotto il profilo sostanziale: non pro-duce utilità finali diverse e comunque disomogenee daquelle che la decisione di merito può procurare allaparte22. Laddove il provvedimento anticipatorio fossematerialmente e totalmente satisfattivo delle pretesevantate dall’istante, il giudizio di merito costituirebbenulla più che una sorta di ripetizione, se non di dupli-cazione della fase già svolta, con evidente spreco dieconomia processuale23.Può tuttavia accadere che l’ampliamento della tipolo-gia delle misure d’urgenza, determinato come abbiamodetto, dalla lunga elaborazione giurisprudenziale evolto a garantire la satisfattività della sentenza, releghitalora la fase di merito a un ruolo di vero e proprio“appello domestico”. Da un ruolo di supplente, il rito cautelare ha acquisitonon solo un ruolo integrativo e creativo delle disposi-zioni di legge, ma si è sviluppato al punto da far retro-cedere, in molto casi, la parte principale del processo auna fase di mero controllo dell’operato del giudice cau-telare.

7. La bulla aurea del processo cautelare: declinodella fase di merito...

Sorge il dubbio che il trascinamento della fase di meri-to in quella cautelare comporti una inversione cronolo-gico-temporale degli eventi processuali. Ormai la sen-sazione è che la fase di merito sia un mero contenitoredove va a confluire la pregressa attività cautelare,ormai “finta” forma di tutela ancillare24. La dilatazione della fase cautelare è stata nel tempo ali-mentata dalla lentezza della fase di merito, che oraviene annientata, spazzata via quasi come per una sortadi “nemesi”, dalla irruenza strabordante della fase cau-telare. Il “paziente malato” si è trasformato in una vit-tima dei correttivi adottati per limitare o arginarne laeccessiva lunghezza dei tempi di definizione dellacausa. Orbene, visto e considerato che la sempre mag-giore importanza della tutela cautelare è stata originatacome stampella della languente fase di merito, comemezzo di fortuna insomma, forse è il caso di ristabilireun po’ di ordine e riconoscere che il rappezzo del cau-telare si è talmente trasformato sì da raggiungere unacompiutezza tale da rendere inutile e non più necessa-ria la fase di merito. Eliminare qualche corsia acceleratoria potrebbe resti-

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tuire la dignità perduta a un processo che da sempre hadovuto fare i conti con l’arretrato, anche a causa delradicamento di contenziosi talora temerari e al prolife-rare inutile di parecchi altri proposti al solo fine di met-tere alle strette l’amministrazione o nella speranza diottenere una “sospensiva” (tanto poi il merito arrivadopo anni e anni…), quasi come fosse una sorta di lot-teria, di ruota della fortuna.La fase ancillare, servente, diventa centrale fondamen-tale e definitiva e determina la decentralizzazione delprocesso amministrativo. In dottrina si invoca infatti ladovuta cautela nell’elaborazione di concetti cherischiano di modificare il baricentro della giustiziaamministrativa. Determinate teorie possono infatticreare confusione a causa del rimescolamento di com-petenze e di funzioni cui possono dar luogo25. “La fase cautelare diventa il centro del giudizio, quale

momento ravvicinato di delibazione della fondatezzadella domanda” e la “centralità della tutela cautelare lasi rinviene all’interno del giudizio di merito26.

8. …o declino della fase cautelare?Non tutta la dottrina è concorde nel ritenere così pre-gnante la metamorfosi o quantomeno la trasformazionedel rito cautelare nonché la sua conversione in giudiziodi merito27. Ma altra parte della dottrina è convinta che ci siacomunque una trasformazione da cogliere nella semprepiù rilevante funzione di raccordo che la fase cautelareesercita (percepibile soprattutto nel rito abbreviato)28, oin ogni caso un sensibile riavvicinamento tra le fasiprocessuali29. Solo in caso di pregiudizio particolarmente qualificatoda estrema gravità e urgenza il collegio può disporremisure cautelari. Ma allora è il tasso di gravità e urgen-za a orientare il giudice nella scelta della concessione omeno della misura cautelare: un tasso medio non giu-stifica l’accoglimento della domanda cautelare, tenutoconto della brevità del termine entro il quale il ricorsopuò essere definito nel merito30.Ormai l’ordinanza non interviene dopo una significati-va delibazione del ricorso principale, tenuto contoanche della delibazione non propriamente sommariache caratterizza l’esame della domanda cautelare avan-ti il collegio e appare altresì difficilmente ribaltabile nelmerito.

Si ravvisa una svalutazione del requisito del periculumin mora in vantaggio di una più attenta disamina delfumus che coinvolge la valutazione da parte del giudi-ce della loro rilevanza reciproca dei caratteri dell’atti-vità lesiva posta in essere dal ricorrente e contestata dalricorrente.Il processo interviene pur sempre su una vicenda sostan-ziale di esercizio del potere e che, in quanto tale, non èstatica, ma deve essere portata a compimento, poiché lacura dell’interesse pubblico non può arrestarsi: ma allo-ra anche da questo punto di vista, come emerge dallenorme esaminate, la fase cautelare diventa il centro delgiudizio quale momento ravvicinato di delibazionedella fondatezza della domanda.Oramai è inconfutabile la capacità della tutela cautela-re, nell’esperienza del processo amministrativo, di offri-re strumenti di tutela particolarmente completi e dunqueeffettivi.La valorizzazione della probabile fondatezza del ricor-so induce a domandarsi se il giudizio in questione siaancora un giudizio cautelare oppure sia l’anello di con-giunzione tra la fase cautelare e il merito: una sorta difase preliminare, in quanto sono assenti provvedimenticautelari, ma anticipatoria della futura sentenza31.Come già osservato, non vi è alcun dubbio che il legi-slatore del codice abbia manifestato un favor per l’im-mediata definizione del merito della controversia.Diversi sono i dati normativi che è possibile richiama-re a conferma di tale assunto: può farsi riferimento allaprevisione che impone, in caso di concessione dellamisura cautelare, la doverosa fissazione con caratteredi priorità della data di trattazione del ricorso nel meri-to o a quella che generalizza un meccanismo di conver-sione della decisione sull’istanza cautelare in decisioneintesa a definire il merito della vicenda processuale(prima contemplato, ancorché con non indifferenti dif-ferenze di disciplina, nel settore degli appalti dall’art.19, D.L. n. 67/97)32. Qualche perplessità viene espressain dottrina anche in ordine al particolare profilo delcarattere strumentale del giudizio cautelare relativo airapporti tra ordinanza cautelare e decisione di merito33.Una volta indicati i profili di accoglimento o di rigettodella chiesta misura cautelare, appare difficile che ilgiudizio espresso in quella sede possa essere disattesonella fase di decisione di merito, nonostante la normanulla dica a tal proposito. Sino ad ora, dottrina e giuri-

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sprudenza, hanno ritenuto ininfluente il giudizioespresso in sede cautelare rispetto a quello finale34. Una evoluzione legislativa da un lato, e giurispruden-ziale dall’altro, è tuttavia in corso, e tende ad avvicina-re gli opposti sistemi. Nell’ordinamento processuale ingenerale abbiamo riscontrato la tendenza dei recentiinterventi normativi a rendere autonomo il provvedi-mento d’urgenza dalla causa di merito, dichiarandoinapplicabili ad esso le norme (artt. 669 octies e 669novies) che ne sanciscono la caducazione in caso dimancata instaurazione della causa in un termine peren-torio. E in più occasioni parte della dottrina ha afferma-to che, in via di principio, l’art. 669 quaterdecies, c.p.c.si estende sino a ricomprendere il processo cautelareamministrativo35.In virtù di tale norma si applicherebbero le disposizio-ni contenute nei precedenti articoli da 669 bis a 669 ter-decies i quali, dettando la nuova disciplina unitaria oduniforme dei procedimenti cautelari in generali, siestenderebbero anche, in quanto compatibili, agli altriprovvedimenti cautelari previsti dal codice civile edalle leggi speciali36.

9. La rivincita dell’udienza di merito: la conversio-ne della fase cautelare nella fase di merito e ilcorto circuito cautelare

Non sempre tutto ciò che avviene nella fase cautelarecondiziona il merito e la sua stessa esistenza. Vi sono casi in cui accade il contrario e in cui la ghi-gliottina normativa investe la fase cautelare. Il codice processuale disciplina non solo ipotesi di con-versione della fase cautelare già previste e regolatedalla pregressa disciplina, ma ne introduce altre. Laspinta propulsiva del legislatore è volta in tali casi aconsentire e, anzi, agevolare la compresione o di salta-re la fase cautelare. Come abbiamo esaminato, la tecnica adottata è quelladella conversione dell’udienza cautelare in udienza dimerito o nel rito immediato, per giungere direttamenteal merito, minimizzando la cautela a favore di una piùcompiuta analisi nella fase successiva. La conversione dell’udienza cautelare in giudizio dimerito rimane tuttavia circoscritta allo speciale ritoabbreviato. In sintesi, si ravvisano due casi previsti eregolati dall’art. 119 comma 3 e 120 comma 8 c.p.a.Nel giudizio abbreviato ordinario la fase cautelare è

solo eventuale costituendo essa una eccezione: l’art.119 comma 4 la subordina alla presenza di un pericu-lum particolarmente qualificato (l’estrema gravità eurgenza). Nel caso del giudizio abbreviato specialeinvece tale limitazione all’operatività della tutela cau-telare non sussiste, in quanto il giudice può disporlaqualora ravvisi il fumus e il danno grave e irreparabile:tale congegno rimane tuttavia eventuale, ben potendo ilgiudice fissare direttamente l’udienza di merito ai sensidell’art. 119 comma 3 o fissare immediatamente d’uf-ficio con assoluta priorità37.

10. Il nuovo codice e l’abbondanza delle corsie acce-leratorie

Non si può negare l’attuale sovrabbondanza di corsieacceleratorie che catterizza la definizione del giudizioamministrativo e che consente la predisposizione diuna cautela preprocessuale ed endoprocessuale. Ci troviamo di fronte alla particolarità di una tutelacautelare fruibile più di una volta, di provvedimentocautelare servente una seguente fase cautelare che, asua volta, è servente di una fase a cognizione piena, ovele misure cautelari provvisorie sono destinate ad avereefficacia sino alla decisione sul ricorso principale, e ildecreto monocratico è destinato a durare fino all’even-tuale adozione delle misure cautelari adottate con con-traddittorio, in una sorta di cautela strumentale allacautela strumentale al merito38. Se si pensa che la finalità è quella di ovviare al ritardocon cui l’udienza di merito viene celebrata e che sussi-ste la concreta possibilità che in sede cautelare ordina-ria il giudizio possa essere definito con una sentenza“breve”, può accadere che risultino superflue tali corsieacceleratorie che, oltre ad appesantire il processo, lorendono talora oltremodo complesso. È evidente l’intento del legislatore di imporre, per par-ticolari materie, che i ricorsi concernenti pretese lesio-ni di posizioni giuridiche dei singoli vengano decisi dalgiudice amministrativo entro tempi brevissimi, che siconfigurano del tutto incompatibili con quelli tipicidella procedura ordinaria. Peraltro, se il dato normativo non viene applicato allalettera, il rischio che si corre è che si realizzi una dupli-cazione della tutela cautelare nel processo amministra-tivo: da una fase precautelare a una fase cautelare, conil profilarsi di un doppione a volte inutile.

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Si pensi anche alla circostanza che possano sopravveni-re in sequenza, nella sola fase cautelare: provvedimentodell’Amministrazione, pronuncia cautelare del giudicedi prime cure, esecuzione dell’Amministrazione, nelcaso a seguito di nuovo intervento del giudice cautela-re, quale giudice dell’esecuzione, pronuncia cautelare disecondo grado e nuovo provvedimento dell’Ammini-strazione. È ben possibile, inoltre, che si creino sovrapposizionidi pronunce giudiziali rese nel corso di separati, e purtuttavia connessi, procedimenti amministrativi e/o giu-diziari, ad esempio in riferimento al controinteressatopretermesso39.Non si configura più un solo modello di processoamministrativo di cognizione, a struttura prevalente-mente monofasica, bensì tanti processi, speciali e diffe-renti a secondo della materia da trattare, con diversi ter-mini processuali e, spesso, interamente celebrati incamera di consiglio, che tendono a loro volta a diveni-re micro-sistemi, contrapposti al rito c.d. ordinario. Tali corsie acceleratorie non dovrebbero attentare allaunitarietà del processo amministrativo, che conserva lasemplicità e la linearità che dai suoi albori lo caratteriz-za, soprattutto ora che la disciplina è stata riordinata inun codice. È stato osservato che la concessione del decreto cau-telare provvisorio potrebbe avere una qualche utilitànel periodo feriale, in cui le camere di consiglio sonolimitate.A ciò si aggiunga che esistono ormai tante regole diver-se in base al settore cui la domanda di giustizia ineri-sce. Anche se il processo amministrativo è regolato dalprincipio dispositivo, in esso non vengono in rilievoesclusivamente interessi privati, ma devono trovarecomposizione e soddisfazione anche interessi pubblici.La misura cautelare reca in sé delle enormi potenziali-tà. Ma tali potenzialità richiedono di non travalicare ilimiti da osservare al fine di non provocare “strappi” alpotere processuale assegnato dalla legge. Il processo amministrativo ricorda quello penale in cui,la previsione di riti alternativi alla fase dibattimentale,hanno fatto retrocedere quest’ultima a un ruolo almenostatisticamente meno rilevante.

11. La tutela cautelare come momento unificanteCome abbiamo visto il rito del processo cautelare viene

utilizzato, seppure con qualche variante, anche nei riticamerali speciali. Questi ultimi privilegiano l’obiettivodi velocizzare le definizione di giudizi il cui esito sipone in rapporto di strumentalità e di accessorietà coneventuali processi pendenti o successive azioni giu-risdizionali. Il meccanismo tipico di questo riti accele-rati viene utilizzato in altri tipi di processo come unasorta di rito passe-partout per risolvere problemi altri-menti di difficile soluzione. Oltre che nel giudizio con-tro il silenzio, la legge lo prevede nella fase di esecu-zione delle pronunce cautelari, nel rito dell’accesso. La strumentalità sia strutturale sia funzionale era giàstata superata dal legislatore: la legge n. 205 del 2000all’art. 21 faceva riferimento agli effetti interinali finoalla pronuncia finale e agli effetti sostanziali.L’autonomia cautelare è un danno da pericolo, diversodal merito e ci si chiede se la tutela cautelare stia oltre-passando il fronte della strumentalità. L’obiettivo prin-cipale è stato quello di semplificare il processo ammi-nistrativo ristrutturando in modo organico le normesuccedutesi nel tempo e garantendo efficienza, effica-cia e legalità a questo particolare settore.

12. Il grande processo cautelareSi va delineando un nuovo rito, un nuovo processoscandito da momenti e da parentesi che nulla a che farehanno con la strutturazione originaria basata sulla nettadistinzione tra fase cautelare e di merito.Oppure, il che è ancora più pregnante, si può parlare ditutela cautelare come (piccolo) processo amministrati-vo breve, abbandonando la maschera ideologica di unprocesso in cui il merito ha sempre avuto una legittima-zione concettuale predominante: ora tutto ciò cheavviene nella fase cautelare condiziona il merito e lasua stessa esistenza.L’allievo insomma ha superato il maestro e il piccoloprocesso si è proiettato verso una metamorfosi che, dauna posizione dapprima dominante, ha preso l’abbri-vio, quasi per un moto inerziale, anche dopo la cessa-zione della sua spinta propulsiva, per la configurazionedi un nuovo processo amministrativo, che non è più néfase della cautela né di merito o dove, il che è lo stes-so, cautela e merito si confondono.La sensazione è che il processo amministrativo siadiventato nel corso degli anni “un grande processo cau-telare”. Basti pensare all’ampliamento della fase istrut-

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1 G. VIRGA, L’esecutività delle sentenze diprimo grado tra giudizio di ottemperanza etutela cautelare, in www. giust.it/corte/cor-tecost_1998-406.html.

2 N. SAITTA, I giudizi nella camera di con-siglio nella giustizia amministrativa,Milano 2003, p. 420.

3 S. MENCHINI, Processo amministrativo etutele giurisdizionali differenziate, in Dir.

Proc. Amm, 1999, p. 971

4 Prima regolato dall’abr. art. 21, commadecimo, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034.

5 In dottrina in precedenza era stata eviden-ziata la eccessiva discrasia tra il contenutodell’ordinanza e della sentenza di merito esi ritengono positive le norme del codiceche hanno attutito tale divaricazione traprocesso cautelare e processo di merito, v.

sul punto M. SANINO, Codice del processoamministrativo, Torino 2011, pp. 254-255.

6 E. PICOZZA, Il processo amministrativo,Milano 2008, p. 103.

7 G. FERRARI, Il nuovo codice del processoamministrativo, Roma 2010, p. 205.

8 Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 3080 del23.5.2006.

9 Art. 26, quinto comma, legge n. 1034 del

toria cautelare che, oltre che ad essere previsto in talu-ni casi dal codice stesso (art. 119 comma 3), sta diven-tando prassi diffusa del giudice cautelare40.Ma si rinvengono altri casi, non individuati legislativa-mente ma utilizzati dalla giurisprudenza, in cui la fasecautelare viene utilizzata dal giudice per soddisfarel’esigenza di una istruttoria compiuta e approfondita oper attendere verifiche o la produzione di ulterioredocumentazione41.Per non parlare, poi, delle varie tipologie di urgenza: il«pregiudizio grave ed irreparabile» (art. 55), la «estremagravità ed urgenza» (art. 56), che legittima l’interventodel Presidente, prima dell’udienza settimanale, la «ecce-zionale gravità ed urgenza» (art. 61), nel caso in cui nonvi sia nemmeno il tempo di presentare il ricorso. Altra novità riguarda la possibilità per il TAR, in sedecautelare, di fissare nell’ordinanza cautelare anche ladata di discussione nel merito, una volta valutato che leesigenze del ricorrente siano apprezzabili e si possanotutelare con una sollecita decisione di merito (art. 55comma 10). Lo stesso può fare il Consiglio di Stato,che nel riformare l’ordinanza cautelare di primo grado,ritrasmette gli atti al TAR perché fissi in modo solleci-to l’udienza (art. 55 comma 10, ult. cpv.). Tutto questoci delinea, probabilmente, un nuovo processo, un pro-cesso “unico” che passa attraverso la soppressionedella fase di merito ma anche della fase cautelare,subendo entrambe le fasi una mutazione, laddove una èservente dell’altra, a causa dell’attenuazione del carat-tere ancillare del rito cautelare. Tra compressioni,metamorfosi, obliterazioni, definizioni per saltum sidelinea la nuova tutela cautelare: la sua centralizzazio-ne determina un bilanciamento delle due fasi del pro-

cesso amministrativo. Fase cautelare al centro del giu-dizio di merito e del processo in genere. Ma a questopunto esiste ancora la fase di merito? O forse esiste ormai una nuova fase, un nuovo proces-so, che stravolge l’impostazione processuale origina-ria? È ormai una mera formalità la fase di merito?

13. Il processo amministrativo è il processo cautelare?Le linee di fondo del processo cautelare possono esse-re sintetizzate in pochi assunti. In primo luogo, nelrispetto del principio del contraddittorio, che è statoriportato a cardine essenziale del procedimento, pur nelnecessario coordinamento con le esigenze dell’urgen-za, coessenziali alla materia. In secondo luogo, nellavalorizzazione del carattere strumentale di questaforma di tutela, colta come servente rispetto alla tuteladi merito. Infine, nell’introduzione di un regime di sta-bilità limitata per il provvedimento cautelare positivo e,soprattutto, negativo. Evidenti sono i riferimenti almodello cautelare civilistico. In alcuni casi l’ordinanzainterviene in procedimenti amministrativi ancora in iti-nere, come nel caso del giudizio di maturità di nonammissione: nei fatti la decisione finale viene superata,salta quindi la strumentalità strutturale. Nel processocivile non si arriva a questi risultati.È intervenuta una metamorfosi del processo cautelare eamministrativo in generale42.L’esorbitanza dei poteri cautelari incide sullo stru-mentario o strumento delle misure cautelari: c’è dachiedersi se la fase cautelare al centro del giudizio dimerito e del processo in genere e la frantumazionedella tutela cautelare dia luogo alla inutilità della fasedi merito.

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1971 nel testo novellato con la legge n. 205del 2000.

10 In precedenza la materia era regolatadall’art. 21, L. 6.12.1971 n. 1034 che hasostituito l’originario settimo comma pereffetto di quanto disposto dall’art. 3, L. 21luglio 2000, n. 205.

11 R. DE NICTOLIS, Processo amministrati-vo, Milano 2011, p. 659 e ss.

12 Consiglio di Stato – Adunanza Plenaria– Ordinanza sospensiva 25 febbraio 2011 n.917, in www.giustamm.it, n. 4-2011:sospende un diniego emersione lavoro irre-golare, diniego emesso ai sensi dell’art. 1ter, comma 2, del D.L. 1 luglio 1979 n. 78,convertito nella legge 3 agosto 2009 n. 102(condanna riportata ai sensi dell’art. 14, co.5 ter, D.Lgs. n. 286 del 1998 per essersi ilricorrente trattenuto illegalmente nel terri-torio dello Stato, in violazione dell’ordineimpartito dal questore ai sensi del comma 5bis dello stesso decreto, reato punito con lareclusione da uno a quattro anni). Per talereato, a norma dell’art. 14, comma 5 quin-quies dello stesso D.Lgs. n. 286, è obbliga-torio l’arresto dell’autore del fatto.Esistendo un orientamento non omogeneocirca gli artt. 380 e 381 c.p.p. si ritienenecessario attendere che l’esame dei profilidi diritto sia affrontato nella rituale sede dimerito, dinanzi al giudice di primo grado.In senso analogo le Ordinanzedell’Adunanza Plenaria di pari data nn.912, 913, 914, 915 e 916 del 2011. Dasegnalare infatti anche la pronunciadell’Ad. Plen. del Cons. di St. n. 917/2011del 25.2.2011 che ha ritenuto fondamentaledecidere rapidamente il merito della que-stione sottopostale (sempre in materia diimmigrazione clandestina).

13 Corte Costituzionale, sentenza 16 luglio1996, n. 249 (Gazzetta ufficiale, 1ª seriespeciale, 31 luglio 1996, n. 31), in Foro it.,1996, parte I, col. 2607: con riguardoall’art. 31 bis, 3° comma, L. n. 109 del 1994prevede che, nei giudizi amministrativi inmateria di lavori pubblici nei quali sia statachiesta la sospensione del provvedimentoimpugnato, i controinteressati e l’ammini-strazione resistente possono chiedere che laquestione venga decisa nel merito.L’udienza fissata a tal fine deve aver luogoentro novanta giorni o, nel caso in cuil’istanza sia proposta all’udienza già fissataper la discussione del provvedimento d’ur-

genza, entro sessanta giorni. Tutte le ordi-nanze di rimessione muovono dal presup-posto che, ai sensi della norma impugnata,la presentazione dell’istanza di decisionedella questione nel merito precluda l’esamedell’istanza cautelare, privando il giudiceamministrativo del potere di sospenderel’efficacia del provvedimento impugnato, esu tale premessa interpretativa fondano trediverse censure di costituzionalità. La que-stione non è fondata nei termini di seguitoprecisati. L’interpretazione della normaimpugnata, che tutte le censure presuppon-gono, in base alla quale la richiesta che lacausa venga decisa nel merito paralizzereb-be il procedimento cautelare, non può esse-re condivisa. E, invero, dallo stesso conte-sto dell’art. 31 bis è agevole trarre l’inter-pretazione opposta, secondo la quale la pre-sentazione dell’istanza di cui all’art. 31 bis,3° comma, non elimina il potere cautelaredel giudice, che può pur sempre sospendereil provvedimento impugnato in presenzadei presupposti di legge.

14 L’azione cautelare ha infatti un propriooggetto specifico consistente nella misurarichiesta, ed una propria causa petendi, con-sistente oltre che nei fatti costitutivi del dirit-to sui quali è richiesto un accertamento som-mario, nel periculum in mora, cioè nel pro-babile danno, normalmente irreparabile, chederiverebbe al richiedente nelle more delgiudizio. Vd. C. ASPRELLA, Alcuni aspettidel procedimento cautelare uniforme allaluce delle recenti riforme del processo civile,in: appinter.csm.it/incontri/vis_relaz_inc.php?&ri=MjAwNzc%3D, 2011, 1. Vd. P.CALAMANDREI, Introduzione allo studiosistematico dei provvedimenti cautelari,Padova 1936, p. 21 e sgg. e F.G. SCOCA,Giustizia amministrativa, Torino 2006, p.285.

15 L’art. 21, comma 8 della legge n. 1034del 1971, ora abrogato dal codice, dispone-va che “Se il ricorrente, allegando un pre-giudizio grave e irreparabile derivante dal-l’esecuzione dell’atto impugnato, ovverodal comportamento inerte dell’amministra-zione, durante il tempo necessario a giunge-re ad una decisione sul ricorso, chiedel’emanazione di misure cautelari, compresal’ingiunzione a pagare una somma, cheappaiono, secondo le circostanze, più ido-nee ad assicurare interinalmente gli effettidella decisione sul ricorso, il tribunale

amministrativo regionale si pronuncia sul-l’istanza con ordinanza emessa in camera diconsiglio. Nel caso in cui dall’esecuzionedel provvedimento cautelare derivino effettiirreversibili il giudice amministrativo puòaltresì disporre la prestazione di una cauzio-ne, anche mediante fideiussione, cui subor-dinare la concessione o il diniego dellamisura cautelare. La concessione o il dinie-go della misura cautelare non può esseresubordinata a cauzione quando la richiestacautelare attenga ad interessi essenzialidella persona quali il diritto alla salute, allaintegrità dell’ambiente, ovvero ad altri benidi primario rilievo costituzionale.L’ordinanza cautelare motiva in ordine allavalutazione del pregiudizio allegato, edindica i profili che, ad un sommario esame,inducono a una ragionevole previsione sul-l’esito del ricorso. I difensori delle partisono sentiti in camera di consiglio, ove nefacciano richiesta”. Sul parallelismo tra pro-cesso cautelare e di merito e le attribuzionigiurisdizionali di annullamento e quelle diordine cautelare cfr. Consiglio Stato, Sez.IV, 5 giugno 1979, in Giur. Cost. 1979, II, p.1857: “Non è manifestamente infondata – inriferimento agli articoli 3 comma 1, 24comma 1, 97 comma 1, 101 comma 1 e 113commi 1 e 2 Cost. – la questione (sollevataper l’eventualità dell’accoglimento di quellaprecedentemente dedotta con riguardoall’art. 5 comma 5 L. n. 1 del 1978) di legit-timità costituzionale dell’art. 5 comma 4della medesima L. 3 gennaio 1978 n. 1 nellaparte in cui circoscrive l’efficacia delle ordi-nanze di sospensione del provvedimentoimpugnato da parte dei tribunali regionaliamministrativi a non oltre sei mesi dalladata di emanazione. Tale limitazione, chepriva l’istante di tutela per la restante duratadel processo di primo grado non appare giu-stificata dalla “ratio” della norma di assicu-rare la celere realizzazione delle opere pub-bliche (il che porta ad escludere in via inter-pretativa la possibilità di reiterazione dellasospensione di sei mesi in sei mesi).Sussiste altresì la violazione dell’art. 97Cost., non corrispondendo al principio dibuon andamento dell’amministrazione chevenga data attuazione al provvedimentoamministrativo nonostante la sussistenza del“fumus” di legittimità discendente dalladisposta sospensione (salva la possibilità diun’ulteriore sospensione disposta dal giudi-ce di appello ai sensi dell’art. 33 comma 3della L. n. 1034 del 1971). Infine in un siste-

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ma di giurisdizione di annullamento non sigiustifica l’esclusione della possibilità dianticipare in via cautelare l’effetto finale diannullamento, dovendosi ravvisare un per-fetto parallelismo fra le attribuzioni giu-risdizionali di annullamento e quelle corre-lative a strumenti di ordine cautelare (artico-li 103 e 113 Costituzione). Se poi alla dispo-sizione dell’art. 5 dovesse riconoscersi effi-cacia limitata alla materia delle opere pub-bliche, ne risulterebbe anche il contrasto conl’art. 3 Cost. non apparendo giustificata ladiversità di trattamento dalle esigenze dicelerità di realizzazione delle predette operepubbliche”.

16 Cfr. Tribunale Firenze, 17.8.2006, inForo toscano-Toscana giur., 2006, p. 340, ilquale puntualizza che “avendo la modificalegislativa dell’art. 669 octies c.p.c. resomeramente eventuale la fase di merito, sononecessarie la formulazione delle conclusionidefinitive già nella fase dell’urgenza”.Tribunale di Ivrea, 28.6.2006, in Foro it.,2007, I, p. 1965 e in Giur. merito, 2007, p.1675, e in Dir. e giustizia, 2006, fasc. 32, p.41; Cass., Sez. Lav., 10.8.2006, n. 18152precisa che, in seguito alla riforma, in temadi procedimenti cautelari, il termine peren-torio previsto dall’art. 669 octies c.p.c. perl’inizio del giudizio di merito decorre dallapronuncia dell’ordinanza di accoglimentodella domanda cautelare ante causam (seavvenuta in udienza) ovvero dalla suacomunicazione, anche se l’originario prov-vedimento viene confermato in sede direclamo. Infatti, per «ordinanza di accogli-mento» di cui alla citata norma si intendequella originaria e non quella emessa in sededi reclamo, assumendo la prima rilevanzafondamentale ai fini dell’instaurazione dellafase di merito e necessitando di una verificanel giudizio di cognizione. La seconda,invece, non ha effetto assorbente o sostituti-vo, come nel caso di conferma della misuracautelare. La sentenza rileva, inoltre, chenessuna norma assegni al reclamo effettisospensivi del termine in questione, esclu-dendo anzi l’art. 669 terdecies c.p.c. che ilreclamo sospenda automaticamente l’esecu-zione del provvedimento impugnato.

17 Cass., Sez. II, 29.9.2006, n. 21140.

18 Tribunale di Napoli, 4.7.2001: “Nonrileva infatti l’eventuale conoscenza in fattodel provvedimento stesso ed inoltre, trattan-dosi di giudizio ordinario, il suddetto termi-ne è soggetto alla sospensione feriale”, in

Dir. ind., 2002, p. 129.

19 Cass., Sez. Lav., 9.5.2002, n. 6672: “Ilprovvedimento con il quale il tribunale, insede di reclamo, nega la tutela urgenterichiesta ex art. 700 c.p.c., per il suo carat-tere interinale e strumentale rispetto al pos-sibile riesame della questione nel merito invia ordinaria, non produce effetti di naturasostanziale o processuale con efficacia digiudicato e non è pertanto suscettibile diricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111Costituzione. Né la natura del provvedi-mento muta per il fatto che il giudice delreclamo possa avere valutato il fumus boniiuris della domanda, in quanto ciò non attri-buisce carattere definitivo e decisorio allapronuncia, potendo la domanda essereriproposta in un giudizio in via ordinaria, eneanche per il fatto che il giudice non abbiafissato il termine per la proposizione delgiudizio di merito, essendo tale adempi-mento previsto solo in relazione ai provve-dimenti che accolgano la richiesta cautela-re, mentre, non potendosi escludere che allafase cautelare conclusasi negativamente peril ricorrente non faccia seguito un giudizioin via ordinaria, si giustifica la previsionedella pronuncia sulle spese, opponibile aisensi degli artt. 645 seg. c.p.c.

20 Cfr. sul punto L. QUERZOLA, La tutelaanticipatoria tra procedimento cautelare egiudizio di merito, Bologna 2006, p. 6 esgg., che sottolinea come la norma, che percerti si può definire “rivoluzionaria” era datempo auspicata in dottrina. Sul punto v.anche A. PROTO PISANI, La tutela giurisdi-zionale dei diritti della personalità: stru-menti e tecniche di tutela, in Foro it., 1990,V, p. 1. Sull’attenuazione del principio distrumentalità vd. L. VIOLA, Riforma delprocesso civile e giudizio amministrativo:l’attenuazione del principio di strumentali-tà della misura cautelare, inwww.giust.amm., 2006, p. 545.

21 Per A. PROTO PISANI, Novità nella disci-plina dei procedimenti cautelari in genera-le (1994/2005), in Foro it., 2007, V, p. 81,si tratta di “Questione francamente oziosa èquella di stare a discutere (come pure si èfatto in dottrina) se i provvedimenti di cui al6° comma dell’art. 669 octies siano ancorada qualificare come cautelari, o invece dainserire in una diversa categoria di «prov-vedimenti decisori sommari di cognizione acontenuto anticipatorio»: la questione èoziosa, poiché per un verso l’art. 669 octies,

6° comma, continua ad assoggettare i prov-vedimenti in esame alla disciplina dei prov-vedimenti cautelari in generale dispostadagli articoli 669 bis e ss., per altro verso ladiversa qualificazione non varrebbe in ognicaso ad attribuire ai provvedimenti inesame attitudine a giudicato; così come illoro accostamento ai provvedimenti ex artt.186 bis e 186 ter non vale ad assoggettare ilregime della loro revocabilità alla discipli-na generale dell’art. 177 invece che a quel-la speciale di cui all’art. 669 octies”.

22 C. Stato, ad. plen., 5.9.1984, n. 17, inCons. Stato, 1984, I, p. 971, in Foro amm.,1984, p. 1651, in Foro it., 1985, III, p. 51,con nota di G. SAPORITO. Vd. VIOLA,Riforma del processo civile e giudizioamministrativo... cit., p. 545.

23 Nella letteratura processualcivilistica vd.L. QUERZOLA, La tutela anticipatoria traprocedimento cautelare e giudizio di meri-to, Bologna 2006, p. 212. Sul legame traanticipazione, cautela e strumentalità, enti-tà non contrapponibili da giustapporsivariandone la scala di intensità, in quantorappresentano diversi aspetti di un medesi-mo fenomeno vd. M. PEDRAZZOLI, La tute-la cautelare delle situazioni soggettive nelrapporto di lavoro, in Riv. Trim. dir. proc.civ., 1973, p. 41 e sgg. e QUERZOLA, Latutela… cit., Bologna 2006, p. 213.

24 Verrebbe da dire Che vi sia ciascun lodice, dove sia nessun lo sa, prendendo aprestito le parole di Demetrio di PietroMetastasio musicate da Mozart (libretto diLorenzo Da Ponte per il Così fan tutte, conriferimento alla fede amorosa).

25 A. DI CUIA, La Sospensione dell’esecu-zione del provvedimento impugnato nelprocesso amministrativo, in www.jius.unitn.it/cardozo/obiter dictum/dicuia.htm.

26 M. ANDREIS, La tutela cautelare, in R.CARANTA (a cura di), Il nuovo processoamministrativo, Bologna 2011, p. 337 e p.340.

27 A. TRAVI, Osservazioni a Cons st., sez.IV, 12 giugno 2003 n. 3312, in Foro it.,2003, III, p. 681.

28 M. ANDREIS, La tutela cautelare, in Ilnuovo processo amministrativo, CARANTA(a cura di), Il nuovo processo amministrati-vo cit., pp. 339-340.

29 M. SANINO, Codice del processo ammi-nistrativo, Torino 2011, p. 255.

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30 ANDREIS, La tutela cautelare… cit., p.339.

31 ANDREIS, La tutela cautelare… cit., pp.340-341.

32 R. GAROFOLI, La tutela cautelare degliinteressi negativi. Le tecniche del remand edell’ordinanza a contenuto positivo allaluce del rinnovato quadro normativo, in Dir.proc. amm., 2002, p. 13, il quale osserva tut-tavia che l’indubbia preferenza accordatadal legislatore per una definizione tempesti-va del merito della controversia non è argo-mento spendibile per ridimensionare edattenuare il livello di incisività della misuracautelare invocabile nel processo ammini-strativo; misura di cui va sempre assicurata,invece, la più ampia ed intensa idoneità asoddisfare le esigenze di piena tutela delleposizioni soggettive dedotte in giudizio, acondizione che siano rispettati i caratteriontologicamente propri dell’intervento inte-rinale affidato al giudice; E.M. BARBIERI, Èbene abolire la pregiudiziale amministrati-va?, in Riv. trim. appalti, 2006 pp. 807 esgg.; O.M. CALSOLARO, Per la pregiudizialeamministrativa: la «doppia anima» dell’in-teresse legittimo (Nota a TAR Puglia, sedeLecce, sez. II, 4 luglio 2006, n. 3710, Soc.Stilio c. Com. Lecce), in Foro amm. TAR,2006, p. 2652 e sgg.; R. CARANTA, Ancorasulla pretesa pregiudizialità tra ricorsod’annullamento e ricorso risarcitorio (Notaa C. Stato, Sez. V, 30 agosto 2006, n. 5063),in Urb. e app., 2007, pp. 83 e ss.; S. Castro,La pregiudiziale amministrativa dell’annul-lamento dell’atto: tramonto dell’ennesimomito pubblicistico?, in Merito, 2007, fasc. 4,p. 74.

33 D. DE CAROLIS, Tutela cautelare e attinegativi, in M. ROSSI SANCHINI (a cura di),La tutela cautelare nel processo ammini-strativo, Milano 2006, p. 125.

34 A titolo esemplificativo si segnala l’ord.n. 655/2007 del TAR Emilia Romagna –Bologna Sez. I, che aveva respinto l’istanzacautelare “Ritenuto, ad un primo esamedella causa, che il ricorso non contengapuntuali censure rilevanti l’illegittimità delprovvedimento impugnato…”. Con la pro-nuncia di merito, la n. 2997/2007, lo stessoTAR accoglie invece la domanda, specifi-cando nel corpo della motivazione che“Nonostante il diverso avviso espresso daquesto tribunale in sede cautelare (peraltrosulla base della sommaria deliberazione

tipica di quella fase) il Collegio ritiene cheil ricorso merita di essere accolto in quantorisultano fondate, in particolare, le censureriguardanti l’insufficienza della motivazio-ne posta a base del giudizio di non ammis-sione e il mancato coinvolgimento dellafamiglia nelle vicende scolastiche del-l’alunna”.

35 R. CAPONI, La nuova disciplina dei proce-dimenti cautelari in generale (L. n. 80 del2005), in Foro it., 2006, V, p. 69, spec. sub 7.

36 In base a tali assunti potrebbero ritener-si applicabili pure nel processo amministra-tivo sia l’art. 669 sexies c.p.c., sia il prece-dente art. 669 quater, 2° comma, in virtùdei quali, se la causa pende davanti alTribunale la domanda si propone al giudiceistruttore oppure, se questi non è ancoradesignato, al presidente, cfr. A. PROTOPISANI, Novità nella disciplina dei procedi-menti cautelari in generale (1994/2005), inForo it., 2007, V, p. 81: “Circa l’interpreta-zione dell’art. 669 octies, 6° comma allanuova disciplina sono soggetti: a) tutti iprovvedimenti d’urgenza ex art. 700, abbia-no essi (come normalmente accade) conte-nuto anticipatorio o (come non è esclusodalla lettera dell’art. 700) contenuto conser-vativo (es., a tutela del diritto alla riserva-tezza, sequestro di materiale fotografico);b) tutti gli altri provvedimenti cautelari ido-nei ad anticipare gli effetti della sentenza dimerito, previsti dal codice civile o da leggispeciali; sia che l’anticipazione sia totale(di tutti gli effetti della sentenza di merito)sia che l’anticipazione sia soltanto parziale.Viene immediatamente alla mente l’inibito-ria provvisoria c.d. brevettuale, inibitoriaoggi prevista dall’art. 131 D.Lgs. 30/05(codice della proprietà industriale), masubito l’interprete si scontra con la durarealtà della modifica apportata all’art. 131dal D.Lgs. 140/06, che assoggetta tale inibi-toria ad un regime di rigida strumentalità: c)Tutti i provvedimenti emessi a seguito didenunzia di nuova opera o di danno temuto.La previsione è di grosso interesse poiché aisensi dell’art. 1171, 2° comma, c.c. la cau-zione è in ogni caso componente inelimina-bile dei provvedimenti in tema di denunciadi nuova opera: il che dimostra chiaramentecome non vi sia alcun ostacolo ontologicoall’adozione del regime di strumentalitàallentata o attenuata anche ai provvedimen-ti conservativi, nonché che il regime di stru-mentalità allentata o attenuata non sarà osta-

colato in modo alcuno dall’imposizione diuna cauzione ex art. 669 undecies a un prov-vedimento d’urgenza ex art. 700 o ad altroprovvedimento «anticipatorio» degli effettidella sentenza. Con queste indicazioni ognicertezza finisce, così che, fuori delle nonsecondarie ipotesi sopra ricordate, l’opera-tore pratico prudente farà bene ad instaurarela causa di merito nei termini previsti dal-l’art. 669 octies, 1° comma, sempre però chesi sia alla presenza di un vero provvedimen-to cautelare soggetto alla disciplina degliartt. 669 bis e sgg.: al riguardo rinvio alleprecisazioni già effettuate nell’articolo del1991, specie sub 11.8; R. CAPONI, La nuovadisciplina dei procedimenti cautelari ingenerale (L. n. 80 del 2005), in Foro it.,2006, V, p. 69, spec. sub 7.

37 Cons. St. Sez. III n. 4067 del 16 settem-bre 2011 accoglie l’istanza cautelare rin-viando al TAR per la sollecita fissazionedell’udienza di merito ai sensi dell’art. 55,comma 10, c.p.a. e, specificando che “potràessere verificata in sede di merito la situa-zione familiare dell’appellante e la effettivi-tà e attualità del ricongiungimento familiare,nonché la durata del suo regolare soggiornoin Italia”.

38 A. MONACILIUNI, I limiti della tutela cau-telare nel processo amministrativo, inwww.lexitalia.it: “La giustizia tanto piùeffettiva avrà ad essere quanto più sarà ingrado di valutare immediatamente e conte-stualmente le diverse ragioni, emanandodecisioni il più possibile certe e definite,evitandosi che l’alea iudiciorium, riferitaalla fase cautelare, possa significare che lapartita è giocata con dadi così piccoli, danon rendere chiaro neppure chi «la sorte»abbia favorito. Si obietterà che le osserva-zioni sopra esposte sono riferibili all’interagamma dei procedimenti cautelari e che rap-presentano il rovescio della medaglia deldoppio grado di giurisdizione, che, tuttavia,ha, dall’altra faccia, il vantaggio insoppri-mibile di garantire il vaglio successivo delgiudice dell’appello anche su dette misurecautelari, rese in prime cure. Non è questa lasede per approfondire il discorso in relazio-ne alla generalizzazione dell’istituto deldoppio grado di giurisdizione ed ai suoieffetti; quel che appare potersi qui rilevare ècome tale approfondimento andrebbe senzadubbio esperito in una riforma del comples-sivo sistema giudiziario civile e penale, allostato incapace di assicurare effettiva giusti-

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zia, che significa anche dare effettività allastessa, se del caso sacrificando qualcosa intema di garanzie meramente formali, sì danon rendere concreto, al termine della fasecautelare, di quella di merito, delle impugna-zioni e di quant’altro ancora possibile, ildetto summum ius summa iniuria.

39 F. COCOMILE, Niente alternatività per ilcontrointeressato pretermesso, in Giust.amm., 2006, p. 1283. MONACILIUNI, I limi-ti… cit.: “È evidente come “in luogo delcontinuum si assisterà ad un susseguirsischizofrenico di go and stop, che poco ha daspartire con l’effettività della tutela.[...]

Inevitabilmente, in tal modo, il giudicediviene, in qualche misura, parte della com-plessiva azione, con conseguente svilimentodel suo ruolo e di quell’imperium iudicis,che dovrebbe essere preservato, al di sopraed al di là delle parti in causa, rappresentan-do la giustizia la più alta espressione dellasovranità dello Stato”.

40 Vd. TAR Lombardia – Milano, Sez. I del15.9.2011 in merito ad procedimento diverifica dell’inquinamento acustico e TARLombardia – Milano, Sez. I del 15.9.11 cheaccoglie in attesa di verifiche l’art. 119comma 3 del codice prevede che il giudice

cautelare disponga, qualora lo ritenganecessario, il deposito documenti, con unconseguente ampliamento della fase istrut-toria cautelare che, in tal caso, è conseguen-za diretta della conversione del giudizioabbreviato in giudizio di merito.

41 V. TAR Lombardia – Milano, Sez. I, cit.

42 Anche se la sensazione, che può ancheessere forse di conforto per certi aspetti, èche Plus ça change, plus c’est la mêmechose (più si cambia, più è la stessa cosa),per dirla con Alfonso KARR, in En fumant,Paris 1861, p. 54.

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L’istituto dell’ascolto della persona minore dietà, nell’ambito dei procedimenti in materiafamiliare, è stato elevato a principio generale

del nostro ordinamento interno dall’art. 12 della legge176/1991, di ratifica della Convenzione dei Diritti delFanciullo di New York del 1989, secondo il quale:

“Gli Stati parti garantiscono al fanciullo capace didiscernimento il diritto di esprimere liberamente lasua opinione su ogni questione che lo interessa, leopinioni del fanciullo essendo debitamente prese inconsiderazione tenendo conto della sua età e del suo

grado di maturità. A tal fine, si darà in particolare al fanciullo la possi-bilità di essere ascoltato in ogni procedura giudizia-

ria o amministrativa che lo concerne, sia direttamen-te, sia tramite un rappresentante o un organo appro-priato, in maniera compatibile con le regole di pro-

cedura della legislazione nazionale”.

Il tema dell’ascolto del minore è stato poi rafforzatodalla Convenzione di Strasburgo del 1996, ratificatacon la legge 77/20031.L’impatto di tali strumenti nell’ordinamento internonon ha tardato a farsi avvertire.E, infatti, la L. 54/2006, conosciuta come “legge sul-l’affidamento condiviso”, ha inserito nel codice civi-le, tra gli altri, l’art. 155 sexies in forza del quale,prima dell’emanazione, anche in via provvisoria, deiprovvedimenti relativi ai figli “il giudice disponel’audizione del figlio minore che abbia compiuto glianni 12 o anche di età inferiore ove capace didiscernimento”.Tale audizione, per effetto dell’art. 4 della medesimalegge appena citata, è prevista, peraltro, anche nei giu-dizi di scioglimento, di cessazione degli effetti civili odi nullità del matrimonio, nonché nei procedimentirelativi ai figli di genitori non coniugati.

L’elevazione dell’ascolto a diritto soggettivoOra, con l’entrata in vigore della legge n. 219/2012, cheha riformato alcune norme sullo status filiationis,l’ascolto del minore risulta elevato a vero e propriodiritto soggettivo: ai diritti-doveri costituzionalmentegarantiti ai genitori dall’art. 30 (Cost.), infatti, con l’in-serimento della norma dell’art. 315 bis c.c. ad opera ditale legge, sono stati attribuiti al soggetto “figlio”, legit-timo o naturale, i corrispondenti diritti soggettivi adessere mantenuto, istruito, educato, assistito moralmen-te dai genitori, il diritto a crescere in famiglia e a man-tenere rapporti significativi con i parenti e, infine, ildiritto soggettivo a essere ascoltato: proprio perché ilfuturo provvedimento di affidamento lo riguarda diret-tamente, il “figlio” non dovrà più essere consideratosolo quale individuo oggetto di protezione, ma comesoggetto portatore di un autonomo diritto soggettivo.D’altronde anche le ricerche in ambito psicologico par-lano dell’ascolto come uno dei doveri dell’adulto neiconfronti dei bisogni del bambino.Punto di convergenza, pertanto, tra le due discipline(ordinamento giuridico e costante giurisprudenza da unlato ed ambito psicologico dall’altro) sta nel fatto chein entrambe si afferma la necessità che il bambinovenga ascoltato.Secondo Wallerstein e Tanke “i Tribunali dovrebberoascoltare la voce di un minore, amplificandola e ante-ponendola al rumore del conflitto genitoriale, solo inquesto modo è possibile assicurarsi il miglior interes-se del minore”.

Momento processuale necessarioNella prassi, tuttavia, nonostante questa convergenza dipensiero, l’audizione del “figlio” minore di età nei proce-dimenti che lo riguardano continua a trovare non pochedifficoltà ad essere recepita come necessario momentoprocessuale, volto all’acquisizione di uno degli elementiche il giudice deve tenere presente nel decidere.

L’ascolto del minore: dovere del giudice e dirittodel figlio. Riferimenti normativiSamantha LuponioAvvocato del Foro di Roma

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Negli anni, si sono formate varie prassi interpretativeed applicative, alcune delle quali formalizzate in proto-colli proliferati sul territorio nazionale, anche questi ete-rogenei sia per le previsioni sia per i soggetti firmatari.Il quadro applicativo che ne deriva comporta incertez-za nei soggetti coinvolti in tali procedimenti e, talvolta,avvilimento dei diritti della difesa.

Finalità dell’ascoltoCon l’ascolto del minore, nei giudizi civili e precipua-mente in quelli riguardanti l’affidamento del minore, cisi propone di comprendere il ruolo che egli assumeall’interno del suo contesto di vita e di sintonizzarsicon il suo mondo interno e la sua visione degli eventi.Affinché ciò sia possibile, l’attenzione deve essererivolta non soltanto verso gli aspetti oggettivi che loriguardano (vissuto, situazioni ed eventi), ma ancheverso gli aspetti soggettivi, che sono relativi al modocon cui vengono dal minore attribuiti significati allecose e agli eventi nonché ai comportamenti delle perso-ne che lo circondano.E tutto ciò per recepirne nel processo l’opinione, leistanze e le esigenze.Entrando nello specifico, l’ascolto può essere utile aindicare in che modo il figlio può coordinarsi tra le dueabitazioni dei genitori, in cosa un genitore è più com-petente rispetto all’altro e, soprattutto, come ognunodei due genitori possa impegnarsi, dopo la separazione,a gestire, insieme all’altro, la funzione educativa.Peraltro l’audizione del bambino, da parte del giudice odei suoi ausiliari, può costituire un’occasione per favo-rire la capacità di ascolto da parte dei genitori che nondovrebbero mai dimenticare che è loro precipuo dove-re tener conto delle capacità, inclinazioni e aspirazionidei figli.

No Atto Istruttorio – Sì Atto ProcessualeDal punto di vista processuale, benché l’ascolto delminore sia stato inserito subito dopo la previsione cheil giudice, prima di emanare i provvedimenti ancheprovvisori possa assumere mezzi di prova, non puòaffermarsi che tale “ascolto” sia un mezzo istruttorio,atteso che non è volto alla verifica di un fatto posto allabase della domanda giudiziaria di parte.La finalità dell’ascolto, infatti, è puramente informati-va e riguarda le opinioni del minore, i suoi desideri e le

sue emozioni e contribuisce al miglior convincimentodel giudice, senza poterlo determinare, né costituisceuna prova in senso tecnico.L’ascolto non è assimilabile alla testimonianza, inquanto non è diretto a recepire fatti dei quali una perso-na possa riferire: anzi è il suo esatto contrario, poichénella testimonianza sono da escludere le valutazioni ele opinioni, mentre il minore è chiamato proprio amanifestare il suo pensiero.Nemmeno è assimilabile all’interrogatorio formale: laprospettiva di confessione della parte di circostanzealla stessa sfavorevoli è evidentemente estranea all’au-dizione del minore.Poiché, secondo plurime pronunce della CorteCostituzionale e della Cassazione, al minore va attri-buita la qualità di parte in senso sostanziale, forse lasua audizione potrebbe essere assimilata all’interroga-torio libero che, secondo autorevole dottrina (Satta,Punzi), è volto a dare alla parte la possibilità di spiega-re al giudice le proprie ragioni.Tuttavia la soluzione preferibile sembra quella di estra-neità al sistema delle prove, conferendone specificità inragione della sua funzione di recepire nel processol’opinione del soggetto vulnerabile, nel cui preminenteinteresse il provvedimento verrà assunto.L’audizione del minore, pur non essendo atto istrutto-rio, è però certamente un atto processuale che si carat-terizza, cioè, per la sua qualità di costituire elementodel processo di realizzazione della tutela giurisdiziona-le in quanto atto coordinato all’esercizio della giurisdi-zione in materia di diritti dei minori.

Forma dell’ascoltoIn quanto atto processuale, dunque, l’ascolto del mino-re è soggetto al principio fondamentale in tema diforme processuali che è quello della libertà di forma.È noto che, se non sono richieste forme determinate, gliatti devono essere svolti nella forma più idonea al rag-giungimento dello scopo cui sono preordinati, intesoevidentemente come funzione che l’ordinamento asse-gna a ciascuna di loro.Quindi, atteso che la funzione dell’ascolto è certamentequella di assicurare al giudice l’acquisizione dell’opinio-ne del minore ed avuto riguardo alla circostanza che ènecessario che tale pensiero sia libero e consapevolmen-te formato ed espresso, ci si chiede quale sia la forma

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processuale più corretta per l’assunzione di tale atto.A tal fine, per individuare la forma processuale più ade-guata, occorre fare riferimento ai principi generali intema di giurisdizione e armonizzarli con il principiopeculiare di ogni procedimento che abbia ad oggetto idiritti del minore.In sintesi, contraddittorio, diritto di difesa e terzietà delgiudice debbono necessariamente contemperarsi, nelcaso concreto, con il principio del superiore interesse delminore che costituisce criterio preminente di giudizio.

Contraddittorio e difesa delle partiDall’esame della normativa e della giurisprudenza siricava che l’opinione del bambino, nella cui sferavanno a incidere i provvedimenti, è uno degli elementisu cui si forma il convincimento del giudice ma que-st’ultimo, di certo, non ha l’obbligo di conformarvisi,poiché dovrà decidere tenendo prioritariamente contodell’interesse del minore, potenzialmente non coinci-dente con l’opinione di costui. Sui pensieri espressi dal bambino, tuttavia, il Giudicedovrà motivare la propria decisione, così come dovràchiarire le motivazioni per le quali eventualmenteabbia ritenuto opportuno escludere l’audizione delminore, in ragione – ad esempio – del suo superioreinteresse ovvero di una rilevata carenza di maturità.La difesa delle altre parti ha tutto l’interesse a conosce-re direttamente l’opinione del minore nel processo,senza filtri che potrebbero essere devianti, sia per laformulazione di ulteriori istanze (anche istruttorie)nello stesso grado di giudizio, sia ai fini dell’eventualeimpugnazione.Appare evidente che la piena attuazione del contraddit-torio e del diritto di difesa esigerebbero che l’audizionedel minore avvenisse alla presenza delle altre parti(genitori o tutore o parenti a seconda del procedimento).Ma è altrettanto evidente che, vigendo nei procedimen-ti minorili il principio generale del “superiore interessedel minore”, questo debba essere considerato anchenella prospettiva processuale del contraddittorio e deidiritti di difesa del bambino, che potrebbe trovarsi inti-morito o non libero di esprimersi alla presenza deidifensori delle parti. Per la varietà di ragioni e per la diversità di scenari chepotrebbero verificarsi, a seconda delle particolarità deicasi, è ovvio constatare che l’eventuale compressione

del diritto di difesa non può essere astrattamente pre-vista in via anticipata ma deve essere invece modulatodi volta in volta in ragione delle diverse e particolarisituazioni (si pensi ad esempio alla diversità dell’audi-zione di un “grande minore” di età prossima ai 18 annie quella di un bambino appena scolarizzato).La presenza dei difensori delle parti non può essereesclusa in via generale e preventiva, ma soltanto in pre-senza di particolari situazioni, che richiederanno ade-guata motivazione.Il contraddittorio comunque potrà essere garantito,prima dell’audizione, con la formulazione al giudice diparticolari questioni e dopo, con la concessione di ter-mini per l’esame dell’audizione resa, finalizzata a con-sentire la eventuale formulazione di specifiche istanze.Anche per questo, la redazione del verbale di audizio-ne dovrà essere fedele, pur se sintetica, ai fini dellapiena conoscenza di quanto svoltosi in sede di audizio-ne, altrimenti, i diritti di difesa, subirebbero un’ingiu-stificata e illegittima compressione.Il minore ha diritto all’ascolto che non costituisce tut-tavia l’oggetto di un suo obbligo. È invece obbligo dell’Autorità Giudiziaria far rispettaretale diritto, consentendo al bambino di esprimere le sueopinioni, libere da pressioni e spontaneamente formate.

Omesso ascolto – problematiche processualiCi si è interrogati sulle conseguenze processuali del-l’omesso ascolto del minore.La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sen-tenza n. 2238/09, a tale proposito, ha affermato l’obbli-gatorietà dell’audizione dei figli minori nei procedi-menti riguardanti il loro affidamento, salvo che taleascolto possa essere in contrasto con gli interessi fon-damentali del bambino e dovendosi motivare l’even-tuale assenza di discernimento dei minori che possagiustificarne l’esclusione. Non solo, ma la Cassazione ha altresì censurato l’omes-so ascolto del minore sotto il profilo della violazione deiprincipi del contraddittorio e del giusto processo. All’ingiustificato omesso ascolto del minore, laCassazione ha dunque fatto conseguire l’annullamentodel decreto, con rinvio al giudice a quo.

ProtocolliVari e anche molto difformi tra loro, sia per i soggetti

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firmatari che per il contenuto delle regole, i protocollisull’ascolto del minore diffusi sul territorio nazionale.Circa la natura e funzione di tali protocolli, costituisco-no piuttosto individuazione di prassi applicative condi-vise dai firmatari che li diffondono tra gli appartenentialle rispettive categorie.Se sottoscritti da istituzioni con potere disciplinare neiconfronti degli aderenti o iscritti (come ad es. l’Ordinedegli Avvocati), costituiscono norme integrative delcodice deontologico.I protocolli, ovviamente, non possono contrapporsi anorme di legge, così come interpretate dalla giurispru-denza e quindi, ad esempio non possono prevedere invia astratta, preventiva e generale:- limitazioni al diritto di ascolto del minore; - l’esclusione dei difensori delle parti;- lo svolgimento dell’ascolto in forma soltanto indi-

retta o solo diretta.

Ascolto diretto e indirettoMolto si è dibattuto e ancora si dibatte sulla possibilitàche il minore, soprattutto se infradodicenne, vengaascoltato con la modalità dell’ascolto diretto, per taleintendendosi l’audizione da parte del giudice in udien-za, eventualmente anche da parte di un ausiliarioesperto; oppure attraverso un ascolto delegato total-mente a un esperto di fiducia del Giudice (ascolto indi-retto) e che potrà essere un Giudice onorario presso ilTribunale per i Minorenni, uno psicologo, un neuropsi-chiatra infantile ovvero uno psichiatra incaricatoanche nell’ambito di una CTU.Nei giudizi di separazione giudiziale trattati dalTribunale Ordinario di Roma, l’ascolto del minore,laddove effettuato, è stato spesso delegato ad un consu-lente tecnico d’ufficio e inserito nell’ambito di un’inda-gine più ampia, relativa alla valutazione della relazionegenitore/figlio, delle caratteristiche di personalità ovve-ro delle competenze genitoriali.Occorre tenere presente che, presso il TribunaleOrdinario, la classe di età dei figli di separati maggior-mente rappresentata è quella dei minori in età compre-sa tra i 6 e i 10 anni e che occorre tenere conto delle dif-ferenti competenze evolutive del minore effettuandouna distinzione a seconda che si tratti di un minore:- di 12 anni;- di età compresa tra gli 8 e gli 11 anni;

- con età superiore ai 12 anni.

Ascolto diretto nel Tribunale Ordinario di RomaAlcuni Giudici evidenziano le difficoltà dell’ascoltodiretto poiché, oltre a richiedere competenze specifichedi cui il Giudice non sempre dispone, l’accesso delbambino all’interno del contesto giudiziario potrebbecostituire per lui motivo di turbamento.A ciò si aggiunga il problema dell’attendibilità o menodi ciò che viene riportato dal minore e alla possibilità dicapire se e quanto egli sia stato sottoposto a pressionida parte di uno dei genitori o da parte di entrambi.In molte sedi di Tribunale vi sono protocolli già definiti.Presso il Tribunale Ordinario di Roma non si dispone diun protocollo in materia ma si segue una prassi.Il Giudice, infatti, quando procede all’ascolto direttodel minore, osserva in genere le seguenti modalità:- apre l’udienza con la sola presenza dei genitori e

degli avvocati e chiede ai genitori se acconsentonoa che l’audizione avvenga in loro assenza;

- mette a verbale il consenso dei genitori a rimanereassenti;

- se i genitori non prestano il consenso e il Giudiceritenga che la loro assenza sia necessaria per la sere-nità del minore e la genuinità dell’ascolto, esclude igenitori, con provvedimento motivato;

- può comportarsi nello stesso modo con gli avvocatio anche solo avvisarli che l’esame sarà condotto dalGiudice e che non è ammessa la cross examinationdel minore;

- si procede quindi all’accoglienza e all’informazionedel minore, invitandolo ad entrare in aula: il Giudicesi presenta e spiega con termini semplici quali sianole sue funzioni;

- illustra al minore le ragioni dell’ascolto, gli spiegache si tratta di un suo diritto e che si terrà contodella sua opinione anche se poi le decisioni potran-no essere diverse dalla sua volontà (se si tratta di unminore “grandicello”, può anche spiegare come fun-ziona il processo e cioè che ognuno esprime la pro-pria opinione e poi il Giudice decide);

- comincia da domande di esplorazione delle aree divita del minore, quali la quotidianità, i rapporti sco-lastici, i rapporti amicali, gli sport praticati, ecc.;

- piano piano si avvicina all’oggetto del giudizio, cheper lo più è l’affidamento, cercando di capire la

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gestione e l’organizzazione dei rapporti familiari;- legge il verbale al minore e gli chiede se ha tradotto

bene il suo pensiero, avendo cura di sapere se c’è qual-cosa che vuole far conoscere al giudice o chiedere;

- conclude la conversazione salutando il minore e locongeda spiegandogli che deve terminare l’udienza;

- richiama i genitori ed eventualmente gli avvocati,dando lettura del verbale e chiedendo se vogliono ren-dere altre dichiarazioni o inserire qualcosa al verbale;

- va avanti con la procedura (rinvio o riserva o termini).

ConclusioniSoprattutto con i minori infradodicenni e nei casi piùcomplessi sarebbe opportuno che il bambino vengaascoltato in modalità indiretta alla presenza di figureprofessionali con adeguata formazione e all’interno di

una Consulenza Tecnica d’Ufficio, poiché questo siste-ma, pur maggiormente dispendioso in termini di tempie di risorse, può risultare più efficace in quanto consen-te di inserire le dichiarazioni del minore all’interno delquadro relazionale allargato, di esplorare con attenzio-ne il suo mondo affettivo e relazionale anche a livellointrapsichico ed eventualmente di avere uno spazio psi-cologico per testare la modificabilità di posizioni orelazioni disattivate, assunte nell’ambito del conflittotra i genitori, come le difficoltà o i rifiuti nei confrontidi un padre o di una madre.In conclusione, può formularsi l’auspicio che tutti glioperatori del diritto abbiano e dimostrino l’elevata sensi-bilità che qualsiasi minore ha diritto di esigere allorchési tratti di decisioni che lo riguardano e che sono destina-te a segnare il suo sereno sviluppo verso l’età adulta.

1 art. 6: “Nelle procedure che interessanoun fanciullo, l’autorità giudiziaria, primadi adottare qualsiasi decisione deve: a) esaminare se dispone di informazionisufficienti in vista di prendere una decisio-ne nell’interesse superiore del fanciullo e,se del caso, ottenere informazioni supple-mentari in particolare da parte di coloro

che hanno la responsabilità di genitore; b) quando un fanciullo è considerato daldiritto interno come avente un discernimen-to sufficiente, l’autorità giudiziaria: - si accerta che il fanciullo abbia ricevu-

to ogni informazione pertinente; - consulta personalmente il fanciullo, se

del caso, e se necessario in privato,direttamente o attraverso altre persone

o organi, nella forma che riterrà piùappropriata tenendo conto del discerni-mento del fanciullo, a meno che ciò nonsia manifestamente in contrasto con gliinteressi superiori dello stesso;

- consente al fanciullo di esprimere lasua opinione;

c) tenere debitamente conto dell’opinioneespressa da quest’ultimo”.

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1.PremessaLa necessità di penetrare a fondo le maglie diorganizzazioni criminali particolarmente per-

niciose, ramificate sul territorio, nazionale e sovrana-zionale, e connotate da strutture piramidali difficilmen-te decifrabili, ha indotto la magistratura negli anni a farfrequente, se non costante, ricorso alla figura del colla-boratore di giustizia.Si tratta di un membro effettivo del sodalizio che, perle ragioni più disparate, che possono spaziare dal meroutilitarismo alla necessità di svincolarsi dall’associa-zione mafiosa, decide di cooperare con le autorità sta-tuali rendendo dichiarazioni utili a far conoscere, com-prendere ed eventualmente sconfiggere la realtà crimi-nale d’appartenenza.È indubbio infatti che il ricorso alla tecnica della colla-borazione processuale produca effetti spesso devastan-ti all’interno delle organizzazioni criminali, da semprerese forti dall’atteggiamento omertoso dei loro membrie della popolazione, e costrette a fare i conti con la pre-senza di potenziali traditori: un affiliato che decide dirompere con la cosca malavitosa, infatti, oltre a inqui-narne le strutture, rende l’associazione vulnerabile,meno coesa e esposta al pericolo della scissione. Inaltre parole, l’attività collaborativa non solo è empiri-camente necessaria al riscontro di prove utilizzabili insede processuale, ma consente anche di sfaldare l’unio-ne all’interno della mafia, ossia quella forma di aggre-gazione e reciproca fiducia che ha da sempre costituitoil punto di forza degli uomini d’onore.1

La storia moderna del pentitismo italiano ha avuto ini-zio negli anni Ottanta, con le dichiarazioni di TommasoBuscetta2 ed ha subito una graduale evoluzione che hatrasformato delazioni eccezionali in un ordinario stru-mento di lotta alla mafia. Il maggior numero di collaborazioni è stato riscontratonella metà degli anni Novanta, all’indomani delle cele-

bri stragi di Capaci e di via D’Amelio. La morte deimagistrati Falcone e Borsellino e degli agenti di scortainfatti indussero le autorità nazionali ad inasprire lemisure di contrasto alla criminalità organizzata e ad uti-lizzare gli ex mafiosi come valvola di accesso ai verti-ci delle strutture criminali.Tuttavia, il fenomeno negli anni ha progressivamenteassunto connotati particolarmente problematici: invero,l’intersecarsi di sistemi tutori e premiali ha indotto sem-pre più i membri delle organizzazioni criminali a rende-re dichiarazioni in cambio di sconti di pena, beneficipenitenziari e meccanismi di protezione dell’incolumitàpersonale propria e dei congiunti, ovviamente esposti aprobabili vendette trasversali di tipo esemplare.3

Di qui l’evidente necessità di arginare il ricorso a col-laborazioni di scarsa utilità, se non addirittura false oindotte dalla stessa mafia per fuorviare l’attività inve-stigativa.Senza contare che, in difetto di regole ben definite diutilizzabilità delle collaborazioni rese, la magistraturaera esposta ad atteggiamenti latamente ricattatori delpentito, che rendeva dichiarazioni incomplete e comun-que eccessivamente dilazionate nel tempo.La necessità di scoraggiare forme pretestuose di coope-razione e di contenere sia il problema delle c.d. dichia-razioni a rate, che le difficoltà derivanti dall’utilizzodella decretazione d’urgenza, è stata alla base dellemodifiche introdotte alla legge sulle collaborazioni digiustizia.Nel 2001 infatti il legislatore, con la tecnica dell’inter-polazione, è intervenuto sul corpo normativo previgen-te, con innesti, modifiche ed integrazioni, ridisegnan-do, al termine di travagliati lavori parlamentari, i con-torni della legislazione processuale e tutoria in materia.Il nostro lavoro si propone, da un lato, di analizzare sin-teticamente i punti salienti della disciplina normativa, edall’altro di focalizzare, in una prospettiva criminologi-

Il fenomeno del pentitismonella prospettiva criminologica integrataGiovanni NeriAvvocato del Foro di Roma – Docente di Criminologia UNI I.P.U.S. Chiasso – Direttore scientifico della collana Jus & Comparative Law

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ca integrata, gli aspetti più problematici della vita delcollaboratore che, distaccandosi progressivamente dalsodalizio di appartenenza, si trova a vivere inevitabilicrisi d’identità e si rifugia nella protezione offertaglidal magistrato, dapprima nemico e poi, dopo la cesuracon il vissuto mafioso, unico tutore della sua stessaincolumità.

2. Il fenomeno del pentitismo. Profili giuridiciCome premesso, la legge di riforma è intervenuta sullanormativa previgente adottando una serie di accorgi-menti per lo più volti a scoraggiare il ricorso incondi-zionato alla collaborazione, altrimenti scontatamenteconcepita come una sicura via d’accesso a misure tuto-rie e premiali.4

Attualmente, infatti, l’acquisto dello status di collabo-ratore è limitato ai soli delitti di tipo mafioso5, subordi-nato a stringenti requisiti di veridicità, tempestività edimportanza delle informazioni rese, ed ha quale imme-diato contraltare la demenutio patrimonii del pentito.6

Espunto il requisito dell’indispensabilità, originaria-mente previsto in sede di riforma, la collaborazionedeve ad oggi presentare i caratteri dell’attendibilità e,disgiuntamente, i connotati della novità o completezza.La genuinità delle dichiarazioni è garantita dall’isola-mento del propalante,7 cui viene fatto divieto di interlo-quire con altri dichiaranti e di intrattenere rapporti dicorrispondenza epistolare, telegrafica o telefonica,salvo che per gravi esigenze relative alla vita familiare. Inoltre, il pericolo di possibili concertazioni e dichiara-zioni c.d. a rate è pressoché azzerato dalla prevista sot-toscrizione del verbale illustrativo. Si tratta di un docu-mento programmatico che deve essere redatto entro iltermine perentorio di centottanta giorni dall’intervenutamanifestazione della volontà cooperativa e che cristal-lizza integralmente i contenuti della collaborazione.8

Il verbale deve contenere l’indicazione di ogni notiziautile alla ricostruzione dei fatti e degli episodi di mag-gior allarme sociale di cui il dichiarante sia a conoscen-za, di ogni informazione che consenta la cattura deicomplici, nonché dei dati necessari per procedere alreperimento e alla confisca dei beni del collaboratore ocomunque a disposizione del gruppo criminale d’ap-partenenza.9

A conclusione delle dichiarazioni, l’aspirante collabo-ratore deve attestare di non essere a conoscenza di ulte-

riori circostanze processualmente utilizzabili e devegarantire il silenzio sui fatti oggetto della cooperazione,noti alla sola autorità giudiziaria e al difensore.L’omessa o tardiva sottoscrizione del verbale inibiscel’applicazione delle circostanze attenuanti e la fruizio-ne dei benefici penitenziari e delle misure tutorie con-nesse all’attività di collaborazione. Inoltre, l’inosser-vanza dei termini e dei divieti imposti in fase di stesu-ra determina l’inutilizzabilità processuale delle dichia-razioni ivi contenute.Il verbale viene infine inserito in un fascicolo deposita-to presso il procuratore della Repubblica e confluisceper estratto in quello del pubblico ministero relativo aiprocedimenti sui fatti oggetto della collaborazione.A scoraggiare le c.d. collaborazioni facili contribuisceinoltre l’eliminazione di ogni forma d’automatismonella revoca o sostituzione della misura custodiale perl’intervenuta attività di cooperazione con la giustizia ela necessaria espiazione di una porzione di pena perl’accesso ai benefici penitenziari.Infatti, la cessazione della custodia cautelare in carcereresta subordinata ad un vaglio che accerti l’insussisten-za di attuali legami del propalante con la criminalitàorganizzata e i benefici penitenziari possono essereconcessi soltanto dopo l’espiazione di un quarto dellasanzione inflitta e, in caso di condanna all’ergastolo,scontati almeno dieci anni di pena.L’applicazione delle misure di protezione è ad oggicompletamente disgiunta dalla concessione dei benefi-ci penitenziari, con pregevole scissione del momentotutorio da quello premiale, ed è gradualmente connessaall’attualità, intensità e gravità del pericolo cui il penti-to viene esposto.10

Alle tecniche ordinarie di protezione, si affiancanomisure speciali di varia natura, che possono consisterein precipui accorgimenti di videosorveglianza, trasferi-menti o piantonamenti del collaboratore in regime didetenzione. In casi di particolare gravità viene infineadottato uno specifico programma di protezione, contecniche di tutela particolarmente invasive, che spazia-no dal trasferimento in luoghi protetti alla mimetizza-zione anagrafica mediante il rilascio di appositi docu-menti di copertura.11

Il programma comprende anche forme di assistenzalegale e finanziaria del pentito, costretto il più dellevolte a interrompere l’attività lavorativa in corso: a tal

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proposito, è prevista la corresponsione di un assegno dimantenimento, che garantisca al medesimo e alla suafamiglia un dignitoso tenore di vita nel corso della col-laborazione.Il programma è automaticamente esteso ai conviventidel pentito e a tutti coloro che, pur non coabitandovi,potrebbero in virtù del rapporto di parentela esserecomunque esposti a vendette trasversali dell’associa-zione criminale tradita.Le misure sono gradualmente modulate sulla permanen-te situazione di pericolo in cui il protetto si trova e pos-sono essere revocate o modificate al venir meno dellerelative ragioni giustificatrici o per motivi disciplinari. Inparticolare, la revoca è automatica in caso di dichiarazio-ni false o reticenti, omessa o tardiva sottoscrizione delverbale illustrativo, mancata indicazione dei beni posse-duti, violazione degli impegni assunti o commissione direati esemplificativi del reinserimento o collegamentodel collaboratore con la criminalità organizzata.12

Da ultimo, merita di esser segnalata la pregevole distin-zione, introdotta nella legge di riforma, tra pentiti e c.d.testimoni di giustizia, ossia cittadini completamenteestranei al circuito criminale o vittime di esso che perragioni di sensibilità istituzionale decidono di coopera-re con l’autorità giudiziaria, così ponendo in pericolose stessi e i loro congiunti.I c.d. collaboratori incolpevoli infatti possono renderedichiarazioni anche su delitti diversi da quelli di mafiao terroristico eversivi,13 non soggiacciono all’acquisi-zione dei cespiti patrimoniali e hanno diritto a usufrui-re di misure assistenziali in grado di garantirgli untenore di vita analogo a quello precedente alla collabo-razione.

3. Il fenomeno del pentitismo. Profili criminologiciDal punto di vista criminologico, il legislatore non haancorato gli effetti tutori e premiali della collaborazio-ne all’effettiva e onesta resipiscenza del pentito e al suosincero ripudio per i fatti narrati, e la decisione di infor-mare la giustizia dell’esperienza vissuta in sodalizi cri-minali può essere il frutto delle più disparate conside-razioni utilitaristiche, che vanno dalla volontà di acce-dere ai benefici penitenziari, alla vendetta, al riscattofamiliare, alla paura della morte per mano della cosca.14

Qualunque siano i moventi della collaborazione, ècomunque chiaro che chi si pente è chiamato ad affron-

tare un non agevole percorso che lo conduce al progres-sivo distacco dal pensare mafioso e ad una conseguen-te ed inevitabile crisi d’identità.Infatti, l’uomo d’onore che decide di tradire il proprionucleo d’appartenenza, rinuncia nel contempo al codi-ce di condotta che ha governato da sempre la sua vita ecade in uno stato di evidente disorganizzazione edestrutturazione affettiva che può mostrarsi nei modipiù disparati e con diversi gradi di intensità. Spesso siassiste a crisi di tipo depressivo, a stati di dissociazio-ne, a condizioni di angoscia e fantasie persecutorie,dettate dalla paura di ritorsioni per se è per i propri cari,e soprattutto ad uno stadio di spersonalizzazione: il col-laboratore infatti passa dallo stato di uomo d’onore aquello di inferiore, che nulla conta e nulla può, o,mutuando dalla comune terminologia di Cosa Nostra,di nuddu ammiscato cu nenti.15

Si trova in una condizione nuova, privo del suo lavoro,dei suoi ingenti beni, in isolamento, affettivo e materia-le, e convive con la costante esigenza di tutela, offertadalla magistratura e dal disposto programma di prote-zione: talvolta è obbligato a spogliarsi delle propriegeneralità, mimetizzarsi in luoghi che non conosce,allontanarsi dal proprio nucleo familiare o sottoporsi adinterventi chirurgici di plastica facciale, così eliminandoogni collegamento con il proprio vissuto precedente.Non sempre può contare sull’appoggio dei propri fami-liari, che nella maggioranza dei casi si dissocianoanche pubblicamente dalla decisione di pentirsi. Spesso infatti le donne di mafia rinnegano i mariti e sifanno porta voci dell’onore della famigghia, vivendo lacollaborazione del compagno come un fallimento dellaprogettualità familiare all’interno della società mafiosa.16

E i figli poi, se in giovane età o in fase para adolescen-ziale, subiscono traumi difficilmente reparabili. Delresto, una vita nel totale anonimato e nella diffidenza,la perdita di certezze, non sono psicologicamente supe-rabili per un bambino, incapace di elaborare le ragionidello sradicamento che è costretto a subire e completa-mente privo di ogni passato riferimento parentale eamicale. Obbligato improvvisamente a considerarenemici gli abituali frequentatori della propria casa eamici coloro che erano stati educati da sempre ad allon-tanare e disprezzare. La collaborazione diviene la sola ragione di vita delpentito e le informazioni rese vengono concepite come

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unica ancora di salvezza per se e per i propri congiuntirimasti fedeli. Il protetto, infatti, sente di poter contareesclusivamente sul magistrato, nemico originario e orail solo in grado di assicurargli la necessaria tutela.Egli mette in discussione persino il proprio rapportofiduciario con il difensore, che lo assiste in genere solonelle prime fasi, al momento di “trattare” i beneficiderivanti dalla collaborazione, ed assume in seguito unruolo del tutto marginale. Non è infrequente che il pentito, inserito nel program-ma, decida anche di rivolgersi ad un diverso legale,temendone il legame con l’organizzazione criminaled’appartenenza. Talora poi è lo stesso difensore a rinun-ciare all’incarico, per conflitti d’interesse o per dimo-strare all’associazione cui è legato la propria devozionee il proprio disappunto per i c.d. uomini del disonore.In altre parole, all’avvocato difensore si sostituisce il“magistrato protettore”, che instaura con il pentito unrapporto di fiducia, garantendogli le necessarie tutele incambio di contributi veritieri nella lotta alla criminalitàorganizzata17.Infatti, ogni collaboratore, anche quello che desideri inrealtà mantenere un’identità deviante, devota ai circui-ti malavitosi, non può non temere sicure ritorsioni daparte dell’organizzazione cui apparteneva che, al con-trario, lo taccia come traditore e stigmatizza la vendet-ta eventualmente perpetrata nei suoi confronti, comemonito per potenziali futuri collaboratori di giustizia.Ad ogni modo, di recente, si è assistito ad un mutamen-to di rotta dei collaboratori, spesso delusi dall’ineffica-cia e dal fallimento dei programmi di protezione, ina-datti a tutelarne a pieno l’incolumità specie a fronte digruppi criminali fortemente ramificati nel territoriodell’intera penisola. Senza contare le perplessità deri-vanti dall’indubbia sorte della Commissione e dallamancanza di fondi statuali che hanno fortemente sco-raggiato le collaborazioni in atto e talora indotto idichiaranti a ripensare al loro nuovo status e a ritentareun progressivo reinserimento nei circuiti criminali,anche a rischio della propria vita.

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1 Tra le principali organizzazioni mafiose, ilminor numero di collaborazioni si riscontratra gli appartenenti alla ‘Ndrangheta cala-brese. Questo perché il legame di sanguecreato all’interno del gruppo con matrimonie affiliazioni combinate rafforza l’omertàpersa e messa in pericolo in altre associazio-ni criminali, in primo luogo Cosa Nostra.

2 Vd. P. ARLACCHI, Addio Cosa Nostra. Lavita di Tommaso Buscetta, Milano 1994.

3 Sulla legislazione anteriore alla riforma

del 2001 vd. A. BERNASCONI, I sistemi diprotezione per i collaboratori di giustizianella prospettiva premiale dell’ordinamentoitaliano e nell’esperienza statunitense, inA.A.V.V., Criminalità organizzata e politi-che penitenziarie, Milano 1994, p. 139; ID.,La collaborazione processuale. Incentivi diprotezione e strumenti di garanzia a con-fronto con l’esperienza statunitense, Milano1995; ID., Indissolubile il collegamento tracollaborazione con la giustizia e beneficipenitenziari, in Cass. Pen., III, 1997, p.

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collaborazione con la giustizia in fase ese-cutiva, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., III, 1994,p. 871.

4 Per approfondimenti vd. R. ALFONSO – F.ROBERTI, Pentiti: norme poco chiare favori-scono equivoci e applicazioni arbitrarie, inDiritto e Giustizia, 7 luglio 2001, n. 26, p.46; M. ALMA, Nuova disciplina della prote-zione e del trattamento sanzionatorio dipentiti e testimoni. Sanzioni difesa e regimetransitorio, in Dir. pen. proc., 2001; S.ARDITA, La nuova legge sui collaboratori esui testimoni di giustizia, in Cass. pen.,2001; A. DINO, Pentiti. I collaboratori digiustizia, le istituzioni, l’opinione pubblica,Roma 2006; M. FUMO, Delazione collabo-rativa, pentimento e trattamento sanziona-torio. La nuova normativa sui collaboratoridi giustizia: esegesi, spunti critici, riflessio-ni, Napoli 2001; F.P. GIORDANO – G.TINEBRA, Nuova disciplina della protezionee del trattamento sanzionatorio di pentiti etestimoni. Il regime di protezione, in Dir.pen. proc., 2001; G. MONTANARO – F.SILVESTRI, Dalla mafia allo Stato, Torino2005; C. RUGA RIVA, Il premio per la colla-borazione processuale, Milano 2002; F.SASSANO, La nuova disciplina sulla collabo-razione di giustizia alla luce della legge 13febbraio 2001, n. 45, Torino 2002; A.SPATARO, Per i collaboratori di giustizialegge scoraggia collaborazioni, in Diritto eGiustizia, 10 marzo 2001, n. 9, p. 9.

5 L’art. 9, L. 82/91, espunto il richiamoall’art. 380 c.p.p., ad oggi prevede la rilevan-za delle sole collaborazioni concernenti“delitti commessi per finalità di terrorismo odi eversione dell’ordine costituzionale ovve-ro ricompresi fra quelli di cui all’art. 51,comma 3bis, del codice di procedura penalee agli articoli 600 bis, 600 ter, 600 quater…e 600 quinquies del codice penale”.

6 Vd. V. TOMASONE, Rigore e genuinità dellacollaborazione. I pentiti nell’applicazionedella legge, in Diritto e giustizia, 2003.

7 Il dichiarante deve essere collocato inapposite sezioni dell’istituto carcerario chene garantiscano l’isolamento e ne tutelinol’incolumità personale. Non è invece piùprevista la detenzione extracarceraria.

8 Vd. M. FUMO, Il verbale illustrativo deicontenuti della collaborazione tra velleità diriforma e resistenze del sistema, in Cass.pen., 2003; A. LAUDATI, La collaborazione

con la giustizia ed il verbale illustrativo deicontenuti. Un “oggetto misterioso” introdot-to dalla l. 45/01, in Diritto e giustizia, 2003.

9 Vd. Art. 16 quater, L. 82/91.

10 Vd. F. ROBERTI, Nella netta distinzionetra premio e tutela un contributo al supera-mento delle distorsioni, in Guida al Diritto –Il sole 24 ore, 24 marzo 2001, n. 11, p. 45.

11 Vd. G. NATOLI, Problematiche concer-nenti il sistema di protezione dei collabora-tori di giustizia, in Diritto e Giustizia, 15settembre 2001, n. 31.

12 Nel caso di dichiarazioni false o violazionidei doveri imposti al pentito, può esseredisposta anche la revisione del processo nelquale sono stati applicati sconti di pena o atte-nuanti per effetto della collaborazione resa.

13 Le dichiarazioni peraltro devono presen-tare il solo connotato dell’attendibilità, enon anche quelli della novità o dell’impor-tanza. Vd. anche L. D’AMBROSIO, Testimonie collaboratori di giustizia, Padova 2002.

14 Sugli aspetti criminologici connessi alfenomeno del pentitismo vd. F. DI MARIA, Ilsentire mafioso, Milano 1989; G. LO VERSO(a cura di), La mafia dentro. Psicologia epsicopatologia di un fondamentalismo,Milano 1998; LO VERSO – G. LO COCO, Lapsiche mafiosa, storie di casi clinici e col-laboratori di giustizia, Milano 2003;P.L.VIGNA, La gestione giudiziaria del pen-tito: problemi deontologici, tecnici e psico-logici, in A.A.V.V., Chiamata in correità epsicologia del pentitismo nel nuovo codicedi procedura penale, Padova 1992.

15 Vd. P. ARLACCHI, Gli uomini del disono-re. La mafia siciliana nella vita del grandepentito Antonio Calderone, Milano 1991.

16 Vd. O. INGRASCI, Donne d’onore. Storiedi mafia al femminile, Milano 2007; L.MADEO, Donne di mafia, Milano 1994; T.PRINCIPATO, Mafia donna: le vestali delsacro e dell’onore, Palermo 1997; R.SIEBERT, Le donne, la mafia, Milano 1994.

17 Esempio emblematico della forza dellegame che si crea con il magistrato è il sui-cidio di Rita Adria, seguito alla morte diPaolo Borsellino. Vd. S. RIZZA, Una ragaz-za contro la Mafia – Rita Adria, Palermo1993. Sul rapporto tra il collaboratore e ilmagistrato vd. anche M. MELLINI, Il giudicee il pentito, Milano 1986.

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1.Sulla nozione di principi fondamentali dicoordinamento della finanza pubblica esulla competenza del legislatore statale a

prevedere nei confronti delle Regioni (anche a sta-tuto speciale) vincoli di riequilibrio della finanzapubblicaAi sensi dell’art. 117, terzo comma1, Costituzione tra lematerie oggetto di competenza legislativa concorrenteStato-Regioni rientra quella del «coordinamento dellafinanza pubblica e del sistema tributario».Nelle materie di legislazione concorrente spetta alleRegioni la potestà legislativa, salvo che per la determi-nazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legi-slazione dello Stato. Da qui la ripartizione, in materia, della c.d. legislazio-ne di principio allo Stato e di quella c.d. di dettaglioalle Regioni.Per giurisprudenza costante della Corte costituzionale,possono essere ritenute “principi fondamentali in mate-ria di coordinamento della finanza pubblica”, ai sensidel terzo comma dell’art. 117 Cost., le norme che «silimitino a porre obiettivi di riequilibrio della finanzapubblica, intesi nel senso di un transitorio contenimen-to complessivo, anche se non generale, della spesa cor-rente e non prevedano in modo esaustivo strumenti omodalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi»(sentenze n. 193 e n. 148 del 2012; conformi, ex pluri-

mis, sentenze n. 232 del 2011 e n. 326 del 2010; n. 297del 2009; n. 237 del 2009) in modo che rimanga unospazio aperto all’esercizio dell’autonomia regionale(sentenza n. 182 del 2011)2. Questi vincoli, perché possano considerarsi rispettosidell’autonomia delle Regioni e degli enti locali, devo-no riguardare «l’entità del disavanzo di parte correnteoppure – ma solo “in via transitoria ed in vista deglispecifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblicaperseguiti dal legislatore statale” – la crescita dellaspesa corrente»3. In altri termini, la legge statale puòstabilire solo un «limite complessivo, che lascia aglienti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse frai diversi ambiti e obiettivi di spesa» (sentenze n. 44 del2014; 236 del 2013; n. 182 del 2011; n. 417 del 2005e n. 36 del 2004; si vedano anche le sentenze n. 88 del2006 e n. 449 del 2005) e non può fissare vincoli pun-tuali relativi a singole voci di spesa dei bilanci delleRegioni e degli enti locali, tali da ledere l’autonomiafinanziaria di spesa garantita dall’art. 119 Cost. (sen-tenze n. 120 del 2008; n. 169 del 2007; n. 417 del2005; n. 36 del 2004). Secondo quanto costantemente affermato dalla giuri-sprudenza della Corte costituzionale, la previsione, daparte della legge statale, di un limite all’entità di unasingola voce di spesa della Regione non può essereconsiderata un principio fondamentale in materia di

Competenza legislativa concorrente in materiadi coordinamento della finanza pubblica e vincolidi riequilibrio finanziari anche nei confronti delle Regionia statuto speciale: ultime pronunce in temadella Corte costituzionale e prospettive di riformaMaria Giulia Putaturo Donati

Sommario: 1. – Sulla nozione di principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica e sulla competen-za del legislatore statale a prevedere nei confronti delle Regioni (anche a statuto speciale) vincoli di riequilibriodella finanza pubblica; 2. – Sulla “naturale” incidenza di norme costituenti «principi fondamentali di coordina-mento della finanza pubblica» sull’autonomia finanziaria e sulle altre competenze legislative delle Regioni a sta-tuto speciale e delle Province autonome; 3. – Sulla tecnica dell’accordo nel regime dei rapporti finanziari tra Stato-Regioni a statuto speciale e Province autonome; 4. – La materia del «coordinamento della finanza pubblica e delsistema tributario»: da competenza legislativa concorrente a competenza esclusiva dello Stato?

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armonizzazione dei bilanci pubblici e di coordinamen-to della finanza pubblica ai sensi dell’art. 117, terzocomma, Cost., perché pone un precetto specifico e pun-tuale sull’entità della spesa e si risolve, di conseguen-za, in un’indebita invasione dell’area riservata dall’art.119 Cost. all’autonomia finanziaria delle Regioni. Adesse la legge statale può solo prescrivere obiettivi (adesempio, il contenimento della spesa pubblica), ma nonimporre nel dettaglio le modalità e gli strumenti con-creti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi (exmultis, sentenze n. 95 del 2007; n. 88 del 2006, nn. 449e 417 del 2005 e nn. 390 e 36 del 2004). In altre pronunce, la Corte costituzionale ha precisatoche lo Stato può agire direttamente sulla spesa delle pro-prie amministrazioni con norme puntuali e, al contem-po, dichiarare che le stesse norme sono efficaci nei con-fronti delle Regioni «a condizione di permettere l’estra-polazione, dalle singole disposizioni statali, di principirispettosi di uno spazio aperto all’esercizio dell’autono-mia regionale» (sentenza n. 182 del 2011). Quindianche allorquando le disposizioni in esame (come per ladisciplina dettata dall’articolo 6 del D.L. n. 78 del 2010– come la Corte ha chiarito con la richiamata sentenzan. 182 del 2011 – prevedono puntuali misure di riduzio-ne parziale o totale di singole voci di spesa, ciò nonesclude che da esse possa desumersi un limite comples-sivo, nell’ambito del quale le Regioni restano libere diallocare le risorse tra i diversi ambiti e obiettivi di spesa(sentenza n. 139 del 20124). In caso contrario, la normastatale non può essere ritenuta di principio (sentenza n.159 del 2008), a prescindere dall’auto-qualificazioneoperata dal legislatore (sentenza n. 237 del 2009).Può essere, in altri termini, imposto alle Regioni un«limite globale, complessivo, al punto che ciascunaRegione deve ritenersi libera di darvi attuazione, nellevarie leggi di spesa, relativamente ai diversi comparti,in modo graduato e differenziato, purché il risultatocomplessivo sia pari a quello indicato nella legge stata-le» (sentenze n. 229 del 2013; n. 36 del 2013; sentenzan. 211 del 2012). Il carattere della «transitorietà» o temporaneità dell’in-tervento legislativo di contenimento della spesa corren-te sembrerebbe essere evidenziato dalla giurisprudenzadella Corte costituzionale allorquando l’incidenza sullaspesa corrente sia immediata (da ultimo, sentenza n. 44del 2014), non già quando si tratti di intervento conincidenza indiretta sulla spesa corrente (si veda, a talproposito, la sentenza n. 236 del 2013 nella quale laCorte, nel valutare la legittimità costituzionale dell’art.9, commi 1, 2, 3 e 4, del decreto-legge 6 luglio 2012, n.95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto

2012, n. 135 – che impone alle Regioni la soppressio-ne o la limitazione degli enti, agenzie ed organismistrumentali all’esercizio di funzioni fondamentali o difunzioni amministrative spettanti a Comuni, Province eCittà metropolitane – ha posto in rilievo, al fine di qua-lificare la norma impugnata effettivamente come prin-cipio fondamentale di coordinamento della finanzapubblica, solo il requisito dell’intervento di “limitecomplessivo e globale ” alla spesa pubblica). Inoltre, la disciplina dettata dal legislatore non develedere il canone generale della ragionevolezza e propor-zionalità dell’intervento normativo rispetto all’obiettivoprefissato (sentenza n. 236 del 2012).Nella giurisprudenza della Corte costituzionale è ormaiconsolidato l’orientamento secondo cui il legislatorestatale può, con una disciplina di principio, legittima-mente imporre alle Regioni e agli enti locali, per ragio-ni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivinazionali, condizionati anche dagli obblighi comunita-ri, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi sitraducono, inevitabilmente, in limitazioni indiretteall’autonomia di spesa degli enti territoriali (ex pluri-mis, sentenze n. 236 del 2013; n. 182 del 2011, n. 207e n. 128 del 2010). La Corte ha avuto modo di affermare che non è conte-stabile «il potere del legislatore statale di imporre aglienti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziarioconnesse ad obiettivi nazionali, condizionati anchedagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche dibilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente,in limitazioni indirette all’autonomia di spesa deglienti», e che, «in via transitoria e in vista degli specificiobiettivi di riequilibrio della finanza pubblica persegui-ti dal legislatore statale», possono anche imporsi limiticomplessivi alla crescita della spesa corrente degli entiautonomi (sentenze n. 82 del 2007; n. 36 del 2004).Secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale,«la stessa nozione di principio fondamentale non puòessere cristallizzata in una formula valida in ogni circo-stanza, ma deve tenere conto del contesto, del momen-to congiunturale in relazione ai quali l’accertamento vacompiuto e della peculiarità della materia» (sentenze n. 23 del 2014; n. 16 del 2010Inoltre, la specificità delle prescrizioni, di per sé, nep-pure può escludere il carattere “di principio” di unanorma, qualora essa risulti legata al principio stesso daun evidente rapporto di coessenzialità e di necessariaintegrazione (sentenze n. 23 del 2014; n. 16 del 2010;n. 237 del 2009 e n. 430 del 2007).La Corte ha sottolineato la legittimità di disposizioni didettaglio in “rapporto di coessenzialità e di necessaria

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integrazione” con le norme di principio e, pertanto,inderogabili (sentenza n. 355 del 1993). In quest’ottica, sono state ricondotte «nell’ambito deiprincipi di coordinamento della finanza pubblica“norme puntuali adottate dal legislatore per realizzarein concreto la finalità del coordinamento finanziario,che per sua natura eccede le possibilità di intervento deilivelli territoriali sub-statali” (sentenza n. 237 del 2009e già sentenza n. 417 del 2005). (sentenze n. 44 e n. 23del 2014; n. 52 del 2010).La Corte ha affermato che, sebbene sia norma a conte-nuto specifico e dettagliato, «è da considerare per lafinalità perseguita, in “rapporto di coessenzialità e dinecessaria integrazione” con le norme-principio [checonnotano il settore dell’organizzazione sanitaria loca-le, così da vincolare l’autonomia finanziaria regionalein ordine alla disciplina prevista per i “debiti” e i “cre-diti” delle soppresse unità sanitarie locali]». (sentenzan. 108 del 2010; n. 89 del 2000).La Corte ha messo pure in rilievo il carattere “finalisti-co” dell’azione di coordinamento e, quindi, l’esigenzache «a livello centrale» si possano collocare anche «ipoteri puntuali eventualmente necessari perché la finali-tà di coordinamento» venga «concretamente realizzata»(sentenza n. 229 del 2011; n. 376 del 2003, già citata). La giurisprudenza della Corte costituzionale ha elabo-rato una nozione ampia di principi fondamentali dicoordinamento della finanza pubblica, ed ha, altresì,precisato come la piena attuazione del coordinamentodella finanza pubblica possa far sì che la competenzastatale non si esaurisca con l’esercizio del potere legi-slativo, ma implichi anche «l’esercizio di poteri di ordi-ne amministrativo, di regolazione tecnica, di rilevazio-ne di dati e di controllo» (sentenza n. 229 del 2011; n.376 del 2003; in senso conforme, sentenze n. 112 del2011, n. 57 del 2010, n. 190 e n. 159 del 2008). Le norme che pongono un principio fondamentale dicoordinamento della finanza pubblica attinente allaspesa, come più volte affermato dalla Corte costituzio-nale, devono ritenersi applicabili «anche alle autono-mie speciali, in considerazione dell’obbligo generale dipartecipazione di tutte le Regioni, ivi comprese quellea statuto speciale, all’azione di risanamento della finan-za pubblica» (sentenze n. 120 del 2008; 169 e n. 82 del2007). La giurisprudenza della Corte è, infatti, costan-te nell’affermare che anche gli enti ad autonomia diffe-renziata sono soggetti ai vincoli legislativi derivanti dalrispetto dei principi di coordinamento della finanzapubblica (da ultimo, sentenze n. 72 del 2014; n. 139 del2012; n. 30 del 2012 e n. 229 del 2011). Il concorso agli obiettivi di finanza pubblica è un obbli-

go indefettibile di tutti gli enti del settore pubblicoallargato di cui anche le Regioni devono farsi caricoattraverso un accollo proporzionato degli oneri com-plessivi conseguenti alle manovre di finanza pubblica(ex plurimis, sentenza n. 52 del 2010).La finanza delle Regioni a statuto speciale è, infatti, partedella “finanza pubblica allargata” nei cui riguardi lo Statoaveva e conserva poteri di disciplina generale e di coor-dinamento, nell’esercizio dei quali poteva e può chiama-re pure le autonomie speciali a concorrere al consegui-mento degli obiettivi complessivi di finanza pubblica,connessi anche ai vincoli europei (ex plurimis, sentenzen. 39 del 2014; n. 60 del 2013; n. 219 del 2013, n. 198 del2012, n. 179 del 2007; n. 425 del 2004; n. 416 del 1995;n. 421 del 1998), come quelli relativi al cosiddetto pattodi stabilità interno (cfr. sentenza n. 36 del 2004). La Corte costituzionale, perciò, ha già ritenuto che «nelnuovo assetto costituzionale scaturito dalla riforma,allo Stato sia pur sempre riservata, nell’ordinamentogenerale della Repubblica, una posizione peculiaredesumibile non solo dalla proclamazione di principiodi cui all’art. 5 della Costituzione, ma anche dalla ripe-tuta evocazione di un’istanza unitaria, manifestata dalrichiamo al rispetto della Costituzione, nonché dei vin-coli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagliobblighi internazionali, come limiti di tutte le potestàlegislative (art. 117, primo comma) e dal riconoscimen-to dell’esigenza di tutelare l’unità giuridica ed econo-mica dell’ordinamento stesso (articolo 120, secondocomma). E tale istanza postula necessariamente che nelsistema esista un soggetto, lo Stato appunto, avente ilcompito di assicurarne il pieno soddisfacimento» (sen-tenza n. 274 del 2003). (sentenza n. 219 del 2013). Il legislatore statale può legittimamente imporre aglienti autonomi vincoli alle politiche di bilancio (ancor-ché si traducano, inevitabilmente, in limitazioni indi-rette all’autonomia di spesa degli enti), ma solo, con«disciplina di principio», «per ragioni di coordinamen-to finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizio-nati anche dagli obblighi comunitari» (sentenza n. 417del 2005; n. 36 del 2004; v. anche le sentenze n. 376 del2003 e n.n. 4 e 390 del 2004).La Corte ha posto in rilievo che limiti finanziari per leRegioni e gli enti locali, volti al perseguimento degliobiettivi della finanza pubblica e del contenimento dellaspesa, sono in linea con la più recente interpretazionedella nozione di «coordinamento della finanza pubbli-ca» fatta propria dalla giurisprudenza costituzionale,ormai «costante nel ritenere che norme statali che fissa-no limiti alla spesa di enti pubblici regionali sonoespressione della finalità di coordinamento finanziario»,

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per cui il legislatore statale può «legittimamente impor-re alle Regioni vincoli alla spesa corrente per assicurarel’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva,in connessione con il perseguimento di obiettivi nazio-nali, condizionati anche da obblighi comunitari» (così,sentenze n. 326 del 2010; n. 52 del 2010, nonché sen-tenze n. 237 e n. 139 del 2009). Tali vincoli, riconduci-bili ai “princípi fondamentali di coordinamento dellafinanza pubblica”, si impongono alle autonomie specia-li solo in ragione dell’imprescindibile esigenza di assi-curare l’unitarietà delle politiche complessive di spesache lo Stato deve realizzare – sul versante sia internoche comunitario e internazionale – attraverso la «parte-cipazione di tutte le Regioni [...] all’azione di risana-mento della finanza pubblica» e al rispetto del cosiddet-to “patto di stabilità”. (sentenza n. 102 del 2008).

2. Sulla “naturale” incidenza di norme costituenti«principi fondamentali di coordinamento dellafinanza pubblica» sull’autonomia finanziaria esulle altre competenze legislative delle Regioni astatuto speciale e delle Province autonome

Nell’ambito di una competenza concorrente quale è ilcoordinamento della finanza pubblica, ripetutamente laCorte costituzionale ha stimato recessiva la dimensionedell’autonomia finanziaria5 ed organizzativa dellaRegione, a fronte di misure necessariamente uniformisull’intero territorio nazionale e costituenti principifondamentali della materia (ex plurimis, sentenze n.219 del 2013; n. 169 del 2007; n. 417 del 2005; n. 36del 2004). La Corte ha sottolineato che «dinanzi ad un interventolegislativo statale di coordinamento della finanza pub-blica riferito alle Regioni, e cioè nell’àmbito di unamateria di tipo concorrente, è naturale che ne deriviuna, per quanto parziale, compressione degli spazientro cui possano esercitarsi le competenze legislativeed amministrative di Regioni e Province autonome(specie in tema di organizzazione amministrativa o didisciplina del personale), nonché della stessa autono-mia di spesa loro spettante» (fra le molte, si vedano lesentenze n. 159 del 2008; n. 169 e n. 162 del 2007; n.353 e n. 36 del 2004). La giurisprudenza costituzionale ha espressamentericonosciuto che disposizioni statali di principio intema di coordinamento della finanza pubblica, ovecostituzionalmente legittime, possono «incidere su unamateria di competenza della Regione e delle Provinceautonome (sentenze n. 229 del 2013; 188 del 2007, n. 2del 2004 e n. 274 del 2003) [come l’organizzazione edil funzionamento dell’amministrazione regionale e pro-

vinciale» (sentenza n. 159 del 2008)].Dall’accertata natura di principio fondamentale [inmateria «coordinamento della finanza pubblica]discende, in base alla giurisprudenza della Corte, lalegittimità dell’incidenza della censurata disposizionesia sull’autonomia di spesa delle Regioni (si vedano, explurimis, sentenze n. 151 del 2012; n. 91 del 2011, n.27 del 2010, n. 456 e n. 244 del 2005), sia su ogni tipodi potestà legislativa regionale, compresa quella resi-duale in materia di comunità montane (sentenze n. 326del 2010 e n. 237 del 2009).La Corte ha precisato che il legittimo esercizio dellacompetenza statale di coordinamento della finanzapubblica è limite all’autonomia finanziaria delle mede-sime Province autonome (sentenza n. 190 del 2008; n.82 del 2007). Soltanto se il limite posto dalla legge statale non costi-tuisce un principio di coordinamento esso si configuracome “un illegittimo vincolo all’autonomia di spesa efinanziaria garantita dallo statuto speciale e con dispo-sizioni non unilateralmente derogabili dalle norme diattuazione”. Ma se si tratta di principi statali di coordi-namento della finanza pubblica essi si impongono nel-l’esercizio dell’autonomia finanziaria di cui allo statu-to speciale (sentenza n. 190 del 2008) .La Corte ha, altresì, affermato che l’eventuale impatto diuna norma, costituente principio fondamentale di coordi-namento della finanza pubblica (art. 117, comma terzo,Cost.), [pertanto ascrivibile a tale titolo alla competenzalegislativa concorrente dello Stato] sull’autonomiafinanziaria (119 Cost.) ed organizzativa (117, commaquarto, e 118 Cost.) delle Regioni si traduce in una «cir-costanza di fatto come tale non incidente sul piano dellalegittimità costituzionale» (sentenze n. 236 del 2013; n.40 del 2010, n. 169 del 2007 e n. 36 del 2004).Pertanto, la ormai consolidata giurisprudenza dellaCorte in materia di coordinamento della finanza pubbli-ca, consente di fare arretrare i confini delle competenzestatutarie (anche delle regioni speciali) ovvero di incide-re anche su materie riconducibili a tali competenze.Pertanto, nessuna “dispensa” per le autonomie speciali:i principi di coordinamento della finanza pubblica e delsistema tributario (di cui all’art. 119 Cost.) costituisco-no un limite inderogabile anche per le regioni ad auto-nomia differenziata.

3. Sulla tecnica dell’accordo nel regime dei rappor-ti finanziari tra Stato-Regioni a statuto speciale eProvince autonome

L’obbligo generale di partecipazione di tutte leRegioni, ivi comprese quelle a statuto speciale,

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all’azione di risanamento della finanza pubblica (sen-tenza n. 416 del 1995 e successivamente, anche se noncon specifico riferimento alle Regioni a statuto specia-le, le sentenze n. 417 del 2005 e nn. 353, 345 e 36 del2004) deve essere contemperato e coordinato con laspeciale autonomia in materia finanziaria di cui godo-no le predette Regioni, in forza dei loro statuti (senten-za n. 82 del 2007). In tale prospettiva, la Corte costitu-zionale ha avuto occasione di affermare, che la previ-sione normativa del metodo dell’accordo tra leRegioni a statuto speciale e il Ministero dell’economiae delle finanze, per la determinazione delle spese cor-renti e in conto capitale, nonché dei relativi pagamen-ti, deve considerarsi un’espressione della descrittaautonomia finanziaria e del contemperamento di taleprincipio con quello del rispetto dei limiti alla spesaimposti dal cosiddetto “patto di stabilità” (sentenza n.353 del 2004).La Corte nella sentenza n. 82 del 2007 ha affermato cheil «metodo dell’accordo», introdotto per la prima voltadall’ [art. 48, comma 26] legge 27 dicembre 1997, n.449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubbli-ca), seguito dall’art. 28, comma 15, della legge 23dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica perla stabilizzazione e lo sviluppo), e riprodotto in tutte leleggi finanziarie successivamente adottate [ dalla legge23 dicembre 1999, n. 488 (Disposizioni per la forma-zione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2000), fino alla legge 27 dicembre2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilan-cio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanzia-ria 2007)], deve essere tendenzialmente preferito adaltri, dato che «la necessità di un accordo tra lo Stato egli enti ad autonomia speciale nasce dall’esigenza dirispettare l’autonomia finanziaria di questi ultimi».L’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 427 (Delega algoverno in materia di federalismo fiscale, in attuazionedell’art. 119 della Costituzione) prevede, in particolare,che le Regioni a statuto speciale e le Province autono-me concorrono al conseguimento degli obiettivi diperequazione e di solidarietà ed all’esercizio dei dirittie doveri da essi derivanti, nonché al patto di stabilitàinterno ed all’assolvimento degli obblighi posti dall’or-dinamento comunitario «nel rispetto degli statuti spe-ciali» e «secondo criteri e modalità stabiliti da norme diattuazione dei rispettivi statuti, da definire, con le pro-cedure previste dagli statuti medesimi» (comma 1); b)alle norme di attuazione statutaria è affidata la discipli-na delle «specifiche modalità attraverso le quali loStato assicura il conseguimento degli obiettivi costitu-zionali di perequazione e solidarietà per le regioni a

statuto speciale i cui livelli di reddito pro capite sianoinferiori alla media nazionale» (comma 2, secondoperiodo). La Corte costituzionale ha ritenuto che talenorma riportata possiede una portata generale ed esclu-de – ove non sia espressamente disposto in senso con-trario per casi specifici da una norma successiva – chele previsioni finalizzate al contenimento della spesapubblica possano essere ritenute applicabili alleRegioni a statuto speciale al di fuori delle particolariprocedure previste dai rispettivi statuti. Tale principio èstato successivamente ribadito dalla normativa richia-mata dalle parti ed, in particolare, dall’art. 8, comma 4,del D.Lgs. n. 216 del 2010, e dall’art. 1, commi 128 e129, della legge n. 220 del 2010. L’estensione alleRegioni speciali delle disposizioni in materia di finan-za deve essere espressamente dichiarata e circoscrittadal legislatore, salva naturalmente ogni valutazionesulla legittimità costituzionale di tale estensione, neisingoli casi in cui essa sia prevista. In caso di silenzio,resta valido il principio generale di cui al citato art. 27della legge n. 42 del 2009. (sentenza n. 193 del 2012).L’art. 27, infatti, pone una vera e propria «riserva dicompetenza alle norme di attuazione degli statuti» spe-ciali per la modifica della disciplina finanziaria deglienti ad autonomia differenziata (sentenza n. 71 del2012), così da configurarsi quale autentico presidioprocedurale della specialità finanziaria di tali enti.( intal senso, si veda la sentenza n. 241 del 2012).Il punto di raccordo tra autonomia finanziaria delleRegioni a statuto speciale e delle Province autonome ecoordinamento della finanza pubblica è dato dallo stru-mento dell’accordo ovvero dal principio bilaterale checaratterizza in maniera pregnante il rapporto tra regio-ni speciali e Stato. Pertanto, l’applicazione del metodo dell’accordo bila-terale 8 in riferimento al patto di stabilità interno, deveconsiderarsi un’espressione della descritta autonomiafinanziaria e del contemperamento di tale principio conquello del rispetto dei limiti di spesa imposti dal cosid-detto patto di stabilità interno (“i limiti del coordina-mento devono essere contemperati con la specialeautonomia in materia finanziaria”)9.A differenza delle regioni ordinarie, nel caso delleRegioni speciali l’adeguamento dell’ordinamentofinanziario ai principi di coordinamento della finanzapubblica passa non solo per la via delle norme di attua-zione, ma anche attraverso la modifica statutaria daattuarsi anche essa nel rispetto del metodo dell’accordoe secondo i procedimenti di collaborazione previstidagli statuti.10

In particolare, ai sensi dell’art. 104 dello Statuto del

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Trentino-Alto Adige, « Fermo quanto disposto dall’art.103 le norme del Titolo VI (Finanza della Regione edelle Province) e quelle dell’art. 13 possono esseremodificate con legge ordinaria dello Stato su concorderichiesta del governo e, per quanto di rispettiva compe-tenza, della regione o delle due province». L’art. 63, quinto comma, dello Statuto del Friuli-Venezia Giulia recita: «Le disposizioni contenute neltitolo IV (Finanze, Demanio e patrimonio dellaRegione) possono essere modificate con leggi ordina-rie, su proposta di ciascun membro delle Camere, delgoverno e della regione e in ogni caso, sentita laregione». L’art. 50, quinto comma, dello Statuto Valle d’Aosta«Entro due anni dall’elezione del Consiglio della Valle,con legge dello Stato, in accordo con la Giunta regio-nale, sarà stabilito, a modifica degli artt. 12 e 13 (dispo-sizioni in materia di ordinamento finanziario) un ordi-namento finanziario della regione». L’art. 54, quinto comma, dello Statuto Sardegna:«Ledisposizioni del Titolo III (Finanze, Demanio e patri-monio) del presente statuto possono essere modifica-te con leggi ordinarie della Repubblica su propostadel governo o della regione; in ogni caso sentita laregione». Analoga disposizione non è contenuta nello statutodella Regione Sicilia.In questo quadro si collocano gli Accordi siglati tra tredelle Regioni speciali e lo Stato tra il 2009 e il 2010.Nello specifico, il primo ad essere siglato è stato il c.d.«Accordo di Milano» stipulato il 30 novembre 2009 trail Governo e le Province autonome di Trento e diBolzano. Successivamente, il 29 ottobre 2010, è statosiglato il protocollo d’intesa tra Governo e RegioneFriuli-Venezia Giulia ed, infine, l’11 novembre dellostesso anno, quello con la Valle d’Aosta.Al di là dei contenuti (specifici per ciascuna regione),tali Accordi dal punto di vista procedurale seguono lostesso percorso. I contenuti sono, infatti, confluiti , ilprimo (siglato dal Trentino-Alto Adige) nella legge n.191 del 2009 (art. 2, commi 107 e 125) (Disposizioniper la formazione del bilancio annuale e pluriennaledello Stato – legge finanziaria 2010); gli altri due, nellalegge n. 220 del 2010 (Disposizioni per la formazionedel bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge distabilità 2011), art. 1, commi 151-159 (Accordo siglatodal Friuli-Venezia Giulia) e commi 160-164 (il testosiglato dalla Valle d’Aosta). Dunque, prima ancora che tradursi nelle norme diattuazione, la definizione bilaterale delle misure daassumere per gli obiettivi di coordinamento della finan-

za pubblica ha trovato sanzione legislativa, attraversoleggi ordinarie (rinforzate) volte a modificare le dispo-sizioni statutarie in materia di ordinamento finanziario.In particolare, in attuazione del processo di riforma insenso federalista contenuto nella legge delega n. 42 del2009, con legge ordinaria “rinforzata” (ovvero adottataai sensi dell’art. 104 dello Statuto del Trentino-AltoAdige su concorde richiesta dello Stato e della Regionee delle Province) del 23 dicembre 2009, n. 191, art. 2,commi 106-126, si è proceduto a sostituire il Titolo VI(Finanza della regione e delle province) dello Statutospeciale della Regione Trentino-Alto Adige, delineandoun nuovo sistema di relazioni finanziarie tra lo Stato, laRegione e le Province autonome. L’autonomia finanzia-ria della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è disci-plinata dal Titolo VI dello statuto speciale e, con dispo-sizioni non unilateralmente derogabili dal legislatorestatale, dalle relative norme di attuazione introdotte daidecreti legislativi n. 266 del 16 marzo 1992 (Norme diattuazione dello statuto speciale per il Trentino-AltoAdige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali eleggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale diindirizzo e coordinamento) e n. 268 del 16 marzo 1992(Norme di attuazione dello statuto speciale per ilTrentino-Alto Adige in materia di finanza regionale eprovinciale) nonché dalla legge 30 novembre 1989, n.386 (Norme per il coordinamento della finanza dellaRegione Trentino-Alto Adige e delle Province autono-me di Trento e di Bolzano con la riforma tributaria).(sentenza n.190 del 2008). Negli articoli che vanno da69 a 86 dello statuto speciale sono regolati i rapportifinanziari tra lo Stato, la Regione e le Province autono-me, comprese le quote di compartecipazione ai tributierariali. Inoltre, il primo comma dell’art. 104 dello stes-so statuto stabilisce che « Fermo quanto disposto dal-l’articolo 103 le norme del titolo VI e quelle dell’art. 13possono essere modificate con legge ordinaria delloStato su concorde richiesta del Governo e, per quanto dirispettiva competenza, della regione o delle due provin-ce». Il richiamato art. 103 prevede, a sua volta, che lemodifiche statutarie debbano avvenire con il procedi-mento previsto per le leggi costituzionali. Dalle disposi-zioni citate si deduce che l’art. 104 dello statuto specia-le, consentendo una modifica delle norme relativeall’autonomia finanziaria su concorde richiesta delGoverno, della Regione o delle Province, introduce unaderoga alla regola prevista dall’art. 103, che impone ilprocedimento di revisione costituzionale per le modifi-che statutarie, abilitando la legge ordinaria a conseguiretale scopo, purché sia rispettato il principio consensua-le. (sentenza n. 133 del 2010).

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Nei rapporti finanziari tra lo Stato, le Regioni specialie le Province autonome, la giurisprudenza costituziona-le sembra essere orientata a ritenere il metodo dell’ac-cordo non già come prima lo strumento tendenzialmen-te preferito ad altri (sentenza n. 82 del 2007) ma «ormailo strumento consolidato (in quanto già presente nellalegge 27 dicembre 1997, n. 449, recante «Misure per lastabilizzazione della finanza pubblica» e poi conferma-to da tutte le disposizioni che si sono occupate succes-sivamente della materia) per conciliare e regolare inmodo negoziato il doveroso concorso delle Regioni astatuto speciale alla manovra di finanza pubblica e latutela della loro autonomia finanziaria, costituzional-mente rafforzata (ex plurimis, sentenza n. 353 del2004)» (sentenza n. 118 del 2012). In tal senso, si veda-no anche le sentenze n. 241 del 2012; 215 del 2012 e n.193 del 2012, n. 178 del 2012.Da ultimo, si è però precisato che la procedura concer-tata non è costituzionalmente necessitata e che puòessere derogata in particolari contesti di grave crisi eco-nomica.In particolare, nella sentenza n. 23 del 2014, la Corteha affermato che l’invocato art. 27 della legge n. 42del 2009, di attuazione del federalismo fiscale previstodall’art. 119 Cost., pur ponendo «una vera e propria“riserva di competenza alle norme di attuazione deglistatuti” speciali per la modifica della disciplina finan-ziaria degli enti ad autonomia differenziata (sentenzan. 71 del 2012), così da configurarsi quale autenticopresidio procedurale della specialità finanziaria di talienti» (sentenza n. 241 del 2012), ha il rango di leggeordinaria, in quanto tale derogabile da atto successivoavente la medesima forza normativa. Ne consegue che,specie in un contesto di grave crisi economica [qualequello in cui si è trovato ad operare il legislatore] essopossa discostarsi dal modello consensualistico nelladeterminazione delle modalità del concorso delle auto-nomie speciali alle manovre di finanza pubblica (sen-tenza n. 193 del 2012), fermo restando il necessariorispetto della sovraordinata fonte statutaria (sentenzan. 198 del 2012).

4. La materia del «coordinamento della finanzapubblica e del sistema tributario»: da competen-

za legislativa concorrente a competenza esclusivadello Stato?

Il disegno di legge di revisione costituzionale(“Disposizioni per il superamento del bicameralismoparitario, la riduzione del numero dei parlamentari, ilcontenimento dei costi di funzionamento delle istitu-zioni, la soppressione del CNEL e la revisione delTitolo V della parte seconda della Costituzione”) – testo approvato dal Consiglio dei ministri del 31marzo 2014 – reca – tra l’altro – disposizioni concer-nenti la revisione del Titolo V della Parte seconda dellaCostituzione.Il progetto di revisione del Titolo V – finalizzato agarantire un effettivo bilanciamento tra interessi nazio-nali, regionali e locali nonché politiche di programma-zione territoriale coordinate con le ampie scelte strate-giche a livello nazionale – prevede: 1) il superamentodell’attuale frammentazione delle competenze legisla-tive tra Stato e Regioni; 2) l’introduzione di una “clau-sola di supremazia”, in base alla quale la legge statale,su proposta del Governo, può intervenire su materie ofunzioni che non sono di competenza legislativa esclu-siva dello Stato, se lo richiede la tutela dell’unità giuri-dica o economica della Repubblica o lo rende necessa-rio la realizzazione di programmi o di riforme econo-mico-sociali di interesse nazionale; 3) l’introduzionedella possibilità per lo Stato di delegare, anche tempo-raneamente, alle Regioni la funzione legislativa nellematerie di propria competenza esclusiva, salvo alcuneeccezioni; 4) il riordino dei criteri di riparto della pote-stà regolamentare.Le linee direttrici del progetto di riforma contemplano– tra l’altro – l’eliminazione delle competenze legisla-tive “concorrenti” nonché la conseguente ridefinizionedelle competenze “esclusive” dello Stato e di quelle“residuali” delle Regioni.Con particolare riferimento alla materia del «coordina-mento della finanza pubblica e del sistema tributario»,la stessa andrebbe ad integrare l’elenco delle materie edelle funzioni di competenza statale “esclusiva”.Da qui, in prospettiva, la possibile fine di tutto quelcontenzioso costituzionale volto a stabilire, in materia,i difficili margini tra legislazione c.d. di principio elegislazione c.d. di dettaglio.

_________________

1 Comma così modificato dalla lettera b)del comma 1 dell’art. 3, L.Cost. 20 aprile2012, n. 1. Le disposizioni di cui alla citataL.Cost. n. 1/2012 si applicano, ai sensi diquanto disposto dal comma 1 dell’art. 6

della stessa, a decorrere dall’eserciziofinanziario relativo all’anno 2014; in dottri-na, da ultimo, G.L. TOSATO, La riformaCostituzionale sull’equilibrio di bilancioalla luce della normativa dell’unione: l’in-

terazione fra i livelli europeo e interno, inRivista di Diritto Internazionale, fasc. 1,2014, p. 5.

2 In dottrina, sul tema, M. BELLETTI, Formedi coordinamento della finanza pubblica e

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incidenza sulle competenze regionali. Ilcoordinamento per principi, di dettaglio e“virtuoso” ovvero nuove declinazioni del-l’unità economica e dell’unità giuridica, inwww.issirfa.cnr.it., 2013; M. BARBERO,Rassegna della giurisprudenza costituzio-nale in materia di diritto tributario, dirittopubblico dell’economia e finanza pubblica(gennaio-giugno 2013), in Rivista di DirittoFinanziario e Scienza delle Finanze, fasc.2, 2013, p. 212; G. AMOROSO, Rassegnadelle sentenze dichiarative di illegittimitàcostituzionale dell’anno 2012 - con partico-lare riguardo al paragrafo 22. Principi fon-damentali di coordinamento della finanzapubblica (art. 117, terzo comma, Cost.),Giust. civ., fasc. 1, 2013, p. 3.

3 Nella sentenza n. 36 del 2004, la Corte haaffermato che «È ben vero che, stabilito ilvincolo alla entità del disavanzo di partecorrente, potrebbe apparire superfluo unulteriore vincolo alla crescita della spesacorrente, potendo il primo obiettivo conse-guirsi sia riducendo le spese, sia accrescen-do le entrate. Tuttavia il contenimento deltasso di crescita della spesa corrente rispet-to agli anni precedenti costituisce pur sem-pre uno degli strumenti principali per la rea-lizzazione degli obiettivi di riequilibriofinanziario, ed infatti esso è indicato findall’inizio fra le azioni attraverso le qualideve perseguirsi la riduzione del disavanzoannuo (cfr. art. 28, comma 2, lettera b, dellalegge n. 448 del 1998, nonché art. 28,comma 2 bis, della stessa legge, aggiuntodall’art. 30, comma 8, della legge n. 488 del1999). Non può dunque negarsi che, in viatransitoria ed in vista degli specifici obietti-

vi di riequilibrio della finanza pubblica per-seguiti dal legislatore statale, quest’ultimopossa, nell’esercizio non irragionevoledella sua discrezionalità, introdurre per unanno anche un limite alla crescita dellaspesa corrente degli enti autonomi, tenendoconto che si tratta di un limite complessivo,che lascia agli enti stessi ampia libertà diallocazione delle risorse fra i diversi ambitie obiettivi di spesa.».

4 Nella sentenza n. 139 del 2012, la Cortecostituzionale, nel valutare la legittimitàdella disciplina dettata dall’art. 6 del D.L.n. 78 del 2010 ha affermato: «L’art. 6 cita-to «consente un processo di induzione che,partendo da un apprezzamento non atomi-stico, ma globale, dei precetti in gioco,conduce all’isolamento di un principiocomune» (sentenza n. 182 del 2011). Inbase a tale principio, le Regioni devonoridurre le spese di funzionamento ammini-strativo di un ammontare complessivo noninferiore a quello disposto dall’art. 6 per loStato. Ne deriva che il medesimo articolo«non intende imporre alle Regioni l’osser-vanza puntuale ed incondizionata dei sin-goli precetti di cui si compone e può consi-derarsi espressione di un principio fonda-mentale della finanza pubblica» (sentenzan. 182 del 2011).

5 In dottrina, F. STRADINI, Autonomia impo-sitiva delle Regioni a statuto speciale: ilriconoscimento costituzionale e l’erosionedel primato tra Corte costituzionale e dirit-to comunitario, in Rivista di DirittoTributario, fasc. 12, 2013, p. 1201.

6 L’art. 48, comma 2, della legge n. 449 del1997 ha previsto che le Regioni a statuto

speciale e le Province autonome concorres-sero agli obiettivi di stabilizzazione finan-ziaria secondo criteri e procedure stabilited’intesa tra il Governo e i presidenti dellegiunte regionali e provinciali nell’ambitodelle procedure previste negli statuti e nellerelative norme di attuazione.

7 Sul tema, C. TUCCIARELLI, La legge n. 42/2009: oltre l’attuazione del federalismofiscale, in Riv. dir. trib., fasc. 1, 2010, p. 61;A. GIOVANARDI, Il riparto delle competenzetributarie tra giurisprudenza costituzionalee legge delega in materia di federalismofiscale, in Riv. dir. trib., fasc. 1, 2010, p. 29.

8 Si veda, la sentenza n. 353 del 2004, nellaquale si afferma che il coinvolgimento delleRegioni speciali nel patto di stabilità inter-no avviene tenendo conto delle particolarimodalità individuate dalle relative disposi-zioni legislative ovvero d’intesa tra ilGoverno e i presidenti delle Giunte.

9 In tal senso, L. CAVALLINI CADEDDU,“Indicazioni giurisprudenziali per il coor-dinamento dinamico della finanza pubbli-ca”, in www. federalismi.it, 1; Corte costi-tuzionale e coordinamento dinamico dellafinanza pubblica, in L. CAVALLINI CADEDDU(a cura di), Il coordinamento dinamicodella finanza pubblica, Napoli 2012.

10 G. PERNICIARO, Le fonti dell’autonomiafinanziaria delle regioni speciali. “Prima”dei decreti legislativi di attuazione: gliaccordi bilaterali, in M. CARTABIA, E.LAMARQUE, P. TANZARELLA (a cura di), Gliatti normativi del Governo, tra Cortecostituzionale e giudici, Torino 2011, pp.427-436.

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Nell’ambito delle c.d. organizzazioni complesseuno dei problemi di maggior rilievo, sotto ilprofilo del diritto penale, concerne l’accerta-

mento in ordine ai criteri che presiedono all’attribuzio-ne della responsabilità in capo alle persone fisiche, cheal loro interno vi operano. La problematica trae origi-ne dalla circostanza che tali organizzazioni (società,enti pubblici, le associazioni e ogni altra entità anchenon personificata) sono caratterizzate da una comples-sa distribuzione e ripartizioni di compiti e funzioni, lequali possono essere attribuite in via originaria o a tito-lo derivativo, ed il cui omesso o inesatto assolvimentopuò determinare la lesioni di beni presidiati dalla san-zione penale. La soluzione del problema è contesa tra l’esigenza, daun lato, di evitare che la ripartizione dei compiti e dellefunzioni suindicati si riverberi negativamente sul prin-cipio di inderogabilità del precetto penale – mediantel’oscuramento dei meccanismi di individuazione deisoggetti responsabili dei fatti di reato – e quella, dal-l’altro, tesa ad evitare l’adozione di soluzioni cheimplichino forme di responsabilità c.d. “di posizione”,contrarie al principio di legalità.In effetti, da alcuni si ritiene che la tematica della dele-ga di funzioni si sovrapponga a quella della ripartizio-ne di funzioni all’interno di organizzazioni articolate.In realtà, si tratta di un falso problema o di una pro-spettiva errata: un conto è individuare, infatti, le perso-ne fisiche che, all’interno di questi organismi, sonotitolari dei poteri, dai quali deriva la loro responsabili-

tà in caso di violazione dei doveri inerenti la loro fun-zione. Altra cosa è la delega di funzioni, concernenteun momento temporale successivo e, cioè, la facoltàdei titolari di attribuire, ad altre persone fisiche, le lorofunzioni, da cui possono derivare, per le ipotesi dieventi di danno o di pericolo, forme di responsabilità.Nel primo caso, si parla di assunzione a “titolo origi-nario”, mentre nel secondo, l’assunzione avviene a“titolo derivativo”; solo in questa ipotesi siamo in pre-senza di una delega o di un trasferimento di funzioni.La distinzione chiarisce anche la differenza, per glienti collettivi, tra l’agire per conto dell’ente e l’agireper conto di altra persona fisica; sebbene, in entrambii casi, colui che viene investito delle funzioni assumeuna posizione di garanzia e, perciò, l’obbligo giuridicodi impedire eventi dannosi1. Un primo obiettivo è quello di individuare i soggettisui quali, all’interno dell’organizzazione complessa,incombe in via originaria l’obbligo giuridico di attivar-si, al fine evitare eventi dannosi a beni penalmentetutelati. Successivamente occorrerà affrontare, invece, la tema-tica della delega di funzioni (in senso stretto) ossia,della procedura mediante la quale l’originario titolaredella posizione di garanzia trasferisce tale posizione adaltro soggetto, operante all’interno della medesimastruttura complessa. Con riferimento alla delega si èposto, soprattutto in passato, il problema: a) della rala-tiva ammissibilità, b) delle condizioni nonché c) deglieffetti che l’atto determina sotto il profilo della respon-

Criteri d’individuazione del titolare della qualifica soggettiva nell’ambito delle organizzazioni complesse eoperatività della delega di funzioni, con particolareriferimento alla responsabilità di Amministratori e Sindacidi societàParte I – Delega di funzioni, teorie e criteri

Francesca ZignaniAvvocato

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sabilità penale. Attualmente, gli interrogativi predettitrovano, per vero, agevole soluzione interpretativa invirtù della disciplina normativa di cui al D.Lgs. 8-4-08, n. 812, sebbene settoriale, della delega di funzioni. Ulteriore elemento d’indagine è costituito dalla suc-cessione nella posizione di garanzia che si verificaquando il garante dismette la propria posizione digaranzia, non per effetto di delega, ma per vicendediverse come, ad esempio, l’ipotesi di avvicendamen-to dei ruoli di vertice, a seguito di cessione dell’azien-da. In particolare, in tali contesti si pone il quesito se ea quali condizioni, al soggetto che abbandona la con-dizione di garante possa nondimeno essere mosso unaddebito di responsabilità penale, per un evento occor-so dopo la dismissione della relativa posizione digaranzia e l’avvenuta assunzione di questa da parte delsubentrato.Prima di procedere nell’esame dei vari profili appenaevidenziati, sono doverose alcune considerazioni dipremessa. Deve darsi atto che, dopo alcuni decenni, nei quali dapiù parti è stata invocata l’introduzione di una regola-mentazione normativa della delega (o del trasferimen-to) di funzioni, il legislatore ha provveduto con la nor-mativa poco sopra menzionata, limitando il suo inter-vento al settore della sicurezza del lavoro: l’art. 16, delD.Lgs. 8-4-08, n. 81, ha contemplato una disciplinaorganica della delega di funzioni. Fino al 1996 l’analisi della tematica e della connessaregolamentazione applicativa erano frutto dell’elabo-razione giurisprudenziale e dottrinale, che rifletteva laproblematicità insita nelle ipotesi di trasferimentodella responsabilità penale. La complessità dell’inda-gine si coglie nella circostanza che molto spesso i reatiche vengono in rilievo (ad es., quelli concernenti laprevenzione antifortunistica), hanno carattere di reati“propri” e ciò pone problemi di non facile soluzione,soprattutto, per quanto riguarda la scissione tra titola-rità della qualifica e svolgimento della funzione daparte di chi questa qualifica non possiede. Il titolare della qualifica, atta a configurare il “reatoproprio”, assurge a garante dei beni, che con l’incrimi-nazione s’intendono presidiare, nel senso che è tenuto,per non incorrere nella responsabilità penale ex art. 40,cpv, c.p., ad agire mediante la predisposizione di unaserie di accorgimenti specifici, deputati ad evitare la

lesione di quei beni o, comunque, ad evitare che neaumenti il rischio di lesione, oltre la soglia del consen-tito.Inoltre, possono dirsi superati i contrasti sull’ammissi-bilità del concorso dell’estraneo nel reato proprio men-tre perdura, tra gli studiosi, il contrasto tra chi propen-de per inquadrare il problema della delega (anche) alivello della tipicità del reato e quelli che lo risolvono(solo) sul piano della colpevolezza.Il settore nel quale la delega di funzioni ha avuto la piùamplia applicazione è quello della sicurezza nei luoghidi lavoro, la cui tematica è stata per la prima voltapresa in considerazione dall’art. 1, comma 4 ter delD.Lgs. 19-9-94, n. 6263; tuttavia, la reticenza del legi-slatore a disciplinare la materia emerge evidente dallacircostanza che la norma non indica le funzioni “dele-gabili”, bensì limita la statuizione solo a quelle “nondelegabili”. Nella sfera della pubblica amministrazione l’istitutodella delega ha trovato positivo riconoscimento conl’entrata in vigore del comma 1 bis4 dell’art. 17D.Lgs.165/015, che ha espressamente previsto la facol-tà, per i dirigenti, di delegare alcune competenze adipendenti che ricoprano, nell’ambito degli uffici, leposizioni più elevate.La nuova disciplina, essendo limitata alla materia dellatutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavo-ro, non può essere automaticamente estesa ad altri set-tori, nei quali la problematica qui in esame assumeparticolare rilievo – ai quali continueranno ad appli-carsi, dunque, i principi che di seguito verranno illu-strati – sebbene pare evidente che l’interprete debbacomunque tener conto delle indicazioni del legislatorenel settore nel quale la delega di funzioni ha avutomaggiore applicazione.Va ancora precisato che l’indagine de qua concerne lasola responsabilità penale dei deleganti e dei delegati,non, invece, la responsabilità dell’ente introdotta dalD.Lgs. 8-6-01, n. 231 (ed estesa, dall’art. 9 l. 3-8-07,n. 123 ai reati di omicidio colposo e lesioni personaligravi e gravissime commessi con violazione della nor-mativa antifortunistica). Su tale aspetto, deve soltantoosservarsi che, il titolo di riferibilità della responsabi-lità all’ente – previsto dagli artt. 6 (nel caso di reaticommessi da persone che ricoprono posizioni apicali)e 7 (nel caso di reati commessi da soggetti sottoposti

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all’altrui direzione) del D.Lgs. 231/01 – deve essereconsiderato, nel caso di delega di funzioni, quello pre-visto dall’art. 7, dovendo il delegato ordinariamenteconsiderarsi sottoposto all’altrui direzione. Un’ultima premessa: la delega di funzioni si ha solo seal delegato vengono attribuiti poteri originariamentespettanti al delegante; non se il “delegato” era già tito-lare di tali obblighi. È salva la possibilità che al garan-te primario (per es. ad un dirigente) vengano attribui-te, da parte di altro garante (per es. datore di lavoro),ulteriori funzioni con lo strumento della delega.Delineati gli aspetti più rilevati dell’indagine in argo-mento, conviene considerare analiticamente ciascunodi essi.Con riferimento al primo aspetto, quello cioè dell’ori-ginaria assunzione della posizione di garanzia, l’indi-viduazione del garante, nell’ambito delle organizza-zioni complesse, non è d’immediata percezione: puònon essere semplice stabilire chi sia, in concreto, ildatore di lavoro, chi l’amministratore e chi il dirigentepreposto ad uno specifico settore.Ad un tal proposito sono tre le teorie elaborate dalladottrina: la teoria “formale”, quella “funzionalista” e lateoria “organica”: ciascuna di esse tenta di individua-re, all’interno della collettività indifferenziata, il sog-getto in capo al quale addebitare la responsabilità peril reato omissivo improprio.La teoria formalista ritiene che occorra considerare ilsolo dato formale: sarà titolare della qualifica soggetti-va della posizione di garanzia chi è nominalmenteindicato come tale negli atti pubblici, aventi rilevanzaesterna. La tesi è criticata in quanto rischia di genera-re ipotesi di responsabilità “di posizione”, da conside-rarsi estranee al nostro ordinamento giuridico, ispiratoad un “diritto penale del fatto”.La teoria funzionalista ritiene che le posizioni digaranzia siano individuate in base alla funzione effet-tivamente svolta nell’ambito della struttura dal sogget-to titolare della qualifica soggettiva contemplata dallanorma incriminatrice. Rileva, non tanto l’attribuzione formale della qualitàsoggettiva, quanto lo svolgimento delle mansionioggettive tipiche della qualifica apicale e/o dirigenzia-le ricoperta. Anche tale tesi, è stata oggetto di specifi-che censure poiché, è stato osservato, è ben possibileche il soggetto, il quale svolga le funzioni tipiche di

una determinata qualifica (astrattamente idonea adintegrare i presupposti del reato), non sia in possessodi poteri tali da impedire, di fatto, gli eventi dannosiche si pretende di addebitargli. Pertanto, non può esse-re gravato dall’obbligo di impedire un fatto, che eglinon ha il potere (effettivo) di impedire.Alla luce di quanto sinora evidenziato, tende ad affer-marsi la teoria organica, la quale attribuisce rilevanzaalla ripartizione dei compiti, come effettuata dall’orga-nigramma aziendale, ossia all’atto interno che delineala struttura organizzativa dell’ente. Per tale teoria, iltitolare della qualifica, non va individuato sulla base diun criterio formale o sostanziale puro, ma in base adun criterio misto, che coniuga entrambi i criteri. Lasoluzione, soddisfa al meglio le esigenze sottese alprincipio della responsabilità penale personale sancitodall’art. 27 Cost..Deve precisarsi, inoltre, che la problematica in argo-mento non si pone in tutti quei casi in cui il legislato-re, nel tipizzare talune fattispecie di reato, identificaesattamente, ora sposando la teoria funzione ora quel-la organica, il titolare della posizione di garanzia. In materia di reati societari, ad esempio, è equiparatoall’amministratore il soggetto che, pur senza esserlo daun punto di vista formale, esercita, di fatto, le funzionitipiche di detta qualifica. Parimenti accade con riferi-mento al Testo Unico in materia di sicurezza sul lavo-ro, come modificato dal D.Lgs. 81/08, ove il datore dilavoro è identificato nel soggetto tenuto a garantire lasicurezza e la salute dei lavoratori, e specificando cheè considerato tale, non solo chi risulta formalmentetitolare del rapporto, ma anche chi abbia “poteri deci-sionali o di spesa”, che gli consentano di adottare tuttele misure necessarie ad impedire la verificazione dieventi dannosi o pericolosi a carico dei lavoratori.In sostanza, è il principio di effettività che consente didiscriminare tra mera qualitas formale e sostanzialeesercizio dei poteri discendenti dalla posizione digaranzia.Peraltro, il principio di effettività ha ricevuto un’im-portante riscontro normativo nell’art. 2 D.Lgs. 81/08 –che fa riferimento alla circostanza che il datore di lavo-ro esercita i poteri decisionali e di spesa – e, soprattut-to, nell’art. 299 significativamente titolato “eserciziodi fatto di poteri direttivi”, il quale ha espressamentedisposto che le posizioni di garanzie relative ai sogget-

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ti di cui all’art. 2, co. 1, lett. b), d) ed e) gravano puresu colui che, pur sprovvisto di regolare investitura,eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascunodei soggetti ivi definiti. I soggetti indicati nelle lettere b), d) ed e) sono il dato-re di lavoro, il dirigente ed il preposto. Individuato il garante primario, sulla base dei sopra-detti criteri, è possibile, in presenza di tutti gli altri pre-supposti (anche soggettivi) del reato, compiuto nelcontesto aziendale, muovergli un addebito, ai sensidell’art. 40, cpv, c.p., di responsabilità penale, even-tualmente anche a titolo di concorso omissivo.Tuttavia, la norma non esclude l’applicazione di prin-cipi formali per l’individuazione delle posizioni digaranzia, come è evidente dall’uso dell’avverbio“altresì”, che fa ritenere tenuti all’applicazione dellemisure di prevenzione, anche coloro che sono investi-ti, originariamente o per delega espressa, dei relativipoteri e non solo coloro che di fatto dispongono diquesti poteri. È da sottolineare che il principio di effettività è statoesteso anche alla responsabilità penale degli enti, poi-ché l’art. 6 D.Lgs. n. 231 del 2001 individua, per laresponsabilità dell’ente, anche i reati commessi nel suointeresse, “da persone che esercitano, anche di fatto, lagestione e il controllo” dell’ente medesimo. Un’analoga evoluzione si è avuta anche nell’attivitàdelle pubbliche amministrazioni, nelle quali la qualitàdi datore di lavoro può oggi essere assunta (art. 2,comma 1, lett. b, D.Lgs. n. 81 del 2008) dal “dirigenteal quale spettano i poteri di gestione” ovvero dal “fun-zionario non avente qualifica dirigenziale ... dotato diautonomi poteri decisionali e di spesa”.Estranea all’istituto della delega di funzioni è anche lasuccessione nelle posizioni di garanzia, che si verificain presenza di un trasferimento del bene (per es.l’azienda), o della situazione giuridica (per es. unacarica sociale) o di fatto (per es. l’affidamento dellapersona protetta), che fonda un obbligo di protezione odi controllo. Per vero, anche nel caso di successione, si pone il pro-blema di individuare il destinatario degli obblighi non-ché di accertare chi fosse tenuto al loro rispetto nelcaso di obblighi perduranti nel tempo. Con la delega o trasferimento di funzioni s’individua,però, un nuovo garante oppure si incrementano i pote-

ri di quello originario; con la successione viene meno,invece, ogni potere del cedente, che non ha più alcunobbligo di protezione e controllo e perde, altresì, ognipotere impeditivo nonché pure gli obblighi di vigilan-za. Pertanto, se il cedente, o precedente garante perdedefinitivamente la qualità, che fonda l’obbligo digaranzia, si fuoriesce dal tema della delega. Pure nel caso di successione nelle posizioni di garan-zia si pongono problemi analoghi (per il cedente e ces-sionario) a quelli della coesistenza di responsabilità tradelegante e delegato. Può osservarsi che se il cedente ha eliminato le fonti dipericolo – o le ha adeguatamente contenute nel rispet-to delle regole cautelari preventive – nessun addebitopotrà essergli mosso, nel caso di eventi dannosi ricol-legabili a violazioni, successivamente verificatesi, diregole cautelari. Se, al contrario, il cedente non ha eliminato le fonti dipericolo – o non le ha contrastate adeguatamente inviolazione delle regole cautelari – si pone il problemadel perdurare della sua responsabilità; problema che lagiurisprudenza di legittimità ha sempre risolto positi-vamente, fin dalla sentenza sul disastro di Stava del1990, con orientamento ribadito successivamente,escludendo che il cedente possa fare affidamento sullacondotta del cessionario diretta ad eliminare le fonti dipericolo. Al fine di escludere la continuità delle posizioni digaranzia, è necessario, dunque, che il garante soprav-venuto, abbia posto nel nulla le situazioni di pericolocreate dal predecessore, eliminandole o modificando-le, in modo tale che non possano essere più attribuiteal precedente garante. Tale orientamento non è condiviso da parte della dot-trina che, in particolare, evidenzia che il cedente nonha più il controllo sui mezzi impeditivi dell’evento e,quindi, l’evento medesimo non potrebbe essere da luievitato. Permarrebbe, invece, in capo al cedente unobbligo informativo dell’esistenza delle fonti di peri-colo che, se non adempiuto, determinerebbe la suaresponsabilità colposa.Tuttavia, può osservarsi che il venir meno dei poteriimpeditivi dell’evento non esclude, come è di intuitivaevidenza, il rapporto di causalità materiale, ove siaccerti che la condotta ha avuto efficienza (con)causa-le sul verificarsi dell’evento.

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Quanto all’elemento soggettivo, l’esistenza dei requi-siti per poter configurare la colpa va verificata con cri-terio ex ante e, quindi, anche l’esigibilità (come l’evi-tabilità o la prevedibilità dell’evento) deve essere rife-rita al momento in cui la condotta è posta in essere, conla conseguenza che non può interferire sulla sua esi-stenza una circostanza di fatto successivamente verifi-catasi. Non tutti i poteri dell’imprenditore, anche quandoassuma la forma societaria, sono delegabili. È statoosservato, ad esempio, che non sono delegabili gliobblighi giuridici di impedire la consumazione deireati fallimentari e societari, né è delegabile l’aspettocontabile della gestione dell’impresa (salvo gli incari-chi meramente esecutivi, che non comportano trasferi-mento della posizione di garanzia). Più in generale si è affermato che, nel campo della nor-male attività di gestione dell’impresa, la delega nonpuò incidere sulla titolarità dell’obbligo, dal momentoche l’effetto totalmente liberatorio esonererebbe ildatore di lavoro da responsabilità strettamente perso-nali, indefettibilmente legate all’attività imprenditoria-le, alle quali è possibile sottrarsi solo nel caso di accer-tata inesigibilità della condotta doverosa. Neppure sarebbero delegabili, secondo un orientamen-to dottrinale, gli obblighi tributari, in considerazionedella natura pubblicistica del rapporto tributario e perla natura personale del suo adempimento.L’art. 17, D.Lgs. n. 81 del 2008, ha ribadito la nondelegabilità della valutazione dei rischi, della redazio-ne del relativo documento e della designazione delresponsabile del servizio di prevenzione e protezionedai rischiCiò non significa, però, che tali compiti debbano esse-re personalmente svolti dal datore di lavoro, il qualepotrebbe anche non disporre (e solitamente non dispo-ne) delle necessarie competenze nelle specifiche mate-rie, spesso di elevata complessità tecnica. Pur nonpotendo delegare queste funzioni, ben potrà attribuirea terzi, idonei e competenti, un “incarico di esecuzio-ne”, il quale, tuttavia, non lo spoglia della posizione digaranzia, essendo sempre a lui formalmente attribuitala funzione non delegabile. La responsabilità per l’atto “resta sua”, dovendo con-trollare in ogni caso l’operato dell’incaricato. In talmodo, non si perviene ad ipotizzare una responsabilità

di tipo oggettivo, giacché sarà sempre necessarioaccertare la colpevolezza dell’agente.È discusso se la delega possa essere validamente con-ferita ad un terzo estraneo all’impresa, in possessodelle caratteristiche di idoneità per lo svolgimento deicompiti da cedere in affido. Ad una risposta positivapotrebbe pervenirsi sia perché un divieto in tal sensonon è previsto da alcuna norma (ed in particolare dal-l’art. 16 D.Lgs. n. 81 del 2008), sia perché il divietocontrasterebbe con riconosciuti principi di autonomiadell’attività d’impresa. Tuttavia, il legislatore sembramostrare una certa diffidenza nell’attribuzione a terziestranei di compiti relativi alla sicurezza: per es., nelcaso degli addetti al servizio di prevenzione e protezio-ne, l’art. 31 D.Lgs. n. 81 del 2008 esclude la possibili-tà, in determinati casi (comma 6), di ricorrere a perso-ne esterne e, ove consentito, esclude l’esonero diresponsabilità del datore di lavoro (comma 5).In ordine alla questione concernente le dimensioni del-l’impresa, con più specifico riferimento al tema delladelega, la giurisprudenza è stata sino ad oggi prevalen-temente orientata nel senso di ritenere valida la delega,solo se giustificata dalle dimensioni dell’impresa edalla complessità della struttura aziendale. Non sono mancate, però, decisioni che hanno ritenutovalida la delega, anche se le dimensioni dell’impresanon avrebbero giustificato simile conclusione. È statapoi affermata la superfluità della delega nel caso diimpresa operante su tutto il territorio nazionale e sud-divisa in numerose unità produttive, a ciascuna dellequali erano preposti soggetti qualificati e idonei. L’orientamento giurisprudenziale che richiede, per lavalidità della delega, la sussistenza di grandi dimensio-ni dell’impresa è stato fortemente contrastato in dottri-na; si è, anzi, sottolineato che proprio il riconoscimen-to normativo della possibilità di delega (che in prece-denza si fondava esclusivamente su una ricostruzionegiurisprudenziale) avrebbe implicitamente escluso lanecessità di tale requisito. Peraltro, scarsamente razio-nale dal momento che non sono soltanto le dimensionia rendere necessario un assetto organizzativo fondatosulla delega, ma, altresì, la natura dell’impresa, la suadislocazione sul territorio nazionale o all’estero, latipologia dell’attività d’impresa svolta e altre caratteri-stiche, che rendano non praticabile una gestione accen-trata.

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Il legislatore, sia pure solo in relazione al settore dellatutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavo-ro, ha risolto il problema in senso negativo. L’art. 16, D.Lgs. n. 81 del 2008, come già più volteaccennato, ha introdotto una disciplina completa del-l’istituto della delega, richiedendo espressamente unaserie di requisiti, anche di natura formale, ma senzache venisse fatta alcuna menzione al requisito delledimensioni dell’impresa che dunque, in questo settore(ma non esistono ragioni giustificative per risolverediversamente il problema anche negli altri), non sem-bra poter essere più preso in considerazione, proprioper la completezza della regolamentazione introdotta. Tra l’altro, in mancanza dell’indicazione dei criteri perindividuare quando un’impresa sia da considerare digrandi dimensioni, si attribuirebbe al giudice un’ecces-siva discrezionalità valutativa.Non sempre dottrina e giurisprudenza distinguono, intema dei requisiti di validità ed efficacia della delega,tra caratteristiche che devono esistere inizialmente equelle che possono influire successivamente sui requi-siti anzidetti. Una delega può essere valida ed efficace, infatti, quan-do è conferita inizialmente. Ma in seguito può perderela propria efficacia (ad esempio, se il delegante inter-rompe la corresponsione delle disponibilità necessarieper l’adempimento dell’obbligo di sicurezza o si inge-risce nello svolgimento dei compiti del delegato). Delresto, la delega può essere già inizialmente inefficaceallorché, esemplificando ancora, non corrisponda adun effettivo incarico di funzioni. In relazione, in primis, ai requisiti che devono esistereab origine, deve osservarsi che il primo presupposto,affinché possa ritenersi valida ed efficace la delega(come già accennato), è costituito dalla necessità cheal delegato siano attribuiti i poteri decisionali e dispesa indispensabili per adempiere al compito delega-to, nell’ambito dello specifico settore di competenza,oggetto della delega. Il secondo presupposto, per l’esonero da responsabili-tà, è l’idoneità della persona prescelta. La culpa in eli-gendo, insita nella scelta della persona cui siano dele-gati i poteri, ha l’effetto di non esonerare il deleganteda responsabilità: l’idoneità del delegato a svolgere icompiti delegati risponde all’esigenza di assicurarel’effettività della delega. Il delegante può fare affida-

mento sulla corretta esecuzione dell’incarico solo se ildelegato sia persona idonea e adeguata a svolgere ilcompito affidatogli. Della necessaria esistenza dei suindicati requisiti,richiesti ai fini della sussistenza di una delega validaed efficace, il legislatore ha tenuto conto. L’art. 16 delD.Lgs. n. 81 del 2008, al comma 1 lett. b), richiede,infatti, che il delegato possegga tutti i requisiti di pro-fessionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natu-ra delle funzioni delegate. Tali caratteristiche devonoperdurare nel tempo, poiché l’evoluzione tecnologicapotrebbe condurre a ritenere superate le competenzespecifiche del delegato. Da qui l’obbligo, oggi previstodall’art. 30, comma 4 (espressamente richiamato dal-l’art. 16, comma 3), di aggiornare, anche per quantoattiene alle deleghe, le misure organizzative dell’im-presa.Circa i requisiti di validità ed efficacia della delega, lalett. c) del medesimo comma 1, richiede, inoltre, che ladelega “attribuisca al delegato tutti i poteri di organiz-zazione, gestione e controllo richiesti dalla specificanatura delle funzioni delegate”, mentre la lett. d) rendenecessario, infine, che la delega “attribuisca al delega-to l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimentodelle funzioni delegate”. Dunque, se il delegato è posto nell’impossibilità diadempiere ai suoi obblighi di prevenzione, perché ildelegante non glielo consente (come avviene quandonon gli attribuisce i necessari poteri di organizzazioneo non gli fornisce le risorse per approntare le struttureimpeditive necessarie, per esempio, per l’acquisto deimezzi di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro),viene meno l’efficacia della delega, con conseguenteri-attribuzione della responsabilità al delegante. I temi della forma della delega e della prova della suaesistenza sono tra di loro intrecciati, e riguardanoaspetti sostanziali e processuali. La giurisprudenza èstata sino ad oggi orientata per una linea di rigore,derivante dalla necessità di evitare facili scappatoiedalla responsabilità penale, richiedendosi anche chel’esistenza e il contenuto della delega debbano essereprovati da chi li deduce. Un orientamento ancor più rigido, da sempre oggettodi critica da parte della dottrina, è quello che richiedela forma scritta della delega, al fine di ritenere verifi-cato il trasferimento di funzioni con esonero da

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responsabilità del delegante. La pretesa della formascritta era, peraltro, in via di superamento nella giuri-sprudenza di legittimità, sostanzialmente uniforme nelrichiedere, non una sorta d’inversione dell’onere dellaprova, ma un accertamento rigoroso in ordine all’esi-stenza della delega. Anche il suesposto orientamento non è andato esenteda censure, osservandosi che, inerendo la titolaritàdella funzione al fatto tipico, l’onere di provarla nonpuò che incombere sull’accusa. Invero, pare più opportuno distinguere tra i casi diripartizione di funzioni all’interno di organizzazioniaziendali complesse (per i quali effettivamente nonsembra si possa discostare dagli usuali criteri di ripar-tizione dell’onere della prova nel processo penale), daicasi di vera e propria delega di funzioni a soggettiestranei ovvero a soggetti che, pur inseriti nell’orga-nizzazione aziendale, non erano originariamente titola-ri di poteri impeditivi di eventi dannosi o pericolosi. Occorre, altresì, che la delega sia espressa e che ildelegato ne accetti il conferimento. Si tratta di unnegozio di natura contrattuale, per il quale è richiestoche il soggetto, sul quale viene trasferita la responsabi-lità (compresa quella penale), esprima coscientementeil suo consenso.La necessità che la delega sia conferita inequivoca-mente, deriva poi dalla circostanza che consentiredeleghe implicite, o non espresse, significherebbecreare posizioni di garanzia “ambigue” non fondate sucondotte inequivoche, con la conseguenza del verifi-carsi dell’incertezza nella traslazione di responsabilità. In quest’ottica, è necessario, inoltre, che pure i poteridelegati siano indicati in modo specifico, proprio perevitare incertezze ed elusioni. Pure sul tema della forma della delega il D.Lgs. n. 81del 2008 è intervenuto in modo preciso e rigoroso, pre-vedendo che la delega debba risultare da atto scritto,recante data certa (art. 16 comma 1 lett. a)), e che lastessa sia accettata dal delegato per iscritto (lett. e)). La previsione della forma scritta, che sembra richiestaper la validità della delega (e quindi ad substantiam),potrebbe apparire, in prima battuta, non in linea con ilrecepimento espresso del principio di effettività opera-to dagli artt. 2 e 299 D.Lgs. n. 81 del 200. In realtà, non esiste contraddizione tra le due previsio-ni: una delega non valida, poiché priva dei requisiti di

forma, non libera il delegante dai suoi obblighi; ma seil delegato ha operato esercitando, in concreto, i pote-ri invalidamente trasferitigli, risponderà delle sue con-dotte. È da precisare che la delega di funzioni non comportal’automatico trasferimento della responsabilità penalederivante dall’inadempimento dell’incarico. Vi posso-no essere, infatti, casi nei quali la responsabilità deldelegato si “aggiunge” a quella del delegante e può,quindi, parlarsi di responsabilità “concorrenti”. Taliipotesi, che non riguardano il mero incarico d’esecu-zione, possono essere predeterminate dalla legge (adesempio, il dirigente cui sono attribuiti poteri in mate-ria di prevenzione antinfortunistica che nomina il pre-posto), ovvero derivare dalla natura dell’incarico o dalcontenuto di accordi negoziali. Il delegante continua ad essere titolare di doveri divigilanza e controllo dell’attività delegata ed, anzi, èstato osservato che questi poteri non sono delegabili,giacché diversamente opinando – ritenendo che nonsia obbligato ad intervenire nel caso di disfunzioni del-l’organizzazione d’impresa da lui predisposta – l’im-prenditore abdicherebbe alla sua stessa funzione.In altri termini, il titolare originario dei poteri impedi-tivi non può disinteressarsi, una volta che abbia confe-rito una valida delega, delle modalità con cui i poteri,inerenti a questa delega, vengono esercitati.Vi sono poi casi nei quali il delegante ha un dovereimmediato di intervento: ciò si verifica quando abbianotizia dell’inosservanza dei doveri da parte del dele-gato. Se, al contrario, li tollera qualora costituiscanoreato, potrà ipotizzarsi un concorso nel reato doloso euna cooperazione in quello colposo. Ed è stato chiarito che il sorgere dei doveri impeditiviin capo al delegante è ricollegato non alla conoscenzaeffettiva dell’inadempienza ma alla sua conoscibilità.Il principio di affidamento, cui deve farsi ricorso inqueste circostanze, vale, infatti, fino a quando l’affi-dante non venga a conoscenza – o si crei una situazio-ne in cui colpevolmente non sia venuto a conoscenza –delle inadempienze dell’affidato. Altra ipotesi in cui in capo al delegante può permanereo insorgere successivamente la responsabilità è quellanella quale egli continui (o inizi) ad ingerirsi nellagestione dei compiti attribuiti al delegato. Con l’inge-renza – che deve avere l’effetto di diminuire significa-

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tivamente l’autonomia del delegato – il delegantemanifesta, infatti, l’intenzione di annullare gli effettidella delega o di restringerne l’ambito applicativo.Anche in tal caso, in cui il delegante ha “riacquistato” lefunzioni precedentemente delegate (intervento sostituti-vo, omissione del conferimento di risorse, ingerenza), siverifica nei confronti del delegante una sorta di “riattri-buzione” di tutti i poteri originariamente conferiti. In ordine ai residui poteri in capo al delegante è inter-venuto l’art. 16 D.Lgs. n. 81 del 2008, il cui comma 3– recependo sostanzialmente i risultati dei riferiti esitigiurisprudenziali – ha precisato che la delega di fun-zioni non esclude l’obbligo di vigilanza in capo aldatore di lavoro circa il corretto espletamento, da partedel delegato, delle funzioni trasferite. La medesima norma impone, con il richiamo ai siste-mi di verifica e controllo indicati nell’art. 30, comma4, del medesimo D.Lgs., un idoneo controllo sull’at-tuazione del sistema di delega e sul mantenimento neltempo delle condizioni di idoneità del modello orga-nizzativo adottato. La nuova disciplina ha confermato, dunque, l’obbligodell’intervento sostitutivo (conseguente a quello divigilanza), nel caso d’inadempimento degli obblighigravanti sul delegato. Nulla ha specificamente dispo-sto sull’ingerenza, ma non sembra che possa pervenir-si su questo punto – anche per l’espresso recepimentodel principio di effettività – a conclusioni diverse postoche l’ingerenza, come si è visto, pone nel nulla glieffetti della delega.Una delega valida ed efficace, avente ad oggetto fun-zioni delegabili e perdurante nel senso che non si èverificato alcun caso di inefficacia sopravvenuta, valead esonerare il delegante (salvo l’inosservanza deldovere di vigilanza) da ogni responsabilità penale: è ildelegato ad assumersi la responsabilità, nel caso diviolazione degli obblighi imposti dalla legge. Se la violazione è avvenuta per la ragione che il dele-gato non ha osservato le prescrizioni impartitegli, nonsorge alcun problema: risponderà lui soltanto, nei limi-ti già indicati. Ci si può chiedere, invece, cosa accada nel caso in cuiil delegato osservi le istruzioni del delegante. Trattasi d’ipotesi nella quale deve ritenersi perdurantela responsabilità del delegante: l’aver impartito diretti-ve erronee o difformi da quanto normativamente pre-

visto – o più semplicemente in contrasto con genericheregole cautelari – introduce una forma di comparteci-pazione (dolosa o colposa), da parte del delegante chediviene (o rimane), in prima persona, l’autore dellaviolazione. Inoltre, non è da escludere la responsabilità del delega-to. Sotto il profilo causale, vi è la presenza di una con-causalità riferibile alla condotta di entrambi i soggetti enon sembra, se si tratta di omissioni, che possa esclu-dersi la posizione di garanzia (derivata) del delegato.Posizione di garanzia che, in questo caso, ha originecontrattuale in virtù dell’accettazione della delega (cheoggi deve avvenire per iscritto nelle materie disciplina-te dal D.Lgs. n. 81 del 2008: v. art. 16 comma 1 lett. e). Per quanto concerne la colpevolezza varranno gliusuali criteri. In particolare, se la violazione è dolosadovrà essere accertato che il delegato abbia quantomeno accettato le conseguenze della sua condotta, enon sembrano esistere ostacoli per ritenere l’esistenzadel concorso dell’estraneo nel reato proprio. Più complessa è la soluzione nel caso di reati colposi:se si tratta di delitti, la compartecipazione è ipotizzabi-le nella forma della cooperazione nel delitto colposo(art. 113 c.p.); se trattasi di contravvenzioni – poichél’art. 113 prevede la cooperazione nel reato colpososolo nel caso di delitti – il problema è di meno agevo-le soluzione, anche se, in questo caso, può farsi riferi-mento al concorso di cause colpose indipendenti. Naturalmente dovrà essere verificata l’esistenza – oltreche della violazione di una regola cautelare anche daparte del delegato – di tutti gli altri presupposti, perl’attribuzione della responsabilità a titolo di colpa (esi-gibilità della condotta; prevedibilità dell’evento; erelativa evitabilità). Un’ultima osservazione, in tema di responsabilità, vasvolta in ordine alla posizione del delegato. Come sopra detto, nell’ipotesi di valida delega residua,in capo al delegante, un obbligo di vigilanza, che nonè configurabile a carico del delegato. Nel caso di pote-ri impeditivi “ripartiti”, fra delegante e delegato,l’inosservanza dei medesimi da parte del primo non hala conseguenza di rendere automaticamente responsa-bile dell’inadempimento anche il secondo. Il quale,però, qualora l’inadempimento da parte del delegantedivenga conosciuto o conoscibile, dovrà rinunziarealla delega, se la situazione è tale da impedirgli

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l’adempimento degli obblighi su di lui incombenti. Infine, come già precisato, l’idoneità del soggettodelegato è un presupposto di validità della delega.Ferma restando la responsabilità del delegante, perculpa in eligendo, nei confronti del delegato, potrà

configurarsi, nel caso di inidoneità riconoscibile, unaresponsabilità del delegato per colpa c.d. “per assun-zione”, ravvisabile nella condotta di chi assume uncompito che non è in grado di svolgere.

(FINE PRIMA PARTE – SEGUE)

1 Ex art. 40, co. 2, c.p..

2 Attuazione dell’art. 1 delle l. 3-8-07, n.127, in materia di tutela della salute e della

sicurezza nei luoghi di lavoro.

3 Aggiunto dall’art. 2, D.Lgs. 19-3-96, n. 242.

4 Aggiunto dall’art. 2 l. 15-7-02, n. 145.

5 Norme generali sull’ordinamento del

lavoro alle dipendenze delle amministrazio-

ni pubbliche.

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1.Premessa La querelle relativa ad una possibile – manegata dalla dottrina1 e dalla giurisprudenza2 –

equivalenza del credito per retribuzioni rispetto a quel-lo vantato dall’Inps, per regresso, per il trattamento difine rapporto corrisposto, ai sensi dell’art. 2 della legge29 maggio 1982, n. 297, ha avuto ad oggi una rispostaunivoca nel senso che la originaria diatriba è stata, perl’appunto, affrontata e risolta nel senso di ritenere,quante volte non sia possibile soddisfare integralmentei crediti collocati al medesimo grado, la concorrenzadegli stessi sull’attivo in distribuzione secondo un cri-terio di proporzionalità.A tale risultato si è pervenuti nella convinzione che unasiffatta regola risponde alla esigenza di creare un coor-dinamento organico tra le disposizioni sulla ripartizio-ne dell’attivo tenendo conto del principio della unicitàdella graduatoria, sicché i crediti che partecipano alriparto devono rispettare l’ordine delle prelazioni, fis-sate nel codice civile e nelle relative disposizioni che lericonoscono, attraverso il riconoscimento che il creditoha avuto in sede di accertamento dello stato passivo,atteso che il curatore non può procedere operando alcu-na rettifica se non tenendo conto di quel che può acca-dere successivamente alla intervenuta esecutività per levicende che possono, in termini soggettivi, comportaredelle rettifiche che possono derivare dalle pronunceintervenute in sede di opposizione allo stato passivo, diimpugnazione ovvero di revocazione3. La novella non ha apportato particolari modifiche perquel attiene i privilegi se non attraverso la previsioneche nel provvedimento, con il quale il giudice ammetteun credito al passivo, deve essere anche indicato il rela-tivo grado e, certamente, nel caso dei crediti di lavoroquelli per retribuzioni e per il trattamento di fine rap-porto hanno una pari collocazione essendo ad essi rico-

nosciuto un diritto di prelazione che si esercita su tuttii beni mobili del debitore per il capitale, le spese e gliinteressi “…nei limiti di cui agli artt. 54 e 55 sul prez-zo ricavato dalla liquidazione del patrimonio mobilia-re, sul quale concorrono in un’unica graduatoria con icrediti garantiti da privilegio speciale mobiliare secon-do il grado previsto dalla legge”.Per quanto riguarda il Fondo di garanzia, gestitodall’Inps, questo una volta effettuato il pagamento infavore del lavoratore, per il credito ammesso al passi-vo, delle ultime tre mensilità delle retribuzioni rimasteinsoddisfatte, ovvero per il trattamento di fine rappor-to, si surroga di diritto al lavoratore stesso o ai suoiaventi causa nel previlegio di cui all’art. 2751 biscod.civ. e tale credito concorre con quelli di naturaretributiva non garantiti, in quanto esso trova colloca-zione nella medesima posizione e nello stesso grado diprivilegio (art. 2751 bis n. 1 art. 1203 cod.civ. e art. 2legge n. 297 del 1982).A tale conclusione la dottrina e la giurisprudenza sonopervenute sul presupposto che, invero, i crediti sonoprevisti dall’art. 2751 bis n. 1, che non opera, con rife-rimento ad essi, alcuna graduazione e, pertanto, nonprevede un ordine di precedenza, sicché i crediti per leretribuzioni dovute al pari di quelli relativi alle inden-nità maturate, per effetto della cessazione del rapportodi lavoro, non possono che concorrere sull’attivo insede di ripartizione.

2. La questioneEbbene si tratta di dover verificare se un siffatto argo-mento possa ritenersi coerente con i principi discen-denti dalla direttiva Ce n. 987 del 1980, che ha previstol’intervento del Fondo di garanzia ed il pagamento deicrediti di lavoro relativi al t.f.r. ed alle ultime tre men-silità di retribuzione quante volte il datore di lavoro sia

Sulla non equivalenza del credito per retribuzioni e quellodi regresso per t.f.r.Antonio Caiafa Avvocato del Foro di Roma - Professore di Diritto Fallimentare Università L.U.M. “Jean Monnet” di Bari

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. La questione – 3. La soluzione.

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stato assoggettato a procedura concorsuale, ovvero nelcorso dell’esecuzione individuale il lavoratore non siariuscito a soddisfare le proprie ragioni di credito.Ebbene, se si considera che la finalità della DirettivaComunitaria è quella di assicurare, in caso di insolven-za o incampienza, la piena ed integrale attuazione delprincipio di tutela dei diritti dei lavoratori subordinati,appare logico e coerente ritenere che tale obiettivo deveessere garantito non solo grazie all’accesso, per il lavo-ratore, al Fondo di garanzia, ma, soprattutto, mediantela posticipazione della soddisfazione del Fondo a quel-la preventiva dei lavoratori.La soluzione offerta tiene conto della ratio della nor-mativa comunitaria e la proposta interpretazione, amaggior ragione, non può non essere accolta in un ordi-namento come quello italiano, nel quale la retribuzioneè un diritto costituzionalmente garantito e, come tale,deve essere adeguatamente tutelato. Ne consegue che non è sufficiente una tutela meramen-te formale, assicurata attraverso l’istituzione del Fondodi garanzia, ma è necessario che, in concreto, i lavora-tori subiscano il minor pregiudizio possibile dal disse-sto del loro datore di lavoro, ed è in quest’ottica che laComunità Europea ha vincolato gli Stati Membri adattuare la richiamata Direttiva.Dunque, sebbene il legislatore italiano ha adempiuto atale obbligo, il sistema rischierebbe di essere irraziona-le, qualora garantisse, da una parte, il lavoratore delrecupero, attraverso il Fondo di garanzia, del t.f.r. edelle somme dovute a titolo di retribuzione degli ultimitre mesi del rapporto di lavoro, e, dall’altra, consentis-se al Fondo di concorrere, anche in caso di insufficien-za di attivo, con i crediti di lavoro (art. 2782 cod.civ.),creando così un serio e grave pregiudizio nei confrontidel lavoratore che, in sostanza, verrebbe ad essere pri-vato della possibilità di ottenere quanto in suo diritto.Tale effetto risulta, evidentemente, contrario alle esi-genze di giustizia sociale, poiché verrebbe a fornire lamedesima tutela per situazioni sostanzialmente diverse,atteso che non possono essere equiparate le esigenzedel lavoratore a vedersi accreditata la somma per illavoro svolto dal momento che la retribuzione deveassicurare un’esistenza dignitosa (art. 36 Cost.), sicchéi crediti ammessi al passivo non possono concorrerecon le somme che il Fondo di garanzia abbia erogatosurrogandosi nei relativi diritti.

Affinché il ragionamento svolto non risulti criptico, epossano essere compresi meglio gli effetti perniciosiderivanti dalla diversa interpretazione ad oggi datadalla giurisprudenza e dalla dottrina, appare sufficientesottolineare che, nell’ipotesi in cui il Fondo si dovessesurrogare dopo la distribuzione parziale dell’attivo rea-lizzato, per non avere il lavoratore ottenuto sino a quelmomento il relativo ammontare, corrispondente al cre-dito ammesso, la somma da questi riscossa, in sede diriparto, verrebbe detratta dall’intero importo ricono-sciuto indistintamente nello stato passivo e, quindi,verrebbero, attraverso la ripartizione, soddisfatte quel-le ragioni creditorie non assicurate dal Fondo.In conclusione, qualora non si accettasse la prospettatasoluzione, si rischierebbe di incorrere in una applica-zione irragionevole della norma, che deve essere inter-pretata in modo costituzionalmente orientato.La giurisprudenza ha, a tal riguardo, più volte, ricono-sciuto che il principio di uguaglianza deve essere inte-so come obbligo del legislatore di trattare in modouguale situazioni in fatto uguali ed in modo non arbi-trariamente diverso situazioni in fatto diverse, ade-guando la disciplina giuridica ai differenti aspetti dellavita sociale ed escludendo, in tale modo, che a situazio-ni diverse possa essere imposta una identica disciplinalegislativa.È, dunque, evidente che al Fondo di garanzia non puòessere applicato l’art. 2782 cod.civ., perché, sebbenel’Istituto è previsto possa surrogarsi ex lege al lavorato-re nella medesima posizione e medesimo grado del pri-vilegio, di cui all’art. 2751 bis n. 1 cod.civ., non èaccettabile che esso concorra con il lavoratore e chevenga soddisfatto contestualmente a quest’ultimo poi-ché tale soluzione risulterebbe essere contraria alle esi-genze di giustizia sostanziale.

3. La soluzioneLa tesi che si intende proporre impone necessariamen-te una analisi degli argomenti svolti, in senso contrario,dalla giurisprudenza per riconoscere l’assoluta equipa-razione processuale e sostanziale tra la posizione delFondo di garanzia ed i lavoratori ammessi al passivo,attesa la esigenza, prima di ogni altra cosa, di compren-dere se, in effetti, le pronunce che spesso vengonorichiamate in modo acritico hanno colto la questione e,di conseguenza, se la soluzione che si intende proporre

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in ragione di una lettura costituzionalmente orientatadella relativa disciplina4, possa essere interpretata nelsenso che essa non osta ad una normativa nazionale cheabbia inteso garantire i crediti scaduti, per le causaliespressamente previste, consentendo che ciò avvenga,qualora non risulta una completa capienza dell’attivo,attraverso la regola del riparto pro quota, e per gradocorrispondente, nel rispetto delle rispettive cause diprelazione e del rango assegnato dalla legge, ponendo-li in diretto confronto, sicché il risultato possa essererealizzato attraverso un soddisfacimento recessivodegli altri crediti in conseguenza della non ritenutaequiparazione processuale e sostanziale tra la posizio-ne del Fondo di garanzia e quella dei dipendentiammessi al passivo per altre voci di credito.Vengono richiamate a sostegno della tesi della equiva-lenza alcune decisioni della Suprema Corte che, comepresto vedremo, non sono affatto significative perchépossa essere ribaltato il principio discendente dallemodifiche apportate dalla Direttiva 2002/74, che haattribuito ai legislatori nazionali la possibilità di fissareliberamente la data prima e/o eventualmente dopo laquale si colloca il periodo in cui il pagamento di crediticorrispondenti alle retribuzioni non pagate deve essereposto a carico dall’organismo di garanzia pur nonimpendendo – con riferimento alle retribuzioni – che illegislatore nazionale possa limitare la garanzia del cre-dito fissando la data a partire dalla quale deve esserecalcolato il periodo di riferimento, non avendo, certa-mente, inteso affermare che ciò possa e debba avvenirea danno degli altri lavoratori che risultino creditori pervoci diverse o, altresì, per gli stessi lavoratori che purvedendo garantito il credito da parte del Fondo nel con-correre con questo, ove l’attivo non consenta l’interosoddisfacimento, vedrebbero erosa quella quota di cre-dito per la quale non è previsto l’intervento dell’organi-smo di garanzia, con la conseguenza che il Fondo ver-rebbe ad incidere sulla concreta possibilità di soddisfa-re i crediti diversi da quelli per i quali la legge 29 mag-gio 1982, n. 297, lo ha istituito, per il trattamento di finerapporto, individuando le condizioni per il suo interven-to, ed il D.Lgs. 27 novembre 1992, n. 80, lo ha esteso aicrediti di lavoro diversi, ovvero alle ultime tre retribu-zioni maturate nell’anno anteriore all’apertura dellaprocedura concorsuale, prevedendo l’art. 2, commasette, la surroga di diritto “…nel privilegio spettante sul

patrimonio del datore di lavoro ai sensi degli artt. 2751bis e 2776 del codice civile per le somme da esso paga-te”, disposizione questa poi espressamente richiamatadall’art. 1 comma tre, del D.Lgs. n.80/1992, a norma delquale “…per le somme corrisposte dal Fondo si applicail disposto di cui al comma settimo, secondo periododell’art. 2, legge citata”.Al riguardo, certamente, non è pertinente il richiamoche viene effettuato nei confronti della sentenza pro-nunciata dalla Suprema Corte con riferimento all’am-ministrazione straordinaria delle imprese insolventiche, invero, ha inteso affermare un principio relativa-mente ad una fattispecie – disciplinata dalla legge fal-limentare, nel testo anteriore alla novella di cui alD.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 – di riparto interno nel-l’ambito di quella procedura nella quale, correttamen-te, il giudice del merito aveva escluso che il soddisfa-cimento dei crediti prededucibili potesse avvenire allastregua del criterio cronologico del “prior temporepotior in iure”5.La decisione richiamata, difatti, si è preoccupata diaffermare un diverso principio volto a garantire che ilFondo, che ha anticipato il t.f.r. ad altri dipendenti hadiritto ad essere pagato, in prededuzione, se tale collo-cazione, nell’ambito della procedura, spettava al credi-to dei lavoratori da esso soddisfatta.Non può sfuggire, pertanto, ove si proceda ad una let-tura meno acritica della decisione richiamata, che essaha inteso affermare un diverso principio essendo statoposto all’attenzione della Corte se l’ammissione al pas-sivo del credito del t.f.r., collocato in prededuzione, pereffetto del riconoscimento derivante dalla sua equipara-zione ai debiti di impresa – disposta dall’art. 4 del D.L.n. 414 del 1981, convertito nella legge n. 544 del 1981 –dovesse avere un trattamento preferenziale rispetto alcredito del Fondo di garanzia, gestito dall’Inps, deri-vante dalla surroga dell’ente previdenziale per il credi-to pagato ad altri dipendenti ed il cui rapporto, prose-guito senza soluzione di continuità con la procedura,era cessato in un momento antecedente.Del pari non può essere di ausilio la diversa decisionerichiamata al fine di sostenere che, in caso di concorsodei crediti di lavoro non garantiti, con quelli maturatidal Fondo di garanzia, per le somme erogate in sostitu-zione del datore di lavoro, questi ultimi non vanno sod-disfatti subordinatamente al preventivo soddisfacimen-

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to dei primi.E difatti con la richiamata sentenza la Suprema Corte6,ha inteso ribadire un principio, ancora una volta,sostanzialmente diverso che attesta, peraltro, la erro-neità della tesi che normalmente si sostiene proprioattraverso il richiamo a tale pronuncia.In tale decisione, nella parte motiva dedicata alla inter-pretazione della ratio legis, ci si accorge che laSuprema Corte ha cassato il decreto impugnato7 aven-do il giudice delegato omesso di considerare il chiarocontenuto dell’art. 2276 cod.civ. che, nel testo sostitui-to dall’art. 1 della legge n. 297 del 1982, dispone che icrediti relativi al trattamento di fine rapporto, nonchéall’indennità di cui all’art. 2118 cod.civ., sono colloca-ti sussidiariamente, in caso di infruttuosa esecuzionesui beni mobili, sul prezzo degli immobili con prefe-renza rispetto ai crediti chirografari e che, pertanto, icrediti indicati dagli art. 2751 e 2751 bis cod.civ., adeccezione di quelli indicati al precedente comma, sonoanch’essi collocati sussidiariamente, nell’ipotesi in cuil’esito dell’esecuzione sui mobili risulti incampiente,sul prezzo degli immobili, con preferenza semprerispetto ai crediti chirografari, ma dopo i crediti indica-ti al primo comma.La Suprema Corte, attraverso il richiamo dell’art. 12delle preleggi – che stabilisce, al primo comma, che“nell’applicare la legge non si può ad essa attribuirealtro senso che quello fatto palese dal significato pro-prio delle parole, secondo la connessione di esse edalla intenzione del legislatore” – è pervenuta alla con-clusione che l’interpretazione letterale costituisce ilprincipale e fondamentale canone di ermeneutica, conla conseguenza, quindi, che quando la portata e l’ambi-to di applicazione di una norma giuridica siano fattipalesi dal significato proprio dei termini usati nel testo,non è consentito all’interprete discostarsi da esso,quante volte questi risulti chiaro ed inequivoco, attesala impossibilità di ricorrere ad altri criteri ermeneuticisussidiari per giungere ad un risultato contrastante conil dato letterale e con la volontà del legislatore da essodesumibile.Ed infatti, con il provvedimento cassato, il tribunalenon aveva considerato che il legislatore, attraverso lariformulazione dell’art. 2776 cod.civ. aveva inteso, daun lato, contemperare l’interesse dei lavoratori dipen-denti a conseguire, in ogni caso, il trattamento di fine

rapporto, istituendo a tal fine il Fondo di garanzia gesti-to dall’Inps e, dall’altro, l’interesse di quest’ultimo arecuperare le somme pagate in sostituzione dell’obbli-gato inadempiente prevedendo la surrogazione di dirit-to nei privilegi attribuiti dagli artt. 2751 bis e 2776cod.civ. ai crediti relativi alle indennità di fine rappor-to.La portata della norma è, dunque, estremamente chia-ra, atteso che, attraverso la disposizione codicistica,introdotta dall’art. 10 della legge 29 luglio 1975, n.426, per come sostituita dall’art. 1 della legge 29 mag-gio 1982, n. 297, il legislatore ha inteso disporre che icrediti relativi al trattamento di fine, nel caso di infrut-tuosa esecuzione sui beni mobili, essi devono trovarecollocazione sussidiaria sul prezzo degli immobili “conprecedenza rispetto ai crediti chirografari” (in talsenso il primo comma), ma anche prima di tutti gli altri“crediti indicati degli artt. 2751 e 2751 bis” (in talsenso il secondo comma) e, quindi, prima dei creditiper le retribuzioni dovute sotto qualsiasi forma seppurassicurate dal n. 1 dell’art. 2751 bis cod.civ., con ciòdimostrando, in modo inequivoco, di aver inteso rico-noscere al Fondo di garanzia il diritto di privilegio, dicui all’art. 2776 cod.civ. e, dunque, tutelare il creditodell’Inps riconoscendogli una particolare efficacia con-sentendo che ad esso vengano posposti gli altri creditiretributivi.Nel caso esaminato, dunque, dalla Suprema Corte ilgiudice del merito aveva ritenuto, erroneamente, doveressere l’attivo realizzato utilizzato al fine di soddisfa-re le ragioni creditorie retributive e, quindi, successi-vamente quelle del Fondo che aveva erogato il t.f.r.che, al contrario, con riferimento al ricavato dalla ven-dita dei beni immobili, una volta risultata infruttuosala soddisfazione dell’attivo realizzato dalla alienazio-ne di quelli mobili, in ragione della operata rivisitazio-ne dell’art. 2776 cod.civ., doveva necessariamente pre-valere sulla distribuzione degli altri crediti, derivantidal rapporto di lavoro subordinato in quanto ad essiposposti.Ed allora è facile comprendere come da tale enuncia-zione non può ricavarsi alcuna indicazione per ritenereche il credito del Fondo, maturato per la erogazione delt.f.r., e gli eventuali crediti di natura retributiva deilavoratori dipendenti dell’impresa fallita, siano collo-cati nella stessa posizione e nello stesso grado di privi-

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legio, derivando dalla richiamata decisione l’esattocontrario ovvero che il credito per il t.f.r. anticipatodebba essere soddisfatto attraverso il ricavato dallavendita dei beni immobili, laddove si abbia una ecce-denza che consenta, per l’appunto, il soddisfacimentodi quelli di grado inferiore con preferenza, tuttavia,prima di tutti gli altri di quello relativo al t.f.r..Non diverse le conclusioni laddove si consideri il prin-cipio enunciato, sempre della Suprema Corte, sul rela-tivo tema8, con riferimento, ancora una volta, ad unaparticolare situazione.Ed infatti nel caso di specie il conflitto correlato allaregole che dovessero essere osservate nella attribuzio-ne degli importi da ripartire non è stato risolto nel sensodi ritenere logica la distribuzione proporzionale infavore del credito ammesso per surroga, maturatodall’Inps, con l’altro discendente dalle diverse rispetti-ve ragioni di credito derivanti dal rapporto di lavorosubordinato, essendo stato caso sottoposto all’esamedei giudici di legittimità il diverso problema relativo alcriterio di imputazione dei pagamenti, in presenza dipiù debiti verso la stessa persona ed in mancanza didiversa dichiarazione da parte del solvens, sul presup-posto questi potesse imputarlo al debito più antico qua-lora i debiti risultassero tutti ugualmente scaduti,garantiti ed onerosi, in applicazione dell’art. 1193,secondo comma cod.civ. L’Inps, difatti, aveva denunciato la violazione e falsaapplicazione degli artt. 1193 cod.civ., e 111 l.f., neltesto ante riforma, sul presupposto che l’imputazionedi cui alla richiamata norma opera solo in assenza dialtre regole, sicché essendo tutti i crediti per retribuzio-ni collocati sullo stesso piano ed assistiti, ai sensi del-l’art. 2751 bis cod.civ., da un privilegio del medesimogrado, doveva trovare applicazione, l’art. 2782 cod.civ.che, in caso di insufficienza delle somme da ripartire,prevede il soddisfacimento dei crediti posti al medesi-mo grado di privilegio, in proporzione del rispettivoimporto, sicché avendo i lavoratori ricevuto in prece-denza un acconto prima dell’intervento questo avrebbedovuto essere imputato a tutte le retribuzioni arretratementre a carico dell’Istituto avrebbero dovuto essereposte le retribuzioni previste dall’art. 2 del D.Lgs. n. 80del 1992, ciò sul presupposto che i criteri di imputazio-ne, di cui agli artt. 1193, 1194 cod.civ., si applicanoesclusivamente ai pagamenti eseguiti volontariamente

e non a quelli coattivi che hanno luogo in sede esecuti-va o fallimentare.Ebbene, anche in tal caso il principio enunciato dallaSuprema Corte non può essere utilizzato al fine di fardiscendere da esso che, in caso di concorso dei creditidei lavoratori subordinati e del Fondo di garanzia, perle somme da questo anticipate in sostituzione del dato-re di lavoro, si ha una collocazione nella medesimaposizione e nello stesso grado di privilegio, senza alcu-na graduazione o ordine di precedenza trovando il rela-tivo principio saldo ancoraggio nella legge fallimenta-re9 e, altresì, nella corretta interpretazione dell’istitutodella surrogazione, e dei criteri legali di imputazione,derivanti dall’art. 1193 cod.civ., atteso che la locuzionedebito meno garantito, cui si riferisce il secondo deicriteri legali di imputazione previsti dalla norma, nonpuò che essere interpretata10 nel senso che, attraversol’espressione utilizzata, si è inteso far riferimento aquelle obbligazioni non assistite da una garanzia realeo personale (privilegio, pegno, ipoteca fideiussione).L’art. 1193 cod.civ., difatti, al secondo comma, allorchéstabilisce che il pagamento va imputato al debito menogarantito, fa riferimento all’obbligazione che, fra quel-le scadute o è assistita da una garanzia, per la sua natu-ra giuridica o per estensione quantitativa e temporale o,ancora, per l’ordine che occupa nella graduatoria dellecause di prelazione, è meno efficace di altre o, infine,all’ipotesi di obbligazione, affatto, garantita.Discende da ciò che i criteri legali di imputazionehanno, quindi, la funzione di una dichiarazione esplica-tiva del solvens o, in subordine, dell’accepiens (comepuò argomentarsi dall’art. 1195 cod.civ.) a quali deirapporti obbligatori della medesima specie devonoessere riferiti i pagamenti eseguiti, di modo che ad ogniatto solutorio segua, puntualmente, l’effetto di estin-guere in tutto, o in parte, una determinata obbligazione.Tale criterio è, però, estraneo al sistema concorsuale,dal momento che l’accertamento del passivo ha la fun-zione di individuare i creditori che partecipano al con-corso, stabilendo, per ciascuno di questi, l’esistenza deldiritto, l’ammontare dello stesso e la sua collocazione.Il rischio dell’insufficienza dell’attivo11, quindi, gravasul Fondo e non può essere limitato all’ipotesi in cuinon vi sia attivo da ripartire tra i creditori privilegiati,di cui all’art. 2751 bis cod.civ., nel senso che, laddo-ve vi è un attivo, questo non solo non può essere cor-

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risposto, con preferenza al Fondo, fino all’integralerecupero di quanto da esso erogato – siccome in con-trasto con i principi che disciplinano la surroga – e, altempo stesso, deve lasciare ritenere esclusa la concor-renza del credito garantito con quello del lavoratore,già dipendente dell’impresa fallita, sul presuppostodella collocazione nella medesima posizione e nel-l’identico grado di privilegio, senza alcuna graduazio-ne o ordine di precedenza (artt. 2751 bis e 2782,primo comma, cod.civ.) dal momento che attraversol’istituzione del Fondo di garanzia il legislatore nonha inteso assicurare il soddisfacimento di alcuni cre-diti a danno di altri quanto, piuttosto, ha inteso garan-tire determinati crediti in funzione della stessa possi-bilità di flessibilizzare gli obblighi discendenti dalrapporto di lavoro, nell’ipotesi di trasferimento del-l’azienda dell’impresa fallita.L’art. 5 della Direttiva del Consiglio del 12 marzo2001, n. 23, al secondo comma, espressamente prevedela possibile disapplicazione degli artt. 3 e 4, dellamedesima Direttiva, nel caso di trasferimento attuatonel corso di una procedura di insolvenza aperta nei con-fronti del cedente, quante volte gli obblighi di questi,risultanti da un contratto di lavoro pregressi e rimastiinsoddisfatti, abbiano ricevuto una protezione almenoequivalente a quella prevista nelle situazioni contem-plate dalla Direttiva 80/987 del Consiglio del 20 otto-bre 1980 nel caso di insolvenza del datore di lavoro(art. 5 secondo comma lett.a).Ne consegue, quindi, che ove si operasse una diversainterpretazione essa risulterebbe, necessariamente, incontrasto con la Direttiva comunitaria in tema di man-tenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferi-menti di impresa nell’ambito di procedure che si svol-gano sotto il controllo dell’Autorità pubblica compe-

tente, atteso che verrebbe meno la stessa operativitàdell’art. 105 l.f. e, nel caso del concordato preventivoliquidatorio, dell’art. 182 l.f., che richiama la primanorma nel senso che la conclusione degli accordi lì pre-visti non consentirebbero la flessibilizzazione degliobblighi che quelle norme hanno inteso assicurare alfine di favorire il trasferimento dell’azienda insolventeovvero in crisi.Conclusivamente la garanzia non può avvenire a disca-pito della realizzazione degli altri crediti non assicuratidal Fondo ed una diversa lettura della relativa discipli-na normativa risulta essere in contrasto con le Direttivecomunitarie, oltre a non essere costituzionalmenteorientata, sol che si considerino i differenti effetti chepossano conseguire dal diverso momento in cui è inter-venuto il Fondo.Ed infatti ove due o più lavoratori partecipino ad unprimo riparto, senza aver richiesto l’intervento dell’or-ganismo di garanzia, si vedranno attribuire una sommain proporzione dell’intero credito ammesso al passivo,mentre gli altri subirebbero la percentuale riduzione inragione della partecipazione, in sede di distribuzione,anche del Fondo.Le irragionevoli conseguenze per tali creditori risulte-rebbero più che evidenti ove in un successivo ripartonon fosse loro assicurato l’intero soddisfacimento delcredito, atteso che, nella formulata ipotesi, quei lavora-tori che non avevano ancora richiesto l’intervento delFondo riuscirebbero a realizzare un maggior soddisfa-cimento dato dal credito riscosso, in occasione delpiano di riparto, e dall’importo ricevuto dal Fondo, chesurrogandosi rimarrebbe incapiente.Appare, dunque, evidente che una diversa conclusionenon può essere condivisa perché in contrasto con i prin-cipi comunitari e costituzionali.

1 G. BOZZA, La ripartizione dell’attivo, in Ilnuovo diritto fallimentare, a cura di A.JORIO - M. FABIANI, Bologna 2011, p. 591.

2 Cass., 29 agosto 1996, n. 7933, in Il falli-mento, 1997, p. 69; Tribunale Parma, 20febbraio 2003, ivi, 2003, p. 901.

3 A. SILVESTRINI, in M. NIGRO - A.SANDULLI, La riforma della legge fallimen-tare, II, Torino 2006, p. 673.

4 È emanata in attuazione della Direttiva80/987 del Consiglio, del 20 ottobre 1980,relativa alla tutela dei lavoratori subordina-

ti in caso di insolvenza del datore di lavoro,poi modificata dalla Direttiva 2002/74 delParlamento Europeo del Consiglio, del 23settembre 2002

5 Cass., 3 marzo 2011, n. 5141, in Il falli-mento, 2011, p. 1367.

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6 Cass., 29 agosto 1996, n. 7933, in Il falli-mento, 1997, p. 70; Tribunale Roma, 9 otto-bre 1996, in Mass.giur.lav., 1997, p. 575.

7 Tribunale Viterbo, 4 giugno 1992.

8 Cass., 21 febbraio 1997, n. 1586, inMass.giur.lav., 1998, p. 575, ripreso daTribunale Roma, 9 ottobre 1996, con nota diA. CAIAFA, Fondo di garanzia ex l.n.297 del1982, concorso di crediti e riparto.

9 Il decreto del giudice delegato che rendeesecutivo lo stato passivo ne stabilisce, difat-ti, la intangibilità e consente di individuare ilegittimati alla partecipazione al concorso,con la conseguenza che, in sede di ripartizio-ne, non possono essere proposte questionirelative all’esistenza o all’ammontare dei cre-diti ammessi o, ancora, all’esistenza o all’am-montare dei crediti ammessi o, ancora, all’esi-

stenza di distinte cause di prelazione: Cass.,19 marzo 1996, n. 2321, in Il fallimento,1996, p. 973; Cass., 11 marzo 1996, n. 1982,ibidem, 1996, 666 Cass., 13 dicembre 1995,n. 12790, ibidem, 1996, p. 361; Cass., 11 gen-naio 1995, n. 257, ibidem, 1995, p. 1098;Cass., 24 maggio 1994, n. 5073, ibidem,1995, p. 247; Cass., 3 giugno 1993, n. 6228,ibidem, 1993, p. 1233; Cass., 19 novembre1979, n. 6039, in Giust.civ., 1980, I, p. 1126.

10 Cass., 30 maggio 1983, n. 3708, inGiur.it., 1984, I, 1, p. 290, che propone unainterpretazione diversa della espressionecontenuta nell’art. 1193 cod.civ.; in sensocontrario, Cass., 1 giugno 1974, n. 1572,ibidem 1975, I, 1, p. 266; Cass., 7 febbraio1975, n. 474, ibidem 1975, I, 1, p. 836.

11 La giurisprudenza e la dottrina sono con-cordi nel ritenere che, qualora l’attivo falli-

mentare sia insufficiente a soddisfare, inte-gralmente, gli stessi debiti di massa, occor-re stabilire, tra questi, una graduazionesecondo l’ordine dei privilegi fissati dalcodice civile e che in assenza di questi lostesso credito chirografario prevale su tuttigli altri non prededucibili, pure se privile-giati, Cass., 20 dicembre 1990, n. 12075, inIl fallimento, 1991, p. 670; Cass., 29 genna-io 1982, n. 569, in Dir. fall., 1982, II, p.651. Per la dottrina si veda: G. ALESSI, Idebiti di massa nelle procedure concorsua-li, Milano 1987, p. 76; V. DEL VECCHIO, Lagradualità dei crediti verso la massa nelfallimento, in Il fallimento, 1983, p. 1600;U. AZZOLINA, Il fallimento, Torino 1961, II,885; R. PROVINCIALI, Trattato di diritto fal-limentare, Milano 1974, III, p. 1656, A.CAIAFA, I rapporti di lavoro e le procedureconcorsuali, Padova 1994, p. 56.

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Negli ultimi anni il Mercato del lavoro, compli-ce la crisi o, più probabilmente, in conseguen-za della crisi, è stato oggetto di una serie di

interventi normativi che, complessivamente considera-ti, hanno attutato un processo di “liberalizzazione”della regolamentazione del rapporto di lavoro fino aqualche anno fà difficilmente ipotizzabile.Dapprima il Legislatore ha “delegato” alle parti socialiil compito di intervenire su un impianto normativo evi-dentemente troppo rigido per garantire alle impresequella necessaria “flessibilità” divenuta, con il tempo,indispensabile per adattare la propria organizzazionealle mutevoli esigenze del mercato, individuando nellacontrattazione di prossimità lo strumento più adeguatoper tale processo di rinnovamento. Tale delega se nonsi può affermare che sia rimasta inattuata, sicuramentenon ha realizzato in pieno i propri intenti.Di qui l’esigenza, avvertita come non più rimandabileda parte del Legislatore e dei governi che si sono suc-ceduti, di intervenire in maniera incisiva sulla normati-va del lavoro, ultimamente facendo sempre più ricorsoalla decretazione d’urgenza, per garantire quella giustadose di flessibilità, in entrata ed in uscita, che consentaalle imprese di investire sul personale o di interveniresull’organico aziendale adattandolo alle esigenze dellaproduzione, senza le temute ripercussioni in termini disanzioni previste dall’ordinamento.In questo panorama di riforme il contratto a termine èl’istituto che ha registrato, nel breve periodo, il mag-gior numero di modifiche che, globalmente considera-te, hanno sostanzialmente riscritto la normativa fonda-mentale che è e resta il D.Lgs. 368/01. È chiaro che il Legislatore non può non recepire quelleche sono le indicazioni provenienti dal Mercato dellavoro ed i dati ci dicono, oggi, che i due terzi delleassunzioni nel nostro Paese sono a tempo determinato.Non si tratta di una peculiarità soltanto italiana: in

molti Paesi europei sono state adottate nel corso deglianni riforme volte a favorire la diffusione di forme con-trattuali diverse dal contratto di lavoro “standard”, atempo indeterminato, accomunate dal carattere dellatemporaneità nella prospettiva di garantire una maggio-re flessibilità “in entrata”.Per comprendere a fondo questa tendenza basta fare uncenno all’esperienza del c.d. mini job tedesco. Si tratta di lavori retribuiti con uno stipendio massimodi 450 euro mensili e con un limite di ore (almeno for-malmente) di 15 ore settimanali (il 1° di gennaio del2013 è stato approvato l’aumento da 400 a 450 €). Tale strumento di lavoro flessibile garantisce, inoltre,alle aziende un regime tributario vantaggioso. L’imprenditore paga il 2% al fisco e il 28% alla previ-denza sociale (il 15% al fondo pensioni e il 13% per lamalattia), perciò il contributo totale assomma al 30%.Il lavoratore viene esonerato dal versamento di impostema può effettuare una contribuzione volontaria nellamisura del 4,5% dei propri emolumenti destinandoli alfondo pensione ed inoltre ha diritto a ferie pagate, con-gedi per maternità ed all’accesso alla tutela approntataper il licenziamento.Tornando alla realtà italiana, negli ultimi anni abbiamoassistito ad una proliferazione indiscriminata di falsepartite IVA, di collaborazioni coordinate e continuative,anche a progetto, sospette, di associazioni in partecipa-zione con apporto lavorativo utilizzate dalle impresecon il solo scopo di ridurre il costo del lavoro masche-rando dietro tale forme di collaborazione autonome,rapporti di lavoro in tutto e per tutto subordinati. Per contrastare tale fenomeno, il legislatore nazionale,attraverso la legge n. 92/2012, provò ad incentivare la“flessibilità in entrata” svincolando il contratto a termi-ne dalla necessità di indicare la causa giustificatrice(che ha rappresentato nel tempo il principale motivo dicontenzioso), ma per un periodo di tempo troppo breve

La disciplina del contratto a termine dopo il decreto Polettie la legge di conversioneAndrea LutriAvvocato del Foro di Roma

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(dodici mesi e peraltro limitato solo al primo contrattoa termine tra le parti, non prorogabile) e caricando que-sto istituto di una serie di fattori di rigidità (quali la pre-visione di un periodo di stacco tra un contratto e l’altropiù lungo di quello previsto nella legislazione prece-dente, portato da 10 o 20 giorni a 60 o 90 giorni, gliaccordi sindacali sulla “acausalità ” nella percentualedel 6%, l’obbligo di comunicazione al centro per l’im-piego dello sforamento del termine), finalizzati ad evi-tarne un’utilizzazione abusiva, che, di fatto, hannoimpedito a tale contratto di esplicare in pieno la funzio-ne di ripresa dell’occupazione.Gli interventi normativi che si sono succediti dopo lalegge Fornero hanno avuto il comune proposito di eli-minare tali fattori di rigidità al fine di rendere il contrat-to a termine uno strumento realmente “flessibile” direperimento della manodopera per le imprese, sullaconsiderazione che il contratto a termine oggi rappre-senta il principale strumento di assunzione.In tale quadro di riferimento il D.L. n. 34/2014 è inter-venuto sulla disciplina dei contratti a termine eliminan-do la causale, che, come anticipato, ha costituito finoad oggi, il principale motivo di conversione del rappor-to a termine in rapporto a tempo indeterminato e haregolamentato in maniera più larga rispetto alla leggeFornero la percentuale consentita di assunzioni a tempodeterminato, facendo salva la possibilità per le partisociale di modificare questa percentuale rendendolaaderente alle esigenze del mercato di riferimento.Come precisato dal Ministero del lavoro con i chiari-menti del 14 marzo 2014, con l’entrata in vigore deldecreto legge il datore di lavoro può sempre instaurarerapporti di lavoro a tempo determinato senza causale,nel limite di durata di trentasei mesi. Viene così supe-rata la precedente disciplina che limitava tale possibili-tà solo al primo rapporto di lavoro a tempo determina-to. Inoltre, la possibilità di prorogare un contratto dilavoro a termine in corso di svolgimento è sempreammessa, fino ad un massimo di 8 volte (oggi, con lalegge di conversione, 5 volte) nei trentasei mesi.Rimane, quale unica condizione per le proroghe, il fattoche si riferiscano alla stessa attività lavorativa per laquale il contratto è stato inizialmente stipulato.Nell’introdurre il limite del 20% di contratti a termineche ciascun datore di lavoro può stipulare rispetto alproprio organico complessivo, il decreto fa comunque

salvo quanto disposto dall’art. 10, comma 7, del D.Lgs.368/2001, che da un lato lascia alla contrattazione col-lettiva la possibilità di modificare tale limite quantitati-vo e, dall’altro, tiene conto delle esigenze connesse allesostituzioni e alla stagionalità. Infine, per tenere conto delle realtà imprenditoriali più pic-cole, è previsto che le imprese che occupano fino a 5 dipen-denti possono comunque stipulare un contratto a termine.È, indubbiamente, una novità di grande portata, in lineacon la Direttiva europea sul contratto a tempo determi-nato e che rompe con un passato ove il mancato rispet-to delle stesse aveva avuto un forte impatto negativosulla vita delle imprese. Il Decreto Poletti liberalizza i contratti a termine maresta ancora la possibilità di superare i pochi limiti resi-dui con accordi sindacali. Ancora una volta la formulazione del testo normativo(come è accaduto per le norme che lo hanno preceduto)ha prestato il fianco a dubbi ed incertezze in gran parte(ma non tutte) superate dalla legge di conversione. La legge n. 78 del 2014, che ha convertito con modifi-che la disciplina approntata dal D.L. 34/2014, haapportato novità di rilievo alla disciplina introdottodalla decretazione di urgenza.Resta fermo il limite temporale di 36 mesi, così comeresta ferma la percentuale del 20%.Tuttavia, il legislatore interviene disciplinando lemodalità di computo, ai fini della determinazione dellimite percentuale, precisando che si tiene conto delsolo personale a tempo indeterminato in forza dal 1gennaio dell’anno di stipulazione del contratto a termi-ne.Inoltre il legislatore prevede che i datori di lavoro(l’espressione datori di lavoro ha sostituito la preceden-te formulazione che faceva riferimento alle imprese,creando in tal modo incertezza nell’individuazione delsoggetto destinatario della norma in parola) che occu-pano fino a cinque dipendenti possono sempre stipula-re un contratto a tempo determinato.Altra novità di notevole portata riguarda l’aspetto san-zionatorio. In caso di sforamento del limite percentua-le è prevista soltanto una sanzione amministrativa perciascun lavoratore eccedente (nella misura del 20 o50% percento della retribuzione, a seconda che la vio-lazione del limite percentuale riguardi uno o più lavo-ratori a tempo determinato).

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Osservatorio legislativo

Alla violazione del precetto non seguirà alcuna conse-guenza sulla natura del rapporto, con esclusione, per-tanto, della sanzione della conversione del rapporto atermine in un rapporto a tempo indeterminato.È previsto, tuttavia, un c.d. periodo di grazia entro ilquale il datore di lavoro che abbia in corso rapporti atermine in misura superiore al limite fissato dalla leggedeve provvedere a rientrare nel suddetto limite, salvoche un contratto collettivo applicabile all’azienda nondisponga un limite percentuale o un termine più favo-revole al datore di lavoro, e tale termine è fissato nel 31dicembre del corrente anno.Nel caso di mancato adeguamento alla disposizionenormativa al datore di lavoro inadempiente è preclusala possibilità di stipulare nuovi contratti a termine dal 1gennaio 2015, ma non trova applicazione la sanzioneamministrativa sopra menzionata (né, ovviamente, siapplica la sanzione della conversione).Premessa l’applicazione della normativa in esame sol-tanto ai contratti a termine stipulati successivamentealla sua entrata in vigore, viene fatta salva la vigenza deilimiti percentuali già previsti dalla contrattazione collet-tiva, in sede di prima applicazione, se diversi da quelliintrodotti dalla norma in parola, fino alla loro scadenza. I contratti individuali definiti in attuazione della nor-mativa previgente, inoltre, continuano a dispiegare iloro effetti fino alla scadenza.Restano fuori dal limite del contingentamento:a) i contratti a termine stipulati nella fase di avvio di

nuove attività, per i periodi definiti dai contratti col-lettivi nazionali di lavoro;

b) i contratti a termine stipulati per ragioni di caratteresostitutivo;

c) i contratti a termine stipulati per specifici spettacolio specifici programmi televisivi o radiofonici;

d) i contratti a termine stagionali;e) i contratti a termine stipulati con lavoratori di età

superiore ai 55 anni.Sono, inoltre, esclusi dalla normativa in esame il perso-nale assunto a tempo determinato per lo svolgimento diattività di supplenza e ATA per il quale non si applicané il limite percentuale né quello temporale (36 mesi). Analogo discorso per i contratti a tempo determinatostipulati dagli enti, pubblici o privati, di ricerca, conlavoratori chiamati a svolgere attività di ricerca scienti-fica o tecnologica, di assistenza tecnica o coordinamen-

to e direzione della stessa. In tali ipotesi i contratti a ter-mine che abbiano ad oggetto in via esclusiva lo svolgi-mento di attività di ricerca potranno avere una duratapari a quella del progetto di ricerca cui si riferiscono. A tali ipotesi derogatorie della disciplina di cui alla nor-mativa in esame si aggiungano i contratti a termine coni lavoratori in mobilità, per i quali non trovano applica-zione né il limite percentuale né quello temporale (tren-tasei mesi).Come anticipato il legislatore interviene nuovamentesull’istituto della proroga dei contratti a termine, questavolta in senso peggiorativo rispetto alla disciplina pre-vista dal Decreto legge convertito. Il numero di proroghe consentito viene ridotto dalleoriginarie 8 a 5 e resta sempre condizionato al limitecomplessivo dei trentasei mesi. Le proroghe, inoltre, sono ammesse sempre che si rife-riscano alla stessa attività lavorativa prevista dal con-tratto prorogato.Da ultimo si segnala che il legislatore della riformainterviene anche sul diritto di precedenza, già previstonella precedente disciplina del contratto a termine, peri lavoratori occupati con contratto a termine per unperiodo superiore ai sei mesi riguardo alle nuove assun-zioni a tempo indeterminato effettuate dal datore dilavoro nei dodici mesi successivi alla cessazione delrapporto per l’espletamento delle stesse mansioni svol-te dai lavoratori a termine, ampliando l’effettività e laportata del diritto di precedenza.Viene previsto, infatti, per le lavoratrici madri un dirittodi precedenza sia per le assunzione a tempo indetermina-to che a tempo determinato effettuate dal datore di lavo-ro nei successivi dodici mesi dalla cessazione del rappor-to a termine (purché si tratti di assunzioni per l’espleta-mento delle stesse mansioni svolte da queste ultime). Inoltre il periodo di congedo per maternità intervenutol’esecuzione di un contratto a termine con la medesimaazienda, concorre a determinare il periodo di attivitàutile per il conseguimento del diritto di precedenza.Altra novità di rilievo è l’obbligo per il datore di lavo-ro di portare a conoscenza del lavoratore assunto a ter-mine il diritto di precedenza, con la previsione che talecomunicazione formale sia espressamente richiamatanel contratto scritto di assunzione a tempo determinato.Non sono tuttavia previste specifiche sanzioni in casodi violazione del precetto normativo.

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Note a sentenza

La depenalizzazione della colpa lievenell’attività medico-chirurgicaLa Cassazione applica la legge Balduzzi e depenalizza la colpa lieve

Roberta MencarelliAvvocato del Foro di Roma

Sez. IV - Ud. 29 gennaio 2013 (Dep. 9 aprile 2013 n. 268) - Pres. Brusco - Rel. Blaiotta - P.M. D`Ambrosio

Èesclusa la rilevanza penale delle condotte con-notate da colpa lieve, e quindi la conseguenteresponsabilità penale per omicidio colposo, del

sanitario che nello svolgimento della propria attività siattenga alle linee guida ed alle buone pratiche terapeu-tiche accreditate.

Il casoLa sentenza in commento ripropone il dibattuto proble-ma della responsabilità medica, affrontando in partico-lare il tema della rilevanza della c.d. colpa lieve ai finidella responsabilità penale dell’esercente una profes-sione sanitaria.La vicenda in esame riguarda una paziente che si erarecata presso una clinica privata per effettuare un inter-vento di ernia discale recidivante nel corso del quale,tuttavia, venivano lesionate da parte del chirurgo lavena e l’arteria iliaca.A causa della grave emorragia che ne seguiva, il chirur-go esecutore dell’intervento disponeva il ricovero dellapaziente presso nosocomio attrezzato per un urgenteintervento vascolare riparatorio che tuttavia non con-sentiva di scongiurarne la morte.Il medico, esecutore dell’atto chirurgico, veniva quindichiamato a rispondere di omicidio colposo per avererroneamente eseguito l’intervento.Più precisamente, il Tribunale di Roma ne affermava laresponsabilità per aver violato la regola precauzionaleenunciata nella letteratura medica di non agire in pro-fondità superiore a 3 centimetri e di non procedere aduna pulizia radicale del disco erniario per evitare lacomplicanza connessa alla lesione dei vasi che corrononella zona dell’intervento. La Corte D`Appello di Roma non solo confermava lacondanna del medico in relazione alla condotta com-

missiva ma riscontrava, altresì, la colpa anche per nonaver preventivato la complicanza e per non aver orga-nizzato l’esecuzione dell’intervento in una clinicaattrezzata a far fronte alla possibile lesione di vasi san-guigni, profilo quest’ultimo, tuttavia, espressamenteescluso dal Tribunale di prime cure e non oggetto diimpugnazione.

La pronuncia della Suprema Corte di CassazioneTra i motivi di ricorso addotti dal ricorrente è segnala-ta, ex art. 606 n. 1 lett. b), tra gli altri, l’inosservanzadell’art. 3 della legge 8 novembre 2012 n. 189 che haoperato una parziale abolizione della fattispecie di omi-cidio colposo attraverso l’esclusione della rilevanzadella colpa lieve nel caso in cui il sanitario si attengaalle linee guida ed alle buone pratiche terapeutiche.Nel caso di specie, si tratta quindi di stabilire se esistauna buona pratica chirurgica che imponga di non intro-durre l’ago a più di 3 centimetri e se, con riguardo allelinee guida accreditate, vi sia colpa non lieve.Evidente è la portata innovativa della pronuncia che,sorta da controverse interpretazioni giurisprudenzialidella colpa nell’esercizio della professione medica,richiama l’attenzione su due aspetti di nuovissimaemersione: la distinzione tra colpa lieve e colpa graveai fini della rilevanza penale della condotta medica e lavalorizzazione delle linee guida e delle virtuose prati-che terapeutiche.Per ciò che concerne la colpa nell’esercizio della pro-fessione medica, il più antico orientamento giurispru-denziale prevedeva che la responsabilità penale del-l’esercente la professione sanitaria si configurasse soloed esclusivamente nei casi di colpa grave ossia nei casiin cui il sanitario avesse, nell’espletamento della suaattività professionale, commesso un errore inescusabi-

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le dovuto alla mancata applicazione delle cognizionigenerali e fondamentali attinenti alla professione o allacarenza di quel minimo di abilità e perizia tecnica nel-l’uso dei mezzi operatori che il medico deve esseresicuro di poter gestire correttamente o, infine, nellamancanza di prudenza o di diligenza.Si trattava, in particolare, di quel costante indirizzo giu-risprudenziale che riteneva possibile invocare, anchenell’ambito penale, l’applicazione dell’art. 2236 c.c.che limita il rilievo della colpa alle sole situazioni dicolpa grave 1 attesa la presunta ordinarietà dei problemitecnici di speciale difficoltà caratteristici dell’attivitàmedica.Il suddetto orientamento scaturiva dalla necessità chevenisse garantita, in tal modo, la coerenza del sistemagiuridico che non avrebbe giustificato una responsabi-lità penale laddove non fosse stato ravvisabile, ai sensidell’art. 2236 c.c., nemmeno un illecito civile.Ne era derivata da parte della giurisprudenza maggiori-taria degli anni ’60 e ’70 un’ampia applicazione dellaclausola di cui all’art. 2236 c.c. con l’esclusione dellaresponsabilità penale del medico nei casi di mera culpalevis senza che però venisse effettuato un effettivovaglio circa la speciale difficoltà della concreta presta-zione professionale2.Tuttavia, poiché i giudici avevano finito con l’assume-re un atteggiamento di irragionevole indulgenza anchenei casi di grave leggerezza del medico con una eviden-te disparità di trattamento rispetto a tutti gli altri conso-ciati responsabili di fatti colposi anche al limite dellacolpa lieve3, il citato orientamento aveva sollevato forticritiche tanto da parte della dottrina4 che della giuri-sprudenza che ne avevano eccepito il contrasto con ilprincipio costituzionale di uguaglianza al punto dalrichiedere un intervento della Consulta. La Corte Costituzionale5 rigettava tuttavia la sollevataillegittimità giustificando l’applicazione dell’art. 2236c.c. nella sola ipotesi in cui la prestazione comportasse lasoluzione di “problemi tecnici di particolare difficoltà”.L’applicazione di tale indulgente orientamento, peral-tro, si limitava esclusivamente alla colpa derivante daimperizia laddove, invece, la Corte statuiva che perl’imprudenza e la negligenza, era richiesto un giudizio“improntato a criteri di normale severità”6.Nonostante fosse intervenuta anche la Consulta,l’orientamento appena illustrato continuava ad essere

fonte di pressanti critiche soprattutto da parte della dot-trina che lo riteneva troppo indulgente avendo, lo stes-so, allargato a dismisura i casi di esclusione dellaresponsabilità penale del medico.Conseguentemente, negli anni ’80 si affermava unanuova ed opposta corrente giurisprudenziale che reci-deva totalmente qualsiasi collegamento tra l’ambitopenale e civile della colpa giungendo ad affermare che,ai fini della responsabilità penale del sanitario, alcunrilievo assumesse la distinzione tra colpa grave e colpalieve, che poteva tutt’al più rilevare ai fini esclusividella quantificazione della pena.In tal modo, l’art. 2236 c.c. ha perso qualsiasi rilievonell’ambito penale atteso che, alla stregua del nuovoorientamento, la colpa professionale deve essere valu-tata sempre e comunque sulla base delle regole genera-li in tema di colpa contenute nell’art. 43 c.p.7

Nonostante l’affermazione di tale nuovo orientamento,tuttavia, la corrente giurisprudenziale più risalente neltempo, ossia quella più “indulgente”, non è stata maitotalmente abbandonata, come dimostrano alcune sen-tenze richiamate dalla stessa Corte, sent. n. 39592/07,n. 16328/11 e n. 4391/12, che hanno fatto dell’art. 2236c.c. una regola di esperienza cui il giudice può attener-si nel valutare la perizia del medico nei casi di emer-genza o in quelli che implichino la soluzione di proble-mi di particolare difficoltà tecnica8.Dato il controverso panorama giurisprudenziale, a farechiarezza è intervenuta la L. 189/12, il c.d. DecretoBalduzzi, la quale ha formalizzato l’orientamento giu-risprudenziale c.d. più favorevole per il medico, preve-dendo tuttavia limiti più stringenti all’operatività dellostesso.Più precisamente, il legislatore ha distinto colpa lieve ecolpa grave ed ha statuito che non c’è responsabilitàpenale in caso di colpa lieve qualora il medico si siaattenuto alle linee guida e alle pratiche terapeuticheaccreditate presso la comunità scientifica salvo che,tenuto conto delle peculiarità del caso concreto, lo stes-so abbia commesso un errore rimarchevole.Vale a dire, come ribadito dalla Corte di Cassazionecon la sentenza n. 35922 del 2012, che alla streguadella nuova legge, le linee guida accreditate operanocome vademecum nella valutazione della responsabili-tà penale medica ma non esulano il sanitario dallaresponsabilità penale derivante dalla commissione di

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un errore grave.Con riferimento al primo profilo ossia alla distinzionetra colpa lieve e colpa grave, va preliminarmente osser-vato che la novella non solo non ha dato una definizio-ne delle due figure ma non ha nemmeno tratteggiatouna linea di confine tra le stesse lasciando sostanzial-mente invariato il panorama giuridico precedente edanzi complicando non poco la situazione.Ed infatti, benché la valutazione della gravità dellacolpa non sia affatto estranea all’esperienza giuridicapenalistica come risulta dall’art. 133 c.p. e dagli artt. 43e 61 n.3 c.p. e benché il nostro ordinamento annoveri innumerose disposizioni l’istituto della colpa grave, interalia, nel Codice Civile, nel Codice della Navigazione,nel Codice di Procedura Penale, nel codice di procedu-ra Civile, nessuno di essi ne fornisce una espressa defi-nizione.A ciò deve aggiungersi che nemmeno la giurispruden-za e la dottrina sono approdate ad una unanime nozio-ne di “colpa grave” in quanto, in sede applicativa, lagravità della colpa non ha mai costituito un discrimentra fatto punibile e fatto non punibile bensì un sempli-ce fattore di gradazione della pena.Poiché per tali ragioni il grado della colpa è statoaffrontato dalla prassi giudiziale solo tangenzialmenteal pari degli altri parametri di commisurazione dellapena, l’emanazione del nuovo art. 3 c.1 del decreto-sanità e la statuizione della pronuncia in commentoche, sulla base della distinzione tra colpa grave e lieve,segnano l’essere e il non essere reato, sollevano nonpochi problemi di natura interpretativa ed applicativaavendo il legislatore utilizzato la locuzione “colpagrave” senza che vi sia una distinzione con grandirischi di arbitrio giudiziale.Ed infatti, non ci si può esimere dal rilevare che ilnuovo riferimento alla colpa grave risulta assolutamen-te slegato a qualsivoglia profilo di speciale difficoltàtecnica a differenza di quanto previsto dall’art. 2236c.c. che sì limitava e limita la responsabilità del profes-sionista ai casi di dolo e colpa grave ma solo qualora laprestazione implichi la soluzione di problemi di specia-le difficoltà.Ne consegue che la nuova disposizione legislativapotrebbe rivelarsi illegittima nella misura in cui preve-de una limitazione della responsabilità colposa in capoal medico pur in assenza di adeguati presupposti di

complessità e difficoltà della prestazione in violazionedel principio di uguaglianza ex art. 3 Cost e del dirittoalla salute (art. 32 Cost).Ed invero, potrebbero configurarsi molteplici fattispe-cie concrete in cui in assenza di problemi clinici di par-ticolare complessità, risulti irragionevole limitare lapunibilità alla sola colpa grave per il sol fatto che ilsanitario abbia ottemperato alle linee guida.In definitiva, quindi, in caso di rispetto delle lineeguida, potrebbe risultare ragionevole limitare laresponsabilità penale ai soli casi di imperitia lata soloove si dimostrasse che le linee guida siano idonee adesaurire gli aspetti di “buona tecnica medica”. Ove, al contrario, si riconosca che la perizia medicapossa esigere specifiche condotte, anche al di là dellelinee guida accreditate, non potrà affermarsi che ilrispetto delle stesse sia idoneo ad escludere, iuris et deiure, un residuo giudizio anche di imperitia levi, perviolazione di altre regole di perizia ulteriori e differen-ti rispetto alle linee guida.9

Data la rischiosità della situazione così come appenaillustrata, la Corte di Cassazione con la pronuncia incommento ha cercato di arginare il problema indicandoi fattori di cui l’interprete deve tener conto ai fini dellaqualificazione della colpa ed ha, a tal fine, indicato: lamisura della divergenza tra la condotta effettivamentetenuta e quella che era da attendersi sulla base dellanorma cautelare cui ci si doveva attenere, la misura delrimprovero personale sulla base delle specifiche condi-zioni dell’agente ed infine la consapevolezza da partedell’agente di tenere o meno una condotta pericolosa.Venendo ora al secondo elemento, anch’esso di nuovis-sima emersione, ossia la valorizzazione delle lineeguida e delle virtuose pratiche terapeutiche accreditatepresso la comunità scientifica, la Suprema Corte stessariconosce che attraverso il riferimento alle citate lineeguida il legislatore ha dimostrato di aver compreso ladelicatezza del problema e ne ha indicato la soluzioneproponendo un modello di terapeuta attento la saperescientifico, rispettoso delle direttive formatesi alla stre-gua di solide prove di affidabilità diagnostica e di effi-cacia terapeutica ed immune da tentazioni personalisti-che giustificando, in tal modo, l’attribuzione di rilievopenale alle sole condotte connotate da colpa non lieve. Si tratta senza alcun dubbio di una importante enuncia-zione normativa che non solo pone il legislatore in piena

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sintonia con i più recenti approdi della giurisprudenzadella Suprema Corte di Cassazione ma che grazie al rife-rimento all’accreditamento presso la comunità scientifi-ca ha mostrato che il legislatore è ben consapevole delfatto che non trattandosi di vere e proprie norme caute-lari, le stesse sono sottratte alla certezza e in quanto talila loro osservanza non esime tout court il personale sani-tario da una eventuale responsabilità colposa.Orbene, è opportuno in primo luogo fornire una defini-zione di linee guida al fine di consentire all’interpretedi individuare quali regole possano essere definite tali.In proposito, una definizione ampiamente accreditatadi “linee guida” è quella fornita dall’Institute of medi-cine degli stati Uniti d’America secondo cui “clinicalpractice guidelines are systematically developed state-ments to assist practitioner and patient decisions aboutappropriate health care for specific clinical circum-stances”.10

La genericità di tale definizione mostra come il genusdelle linee guida sia assolutamente vasto ed onnicom-prensivo fino a comprendere al suo interno species deltutto eterogenee11 quali regole di carattere etico, diretti-ve di natura deontologica e prescrizioni giuridiche12.Dalla circostanza che le la fonte, la struttura e le finali-tà delle linee guida possono essere le più disparatediscende, come espressamente affermato anche dallaSuprema Corte nella pronuncia in commento, l’impos-sibilità di calarle de plano e in modo acritico all’inter-no del giudizio penale di colpa ma l’obbligo, al contra-rio, per l’interprete di adeguarle al caso concreto.Fondamentale conseguenza dell’appena citata statuizio-ne è che, quindi, così come la violazione dei protocolliclinici non comporta automaticamente la responsabilitàdel medico, allo stesso modo il rispetto delle linee guidanon esime il medico dalla responsabilità in caso di esitoinfausto del trattamento sanitario laddove si accerti che,in concreto, fosse esigibile e doveroso un trattamentoalternativo seppur contrario ai protocolli clinici13.Ed infatti potrebbe ben accadere che il sanitario appli-chi correttamente le linee guida, inquadri correttamen-te il caso concreto ma commetta un errore nell’adatta-mento delle direttive al caso concreto.Ed ebbene, in tal caso la giurisprudenza di legittimitàprevede che il sanitario incorrerà in responsabilitàpenale solo qualora l’errore commesso sia stato nonlieve.

Come è evidente ictu oculi, la valutazione della rile-vanza penale o meno della condotta è tutt’altro che age-vole. Si tratta infatti di verificare se, con riferimento alcaso concreto, esistano meno direttive accreditate, sel’intervento medico sia stato eseguito entro i confinitracciati dalle linee guida e infine, qualora si versi inquesta specifica situazione, se il medico nell’esecuzio-ne dell’intervento abbia tenuto una condotta connotatada colpa lieve o grave configurandosi il reato solo inquest’ultimo caso.Dalle considerazioni sopra esposte emerge chiaramen-te quale fosse l’intento del legislatore quando ha intro-dotto la legge Balduzzi così come emergono, in modoaltrettanto evidente, le difficoltà cui gli interpretiandranno incontro nell’applicazione delle nuove dispo-sizioni.Con riferimento al primo profilo, palese è che la moti-vazione che ha spinto il legislatore a depenalizzare lacolpa lieve del medico non può che essere legata allavolontà di evitare di penalizzare la più diligente delleprestazioni professionali.A tal fine, il legislatore ha esteso alla colpa medica perimperizia il favorevole regime previsto dall’articolo2236 del Codice civile.Tale “estensione” è stata tuttavia effettuata facendosalvo un duplice profilo di differenziazione rispetto alladisciplina civilistica e cioè, da un lato, è stato mantenu-to fermo il requisito del necessario rispetto da parte delmedico dei precetti dettati dalla comunità scientifica (lelinee guida o buone pratiche accreditate dalla comuni-tà scientifica), e dall’altro, non è stata richiesta, ai finidell’applicazione della nuova regola penale di favore,la presenza del requisito della speciale difficoltà tecni-ca della prestazione eseguita dal medico (requisito che,come è noto, è espressamente richiamato nel già citatoarticolo 2236 del Codice civile).Per quanto riguarda invece le difficoltà che gli interpre-ti si troveranno ad affrontare, i problemi concernonol’individuazione delle c.d. linee guida accreditate, lascelta del medico se sia preferibile seguirle o meno edinfine ma soprattutto, l’individuazione delle ipotesi incui la condotta del medico sia connotata da colpa gravee quindi integri gli estremi del reato.Orbene, a parere di chi scrive, da un’interpretazionenon solo della norma bensì anche della pronuncia incommento, affinché vi sia illiceità penale con conse-

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1 Sez. IV 21 ottobre 1970, in Riv. it. dir. eproc. pen., 1973, p. 259 e sgg., Sez. IV 17aprile 1971, MOLINARI, in Cass. pen., 1972,p. 1669, Sez. IV 15 febbraio 1978,VIOLANTE, in Cass. pen., 1980, p. 1559,Sez. IV 12 dicembre 1988, CAPAREZZA, inGiust Pen., 1989, II, c. 689.

2 G. CIVELLO, Responsabilità medica e rispet-to delle linee guida tra colpa grave e colpalieve, in Archivio penale, 2013, I, pp. 1-27.

3 A. CRESPI, La colpa grave nell’eserciziodell’attività medico chirurgica, in Riv. it.dir. e proc. pen., 1973, p. 255.

4 Per una definizione dei vari gradi dellacolpa F. CARRARA, Programma del corso didiritto criminale, p. gen. IX,. Firenze 1902,p. 88, 119 e sgg.

5 Cfr. Corte cost. n. 166/1973.

6 G. IADECOLA, Colpa professionale, in S.CASSESE (a cura di), Dizionario di dirittopubblico, Milano 2006, p. 962.

7 Sez. IV 9 giugno 1981 n. 150650, FINI, inCED Cass.; Sez. IV 22 ottobre 1983n.160826, ROVACCHI, in CED Cass., Sez.IV 2 giugno 1987, BOSCHI, in Cass. Pen.p.67, Sez. I, 21 marzo 1988, MONTALBANO,in Cass. pen., 1989, p. 1242, Sez. IV 8novembre 1988, ANGELILLI, in Cass. Pen.1990, p. 245.

8 Principio recentemente ribadito in Cass.Sez. IV 22 novembre 2011, GRASSO et. al.,in Cass. Pen. 2012, 6, p. 2069.

9 CIVELLO, Responsabilità medica cit., p.20.

10 “Raccomandazioni di comportamentoclinico prodotte attraverso un processosistematico allo scopo di assistere medici e

pazienti nel decidere quali siano le modali-tà di assistenza più appropriate in specifi-che circostanze cliniche”, Institute of medi-cine, Guidelines for clinical practice: fromdevelopement to use, Washington D.C.,1992; E. TERROSI VAGNOLI, Le linee guidaper la pratica clinica: valenze e problemimedico-legali, in Riv. It. med. leg., 1999, p.189 e sgg.

11 M. BILANCETTI, La responsabilità civilee penale del medico, Padova 2006, p. 744.

M. BONA – G. IADECOLA, in La responsabi-lità dei medici e delle strutture sanitarie.Profili penali e civili, Milano 2009, p. 81.

12 M. PORTIGLIATTI BARBOS, Le linee guidanell’esercizio della pratica clinica, in Dir.pen. proc., 1996, p. 891.

13 Si veda a titolo esemplificativo dellaconsolidata giurisprudenza in merito Cass

guente punibilità, occorrerà che il grado della colpa siatanto elevato da configurare una colpa macroscopica egrossolana in cui nessun altro medico dello stesso livel-lo professionale, nella situazione data, sarebbe incorso.In altre parole, il sanitario non sarà punito a titolo diimperizia unicamente per il fatto di aver perseverato“indebitamente” nell’applicazione delle linee guida odelle pratiche accreditate dalla comunità scientifica afronte di un quadro clinico del paziente che valutatoesattamente secondo le leggi dell’arte avrebbe dovutoimporre di discostarsene, bensì solo allorquando taleperseveranza si manifesti in presenza di una situazione

del malato che avrebbe immediatamente orientatoqualsiasi altro sanitario verso un diverso approccio dia-gnostico o terapeutico. In conclusione, quindi, alla luce del nuovo panoramanormativo e giurisprudenziale, sicuramente la diligen-za ad oggi richiesta al medico non è più quella mediadel buon padre di famiglia bensì quella specifica dell’-homo eiusdem professionis et condicionis che rendequindi più doveroso e puntuale l’atto medico ma, allostesso tempo, il sanitario gode di una tutela molto mag-giore che lo esonera dalla responsabilità penale qualo-ra abbia agito nel rispetto delle nuove prescrizioni.

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Note a sentenza

Avrei voluto occuparmi della Corte di cassazio-ne penale e – sicuramente – non per tessernel’elogio, ma mi è parso più urgente trattare una

vicenda che ha dell’allucinante e, oltretutto, attiene alcorretto agire delle istituzioni e, in definitiva, dellademocrazia nel nostro Paese.Intendo, cioè trattare un aspetto della sentenza costitu-zionale n. 1/2014 del 4 dicembre 2013, pubblicata inG.U. il 15 gennaio del corrente anno, che ha dichiaratoincostituzionale la vigente legge elettorale (il c.d.Porcellum) nelle parti in cui prevedeva il premio dimaggioranza e le liste bloccate. Preciso subito che irilievi che appresso farò non riguardano la decisionedichiarativa d’illegittimità e non perché quest’aspettodella sentenza fosse del tutto esente di un qualche rilie-vo ma perché la critica sarebbe inutile in quanto ladecisione è inoppugnabile (art. 136 Cost.).Mi occuperò, quindi, solo di quella parte della senten-za nella quale la Corte si lascia andare (è proprio il casodi dire così, ancorché l’espressione sia un tantino irri-guardoso) ad un post dictum che invade un campo adEssa non pertinente, quale l’effetto retroattivo delladecisione.Ha affermato, cioè, che la dichiarazione d’incostituzio-nalità di alcune norme della legge elettorale (comedetto, premio di maggioranza e liste bloccate) produrrài suoi effetti esclusivamente in occasione di una nuovaconsultazione elettorale e, quindi, non tocca in alcunmodo gli atti posti in essere durante il vigore dellenorme annullate, compresi gli esiti delle elezioni svol-tesi e gli atti adottati dal Parlamento eletto; e ciò perché– dice la Corte – il principio di retroattività (che purericonosce connesso alle sentenze di annullamento) valesoltanto per i rapporti tuttora pendenti, con conseguen-te esclusione di quelli esauriti.Ed il rapporto – sempre secondo la Corte – si è esauri-to, nel caso di specie, con la proclamazione degli elet-ti, che avviene a conclusione della consultazione elet-torale.

Tuttavia, a prescindere dalla contraddizione nella qualela Corte è caduta (ha ritenuto, cioè, rilevante la questio-ne d’incostituzionalità sollevata nel 2013 dallaCassazione nel maggio 2013 quando si erano addirittu-ra concluse le legislature del 2006 e 2008 sotto lavigenza del Porcellum) resta il rilievo fondamentalesecondo cui le norme annullate non possono vivereancora nei suoi effetti, allorché si svolgano le votazio-ni parlamentari, perché, secondo dottrina e giurispru-denza ormai pacifiche, la cessazione di efficacia dellenorme dichiarate incostituzionali vale come divietoassoluto di farne comunque applicazione, anche asituazioni e rapporti pregressi, purché non esauriti (nelnostro caso finché dura la legislatura).Ed è incontestabile, infatti, che l’accertamento dellaesistenza di una maggioranza, che legittimi ogni voltail provvedimento parlamentare, è necessario non solo –come invece ha ritenuto la Corte – ai fini della procla-mazione degli eletti ma sempre che si tratti di delibera-re, vuoi per l’adozione del regolamento interno, vuoiper qualsiasi provvedimento da adottare a maggioranzasemplice o a maggioranza qualificata (art. 64 dellaCostituzione): onde riemerge continuamente la neces-sità di non tener conto di maggioranze calcolate secon-do le norme annullate.Forse la Corte si è accorta della erroneità della sua opi-nione (ripeto: è mera opinione che esula dalla portatadel decisum), perché, traendo il classico coniglio dalcilindro, ha fatto ricorso al principio della continuitàdello Stato e dei relativi organi, anche del Parlamento,i quali non possono essere posti nel nulla, né smetteredi funzionare. Ma, si tratta, questa della continuità, diuna troppa, che non conferisce alcuna forza argomenta-tiva all’opinione, anzi, mette maggiormente in risaltol’errore nel quale la Corte è incorsa: invero, non è incontestazione l’esistenza del Parlamento, si tratta, inve-ce, del regolare funzionamento di esso, posto che i suoicomponenti sono in parte (non è una bazzecola) il risul-tato di nomina illegittima.

Quando il potere diventa arbitrioAngelo MieleAvvocato del Foro di Roma

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Note a sentenza

Si dirà che il Parlamento potrebbe subire una specie dicosmesi, cioè vedersi eliminata dal computo della mag-gioranza la componente relativa al premio di maggio-ranza; esemplificando si potrebbe dire che il Pd, inve-ce che 340 seggi potrebbe contare solo di quelli depu-rati dal premio di maggioranza. Ammesso che ciò siapossibile, della qual cosa dubito, resta però il fatto che– tenuto conto della posizione del Movimento grillino,dichiaratosi contrario a partecipare a qualunque allean-za con coloro che dovrebbero andare “tutti a casa”, etenuto conto altresì che è fallito il progetto delle largheintese – il Parlamento non è in grado di funzionareregolarmente, per difetto di una stabile maggioranza,tanto più che l’attuale Governo a direzione Renzi ambi-sce a promuovere la riforma costituzionale che, com’ènoto, postula maggioranze qualificate e, com’è altret-tanto noto, postula tra tutte le forze politiche una con-divisione di valori e di principi, allo stato mancante (nefa prova il fatto storico che la revisione dellaCostituzione è stata all’ordine del giorno da oltre untrentennio, più volte tentata sempre fallita).Forse qualcosa si potrebbe attuare ma all’insegna dicompromessi al ribasso, se non addirittura facendoricorso a pratiche gattopardesche (tutto cambia, affin-ché tutto resti come prima).Il presidente della Repubblica, ostinandosi a non farel’unica cosa che è necessario fare siccome ilParlamento non è in grado di funzionare regolarmente,

cioè sciogliere le Camere a sensi dell’art. 88 dellaCostituzione, non fa certamente l’interesse del Paese.Per altro non è chiaro il motivo di questo comporta-mento di Napolitano: mantenere al potere i suoi com-pagni, ovvero usare questo Governo per tener fede agliimpegni assunti personalmente con Angela Merkel?(come non è chiaro l’atteggiamento di Berlusconi nelsostenere la continuità di questa legislatura). Ai posterisvelare il mistero.Ma, nell’una o nell’altra ipotesi, è evidente che ilPresidente della Repubblica ha recepito l’assistenzadella Corte costituzionale, la quale, come si è sopraevidenziato, ha mostrato ancora una volta di avereuna propensione a invadere il campo, non suo, dellapolitica.Quello che, però, qui mi preme dire – e concludo – èche si sta esponendo il Paese a un grave pericolo, quel-lo dell’annullamento, per illegittimità costituzionale,dei provvedimenti che il Parlamento ha emesso e con-tinua ad emettere dopo la pubblicazione su G.U. dellasentenza d’incostituzionalità del Porcellum.Usando una nota metafora statunitense: l’albero avve-lenato non può che dare frutti marci.Sia chiaro: ho affrontato questo tema – per me doloro-so perché rivelatore della pochezza culturale o dell’ar-bitrio degli attuali detentori del potere, di qualunquepotere – per obbedire alla mia coscienza di cittadino diquesta, nonostante tutto, amata, cara e bella Italia.

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Cronache e attualità

1.L’avvocato pubblico: professionista e fun-zionario pubblicoNell’ambito della professione forense, l’avvo-

cato pubblico rappresenta un’eccezione. Una normaspecifica, l’articolo 23 della legge professionale n.247/2012, disciplina gli avvocati degli enti pubblici pergarantirne caratteristiche identiche a quelle dei liberiprofessionisti.Il rispetto dei principi e delle garanzie professionali èanche l’obiettivo che persegue il regolamento degliuffici legali pubblici, approvato dal Consigliodell’Ordine degli Avvocati di Roma nell’adunanza del13 dicenbre 2013, che prevede presupposti e requisitiper la creazione di tali uffici nonché per l’iscrizionedegli avvocati negli elenchi speciali.La figura dell’avvocato pubblico è particolare perché alruolo di avvocato professionista affianca quello di pub-blico funzionario.Questa duplice veste di professionista e funzionariopubblico dipendente, se da un lato pone problemi con-trattuali e organizzativi nel rapporto avvocato/ammini-strazione-“datore di lavoro”, dall’altro connota inmodo particolare il rapporto avvocato/amministrazio-ne-“cliente”.L’avvocato pubblico, infatti, ha quale unico ed esclusi-vo “cliente” l’ente di cui è dipendente e che è chiama-to a difendere ed assistere legalmente nel momento incui entra in conflitto con altri soggetti. Essendo undipendente, quindi incardinato nell’ente, non è sogget-to solamente agli obblighi derivanti dal contratto dilavoro e dai doveri posti dal codice deontologico, mapartecipa della funzione dell’ente ed è chiamato a cura-re l’interesse pubblico attributo dalla legge all’ente. La cura di un interesse pubblico, impone all’ente diindirizzare tutta l’attività, amministrativa, tecnica, con-tabile, organizzativa, contrattuale, e tutti i rapporti sia

pubblicistici che privatistici, a perseguire quell’interes-se, e ciò anche quando l’attività o i rapporti diventanopatologici e generano contenzioso. Quando accade ciòal funzionario subentra l’avvocato, la cui attività è incontinuità con quella del funzionario.In tutto il contenzioso, anche se di diversa natura, civi-le, amministrativa o penale, l’interesse pubblico rima-ne una costante, pur spostandosi sullo sfondo della fat-tispecie dedotta in giudizio.Sicché, nel momento in cui l’avvocato pubblico difendel’attività svolta dal funzionario, nel difendere la specifi-ca situazione, sostanzialmente difende in modo diretto oindiretto l’interesse pubblico. Questa è la caratteristicadella sua attività che la rende del tutto peculiare. Infatti, diversamente dall’avvocato libero professionistache è chiamato a tutelare i diritti del privato cittadino oa dimostrare che non ha leso diritti altrui, l’avvocatopubblico deve far valere le ragioni dell’amministrazio-ne per dimostrare che l’interesse pubblico è stato soddi-sfatto. Mentre il primo difende un soggetto che cura ilproprio interesse, il secondo difende il funzionario checura l’interesse altrui, ossia quello della collettività.

2. Il principio di legalità come obiettivo dell’attivi-tà dell’avvocato pubblico

La difesa dell’attività del funzionario non è fine a sestessa ma è finalizzata a dimostrare il perseguimentodegli interessi della collettività e la legittimità del-l’azione e, quindi, a dimostrare il rispetto del principiodi legalità.Il punto di riferimento dell’attività dell’avvocato quin-di è il principio di legalità inteso come limite esternoall’attività, ossia rispetto del fine e dei limiti del poterestabiliti dalla legge (conformità formale alla legge), ecome limite interno all’attività, cioè conformità dellemodalità di esercizio del potere alla disciplina sostan-

L’Avvocatura Pubblica quale strumento per la realizzazionedei principi di legalità, economicità, efficacia ed efficienzadell’attività amministrativaStefania Ricci Avvocato dell’Avvocatura Regione Lazio

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Cronache e attualità

ziale (conformità sostanziale dell’attività alla legge). In realtà, anche l’avvocato libero professionista, quan-do difende l’ente pubblico, deve seguire la stessa logi-ca dell’avvocato pubblico e difendere la situazionededotta in giudizio in funzione della difesa dell’interes-se pubblico, tuttavia, esegue una prestazione contrat-tuale e professionale in base ad un contratto d’operaintellettuale (species del genus contratto di lavoro auto-nomo) che lo lega all’ente e nei cui confronti, quindi,risponde a titolo di responsabilità contrattuale. La suaattività è sganciata da quella del funzionario.L’avvocato pubblico, invece, sebbene con modalità e supiani diversi, svolge un’attività di cura dell’interesse pub-blico che è in continuità con quella del funzionario, per-ché essendo dipendente dell’ente, così come il funziona-rio, è tenuto al rispetto delle norme che vincolano il finedell’ente stesso e stabiliscono le modalità d’azione. Ciò comporta che per l’attività specificatamente pro-fessionale, ferma restando la responsabilità contrattua-le, risponde anche a titolo di responsabilità amministra-tivo-contabile, qualora non abbia agito nell’interessedell’ente provocando in tal modo un danno erariale. Se l’avvocato pubblico non svolge un’adeguata o tem-pestiva difesa dell’ente, per esempio non proponeopposizione ad un decreto ingiuntivo nei termini dilegge, essendo un pubblico dipendente, può incorrerein un’azione di responsabilità amministrativo-contabi-le, oltre che in provvedimenti disciplinari o di tipo eco-nomico scaturenti dalla responsabilità contrattuale,mentre l’avvocato libero professionista risponde solonei confronti dell’ente per inadempimento contrattuale. Obiettivo dell’attività di difesa in giudizio, quindi, èdimostrare che l’amministrazione ha rispettato il prin-cipio di legalità perché ha perseguito l’interesse pubbli-co attribuito dalla legge ed ha seguito, nelle modalità diazione, le regole ed i parametri dettati dalle norme perl’esercizio del potere. Mentre nel contenzioso amministrativo, dove si discu-te dell’esercizio del potere, la difesa dell’interesse pub-blico è immediata, nel contenzioso civile avviene in viaindiretta attraverso la difesa degli interessi propri estrumentali dell’ente che si configurano nell’attivitàprivatistica.Nei giudizi amministrativi la legittimità dell’azionepuò essere messa in discussione per violazioni di rego-le procedimentali, cioè per vizi formali. In tal caso l’av-

vocato, in ossequio all’art. 21 octies L. 241/90, devedimostrare che quei vizi non inficiano la sostanza delprovvedimento perché la scelta dell’amministrazionenon avrebbe potuto essere diversa. Altre volte, invece, si contesta la correttezza della scel-ta discrezionale, sicché, sulla base di motivazioni scar-ne, si prospettano vizi sostanziali, quali il difetto dimotivazione o l’eccesso di potere. L’avvocato allora,senza incorrere in una motivazione postuma, deve repli-care evidenziando, attraverso la produzione documenta-le che l’iter logico-giuridico seguito ha portato ad unascelta corretta, satisfattiva dell’interesse pubblico. Nel contenzioso civile, invece, in primo piano compa-iono gli interessi propri dell’organizzazione, cioè del-l’ente che si avvale della posizione di autonomia nego-ziale, mentre l’interesse pubblico attribuito rimanesullo sfondo. In questi giudizi l’avvocato deve rappresentare chel’amministrazione nei rapporti privatistici ha rispettatole norme civilistiche che disciplinano proprietà, obbli-gazioni, contratti, e tuttavia nel fare ciò, evidenzia chel’interesse pubblico è stato perseguito perché anche glistrumenti privatistici vengono utilizzati dall’ente per lacura dell’interesse pubblico affidatogli, come sanciscel’art. 1 della L. 241/90.L’attività dell’avvocato pubblico però non consiste solonella difesa giudiziale ma anche nell’assistenza legalefinalizzata a superare criticità nell’azione dell’ente, chesi possono determinare fin dalla fase procedimentale.È questo forse l’ambito in cui l’avvocato pubblico colla-bora maggiormente al rispetto del principio di legalitàperché può orientare operato dell’amministrazione sug-gerendo percorsi alternativi a quello giudiziario e piùgaranti dell’interesse pubblico, come l’adozione di prov-vedimenti di autotutela o integrativi o confermativi macon una motivazione più articolata o la riedizione corret-ta del potere piuttosto che l’impugnazione di sentenzesfavorevoli o, ancora, in campo civilistico, segnalandol’inopportunità di opposizioni a ingiunzioni di pagamen-to quando il debito sussiste o predisponendo schemi ditransazioni che prevengano sentenze di condanna.

3. La realizzazione dei principi fondamentali dieconomicità efficacia ed efficienza

La duplice veste di avvocato e pubblico dipendente nonè rilevante solo per gli aspetti di legalità ma anche per

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il buon andamento dell’attività stessa i cui corollarisono l’economicità l’efficacia e l’efficienza.A partire dalla Legge n. 241/1990 “buon andamento”dell’attività amministrativa ha assunto il significato diraggiungimento del miglior risultato possibile. In que-sta accezione rientrano pienamente le così dette tre“E”, cioè l’economicità, l’efficacia e l’efficienza, crite-ri mutuati dal mondo aziendale per essere applicati allagestione delle pubbliche amministrazioni in modo daavvicinarla ad un modello più snello, quale è quelloprivatistico.La legge sul procedimento espressamente sancisce icriteri di economicità ed efficacia, da cui quello di effi-cienza si ricava. L’economicità consiste nell’utilizzare la minore quanti-tà di risorse possibili in modo che i costi della gestioneamministrativa, non solo non superino i benefici previ-sti, ma siano anche adeguati ad essi. Il principio di eco-nomicità, quindi, deve essere coniugato con quello diproporzionalità, nella sua valenza economica, poichérichiede che i costi della gestione non siano mai supe-riori a quelli necessari al perseguimento delle finalitàpubbliche.Il principio di efficacia misura il rapporto tra risultatiottenuti ed obiettivi prestabiliti. L’efficacia, quindi,attesta la capacità della P.A. di raggiungere gli obietti-vi programmati.L’efficienza non è sinonimo di efficacia poiché mette inrelazione la quantità di risorse impiegate con il risulta-to raggiunto e scaturisce, perciò, dalla combinazione diefficacia ed economicità. L’attività della P.A., infatti,può essere efficace, perché raggiunge i risultati previ-sti, ma inefficiente perché utilizza troppe risorse oppu-re, viceversa, inefficace, per il mancato raggiungimen-to dell’obiettivo, ma efficiente perché il risultato ècomunque adeguato alle risorse impiegate.Essendo inseriti nel novero dei principi fondamentalidell’azione amministrativa, efficacia economicità edefficienza sono parametro di valutazione (in termini dilegittimità) dell’attività dell’amministrazione e, quindi,anche dell’attività dell’avvocatura interna ad un ente. Dal punto di vista dell’economicità (rapporto trarisorse utilizzate e risultati ottenuti) non v’è dubbioche, nei casi in cui il contenzioso dell’ente non siaoccasionale ma abbia frequenza e consistenza elevate,l’avvocatura pubblica, essendo una struttura dell’ente,

consente di contenere i costi della difesa giudiziale chesarebbero sicuramente più alti se fosse affidata adavvocati del libero foro.Infatti, da un lato i costi di gestione della singola strut-tura (utenze, servizi, attrezzature informatiche) incido-no in modo proporzionale alle dimensioni dell’ente percui, tanto più l’ente è grande tanto più sono ammortiz-zate, dall’altro lato, i costi degli avvocati, essendodipendenti dell’ente, sono limitati agli stipendi previstidai contratti collettivi.Per stabilire se l’avvocatura pubblica assicura o menol’economicità occorre, quindi, verificare i risultati otte-nuti con le risorse impiegate. Non è superfluo chiarire che per risultato non puòintendersi l’esito favorevole del giudizio perché è notoche l’obbligazione dell’avvocato è un’obbligazione dimezzi e, quindi, il punto di riferimento per la verificadel risultato è il rapporto tra il costo generale sostenutoper la gestione del contenzioso e la quantità di conten-zioso gestito. La quantità di contenzioso dell’ente è fondamentale pervalutare se l’avvocatura interna risponde al criterio dieconomicità. Sicuramente in un ente di piccole dimensioni - comeper esempio un comune con un basso numero di abitan-ti in cui è raro che si crei un contenzioso giudiziario -non è economico dedicare una struttura unicamenteall’attività legale perché i costi non verrebbero ammor-tizzati. In tal caso può essere più conveniente incarica-re all’occorrenza un avvocato del libero foro. Quando,invece, l’ente ha dimensioni grandi, un ufficio dedica-to come un’avvocatura interna diventa una soluzioneeconomicamente vantaggiosa. L’analisi dei costi, sebbene sia la prima operazione dacompiere è, tuttavia, un’analisi superficiale, chepotrebbe non essere sufficiente per stabilire se per l’en-te avere un’avvocatura interna è economicamente utile.Occorre verificare, infatti, anche se le cause sono stateeffettivamente trattate o solamente prese in carico dal-l’avvocatura, se quindi l’avvocatura ha un ruolo attivoo solo di intermediario con i professionisti esterni.Sicché, all’analisi dei costi va associata l’analisi deirisultati raggiunti.Più significativa è la verifica dell’efficacia dell’avvo-catura pubblica, ossia se sia stata capace di raggiunge-re gli obiettivi programmati e, quindi, il rapporto tra

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risultati ottenuti e gli obiettivi prestabiliti sia positivo. L’obiettivo dell’ente che istituisce una propria avvoca-tura è assicurare la trattazione al proprio interno degliaffari legali. L’avvocatura, infatti, è una struttura “dedi-cata” alla cura dei giudizi in cui l’amministrazione èattore o convenuto. Si può dire, quindi, che l’obiettivoè raggiunto al massimo grado se tutti i giudizi presi incarico vengono poi assegnati, studiati, seguiti, conclu-si, senza lasciare priva di attenzione alcuna vicendacontroversa. L’efficacia dell’avvocatura si può misurare proprionella quantità di affari legali concretamente trattatirispetto a quelli complessivamente entrati. Sicché,un’avvocatura si può ritenere tanto più efficace quantopiù riesca a controllare gli affari legali presi in carico.Per ottenere questo risultato è necessario innanzituttoun ufficio adeguatamente organizzato, composto dapersonale qualificato e mezzi idonei, per poter mate-rialmente esaminare, valutare, schedare, conservaretutti gli atti, giudiziari e non, che entrano al protocollo. Gli affari, in base all’oggetto, possono essere assegnatiad un legale oppure al personale amministrativo o trat-tati come affari generali o archiviati, ciò che conta aifini dell’efficacia è che a ognuno sia data la correttadestinazione e possano essere conosciuti e monitoratial fine di avere il controllo di tutto il contenzioso.Fondamentale, per assicurare l’efficacia di un’organiz-zazione di persone e mezzi, è il coordinamento.Nell’avvocatura pubblica tale attività compete all’av-vocato preposto alla sua direzione il quale deve orga-nizzare la struttura ottimizzando le risorse umane estrumentali disponibili. A tal fine il coordinatore devevalutare l’importanza della questione e l’interesse del-l’ente, stabilire come deve essere trattata, se è necessa-ria l’attività difensiva o di solo studio o è sufficiente ilmonitoraggio, oppure se rientra tra le ipotesi di difesada parte dei funzionari (controversie tributarie o leopposizione alle ordinanze-ingiunzioni ed ai verbali diaccertamento di violazione al codice della strada) deveassegnare gli affari legali in base alle competenze eattitudini del personale e distribuire i compiti in modorazionale così da ottenere, con le professionalità e imezzi a disposizione, il miglior risultato possibile intermini di efficacia.Una buona organizzazione è garanzia di efficacia, mapoiché le avvocature pubbliche fanno parte della pub-

blica amministrazione soffrono degli stessi suoi mali espesso non sono adeguatamente organizzate rispettoalle competenze e al carico di lavoro che sopportano. Accade però che alle disfunzioni organizzative pongo-no rimedio gli avvocati e i dipendenti amministrativiche, proprio per la peculiarità dell’attività, scandita daitermini perentori, si fanno carico personalmente diadempimenti e di attività che esulano dalle loro compe-tenze pur di portare a compimento la pratica assegnata.Quasi sempre, quindi, l’efficacia dell’avvocatura, ossiail raggiungimento dei risultati attesi, anche quandomanca un’organizzazione adeguata, è comunque garan-tita dagli avvocati e dai funzionari.L’ultimo e più importante passaggio dell’analisi del-l’attività dell’avvocatura interna all’ente è quello rela-tivo all’efficienza che scaturisce dalla combinazionedell’efficacia e dell’economicità poiché indica il rap-porto tra risorse impiegate e risultato raggiunto.L’analisi mostra l’impegno economico dell’ente perl’effettiva trattazione al suo interno degli affari legali.Efficienza dell’avvocatura significa, quindi, adeguatez-za dei costi sostenuti alla quantità e qualità del conten-zioso concretamente trattato. Il risultato positivo o negativo emerge dal confrontocon i presumibili costi delle cause calcolati con le tarif-fe forensi, ossia il parametro ufficiale per la quantifica-zione del compenso degli avvocati del libero foro.Perché l’analisi sia rappresentativa della realtà occorreconsiderare non solo la quantità delle cause trattate maanche la qualità.Sicché l’avvocatura pubblica è efficiente quando riescea provvedere complessivamente alla difesa dell’ente acosti inferiori a quelli di mercato.In linea generale si dovrebbe poter dire che tanto piùl’ente è articolato per struttura e competenze, e quindiproduce un contenzioso ingente e diversificato, tantopiù l’avvocatura interna è potenziale strumento di effi-cienza dell’azione amministrativa, fermo restando chesia ben organizzata ed adeguatamente fornita di risorseumane e strumentali altrimenti la complessità e quanti-tà di affari trattati potrebbe essere al contrario causa diinefficienza.Certamente l’efficienza dell’azione è favorita dal rap-porto che l’avvocatura pubblica, essendo una strutturadell’ente, ha con le altre strutture amministrative.Gli avvocati interni, infatti, facendo parte dell’ammini-

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Cronache e attualità

strazione ne conoscono meccanismi e procedure, spes-so conoscono personalmente i colleghi funzionari, ilche snellisce le relazioni, semplifica i contatti e crea lecondizioni per poter ottenere in modo rapido e utile leinformazioni e i documenti necessari allo studio delcaso e alla predisposizione degli atti difensivi. D’altro canto anche i funzionari, nei rapporti con gliavvocati interni possono omettere alcune formalità,necessarie, invece, nei rapporti con l’esterno.La collaborazione che si può creare tra colleghi dellostesso ente, sebbene con ruoli diversi, ottimizza lerisorse ed al tempo stesso migliora il risultato inteso

come trattazione complessiva delle cause ma incideanche sulla crescita professionale del personale perchédetermina uno scambio di esperienze utile sia all’avvo-cato che al funzionario.Questo aspetto è molto importante perché la collabora-zione tra avvocatura interna e le altre strutture dell’en-te nella gestione del contenzioso migliora la professio-nalità del personale e la qualità del lavoro e, quindi,dimostra ancora le potenzialità dell’avvocatura pubbli-ca come strumento di garanzia del principio di legalitàe dei criteri di economicità, efficacia ed efficienza del-l’azione amministrativa.

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Cronache e attualità

1.Parto da alcuni dati confortanti, dai quali èpossibile trarre delle considerazioni utili ainquadrare e approfondire il senso e la portata

del ripristino (ma c’è chi ha parlato di una vera e pro-pria “resurrezione” o addirittura di un “blitz del gover-no”) della mediazione obbligatoria attuato dal c.d.decreto del fare (D.L. 21 giugno 2013, n. 69, converti-to con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98),dopo la battuta d’arresto impressa all’istituto dallaCorte costituzionale con la sentenza del 23 ottobre2012, n. 272. La quale – dichiarando l’illegittimitàcostituzionale del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 per esse-re andato oltre il perimetro fissato nell’art. 60 dellalegge delega del 18 giugno 2009, n. 69 – aveva sì can-cellato dall’ordinamento l’obbligatorietà del ricorsoalla mediazione assunta dal legislatore delegato qualeprofilo caratterizzante della disciplina in un numerusclausus di controversie civili, ma non aveva toccato ilmerito della scelta della mediazione e del suo ruolo,essendo l’obbligatorietà venuta meno solo perché nontrovava riscontro nei principi e criteri direttivi enuncia-ti dalla legge delega, ispirati alla volontarietà dell’ini-ziativa e all’intento di promuoverne la diffusionemediante la previsione di incentivi di carattere fiscale.Considerato che ora l’obbligatorietà non fa più perno suuna delega, parrebbe di poter escludere che la nuovamediazione obbligatoria sia in conflitto con le conclusio-ni del giudice delle leggi, anche se non sarebbe stato maleche la nuova disciplina, dopo il maquillage che ha subi-to, fosse stata condensata in un testo normativo sgancia-to dalla precedente delega e disancorato quindi dallamedesima collocazione topografica, così da apparire frut-to di una scelta autonoma e nuova del legislatore.

Il primo dato positivo è che, passata la tempesta, lamediazione riprende slancio e, a confermarlo, sono leCamere di commercio, secondo le quali nel solo mesedi ottobre gli organismi di mediazione camerali iscrittidi diritto al registro tenuto dal Ministero della Giustiziahanno registrato un vero e proprio boom di richiestecon il deposito di 1.537 procedure. Un aumentodell’84% rispetto alle 835 procedure depositate fino al21 settembre scorso, quando il ricorso preventivo allamediazione era rimasto solo facoltativo. Consideratoche il totale delle procedure iscritte nel periodo di nonobbligatorietà (tra il dicembre 2012 e il settembre2013) è stato pari a 5.635, le 1.537 depositate nel mesedi ottobre rappresentano il 27,3% di tutti i procedimen-ti depositati nei nove mesi di mediazione “solo” volon-taria. Insomma, dopo il crollo verificatosi a seguitodella sentenza della Corte costituzionale, che avevabocciato l’obbligatorietà della mediazione, il numerodelle richieste torna a crescere.Un secondo elemento positivo è che il TAR del Lazioha respinto il 10 dicembre scorso la richiesta di sospen-siva dell’obbligatorietà della nuova disciplina avanzatadall’Organismo Unitario dell’Avvocatura (OUA).Anche se non si è in presenza di una declaratoria dirigetto per manifesta infondatezza della questione dilegittimità costituzionale dell’obbligatorietà dellamediazione, che pure è stata risollevata dall’OUAdinanzi al TAR del Lazio negli stessi termini e con lestesse censure dedotte prima della decisione dellaConsulta dell’ottobre del 2012, il rigetto della richiestadi sospensiva e il rinvio al giudizio di merito della que-stione di costituzionalità fanno ben sperare.Dalla Corte di appello di Milano giunge poi la notizia

Convegno Roma – Camera dei Deputati Complesso di Vicolo Valdina Sala del Cenacolo16 gennaio 2014 – Relazione

La mediazione in Europa e in ItaliaEsperienze a confronto in uno studio del Parlamento EuropeoIl ruolo della mediazione nel sistema giudiziario italiano

Giorgio SantacrocePrimo Presidente della Corte di Cassazione

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del primo via libera alla mediazione c.d. endoproces-suale. Con ordinanza del 29 ottobre 2013, la Cortedistrettuale ha disposto il rinvio delle parti davanti a unorganismo per il tentativo di conciliazione. L’oggettodella lite riguarda un credito contestato nel suo ammon-tare derivante dall’assegno di mantenimento di divor-zio. Nel provvedimento si precisa che la materia fami-liare non preclude ex se l’accesso alla mediazionequando si controverte di situazioni patrimoniali e, quin-di, di diritti disponibili. È interessante notare come l’or-dinanza faccia riferimento a un contesto relazionale nelquale il giudice punta su un rapporto “destinato a pro-iettarsi nel tempo, in quanto i litiganti, non più coniugi[perché divorziati], sono tuttavia ancora genitori”: ilche spinge il giudice a orientarsi verso il perseguimen-to dell’interesse “preminente” dei figli minori, valoriz-zando le opportunità mediative offerte dal sistema.Ma le notizie buone non sono finite. Sono partiti final-mente i controlli sugli organismi di mediazione, sia acampione che su sollecitazione e, ancora, sia per l’ac-creditamento che sulla professionalità dei mediatori. IlMinistero della Giustizia ha stretto la vigilanza sugliorganismi di mediazione per garantirne la qualità, l’im-parzialità e l’economicità del servizio. E lo ha fatto nelsolco delle linee guida individuate con una direttiva del5 novembre scorso e precisate con una circolare del 27novembre successivo.Ora è noto a tutti che la previsione del tentativo dimediazione come condizione di procedibilità delladomanda giudiziale per la risoluzione di determinatigruppi di controversie ha provocato un’impennata delnumero degli organismi di mediazione (che sono arri-vati a 1.009) e degli enti di formazione per i mediatori(che alla fine di novembre erano 403). Una crescita cheera andata avanti senza controlli, trattandosi di struttu-re iscritte nei registri tenuti dal Ministero dellaGiustizia in base al possesso di determinati requisiti(adeguata capacità organizzativa e finanziaria, polizzaassicurativa di importo non inferiore a 500 mila euro,requisiti di onorabilità dei soci e degli amministratori,garanzie di indipendenza e riservatezza nello svolgi-mento della mediazione, possesso di una laurea trien-nale, ecc.). La giusta preoccupazione del Ministero èsempre stata che il procedimento di mediazione si svol-ga in modo da assicurare ai cittadini che debbano ointendano avvalersene “un elevato livello di prepara-

zione professionale”. L’attenzione degli ispettori è stata puntata, quindi, daun lato, sulla verifica dei requisiti certificati o autocer-tificati (tranne la polizza assicurativa, che va presenta-ta in copia), accertando l’effettiva corrispondenza delladocumentazione prodotta alla realtà e, dall’altro, si èsoffermata sui corsi e sui tirocini per l’aggiornamentobiennale, obbligatorio per la permanenza nell’elencoministeriale, tenuto conto che lo svolgimento dei corsie dei tirocini è stato piuttosto problematico nel periodoin cui la mediazione ha perso il carattere dell’obbliga-torietà.Ma non è tutto. Le indicazioni della direttiva ministe-riale investono anche la corretta applicazione dellenorme regolamentari in ordine alla designazione delmediatore, irrigidite ora dal D.M. n. 145 del 2011 cheha modificato il D.M. n. 180 del 2010, prevedendo chegli affari di mediazione siano assegnati con criteri“inderogabili” fissati dal regolamento dell’organismo e“rispettosi” della competenza professionale del media-tore, in base anche al suo titolo di studio.

2. Fin qui la cronaca di questi ultimi mesi. Ma le indi-cazioni che si traggono da queste notizie – nel segnala-re emblematicamente una ripartenza della mediazioneper i tratti di novità che la caratterizzano e per l’atte-nuarsi di quel clima di preconcetta ostilità che avevaaccolto il suo debutto nel marzo 2010 – consentono dientrare nel vivo di quella che è stata ribattezzata la fase2 dell’istituto, in vigore dal 21 settembre scorso (mac’è chi dice dal 20, non essendoci accordo sulla suadata di decorrenza) e di mettere in luce le potenzialitàeffettive dell’istituto. Un fenomeno, la mediazione, chetrae origine da quella law explosion che si è registrataall’improvviso in tutta Europa e che si è avvertita inmisura massiccia in Italia, nel momento in cui si è pas-sati da una giustizia d’élite a una giustizia di massa,caratterizzata dall’emergere e dal riconoscimento diuna pluralità di nuovi diritti (tutela delle minoranze,questioni di genere, ecc.), fonte di un numero illimita-to di controversie dalla durata incontrollabile, e si èstati costretti a prendere atto che l’impegno dei giudicistatali non poteva spingersi più in là di tanto, né si pote-vano aumentare le risorse per farvi fronte.È da questo momento che si è cominciato a parlare diADR (Alternative Dispute Resolutions). La CEPEJ le

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ha individuate come metodo generale di composizionedelle controversie, al pari della conciliazione e dell’ar-bitrato, “alternative” al processo di cognizione dinanzial giudice statale. Le ADR hanno trovato un esplicitoriconoscimento nelle istituzioni dell’Unione europea,per effetto della direttiva del Consiglio d’Europa del 21maggio 2008, relativa alla mediazione delle controver-sie transfrontaliere: la quale – precisa espressamente –può fornire una risoluzione extragiudiziale convenien-te e rapida delle controversie in materia civile e com-merciale. È da qui che si è fatta lentamente strada inItalia la mediazione finalizzata alla conciliazione dellecontroversie civili e commerciali, come canale privile-giato per chiudere le liti e strumento centrale per l’effi-cienza del sistema giudiziario civile, che è uno deglielementi in base ai quali si misura l’affidabilità di unPaese nel panorama internazionale.Essendo chiamata a svolgere questo ruolo propulsivo lamediazione ha il sapore – come qualcuno ha detto – diuna vera e propria rivoluzione di qualitá etica. Perchéessa, come metodo negoziale di composizione dellecontroversie, non va vista solo e prevalentemente comeuno strumento di commodus discessus dalla giustiziacivile statale, cioè come un innegabile mezzo deflatti-vo atto a decongestionare il carico di lavoro dei giudi-ci professionali, ma rappresenta anche uno strumentodi accesso alla giustizia, in quanto espressione tangibi-le di “quel movimento mondiale per rendere i dirittieffettivi”, che è stato alla base del grande progetto diAccess to justice di matrice nordamericana, promossoda Mauro Cappelletti alla fine degli anni settanta eripreso piú recentemente da Varano. La flessibilitàdello strumento, favorendo la composizione delle con-troversie in modo semplice, rapido e informale, svolgeuna funzione di rete di contenimento rispetto all’abusodel processo, ma opera anche di sponda per ampliarel’accesso a soluzioni del conflitto che dispongano diplurime vie d’uscita, non limitate all’arbitrato o all’in-nesco dei procedimenti giudiziari, consentendo allamediazione di dimensionarsi rispetto a contrasti che lalogica del processo potrebbe non riuscire a metterecompletamente a fuoco.La stessa Commissione europea non ha mancato di rile-vare come i programmi di Alternative DisputeResolutions siano nati “per creare una forma di pacifi-cazione sociale su base più consensuale e appropriata

di un ricorso al giudice”, spingendo le parti verso unasoluzione amichevole e bonaria. È quindi estremamen-te riduttivo confinare le forti potenzialità di svilupposociale della mediazione al mero sfoltimento dei pro-cessi civili, oppure fare i conti sul numero di liti chealleggeriranno i nostri tribunali, senza dare evidenzaalla portata avanguardista dell’istituto. Anche se forse è la meno valorizzata, la pacificazione èsicuramente la più importante funzione che la mediazio-ne è chiamata ad assolvere dal punto di vista antropolo-gico e culturale, perché essa guarda fondamentalmentein avanti e agisce sul rapporto complessivo tra le parti,puntando a far riscoprire, attraverso l’accordo tra esse,le virtù del consenso e della negoziazione paritaria. La mediazione, insomma, fa scoprire un modo diversodi porsi dinanzi alle dinamiche del conflitto che con-trappone le parti. Ancor prima di assumere rilievo giu-ridico, il contrasto tra le parti – si fa osservare – va ana-lizzato a livello psicologico, puntando sulle caratteristi-che comportamentali e le competenze psicologiche cheil mediatore deve possedere per una gestione ottimaledel contrasto stesso. L’opera del mediatore non puòessere, quindi, frutto di improvvisazione. Donde unavalorizzazione della sua neutralità, come ferma volon-tà di sviscerare tutti i più segreti risvolti del conflitto,senza emettere giudizi. Al mediatore si richiede di esse-re qualcosa di diverso dal giudice, il quale ha spessouna visione parziale della controversia che è chiamatoa dirimere perché vede solo la punta di un iceberg, lad-dove al mediatore è richiesto di cogliere tutto l’iceberg,di capire cioè tutti i veri bisogni, spesso non manifesti,delle persone coinvolte nella controversia. Per meglio addentrarsi nella deontologia del mediatore,è utile prendere le mosse dalle competenze che ilmediatore deve possedere per aiutare le parti a raggiun-gere un accordo.Quella del mediatore – si sa – è una figura professiona-le trasversale rispetto alle competenze sia giuridicheche tecniche. Il decreto legislativo del marzo 2010 haprevisto per chi riveste il ruolo del mediatore che que-sti non debba necessariamente essere un giurista, cosìcome in una lite di tipo tecnico non deve necessaria-mente essere un esperto della materia oggetto della lite,anche se le conoscenze giuridiche e tecniche possonoindubbiamente facilitargli il compito. L’attività delmediatore, insomma, può essere definita come un’atti-

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vità meta-giuridica, perché coinvolge competenze tipi-che di un “diplomatico” di carriera, dovendo spaziaredalla comunicazione alla psicologia, dal diritto all’eco-nomia e a molti altri ambiti di interesse. A parte le garanzie di indipendenza, imparzialità eriservatezza richieste agli organismi di mediazione perl’iscrizione nel registro, è risaputo che il procedimentodi mediazione può avere inizio soltanto dopo la sotto-scrizione della dichiarazione di imparzialità da partedel mediatore designato. A stabilirlo è l’art. 14 comma2 lett. a) del decreto legislativo n. 28 del 2010. Va da séche l’adempimento di quest’obbligo, che appare mera-mente formale, mira in realtà a responsabilizzare con-testualmente gli organismi di mediazione e la scelta deimediatori. Si richiede cioè una particolare cura agliorganismi nella scelta del mediatore (e non soltanto conriferimento al profilo dell’imparzialità), rifuggendo dasemplicistici meccanismi di turnazione automatica.Il mediatore deve saper condurre la mediazione inmodo non solo trasparente, ma anche scrupoloso ecoscienzioso e deve gestire la stessa, facendo rispettarealle parti obblighi di correttezza e di rispetto reciproco,in modo che il procedimento possa avere il più altogrado di probabilità di riuscita. Da qui l’obbligo dimigliorare le proprie capacità tecniche attraverso uncontinuo aggiornamento teorico e pratico, anche attra-verso un continuo confronto con i colleghi mediatori,possibilmente anche di altri Paesi.

3. Chiarito il ruolo della mediazione e del mediatore,giova far notare che le nuove disposizioni seguono invia generale le indicazioni contenute nel capitolo Vdedicato all’amministrazione della giustizia contenutonella Relazione Finale del Gruppo di Lavoro sulleriforme istituzionali istituito lo scorso 30 marzo dalPresidente della Repubblica. Ed è un segnale di strate-gia positivo che si sia puntato, sotto l’aspetto dellacura, più su misure organizzative che solo processuali,incidendo sia sulle controversie in entrata che su quel-le per così dire “storiche” perché risalenti nel tempo.Caratteristica della nuova mediazione è, in ogni caso, lasua versione sperimentale. Essa è infatti a tempo.L’obbligo di passare per il tentativo di accordo amiche-vole sarà in vigore per quattro anni. A stretto giro diboa, già al termine del secondo anno, il Ministero dellaGiustizia dovrà attivare un monitoraggio degli esiti

della sperimentazione e valutare il da farsi. Ma molte altre sono le novità introdotte. Mi limito aindicare le principali in rapida sintesi, non solo perinquadrare meglio l’esatta portata delle modificheintervenute, ma anche per far capire che certe modifi-che, pur in assenza di una cultura della mediazione,possono assicurare una certa effettività al sistema,responsabilizzando le parti sull’utilità della ricerca diuna soluzione consensuale nella risoluzione di unacerta tipologia di cause. La prima novità rilevante è la centralità del ruolo degliavvocati, cui viene riconosciuto lo status di mediatoridi diritto. Le parti dovranno usufruire dell’assistenzatecnica di un legale lungo tutto il corso della procedurae, in caso di accordo, si stabilisce che gli avvocati, sot-toscrivendo il verbale di accordo, possano attestare ecertificare la sua conformità a norme imperative e diordine pubblico. Così facendo, il verbale di concilia-zione costituisce titolo esecutivo per l’espropriazioneforzata, l’esecuzione per consegna e rilascio, l’esecu-zione degli obblighi di fare e di non fare, e per l’iscri-zione di ipoteca giudiziale. L’assistenza legale, bisognaaggiungere, scatta per la conciliazione obbligatoria equella disposta dall’Autorità giudiziaria, ma non per icasi di mediazione facoltativaAl Guardasigilli bisogna dare atto di aver insistito moltoopportunamente nella sua direttiva del novembre scorsosulle “priorità operative” da osservare in materia dimediazione, identificate essenzialmente nella centralitàdel ruolo dei mediatori e nella trasparenza di chi ammi-nistra la mediazione. Il riferimento accennato al posses-so di “un elevato livello di preparazione professionale”è pienamente condivisibile. Così come è opportuno chesi assicuri “l’effettiva imparzialità e terzietà degli orga-nismi di mediazione e dei loro mediatori rispetto alleparti coinvolte nel procedimento”, verificando la sussi-stenza di eventuali commistioni di interessi nella gestio-ne degli organismi di mediazione, che spesso non hannosedi proprie e, quindi, condividono a diverso titolo, glispazi di altre attività (da quelle professionali a quelleassociative). Non è un caso che agli avvocati sia statofatto divieto, con la modifica del codice deontologicoforense, di fissare la sede dell’ente presso lo studio lega-le (e viceversa), e che sia stata richiamata l’attenzionesul fenomeno delle convenzioni e degli accordi stipula-ti fra organismi, avvocati o consulenti, stabilendo nella

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circolare del 27 novembre che queste convenzioni“devono ritenersi non consentite”.Anche le tempistiche della procedura risultano cambia-te. Il primo incontro, che opera come una sorta di filtroa scopo esplorativo, è totalmente gratuito e deve avve-nire entro 30 giorni dalla ricezione della domanda daparte dell’organismo di mediazione. In questo incontrodi esordio (da molti ribattezzato come “incontro infor-mativo”) il mediatore è tenuto a chiarire alle parti lafunzione e le modalità di svolgimento della mediazio-ne e a invitare le stesse e i loro avvocati a esprimersisulla possibilità di iniziare e avviare la procedura dimediazione. Già dal primo incontro, pertanto, qualorafosse dichiarata l’indisponibilità delle parti a prosegui-re la mediazione, il tentativo sperimentato e fallito con-sentirà alle parti di adire il giudice, senza che esse sianotenute a versare alcun compenso all’organismo dimediazione.Peraltro, in assenza di giustificato motivo per la man-cata partecipazione al procedimento di mediazione, ilgiudice può desumere argomenti di prova al momentodella decisione nel successivo giudizio (art. 8 comma 4bis). Il giudice, inoltre, se la parte costituita, nei casi incui è previsto obbligatoriamente l’esperimento del pro-cedimento di mediazione (art. 5) non vi ha partecipatosenza giustificato motivo, è tenuto a condannarla alversamento di una somma corrispondente all’importodel contributo unificato che sarebbe dovuto per la pre-sentazione della medesima domanda in giudizio.Indipendentemente dalla fondatezza o meno delladomanda proposta in mediazione dal ricorrente, insom-ma, la mancata partecipazione all’incontro fissato peresperire il tentativo di mediazione si traduce automati-camente in una sanzione che verrà applicata dal giudi-ce nel successivo, eventuale giudizio di merito. Restada stabilire se il giudice debba formulare la condannagià dalla prima udienza o debba procedervi all’internodel provvedimento con cui definisce il procedimentodavanti a lui.L’idea di questo previo incontro di programmazione èapparsa a molti un po’ macchinosa e forse inutile per chiha già una cultura dell’istituto ed è apparsa, in ogni caso,defatigatoria, sia perché la verifica della mediabilitàdella controversia non necessita di un ulteriore subproce-dimento, sia per i tempi contenuti nei quali deve perve-nirsi al risultato della procedura, positivo o negativo che

sia. Se però si parte dalla constatazione che molte perso-ne non sanno che cosa sia la mediazione né a che cosaserva, l’incontro può rivelarsi senz’altro utile.L’intero procedimento non può andare poi oltre tremesi, a fronte dei quattro mesi precedenti (art. 6comma 1), che aveva suscitato polemiche fra quantiritenevano di essere costretti ad attendere un tempotroppo lungo dopo il deposito della domanda di media-zione per poter adire l’Autorità giudiziaria ordinaria.L’aver ridotto questo periodo di un solo mese però nonè che abbia risolto granché.L’art. 4 prevede inoltre un limite geografico all’opera-tività degli organismi di mediazione, visto che la rela-tiva domanda deve essere presentata depositandoun’istanza presso un ente del luogo del giudice territo-rialmente competente per la controversia (si noti cheuna norma analoga è stata inserita in materia di liti con-dominiali con la riforma del condominio in vigore dal18 giugno scorso). Si tratta di un’autentica novità. Perla prima volta trova accesso nella procedura di media-zione un criterio di competenza per territorio, attingen-do dalla previsione del codice di rito, nel senso che chipresenta la domanda di mediazione è tenuto a indivi-duare innanzitutto il luogo dove andare a ricercare l’or-ganismo di mediazione da adire. In questo modo ven-gono incentivate le adesioni e sono destinate a diminui-re le mancate adesioni motivate da una collocazioneterritoriale non di gradimento della parte chiamata inmediazione. Nello stesso art. 4 si prevede anche che, incaso di più domande relative alla stessa controversia, lamediazione si svolga davanti all’organismo territorial-mente competente presso il quale è stata presentata laprima domanda.Un’altra novità riguarda il catalogo delle controversieche debbono essere oggetto di mediazione, che si èallargato fino a comprendere l’estensione dell’obbliga-torietà anche al risarcimento dei danni derivanti dalleprofessioni sanitarie e non più soltanto mediche.Restano fuori, invece, le controversie relative al risar-cimento danni derivante dalla circolazione dei veicoli edei natanti, così come è stata esclusa la pregiudizialitàanche nell’ambito dei procedimenti sommari di accer-tamento tecnico preventivo. Una mancanza, quelladelle cause di risarcimento derivanti da incidenti stra-dali, che è stata rimarcata da tutti gli operatori del set-tore, i quali hanno evidenziato come in molti casi rela-

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tivi a istanze di questo tipo le compagnie assicuratricifossero propense a non presentarsi. È anche vero peròche queste controversie, spesso di modesto valore eco-nomico, sono quelle che sembrerebbero prestarsi, piùdi altre, a essere definite con soluzioni transattive oconciliative, per cui la loro esclusione lascia franca-mente perplessi. Nuovo e per più versi rafforzato è, invece, il ruolo delgiudice, al quale è stato attribuito il potere di effettuarenel corso del processo l’esperimento del previo tentati-vo di mediazione anche nelle cause per le quali essonon è previsto come obbligatorio, individuando cosìnuovi e più generalizzati spazi di composizione dellecontroversie. Modificando la locuzione “il giudice puòinvitare le parti” in “il giudice può disporre l’esperi-mento del tentativo di mediazione”, l’invito del giudi-ce diviene oggi un vero e proprio obbligo per le parti,senza alcuna possibilità per loro di declinare cortese-mente l’invito e di proseguire nel giudizio ordinario,come avveniva in passato. Si introduce così, attraversola mediazione delegata, una condizione di procedibilitàsopravvenuta per ordine del giudice che si affianca allealtre tre forme di mediazione previste dalla legge: iltentativo volontario, quello obbligatorio in tutte lematerie di cui all’art. 5 comma 1 bis, e quella delleclausole di mediazione statutarie o contrattuali fondatasul fair-play negoziale, che contengano un patto stipu-lato tra le parti per vincolarsi reciprocamente nella scel-ta di un percorso mediativo per l’eventuale ipotesi diuna controversia. La scelta del legislatore del 2013 di introdurre unaforma di mediazione endoprocessuale rimessa al pote-re discrezionale del giudice può diventare così un’ulte-riore spinta alla diffusione dell’istituto, facendo assu-mere al magistrato un ruolo rilevante e strategico nellagestione delle cause a lui assegnate. Il secondo commadell’art. 5 prevede espressamente che “Fermo restandoquanto previsto dal comma 1 bis e salvo quanto dispo-sto dai commi 3 e 4, il giudice, anche in sede di appel-lo, valutata la natura della causa, lo stato di istruzionee il comportamento delle parti, può disporre l’esperi-mento del tentativo del procedimento di mediazione”,aggiungendo che “in tal caso l’esperimento del proce-dimento di mediazione è condizione di procedibilitàdella domanda giudiziale anche in sede di appello”. Lanuova normativa, insomma, allarga gli orizzonti della

mediazione, collocando il giudice in una posizione disostanziale “facilitatore” di accordi conciliativi, conchiari intenti deflativi del contenzioso arretrato, consi-derato che i nuovi meccanismi sono immediatamenteapplicabili a tutti i processi civili pendenti. L’obbligatorietà della mediazione è destinata a correre,dunque, su due binari: il primo prevede l’obbligatorie-tà per legge, ristretta solo ad alcune materie e limitatanel tempo per una fase di sperimentazione; l’altro siaffida alla valutazione discrezionale del giudice e, perquesto, non è vincolato né nei contenuti né nei tempidella sperimentazione, ma viene inserito strutturalmen-te nei poteri istruttori del giudice.Inutile dire che, grazie alle novità introdotte, ci si augu-ra che il ripristino della mediazione/conciliazione nonsusciti più le critiche che hanno accompagnato la suaprevisione originaria, sminuendo il senso e la portatadell’istituto: che sono realisticamente quelli di prestar-si ad allargare la prospettiva del giudice e a preservarele future relazioni tra le parti, visto che la mediazionesi colloca a metà strada tra i metodi negoziali che noncoinvolgono terzi (come la transazione) e i metodi incui il terzo coinvolto ricalca, quanto a qualità soggetti-va e a tipo di attività, la figura di un giudice sui gene-ris (come avviene nell’arbitrato).

4. Due parole ancora, prima di concludere, sulla obbli-gatorietà e sui rischi paventati di una nuova pronunciadi illegittimità costituzionale da parte del giudice delleleggi.Non credo, francamente, che questi rischi ci siano. Ladirettiva comunitaria del 21 maggio 2008, relativa allamediazione delle controversie transfrontaliere, nonmanca di evidenziare l’inesistenza di ostacoli nel dirit-to comunitario “a una legislazione nazionale che pre-veda il ricorso alla mediazione obbligatoria oppuresoggetto a incentivi o sanzioni, purché tale legislazio-ne non impedisca alle parti di esercitare il loro dirittodi accesso al sistema giudiziario” (considerando n. 14e art. 5, comma 2). Ma nello stesso ordine di idee si col-loca anche una sentenza della Corte di Giustizia (quel-la del 18 marzo 2010, in cause riunite C-317/08, C-318/08 e C-320/08) dove, sia pure con riferimento aiservizi di comunicazioni elettroniche, si avverte espres-samente che “l’imposizione di una procedura extragiu-diziale non deve considerarsi… sproporzionata rispet-

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to agli obiettivi perseguiti allorché, da un lato, non esi-ste un’alternativa meno vincolante alla predisposizionedi una procedura obbligatoria, dato che l’introduzionedi una procedura di risoluzione extragiudiziale mera-mente facoltativa non costituisce uno strumento altret-tanto efficace per la realizzazione di detti obiettivi, edall’altro non sussiste una sproporzione manifesta tratali obiettivi e gli eventuali inconvenienti causati dalcarattere obbligatorio della procedura di conciliazioneextragiudiziale”.Quel che conta, insomma, è che non sia impedito alleparti di esercitare il loro diritto di accedere al sistemagiudiziario.Va da sé, comunque, che il successo della mediazione,

ad onta della sua natura obbligatoria, dipenderà essen-zialmente dall’atteggiamento delle parti verso l’istitutoe, più ancora dall’atteggiamento degli avvocati. A scan-so di apparire un po’ retorico, la strada da intraprende-re e da perpetuare non può seguitare ad essere quella diuna preconcetta ostilità verso un istituto che è utilizza-to e sta prendendo piede in tutto il mondo (due mesi fa,ricevendo una delegazione di alti magistrati delBangladesh, ho appreso che anche in quella nazionelontana ci si sta orientando verso la mediazione comemodo di risoluzione alternativo delle controversie civi-li) ma deve essere quella della reciproca rispettosa con-siderazione e della valutazione dei reali interessi di cia-scuna delle parti in conflitto.

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n° 1-2 Rassegna di dottrina e giurisprudenzaa cura dell’Ordine degli Avvocati di Roma

Direttore Responsabile: Mauro VAGLIO

Direttore Scientifico: Alessandro CASSIANICapo Redattore: Samantha LUPONIO

Comitato Scientifico:Paola BALDUCCI, Antonio BRIGUGLIO, Luigi CANCRINI,

Pierpaolo DELL’ANNO, Antonio FIORELLA, Giovanni Maria FLICKGiorgio LOMBARDI, Carlo MARTUCCELLI, Ugo PETRONIO

Eugenio PICOZZA, Giulio PROSPERETTI, Giorgio SPANGHERAlfonso STILE, Federico TEDESCHINI, Roberta TISCINI,

Giancarlo UMANI RONCHI, Romano VACCARELLA

Comitato di Redazione:Mauro VAGLIO, Pietro DI TOSTO, Antonino GALLETTI

Riccardo BOLOGNESI, Fabrizio BRUNI, Antonio CAIAFAAlessandro CASSIANI, Domenico CONDELLO, Antonio CONTE

Mauro MAZZONI, Aldo MINGHELLI, Roberto NICODEMIMatteo SANTINI, Mario SCIALLA, Isabella Maria STOPPANI

Coordinatori:Antonio ANDREOZZI, Andrea BARONE, Camilla BENEDUCE

Domenico BENINCASA, Marina BINDA, Ersi BOZEKHUFrancesco CASALE, Francesco CIANI, Benedetto CIMINO, Irma CONTI

Antonio CORDASCO, Alessandro CRASTA, Carmelita DE FINISAnnalisa DI GIOVANNI, Ruggero FRASCAROLI, Maria Vittoria FERRONI

Fabrizio GALLUZZO, Alessandro GENTILONI SILVERI, Mario LANAPaola LICCI, Andrea LONGO, Giuseppe MARAZZITA, Franco MARCONIAlessandra MARI, Gabriella MAZZEI, Arturo MEGLIO, Chiara PACIFICI

Ginevra PAOLETTI, Chiara PETRILLO, Tommaso PIETROCARLOAurelio RICHICHI, Sabrina RONDINELLI, Serafino RUSCICA

Marco Valerio SANTONOCITO, Massimiliano SILVETTI, Luciano TAMBURROFederico TELA, Antonio TESTA, Federica UMANI RONCHI, Clara VENETO

Segretario di redazione: Natale ESPOSITO

Progetto grafico: Alessandra GUGLIELMETTIDisegno di copertina: Rodrigo UGARTE

____________Temi Romana - Autorizzazione Tribunale di Roma n. 320 del 17 luglio 2001 - Direzione, Redazione: P.zza Cavour - Palazzo di Giustizia - 00193 Roma

Impaginazione e stampa: Infocarcere scrl - Via C. T. Masala, 42 - 00148 Roma

Passeggiata in libreria

“CODICE DELL’UDIENZA FALLIMENTARE”Antonio Caiafa DIKE GIURIDICA EDITRICE, ROMA

pp. 660, euro 25,00Nell’epoca della “nevrosi” del legislatore si pone all’interprete l’esigenza di avere, perciascuna materia di riferimento, un quadro legislativo chiaro e puntuale delle norme diapplicazione quotidiana. La collana degli Oscar Dike vuole offrire al giurista una serie benordinata di testi legislativi di facile e maneggevole consultazione, arricchita, per le normepiù importanti, dai testi storici delle disposizioni. Per conseguire l’auspicato fine, gli OscarDike sono curati da Maestri indiscussi del diritto italiano e presentano la comodissimaveste del codice tascabile.

“PROCESSO AMMINISTRATIVO E TUTELA CAUTELARE”Maria Vittoria Lumetti CEDAM, ASSAGO

pp. 736, euro 60,00Si tratta della prima opera, dopo l’entrata in vigore del codice processuale

amministrativo, che affronta in maniera sistematica e globale tutta la problematica delprocesso cautelare amministrativo in ogni fase e grado del giudizio, compresi il

processo di ottemperanza, la revocazione, l’accesso, il silenzio, il ricorso straordinarioal Presidente della Repubblica, il giudizio risarcitorio, la sospensione della sentenza

pendente ricorso in Cassazione e in Adunanza plenaria, la rimessione alla Corte digiustizia e alla Corte costituzionale. Il libro, alimentato dalla passione che il processoamministrativo è ancora in grado di suscitare ed arricchito dall’esperienza quotidiananelle aule giudiziarie, si propone di offrire una visuale completa della tutela cautelare

nel processo amministrativo, anche in raffronto con altri processi e alla luce delleinnovazioni recate dal codice e dal diritto comunitario.

“ABUSO SESSUALE SUI MINORI.SCENARI, DINAMICHE, TESTIMONIANZE”Giuliana Olzai ANTIGONE, TORINO

pp. 375, euro 28,00L’orrore degli orrori, quello che nessuno ha voglia di scoprire. L’abuso sessuale suibambini e le bambine è forse l’ultimo tabù rimasto, quello su cui gravano ancora unaforte condanna da parte dell’opinione pubblica e una pesante sanzione di mass media erappresentanti politici. Su questo reato odioso cerca di far luce il volume di GiulianaOlzai, laureata in Statistica e specializzata in Metodi e tecniche per la ricerca sociale,che ha analizzato i 288 procedimenti giudiziari del Tribunale penale di Roma nelquadriennio 2000-2003 riguardanti proprio gli abusi sui minori di 14 anni.Con un lavoro accurato, l’autrice ha seguito i percorsi processuali delle denunce, haripercorso l’iter giudiziario compiuto dalle vittime che denunciano una violenza,perpetrata quasi sempre da persone che conoscono bene, con le quali hanno spesso unlegame affettivo. Un’analisi che cerca di aiutare il lettore a comprendere come questostretto legame fra vittima e carnefice abbia un effetto diretto sull’invasività e la gravitàdegli abusi, sulla ripetizione delle violenze così come sul tempo che trascorre primache il bambino o la bambina abbia il coraggio di denunciare.

“MANUALE PRATICO DEI MARCHI E BREVETTI” (CON CD ROM)Andrea Sirotti Gaudenzi MAGGIOLI EDITORE, SANTARCANGELO DI ROMAGNA

pp. 666, euro 74,00L’opera, aggiornata al D.L. 1/2012 convertito con modifiche in L. 27/2012 che modifica il codice dellaproprietà industriale (D.Lgs. 30/2005) e alla recente giurisprudenza, caratterizzata da un’impostazione

sistematica degli argomenti, ripercorre con taglio agile tutti i principali temi legati alla proprietàindustriale, offrendo all’operatore tutti i necessari strumenti pratici. Il testo è suddiviso in sette parti

con i rispettivi capitoli e paragrafi che analizzano in modo completo ed esaustivo le materie di“marchi, segni distintivi e brevetti per invenzioni e modelli”.

In libreria

Page 84: 1-2 2014 n1-2 GENNAIO – GIUGNO 2014 ANNO LXII romana-1-2-2014.pdf · Matteo SANTINI, Mario SCIALLA, Isabella Maria STOPPANI Coordinatori: ... Su questo reato odioso cerca di far

n° 1-2 Rassegna di dottrina e giurisprudenzaa cura dell’Ordine degli Avvocati di Roma

ANNO LXIIGENNAIO – GIUGNO 2014

Tem

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