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La meccanizzazione va in cattedra: le organizzazioni come macchine

L’utilizzo delle macchine ha trasformato radicalmente le attività produttive e ha condizionato l’immaginazione, i pensieri e i sentimenti degli uomini, basti pensare a come molti scienziati danno rappresentazioni meccanistiche della natura o gli psicologi e i filosofi riproducono teorie meccanistiche per spiegare i comportamenti umani.La vita organizzativa spesso si esplica mediante comportamenti di routine (routine organizzativa) al punto da raggiungere la precisione di un orologio; la vita dell’individuo stesso si svolge attraverso comportamenti di routine (alzarsi al mattino e andare a lavoro, dormire nelle ore giuste e risvegliarsi al mattino); molti lavori sono di natura meccanica e ripetitiva, non solo quelli di fabbrica, ma anche quelli di ufficio, dove i dipendenti eseguono i compiti in modo abitudinario e ripetitivo come se fossero componenti di macchine: tali organizzazioni sono state concepite per essere delle macchine e i lavoratori al loro interno devono comportarsi come se fossero delle componenti (ad’esempio nei fast food).Le organizzazioni progettate e gestite come se fossero macchina sono denominate burocrazie e la maggior parte delle organizzazioni sono più o meno burocratizzate. Ci riferiamo alle organizzazioni come se si trattasse di macchine e ci aspettiamo che come tali funzionino (in modo routinizzato, efficiente, affidabile e prevedibile), ma non sempre l’approccio meccanistico ha conseguenze positive, è necessario quindi capire quando e perché utilizzarlo.

Come nasce l’organizzazione meccanistica?Le organizzazioni sono strumenti creati per perseguire obiettivi e non si sviluppano come fini in se (dal greco organon, ovvero organo, strumento. Organi e strumenti sono impiegati per raggiungere degli obiettivi, quindi si può affermare che strettamente connessi all’analisi organizzativa siano i concetti di fine, funzione, compito e obiettivo); la nascita dell’organizzazione non è recente ma ha radici nel passato, basti pensare alle organizzazioni utilizzate per costruire le piramidi e alle organizzazioni militari. Federico il Grande di Prussia diede vita a un’organizzazione militare meccanizzata: egli era affascinato dal funzionamento dei giocattoli automatici e in particolare degli uomini meccanici, fu così che trasformò il suo esercito (costituito perlopiù da criminali, mecenari stranieri e poveri) attraverso una serie di riforme ispirandosi al modello delle legioni romane e a quello degli eserciti riformati del sedicesimo secolo; per prima cosa vennero introdotte le uniformi e i gradi, la specializzazione dei compiti, l’addestramento sistematico, il linguaggio apposito per il comando e la standardizzazione dell’equipaggiamento. L’esercito divenne una struttura meccanizzate, le cui componenti (ovvero i militari) vennero trasformate in automi, attraverso procedure di addestramento in grado di trasformare il materiale grezzo in componenti. In secondo luogo rivoluzionò la struttura dell’organizzazione militare attraverso la suddivisione dei compiti (separazione tra funzioni di comando e funzioni consultive affidate a consiglieri) e la decentralizzazione in modo da affidare la gestione dei diversi conflitti bellici a determinati funzionari. Con la rivoluzione industriale e il proliferare delle macchine le organizzazioni hanno acquisito natura meccanistica e paripasso al

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progresso industriale si può notare una sempre più forte tendenza alla burocratizzazione e routinizzazione della vita nel suo complesso. All’interno delle fabbriche si verificarono cambiamenti radicali dovuti al progresso industriale, molte di esse si riorganizzarono per poter sfruttare in modo efficiente le macchine, si assistette alla subordinazione del lavoro manuale al lavoro automatizzato (il lavoro manuale veniva utilizzato per il controllo delle macchine). Molte idee e metodi di Federico il Grande risultarono utili per risolvere i problemi inerenti all’incremento delle fabbriche dovuto al progresso industriale, gli imprenditori dovettero ricercare forme organizzative adatte alle nuove tecnologie. Adam Smith elogiò la divisione del lavoro manuale nel libro “La ricchezza delle nazioni”, nel 1801 Eli Withney diede una pubblica dimostrazione della produzione di massa mentre Charles Babbage (inventore di uno dei primi calcolatori) pubblicò un trattato in cui sosteneva l’importanza dell’utilizzo di un metodo scientifico per la risoluzione dei problemi organizzativi e gestionali. Tutte queste idee entrarono solo nel ventesimo secolo a fare parte della teoria dell’organizzazione aziendale, insieme ai contributi di alcuni dirigenti aziendali del nord America che gettarono le basi della teoria dell’organizzazione classico o scientific management. Il sociologo Max Weber ha sottolineato la correlazione tra meccanizzazione dell’industria e proliferazione delle forme burocratiche: la burocrazia routinizza i processi amministrativi come le macchine routinizzano la produzione. Egli diede una prima definizione di burocrazia intesa come “forma organizzativa caratterizzata da rapidità, precisione, chiarezza, regolarità, affidabilità ed’efficienza”. Weber in quanto sociologo era interessato alle conseguenze sociali di tale proliferazione e concepì il pericolo che la burocratizzazione portasse a una meccanizzazione di ogni aspetto della vita umana facendo sparire ogni forma di agire spontaneo.I maggiori esponenti della teoria classica furono:

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Tutti e tre in quanto organizzatori di successo e concordi sul fatto che la gestione fosse un processo di pianificazione, organizzazione, comando coordinamento e controllo, cercarono di codificare la propria esperienza in modo che anche altri potessero approfittarne; le loro teorie sono oggi alla base della direzione per obiettivi e del planning, programmino budgeting system.Se si applica questa teoria, si ottiene un’organizzazione caratterizzata da mansioni definite con precisione (possiamo renderci così conto di come questi teorici progettavano le organizzazioni come se fossero macchine: un ingegnere deve progettare tutte le singoli componenti delle macchine, in modo da evitare il malfunzionamento di una che potrebbe comportare il malfunzionamento delle altre).L’organizzazione viene concepita come un insieme di reparti (le diverse aree funzionali) che sono a loro volta suddivise in una serie di mansioni definite nel dettaglio; le responsabilità delle diverse mansioni si intrecciano tra loro in modo da completarsi reciprocamente e in maniera tendenzialmente perfetta e sono subordinate al controllo di un capo. La teoria classica presta particolare

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attenzione alla gerarchia, uno strumento caratterizzato dalla capacità di dare ordini e di ottenere obbedienza. La divisione gerarchica deve riuscire a perseguire un obiettivo: i comandi emanati al vertice devono diffondersi rapidamente all’interno dell’organizzazione in modo da ottenere l’effetto desiderato.Le organizzazioni dovrebbero essere sistemi razionali che funzionano nella maniera più efficiente possibile; il problema è che i teorici classici hanno prestato poca attenzione agli aspetti umani: all’interno di un’organizzazione meccanistica operano individui che non sono ingranaggi (gli autori riconoscono l’importanza degli atteggiamenti personalistici, dell’iniziativa degli indipendenti, ma studiano l’organizzazione solo dal punto di vista tecnico tendendo ad’adattare le persone ai requisiti dell’organizzazione).Per questo motivo la teoria classica è stata spesso molto utilizzata, anche se oggi è ancora alla base del modo di pensare dei dirigenti aziendali: negli anni novanta in Nord America e Europa si è diffuso il reenginering con il quale si riconosce che l’organizzazione burocratica è superata e priva di utilità pratica e si propone un progetto meccanistico basato non sulla burocratizzazione ma sui processi aziendali fondamentali (ipotesi: se il progetto di ingenierizzazione è corretto il fattore umano è destinato a trovare il suo equilibrio). Anche il reenginering ha avuto gli stessi insuccessi delle teorie classiche.

Organizzazione scientifica del lavoro.

Altri principi fondamentali della teoria classica vennero enunciati da Federico Taylor, esponente della scuola dello scientific management, ingegnere americano dalla personalità esuberante e un po’ squilibrata che si guadagnò la fama di “nemico numero uno del lavoratore” (nel 1911 venne convocato davanti a una commissione del Parlamento americano per difendere il suo sistema dell’organizzazione). Anche se criticato, i suoi principi sono restati alla base dell’organizzazione aziendale della prima metà del XX secolo:

1. affidare la responsabilità organizzativa del lavoro ai dirigenti lasciando agli operai la sola realizzazione pratica (frase tipica di Taylor: “voi non dovete pensare, in azienda ci sono altre persone pagate per farlo”).

2. usare metodi scientifica per individuare il modo più efficiente di svolgere una mansione, che deve essere progettata di conseguenza specificando come il lavoro deve essere fatto.

3. selezionare le persone più adatte a svolgere quella mansione.4. addestrare l’operaio a svolgere il lavoro in modo efficiente.5. tenere sotto controllo la produttività dell’operaio per verificare se le

procedure lavorative sono rispettate.Taylor promosse lo studio tempi e metodi, per analizzare le mansioni: anche la più semplice operazione veniva analizzata nel dettaglio per trovare la modalità realizzativa più efficiente (anche mansioni insignificanti come lo stirare vennero osservate). Oggi l’approccio tayloristico lo possiamo ritrovare nelle catene di fast – food, dove tutte le mansioni sono articolate in una serie di fasi predefinite che devono essere svolte secondo una sequenza predeterminata dai dirigenti e all’operaio viene affidato solo il compito esecutivo.

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I metodi tayloristici hanno permesso di moltiplicare le produzioni, ma hanno implicato ingenti costi umani, trasformando gli individui in automi privi di ogni iniziativa; questa tendenza viene oggi definita come McDonaldizzazione (in quanto le modalità di lavoro all’interno della catena di fast – food si basano sull’importanza della quantità, sulla prevedibilità, sul controllo e su mansioni dequalificate).I problemi umani sono emersi immediatamente dopo le prime applicazioni del modello; quando Henry Ford impiantò la prima catena di montaggio per produrre il modello Ford T, il turnover dei dipendenti incremento del 380%. I dipendenti dovettero adattarsi alla nuova tecnologia che aveva sostituito il lavoro manuale e si ritrovarono a svolgere le stesse meccaniche e noiose mansioni (ritrovandosi magari a svolgere le stesse 6/7 mansioni ogni 40/50 secondi). La General Motors adottando questo tipo di approccio riuscì negli anni ‘60 a passare da una produzione di 60 auto al giorno a una produzione di 100: alcuni lavoratori avevano solo 36 secondi per svolgere otto mansioni (spostarsi, manipolare, sollevare ecc).I principi tayloristici vennero applicati alla realtà aziendale, ma si diffusero anche rapidamente in tutta la società; oggi possiamo trovare reminescenze di tali principi in alcuni comportamenti umani (basti pensare all’atleta che si prepara per una gara e che si impone uno scema di allenamento dettagliato in base al periodo che ha a disposizione per prepararsi).

Potenzialità e limiti della metafora della macchina.

Concetti della metafora della macchina:Stabilisci scopi e obiettivi e poi perseguili.Organizza razionalmente, efficientemente e con chiarezza.Specifica in ogni dettaglio in modo che tutti sappiano con chiarezza quali mansioni devono espletare.Pianifica, organizza e controlla, controlla, controlla.

Le metafore offrono solo una visuale parziale della realtà, facendola vedere da una sola angolazione e sottovalutando gli altri punti di vista; è possibile riassumere le potenzialità e i limiti dell’organizzazione meccanistica.Gli approcci meccanistici sono utili quando si verificano le seguenti condizioni:

1. presenza di un compito molto chiaro.2. ambiente sufficientemente stabile da garantire risultati dei prodotti

appropriati.3. si vuole produrre esattamente lo stesso prodotto più volte.4. quando la precisione gioca un ruolo fondamentale.5. quando le componenti umane rispettano i compiti loro assegnati.

Un esempio di successo dell’approccio meccanistico lo riscontriamo nella catena McDonald: le mansioni sono realizzate seguendo schemi specifici, viene offerto un servizio preciso e standardizzato (addirittura McDonald ha una struttura didattica per insegnare la “scienza degli hamburger” ai dirigenti i quali a loro volta la trasmetteranno agli altri dipendenti e un manuale contenente le modalità di espletamento di ogni singola mansione). Non manca comunque l’innovazione e il dinamismo, localizzati nei dirigenti aziendali i quali elaborano la

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strategia aziendale e le modalità organizzative, affidando ai dipendenti solo lo svolgimento delle mansioni (decentralizzazione, separazione tra il potere di controllo e quello esecutivo, subordinato comunque al primo).L’approccio meccanistico presenta comunque dei limiti:

1. sviluppo di strutture organizzative rigide e poco adattabili ai mutamenti ambientali.

2. dare vita a una burocrazia priva di senso della realtà.3. dare luogo a effetti imprevisti e indesiderati qualora gli interessi di coloro

che operano nell’organizzazione abbiano il sopravvento.4. effetti disumanizzanti sui dipendenti, specialmente su quelli ai livelli più

bassi.Tali organizzazione sono strutturate per perseguire obiettivi predeterminati, senza tenere conto della dinamicità dell’ambiente esterno; basti pensare a un macchinario utilizzato per trasformare input in output: se si volesse cambiare l’output si dovrebbe modificare e riprogettare il macchinario. Lo stesso paragone vale per la struttura, ovvero una struttura eccessivamente rigida può reagire ai cambiamenti ambientali solo modificandosi radicalmente, il ché richiede tempi abbastanza lunghi.In un ambiente dinamico la flessibilità è fondamentale, è importante fare la cosa giusta in un tempo ragionevole e non fare la cosa giusta in un tempo eccessivamente lungo o fare bene una cosa sbagliata.La meccanizzazione e specializzazione delle mansioni, nonché delle aree funzionali è fonte di rigidità per l’azienda, accompagnata da un inadeguato coordinamento delle diverse aree. Spesso i problemi non vengono risolti in modo unitario, ma vengono frammentati tra le diverse funzioni, cosicché ognuna li risolve nel modo più efficiente per se stessa, a discapito magari delle altre. Inoltre anche l’educazione imposta ai dipendenti (fare solo il proprio lavoro) porta a un’incapacità di affrontare i cambiamenti ambientali e a una difficoltà di adattamento (frasi tipiche di un dipendente addestrato ad’essere un automa: “non è compito mio”, “è una responsabilità sua e non mia”, “io faccio solo quello che mi viene detto di fare”).Lo spirito di iniziativa del lavoratore viene annullato, egli deve solo realizzare le mansioni a lui attribuite, svolgendo mansioni di routine (i costi umani sono elevati), le capacità umane vengono limitate piuttosto che incoraggiate. L’individuo viene adattato all’organizzazione piuttosto che adattare l’organizzazione alle capacità dell’individuo.Iniziano a svilupparsi così altri modelli organizzativi per ovviare ai problemi derivanti dall’organizzazione meccanistica (anni ’80 e ’90 nascono i total quality management).

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Le organizzazioni come organismi.

Le difficoltà emerse dall’approccio meccani stico hanno spinto i teorici dell’organizzazione ad’allontanarsi dalle concezioni meccanistiche e ad’avvicinarsi a quelle biologiche per spiegare il fenomeno organizzativo.Questo approccio vede le organizzazioni come sistemi viventi collocati in un ambiente dal quale dipendono per una serie di bisogni; sono individui a volte diversi tra loro, collocati in ambienti a loro volta diversi per via di esigenze diverse (come gli orsi polari stanno al Polo, i cammelli nel deserto ecc).La disciplina dell’organizzazione si configura come una disciplina biologica, nel senso che a ogni elemento dell’organismo umano corrisponde un elemento dell’organizzazione:

1. molecole/individui.2. cellule/gruppi.3. organismi/organizzazione.4. specie/popolazioni.5. ambiente/ecologia sociale.

La metafora organicista quindi:1. concepisce le organizzazioni come sistemi aperti e mira a capire i processi

attraverso i quali le organizzazioni si adattano all’ambiente.2. concepisce le organizzazioni in termini di cicli vitali.3. evidenzia i fattori rilevanti per il benessere e lo sviluppo delle

organizzazioni.4. individua i diversi tipi di organizzazioni e le relazioni tra esse esistenti,

nonché le relazioni tra i diversi ambienti.

Scoperta dei bisogni organizzativi.La teoria dell’organizzazione come organismo parte dal presupposto che gli individui avvertono bisogni complessi e che coloro che hanno una vita soddisfacente sono in grado di operare in modo più efficiente. Questa concezione oggi potrebbe sembrare ovvia ma nel XIX e XX secolo non lo era, all’epoca il lavoro era considerato come una necessità primaria e gli esponenti dell’approccio organizzativo classico erano fermamente convinti che la produttività dell’operaio venisse stimolata con il giusto salario.Tra il 1920 e il 1930 è stato condotto uno studio sotto la guida di Helton Mayo allo stabilimento di Hawthorne della Western Electric di Chicago per comprendere l’incisione della fatica sulla noia dei dipendenti; con il progredire la ricerca venne ampliata al di la della prospettiva tayloristica interessandosi alle preoccupazioni dei dipendenti e all’incidenza su di essi delle variabili sociali esterne all’ambiente di lavoro, giungendo ala conclusione che può esistere un organizzazione informale all’interno della quale sono presenti gruppi di dipendenti in grado di soddisfare questi bisogni (riducendo la produzione) mettendo in atto azioni non pianificate.Questi studi hanno condotto a importanti conclusioni: gli individui e i gruppi danno il meglio di loro stessi solo quando i loro bisogni sono soddisfatti, ne consegue che gli studiosi delle organizzazione devono dare massima importanza alla componente umana (a differenza della teoria classica).

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Grande contributo è stato dato dalle teorie motivazionali, in particolare modo quella di Maslow, che rappresenta l’individuo come un organismo psicologico che lotta per soddisfare i suoi bisogni. Questa teoria ha messo in evidenza come la burocratizzazione tenda ad’annullare l’individuo (specialmente ai livelli più bassi dell’organizzazione), limitandone lo sviluppo e motivando i dipendenti solo attraverso un meccanismo monetario e garantendo loro un posto sicuro.Iniziò ad’affermarsi il concetto che si dovessero integrare i bisogni degli individui con quelli dell’organizzazione; psicologi del’organizzazione quali Chris Argyris, Frederik Harzberg e Douglas McGregor hanno dimostrato che è possibile modificare la struttura burocratica dando vita a mansioni arricchite per far sentire più importante il dipendente, affidandogli maggiori responsabilità, mansioni più significative, riconoscendogli l’importanza del lavoro da lui svolto (e per coinvolgerli maggiormente nel lavoro).Nasce l’approccio della gestione delle risorse umane.Maslow propone una serie di strumenti atti a motivare i dipendenti soddisfacendo i diversi livelli di bisogni, in questo modo aumenta il coinvolgimento del dipendente senza doverne aumentare la retribuzione.Si riconosce la necessità di integrare gli aspetti tecnici dell’organizzazione con quelli umani, le organizzazioni vengono concepite come sistemi socio – tecnici.

Importanza dell’ambiente: le organizzazioni come sistemi aperti.Le organizzazioni, così come gli individui, dipendono per una serie di risorse dall’ambiente in cui sono inserite; l’approccio sistemico aperto si basa sul presupposto che le organizzazioni sono sistemi aperti nei confronti dell’ambiente in cui operano e che devono stabilire con esso un rapporto tale da poter sopravvivere.La teoria generale dei sistemi si prende l’organismo vivente per rappresentare un sistema complesso aperto e può essere estesa a tutte le realtà; l’approccio sistemico ha analizzato una serie di problematiche chiave:

1. importanza dell’ambiente esterno: la teoria dell’organizzazione classica teneva limitatamente conto dell’ambiente esterno, l’organizzazione veniva vista come un sistema chiuso e ci si preoccupava prettamente dei problemi di progettazione interorganizzativa; l’approccio sistemico ha evidenziato che le attività di progettazione organizzativa devono tenere conto dell’ambiente esterno. Si è prestata attenzione al task o business environment, ovvero l’ambiente in cui opera l’impresa, definito dalle interazioni dirette dell’organizzazione (clienti, fornitori, concorrenti). le organizzazioni devono essere capaci a captare i cambiamenti esterni e tenere conto di questi cambiamenti nell’elaborazione delle loro strategie.

2. l’organizzazione è costituita da sottosistemi: come l’organismo vivente è costituito da organi, cellule e molecole (che a loro volta sono sistemi a se che interagiscono tra di loro per il corretto funzionamento dell’organismo), anche le organizzazioni al loro interno si articolano in divisioni, che a loro volta si articolano in gruppi di individui e singoli individui (molecole). Tutti questi sottosistemi devono relazionarsi, quindi sono interdipendenti, e nei loro rapporti devono tenere conto dell’ambiente esterno.

3. tra i sottosistemi esiste una congruenza, un allineamento.

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Tutte queste prospettive emerse hanno portato i teorici dell’organizzazione ad allontanarsi dalla concezione classica (allontanarsi dalla burocratizzazione) e a concepire organizzazioni in grado di rispondere alle domande dell’ambiente.

Approccio situazionale: adattamento dell’organizzazione all’ambiente.Concezioni di base:

1. le organizzazioni sono sistemi aperti che devono essere gestiti in modo da soddisfare i bisogni interni e da adeguarsi ai cambiamenti esterni.

2. non c’è un modello organizzativo valido in ogni situazione; il modello varia in funzione dell’obiettivo e dell’ambiente.

3. il management si deve preoccupare di creare allineamenti e integrazione.4. può essere necessario utilizzare stili di direzione diversi per realizzare

compiti diversi all’interno dell’organizzazione.5. sono adatte specie organizzative diverse a seconda dei diversi tipi di

ambiente con cui l’organizzazione interagisce.Negli anni cinquanta Tom Burns e G.M Stalker hanno realizzato una ricerca che ha contribuito all’affermarsi di questo approccio.La ricerca era basata sull’osservazione di aziende appartenenti a settori diversi (fibra artificiale, progettazione e elettronica): quando un’azienda opera in un settore in cui i cambiamenti aziendali sono all’ordine del giorno, è necessario uno stile organizzativo aperto e flessibile, al contrario, quando un’azienda opera in un settore in cui il fattore ambiente è stabile, può essere utilizzato uno stile organizzativo chiuso e rigido.L’azienda produttrice di rayon (fibra artificiale) operava in un ambiente relativamente stabile, utilizzando una tecnologia routinizzata, l’organizzazione quindi era fortemente meccanizzata: gli operai sapevano esattamente quali mansioni svolgere e in che modo svolgerle. La produttività di quest’azienda era elevata e per far fronte a scostamenti tra domanda e offerta veniva richiesto l’intervento dell’ufficio vendite (promozioni per espandere la domanda o strategie per contenerla in modo da non dover modificare il piano di produzione).L’azienda produttrice di cambi meccanici operava invece in un settore caratterizzato da instabilità ambientale; in questo caso l’approccio meccani stico doveva essere abbandonato per lasciare spazio a un approccio più organico e flessibile, per poter adattare stili di comunicazione e organizzazione del lavoro alle diverse situazioni ambientali. La struttura gerarchica formale definiva la divisione delle mansioni e i rapporti tra le diverse mansioni, ma venivano effettuate riunioni per scambiare informazioni e analizzare i problemi in modo da pianificare al meglio la strategia aziendale più adatta.L’azienda operante nel settore dell’elettronica ha a che fare con un ambiente ancora più instabile; essa deve sempre restare al passo con la tecnologia e l’organizzazione deve essere ancora più flessibile e organica. Quando nacque la prima azienda elettronica alla fine della seconda guerra mondiale, non esisteva ancora un mercato commerciale per tali prodotti; l’azienda dovette sia creare il prodotto sia il mercato e con il tempo perfezionarsi e modificare le tecnologie per realizzare prodotti sempre più adatti alle esigenze degli individui.Atri due autori hanno contribuito allo sviluppo dell’approccio situazionale: Lawrence e Lorsch; la loro ricerca si basa su due presupposti:

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1. per affrontare condizioni tecnologiche di mercato diverse sono necessarie organizzazioni diverse.

2. organizzazioni che operano in ambienti turbolenti hanno bisogno di un livello di differenziazione interna superiore rispetto a imprese che operano in ambienti più stabili.

Sono state analizzate organizzazioni caratterizzate da diversi gradi di successo e operanti in settori diversi caratterizzati da diversi tassi di crescita e sviluppo tecnologico (alti, medi, bassi):

1. ambiente turbolenti: settore della plastica.2. ambiente stabile: settore dei container.3. ambiente misto: settore alimentare.

I risultati della ricerca dimostrarono che tutte e tre le aziende vincenti nel settore avevano diversi livelli di integrazione e differenziazione (maggiore nei settori turbolenti e minore in quelli stabili), è stato dimostrato inoltre che può essere necessario adottare stili organizzativi diversi alle diverse sottounità dell’organizzazione (ad’esempio l’unità di produzione è caratterizzata da obiettivi ben definiti e prospettive di breve termine, ne consegue che a essa può essere applicata una modalità organizzativa più formale e burocratica, mentre all’unità di R&S hanno obiettivi meno chiari e prospettive di medio lungo periodo, di conseguenza a essa deve essere applicata una modalità organizzativa di più flessibile).

Approccio situazionale: promuovere la salute dell’organizzazione.Come può un’organizzazione conseguire una rispondenza al suo ambiente?Come può adeguarsi ai cambiamenti aziendali?Come può assicurarsi che le relazioni interne siano equilibrate e appropriate?Cosa comporta tutto questo dal punto di vista operativo?

Per rispondere a queste domande è necessario prima comprendere altri fattori interni e esterni all’impresa:

1. di quale natura è l’ambiente dell’organizzazione? (stabile o turbolento, quali sono i cambiamenti che si verificano nel settore economico, tecnologico, del mercato e a livello socio politico ecc).

2. qual è la strategia impiegata? (l’impresa non adotta strategia e si limita solo a reagire a eventuali cambiamenti quando questi si manifestano, l’impresa analizza l’ambiente per cogliere opportunità e evitare minacce, l’impresa adotta un comportamento innovativo e attivo per cercare nuove opportunità).

3. che tipo di tecnologia viene impiegata? (l’impresa ha una tecnologia standardizzata o flessibile, quali sono le alternative tecnologiche alla tecnologia impiegata, è possibile sostituire sistemi rigidi con sistemi più flessibili).

4. quali sono le caratteristiche dei dipendenti e qual è la cultura dominante nell’organizzazione? (qual è l’atteggiamento dei lavoratori, i lavoratori stanno all’interno dell’azienda perché hanno uno stipendio assicurato o perché sono coinvolti).

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5. qual è la struttura dell’organizzazione e quali sono gli stili direzionali prevalenti? (organizzazione burocratica o organica, stile direzionale autoritario o basato su controllo e responsabilità individuali).

Rispondendo a queste domande è possibile individuare le caratteristiche dell’organizzazione e determinare il grado di compatibilità tra i diversi sottosistemi. È possibile identificare tre posizioni:

La selezione naturale: la prospettiva ecologica e demografica.Le organizzazioni (come gli individui che ne fanno parte) sono diversificate, ognuna avverte bisogni diversi e può sviluppare strutture tali da permettere l’adattamento all’ambiente mutevole. Per sopravvivere l’impresa deve essere capace di adattarsi ai cambiamenti ambientali e l’approccio situazionale ha permesso di identificare in che modo l’adattamento può essere realizzato. Tuttavia tale approccio è stato criticato dai teorici che identificano la sopravvivenza con la selezione naturale; la critica di base parte dal presupposto che considerare le aziende come capaci di modificarsi e adattarsi ai mutamenti ambientali attribuisce troppa importanza alle organizzazioni (si da per scontato che esse siano in grado di sopravvivere attraverso un semplice adattamento) e si sottovaluta l’importanza della forza ambiente. Secondo questa prospettiva è l’ambiente che seleziona le organizzazioni che operano al suo interno (alla base di tale prospettiva c’è la teolria dell’evoluzione di Darwin).La sopravvivenza delle organizzazioni, come quella degli organismi viventi, dipende dalla capacità di acquisire le risorse presenti nell’ambiente (che sono limitate) in modo migliore rispetto alle altre organizzazioni (o agli altri organismi viventi). Nell’acquisire tali risorse le organizzazioni devono affrontare la concorrenza delle altre organizzazioni e quindi solo chi riesce ad’ottenere il maggior numero di risorse è in grado di sopravvivere. L’ambiente diventa il fattore cruciale che determina quali specie di organizzazioni sono destinate a sopravvivere o morire e seleziona i concorrenti più forti eliminando quelli deboli. Secondo Darwin la selezione è il meccanismo attraverso il quale si realizza l’evoluzione della specie, ma la selezione non può essere realizzata se non ci sono differenze tra gli organismi e lo stesso vale per le organizzazioni: se c’è differenza tra le organizzazioni, può esserci selezione e quindi evoluzione. Le variazioni nella specie sono il risultato di una riproduzione incrociata o nella variazione delle caratteristiche della specie stessa e alcune variazioni possono conferire un vantaggio competitivo tale da garantire la sopravvivenza e quindi da superare la selezione. Queste caratteristiche saranno poi soggette a modifiche nel tempo che causeranno la loro evoluzione. L’evoluzione si realizza attraverso la modifica dei singoli individui appartenenti a una stessa specie, ma gli esponenti dell’approccio ecologico sostengono che sia meglio analizzare l’evoluzione della specie nel suo complesso e non singolarmente (membro per membro), infatti membri di una stesa specie presentano punti di forza e di debolezza simili e questo determinerà se essi sono in grado di sopravvivere o morire; una specie può essere destinata a morire ma al suo interno possono essere presenti membri più forti di altri, che nel breve periodo riescono a resistere meglio, ma nonostante ciò esse nel lungo periodo saranno destinati a

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soccombere come i loro simili (ed’è per questo che è più utile analizzare la specie nel suo complesso).Esistono infinità di specie di organizzazioni diverse, con tassi di natalità e mortalità diversi e tassi di crescita e declino diversi, è possibile quindi dire che le organizzazioni (come gli individui) hanno cicli di vita differenti.

L’ecologia organizzativa: la creazione di futuri comuni.

La prospettiva demografica e quella situazionale presentano le organizzazioni in uno stato di continua tensione con l’ambiente esterno; secondo tali prospettive... Queste concezioni sono state messe in dubbio prima dall’approccio sistemico, che vede le organizzazioni non come realtà a se stanti ma come parti integranti di un sistema in continua evoluzione e che porta a sua volta le singole organizzazioni all’adattamento per la sopravvivenza e poi dall’approccio ecologico, che ha una concezione di base opposta a quella della teoria della sopravvivenza (vince il più forte): secondo tale approccio nel momento in cui un ambiente evolve, evolvono anche le strutture al suo interno; è la struttura ad’evolvere e non le singole unità, di conseguenza non vince il più forte ma vince “la forza”. In sintesi:

“ Secondo Darwin vige la legge del più forte: nel momento in cui l’ambiente evolve, le unità più forti di ogni specie saranno in grado di adattarsi mentre le altre saranno destinate a soccombere. Secondo l’approccio ecologista invece in reazione al cambiamento aziendale è l’intera struttura organizzativa che si evolve e non le singole unità al suo interno, ne consegue quindi la sopravvivenza della capacità (che per Darwin è la specie) e non la sopravvivenza del più capace (che per Darwin è il più forte della specie)”.

Nella natura l‘ambiente di un organismo è costituito da altri organismi, nella natura organizzativa l’ambiente organizzativo è costituito da altre organizzazioni nella quale ognuna produce l’altra.Secondo questo punto di vista possiamo quindi dire che le organizzazioni sono in grado a loro volta di influenzare l’ambiente organizzativo, attraverso il sistema della concorrenza, ma sono anche in grado di cooperare per la sopravvivenza in tale ambiente attraverso la collaborazione (che ormai è diffusa quasi ai livelli della concorrenza). Basti pensare alle situazioni in cui imprese operanti nello stesso settore concludono accordi sulle aree di concorrenza, sulla spartizione del mercato o ancora accordi per la fissazione dei prezzi. Queste forme di collaborazione sono presenti anche tra organizzazioni in rami diversi dello stesso settore o addirittura tra organizzazioni di settori diversi (è il caso delle joint ventures attraverso le quali diverse organizzazioni collaborano per condividere i rischi della ricerca e sviluppo e degli accordi tra organizzazioni, fornitori e produttori per dare vita a integrazioni verticali).Possiamo quindi affermare che: nelle concezioni dell’organizzazione che tendono a privilegiare la

sopravvivenza del più forte si da maggior peso alla concorrenza e il concetto di collaborazione è pressoché assente;

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nelle concezioni organizzative che tendono a privilegiare la sopravvivenza della forza e della capacità, il concetto di collaborazione viene tenuto maggiormente in considerazione.

Potenzialità e limiti alla metafora dell’organismo.

Questa metafora concepisce le organizzazioni come organismi; gli studiosi dei comportamenti delle organizzazioni hanno quindi valutato il loro comportamento e la loro evoluzione in relazione alle altre organizzazioni e all’ambiente di cui esse fanno parte, arrivando così a elaborare una serie di concezioni differenti ( approccio situazionale, la selezione organizzativa e la prospettiva ecologica) e in alcuni casi contrastanti, per questo motivo analizzare i pro e i contro di tale metafora non è semplice. È possibile però fare un resoconto dei principali aspetti comuni a tutte le sfaccettature della metafora:

Potenzialità: Viene riconosciuta importanza all’ambiente: le organizzazioni vengono

definite come sistemi aperti, (a differenza delle precedenti concezioni che tendevano a definire le organizzazioni come sistemi chiusi) che intrattengono continui rapporti di scambio con l’ambiente che le circonda.

La gestione dell’organizzazione può essere migliorata: l’obiettivo dell’organizzazione è la sopravvivenza (non solo della singola unità ma di tutta l’organizzazione). Mentre nelle precedenti teorie il fine era la realizzazione di un determinato obiettivo, solitamente di carattere operativo, nella concezione organistica il fine è la realizzazione di un obiettivo più grande e complesso quale la sopravvivenza; questo macro obiettivo può essere a sua volta articolato in tanti micro obiettivi i quali sono interdipendenti tra loro e non a se stanti come nella teoria meccanicistica. I singoli obiettivi fanno parte di un progetto ben più grande.

Grande attenzione prestata ai bisogni: per bisogni si intendono i bisogni dell’intera organizzazione ma anche i bisogni dei sottosistemi dell’organizzazione stessa; essi devono essere soddisfatti in modo che la soddisfazione del bisogno dell’organizzazione non precluda la soddisfazione del bisogno di un sottosistema (non gioverebbe all’intera organizzazione) e viceversa. Basti pensare a un esempio banale: se agli operai fossero affidate solo mansioni di routine a discrezionalità limitata (come nella teoria meccanicistica), queste provocherebbero un atteggiamento di noia e insoddisfazione nel personale che nell’orario di lavoro cercherebbe il divertimento e lo svago (giocare sul lavoro o in casi peggiori l’assenteismo), il tutto a discapito dell’organizzazione. I bisogni organizzativi devono essere armonizzati al fine di evitare che tra i sottosistemi si intersechino relazioni e interazioni di tipo corrosivo che tenderanno a dare origine a una lotta continua tra dipendenti e direzione, incrementando l’assenteismo con conseguenze sulla produzione.

Evidenzia la scelta tra più alternative: data l’esistenza di specie diverse di organizzazioni la metafora sottolinea la possibilità dell’organizzazione

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stessa di scegliere tra più alternative; l’efficacia dell’organizzazione dipende dalla qualità di tutte queste scelte. L’approccio ecologico - demografico e quello situazionale hanno punti di vista differenti a riguardo: il primo attribuisce alle scelte operate all’interno dell’organizzazione un’importanza relativa, in quanto secondo tale approccio ciò che influenza maggiormente il successo di un organizzazione è il fattore ambiente e la capacità di quest’ultima di reagire ai cambiamenti esterni; il secondo approccio invece evidenzia quanto le scelte effettuate correttamente siano importanti per la sopravvivenza dell’organizzazione.

Evidenzia la capacità delle organizzazioni di innovarsi: mentre le organizzazioni di tipo meccanicistico tendono a essere più rigide e restie all’innovazione, quelle di tipo organicistico sono più flessibili e di conseguenza particolarmente propense all’innovazione.

Offre contributi alla teoria e alla pratica dello sviluppo organizzativo: specialmente seguendo il modello di analisi dell’approccio situazionale.

L’adozione di una prospettiva implica però la rinuncia ad’altre prospettive; dopo avere compreso la metafora organicistica risulta difficile comprendere come gli autori della metafora meccanicistica abbiano potuto tralasciare l’importanza del fattore ambiente. La spiegazione è semplice: la teoria meccanicistica è stata elaborata in una periodo in cui il contesto organizzativo risultava molto più semplice; arrivando ai nostri giorni tale contesto è andato via via complicandosi, soggetto a continui mutamenti e ciò ha spinto alcuni teorici a elaborare teorie tali da permettere di comprendere come un’organizzazione potesse adattarsi alle nuove realtà.Come ogni teoria anche questa presenta però una serie di punti sfavorevoli: induce a considerare le organizzazioni e il loro ambiente in modo troppo

concreto: questa teoria parte dal presupposto che gli organismi (soggetti concreti) vivano nell’ambiente a loro più adatto dal quale ricevono ciò che è necessario a loro per vivere; questo ambiente può essere visto e toccato con mano. Le organizzazioni sono paragonate a organismi, anch’esse dotate di una struttura fisica tangibile e costituite al loro interno da individui. Ciò di cui non si tiene conto è che tali organizzazioni oltre all’aspetto materiale hanno anche un aspetto sociale, che è una caratteristica intangibile, costituito dall’insieme di rapporti che esse o gli individui al loro interno instaurano con tutto ciò che le circonda. Sono quindi caratterizzate da una componente immateriale (idee, norme, credenze, creatività) che influenza la loro capacità di sopravvivenza; è possibile dire che l’ambiente in cui operano e il contesto organizzativo è il risultato anche di questo aspetto intangibile. Non è del tutto corretto dire che le organizzazioni devono adeguarsi all’ambiente che le circonda (approccio situazionale) e che l’ambiente seleziona le organizzazioni (approccio ecologico), in quanto un organizzazione è costituita da individui razionali e tali individui sono soggetti attivi (mentre con le affermazioni precedenti si tende a inquadrare l’individuo come soggetto passivo inerme di fronte al cambiamento ambientale).

Ipotizza l’unità funzionale delle organizzazioni : dal momento che l’organizzazione viene paragonata a un organismo si ipotizza che tutte le

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sub – unità cooperino per il bene dell’organizzazione stessa; basti pensare all’organismo umano: tutte le unità (gli organi) cooperano in armonia per il corretto funzionamento dell’organismo; in questa situazione il corretto funzionamento degli organi e la loro cooperazione è la regola mentre le disfunzioni (ad’esempio un infarto) sono l’eccezione. Nella realtà organizzativa è pressoché impossibile che le singole unità operino con spirito altruistico in modo da non interferire le une con le altre per il bene dell’organizzazione, in questo caso quindi la disfunzione è la regola e la cooperazione e l’armonia sono l’eccezione. Questo punto debole della metafora ha spinto i teorici a riconoscere maggiore importanza al potere organizzativo (anche se non tutti hanno completamente abbandonato l’ipotesi dell’unità funzionale), l’obiettivo dell’unità funzionale ha spinto i dirigenti a tenere insieme l’organizzazione e a monitorare continuamente i rapporti intercorrenti tra le singole unità.

Pericolo che la prospettiva possa diventare una vera e propria ideologia .

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Le organizzazioni in quanto sistemi culturali.

Intorno agli anni sessanta, la filosofia manageriale americana costituiva il modello predominante; agli inizi degli anni settanta questo modello venne messo in discussione dall’affermarsi dell’industria giapponese nel settore automobilistico, elettronico e manifatturiero. Il Giappone infatti riuscì sulle ceneri della seconda guerra mondiale a costituire un impero economico (alto tasso di sviluppo e basso tasso di disoccupazione) in condizioni di scarsità di risorse naturali e fonti di energia. Gli studiosi dei problemi organizzativi e i dirigenti di impresa iniziarono a rendersi conto dello stretto rapporto tra cultura e filosofia manageriale e di quanto la cultura del Giappone giocò un ruolo non secondario nello sviluppo del Paese.

Cultura e organizzazione.

Il concetto di cultura si riferisce al modello di sviluppo nel sistema delle conoscenze di una società, nelle ideologie, nei valori, nel sistema di diritto; per cultura inoltre al giorno d’oggi si intende anche il bagaglio di conoscenze di un individuo o di un gruppo di persone o società. È possibile dire che gruppi di persone diverse hanno stili di vita diversi (o culture diverse).La maggior parte delle società odierne può essere definita società organizzazionale: l’influenza che le grandi organizzazioni esercitano sulla nostra vita è notevole.

Il contesto culturale dell’organizzazione.

Ogni Paese porta con se un bagaglio di esperienze storiche che ne hanno influenzato le caratteristiche sociali; sebbene le società moderne presentino numerosi aspetti comuni non vanno sottovalutate le loro differenze. Le caratteristiche culturali influenzano notevolmente il contesto organizzativo: per comprendere questo concetto è sufficiente mettere a confronto due società quali il Giappone e l’Inghilterra con concezioni organizzative distinte.Nella moderna società giapponese l’organizzazione non viene vista come il luogo di lavoro ma come una collettività alla quale il singolo lavoratore appartiene (l’organizzazione per il lavoratore rappresenta un’estensione della propria famiglia). Prevale il concetto di collaborazione, di condivisione delle preoccupazioni e dell’aiuto reciproco (aspetto tipico dei villaggi e delle piccole comunità); il benessere dell’individuo, dell’azienda e della nazione risultano collegati tra di loro.Sayle ha elaborato un interessante teoria attraverso la quale cerca di spiegare (basandosi su fatti storici realmente accaduti in Giappone) come nelle moderne organizzazioni giapponesi si ritrovino tracce dei valori culturali presenti nelle piantagioni di riso e nei samurai:

Valori culturali delle piantagioni di riso (solidarietà dell’organizzazione): la coltivazione del riso in Giappone è sempre stata un’attività precaria data la scarsità della terra disponibile e la brevità della stagione favorevole; questo sottolinea la capacità del Giappone di realizzare progetti apparentemente impossibili. Da sempre esercitata come attività

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cooperativa (attraverso la piccola comunità familiare o comunità di maggiori dimensioni), essa implica la collaborazione e il massimo impegno da parte di tutti coloro che la esercitano in modo da ottenere il massimo risultato (il poco impegno da parte di un individuo può compromettere l’intero raccolto). Allo stesso modo quando il raccolto è scarso (anche se per cause non imputabili agli individui come gli agenti atmosferici) è l’intera cooperativa che ne risente e che viene punita.

Valori culturali del samurai (spirito di servizio): i samurai, uomini di servizio, hanno svolto un ruolo importante nella storia militare e burocratica del Giappone; i coltivatori di riso erano ben di sposti a offrire loro una parte del raccolto (ricevendo in cambio protezione), di conseguenza la sopravvivenza fisica dei guerrieri dipendeva dai loro.

Oggigiorno questi valori culturali hanno dato vita a una forma di organizzazione sociale gerarchica ma contemporaneamente armoniosa; da un occhio esterno questo sistema potrebbe sembrare oppressivo (la mobilità verticale è pressoché nulla), ma in realtà non è così. La sottomissione all’autorità non è una forma di controllo verticale ma più che altro una forma di servizio reciproco (il lavoratore è contento di contribuire al bene dell’intera organizzazione). Lo spirito del samurai influenza anche la concezione del rispetto di se stessi: il lavoratore raggiunge una condizione di rispetto di se stesso espletando il servizio nell’ambito del sistema (mentre in molte culture occidentali il lavoratore raggiunge tale condizione spiccando sugli altri lavoratori, dimostrando di essere migliore).Ovviamente la vita in una fabbrica giapponese non ha solo aspetti positivi; spesso i dipendenti vivono sotto pressione (come accade anche nelle fabbriche occidentali) ma il loro spirito è diverso, accettano la situazione per quella che è e la sopportano.L’esempio del Giappone ritorna utile per comprendere in che modo la cultura di un paese influenzi il sistema organizzativo; molti studiosi sono concordi nel fatto che il sistema giapponese dovrebbe essere adottato da tutto il mondo mentre altri lo vedono come un sistema arretrato (è l’evoluzione delle piantagioni di riso, ha quindi radici molto antiche).

Al contrario il sistema organizzativo inglese è influenzato dalle lotte di classe che si sono susseguite nel corso dei secoli nel Paese e permangono ancora oggi nel rapporto manager operaio (il manager ha diritto di comandare e l’operaio deve obbedire). L’operaio inglese è l’esatto opposto di quello giapponese, egli è in contrapposizione al sistema in quanto ritiene che esso abbia già sfruttato i suoi antenati e ora stia sfruttando anche lui.

Culture e sottoculture aziendali.

L’influenza che l’ambiente culturale esercita non è uniforme: individui con una stessa cultura possono avere personalità diverse anche se condividono valori comuni e lo stesso vale per le organizzazioni, microsocietà che possono presentare al loro interno culture e sottoculture differenti.

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Il modo migliore per analizzare la cultura presente in un organizzazione è osservare il funzionamento del gruppo o dell’organizzazione alla quale apparteniamo come se fossimo dei soggetti esterni, degli estranei.

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Lo studio di Linda Semircich.

È stato osservato il comportamento dei dirigenti di una compagnia di assicurazione americana che a sua volta faceva parte di un gruppo ben più vasto di compagnie che offrivano una serie di servizi assicurativi; la Semircich rilevò due situazioni: L’azienda sembrava sottolineare i valori cooperativi tipici del mondo agricolo;

i dipendenti erano molto educati con il pubblico e ben disposti a offrire assistenza in caso di bisogno.

La coperatività era solo una facciata imposta all’azienda dai manager; i dipendenti fondamentalmente non avevano un grande spirito collaborativo, non operavano al meglio per il benessere dell’azienda ma perché era stato inculcato loro questo modo di lavorare. Lo si riuscì a capire osservando il loro comportamento durante le riunioni ufficiali della compagnia: tanta gentilezza ma notevole disinteresse, gli incontri venivano ormai considerati rituali di routine.

Lo studio evidenzia anche le circostanze che hanno portato alla frammentazione culturale; dopo quattro anni di vita la compagnia attraversò un momento traumatico dovuto alla rimozione del presidente, alla elezione di un nuovo presidente e sua successiva rimozione per poi essere affidata a un gruppo di professionisti esterni (sempre nell’ambito assicurativo). Questi portarono nella compagnia la cultura della loro azienda di provenienza, generando così due sub culture: la prima quella di appartenenza ai dipendenti originari della compagnia e la seconda quella portata dal gruppo esterno che ha influenzato a sua volta la cultura dei dipendenti assunti in seguito. Il secondo presidente indirizzo i dipendenti a una forma di collaborazione apparente, in quanto adottò uno stile che indusse i membri a reprimere le loro differenze. In occasione di alcune riunioni o cerimonie i dipendenti si trasformavano i membri di una tribù, ognuno con una fascia colorata e una piuma in testa, questo per farli sentire più uniti e per far concepire loro il concetto di obiettivo comune e cooperazione (proprio come nelle originali tribù). Questo metodo portò semplicemente a reprimere i problemi e non a rimuoverli; le discussioni non venivano affrontate in pubblico ma in sedi private in modo da mantenere la facciata di armonia.Oggi l’azienda non esiste più in quanto entità autonoma ma è stata riassorbita dall’azienda madre.

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Questo caso dimostra:1. in che modo una cultura aziendale possa trasformarsi in una vera e

propria etica (sopprimere le differenze e vivere in armonia).2. in che modo i titolari svolgano un ruolo fondamentale nella formazione

della cultura dell’organizzazione.3. in che modo la cultura aziendale possa influenzare la sopravvivenza

dell’organizzazione.

La cultura alla base dell’organizzazione non era sbagliata (creare una squadra di dipendenti in grado di collaborare per il bene dell’azienda), ciò che probabilmente ha portato al riassorbimento della compagnia è stato il non avere affiancato a quell’etica norme che spingessero i dipendenti a essere personaggi attivi e non passivi.

Un’azienda che invece è riuscita benissimo in quest’impresa è l’HP, leader nel settore della microelettronica; fondata negli anni ’40, si basa su una cultura che accentua il concetto di collaborazione e apertura all’innovazione. Già dagli inizi venne adottata l’etica della collaborazione, dimostrata poi negli anni ’70 in seguito alla riduzione delle vendite, quando l’azienda decise di non licenziare alcuni dipendenti e tenerne altri ma di ridurre del 10% lo stipendio e di conseguenza l’orario lavorativo. Così facendo lo staff venne mantenuto intatto dimostrando che era possibile garantire sicurezza sul posto di lavoro anche in condizioni poco favorevoli.I fondatori Hewlett e Packard sono famosi per l’aver partecipato attivamente a tutti gli aspetti della vita aziendale (attraverso il rituale dei brindisi di birra o delle riunioni di caffè).All’interno dell’organizzazione è tradizione raccontare ai nuovi dipendenti come i due fondatori abbiano iniziato a lavorare (anche attraverso diapositive): inizialmente le attività si svolgevano nel garage di Bill mentre

Un esempio di cultura aziendale totalmente diverso l‘abbiamo con la ITT (Internationale Telephone e Telegraph) sotto la direzione ferma di Harold Green. Egli adottò uno stile di direzione senza scrupoli al fine di spronare tutti i suoi subordinati (dirigenti e operai) a dare il meglio, permettendo così all’impresa di passare da un fatturato di 765 milioni di dollari nel 1959 a uno di 12 miliardi di dollari nel 1978.Green fece in modo di creare all’interno dell’organizzazione un atmosfera di competizione e intimidazione, in modo che i suoi collaboratori mantenessero la situazione sotto controllo; egli era dotato di grande memoria e riusciva ad assimilare in una giornata una quantità esorbitante di dati, dimostrando ai suoi dirigenti di conoscere bene le singole situazioni (tanto quanto loro).L’intimidazione veniva praticata particolarmente durante le riunioni dei collaboratori quando Green poneva domande specifiche ai suoi dirigenti i quali nel rispondere non dovevano mostrare segni di incertezza, in caso contrario entrava in azione il titolare (grazie alla sua completa conoscenza dei fatti e capacità di centrare il problema); addirittura si dice che molti dirigenti non riuscendo a reggere la pressione di queste riunioni siano scoppiati a piangere.

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L’approccio di Green motivava il personale attraverso la paura.Se un dirigente doveva presentare una relazione, era motivato a stare sveglio anche di notte pur di completarla nel modo più dettagliato possibile; si racconta inoltre che Green fosse solito chiamare i dirigenti nel cuore della notte per chiedere loro chiarimenti su alcuni punti poco chiari. Morale: i dipendenti dovevano essere a disposizione dell’azienda 24 ore su 24, una sorta di devozione nei confronti dell’organizzazione. Questo migliorò la produttività ma il costo da pagare fu abbastanza elevato (stress dei dipendenti)I fattori di successo dell’ITT sono stati quindi il metodo di direzione, nonché l’utilizzo di task forces e il controllo incrociato dei dati che permetteva di capire se le affermazioni fossero corrette.

Nell’analisi dei rapporti tra lo stile di direzione e la cultura aziendale devono essere tenuti in considerazione anche altri fattori: sesso: un uomo tenderà a dirigere l’azienda improntato su concezione

prettamente maschiliste (caso ITT della giungla: o mangi o sei mangiato), al contrario una donna cercherà di diffondere concetti di collaborazione e interazione tra i dipendenti. Va notato che molte organizzazioni tradizionali si basano su un modello direzionale improntato sui valori maschili. Questo spesso ha portato alla formazione di subculture aziendali di impronta femminile con conseguenti contrasti. Nella realtà odierna caratterizzata da continui cambiamenti si avverte invece la necessità di un modello direzionale improntato su valori diversi, riconducibile peraltro all’universo femminile.

Ne è un esempio la Body Shop di Anita Roddick, caratterizzata da una gestione in base ai principi femminili: prendersi cura degli altri. decisioni basate sull’intuizione. Poca importanza alla gerarchia e alla maggior parte dei concetti del

management.Anita era convinta che il lavoro non dovesse essere considerato una cosa separata dalla vita di tutti i giorni, dal momento che un individua lavora in media otto ore al giorno per almeno cinque giorni alla settimana.

Etnie, razze e lingue: all’interno di un’organizzazione possono collaborare persone appartenenti a nazionalità diverse, ognuno dei quali con propri usi e ideali; l’esempio più tipico è quello dei ristoranti italiani, che solitamente tendono ad’assumere il personale della sala italiano e quello della cucina straniero. Ogni etnia e razza ha una cultura professionale con aspetti diversi e questo può portare a scontri.

L’organizzazione ha una cultura generale a sua volta articolata in subculture dipendenti da tutta una serie di fattori (sesso, razza, lingua, etnia, religione ecc…). possiamo definire la cultura organizzativa come un mosaico culturale.Dopo avere esaminato i vari esempi di cultura organizzativa, possiamo giungere a una conclusione:

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“La cultura organizzativa non è qualcosa che viene imposto in un sistema sociale ma è qualcosa che si sviluppa all’interno del sistema attraverso le relazioni che intercorrono tra i membri del sistema stesso”.

Non è solo il titolare dell’organizzazione a influenzare la cultura organizzativa (anche se contribuisce in modo notevole) ma sono anche le relazioni tra gli individui, ognuno con personalità diverse.

La creazione della realtà organizzativa.

Quando si parla di cultura ci si riferisce a un processo di costruzione della realtà che permette di concepire fatti, azioni, oggetti o situazioni in modo particolare. È necessario capire nello specifico in che modo la cultura si crea e viene mantenuta.

Il dilemma culturale tra ordine e sviluppo.

È stato evidenziato che molti aspetti routinari e scontati sono delle realizzazioni particolarmente intelligenti; ogni individuo quotidianamente segue determinati schemi di comportamento adatti alle diverse situazioni (camminare per la strada, prendere la metropolitana). Se un individuo decidesse di comportarsi in modo alternativo (ad’esempio camminando per strada in modo sospetto e svoltando nei vicoli anziché andare dritto e seguire il normale percorso oppure sedersi sulla metropolitana e fissare in modo inquietante chi siede di fronte) potrebbe creare uno squilibrio dell’ordine sociale (non conformandosi alle regole della realtà sociale in cui vive).La nostra società e cultura è impregnata di norme di comportamento non scritte alle quali gli individui normalmente si attengono per non infrangere l’equilibrio culturale. Ogni Paese ha propri codici di comportamento (e sarebbe positivo in caso di viaggi all’estero sapere adattarsi a questi codici per non squilibrare la cultura del paese ospite).Secondo alcuni teorici gli individui svolgono un ruolo attivo nella creazione del loro mondo.

L’organizzazione come attivazione di una realtà condivisa.

Quali sono i modelli condivisi di riferimento che rendono possibile il fenomeno organizzativo?

Da dove provengono? In che modo vengono creati, comunicati e rinforzati?

Queste domande aiutano a comprendere quanto le organizzazioni siano realtà socialmente costruite che si trovano nelle menti dei membri piuttosto che nelle strutture, nelle norme e nei rapporti che le caratterizzano.Tom Peters e Robert Waterman hanno messo in evidenza il fatto che le organizzazioni di successo sanno sviluppare culture basate su una serie condivisa di norme; ne sono un esempio IBM, HP e 3M.

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“IBM significa servizio”, la base della cultura organizzativa è la creazione di servizi e tutti i dipendenti, da quelli al più alto livello gerarchico a quelli al più basso livello devono considerare i bisogni del cliente.“L’idea di un nuovo prodotto non deve mai essere smontata (3M)” l’idea è quella di creare un innovazione costante capace di creare un flusso ininterrotto di prodotti nuovi.“Vendilo innanzitutto ai venditori (HP)”, è importante sapere commercializzare i prodotti.

Le correnti di pensiero del total quality e del servizio al cliente che hanno caratterizzato gli anni ’80 e ’90 hanno rivoluzionato la mentalità manageriale e la cultura organizzativa, dando vita a una serie di protocolli capaci di aiutare i membri delle organizzazioni a pensare, parlare e agire in modo nuovo.L’obiettivo è stato quello di dare vita a una sorta di rivoluzione culturale tale da sostituire la mentalità burocratica con atteggiamenti di orientamento al cliente. Si sono verificate però in molti casi situazioni di insuccesso, legate al fatto che molte organizzazioni hanno adottato questi nuovi stili manageriali senza modificare la cultura alla base dell’organizzazione. La cultura è all’interno dell’organizzazione, ma è anche radicata nella personalità degli individui dell’organizzazione stessa; modificare la cultura significa modificare anche il modo di pensare di questi individui e di conseguenza anche il loro modo di agire.

Potenzialità e limiti della metafora.

Nel 1954 l’economista inglese Ely Devons scrisse un saggio che aveva per oggetto il confronto e il paradosso tra la magia nelle società tribali e la statistica nelle organizzazioni moderne; nelle antiche tribù la magia veniva utilizzata per dare una risposta o per indicare una possibile soluzione alle situazioni di incertezza (andare in guerra?andare a caccia?), allo stesso modo nelle organizzazioni moderne la statistica viene usata come strumento di supporto alle decisioni aziendali, per spingerle in una direzione (quella con dati statistici più favorevoli) piuttosto che in un'altra.La figura del mago inoltre non perdeva credibilità in caso di errori, in quanto considerata di fondamentale importanza nella cultura tribale (gli errori venivano imputati a cause sopraggiunte e inaspettate), e lo stesso vale per la statistica, considerata un mezzo di appoggio nell’elaborazione di una strategia nonché l’alternativa a prendere delle decisioni in modo impulsivo o intuitivo (e anche ciò potrebbe portare a commettere errori).L’analisi statistica non viene a perdere credibilità in seguito a errori, nessuno obbliga gli individui dell’organizzazione a seguire la direzione indicata dall’analisi, è la razionalità dell’individuo che li spinge verso quella direzione (considerata la migliore perché supportata da dati stratistici favorevoli).

La razionalità dell’individuo è al centro dell’organizzazione moderna.

Analizzando gli esempi delle diverse aziende è possibile stilare una lista di pro e contro della metafora.

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Punti a favore: Concentra l’attenzione sul significato simbolico di ogni aspetto della vita

dell’organizzazione: molti comportamenti di routine all’interno dell’organizzazione permettono di comprendere la cultura predominante. Ne sono un esempio le riunioni settimanali, portatrici di elementi importanti della cultura aziendale (basti analizzare il comportamento degli individui che vi partecipano); nel caso della compagnia di assicurazione abbiamo potuto capire che la cultura predominante nell’organizzazione faceva leva sull’apparenza (i dipendenti dovevano essere cordiali tra di loro durante l’orario di lavoro), nel caso della ITT invece i dipendenti dovevano partecipare alle riunioni ed’essere preparati a rispondere a domande del presidente inerenti all’azienda (la cultura predominante voleva che tutti coloro che facevano parte dell’organizzazione fossero a conoscenza dei problemi e delle difficoltà intere). Anche il modo di allestire una sala riunioni permette di capire il tipo di cultura: una stanza allestita nel minimo particolare con una bottiglia d’acqua e un bicchiere in per ogni posto a sedere da l’idea di qualcosa di ordinato e formale, una stanza pressoché in allestita da l’idea di qualcosa di meno formale e rappresenta un invito all’autorganizzazione.

Mostra come le organizzazioni siano basate su un sistema di significati, azioni e schemi interpretativi condivisi: come già detto la cultura aziendale è profondamente radicata negli individui che fanno parte dell’organizzazione (vedi modello giapponese) e in parte influenzata dalla cultura predominante all’interno del Paese. Comprendere la metafora culturale aiuta i dirigenti aziendali a modificare la cultura predominante quando questa non è più adatta alle circostanze.

Aiuta a capire come le relazioni che intercorrono tra l’organizzazione e l’ambiente sono il prodotto di una costruzione sociale: l’azienda è un sistema aperto che interagisce con l’ambiente in cui opera e con gli altri attori che costituiscono l’ambiente stesso; il modo di relazionarsi dell’azienda con l’ambiente esterno dipende dalla cultura predominante al suo interno (se la cultura predominante è prevalere sulla concorrenza, l’azienda adotterà strategie tali da raggiungere quell’obiettivo). Ma come già detto l’ambiente è in continuo cambiamento, anche per opera degli attori che vi operano, di conseguenza le decisioni assunte da un organizzazione non sempre saranno efficaci in quanto altre organizzazioni reagiranno e si comporteranno in modo tale da provocare mutazioni ambientali.

Offre un contributo all’analisi del cambiamento organizzativo : tradizionalmente il cambiamento organizzativo è ricollegato al mutamento ambientale (concorrenza, tecnologie ecc). Questa concezione è corretta ma la possibilità di attivare un cambiamento organizzativo dipende anche dalla capacità di saper cambiare le ideologie e i sistemi di valori all’interno dell’organizzazione. Basti pensare a come molte aziende intorno agli anni ’90 hanno fallito nel tentativo di adattarsi alle politiche del total quality perché hanno modificato solo l’aspetto organizzativo e non quello culturale dei membri. La cultura è nelle menti delle persone

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ed’è in continua evoluzione e cambiamento, è necessario saperla comprendere e eventualmente modificare.

Punti a sfavore: Il fenomeno culturale è estremamente complesso, di difficile

comprensione. Un esperto che cerca di analizzare un organizzazione non sempre riesce a comprendere il significato più profondo della cultura dominante (è come scattare una fotografia, questo ci permette di verificare e capire una situazione in un determinato momento, tralasciando tutto quello che è successo prima e quello che succederà dopo). Risulta difficile anche per i dirigenti comprendere a fondo la cultura organizzativa; essi possono promuovere i valori che ritengono importanti facendo in modo ce le azioni degli individui siano effettuate nel rispetto di tali valori. Questa metafora ci aiuta a comprendere il significato della cultura ma non ci offre soluzioni.

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Verso l'auto – organizzazione: le organizzazioni come cervelli.

Nel suo libro “The Natural History of the Mind” Taylor fa alcune osservazioni sulle differenze che intercorrono tra il cervello e le macchine.In un esperimento, lo psicologo Lashley tolse ad alcuni topi una parte del loro cervello, fino ad arrivare a un asporto del 90% di esso. L'unica parte che non toccò fu la corteccia ottica. Dall'esperimento emerse che i topi, nonostante il 90% in meno di cervello, riuscivano a muoversi nel labirinto (ovviamente con qualche difficoltà motoria, visto che gli venne asportata una parte del cervello che regola il movimento). La differenza con una macchina è semplice: se a una macchina togli il 90% delle componenti non funzionerà mai.Dallo studio di Taylor sono emerse alcune problematiche; è possibile progettare delle organizzazioni elastiche e flessibili come un cervello?. È possibile in un'azienda inserire sia la componente intelligenza sia la componente controllo dando vita così a un'organizzazione in grado di autogestirsi?.

Rappresentazioni del cervello.

2400 anni fa Ipocrite ha individuato nel cervello la sede dell'intelletto; ad oggi numerose metafore fanno perno sul concetto di cervello come sistema di elaborazione delle informazioni. Il cervello nel tempo è stato definito come:

un sistema complesso simile a un computer che trasmette informazioni attraverso impulsi elettrici.

Una banca dati in grado di archiviare informazioni e prelevarle su richiesta.

Un sistema di reazioni chimiche in grado di trasferire messaggi e dar vita alle azioni.

Un sistema linguistico che opera attraverso il codice neuronale in grado di trasformare le informazioni in pensieri, idee e azioni; un po come l'alfabeto che può essere visto come un codice in grado di trasformare i segni in un discorso composto da parole e frasi.

Di recente il cervello è stato paragonato a un sistema olografico; l'olografia è una tecnica attraverso la quale, mediante l'utilizzo di una luce laser (che è monocromatica a differenza delle comuni lampadine o della luce del sole), le immagini o le informazioni vengono incise su una lastra fotografica detta ologramma. Quell'informazione può, quando si desidera, essere resa disponibile illuminando sempre con il laser l'ologramma sul quale è stata incisa. L'informazione o l'immagine viene così proiettata a mezz'aria e è possibile girarci intorno, vedere la profondità, dato che è un'immagine in 3D.Il bello di questa tecnica è che se l'ologramma si dovesse rompere, ogni singolo frammento se venisse illuminato riprodurrebbe l'intera immagine salvata e non solo una parte (anche se più piccolo è il frammento più scarsa sarà la qualità dell'immagine).Un neurochirurgo dell'università di Stanford sostiene che il cervello abbia un funzionamento simile; le informazioni sono distribuite in tutto il cervello cosicché possano essere ricostruite anche da una sola parte di esso. Questo spiegherebbe il perché i topi riescano a funzionare anche con il 90% di materia grigia in meno (anche se le loro funzionalità sono ridotte, come nel caso dell'ologramma rotto).

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Nonostante tutto non si è ancora giunti a una conclusione definitiva sulle natura del cervello e sul suo funzionamento; tute le metafore usate per indicare il fenomeno presentano limiti e lacune.Dagli studi sul cervello è emerso che esso è suddiviso in due emisferi:

destro: controlla la parte sinistra del corpo e contiene e svolge una funzione fondamentale nelle attività intuitive, creative, emozionali e acustiche.

Sinistro: controlla la parte destra del corpo e svolge funzioni fondamentali nelle attività analitiche, razionali, linguistiche, visuali e verbali.

Secondo questi studi ogni emisfero è specializzato in qualcosa.Il cervello è costituito da sottosistemi, ognuno dei quali emette segnali e impulsi, contribuendo il funzionamento del cervello nel suo insieme.È possibile affermare che il cervello è sia oleografico che specializzato. Anche se in una determinata azione prevale il funzionamento di uno dei due emisferi, l'altro emisfero funge da supporto e diventa complementare per l'esplicazione dell'azione in modo efficace.All'interno del cervello non esiste una struttura centralizzata; gli impulsi provenienti dalle diverse sezioni danno luogo a infinite attività parallele che producono contributi complementari e concorrenti, che possono dare vita a una struttura coerente.

Le organizzazioni in quanto sistemi politici.

Ci sono realtà organizzative che sopprimono quasi tutte le libertà dell’individuo (libertà di opinione, libertà di parola), e organizzazioni che invece agevolano e stimolano queste libertà; nel primo caso ci si avvicina a una forma di organizzazione totalitaria mentre nel secondo a una forma di organizzazione democratica. Ovviamente questi sono due casi agli antipodi, ma ci sono anche casi che si collocano in situazioni intermedie.Nel caso di un’organizzazione totalitaria il titolare marca la sua importanza e la sua supremazia all’interno dell’organizzazione, dando all’operaio solo un'unica scelta democratica, quella di licenziarsi e cambiare lavoro. In queste organizzazioni la divisione gerarchica è fortemente marcata, esiste una netta separazione tra chi comanda e chi viene comandato.Per questo motivo le organizzazioni possono essere definite come sistemi di governo che variano a seconda dei principi politici preminenti.La metafora politica permette di evidenziare tutto ciò che di politico esiste nella realtà organizzativa.Inoltre è possibile comprendere come la politica spesso sia una componente essenziale all’interno dell’organizzazione; l’originale scopo della politica è sempre stato quello di mediare tra i differenti interessi dei cittadini e di creare un ordine sociale non coercitivo (allo stesso modo la politica nell’azienda dovrebbe permettere di mediare tra le differenze degli individui al suo interno).

Le organizzazioni in quanto sistemi di governo.

Nell’aprile 1979 il settimanale Business Week dedicò l’articolo di copertina alla Ford; in copertina era disegnato un fumetto che rappresentava Henry Ford II a

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bordo di un’auto su un sedile a forma di trono mentre teneva il volante; nello sfondo si poteva notare una figura sfumata e dai suoi tratti somatici si intuiva fosse Henry Ford I, ovvero il fondatore, che controllava il modo in cui il nipote stava conducendo l’azienda.Henry II, amministratore delegato per trentaquattro anni stava pensando di andare in pensione ma non trovava nessuna persona degna di ricoprire il suo ruolo; l’unico che avrebbe potuto farlo era Lee Joacca, licenziato però nel ’78 (il settimo di una serie di licenziamenti iniziati nel ’60). C’è ancora qualche dubbio sulle cause di licenziamento (a sentire Henry II il licenziamento è stato spinto dal modo di pensare di Joacca diverso dal suo), ma si vocifera che Henry II, spaventato dall’importanza che Joacca aveva guadagnato negli ultimi anni all’interno dell’azienda, lo avesse licenziato per paura che prendesse troppo potere.Oltre alla Ford, sono numerose le organizzazioni governate da un sistema totalitario, ne è un esempio la ITT. In questo tipo di governo il potere è detenuto da una sola persona (o per discendenza familiare, o per la sua capacità di guadagnare una posizione di prestigio che gli permette di esercitare una notevole influenza) o da un gruppo di persone. In queste organizzazioni regna l’autocrazia e non la democrazia; oggi è raro trovare sistemi totalmente autocratici, ma è comune trovare sistemi che presentano elementi o tendenze simili.

Autocrazia: è un sistema di governo caratterizzato dalla detenzione del potere da parte di un individuo o di un gruppo limitato di individui. Il potere si basa sul controllo di risorse critiche, sul controllo dei diritti di proprietà, sulla tradizione, sul carisma e sugli altri privilegi personali (una persona governa quando spicca sugli altri).

Il suffisso “crazia” driva dal greco e significa potere di governo, viene combinato a un prefisso che indica la natura o il tipo di governo applicato. In questo caso il prefisso “auto” sta a indicare un governo assoluto e di tipo dittatoriale.

Burocrazia: detto anche il governo della legge, rappresenta una forma di governo attraverso l’uso della parola scritta.

Essa è esercitata dai burocrati, il cui nome deriva dalla parola “Bureaux” che significa scrivanie, in quanto essi amministrano e dirigono seduti dietro le loro scrivanie.

Tecnocrazia: forma di governo esercitata attraverso l’uso della conoscenza, il potere degli esperti e la capacità di risolvere problemi importanti.

È il sistema di governo che solitamente caratterizza i settori economici più turbolenti, come quello dell’elettronica. In questo caso l’individuo che esercita il potere cambia nel tempo; a seconda del problema da risolvere cambia la persona più adatta a risolverlo (in base alle competenze specifiche richieste). Nel sistema burocratico e in quello autocratico la struttura del potere è abbastanza stabile.

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Democrazia rappresentativa: forma di governo esercitata attraverso l’elezione di rappresentanti chiamati ad agire in nome dell’elettorato e che restano in carica per un periodo di tempo determinato o finché hanno l’approvazione dell’elettorato.

Democrazia diretta: è un sistema in cui tutti hanno il diritto di comandare e tutti sono coinvolti nei processi decisionali (ne sono un esempio le cooperative).

Nel primo caso il popolo non interviene direttamente nei processi decisionali ma viene rappresentato, come avviene nei sistemi di cogestione, nei governi di coalizione e nelle imprese possedute da azionisti. La cogestione si è affermata in Germania e in altri paesi europei dopo la seconda guerra mondiale e prevede l’attribuzione di potere decisionale anche ai dipendenti, oltre che al titolare; entrambi decidono per il futuro dell’organizzazione. Ne sono un esempio le industrie nel settore del carbone e dell’acciaio, per le quali sono previste una serie di norme che impongono la costituzione di un comitato di controllo (formato da 11 membri, cinque eletti dagli azionisti, cinque eletti dai dipendenti e l’ultimo eletto dai primi dieci), il quale a sua volta deve nominare un comitato di gestione costituito da tre membri (uno esperto in problemi gestionali, uno in problemi di produzione e l’altro deve essere un sindacalista). I comitati restano in carica tre anni.Altre forme simili alla cogestione le troviamo in altri paesi europei e nordamericani , in questi sistemi è prevista la presenza di alcuni sindacalisti all’interno dei diversi comitati.L’obiettivo di queste forme di gestione è permettere la conciliazione degli interessi del capitale con quelli del lavoro (attraverso la presenza di sindacalisti), anche se presentano alcune debolezze; il più grande rischio è quello del cosiddetto “assorbimento”, la maggior parte dei sindacalisti che fanno parte di qualche comitato aziendale sono concordi sul fatto che la partecipazione diretta al processo decisionale possa portare nel tempo a una situazione che finirebbe con l’annullare la capacità di dissentire. Gli interessi dei dipendenti sarebbero meglio sostenuti da vere e proprie organizzazioni sindacaliste (o associazioni) che adottino un ruolo di opposizione tale da potere influenzare le decisioni aziendali e difendere così i diritti del lavoratore senza entrare a far parte del processo decisionale.Casi di assorbimento si riscontrano relativamente ai cambiamenti che prevedono la partecipazione dei dipendenti al processo decisionale; anche se i sindacalisti hanno come scopo la maggiore partecipazione del lavoratore alle decisioni aziendali, essi dissentono in quanto sono convinti che i datori di lavoro farebbero partecipare i dipendenti solo ai processi decisionali meno importanti (per dare loro il cosiddetto contentino e evitare opposizioni). I sindacalisti mirano a stili di direzione che prevedono il totale controllo da parte dei lavoratori.Stili di direzione di questo tipo li ritroviamo nell’ex Jugoslavia e in altri paesi dell’est, specialmente nelle aziende dello Stato (i dipendenti si autogestiscono e eleggono i loro dirigenti).

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Anche se si tende a tenere separate l’economia e la politica, questi due concetti non sono poi così distanti; in ogni forma di organizzazione economica troviamo tracce di politica. L’obiettivo della metafora delle organizzazioni in quanto sistemi politici ha proprio l’obiettivo di spiegare e analizzare il rapporto che esiste tra fenomeno politico e quello organizzativo.

Le organizzazioni come arene politiche.

“La politica trova la sua origine nella diversità degli interessi”. Aristotele.

La politica emerge in modo chiaro nelle situazioni di conflitto, quando gli individui mettono alla luce le loro opinioni relativamente a una serie di fatti. Tuttavia il fenomeno politico si sviluppa in maniera continuativa e non sempre è possibile analizzarlo (eccetto quando appunto emerge chiaramente) dall'esterno, mentre viene direttamente percepito da coloro che sono direttamente coinvolti.La diversità di interessi da luogo a una tensione che può essere risolta attraverso strumenti politici che possono essere distinti in:

autocratici (“lo faremo così”). Burocratici (“si deve fare così”). Tecnocratici (“è meglio farlo così”). Democratici (“come dobbiamo farlo?”).

Per interesse si intende l'attitudine (obiettivi, valori, desideri, aspettative) di un soggetto a comportarsi in un certo modo piuttosto che in un altro. Ogni individuo a una serie innumerevole di interessi e spesso vive nella convinzione che qualche altro individuo lo possa ostacolare nel loro perseguimento.Tendenzialmente gli interessi di un individuo all'interno di un organizzazione possono essere ricondotti a tre ambiti:

mansione. Carriera. Extraorganizzativi.

I primi sono relativi all'espletamento della funzione all'interno dell' organizzazione (l'addetto alle vendite ha l'interesse di vendere una certa quota di prodotti), i secondi sono relativi alle aspettativi e progetti per il futuro all'interno dell'organizzazione (ottenere una promozione) e gli ultimi riguardano la vita esterna all ' organizzazione (famiglia, hobby ecc.).un individuo può riuscire a trovare un punto di incontro tra questi tre tipi differenti di interessi, come può riuscire a coniugarne solo due tipi o addirittura nessuno e in ogni caso avrà tre gradi di soddisfazione differente.Nel caso in cui il soggetto non riesca a soddisfare gli interessi di tutti gli ambiti, si verranno a creare delle situazioni di tensione che potranno essere risolte attraverso una pluralità di strumenti di azione.Essendo l'organizzazione un reticolo aperto di individui aventi interessi differenti, le situazioni di tensione non scaturiscono solo relativamente a un singolo individuo, ma anche da una serie di fatti che coinvolgono direttamente l'intera organizzazione e di conseguenza le persone che ne fanno parte.Supponiamo che in azienda produttrice di cosmetici sia posto alla dirigenza del settore marketing il signore A, persona dal carattere esuberante. Egli stabilisce di

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concentrare tutti gli sforzi di marketing verso una sola nicchia di mercato, le élite, e di produrre quindi solo prodotti di alto livello (magari perché anche lui benestante di famiglia).Alcuni individui assunti dall'organizzazione per le loro competenze tecniche (e non per legami famigliari con persone importanti all'interno dell'azienda) sostengono che concentrarsi solo su una percentuale minima di clienti comporti la perdita di numerose possibilità di vendita (essi vorrebbero che l'azienda producesse anche cosmetici a prezzi abbordabili). Questi individui spesso cercano di farlo presente alle riunioni aziendali ma vengono messi a tacere dati gli enormi guadagni che l'azienda sta ottenendo lavorando solo in quel settore e mantenendo un immagine di élite. Supponiamo che un amico del vicepresidente aziendale sia un cacciatore di talenti e che abbia chiesto proprio al vicepresidente di dargli qualche nominativo per un posto da direttore della sezione marketing di una nuova azienda di cosmetici di prestigio che stava aprendo. Il vicepresidente gli da immediatamente il nominativo del signore A il quale,m dopo il colloquio, accetta il nuovo lavoro nell'altra azienda.A questo punto è necessario trovare un nuovo direttore marketing: la signora B si presenta in azienda e vine assunta (a celta tra i vari nominativi in quanto la sua politica era a metà strada tra quella del signore A e quella di altri candidati che criticavano fortemente la politica fin'ora adottata e avrebbero avuto intenzione di modificarla radicalmente). La signora B era una donna ambiziosa, quindi aveva intenzione di fare carriera. Ma allo stesso tempo voleva riuscire a svolgere il suo compito al meglio guadagnandosi la fiducia dei dipendenti. Riuscì così a combinare interessi di mansione con interessi di carriera; i primi instaurando un rapporto con i dipendenti (anche con quelli contrari alla sua politica perché simile a quella del direttore precedente) basato sul dare e ricevere, e tutti i dipendenti dalla nuova politica guadagnarono qualcosa (non tutti erano pienamente soddisfatti, ma nemmeno totalmente insoddisfatti come erano prima). Gli interessi di carriera vennero realizzati attuando una politica di marketing sulla linea della precedente (per fare contenti gli amministratori e i personaggi importanti, tutti favorevoli alla politica del signore A, che altrimenti l'avrebbero esclusa dall'organizzazione), estendendo piano piano il segmento target (aumentando il numero di punti vendita, estremamente selezionati e attraverso la pubblicità attraverso cartelloni nei centri commerciali, cosa che andava un po contro all'immagine di élite). Gli amministratori furono comunque contenti dopo avere valutato i dati delle vendite.La signora Z era riuscita a guadagnarsi la fiducia anche delle persone che inizialmente dubitavano fortemente della sua politica (e avevano direttamente espresso il loro disaccordo nelle prime riunioni aziendali).

Essendo l'organizzazione un insieme di individui con interessi differenti, al suo interno si verranno a formare coalizioni di individui con interessi comune. Queste coalizioni non sono statiche, ma si modificano nel tempo (a seconda degli interessi che gli individui vogliono soddisfare). Un individuo è libero di spostarsi in un altra coalizione se questa ha più punti in comune con gli interessi attuali del soggetto.

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Il conflitto.

Tendenzialmente per conflitto organizzativo si intende una forza disfunzionale che si è sviluppata per una serie di cause sfavorevoli e che tende a sparire nel momento in cui sorgono circostanze positive. Esso può dipendere dalla natura personale e interpersonale delle persone (paragrafo precedente) e dalla struttura dell'organizzazione. Le organizzazioni attuali soni sistemi sia di cooperazione che di competizione proprio per la natura della loro struttura; da un lato la divisione gerarchica porta i dipendenti dello stesso piano della scala a collaborare tra di loro, dall'altro incita la competizione per raggiungere i livelli superiori. Man mano che si sale di livello infatti il numero di dipendenti diminuisce (gli operai son numerosi, il personale di ufficio è già in numero inferiore, al reparto marketing sono ancora meno e così via fino ad arrivare al direttore aziendale), la competizione è molto accentuata ai livelli bassi (il numero di vincitori è estremamente inferiore a quello dei perdenti) e via via diminuisce salendo di livello.La struttura organizzativa contemporanea incoraggia il sorgere di fenomeni di natura politica.Il personale si trova a dovere svolgere mansioni strettamente interdipendenti tra loro ma anche contrastanti (la buona riuscita di una può compromettere la buona riuscita dell'altra). Nelle realtà aziendali il personale di un determinato reparto cercherà di incrementare l'efficienza di quel reparto a discapito degli altri, tralasciando lo spirito collaborativo che dovrebbe essere alla base dell'organizzazione e che dovrebbe essere realizzato per il bene dell'organizzazione stessa. I casi di maggiore conflitto si verificano nel momento in cui la remunerazione del personale del reparto è direttamente collegata alla produttività di quel reparto (ad esempio reparto vendite: se vendo di più guadagno di più).Il conflitto può essere espresso o latente. Nel primo caso emerge chiaramente in una particolare situazione, nel secondo caso invece non viene esternato (ad esempio un dipendente che evita l'insorgere di un conflitto per paura di essere licenziato). Esso può dipendere inoltre da un evento verificatosi di recente o da un evento verificato nel passato.I conflitti espressi e latenti in un organizzazione caratterizzata da una struttura burocratica piramidale possono essere suddivisi in:

verticali: quando sorgono tra il personale di due livelli diversi della scala gerarchica. Il dipendente che riceve una busta paga inferiore rispetto a quella che si aspettava e rispetto alle ore di lavoro che in realtà ha fatto, andrà in ufficio a chiedere di riconteggiare le ore di lavoro fatte (conflitto espresso) Il dipendente che si sente sottopagato tenderà ad essere più produttivo quando osservato dai suoi superiore e meno produttivo in assenza dei superiori (il conflitto è latente).

Orizzontale: quando sorgono tra il personale di uno stesso livello della scala gerarchica. Ne è un esempio il conflitto che si verifica maggiormente, quello tra il reparto marketing e il reparto produzione (il primo chiede di modificare un prodotto, ma la modifica del prodotto in

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alcuni casi può portare a rivoluzionare la produzione modificando i macchinari, le materie prime, le mansioni dei dipendenti). Un addetto al reparto marketing e uno al reparto produzione possono allearsi e bocciare una proposta avanzata da un ingegnere non perché la proposta non è valida ma perché non sono mai andati d accordo con quell'ingegnere (il conflitto ha radici nel passato).

Il potere.

Il potere è lo strumento di risoluzione del conflitto d'interesse ed' è da esso che dipende chi ottiene cosa, come e quando. Gli studiosi dei processi organizzativi si sono resi conto di quanto il potere sia incisivo nei processi organizzativi (e ovviamente il potere influisce sul risultato del conflitto); non è stata elaborata una definizione precisa di potere ma tendenzialmente:

il potere viene definito come una risorsa. Il potere è l'esercizio di influenza nei confronti di qualcosa o qualcuno.

L'autorità formale.

La prima fonte di potere è l'autorità formale, una forma di potere legittimato, riconosciuto e rispettato dai membri. La legittimazione, quale forma di approvazione sociale è essenziale affinché attraverso il potere si possano stabilire rapporti potestativi (se i membri di un gruppo non riconoscono il potere a chi lo detiene essi non rispetteranno ciò che a loro viene imposto). Possono essere distinti tre criteri di legittimazione:

carisma: le persone riconoscono in un individuo alcune qualità speciali e le considera come alla base del diritto di un determinato individuo di decidere per loro.

Tradizione: la gente rispetta gli usi e le tradizioni del passato e riconosce l'autorità a coloro che le rappresentano (es. il monarca).

Diritto: la gente pretende che il potere venga attribuito seguendo regole e procedure formali.

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Nelle organizzazioni contemporanee quindi si possono verificare tre tipi di autorità (carismatica, tradizionale e burocratica) anche se la più diffusa è quella burocratica.A ogni potere autoritativo corrispondono diritti e doveri e una sfera di azione circoscritta; ad' esempio in un'azienda il direttore vendite ha il diritto di decidere sulle campagne promozionali ma non ha il diritto di decidere sulla strategia finanziaria.L'autorità è considerata un potere che scende dall'alto verso il basso attraverso un processo di deleghe, questo implica che anche dal basso deve provenire la legittimazione e che chi sta in basso detiene una porzione significativa di tale potere (se non approvassero il potere di una determinata persona non esisterebbe).

Il controllo delle risorse scarse.

La vita di un organizzazione dipende dalla sua capacità di assicurarsi un flusso continuativo di risorse, siano esse materiali, immateriali, finanziarie e umane.Data la scarsità di tali risorse, nel momento in cui un'organizzazione riesce ad avervi accesso acquisisce potere. La risorsa per eccellenza è il denaro, in quanto unica risorsa capace di trasformarsi (convertirsi) in altre risorse; per questo motivo la maggior parte della politica organizzativa ruota attorno a processi di budget e al controllo e allocazione delle risorse finanziarie.Il potere dell'organizzazione è dato dalla sua capacità di avere un certo margine di manovra relativamente a queste risorse (le risorse sono investite in attività e la possibilità dell'impresa di incrementarle o diminuirle a piacere conferisce una forma di potere).Una risorsa è quindi caratterizzata da:

scarsità (come detto sopra). Dipendenza.

Riducendo la dipendenza nei confronti di qualcosa o qualcuno si verifica un incremento del potere. Basti pensare alle diverse aree in cui è articolata un'organizzazione;i dirigenti di queste aree preferiscono avere un proprio pacchetto risorse separato da quello delle altre aree, ciò conferisce loro un maggior margine di manovra.

L'impiego della struttura organizzativa, le norme e i regolamenti.

La struttura organizzativa si configura come una suddivisione di compiti, responsabilità e mansioni. Analizzando la struttura piramidali, con al vertice il presidente e alla base l'operaio, possiamo dire che più la struttura è complessa (e quindi tra la base e il vertice sono presenti numerosi livelli a loro volta articolati in numerosi reparti) più il potere è frazionato. Ogni area ha quindi un margine di azione limitato, ha un potere solo relativamente a quella determinata sfera di azione; ciò significa che il potere maggiore viene detenuto da chi sta al vertice.Nel caso in cui invece un organizzazione presenti una struttura relativamente semplice, con poche aree, questo significherebbe che ogni area ha un campo di azione esteso e quindi maggiore potere. Questo comporta il fatto che quella

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determinata area sarà in grado di influenzare notevolmente la gestione aziendale riducendo così il potere di chi sta al vertice.Anche le norme e i regolamenti aziendali, originariamente creati per stabilire i diritti e i doveri dei dipendenti e i limiti al potere del presidente, sono un'arma a doppio taglio. Osservando il funzionamento del quadro normativo all'interno di un'azienda inglese si è osservato come queste norme potessero diventare pericolose per il potere del vertice aziendale. Come tutte le norme anche queste potevano essere interpretate in diversi modi; la capacità di un dipendente di interpretare una norma o regolamento a suo favore gli conferisce un potere notevole a discapito del presidente.

Il controllo dei processi decisionali.

La capacità di influenzare i risultati dei processi decisionali rappresenta una fonte di potere; per analizzare il processo decisionale dal punto di vista del potere è necessario distinguere tre elementi:

premesse decisionali: l'individuo è dotato di potere quando riesce a tenere sotto controllo le premesse decisionali, ovvero quando riesce a incanalare il processo decisionale nella direzione desiderata o quando riesce a impedire che certe decisioni vengano addirittura prese in considerazione. Spesso influenzano questo potere alcuni strumenti ai quali si presta poca attenzione quali il gergo usato, le strutture comunicative attivate, le credenze e la cultura.

Processi decisionali: è l'insieme degli strumenti attraverso i quali la decisione viene presa. Stabilire chi deve prendere la decisione (un singolo o un gruppo), se la decisione deve basarsi su una preventiva analisi o no, stabilire se una decisione deve essere presa all'inizio o alla fine di una riunione. Una volta stabiliti i criteri, questi si trasformano in variabili che gli individui possono manipolare al fine di influenzare la decisione stessa.

Argomenti e obiettivi decisionali: il potere dipende anche dalla capacità di influenzare gli argomenti e obiettivi decisionali. Gli individui possono influenzarli in maniera diretta, presentando relazione sull'argomento trattato, mettendo in luce l'importanza di un particolare punto, sottolineando le possibili alternative, per spingere la decisione nella direzione che preferiscono. A influenzare l'esito decisionale in questo caso sono l'abilità oratoria, la tenacia, la conoscenza dei fatti.

Il controllo della conoscenza e delle informazioni.

Avere il controllo sui flussi informativi e sulle conoscenze costituisce una fonte di potere; nel momento in cui un'informazione viene portata a conoscenza degli individui, questa si concretizza in una situazione che spinge gli individui a mettere in moto una serie di comportamenti.L'individuo che riesce a dominare le informazioni (detto portiere), si configura come un “filtro dell'informazione”, egli cioè è in grado di stabilire quando diffonderle e in che modo, al fine di realizzare i suoi interessi.

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Riuscire a rallentare un flusso informativo in modo che la conoscenza arrivi troppo tardi o velocizzare lo stesso flusso è fonte di potere.La conoscenza e l'informazione possono essere utilizzate per creare rapporti di dipendenza; il fatto di possedere l'info0rmazione giusta al momento giusto, oppure avere accesso a fonti informativa prima degli altri o ancora sapere padroneggiare una situazione riassumendo i fatti in maniera efficace è fonte di potere. Molti individui cercano di sviluppare queste capacità e conservano le loro conoscenze molto gelosamente, in modo che gli altri si rivolgano a loro per chiarimenti (rapporto di dipendenza). Tali individui si configurano come esperti, e gli esperti sono persone dotate di una certa autorevolezza, di conseguenza sono in grado attraverso la loro opinione di sbloccare situazioni pendenti.

Il controllo dei confini.

La gestione dei rapporti di confine o boundary management può costituire una fonte di potere; per confine in questo caso ci si riferisce ai rapporti esistenti tra i vari elementi dell'organizzazione. Come già detto alcuni individui possono detenere informazioni critiche che conferiscono loro una posizione di superiorità rispetto agli altri individui (si viene a creare un rapporto di dipendenza). Spesso i singoli reparti cercano di mantenere una certa autonomia rispetto egli altri, reperendo direttamente le risorse necessarie.Attraverso la gestione dei rapporti di confine si possono evidenziare le modalità attraverso le quali un'unità organizzativa reperisce le risorse necessarie alla sua autonomia, al fine di mettere in atto strategia che interferiscano con tale autonomia (per privare l'unità del suo potere).

La gestione dell'incertezza.

La vita di ogni organizzazione è caratterizzata dall'incertezza (la cui intensità può variare tra un'organizzazione e un'altra); la capacità di gestire al meglio le situazione di incertezza è fonte di potere.Possiamo distinguere due tipi di incertezza:

incertezza ambientale: è quella relativa ai mercati di sbocco e di approvvigionamento (risorse materiali e finanziarie). Ovviamente per questo tipo di incertezza avranno maggiore potere gli individui appartenenti ai reparti che ricevono informazioni dirette sull'ambiente esterno (ad esempio il reparto marketing attraverso le ricerche di mercato).

Incertezza operativa: è relativa al possibile malfunzionamento di qualche componente interna all'impresa (materiale, immateriale). In questo caso avranno maggior potere coloro che sono preparati a risolvere eventuali intoppi (come le squadre di manutenzione) o a evitare che gli intoppi si presentino (o ancora a fare ripresentare il guasto in modo tale da far capire che la loro presenza all'interno dell'organizzazione è essenziale).

Le organizzazioni possono cercare di ridurre il livello di incertezza (anche se un livello minimo rimarrà sempre) attraverso scorte di materie prime, controllo

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periodico dei guasti (o addestrando il personale a risolverli in modo autonomo senza l'intervento di tecnici specializzati).

Il controllo della tecnologia

Le organizzazioni dipendono fortemente dalla tecnologia, la quale permette loro di trasformare gli input in output e di conseguenza di raggiungere gli obiettivi organizzativi.Anche se la tecnologia conferisce potere al titolare dell'organizzazione, è possibile affermare che è un'ottima fonte di potere per i dipendenti, ovvero coloro che sono a diretto contatto con essa. Un operaio addetto a una specifica mansione, è costantemente a contatto con la tecnologia necessaria per espletare quella mansione; egli ha il potere attraverso le sua azioni di modificare gli standard di produttività. All'interno di un reparto operativo possiamo trovare mansioni strettamente connesse tra di loro (come nella catena di montaggio) o mansioni indipendenti.Nel primo caso le mansioni sono eseguite in sequenza, A B e C, in modo che se la mansione A non viene completata, non è possibile iniziare la B. In questo caso gli operai addetti alle diverse mansioni sono dotati di un enorme potere, in quanto sono in grado attraverso il loro agire di bloccare la produttività dell'intera organizzazione; questo potere è inoltre incrementato dal supporto dei sindacati (il diritto di sciopero è riconosciuto e se tutti gli addetti ad' una mansione decidessero di scioperare una giornata, la produzione si fermerebbe). Nel secondo caso le mansioni sono indipendenti le une dalle altre, l'operaio che decide di scioperare non soddisferà nessun tipo di interesse.Per questo motivo quando all'interno di un organizzazione si prendesse in considerazione l'ipotesi di modificare il sistema produttivo e la conseguente tecnologia (passando dalla catena di montaggio a un sistema diverso) gli operai protestano in quanto eliminare la catena di montaggio significherebbe per loro perdere potere nei confronti dell'organizzazione.

I reticoli di alleanze e il controllo dell'organizzazione informale.

Per organizzazione informale si intende un gruppo di persone che si coalizzano, scambiandosi favori reciproci o scambiando un favore in un momento in cambio di una promessa per il futuro (ti faccio un favore adesso ma tu tra un mese...).Spesso un individuo appartenente a un'organizzazione si circonda di amici o personaggi potenti, tra loro si instaura una specie di rapporto di scambio di favori, attraverso i quali ognuno dei membri della coalizione può realizzare i propri interessi (magari perché i membri del gruppo ricoprono ruoli che possono incidere sull'attività delle organizzazioni ai quali appartengono gli altri membri).Gli spiriti macchiavellici tendono a creare appositamente queste coalizioni o organizzazioni informali, avvicinandosi intenzionalmente a determinati personaggi; altri invece si ritrovano a farne parte.Come in tutte le organizzazioni, anche all'interno di quelle informali ogni singolo membro avrà un potere di influenza più o meno elevato sugli altri. Ogni organizzazione informale al suo interno presenta un leader, colui che vuoi per

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carisma o per competenze è in grado di imporsi sugli altri instaurando un rapporto di dipendenza.

I simboli e la gestione dei significati.

La capacità di influenzare il modo di percepire determinate situazioni è fonte di potere. Un soggetto può essere in grado, attraverso immagini e gesti, di rappresentare una versione della realtà e di farla accettare agli altri membri.Nel riuscire in questo intento, ci si può avvalere di tre strumenti:

immagini: sono i simboli, il linguaggio, le cerimonie e i rituali di una determinata cultura aziendale; gli individui possono manipolare queste variabili modificando la cultura e le sottoculture aziendali, adattando i valori dei membri delle organizzazione ai propri interessi personali. (spesso nelle riunioni vengono utilizzati concetti come quello di “gruppo” per stimolare i dipendenti, di “sfide” intendendo i problemi come tali).

Teatralità: il modo in cui si presenta l'ambiente può influenzare gli individui di un'organizzazione. Innanzitutto l'ambiente fornisce indizi sulla personalità delle persone che a quell'ambiente appartengono; è il caso dell'ufficio del capo, che in base all'arredamento può esprimere la personalità del dirigente (ad'esempio un'ufficio arredato in modo molto formale, con una scrivania e una sedia a forma quasi di trono esprime una personalità molto autoritaria). L'ambientazione in cui si svolgono le discussioni può avere un impatto notevole sul loro risultato. Si parla di teatralità in quanto i leader, nel recitare la loro parte, si avvalgono di scenari (come l'arredamento), tali da accentuare i tratti distintivi della loro personalità. L'apparenza conta, infatti coloro che partecipano alle riunioni imparano a vestirsi in modo adeguato a seconda che si tratti di una riunione formale o informale e a comportarsi secondo degli schemi di comportamento routinizzati, consuetudinari (non sono regole di comportamento scritte ma sono abitudini, tradizioni adottate magari da anni e rompere quegli schemi significherebbe rischiare di essere esclusi dal gruppo). Ultima variabile è lo stile; arrivare in anticipo o in ritardo può esprimere una fonte di potere. È il caso del ritardo da parte di colui che ha indetto la riunione (tutti lo attendono con ansia, quindi arrivare in ritardo incrementa quest'ansia e si traduce in potere). Il modo in cui ci si pone alle riunioni è fondamentale: i personaggi che partecipano attivamente alla riunione, intervenendo e facendo emergere il loro carisma possono configurarsi come possibili leader (alcuni a maggior ragione per far capire la loro importanza partecipano alle riunioni importanti mentre tralasciano quelle di basso livello).

Il gioco: nel farsi strada verso il potere l'individuo concepisce l'organizzazione come una partita. Esso agisce nel rispetto di regole scritte da lui stesso: alcuni fanno leva sulla loro autorevolezza, altri invece si basano sulle loro particolari abilità, prestando comunque attenzione 'impressione che possono fare agli altri.

I rapporti tra i sessi.

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Molte organizzazioni sono dominate da valori sessisti che infettano la vita organizzativa a favore di uno o dell'altro sesso; molte femministe hanno evidenziato come alcune organizzazioni articolino la struttura delle mansioni e delle opportunità in modo tale da permettere di fare carriera solo agli uomini. Questo fenomeno prende il nome di “effetto soffitto di vetro”: le donne capiscono che al vertice dell'organizzazione ci sono mansioni adatte a loro, ma la scalata verso di esse è spesso bloccata da valori sessisti. La cultura maschilista non sempre si manifesta e diventa visibile, la maggior parte delle volte è estremamente radicata e pressoché invisibile.I valori sessisti (discriminatori per altro) spesso fanno parte della cultura organizzativa, e tendono a far concepire due stereotipi diversi tra uomo e donna:

Stereotipo maschile Stereotipo femminile

Logico intuitivo

razionale emotivo

aggressivo sottomesso

sfruttatore comprensivo

strategico spontaneo

indipendente tollerante

competitivo cooperativo

“un capo e un decisore” “un sostegno fedele”

Spesso le caratteristiche tipiche dell'organizzazione si configurano con le caratteristiche dello stereotipo maschile (l'organizzazione è razionale, aggressiva, strategica, orientata alla decisione).Per questo motivo le donne che vogliono fare carriera in un organizzazione dominata da una cultura prettamente maschilista si trovano a dovere infrangere i valori dello stereotipo femminile, diventando oggetto di critica (“vuole fare l'uomo”).Come un individuo si sente fuori luogo se si trova in un gruppo di persone che parlano di cose a lui totalmente estranee, allo stesso modo il sesso “svantaggiato” dalla cultura organizzativa si sente fuori luogo in mezzo a persone che usano un determinato linguaggio o battute.Attraverso gli studi dell'organizzazione è emerso che spesso uomini e donne hanno una percezione diversa delle situazioni organizzative; è emerso inoltre che le relazioni tra i sessi stanno attraversando una fase evolutiva.Nelle organizzazioni caratterizzate da una struttura gerarchica molto rigida e predominate da una cultura maschilista le donne che hanno intenzione di fare carriera spesso devono mascherare la loro personalità, evitando di sembrare troppo deboli ma allo stesso tempo evitando anche di apparire troppo forti. Susan Jones direttrice del reparto ricerche di mercato adottò questa strategia; nelle riunioni aziendali quando doveva esporre le sue relazioni di fronte a un gruppo di soli uomini modificava il suo essere a partire dall'abbigliamento, evitando pantaloni e camicia ma optando per un tailleur (per non sembrare troppo uomo ed essere oggetto di critiche), nell'esporre la relazione evitava accuratamente di passeggiare per la stanza (per non sembrare agitata) ma

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rimaneva seduta alla sua scrivania, inoltre adottò alcune astuzie, quali ad esempio tenere lo sguardo sulla relazione e alzarlo verso i colleghi solo nei punti salienti del discorso.Negli anni '80 però la politica femminile si modificò, alcune donne di potere come Margaret Tatcher iniziarono a giocare in modo diverso, secondo la filosofia del “batti gli uomini al loro stesso gioco”. Questo implicava comportarsi come loro, senza temere giudizi sulla scarsa femminilità, tant'è vero che la Tatcher venne definita come “il miglior uomo mai avuto nel partito conservatore”.

Data la diversità tra organizzazione e organizzazione, uomini e donne possono adottare strategie di successo differenti, a seconda del tipo di organizzazione in cui si trovano.Strategie femminili:

la Regina Elisabetta: governa con il pugno di ferro sottomettendo gli uomini (Margaret Tatcher).

La moglie del Presidente: si accontenta di esercitare il potere da dietro le quinte.

La donna invisibile: adotta un basso profilo e si confonde con la massa per esercitare la sua influenza in ogni modo possibile.

La grande madre: consolida il potere prendendosi cura degli altri. La donna liberata: parla chiaro e prende sempre una posizione a favore

delle donne. L'amazzone: diventa il capo delle donne, creando colaizioni femminili e

ponendo le donne nei posti chiave all'interno dell'organizzazione. Dalila: usa la seduzione per farsi strada nelle organizzazioni prettamente

maschili. Giovanna d'Arco: mette in evidenza e sottolinea l'obiettivo comune per

distogliere l'attenzione dal fatto che è donna. La figlia: trova una figura paterna disposta a sponsorizzarla.

Strategie maschili: il guerriero: strategia adottata dai dirigenti sempre impegnati in battaglie

aziendali (utilizzata anche per assicurarsi il sostegno delle donne). Il padre: strategia usata per guadagnarsi il sostegno di quelle donne alla

ricerca di uno sponsor. Re Enrico VIII: strategia basata sull'uso del potere assoluto. Il Play Boy: strategia basata sull'uso del sex appeal per guadagnarsi il

sostegno delle donne (usata dai dirigenti che non possono usare altre fonti).

L'esibizionista: strategia basata su una serie di comportamenti esibizionistici per attirare l'attenzione e guadagnarsi il sostegno delle donne.

Il bambino piccolo: strategia basata sui classici comportamenti infanti8li al fine di averla vinta nelle situazioni difficili.

L'amico fidato: strategia basata sulla creazione di rapporti di fiducia con le colleghe per farle diventare confidenti e ottenere informazioni importanti.

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Il maschilista: strategia usata dagli uomini che si sentono minacciati dalla presenza delle donne. Consiste in una serie di comportamenti atti a degradare le donne (minimizzando il loro status e i contributi che esse danno all'azienda).

Le condizioni strutturali.

Anche se può sembrare paradossale, coloro che detengono il potere spesso si sentono limitati nell'esercizio di tale potere.Come già detto le fonti di potere sono numerosissime, questo significa che all'interno di un organizzazione possono essere numerosi gli individui che detengono il potere. Per questo motivo spesso il potere di uno è limitato dal potere dell'altro.Un secondo limite è dato dalle caratteristiche strutturali dell'organizzazione; spesso i dirigenti o gli altri attori nell'esercizio del potere sono vincolati (ovvero si trovano ad essere obbligati a prendere una direzione piuttosto che un'altra), basti pensare alle decisioni di tipo finanziario, la maggior parte delle volte i manager sono obbligati ad agire in un determinato modo perché quello risulta l'unico valido ai fini della sopravvivenza dell'organizzazione.

Il potere posseduto.

Il potere stesso è una fonte di potere, nel senso che può essere impiegato per ottenere altro potere. Questa concezione è stata dimostrata da numerosi politicanti delle organizzazioni in diverse situazioni:

caso a): spesso i detentori del potere concludono delle sorte di accordi informali attraverso i quali fanno un favore a qualcuno per ricevere un altro favore dalla stessa persona in un momento futuro. Alla base di questi accordi c'è una politica del tipo “io ti ho aiutato ieri, adesso è il momento che ricambi il favore”, ovviamente questa frase non viene espressa direttamente ma resta comunque alla base dell'accordo.

Caso b): il potere esercita una certa attrazione da parte di coloro che lo detengono e nei confronti di coloro che lo cercano. Nella speranza di entrare nelle grazie dei potenti (e eventualmente ottenere favori futuri), gli individui offrono loro appoggio (anche se non richiesto) o si allineano con il loro modo di pensare (condividendo le stesse opinioni in modo da fare vedere che si trovano sulla stessa sponda). Il titolare del potere potrà ricambiare offrendo sostegno a coloro che a loro volta l'hanno sostenuto in precedenza; questi individui a loro volta si sentiranno in debito nei confronti dell'individuo potente. Per farla breve: chiamiamo il soggetto potente Alfa e il soggetto che vuole ottenere potere Beta. Beta appoggia Alfa in diversi casi, dimostrandogli di essere sulla stessa linea di pensiero, nella speranza che Alfa un domani ricambi il favore (e gli faccia ottenere potere). Nel momento in cui Alfa ricambia, Beta si sentirà in debito nei suoi confronti e cercherà di ripagarlo (in questo modo Alfa potrebbe incrementare il suo potere grazie ai favori di Beta). Il potere attrae e questa attrazione può diventare fonte di ulteriore potere.

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Caso c): il potere è anche fonte di motivazione. Coloro che hanno conosciuto il successo sono spinti a cercare altro successo (il potere porta ala ricerca di altro potere). Questo approccio ha avuto particolare successo negli anni '90 in conseguenza al successo della corrente di pensiero della new age. L'individuo sviluppa un atteggiamento del tipo “posso riuscirci” e questo lo motiva ad agire per ottenere altri successi.

L'ambiguità del potere.

Gli studiosi dell'organizzazione, anche dopo avere analizzato un gran numero di fonti del potere, non hanno ancora stabilito una definizione di tale fenomeno. Il potere ha caratteristiche in comune con i modelli di dipendenza asimmetrica (due individui hanno un rapporto di dipendenza ma uno dipende maggiormente nei confronti dell'altro). Per potere si in tende inoltre la capacità di un individuo di definire la realtà e di fare accettare tale definizione ad altri individui al fin e di spingere le loro azioni nella direzione desiderata.Ci sono però numerosi aspetti non particolarmente chiari:

il potere è un fenomeno comportamentale interpersonale o dipende da fattori strutturali profondi dell'organizzazione?.

Il potere è una risorsa o un rapporto?. È importante distinguere il potere manifesto da quello potenziale?.

Anche se alcuni elementi non sono estremamente chiari, l'analisi delle diverse fonti di potere ci aiuta a comprendere i giochi di potere e le dinamiche politiche che si sviluppano nell'oirganizzazione.

La gestione delle organizzazioni pluraliste.

Dall'analisi dell'organizzazione come fenomeno politico emerge che ogni individuo mira a realizzare i propri interessi anche a discapito degli altri; gli interessi variano da individuo a individuo, quindi sono contrapposti, da qui il sorgere di conflitti di interesse. Emerge inoltre che gli individui per quanto abbiano interessi diversi, possono anche avere alcuni interessi convergenti e dare vita a una sorta di coalizioni per realizzare un obiettivo comune.Per questo motivo possiamo definire le organizzazioni come “pluraliste”.Il pluralismo è un termine utilizzato dalla scienza politica per indicare alcuni ideali in cui le tendenze autoritarie sono tenute sotto controllo dalla libera interazione tra gruppi di interesse diversi che partecipano al governo.La concezione pluralista ipotizza una società in cui gruppi con interessi diversi contrattano e competono per una divisione più equilibrata degli interessi. Essa si contrappone ad altre concezioni quali quella:

unitaria: concepisce la società come un insieme integrato nel quale gli interessi dello Stato e degli individui coincidono. Sottolinea la sovranità dello Stato e l'importanza che gli individui si sottomettano al suo servizio, in quanto è attraverso la sottomissione che si può realizzare il bene comune e gli interessi del singolo.

Radicale: concepisce la società in termini di interessi di classi contrapposti (risente dell'influenza marxiana). La collettività è divisa in gruppi (per

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ragioni sociali o politiche) con interessi diversi e gli interessi di coloro che sono in posizioni svantaggiate possono essere tutelati modificando la struttura della società e rimuovendo i gruppi dirigenti attuali.

Le organizzazioni di tipo unitario sono quelle che hanno alle spalle una storia di gestione paternalistica e nelle quali si è venuta a creare una cultura del rispetto dell'autorità.Le caratteristiche della radicalità invece le ritroviamo in quelle organizzazione all'interno delle quali è possibile osservare una distinzione razziale o di classe tra i diversi gruppi professionali, ma anche in quelle caratterizzate da una tradizione di relazioni conflittuali tra il management e la forza lavoro.

Le organizzazioni possono essere concepite come piccoli Stati e il rapporto organizzazione/individuo sotto certi aspetti può essere paragonato al rapporto individuo/collettività.I diversi modelli possono essere rapportati in relazione alle organizzazioni nel seguente modo:

Unitario Pluralista Radicale

Interessi

Importanza del raggiungimento di fini comuni.L'organizzazione viene vista come un team di persone unite per il bene comune dell'organizzazione.

Diversità degli interessi di individui e gruppi.L'organizzazione è vista come una coalizione elastica il cui interesse nei confronti dell'obiettivo formale (il bene dell'organizzazione) è limitato.

Contrapposizione di interessi di classi diverse.L'organizzazione è vista come un campo di battaglia nel quale le diverse forze lottano per il perseguimento di fini incompatibili con quelli delle altre forze (es. dirigenti e sindacati).

Il conflitto può Il conflitto è Il conflitto è

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Conflitto

essere risolto attraverso un'opportuna strategia manageriale.La colpa del conflitto viene attribuita ad individui devianti dall'obiettivo comune.

inevitabile nei processi organizzativi e presenta alcuni aspetti potenzialmente positivi o funzionali.

inevitabile in quanto radicato nella storica lotta di classe.Non può essere del tutto eliminato, può essere soppresso quello manifesto ma non viene eliminato quello latente.

Potere

L'approccio tende a tralasciare il concetto di potere per giustificare i processi di direzione e preferisce avvalersi di concetti quali quello di autorità, leadership e controllo.

Il potere è il mezzo per risolvere i conflitti di interesse. L'organizzazione è concepita come una pluralità di titolari di potere (ottenuto da fonti diverse).

Il fenomeno del potere è una caratteristica fondamentale ma esso è distribuito in modo iniquo (divisione di classi).

I tre modelli sono sia strumenti di analisi usati dalle organizzazioni per capire a quale modello si avvicinano maggiormente ma rappresentano anche ideologie organizzative alle quali i dirigenti possono ispirarsi (nel primo caso prevale lo spirito collaborativo, nel secondo caso l'organizzazione accetta di essere frammentata dal punto di vista degli interessi e propone di trovare un accordo per risolvere le divergenze e nel terzo caso si accetta la diversità di interessi ma non si cerca un accordo, tutti sono in guerra contro tutti).Il modello predominante può insediarsi liberamente all'interno dell'organizzazione, ma può anche essere stabilito dal dirigente se considerato come il migliore per soddisfare i propri interessi.A ogni modello corrisponde una diversa concezione della funzione di direzione:

approccio unitario: il dirigente rimarca la sua autorità all'interno dell'organizzazione e al contempo diffonde uno spirito di collaborazione tra i suoi sottomessi per il perseguimento di un fine comune (“tutti per uno e uno per tutti”). Ci si aspetta che i dipendenti svolgano solo ed esclusivamente la loro mansione, si esclude la possibilità di conflitto (se dovesse sorgere viene visto come qualcosa di disfunzionale e indesiderato). Definire il conflitto come una fonte di guai può aiutare a mobilitare l'organizzazione contro i promotori del conflitto. Il dirigente riconosce un unico potere: il suo. I dipendenti non devono avere potere politico, non devono interferire con i processi direzionali. I sindacati sono considerati una maledizione e il perseguimento di obiettivi personali (attraverso l'uso del potere) è considerato un comportamento scorretto. Molte organizzazioni moderne si rifanno a questo approccio (nonostante

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la realtà politica odierna caratterizzata da un continuo conflitto di interessi), dando un'immagine di se più unita e meno caotica delle concezioni pluraliste e radicali.

Approccio pluralista: il dirigente accetta il fatto che i singoli individui hanno interessi diversi e che possano strumentalizzare l'organizzazione per perseguirli. Il ruolo del dirigente di un'organizzazione di tipo pluralista è quello di mediatore degli interessi: da un lato deve cercare di mantenere i conflitti ad un livello accettabile e non troppo caotico e trarre il massimo beneficio da essi (coordinando i diversi interessi al fine di spingere i membri dell'organizzazione nella direzione da lui desiderata), dall'altro deve assicurarsi che un livello di conflitto sia sempre presente per stimolare gli attori dell'organizzazione. Un livello scarso di conflitto renderebbe gli attori dell'organizzazione soggetti passivi, privi di stimoli, mentre un livello accettabile di conflitto viene considerato una caratteristica positiva: esso stimola gli individui a confrontarsi, a trovare punti di incontro (per il bene dell'organizzazione), a prendere decisioni migliori (se in sede di discussione gli individui hanno opinioni diverse, questo li spinge a confrontarsi e ad analizzare tutti i diversi punti di vista della situazione, ad ampliare i loro orizzonti). Il dirigente per mantenere il livello ottimale di conflitto può agire attraverso una pluralità di strumenti. Se i conflitti sono numerosi, si propenderà per tecniche di risoluzione del conflitto o per tecniche atte a incanalare il conflitto nella direzione giusta; se il livello di conflitto è quasi impercettibile, il dirigente può portare allo scoperto conflitti preesistenti (rendendo manifesti i conflitti latenti) o crearne di nuovi.

I diversi stili nella gestione del conflitto:

Sfuggente:

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Tendenza a realizzare gli obiettivi altrui.

Tendenza a realizzare gli obiettivi propri.

Volitivo

Malleabile

Non cooperativo cooperativo

Competitivo

Sfuggente Accomodante

Collaborativi

Compromissorio

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ignora i conflitti sperando che si risolvano da soli. Considera a lungo i problemi. Adotta procedure lente per smorzare il conflitto. Utilizza norme burocratiche come strumento per risolvere il conflitto.

Compromissorio: negozia. Cerca di concludere accordi convenienti. Trova soluzioni soddisfacenti e accettabili.

Competitivo: da luogo a situazioni “vinci o perdi”. Ha un atteggiamento battagliero. Fa giochi di potere per ottenere ciò che vuole. Costringe gli altri a sottomettersi.

Accomodante: si fa da parte. È sottomesso e disponibile.

Collaborativo: è orientato alla risoluzione dei problemi. Condivide con gli altri le proprie idee e le informazioni di cui dispone. Ricerca soluzioni integrative. Trova soluzioni in cui tutti sono vincenti. Considera i problemi come delle sfide.

Quando servirsi di quale stile nella gestione del conflitto.

Competitivo: quando è richiesta un'azione rapida e decisiva (emergenza). Contro coloro che approfittano di atteggiamenti non competitivi. Quando bisogna adottare decisioni poco popolari relativamente a

problemi importanti (taglio dei costi, adozione di normative poco piacevoli).

In presenza di problemi di importanza vitale quando si è sicuri di avere ragione.

Collaborativo: per trovare soluzioni integrative quando gli obiettivi delle controparti

sono troppo importanti per poter dar luogo a compromessi. Quando ci si propone di imparare. Per impegnare tutti accettando di portare avanti tutte le strategie. Per sanare ferite che hanno reso difficili certi rapporti. Per sfruttare le intuizioni di individui con diverse prospettive.

Compromissorio: quando gli obiettivi sono ugualmente importanti ma non vale la pena

combattere fino all'ultimo minuto. In presenza di contendenti dotati di uguale potere e ugualmente

impegnati alla realizzazione dei loro obiettivi. Per trovare soluzioni temporanee a problemi complessi. Per inventare una soluzione quando ce n'è urgenza.

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Soluzione di ripiego quando la collaborazione e la competizione non hanno successo.

Sfuggente: quando si tratta di un problema irrilevante o di importanza secondaria. Quando non si ha alcuna speranza di realizzare i propri obiettivi. Quando per affermare la propria opinione si corre il pericolo di

distruggere tutto. Quando altri possono risolvere meglio il conflitto. Quando i problemi sembrano falsi problemi o sintomi di altri problemi. Quando la raccolta delle informazioni è più importante di una decisione

immediata. Per permettere agli individu9i di calmarsi e vedere il problema da un'altra

prospettiva.Accomodante:

quando ci si rende conto di avere torto, per poter fare emergere altre opinioni, per imparare o per dimostrate che si è ragionevole.

Quando i problemi interessano di più gli altri. Per procurarsi dei crediti in caso di conflitti futuri. Per minimizzare le perdite quando si è meno forti. Quando l'armonia e la stabilità sono di importanza cruciale. Per permettere ai subordinati di crescere imparando dai loro errori.

Potenzialità e limiti alla metafora politica.

Potenzialità.

Nonostante i fenomeni politici stiano alla base della maggior parte delle azioni messe in atto in un organizzazione, questo fatto raramente viene ammesso apertamente; la politica viene discussa solitamente in privato, in presenza di persone fidate o con i membri della stessa coalizione. La politica organizzativa diventa un argomento tabù e di conseguenza risulta difficile trattarlo in maniera esauriente.Ogni aspetto della vita organizzativa trova origine in qualche interesse specifico e la metafora organizzativa aiuta a comprendere il fenomeno che esiste tra il fenomeno politico e quello organizzativo.La metafora politica sfalda il mito della razionalità organizzativa: è vero che una direzione razionale, efficace ed efficiente è fondamentale, ma questa razionalità a favore di chi opera? Tutte le decisioni prese dai dirigenti e spacciate per razionali non sono altro che il frutto degli interessi politici dei dirigenti stessi; queste decisioni sono ovviamente razionali, efficaci ed efficienti ma allo stesso tempo permettono a chi le ha prese di perseguire i propri obiettivo.Inoltre la visione della razionalità può cambiare da individuo a individuo, ciò che può sembrare razionale a una persona non necessariamente è considerato razionale anche dagli altri (per il semplice fatto che non tutti hanno gli stessi interessi e obiettivi).Il concetto di razionalità viene usato per mantenere una certa integrità nell'organizzazione, enfatizzare la razionalità come giustificazione alle decisioni

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prese (cercando di nascondere il fatto che quelle decisioni sono state prese per raggiungere un interesse personale).La metafora politica, a differenza di quella meccanicistica e organicistica (le quali consideravano l'organizzazione come un sistema integrato), considera le organizzazioni per quello che sono, ovvero insiemi disintegrati di persone con interessi differenti.Ulteriore punto a favore deriva dal fatto che questa metafora introduce la variabile politica nell'analisi del comportamento umano. Alla base della maggior parte dei comportamenti c'è un interesse specifico, ovviamente questo non significa che tutte le azioni umane sono spinte dall'egoismo e dalla voglia di realizzare i propri interessi, gli individui sono diversi e le tendenze politiche di alcuni possono essere più marcate di quelle di altri. Infine la metafora ci rende consapevoli del ruolo che le organizzazioni giocano nella società e delle conseguenti implicazioni sociopolitiche (se il nostro Paese è democratico, è giusto che un individuo per otto ore al giorno esegua degli ordini?)

Limiti.

L'analisi dell'organizzazione dal punto di vista politico può portare a un vera e propria politicizzazione del fenomeno organizzativo; questo spingerebbe gli individui a intravedere implicazioni politiche in tutte le azioni umane (gli individui diventerebbero spiriti macchiavellici).Ultimo limite riguarda l'eccessiva enfatizzazione dei principi pluralistici; è vero dire che ogni individuo mira a realizzare i propri interessi e che all'interno di un'organizzazione più di una persona detiene il potere. La metafora politica a volte sopravvaluta il potere dei singoli individui affermando che molti di essi sono dotati di potere (proveniente da fonti differenti).

Il lato negativo: le organizzazioni come strumenti di potere.

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Il progresso e l'evoluzione delle organizzazioni ha avuto da un lato effetti positivi, ma ha prodotto anche effetti negativi.La maggior parte dei cibi che ingeriamo quotidianamente sono raffinati con conservanti, coloranti e scoloranti, correttori di acidità e acidificanti, ma nonostante ciò vengono pubblicizzati: le aziende pagano milioni per pubblicizzare prodotti dannosi per la salute, contribuendo alla diffusione di malattie cardiache, polmonari e in ultimo del cancro (sigarette e altri derivati del tabacco in primis).Il problema che questo non è l'unico danno; le organizzazioni nuocciono anche all'ambiente, con le tonnellate giornaliere di rifiuti e scorie di ogni tipo, che raramente vengono smaltite per via degli altri costi di smaltimento.Molte multinazionali oltre a provocare effetti dannosi per la saluti e l'ambiente, calpestano anche le libertà delle popolazioni dei paesi in cui instaurano le loro filiali.Il problema di fondo è che tutto questo non viene impedito; la diffusione di malattie, il degradamento ambientale e gli incidenti sul lavoro sono considerati un aspetto inevitabile.L'immagine dell'organizzazione che ha come obiettivo il soddisfacimento degli interessi di tutti maschera la realtà: le organizzazioni spesso e volentieri tralasciano aspetti estremamente importanti (inquinamento, danni alla salute), quindi i loro prodotti non soddisfano l'interesse di tutti, bensì quello di una percentuale della popolazione.

L'organizzazione e il dominio.

Il fenomeno organizzativo viene ricollegato ai processi di dominio sociale, caratterizzati dall'elaborazione, da parte di singoli individui o di gruppi, di strumenti per imporre la propria volontà agli altri. Questi processi si sono verificati nel corso dei secoli e si sono evoluti fino al giorno d'oggi.Basti pensare alla nascita degli eserciti (un esercito è costituito da individui che eseguono gli ordini di qualcuno che sta sopra di loro) e alla costruzione delle piramidi; nella costruzione della piramide di Giza sono stati impegnati un numero esorbitante di persone, anche se andrebbero definiti schiavi, per il posizionamento di 2300 blocchi, tutti trasportati a mano per molte miglia. Per questo motivo la storia della sua costruzione viene spesso utilizzata come metafora dello sfruttamento.Nelle organizzazioni moderne i dipendenti non sono più schiavi in quanto hanno acquisito dei diritti (diritto di sciopero, diritto alle dimissioni) e sono salariati. I capi sono perlopiù azionisti e non faraoni, ma siamo sempre in presenza di una situazione tale che lo sforzo di molti reca beneficio a pochi.Tra gli studio9si di questo aspetto della realtà organizzativa ricordiamo Weber, Robert Michels e Karl Marx.Weber concentrò particolarmente la sua attenzione sulla funzione della burocrazia nei processi di dominio e sull'analisi delle diverse forme di burocrazia che hanno caratterizzato le diverse epoche storiche. Secondo lui il dominio può realizzarsi sia attraverso l'uso diretto della minaccia e della forza, sia attraverso forme più sottili quali la legittimazione (esercizio del potere da parte di un individuo riconosciuto dalla società), in base alla quale il

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governante si sente in diritto di governare e i governanti si sentono in dovere di obbedire. Weber individua tre tipi di autorità:

Carismatica: il capo riesce a comandare sulla base di qualità personali. I subordinati hanno fiducia in quella persona e lo legittimano a comandare. La burocrazia è poco articolata e instabile e solitamente è costituita da un numero ristretto di persone di fiducia del capo.

Tradizionale: il capo è legittimato a comandare dal rispetto della tradizione e del passato (ad esempio nella monarchia assoluta). Il governante può avvalersi di due tipi di burocrazia, quella patriarcale nella quale gli amministratori rispondono delle loro azioni direttamente al capo e sono pagati (solitamente parenti o persone di fiducia) e quella feudale, nella quale gli amministartori hanno una certa indipendenza, nel senso che in cambio della fedeltà al capo viene loro riconosciuta un'autonomia in settori ben delimitati (ma non vengono pagati).

Razionale – legale: l'autorità è regolata da leggi e procedure; il potere è legittimo solo se si ottiene nel rispetto di quelle leggi e attraverso le procedure previste. La burocrazia è una struttura razionale – legale e l'autorità è posta al vertice di essa.

Weber rileva che i tre tipi di dominio raramente sono riscntrabili in forma pura, le organizzazioni tendono a presentare delle forme di dominio miste e per questo motivo al loro interno è riscontrabile un certo livello di tensione. Secondo Weber la burocratizzazione delle organizzazioni è una minaccia alle libertà e ai valori social – democratici umani, in quanto coloro che sono al vertice strumentalizzano la burocrazia per perseguire gli interessi a lo cari e non gli interessi della massa.Per questo motivo la burocrazia potrebbe trasformarsi in una gabbia di ferro, se l'amministrazione è totalmente burocraticizzata chi sta al vertice ha una sorta di potere inammovibile.Anche Michaels è sulla stessa linea di pensiero, egli teme il fatto che spesso le organizzazioni vengano controllate da una cerchia ristretta di person, dando vita a una sorta di oligarchia (che letteralmente significa “Governo dei pochi”; il filosofo Aristotele temeva questa forma di governo non perché antidemocratica, ma perché i pochi che detenevano il potere o non ne avevano il diritto, o lo facevano infrangendo la legge o abusavano del loro potere).Egli afferma che tendenzialmente coloro che arrivano al potere cercano di portare a termine i loro interessi e non quelli della collettività; la democrazia diventa così una facciata dietro alla quale si nasconde ciò che in realtà è l'oligarchia.Come già visto nella metafora politica spesso le azioni realizzate dai capi vengono giustificate con il principio di razionalità quando in realtà sono spinte da un'interesse specifico.

Le organizzazioni e lo sfruttamento dei dipendenti.

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Per comprendere questo aspetto della vita organizzativa possiamo rifarci al dramma di Arthur Miller “Morte di un commesso viaggiatore”. Willy Loman è un commesso viaggiatore dell'azienda Wagner, che per trentaquattro anni ha consegnato i prodotti dell'azienda per tuta la Nuova inghilterra. Inizialmente aveva accettato positivamente il lavoro (pagato 65 dollari alla settimana), che gli permetteva di mantenere la sua famiglia. Dopo 34 anni, e vari esaurimenti nervosi dovuti ai ritmi del lavoro, provò a chiedere al titolare dell'azienda uno spostamento a New York, dove viveva la sua famiglia, ricevendo però una risposta negativa. Tentò quindi di accontentare il suo titolare chiedendo si un trasferimento, ma proponendo anche una riduzione della sua paga settimanale, i suoi figli erano cresciuti e si erano resi indipendenti e lui e sua moglie potevano vivere anche con meno. Non servì a nulla, la conversazione termino con il licenziamento di Willy che si sentì dire “l'azienda non ha più bisogno di te”.L'azienda che per anni lo aveva sfruttato e succhiato come un frutto adesso stava gettando via la buccia. Willy si suicidò.Questo è ovviamente un caso estremo ma serve a fare capire come le organizzazioni sfruttino i dipendenti, prendano finché è possibile e poi li gettino via quando li considerano ormai inutili. Ecco perché al giorno d'oggi molte persone ancora in età lavorativa si ritrovano senza lavoro e quasi senza possibilità di trovarlo, data la loro età.Spesso si sente parlare di piani di prepensionamento, che colpiscono perlopiù i dirigenti o comunque persone importanti all'interno dell'organizzazione. Anche se le organizzazioni cercano di indorare la pillola attraverso cerimonie di addio e pensioni elevate, l'ego dei dirigenti prepensionati risulta scosso. Il motivo che spinge molte organizzazioni ad attivare questi piani deriva dal fatto che molti di questi dirigenti sono in possesso di informazioni chiave, e se venissero semplicemente licenziati potrebbero come contromossa divulgare queste informazioni. Il prepensionamento serve in poche parole a dare loro il contentino e a pagare il loro silenzio.

Organizzazioni, classi e controllo.

Le origini della struttura gerarchica nelle organizzazioni moderne ha le sue radici nella storia. Basti pensare a quelle società antiche in cui una classe predominava sugli altri (solitamente in seguito a un processo di conquista); con il tempo tra la classe dominante e quella dominata si instaurò una sorta di classe intermedia, costituita da individui che offrivano favori alla classe dominante ma non partecipavano alle attività produttive dirette. Nelle organizzazioni moderne riscontriamo la presenza di queste tre classi: quella dominante, costituita dai proprietari, quella intermedia costituita dai dirigenti e quella dominata costituita dai lavoratori.Per comprendere meglio il fenomeno della divisione in classi possiamo analizzare il processo di industrializzazione che ha interessato l'Inghilterra a partire dal 1760 e gli USA nei primi anni dell'ottocento. L' Inghilterra del 1760 fondava la sua economia prettamente sull'agricoltura, mentre erano secondarie le attività minerarie, edilizie e le botteghe gestite da piccoli artigiani. Quest' ultime erano organizzate in corporazioni (la corporazione

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stabiliva chi poteva avere accesso e il livello salariale) e al loro interno i dipendenti erano divisi in livelli: il maestro, il giornaliero e l'apprendista.I produttori capitalistici misero in atto provvedimenti volti a eliminare le incertezze dell'impresa familiare di fronte a un mercato in continua espansione; la produzione avveniva per mezzo delle fabbriche, situate prevalentemente in città, e i proprietari delle piccole imprese familiari diventarono dipendenti salariati delle grandi fabbriche.Negli Usa lo sviluppo industriale si avviò intorno ai primi dell'800. La popolazione era concentrata per lo più nelle zone rurali e l'80% di essa era impegnata nell'agricoltura (di cui il 20% schiavi e lavoratori a contratto) e il restante 20% era costituito da proprietari e professionisti.Con l'avvento del capitalismo e dell'industria si assistette alla diffusione del lavoro salariato e anche coloro che prima erano artigiani si ritrovarono a diventare dipendenti in quanto non potevano reggere la concorrenza delle grandi fabbriche.Il capitalismo si sviluppa grazie alla presenza di forza lavoro salariata, preferita alla schiavitù e al subappalto; la prima perché inefficiente, il secondo perché le perdite di profitto da esse derivanti non dipendevano direttamente dalla produzione, ma dal modo in cui il mercante era in grado di adempiere alle consegne e a mantenere gli standard qualitativi (il mercante acquista beni prodotti da altri e li rivende aumentando il prezzo di una percentuale che rappresenta il suo profitto).Il profitto del capitalista dipende invece direttamente dalla produzione; egli deve controllare attentamente che tutte le mansioni vengano svolte in maniere corretta se vuole realizzare un profitto soddisfacente.L'espansione delle fabbriche e l'incremento del lavoro salariato ha portato a una suddivisione dei lavoratori in base alle mansioni da loro svolte: i dipendenti primari o qualificati e quelli secondari o non qualificati. Negli anni successivi alla rivoluzione però i capitalisti modificarono la struttura delle organizzazioni, propendendo per una standardizzazione delle mansioni, i dipendenti qualificati vennero così sostituiti con quelli non qualificati che costavano meno (che costituivano l'80% dei dipendenti).Nelle organizzazioni moderne i dipendenti primari sono i dirigenti e coloro che hanno specifiche competenze in relazione alle diverse aree dell'organizzazione, sono elementi8 chiave e per questo motivo assunti con contratti solitamente a tempo indeterminato (anche se negli ultimi anni nonostante le loro capacità vengono assunti con contratti di lavoro a tempo determinato); i dipendenti secondari sono quelli non qualificati quali segretarie e operai, assunti perlopiù con contratti a tempo determinato per favorire la flessibilità dell'azienda e quindi il suo adattamento alle fasi del ciclo economico (in recessione si diminuisce il numero di dipendenti e viceversa).I lavoratori hanno status differenti che rispecchiano la vecchia divisione in classi.

Rischi, malattie professionali e incidenti sul lavoro.

In un capitolo dell'opera “Capitale”, Karl Marx descrive le condizioni in cui i capitalisti di quel tempo facevano lavorare i loro dipendenti; il tutto è dimostrato e testimoniato dalla documentazione dell'ispettorato del lavoro e del tribunale.

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In un industria di Nottingham bambini di età compresa tra nove e dieci anni lavoravano circa 20 ore al giorno per un salario da fame. Sempre basandosi su documentazioni ufficiali, nell'opera viene trattata la situazione dell'industria della ceramica; molti dipendenti del settore erano affetti da malattie polmonari (sono stati letti i referti medici) e in base allo studio di tre medici venne notato come ogni generazione successiva di lavoranti nel settore della porcellana fosse meno robusta della precedente, arrivando addirittura a osservare persone affette da malformazioni e invecchiamento prematuro.Nelle fabbriche produttrici di fiammiferi la maggior parte dei lavoratori era costituito da bambini e da giovani minorenni, sottoposti a duro orario di lavoro e spesso infettati da tetano (malattia molto diffusa nella lavorazione dei fiammiferi).Nell'industria della carta da parati donne e bambini erano costretti a lavorare sedici ore al giorno senza pausa pranzo.Questi sono solo alcuni degli esempi riportati nell'opera.Ovviamente la situazione odierna non è nemmeno paragonabile a quella dell'ottocento; le nuove normative impongono il risarcimento degli infortuni sul lavoro, prevedono la mutua, ma per arrivare a questa situazione ci sono voluti decenni (anche se oggi ogni giorno 17 persone muoiono per un incidente sul lavoro, 16000 si feriscono e 137 risultano affette da malattie riconducibili al loro lavoro).Il problema alla base di tutto è che la prevenzione sanitaria e antinfortunistica comporta costi elevati, il che va contro i principi di efficienza e molte azienda prima di adottare le dovute misure hanno aspettato che l'incidente o la morte sul lavoro si verificasse.Per ciò che concerne la salute dei lavoratori, spesso risulta difficile dimostrare che le malattie del dipendente sono direttamente collegate al lavoro che svolge.Le aziende di oggi utilizzano migliaia di prodotti chimici e la metà di essi risulta essere tossica (se usata singolarmente, si può immaginare cosa possa derivare dalla loro combinazione).Da uno studio è emerso che il 78% dei lavoratori è sottoposto ogni giorno a un qualche rischio.Il caso più palese e meglio ricordato di malattie causate dalle condizioni di lavoro è quello dell'industria dell'amianto (si stimano 50000 morti all'anno negli USA). Nel libro “Death on the job” si racconta la storia di Marco Vela, operaio di una fabbrica di amianto, che ha iniziato a lavorare nel 1935. nel 1959 l'azienda decide di sottoporre i dipendenti a un controllo periodico dei polmoni:

1959: a Vela viene riscontrata una malattia ai polmoni riconducibile al suo lavoro ma non viene informato.

1962: altro controllo del medico aziendale, dalla radiografia risulta una malattia polmonare ma ancora una volta non viene informato.

1965: viene diagnosticata una forma di cancro ai polmoni, ma non viene informato.

1968: Alla visita periodica vela lamenta di avere la tosse e l'affanno. La radiografia evidenziò un'anomalia nei polmoni ma non venne nuovamente informato.

Tempo dopo Vela venne ricoverato in ospedale e morì.

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Questo perché all'epoca molte aziende preferivano risarcire direttamente i famigliari dell'infortunato piuttosto che sostenere annualmente e per ogni operaio costi per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro.Questi rischi oggi sono visti come una componente collaterale e inevitabile dello sviluppo industriale; il rischio spesso deriva dalle caratteristiche strutturali dell'impresa o dall'impiego di prodotti tossici (necessari per la produttività o la competitività) e la salute dei dipendenti viene messa in secondo piano rispetto ai criteri di economicità.L'impresa preferisce risarcire il diretto interessato piuttosto che sostenere costi per migliorare le condizioni di sicurezza; alcune aziende chiamano appositamente ispettori della sicurezza, i quali si trovano tra l'incudine e il martello, da un lato l'impresa che offre loro lavoro e dall'altra i dipendenti che a volte lavorano in condizioni non proprio ottimali.Le aziende a volte cercano di mascherare il numero di incidenti sul lavoro, ad esempio chiedendo al dipendente infortunato di venire lo stesso a lavoro ma spostandolo a una mansione più semplice.

Ubriacarsi a lavoro.

Se i dipendenti secondari sono i più esposti a malattie collegate al loro lavoro e a infortuni dovuti alla struttura aziendale, i dipendenti primari sono esposti ad altri rischi, primo tra tutti il rischio stress.Le malattie cardiache sono chiamate “il killer dei dirigenti” in quanto colpiscono coloro che sono maggiormente sottoposti a stress (anche i dipendenti secondari comunque). Diverse sono i fattori che determinano il livello di stress:

condizione di lavoro. Status del dipendente. Aspirazioni di carriera. Clima aziendale.

La personalità ambiziosa, competitiva, efficiente spesso è quella più sottoposta a stress (come le persone che stanno intorno ad essa). Coloro che vogliono apparire bene agli occhi del capo e fare carriera, danno il 100% sul lavoro, fanno straordinari per portare a termine i loro compiti il prima possibile.Non sempre i dirigenti apprezzano il lavoro da loro svolto, le promozioni aspettate non sempre arrivano, e questo li spinge a lavorare ancora di più.Lo stress accumulato in alcuni casi può sfociare in violenza fisica sul lavoro, negli USA ogni mese 5/6 datori di lavoro vengono uccisi.Lo stress causato dal lavoro influisce anche sulle relazioni personali del dipendente; un dipendente estremamente impegnato nel suo lavoro e con ottime prospettive di carriera tende a concentrare i suoi sforzi sul lavoro e a sacrificare il proprio tempo libero. Di questa situazione ne risentono tutte le persone che gli stanno intorno, la famiglia prima di tutto. Il tempo libero viene speso lavorando, sacrificando le esigenze famigliari (spesso per fare carriera si accettano i continui trasferimenti di sede).La situazione si complica ancora di più se sia marito che moglie sono persone estremamente ambiziose, pronte a sacrificare tutto per fare carriera.Ne risultano così individui ubriachi dal lavoro, il lavoro diventa una droga e questo porta a squilibri della personalità.

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Politica organizzativa e organizzazione radicalizzata.

Le organizzazioni occidentali sono state caratterizzate da una cultura di tipo radicale fino agli anni novanta, quando le lotte di classe sono giunte al culmine e i continui tagli aziendali hanno spinto la classe dirigente quasi sullo stesso piano della classe operaia.L'approccio radicale prevede una netta distinzione tra dirigenti e operai, i primi chiamati colletti bianchi e gli ultimi colletti blu. La classe dirigente guadagna di più lavorando di meno, al contrario della classe operaia. I dirigenti lavorano in condizioni migliori rispetto agli operai che sono continuamente esposti a rischi sanitari e fisici.Molte aziende radicalizzate tendevano a marcare questa differenza, addirittura dirigenti e operai pranzavano in due mense diverse: quella dirigente con tavole imbandite e vino, serviti da cameriere in uniforme e quella operaia caratterizzata da lunghe tavolate spoglie e servizio self-service. I dirigenti avevano prospettive di lavoro più lunghe rispetto agli operai, che spesso venivano assunti con contratti a breve termine; era inutile all'epoca parlare di team di lavoro quando l'operaio non aveva nemmeno la certezza che avrebbe lavorato la settimana successiva. Gli operai non si sentivano parte di un team unitario, in cui tutti lavorano per perseguire lo stesso obiettivo, l'operaio si sentiva sfruttato dall'organizzazione e tendeva a dare vita a coalizioni con gli altri operai per cercare di ottenere qualcosa di più dai datori di lavoro.È in questo periodo che il sindacalismo si diffonde, la classe operaia è supportata dai sindacati che curano i suoi interessi, scontrandosi spesso con le organizzazioni.I tagli al budjet del '90 spingono i colletti bianchi quasi nella stessa situazione dei colletti blu, lavori precari, stipendi poco soddisfacenti. In questo periodo tende a prevalere l'approccio pluralista.

Le multinazionali e l'economia mondiale.

L'economia mondiale è condizionata da aziende enormi che prendono il nome di multinazionali (rappresentano il 70% del commercio mondiale); fino agli anni '70 l'egemonia apparteneva agli USA, in seguito si affermò anche il Giappone. Le multinazionali operano prettamente in settori quali quello automobilistico, elettronico, assicurativo, dei carburanti e in misura minore anche in altri settori.Il fenomeno delle multinazionali lo ritroviamo già nel XV secolo nello Stato di Venezia che gestiva tutta una serie di operazioni finanziarie, ma è alla fine del XVIII secolo che si verifica la proliferazione.Inizialmente si trattava di multinazionali specializzate in un settore specifico, che detenevano una sorta di monopolio in quel settore, ma con le leggi antitrust del XX secolo si verifica la tendenza alla diversificazione dei settori. Queste multinazionali hanno un portafoglio prodotti diversificato, cosicché se un mercato fosse in declino, possono contare sugli altri; operano in più nazioni, quindi sono a contatto con situazioni economiche differenti e effettuano investimenti all'estero al fine di proteggersi dalle fluttuazioni economiche (se operassero in un solo Paese e in esso si verificasse una crisi,

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comprometterebbero i loro profitti. Operando in più Paesi ovviano a questo problema).Alcune multinazionali si sono sviluppate nel tempo (configurandosi come dei piccoli Stati), espandendo la loro attività ad altri settori, altre invece si sono sviluppate attraverso una serie di operazioni finanziarie dando vita a conglomerati aziendali (come negli anni 60 dato il boom della borsa in seguito alla guerra del Vietnam).

Le multinazionali: strutture mondiali di potere.

Date le loro dimensioni e i settori da loro controllati, le multinazionali si configurano come dei piccoli Stati indipendenti. In genere sono costituite da una sede centrale e da una serie di filiali dislocate in diversi Stati. Il potere è fortemente centralizzato, le filiali hanno una scarsa autonomia e comunque anche le decisioni prese autonomamente dai dirigenti delle filiali devono essere riferite alla sede centrale e devono essere compatibili con la strategia aziendale. La centralizzazione del potere è attuata attraverso un severo controllo sulle filiali, sulla distribuzione delle materie prime e delle altre risorse. Anche le risorse umane sono gestite o comunque controllate dalla sede.La burocrazia della multinazionale è quella che preoccupa maggiormente Weber, in quanto attraverso il suo potere è in grado di influenzare non solo il settore economico, ma anche l'ambiente politico e sociale.Anche se nel XX secolo sono state introdotte le leggi antitrust allo scopo di limitare il potere delle multinazionali e di evitare che queste detenessero il monopolio in specifici settori, questo non ha impedito a molte aziende di ovviare a tali limitazioni. Molte multinazionali hanno optato per accordi di partnership con altre aziende, preferendo la collaborazione alla competizione, hanno stretto accordi volti a definire il mercato di azione delle singole aziende in modo equo, al fine di evitare la competizione tra le stesse (ogni azienda poteva lavorare in quel determinato mercato ma non poteva invadere il mercato dell'altra). Sono stati stretti accordi di joint venture e consorzi (con la joint venture due o più aziende si impegnano a collaborare e sfruttare le risorse a loro disposizione per la creazione di una nuova tecnologia. Se questo accordo è stretto tra un numero elevato di imprese si parla allora di consorzi).Se inizialmente le multinazionali operavano con l'estero, negli ultimi 50 anni oltre che a operare con alcuni Paesi, hanno costituito delle filiali in quei Paesi, cosicché potessero esercitare meglio la loro influenza.L'influenza non è solo economica ma anche politica: spesso le multinazionali riescono a incidere sulle decisioni del Governo o mettono in atto comportamenti atti a far si che la situazione politica vada come vogliono loro. Ne è stato un'esempio nel 1970 il coinvolgimento della Itt nella politica del Cile, per impedire l'ascesa al potere del presidente marxista Salvador Allende. La Itt d'accordo con la Cia creò una situazione di totale caos in Cile al fine di favorire un vero e proprio colpo di Stato da parte della popolazione e arrivò a offrire una somma cospicua alla Casa Bianca in cambio di aiuto nel fermare Allende.A volte le multinazionali hanno più potere politico dell'elettorato attivo.

Le multinazionali: una storia di sfruttamento?.

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Il dibattito sul ruolo delle multinazionali è costantemente acceso; da un lato alcuni sostengono che gli effetti delle multinazionali nei paesi in cui esse sono instaurate siano positivi, in quanto la multinazionale porta lavoro e offre tecnologie e conoscenze, dall'altro si sostiene che le multinazionali siano entità in grado di influenzare l'ambiente in cui operano e di sfruttare il territorio in cui si insediano e la rispettiva popolazione.Da un lato è vero che la multinazionale porta offerta di lavoro, ma c'è sempre il rovescio della medaglia: quando le multinazionali trasferiscono le loro filiali da un Paese a un altro le conseguenze negative si ripercuotono sul Paese abbandonato: milioni di persone rimangono senza lavoro, lo Stato per far fronte alla situazione stanzia in bilancio cospicue somme a favore dei disoccupati con le dovute conseguenze sull'intero sistema economico del Paese.Le multinazionali tendono a “spolpare” il Paese fino a che è possibile, ma quando le risorse iniziano a scarseggiare o quando le stesse risorse in un altro Paese costano meno, gli stabilimenti vengono chiusi e la filiale trasferita. Questo perché le imprese ragionano secondo il criterio di economicità (essendo enti razionali) e mirano a perseguire obiettivi di efficacia e efficienza e questo le spinge a cercare continuamente fonti di riduzione dei costi (ecco perché molte di esse hanno filiali in paesi poco sviluppati dove il costo della manodopera è quasi nullo).Negli ultimi anni molte filiali sono state trasferite dal Nord USA al Sud, ma anche in Sud america (Brasile, Messico). Per lo Stato ospitante la chiusura di una multinazionale ha effetti sull'intera economia. Alcuni Stati hanno adottato misure che limitassero lo sfruttamento delle risorse del territorio da parte delle multinazionali, ma più un'impresa viene limitata, più è spinta a spostarsi. La maggior parte delle multinazionali dislocate in Paesi in via di sviluppo tende a reperire le risorse a basso costo in quei Paesi ma a spostare la loro lavorazione in altri, dove magari la tecnologia disponibile permette di raggiungere standard qualitativi e quantitativi più elevati. Questo ha spinto i Paesi ad adottare misure tali da impedire il verificarsi di queste situazioni, impedendo l'esportazione di alcune materie prime in altri Paesi, al fine di evitare che la lavorazione avvenga in altre sedi.L'avvento delle multinazionali in alcuni Paesi ha riportato le condizioni che avevano caratterizzato il periodo della Rivoluzione industriale. Le grandi imprese propendono per una manodopera di tipo non qualificato e realizzano prodotti a costi inferiori. Gli operai qualificati non ricevevano offerte di lavoro, a meno che non accettassero di svolgere mansioni non qualificate e così fu. I piccoli artigiani non potevano competere con le multinazionali in termini di costi, efficacia ed efficienza , quindi da artigiani si trasformarono in operai salariati.Ancora, le multinazionali hanno modificato i settori di attività in alcuni Stati; Stati che prima basavano la loro economia sul settore primario, oggi si ritrovano a ospitare imprese che producono beni di esportazione e che insediano le loro filiali nelle aree che prima erano dedicate all'agricoltura e all'allevamento. La produzione di generi alimentari si è via via ridotta, provocando un aumento dei prezzi di quei prodotti (troppa richiesta rispetto alla produzione, ricorso alle importazioni di generi alimentari).La tendenza delle multinazionali è quella di spostare le loro sedi dai Paesi sviluppati, nei quali i dipendenti sono protetti dai sindacati e dallo Stato, ai paesi

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sottosviluppati, dove donne e bambini vengono costretti a turni di 16 ore per uno stipendio minimo, vista l'assenza di sindacati.Anche se le multinazionali dicono di portare beneficio in questi paesi, in realtà quello che ottengono è nettamente superiore rispetto a quello che danno: al capitale investito in quei paesi corrisponde un ritorno economico dell' 80% circa!Ulteriore critica: il fatto che un'impresa esporti una tecnologia in un altro Paese non significa necessariamente portare beneficio: spesso nelle filiali dei Paesi in via di sviluppo vengono piazzate le tecnologie che nei paesi all'avanguardia risultano obsolete o non sono più compatibili con i livelli di sicurezza previsti dalla legge.Ancora, le multinazionali riescono a occultare i loro guadagni: nei Paesi in cui la tassazione è bassa dichiarano quasi tutto, in quelli in cui l tassazione è alta, delle merci in entrata fatturano solo quelle ad alto costo e dei prodotti in uscita fatturano quelli a prezzo elevato, facendo così risultare perdite inesistenti. A volte i fondi vengono trasferiti dai Paesi ad alta pressione fiscale a quelli a bassa pressione fiscale.Ma non è tutto qui, consapevoli del fatto che i Governi ospitanti hanno interesse a mantenere localizzate li le filiali, le multinazionali spesso ricorrono a “ricatti” per ottenere trattamenti di favore.Quindi:

le multinazionali dicono di portare sviluppo nei paesi sottosviluppati, quando in realtà li sfruttano finché è possibile e poi si trasferiscono.

Dicono di portare tecnologie all'avanguardia, ma in realtà portano le tecnologie che per i paesi sviluppati sono ormai obsolete (è ovvio che per quelli in via di sviluppo sembrano ipertecnologiche).

Le multinazionali sono in grado di esercitare il loro potere influendo sull'economia, sulla politica ma anche sul sistema sociale.

Le multinazionali piazzano le loro filiali dove conviene, dove cioè il rapporto costo/opportunità è soddisfacente.

Giocano sul loro ruolo all'interno degli Stati per ottenere trattamenti di favore da parte dei Governi.

Ma la colpa non è solo delle multinazionali, è anche dei Governi che accettano le loro condizioni. Spesso aziende e Governi stringono accordi tali da favorire l'attività della multinazionale anche a discapito della società, questo secondo l'approccio radicale che sottolinea la netta differenza di potere tra governanti e governati. Secondo altri approcci le multinazionali porterebbero perlopiù benefici.

Potenzialità e limiti alla metafora del dominio.

Le conseguenze negative delle organizzazioni sui dipendenti o gli effetti delle multinazionali sul sistema economico, politico e sociale di un Paese possono essere visti come fenomeni non voluti e come conseguenze inevitabili di uno

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sviluppo industriale. Si tratta di conseguenze di decisioni razionali attuate per il perseguimento di obiettivi specifici quali l'incremento di produttività.La metafora del dominio ci offre un'analisi del duplice aspetto della razionalità: da un lato una decisione razionale permette il perseguimento di obiettivi di profitto di un'organizzazione ma dall'altro ha effetti negativi su tutta una serie di altri fattori. Se da un lato è razionale e conveniente chiudere uno stabilimento perché poco redditizio, dall'altro questa decisione avrà effetti sulla società (molte persone rimarranno senza lavoro) e sull'economia.L'agire secondo la razionalità può rappresentare una forma di dominio che porterà benefici solo a coloro che attuano la decisione. Potenzialità.

La metafora è uno strumento che ci permette di ragionare sul dominio delle organizzazioni, che spesso deriva dalle conseguenze non intenzionali delle azioni delle organizzazioni.Analizzando le conseguenze negative delle azioni messe in atto dalle organizzazioni permette di elaborare teorie a favore degli sfruttati.Dal punto di vista dell'approccio radicale, ci offre un'idea del modo in cui la divisione di classe vine attuata (e attraverso quali azioni questa divisione viene marcata es: divisione delle mense).Sfata il mito secondo il quale le organizzazioni sono al servizio della società, in realtà le organizzazioni anche se involontariamente mettono in primo piano i loro interessi.

Limiti.

La metafora sottolinea quasi in modo eccessivo la differenza tra la classe dominante e quella dominata, enfatizzando che tutte le azioni della prima siano a discapito della seconda. Anche se in parte è vero, non sempre la classe dirigente attua cospirazioni contro la società.Come è vero che le azioni statali e i Governi tendono a favorire gli interessi della classe dominante, non è sempre vero che esiste una congiura nei confronti degli altri gruppi sociali.Anche se l'aspetto radicale giudica le conseguenze delle azioni organizzative come volontarie, non sempre questo è vero. Come già detto alcune conseguenze negative sono involontarie (ma il radicalismo fornisce un interpretazione tale che esse appaiano come volontarie).La metafora si concentra sul rapporto dominio/organizzazione, tralasciando il fatto che possono esistere forme di organizzazioni non dominanti.La metafora è elaborata ponendo l'accento sul radicalismo esistente all'interno delle organizzazioni. Concentra la sua attenzione quindi solo sugli aspetti negativi dell'organizzazione.

Quali lezioni trarre per la pratica.

La sfida della metafora.

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Le organizzazioni sono allo stesso tempo: un fenomeno complesso. Un fenomeno paradossale.

Ogni situazione è il prodotto di forze e dimensioni diverse, tutte di eguale importanza, per questo motivo i manager aziendali si trovano di fronte a sfide complicate.Le metafore dell'organizzazione ci aiutano a comprendere i diversi fenomeni organizzativi, ma nessuna è in grado di risolvere i problemi che quotidianamente l'impresa deve affrontare; o meglio, è in grado di risolvere i fenomeni oggetto della metafora, ma ogni metafora ha dei limiti e alcuni aspetti non vengono presi in considerazione, quindi fornisce un immagine non equilibrata della realtà.Le metafore offrono contributi limitatamente a un aspetto della vita organizzativa. Il management può decidere di prendere spunto da una di queste metafore, rendendosi però conto che la loro applicazione pratica spesso ha dei limiti. Partendo dal presupposto che i contesti in cui operano le organizzazioni sono variabili, spesso le metafore vengono adottate a seconda delle situazioni in cui l' organizzazione si trova, per poi essere cambiate nei periodi successivi, le metafore sono una moda. Se da un lato la metafora fornisce spunti per vedere la realtà, dall'altro limita la visione della realtà stessa offuscandola.

Le metafore ci offrono degli strumenti per concepire e strutturare la vita organizzativa.

Come già detto l'organizzazione è un fenomeno complesso; ogni metafora può fornire un'interpretazione diversa per lo stesso fenomeno. Se un fenomeno viene analizzato dal punto di vista della struttura, si riesce a comprendere l struttura, se si analizza dal punto di vista politico, si comprenderanno tutti i fenomeni politici a esso legati. La realtà appare quindi differente a seconda delle prospettive dalle quali la si osserva.Partendo dal presupposto che le metafore offrono si spunti di valutazione, ma hanno anche dei limiti, per il management analizzare un fenomeno solo da un determinato punto di vista preclude altre ricchezze e possibilità.

Vedere, pensare e agire in modo nuovo.

La conoscenza delle metafore è utile all'analisi dei fenomeni organizzativi. Anche se ogni metafora fornisce un'analisi dettagliata da un solo punto di vista, le altre metafore integrano quella precedente e permettono di superarne i limiti, fornendo al management nuovi spunti di azione.Vedere una stessa situazione da più punti di vista differenti permette di ampliare i propri orizzonti di azione, superando i limiti di un'analisi da un unico punto di vista.Nell'elaborare una teoria metaforica è necessario adottare un approccio aperto, riconoscendo i limiti della metafora elaborata; questo porterà alla creazione di nuove teorie metaforiche per superare i limiti della precedente e così via. Il management quindi può essere visto come un unica grande metafora.

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Capire e dare forma alla fenomenologia organizzativa.

Di fronte a un caso concreto, bisogna riuscire a valutare il caso attraverso i contributi offerti dalle diverse metafore e riuscire a integrarli e a sfruttarli.Con un esempio pratico possiamo analizzare due modi differenti di risolvere una situazione.

Caso pratico: la Multicom

La Multicom è una società di 150 dipendenti operante nel settore delle pubbliche relazioni, fondata da Jim Walsh, esperto in marketing e Wendy Bridge, esperto in pubbliche relazioni, entrambi colleghi in un impresa di medie dimensioni operante nel settore delle comunicazioni.Prima di dimettersi e aprire la Multicom, avevano convinto altri due colleghi a collaborare con loro. La Multicom era così divisa:

Jim Walsh, esperto marketing, 40%. Wendy Bridge, esperto pubbliche relazioni, 40%. Marie Beaumont, produttrice di filmati, 10%. Franck Rossi, editor e scrittore, 10%.

Agli inizi i profitti non furono soddisfacenti vista la spietata concorrenza nel settore, l'azienda lavorava con i clienti che i quattro soci avevano portato via all'impresa per cui lavoravano prima, ma lavorando sodo riuscirono ad avviare la loro attività arrivando a guadagnare ciascuno più del doppio di quanto guadagnassero prima come dipendenti. I quattro soci prevalsero per un modello orientato al cliente, ognuno di loro si occupava di un determinato pacchetto clienti. Per ciò che concerne la divisione dei ruoli all'interno dell'organizzazione, tutti sapevano svolgere i diversi ruoli, cosicché potessero sostituirsi tra di loro in caso di necessità. Lo stesso si faceva con i dipendenti, a ognuno veniva insegnato come svolgere tutti i ruoli, un procedimento molto lungo dal punto della tempistica ma efficace dal punto di vista della flessibilità dell'organizzazione: il personale spesso si trovava fuori dall'organizzazione per curare le relazioni con i clienti edera necessario che chi rimaneva all'interno sapesse svolgere tutti i compiti vari ed eventuali. Grazie a questo, vigeva all'interno dell'organizzazione un grande spirito collaborativo, tutti si sentivano utili allo stesso modo e tutti si sentivano parte di un unico team.Tutto andò bene fino al terzo anno, quando i due soci di maggioranza, stufi degli orari di lavoro prolungati che non permettevano loro di dedicare abbastanza tempo alla vita personale, proposero un cambiamento.Walsh e Bridge volevano modificare la struttura dell'organizzazione attraverso un maggior controllo sui dipendenti che erano sempre fuori dall'ufficio a curare le relazioni e una suddivisione precisa dei compiti e non caotica com'era stata fino ad allora. Beaumont e Rossi non erano d'accordo (erano giovani e non avevano ancora messo su famiglia, sarebbero stati contenti di aumentare il loro carico lavorativo in cambio di un aumento di quota), dal momento che la struttura definita “caotica” aveva favorito un ottimo ambiente di lavoro e incoraggiato l'operatività dei dipendenti e comunque aveva anche recato beneficio all'azienda visti gli utili degli ultimi due anni.

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Ciò che rovinò maggiormente lo spirito di gruppo non fu tanto il fatto che i soci concepivano la struttura ideale dell'organizzazione in modo diverso, quanto il fatto che i due soci di maggioranza decisero di riunirsi separatamente e prendere da soli la decisione di modificare la struttura aziendale (andando contro a ciò che si era fatto fino a quel momento, ovvero riunioni di gruppo). Il giorno seguente esposero quanto scelto a Beaumont e Rossi che, seppur contrai, non opposero resistenza.I compiti e le responsabilità vennero ridistribuite in base al nuovo asseto strutturale. Nei giorni seguenti si avvertì uno spirito diverso nei dipendenti, che comunque continuarono a lavorare con il massimo impegno come sempre. Walsh e Bridge furono soddisfatti della nuova suddivisione e iniziarono a vedere qualche possibilità di poter ridurre i loro compiti affidandoli ai dipendenti addetti ormai alle diverse mansioni. La società comunque continuò a produrre soddisfacenti risultati. L'anno seguente Beaumont e Rossi abbandonarono la Multicom per aprire una società concorrente, la Media 2000, con 80 dipendenti. Adottarono l'approccio “caotico” che aveva caratterizzato i primi anni di vita della Multicom riuscirono a portare via numerosi clienti, strappando così la posizione di leader del mercato alla Multicom.

Interpretazione del caso.

Nell'interpretare il caso pratico possiamo avvalerci delle diverse metafore dell'organizzazione; attraverso una lettura diagnostica, effettuata tenendo in considerazioni i diversi punti di vista delle metafore, possiamo comprendere in maniera più completa il caso per poi procedere alla valutazione critica che consiste in una specie di ricostruzione del caso.Chi analizza il caso dall'esterno tenderà a valutarlo in maniera accademica, soffermandosi sui diversi punti di vista delle metafore, chi invece lo valuta dall'interno (come un nuovo dirigente), cercherà di ricostruire il caso passo a passo per comprendere al meglio le motivazioni che hanno portato alla situazione attuale.Analizziamo in che modo viene concepita la situazione dalle diverse metafore:

metafora della macchina: un'organizzazione che si dirige verso modalità operative di natura meccanicistica.

Metafora dell'organismo: un'organizzazione che tende a rispondere meno alle sfide ambientali.

Metafora della cultura: una cultura in fase di transizione, da flessibile a rigida.

Metafora politica: un'organizzazione che si è frazionata per rispondere agli interessi dei due schieramenti.

Metafora del potere: un'organizzazione di colletti bianchi che si pone al servizio dei suoi clienti senza preoccuparsi dell'impatto sociale.

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