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Rivista del Centro Educazione alla Mondialità (CEM) dei Missionari Saveriani di Parma con sede a Brescia 08 - OTTOBRE 2011 www.cem.coop IL MENSILE DELL’EDUCAZIONE INTERCULTURALE Poste Italiane S.p.A. - Sped. D.L. 353/03 (conv. L. 27/02/04 n. 46) Art. 1 - Comma 1 - DCB Brescia - Anno L - n. 8 - Ottobre 2011 - Via Piamarta 9 - 25121 Brescia - Contiene I.R. Sentinella quanto resta della notte? Oltre ogni crisi per un nuovo patto generazionale La scuola

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Rivista del Centro Educazione

alla Mondialità (CEM)

dei Missionari Saveriani di Parma

con sede a Brescia

08 - OTTOBRE 2011www.cem.coop

I L M E N S I L E D E L L’ E D U C A Z I O N E I N T E R C U LT U R A L EPo

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Sentinellaquanto resta della notte?

Oltre ogni crisiper un nuovo patto generazionale

La scuola

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Grafica: Orione. Cultura, lavoro e comunicazioneDisegni di copertina: Silvio BoselliStampa: Tipografia Camuna - Brescia

editoriale27 ottobre, il nostro 1comune orizzonteBrunetto Salvarani

questo numeroa cura di Federico Tagliaferri 2

l’altroeditorialeGuido Maria Conforti 3Antonio Nanni

pedagogia della lumacaErrare, voce eretica 4del verbo creareGianfranco Zavalloni

a scuola e oltre

bambine e bambiniLa sobrietà obbligatoria 5Lucrezia Pedrali

ragazze e ragazziWorld Wild Web 7Sara Ferrari

generazione yPatto generazionale a scuola 9Antonella Fucecchi

in cerca di futuroNon cambiare la realtà mail nostro rapporto con essa 11Davide Zoletto

che aria tira a scuola?Il tempo dell’educazionenon è finito 12Antonio Nanni

educazione degli adultiRi-nascere 14Rita Roberto

l’ora delle religioniLe ragioni filosofiche 16del pluralismo religiosoMarialuisa Damini, Marco Dal Corso

il «restodelmondo»

agenda interculturaleInsegnare al principe 33di DanimarcaAlessio Surian

prati-careUn progetto di letture 34ad alta voceGiannermete Romani

domani è accadutoMettere avanti gli orologi 35sino al 2030 a cura di Dibbì

dudal jamIl secondo stage internazionale 36«Dudal Jam»

spazio cem50° Convegno Nazionale 38CEM Mondialità

CEM-SudConvegni, lievito di mondialità 39Anna Maria Di Leo

macramè

nuovi suoni organizzatiAyub Ogada 40Luciano Bosi

cre-azioneInterferenze 41Laura Savoldelli

saltafrontieraUn piccolo grande libro 42Lorenzo Luatti

mediamondo 43CinemaIl ragazzo con la bicicletta 45Lino Ferracin

i paradossiMondialità o globalizzazione? 47Arnaldo De Vidi

la pagina di... r. alvesL’invidia 48

Rivista del Centro Educazione alla Mondialità (CEM)dei Missionari Saveriani di Parma, con sede a Brescia

E-mail: [email protected]

www.cem.coop

SENTINELLA, QUANTO RESTA DELLA NOTTE? OLTRE OGNI CRISI, PER UN NUOVO PATTO GENERAZIONALE3. LA SCUOLA

Interrogarsi sul senso 18della scuolaAluisi Tosolini

Brics Corsi e ricorsi storici 20Gianni Caligaris

Di padre in figlio Ulisse e Laerte. 29Il riconoscimento

Maestri e testimoni di mondialità 23terza puntata

a cura di Antonio Nanni, Antonella Fucecchi

Sommarion. 8 / ottobre 2011

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ottobre 2011 | cem mondialità | 1

brunetto salvarani | direttore [email protected]

27 ottobre, il nostrocomune orizzonte

Q uesto mese di ottobre, il giorno 27, s’incroce-ranno due giornate dedicate al dialogo. Dauna parte, come aveva annunciato Benedetto

XVI lo scorso 1° gennaio, verranno ricordati, sempre adAssisi, i venticinque anni della Giornata delle religioniper la pace fortemente voluta da Giovanni Paolo II nel1986. Essa rappresentò un novum assoluto nella storiadelle relazioni interreligiose: per la prima volta, infatti,un gran numero di esponenti delle diverse fedi planeta-rie si ritrovava per pregare e testimoniare la natura pro-fonda della pace, la sua qualità trascendente. Assisi èstato un caso esemplare di gesto profetico, di azioneche inaugura un orizzonte altro rispetto alla ripetitivitàdel quotidiano, tipico della pedagogia dei gesti così ca-ra al papa polacco: farne memoria costituirà senz’altroun appuntamento di grande rilevanza. Ma non meno im-portante, a mio parere, sarà un secondo evento di dialo-go, celebrato per la decima volta lo stesso prossimo 27ottobre, sparso per tutto il territorio italiano e che sin dalsuo inizio vide il CEM tra i promotori. Proprio dieci annifa, infatti, subito dopo la tragedia dell’11 settembre 2001,lanciammo con altre riviste e diversi amici un appelloper la creazione di una Giornata ecumenica del dialogocristiano-islamico (info: www.ildialogo.org). Era il 4 no-vembre 2001. Volevamo impedire che il terrorismo isla-mista da una parte e la risposta militare dell’ammini-strazione statunitense dall’altra ostacolassero pericolo-samente l’itinerario del dialogo che, all’interno di quellopiù ampio tra tutte le grandi tradizioni religiose, era, siapur faticosamente, in corso con i musulmani.Per dieci anni l’iniziativa di tale Giornata è andata avantidal basso, vedendo protagoniste comunità cristiane emusulmane ma anche amministrazioni comunali e as-sociazioni varie, con significativi momenti che hannocoinvolto alti organismi istituzionali quali la Camera e laPresidenza della Repubblica. Molto vari sono stati i temidelle giornate fin qui celebrate quali Vincere la pauraper costruire la pace, Costruire speranza e conviviali-tà, Raccontarsi la vita, La gioia del dialogo e Amare laterra e tutti gli esseri viventi, che è stato il tema dell’an-no scorso.

Riflettendo sulle rivoluzioni in atto nel mondo arabo-isla-mico, quest’anno proponiamo a tutti di riflettere insiemesul tema Dialogo, pluralismo, democrazia: il nostro co-mune orizzonte. Perché il dialogo, per consolidarsi trale persone e tra i popoli, non può fare a meno di plura-lismo e democrazia. Invitiamo, naturalmente, anche leamiche e gli amici di altre tradizioni a unirsi alla rifles-sione sul tema, dato che il valore centrale del pluralismoè basato proprio sulla dignità delle differenze e può es-sere considerato il vero termometro del grado di libertàin ogni società.Sì! Come hanno confermato i tragici fatti di Oslo delloscorso luglio, c’è tuttora necessità di custodire intatto lospirito di Assisi, in una stagione che registra un notevoledisorientamento diffuso a causa del pluralismo religiosoe culturale malgestito e delle migrazioni dal sud al norddel pianeta. Se l’im-magine del 27 ottobre1986 resta una dellepiù sicure icone disperanza del Novecen-to, che abbiamo eredi-tato anche per il nuovosecolo, credo dunque aessa vada affiancatal’esperienza povera, dif-fusa e, perché no, pro-fondamente laica dellaGiornata ecumenica deldialogo cristianoislami-co. Dato che, come so-steneva un protagonistasincero di tale camminocome Raimon Panikkar,scomparso un anno fa edi cui sentiamo semprepiù forte la mancanza, «senza dialogo, le religioni si ag-grovigliano in se stesse oppure dormono agli ormeggi...o si aprono l’una all’altra, o degenerano». Un problemache, beninteso, non riguarda solo quanti sono interni aun cammino di fede, ma la società tutta. q

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Questo numeroa cura di Federico [email protected]

Entra nel vivo l’annata 2011-2012 di CEM Mondialità, il cui tema portante è «Sentinella, quanto resta della

notte? Oltre ogni crisi, per un nuovo patto generazionale». La scuola non poteva che essere ai primi posti

dell’attenzione della rivista, con un dossier curato da Aluisi Tosolini intitolato «Interrogarsi sul senso della

scuola». «L’istituzione chiamata “scuola” - scrive l’autore -, ed in particolare la scuola di massa, ha sostanzialmente

assunto il compito, in un mondo sempre più complesso, di formare/socializzare le nuove generazioni rendendole

capaci (in conoscenze, abilità e competenze) d’inserirsi nella società in cui sono nati. In sostanza un passaggio,

una trasmissione di conoscenze tra generazioni, mediato da personale esperto a ciò dedicato, i maestri, i pedago-

ghi, i docenti. Ma anche un luogo nel quale elaborare risposte innovative alle nuove sfide che l’evoluzione sociale

poneva. Negli ultimi decenni del ‘900 - continua Tosolini - la riflessione pedagogica ha dovuto affrontare il muta-

mento complessivo delle società occidentali,

che si sono fatte sempre più complesse, po-

stindustriali, tecnologicamente avanzate e

multiculturali. Così, se da un lato si sono

sempre più affinati gli strumenti della didat-

tica, dall’altro gli studiosi si sono interrogati

sul significato stesso della scuola e dell’edu-

cazione nel tempo della globalizzazione».

Il dossier offre un rigoroso quanto stimolante

percorso tra le diverse concezioni che la

scuola e l’educare hanno conosciuto attra-

verso i secoli, sottolineando la necessità e

l’urgenza di un ripensamento radicale

L’inserto centrale del «dossier», «Ri-pensare

la mondialità», curato da Antonio Nanni e

Antonella Fucecchi, è dedicato a «Maestri e

testimoni di mondialità», presentandoci cin-

que personaggi che aiutano ad illustrare

quella nuova concezione di «mondialità» che

si richiama a esperienze storicamente realiz-

zate e concretamente vissute.

Nella sezione «Resto del mondo», per la rubrica di cinema, Lino Ferracin ci parla del film «Il ragazzo con la biciclet-

ta», che «non è solo la storia di un ragazzo che è stato tradito dal “suo” adulto e che senza più difese rischia di

precipitare nel baratro della violenza e della delinquenza, il film è anche la storia di un adulto che si offre a lui e

dandosi fa sì che lui si ritrovi». Cari lettori, vi ricordiamo di consultate il sito www.cem.coop, vi troverete molti ar-

ticoli e documenti aggiuntivi. q

2 | cem mondialità | ottobre 2011

In ricordo di padre Domenico MilaniRepubblica Democratica del Congo

Il 24 luglio scorso il campo di basket dello Studentato Filosofico Saveriano diVamaro, presenti il sindaco e il ministro dello sport, è stato intitolato a p. Domenico Milani. Lo ricorda una grande scritta: «Stade Dominique Milani (1922-2008), Directeur de l’ISP de 1971 à 1986. “Tiens-toi à ce que tu asappris... Tu sais de quels maîtres tu le tiens” (“Tu però rimani saldo in quello che hai imparato… Conosci coloro da cui lo hai appreso”» (2 Tm 3,14).

Martina Dei CasIl racconto pubblicato sul numero di agosto-settembre di CEM Mondialità,intitolato «La sarta di Khouribga» (p. 29) è di Martina Dei Cas. È stato premiatoal concorso «I racconti della CSR» nell’ambito del Salone della responsabilitàsociale e d’impresa, Milano, Università Bocconi, maggio 2011.

Le foto che corredano questo numero della rivista si riferiscono a vari Convegni annuali CEM.

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ottobre 2011 | cem mondialità | 3

Guido Maria Conforti sarà proclamato santo il23 ottobre. Per noi del CEM è una giornata difesta particolare e straordinaria, perché colui

che ha dato origine alla famiglia dei Missionari Save-riani, di cui il nostro movimento educativo e laico èparte integrante, diventa il santo della mondialità.Chi è Guido Maria Conforti? Un uomo di fede che, na-to nel 1865 vicino a Parma, viene ordinato prete (1888)e consacrato Vescovo (1902) prima di Ravenna, poidella sua Parma. È il fondatore (1895) dei MissionariSaveriani e primo Presidente (1918-1927) dell’UnioneMissionaria del Clero, co-fondata da lui e padre PaoloManna.Molteplici sono gli indizi che confermano la vocazionee la passione di Conforti per la missione come mon-dialità. Ad esempio, il suo stemma episcopale è com-posto dal disegno di un mondo come globo e dal mot-to in lingua latina In omnibus Christus. Al cuore dellamissione ad gentes c’è infatti il Vangelo di Cristo comedono da donarsi. Una volta che si è incontrato Cristonon si può più tacere ciò che si è visto e ascoltato: èl’amore per Lui che «ci spinge» (urget nos). Inoltre perConforti il Crocifisso diventa il segno che esprime econcentra in sé tutto il Vangelo. Infine la sua devotaammirazione per San Francesco Saverio, missionariodelle Indie, lo porterà a scegliere il nome «saveriani»per il suo Istituto. Ma forse l’elemento più originale delConforti, in cui si manifesta la convergenza tra Missio-narietà e Mondialità è il quarto voto (il voto di missioneo di partenza) che lui volle per i missionari Saveriani.È allora opportuno ricordare che nel 1928, qualche an-no prima della sua morte (5 novembre 1931), decisedi recarsi in Cina con un viaggio di 90 giorni (da set-

tembre a dicembre) che evidenzia quasi plasticamen-te il nesso intrinseco tra località e globalità. A confermache per il Conforti la vera mondialità è quella che s’in-carna.La più autentica spinta propulsiva è quella di portareil Vangelo a tutte le genti. Ma dire Vangelo è dire Cri-sto. Per questo la Mondialità di Conforti assumerà ilsignificato che nel 1942 i suoi figli Saveriani sepperotradurre a Parma nella creazione del CEM come«Centro Educazione Missionaria». È con il Concilio Va-ticano II che matureranno le condizioni per la trasfor-mazione del CEM - grazie al saveriano Savino Mom-belli - in «mondialità».C’è qualcosa di miracoloso nel modo in cui il CEM,da sempre diretto e poi accompagnato e sostenutodai Missionari Saveriani, giunge oggi a scoprire e avalorizzare la figura di Conforti come uomo, sacerdotee vescovo, che anticipò, nelle sue scelte, i tempidel Concilio e intuì la via e la cornicespirituale per coniugare sapiente-mente identità e universalità, radica-mento locale e globalità, pastoralediocesana e missione ad gentes. IlCEM di oggi - che trae certamenteorigine dall’impulso missionario - sicolloca altrove. La missione si è tra-sfigurata in mondialità. Infatti peraprirsi e fare spazio a tutte le culture,etnie e religioni ha dovuto «umanizzar-si», e così facendo ha relativizzato la com-ponente confessionale della missione e haesaltato la dimensione antropologica dellamondialità come «convivialità delle differen-ze» e fecondazione recipro-ca. L’unità del genere uma-no che il Vescovo Confortiha inseguito come un sogno, apartire dalla Missione, è lo stessosogno laico e antropologico chepersegue oggi il CEM a partire dallaMondialità. Per questo il CEM è fiero e ono-rato di appartenere - con la sua specificitàlaicale - alla famiglia Saveriana e diesprimere tutta la gioia e la gratitudi-ne che un evento così al-to e irripetibile suscitaspontaneamente in cia-scuno di noi. q

Il santodella mondialitàGuido Maria Conforti

antonio nanni

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4 | cem mondialità | ottobre 2011

Eretici erranti

Quando Gianni Rodari si rivolge ai genitori e agli in-segnanti, nella sua introduzione al Libro degli errori

(il testo ormai epico di storie e filastrocche basate suglierrori), prende atto che spesso «le sue filastrocche dedi-cate agli accenti sbagliati, ai “quori” malati e alle “zeta”abbandonate, sono state accolte perfino nelle gramma-tiche». E continua: «Questo vuol dire, dopotutto, chel’idea di giocare con gli errori non era del tutto eretica».Siamo nel 1964. Nove anni dopo, nel 1973, lo stesso Ro-dari esce con Grammatica della fantasia e non manca didedicare un capitolo all’errore, all’«errore creativo». Quisnocciola un serie di esempi in cui dimostra, a propositodell’arte di inventare storie, che «in ogni errore giace lapossibilità di una storia».Il capitolo si conclude con un’affermazione emblematica:«Sbagliando s’impara, è vecchio proverbio. Il nuovo po-trebbe dire che sbagliando s’inventa».Non a caso fra gli errori che storicamente hanno creatoinvenzioni troviamo la Nutella, la Coca Cola, lo Champa-gne Dom Perignon, il Gorgonzola... e pare persino lastessa pizza. E poi i tanti errori di Einstein o la scoperta dirimedi farmaceutici, come i vaccini o la penicillina. A Pa-rigi lo scorso anno c’è stato anche un Festival interamen-te dedicato all’Errore. E scopro che nel prossimo novem-bre, a Torino, ci sarà «Sm-Art Mistakes», un grande festi-val per ampliare la mente, affinare le capacità analitichee ispirare la creatività. Si parlerà di «errori intelligenti, mu-tazioni, fallimenti, disfunzionalità, discrepanze, incidenti,varianti impreviste, scoperte occasionali, estetiche dell’er-rore, scarto dalla massa, fallimenti progettuali, progettiirrealizzati, disastri, sbagli, imperfezioni, disturbi, appro-priazioni, effetti collaterali, lapsus e flop».Negli anni ’60 il maestro Federico Moroni, autore di Arteper gioco (un vero e proprio resoconto su trent’anni di

esperienza di didattica dell’arte) ci invitava a non usare gom-ma e matita…e a lasciare che anche una goccia d’inchiostro,caduta inavvertitamente dal pennino, divenga il primo ele-mento artistico per un nuovo inaspettato disegno.

Errore didattico

Personalmente ne sono più che mai convinto. L’errore è unostrumento didattico fondamentale. Ultimamente, in occasio-ne degli esami finali della scuola secondaria di primo grado,nello spiegare agli esaminandi che non potevano usare i co-siddetti «bianchetti» (pena il possibile invalidamento della pro-va) per coprire eventualiparole scritte male, ricor-davo anche quanto sia im-portante, visivamente, me-morizzare la parola sba-gliata… proprio per ricor-dare che quella è «errata».Questo non accade con ilcomputer, dove il semplicectrl+z (control zeta) per-mette di cancellare persempre ogni errore gram-maticale di ortografia. Ma la cosa che più mi interessa è - perl’appunto - l’errore come risposta creativa, come nuova op-portunità che la mente e la mano dell’uomo utilizzano perdare nuove risposte, per cercare nuove soluzioni. D’altrondela regola principale della ricerca scientifica è racchiusa in quelledue parole che sono «per prova ed errore». q

Errare, voce ereticadel verbo creare

gianfranco [email protected]

Per saperne di più: www.pedagogiadellalumaca.org

«Sbagliando s’impara,è vecchio proverbio.

Il nuovo potrebbe dire

che sbagliandos’inventa»

Gianni Rodari

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ottobre 2011 | cem mondialità | 5

La sobrietàobbligatoria

La sobrietà ci può aiutare a ridefinire i contorni di un ruolo,quello del docente, che rischia di essere travolto daun’eccessiva attribuzione di responsabilità, a cui spessocorrisponde una costante svalorizzazione.

bambinee bambinilucrezia [email protected]

entusiasmo e con la consa-pevolezza di dover ancorauna volta reinventare formee modi del pensare e del-l’operare in ambito scolasti-co, cercando un difficileequilibrio fra un rassegnatoaccomodamento alle attualicondizioni e l’ostinata con-vinzione nel tenere il puntosull’idea che la scuola possacontinuare ad essere luogodi promozione alla cittadi-nanza per tutti.

La scuola, sorta di ipermercato dell’educativo

Abbiamo creduto in questiultimi anni, che la scuola po-tesse introdurre nei propripercorsi infiniti stimoli e pro-getti tesi a sostenere e a pro-muovere sotto vari aspetti lacittadinanza. Abbiamo avutola stagione delle educazioni:affettiva, sessuale, stradale,civica, ambientale, intercul-turale, alla pace, alla legalità,alla salute, ecc. Abbiamo af-frontato all’interno di percor-

si dedicati ogni sorta di pro-blematica come se si trattas-se di nuove discipline con at-teggiamenti talvolta oscillan-ti fra moralismo e bricolagedidattico. Forse i risultati ot-tenuti non sono stati all’al-tezza dell’impegno e delleenergie profuse. Si avverte ilbisogno di ripensare ad unaproposta che, pur tenendo inconto questi settori educati-vi, li ricollochino dentro la

L’inizio di questo annoscolastico nella scuola

dell’infanzia e primaria è ca-ratterizzato, fra l’altro, dallefatiche organizzative pertentare di garantire servizi eofferta formativa, pur in pre-senza di una sistematica etalvolta drammatica riduzio-ne delle risorse. Sullo sfondodi queste fatiche si collocanoi disagi degli operatori dellascuola, che vivono il peggio-ramento della loro condizio-ne di lavoro. I tagli alle risor-se e lo scadimento delle con-dizioni di lavoro, perseguitientrambi con tenacia e vo-lontà persecutoria, produco-no effetti che toccheranno alcuore la natura stessa dellascuola e la sua ragion d’es-sere. L’istituzione da un latoagisce impoverendo e svalo-rizzando la scuola, e nellostesso tempo ripropone mo-delli antichi d’istruzione ge-nericamente orientati al re-cupero di una pseudoserietàche appare del tutto priva disenso nel contesto attuale. Si riparte quindi con scarso

Disciplined’insegnamento,

ruoloprofessionale,

rapporti con lefamiglie:

ragionamocisopra, dopotutto

si tratta delnostro lavoro.

Ma parliamonesottovoce,

uscendo dalfrastuono della

retorica

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pratica didattica quotidiana ela normale attività curricola-re. È attraverso le normali di-scipline di insegnamento chele finalità delle educazionidevono essere perseguite: ilcittadino democratico è taleproprio perché ha appresotutte le forme della parteci-pazione attraverso le formedella cultura. In questo sensoogni attività proposta dallascuola dovrebbe esser fonda-mento di cittadinanza.Un’attenzione e un’intenzio-ne siffatta richiedono però dirivedere e di ristrutturarel’esperienza curricolare ri-spetto a contenuti e strategiemetodologiche: si imponeuna drastica revisione chedavvero selezioni gli elementifondamentali o essenziali eche operi con coraggio persottrarre l’eccesso che haportato la scuola a diventareuna sorta di ipermercatodell’educativo.

Ridefinire il ruolo del docente

Sottrarre quindi, non persemplificare o banalizzare,ma per ridefinire i limiti e lepossibilità di una pratica cherischia altrimenti di affonda-re nelle retoriche delle rifor-me e controriforme. E forsela sobrietà ci può aiutare an-che a ridefinire i contorni diun ruolo, quello del docente,che rischia di essere travoltoda un’eccessiva attribuzionedi responsabilità, a cui spes-so corrisponde una costantesvalorizzazione. Dalle teorieche definiscono la funzionedell’insegnante emerge un

6 | cem mondialità | ottobre 2011

bambine e bambini

profilo professionale altissi-mo: il docente è colui chedeve fornire competenze dibase necessarie per stabilireun corretto rapporto fra isoggetti e la realtà; deve fa-vorire l’integrazione e nelcontempo istruire all’internodi un sistema di regole; devesviluppare il senso di respon-sabilità, deve far apprezzarele forme e i modi di comuni-cazione della cultura, deveincentivare forme di autoap-prendimento, deve far ac-quisire competenze formali econtemporaneamente edu-care alla salute, alla convi-venza, al rispetto delle nor-me. Questo nelle descrizioniteoriche. In realtà, nella pra-tica quotidiana poche pro-fessioni sono state così pococonsiderate quanto quelladell’insegnante. E la svaloriz-zazione è stata praticata in-nanzitutto a partire dallastessa istituzione che li haconfinati nelle classi in soli-tudine, nella scuola primariaal momento insegnanti pre-valenti, ma destinati a ritor-nare unici; l’azzeramentodella dimensione collettivadel lavoro, dello scambio edelle elaborazioni comuni, lamancanza di una vera for-mazione permanente chiari-scono in modo preciso il po-co conto nel quale vengonotenuti i docenti e la funzioneche viene loro attribuita.Maggiore sobrietà nelleesplicitazioni teoriche cheenfatizzano il ruolo dellascuola e dei suoi operatori emaggiore rispetto reale dellaloro condizione e del loro va-lore potrebbe servire in que-sto momento a vivere conmeno disagio una situazionedifficile. q

Famiglie e scuola

Improntate a sobrietà potrebbero essere anche lemodalità d’incontro e relazione con le famiglie. Laconsiderazione di cui gode la famiglia neidocumenti ufficiali è altissima. In un documento accompagnatorio di una dellerecenti riforme che hanno interessato la scuola(riforma Moratti) si legge: «[…] La famiglia ètestimone privilegiata dello sviluppo dei bambini edei ragazzi e coopera con la scuola nei modiseguenti: fornisce conoscenze e indicazioni rilevantiai docenti; collabora per l’adattamento dei bambiniall’ambiente scolastico; segue l’esperienza diformazione dei figli e partecipa alla costruzione delportfolio delle competenze; valuta con i docentil’idoneità dei bambini alla frequenza anticipatadella scuola; interagisce con il docente tutor e con idocenti responsabili dei laboratori; si rendeconsapevole delle eventuali differenze di partenzadei bambini e dei ragazzi e condivide il percorsoteso a raggiungere le competenze finali; comprendele motivazioni che ispirano il piano personalizzatodi studio ed è informata delle conoscenze chescandiscono i bienni e i monoenni didattici;percepisce il profilo educativo, culturale eprofessionale al quale i bambini devonocorrispondere alla fine del primo ciclo di studio eviene informata di tutti gli “scostamenti” chepossono divergere da tale direttrice». Questa idea della famiglia si colloca sullo sfondo delmulino bianco ed evoca l’immagine dellaperfezione. Nella realtà accade di frequente che trafamiglie e scuola si registri piuttosto una generaledistanza e rigidità nelle relazioni e che vi sia quasi iltimore della scuola a coinvolgere «troppo» i genitoriper il rischio generico che questi impediscano unlavoro efficace sul piano didattico; il rapportoscuola-famiglia è spesso improntato ad unareciproca diffidenza e ad un generale e reciprocoapproccio pregiudiziale. Discipline d’insegnamento,ruolo professionale, rapporti con le famiglie:riparliamone e ragionamoci sopra, dopotutto sitratta del nostro lavoro. Ma parliamone sottovoce,uscendo dal frastuono insopportabile della retoricache ci avvolge, per cercare di recuperare senso alnostro permanere nella scuola.

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ragazzee ragazzisara [email protected]

fluttuano nella rete - da soli -sprovveduti più di Cappuc-cetto Rosso nel bosco. A ini-zio anno chiedo sempre gliindirizzi e-mail agli allievi perinviare materiale didattico:aumenta sempre la percen-tuale di indirizzi, soprattuttoquelli personali e non più deigenitori. Ogni anno l’età di

La scuola resta uno dei pochi luoghi in cui la parolademocrazia assume un significato fresco e leggero, in cui ci si può mettere nei panni di altri, giocare a fare le leggi, confrontarsi.

Ingenui digitali

Tra i vari progetti presentatiogni anno nella nostra scuo-la, c’è sempre qualcosa cheriguarda la comunicazione ele TIC; nasce dall’esigenza dinavigare sicuri e corretta-mente, di dare strumentiadatti a giovani utenti che

Gli allievi hanno intitolatol’atrio del nostro plesso

a Madre Teresa, esempio diaccoglienza totale, perché laScuola è luogo che accoglie,qui entrano tutti; è spaziodemocratico di utopia, di in-clusione, potenzialmente,accoglie senza discriminazio-ni, senza chiedere in cambionulla a nessuno. La scuolanutre e conserva questegrandi qualità, restando unodei pochi luoghi in cui la pa-rola democrazia assume un

World Wild Web Il selvaggio mondo web

significato fresco e leggero,in cui ci si può mettere neipanni di altri, giocare a farele leggi, confrontarsi. Deveessere anche occasione perimparare ad usare nuovistrumenti e forme di comu-nicazione che, proprio in li-nea con le potenzialità dellascuola, possono aiutare asperimentare il possibile el’impossibile.

ottobre 2011 | cem mondialità | 7

Una sitografia per la navigazione sicuraVideo introduttivo al progetto «Non perdere la bussola»:www.youtube.com/watch?v=MjYsRtuePQI Youtube educazione alla cibercittadinanza:www.youtube.com/watch?v=d0He0PSla0E Privacy e sicurezza nei social network:www.youtube.com/watch?v=3zdPceAQz1E Youtube e privacy: www.youtube.com/watch?v=VcXC0vfw3YU Pedofilia in rete:www.youtube.com/watch?v=NGoBcMcdHd8&feature=relmfu Caricare filmati sicuri:www.youtube.com/watch?v=C3Tvc_0KZZk Sul cyber bullismo:www.youtube.com/watch?v=kXhZ1DZBW6g&feature=fvwrel Sulle «caramelle dagli sconosciuti», ossia le ricariche per ilcellulare in cambio di foto:www.youtube.com/watch?v=Hmzv0MKvHw4 Molto interessante il sito http://navigaresicuri.telecomitalia.it/sulla navigazione sicura, presenta materiale anche per i genitorie gli educatori, aggiorna le notizie recenti e tanto altro.Il sito della «mia classe»: http://lamiaclasse.jimdo.com/

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ragazze e ragazzi

accesso alle TIC si abbassa,sintomo, anche, di un’alfa-betizzazione digitale preco-ce. Ma questi baby digitalinavigano anche da soli, i ge-nitori ingenuamente pensa-no che la loro presenza in ca-sa sia sufficiente per l’aiuto ela protezione, così non è. Febbraio 2011, ricevoun’email di conferma al-l’iscrizione a un account diun noto sito di giochi daconsolle e rimango basitaper due motivi: non ho effet-tuato alcuna registrazioneall’account in questione, am-metto che l’indirizzo email èmio, ma nome e dati sono diun allievo di 1a. Parlo al ra-gazzo che ha spacciato persuo il mio indirizzo e-mail egli spiego alcune cose su co-me iscriversi, dove e qualidati dare, la privacy... Non sanulla, se non quali tasti pre-mere: abilità di tastiera e dicomandi voto 8, ma cono-scenze 3! Scrivo due righealla madre per raccomandar-le di controllare che il mio in-dirizzo non venga più usatoimpropriamente: lui è rima-sto senza computer duegiorni, io, nonostante le ri-chieste di cancellazione,continuo a ricevere informa-zioni dalla PlayS***.Dopo qualche giorno suamadre, per dimostrarmi chelo controlla, viene a riferirmidi offese che una compagnadi classe ha postato in unnoto social network sulla pa-gina di suo figlio (non vedeperò quelle scritte da lui); ledico che, nonostante non siaaccaduto a scuola, neavremmo parlato, generica-mente, in classe. Poi comeun’erinni va dalla madre del-la ragazza e l’apostrofa con

epiteti ancora più coloriti diquelli dei pargoli (lo so per-ché è venuta a parlarmi an-che l’altra mamma).

Irretiti

S’io fui del primo dubbio di-svestito Per le sorrise parolet-te brevi, Dentro ad un nuovopiù fu’ inretito (Dante).Definirli ragazzi nella rete as-sumerebbe un significato po-sitivo, sembra indicare ragaz-zi che navigano e non che re-stano intrappolati nelle ma-glie della rete; invece irretiti ètutta un’altra cosa, c’è l’ideadell’inganno, del cadere nellatrappola, più in là possibilinaufragi. Si è tanto parlato dinativi digitali o di presunti ta-li, ma essere abili, abilissimicon le nuove tecnologie (unodegli hacker arrestati recen-temente ha 15 anni), non si-gnifica automaticamente chel’abilità sia ben applicata, so-prattutto se mancano le basi.Nella fascia d’età 11-14 annii ragazzi sono a volte più ir-retiti che in rete. Perché?Adulti incompetenti regala-no pc (connessione inclusa)senza saperli usare, dannouno strumento fantasticosenza la patente. Comequando nasce un figlio, sechiedi il libretto delle istru-zioni ti guardano come unamatta. Mia figlia non ha il li-bretto delle istruzioni, ma èmolto brava ad insegnarmi afare la mamma, la rete inve-ce non sempre insegna. Chiallora? La scuola può inse-gnare, anche perché lo puòfare a tutti, anche a quelliche non hanno un pc, ma aiquali in futuro verrà chiestodi lavorare con questi stru-menti. q

Una vita on-off

Tutti davanti alla Lavagna multimediale, oggi non si falezione di storia, facciamo i marinai, navighiamo. Ilviaggio comincia dal sito della classe, tengo aggiornatauna pagina sulla navigazione sicura, così per più diun’ora discutiamo, ci chiediamo a vicenda cosa fare,non fare, dove andare, ma soprattutto comecomunicare con gli altri. Fluttuiamo nei siti, guardiamovideo e poi… spengo tutto. Il problema non è solo laNetiquette (le regole di buon comportamento da tenereonline: saluti, smile, caratteri da usare), o il vocabolario(taggare, postare, citare, foto-privacy…), il problema èproprio l’etichetta. Se due si offendono nella vitaoffline, in quella in rete lo fanno con molta piùdisinvoltura. Riaccendo e proietto un collage di foto-parole loro, scaricate da internet e modificate prima dame, divertente, però: «Allora qualcuno potrebbe usarleper farci dell’altro?». Il punto è quello, ci sono arrivati.Dobbiamo fare i conti con la vita off e con quellaonline, insieme; internet non è virtuale come unvideogioco, è un’altra realtà in cui raccontarsi,diversamente da come si è, tanto non ci si mette lafaccia, al limite una foto ritoccata o un avatar. Le offeseperò non sono virtuali, feriscono, ma si sbiadiscono, sicancellano, si chiudono, diventano quasi reversibili,quasi però! Nella classe tu non puoi bannare ocancellare dalla lista degli amici qualcuno, deviimparare a rispettare tutti.Con un uso scorretto della vita online aumentano ledistanze anziché diminuire. Un esempio: Luca, qui da 5anni, trasferito da un paese campano, è rimasto incontatto coi suoi amici via sms, email, Social Network;per anni ha raccontato di un Luca che non è quello checonosciamo noi della vita offline; si è liberato dai vincolisociali, ha sperimentato aspetti della propria identità,ma ne è rimasto prigioniero. Quando quest’estate ètornato al paese, non l’ha detto ai suoi amici d’infanzia,è rimasto in casa a chattare con loro, non è uscito. Nonsi è mostrato, non avrebbe avuto quel profilo che lorosi aspettavano, non sarebbe stato quel Luca ormai solovirtuale. È un caso limite, ma il pericolo è che questiragazzi non distinguano virtuale da online, che creinoidentità multiple non per scoprire o per sperimentare ilpossibile, e che poi (in un’età così delicata) frantuminola loro identità complessa, ma pur sempre una, in varieidentità di cui poi non devono rispondere, moralmentee affettivamente.Osservo queste nuove relazioni, leggo blog su internete mi ferisce uno dei miei ragazzi che si vanta per unabravata che io so non era tale: per il suo pubblico-gruppo ha trasformato un atto pericoloso e frutto didisagio devastante in un’azione eroica. Sul suo schermosi illumina una standing ovation di ignari cybernauticoetanei che gli dimostrano stima e ammirazione,premiando una vita priva di colpe e di castighi, masenza connessioni, cade tutto tuu tuu tuu…

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antonella [email protected]

generazione y

La scuola è il luogo pereccellenza del patto ge-

nerazionale e dell’interazio-ne tra giovani ed adulti,coinvolti entrambi in un pro-cesso di formazione che rap-presenta la sinergia più effi-cace (se funziona a dovere)tra esseri umani non appar-tenenti alla stessa famiglia.Ma è anche il luogo in cui legenerazioni sperimentanol’attrito e il conflitto del vive-re insieme, i ruoli sono bendefiniti e la differenza di età,la regola. Certo, le galassieadolescenziali sono mutevolie in rapida trasformazione;le differenze tra generazionisono aumentate a ritmoesponenziale e gli adultihanno incassato male il col-po, cedendo quote di auto-revolezza ed incisività senzareagire efficacemente. Il te-sto di Pietropolli Charmet,Fragile e spavaldo. Ritrattodell’adolescente di oggi1, èattualmente il più utile perindividuare le coordinate so-cio psicologiche nelle quali simuove l’adolescente odier-

di lottare, si è sostituito l’af-fascinante personaggio diNarciso, amato e cresciutocome il «cucciolo d’oro». Se-condo Pietropolli, è venuto ilmomento di modificare larotta, di imprimere al timonedella barca educativa fami-liare e scolastica una robustasvolta, prima che il danno siaggravi. Occorre che gliadulti tornino a fare gli adul-

L’adolescenteodierno,

dall’apparenzasicura e spavalda,

è invecedisperatamente

fragile dal punto divista relazionale ed

affettivo

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Patto generazionalea scuola

Un vero docente si adopera per promuovere l’autonomiadei suoi studenti, per renderli indipendenti anche dal suo insegnamento, perché costruiscano percorsi di apprendimento originali e personali.

no, dall’apparenza sicura espavalda, disperatamentefragile dal punto di vista re-lazionale ed affettivo. Nativodigitale, molto più rapido ecompetente dei suoi genito-ri, nasconde una debolezzastrutturale difficile da imma-ginare e una ridotta capacitàdi elaborare simbolicamentei suoi conflitti. Usando me-tafore mitologiche, secondolo studioso, al vecchio Edipoalle prese con il padre e iproblemi di identità, repres-so sessualmente, ma capace

ti, che esercitino il loro ruolocon competenza. Occorresaper dire di no, essere guidecredibili ed affidabili. In tem-pi di famiglie liquide, ricom-poste o allargate, il genitoree l’educatore hanno il doveredi abituare il giovane a supe-rare con coraggio le difficol-tà ad affrontare la vita e lascuola con una buona dosedi tenacia e di resilienza. Al-trimenti, al primo insucces-so, l’autostima dell’adole-scente colerà a picco rovino-samente.

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titola il suo intervento, signi-ficativamente Basta con lascuola del cuore, ricomincia-mo a far pensare, afferman-do che a scuola la linea edu-cativa centrata sul primatodelle emozioni a scapito delragionamento critico, del-l’apprendimento, in una pa-rola dello studio, ha ormaiesaurito la sua carica positivae richiede un’inversione dirotta: occorre, cioè una ster-zata decisa per raddrizzareun’imbarcazione già perico-lante. E questo potrebbe es-sere il segnale di un desideriodi ricominciare a rimboccarsile maniche, di una «primave-ra italiana» che tarda ancoraad affermarsi. Questo è il rilancio del pattogenerazionale: che i profes-sori tornino ad essere auto-revoli e veri maestri: se nonora quando? q

1 Ed. Laterza, Roma-Bari 2009.2 «Corriere della Sera», 30 maggio 2011.3 «Il Messaggero», 8 giugno 2011.4 « La Repubblica», 31 agosto 2011.

generazione y

stesso. E questo è il cuore delpatto generazionale.

Qualcosa si muove

Che sia necessario operareun svolta coraggiosa anche ascuola a favore del recuperodi serietà e di impegno, tra-pela da segnali timidi, maconcreti: appelli di comitatidi docenti, (G. Belardinelli,Non fate più copiare gli stu-denti. L’educazione alla lega-lità comincia dalla scuola2),interventi di dirigenti scola-stici che lamentano l’eccessi-va ingerenza dei genitori (R.Salamone, La scuola torni al-la severità3). Non ultimo, unarticolo di Lodoli4: il docentescrittore, non certo un tipoautoritario o retrogrado, in-

Narciso e lo specchio

Il mito di Narciso è collegatoalla ricerca di sé, alla defini-zione del proprio confineidentitario, che richiede il ri-specchiamento e contiene ilbisogno di un consenso o diuna conferma, istanze piùche fondate e necessarietappe di una evoluzione ver-so il pieno possesso di sé: ilvero dramma di Narciso èprovocato non tanto dal de-siderio di cercarsi, ma daltragico abbaglio generatodalla cattiva o inadatta qua-lità della superficie rifletten-te. Se Narciso si fosse riflessosu un specchio in vetro o inmetallo, l’esito del mito sa-rebbe stato diverso, forse co-mico: lo stupendo adole-scente correndo verso l’ama-ta immagine si sarebbe scon-trato con la superficie del ve-tro e stizzito e contrariato, sisarebbe cordialmente man-dato a quel paese. Narcisosarebbe ancora vivo, avrebbeimparato a diffidare delle ap-parenze, a relativizzare tuttele sue fantasie, a distinguereil vero dal falso, anche conun po’ di sana autoironia.Superato il primo sconcerto,avrebbe imparato a guarirele ferite, uscendo più forte ematuro. In sintesi, il ruolodello specchio è fondamen-tale per il mito, nonostantela nostra attenzione sia rara-mente attratta da questoelemento, ed è quello stessogiocato dall’adulto capace dieducare, ben disposto a fareda specchio veritiero: accet-tando, anzitutto, la respon-sabilità del suo compito sen-za tirarsi indietro, o divenirecedevole, offre una superfi-cie resistente sulla quale il

giovane può con fiducia farsile ossa e cercare e costruirela propria immagine. A scuo-la, il fine ultimo del docenteè quello di stimolare l’acqui-sizione di un pensiero critico,per rafforzare i dispositivi ra-zionali che impediscono disubire i condizionamenti chederivano da una supina ac-cettazione delle mode e deimodi imposti dall’esterno.Un vero docente si adoperaper promuovere l’autonomiadei suoi studenti, per render-li indipendenti anche dal suoinsegnamento, perché co-struiscano percorsi di ap-prendimento originali e per-sonali. In ogni interazioneeducativa riuscita, l’allievosupera il maestro. Deve farloper diventare davvero se

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L’attimo fuggente, una lettura critica e in controtendenza

Il docente interpretato da Robin Williamsnella fortunata pellicola degli anni novantasi è saldamente insediato nell’immaginariocome il docente ideale, quello che ognialunno desidererebbe avere.Disgraziatamente, osservano gli psicanalistiGranieri e Blandino, autori di testi dididattica, il professore in questione è unottimo seduttore, un suscitatore diemozioni, ma un pessimo educatore e il suointervento è in effetti, in fin dei conti, poco

efficace se non distruttivo. Avvalendosi delsuo indubbio fascino, induce gli alunni aribellarsi senza costrutto, spingendoli a queltraguardo che lui stesso aveva mancato daadolescente. Immaturo per primo, si servedei ragazzi per lottare ancora contro ilcontesto tentando, attraverso di loro, diportare a termine il suo obiettivo rimasto ametà. Un vero educatore avrebbe rinunciatoa godere del suo ascendente, operando inmodo da rafforzare l’autostima degli alunni(specie dei più fragili), per renderli resistentinei confronti del rigore eccessivo del college.Avrebbe insegnato loro a reagire, sarebbestato, appunto, uno specchio efficace e nonuno stagno liquido: non c’è pericolo piùinsidioso che trovare un adulto adolescentecome Robin Williams sulla propria strada difiglio o di alunno.

Questo è il rilancio del pattogenerazionale: che i professori

tornino ad essere autorevoli e verimaestri: se non ora quando?

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Nei numeri precedenti diquesta rubrica si è ri-

chiamata l’attenzione sul-l’importanza di partire, nellaprogettazione di percorsi einterventi formativi che rial-laccino i legami fra diversegenerazioni (sia migranti, siaitaliane), dalla concretezzadei luoghi abitati da ragazzie ragazze. È un invito cheproviene da molta ricercapedagogica contemporaneae che sollecita a uscire dallegeneralizzazioni e dalle visio-ni stereotipate e semplicisti-che per radicarsi nella com-plessità delle esperienzequotidiane tanto dei ragazzie della ragazze, quando deiloro educatori e delle loroeducatrici. È un percorso che ha certobisogno di una rinnovata (eapprofondita) comprensionedi contesti educativi comequelle contemporanei, alcentro di cambiamenti chemodificano sensibilmente imodi in cui s’impara e s’in-segna: basti pensare ai mol-teplici usi quotidiani che i ra-

etnografica per questi conte-sti, per coglierne quegliaspetti spesso così quotidia-ni da passare inosservati, perquanto essi influenzino nonpoco i percorsi educativi. E tuttavia, anche questo sup-plemento d’attenzione, diconoscenza e di comprensio-ne non è sufficiente, soprat-tutto in una prospettiva pe-dagogica. È necessario, in-fatti, condividere delle corni-ci in grado di aiutarci a ri-orientare questi contesti:cornici capaci di cogliere lecaratteristiche del nostropresente, rilevandone peròanche le potenzialità forma-tive ed evitando di polarizza-re subito i contesti educativiin contrapposizioni semplici-stiche fra coloro, che sischierano a favore delle no-vità e coloro che invece leosteggiano. Un contributo

Partire dalla concretezza dei luoghi educativi odierni, significa anche questo: provare a modificare il modo in cui siamoabituati a vederli...

in cercadi futurodavide [email protected]

Non cambiare la realtàma il nostrorapporto con essa

gazzi e le ragazze fanno del-le tecnologie, e al modo incui - anche grazie a questetecnologie - l’esperienza diogni giorno dei giovani di-venta sempre più «trans lo-cale», ovvero fatta di moltiluoghi e molte appartenenze(e non solo per i figli e le fi-glie dei migranti). Per poter comprendere que-sti cambiamenti, c’è senz’al-tro bisogno di ricerche cheforniscano conoscenze e in-formazioni sulle nuove carat-teristiche dei contesti educa-tivi. C’è per esempio bisognodi una maggiore attenzione

prezioso in questa direzioneè quello offerto recentemen-te da Anna Maria Piussi, pro-fessore di pedagogia all’Uni-versità di Verona1. Piussi, cheè una grande esperta delpensiero e della pedagogiadella differenza sessuale (faparte fra l’altro della comu-nità filosofica femminile Dio-tima, attiva da oltre vent’an-ni presso l’Università di Ve-rona), parte da una lucidaanalisi critica delle ambiguitàe delle conseguenze di moltepolitiche educative contem-poranee. La studiosa verone-se non si ferma alla fasedell’analisi, ma sottolinea co-me, proprio dalla «politicadelle donne» si possa impa-rare che «il presente in cui citroviamo a vivere non è unamaglia compatta alla qualeaderire o alla quale, al con-trario, contrapporsi». L’im-portante, osserva Piussi, ècercare di «muoverci su unaltro piano», creando «prati-che contestuali che interven-gano nei processi per dare aessi una nuova direzione».Per provare a farlo, suggeri-sce in particolare Piussi, sitratta di «cambiare non tan-to la realtà, quanto la rela-zione con essa», ovvero di«partire da sé come essere-parte della complessità in cuici si trova a operare e non vi-versi come elemento a essaesterno o opposto-oppositi-vo». Partire dalla concretezzadei luoghi educativi odierni,significa anche questo: pro-vare a modificare il modo incui siamo abituati a vederli...

1 A. M. Piussi, Il senso libero della liber-tà. La posta in gioco di una civiltà desi-derabile, in «Encyclopaideia», XV (29),2011, pp. 11-46.

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«Il presente in cui ci troviamo a vivere non è una magliacompatta alla quale aderire o alla quale, al contrario,contrapporsi»Anna Maria Piussi

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C om’è noto, il periodo2011-2020 è il decen-

nio che i vescovi italiani han-no dedicato al compito edu-cativo come segno dei tempie sfida culturale. Di questotema parla il documentoEducare alla vita buona delVangelo (4 ottobre 2010),un testo di 35 cartelle facil-mente scaricabili da internet. È opportuno leggerlo atten-tamente per mettersi in sin-tonia con il cammino chetutta la Chiesa italiana stacompiendo in questo mo-mento storico.Ma da che cosa nasce la crisidell’educazione in cui siamoprecipitati? A che cosa è do-vuta l’interruzione del pro-cesso di trasmissione dei va-lori alle nuove generazioni? Il documento dei vescovi po-ne l’accento sulla mancanzadi speranza nella storia e sul-la perdita di fiducia nella vi-ta. Concretamente - essi af-fermano - la radice della crisista in quel modo di imposta-re l’esistenza facendo a me-no degli altri, con il mito

dell’uomo che si fa da sé(self made man). L’individua-lismo rampante e il narcisi-smo gaudente e soddisfattostanno provocando lo sfal-damento del senso comuni-tario.Ma il tempo dell’educazionenon è finito, dicono con co-raggio i vescovi italiani. È ne-cessario aprire il cantiere del-la ricostruzione. Finché unapersona sarà portata a con-cepirsi soltanto come un «io»completo in se stesso, chiusoe felice nella sua auto-suffi-cienza, non ci sarà spazioper l’educazione poiché que-sta viene respinta in nome diuna falsa idea di autonomia.Se si vuole, invece, che l’edu-cazione, il dialogo, la relazio-ne trovino lo spazio per po-tersi affermare allora biso-gna detronizzare l’io dallasua torre d’avorio e collocareal primo posto il «tu», il voltodell’altro, la prossimità. Maquesto processo è lungo epaziente.Vorrei ancora mettere in evi-denza altri tre aspetti che ri-

Se si vuole che l’educazione, il dialogo, la relazionetrovino lo spazio per potersi affermare, allora bisognadetronizzare l’io dalla sua torre d’avorio e collocare al primo posto il «tu», il volto dell’altro, la prossimità. Ma questo processo è lungo e paziente.

che aria tiraa scuola?antonio [email protected]

Il tempo dell’educazionenon è finito

Da che cosa nasce la crisidell’educazione in cui siamo

precipitati? A che cosa èdovuta l’interruzione del

processo di trasmissione deivalori alle nuove generazioni?

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tengo particolarmente signi-ficativi.Il primo è la critica forte chei Vescovi fanno al principio dineutralità, che è un autenti-co bluff. L’educazione, infat-ti, non può mai pensare diessere «neutrale» e illudersidi non condizionare la liber-tà del soggetto in crescita. Èuna pretesa fuori dalla real-tà. D’altra parte, sarebbe ve-ramente ingiusto astenersidal trasmettere agli altri ciòche costituisce il senso piùprofondo della propria esi-stenza. Un simile travisa-mento restringerebbe l’edu-cazione nei confini angustidel sentire individuale e di-struggerebbe ogni possibileprofilo pedagogico. L’obiet-tivo prioritario di ogni buoneducatore è promuovere lacapacità di pensare con lapropria testa.Il secondo aspetto riguarda ilprincipio di autorità, che inpassato è stato rifiutato co-me se l’educazione potessefarne a meno. Ma non c’ènulla di peggio che metteretutti sullo stesso piano: geni-tori e figli, insegnanti e alun-ni, adulti e giovani. Abolire ilprincipio di asimmetria dallarelazione educativa significacancellare l’educazione stes-sa. Agli adulti questa situa-zione può apparire anchevantaggiosa perché in fondorisulta de-respondabilizzantee dunque molto comoda.Voglio, infine, ricordare che ivescovi italiani sottolineanol’importanza di un approccioeducativo al fenomeno del-l’immigrazione. Esso può di-ventare la chiave di volta peraprire le porte ad un futuroricco di risorse e spiritual-mente fecondo. Bisogna fa-

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vorire processi di integrazio-ne e formare la capacità digestire la compresenza diculture, credenze ed espres-sioni religiose diverse. Un ve-ro programma di educazio-ne civile, rivolto a tutti, nellanostra Italia plurale. ComeCEM cercheremo non solo diseguire con attenzione ilprocesso in corso, ma anchedi interagire con esso facen-doci promotori di idee e pro-poste. Ma di questo tornere-mo a parlare. q

che aria tira a scuola

I vescoviitaliani

sottolineanol’importanza

di unapproccioeducativo

al fenomenodella

immigrazione.Esso può

diventare lachiave di volta

per aprire leporte ad un

futuro ricco dirisorse e

spiritualmentefecondo

Ill.mo Prof. Antonio NanniCEM MondialitàBrescia

Carissimo Nanni,

ho appreso dalla rivista CEM Mondialità il felicecompimento dei tuoi sessant’anni1.Da buon ottuagenario, ti invio i più sentiti auguri, nel ricordo della lontana e comune militanza nel «club» ideale dell’intercultura.Mi congratulo anche per la tua conduzione sullastessa rivista della rubrica «Ripensare la mondialità».Davvero c’è bisogno di un «rilancio» della mondialità,e con essa dell’educazione interculturale, nel quadrodi una rinnovata educazione alla cittadinanza, chepuò valere come educazione al pluralismo, in un momento in cui l’amministrazione scolasicasembra assecondare con lentezza e, forse, con riluttanza questi approcci educativi, che, puresono nati nel suo seno.Con l’occasione ti invio il mio recente volumetto «Educare alla cittadinanza nella societàmulticulturale» (Roma, Anicla 2011), che sviluppa questi convincimenti.

Ti saluto cordialmente, con animo amico

Luciano Amatuccigià dirigente del Ministero della Pubblica Istruzione

Roma, 30 agosto 2011

1 Cfr. «CEM Mondialità», agosto-settembre 2011, p. 38.

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14 | cem mondialità | ottobre 2011

educazionedegli adultirita [email protected]

Si dice che gli adulti amano ed educano i bambini, ma iopenso che sia un’affermazione inesatta: per me è ilbambino il vero maestro d’amore e di educazione, che conla sua sola presenza e amando può «svegliare» gli adulti eindirizzarli verso un comportamento nuovo.

Ri-nascere

C ome pedagogista econsulente familiare mi

trovo nella condizione di«ponte» tra le due principalirealtà educative per il bam-bino e per l’adolescente: lafamiglia e la scuola, e mi ca-pita spesso, troppo spesso,di paragonarle ad una cop-pia di «genitori separati» checerca di accudire ed educarei figli/allievi al meglio chepuò ma spesso, troppo spes-so, senza accordi, mediazio-ni e progetti comuni finaliz-zati al bene degli adulti e deiminori. Il mio ruolo, in con-sulenza familiare, tra genito-ri in conflitto o in via di sepa-razione, è quello di tutelaresoprattutto il minore, di farascoltare la sua voce e diportare i genitori a compren-dere che il bene dei bambinipassa soprattutto dalla lorocapacità adulta di accordar-si, armonizzarsi e di non farpagare ai figli le conseguen-ze delle loro frustrazioni e in-comprensioni. Lo stesso micapita di fare, come pedago-gista, quando lavoro nelle

scuole, dove cerco strategiecreative per far comunicaregenitori ed insegnanti per illoro ben-essere e per quellodei figli/allievi. Mi chiedospesso: quando e come è ini-ziata questa separazione,questo disamore, tra fami-glia e scuola e tra gli adultieducatori in genere? Quan-do hanno smesso di accor-darsi dimenticandosi dellaresponsabilità verso i bambi-ni e delle conseguenze per-sonali e sociali che sono sca-turite da questi comporta-menti? Non è questo il mo-mento e non c’è il tempo peranalizzare il passato, è inve-ce determinante restare sul«qui ed ora» cercando di ca-pire cosa è meglio fare per ilpresente. Il nostro potere

Che senso ha rinvangare il passato?

Questo è quello che faccio quando incontrocoppie in crisi, o gruppi di genitori ed insegnanti,spiego loro che non ha senso rinvangare ilpassato, lanciarsi reciproche accuse, cercare ilcolpevole mentre i bambini sentono, vivono,subiscono il disagio del disaccordo tra le personeche più amano. Domando loro se voglionoveramente cambiare o se sono più legati alrancore, al desiderio di recriminare, alla voglia diavere ragione e a vecchie rabbie? Domando lorose ce la fanno ad amare al punto tale da mettereda parte le proprie ragioni a favore di un benepiù grande che è quello dei figli/allievi. Gli adultipossono ricorrere agli avvocati, ai consulentifamiliari, ai terapeuti, agli esperti, agli amici, ma ibambini? Chi li ascolta? Da chi possono andarequando in famiglia o a scuola si respira aria diconflitto, stanchezza, scoraggiamento e dolore? Diciamo sempre che sono gli adulti che amano ededucano i bambini, ma io penso che siaun’affermazione inesatta: per me è il bambino ilvero maestro d’amore e di educazione, che con lasua sola presenza e amando può «svegliare» gliadulti e indirizzarli verso un comportamentonuovo. Sempre che noi adulti siamo disponibili adascoltare, imparare e ad entrare in relazioneempatica con loro. Relazione paritaria comeesseri umani, diversa per competenze, dovel’adulto si assume la responsabilità di protezione,congruenza e guida autorevole.

Chi ascolta ibambini?

Da chi possonoandare quando in

famiglia o a scuolasi respira aria di

conflitto,stanchezza,

scoraggiamento edolore?

Sitwwwunioprem

wwwassoccopp

wwwgordgenit

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personali, di coppia e di fa-miglia, scuole per genitori,GES: genitori sempre percoppie separate, gruppi diparola per figli di separati,ma anche tante istituzionipubbliche e associazioni pri-vate dove poter avviare unpercorso relazionale di au-toeducazione e di sostegnoalla genitorialità responsabi-le. Bisogna trovare il corag-gio d’iniziare e d’intrapren-dere il «viaggio» verso la co-noscenza si sé. Per questo bi-sogna ringraziare i bambini,perché con la loro presenzanella nostra vita, con i pro-blemi che ci pongono, risve-gliano in noi il «bambino in-teriore», riportandoci ad unnostro e loro grande diritto:avere genitori ed educatorinon perfetti e superefficienti,ma «sufficientemente buo-ni» per crescere insieme. Perme oggi il progetto più gran-de è quello di far ri-nasceregli adulti, si ri-nasce con unatto di coraggio e amore perse stessi che implica consa-pevolezza, riconosce gli at-teggiamenti sbagliati, si pro-pone il cambiamento e met-te in campo la resilienza perco-progettare qualcosa dinuovo. q

si risolvono da soli o dele-gandoli a qualcun altro, chesi ha bisogno d’aiuto, è il pri-mo passo per uscire dal pro-blema e dalla solitudine:prendersi cura di sé. Il secon-do passo è cercare i luoghidove si può essere aiutati ariattivare le proprie risorse,acquisire metodologie edu-cative/preventive e ridefinireinsieme un percorso di for-mazione al ruolo genitorialeed educativo: prendersi curadell’altro. Il terzo passo èportare queste nuove moda-lità e competenze nella vitadi tutti i giorni, per condivi-dere i doni ricevuti con tuttala comunità: prendersi curadel noi, della società. La scel-ta è molto ampia, su tutto ilterritorio nazionale esistonoconsultori privati (nella mag-gior parte gratuiti) dove so-no disponibili consulenze

Per saperne di più

M. Andolfi, P. Forghieri Mani-cardi (a cura di), Adolescenti trascuola e famiglia Verso un ap-prendimento condiviso, Raffael-lo Cortina, Milano 2002C. Marzotto (a cura di), I gruppidi parola per i figli di separati,Vita&Pensiero, Milano 2010D. Sampaio, Nella tempestadell’adolescenza, Franco Angeli,Milano 2011E. Scabini, G. Rossi (a cura di),Dono e perdono nelle relazionifamiliari e sociali. Studi interdi-sciplinari sulla famiglia, Vita &Pensiero, Milano 2000

educazione degli adulti

nti,

ne

diroere

lti

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i ad

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d’intervento è solo nel tem-po presente e solo così pos-siamo cogliere l’attimo, ilkairòs, il tempo opportunoper un cambiamento in que-sto momento di crisi tra gliadulti e generazionale.

Non trascurare la comunicazione emotiva

Il bambino ha bisognod’amore, di comprensione,di fiducia, di ascolto, di au-tenticità adesso, non doma-ni, e ha diritto ad amare i ge-nitori, i nonni, gli insegnan-ti… Ha bisogno della nostrasaggezza nel preparargli luo-ghi di accoglienza, ascolto enon di giudizio, dove possasperimentarsi, apprendere eprepararsi alla vita e alle suesfide. Dal mio «osservatorioponte» noto che i genitori egli insegnanti (ma anche tut-ti gli adulti educatori che ilbambino incontra), che han-no il privilegio di cogliere ipassaggi generazionali afianco dei bambini, utilizza-no maggiormente la comu-nicazione ideologica e razio-nale, trascurando quellaemotiva e distraendosi sem-

pre più dal proprio «sentire».Questa realtà mi apparesempre più come un cammi-no verso la solitudine, che sievidenzia sia nelle famiglie dioggi, che sono più autono-me ma più autoreferenziali,sia nella scuola, dove, nellaricerca di nuovi modelli edu-cativi, i docenti sono chia-mati a competenze semprepiù vaste, come nel mondodei bambini e degli adole-scenti che trovano nel grup-po di pari, sia sicurezza nelriconoscimento delle simili-tudini e delle affinità con glialtri, sia un luogo per impor-re la propria personalità conatteggiamenti di potere, disopraffazione e di violenza.Oggi gli adulti faticano adespletare il loro ruolo di ge-nitori/educatori, in quantol’organizzazione della vita,della comunità e la mancan-za spesso di una rete di ser-vizi fruibili e stabili, ha fattosì che i bambini vengano in-dirizzati verso un percorso dicrescita sempre più fram-mentato e velocizzato, se-gnato da una delega semprepiù ampia, affidata ad agen-zie esterne al contesto fami-liare o all’«esperto» che pos-sa risolvere i problemi. Que-sti atteggiamenti di delegavanno letti non come man-canza d’amore o di respon-sabilità per i figli/allievi, macome una rivelazione delsenso di’inadeguatezza nelproprio ruolo educativo e co-me una richiesta d’aiuto.

Tre passi per risolverei problemi

Prendere coscienza dellapropria inadeguatezza e sof-ferenza, che i problemi non

Quando incontrocoppie in crisi,

o gruppi di genitori

ed insegnanti,spiego loro che

non ha sensorinvangare

il passato,lanciarsi

reciprocheaccuse, cercare

il colpevolementre

i bambinisentono, vivono,

subiscono il disagio del

disaccordo trale persone

che più amano

Siti utiliwww.ucipem.it unione consultori italianiprematrimoniali e matrimoniali

www.aiccef.it associazione consulenti dellacoppia e della famiglia

www.braingym.it/programma_gordon.html genitori efficaci

www.gruppidiparola.it per bambini con genitori separati

www.cadelfa.it/gruppi-di-parola-per-genitori.html

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L’esperienzaermeneutica

apre la stradaalla relazione,

in cui stal’essenza stessa

dell’essereumano

Le ragioni filosofichedel pluralismo religioso

è ancor più nell’esperienzainter-culturale e ancor più in-ter-religiosa, in cui quello chec’è da comunicare sono ledomande di senso. In altritermini, potremmo dire chel’esperienza ermeneuticaapre la strada alla relazione,in cui sta l’essenza stessadell’essere umano. L’uomopuò realizzare se stesso, in-fatti, solo se si pone in dialo-go. Se la dimensione religio-sa è intimamente legata al-l’essenza stessa dell’essereuomini e donne, e se anchel’idea di relazione autenticalo è, non possiamo non fardialogare le religioni, nellaconsapevolezza che non so-no le religioni tout court chedialogano tra loro, ma chesono gli uomini e le donneche costruiscono sentieri didialogo per dare in questomodo - attraverso la relazio-ne - un significato all’esisten-za. Perché - e qui non pos-siamo non citare Panikkar, lecui riflessioni appaiono im-prescindibili - solo aprendo ilcuore e la mente all’alterità èpossibile realizzare quel dia-logo «dialogale» che superail dialogo meramente «dia-lettico». q

1 C. Ciancio, Ermeneutica filosofica epluralismo religioso, 1992 in http://si-ba-ese.unisalento.it/index.php/idee/ar-ticle/view/2928.2 A. Nanni, S. Curci, Dal comprendereal convivere. La scommessa dell’inter-cultura, Emi, Bologna 2009.3 M.Benasayag, A. Del Rey, Elogio delconflitto, Feltrinelli, Milano 2008.4 S. Cicatelli, Ermeneutica e Pedagogia:un percorso comune, in «OrientamentiPedagogici», 4, luglio-agosto 2003, p.619.5 Rif. a F. Cambi, Ermeneutica e Peda-gogia: il confronto attuale, in M. Muzi,A. Piromallo Gambardella (a cura di),Proposte ermeneutiche in pedagogia,Unicopli, Milano 1995, pp. 45-110.

pedagogia, in quanto «ope-razione non teoretico-con-templativa ma etico-pratica,perché legata al vissuto dellepersone che si relazionanonella comunicazione»4. Maper seguire la strada erme-neutica è bene fare riferi-mento ad alcuni modelli, cer-tamente differenziati, ma inqualche modo tra loro in-trecciati, identificati in Gada-mer, Ricoeur, Apel; in parteHabermas; Vattimo e Rovat-

ti5. È attraverso infatti l’azio-ne di queste tre fonti che og-gi si è venuta a creare quellakoiné ermeneutica ricordatada Vattimo, che può davverorisignificare alcuni concettichiave della filosofia tradizio-nale. Ma è davvero possibilela comprensione all’internodel pluralismo culturale e re-ligioso? Questo è il cuoredella nostra riflessione. Cre-diamo che l’ermeneutica siponga come strada fonda-mentale nel momento in cuisi offre come strumento dilettura dell’alterità, quadri diriferimento che per esserecompresi devono essere pri-ma narrati. Il paradigma er-meneutico induce i saperioccidentali - spesso ancoraintrisi di pregiudizi etnocen-trici - a valorizzare il plurali-smo e la differenza, nella de-costruzione delle proprieprecomprensioni. Questo si-gnifica riappropriarsi dellapropria identità culturale ereligiosa senza temere di per-derla. Se questo è vero inqualsiasi relazione umana, lo

Èarduo sintetizzare un te-ma di vasta portata co-

me le ragioni filosofiche delpluralismo religioso. Ci limi-tiamo a pochi accenni, cherimandano necessariamentead un approccio ermeneuti-co essenziale, non solo perevitare un approccio di tipo«riduzionistico» al fenomenoreligioso, ma anche per giu-stificare l’esigenza del dialo-go1. Il problema ermeneuti-co è il problema del com-prendere, ed educare a com-prendere l’altro è un atto in-trinsecamente intercultura-le2. Al di fuori dell’ermeneu-tica, la pretesa di verità delparticolare e quella dell’uni-versale non si unificano, malasciano spazio solo alloscontro, che è diverso daquel conflitto «creativo», illu-strato da Benasayag3, che faemergere un potenziale ditrasformazione proprio diogni situazione realmenteinterculturale. Particolar-mente fecondo diventa sot-tolineare il legame che l’er-meneutica instaura con la

L’ora dellereligionimarialuisa damini - marco dal [email protected] - [email protected]

16 | cem mondialità | ottobre 2011

Solo aprendo il cuore e la mente all’alterità è possibilerealizzare quel dialogo «dialogale» che supera il dialogomeramente «dialettico».

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La scuola#

Sentinella, quanto resta della notte? Oltre ogni crisi, per un nuovo patto generazionale

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1. La scuola come luogo d’incontro tra generazioni

Il processo educativo è da sempre lo spazio in cui sirelazionano in modo asimmetrico due o più soggetti:genitore-figlio, maestro-allievo, artigiano-apprendista.

I dati fondamentali di questo processo, come ha ben evi-denziato Gaston Mialaret alcune decine di anni fa, pos-sono essere riassunti nelle definizioni di «fatto educativo»e di «situazione educativa». Definizioni che permettonodi concentrarsi sulla specificità del rapporto educativo,poiché non ogni relazione asimmetrica tra soggetti puòessere definita educazione (vedi box 1).L’istituzione chiamata «scuola», ed in particolare la scuo-la di massa, ha sostanzialmente assunto il compito, inun mondo sempre più complesso, di formare/socializza-re le nuove generazioni rendendole capaci (in conoscen-ze, abilità e competenze) d’inserirsi nella società in cuisono nati.In sostanza un passaggio, una trasmissione di cono-scenze tra generazioni, mediato da personale esperto aciò dedicato, i maestri, i pedagoghi, i docenti. Ma ancheun luogo nel quale elaborare risposte innovative allenuove sfide che l’evoluzione sociale poneva.

18 | cem mondialità | ottobre 2011

Sentinella, quanto resta della notte? Oltre ogni crisi, per un nuovo patto generazionaleSentinella, quanto resta della notte? Oltre ogni crisi, per un nuovo patto generazionale

Interrogarsisul senso della

scuolaAluisi Tosolini

La scuola è certamenteuno dei luoghi in cui, come

ha scritto Roberto Morselli

introducendo i dossier diCEM, uno dei

fondamentali ruolicomplementari - quellomaestro-allievo - viene

rimesso in discussione edè costretto a cambiareforma interagendo con

linguaggi, pratiche,modelli di comportamento

che richiedono lacostruzione della nostranuova identità sociale.

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ottobre 2011 | cem mondialità | 19

la scuola 3

Il dibattito pedagogico si è così sin dall’inizio concentratosu alcuni aspetti:

z Quali sono le caratteristiche del buon docente e dellasua relazione con il discente?

z Che cosa si può o deve insegnare/che cosa si può edeve imparare?

z Come deve essere una «buona» scuola?

Non è certo possibile riassumere qui le migliaia di rispo-ste fornite nel corso dei secoli a questi tre quesiti. Può pe-rò essere utile confrontarsi con i tre grandi della riflessio-ne pedagogica che tentano di rispondere ai tre quesiti.

z La posizione di Michel de Montaigne, che sarà poi ri-presa da Edgar Morin (v. box 2);

z La posizione di Comenius, che a metà del ‘600 sostieneche l’educazione deve essere rivolta a tutti (maschi efemmine, poveri e ricchi); deve iniziare in tenera età edeve seguire il metodo della natura articolandosi in se-quenze logiche ben correlate tra loro; deve essere glo-bale e deve basarsi sull’attiva partecipazione e sull’in-teresse del discente; deve riguardare tutti i contenutinecessari a rendere il soggetto attore e non spettatoredella vita (v. box 3);

Negli ultimi decenni del ‘900 lariflessione pedagogica ha dovutoaffrontare il mutamentocomplessivo delle societàoccidentali, che si sono fatte semprepiù complesse, postindustriali,tecnologicamente avanzate emulticulturali.

z La posizione di John Dewey, che sul finire dell’800 e poiper tutto il ‘900 lavorerà sulla correlazione tra scuola,società e democrazia, evidenziando come la scuola,chiamata a saldare il passato con il futuro, costituiscail luogo della nuova socializzazione democratica (v.box 4).

Negli ultimi decenni del ‘900 la riflessione pedagogica hadovuto affrontare il mutamento complessivo delle societàoccidentali, che si sono fatte sempre più complesse, po-stindustriali, tecnologicamente avanzate e multiculturali.Così, se da un lato si sono sempre più affinati gli stru-menti della didattica, dall’altro gli studiosi si sono interro-gati sul significato stesso della scuola e dell’educazionenel tempo della globalizzazione. Per alcuni la stessascuola di massa è da ritenersi ormai uno strumento supe-rato, in quanto legato ad una società industriale non piùesistente. Altri invece hanno sottolineato la complessità epluralità della stessa intelligenza. Tra questi, ad esempio,il pedagogista statunitense Howard Gardner, che identifi-ca sette diversi tipi d’intelligenza e la necessità di pensarela formazione come dimensione continua, che investe tut-to l’arco della vita (life-long education) nelle società multi-culturali definite learning society o cognitive society. Edu-cazione che nel tempo della rivoluzione portata da inter-net e dai new media (che come sostiene il filosofo Lyotardcambia radicalmente il modo stesso di concepire la tra-smissione del sapere) è chiamata a ridefinire il propriosenso complessivo in ordine alla formazione del cittadinoglobale o planetario. In sintesi la complessità del compitoeducativo in una società in continua e rapida trasforma-zione significare fare i conti:

z con i soggetti in formazione, con le loro aspettative edil loro specifico sviluppo cognitivo e psicologico;

z con una società in sempre più rapido e vorticoso mu-tamento, una società dove l’informazione e la cono-scenza sono valori centrali e determinanti, ma anchelabili e soggetti a rapida obsolescenza;

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20 | cem mondialità | ottobre 2011

Corsi ericorsi storici

Su La Stampa di qualchegiorno fa Gianni Riotta nar-rava che quando la Cina

riaprì i confini economici cheMao Zedong aveva bloccato perdue generazioni, Jack Welch, am-ministratore delegato della pode-rosa General Electric, mandò isuoi manager a Pechino con unmonito: «Ragazzi, tornate e fatevionore, siete il fiore del capitalismo,non avrete problemi con quei bu-rocrati comunisti».Quando i manager, laureati alletop business school americane,portarono a Welch il risultato deinegoziati, l’uomo che la rivista Timeha nominato «migliore busines-sman del secolo» cambiò idea: «I cinesi avevano azzeccatotutto, royalties, strategie, controllo degli spin off, marketinginternazionale: sbagliavo io, perché il comunismo è duratopoco; qualche millennio di cultura diplomatica ed economi-ca, da Confucio in avanti, pesa di più».L’occasione per citare l’aneddoto è stata un annuncio delministro delle finanze brasiliano, Guido Mantega. «I paesiBrics - ha detto Mantega nel corso di una conferenza stam-pa - si riuniranno la prossima settimana a Washington e di-scuteranno di come poter aiutare l’Unione Europea a uscireda questa situazione». Ovvero che Brasile, Russia, India, Cinae Sudafrica cercheranno un’azione comune per tirare fuoril’Europa e l’euro dal pantano, cosa che non farebbe maleneppure agli Usa. È un cambiamento in qualche modo epo-cale nel contesto delle relazioni politico-economiche del glo-bo. Russia a parte, le nuove potenze economiche si ritrova-no per portare soccorso al «vecchio» mondo, dei quali alcu-

ne di esse erano colonie fino a poco più un secolo fa. I ga-leoni ed i battelli a vapore potrebbero ricominciare a portarericchezze all’Europa sotto forma di investimenti anziché direfurtiva coloniale.Ciò significa due cose: a) che sono pieni di soldi e b) chehanno capito una cosa che l’Occidente non ha mai capito.Ovvero che essendo la terra tonda, bisogna far sì che ci stia-no bene tutti o, prima o poi, non ci starà bene nessuno.

Hanno assimilato davvero il concettodi interdipendenza.Certo, è possibile un’obiezione. I Bricsgovernano circa tre miliardi di perso-ne; una parte consistente (stimerei fraun terzo ed un quarto) è povera econtiene a sua volta una quota sottola soglia della povertà. I sistemi diwelfare, ove esistano, non sono pa-ragonabili a quelli europei. E alloraperché questi paesi non usano i lorocapitali per migliorare le condizionidi vita dei propri cittadini più deboli?Credo che la risposta stia in un cock-tail di millenarismo e pragmatismo.Oggi potremmo avere tutti pollo epane, ma per cinquant’anni nonavremo altro. Se oggi a qualcunodiamo solo pane e a qualcun altro

neanche quello, fra cinquant’anni avremo tutti un pastocompleto. È un ragionamento duro, quasi darwinistico. Nondico sia da imitare, ma credo imponga una riflessione a chiha passato decenni a champagne senza averne i mezzi.L’operazione comunque non sarà indolore. Aldilà di even-tuali azioni concertate, che potrebbero concretizzarsi inmassicce iniezioni di liquidità con l’acquisto di titoli del de-bito pubblico, alleviando le stremate banche centrali, nonmancheranno le iniziative bilaterali. I cinesi sono venuti inItalia ai primi di settembre. Tremonti ha sciorinato loro il me-nù dei nostri titoli di Stato, come un piazzista speranzoso difare il colpo dell’anno. L’altro ha ascoltato attentamente epoi, con mandarina cortesia, ha più o meno risposto «Nonsiamo pensionati che devono collocare i risparmi; noi vo-gliamo investire. Che ne direste se parlassimo di Eni, Enel,magari Finmeccanica?». I padroni si troveranno a vivere inaffitto. Se non è un ricorso vichiano, per chi mandò i bersa-glieri a Tientsin, ci manca poco. n

gianni [email protected]

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la scuola 3

z con la pluralità di culture che interagiscono nella società multi-culturale richiedendo non solo una nuova definizione di cittadi-nanza ma anche una rimessa in discussione della centralità edegemonia della cultura occidentale;

z con una tecnologia che mette a disposizione, in tempo reale esenza alcuna barriera spaziale, una mole immensa d’informa-zioni e conoscenze che cambiano radicalmente la professionedocente e implicano l’acquisizione, da parte degli studenti, dinuove competenze capaci di andare oltre il semplice «appren-dimento», favorendo invece «l’apprendere ad apprendere» lun-go tutto l’arco della vita.

n BOX 1

Gaston Mialaret:la «situazioneeducativa»Il «fatto educativo» è un’azione esercitata suun soggetto o un gruppo di soggetti, che èaccettata o addirittura ricercata dal soggettoo dal gruppo di soggetti ai fini di giungeread una modificazione profonda, tale chenuove forze vive nascano nei soggetti e essistessi divengano elementi attivi dell’azioneesercitata su se medesimi.

Un «buona» educazione è caratterizzata:z da un insieme coerente di obiettivi scelti e

definiti di comune accordo tra (A) ed (E);z dalla scelta di processi (M) in maniera tale

che vi sia da un lato adeguamento agliobiettivi determinati e, dall’altro, alle leggibiologiche, psicologiche epsicosociologiche che regolano ilfunzionamento di (E);

z da un sistema di retroazione (valutazionecontinua nel senso più ampio) chepermette una costante rettifica degliitinerari ed un adattamento sempre piùpreciso di (A), (M) ed (E), una possibilerimessa in discussione degli obiettivi sceltie dell’insieme del sistema.

Tutti i fatti educativi s’inseriscono in uncontesto che chiameremo una situazioneeducativa. La conoscenza delle caratteristicheprincipali di questa è indispensabile perl’interpretazione e per la comprensione deifatti educativi. Una situazione educativainfluenza i partner presenti e ne èinfluenzata. Tre sono le tipologie di azioniche influenzano la situazione educativa:z (M1) azione dell’ambiente e della

situazione educativa;z (M2) azione del o dei fattori educatore/i;z (M3) azione all’interno del o dei gruppi.

Gaston Mialaret, Le scienze dell’educazione,Loescher, Torino 1978, pp. 28-30.

n BOX 2

Michel de Montaigne

Michel de Montaigne (1533-1592) siscaglia contro l’istruzione pedante,dogmatica, ripetitiva e mnemonica. Scriveil filosofo scettico, indicando la nuovafigura di precettore e maestro: «A un figliodi nobile famiglia che non ricerchi dallelettere guadagno […] né vantaggiesteriori, ma ricerchi invece vantaggi intimie personali per arricchirsi e raffinarsiinteriormente, aspirando a diventaresaggio piuttosto che erudito, vorrei siavesse cura di scegliere una guida con latesta ben fatta piuttosto che ben piena.Un precettore che abitui il suo alunno apassare al vaglio ogni cosa così che nullasia accettato solo in base al principio diautorità. Unica guida deve essere laragione». E, citando Seneca, scrive: «Nonsiamo sottoposti ad un sovrano; ciascunorivendichi la propria libertà».

L’istituzione chiamata «scuola», ed inparticolare la scuola di massa, ha

sostanzialmente assunto il compito, inun mondo sempre più complesso, di

formare/socializzare le nuovegenerazioni rendendole capaci (inconoscenze, abilità e competenze)

d’inserirsi nella società in cui sono nati.

Viterbo 2001, laboratorio Viterbo 2006, riunione dei conduttori dei laboratori

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n BOX 3

Giovanni Amos ComeniusDidattica Magna. Trattato dell’arte universaled’insegnare tutto a tutti, ossia, modo sicuro ed eccellente difondare in tutti i comuni, città e villaggi d’un regno cristianoscuole tali, che tutta la gioventù dell’uno e dell’altro sesso,nessuno eccettuato in alcun luogo, possa essere formata aglistudi, ingentilita nei costumi e imbevuta di devozione, e in questamaniera, negli anni della prima giovinezza, istruita in tutto ciò,che serve alla vita di questo mondo e dell’altro, con risparmio ditempo e di fatica, con diletto e solidità.In quest’opera le ragioni di tutte le cose, che si consigliano, sonoricavate proprio dalla natura delle cose stesse; la verità èdimostrata con esempi paralleli presi dalle arti meccaniche; il corsodegli studi è distribuito in anni, mesi, giorni e ore; e infine èindicata una via facile e sicura di mettere bene in pratica le regoledidattiche.[…].Bisogna oramai dimostrare che nelle scuole si deve insegnare tuttoa tutti: si badi però che non intendiamo dire che tutti devonoacquistare conoscenza di tutte le scienze e di tutte le arti (e moltomeno conoscenza esatta e profonda), poiché questo di sua naturanon è utile, e per la brevità della nostra vita non è possibile anessuno. Vediamo invero che ogni scienza è così ampia e cosìsottilmente suddivisa […] che può prendere tutta la vita di unuomo anche dotato dell’ingegno più alto, se vuole dedicarsi allateorica e alla pratica. […]. Tutti devono però imparare a conoscereil fondamento, la ragione e il fine di tutte le cose principali,naturali e artificiali, perché chiunque è messo al mondo, c’è messonon solo perché faccia da spettatore, ma anche da attore. Ebisogna provvedere e anche prestarsi in ogni modo a questo, checioè nessuno, mentre sta in questo mondo, non incontri nessunacosa a lui tanto sconosciuta, che non ne possa daremodestamente giudizio e servirsene prudentemente a un datouso, senza cadere in dannosi errori.Bisogna perciò in tutto e per tutto e senza eccezioni avere in miraquesto, che nelle scuole e quindi, per benefico effetto delle scuole,in tutta la vitaI. si coltivino gli ingegni con le scienze e con le artiII. s’ingentiliscano le lingueIII. si formino i costumi ad ogni specie d’onestàIV. si presti sinceramente culto a Dio.[…] le scuole sono officine di uomini in quanto produconosinceramente l’effetto, che l’uomo divenga veramente uomo, cioèI. creatura razionale;II. creatura signora delle altre creature (e anche di se stessa);III. creatura delizia del suo creatore.E avverrà così se le scuole produrranno uomini che abbiano nellamente sapienza, nelle opere prudenza e nel cuore devozione.

G.A. Comenius, Didattica magna (1657), traduzione italiana di VincenzoGualtieri, Remo Sandron ed., Milano, s.d. (1911?) pp. 5; 100-101.

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Aluisi Tosolini

Aluisi Tosolini è filosofo epedagogista. Le sue ricerche si

collocano nell’intersezione tra leproblematiche interculturali e i

linguaggi dei new media. Tra i suoiultimi lavori: A scuola di

intercultura (con S. Giusti e G.Papponi Morelli) Erickson 2007;

Acqua e intercultura (con D. Zoletto) Emi 2007,

Il Postmoderno è qui, EMI 2008;Dizionario della riforma. Dalla

A alla Z. Tutte le trasformazioni delsistema scolastico dal 2008 ad oggi

(con R. Palermo), La tecnica dellascuola, Catania 2008; Comparare,

Erickson, Trento 2010. [email protected]

Sentinella, quanto resta della notte? Oltre ogni crisi, per un nuovo patto generazionale

Si tratta di sfide complesse che vedono impegnato tuttoil mondo sociale, culturale e politico. L’obiettivo comunedelle diverse proposte è chiaro: occorre aiutare ogni es-sere umano a sviluppare al massimo il proprio potenzia-le così da favorire la piena estrinsecazione della sua li-bertà e differenza entro percorsi di solidarietà. Solo cosìl’uomo non sarà ridotto a mera funzione della tecnica oa utensile dell’economia. Con lucidità Bruner ha così sintetizzato il problema:«Dobbiamo avere idee più chiare su cosa vogliamo inse-gnare, a chi e in che modo, se vogliamo contribuire acreare esseri umani più capaci di raggiungere i loroobiettivi, meno alienati e migliori. Abbiamo bisogno di unmovimento di riforma della scuola che abbia le ideechiare su dove stiamo andando e convinzioni più profon-de sul tipo di umanità che vogliamo essere»2.

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la famiglia 2

Premessa

Obiettivo di questo inserto è presentare unagalleria di personaggi che abbiamo sceltocome maestri e testimoni di quella nuova

concezione della mondialità che andiamo progres‑sivamente delineando. Non ci riferiamo, pertanto,ad autori, intellettuali, esperti, personalità che a va‑rio titolo vengono associati a temi, visioni, prospet‑tive e contenuti che evocano lʼuniverso planetario ecosmopolita poiché partiamo dal presupposto cheoltre agli aspetti teorici ed ideali siano altrettantoimportanti quelli concreti ed esistenziali. Per questoparliamo di maestri e testimoni, cioè non solo dielaborazioni teoriche ma anche di coloro che sonostati protagonisti di esperienze vissute.Abbiamo individuato inizialmente una rosa di figu‑re che tuttavia, per motivi di spazio, non verrannoillustrate al completo ma di esse ne selezioneremosoltanto cinque.Alcune di queste figure sono già conosciute, altreinvece risulteranno meno familiari e forse proprio

per questo potranno incuriosire. Ecco otto testi‑moni: Josephine Bakhita, Guido Maria Conforti,Bruno Hussar, Alberto Manzi, Liana Millu («sonoil numero A 5384 di Auschwitz‑Birkenau»), Gio‑vanni Battista Scalabrini (apostolo dei migranti),Jean Vanier (fondatore della comunità dellʼArca),Jimenez Mella Zeffirino (gitano spagnolo e primosanto zingaro). Ed ecco invece sette maestri: Er‑nesto Balducci, Benjamin Barber, Seyla Benabib,Paulo Freire, Hans Küng, Edgar Morin, RaimonPanikkar.Dando per scontato che sulla nostra rivista moltedi queste figure sono state già ampiamente pre‑sentate abbiamo deciso di soffermarci brevemen‑te su cinque di esse, nella consapevolezza chepur avendo scelto il criterio di evitare la cerchiadelle élite e di aver preferito quello della sempli‑cità, siamo comunque rimasti ancora troppo vin‑colati allʼorizzonte occidentale e cattolico, forseanche a causa della nostra «ignoranza» di altriuniversi culturali.

a cura di ANTONELLA FUCECCHI - ANTONIO NANNI

MAESTRI E TESTIMONIDI MONDIALITÀ

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9‑12

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Guido Maria Conforti(1865‑1931) il santo della mondialità

Fare del mondo una sola fami‑glia che abbracciasse lʼinteraumanità: ecco la mondialità chevoleva il fondatore dei Saverianidi cui il CEM è parte integrante,con una nota distintiva ‑ corre‑sponsabilmente condivisa ‑ del‑la sua natura laica che lo rende

aperto alla partecipazione non solo dei cristiani, madi tutti. Credenti, non credenti e diversamente cre‑denti. Per questo Guido Maria Conforti che il 23 ot‑tobre di questʼanno sarà proclamato santo, diventaper noi del CEM il santo della mondialità, che indicaa tutti la via della fraternità universale ed esige daisuoi missionari il «voto di missione» per annunciareil Vangelo a tutti i popoli della terra.Abbattere le barriere di lingua, etnia, razza e nazio‑nalità è indubbiamente un grande disegno, audace

e temerario, ma è anche la via obbligata per co‑struire interculturalità e convivialità delle differen‑ze. Oggi i Missionari Saveriani sono presenti in 18paesi del mondo e comprendono circa 800 religio‑si. Come ha scritto padre Mario Menin, che è anche

nostro superiore a Brescia, «per i Saveriani, la san‑tità del fondatore, oggi riconosciuta da tutta laChiesa cattolica, significa la conferma di uno stiledi vita, e la bellezza della missione ad gentes, cioèdel Vangelo annunciato a tutti i popoli, con le loroculture e religioni, non per dominarli ma per servir‑li, perché abbiamo gioia e vita in pienezza». È chiaroche dalla vita e dallʼopera di Guido Maria Conforti,per tanti anni Vescovo di Parma, torneremo ancoraa parlare sulla nostra rivista che fino ad oggi lo hatotalmente ‑ e forse ingiustamente ‑ trascurato.

Josephine Bakhita (1869‑1947)la serva della mondialità

Josephine Bakhita è una donnaafricana del Sudan proclamatasanta nel 2000. Possiamo assu‑mere Bakhita come testimone eserva della mondialità proprioperché la sua vita indica il pas‑saggio dalla condizione dischiavitù alla libertà. La sua vi‑

cenda è così straordinaria ed incredibile da appari‑re come una fiaba, ma si tratta di una storia reale.Bakhita è una bambina africana che viene rapitada trafficanti di schiavi (i famigerati «negrieri») peressere rivenduta, ma finisce misteriosamente nellemani di chi invece diventerà strumento di libera‑zione (il console italiano Callisto Legnani) che, por‑tandola in Italia, favorisce il suo passaggio dallʼani‑mismo al cristianesimo (1890), finché Bakhita sce‑glie di farsi suora canossiana e di consacrarsi a elme Paròn («al mio Padrone»). A suo tempo dirà:«se incontrassi quei negrieri che mi hanno rapita eanche quelli che mi hanno torturata mi inginoc‑chierei a baciare loro le mani perché se non fosseaccaduto ciò, non sarei ora cristiana e religiosa».Questa storia di una donna africana umile e sem‑plice sarebbe rimasta certamente sconosciuta seGiovanni Paolo II non lʼavesse proclamata Santa,facendola conoscere in tutti i continenti. Bakhita èlʼesempio di come una piccola schiava analfabeta,

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vecchia architettura istituzionale non regge più. Efin qui va bene. Ma tutto il resto, ad esempio passa‑re dallʼUnione Europea a Europoli (perché Barcello‑na, Londra e Milano non sono la stessa cosa di Spa‑gna, Inghilterra e Italia) è tutto da sperimentare congrande pazienza e vigilanza, per non passare dallapadella alla brace.

Alberto Manzi (1924‑1997)il maestro dellʼalfabetizzazione globale

Il maestro «televisivo» degli an‑ni ̓ 60, Alberto Manzi, condutto‑re della storica trasmissione tvNon è mai troppo tardi, è statoamico del CEM e con questospirito ha scritto libri per ragaz‑zi come Orzowei. Manzi amavaandare sulle Ande ogni anno

dʼestate (dal 1954 al 1977) per alfabetizzare gli In‑dios. Era un maestro elementare, laureato in biolo‑gia e in pedagogia. Può essere accostato ad altrieducatori suoi coetanei come don Lorenzo Milani,Mario Lodi e Danilo Dolci. Quando nel 1992 la RAIaffidò ancora ad Alberto Manzi un nuovo program‑ma di 12 minuti, collocandolo a mezzogiorno, perinsegnare lʼitaliano agli extracomunitari, Manzi riu‑scì a fare 60 puntate, poi il programma venne chiu‑so, provocandogli grande amarezza. Recentementeè stato per noi un enorme piacere leggere il numero2 (maggio 2011) del quadrimestrale «Educazioneinterculturale», pubblicato dalla Erickson di Trento,interamente dedicato alla figura di Alberto Manzi,che contiene un contributo di Gianfranco Zavalloni,da tanti anni collaboratore del CEM cui faremo ri‑ferimento. In esso troviamo la conferma del colle‑gamento diretto tra Alberto Manzi e il CEM, che al‑lora era diretto da padre Savino Mombelli. In una e‑mail inviata a Zavalloni il 26 ottobre 2010, Mom‑belli ricorda che tra il ̓ 68 ed il ̓ 71 egli «ha cambiatole carte in tavola facendo sì che il CEM da CentroEducazione Missionaria diventasse Centro Educa‑

africana ed extracomunitaria, possa diventare te‑stimone privilegiato della mondialità che è, per suanatura, universale e inclusiva.

Benjamin Barber (1939‑viv.)promotore della Giornata mondiale dellʼinterdipendenza

Benjamin R. Barber, professorestatunitense di Scienze politichepresso lʼUniversità del Mary‑land, è il promotore della Gior‑nata mondiale dellʼinterdipen‑denza, che si celebra ogni annoil 12 settembre, il primo giornodopo lʼ11 settembre, simbolo

dellʼapocalisse e dello scontro di civiltà. Barber hacreato anche il Movimento «CiV World» con lʼideadi far nascere una governance globale democratica,che ancora non esiste. Per fare questo occorre peròcoinvolgere i cittadini e la società civile. Bisognatrovare alternative alla guerra preventiva, al terro‑rismo. Uscire dallʼunilateralismo e passare al para‑digma politico dellʼinterdipendenza, dove la gover‑nance non è più di un solo soggetto (cioè del piùforte), ma è condivisa e democratica. A partire dal2003, ogni anno si è tenuto un forum nelle cittàglobali: Philadelphia (2003), Roma (2004), Parigi(2005), Casablanca (2006), Città del Messico(2007), Bruxelles (2008), Istanbul (2009), Berlino(2010). Queste giornate dellʼinterdipendenza stan‑no dando vita ad una rete di cittadini senza frontie‑re che si connettono sul nuovo sito Movimento In‑terdipendente. È evidente che nel XXI secolo la so‑vranità non può più essere esercitata come nel tem‑po precedente, quando gli Stati nazionali avevanopieno potere allʼinterno del proprio territorio. Perdemocratizzare la globalizzazione è necessariocreare una governance che oltrepassi le frontiereterritoriali e, dunque, la vecchia sovranità degli Sta‑ti nazionali. Si sta pensando di passare dallo Statonazione alle città globali. Si comincia a dire che la

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zione Mondialità». Mombelli dice di aver conosciutoAlberto Manzi nel 1963 a Roma e fu proprio Manziad aprire la strada affinché il CEM pubblicasseunʼantologia per le scuole medie, Il mondo è tuttomio, con lʼeditrice AVE. Nella stessa lettera Mom‑belli accosta il nome di Manzi a quelli di don Loren‑zo Milani e di Paulo Freire, pur differenziandoli nelmetodo. E conclude con un riferimento anche a Do‑menico Volpi, già direttore de Il vittorioso, aggiun‑gendo che alcuni incontri annuali del CEM furonoanimati insieme da Savino Mombelli, Alberto Manzie Domenico Volpi. Purtroppo di quegli incontri nonabbiamo trovato altra documentazione.

Seyla Benabib (1950‑viv.)universalismo dialogico e cittadinanza globale

Seyla Benabib è nata in Tur‑chia, ad Istanbul, ed insegnascienze politiche presso lʼUni‑versità di Yale, negli Stati Uniti.È sostenitrice della cittadinanzaglobale e del cosmopolitismo,sulla scia di Habermas, Beck,Arendt, ma afferma espressa‑

mente che sta scoprendo di essere molto vicina al‑la filosofia di Paul Ricoeur. Con Benjamin, Barbercondivide la preoccupazione di dar vita a istituzio‑ni di governance globale che rendano più credibilela democrazia internazionale. In questa prospettivaBenabib propone una forma di universalismo dia‑logico e inclusivo, molto simile al paradigma del‑lʼinterdipendenza di Barber. Il suo pensiero è anchemolto sensibile alle acquisizioni del femminismo.Ad esempio alla teoria del gender, che è distintodal genere sessuale così come la cultura è distintadalla biologia. Ciò significa che le differenze ses‑suali tra maschi e femmine non hanno soltanto unabase anatomica, ma sono il prodotto di una elabo‑razione culturale a partire da quella. Benabib ela‑bora unʼermeneutica critica del femminismo checoniuga insieme i punti di vista di Marx, Nietzsche

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e Freud. Ma la componente più interessante di Be‑nabib, nella prospettiva della mondialità, è la spintaad andare al di là dellʼarchitettura mondiale stabi‑lita a Westfalia (1648), non più corrispondente allanostra epoca planetaria, globale e cosmopolita. Di‑ce Benabib: «Ciò che più mʼinterressa è la possibi‑lità di pensare lʼuniversalismo in modo dialogicoed internazionale, di pensarlo cioè come unʼidearegolativa, come un progetto che viene costruitoattraverso la nostra narrativa e la narrativa del sée dellʼaltro. Di conseguenza, il compito dellʼuniver‑salismo è quello di permettere che lʼaltro raccontila sua propria narrativa. La critica standard allʼuni‑versalismo è di essere esclusivo, di lasciare da par‑te gruppi di umanità, di essere dominante. Tradi‑zionalmente cʼè sempre un fondo di verità in tuttoquesto ma lʼuniversalismo compreso in una pro‑spettiva interattiva e dialogica è una specie di telosuna specie di imperativo verso il quale ci possiamomuovere». Come non andava bene il pessimismo antropolo‑gico dellʼOttocento, così non possiamo arrestar‑ci, dice Benabib davanti allʼattuale pessimismodella civiltà.

Conclusione

Va detto subito che non ci si può limitare ai tre te‑stimoni (Conforti, Bakhita, Manzi) e ai due maestri(Barber e Benabib) qui presentati. Il campione di fi‑gure da noi selezionato può essere comunque utileper farsi unʼidea della nuova visione della mondia‑lità che oggi il CEM è chiamato a vivere. n

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n BOX 4

John Dewey Il mio credopedagogicoNel 1897 Dewey pubblica un breve saggio chesarà al centro del dibattito pedagogico di tuttoil novecento. Si tratta di un’esplicita dichiara-zione di fede, suddivisa in cinque articoli, chesintetizza il suo pensiero nel momento in cui èimpegnato nella fondazione e nella struttura-zione della Scuola Elementare dell’Universitàdi Chicago, uno dei primi esperimenti nel cam-po dell’attivismo.

Articolo I - Cos’è l’educazione

Io credo che:

z ogni educazione derivi dalla partecipazionedell’individuo alla coscienza sociale della specie.Questo processo s’inizia inconsapevolmentequasi dalla nascita e plasma continuamente lefacoltà dell’individuo, saturando la sua coscien-za, formando i suoi abiti, esercitando le sue ideee destando i suoi sentimenti e le sue emozioni.Mediante questa educazione inconsapevolel’individuo giunge gradualmente a condividerele risorse intellettuali e morali che l’umanità èriuscita ad accumulare. Egli diventa un erededel capitale consolidato della civiltà. L’educazio-ne più formale e tecnica che esista al mondonon può sottrarsi senza rischio a questo pro-cesso generale. Può soltanto organizzarlo o tra-sformarlo in qualche direzione particolare.z La sola vera educazione avviene mediante lostimolo esercitato sulle facoltà del ragazzo daparte delle esigenze della situazione sociale nel-la quale esso si trova. Tali esigenze lo stimolanoad agire come membro di un’unità, a uscire dal-la sua originaria angustia di azione e di sentire,e a pensare a se stesso dal punto di vista del be-nessere del gruppo del quale fa parte [...].z Il processo educativo ha due aspetti, l’unopsicologico e l’altro sociologico, e che nessunodei due può venire subordinato all’altro o tra-

scurato senza che ne conseguano cattivi risul-tati. Di questi due aspetti quello psicologico èbasilare [...]. Se gli sforzi dell’educatore non siriallacciano a qualche attività che il fanciullocompie di sua propria iniziativa, indipendente-mente dall’educatore stesso, l’educazione si ri-duce a una pressione dall’esterno. [...].z Riassumendo, io credo che l’individuo chedeve essere educato sia un individuo sociale eche la società sia un’unione organica d’indivi-dui. Se eliminiamo il fattore sociale dal fanciullosi resta solo con un’astrazione; se eliminiamo ilfattore individuale dalla società, si resta solocon una massa inerte e senza vita. Perciò l’edu-cazione deve iniziarsi con una penetrazione psi-cologica delle capacità del fanciullo, dei suoiinteressi e delle sue abitudini. Essa deve esserecontrollata ad ogni punto con riferimento aqueste stesse considerazioni. Tali facoltà, inte-ressi e abitudini devono essere continuamenteinterpretate; noi dobbiamo sapere qual è il lorosignificato. Esse devono essere tradotte nei loroequivalenti sociali e mostrare la loro capacitàcome organi di servizio sociale.

Articolo II - Cos’è la scuola

Io credo che:

z la scuola sia prima di tutto un’istituzione so-ciale. Essendo l’educazione un processo sociale,la scuola è semplicemente quella forma di vitadi comunità in cui sono concentrati tutti i mezzi

che serviranno più efficacemente a rendere ilfanciullo partecipe dei beni ereditati dalla speciee a far uso dei suoi poteri per finalità sociali;z l’educazione è, perciò, un processo di vita enon una preparazione a un vivere futuro [...].z la scuola deve rappresentare la vita attuale -una vita altrettanto reale e vitale per il fanciullodi quella che egli conduce a casa [...].z La scuola, come istituzione, deve semplifica-re la vita sociale esistente; deve ridurla in certomodo a una forma embrionale [...].z Molta parte dell’educazione attuale falliscepoiché si trascura questo principio fondamenta-le della scuola come forma di vita di comunità.Essa concepisce la scuola come il luogo doves’impartisce una somma di informazioni, dovedevono essere apprese certe lezioni e dove de-vono essere formati certi abiti. Il valore di questisi concepisce come collocato in gran parte in unfuturo remoto […]. Per conseguenza non diven-tano una parte dell’esperienza vitale del fanciul-lo e pertanto non sono veramente educative.z [...] L’addestramento morale migliore e piùprofondo è precisamente quello che uno ot-tiene dovendo entrare in giusti rapporti con glialtri in un’unità di lavoro e di pensiero [...].z Il fanciullo deve essere stimolato e controlla-to nel suo lavoro attraverso la vita della comu-nità.z Nella situazione attuale tale stimolo e con-trollo proviene in misura troppo grande dal-l’insegnante, poiché si trascura l’idea dellascuola come forma di vita socialez […] L’insegnante non è nella scuola per im-porre certe idee al fanciullo o per formare inlui certi abiti, ma è lì come membro della co-munità per selezionare le influenze che agiran-no sul fanciullo e per assisterlo conveniente-mente a reagire a queste influenze.z La disciplina scolastica deve derivare dalla vi-ta della scuola intesa come un tutto e non di-rettamente dall’insegnante.z Compito dell’insegnante è semplicementequello di determinare, […], come la disciplinadella vita dovrà giungere al ragazzo.

John Dewey, Il mio credo pedagogico, La Nuova Ita-lia, Firenze 1954, pp. 3-14 (traduzione di LambertoBorghi).

Vi è poi un altro dato su cui riflettere (e su cui in questi ul-timi anni molto ci si è scontrati), ovvero la correlazionetra il numero di studenti ed il numero di insegnanti. (v.box 5). La cosa interessante è che l’evoluzione delle di-namiche alunni/docenti è perfettamente correlata e cor-relabile alle dinamiche demografiche che caratterizzanola società italiana.Giampiero Dalla Zuanna (v. box 6), commentando i datiIstat sui nati in Italia nel 2010, fornisce riflessioni estre-mamente interessanti su una società sempre più mistaed anziana.Da ultimo, guardando direttamente alle scuole italiane, idati del ministero dell’istruzione segnalano come nello

2. Generazioni a confronto: dimensione verticale ed orizzontale

Una delle caratteristiche dell’incontro tra generazioniche avviene ogni giorno nelle scuole italiane è l’elevataetà dei docenti (o meglio, delle docenti, visto che la mag-gior parte è donna). Una ricerca della Fondazione Agnel-li segnala ad esempio che in Italia la percentuale di in-segnanti di oltre 50 anni supera il 55%. Negli altri paesieuropei il corpo docente è più giovane: nel Regno Unitoi docenti oltre 50 anni sono il 32%, in Francia il 30% e inSpagna il 28%. Solo la Germania, con il 47% di insegnan-ti ultra 50enni, si avvicina all’Italia.

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Sentinella, quanto resta della notte? Oltre ogni crisi, per un nuovo patto generazionale

Personale docente ed educativo con contratto a tempo indeterminato per classe di età Scuola Statale (a) nell’anno scolastico 2007-2008:

Classi di età Scuola Scuola Scuola Scuola Personaledell’infanzia primaria secondaria secondaria educativo

di I grado di II grado (b)

meno di 25 0 4 0 2 0

da 25 a 29 782 2282 64 437 39

da 30 a 34 3339 12694 2900 3867 166

da 35 a 39 7175 29385 11372 13002 257

da 40 a 44 13609 43478 18443 28884 338

da 45 a 49 15476 45341 25646 50444 411

da 50 a 54 19625 46917 37739 58419 503

da 55 a 59 14508 44259 44779 50057 396

da 60 a 64 4643 12841 14067 18631 127

da 65 e oltre 935 1672 1385 2202 23

(a) Non sono inclusi i docenti di religione. (b) Il personale educativo svolge attività presso i Convitti e gli Educandati. FONTE MIUR

spazio educativo s’incontrino oggi diverse generazioni«orizzontali». Ovvero bambini e bambine, ragazzi e ra-gazze figli di famiglie immigrate con un’altissima diffe-renziazione. Ci sono gli studenti delle cosiddette seconde generazio-ni, i neo arrivati, gli autoctoni, gli indigeni… che interagi-scono entro lo stesso spazio sociale ed educativo conesiti anche molto differenti. Le diverse tabelle del box 7aiutano a problematizzare e decostruire molti luoghi co-

muni. Dire che nel 2008 il 37% degli alunni con cittadi-nanza non italiana sono in realtà nati in Italia sembrauno scioglilingua ed invece è un enorme paradosso:quando si è italiani?E sapere, confrontando i grafici 7 e 8 del box 7, che glistudenti con cittadinanza non italiani (ma molti nati inItalia...) hanno un alto tasso di bocciature e di fallimentoscolastico non è forse una ammissione del fallimentodella scuola?

n BOX 5

Studenti e insegnanti dal 1951 al 2008 Nell’ultimo mezzo secolo le dimensioni della popolazione studentesca italiana sonomolto cambiate. Dai circa 5 milioni di allievi che frequentavano la scuola statalenell’anno scolastico 1951-52 (quattro quinti dei quali iscritti alla scuola elementare)si è passati a quasi 10 milioni nel 1978-79. Con l’inizio degli anni Ottanta il numerocomplessivo di alunni ha iniziato a declinare: l’aumento dei tassi di scolarità nellefasce che precedevano e seguivano l’età dell’obbligo non è stato sufficiente a com-pensare la diminuzione della popolazione studentesca alle elementari (dal 1973) ealle medie inferiori (dal 1978). La popolazione scolastica è scesa sotto i 9 milioninel 1987, e sotto gli 8 milioni nel 1993. Nel 2000 si è toccato il minimo di 7 milionie mezzo di studenti; da allora si assiste a una lenta ripresa, in parte ricollegabilealla sempre più folta presenza sui banchi di scuola dei figli degli immigrati. Com’ècambiato nel frattempo il numero degli insegnanti nella scuola statale? Dal 1951al 1978 è triplicato, passando da 240 mila a 732 mila. In seguito, nonostante lacontrazione della popolazione studentesca, gli insegnanti hanno continuato a cre-scere, arrivando a sfiorare le 900 mila unità all’inizio degli anni Novanta e attestan-dosi negli anni più recenti intorno a quota 850 mila. La scuola italiana ha dunquecontinuato ad assumere personale indipendentemente dall’andamento del nume-ro di studenti.

Indagine sulla scuola italiana, Fondazione Agnelli, dicembre 2008

GRAFICO 1

Studenti e insegnanti della scuola statale,dall’anno scolastico 1951-1952 al 2007-2008Elaborazione Fondazione Giovanni Agnelli su Annuari statisticidell’istruzione (Istat) e dati del Miur.

GRAFICO 3

Struttura per età degli insegnanti di ruolodella scuola statale italiana, a.s. 2007-2008Elaborazione Fondazione Giovanni Agnelli su dati del Miur.

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Un episodio dell’Odissea ingiustamente trascurato an-che dalle antologie scolastiche è quello relativo al-

l’incontro tra Ulisse e il vecchio padre Laerte, che offre,invece, penetranti spunti di riflessione sul rapporto trapadri e figli, specie quando tale rapporto è asimmetricoa vantaggio del figlio. Si tratta di un figlio reduce da annidi esilio, da uno scontro vittorioso con i suoi oppositori,da una lunga notte d’amore con la sposa ritrovata. Col-locato nel 24mo ed ultimo libro, dopo la strage dei Proci,il riconoscimento non ha più alcuna funzione narrativa:avviene, infatti, quando la tensione cala e il poema si av-via alla conclusione. L’episodio rivela la grande saggezzaumana e letteraria di Omero che riserva un ultimo donodi alta poesia a suoi lettori. Il ricongiungimento avvieneal riparo da occhi indiscreti, in un intenso crescendo emo-tivo. Ulisse avvista con trepidazione Laerte da lontano,intento nella coltivazione dell’orto: ne scorge la sagomacurva, piegata dagli anni e prostrata dalla vita, ma è an-cora più ferito notando lo stato di trascuratezza in cuiversa l’anziano vestito rozzamente, con in capo un ber-retto di pelle di capra. E Ulisse, poggiandosi ad un alberopiange amaramente. Non sa come avvicinarsi, si scopredel tutto impreparato per quell’incontro atteso da anni:è incerto se rivelarsi subito con il rischio di turbare lamente già alterata di Laerte o accostarsi piano piano, as-sumendo ancora una volta una falsa identità, non per in-gannare, ma proteggere il vecchio da un’emozione im-

provvisa troppo forte, riconciliandolo poco a poco con larealtà. Il pianto segreto di Ulisse nasce dalla pena, dallasproporzione tra ciò che aveva sperato e ciò che vede,piange per il padre una volta maestoso, ammirato, forsetemuto ed ora ridotto ad un essere disperatamente fra-gile. Per la prima volta, messi a tacere i conflitti, vede in

ULISSE E LAERTEIL RICONOSCIMENTO

Il pianto segreto di Ulissenasce dalla pena, dalla

sproporzione tra ciò cheaveva sperato e ciò che

vede, piange per il padreuna volta maestoso,

ammirato, forse temuto edora ridotto ad un esseredisperatamente fragile.

antonella [email protected]

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Laerte gli aveva promesso indono da bambino e ricorda ilsuo incedere a piccoli passidietro quelli del padre tantopiù grandi e annovera il nume-ro esatto dei peri, dei meli edelle viti, e la loro disposizionein filari, perché Laerte possa ri-trovare nel volto di quell’adultoestraneo gli occhi colmi di me-raviglia del suo bambino. E al-lora cadono tutte le resistenzee si scioglie il nodo doloroso nel

cuore del vecchio padre. Chi ha davanti è veramente Ulis-se, il figlio disperatamente pianto fino a perdere il senno.Il brano insegna come avvicinarsi dopo tanto tempo adun padre lontano. Le ragioni della lontananza possonoessere varie, ma ad un certo punto della vita si avverte ilbisogno di ritrovare il vecchio genitore. Ma come? Oc-corre avvicinarsi piano, con discrezione, osservare da lon-tano, sfogare da soli le emozioni più urgenti, frutto dipena, rimorsi, dolore, vecchi conflitti, riconciliarsi con lapropria storia e il proprio passato. Poi fare il primo passo,rispettando l’età e i tempi lenti dell’altro, accostarsi conumiltà, con grande gratitudine e riconoscenza, permet-tere alla memoria di seguire i suoi percorsi, condividereun segreto dimenticato, un ricordo caro ad entrambi, ri-vedersi come si era quando il vecchio era giovane e il fi-glio un bambino che vedeva nel padre un essere invinci-bile che faceva sorgere e tramontare il sole. Guardarsinegli occhi e abbracciarsi a lungo. n

lui non il dio terribile o il tiranno invincibile, ma un essereumano ormai al tramonto che una volta gli ha trasmesso,forse casualmente, la vita.

La pazienza dellʼattesa e la provaFacendosi forza animato da vera pietas, Ulisse compie lascelta più difficile: trattenersi e attendere ancora, com-prendendo che il gesto d’amore più grande è quello direstituire gradualmente, con parole accorte a Laerte lasua vera identità. Da figlio moltoamato, offre al padre quel ricono-scimento che gli fu garantito allanascita, il nucleo essenziale diogni appartenenza, e permette alvecchio di riprendere coscienza disé. Si presenta come uno stranie-ro in cerca di informazioni e mo-strando di apprezzare la grandeperizia agricola del vecchio, met-te, però, in risalto il contrasto trala cura che dedica alle piante ela trasandatezza del suo aspettosimile a quello di uno schiavo,nonostante il volto riveli i trattidi una origine nobile. Le paroleriescono ad aprire una breccia,e Laerte sembra disposto a par-lare. Allora Ulisse, con espertatessitura di parole, chiede sequell’isola sia veramente Itacae, ricevutane conferma, guida ancora il padre al recuperodel passato, affermando di avere una volta ospitato unuomo che si dichiarava figlio di Laerte. Il vecchio, allora,ha un sussulto doloroso, si scuote dal suo torpore, vuolsapere ansiosamente quanto tempo prima abbia vistol’ospite. Nel cuore si fa strada la certezza della morte delfiglio e si abbandona ad una sofferenza così intensa, co-spargendosi la testa di cenere, che Ulisse non regge e sirivela.

Il segno e lʼabbraccioMa il padre chiede un segno inequivocabile che attesti lasua identità. Allora Ulisse mostra la cicatrice sul ginocchioriportata nella caccia al cinghiale, ma per Laerte non èprova sufficiente: occorre piuttosto la rivelazione di unsegreto noto soltanto a loro, come lo era stato il talamoscavato nell’olivo per Penelope. Ed è questo il punto piùintenso del colloquio: Ulisse addita l’orto e gli alberi che

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Nel cuore di Laerte si fa strada la certezza

della morte del figlio e siabbandona ad una

sofferenza così intensa,cospargendosi la testa di

cenere, che Ulisse nonregge e si rivela.

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la scuola 3

n BOX 6

Istat, le culle disegnano il futuro:genitori «misti» e più anziani

I dati sulle nascite del 2010 - appena pubbli-cati dall’Istat - danno uno spaccato delle gio-vani famiglie del presente, disegnando nelcontempo il volto dell’Italia del futuro. Sonosempre più numerosi i bambini con almenoun genitore straniero: 107 mila (il 19% deltotale), che salgono però al 29% in Emilia-Romagna e al 28% in Veneto e in Lombardia.Aumentano i nati da genitori non coniugati:

134 mila (il 24% del totale), ma con grandidifferenze fra Centro, Nord e Sud: dal 45%in provincia di Bolzano al 7% in Basilicata. In-fine, continua ad aumentare l’età dei genitorial parto: il record delle madri ultraquaranten-ni è della Sardegna (8,5%) e la media italiana(6,1%) è la più alta d’Europa. Nel giro di unasola generazione, c’è stata una rivoluzionenella culla. Nel 1990, sei nati su dieci in Italiaerano figli di madre italiana, coniugata e conmeno di 30 anni. Oggi la stessa proporzioneè ridotta al 15%. Tuttavia, ciò non deve farpensare a un ineluttabile declino della popo-lazione italiana. In primo luogo, nel 1990 enel 2010 in Italia sono nati lo stesso numerodi bambini (circa 560 mila). Ciò vuol dire chei nati delle donne con più di trent’anni, stra-niere e non coniugate, compensano oggi lemancate nascite delle donne giovani, italianee coniugate. Sono cambiate le protagoniste,

ma in Italia continuano a nascere bambini. Insecondo luogo, gli andamenti osservati inItalia sono gli stessi della Francia e della Sve-zia, dove una fecondità extra-coniugale benpiù alta che in Italia, l’elevata età al parto euna forte presenza di coppie straniere coesi-stono con una fecondità molto maggiore diquella del nostro paese (2,0 contro 1,4 figliper donna). Questi due paesi sono molto piùgenerosi - sia dal punto di vista fiscale sia deiservizi pubblici - verso i bambini con più fra-telli, a prescindere dalla loro provenienza edallo stato civile dei loro genitori. Quindi, an-che in Italia - se si adotteranno politiche so-ciali e familiari adeguate - le nascite potreb-bero aumentare, anche senza un improbabi-le ritorno alle forme familiari prevalenti ventio trent’anni fa.

Gianpiero Dalla Zuanna, Corriere della Sera, 17 settembre 2011

n BOX 7

Alunni con cittadinanza non italiana nelle scuole italianeTAVOLA 1

Alunni con cittadinanza non italiana per livello scolastico(valori assoluti e percentuali). Anno scolastico 1996-1997 / 2008-2009Anni Totale Infanzia Primaria Secondaria Secondariascolastici di I grado di II grado

valori assoluti:

1996-1997 59.389 12.809 26.752 11.991 7.837

2001-2002 196.414 39.445 84.122 45.253 27.594

2002-2003 239.808 48.072 100.939 55.907 34.890

2003-2004 307.141 59.500 123.814 71.447 52.380

2004-2005 370.803 74.348 147.633 84.989 63.833

2005-2006 431.211 84.058 165.951 98.150 83.052

2006-2007 501.420 94.712 190.803 113.076 102.829

2007-2008 574.133 111.044 217.716 126.396 118.977

2008-2009 629.360 125.092 234.206 140.050 130.012

per 100 alunni:

1996-1997 0,7 0,8 1,0 0,6 0,3

2001-2002 2,2 2,5 3,0 2,5 1,1

2002-2003 2,7 3,0 3,7 3,1 1,3

2003-2004 3,5 3,6 4,5 4,0 2,0

2004-2005 4,2 4,5 5,3 4,7 2,4

2005-2006 4,8 5,0 5,9 5,6 3,1

2006-2007 5,6 5,7 6,8 6,5 3,8

2007-2008 6,4 6,7 7,7 7,3 4,3

2008-2009 7,0 7,6 8,3 8,0 4,8

TAVOLA 2

Alunni con cittadinanza non italiana nati in Italia per livello scolastico Anno scolastico 2008-2009

Per 100studenti con

per 100 cittadinanzaLivello scolastico valori assoluti studenti non italiana

valori assoluti:

Totale 233.003 2,6 37,0

Infanzia 91.647 5,5 73,3

Primaria 105.292 3,7 45,0

Secondaria I grado 26.366 1,5 18,8

Secondaria II grado 9.698 0,3 7,5

GRAFICO 2

Alunni con cittadinanza non italiana nati in Italia per livello scolastico (composizionepercentuale) Anno scolastico 2008-2009

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3. Il senso della scuola

«La nostra ipotesi di lavoro è che il sapere cambierà distatuto nel momento in cui le società entrano nell’età det-ta postindustriale e le culture nell’età detta postmoderna.L’incidenza delle trasformazioni tecnologiche sul saperesembra destinata ad essere considerevole. Esso ne vie-ne o ne verrà colpito nelle sue due principale funzioni: laricerca e la trasmissione delle conoscenze».J.F. Lyotard, La condizione postmoderna, Milano, Feltrinelli, 1981, pp. 10-11.

Penso che la lucida analisi di Lyotard si sia avverata: ne-gli ultimi 30 anni sia la ricerca sia la trasmissione e laproduzione dei saperi hanno subito trasformazioni gi-gantesche.CEM Mondialità da anni le indaga e le testimonia congrande acutezza e precisione. Non è qui il caso di rias-sumerle: basti pensare anche solo ai titoli delle diverseannate della rivista per averne un’idea. Le domande dacui siamo partiti rimangono valide anche nel tempo de-scritto da Lyotard:z Quali sono le caratteristiche del buon docente e della

sua relazione con il discente?z Che cosa si può o deve insegnare/che cosa si può e

deve imparare?z Come deve essere una «buona» scuola?

Il problema è che mentre per i primi due quesiti molto siè indagato e sperimentato, pochissimo si è fatto per ilterzo. A quest’ultimo non si risponde solo assemblandole risposte alle due precedenti domande (la scuola è in-fatti un di più rispetto a docenti/studenti ed apprendi-menti/insegnamenti). E neppure riproponendo modalità,stili, pratiche, organizzazioni, tempi e strutture tipichedella scuola del tempo industriale o della modernità, maoggi assolutamente inadatte. Che senso hanno le aulecon i banchi e le cattedre e le lavagne? Che senso ha ilcalendario scolastico? Perché si va a scuola dalle 8.00alle 13.00? O dalle 8.00 alle 16.00? Perché si va a scuola?Perché a scuola ci sono i bidelli? Perché gli studenti nonsi prendono cura direttamente, almeno dei lavori piùsemplici, quali le pulizie, della loro casa/scuola? Si tratta solo di esempi, alcuni certamente paradossali,di un’indagine radicale sulla scuola, sul necessario ri-pensamento che deve interrogarsi su questo dispositivobiopolitico. In questi anni, anche a motivo della politicadel ministro Gelmini e dei tagli connessi, ci si è concen-trati soprattutto sul costo della scuola. Sul numero di in-segnanti, sulle risorse, sulle aule… Ma non sul perché,non sul senso della scuola. Chissà, forse occorrerebbeprendere sul serio il paradosso di chi sostiene che lascuola è inutile se non dannosa. La scuola: non il rap-porto educativo. Ed è da qui che occorre ripartire.

1 Cfr. «CEM Mondialità», giugno-luglio 2011, pp. 17-32.2 J. Bruner, La cultura dell’educazione, Feltrinelli, Milano 2001, pp. 131-132.

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Sentinella, quanto resta della notte? Oltre ogni crisi, per un nuovo patto generazionale

GRAFICO 7

Alunni ripetenti con cittadinanza italiana per livello scolastico e anno di corso (valori percentuali) Anno scolastico 2008-2009

GRAFICO 8

Alunni ripetenti con cittadinanza non italiana per livello scolastico e anno di corso (valori percentuali) Anno scolastico 2008-2009

MIUR, Servizio statistico, Gli alunni stranieri nel sistema scolastico italiano a.s 2008/09, Roma, dicembre 2009

SEGUE BOX 7

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Insegnare al principedi DanimarcaAlessio [email protected]

«Ricomincia la scuola, tenete la strada fuori dalleclassi» recita il titolo di un articolo cui dà ampio ri-

lievo (il 27 agosto) l’NRC, il quotidiano olandese che pub-blicizza un recente testo di Hans Kaldenbach con novanta-nove consigli in proposito. La tesi è semplice: la «culturadella strada» mina quella scolastica e va contrastata conregole chiare. Il ricettario per classi disciplinate suscita lavostra curiosità? Tenetevela e leggete piuttosto cosa scri-vono i «maestri di strada». Chi ha apprezzato le riflessioniche Marco Rossi Doria ha raccolto in Di mestiere faccio ilmaestro (Einaudi) non mancherà di trarre ispirazione dalleparole di Carla Melazzini in Insegnare al principe di Dani-marca (Sellerio, 2011) a partire dalla sua decennale espe-rienza come insegnante del Progetto Chance, che a Napolioffre ai dropout (esclusi) della scuola dell’obbligo un’op-portunità per conseguire la licenza di terza media.Melazzini riflette sul senso dell’educare, invitandoci a spo-stare lo sguardo dall’insegnamento al co-apprendimento,dalla responsabilità istituzionale alle condizioni di recipro-cità: «non è facile per un docente accettare di essere zitti-to, ma se riesce a sostenerlo, si apre un percorso educativomolto ricco per entrambi […] la didattica della parola siconfigura come un percorso da fare insieme, anzi tantipercorsi diversi, attraverso i diversi ambiti di significanza, ilprimo e principale dei quali, il punto di partenza, è la sferapersonale dell’identità, del corpo, delle emozioni […]. Lascuola è sede in genere di una didattica verbale in cui laparola è veicolo non di un pensiero che si forma ma di un

trasloco di nozioni da un contenitore all’altro. A Chancequesta didattica non è consentita […], si apprende facen-do […]. Si può ritenere di aver raggiunto una tappa im-portante quando un ragazzo o una ragazza, elaborando ilpensiero e usando la parola, arriva a formulare una do-manda vera» (p. 166-171). Inevitabile, in questa prospettiva, interrogarsi su «La cittàe noi» (p. 235), «se siamo convinti che le montagne dimonnezza non sono il frutto di una “emergenza” […] mail logico punto d’arrivo». Di fatto, gli atti di cittadinanzache Carla Melazzini condivide a partire dal Progetto Chan-ce, sembrano trovare eco soprattutto in certi studi urbanilatinoamericani che provano a sfuggire le facili caselledell’alterità e l’ambigua retorica della gestione dei gruppi«a rischio» e «marginali». Fanno pensare al testo che Verada Silva Telles dedica alle zone «marginali» di San Paolo

(Brasile), guardando allacittà nelle frontiere fra le-gale e illegale (A cidade nasfronteiras do legal e ilegal,Argumentum, 2010), untesto che riprende Foucault(Sorvegliare e punire) eAgamben (Homo sacer) e liattualizza facendo ricorsoad osservazioni recenti, co-me quelle di Michel Missesull’«incriminazione antici-pata», ma ancor di più rac-cogliendo le storie di vita dichi nel quotidiano speri-menta sulla propria pelleche non esistono territoriimpermeabili e che le zoned’intersezione dei diversicontesti impongono conti-nue riletture dei codici disopravvivenza. «Questa im-postazione difensiva – ciracconta Carla Melazzini(p. 247) parlando di Napo-li, ma la continuità con San

Paolo sembra evidente – finisce per far percepire come pe-ricoloso tutto ciò che non è decodificabile immediatamen-te all’interno di questo sistema […]. L’aver individuato ilpeso di queste barriere sulle possibilità di apprendimentodei ragazzi ci ha spinto ad una “didattica itinerante” pro-gressiva, fuori rione, fuori quartiere, fuori città, fuori re-gione, fuori nazione, al termine della quale i ragazzi hannoconstatato da soli di “aver imparato a camminare”». q

ottobre 2011 | cem mondialità | 33

Agenda interculturale

Melazzini riflette sulsenso dell’educare,

invitandoci a spostarelo sguardo

dall’insegnamento alco-apprendimento,dalla responsabilità

istituzionale allecondizioni di

reciprocità

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34 | cem mondialità | ottobre 2011

Rubrica a cura di Gianni D’[email protected]

T utto è cominciato in un pomeriggiodi marzo alla biblioteca Villa Urbani

di Perugia, un pomeriggio di parole emusica. È cominciato con un’esclama-zione uscita dal fondo della piccola sala,quasi un urlo. Stavo leggendo paroledense, rendendo suono la scrittura equell’altro suono inatteso mi ha scosso.Ho cercato con lo sguardo gli occhi deglialtri per capire ma la penombra della sa-la sapeva celare quel mistero. Passa laprimavera e a giugno nasce la LaAV, uncircolo di volontari della lettura ad altavoce e lì incontro, incontriamo, Gabriel-la, volontaria della lettura e mamma diBenedetta. Mi dice che Benedetta quelgiorno ascoltandomi in biblioteca si èemozionata fino ad urlare la sua gioia diessere lì. Ci narra di un luogo dove Be-nedetta passa le sue giornate, dove conaltri ragazze e ragazzi della sua età, ac-compagnata da operatori esperti, provaa dar forma ai suoi giorni, ai suoi biso-

PratiCare di Giannermete Romani

Un progetto di letturead alta voceper ragazzi e ragazze con disabilità

PratiCare

ad alta voce condivisa potrebbe esseremolto stimolante per i ragazzi e le ra-gazze, ci invitano a provare. Noi acco-gliamo l’invito e cominciamo. Gli incon-tri si svolgono di lunedì, la mattina dalledieci in poi, al termine della colazione.Di lunedì perche è mattino critico, i ra-gazzi e le ragazze rientrano al centrodopo aver passato il fine settimana infamiglia e c’è bisogno di ricucire, di pla-care certe irrequietezze, andando e tor-nando tra mondi diversi. Di lunedì mat-tina ci distribuiamo tra i gruppi, coi no-stri zaini colmi di libri, con il cuore in tu-multo, un po’ agitati anche noi per que-sto primo incontro. Mi siedo e chiedoloro di mettersi in cerchio. Trambusto,un po’ di confusione, come ogni inizioche si rispetti. Insieme a noi ci sono glioperatori del centro anche loro curiosi,sorridenti, accoglienti. Si comincia,escono le prime parole. Chi è que-st’omaccione sudato che dice che rac-conterà delle storie? Sono io, dico a mestesso e non mi passa neanche per unsecondo per la testa spettinata dai lorosguardi curiosi, dagli spasmi di alcuni,dai movimenti complicati di altri cheforse non ci capiremo, che sarà diffici-le… Comincio a leggere Pinocchio, Fa-vole al telefono, Filastrocche in cielo ein terra, le parole fluiscono leggere, siride, ci si conosce veloci, ogni tantoqualcuno si alza e con le incertezze diun corpo che risponde a modo suo co-minciano abbracci immensi, assoluti…Nel cerchio magico ognuno ci sta comepuò, come riesce. Io continuo a leggere,a sudare, mi lascio andare completa-mente, accolgo la loro grande genero-sità. Mi donano tutto quello che hanno,baci, carezze, mi asciugano la fronteche suda copiosa, mi aiutano ad alzarmidalla sedia alla fine, qualcuno metteuno a uno amorevolmente i libri nel miozaino troppo pieno. Ero venuto per da-re, per condividere, alla fine ricevo donie li riceverò ogni volta che tornerò. q

Rubrica a cura di Gianni D’Elia [email protected]

gni, ai suoi sogni. Forse là c’è bisogno dinoi, della nostra voglia di raccontare, diascoltare, di condividere. È in un giornod’inizio autunno che varchiamo quellasoglia, la porta del centro Speranza diFratta Todina, un luogo dove durante lagiornata sono accolti ragazzi e ragazzecon disabilità a cui viene proposto unpercorso di cura e educazione.Le stanze sono ampie, tutto è attutito,dalle finestre entra un po’ di sole, lostesso che scalda e riempe di luce le col-line tra Todi e Marsciano. Tutto, intornoa noi, parla di cura, di accoglienza, digesti lunghi, ripetuti, accompagnati,tutto intorno chiede calma, pazienza. Cisono libri, forme per giocare, il labora-torio di ceramica, l’acqua per conosceree riconoscere diversamente corpi che se-guono altre strade. I medici e gli psico-logi del centro pensano che la lettura

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Il controllo delle testimonianze permettedi capire che «le visioni si riferivano a untempo successivo di 21 anni, 6 mesi, 2giorni e 2 ore», dunque a mercoledì 23ottobre 2030. Ognuno si è visto in quelmomento del futuro; chi non ha avutola visione è morto prima di quella data.Non posso raccontare gli sviluppi del ro-manzo, men che meno svelare il finale.Avanti nel tempo (titolo originale Flashforward), del canadese Robert Sayer, èparticolarmente affascinante (ne è statatratta una serie trasmessa su Italia1) edunque ne consiglio la lettura: è uscitoda Fanucci nel 2000. Su e giù fra passato e futuro. Conoscereil domani. Far girare il tempo a rovescio.La letteratura, ma anche la scienza, sognano da sempre di deviare la frecciatemporale. Come Sawyer scrive nell’in-troduzione, egli prende sul serio la do-manda: «L’uomo è dotato di libero arbi-trio?», cioè uno dei quesiti fondamen-tali della metafisica formulati da Kant. Eprova a rispondere.Al di là delle vicende umane e degli amo-ri, il cuore del romanzo ruota intorno adue quesiti: si può replicare quell’esperi-mento? E in ogni caso conoscere piccoli«squarci» di futuro (mi sono visto a lettocon una donna diversa da quella che og-gi amo; ho ascoltato in tv che davano lacaccia al mio assassino; ho sentito il miogiovane figlio urlarmi il suo odio) puòconsentirci di modificare quel che nondesideriamo accada? Se quel futuro in-travisto è l’unico possibile, immutabilepossiamo prendere il libero arbitrio ebuttarlo nel cassonetto. A proposito diprofezie. Il romanzo (in Canada uscì nel1999) immagina che confrontando letestimonianze si riesca, nel 2009, ad ave-re un quadro abbastanza preciso del2030. A esempio che «il presidente degliStati Uniti è afroamericano» e che «laChiesa cattolica ha accettato il sacerdo-zio anche per le donne». q

Mettere avanti gli orologisino al 2030

Se volete leggermi sul mio blog:http://danielebarbieri.wordpress.com

ottobre 2011 | cem mondialità | 35

domani è accaduto a cura di Dibbì[email protected]

Tutto inizia (nella finzione narrativa)il 21 aprile 2009 al «Grande collisore

per adroni» del Cern di Ginevra. Da dueanni un gruppo di lavoro progetta unaspecialissima collisione di particelle,«tentando di ricreare livelli di energiache non erano esistiti fino a un nanose-condo prima del Big Bang, quando latemperatura dell’universo era di 10 mi-lioni di miliardi di gradi». Chi è del mes-tiere spera si produca «il bosone diHiggs, una particella che i fisici insegui-vano da mezzo secolo» .Sono quasi le 17. Quattro. Tre. Due.Uno. Zero. «E poi, all’improvviso, tutto fu diverso». Quando il fenomeno cessa, basta ac-cendere la tv per capire che per due mi-nuti «la consapevolezza dell’intera razzaumana» si è spenta. Immobilità assolutavuol dire anche automobili ferme e aereiprecipitati, dunque molti morti. Se è av-venuto in ogni paese, il buon senso in-duce a credere che non si tratti di un as-salto, di una «nuova arma del nemico».

Se volete leggermi sul mio blog:http://danielebarbieri.wordpress.com

domani è accaduto

«Chi non spera quello che nonsembra sperabile non potrà scoprirnela realtà, poiché l’avrà fattodiventare, con il suo non sperarlo,qualcosa che non può essere trovatoe a cui non porta nessuna strada».Eraclito

Ma allora cosa è successo? Vista l’asso-luta coincidenza oraria, è evidente agliscienziati del Cern che il loro esperimen-to c’entra qualcosa. Devono comunicar-lo subito o prima indagare? I quesitiscientifici si mescolano a meschinità deltipo: ci faranno causa?Il gruppo del Cern si riunisce per valuta-re le esperienze di ognuno e confron-tarle con le moltissime testimonianzeche arrivano. L’unica ipotesi seria è chequella breve immobilità sia una visionecollettiva, «immagini del futuro». Per ra-gioni ignote l’esperimento «ha provoca-to una sorta di effetto temporale».

Al di là delle vicendeumane e degli amori, il cuore del romanzo

ruota intorno a due quesiti:

si può replicarequell’esperimento?

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Il secondo stageinternazionale«Dudal Jam»

L e Ong Union Fraternelle des Cro-yants (Ufc) di Dori e di Gorom Go-

rom aspirano a costruire un mondo dipace attraverso la promozione della tol-leranza e del dialogo interreligioso edinterculturale.«Tolleranza, pace e sviluppo, quali rela-zioni per un mondo migliore?», è que-sto il tema del 2° Stage internazionale

Dudal Jam che si è tenuto dal21 al 27 luglio 2011 a Do-

ri e a Gorom. La cerimo-nia di apertura del 21luglio è stata presiedu-ta da mons. JoachimOuedraogo, legale rap-

presentante delle Ufc,con la presenza anche delle

autorità regionali e locali.Dopo il primo stage (che si era tenutodal 1° all’8 aprile 2010 sul tema «Tutti

parenti, tutti differenti»), questo del2011 ha riunito trenta giovani cristianie musulmani del Mali e del Burkina e siè proposto i seguenti obiettivi specifici:

comprendere i legami indissolubili cheesistono tra tolleranza, pace, sviluppo ebenessere dell’umanità; progettare azioni concrete per la pro-mozione della tolleranza all’interno delproprio ambiente; creare una rete internazionale di giova-ni impegnati per la promozione della tol-leranza e del dialogo in tutto il mondo; organizzare incontri di fraternità al-l’interno dei gruppi di giovani per pro-muovere un dialogo ed un’intesa reci-proci.

Alternando conferenze, laboratori, visi-te e scambi con personaggi chiave, mo-menti di spiritualità e divertimento, leattività svolte hanno permesso ai giova-ni di stendere un piano operativo diazioni concrete da attuare nei propriambiti di vita, di studio o di lavoro.

dudal jamDudal Jam

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Grazie alle attività, i partecipanti

ricevono stimoli persviluppare

l’accettazionedell’altro nella sua

diversità e perdiventare promotori

di proposte nelvillaggio da cui

provengono

Cronistoria degli stage Dudal Jam

Stage regionale: dal 25 al 28 giugno 2009. «Dialogo, vantaggi e limiti». Partecipanti provenientida Dori, Arbinda, Djibo e Gorom. Stage nazionale: dal 28 luglio al 2 agosto 2009. «Conoscere l’altro per saperlo accettare».Partecipanti da Dori, Arbinda, Djibo, Gorom, Sebba, Banfora, Ouagadougou, Fada, Bobo,Koudougou, Ouahigouya. 1° Stage internazionale: dal 1° all’8 aprile 2010. «Tutti parenti, tutti differenti». Partecipanti daBurkina, Niger e Italia. 2° Stage internazionale: dal 21 al 25 luglio 2011. «Tolleranza, pace e sviluppo, quali relazioni per unmondo migliore?» Partecipanti da Burkina e Mali.

Rivolgendosi ai giovani, mons. Oue-draogo ha ricordato il ruolo principaledei giovani per il futuro dell’umanità, ela speranza che ogni paese che abbia acuore la pace ripone in loro. Ogni azio-ne che esclude i giovani è anzitutto unfallimento, ha spiegato. Inoltre una gio-ventù passiva non è produttiva, ha con-cluso, rinnovando il suo appello «giova-ne, fatti largo, svolgi il tuo ruolo per me-ritare la tua parte!». Il segretario generale, rappresentantedel governatore, da parte sua ha ribadi-to la propria riconoscenza per gli sforzidell’Ufc nella promozione della pace edella coesione sociale nel Sahel, congra-tulandosi con i partecipanti per la loropresenza.

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a cura di Clelia Minelli

temente anche in altre località del Bur-kina e in Mali. È proprio a causa degli atti di violenzasempre più frequenti e diffusi, in partedovuti ad intolleranza di ogni genere,

che l’Ufc, attraverso il suo progetto Du-dal Jam, organizza dal 2008 stage per igiovani cristiani e musulmani. L’obietti-vo è di sensibilizzare la popolazione piùgiovane delle varie città rispetto alla cul-tura della tolleranza reciproca e del dia-logo, per prevenire una possibile diffu-sione di crisi di questo genere. L’Ufc èconvinta che la pace sia realizzabile tan-to quanto la guerra, se solo si investis-sero gli stessi mezzi. Dato che i giovanisono il futuro di tutte le nazioni e lachiave del successo di tutte le azioni, ènecessario mettere a loro disposizionestrumenti adeguati per permettere lorodi espandersi e di agire efficacemente. È in questa prospettiva che l’Ufc ha lan-ciato il progetto Dudal Jam, il centro perla pace dei giovani. Dal 2007, tale pro-getto organizza diverse attività di edu-cazione, d’informazione, di comunica-zione, di formazione, di pubbliche rela-zioni, tra le quali gli stage Dudal Jam. Lostage Dudal Jam è una sessione di for-mazione e di riflessione che riunisce peralcuni giorni giovani di confessioni reli-giose e/o di culture diverse e di diverseprovenienze, attorno a temi legati aldialogo ed alla tolleranza. Grazie alle at-tività, i partecipanti ricevono stimoli persviluppare l’accettazione dell’altro nellasua diversità e per diventare promotoridi tali proposte nel villaggio da cui pro-vengono. q

A cura della redazione - Tratto dal sito www.ufc-dori.orgTraduzione dal francese di Clelia Minelli

Una lettera a Clelia MinelliResponsabile CEM per la campagna«Giovani e Intercultura»

Cara Clelia,

colgo l’occasione della consegna diquesto foglio che illustra il progettoAcchiappasogni per dirti ciò che hoprovato durante gli incontriorganizzati nell’ambito del progetto«Giovani e Intercultura». Vorrei prima di tutto ringraziarti,sono stati momenti fantastici dicondivisione e di riflessione su alcunitemi veramente molto attuali edimportanti.Fortunatamente, anche senzavolerlo, il gruppo non eranumerosissimo ed i lavori sono statisvolti con un’intensità talvoltapalpabile fisicamente. Il primoincontro, quello dedicato allinguaggio teatrale, è statobellissimo: lo consiglierei a tutti,ragazzi ed adulti; l’esercizio della

rinascita con la maschera è statospeciale, le emozioni sono passate esi sono trasmesse attraverso gli occhie si sono mescolate con quelle deglialtri. Con entusiasmo e voglia di tornareaspettavo il fine settimana in cuisapevo ci si sarebbe incontrati; perquesto ho partecipato a tutti gliincontri e mi sono impegnato a nonperderne nemmeno uno. L’atmosferache si è creata tra noi era speciale,giovane e fresca ed allo stessotempo energica e decisa. Siamoragazzi che vogliono cambiare lasocietà e migliorarla, saremo pochi,ma possiamo essere fili conduttori«pericolosissimi» per innescare ilcambiamento che vogliamo. Ci tengo a sottolineare che la cena abase di topinambur è statabellissima (non si può certo direbuonissima) e l’ultimo incontro con«l’espandi cervelli» è stato davveroilluminante.Parole sparse che hanno un solofine: ringraziarti e ringraziare il CEMdi cui mi sento partecipe. E un grazieall’Africa, con furore.

Elia Cammarata

Affrontando il tema centrale, OusséniDomba, direttore della promozionedella tolleranza e del genere del mi-nistero per la promozione dei dirittiumani, è partito dalle definizioni

etimologiche, giuridiche, sociali e re-ligiose delle parole chiave, per rivelare

i legami indissolubili che esistono traqueste ed il bene dell’umanità.Come preambolo, Alain Kombere, re-sponsabile dell’Ufc Gorom, ha presen-tato con supporti audiovisivi una pre-sentazione della stessa Ufc, l’Ong pro-motrice dello stage, e del microprogettoDudal Jam. Una presentazione che hastupito il pubblico rispetto a tutto ciòche l’Ufc ha realizzato nell’ambito dellapromozione della tolleranza e del dialo-go tra le religioni e tra le culture con-dotta da quarant’anni nel Sahel e recen-

I giovani sono ilfuturo di tutte lenazioni e lachiave delsuccesso di tuttele azioni, ènecessariomettere a lorodisposizionestrumentiadeguati perpermettere loro diespandersi e diagire

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CEM Mondialità ha festeg-giato a Trevi (Perugia), dal20 al 25 agosto scorsi, cin-

quant’anni di Convegni nazionali.Il tema, la necessità di un nuovopatto generazionale, in un’Italiasempre meno paese per giovani.Il titolo, «Sentinella, quanto restadella notte? Oltre ogni crisi, perun nuovo patto generazionale».Circa duecento i partecipanti.Ad aprire la riflessione sul pattogenerazionale è stato Stefano Al-lievi, sociologo dell’Università diPadova, chiamato a spiegare se untale patto sia configurabile nella si-tuazione dell’Italia di oggi e comeesso possa concretizzarsi: una do-manda difficile a cui dare risposta,ma dal cui esito dipende in buonaparte il nostro futuro come paese.«È inutile nascondersi - ha affer-mato Allievi - che in Italia è in cor-so un conflitto tra le generazioniper la gestione delle risorse, in cuial momento prevalgono gli anzia-ni, che sono finora riusciti a esclu-dere i giovani dal lavoro, dalle pro-fessioni, dalla politica. Ma questiultimi ormai cominciano a render-si conto (come già avvenuto in altripaesi) dell’esclusione che li ri-guarda e che - se la situazione nonsi modificherà - è destinata a di-ventare ancora più rigida. La pos-sibilità di un patto generazionaledipende dunque in larga misuradall’esito del conflitto in corso».Dalla capacità degli anziani di ri-conoscere il conflitto in corso di-penderà in larga misura l’intensitàdel confronto: tanto più essi resi-steranno senza concessioni e sen-

za modificare la distribuzione del-le risorse, tanto più la rivolta deigiovani sarà dura e violenta. Fra gli ospiti, Miloud Oukili, clownfranco-algerino, impegnato permolti anni per le strade e negli or-fanotrofi della Romania nel riscattodei minori abbandonati. Strumen-to del suo impegno, l’AssociazioneParada, che mira al recupero deiragazzi emarginati grazie all’arte,alla loro capacità, volontà ed entu-siasmo di esprimersi e di parteci-pare. Toccante la sua testimonian-za, che ha trasmesso un messag-gio fondamentale: nessun bambi-no, nessun ragazzo, nessun adole-scente, per quanto emarginato,scartato dalla società, abbandona-to dalla famiglia e dalle istituzioni,è irrecuperabile. Al contrario: l’at-tenzione, l’affetto e l’amore che un

educatore può riversare su di essisono la chiave del loro riscatto. Equesto riscatto si chiama dignità... Spazio poi al musicista Stefano Ci-sco Bellotti (ex front man dei Mo-dena City Ramblers), con un con-certo emozionante e applauditissi-mo. In particolare, Cisco ha ese-guito in anteprima la canzone«Non c’è più la Dolce Vita», cheverrà inserita nel prossimo albumin uscita nel mese di dicembre.Tutti i brani sono stati molto ap-prezzati dal pubblico di CEM.Ancora, Gianfranco Zavalloni, do-cente e dirigente scolastico, re-sponsabile delle scuole italiane inBrasile, ha delineato i temi princi-pali della sua proposta educativa,basata anzitutto sul recupero dellalentezza, dei tempi necessari perl’apprendimento, delle abilità ma-nuali, della scrittura, del gioco, tutticonsiderati elementi fondamentaliper un’educazione sana ed equili-brata.Non è mancato un confronto a duegenerazioni tra il dirigente e peda-gogista Aluisi Tosolini e KhalidChaouki, responsabile per i pro-blemi dell’immigrazione giovaniledel PD. Un incontro centrato sui te-mi dell’educazione, del senso edel ruolo della scuola oggi in Ita-lia, che mettono in discussione latrasmissione intergenerazionaledella cultura e dell’identità. Infine, la tavola rotonda con LubnaAmmoune, giovane musulmanaredattrice di Yalla Italia, e Adel Jab-bar, docente di sociologia dellemigrazioni in varie università italia-ne, ha offerto ai convegnisti una ra-gionata panoramica degli avveni-menti che hanno sconvolto, a par-tire dalla primavera scorsa, i paesidella riva sud del Mediterraneo.Un incontro che ha concentratol’attenzione su due aspetti: il ruologiocato dai nuovi media (telefoni-ni, internet, social network) e leprospettive dei giovani, fattore di-rompente di cambiamento in pae-si ancora costretti nella morsa disocietà tradizionali. q

50° Convegno Nazionale CEM MondialitàSentinella, quanto resta della notte? Oltre ogni crisi, per un nuovo patto generazionale

Federico Tagliaferri

CEMMondialità

hafesteggiato

a Trevi(Perugia),

dal 20 al 25agosto scorsi,cinquant’anni

di Convegninazionali

Gli atti del ConvegnoCEM 2011 verranno

pubblicati nel numero

di dicembre 2011

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Convegni, lievitodi mondialitàdi Anna Maria Di Leo

rubrica a cura di Eugenio Scardaccione | [email protected]

rata dal Centro di orientamentoscolastico e professionale «DonBosco» e fatta propria dall’ammi-nistrazione comunale e dalle isti-tuzioni scolastiche di Andria, è ri-volta al personale delle scuolestatali e non statali di ogni ordinee grado, e si tiene annualmente.È l’occasione per mettere a fuo-co una particolare attenzioneeducativa su cui ogni istituzionescolastica lavorerà durante l’an-no, anche in collaborazione conle diverse agenzie, e su cui sisvilupperà il Piano FormativoTerritoriale.Dal 2004 ad oggi, secondo le te-matiche messe a fuoco, si sonoalternati relatori provenientidall’Università di Bergamo, diUdine, di Bari, di Macerata, diRoma Tre, del Centro Psicope-dagogico per la Pace di Piacen-za, di Libera e di CEM Mondia-lità. Una particolare evidenzameritano gli incontri tenuti nel-l’ambito del «Settembre Pedago-gico Andriese» del 2008 e del2009: il primo ebbe come tema«Educare nel tempo della com-plessità» e come relatori AntonioNanni di CEM e Francesca Ri-spoli di Libera; il secondo sisvolse sul tema «Educare nel-l’era della globalizzazione. Laconvivialità delle differenze» edebbe come relatori Aluisi Tosoli-ni e Brunetto Salvarani.Nello stesso 2009 Salvarani eAdel Jabbar, nell’ambito dell’Of-ferta Formativa Territoriale, rea-lizzarono due interventi nel corsodi formazione per docenti «L’Oc-cidente terreno di dialogo tra lereligioni e le culture». CEM per me è un luogo in cuis’incontrano tanti amici con cuisi lavora e ci si confronta: è unlievito di mondialità che ciascu-no di noi, poi, potrà utilizzare perl’impasto del quotidiano! q

Credo che quanti abbianoavuto l’opportunità di co-noscere CEM Mondiali-

tà partecipando ai suoi Conve-gni annuali, ne abbiano semprericavato sollecitazioni fecondeper la propria vita personale eper il proprio impegno sul terri-torio. Io ho partecipato, conqualche intervallo, ai convegnidi Assisi S. Maria degli Angeli,di Viterbo, di San Marino ed oraal 50° Convegno a Trevi.Ci sono stata anzitutto per ali-mentare me stessa e maturareuna consapevolezza nuova difronte alle sfide di una societàmulticulturale e multireligiosa;anche il mio essere insegnanteesigeva una competenza profes-

sionale aperta al cambiamento:ero nella scuola e mi rendevoconto dell’importanza di educa-re alla mondialità e della neces-sità di mettere a punto percorsidi formazione interculturale perdocenti.Grazie a CEM si sono allargatigli orizzonti della mia fede cri-stiana e del mio impegno eccle-siale. Grazie a CEM è stato pos-sibile attuare nella scuola per-corsi molto interessanti di forma-zione interculturale dei docenti.Ma anche il «Settembre Pedago-gico Andriese», spesso, ha svi-luppato le sue tematiche a parti-re dalla riflessione maturata neiconvegni CEM. L’iniziativa del«Settembre Pedagogico», elabo-

CEM per me è un luogo

in cuis’incontrano

tanti amicicon cui

si lavora eci si

confronta: è un lievito

di mondialitàche ciascuno

di noi, poi,potrà

utilizzare perl’impasto del

quotidiano!

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nella parte occidentale del paese. All’etàdi 6 anni, al seguito dei genitori, en-trambi musicisti, Ayub parte per un lun-go viaggio negli Stati Uniti. Tornato inKenya, frequenta prima una scuola cat-tolica, poi un college inglese. Nel 1977inizia la sua carriera professionale, chelo vede impegnato come percussionistain alcune formazioni rock di Nairobi. Diquesto periodo è anche la scrittura diKothbiro, una delle perle che pubbliche-rà poi nel disco En Mana Kuoyo. Il suointeresse per la musica e gli strumentitradizionali lo induce, nel 1979, a for-mare un proprio gruppo: i Kenya Afri-can Heritage, dove la commistione tratradizioni africane, il soul ed il rock diderivazione africana si fondono in unsound originale, che porta la formazio-ne ad una discreta fama, ed alla pubbli-cazione di 3 album negli 8 anni di atti-vità. Nel 1986 si trasferisce a Londra,

«Non puoi gettare un sasso in unostagno senza che produca delle onde;ogni nuova personalità che incontriinfluenza la tua vita, e ti lascia un sentireche non conoscevi. Proprio questo mi hapermesso nel tempo di ascoltare la miamusica in una luce sempre diversa».Ayub Ogada

Ben ritrovate e ben ritrovati. Il nostroperpetuo viaggiare tra i mondi so-

nori ci riporta di nuovo in Africa Nera;tuttavia, questa volta, non per parlaredi uno dei tanti e splendidi gruppi omusicisti tradizionali tutto ritmo e pul-sare, bensì per incontrare uno dei pro-tagonisti più poetici ed ammalianti cheil contesto tradizionale africano e altempo stesso contemporaneo ha gene-rato: Ayub Ogada.En Mana Kuoyo, il suo disco solista pro-dotto dalla Real World nel 1992, è unvero e proprio disco di culto nel pano-rama della world music. Si tratta di unlavoro unico, stupendo e non replicatoo ripreso, anche perché ad oggi è dav-vero, purtroppo, l’unico disco solistarealizzato da questo cantore senzatempo.Ayub Ogada nasce in Kenya, a Momba-sa, e fin da bambino inizia ad abitarecontesti culturali diversi e a frequentarele terre di mezzo. È parte dell’etnia Luo,la seconda del paese per numero, e trale più importanti dal punto di vista cul-turale; una popolazione montanara diorigine nilo-nubiana, orgogliosa, indi-pendente e tradizionalista, stanziata

dove si mantiene pizzicando per stradala sua Nyatiti, una lira dell’Africa orien-tale. Caro alla cultura Luo, questo stru-mento dal suono delicato e suadentepossiede qualità spirituali, e può mette-re in contatto con gli Spiriti. Tradizional-mente è usata per lo più per sostenereed accompagnare canti rituali e pre-ghiere.Ayub, abile suonatore ed ambasciatoredello strumento, non sfugge al raffinatosentire di Peter Gabriel, che lo coinvolgeper suonare al Womad (il festival di mu-siche e danze dal mondo da lui ideato)e di lì a poco a registrare En Mana Kuo-yo nei suoi studi della Real World. Permolti anni Ogada è stato ospite dei fe-stival Womad, esibendosi spesso da so-lo. «È bellissimo suonare in gruppo; ècome essere in famiglia. Spesso peròl’ego dei singoli può diventare un pro-blema e creare conflitti. È per questoche ho deciso di suonare da solo».L’album è uno dei cd che ho ascoltatoe tuttora ascolto di più, ed è uno dei 9dischi che salverei in caso di abbando-no forzato della vasta discografia cheabita la nostra casa. Sono davvero tan-te e forti le emozioni che le sue 10 trac-ce suscitano; qui vorrei ricordare Ko-thbiro, che oltre ad essere un branomeraviglioso è stato ripetutamente uti-lizzato in vari contesti. Ritengo che nonsi possa non ascoltare questo capola-voro, e mi unisco all’accorato appellotrovato in rete: «componga ancora, perfavore, Mr. Ogada!», e aggiungo: con-tinui a farci sognare! Buon ascolto a

Ayub OgadaDolci melodie dall’altra Africadi Luciano Bosi

Associazione Culturale [email protected] - http://askavusa.blogspot.com/

nuovi suoni organizzati

Ayub OgadaEn Mana Kuoyo

Real World, 1992

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ABergamo la presenza del Teatro Ta-scabile e della sua Accademia delle

Forme Sceniche, dagli anni ‘70 ad oggi,è sempre stata una realtà importantenel panorama teatrale internazionale.Il TTB ora propone la XIII edizione de IlTeatro Vivo, un progetto sostenuto dalComune di Bergamo, dalla Fondazionedella Comunità Bergamasca e dalla Fon-dazione ASM, realizzato con la collabo-razione della Galleria d’arte moderna econtemporanea di Bergamo, dello Spa-zio Polaresco e dell’Università degli studidi Milano, facoltà di lettere e filosofia. Il tema dell’anno è il confronto tra tea-tro e danza, visto, per una volta, alla lu-ce non della cooperazione, o della si-nergia, ma dell’interferenza tra le arti:che non è somiglianza, non è simpatia,non è collaborazione. È il momento incui un emisfero, invece di andare a bus-sare alla porta dell’altro, lo spia dal bu-co della serratura per carpirgli i segreti.Per capire cosa succede quando danzae teatro s’indagano reciprocamente o sicontemplano, l’una per carpire al teatroquella vulnerabilità che lo rende poten-te, e l’altro, il teatro, per imparare dalladanza quella precisione nel gesto senzala quale il corpo dell’attore ammutoli-sce. È stato detto che il miglior teatrod’attore è quello che ha dentro di séuna danza occultata. È stato anche det-to che la danza più efficace è quella chenon si limita a mostrare il virtuosismodel corpo del danzatore, ma che espri-me sentimenti, passioni, emozioni, per-fino storie: come il teatro. Per questo ilteatro occidentale ha sempre guardatoad Oriente con curiosità e fascino, a

Interferenze

di Nadia [email protected]

quei mondi in cui queste paratie nonesistono e un solo spettacolo compren-de tutto, musica, danza, teatro. Allostesso modo, il mondo orientale hasempre guardato con desiderio alla li-bertà, che è il vantaggio e il limite delteatro occidentale. Questo desiderio re-ciproco ha fatto sì che i momenti d’in-terferenza siano spesso diventati mo-menti di grande trasformazione per cia-scuna delle due arti.Da settembre a dicembre 2011 si svol-gono cinque spettacoli, quattro incontricon studiosi, quattro seminari teatrali euna mostra. A settembre si sono svolti

crea-azione

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un seminario di Tecnica e poesia delTeatro classico indiano e uno spettacolostile Bharata Natyam con Praveen Ku-mar (India), il nuovo spettacolo Kiratadel TTB tratto dal celebre testo dell’epi-ca indiana, il Mahabharata, una mostraa cura di Ashish Mohan Khokar con laGalleria d’arte moderna e contempora-nea e un incontro sulla danza indiana.A ottobre, un seminario formativo au-dio Live sound education per attori, mu-sicisti e band con Fabio Vignaroli. A No-vembre si svolgerà il seminario di antro-pologia teatrale The Dramaturgy of theOrixà con Augusto Omolú - Odin Tea-tret (Danimarca), lo spettacolo Orò diOtello - Odin Teatret con Augusto Omo-lù e Cleberda Paixão (Brasile), lo spetta-colo Natura sonoris di Laura Colombo eLuca Ruzza- OpenLab Company (Roma).In dicembre l’incontro Intrecci di rami eradici - La danza europea nel compositoterreno dell’intercultura con EugeniaCasini Ropa; lo spettacolo di danza SoloGoldberg improvisation di e con VirgilioSieni. E per concludere, il corso di cantogeorgiano La voce del Caucaso con Lau-rent Stéphan ed Evelaine Lochu - Grup-po Djamata (Francia). q

Per saperne di piùwww.teatrotascabile.org

«Teatro Vivo» a Bergamo.Da settembre adicembre 2011 sisvolgono cinquespettacoli,quattro incontri,quattro seminariteatrali e unamostra

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Associazione Culturale [email protected] - http://askavusa.blogspot.com/

vanissima Alicia a riparare all’estero,dapprima in Brasile e, dopo aver conclu-so la scuola dell’obbligo, in Italia, all’etàdi undici anni (nel 1980). In Italia (vive elavora a Brescia), Baladan costruirà il suofuturo: si diploma all’Accademia di BelleArti di Brera, partecipa a mostre e film-festival di animazione e sperimentazionedell’immagine, collabora alla realizzazio-ne di progetti culturali e, negli ultimi an-ni, si dedica all’illustrazione e alla scrit-tura di libri per bambini. Con esiti felicis-simi, anche grazie al favorevole incontrocon l’editore Topipittori. Di tutto questo,però, Piccolo grande Uruguay (2011, p.116) non parla. Il libro ci racconta l’Uruguay degli anni‘70: sono gli anni della conquista dellospazio, ma anche della junta militar,delle contestazioni, dei dissidenti e deidesaparecidos. Un paese sconvolto da

un regime che semina il terrore conabusi e violenze di ogni tipo, portal’economia, la società e la vita civile

sull’orlo della catastrofe. Gli op-positori politici sono in carcere

e stessa sorte è toccata al pa-dre di Alicia, accusato di sov-versione e di atti contro il re-gime. Alicia vive in primapersona la drammaticità di

quegli anni plumbei, ma l’au-trice-illustratrice ce li racconta

con una scrittura fresca, con la pro-sa leggera di una bambina che dopo

l’arresto del padre va a vivere in una ca-sa enorme. Alicia, nonostante tutto, èuna bambina curiosa e vivace e sognadi diventare astronauta. Fino a quandole viene raccontata la storia di un certo

Dopo la splendida fiaba Una storiaGuaraní (Topipittori, 2010), sua

opera di esordio nella narrativa per l’in-fanzia, l’italo-uruguayana Alicia Baladantorna a sorprenderci e ad incantarci conun piccolo libro autobiografico, preziosoe assai curato, in cui l’autrice racconta,con intensità e leggerezza, gli anni diffi-cili ma anche spensierati della propria in-

fanzia in Uruguay,durante la spietatadittatura dei milita-ri. Sono gli anni cheprecedono la «fu-ga» della sua fami-glia dal paese suda-mericano, e che co-stringeranno la gio-

Un piccolo grande librodi Lorenzo Luatti

saltafrontiera m

Caruso Trusky, il panettiere che andònello spazio per due settimane e al suoritorno trovò tutto diverso.Nel romanzo colpisce soprattutto lapresenza di frequenti rimandi e collega-menti in chiave psicologica - sono tal-volta immagini visionarie e - tra le dram-matiche e difficili vicende e le situazionivissute in prima persona e i sogni e lefantasticherie di una giovanissima Ali-cia. Il tutto filtrato dal ricordo, a voltedeformante, ma anche capace di impri-mersi con una forza straordinaria, dellestorie ascoltate durante l’età dell’infan-zia. Penso alle pagine in cui si racconta-no le vicende della bambola Susanita edei «gatti caduti dal cielo», del compa-gno di scuola Aramiz, costretto dalla vi-ta a crescere più in fretta degli altri ra-gazzi (forse l’episodio più intenso estruggente del li-bro), e ad altre an-cora di cui il testoè disseminato. Al-trettanto piacevolie intense sono lepagine che hannoper protagonisti inonni, gli zii e gliamici di famiglia.È un sapiente af-fresco familiarequello ricostruitoda Baladan, bruli-cante di persone estorie, capace di coinvolgere il lettoredalla prima all’ultima pagina, in unanarrazione che è, al contempo, serratae pacata, intima e collettiva.Grande è la cura nell’uso delle parole emolto belli sono i disegni, essenziali, inbianco e nero, della stessa Baladan. Unlibro per tutti i lettori, e in particolareper i giovani dai 12 anni in su. q

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Claudio Sassi e Odoardo Semellini Francesco Guccini in concerto (a cura di Riccardo Bertoncelli)Giunti Editore, Firenze 2011, pp. 256, euro 16.50

Dedicato a Brunetto Salvarani, «vecchio amico di giorni, pensieri e altre sciocchezze».

Ero una studentessa, quando, con il liceo che frequentavo e l’ITIS di Desio (Monza e Brianza), tra-mite il Club Tenco e lo storico presentatore del Premio, dedicato appunto a Luigi Tenco - che si svol-ge annualmente presso il teatro Ariston di Sanremo - il preside Antonio Silva, organizzammo unimportante evento con Francesco Guccini. In quell’occasione il cantautore regalò un’esclusiva an-teprima, riservata a noi ragazzi, del suo (allora) ultimo libro, Vacca d’un cane (correva l’anno 1992)in cui raccontava dei luoghi del dopoguerra che gli sono rimasti nel cuore. All’interno del libro, edito nel 1993, il musico diviene scrittore e descrive le difficoltà di un itinerarioattraverso il disastro postbellico, a cui si aggiunge la ritrosia di Francesco, bambino di cinque anni,a seguire i genitori, lasciando il nido di Pàvana per un incerto inurbamento, come egli ama ricordarenella canzone Piccola Città, «cento finestre, un cortile, le voci, le liti e la miseria: io, la montagna nelcuore, scoprivo l’odore del dopoguerra». Insomma quando il nostro Guccini canta, con felice sintesi, di questa «piccola città, bastardo po-sto», traduce la memoria storica degli eventi e mostra un suo malessere personale, un disagio esi-stenziale, che non si discosta molto dalla realtà sociale di quegli anni. In un quartiere di Modena situato tra «la Via Emilia e il West», Guccini comincia a conoscere i suoicompagni di avventura musicale e non solo, con i quali si esibisce in modi al limite dell’informalitàe della trasgressione, in bar, osterie, circoli culturali, carceri, fabbriche occupate o dismesse, teatrie teatrini, prima di approdare alle dimensioni degli stadi e dei palasport. Fino alla sua prima maturità, Guccini si è sempre esibito con modalità artigianali, vi-cine alla tradizione del cantastorie più che del cantautore, affrontando i sentieridelle osterie, dei cabaret, dell’affabulazione fulminante e coinvolgente, del-l’esibizione schietta, essenziale e immediata che denuncia la precarietàdell’esistere, caratterizzata dal sottile spleen di baudelairiana memoria,da una velata malinconia e al contempo agguerrita passione di denunciasociale. Tutto ciò è raccolto nel libro Francesco Guccini in concerto, in cui ricerca-tori e collezionisti, Claudio Sassi e Odoardo Semellini, hanno riunitoun’impressionante quantità di materiali inediti, da cui hanno estrapo-lato locandine, manifesti, memorabilia, ritagli di giornale, interviste ebiografie. Alle testimonianze si sono aggiunti i racconti e le memorie deitanti musicisti che hanno accompagnato il cantautore nel tempo, da FlacoBiondini a Ellade Bandini, fino alle performance con il Club Tenco e ai duetticon Vecchioni, la Nannini, Ligabue, tramite approfondimenti collegati allasua attività in studio e alla vita quotidiana, negli anni delle leggendarie nottiall’Osteria delle dame a Bologna e nel paesaggio pittoresco dell’Appenninotosco-emiliano, nel clima triste e dimesso del dopoguerra, che, invece, è diven-tato, col tempo, una dimensione mitologica e poi storica della prima canzo-ne d’autore nel nostro paese. Il libro, man mano che prendeva forma, si è trasformato nel raccon-to pittoresco di uno dei personaggi più impegnati e contestatoridella canzone italiana, schierato per i significati ultimi della giustiziasociale, dell’uguaglianza dei diritti tra tutti gli esseri umani, attraver-so le doti artistiche più alte della semplicità, dell’immediatezza,dell’amore per la musica e per il pubblico.

Laura Tussi

mediamondo

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Brunetto Salvarani Il dialogo è finito? Ripensare la Chiesa nel tempo del pluralismo e del cristianesimo globaleEdizioni Dehoniane, Bologna 2011, pp. 224, euro 17.50

Pur in presenza di avvenimenti che provocano inquietudine e inducono al pessimismo (guerre di re-ligione, antisemitismo, islamofobia e cristianofobia, terrorismo globale) la parola e la pratica deldialogo devono diventare una priorità, per rendere fruttuoso quel pluralismo religioso che è ormaiuna realtà anche nei paesi di tradizione cattolica. È con questa certezza che Brunetto Salvarani rea-lizza la terza tappa (i due precedenti volumi sono Vocabolario minimo del dialogo interreligioso,EDB 20082, Educare al pluralismo religioso. Bradford chiama Italia, EMI 2006) del suo interrogarsisul tema del dialogo, che ha lo scopo di «riflettere sul senso autentico del dialogare in un momentodi straordinarie trasformazioni nell’ambito delle Chiese cristiane» (p. 12). Un viaggio che appare spesso condotto «in direzione ostinata e contraria» rispetto alle condizioniattuali, che fanno temere che il tempo del dialogo sia finito, come recita appunto il titolo di questosaggio, ma avendo alle spalle la certezza che nell’ultimo mezzo secolo le Scritture e il magisterohanno fatto del «dialogo con l’altro uno dei punti centrali della rivelazione cristiana» (p. 146). Par-lare di «crisi» (del dialogo, della fede, della Chiesa) non deve però necessariamente tradursi in unatteggiamento negativo e difensivo, ma deve al contrario diventare occasione per fronteggiare ipericoli di tale situazione e cogliere le opportunità presenti in essa. Il Concilio ha avviato una retedi dialoghi ecumenici e interreligiosi, condotti a livello istituzionale, che non hanno dato finora i ri-sultati sperati, raggiunti invece da quelli, nati dal basso, che hanno coinvolto persone e gruppi di-sposti a mettersi in questione. Vi sono quindi luci e ombre che caratterizzano un periodo, 50 anni,breve rispetto ai tempi lunghi della storia della Chiesa e quindi si può dire che «la ricezione del Va-ticano II è appena cominciata» (p. 23). Bisogna intanto registrare un dato indiscutibile: è impossibilepensare a una Chiesa che non faccia i conti con l’ecumenismo e «con la riscoperta delle proprie ra-dici affondate nell’ebraismo e con il dialogo verso le altre tradizioni religiose» (p. 31). Non bisognaavere paura del dialogo, sottolinea Salvarani, perché esso non pretende di annullare le differenze,ma consente di costruire ponti tra le opposte rive di pensiero, lasciando respiro alla speranza e allagratuità.L’analisi del tempo attuale spinge l’autore a chiedersi se vi sia ancora spazio per un rapporto positivocon l’alterità «nel tempo del ritorno della religione sulla scena del villaggio globale e del pluralismoreligioso» (p. 54) dopo che si era parlato della «fine della religione» e della «sconfitta di Dio». La dif-ficoltà è acuita da un uso disinvolto del termine dialogo a cui non è seguita un’idonea elaborazione.Per questo motivo, sottolinea l’autore, è necessario individuare le modalità operative dei camminida scegliere per educare a dialogare, in chiave sia ecclesiale sia civile, facendo emergere quelle«buone pratiche» che già sono presenti e che faticano ad arrivare all’attenzione del grande pubbli-co, investito al contrario dalle notizie che da un lato enfatizzano la mancanza di reciprocità e ledifferenze e dall’altro i grandi raduni, ma che non riescono a dare conto delle trasformazioni chehanno investito irreversibilmente il nostro continente.

Luciano Grandi

I libri possono essere richiesti alla Libreria dei Popoli che fa servizio di spedizione postale, con sconto del 10% per gli abbonati e per i possessori della CEM Card.

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La storia. Abbandonato dal padre in unistituto, Cyril è un bambino che nonvuole assolutamente convincersi di que-sto tradimento e non si ferma di frontea nulla pur di trovarlo e incontrarlo, nel-la speranza che tutto torni come prima.Inutili le attenzioni e la protezione chericeve da Samantha, una giovane donnacasualmente coinvolta nella sua situa-zione; solo l’incontro rivelatore con ilpadre lo porterà a interrompere la suaossessiva ricerca di quel rapporto per-duto. Cyril, nel tentativo di proteggerela sua bicicletta, unico legame fisico conil padre, si lascia irretire dal bullo diquartiere che lo spinge ad una rapinacon violenza ad un tabaccaio e a suo fi-glio. Da questa situazione riesce final-mente ad uscire, diverso e davvero di-sponibile all’amore che Samantha nonha mai cessato di rivolgergli.La parola ai registi. «Le nostre storie sonosempre ambientate al presente perchél’ispirazione ci arriva dalle persone checonosciamo o da quel che leggiamo suigiornali. Il realismo per noi è l’unico mo-do per parlare del mondo. Fare film ciaiuta a immaginare come lo vorremmo:senza rivalità, senza paura dell’altro...».Il film. Nei film precedenti i fratelli registidocumentavano una realtà dura di vitemarginali, soffocante addirittura nel-l’impedire una possibilità di vita norma-le. Ma sempre l’umanità trovava mo-menti di rottura con la negatività ed erala promessa di un giovane di difenderedegli immigrati clandestini, la decisionedi una coppia di ritornare a riprendersiil neonato, l’atto d’amore di Lorna conquel drogato alla disperazione, la resi-

Il ragazzocon la biciclettadi Lino [email protected]

stenza di un padre alla tentazione divendetta sull’assassino del figlio e inquesto film la scelta di Samantha di sta-re accanto comunque a quel ragazzoche all’improvviso si è aggrappato a lei.

Regia, soggetto e sceneggiaturaJean Pierre e Luc Dardenne

InterpretiCécile de France (Samantha), ThomasDoret (Cyril Catoul), Jérémie Renier (GuyCatoul), Fabrizio Rongione (il libraio),Egon Di Mateo (Wes), Olivier Gourmet.

Belgio/Francia/Italia, 2011. 87 min. Lucky Red Distribuzione.

cinema

Il film è strutturato in quattro macro se-quenze separate dall’incipit ripetuto einterrotto dell’Adagio del Concerto n. 5per pianoforte e orchestra di Beethoven.Gli stacchi musicali fanno pausa, prelu-dono ad una situazione nuova, aiutanole emozioni, chiedono richiamo critico.Ma la musica non è la sola novità degliultimi due film dei Dardenne, vi è ancheun approccio volutamente più aperto al-la speranza, tanto da farli parlare di unafavola, quella di una donna che con ilsuo amore salva un ragazzo dalla cattivastrada. Ed anche la tecnica di regia si èevoluta: da un obbiettivo chiuso e ap-piccicato alla vita disperata di Rosetta aduna ripresa più narrante, dal grigioredella quotidianità e dal notturno dellasolitudine alla solare passeggiata libera-

Il film non è solo lastoria di un ragazzo

che è stato tradito dal«suo» adulto e che

senza più difeserischia di precipitare

nel baratro dellaviolenza e della

delinquenza, il film èanche la storia di un

adulto che si offre a luie dandosi fa sì che lui

si ritrovi

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I registiNati a Seraing, cittadina vallone in provincia di Lie-gi, in Belgio, Jean-Pierre nel 1951 e Luc nel 1954,hanno iniziato nei primi anni settanta con docu-mentari di forte impegno sociale sulla realtà e lastoria della loro regione. Il loro primo lungome-traggio del 1987 è Falsch, ritratto dei sopravvissutid’una famiglia ebrea sterminata nei campi nazisti.Del 1996 è La promesse. Nel 1999 presentano aCannes Rosetta, vincendo la Palma d’Oro, il Premioecumenico della Giuria e quello per la migliore in-terpretazione femminile; nel 2002 con Il figlio,sempre a Cannes vincono il Premio Ecumenico del-la Giuria e quello per la migliore interpretazionemaschile; nel 2005 con L’enfant ottengono nuova-mente la Palma d’Oro; infine nel 2008 ricevono an-cora a Cannes con Il matrimonio di Lorna il Premioper la migliore sceneggiatura. Anche Il ragazzo conla bicicletta vince il Grand Prix speciale della giuriadi Cannes del 2011.

toria in bicicletta lungo il canale. Il filmnon è solo la storia di un ragazzo che èstato tradito dal «suo» adulto e che sen-za più difese rischia di precipitare nelbaratro della violenza e della delinquen-za, il film è anche la storia di un adultoche si offre a lui e dandosi fa sì che lui siritrovi. Tutto l’inizio del film ha al centro

di Antoine Doinel, l’adolescente de I400 colpi. In quel film Truffaut avevaraccontato la lenta discesa di un prea-dolescente verso il riformatorio: la soli-tudine, il non ascolto da parte dei geni-tori, il bisogno di «essere» in qualchemodo, la sola risposta repressiva dellasocietà dopo il furto e la «logica» rea-zione di Antoine di tentare di sottrarsi edi costruirsi comunque un futuro. Nellasequenza finale la fuga durante la par-tita di pallone al campetto, la lunga cor-sa affaticata attraverso i campi, la disce-sa alla spiaggia, gli ultimi passi verso ilmare, i piedi nell’acqua, gli occhi a scor-rere sull’orizzonte e poi il girarsi e ilguardare dentro all’obiettivo. Era losmarrimento, era la scoperta da partedell’adolescente di un desiderio che siera fatto vuoto. Ecco, in quel momentoCyril ha incontrato Samantha. È comese il film dei Dardenne fosse la prosecu-zione della storia di Antoine Doinel. q

motivazioni pregresse personali o socialiè vero che non spiega le motivazioni diquel che accade sullo schermo ma coin-volge più decisamente lo spettatore, cheda una parte è chiamato a darsi una ri-sposta e dall’altra è personalmente coin-volto in una domanda quale «Io cheavrei fatto?». È il volto dell’altro che sipresenta e ti schioda dal tuo quotidianochiedendoti di prendere una posizione.Osservando il cocciuto iniziale compor-tamento di Cyril viene in mente il volto

di quel rapporto, è la prova che lui c’erae ancora ci doveva essere. Il racconto ha una svolta nel momentoin cui Cyril, per non ritornare in istituto,si aggrappa ad una giovane donna se-duta in una sala d’attesa, insieme cado-no a terra; lei non urla, non cerca disvincolarsi, si mantiene calma mentre lasituazione viene risolta. Ma è come sein quel momento lei, Samantha, si sen-tisse scelta e chiamata a dare una per-sonale risposta ad un problema precisoche casualmente l’ha coinvolta. È un po’come il Buon samaritano che lungo ilsuo cammino si è imbattuto in uno sco-nosciuto ferito e non ha delegato ma siè giocato in prima persona.Non conosciamo i perché del gesto delladonna o i motivi dell’abbandono del pa-dre, non sappiamo nulla della vita pre-cedente dei due adulti, i registi stessi di-chiarano che questa è una precisa sceltanarrativa. A ben pensare la mancanza di

Non conosciamo iperché del gesto della

donna o i motividell’abbandono del

padre, non sappiamonulla della vita

precedente dei dueadulti, i registi stessi

dichiarano che questa èuna precisa scelta

narrativa

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cinema

lo sguardo deciso e la cocciutaggine diCyril a ritrovare il padre: è un continuoaggrapparsi ad un telefono e fuggiredai suoi educatori. Non vi è realtà o di-scorso attorno a lui che possano inqualche modo attenuare la sua sete diricostruire un rapporto con chi lo ha ab-bandonato; e l’attaccamento alla bici,dono del padre, è la materializzazione

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i paradossi arnaldo de vidi

Mondialità o [email protected]

C inque anni fa, ho corretto chi sul quotidiano Avvenire aveva scritto: La globalizzazione? L’-hanno inventata i saveriani del CEM. No!, i sa-

veriani del CEM, abbiamo diffuso la «mondialità» che èdivergente rispetto alla globalizzazione. Sul tronco del provvidenziale «planetarismo» in atto,mondialità e globalizzazione sono le diramazioni mag-giori a confronto. La prima favorisce il dialogo delle cul-ture, la seconda il pensiero unico; la prima vuole i mer-cati rionali, la seconda il mercato globale; la prima pre-dica l’ipoteca sui capitali per fini sociali, la seconda im-pone l’assoluta libertà del capitale (finanziario)... La mondialità è Davide, la globalizzazione è Golia. Sisperava che Davide-mondialità, con l’aiuto di Dio, scon-figgesse Golia-globalizzazione, ma imprese simili diffi-cilmente si ripetono.Si può sognare che Golia si converta, cioè diventi anti-razzista e solidale: sogno patetico, perché la globalizza-zione ha il Dna dell’esclusione e del profitto. Un aned-doto orientale dice che Buddha salvò uno scorpione,che lo ripagò... pungendolo; disse Buddha: «Stiamo am-

bedue seguendo la nostranatura: la mia è di soccor-rere, quella dello scorpioneè di pungere col veleno». Si poteva ipotizzare che Go-lia si autoeliminasse, comeuna «catena di Sant’Anto-nio» che si esaurisce pocoa poco, dopo aver arricchi-to i furbi. Ed è ciò che stavaavvenendo. Ma i governisono corsi al capezzale del-la globalizzazione. Hannotrasfuso - alle banche, mol-tiplicato per mille - il denaro

che hanno sempre negato agli affamati; e il popolo nonsi è opposto! Si è ritenuto indispensabile salvare la glo-balizzazione, tanto la sua rete di sovra-strutture, favori,interdipendenza, alleanze, l’avevano resa insostituibile.

«Siamo alla fine della storia», disse Francis Fukuyama; odopo della globalizzazione il diluvio.Chissà? A sconfiggere la globalizzazione non sarà lamondialità, ma l’inerzia e l’accomodazione dei poveridel terzo mondo. I grandi recitano una saga tragica: sor-gono, crescono e crollano. I poveri nelle mini-tragedierecitano l’inno di Anna, madre di Samuele: «è Dio che fail povero e il ricco» (1Sm 2,7).Non si tratta dell’arrivo (preconizzato dalla teologia dellaliberazione e sempre rimandato) della forza storica deipoveri. Io sono arrivato alla conclusione che la forza deipoveri è la loro capacità di (sopra)vivere. Lamiseria ti spaventa? Abbracciala e non tispaventa più. La tua economia è fallimen-tare? Scopri un’economia informale o sub-terranea. Si direbbe che quello dei poveriè un popolo matriarcale, cioè impegna-to visceralmente con la vita: viverebisogna, anche se un figlio vieneucciso, una ragazza fugge dicasa, un’alluvione si porta viatutto... È qui che io vedo ilconfine tra la povertà nel pri-mo mondo, fatta di precarie-tà, investimenti in fumo, tassee tagli all’assistenza sociale, cor-ruzione e giuste rivendicazioni disattese..., ela povertà del terzo mondo che non rivendicama continua «vivendo e in parte vivendo», co-me direbbe Eliot. I poveri resistono con l’occhiosul calendario, sul fine-settimana, meglio ancora se c’èun ponte di ferie prolungate, sul sabato a somiglianzadegli ebrei, come utopia definitiva. Aspettano anche ilcompleanno e la vittoria della squadra del cuore persperperare fuochi d’artificio e fiumi di birra. Eppure ècon poveri così che Gesù ha predicato e scritto il Van-gelo. Egli ha lodato il gesto eccessivo e sensuale diMaddalena che gli ha svuotato sui piedi una boccia diprofumo del valore di 300 denari coi quali si potevacomprare pane per i poveri. q

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La mondialità èDavide, la

globalizzazione èGolia. Si sperava che

Davide-mondialità,con l’aiuto di Dio,

sconfiggesse Golia-globalizzazione,

ma imprese similidifficilmente si

ripetono

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la pagina di... rubem alves

mente vedere cose belle. Ho un bel pomodoro che stacrescendo nel mio giardino. Grasso. Rosso. Dolce.Grande. Che bel pomodoro! È sicuro che non ci sonovermi al suo interno. Ne farò una deliziosa insalata. Maprima mostro il pomodoro al mio vicino. Ma a questopunto il mio occhio vede il giardino del mio vicino. An-che lui coltiva pomodori. Vedo il pomodoro che crescenel suo orto. Bello, molto rosso. Brillante. Enorme. Bio-logico. Più bello del mio. Così il verme entra nel mio oc-chio. I miei occhi acquistano movimento. Tornano al miopomodoro che era la mia allegria ed orgoglio. Ora nonpiù. Osservato bene è piccolo, appassito. Marcisce ra-pidamente e cade. Non godrò più del piacere della miainsalata…Questo movimento degli occhi è la maledizione del pa-ragone. Quando paragono la mia «cosa buona» con la«cosa migliore» dell’altro, divento infelice. Ciò che pri-ma mi dava felicità adesso mi trasmette infelicità. Con ilparagone ha avuto inizio l’infelicità umana.Si racconta che un uomo trovò una bottiglia, con un tap-po, buttata in mezzo a tante cose vecchie. Curioso, pre-se la bottiglia e l’aprì. Vi era rinchiuso un genio, che s’in-chinò davanti all’uomo e disse: «Adesso sono tuo servo.Ho il potere di fare qualsiasi cosa. Posso darti la felicitàper il resto dei tuoi giorni. Fa’ la tua richiesta!». L’uomoprima di rispondere ci pensò bene. I desideri sfilavanodavanti ai suoi occhi: belle donne, viaggi, banchetti,concerti... Ma il genio aggiunse: «C’è un piccolo parti-colare perché i tuoi desideri si realizzino...». «Qual èquesto particolare?» chiese l’uomo. «Tutte le richieste

che farai, il tuo nemico le riceverà in misu-ra doppia». L’uomo si fermò, meditò

sulla doppia felicità del suo peg-gior nemico e alla fine disse:

«Adesso so quello che devo chie-dere. Strappami un occhio!». Così

è l’opera dell’invidia! q

M i piacciono i pomodori. Ho deciso di pian-tarne alcuni nei pressi di una casa che ho inmontagna. Le piantine sono cresciute vigo-

rose. È maturato anche il primo pomodoro, tutto rosso,ad eccezione di un punto nero sulla buccia. Non ci hofatto caso. Ho preso il pomodoro e ho dato il primo mor-so, ma l’ho subito sputato, con un senso di nausea. Den-tro c’era un verme bianco, grasso per aver mangiato tut-ta la polpa del pomodoro… È questa l’immagine che mi viene alla memoria quandosi tratta di parlare del più terribile di tutti i demoni. Nes-suno lo sospetterebbe. Non si mostra. Egli mangia dinascosto dal di dentro tutte le cose buone che crescononel nostro giardino.Ho già detto che i demoni fanno nidi nel nostro corpo.Ognuno di loro ha le sue preferenze. Questo demonedepone il suo nido negli occhi. Che cosa fa, allora? Nonfa niente con le cose cattive e brutte. Anzi, non gli piac-ciono proprio! Come il verme, preferisce i pomodorirossi. Gli piacciono le cose buone. Il risultato è che,quando una cosa bella cresce nel nostro giardino, vienevista dall’occhio dove si è nascosto il verme, questa im-mediatamente appassisce, marcisce, cade. E alloravengono le mosche…Il demone che alloggia negli occhi si chiama invidia. In-vidia viene dal latino invidere che vuol dire «vederedall’angolo degli occhi». L’invidia non vede davanti. Chivede davanti a sé prova piacere in quello che vede. Chivede da un lato vede con occhio cattivo. Occhio cattivo, occhio grasso… molta gente ha pauradi questo sguardo. Non c’è da temere. Il ver-me dell’invidia non fa mai niente con ipomodori dell’orto altrui. Eglimangia solamente i pomo-dori del nostro orto. L’occhio dell’invidianon guarda in un’uni-ca direzione. Ricor-date quello che hodetto: all’occhio dovesi nasconde il vermedell’invidia piace sola-

L’invidia

Traduzione di Marco Dal Corso

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L’unica rivista italiana di teologia e antropologia della missione.Una rivista semestrale di 128 pagine di riflessione e di studio a

carattere monografico, contenente saggi, profili di personalità estudiosi, recensioni, notizie di eventi e convegni

Direttore Mario Menin

Coordinatore scientificoGianni Colzani

Ad Gentes è promossa dalla CIMI(Conferenza degli Istituti

esclusivamente Missionari presenti in Italia)

AbbonamentiItalia € 20,00

Europa € 25,00Usa € 40,00

Un numero singolo € 12,00Ccp 11657400 intestato

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STATO PATRIMONIALE

ATTIVO 31.12.2010 31.12.2009

A) CREDITI V/SOCI PER VERSAMENTI ANCORA DOVUTI:I. non richiamati 0 0II. richiamati 0 0

TOTALE A)

B) IMMOBILIZZAZIONI:I. immobilizzazioni immateriali 33.167 33.167

meno fondi di ammortamento 33.167 30.407immobilizzazioni immateriali nette 0 2.760

II. immobilizzazioni materiali 668.544 661.805meno fondi di ammortamento 638.553 625.259immobilizzazioni materiali nette 29.991 36.546

III. immobilizzazioni finanziarie 5.165 5.165

TOTALE B) 35.155 44.471

C) ATTIVO CIRCOLANTE:I. rimanenze 615.315 468.081II. crediti 377.615 385.459

di cui esigibili oltre l'esercizio successivo 0 0III. attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni 0 0IV. disponibilità liquide 168.013 163.517

TOTALE C) 1.160.943 1.017.057

D) RATEI E RISCONTI ATTIVI 650 320

TOTALE PATRIMONIALE ATTIVO 1.196.748 1.061.848

PASSIVO 31.12.2010 31.12.2009

A) PATRIMONIO NETTO:I. capitale sociale 216.325 325II. riserve da sovrapprezzo azioni 0 0III. riserve da rivalutazione 0 0IV. riserva legale 265.400 482.824V. riserva per azioni proprie in portafoglio 0 0VI. riserve statutarie 0 0VII. altre riserve 0 0VIII. utili (perdite) portate a nuovo 0 0IX: utile (perdita) dell'esercizio -214.080 -217.424

TOTALE A) 267.645 265.725

B) FONDI PER RISCHI ED ONERI 65.088 65.088

C) TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO LAVORO SUBORDINATO 125.897 109.248

D) DEBITI 728.445 613.109di cui esigibili oltre l'esercizio successivo 426.595 347.595

E) RATEI E RISCONTI PASSIVI 9.673 8.678

TOTALE PATRIMONIALE PASSIVO 1.196.748 1.061.848

CONTI D'ORDINE:conto garanzie ricevuteconto garanzie prestateconto contributi decretati Enti ns. favoremerci nostre presso terzi

TOTALE CONTI D'ORDINE

CONTO ECONOMICO 31.12.2010 31.12.2009

A) VALORE DELLA PRODUZIONE:1. RICAVI DELLE VENDITE E DELLE PRESTAZIONI 1.062.115 1.097.0452. VARIAZ. RIM. PRODOTTI IN CORSO DI LAV., SEMIL., FINITI 0 03. VARIAZIONE DEI LAVORI IN CORSO SU ORDINAZIONE 0 04. INCREMENTI DI IMMOBILIZZAZIONI PER LAVORI INTERNI 0 05. ALTRI RICAVI E PROVENTI 178.118 177.646di cui contributi in c/esercizio 0 0

TOTALE A) 1.240.233 1.274.690

B) COSTI DELLA PRODUZIONE:6. PER MATERIE PRIME, SUSSIDIARIE, CONSUMO, MERCI 455.706 345.4897. PER SERVIZI 705.812 619.7718. PER GODIMENTO BENI DI TERZI 11.024 22.6199. PER IL PERSONALE 359.970 316.2828. 9a) stipendi 276.617 249.7808. 9b) oneri sociali 54.334 51.5908. 9c) trattamento di fine rapporto 16.649 14.9138. 9d) trattamento di quiescenza 0 08. 9e) altri costi 12.370 010. AMMORTAMENTI E SVALUTAZIONI 16.054 18.06918. 10a) ammortamento immobilizz. immateriali 2.760 2.760

18. 10b) ammortamento immobilizz. materiali 13.294 15.30918. 10c) altre svalutazioni delle immobilizzazioni 0 018. 10d) svalutaz. crediti comp. nell'attivo circ. e disp. liquide 0 011. VARIAZ. RIMAN. MAT. PRIME, SUSS., CONSUMO E MERCI -147.234 86.79712. ACCANTONAMENTI PER RISCHI 0 013. ALTRI ACCANTONAMENTI 0 014. ONERI DIVERSI DI GESTIONE 48.294 81.782

TOTALE B) 1.449.626 1.490.810

DIFFERENZA TRA VALORE E COSTI DELLA PRODUZIONE (A-B) -209.393 -216.120

C) PROVENTI E ONERI FINANZIARI:15. PROVENTI DA PARTECIPAZIONI 0 016. ALTRI PROVENTI FINANZIARI 241 1.15518. 16a) da crediti immobilizzati 0 018. 16b) da titoli immobilizzati 0 018. 16c) da titoli iscritti nell'attivo circolante 0 018. 16d) proventi finanziari diversi dai precedenti 241 1.15517. INTERESSI PASSIVI E ALTRI ONERI FINANZIARI 2.119 1.941

TOTALE C) (15+16-17) -1.878 -786

D) RETTIFICHE DI VALORE DI ATTIVITA' FINANZIARIE:18. RIVALUTAZIONI 0 018. 18a) di partecipazioni 0 018. 18b) di immobilizzazioni finanziarie 0 018. 18c) di titoli iscritti nell'attivo circolante 0 019. SVALUTAZIONI 0 018. 19a) di partecipazioni 0 018. 19b) di immobilizzazioni finanziarie 0 018. 19c) di titoli iscritti nell'attivo circolante 0 0

TOTALE D) (18-19) 0 0

E) PROVENTI ED ONERI STRAORDINARI:20. PROVENTI 51 22421. ONERI 32 542

TOTALE E) (20-21) 19 -318

RISULTATO PRIMA DELLE IMPOSTE (A-B+/-C+/-D+/-E) -211.252 -217.224

22. IMPOSTE SUL REDDITO DELL'ESERCIZIO 2.827 20023. RISULTATO DELL'ESERCIZIO 0 023. UTILE (PERDITA) DELL'ESERCIZIO -214.080 -217.424

CENTRO SAVERIANO DI ANIMAZIONE MISSIONARIA C.S.A.M.BILANCIO D'ESERCIZIO AL 31.12.2010 - in forma abbreviata ex art. 2435 bis C.C.

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Page 52: 08 - OTTOBRE 2011 La scuola · Insegnare al principe 33 di Danimarca Alessio Surian prati-care Un progetto di letture 34 ad alta voce Giannermete Romani domani è accaduto Mettere

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