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Bolletino web gratuito a cura del Centro Studi e Ricerche Storiche “Silentes Loquimur” - Marzo 2013 n. 1 WEB NOTIZIE, TESTIMONIANZE e DOCUMENTI del Centro Studi e Ricerche Storiche“Silentes Loquimur” – 33170 Pordenone (Italia) Via Div.Folgore 1, Casella Postale 335 Biblioteca: - 33170 Pordenone - P.ta Ottoboni 4, tel: 0434209008-FAX 0434081649 e.mail: [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] SITO: www.silentesloquimur.it (Istituto di notevole interesse regionale, L.R.n.17/2008, Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia) e ( Patrocinio Regione del Veneto, Provvedimento 5.2.2009) Perché un WEB-NOTIZIE ? Un sito non può essere solamente il “museo” di un Istituto, ove si conservano le memorie degli eventi, l’elenco delle pubblicazioni, che trasportano nella “STORIA” le “storie”. Un sito “storico” deve generare dibattito, non blog sterili che vengono gestiti dai soliti ignoti, trasformandosi in piccoli o grandi club, né essere il supporto di “profili”o di gruppi di “amici”. Un sito “storico” attraverso la comunicazione reciproca, via e-mail, deve personalizzare l’approfondimento, la scoperta, la ricerca della verità , preda dei “silenzi dei vivi”, delle “rimozioni”, delle “negazioni”. Un sito “storico” deve concorrere alla costruzione della ricerca e nella distribuzione della ricerca per rendere vivo il concetto della libertà, che è soprattutto cammino per un confronto da condividere attraverso i risultati del dibattito. Da qui l’idea di costruire un notiziario per ritrovare i popoli e la loro Storia. Il notiziario avrà un percorso su canali di interesse che si modificheranno in ogni numero, ma che si proporranno nelle pagine. A seconda dell’e-mail suggerito sarà risposto a tutti, vista la complessità degli argomenti entro 2 o 3 giorni . Ed ora Vi lascio alla lettura ed ai Vs, commenti, a presto! Centro Studi e Ricerche Storiche “Silentes Loquimur” Centro Studi e Ricerche Storiche “Silentes Loquimur” - Sede Sociale: Via Div. Folgore, 1 – 33170 Pordenone Sede Operativa: Piazzetta Ottoboni, 4 33170 Pordenone - Tel. 0434 209008 – Fax 0434 081649 e-mail: [email protected] - [email protected] - [email protected] - [email protected]

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WEB NOTIZIE, TESTIMONIANZE e DOCUMENTI del Centro Studi e Ricerche Storiche“Silentes Loquimur” – 33170 Pordenone (Italia) Via Div.Folgore 1, Casella Postale 335Biblioteca: - 33170 Pordenone - P.ta Ottoboni 4, tel: 0434209008-FAX 0434081649

e.mail: [email protected] [email protected] [email protected]@silentesloquimur.it SITO: www.silentesloquimur.it

(Istituto di notevole interesse regionale, L.R.n.17/2008, Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia) e ( Patrocinio Regione del Veneto, Provvedimento 5.2.2009)

Perché un WEB-NOTIZIE ? Un sito non può essere solamente il “museo” di un Istituto, ove si conservano le memorie degli eventi, l’elenco delle pubblicazioni, che trasportano nella “STORIA” le “storie”.

Un sito “storico” deve generare dibattito, non blog sterili che vengono gestiti dai soliti ignoti, trasformandosi in piccoli o grandi club, né essere il supporto di “profili”o di gruppi di “amici”.

Un sito “storico” attraverso la comunicazione reciproca, via e-mail, deve personalizzare l’approfondimento, la scoperta, la ricerca della verità , preda dei “silenzi dei vivi”, delle “rimozioni”, delle “negazioni”. Un sito “storico” deve concorrere alla costruzione della ricerca e nella distribuzione della ricerca per rendere vivo il concetto della libertà, che è soprattutto cammino per un confronto da condividere attraverso i risultati del dibattito.

Da qui l’idea di costruire un notiziario per ritrovare i popoli e la loro Storia.

Il notiziario avrà un percorso su canali di interesse che si modificheranno in ogni numero, ma che si proporranno nelle pagine.

A seconda dell’e-mail suggerito sarà risposto a tutti, vista la complessità degli argomenti entro 2 o 3 giorni . Ed ora Vi lascio alla lettura ed ai Vs, commenti, a presto!

Centro Studi e Ricerche Storiche “Silentes Loquimur”

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____Storie@Storia___pag.2____________________________________________

INDICE:

pag. 1 Introduzione, a cura di Bruno Vajente

pag. 4 Foibe: il genocidio della Venezia Giulia, di Marco Pirina

pag. 11 Foibe, dimenticate dalla scuola, di Annamaria De Luca

pag. 13 Foibe, una strage senza "Ma", risponde il direttore Gabriele Canè

pag. 14 Incontro revisionista sulle Foibe – Il Rettore lo sospende

pag. 16 L'orrore delle Foibe: "Togliete via Tito, è una vergogna", di Pierluigi

Dallapina

pag. 18 Giornata del Ricordo, intervista a Simone Cristicchi verso Sanremo, di Pietro

Salvatori

pag. 21 Fertilia, il rifugio per gli esuli delle Foibe, di Monia Melis

pag. 25 Foibe: Riccardi, fu pulizia etnica

pag. 26 Morta Mafalda Codan, sopravvissuta alle Foibe, di Rosario Padovano

pag. 27 Considerazioni..., di Paolo Peruzzini (TN)

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___________________________________________Storie @ Storia pag. 3______

INTRODUZIONE

A CURA DI BRUNO VAJENTE

Volutamente si è deciso di far uscire questo numero a Marzo dopo la Giornata del Ricordo e dopo le elezioni politiche così da poter ricordare e tramandare la memoria di quei fatti ed eventi serenamente senza polemiche e strumentalizzazioni di carattere politico.

La Giornata del Ricordo, istituita con la legge n.92 del 30 marzo 2004, stabilisce che il 10 febbraio di ogni anno si commemorino tutte le vittime dei massacri delle foibe e dell’esodo giuliano dalmata.

Vergognoso è che, a distanza di quasi 70 anni da quei fatti, ci sia ancora qualcuno che vuole negare quanto accaduto: di recente durante una trasmissione radio del Friuli Venezia Giulia mi è capitato di sentire che una storica abbia definito tale giorno come “la giornata della menzogna” e mi ha lasciato dell’amaro nell’anima per la cecità e ottusità di queste persone…

Vergognoso è anche chi imbratta e rompe le lapidi e i monumenti in memoria di queste vittime o chi, a livello di amministrazione pubblica, non celebra questa giornata.

In questa edizione si riportano articoli che, a Nostro avviso, sono significativi e utili per riflettere e non dimenticare…..

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__________Storie @ Storia pag. 4_______________________________________

FOIBE: IL GENOCOCIO DELLA VENEZIA GIULIA

A CURA DI MARCO PIRINA, STORICO E RICERCATORE

Foibe: campi di sterminio, fosse comuni, tombe senza nomi e senza fiori, dove regna il silenzio dei vivi ed il silenzio dei morti. Migliaia di scomparsi dalla Storia attendono GIUSTIZIA e VERITÀ'. Scomparvero dalle loro case, dall'affetto dei loro cari, dalla loro terra che tutti amavano al di là delle ideologie politiche. Oggi dopo oltre 50 anni da quei tragici momenti, la Storia percorre la strada della VERITÀ', per restituire dignità e giustizia agli uomini ed agli eventi.

APPUNTI PER LA STORIA.Per capire quello che è successo sui nostri confini orientali bisogna, seppure in maniera sintetica, dare un quadro storico alla situazione ante-genocidio. L' Istria, la Dalmazia e la Venezia Giulia, già parte integrante dell'Impero Romano, entrarono a fare parte, alla caduta dello stesso, per centinaia di anni del mondo culturale veneto, all'ombra del Leone di San Marco. La Serenissima, con i suoi commerci, la sua cultura e la sua arte, permeò quelle terre con il suo spirito di convivenza.

Poi, dopo il Trattato di Campoformido del 1797, l'Impero Austriaco, poi Austro-Ungarico, governò queste terre, osservando lo stesso spirito di Venezia, rispetto a convivenza tra etnie e culture diverse. Certo, nell'area l'etnia giuliana era predominante non solo per le profonde radici culturali e storiche, ma anche, specialmente nelle zone costiere, nei numeri.

Venete erano le città di Trieste, Capodistria, Pirano, isola, Pola, Fiume, Spalato, Sebenico, Zara e Ragusa; all'interno dell'Istria e delle coste della Dalmazia predominava invece l'etnia slava; a Nord gli Sloveni (detti Slavi del Nord), mentre nei territori posti tra Pola e Ragusa forte era la presenza dei croati.

Ambedue le etnie slave erano giunte qui al seguito delle invasioni barbariche, ed erano diverse dagli autoctoni popoli istri ed illirici, che avevano una dignità tale da avere dato a all'impero romano un Imperatore. L'Impero Austro-Ungarico si sgretolò a seguito della sconfitta subita al

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termine della Prima Guerra Mondiale, e al regno sabaudo furono assegnati dal Trattato di pace i territori dell'Istria.

Successive vicissitudini, a seguito dell'intervento di D'Annunzio a Fiume e del Trattato di Rapallo, portarono al riconoscimento della sovranità sabauda sui territori di Fiume e della Dalmazia.

E' evidente che l'equilibrio della convivenza fu modificato, ma bisogna tenere conto dei tempi, che vedevano tutti gli Stati attraversati da passioni nazionalistiche.

Questa modifica dell'equilibrio non potrà mai giustificare quanto avvenne nel periodo 1943 - 1956. Prima l'8 Settembre del 1943, data in cui si scatenò la violenza etnico-politica nei confronti dei cosiddetti italiani, in Istria e Dalmazia non si erano verificati episodi di squadrismo, alieni alla mentalità istro-dalmata; l'unico argomento che potrebbe essere chiamato in causa a giustificazione è quello della guerra condotta dal Regno d'Italia contro il Regno di Jugoslavia.

Era il 1941. L'entrata delle truppe italiane in Jugoslavia fu definita una invasione.

Esaminando però la situazione, senza giudizi storici, si può senz'altro affermare che l'intervento fu reso necessario dall'improvviso cambio di campo effettuato dalla Jugoslavia, fino ad allora a favore delle potenze dell' Asse, alla vigilia dell'aggressione delle stesse all'Unione Sovietica. Di questi interventi, con giustificazioni di comodo, dal 1945 in poi è ricca la Storia dei Popoli.

Fu una breve guerra, dal punto di vista militare, ma lunga e crudele per una resistenza armata, durata oltre quattro anni, sfaccettata in se stessa in una guerra civile che portò alla fine alla caduta del Regno di Jugoslavia ed alla instaurazione di un regime comunista dittatoriale, di cui il Maresciallo Tito fu l'incarnazione.

Fu una guerra che con il passare del tempo fu portata avanti, specie nel 1944 e 1945, solo dalla Germania che si servi della guerra civile, per utilizzare reparti armati filo nazisti Croati (Ustascia), Sloveni (Belagarda), Bosniaci (Div. SS Handshar), Serbi (Cetnici), contro il Fronte di Liberazione Jugoslavo (O.F.), trasformando gli scontri in rappresaglie, incendi di paese, deportazioni in massa.

l processi celebrati nel 1946 e 1947 contro i Generali e funzionari tedeschi, dal Regime Jugoslavo individuarono in essi responsabili delle violenze. Non furono richiesti ulteriori approfondimenti, al di là della propaganda tipica dei regimi dittatoriali comunisti. Fu così che quando con la

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dissoluzione della presenza militare nei territori istro-dalmati a seguito dell'armistizio (comunicato l'8 Settembre 1943 ma in effetti firmato il 3 Settembre, cosa a conoscenza di Tito, alleato in quel momento degli Inglesi) fu offerta la possibilità di attaccare le zone costiere, che erano le più ambite, le truppe partigiane di Tito si riversarono nei piccoli centri, prelevando centinaia di autoctoni (solo alcuni dei quali erano fascisti) che vennero martirizzati con sevizie di ogni genere, stupri di massa su ragazzini e donne incinte (che ebbero il ventre squarciato dai coltelli), linciaggi e lapidazioni, conducendoli dopo averli spogliati, non solo di ogni bene ma anche dei vestiti e delle scarpe, sui bordi delle foibe, profonde cavità naturali, di origine carsica, e infine gettandoli vivi nelle foibe, precipitandoli anche per oltre 100 metri.

Era una morte orribile seguita dal rituale balcanico da un cane nero, che nella convinzione degli assassini, deve perseguitare a anche nell'aldilà i morti. Dopo i primi giorni di confusione le zone furono occupate militarmente dai tedeschi, che le ritenevano di importanza strategica notevole per il controllo delle vie di comunicazione dei rifornimenti delle materie prime. Le zone entrarono a far parte dell'Operation Zone Adriatisches Kustenland (O.Z.A.K.).

L'ordine fu ristabilito, furono recuperati grazie a squadre di Vigili del Fuoco di Pola, comandate dal Maresciallo Harzarich, centinaia di corpi parzialmente riconosciuti.

Anche un Sacerdote, Don Tarticchio, era stato gettato dopo essere stato evirato ed incoronato con il filo spinato nelle orrende voragini... insieme alla povera giovane maestrina Norma Cossetto, violentata da 17 partigiani comunisti titini, a cui furono recisi i seni e sul cui corpo furono lasciati segni bestiali.

La guerra continuò, ad ogni attacco i tedeschi rispondevano con decuplicata violenza. Si arrivò alla fine della guerra.

Nel frattempo i partigiani italiani di alcune formazioni di tendenza comunista, avevano stretto rapporti di collaborazione militare e politica con formazioni slovene (IX Corpus), che progettavano l'annessione non solo del Litorale ma anche the di territori friulani, sino al Tagliavento. Nei loro disegni erano contrastati dai partigiani della Osoppo, formazioni nazionaliste e cattoliche. Il Comando della "Osoppo" fu sterminato, nell'eccidio di Porzùs, dai garibaldini comunisti di "Giacca".

Una programmazione del genocidio era stata avviata: liste di proscrizione contenenti i nomi di coloro che erano contrari all'annessione dei territori italiani erano state accuratamente

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preparate, con l'aiuto di collaboratori comunisti italiani, tra i primi nomi figuravano esponenti antifascisti facenti parte del CLN, Comitato Liberazione Nazionale, ad esempio Olivi e Sverzutti del CLN di Gorizia, prelevati e fatti scomparire per sempre. Anche Giovanni Padovan "Vanni", Commissario della Divisione Garibaldi Natisone, in un suo intervento nell'emittente televisiva Serenissima TV, ha ammesso la programmazione delle foibe del periodo Maggio 1945.

Così, con le liste dei prelevandi in mano, partigiani comunisti sloveni accompagnati spesso da partigiani comunisti italiani, come da testimonianze raccolte e pubblicate in Adria Storia ed in Adria Storia 3, catturarono migliaia di uomini e donne, militari e civili, e li condussero verso un destino ignoto.

Molti di loro finirono nelle foibe, altri scomparvero nei campi di sterminio jugoslavi, che rimasero aperti sino agli anni cinquanta (es.: Goli Otok). I campi jugoslavi della morte più conosciuti furono quelli di Borovnica, Skofia Loca, ldria, Aidussina, Maribor, Lepoglava, Manicomio di Lubiana.

FOIBE LUOGHI DI MORTE.Le foibe conosciute (ma tante sono quelle che non individuate contengono corpi di infoibati, non solo italiani ma anche tedeschi, sloveni e croati anticomunisti, ungheresi ecc.) sono le seguenti:

FOIBA DI BASOVIZZAMonumento Nazionale - Si trova sull'altopiano del Carso Triestino. "... Centinaia di cittadini vennero trasportati nel cosiddetto "Pozzo della Miniera", in località prossima Basovizza e fatti precipitare nell'abisso profondo 240 metri..." (Rif: Libera Stampa 1.8.1945 - Il CLN giuliano conferma il massacro di Basovizza)

FOIBA DI MONRUPINOMonumento Nazionale - Si trova sull'altopiano del Carso Triestino.

FOIBA DI SCADAICINASi trova vicino a Fiume.

FOIBA DI PODUBBOA 190 metri speleo hanno individuato 5 corpi, tra cui quello di una donna completamente nuda, non identificabili per decomposizione.

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FOIBA DI SEMICH"... Il prato conservò per mesi le impronte degli autocarri arrivati qua, grevi del loro carico umano, imbarcato senza ritorno..." (Testimonianza Mons. Parentin - da Voce Giuliana)

FOIBE DI OPICINA, CORGNALE E CAMPAGNA"... vennero infoibate circa 200 persone e tra queste figurano una donna ed un bambino, rei di essere moglie e figlio di un carabiniere..." (Rif: G. Holzer 1946)

FOIBE DI SESANA E ORLENel 1946 sono stati recuperati corpi infoibati.

FOIBA DI CASSEROV ASulla strada di Fiume - Sono stati precipitati tedeschi, italiani e sloveni. L'imboccatura è stata fatta saltare.

FOIBA DI SEMEZIl 7 Maggio 1944 vengono individuati resti di tra 80 e 100 corpi. Verrà usata anche nel 1945.

FOIBA DI GROPADA"... Il 12 Maggio 1945 furono fatte precipitare, previa svestizione e colpo di rivoltella alla nuca: Dora Ciok, Rodolfo Zuliani, Alberto Marega, Angelo Bisazzi, Luigi Zerial e Domenico Mari..."

FOIBA DI VILLA ORIZIGli abitanti del circondario videro passare e non più tornare oltre 100 prigionieri che recitavano il Padre Nostro.

FOIBA DI CERNOVIZZAL'imboccatura è stata fatta saltare nell'autunno del 1945.

FOIBA DI OBROVO

FO1BA DI RASPO

FOIBA DI BRESTOVIZZA

FOIBA DI ZA VNI (TARNOV A)Luogo di martirio dei Carabinieri di Gorizia e di centinaia di sloveni.

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FOIBA DI GARGAROVi furono gettate circa 80 persone.

FOIBA DEL CAPODISTRIANO"... Nel capodistriano vi sono cento sedici cavità, delle 81 cavità con entrata verticale abbiamo verificato che diciannove contenevano resi umani. Da lO cavità sono stati tratti 55 corpi umani che sono stati inviati all'Istituto di Medicina legale di Lubiana (Dichiarazioni di Leander Cunja - Capodistria)

FOIBA DI VINESRecuperati 51' salme riconosciute,

CAVITA' DI GALLIGNANARecuperate 24 salme di cui 6 riconosciute.

FOIBA TERLIRecuperate 24 saline riconosciute.

FOIBA DI TREGBELIZZARecuperate 2 salme riconosciute.

FOIBA DI PUCICCBIRecuperate Il salme di cui 4 riconosciute.

FOIBA DI SURANIRecuperate Il salme di cui 4 riconosciute.

FOIBA DI CREGLIRecuperate 8 salme.

FOIBA DI CERNIZZARecuperate 2 salme.

FOIBA DI VESCOVADORecuperate 6 salme.

FOSSE COMUNI DI KOCEVIESono state sepolte nelle fosse comuni, secondo rapporti internazionali del dopoguerra,

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migliaia di prigionieri, la maggior parte croati e sloveni, combattenti con i tedeschi e le loro famiglie. Gli stessi rapporti parlano di decine di vagoni pieni di vestiti ed oggetti degli uccisi, spediti nell'interno della Jugoslavia

FOIBA DI ODOLINA

FOIBA DI CASTELNUOVO D'ISTRIA

CAVA DI BAUXITE DI LINDARO

CAUSA DELLA MORTE NELLE FOIBE.(Studio medico - legale eseguito su 121 infoibati, recuperati nel dopoguerra, da R. Nicolini e U. Villasanta, sotto l'egida dell'Istituto di Medicina Legale e delle Assicurazioni dell'Università di Pisa). "... La causa mortis può essere stata: 1. I proiettili di arma da fuoco, di solito sparati al cranio 2. Precipitazione dall'alto con effetti che ne derivano: fratture multiple, commozione, shock traumatico grave, embolia. 3. Trauma da corpo contundente (bastone, calcio di fucile, bottiglie, ecc.) 4. L'effetto, cioè la morte, non deve essere stato necessariamente immediato: è ammissibile anche che, nonostante ferite e traumi, la morte sia avvenuta a distanza di tempo o per sete o per fame.

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__________________________Storie @ Storia pag. 11_______________________

FOIBE, DIMENTICATE DALLA SCUOLA

A CURA DI ANNAMARIA DEL LUCA

Dal 2004 in Italia si celebra, grazie alla legge n. 92 del 30 marzo, la Giornata del Ricordo in memoria delle vittime delle Foibe e dell'esodo degli italiani, istriani e dalmati nel Secondo conflitto mondiale. Un riconoscimento sicuramente tardivo. Ma ancora più tardiva è la scuola: intere generazioni di studenti non conoscono la tragedia delle foibe, una pagina nera di storia alla quale gli stessi libri di testo dedicano, per motivi incomprensibili, poco spazio.

Diversi concorsi sono stati lanciati negli ultimi anni per spingere le scuole ad approfondire con lavori, ricerche e altro quanto accaduto ma non è sufficiente. Lo dimostrano gli atti vandalici che si manifestano in prossimità del 10 febbraio di ogni anno nei confronti della comunità degli esuli Istriani, Fiumani e Dalmati. L'ultimo, a Torino: nel quartiere di S. Caterina, è stata distrutta una targa.

E' compito della scuola spiegare, far comprendere, approfondire, le violazioni dei diritti umani avvenute finora, indipendentemente da chi ne sia l'autore. Se la tragedia degli ebrei è riuscita ad entrare nella scuola questo non è ancora successo per quanto riguarda le foibe. Perché? Io non ho una risposta chiara e mi piacerebbe che in questo post ognuno dicesse la sua confrontandoci in modo sereno e democratico. Parto da una certezza: strumentalizzare le violazioni dei diritti umani a fini politici non può essere considerato un comportamento dignitoso, né a sinistra, né a destra. Tanto meno può essere dignitoso farlo a scuola o nei libri di testo. Nessuno ha il diritto di appropriarsi di una tragedia per ribaltarla come un atto di accusa verso la controparte.

Le reazioni politiche di oggi fanno ben sperare: unanime opinione da tutti i leader, da tutti gli schieramenti. Sarà demagogia, sarà uno dei miracoli da campagna elettorale o sarà vero? Una buona notizia intanto arriva dal mondo della musica che, spesso, riesce a coinvolgere i giovani spingendoli anche dove la scuola non arriva: pare che Simone Cristicchi presenterà a Sanremo una canzone sulle Foibe. Se è vero, è una buona notizia. Penso a Fiorello che è riuscito a far cantare

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nelle piazze d'Italia la poesia "San Martino", penso a Benigni che è riuscito ad appassionare gli italiani alla Divina Commedia. Speriamo che accada di nuovo, speriamo che attraverso la musica la parola foibe cominci ad entrare nelle orecchie degli studenti.

(tratto da http://www.huffingtonpost.it/anna-maria-de-luca/foibe-dimenticate-dalla-scuola_b_2663851.html)

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_________________________________________Storie @ Storia pag. 13_______

FOIBE, UNA STRAGE SENZA 'MA'

RISPONDE IL DIRETTORE GABIELE CANÈ

Firenze, 12 febbraio 2013 - GENTILE DIRETTORE, sono un vostro affezionato lettore da oltre 50 anni, e questa mattina nel leggere il giornale sono rimasto molto amareggiato nel non vedere neppure un piccolo articolo che onorasse la memoria di quei martiri infoibati dai partigiani comunisti titini, con la fattiva collaborazione dei comunisti italiani. Parliamo spesso di memoria da trasmettere ai nostri giovani, ma non vorrei che questa memoria riguardasse alcune vicende e ne trascurasse o nascondesse altre come è stato fatto in passato.

Gabriele Bisaccioni, Arezzo

RISPONDE IL DIRETTORE GABRIELE CANE'

CARO BISACCIONI, avrebbe dovuto avere pazienza. Ieri infatti, abbiamo commemorato il giorno del ricordo con una bellissima pagina scritta da Gian Marco Walch. Nessuna omissione, dunque. E ci mancherebbe. La tragedia del popolo istriano, infatti, è uno di quei tarli che anche io ho nel cuore da sempre, avendo vissuto fin da ragazzo in regioni rosse dove quella memoria era cancellata, offesa, vilipesa. I profughi a cui la gente sputava in faccia alla stazione di Bologna (c’era anche chi portava il latte ai bambini, intendiamoci) sono una delle grandi vergogne nazionali. Una terra italiana separata dal proprio paese con un tratto di penna. Migliaia di famiglie in fuga dopo aver abbandonato tutto. E in più, il martirio delle foibe. Decenni di silenzio, poi i primi timidi ricordi, e ora se Dio vuole la memoria piena di un eccidio che ha colpevoli ben identificati nei comunisti di Tito e nei loro complici italiani. Eppure, caro Bisaccioni, c’è qualche figlioccio di quella tragica ideologia che ancora oggi, quando si parla di foibe, mette in mezzo un qualche...ma. Come se ci fosse un «ma» per le pulizie etniche o per i lager nazisti .

(Tratto da http://www.lanazione.it/firenze/cronaca/2013/02/11/844300-lettera-direttore.shtml )

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__________________________Storie @ Storia pag. 13______________________

INCONTRO REVISIONISTA SULLE FOIBE - IL RETTORE LO SOSPENDE: INOPPORTUNO I COLLETTIVI AVEVANO INVITATO LA STORICA KERSEVEN PER LA QUALE L’ECCIDIO DEGLI ITALIANI

«VA RIDIMENSIONATO» ROMAGNANI: «SOLO LA PRESENTAZIONE DI UN LIBRO»

VERONA—Alle 18,35 il magnifico rettore Alessandro Mazzucco ha deciso: «La programmazione dell’evento ha suscitato, non solo in Verona, una serie crescente di reazioni e di tensioni che hanno sollevano forti preoccupazioni sulla sicurezza che potrebbe non essere garantita». E poi: «Di conseguenza il rettore è stato costretto ad ordinare la sospensione dell’incontro». Il giorno in cui il presidente Giorgio Napolitano li ha ricordati a Roma, a Verona sono state ore di passione e di polemiche per la memoria degli infoibati e dei profughi istriani e dalmati. Quelle, alquanto aspre, su una conferenza che si sarebbe dovuta tenere oggi alle 16 in un'aula universitaria del polo Zanotto. Erano già racchiuse nel tema dell'incontro, organizzato dal collettivo Studiare con Lentezza, quelle polemiche. Quel «Foibe: tra mito e realtà», incontro con la storica friulana Alessandra Kersevan, «revisionista» degli eccidi che avvennero in Friuli Venezia Giulia e in Dalmazia ai danni degli italiani. Li ha smembrati, quei massacri, Alessandra Kersevan. E li ha voluti riscrivere, stridendo il ricordo.

«I numeri non sono assolutamente quelli della propaganda di questi anni… Nel '45 le persone infoibate furono alcune decine… ». E ancora: «Commemorare i morti nelle foibe significa sostanzialmente commemorare rastrellatori fascisti e collaborazionisti del nazismo...». Oggi avrebbe dovuto ribadire i suoi concetti, la Kersevan, ospite dei collettivi che hanno rincarato la dose sui volantini: «ci proponiamo di individuare e discutere quelli che appaiono elementi di mistificazione, falsificazione e propaganda…». Lo avrebbero dovuto fare in un'aula data in uso, con tutti i crismi previsti, dal dipartimento Tesis, di cui direttore è il professor Gian Paolo Romagnani. Ma quell'incontro non è passato inosservato. E quello che è considerato uno sfregio alla memoria, proprio nei giorni del Ricordo ha sollevato un bailamme. Tanto che il rettore Alessandro Mazzucco ieri mattina ha scritto un messaggio alquanto duro al professor Romagnani,

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ribadendo che quell'incontro «adesso sarebbe veramente inaccettabile» e chiedendo che venisse rinviato. Richiesta che il professor Romagnani ieri pomeriggio ha rispedito al mittente. «Quell'aula non è mia. Se vuole annulli lui l'incontro».

Detto, fatto. Alle 18,35 di lunedì. Si è scagliato contro la «censura preventiva», il professor Romagnani. «Credo che gli spazi vadano dati. E questo non vuol dire che io sia d'accordo con le tesi della Kersevan. Qui non siamo a una tribuna politica, non serve il contraddittorio. E' la presentazione di un libro (non è specificato neanche nel volantino, di quale libro della Kersevan si tratta, ndr) e se qualcuno non è d'accordo con le tesi esposto sarà libero di discuterne. Proprio per la concomitanza con il Giorno del Ricordo mi sembra il caso di sondare tutte le posizioni ». Ad «accorgersi» di quell'aula data a ridosso delle commemorazioni per le Foibe sono stati i rappresentanti di Blocco Studentesco, braccio universitario di CasaPound. «La Kerseven - ha spiegato Martina Poli - confuterà il carattere etnico del massacro… E' doveroso da parte nostra richiedere la revoca della concessione dell'aula…». Un'aula che al Blocco era stata negata per un incontro sulla poesia dialettale e Berto Barbarani, organizzato a ridosso della Giornata della Memoria. Ritenuta «provocatoria », quella conferenza non si tenne. E ieri ad alzare gli scudi era stato il consigliere comunale Vittorio Di Dio.

«L’incontro con la Kerseven è una provocazione che arriva da quei gruppuscoli della sinistra antagonista presenti e aiutati all'interno dell'università », li ha bollati. «Sarebbe come affondare un coltello nella ferita aperta sui superstiti, dei loro discendenti…». Contrario anche il comitato Venezia Giulia Dalmazia di Verona. E da lì è partita una gragnuola di reazioni. Prima tra tutte quella del sindaco Flavio Tosi. «Concordo pienamente con le affermazioni di Napolitano: le foibe sono state una barbarie ed è intollerabile, oltre che ignobile, che proprio in occasione del Giorno del Ricordo qualcuno osi negare l’esistenza di quell’orribile massacro... Per questo condivido l’invito del rettore». Invito che, poi, è diventato «sospensione». Anche il presidente del consiglio degli studenti Omar Rahman si era scagliato contro l’iniziativa: «Il rettore ha preso la decisione migliore». A ruota Forza Nuova «Un tacito assenso da parte dell’università equivarrebbe all'avallo di posizioni storiche e politiche vergognose», ha ribadito Fiamma Futura. L’«avvallo » non c’è stato. Ma a chi quella memoria se la porta addosso, tra Foibe e deportazioni, l'ennesimo sfregio non è stato risparmiato. Di Angiola Petronio 12 febbraio 2013

(Tratto da http://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/cronaca/2013/12-febbraio-2013/incontro-revisionista-foibe-rettore-sospende-inopportuno-2113959168644.shtml)

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L'ORRORE DELLE FOIBE:«TOGLIETE VIA TITO, È UNA VERGOGNA»

A CURA DI PIERLUIGI DALLAPINA

Picchiati, torturati e poi gettati nelle viscere della terra solo per il fatto di essere italiani: una colpa che nella Jugoslavia dei primi anni '40 era punita con una morte atroce.

Il dramma delle foibe è una ferita ancora sanguinante per i militanti di Alleanza nazionale, che, in occasione della «Giornata del Ricordo», tornano a chiedere la cancellazione di via Tito dallo stradario ducale. «A Parma non deve più esistere una strada intitolata a Josip Broz, detto Tito», attacca Massimiliano Bonu poco prima della proiezione di «Foibe, dal buio alla luce», il documentario presentato all'Hotel de la Ville.

«E' una vergogna che in città ci sia una strada dedicata al maresciallo Tito, un mostro della storia capace di torturare e uccidere migliaia di italiani» - rincara la dose Bonu, che alla guida del circolo «Aurea Parma» di An ha organizzato la serata sulle foibe.

«E' dal '94 che chiedo la cancellazione di quella strada» - sottolinea il presidente provinciale di An, Massimo Moine, prima di puntare il dito contro chi, dopo la guerra, ha fatto cadere nel dimenticatoio le migliaia di italiani infoibati.

«Le foibe rappresentarono una pulizia etnica - spiega - che non riguardò soltanto le bande di partigiani titini, ma anche il Partito comunista italiano». Ma dimenticare le foibe, nell'Italia del dopoguerra e del boom, ha fatto comodo un pò a tutti, «De Gasperi compreso» dice qualcuno dal pubblico, perché la Jugoslavia era un ottimo stato cuscinetto per tamponare l'influenza sovietica.

Scende invece nell'orrore del massacro, «Foibe, dal buio alla luce», documentario amatoriale girato da Fabio Giannotti e Alessandro Amorese, dirigente nazionale di Azione giovani presente all'incontro di lunedì sera. Nel cortometraggio, il bianco e nero dei filmati d'epoca ritrae lo straziante recupero degli infoibati, e si incastra con la testimonianza di Roberto Picchiani, figlio di Alberto, l'ingegnere gettato in una foiba solo per essere un italiano.

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«La circostanza agghiacciante - sottolinea Amorese - è che molti infoibatori ricevono la pensione di guerra, mentre ai familiari degli infoibati non è stato dato nulla». Da qui l'appello, rivolto a tutti i militanti di An, a far conoscere la tragedia delle foibe soprattutto nelle scuole, «un ambiente dominato dalla sinistra», come sostiene Amorese.

(Tratto da http://www.gazzettadiparma.it/primapagina/dettaglio/1/13430/Lorrore_delle_foibe_-_%C2%ABTogliete_via_Tito_%C3%A8_una_vergogna%C2%BB.html)

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GIORNATA DEL RICORDO, INTERVISTA A SIMONE CRISTICCHI VERSO SANREMO: "QUELLA DELLE FOIBE È UNA FERITA

ANCORA APERTA NELLA STORIA DEL NOSTRO PAESE, NON CAPISCO LA STRUMENTALIZZAZIONE CHE FA LA SINISTRA".

A CURA DI PIETRO SALVATORI

“Quella delle foibe e dell’esodo dall’Istria e dalla Dalmazia è una ferita ancora aperta nella storia del nostro Paese, non capisco la strumentalizzazione che ne fanno alcuni esponenti della sinistra”.

Parole che non ti aspetti se non al di dentro di polemiche politiche alle quali da anni siamo abituati. A pronunciarle, invece, è Simone Cristicchi. Il cantautore romano, dopo la vittoria del 2007, si appresta nuovamente a partecipare al Festival di Sanremo.

E nel suo disco, in uscita il 14 febbraio, ci sarà una canzone che affronta di petto il tema della diaspora giuliana: Magazzino 18. Lo stesso titolo del primo spettacolo teatrale sul tema, che debutterà il 22 ottobre al teatro Stabile di Trieste, scritto a quattro mani con Jan Bernas, autore del libro Errore. Riferimento a collegamento ipertestuale non valido..

Cristicchi si è avvicinato ad un controverso capitolo della storia italiana “guardando un video su Youtube e leggendo il volume di Bernas”, arrivando a scoprire il silos che, alle porte di Trieste, raccoglie le masserizie depositate frettolosamente e mai recuperate dagli esuli istriano-dalmati nel secondo dopoguerra.

“Quando entri nel magazzino hai la stessa sensazione di quando entri ad Auschwitz, respiri l’aria che si sente alle Fosse Ardeatine”. Parole che sono destinare a far discutere, anche perché pronunciate in prossimità del 10 febbraio, durante il quale lo stato italiano celebra il “Giorno del ricordo”.

Così come a far discutere sarà il testo della canzone, che parla esplicitamente di una vicenda colpevolmente dimenticata dalla narrazione pubblica: “Ci chiamavano fascisti, eravamo

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solo italiani, italiani dimenticati in qualche angolo della memoria, come una pagina strappata dal grande libro della storia”.

Lo sa che il suo spettacolo e la sua canzone presteranno il fianco ad aspre polemiche politiche?

Ci sono abituato. Dopo le polemiche scoppiate con Ti regalerò una rosa (sul tema degli ospedali psichiatrici n.d.r.) mi aspetto di tutto. Sono stato attaccato da psichiatri di fama internazionale... L’importante è raccontare la storia in maniera imparziale, e per questo ho utilizzato il testo di Bernas, che non è schierato politicamente.

A chi le dirà che lei è di destra?

Risponderò che la politica non mi interessa, mi interessano le storie.

Però lo stesso desterà scalpore.

E che le devo dire. Significherà che al prossimo concerto verranno i ragazzi di Forza Nuova (ride).

Perché ha deciso di occuparsi di questa storia?

Ci sono arrivato dal teatro. Tutti i miei spettacoli di questi anni sono incentrati sul tema della memoria e delle storie troppo a lungo dimenticate. Sin dal primo, che vedeva come protagoniste una serie di lettere mai spedite e dimenticate da un ospite di un manicomio, mi sono prefissato di portarle in superfice. Poi ho iniziato ad occuparmi della Seconda guerra mondiale, ed è così che ho scoperto il Magazzino 18 e il libro di Bernas. Prima non sapevo quasi nulla di questa vicenda.

Uno dei temi che spesso affiorano quando si parla di esodo e di foibe è proprio lo scarso spazio che hanno

trovato sui libri di testo, sia nelle scuole superiori che all’università.

Trovo che sia grave che a scuola non si insegni questa parte di storia. La mia generazione non sa nulla delle foibe, ma soprattutto non sa niente delle persone che se ne sono andate da quei territori e che sono morte di umiliazioni e di malinconia. Tutto questo va raccontato, e con lo spettacolo teatrale cercherò di farlo con un linguaggio che arrivi anche ai più giovani.

Nello specifico di cosa parlerà?

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Sarà un monologo che interpreterò per la regia di Antonio Calenda. Parlerà di un funzionario del ministero dell’Interno che è stato incaricato di catalogare i beni del silos, e nel suo lavoro inizierà a ricostruire le storie dei proprietari delle masserizie. Spero che ci siano tutti i presupposti per rendere omaggio sia agli esuli, sia a chi è rimasto dall’altra parte dell’Adriatico.

Le istituzioni lo fanno in questo periodo celebrando il “Giorno del ricordo”.

Lo so, è stato un riconoscimento dovuto ma tardivo, che forse è servito a lenire qualche ferita. Per un giudizio più preciso bisognerebbe interrogare uno storico. Ma alcuni capitoli, come quelli del treno di Bologna rappresentano ferite ancora aperte (qui una breve sintesi dell’episodio n.d.r ). E non capisco la voglia di strumentalizzazione della politica, l’atteggiamento di alcuni esponenti della sinistra che si impegnano in guerre di numeri, nella minimizzazione della vicenda.

Qual è l’episodio che più l’ha colpita?

La scoperta del Magazzino 18. Ne vidi alcune immagini su Youtube, e decisi di visitarlo, riuscendoci grazie all’aiuto di una giornalista del Piccolo di Trieste che mi indirizzò a chi ne possiede le chiavi, visto che non è accessibile a tutti. Quando ci metti piede, sembra di entrare ad Auschwitz nel vedere tutti questi mobili catalogati con numeri e con i nomi di vecchi proprietari.

(Tratto da http://www.huffingtonpost.it/2013/02/08/giornata-delle-foibe-intervista-cristicchi_n_2644979.html?utm_hp_ref=italy)

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___________________________________Storie @ Storia pag. 21_____________

FERTILIA, IL RIFUGIO PER GLI ESULI DELLE FOIBE. SCAPPATI DALLA FURIA DI TITO IN ISTRIA, ARRIVARONO IN

SARDEGNA. PER COSTRUIRSI UNA NUOVA VITA NELLA CITTÀ FONDATA DAI FASCISTI. MA L'INTEGRAZIONE È STATA

DIFFICILE. NON SOLO PER LO SCONTRO POLITICO.

A CURA DI MONIA MELIS

In via Pola, lo storico bar di Edda Sbisà e figlie nel 2013 compie 60 anni. È stato aperto nel 1953 quando, a Fertilia, sei chilometri da Alghero, c’era poco altro. Soprattutto terra, infestata dalla palma nana, una chiesa da finire, la caserma e l’asilo delle suore.

«Delle attività avviate dagli esuli è l’unica ancora aperta», dice a Lettera43.it la figlia, Lorena Calabotta, 52 anni, istriana di Sardegna, nata in un melting pot.

Tra la fine degli Anni 40 e degli Anni 50 arrivarono da Orsera, Rovigno, Fiume e Zara, nomi che si leggono identici nelle targhe di vie e piazzali. Poche valigie con il cognome scritto a tinte scure: Orlich, Bataia, Velcich, Sponza. Con addosso il terrore delle foibe e dei titini, la certezza di aver lasciato per sempre tutto: casa, lavoro, conoscenti, a volte i genitori.

DIFFICILE CONVIVENZA A FERTILIA. In quegli anni nella cittadina di fondazione fascista, ma incompiuta, cercarono un avvenire qualsiasi e la magra consolazione del mare. Prima di loro si erano installate delle famiglie ferraresi cui erano stati affidati poderi per la bonifica, a due passi dagli algheresi, di origine catalana e i sardi. Insieme con altri italiani dalla Corsica, libici dal 1970 in poi e turchi, greci.

Hanno vissuto insieme in una borgata di stile razionalista in cui il lavoro era scarso, o meglio inesistente, per tutti. Una convivenza non scontata e nemmeno sempre facile.

FINANZIAMENTI PER PICCOLE IMPRESE. Ci pensò l’ex Egas, Ente giuliano autonomo di Sardegna (soppresso nel 1978) a gestire i finanziamenti pubblici e destinarli, tra le altre cose, all’avvio di piccole imprese.

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La pesca fallì molto presto: l’Adriatico chiuso cui erano abituati era ben diverso dal mare sardo. Attecchirono meglio agricoltura e commercio: dal negozio di alimentari al forno, fino alla locanda della Sbisà.

La signora Edda ora ha quasi 83 anni. Alle pareti le foto ricordo, nell’aria parole di dialetto. «Mia mamma è arrivata in barca, dopo settimane di viaggio. Aveva circa 20 anni. Erano già arrivati nel 1948 e cercavano di andare da una parte all’altra. E poi la seconda, definitiva, nel 1952».

Suo nonno, racconta, era comandante della X Mas, dopo la fuga aveva trovato impiego all’arsenale di Venezia. Ma poi le cose non andarono bene e quindi si ripartì in direzione di Fertilia.

Il sacerdote-pioniere, don Francesco Pervisan, perlustrò per primo la costa sarda e poi girò tutta la penisola, da un campo all’altro, per convincere gli istriani al trasferimento. Alcuni sono approdati dopo aver subito le angherie dei connazionali nei porti.

Con il passare degli anni i racconti sono stati affidati alle seconde generazioni, e spesso c’è ancora quel retrogusto di sdegno e amarezza.

«La vita è qui, le radici lontane. Mia mamma ci ha tramandato tutto: le feste, i dolci. È tornata più volte a Orsera, ma ha pianto e basta. Aveva ancora delle amiche lì, ma si va avanti così: anche con rabbia repressa. Ora forse è difficile da capire, non so quanti oggi farebbero quel che hanno fatto gli istriani. Perdere tutto pur di restare italiani». Un’integrazione diventata tale solo con il passare dei decenni a Fertilia, che ora conta appena 1.700 abitanti.

All’inizio i matrimoni erano soprattutto tra conterranei. Com’è successo anche a Sbisà che ha conosciuto qui il marito, arrivato da Zara: «Il legame per noi è stato sempre forte: rispettiamo tutto ciò che ci hanno insegnato. Persino mio nipote che ha 20 anni e fa il militare, parla in dialetto».

ACCOGLIENZA E DIFFIDENZA. Le frizioni ci sono state, non solo per motivi politici ma anche, semplicemente, per quelli economici. Per via delle agevolazioni su casa e imprese. Nonostante le tante testimonianze di integrazione e la scritta che campeggia sotto la colonna sul lungomare, proprio sotto un leone di San Marco: «Qui nel 1947 la Sardegna accolse fraterna gli esuli dell’Istria di Fiume e delle Dalmazia»».

«L’astio sotterraneo che può capitare di percepire è solo frutto di ignoranza», spiega Calabotta, «ci hanno accusato di aver avuto tutto gratis, di aver riscattato con pochi euro. In realtà mia

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mamma, per esempio, dopo 60 anni paga ancora l’affitto per il bar». Mentre gli immobili pubblici passati dallo Stato alla Regione nel 2008 ora sono in decadenza, o meglio, del tutto abbandonati.

Il decano di Fertilia è Dario Manni, che ha più di 90 anni e ricorda tutto nonostante gli acciacchi. Nelle giornate di sole esce in piazza.

Prima di arrivare in Sardegna a 27 anni è stato nei campi profughi in Friuli, Sicilia, Ascoli Piceno e a Latina. Ora è vicepresidente dell’Egis, associazione che punta tutto sulla memoria.

Il presidente è un ragazzo di 30 anni, Daniele Sardu. Nessuna discendenza istriana o giuliana, ma solo sarda, rimarcata dal cognome. Insieme organizzano il Giorno del ricordo, il 10 febbraio, una data storica: nel 1947 fu firmato il trattato di Parigi che assegnò Istria, Fiume e Zara alla Jugoslavia.

«Purtroppo spesso si scivola nella retorica nazionalista e invece noi vogliamo rimarcare la storia delle persone, perché non accada mai più», dice Sardu, «non necessariamente gli esuli erano fascisti, ma solo italiani che volevano restare tali». Eppure la ricorrenza è stata riconosciuta solo dal 2004.

NUOVA VITA DOPO L'ADDIO AI CARI. Tra i nipoti che hanno fatto proprie le storie di 60 anni fa c’è Michele Rosa, 38 anni, architetto: «Io sono ancora il nipote di Pina del forno», racconta, «anche se lei purtroppo non c’è più».

Una vita in giro per l’Europa e la penisola, si definisce «cittadino del mondo, ma anche istriano, sardo, soprattutto italiano». Famiglia metà ferrarese, metà istriana, nato in Sardegna. La nonna, Giuseppina Vladich, è arrivata a Fertilia nel 1952, a 29 anni, con marito e figlia.

«Appena scesa dalla corriera è scoppiata a piangere, attorno c’era il deserto scosso da un fortissimo maestrale cui non era abituata», racconta Rosa, «aveva lasciato i genitori a Pola e i fratelli e le sorelle, 10 in tutto, erano partiti ovunque. Anche in Australia e America».

NASCITA DELLA NUOVA COMUNITÀ. Dopo lo choc iniziale la nonna si ambientò: «Aprirono una panetteria. Sfornavano e vendevano, ma soprattutto regalavano. In quegli anni si divideva quel che c’era. Aveva lasciato una città vera, anche ricca: con cinema, teatri, ristoranti. In quest’angolo di Sardegna c’era solo la possibilità di essere ancora italiani e una comunità che si stava formando».

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Una vita all’insegna dei divieti prima della fuga: a un tratto non si poteva più parlare italiano, dire 'ciao' per strada. «Mia mamma», dice il 38enne, «è stata battezzata di nascosto nel 1950 a Pola. Ma non con il suo nome, Maria, bensì Nirvana».

VIA DALL'INCUBO DELLE FOIBE. Di certo una cosa Pina del forno è riuscita a tramandare: il terrore delle foibe, e il riserbo, durato decenni, nel parlare della persecuzione e della pulizia etnica.

«Dire foiba era sconveniente anche negli Anni 90», spiega Rosa, «per scetticismo o semplicemente per non esser compatiti. Una memoria negata per 50 anni soprattutto per convenienza politica. E i numeri veri restano un’incognita». Si stima che negli eccidi delle foibe, inghiottitoi, siano morti almeno in 10 mila e che gli esuli giuliano dalmati siano oltre 250 mila.

Sabato, 09 Febbraio 2013

(tratto da http://www.lettera43.it/fatti/fertilia-il-rifugio-per-gli-esuli-delle-foibe_4367583158.htm)

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FOIBE: RICCARDI, FU PULIZIA ETNICA E POLITICA

Roma, 10 feb. - 'Gli italiani in Istria e Dalmazia furono vittime di una vera e propria pulizia etnica e politica da parte dei comunisti titini. E nulla puo' giustificare le foibe e i massacri, neanche i crimini commessi in precedenza dai fascisti'. Lo ha detto in ministro Riccardi in una dichiarazione. 'Non si puo' dimenticare - ha aggiunto il ministro - la colpevole 'congiura del silenzio' che ha per troppi anni circondato questa tragedia del Novecento italiano. Oggi la ricerca storica ha fatto passi da gigante e ha mostrato i fatti nella loro brutale oggettivita'. Lo Stato ha istituito il giorno del ricordo, che e' anche un giorno di solidarieta' e di coesione nazionali. A decenni di distanza questo terribile capitolo della nostra storia, intriso di sangue e di dolore, rimane come un monito perenne nella coscienza collettiva del nostro popolo' .

(Tratto da http://www.repubblica.it/ultimora/24ore/foibe-riccardi-fu-pulizia-etnica-e-politica/news-dettaglio/4299602)

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____Storie @ Storia pag. 26____________________________________________

MORTA MAFALDA CODAN, SOPRAVVISSUTA ALLE FOIBE.MEZZA FAMIGLIA FU TRUCIDATA DAI TITINI NELLE CELLE

JUGOSLAVE, LEI SI ERA STABILITA A BIBIONE.

A CURA DI ROSARIO PADOVANO

Ci ha lasciato una testimone del martirio delle foibe. Bibione, ma un po' tutta Italia, piangono Mafalda Codan, maestra e scrittrice. Era nata a Parenzo, in Istria, il 20 settembre 1924. Nella Foiba di Vines presso Albona furono trucidati il padre di Mafalda, lo zio Michele Codan, i fratelli della madre Giorgio e Beniamino, un cugino materno, Antonio. A seguito di questa tragedia Mafalda, la madre e il fratello Arnaldo si rifugiarono a Trieste ma vennero catturati presto dai titini, il 7 maggio '45. Venne torturata a Visignano davanti alla casa di Norma Cossetto, la giovane infoibata, perché la madre della Cossetto rivivesse il martirio della figlia. Dopo alterne vicende e una fuga rocambolesca terminata a Pola (la nave dei prigionieri venne fatta apposta finire su una mina ma non affondò), venne di nuovo catturata; fu imprigionata a Pisino, dove il fratello Arnaldo venne giustiziato. Fu liberata a Nova Gorica il 10 giugno 1949 in uno scambio di prigionieri, dopo essere passata da altre prigioni. «Tutte le notti - scrisse nel suo libro più drammatico, "Diario", - un partigiano dalla faccia cupa e torva entra nelle celle ed esce con qualcuno che non tornerà più. Quando al lume delle torce cerca sul foglio i nomi, gli occhi di tutti attaccati alla sua bocca e un brivido improvviso ci attraversa il corpo. Le urla di dolore di Arnaldo e degli altri suoi compagni mi risuonano dolorosamente nella testa giorno e notte. Al mattino gli aguzzini ritornano felici di avere ucciso tanti "nemici del popolo". Li hanno massacrati tutti. Uno entra nella mia cella e mi chiede: "Quanti anni aveva tuo fratello? Non voleva morire sai, anche dopo morto il suo corpo ha continuato a saltare"». Si stabilì a Bibione, dove fu maestra e sposò il finanziere siciliano Giuseppe Sirna. Mafalda Codan lascia tre figli: Franco, Antonella e Silvio. È morta in casa, proprio nei giorni di celebrazione del Giorno del Ricordo. Ha fatto da maestra a centinaia di ragazzi di Bibione, molti dei quali esuli istriani proprio come lei. I funerali oggi a Bibione alle 14. La salma verrà tumulata nel Cimitero di San Michele accanto al marito.

(Tratto da Il Piccolo 13/02/13 Bibione)

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CONSIDERAZIONI…

A CURA DI PAOLO PERUZZINI (TN)

A quasi un decennio dall’istituzione della giornata del ricordo delle vittime delle foibe e del conseguente esodo giuliano-dalmata, si sta prendendo per fortuna conoscenza e consapevolezza di quello che è stato un olocausto che ha visto come vittime gli italiani, nonostante permangano ancora degli indecorosi attacchi di qualche irriducibile fazioso negazionista.

Questa è stata una drammatica pagina storica volutamente strappata e tenuta nell’oblio, che ha visto come carnefice il comunismo titino appoggiato da quello italiano. Tutto rientrava nel progetto di assorbimento territoriale da parte della futura repubblica jugoslava spalleggiato dai partigiani rossi nel fronte dell’adriatico orientale, che commisero una squallida pulizia etnica che colpì non solo i cittadini di etnia italiana (bollati di essere tutti “fascisti”) , ma anche quelle cellule resistenziali che professavano altro orientamento politico, pur condividendo l’antinazismo e l’antifascismo e che si opponevano al progetto titino (vedi stage di malga Porzus), e, addirittura colpì quei croati e quegli sloveni che non erano allineati all’ideologia comunista. Conseguenza fu poi il drammatico esodo di circa 350000 profughi dalle loro case e da una terra che per millenni era parte integrante della storia e cultura di Roma e di Venezia. Questi esuli, pur non rinunciando per orgoglio alla loro origine italiana, non appena approdarono all’interno dei nuovi confini nazionali non furono accolti benevolmente, addirittura non furono neppure rifocillati a dovere e, peggio ancora, furono spesso fatti oggetto di pesanti insulti da quelli che risultavano essere i complici morali di questo dramma (i cui eredi politici contemporanei tengono tutt’altro atteggiamento verso altri flussi migratori). La gran parte dei profughi fu poi segregata in baraccopoli al limite della vivibilità.

Mi piacerebbe però ricordare che questa triste vicenda ha forti legami con la nostra storia e autonomia locale. Difatti i giuliani e gli istriani appartenevano a quelle genti di lingua italiana (con un dialetto simile al nostro essendo derivato dalla lingua veneta) all’interno dell’impero asburgico insieme all’allora parte meridionale del Tirolo,ossia il nostro Trentino. Territori nei quali è nato e cresciuto l’Irredentismo come volontà popolare di aggregarsi all’Italia per un’unione etnica in risposta alle repressioni e alle restrizioni centraliste poco libertarie e

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autonomiste, che si andavano ad aggiungere a quelle delle altre minoranze che si trovavano nel multi-etnico Impero Asburgico.

La Prima Guerra Mondiale vide a fianco eroi e protagonisti di questi popoli schierati insieme al Regno d’Italia contro uno Stato in cui non si riconoscevano, come i trentini Battisti, Chiesa, l’istro-roveretano Filzi, l’istriano Sauro e altri che furono giustiziati non per niente come traditori, il cui martirio richiamò alla mente quello di qualche decennio prima del triestino Oberdan.

Queste terre poi “redente” a termine della Seconda Guerra Mondiale subirono sorti del tutto diverse. Fu grazie al trentino De Gasperi che di fronte al drammatico smembramento dell’Italia (privata delle sue colonie africane, del Dodecanneso, di Tenda e Briga…) cercò di agganciare il Trentino all’Alto Adige (le cui spinte di congiungimento alla sconfitta Austria risultavano essere difficilmente assecondate sia a causa della sconfitta della Germania cui apparteneva per via dell’Anschluss e sia perché essa era il luogo di nascita di Hitler) per successivamente blindarlo con un’autonomia speciale, sacrificando invece l’Istria e la Dalmazia oramai sotto la Jugoslavia.

Doveroso è quindi ricordare soprattutto a casa nostra le sorti di questo popolo “fratello”, che non ha mai accettato di rinnegare la propria identità italiana pagando per questo con la rinuncia a tutto, e ricevendo in cambio un’ingrata indifferenza e un prolungato e vergognoso “silenzio storico” .

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