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EGGS 2 Pag. 03 Pag. 04 Pag. 05 Pag. 08 Pag. 09 Pag. 20 Pag. 23 Pag. 24 Pag. 26 Pag. 27 Pag. 28 Pag. 30 Pag. 11 Pag. 21 Vita Nova H / N = Q Un senso di bellezza Letter Il Corpo Scoppiato Lector in selfdestruction Pag. 0 6 Scadere nella mediocrità Senza titolo EYES’ (or.slave.attention) …Can’t be Continued - Reve - Crediti Il suicidio è una soluzione? Io Voglio // lei // Deliri©o o spedisci una lettera a

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MANIFESTARSI Il suicidio è una soluzione? Deliri©o EYES’ (or.slave.attention) - Reve - Senza titolo Il Corpo Scoppiato …Can’t be Continued 150 Scadere nella mediocrità Un senso di bellezza H / N = Q Letter Disastro #01 4 muRa 4 Vita Nova Io Voglio // lei // PorsiPorno Frammento #2 Crediti Lector in selfdestruction

Eg

gS

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AD

VER

TISING

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Eg gS
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fRAMMENTO # 2 di nuovo qui?

mi hai cercato

qualcosa mi appartiene

li ho distrutti

li ho dimenticati

pezzi di te

sono incompleto

anche prima era diverso

coprivo buchi era amore

solamente una parola combaciavamo

fingevamo entusi[a(s)marsi]

per dei buchi

l’acqua…

affondi salvami

non posso ?

ho aperto il rubinetto ?

ti ho amato

ZER

O

Nella solitudine

l’individuo si divora da solo,

nella moltitudine lo

divorano i molti.

Ora scegli.

F.W. N

ietzsche

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Si vive, si muore. Quale ruolo ha la volontà in tutto ciò? Pare che ci si uccida nello stesso modo in cui si sogna. Non è un problema morale quello che poniamo:

Questa domanda è stata posta ne “La Révolution Surréaliste”. noi riproponiamo il quesito dopo “l’amara vittoria” surrealista. Sconfitto il “sogno” il problema rimane insoluto. Bandiamo la letteratura.

Non mandateci i vostri raccontini, per l’amor

del cielo! Tale materiale non verrà neppure cestinato. Ci riserviamo il sacrosanto dovere di non disgustare al tal punto il cestino. Non si tratta di scrivere un racconto a tema. Il suicidio non può essere “tematizzato”, non può essere descritto, non ci si può fermare a guardarlo, forse… non si può… superare. C’è un inghippo,

un ingranaggio che esplode, che si blocca non per mancanza di energia ma per, all’opposto di una presenza di energia tendente infinitamente a zero senza che questa arrivi mai alla fine. Il traguardo, è ovvio, segue il passo. L’obbiettivo se davvero ce ne uno, e uno solo, è quello di raccogliere riflessioni, appunti, lettere, scritti, tracce, forme di tutto ciò che al suicidio si fa intorno, organizzarlo in un quaderno suicidato, un

corpo che scompare dietro il gesto creatore. Tale gesto, di natura alquanto strana, perché impossibilitato a creare, all’esistere poiché per sua natura creatore ed esistente. Che fare? Assumersi il rischio… …e la sua soluzione. Non c’è termine per l’invio dei lavori, solo la certezza che un giorno verranno chiusi.

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Il brulicare d’una fossa comune mai paga di

vita. Paradisiaca epilettica bolgia. Solo

molecole in brama d’attrito. Solo infiniti

punti pronti a esplodere, a bruciare

nella fugacità dell’istante. Solo carne senza passato o futuro.

Carenze colmate sino al tracimare.

Beata è la dannazione nell’assenza d’una responsabilità. Nessun dover o non poter. Nella contemporaneità. Con flemma rituale, P, libera dalle braci l’asta in metallo. All’estremo rovente, dei caratteri. Dei versi di fuoco. Piano. Sulla schiena nuda di Z.

EAT MY MEAT MEET MY MEAT

I’M MY MEAT ME’S MEAT

MEAT, I’M IT

Con le scapole a incorniciare membra umiliate dal fuoco. Piange. Ride. Sussurra.

“Meat,……..just meat”

KAIN

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PoRSIPorNo ........fradici_ da dietro U. mugola, rantola stuprat_ in sincrono da W. e A. l’androgin_. N. con in bocca T., piange e sanguina e ride di torture medievali quali gelido dildo d’acciaio bitorzoluto e acuminato conficcato da ore dentro, con *. il carnefice a lavorare di lama e sesso su calde emorragie fresche di secondi e subito dilaniate. T. lecca, mangia latex, stivali, viscidi di condensa e liquido e tacchi spillo sulla schiena

e sulle mani a regalar_ nuove stigmate da Trampling addicted e cera calda a cementar_ gli occhi. H. su I. stampa lividi in tempo reale sul biancore norvegese della sua pelle e dolce bacia capezzoli ormai blu, mentre S., #. e C.

fus_ in piramide da carne gonfia bollente di sangue impazzito e sonde manuali ,soffocano quasi un_ alla volta dentro sacchetti di plastica e tourniquet del

colore dell’ amore. R. in nazi-mise, dispensa magnanim_ decise frustate sul gruppo, su E. si accanisce, ci da dentro come su

tigre ribelle. Sonore, tagliano l’aria e la cute, seguiti gli schianti, solo da vagire d’un_ schiav_ degn_ solo dell’accanirsi

d’una frusta. In catene, E. assapora sangue e cuoio e tendini di maiale

trattati e annodati e impugnati e schiantati sulla sua pelle consenziente

al martirio. In tutte le sue sfumature.

In tutte le sue consistenze. Carne. E’ subito chiaro che si tratta di fottere. Come dio comanda. Come da sempre vieta. Come solo chi s’annulla

può. Fare. Farsi. Fottere. E’ un macello prima del macello o durante.

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De-liri©o

<< Remplacez l’anamnèse par l’oubli, l’interprétation par la expérimentation >>1 (Deleuze)

Le cose ci sono di contrasto, dure, impenetrabili, e continuiamo a sbatterci la testa sopra, finché non si scopre come usarle, finché non troviamo

come riuscire a forzarne la loro chiusura, finché non riusciamo a consumarci con loro…

Batterio inerme destituito da un cadavere di cui nutrirsi e catapultato in un’asettica, igienica, sterilizzata natura… solo resistere, non altro, ogni

gesto un attacco di autodifesa… contro l’altrui per difendersi da se stessi… e la rivolta non è vita… ne è il suo contraltare… costante

trapassare di perno in perno… e la consunzione non è progressione, è la natura dell’istante, secco nel suo sbocciare, stanco del suo vigore…

l’impossibile… non è altro mi è dato…

Pulsa la testa di magma cerebrale… ogni connessione neurale brucia come una rivelazione… il sangue che mi circola dentro è quello versato per qualche martirio, per qualche ossessione di santità… verso lacrime secche nate da deserti profondi e ampi come la Mancanza… Mi disseto

delle ceneri e rabbia che rendono arsa la gola permettendomi di produrre una sola voce, un grido, un pianto strozzati, che si fanno udire come musica del trambusto che mi si rovina dentro… il cuore intanto vibra spinto dal suo scaldarsi… non per altro che per amarsi batte il mio

cuore… il suo pulsare è di natura incorruttibile, non si piega a qualche voglia che non sia il suo stesso accelerare il proprio amore, il proprio

vibrare…

1 << Rimpiazzate l’anamnesi con l’oblio, l’interpretazione con la sperimentazione >>

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EYES’

Gli occhi. Solo quelli. Luminosi palloncini incollati al tuo soffitto.

Hanno dentro una vasca che ha dentro l'acqua che ha dentro sapone che ha dentro

te Che ha dentro lacrime di te. Vivo da solo in un monolocale quadrato e

vengo qualche volta dentro te stessa a mischiare le carte false dei miei giochi

lontani. Non ho vita facile.

Scalcio dentro le tue emorragie. Vorrei essere il tuo sangue. Violentare le tue vene

e correre inseguendo l'ossigeno pompato fino a fecondare il tuo cuore. E poi ancora.

Replicarmi nel tuo midollo e visitare me stesso dal balcone dei tuoi occhi di fronte

allo specchio. Fare ampi saluti da la sopra e sorrisi pettinati di bianco. Al gala di una sera

andrò come ospite nel palazzo delle tue labbra. Nella stanza più morbida del tuo

corpo cadrò rotolando e risucchiato mi rimetterai in circolo.

E se rinasco gatto mi raggomitolerò nella tua sedia di paglia. Osserverò muto il rito di

un bagno caldo. Porterò nelle mie mani l'incenso.

(or.slave.attention)

E nei riflessi di candele apparecchiate sulle mattonelle andrò in mille pezzettini, come stelle, mentre il tuo ginocchio scende nell'acqua oltre una tavolata di vapore. Il pranzo è quasi pronto. Gli uccelli portano in bocca le nuvole. Pasto di luna e stelle. Chiudendo fuori dalla tua finestra strade illuminate e rumori violenti di serrande cadute sotto il peso della notte. Entreranno soffocate dentro l'acqua vibrazioni clandestine pronte ad essere rispedite al mittente. Me. Sempre più povere e affamate. I ragni con le teste fuori dalle loro tele sono pronti a suonare le melodie che gli hai messo in testa. Ammaliati dalla sonorità dei tuoi pensieri vorranno aggiungere la loro voce all'orchestra del tuoi respiri.

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[from] - - - - - A Y L

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Wjub!Opwb!

Il balordo, che mi implorava da terra, non sapeva che il mio bastone aveva un’anima in ferro di cui andava fiero. Il balordo, sempre lo stesso, non sapeva nemmeno che un bastone con l’anima in ferro, può portare alla morte.

Ci sono tante cose che le persone non sanno: quello che ci aspetta dopo la morte, il perché veniamo al mondo. Lui avrebbe trovato una risposta alla prima domanda, Io alla seconda.

Ora anche io avevo un’anima in ferro di cui andare fiero.

Ero venuto al mondo per fare del male. Fu così che commisi il mio primo omicidio.

Traccia una linea a terra, varcala e ti sentirai meglio.

Io la linea l’ho tracciata col sangue del balordo, e l’ho varcata uccidendolo.

Mai sentito meglio. Oltre di essa c’era tutto un universo ad aspettarmi.

Assaggia la morte e sentirai la vita. Quello che giaceva per terra riverso in una pozza rossa di vita passata non era il semplice cadavere di un balordo, ma la materializzazione di ciò che ero stato. Muovendomi a mio agio, nei panni di neo nato, lasciai alle spalle la muta di serpente disorientato che fu l’altare del mio fallimento.

il mondo è ora pronto ad accogliermi e voi ad adorarmi.

ZERO

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Penso alla casa e, insieme all'odore della tua pelle nuda e umida,ho in mente la mia casa. Mangio-assorbo dentro di me le immagini sante del tuo rito sintonizzato su canali catodici. Capto onde meravigliose. da lasciar asciugare sul mio foglio bianco. Colei che muove la mia penna è la linea già scritta un attimo prima del big-bang. Nelle mie mani ritrovo lo stupore della prima volta. Tutto è già stato scritto tranne il mio corpo che sottrae a se stesso tutto lo spazio bianco del mondo. Scrivo cancellature.

Creo lenzuola su corpi ripieni di voglie da non dire. Pensieri da non dire. Cose da non

fare. Le lenzuola racchiudono torbidi inganni e verità assolute. Faccio l'amore più di me

stesso con gesti di porno-tele dadaiste ricucendo i brandelli di un sesso-perduto

prustiano. Il senso di annegamento mi offrono le

lenzuola risvegliate. Quelle che si stroppicciano gli occhi non sapendo dove

sono cadute. Dal tuo soffitto è così. E' lucido. Tutto in

technicolor. Linee profonde racchiudono i colori. Saturo

Mi piace far rotolare la testa tra piedi che hanno anche mani per sollevarmi.

Ottenendo slave-attenzioni più fluide meravigliose fino alla ribellione.

J Ayl-------

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- RReevvee -

I contorni gelatinosi come al solito. Le leggi fisiche che vigono sono differenti, e compiere

due semplici passi mi costa molta più fatica del solito. L’avanzata si rivela un’impresa

ardua. L’aria è irrespirabile. Probabilmente la sua composizione chimica è leggermente

diversa. Ho bisogno di un po’ di tempo per abituarmici. Respiro a fatica, tuttavia respiro.

Inquietante come un racconto di Poe e assurdo come un film di Bunuel, questo è ciò che

sto vivendo. A questo punto mi rimane una sola cosa da fare, gridare. La salvezza in un

grido. Munch mi capirebbe. Ma non una sola sillaba vibra attraverso le mie corde vocali.

Forse neanche sono provvisto di tale organo fonatorio. Mi sforzo. Mi contorco. Niente.

Sono muto. Nel silenzio più totale. Non riesco più neanche a compiere un passo. Non

sono disperato, sono la disperazione stessa. Posso solo contorcermi e strappare ogni

capello dal mio cranio.

ZERO

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Paura di essere solo e solamente qualcuno. Presentandosi questa

ipotesi Fossi tossici mi aspettano per riciclarmi in un karma-buddista pop-

americano. Per essere un profumo o un sapone. Prodotto di bellezza

altrui. Macchina accessoriale di signore alla moda. Te

nsio

ne d

a pr

imo

amor

e.

Tens

ione

da

prim

a sc

opat

a.

No

non

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ste

sso.

Te

nsio

ne d

a pr

ima

scop

ata.

Te

nsio

ne d

a pr

ima

dich

iara

zion

e.

Si.

No.

.

.

. Avere un corpo sbagliato. Avere un corpo giusto e una testa inutile.

Aspetto la ghigliottina. Scrivo parole che potresti usare contro di me perchè mi si

piantino nel ritorno come un boomerang in piena faccia.

Sciorino capi d'accusa dove sono io l'imputato. Avvocato difensore del diavolo. Io.

La faccio da padrone. Mi avvicinerei inseguendo-sciogliendo nella lingua

i tuoi odori . . . . . . . .

Smetto di scrivere. La curiosità mi rode. Molto mi rode. Ma senza questo mio sgambettarmi

continuamente non farei nulla di buono. Domande. Come scegliere tra un mazzo di carte truccate la carta che

sai già di avermi messo in mano. Rispondi... al silenzio. Arma con cui puoi cominciare a tagliarmi la testa. Io quando sono

stanco sto seduto sul letto. Satie. Oppure radiohead a volume-soffio. una sola candela se è buio.

Ora sono stanco. fakeplastictrees.

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4 mura 4

[from] AyL ----

.. .

Non ho nemmeno una stanza tutta per me. Potrei fare carte false per

avere la tua. Ma sono sicuro di poterla avere mai.

Non trattengo il respiro entrando nel sogno. Urlo e piango come un bambino post primo schiaffo della vita.

E' veroverissimo muoio. Mi nego al conoscere. E' veroverissimo. Scompaio un po' tra le righe. A volte sussurri di immagini mi

stringono il collo. C'è una cosa che mi trascino dentro gli occhi. Un film iniettato direttamente nella retina. Futuri impossibili per definizione non realizzabili che bruciando creano effetti ottici

psico-dementi da acido scadente.

Fi

nzio

ni s

trapp

a cu

ore

e

ta

glia

-test

a "tr

oppo

bel

le p

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Sp

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185

kilo

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assa

ti da

-NO

N

DIM

EN

TIC

AR

E

MA

I- be

llissi

mi.

Mi ricordano che sono meraviglioso.

Ritorno a casa e scappo via. Cosa mi trattiene è la fine di un incubo

che non voglio finisca. Trovarmi alla luce all'improvviso mi strapperebbe gli occhi e le ossa cadrebbero nel rumore di monete. Uno

squillo di telefono “numero che non conosco” mi fa sapere che lo sconosciuto sono IO.

. Tensione da primo amore. Paura di

vedere. Pugni incessanti e invisibili colpiscono scorrettamente il

basso ventre. Blocco. Pausa. Fotografia disarticolata. Cezanne ha

portato i suoi attrezzi per dipingere quella che sarà la sua

visione straordinaria. Non parlo per

parlare. Polaroid muta e istantanea. Stanotte da i brividi sentirsi disillusi. Mi nutro succhiando dream-crisalidi dischiuse e liquide. Nel tentativo. Paura di non essere all'altezza. Blocco. pausa. Paura di non essere unico. Paranoia del nuovo millennio.

4 MURA 4

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IScoppiato

on c’è bellezza. Non c’è forma ideale. Ogni bellezza è la capacità di saper staccare

particolari. Ci s’innamora della forma di un occhio, d’un suo brillare, un suo riflesso; d’uno schiudersi di labbra, un respiro, un sospiro di sovrapensiero. E’ l’articolazione del desiderio con questa parzialità che frutta la bellezza, un innamoramento. Il cadere di un petalo di rosa, il suo intonarsi ad una certa ritmica, d’un suo sapersi cadenzare al fluire del vento. Agganci, corrispondenze che si rimandano a nulla di predefinito, di immaginato, desiderato in quanto mancanza. Un passo rallentato o un muovere un passo come un inciampo non sono metafore, sono ritmi, che ci prendono, ci fanno innamorare, ci danno la bellezza. La bellezza è un innam-oramento, un rovesciarsi violento di qualche nostra capacità di seguirne la ritmica, seguire i mutamenti a cui da vita, i mutamenti che coinvolgono allo stesso tempo l’oggetto del desiderio e il de-siderio stesso; la bellezza è l’annientarsi del rapporto oggetto soggetto, e il ritro-varsi a metà strada, un incontro, tra oggetto e soggetto, dove le due cere si confondono in una scintilla che si con-suma all’istante; l’acqua e la bocca as-setata, si incontrano nel fruscio, nel confondersi unisono, del frusciare e dello schiudersi, un magma di acqua e bava,

una musicalità extrasonora. Il sole non è bellezza, se non quando la pelle ne ri-splende, riflette, s’illumina, e allora non è più sole, è l’incontro tra due calori, i raggi che penetrano e le microsudorazioni epidermiche, questo è l’incontro, questa è la bellezza; è col dovunque, non falso idioletto da ricercare disperatamente; è il corpo che sfrigola, acceso, perché ha imparato a funzionare, ha smesso di immaginarsi, ha smesso d’essere ana-tomia, ed è diventato un tragitto, una so-glia da attraversare, percorrere. La bel-lezza c’è. Ed è un fluido che percorre un corpo scoppiato.

N

Il Corpo Scoppiato

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0 2 332

C

Dis

astr

o #0

1

he si sia giunti a una dimensione d’addio, di distacco, di distanza è dato certo, certificato dall’insania prepotenza che batte tra le pareti d’un cranio elastico, e il suono, la sua voce, un rimbombare ritmico, di cui non ne percepiamo che l’enigma, sfibra membrane di dura scorza e ci fa sentire tutta l’onta d’essere uomini, tutta la depravata bricconaggine di partecipare, ingranaggi bioassemblati, alla macchina asfissiante della storia, e il volersi detournare , tentare la devianza, approcciare qualche trasversalità, ci sembra l’unico atto privo di ingegno, l’unico modo che ci permetta di districarsi e fuggire ai modi, e dunque tentare, tentati, la modulazione, la frequentazione

di qualche frequenza, intensità, d’accogliere la variazione come definitiva possibilità, fuori d’ogni possibile possibilitare alcunché, di diversificare l’identico, di ripetere la differenza… ma che si sia ad ogni soglia, d’attimo, in un precipizio in bilico è un altro dato certo, come un cataclisma già da sempre avvenuto di cui le rovine del dovunque ci testimoniano, mute, la catastrofe, il disastro passato, appena avvenuto e a venire… siamo sotto la minaccia d’alcunchè, il disastro è già avvenuto, non s’ha più paura di nulla, mancandosi le possibilità di difesa, mancandoci anche la minaccia da cui difendersi… il disastro è l’imminente,

è il nostro piano di immanenza, è ciò che ci pone, è il mancante sostegno che ci tiene… il disastro è quella dimensione del fuori che inarca e piega ogni singolo frammento della nostra vita… e sarà come il pensare: <<Penser, ce serait nommer (appeller) le

desastre comme arrière-pensèe>> [Blanchot],

è la costante dimensione presente e pur sempre au de là del raggiungibile che costringe il nostro stra-svolgersi nella matassa di un filo… e il noi, che pregiudicatamene uso, non è certo una chiamata alle armi, non è plurale majestatis, non è un rivolgermi ad altri al di fuori di me… non s’ha più d’esser ne d’avere me, il noi è un <<On>>, è uno smembramento che si accosta alle soglie dell’impersonale, il noi, per meglio schiarirsi, è rivolto a tutti i doppi che lottano in “me”, il duellum che da vita alle ferite che fanno corpo, che fanno vita… e così è, per ora…

<<Quand tout s’est obscurci, règne l’éclairement sans lumière qu’annoncent

certaines paroles.>>1 [Blanchot]

FIRMA

- Il segno esteriore - 1 Quando tutto si è oscurato, regna l’illuminazione senza luce che annunciano certe parole.

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Rotola sulla spiaggia. Bianco il vestito. Non c'è vento. Lividi sul collo. E sulle gambe. Mazzi di fiori rosso-arancio piantati negli occhi. Parla parole accartocciate in bocca come fogli di segreti da distruggere.

Ingoia. Lettere.

Una dopo l'altra. e poi ancora.

Stop. Back Foward.

termino di bere il mio bicchiere post-influenzale e guardo il tuo. Fumo sopra le teste. Porte a vetri che collassano nell’azzurro del

cielo.

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…..CAN’T BE CONTINUED [from] KAIN

o un buco di culo posato sulla fronte. Gelido cerchio. Il buco di culo d’un qualsiasi mangamazinga.

Caga missili calibro nove. Ho mani congiunte poco più su della fronte. Mani a pregare che sia un lampo. Un istante. Una lama di ghigliottina ben oliata. Efficienza frutto d’una manutenzione che oramai dura da anni. Un lampo d’acciaio in forma trapezio. Mani congiunte a pregare. Indici si sfiorano sul grilletto. Come in un menage a trois quando lui sfiora lui. Per sbaglio. Indici si sfiorano nella corsa al grilletto. Nella corsa verso l’uscita. Nella calca verso l’uscita. D’emergenza. Sono immobile. Da ore a cui non ho badato. Il tempo non m’ importa più. Sono in ginocchio. Il più umile degli schiavi. Prego, prego e prego ancora. Prego dio di non esistere. Lo prego di non aspettarmi oltre il tunnel, la luce. Scongiuro una totale inesistenza. Un’ alfa privativa davanti all’idea di me. Non chiedo tanto. Solo di non uscire da questo niente per dover entrare in un altro. Non chiedo poi tanto, Cristo! Solo

una restituzione oltre che del corpo, anche dell’anima o di tutto quello che, nella sua infinita bontà, ci ha donato. Solo questo. Solo. Essere. Non.

Poi. Al mare. Un bambino. Le immagini sono sbiadite come le proiezioni su muri farinosi. Posso distinguerne i fotogrammi. Sono filmini anni ottanta. Sono la mia infanzia in celluloide. Io. I miei primi passi. Buffi goffi primi passi. Non che gli ultimi lo siano meno. Goffi. Ho la sabbia dappertutto. Ho gli occhi che brillano, pelle tesissima, fossette sui gomiti ginocchia guance. Sull’anima. Sono bimbo. Ancora non so. Niente. Ancora non sono. Niente. Ancora sono. Niente. Sono felice.

Ecco Splendore d’un viola scuro macchia inchiostro le mie ginocchia. Tempera da peso eccessivo. Da posizioni scomode protratte ad oltranza. Sangue

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morto. Dovrei essere tutto splendidamente viola. Sto da sempre scomodamente immobile. Sto da sempre. Ora. Ho una mano sulla maniglia. Da ore ormai. Ore di cui non ho tenuto il conto. Ore d’attendere. Ore d’alfa privativa-tendere. Ore d’immobile. Ore di vita onestamente non mascherata. Ore di mani sulla maniglia. Antipanico. Maniglie

concepite per uscite di scena fulminee. Lampi d’abbandono. Della scena.

Poi Meraviglia sboccia! Ho l’arroganza delle pupille a raggi x. Volo su tutti loro gonfio d’elio. Lo distillo quando da solo abbandono il corpo sul letto. Quando non vi sono interlocutori. Quando le domande sono cani impazziti nel volersi dilaniare la coda e cacciar certezze diventa deleterio. Quando il dubbio esplode pirotecnico gioco di luce. Quando riduco. Montagne in macigni. Macigni in massi. Massi in pietre e queste in briciole. Quando scopro che ogni briciola. E’ una montagna. Smanio buchi di culo calibro nove a baciarmi la fronte. A darmi la buona notte. A impormela.

di nuovo Continua la preghiera d’uno storpio menomato. D’un ginocchi viola che non sa vivere. L’istinto dovrebbe guidarmi. Se avessi zanne e artigli non starei qua. Genuflesso. Se avessi zanne ,artigli e nessun pudore saprei senza sapere. Senza vedermi cercare. Senza deridermi ad ogni errore. Senza sminuirmi ad ogni successo. E andrei in meta senza esser conscio di partita alcuna. Primo tra primi. Semplicemente uno qualsiasi. Qualsiasi. Anche per me.

Poi Il verde malmesso dei banchi. Logorio da generazioni innervosite. Prodotto di memorie stuprate dalla noia. Dall’ inutile conoscere senza conoscersi. L’inutile. Spiegare. Spiegare. Spiegare. Senza un briciolo di comprendere. Come divorare mondi senza esistere. O. Senza essere certi di stare facendolo. Idrovore in catene ingoiano fiumi di toner. Cifre. Dati. Versi. L’umano produrre. Lo spirito svilito in catene seriali d’uno e zero. E io. Ancora non so. Ancora ho lamine di gioia da difendere. Ancora bambino. O quasi. Ho ancora l’incoscienza da proteggere. Da sottrarre agli attacchi di chi. Vuol aprirmi o cucirmi gli occhi per sempre. Ma . AIMèVVIVA!!!!. Comincio. Noto le lamine. Sempre meno spesse. Sempre più spesso. Sempre meno spasso per me. Sorprendo la gioia struccata. Stanca andare a sedersi. Diva arcistufa m’invita ad ampliare il cast. Di me. Dei miei moti. Della farsa che sono. Io. Domo pupille indisciplinate. Hanno la fame e la curiosità d’un cucciolo. Scalpitano e girano all’impazzata. Brucano il mondo. Vedono tutto e vogliono di più. Le domo. Le imbriglio.Le ferro. Non solo vedere. Ma guardare! Cavalco fiero l’attenzione. L’ossessione per il particolare. L’arte dell’osservare. I raggi x.. Domatele, impagliatele, stanno, ora, rivolte verso di me. Verso l’interno. Mi vago dentro. Nomade dell’anima. Mi studio. Mi cerco. Mi stupro. Mi smusso sino a crearmi perfetto nell’idea. Un me-tafisico. Un’astrazione inarrivabile. Un androide infallibile e incorruttibile. Impassibile davanti a tempo e passione. Un golem dalle fattezze divine e per questo. Detestabile. Lo

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[from] AYL---------

Lettere. Una dopo l'altra.

e poi ancora.

Lettere. Una dopo l'altra. e poi ancora.

loop.

Term

ino

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il m

io b

icch

iere

pos

t-inf

luen

zale

e g

uard

o il

tuo

anco

ra p

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. La

can

nucc

ia ro

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iata

sul

l'om

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lino

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arta

. S

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. R

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e di

tazz

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e sb

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ovan

do il

pun

to d

i rot

tura

. Fu

mo

alto

sop

ra le

test

e.

Letto

sof

fice.

Nuv

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atra

me.

In d

isso

luzi

one.

A

batjo

ur.

Si a

ccen

dono

. Dop

pio

colp

o di

inte

rmitt

enza

.

Un fischiettare. Teste nere di spalle. E occhi rossi per l'alcool. Occhi aperti. Pose di stupore o di dolore. Bocche che cadono ai piedi di sconosciuti. Lucido da scarpe. Grosse cuciture. Dadi. Rotolano dentro mani che potrebbero pregare in quella posizione. Buio. All'instante.

Pause. R

ew.

Letter

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osservo stregato e furioso al contempo. Ne progetto l’assassinio. Da fuori. Non ho pupille. Da fuori.

Faccio paura

In fine.

Perle impreziosiscono lo spasmo che indosso sul viso. Perle d’acqua salata. Dal derma sgorgano distillato di disagio. Sgorgano con l’urgenza d’un allarme. Sono a Defcom 1. Sprizzo acido da tutti i pori. Sprizzo un non farcela più. Sprizzo stop dying. Troppo lungo questo addio. Ventitre anni di lacrimevole addio. Addio. Proprio a dio no. A me! Come un brindisi. Per un matrimonio o la laurea d’un amico. A me e al mio ricongiungermi. A me e al viaggio che finalmente ho il coraggio d’intraprendere. A me e a quel piattume di merda putrescente che in fine ho il coraggio di abbandonare. A me che ho deciso di smetterla di morire ogni giorno. A suon di clessidre.

A me! Che non ci sono più!

p.s.

Un ultimo sguardo. Commosso forse. Davvero non lo so più. Davvero oramai

son più la che qua. Davvero ora sono più non che qui. Quest’ultimo sguardo.

Quest’ultimo raccattare istantanee sbiadite. Vola verso di te. Amore mio.

Per il mio non averti saputo apprezzare. Per il mio non essermi ancorato a te. Per la mia voglia di

morire. Per il mio non ritenerti zavorra tale da tenermi giù. Su questo pianeta.

Solo noi due un tempo. Ora solo tu. Ricordami se puoi. Tu che sola m’hai visto. Avuto. Senza maschere. Senza pudore o vergogna. A te che sola hai

leccato il mio cuore e il mio sangue. A te sola dedico.

Questa fine.

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150 ROSEMARY

A F.S. Fitzgerald

<< Allora rinunciò

e andò allo specchio, dove

cominciò a spazzolarsi i capelli ansando un poco. Centocinquanta colpi Rosemary diede di capelli,

come sempre, e poi altri

centocinquanta. Lì spazzolò finché le

fece male il braccio e continuò a

spazzolare… >>

entocinquanta, ancora, i capelli, d’un biondo che iniziava ad abbandonare la freschezza, la

freschezza leggera della prima giovinezza, cadevano lisci disegnando e seguendo la forma molle della schiena che si gonfiava, ritmica, nel suo ansimare… Centocinquanta, ancora, come sempre, cambiando braccio, di fronte allo specchio, che rimandava, sotto il riverbero basso di una luce che cadeva dall’alto, un volto liquido, in cui si poteva facilmente intuire il leggero dolore d’una prima vera delusione, un

volto allenato al trattenere espressivo dei sentimenti, un volto nel quale ogni minimo calore del corpo tracciava una linea subito evidente, un volto di una fisionomica eccessiva, un volto che si sarebbe detto frutto d’un’espressività teatrale d’un debuttante, che maldestramente controlla il suo corpo fino a portare i movimenti alla furia involontaria dello spasmo, ma Rosemary soffriva, nulla v’era di teatrale nella sua

teatralità, nulla di forzato nel suo specchiarsi vuoto, nel suo trovarsi di fronte a uno specchio che non potendo leggere il suo vero dolore, la profondità della superficie, rimandava solo questo frutto scialbo, questa sua espressività infantile, il suo volto liquido, perso dietro un vago peregrinare dietro le gocce salate che cadevano lentamente da due occhi vitrei che specchiavano se stessi; trasparenti nel loro rimirare

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stella giungi per portarmi via

e senza preoccuparmi di me

parto

portami via via con te

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a Alter3g0

Un senso di bellezza

Immenso di gratitudine inspiegabile di silenzio inascoltabile

ci si chiede da dove giunga

dove arrivi dove porti

uno stato d’estraneità

d’alterità resta ovunque vai vieni arrivi

portami portami via con te

che possa dunque vagare

finalmente perso

un estatico senso di bellezza immemoriale

un ricordo un oblio

da dove sorgi planando da qualche

Un Senso Di Bellezza

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più nulla… e continuava, cambiando braccio, come sempre, Centocinquanta colpi, e sentiva il gusto amaro, un sapore nuovo, mai provato, che gli si apriva in bocca per invadere, rapido, tutte le fibre della sua carne, come un fluido, uno sciroppo amaro, e vibrava, brividi, sotto la forza di questo sapore che finora non conosceva ma che gli sembrava di riconoscere, ne avvertiva un certo presentimento, come l’affiorare d’una memoria mai avuta che sfugge al silenzioso oblio, e si apriva, bocciolo aspro, tentava, in preda ad una febbre che le effondeva allo stesso tempo una spossatezza innaturale e una forza altrettanto estranea, di dare un senso, un significato, afferrare qualche frammento, di fermare o almeno rallentare, quel travaso… ma non le riusciva, nulla le era permesso se non il proseguire a subirne lo sgocciolio, di seguirne il defluire, sentendosi persa, vaga… con la poca capacità che ancora le restava, cercava di prestare attenzione agli oggetti che la circondavano, sentire gli odori della sua stanza o udire i rumori di quella attigua, ma nulla, silenzio assoluto e un vuoto di cose ed odori; tentò con i ricordi, ma tutto era confuso in un rotolare di plasma, che si muoveva all’unisono col suo travaso… gli occhi fissi, cambiando braccio

ogni tanto, proseguiva, come sempre, Centocinquanta colpi, e lo specchio, dietro una nube argentea di lacrime, rimandava, ora, il volto d’una vecchia, poi quello di un’adolescente senza sorriso, poi ancora e ancora altri volti, tutti diversi e tutti associabili ad uno stesso dolore, ad una stessa anatomia smembrata, allo stesso tempo, tutti rinchiusi nella stessa cornice… e fu

allora che Rosemary, colta da uno spasimo che non si manifestò all’esterno, capì, colse, in un attimo, d’eternità, il senso, il gusto, il suono di quel travaso, il muoversi incessante, capì, quanto tenera fosse la notte, capì, era la vita… per la prima volta ebbe coscienza d’essere viva, sentiva il tempo essiccarle le vene, le rughe segnarle e stigmatizzarle il volto, i segni svanire, luci accendersi e spegnersi… e fu allora, in un attimo, che rinunciò, per sempre, a niente… restò allo specchio,

dove continuò a spazzolarsi i capelli, senza più respiro. Centocinquanta colpi Rosemary si dava di capelli, come sempre, e poi altri Centocinquanta. Li spazzolava finché le faceva male il braccio e continuava a spazzolare… Centocinquanta colpi…

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Scadere nella mediocrità – 1

[from] MAMALUJO

ome fallimento non c’è che dire: a dir poco magnifico. Speso l’ultimo anno e mezzo a rintuzzare chiacchiere per ottenere infine un libro inutile. Sì, certo, il pessimismo logora il successo, ma credo che in fondo sia la pura, sacrosanta verità: non so scrivere e mai ci riuscirò. Una “merda d’artista”, insomma. Gia. Chi era l’autore? Non ricordo. E qual era il significato di quei barattoli d’escrementi spacciati per opera d’arte? Per la mia opera questo concetto andrebbe bene comunque: so di scrivere immondizia, so di pubblicare immondizia, so che leggeranno immondizia. E forse mi compiaccio pure di questo, sperando che la trattino come l’opera d’arte che vorrebbe tanto essere. Narciso. Io? Perché mi abbatto così facilmente di fronte a coloro che non riconoscono il genio che purtroppo non posseggo? Però… Non ho ancora il titolo. Gia. Tanti sforzi ma nessuno che venga a soddisfarmi. E non so bene ancora come terminarlo. Frase ad effetto. Per lasciare retrogusto-piacevole-addosso-lettore. Ad esempio… “E mi abbandonai al fallimento”. Addirittura! Ma più ricca, più ricercata. “E mi abbandonai infine all’apice del fallimento”. Sublime! Quale alta retorica ammorbante, caro mio! E in più è venuta di getto. Istintuale. Sì, è sconfortante a volte scrivere d’istinto. Soprattutto nell’incazzarsi poi a cercare di dare un senso a frasi e parole orribilmente slegate tra loro. E nonostante questo, quante volte l’ho gia fatto? Tantissime, infinite. Ognuna di queste pagine ne è piena. Segno di immaturità o

C

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di selvaggio ardore? Cazzate. Direi selvaggio ardore, ma in realtà vorrei aver architettato tutto quanto nei più minimi particolari e con disarmante ispirazione. Pianificato, costruito, testato. Come opera d’ingegneria. Un ponte sospeso, a cui levare infine i piloni e non stupirmi se regge. Ma non può reggere. E infatti mi affanno a trovare un senso a posteriori, come nella mia adolescenza da istericofottutorabbioso: tutta tutta tutta ardente grandiosità nella sua inconsistenza. Adolescente e poeta di poesia. Poesie... Forse ne ricordo ancora qualcuna. Tanto per farmi una risata. No. Rimosso, forse. Oppure non voglio ricordare. Mi imbarazza a volte ripensare al passato. Perché? Non so. Sempre riservato, troppo riservato e impacciato. Quanto ho impiegato ad esempio prima di… No, non ricordarlo. Immaturità che passano. Ed ora invece? Più maturo? Sono più maturo? “Capacità di vivere serenamente il domani”. Andrebbe bene come definizione? Di maturità. Non sembra male. Oppure è solo l’ennesimo pensierocazzata. Ma non poi così male. Non so. Meglio segnarla da qualche parte. Un pezzo di carta… ecco. Com’era? “Capacità di vivere con fottutissima serenità il domani”. Da domani. Sempre rivolto al futuro. E invece oggi? Sono stanco. Alla fine. Dopo mesi diciotto a perfezionare ciò che andrà a morire. Anno e mezzo. Due gravidanze. Tra qualche giorno non me ne fregherà più nulla di quanto ho appena scritto. Forse anche domani. Ma oggi è invece la priorità. Tremenda stanchezza addosso. Maturo autocompiacimento. Due gravidanze senza nome. Senza titolo.

Scadere nella mediocrità – 1

[from] MAMALUJO

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Scadere nella mediocrità – 1

[from] MAMALUJO

ome fallimento non c’è che dire: a dir poco magnifico. Speso l’ultimo anno e mezzo a rintuzzare chiacchiere per ottenere infine un libro inutile. Sì, certo, il pessimismo logora il successo, ma credo che in fondo sia la pura, sacrosanta verità: non so scrivere e mai ci riuscirò. Una “merda d’artista”, insomma. Gia. Chi era l’autore? Non ricordo. E qual era il significato di quei barattoli d’escrementi spacciati per opera d’arte? Per la mia opera questo concetto andrebbe bene comunque: so di scrivere immondizia, so di pubblicare immondizia, so che leggeranno immondizia. E forse mi compiaccio pure di questo, sperando che la trattino come l’opera d’arte che vorrebbe tanto essere. Narciso. Io? Perché mi abbatto così facilmente di fronte a coloro che non riconoscono il genio che purtroppo non posseggo? Però… Non ho ancora il titolo. Gia. Tanti sforzi ma nessuno che venga a soddisfarmi. E non so bene ancora come terminarlo. Frase ad effetto. Per lasciare retrogusto-piacevole-addosso-lettore. Ad esempio… “E mi abbandonai al fallimento”. Addirittura! Ma più ricca, più ricercata. “E mi abbandonai infine all’apice del fallimento”. Sublime! Quale alta retorica ammorbante, caro mio! E in più è venuta di getto. Istintuale. Sì, è sconfortante a volte scrivere d’istinto. Soprattutto nell’incazzarsi poi a cercare di dare un senso a frasi e parole orribilmente slegate tra loro. E nonostante questo, quante volte l’ho gia fatto? Tantissime, infinite. Ognuna di queste pagine ne è piena. Segno di immaturità o

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di selvaggio ardore? Cazzate. Direi selvaggio ardore, ma in realtà vorrei aver architettato tutto quanto nei più minimi particolari e con disarmante ispirazione. Pianificato, costruito, testato. Come opera d’ingegneria. Un ponte sospeso, a cui levare infine i piloni e non stupirmi se regge. Ma non può reggere. E infatti mi affanno a trovare un senso a posteriori, come nella mia adolescenza da istericofottutorabbioso: tutta tutta tutta ardente grandiosità nella sua inconsistenza. Adolescente e poeta di poesia. Poesie... Forse ne ricordo ancora qualcuna. Tanto per farmi una risata. No. Rimosso, forse. Oppure non voglio ricordare. Mi imbarazza a volte ripensare al passato. Perché? Non so. Sempre riservato, troppo riservato e impacciato. Quanto ho impiegato ad esempio prima di… No, non ricordarlo. Immaturità che passano. Ed ora invece? Più maturo? Sono più maturo? “Capacità di vivere serenamente il domani”. Andrebbe bene come definizione? Di maturità. Non sembra male. Oppure è solo l’ennesimo pensierocazzata. Ma non poi così male. Non so. Meglio segnarla da qualche parte. Un pezzo di carta… ecco. Com’era? “Capacità di vivere con fottutissima serenità il domani”. Da domani. Sempre rivolto al futuro. E invece oggi? Sono stanco. Alla fine. Dopo mesi diciotto a perfezionare ciò che andrà a morire. Anno e mezzo. Due gravidanze. Tra qualche giorno non me ne fregherà più nulla di quanto ho appena scritto. Forse anche domani. Ma oggi è invece la priorità. Tremenda stanchezza addosso. Maturo autocompiacimento. Due gravidanze senza nome. Senza titolo.

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[from] MAMALUJO

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Un senso di bellezza

Immenso di gratitudine inspiegabile di silenzio inascoltabile

ci si chiede da dove giunga

dove arrivi dove porti

uno stato d’estraneità

d’alterità resta ovunque vai vieni arrivi

portami portami via con te

che possa dunque vagare

finalmente perso

un estatico senso di bellezza immemoriale

un ricordo un oblio

da dove sorgi planando da qualche

Un Senso Di Bellezza

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più nulla… e continuava, cambiando braccio, come sempre, Centocinquanta colpi, e sentiva il gusto amaro, un sapore nuovo, mai provato, che gli si apriva in bocca per invadere, rapido, tutte le fibre della sua carne, come un fluido, uno sciroppo amaro, e vibrava, brividi, sotto la forza di questo sapore che finora non conosceva ma che gli sembrava di riconoscere, ne avvertiva un certo presentimento, come l’affiorare d’una memoria mai avuta che sfugge al silenzioso oblio, e si apriva, bocciolo aspro, tentava, in preda ad una febbre che le effondeva allo stesso tempo una spossatezza innaturale e una forza altrettanto estranea, di dare un senso, un significato, afferrare qualche frammento, di fermare o almeno rallentare, quel travaso… ma non le riusciva, nulla le era permesso se non il proseguire a subirne lo sgocciolio, di seguirne il defluire, sentendosi persa, vaga… con la poca capacità che ancora le restava, cercava di prestare attenzione agli oggetti che la circondavano, sentire gli odori della sua stanza o udire i rumori di quella attigua, ma nulla, silenzio assoluto e un vuoto di cose ed odori; tentò con i ricordi, ma tutto era confuso in un rotolare di plasma, che si muoveva all’unisono col suo travaso… gli occhi fissi, cambiando braccio

ogni tanto, proseguiva, come sempre, Centocinquanta colpi, e lo specchio, dietro una nube argentea di lacrime, rimandava, ora, il volto d’una vecchia, poi quello di un’adolescente senza sorriso, poi ancora e ancora altri volti, tutti diversi e tutti associabili ad uno stesso dolore, ad una stessa anatomia smembrata, allo stesso tempo, tutti rinchiusi nella stessa cornice… e fu

allora che Rosemary, colta da uno spasimo che non si manifestò all’esterno, capì, colse, in un attimo, d’eternità, il senso, il gusto, il suono di quel travaso, il muoversi incessante, capì, quanto tenera fosse la notte, capì, era la vita… per la prima volta ebbe coscienza d’essere viva, sentiva il tempo essiccarle le vene, le rughe segnarle e stigmatizzarle il volto, i segni svanire, luci accendersi e spegnersi… e fu allora, in un attimo, che rinunciò, per sempre, a niente… restò allo specchio,

dove continuò a spazzolarsi i capelli, senza più respiro. Centocinquanta colpi Rosemary si dava di capelli, come sempre, e poi altri Centocinquanta. Li spazzolava finché le faceva male il braccio e continuava a spazzolare… Centocinquanta colpi…

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A F.S. Fitzgerald

<< Allora rinunciò

e andò allo specchio, dove

cominciò a spazzolarsi i capelli ansando un poco. Centocinquanta colpi Rosemary diede di capelli,

come sempre, e poi altri

centocinquanta. Lì spazzolò finché le

fece male il braccio e continuò a

spazzolare… >>

entocinquanta, ancora, i capelli, d’un biondo che iniziava ad abbandonare la freschezza, la

freschezza leggera della prima giovinezza, cadevano lisci disegnando e seguendo la forma molle della schiena che si gonfiava, ritmica, nel suo ansimare… Centocinquanta, ancora, come sempre, cambiando braccio, di fronte allo specchio, che rimandava, sotto il riverbero basso di una luce che cadeva dall’alto, un volto liquido, in cui si poteva facilmente intuire il leggero dolore d’una prima vera delusione, un

volto allenato al trattenere espressivo dei sentimenti, un volto nel quale ogni minimo calore del corpo tracciava una linea subito evidente, un volto di una fisionomica eccessiva, un volto che si sarebbe detto frutto d’un’espressività teatrale d’un debuttante, che maldestramente controlla il suo corpo fino a portare i movimenti alla furia involontaria dello spasmo, ma Rosemary soffriva, nulla v’era di teatrale nella sua

teatralità, nulla di forzato nel suo specchiarsi vuoto, nel suo trovarsi di fronte a uno specchio che non potendo leggere il suo vero dolore, la profondità della superficie, rimandava solo questo frutto scialbo, questa sua espressività infantile, il suo volto liquido, perso dietro un vago peregrinare dietro le gocce salate che cadevano lentamente da due occhi vitrei che specchiavano se stessi; trasparenti nel loro rimirare

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stella giungi per portarmi via

e senza preoccuparmi di me

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portami via via con te

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osservo stregato e furioso al contempo. Ne progetto l’assassinio. Da fuori. Non ho pupille. Da fuori.

Faccio paura

In fine.

Perle impreziosiscono lo spasmo che indosso sul viso. Perle d’acqua salata. Dal derma sgorgano distillato di disagio. Sgorgano con l’urgenza d’un allarme. Sono a Defcom 1. Sprizzo acido da tutti i pori. Sprizzo un non farcela più. Sprizzo stop dying. Troppo lungo questo addio. Ventitre anni di lacrimevole addio. Addio. Proprio a dio no. A me! Come un brindisi. Per un matrimonio o la laurea d’un amico. A me e al mio ricongiungermi. A me e al viaggio che finalmente ho il coraggio d’intraprendere. A me e a quel piattume di merda putrescente che in fine ho il coraggio di abbandonare. A me che ho deciso di smetterla di morire ogni giorno. A suon di clessidre.

A me! Che non ci sono più!

p.s.

Un ultimo sguardo. Commosso forse. Davvero non lo so più. Davvero oramai

son più la che qua. Davvero ora sono più non che qui. Quest’ultimo sguardo.

Quest’ultimo raccattare istantanee sbiadite. Vola verso di te. Amore mio.

Per il mio non averti saputo apprezzare. Per il mio non essermi ancorato a te. Per la mia voglia di

morire. Per il mio non ritenerti zavorra tale da tenermi giù. Su questo pianeta.

Solo noi due un tempo. Ora solo tu. Ricordami se puoi. Tu che sola m’hai visto. Avuto. Senza maschere. Senza pudore o vergogna. A te che sola hai

leccato il mio cuore e il mio sangue. A te sola dedico.

Questa fine.

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morto. Dovrei essere tutto splendidamente viola. Sto da sempre scomodamente immobile. Sto da sempre. Ora. Ho una mano sulla maniglia. Da ore ormai. Ore di cui non ho tenuto il conto. Ore d’attendere. Ore d’alfa privativa-tendere. Ore d’immobile. Ore di vita onestamente non mascherata. Ore di mani sulla maniglia. Antipanico. Maniglie

concepite per uscite di scena fulminee. Lampi d’abbandono. Della scena.

Poi Meraviglia sboccia! Ho l’arroganza delle pupille a raggi x. Volo su tutti loro gonfio d’elio. Lo distillo quando da solo abbandono il corpo sul letto. Quando non vi sono interlocutori. Quando le domande sono cani impazziti nel volersi dilaniare la coda e cacciar certezze diventa deleterio. Quando il dubbio esplode pirotecnico gioco di luce. Quando riduco. Montagne in macigni. Macigni in massi. Massi in pietre e queste in briciole. Quando scopro che ogni briciola. E’ una montagna. Smanio buchi di culo calibro nove a baciarmi la fronte. A darmi la buona notte. A impormela.

di nuovo Continua la preghiera d’uno storpio menomato. D’un ginocchi viola che non sa vivere. L’istinto dovrebbe guidarmi. Se avessi zanne e artigli non starei qua. Genuflesso. Se avessi zanne ,artigli e nessun pudore saprei senza sapere. Senza vedermi cercare. Senza deridermi ad ogni errore. Senza sminuirmi ad ogni successo. E andrei in meta senza esser conscio di partita alcuna. Primo tra primi. Semplicemente uno qualsiasi. Qualsiasi. Anche per me.

Poi Il verde malmesso dei banchi. Logorio da generazioni innervosite. Prodotto di memorie stuprate dalla noia. Dall’ inutile conoscere senza conoscersi. L’inutile. Spiegare. Spiegare. Spiegare. Senza un briciolo di comprendere. Come divorare mondi senza esistere. O. Senza essere certi di stare facendolo. Idrovore in catene ingoiano fiumi di toner. Cifre. Dati. Versi. L’umano produrre. Lo spirito svilito in catene seriali d’uno e zero. E io. Ancora non so. Ancora ho lamine di gioia da difendere. Ancora bambino. O quasi. Ho ancora l’incoscienza da proteggere. Da sottrarre agli attacchi di chi. Vuol aprirmi o cucirmi gli occhi per sempre. Ma . AIMèVVIVA!!!!. Comincio. Noto le lamine. Sempre meno spesse. Sempre più spesso. Sempre meno spasso per me. Sorprendo la gioia struccata. Stanca andare a sedersi. Diva arcistufa m’invita ad ampliare il cast. Di me. Dei miei moti. Della farsa che sono. Io. Domo pupille indisciplinate. Hanno la fame e la curiosità d’un cucciolo. Scalpitano e girano all’impazzata. Brucano il mondo. Vedono tutto e vogliono di più. Le domo. Le imbriglio.Le ferro. Non solo vedere. Ma guardare! Cavalco fiero l’attenzione. L’ossessione per il particolare. L’arte dell’osservare. I raggi x.. Domatele, impagliatele, stanno, ora, rivolte verso di me. Verso l’interno. Mi vago dentro. Nomade dell’anima. Mi studio. Mi cerco. Mi stupro. Mi smusso sino a crearmi perfetto nell’idea. Un me-tafisico. Un’astrazione inarrivabile. Un androide infallibile e incorruttibile. Impassibile davanti a tempo e passione. Un golem dalle fattezze divine e per questo. Detestabile. Lo

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Lettere. Una dopo l'altra.

e poi ancora.

Lettere. Una dopo l'altra. e poi ancora.

loop.

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t-inf

luen

zale

e g

uard

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Letto

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fice.

Nuv

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one.

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Si a

ccen

dono

. Dop

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colp

o di

inte

rmitt

enza

.

Un fischiettare. Teste nere di spalle. E occhi rossi per l'alcool. Occhi aperti. Pose di stupore o di dolore. Bocche che cadono ai piedi di sconosciuti. Lucido da scarpe. Grosse cuciture. Dadi. Rotolano dentro mani che potrebbero pregare in quella posizione. Buio. All'instante.

Pause. R

ew.

Letter

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Rotola sulla spiaggia. Bianco il vestito. Non c'è vento. Lividi sul collo. E sulle gambe. Mazzi di fiori rosso-arancio piantati negli occhi. Parla parole accartocciate in bocca come fogli di segreti da distruggere.

Ingoia. Lettere.

Una dopo l'altra. e poi ancora.

Stop. Back Foward.

termino di bere il mio bicchiere post-influenzale e guardo il tuo. Fumo sopra le teste. Porte a vetri che collassano nell’azzurro del

cielo.

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…..CAN’T BE CONTINUED [from] KAIN

o un buco di culo posato sulla fronte. Gelido cerchio. Il buco di culo d’un qualsiasi mangamazinga.

Caga missili calibro nove. Ho mani congiunte poco più su della fronte. Mani a pregare che sia un lampo. Un istante. Una lama di ghigliottina ben oliata. Efficienza frutto d’una manutenzione che oramai dura da anni. Un lampo d’acciaio in forma trapezio. Mani congiunte a pregare. Indici si sfiorano sul grilletto. Come in un menage a trois quando lui sfiora lui. Per sbaglio. Indici si sfiorano nella corsa al grilletto. Nella corsa verso l’uscita. Nella calca verso l’uscita. D’emergenza. Sono immobile. Da ore a cui non ho badato. Il tempo non m’ importa più. Sono in ginocchio. Il più umile degli schiavi. Prego, prego e prego ancora. Prego dio di non esistere. Lo prego di non aspettarmi oltre il tunnel, la luce. Scongiuro una totale inesistenza. Un’ alfa privativa davanti all’idea di me. Non chiedo tanto. Solo di non uscire da questo niente per dover entrare in un altro. Non chiedo poi tanto, Cristo! Solo

una restituzione oltre che del corpo, anche dell’anima o di tutto quello che, nella sua infinita bontà, ci ha donato. Solo questo. Solo. Essere. Non.

Poi. Al mare. Un bambino. Le immagini sono sbiadite come le proiezioni su muri farinosi. Posso distinguerne i fotogrammi. Sono filmini anni ottanta. Sono la mia infanzia in celluloide. Io. I miei primi passi. Buffi goffi primi passi. Non che gli ultimi lo siano meno. Goffi. Ho la sabbia dappertutto. Ho gli occhi che brillano, pelle tesissima, fossette sui gomiti ginocchia guance. Sull’anima. Sono bimbo. Ancora non so. Niente. Ancora non sono. Niente. Ancora sono. Niente. Sono felice.

Ecco Splendore d’un viola scuro macchia inchiostro le mie ginocchia. Tempera da peso eccessivo. Da posizioni scomode protratte ad oltranza. Sangue

H

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IScoppiato

on c’è bellezza. Non c’è forma ideale. Ogni bellezza è la capacità di saper staccare

particolari. Ci s’innamora della forma di un occhio, d’un suo brillare, un suo riflesso; d’uno schiudersi di labbra, un respiro, un sospiro di sovrapensiero. E’ l’articolazione del desiderio con questa parzialità che frutta la bellezza, un innamoramento. Il cadere di un petalo di rosa, il suo intonarsi ad una certa ritmica, d’un suo sapersi cadenzare al fluire del vento. Agganci, corrispondenze che si rimandano a nulla di predefinito, di immaginato, desiderato in quanto mancanza. Un passo rallentato o un muovere un passo come un inciampo non sono metafore, sono ritmi, che ci prendono, ci fanno innamorare, ci danno la bellezza. La bellezza è un innam-oramento, un rovesciarsi violento di qualche nostra capacità di seguirne la ritmica, seguire i mutamenti a cui da vita, i mutamenti che coinvolgono allo stesso tempo l’oggetto del desiderio e il de-siderio stesso; la bellezza è l’annientarsi del rapporto oggetto soggetto, e il ritro-varsi a metà strada, un incontro, tra oggetto e soggetto, dove le due cere si confondono in una scintilla che si con-suma all’istante; l’acqua e la bocca as-setata, si incontrano nel fruscio, nel confondersi unisono, del frusciare e dello schiudersi, un magma di acqua e bava,

una musicalità extrasonora. Il sole non è bellezza, se non quando la pelle ne ri-splende, riflette, s’illumina, e allora non è più sole, è l’incontro tra due calori, i raggi che penetrano e le microsudorazioni epidermiche, questo è l’incontro, questa è la bellezza; è col dovunque, non falso idioletto da ricercare disperatamente; è il corpo che sfrigola, acceso, perché ha imparato a funzionare, ha smesso di immaginarsi, ha smesso d’essere ana-tomia, ed è diventato un tragitto, una so-glia da attraversare, percorrere. La bel-lezza c’è. Ed è un fluido che percorre un corpo scoppiato.

N

Il Corpo Scoppiato

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CD

isas

tro

#01

he si sia giunti a una dimensione d’addio, di distacco, di distanza è dato certo, certificato dall’insania prepotenza che batte tra le pareti d’un cranio elastico, e il suono, la sua voce, un rimbombare ritmico, di cui non ne percepiamo che l’enigma, sfibra membrane di dura scorza e ci fa sentire tutta l’onta d’essere uomini, tutta la depravata bricconaggine di partecipare, ingranaggi bioassemblati, alla macchina asfissiante della storia, e il volersi detournare , tentare la devianza, approcciare qualche trasversalità, ci sembra l’unico atto privo di ingegno, l’unico modo che ci permetta di districarsi e fuggire ai modi, e dunque tentare, tentati, la modulazione, la frequentazione

di qualche frequenza, intensità, d’accogliere la variazione come definitiva possibilità, fuori d’ogni possibile possibilitare alcunché, di diversificare l’identico, di ripetere la differenza… ma che si sia ad ogni soglia, d’attimo, in un precipizio in bilico è un altro dato certo, come un cataclisma già da sempre avvenuto di cui le rovine del dovunque ci testimoniano, mute, la catastrofe, il disastro passato, appena avvenuto e a venire… siamo sotto la minaccia d’alcunchè, il disastro è già avvenuto, non s’ha più paura di nulla, mancandosi le possibilità di difesa, mancandoci anche la minaccia da cui difendersi… il disastro è l’imminente,

è il nostro piano di immanenza, è ciò che ci pone, è il mancante sostegno che ci tiene… il disastro è quella dimensione del fuori che inarca e piega ogni singolo frammento della nostra vita… e sarà come il pensare: <<Penser, ce serait nommer (appeller) le

desastre comme arrière-pensèe>> [Blanchot],

è la costante dimensione presente e pur sempre au de là del raggiungibile che costringe il nostro stra-svolgersi nella matassa di un filo… e il noi, che pregiudicatamene uso, non è certo una chiamata alle armi, non è plurale majestatis, non è un rivolgermi ad altri al di fuori di me… non s’ha più d’esser ne d’avere me, il noi è un <<On>>, è uno smembramento che si accosta alle soglie dell’impersonale, il noi, per meglio schiarirsi, è rivolto a tutti i doppi che lottano in “me”, il duellum che da vita alle ferite che fanno corpo, che fanno vita… e così è, per ora…

<<Quand tout s’est obscurci, règne l’éclairement sans lumière qu’annoncent

certaines paroles.>>1 [Blanchot]

FIRMA

- Il segno esteriore - 1 Quando tutto si è oscurato, regna l’illuminazione senza luce che annunciano certe parole.

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4 mura 4

[from] AyL ----

.. .

Non ho nemmeno una stanza tutta per me. Potrei fare carte false per

avere la tua. Ma sono sicuro di poterla avere mai.

Non trattengo il respiro entrando nel sogno. Urlo e piango come un bambino post primo schiaffo della vita.

E' veroverissimo muoio. Mi nego al conoscere. E' veroverissimo. Scompaio un po' tra le righe. A volte sussurri di immagini mi

stringono il collo. C'è una cosa che mi trascino dentro gli occhi. Un film iniettato direttamente nella retina. Futuri impossibili per definizione non realizzabili che bruciando creano effetti ottici

psico-dementi da acido scadente.

Fi

nzio

ni s

trapp

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e

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glia

-test

a "tr

oppo

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uto

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185

kilo

met

riora

ri m

i ric

orda

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assa

ti da

-NO

N

DIM

EN

TIC

AR

E

MA

I- be

llissi

mi.

Mi ricordano che sono meraviglioso.

Ritorno a casa e scappo via. Cosa mi trattiene è la fine di un incubo

che non voglio finisca. Trovarmi alla luce all'improvviso mi strapperebbe gli occhi e le ossa cadrebbero nel rumore di monete. Uno

squillo di telefono “numero che non conosco” mi fa sapere che lo sconosciuto sono IO.

. Tensione da primo amore. Paura di

vedere. Pugni incessanti e invisibili colpiscono scorrettamente il

basso ventre. Blocco. Pausa. Fotografia disarticolata. Cezanne ha

portato i suoi attrezzi per dipingere quella che sarà la sua

visione straordinaria. Non parlo per

parlare. Polaroid muta e istantanea. Stanotte da i brividi sentirsi disillusi. Mi nutro succhiando dream-crisalidi dischiuse e liquide. Nel tentativo. Paura di non essere all'altezza. Blocco. pausa. Paura di non essere unico. Paranoia del nuovo millennio.

4 MURA 4

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- RReevvee -

I contorni gelatinosi come al solito. Le leggi fisiche che vigono sono differenti, e compiere

due semplici passi mi costa molta più fatica del solito. L’avanzata si rivela un’impresa

ardua. L’aria è irrespirabile. Probabilmente la sua composizione chimica è leggermente

diversa. Ho bisogno di un po’ di tempo per abituarmici. Respiro a fatica, tuttavia respiro.

Inquietante come un racconto di Poe e assurdo come un film di Bunuel, questo è ciò che

sto vivendo. A questo punto mi rimane una sola cosa da fare, gridare. La salvezza in un

grido. Munch mi capirebbe. Ma non una sola sillaba vibra attraverso le mie corde vocali.

Forse neanche sono provvisto di tale organo fonatorio. Mi sforzo. Mi contorco. Niente.

Sono muto. Nel silenzio più totale. Non riesco più neanche a compiere un passo. Non

sono disperato, sono la disperazione stessa. Posso solo contorcermi e strappare ogni

capello dal mio cranio.

ZERO

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Paura di essere solo e solamente qualcuno. Presentandosi questa

ipotesi Fossi tossici mi aspettano per riciclarmi in un karma-buddista pop-

americano. Per essere un profumo o un sapone. Prodotto di bellezza

altrui. Macchina accessoriale di signore alla moda. Te

nsio

ne d

a pr

imo

amor

e.

Tens

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No

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Te

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Te

nsio

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a pr

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iara

zion

e.

Si.

No.

.

.

. Avere un corpo sbagliato. Avere un corpo giusto e una testa inutile.

Aspetto la ghigliottina. Scrivo parole che potresti usare contro di me perchè mi si

piantino nel ritorno come un boomerang in piena faccia.

Sciorino capi d'accusa dove sono io l'imputato. Avvocato difensore del diavolo. Io.

La faccio da padrone. Mi avvicinerei inseguendo-sciogliendo nella lingua

i tuoi odori . . . . . . . .

Smetto di scrivere. La curiosità mi rode. Molto mi rode. Ma senza questo mio sgambettarmi

continuamente non farei nulla di buono. Domande. Come scegliere tra un mazzo di carte truccate la carta che

sai già di avermi messo in mano. Rispondi... al silenzio. Arma con cui puoi cominciare a tagliarmi la testa. Io quando sono

stanco sto seduto sul letto. Satie. Oppure radiohead a volume-soffio. una sola candela se è buio.

Ora sono stanco. fakeplastictrees.

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Wjub!Opwb!

Il balordo, che mi implorava da terra, non sapeva che il mio bastone aveva un’anima in ferro di cui andava fiero. Il balordo, sempre lo stesso, non sapeva nemmeno che un bastone con l’anima in ferro, può portare alla morte.

Ci sono tante cose che le persone non sanno: quello che ci aspetta dopo la morte, il perché veniamo al mondo. Lui avrebbe trovato una risposta alla prima domanda, Io alla seconda.

Ora anche io avevo un’anima in ferro di cui andare fiero.

Ero venuto al mondo per fare del male. Fu così che commisi il mio primo omicidio.

Traccia una linea a terra, varcala e ti sentirai meglio.

Io la linea l’ho tracciata col sangue del balordo, e l’ho varcata uccidendolo.

Mai sentito meglio. Oltre di essa c’era tutto un universo ad aspettarmi.

Assaggia la morte e sentirai la vita. Quello che giaceva per terra riverso in una pozza rossa di vita passata non era il semplice cadavere di un balordo, ma la materializzazione di ciò che ero stato. Muovendomi a mio agio, nei panni di neo nato, lasciai alle spalle la muta di serpente disorientato che fu l’altare del mio fallimento.

il mondo è ora pronto ad accogliermi e voi ad adorarmi.

ZERO

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Penso alla casa e, insieme all'odore della tua pelle nuda e umida,ho in mente la mia casa. Mangio-assorbo dentro di me le immagini sante del tuo rito sintonizzato su canali catodici. Capto onde meravigliose. da lasciar asciugare sul mio foglio bianco. Colei che muove la mia penna è la linea già scritta un attimo prima del big-bang. Nelle mie mani ritrovo lo stupore della prima volta. Tutto è già stato scritto tranne il mio corpo che sottrae a se stesso tutto lo spazio bianco del mondo. Scrivo cancellature.

Creo lenzuola su corpi ripieni di voglie da non dire. Pensieri da non dire. Cose da non

fare. Le lenzuola racchiudono torbidi inganni e verità assolute. Faccio l'amore più di me

stesso con gesti di porno-tele dadaiste ricucendo i brandelli di un sesso-perduto

prustiano. Il senso di annegamento mi offrono le

lenzuola risvegliate. Quelle che si stroppicciano gli occhi non sapendo dove

sono cadute. Dal tuo soffitto è così. E' lucido. Tutto in

technicolor. Linee profonde racchiudono i colori. Saturo

Mi piace far rotolare la testa tra piedi che hanno anche mani per sollevarmi.

Ottenendo slave-attenzioni più fluide meravigliose fino alla ribellione.

J Ayl-------

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EYES’

Gli occhi. Solo quelli. Luminosi palloncini incollati al tuo soffitto.

Hanno dentro una vasca che ha dentro l'acqua che ha dentro sapone che ha dentro

te Che ha dentro lacrime di te. Vivo da solo in un monolocale quadrato e

vengo qualche volta dentro te stessa a mischiare le carte false dei miei giochi

lontani. Non ho vita facile.

Scalcio dentro le tue emorragie. Vorrei essere il tuo sangue. Violentare le tue vene

e correre inseguendo l'ossigeno pompato fino a fecondare il tuo cuore. E poi ancora.

Replicarmi nel tuo midollo e visitare me stesso dal balcone dei tuoi occhi di fronte

allo specchio. Fare ampi saluti da la sopra e sorrisi pettinati di bianco. Al gala di una sera

andrò come ospite nel palazzo delle tue labbra. Nella stanza più morbida del tuo

corpo cadrò rotolando e risucchiato mi rimetterai in circolo.

E se rinasco gatto mi raggomitolerò nella tua sedia di paglia. Osserverò muto il rito di

un bagno caldo. Porterò nelle mie mani l'incenso.

(or.slave.attention)

E nei riflessi di candele apparecchiate sulle mattonelle andrò in mille pezzettini, come stelle, mentre il tuo ginocchio scende nell'acqua oltre una tavolata di vapore. Il pranzo è quasi pronto. Gli uccelli portano in bocca le nuvole. Pasto di luna e stelle. Chiudendo fuori dalla tua finestra strade illuminate e rumori violenti di serrande cadute sotto il peso della notte. Entreranno soffocate dentro l'acqua vibrazioni clandestine pronte ad essere rispedite al mittente. Me. Sempre più povere e affamate. I ragni con le teste fuori dalle loro tele sono pronti a suonare le melodie che gli hai messo in testa. Ammaliati dalla sonorità dei tuoi pensieri vorranno aggiungere la loro voce all'orchestra del tuoi respiri.

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[from] - - - - - A Y L

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PoRSIPorNo ........fradici_ da dietro U. mugola, rantola stuprat_ in sincrono da W. e A. l’androgin_. N. con in bocca T., piange e sanguina e ride di torture medievali quali gelido dildo d’acciaio bitorzoluto e acuminato conficcato da ore dentro, con *. il carnefice a lavorare di lama e sesso su calde emorragie fresche di secondi e subito dilaniate. T. lecca, mangia latex, stivali, viscidi di condensa e liquido e tacchi spillo sulla schiena

e sulle mani a regalar_ nuove stigmate da Trampling addicted e cera calda a cementar_ gli occhi. H. su I. stampa lividi in tempo reale sul biancore norvegese della sua pelle e dolce bacia capezzoli ormai blu, mentre S., #. e C.

fus_ in piramide da carne gonfia bollente di sangue impazzito e sonde manuali ,soffocano quasi un_ alla volta dentro sacchetti di plastica e tourniquet del

colore dell’ amore. R. in nazi-mise, dispensa magnanim_ decise frustate sul gruppo, su E. si accanisce, ci da dentro come su

tigre ribelle. Sonore, tagliano l’aria e la cute, seguiti gli schianti, solo da vagire d’un_ schiav_ degn_ solo dell’accanirsi

d’una frusta. In catene, E. assapora sangue e cuoio e tendini di maiale

trattati e annodati e impugnati e schiantati sulla sua pelle consenziente

al martirio. In tutte le sue sfumature.

In tutte le sue consistenze. Carne. E’ subito chiaro che si tratta di fottere. Come dio comanda. Come da sempre vieta. Come solo chi s’annulla

può. Fare. Farsi. Fottere. E’ un macello prima del macello o durante.

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De-liri©o

<< Remplacez l’anamnèse par l’oubli, l’interprétation par la expérimentation >>1 (Deleuze)

Le cose ci sono di contrasto, dure, impenetrabili, e continuiamo a sbatterci la testa sopra, finché non si scopre come usarle, finché non troviamo

come riuscire a forzarne la loro chiusura, finché non riusciamo a consumarci con loro…

Batterio inerme destituito da un cadavere di cui nutrirsi e catapultato in un’asettica, igienica, sterilizzata natura… solo resistere, non altro, ogni

gesto un attacco di autodifesa… contro l’altrui per difendersi da se stessi… e la rivolta non è vita… ne è il suo contraltare… costante

trapassare di perno in perno… e la consunzione non è progressione, è la natura dell’istante, secco nel suo sbocciare, stanco del suo vigore…

l’impossibile… non è altro mi è dato…

Pulsa la testa di magma cerebrale… ogni connessione neurale brucia come una rivelazione… il sangue che mi circola dentro è quello versato per qualche martirio, per qualche ossessione di santità… verso lacrime secche nate da deserti profondi e ampi come la Mancanza… Mi disseto

delle ceneri e rabbia che rendono arsa la gola permettendomi di produrre una sola voce, un grido, un pianto strozzati, che si fanno udire come musica del trambusto che mi si rovina dentro… il cuore intanto vibra spinto dal suo scaldarsi… non per altro che per amarsi batte il mio

cuore… il suo pulsare è di natura incorruttibile, non si piega a qualche voglia che non sia il suo stesso accelerare il proprio amore, il proprio

vibrare…

1 << Rimpiazzate l’anamnesi con l’oblio, l’interpretazione con la sperimentazione >>

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Si vive, si muore. Quale ruolo ha la volontà in tutto ciò? Pare che ci si uccida nello stesso modo in cui si sogna. Non è un problema morale quello che poniamo:

Questa domanda è stata posta ne “La Révolution Surréaliste”. noi riproponiamo il quesito dopo “l’amara vittoria” surrealista. Sconfitto il “sogno” il problema rimane insoluto. Bandiamo la letteratura.

Non mandateci i vostri raccontini, per l’amor

del cielo! Tale materiale non verrà neppure cestinato. Ci riserviamo il sacrosanto dovere di non disgustare al tal punto il cestino. Non si tratta di scrivere un racconto a tema. Il suicidio non può essere “tematizzato”, non può essere descritto, non ci si può fermare a guardarlo, forse… non si può… superare. C’è un inghippo,

un ingranaggio che esplode, che si blocca non per mancanza di energia ma per, all’opposto di una presenza di energia tendente infinitamente a zero senza che questa arrivi mai alla fine. Il traguardo, è ovvio, segue il passo. L’obbiettivo se davvero ce ne uno, e uno solo, è quello di raccogliere riflessioni, appunti, lettere, scritti, tracce, forme di tutto ciò che al suicidio si fa intorno, organizzarlo in un quaderno suicidato, un

corpo che scompare dietro il gesto creatore. Tale gesto, di natura alquanto strana, perché impossibilitato a creare, all’esistere poiché per sua natura creatore ed esistente. Che fare? Assumersi il rischio… …e la sua soluzione. Non c’è termine per l’invio dei lavori, solo la certezza che un giorno verranno chiusi.

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Il brulicare d’una fossa comune mai paga di

vita. Paradisiaca epilettica bolgia. Solo

molecole in brama d’attrito. Solo infiniti

punti pronti a esplodere, a bruciare

nella fugacità dell’istante. Solo carne senza passato o futuro.

Carenze colmate sino al tracimare.

Beata è la dannazione nell’assenza d’una responsabilità. Nessun dover o non poter. Nella contemporaneità. Con flemma rituale, P, libera dalle braci l’asta in metallo. All’estremo rovente, dei caratteri. Dei versi di fuoco. Piano. Sulla schiena nuda di Z.

EAT MY MEAT MEET MY MEAT

I’M MY MEAT ME’S MEAT

MEAT, I’M IT

Con le scapole a incorniciare membra umiliate dal fuoco. Piange. Ride. Sussurra.

“Meat,……..just meat”

KAIN

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fRAMMENTO # 2 di nuovo qui?

mi hai cercato

qualcosa mi appartiene

li ho distrutti

li ho dimenticati

pezzi di te

sono incompleto

anche prima era diverso

coprivo buchi era amore

solamente una parola combaciavamo

fingevamo entusi[a(s)marsi]

per dei buchi

l’acqua…

affondi salvami

non posso ?

ho aperto il rubinetto ?

ti ho amato

ZER

O

Nella solitudine

l’individuo si divora da solo,

nella moltitudine lo

divorano i molti.

Ora scegli.

F.W. N

ietzsche

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I numeri sono pubblicati e liberamente scaricabili su WEB: http://eggs.altervista.org un chronicon della nostra attività è visionabile su BLOG: www.eggs.splinder.com

collaborazioni; commenti E-MAIL

[email protected] il nostro indirizzo e-mail è inoltre a disposizione dei lettori per richiedere copie dei numeri arretrati

Ve

rsi

on

e C

arta

ce

a

Libreria “Il Bastione” Piazza Costituzione, 4, Cagliari Libreria “Ex Libris punto Einaudi” Via Garibaldi, 5, Cagliari Zimbra Records Via Eleonora d’Arborea, 3, Cagliari Laboratorio Follevolo Via Garibaldi, 90, Cagliari Libreria “DATTENA” Via Lampedusa, 40, Capoterra (CA) CLOCHARD! Via Cavour, 81, Cagliari V.O. Librairie Internazionale 36, rue de tornai, Lille, FR

Articolo 21

Tutti hanno il diritto di manifestare liberamete il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

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