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I L S IGNOR E M O NTAGNA DELLA E’ certo che, per aspetto fisico e intelligenza, l’Orso è, nel vecchio continente, l’animale più vicino all’uomo… Ma allora perché costui si accanisce tanto contro di lui? © SILVANO PAIOLA - DATI EXIF NON DISPONIBILI di Franco Tassi Giornalista, ricercatore, naturalista. Responsabile Centro Parchi di Roma Foto di: Silvano Paiola Angelo Gandolfi Chirstian P. Ricci Giorgio Marcoaldi Gaetano de Persiis Valentino Mastrella Massimiliano Dorigo

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MONTAGNADELLA

E’ certo che, per aspetto fisico e intelligenza, l’Orso è, nel vecchio continente, l’animale più vicino all’uomo… Ma allora perché costui si accanisce tanto contro di lui?

© SILVANO PAIOLA - DATI EXIF NON DISPONIBILI

di Franco Tassi

Giornalista, ricercatore,naturalista. ResponsabileCentro Parchi di Roma

Foto di:

Silvano PaiolaAngelo GandolfiChirstian P. RicciGiorgio MarcoaldiGaetano de PersiisValentino MastrellaMassimiliano Dorigo

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ORSO VIVRAI?

Dove aleggia lo spirito dei boschi...

Non so bene perché, ma c’èqualcosa nell’orso che inducead amarlo”, si chiedeva all’i-

nizio del secolo scorso James OliverCurwood, cantore del Grande Nord eautore del romanzo “The GrizzlyKing”. E forse proprio questo è il pri-mo impulso che si avverte pensandoall’orso, che si tratti del grosso ma-schio eremita vagabondo, o di mam-ma orsa, che cura amorevolmente i vi-vacissimi cuccioli. Ma non c’è solo lasimpatia, questo bestione ispira moltodi più: perché, come diceva Dino Buz-zati, “L’orso è anche avventura, favo-la, leggenda, continuazione di una vitaantichissima, scomparsa la quale cisentiremmo tutti un poco più poveri epiù tristi...” Una sensazione condivisada tutti, nel vecchio continente, datoche, ammonisce Robert Hainard, “U-na foresta senza orsi non è una veraforesta”. E che ha lontane radici anchenel nuovo continente, evocate dal ca-po pellerossa Dan George: “Oggi lospirito del grande orso è scomparso da

gran parte della nostra terra, ma altempo dei nostri nonni era dovunque,e tutti lo rispettavano, perché più fortee potente di ogni valoroso guerriero.Qui, dove vive ancora, lo spirito delgrande orso riempie la terra... Io pregonel mio cuore per il suo futuro”.Ammirazione e rispetto, è vero: ma lamole imponente e la forza poderosa(pari a quella, si diceva, di nove uomi-ni) incutevano anche terrore, lasciava-no senza fiato o spingevano alla fuga,suscitando così quello strano rapportodi amore e odio, che ha sempre in-fluenzato, e sta ancora condizionando,il destino di questa mitica creatura. In-fatti, come afferma Franco Cardini,“L’orso è forse l’animale rispetto alquale l’uomo avverte maggiormentela sua posizione contraddittoria nelrapporto con il mondo animale: unaduplice apparenza di energia guerrierae d’affetto fraterno. L’orso è feroce,eppure simpatico: e nelle sue movenzericorda spesso l’uomo”.Proprio per questo, nell’antichità l’or-so era venerato come divinità, nel Me-dioevo veniva considerato “il re deglianimali”, e il culto legato alla sua im-magine di animale-totem, attraverso isuoi nomi, ha lasciato traccia profonda

nella nostra storia e cultura. L’europeoorks, il greco arktos e il latino ursus,onomatopeici del verso (grugnito o ru-glio); l’anglosassone baer, ispirato alcolorito bruno; lo slavo medved’, chene ricorda la golosità per il miele; l’in-diano bhalu, da cui nacque l’orso Balùdel Libro della Giungla di Kipling.Come non accorgersi che da questoin contrastato sovrano della naturahan no tratto origine e ispirazione ladea Artemide, il re Artù dalla forzaleggendaria, e Bernardo, l’uomo fortecome un orso. Oltre a città grandi epiccole, famose e sconosciute, da Ber-lino e Berna, fino a Orsogna e Orso-marso, e molte altre... L’orso è il simbolo della natura invio-lata, ma anche un prezioso rivelatoredell’integrità morale dell’uomo, dellasua effettiva volontà e capacità di ri-spettare esseri tanto diversi da lui, riu-scendo a convivere con loro senza dis-sacrare la parte ancora vera e viva dimadre terra. Ma osservando la realtàdi Paesi avanzati come il nostro, e ap-profondendo le recenti vicende, ci siaccorgerà che non sempre, purtroppo,coloro che si ritengono progrediti sonodavvero capaci di offrire le miglioriprove di autentica civiltà.

L’Orso bruno in Italia sopravviverà? Come placare l’invadenza

e l’arroganza dei “nuovi barbari” padroni della terra?

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Nell’antichità l’orso eravenerato come divinità.

Nel Medioevo venivaconsiderato come il

“Re di tutti gli animali”

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fa in Slovenia, e introdotti poi nel Trentino, conun ambizioso progetto animato dalle miglioriintenzioni, ma assai poco consapevole dellestrategie da seguire di fronte a personalità evo-lute e complesse come quelle dei plantigradi.Strappare un pacifico animale vagabondo amontagne boscose, tranquille e poco popolatecome quelle della Slovenia, catapultandolo al-l’improvviso nei territori ben più ampiamenteantropizzati del Trentino, dove tra malghe ecolture, attività turistiche e sportive, l’incontrocon l’uomo è assai più frequente, può crearenon pochi conflitti. La gente locale, non prepa-rata, si trova davanti a sorprese inattese, e nonsa come comportarsi. E che dire dell’orso, co-stretto ad affrontare una quantità di situazioniimpreviste? Incontri ravvicinati sempre stres-santi per un animale selvatico, e particolarmen-te delicati per una femmina con i cuccioli. Mal-grado questo, l’orsa di solito non si dimostrarealmente aggressiva, ma si esibisce in finti at-tacchi per allontanare gli intrusi dalla propriaprole. Perché se davvero uno di questi animaliavesse voluto combattere un presunto nemico,questo non starebbe qui a raccontarlo.Forse pochi sanno che da tempo era iniziato unritorno spontaneo di orsi dalla Slovenia, lentoma progressivo, e un individuo era stato persi-no filmato presso il Parco dello Stelvio! I plan-tigradi ormai abbondanti ad Est avrebbero cer-cato nuovi territori in Italia, trovando da soli gliambienti più remoti e meno disturbati, e sareb-be stato fondamentale coadiuvarli in questa “e-spansione spontanea”. Si sarebbe formata unapopolazione vitale, senza grandi spese e pro-blemi, assecondando le leggi della Natura.

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A Brasov, in Romania, gli orsi si avvicinano alle auto e alle abitazioni in cerca di cibo

Pur rappresentando un pericolo, vengono tuttavia tollerati perchè attirano i turisti

DAL TRENTINO CON ORRORE

Orsi uccisi o imprigionatiE diluvi di chiacchiere inutili

All’apice della calura estiva, il CAOS(=CAso OrSo Italia) è esploso dirom-pente sulle cronache, suscitando con-

flitti e polemiche, dalle Alpi agli Appennini.L’episodio più drammatico è stato quello del-l’orsa KJ2, condannata a morte senza contrad-dittorio né appello, per il solo fatto di esistere,lasciando orfani i suoi orsacchiotti. Sul Frontedi una Natura che si giura di amare e protegge-re, ma che è invece sempre più assediata, rapi-nata e meno rispettata. Proprio come era acca-duto in precedenza con Daniza. Storie diverse,destini separati, ma sempre con un comune, fa-tale epilogo: la morte.La responsabilità del fallimento è certamentepolitica, ma la tecnocrazia e i baronati non neescono affatto indenni. E la stampa? Pronta afantasticare e a drammatizzare, sbattendo la“belva feroce” in prima pagina, non è certo in-nocente. Per far cassa, avrebbe intervistato an-che Topo Gigio, ma si è ben guardata dall’ap-profondire la vicenda, scavare la memoria sto-rica, sentire le voci di coloro che avrebbero po-tuto chiarire la verità. E forse anche aiutare atrovare soluzioni...Gli orsi oggi vaganti in Trentino non sono quel-li storicamente originari di questo territorio, vir-tualmente sterminati appena pochi decenni fa.Sono il risultato di una “immigrazione forzata”di tipo speciale. Si tratta infatti, come nel casodei Pirenei Francesi, di individui acquistati anni

Il terrificante orso impagliato custodito nel castello di Snežnik (Monte Nevoso)Da Kocevje, nello Slovenia meridionale, provengono gli orsi reintrodotti nel Trentino

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L’orso è l’incarnazione vivente del-l’ostilità al progresso, e la protestaarmata dei diritti rivendicati dall’A-nimale contro l’autorità dell’Uomo.

(Alphonse Toussenel, 1847)

Non molestare mai i cuccioli di altri,ma chiamali fratello e sorella. Senzadubbio sono deboli e goffi, ma puòdarsi che la loro madre sia l’orsa...

(Rudyard Kipling, 1894)

Pescasseroli e i suoi dintorni desta-rono particolare interessamento, co-sì per la bellezza naturale della re-gione come per la sua importanzazoologica, a causa dell’orso, il qualeè purtroppo minacciato di distruzio-ne. (Benedetto Croce, 1921)

Senza tale istituzione (il Parco Na-zionale) la razza del pacifico carni-voro che, innocuo eremita, vive isuoi giorni solitari negli annosi bo-schi della Marsica, sarebbe scom-parsa. (Erminio Sipari, 1926)

Amici Abruzzesi, dovete salvare atutti i costi il vostro Parco. I laccidei bracconieri, le schioppettatecontinuano il loro sterminio. Si so-no accordati diabolicamente, que-sti mezzi distruttivi, con l’accetta econ la sega. Come potrà sopravvi-vere l’orso, al quale viene toltol’habitat? (Renzo Videsott, 1947)

Una verità fondamentale sull’orsoè che lui non si trova mai troppolontano dal suo prossimo pasto.

(Earl Gustkey, 1983)

Il Direttore del Parco d’AbruzzoFranco Tassi ha raggiunto lo scopoche sembrava impossibile: ha sal-vato i suoi orsi, e incrementato ibenefici per la gente del posto.

(Ulrich Wotshikowsky, 1991)

Tutti gli uomini dell’orso. Ecco lepersone che combattono in primalinea: Domenico Boccia, Luigi Boita-ni, Franco Caramanico, Aldo Di Be-nedetto, Giovanni Potena, Giusep-pe Rossi. (Francesco Petretti, 2007)

Orsi “confidenti”? Orsi “problema-tici”? Dopo averli adescati con sub-doli richiami olfattivi a base di pollie di pesce, ora li insultiamo anche,chiamandoli così, come fosse colpaloro, o pura fatalità (Act of God)…Non c’è dubbio invece che la colpaè dell’uomo, come sempre igno-rante e invadente (Action of Man).Chi saranno i responsabili di questofallimento? Tra politica bugiarda,tecnocrazie incapaci, media asser-viti e avide baronìe, c’è solo l’imba-razzo della scelta… Ma forse, infondo, sono tutti coinvolti.

(Franco Tassi, 2008)

A F O R I S M I U R S I N I

Hanno detto sull’orso...

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Nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, la popolazione di orsi marsicani viene

controllata con programmi di monitoraggio anche attraverso l’utilizzo di radiocollari

In natura, dove non ci sono interferenze umane, la dieta dell’orso è molto variegata

e comprende piccole prede, frutta, bacche, radici, miele, carogne e perfino insetti

voluto ascoltare. Ora si parla di boicot-tarne prodotti e turismo, e il Trentino èmesso alla gogna di fronte al mondo.E quindi, come era fa cilmente preve-dibile, ha perso. O me glio, abbiamoperso tutti, dimostrando ancora unavolta che l’uomo contemporaneo,chiuso nel proprio mio pe egoismo, nonsembra più capace di vivere in armoniacon la vera natura.

SILENZI E BUGIE

Quante menzognesull’Orso marsicano

Orsi alla ribalta della cronaca,natura sempre più assediata,parchi nazionali ieri mitici oggi

allo sbando... Anche per l’Abruzzo,come per il Trentino, è giunto il mo-mento della verità?Sembra incredibile che, in questa so-cietà ormai capovolta, anche l’animalepiù amato del nostro Paese, l’Orso bru-no marsicano, sia diventato vittima divanità individuali e appetiti baronali,accaparramento di fondi e contese po-litiche. Diventando facile e comodobersaglio di spietate uccisioni, senzache la società civile sapesse opporsi ef-ficacemente alla violenza gratuita, al-l’invasione del suo territorio, all’inet-titudine di chi avrebbe dovuto difen-derlo, e a tutte le ridicole sceneggiate

Inutilmente, il Gruppo Orso avevatentato di spiegare che sarebbe statoassai meglio favorire questo gradualeritorno del grande mammifero vaga-bondo, creando un “corridoio ecologi -co” di ambienti naturali non contami-nati da veleni, e ricchi di frutta, bacchee insetti, sostenuto anche dagli stessiproduttori di mele. Una larga “fasciabiologica” di “mele con il baco” a -vreb be comportato sì, qualche piccolosacrificio ai non certo indigenti pro-duttori di frutta, ma avrebbe garantitoprestigio ecologico e altissima visibi-lità. Si è preferito invece scavalcare leleggi della Natura, puntando diritto aifondi dell’Unione Europea (si parla di8 milioni di euro, ma c’è chi sostieneche i fondi pubblici assorbiti dall’ope-razione, con buona pace della cortedei conti, risulteranno molti di più).Si è così soddisfatto il bisogno dellaSlovenia di “vendere” fauna, certo: eanche quello di accademici e tecno-crati di governare la situazione. Con-fidando troppo nelle moderne scienze,tecnologie e farmacologie (catture,trasporti, manipolazioni, radiocollari,microchips, trasmettitori, gps, spara-siringhe, dardi, sedazioni, anestesie,narcotici, tranquillanti, monitoraggi: echi più ne ha, più ne metta). Ma poi,come si fa a individuare una creaturavivente non con un nome di persona,o di località, ma con una sigla del tipo

XKJ? Presto, in omaggio alle “magni-fiche sorti e progressive”, dovremo ri-conoscerla con un “codice a barre”?Con i risultati, che sono sotto agli oc-chi di tutti...Perché purtroppo si è lasciato ben po-co spazio alla cultura e all’emozione,alla curiosità e alla scoperta, all’infor-mazione e all’educazione ambientale,dalle scuole ai mezzi di comunicazio-ne: e cioè alla strategia illuminante,che avrebbe in breve tempo cambiatola mentalità dominante. Soprattutto seuna parte di quei fondi fosse stata spe-sa a preparare e impegnare giovaniinformatori locali, per illustrare i gran-di vantaggi culturali, naturalistici, eco -logici, eco-turistici del ritorno di unaspecie-totem come questa. Come mainegli USA i grandi Orsi (vedi Yellow-stone e dintorni: Yoghi, Bubu e TeddyBear) rappresentano simboli amatissi-mi della Natura Protetta, mentre danoi ci si affanna a perseguitarli e mas-sacrarli? Non è anche questo un segnodi profonda inciviltà?Qualcuno dovrebbe spiegare alla gen-te che respinge questo pacifico bestio-ne che, se le loro foreste e montagnesaranno capaci di ospitare, mostrare edifendere la grande fauna, le comunitàlocali ne trarranno notevoli benefici.Così avviene sempre nei Parchi di tut-to il mondo, anche a due passi da noi.Lo dimostrano, con fatti e cifre incon-

futabili, il Parco Nazionale d’Abruzzopioniere delle Aree Faunistiche, i Par-chi di Visione in Francia e gli ItinerariFaunistici del Parco Nazionale dellaForesta Bavarese. Non è certo un ca-so, se i villaggi adiacenti a queste lun-gimiranti realtà sono oggi i più fre-quentati, floridi e partecipi dell’interocomprensorio.Ma in Italia si preferisce seguire stradediverse: e i disinvolti operatori attuali,tanto nelle Alpi quanto negli Appen-nini, vantano autorità assoluta e sde-gnano aiuti, informazioni e consigli.Erano e sono ancora sostenuti dalla ri -di cola pretesa di saper addomesticarela natura selvaggia, non educandol’uo mo, ma “robotizzando” l’orso.Non li sfiora l’idea che rispettare laparte più integra del territorio, lasciarel’ecosistema alla libera e spontanea e-voluzione, saper convivere con lastraordinaria biodiversità che hanno lafortuna di custodire, sia la vera provadi civiltà e rappresenti il miglior inve-stimento per il futuro.Un Trentino che avesse potenziato ilParco dello Stelvio, anziché disgregar-lo; che avesse accolto l’orso a bracciaaperte; e che avesse investito sulla cul-tura della natura, anziché su quella diimpianti, edilizia e cemento, sarebbediventato un fiore all’occhiello delBel paese e un grande attrattore eco-tu-ristico internazionale. Invece, non ha

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del teatrino mediatico. A dimostrarlo senz’ombra didubbio furono le stragi dell’autunno 2007, allorchéparecchi plantigradi vennero trovati morti, per causetutt’altro che naturali, a due passi da Pescasseroli. Unastrage simile, nel cuore del Parco Nazionale d’Abruz-zo, non aveva precedenti: tre orsi uccisi (ma c’è chidice fossero cinque), e con loro due lupi appenninici(ma forse erano quattro), molti cinghiali, e poi volpi evari altri animali selvatici e domestici.Scoppiò allora un vero “scandalo internazionale”, pro-prio come oltre mezzo secolo fa, all’epoca dei primiassalti della speculazione selvaggia. Quando l’Italiaera finita alla ribalta europea e mondiale da protago-nista, non per meriti ecologici, ma per la devastazionedel suo Parco gioiello: risale infatti al 1964 la primamozione di censura dell’Unione Mondiale per la Na-tura. Tra enfasi logorroica e silenzi reticenti, eroici proclamidi guerra e lamentose geremiadi, manifesti politici epasserelle mediatiche, fu tutto un distogliere l’atten-zione, correre ai ripari, annunciare imminenti grandinovità poi mai arrivate, decantare autorevoli analisi einterminabili perizie, esibire improbabili “esperti”:guardandosi bene però dal consultare le vere fonti cre-dibili, e non vedendo ciò che era sotto agli occhi ditutti... Perché nei bar, sottovoce, già circolavano i nomidei responsabili, non locali e comunque non privi dialte protezioni. Tutto nella più grande confusione, cosìda calare sui fatti una cortina di fittissima nebbia, de-cretando una “pausa di riflessione” che fece poi di-menticare, giorno dopo giorno, l’atroce tragedia. Di simili pause di riflessione abbonda il “Bel Paese”,dove all’indignazione generale succedono disatten-zione e oblìo: come accade ogni anno per incendi e al-luvioni, abusivismi e condoni, voltafaccia e corruzioni,inquinamenti e rifiuti. Può darsi che, prima o poi, in-dagini più accurate lacereranno il sipario di questo as-surdo teatro, scaraventando nei nostri occhi e nel no-stro cuore lo spettacolo atroce di animali indifesi chemuoiono tra mille tormenti, e di interessi egoistici checontinuano inesorabilmente a cancellare la vita spon-tanea di una terra meravigliosa: e rivelando anche lottedi potere avallate da silenzi, complicità e disonestà.Qualcuno venne allora indagato, e l’ultima speranzaera riposta ormai nella magistratura, che avrebbe po-tuto finalmente rivelare la verità sugli abusi: bocconiavvelenati e trappole sparsi ovunque nel Parco, e man-drie abusive di vacche transumanti proprio in queglisplendidi pascoli, che dovevano restare riservati allafauna selvatica. Invece non avvenne proprio nulla: gliassassini rimasero impuniti, i veleni continuarono aessere sparsi, e non furono bloccate le invadenti “vac-che sacre” (come le chiamano in Aspromonte). A im-pedirlo si ergeva un invalicabile muro di melme e sab-bie mobili, che non fu possibile valicare.Sull’orso marsicano si raccontano da sempre storievere o fantasiose, opportuniste o disinteressate: ma og-gi la situazione sembra radicalmente cambiata. Propriomentre la sua sopravvivenza diventava un fatto di ri-lievo internazionale, gli orsi d’Abruzzo continuavanoa cadere uno dopo l’altro, per cause molteplici più omeno evidenti, intricate e sommate tra loro. Per capirela verità occorre illustrare, sia pure in sintesi, i princi-pali aspetti di questo particolare “giallo” all’italiana,che sta assumendo piuttosto i connotati del “noir”.Si era parlato di infezioni virali, poi di stricnina e quin-di di avvelenamento delle acque. In certi casi si eragiunti ad evocare cause naturali, fluttuazioni fisiolo-

Prima o poi tutti gli orsi che non evitano né fuggonol’uomo e frequentano i villaggi alla ricerca di cibo,

rischiano di essere barbaramente assassinati

Il primo ad accorgersi che l’Orsod’Abruzzo era assai diverso da-gli altri orsi bruni fu un medico

naturalista del Molise, GiuseppeAltobello, che lo descrisse nel 1921come sottospecie, denominandoloUrsus arctos marsicanus. Molti ac-cademici mostrarono però scettici-smo, come spesso avviene di fron-te alle scoperte di cui non si senta-no protagonisti e padroni. Ma nel1954 il paleontologo Sergio Conticonfermò le notevoli differenze an-che nella dentatura, nettamente e-voluta in senso vegetariano.Assumendo la direzione del Parcod’Abruzzo nel 1969, ero certo chesi trattasse comunque di unostraordinario endemismo da salva-re. Così pensavo anche del Lupo appenninico, del Camosciod’Abruzzo, dello Scoiattolo meridionale, della misteriosa Linceappenninica e di molti altri preziosi gioielli della fauna e floratipici della penisola. E negli anni successivi, infatti, arrivaronomolte conferme. Anzitutto grazie alle ricerche del Centro StudiEcologici Appenninici sulla grande fauna, tra le prime in Europafinalizzate alla conservazione di animali a rischio di estinzione.Nel 1971 il Parco e il WWF affidarono uno studio sull’Orso mar-sicano allo specialista canadese Stephen Herrero. A lui affiancai,andando personalmente a reclutarlo nel Parco Gran Paradiso,un giovane appassionato, Franco Zunino, al quale avrei poi af-fidato il ruolo di Tecnico Naturalista del Parco. Dalle ricerche ri-

sultava confermata l’indole pacificadi questo grande carnivoro, in pra-tica onnivoro, legittimando l’ipotesiche ciò fosse dovuto alla millenaria“selezione” dell’uomo, che avevaprogressivamente eliminato tutti gliindividui più aggressivi.Un altro spunto interessante vennenel 1990 dalla visita dell’amico crip-tozoologo Bernard Heuvelmans,che osservando con attenzionel’Orso marsicano, avanzò l’ipotesiche dovesse parte del proprio pa-trimonio genetico allo scomparsoOrso delle caverne (Ursus spe-laeus). E in effetti lo studio accura-to delle peculiari caratteristichemorfologiche, e soprattutto cranio-logiche, stimolò il Centro Studi a

pubblicare in proposito, nel 1997, un ulteriore accurato studionell’ambito del Progetto Biodiversità.Ora queste differenze hanno trovato definitiva conferma nellagenetica, grazie ai recenti studi dell’Università di Ferrara, chehanno riscontrato in questa piccola popolazione superstite im-prevedibili qualità nei geni del sistema olfattivo e immunitario,e nelle caratteristiche fisiche e comportamentali, pubblicandofinalmente i risultati delle ricerche sugli Atti dell’Accademia delleScienze USA (2017). Questo spiega meglio la incredibile capa-cità di sopravvivenza, che malgrado i molti pericoli e ostacoli, haconsentito all'Orso marsicano di sopravvivere fino ad oggi.

Franco Tassi

Giuseppe Altobello (1869-1931), il mediconaturalista descrittore dell’Orso marsicano

V E C C H I E E N U O V E T E O R I E S U L L ’ O R S O M A R S I C A N O

Perchè quest’Orso è davvero speciale

La difesa degli orsi passaattraverso la difesa degli ultimispazi selvaggi in cui vivono

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una Corte dei Conti capace di ravvisa-re in questa giostra un vero “danno e-rariale”?Siamo sinceri, cari superstudiosi, eguardiamoci negli occhi: per voi contapiù la salvezza dell’orso o il benesseredel ricercatore? Come nel caso di mol-ti altri animali in pericolo - dal rinoce-ronte alla tigre - il vero “fattore limi-tante” della conservazione non risiedeoggi nella carenza di ricerche scienti-fiche (in certi momenti sì, molto im-portanti, ma purchè ben dirette e poimeglio utilizzate), bensì nella mancan-za assoluta di approccio etico, ecoso-ciologico e interdisciplinare, e di ca-pacità manageriale, concretezza e cre-dibilità.Le conseguenze delle “invasioni bar-bariche” a danno dei poveri orsi non sisono fatte attendere. E’ esploso il pro-blema degli individui dall’insolitocomportamento, prontamente definiti,con disinvolta ipocrisia, “problemati-ci” o “confidenti”. Come se fosse statacolpa loro, mentre una minima onestàintellettuale avrebbe suggerito di chia-marli, piuttosto, “viziati” o “deviati”dall’uomo (non per nulla il termine an-glosassone è “spoiled”). Risultato: pri-ma o poi tutti gli orsi che non evitanoné fuggono l’uomo, frequentano i vil-laggi, e penetrano nei pollai, finirannobarbaramente assassinati.E ancora: ma davvero un orso esistesoltanto se lo catturiamo, misuriamo,pesiamo, e se ne analizziamo il DNA?Al principio del terzo millennio, chivoleva denigrare il Parco affermava,con accademica sicumera, che manca-vano i dati, la specie era praticamenteestinta, o al massimo sopravvivevanoappena una ventina di orsi. Eppure do-vette poi a malincuore ricredersi, rico-noscendo che erano parecchi di più,senza però mai valicare il limite dellacinquantina (mentre in realtà nel 2001,grazie alle ricerche di Hans Roth, mas-simo specialista di plantigradi a livelloeuropeo, era assodato che nel parco edintorni fossero arrivati a un centinaiodi individui, e probabilmente anchepiù). Ma se fossero stati pochissimi,co me spiegherebbero questi sapienti ilfatto certo che, dal 2002 a oggi, sonostati contati più di una sessantina di ca-daveri? Chi sa davvero quanti orsimarsicani sono stati uccisi nell’ultimoquindicennio? Per comprendere qualesia l’entità del disastro, è sufficientequesta semplice, inoppugnabile con-statazione. Il 1° maggio 2004, in unaconferenza stampa, la Direzione delParco fu costretta ad ammettere chenel solo biennio 2002-2003 erano statiperduti almeno 27 individui (ma ilGruppo Orso teme fossero addiritturadi più). E nessun colpevole fu indivi-duato e punito... Come mai?

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giche e persino selezione naturale (po-vero Darwin!). Piovvero discussioni,indagini, analisi, elucubrazioni... Scar-tata l’ipotesi ridicola dei parassiti, latesi più allucinante, a proposito deidue poveri orsacchiotti trovati massa-crati (forse a bastonate), non lontanodalla sede del Parco, fu quella che aucciderli fosse stato un maschio in a-more, “sfidando chiunque a dimostra-re il contrario”. Fu l’ennesimo como-do alibi di chi tutt’al più conosceva gliorsi solo dagli studi americani sulGrizzly, perché in Abruzzo simili casidi “aggressione intraspecifica” non e-rano stati mai registrati, nè si potevanoimmaginare accaduti in autunno, fuoridalla stagione primaverile degli amori.Le indagini del Gruppo Orso rivelaro-no invece una realtà ben diversa, chesi tentò di far comprendere con ognimezzo, ma inutilmente. Nessunamagistratura, nè commissioneparlamentare di inchiesta, e nep-pure commissione europea di in-dagine furono scomodate per ac-quisire documenti e testimonian-ze in proposito, o disporre imme-diate perizie.

LA RICERCA INVASIVA

Moltissimo danaro, ma con quali risultati?

Ma vi sono anche altre ra-gioni che inducono a te-mere per il futuro del-

l’orso, e tra queste spicca una sin-golare anomalìa: proprio quellaricerca scientifica, che avrebbedovuto raccogliere informazionie dati preziosi per orientare l’a-zione di tutela, è diventata negliultimi anni sempre più “invasi-va”. Basata soprattutto su catture,analisi genetiche, radiocollari, control-li satellitari, visibilità mediatica, inter-viste e predicazioni: in altre parole, fi-nalizzata assai più a pubblicazioni,carriere e “benessere del ricercatore”,che alla salvezza del plantigrado. Co-me mai? La risposta non è difficile...Per accedere ai finanziamenti pubbli-ci, soprattutto europei, l’orso rappre-senta la “chiave magica” detta orso-mat (=bancomat), di cui tutti vorreb-bero appropriarsi. Non importa se o-perando non sul campo ma dalla scri-vania, senza contatti con la realtà vivadella montagna appenninica, concompetenze scolastiche ma con tra-boccante prosopopea. Oggi va di mo-da l’analisi del DNA, e ciò suonereb-be ragionevole se ci si limitasse a ri-levarlo su qualche individuo. Ma ilnuovo “vangelo” consiste nel senten-ziare che gli orsi dell’Appennino sia-no solo quelli di cui si è potuto rileva-re il DNA: ecco allora il “valzer delle

cifre”, che ne calcolava prima 20, epoi 30, 40 o 50 e via dicendo... Per riuscire a conoscerli tutti, qualchericercatore sedentario, che aveva forseletto troppi “papers” sugli orsi norda-mericani, viventi in situazioni ben di-verse, pensò bene di copiare goffa-mente alcuni espedienti ingegnosi,che gli operatori d’Oltreoceano ave-vano imitato dall’esperienza pelleros-sa. L’ultimo grido furono quindi le co-siddette “esche olfattive”, collocate sufili spinati sparsi qua e là sul territorio.Voci locali parlano di pollame e ca-scami di pescherìa scelti perché capa-ci di stimolare, meglio di ogni altro ci-bo, il fine olfatto e l’appetito insazia-bile del plantigrado. Se un orso fiuta adistanza qualcosa, abbandona gli iti-nerari abituali, collaudati da lungotempo: e questo comporta già qualche

rischio. Ma se assaggia un cibo nuovoe gradito, ne resta “incapricciato”, econtinuerà a ricercarlo ovunque. Eccoquindi la grande novità del terzo mil-lennio: orsi marsicani che penetranonottetempo nei pollai, spaventando lagente, e acquisendo troppa confidenzacon i centri abitati. E qui il pericolo di-venta reale: non va dimenticato, infat-ti, che si tratta pur sempre di animaliselvatici, timidi e schivi, è vero, chenormalmente evitano l’uomo. Ma sesi muovono a poca distanza da lui po-trebbero, magari in un tentativo di fu-ga, fargli del male. Di fatto, le ricerche invasive hanno fi-nito col modificare le abitudini degliorsi marsicani, condannandoli al“con tatto ravvicinato” con l’uomo, edesponendoli a rischi sempre maggiori.Fino al secolo scorso gli orsi eranocreature mitiche, quasi invisibili esempre inavvicinabili: oggi invece en-trano nei pollai adiacenti alle case, si

arrampicano sui balconi, e creanoscompiglio nei paesi. Occorre ancora una volta ribadire chegli orsi non vanno condizionati attra-verso il cibo, se non in casi estremi,per la loro salvezza: come faceva unavolta il Parco con la campagna ali-mentare, l’operazione “In bocca al-l’orso” e il progetto “Mela-orso”, a di-stanza dagli abitati e allo scopo fon-damentale di nutrirli nel loro ambien-te, evitando allontanamenti, attraver-samenti di strade e ferrovie, e conse-guenti investimenti (una strategia pre-ziosa soprattutto per le femmine con icuccioli: quale aiuto migliore, infatti,degli ottimi pasti autunnali, a due pas-si dalla tana invernale?).Al contrario, ogni disturbo olfattivo,e cibo o rifiuto abbandonato a caso,andrebbe escluso categoricamente. Lo

hanno capito da tempo in Ameri-ca, dove per vietare di nutrire gliorsi disseminano avvisi del tipo:“A fed bear is a dead bear”. Sem-bra vivo, ma è come se fosse unvero e proprio “dead bearwalking”. Destinato a perdere ilproprio stato di animale selvatico,e quindi condannato prima o poiall’eliminazione.Particolare significativo: questericerche sull’orso, intraprese allafine del secolo scorso, furonosempre svolte in modo clandesti-no, senza l’autorizzazione delparco (che certamente non l’a-vrebbe mai concessa con questedisastrose modalità), per opera disingolari “cordate” di parchi, isti-tuzioni e università, unite da sin-golari tratti comuni. Anzitutto, e-rano alla caccia di finanziamenti,protagonismi e visibilità. Inoltre,ospitavano nei loro territori po-chissimi orsi (e quindi ne aveva-

no scarsa o nulla esperienza). Infine,l’ambizione era fagocitare la gestionedel plantigrado, escludendo il rivaleParco d’Abruzzo (con il prestigiosoCentro Studi Ecologici Appenninici,successivamente soppresso dall’Ente),l’unica istituzione preposta per leggealla sua tutela: la sola che lo conosce-va, studiava e difendeva da quasi unsecolo.Quanto siano costati, e costino ancoraalla collettività questi studi, nessunolo sa davvero. C’è chi afferma che lasola Unione Europea avrebbe sborsa-to nell’ultimo decennio qualcosa co-me 25 milioni di Euro ai soggetti piùdisparati: ma come siano stati spesiquesti soldi, chi ne siano stati i realibeneficiari, non è mai stato reso noto,a dispetto della proclamata “traspa-renza”. E perché non considerare nelcalcolo anche gli stanziamenti non e-sigui disposti da varie istituzioni, e dadiversi sponsor e privati? Ci sarà mai

Continuano a pervenire segnalazioni di Orso marsicano suiMonti Ernici: magnifica catena montuosa, ubicata fra ParcoNazionale d’Abruzzo e Parco Regionale dei Monti Simbruini.

Importante area di conservazione per l’orso, meriterebbe tutela nonsolo per le meraviglie paesaggistiche, ma anche per le non comunipresenze floro-faunistiche. Basti dire che qui si trova l’unica stazionelaziale della rarissima Stella appenninica (Leontopodium nivale). Ol-tre all’orso, vivono qui anche lupi, gatti selvatico, martore e caprioli;nonché aquile reali, falchi pellegrini, fringuelli alpini e due gracchi,il corallino e il più raro alpino, entrambi nidificanti.Ma purtroppo questo territorio resta indifeso: da quarant’anni si at-tende invano che diventi un’area protetta! E dire che si potrebbeaccorpare all’attiguo Parco dei Simbruini, evitando così duplicazionidi strutture, con consistenti risparmi. Lo richiede il Comitato per laprotezione degli Ernici, sorto nel 2013 con l’adesione di migliaia dicittadini, e di ben 66 diverse associazioni di rilevanza regionale e na-zionale. Il Comitato ha prodotto una valida proposta di legge, rima-sta però a marcire nei cassetti della Regione Lazio, evidentementesorda a temi di rilievo internazionale. Ostacolano la creazione delParco soprattutto i cacciatori locali, non numerosi, ma appoggiatisupinamente dai sindaci. Favoriti anche dalla miopia di gran partedegli amministratori regionali, assessore all’ambiente in testa, mal-grado l’impegno assunto, e mai mantenuto, di individuare una “for-ma adeguata di protezione dell’area dei Monti Ernici”.

Gaetano de Persiis

L ’ A P P E L L O D I U N A M B I E N T A L I S T A

A quando il Parco dei Monti Ernici?

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Talvolta il direttore di un parco deveimprovvisarsi anche “balia” di un cucciolod’orso marsicano sottratto a morte certa

Ecco la fotografia con la quale nel 2005 è stata documentatain modo incontestabile la presenza dell’Orso marsicano sui Monti Ernici, fino a quel momento ignorata dai ricercatori

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CONCLUSIONI

Difendere le ultime terre inviolateper salvare gli Orsi e la vera vita selvatica

Senza anticipare giudizi definitivi, possiamoritenere che l’orso marsicano è stato da tuttisantificato a parole, ma di fatto usato, per

convenienza, nei modi peggiori. Come fumetto ocartone animato, per improvvisare eventi mediaticie attrazioni turistiche. Come Jolly per ottenere fi-nanziamenti e gloria imperitura. Come passerellamediatica, per esibirsi sul palco e riversare splen-didi sproloqui. Ma c’è per fortuna un risvolto menodoloroso: ed è che oggi, a differenza di trent’annifa, il Paese e le comunità locali sembrano aver pre-so finalmente coscienza del suo valore, e forse ilseme che sta ora germogliando potrebbe trasfor-marli nei suoi più vigili custodi. Il dilemma “Uomoo Orso?” dovrebbe lasciare spazio al precetto “Uo-mo e Orso”, convincendo sempre più del valoredella natura, dell’opportunità di utilizzarne con di-screzione le risorse, e soprattutto dell’imperativoetico di rispettare il creato.Forse, domani, chissà. Un sogno, una speranza,un’utopia. Restando però alla realtà attuale, una so-la cosa è certa. Abbiamo perduto molti, troppi orsi.E in fondo, quali sono le vere cause del massacro?Non è difficile intuire che si tratti, come sempre,del frutto delle nostre caratteristiche dominanti: e-goismo, ignoranza e stupidità. Gli orsi finisconomale perché crediamo di poterli umanizzare, ma-nipolare, spostare come soprammobili e sfruttarecome giocattoli: vogliamo trattarli da cartoni ani-mati. E non siamo mai capaci di rispettare la loronatura di animali selvatici, né di lasciarli liberi neipochi spazi rimasti ancora fuori dalla prepotenteinvasione dell’uomo. Crediamo di poterli acqui-stare a buon prezzo (come avvenuto in Slovenia daparte del Trentino e dei Pirenei Francesi) per poitrapiantarli da un luogo all’altro, come piante daappartamento: senza capire che dovrebbero essereloro a ricercare la propria strada maestra in silenzio,attraverso itinerari segreti e tranquilli. Proprio co-me aveva fatto il lupo appenninico in Italia nell’ul-timo trentennio, raggiungendo la Francia e le Alpi,grazie all’operazione San Francesco. In conclusione, non sarebbe poi troppo difficile in-dividuare una strategia efficace, e far sì che gli orsipossano tranquillamente continuare a vivere suinostri monti senza impaurire nessuno, e non ri-schiando la morte a ogni passo. Si tratta semplice-mente di difendere gli ultimi spazi selvaggi, oltrequella “frontiera” che dobbiamo dimostrarci capacidi non violare. E se anche nel nostro Paese nonpossiamo tuffarci “into the wild”, e cioè nelle “terreestreme”, come negli altri continenti, abbiamo pursempre le riserve integrali, le foreste vetuste e i par-chi nazionali, che vanno assolutamente rispettati.Come insegnava Bernardo di Chiaravalle, potremosempre imparare più dai boschi, che dai libri...Oggi la vera civiltà non si misura tanto dagli ettariconquistati, ricoperti con infrastrutture dilaganti,cementificati e resi edificabili, ma piuttosto damonti e torrenti, valli e boschi lasciati intatti. Ricchidi suoni e di silenzi, custodi di vite segrete e pro-dighi di continue sorprese. Per l’orso e per tutti glialtri animali, sì: ma anche per noi stessi, e per il no-stro futuro.

❒ FRANCO TASSI

Una rara foto d ‘epoca ci racconta quando adorganizzare le battute di caccia all’Orso marsicano,

negli anni Trenta, era lo stesso Parco d’Abruzzo

L E I N C R E D I B I L I N O V I T À D E L T E R Z O M I L L E N N I O

Orsi paesani a caccia di polli!

Fotografare gli orsi? Meglio a distanza...

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B I B L I O G R A F I A

Per saperne di più...

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Negli ultimi tempi una notevole pubblicisticasull’orso, nutrita di piacevoli immagini ma dimeno brillanti scritti, è progressivamente e-

splosa, creando una discreta confusione; e si sonomoltiplicate anche le ricerche scientifiche ben sov-venzionate, ma in verità spesso troppo settoriali.Non è facile quindi trovare testi che espongano, inmodo semplice e chiaro, il destino e la storia natu-rale di un animale unico come l’Orso marsicano.Per comprenderli almeno in parte, non vanno di-menticate però due opere storiche fondamentali,di non facile reperimento. Anzitutto la celebre “Re-lazione Sipari” (1926), vero scrigno di informazionipreziose, redatta dal fondatore del Parco ErminioSipari, cugino di Benedetto Croce. E poi “Orso vi-vrai” (1990) di Franco Tassi, testimonianza autenticadella strenua lotta per la redenzione del Parco d’A-bruzzo, e per la salvezza dell’Orso marsicano, mi-nacciati da ignoranza, avidità e malvagità umana.

Alessandra Ramini, Gruppo Orso Italia

Conoscere l’orso per amarlo, perché solo così si puòsperare di salvarlo. Questa è sempre stata la missio-ne dei naturalisti, ma senza cadere in eccessi, che

poi trasformerebbero l’affetto sincero in un abbracciosoffocante. Un fenomeno ben noto agli addetti ai lavori,ma purtroppo diffuso, soprattutto se mancano etica eco-logica, freni inibitori e presidio del territorio. Tutti avrannoad esempio notato che negli ultimi tempi dilagano bellis-sime immagini di orsi, ripresi in ogni attimo di vita a di-stanza ravvicinata. Ma nessuno si chiede se questi continuiincontri, specialmente in autunno con mamme e cuccioli,non causino eccessivo disturbo?Un motivato allarme è venuto dal Gruppo Orso Italia, al

quale sono stati segnalati casi di “incontri ursini ravvicinatigarantiti”, venduti a ecoturisti e fotografi con l’ausilio diespedienti tecnologici e richiami olfattivi. Errori gravissimi,che un Parco vigile ed efficiente dovrebbe saper contene-re. Non certo, però, scacciando quei visitatori che tonifica -no l’economia dei villaggi, e coinvolgono i giovani nell’o-pera di conservazione. Piuttosto, spingendo invece gli ir-riducibili appassionati a osservare a distanza i loro benia-mini, in una delle confortevoli aree faunistiche che ospita-no gli individui non autosufficienti. Orsi ammalati, feriti osalvati, che non sarebbero in grado di sopravvivere in li-bertà. Ma che possono ancora, per molto tempo, rappre-sentare preziosi testimoni e ambasciatori della loro specie.

Se fino a una ventinad’anni fa scorgere per unattimo a distanza un ani-

male timido e riservato comel’Orso marsicano rappresenta-va raro privilegio per pochi for-tunati, oggi la situazione èprofondamente cambiata. Co-me mai questi plantigradi so-no diventati sfacciati, entranonei paesi, scavalcano recinzio-ni, saccheggiano pollai, sfon-dano porte e penetrano persi-no nelle case? Sono davvero“impazziti”, come vorrebbe lavulgata, smaniano per viverecon noi, creando problemi, equindi vanno rimossi?Sappiamo bene con quale de-licatezza (pari a quella dell’ele-fante nella cristalleria) si muo-va l’uomo nell’ecosistema, maforse non immaginavamoquanto sia poi bravo a scarica-re ogni colpa sui cristalli fran-tumati. Oggi tutti ammettonoche vi è un serio problema daaffrontare, ma come corronoai ripari? Hanno studiato, riu-nito commissioni, speso in-genti somme, trovando infinela soluzione ideale: scacciaregli orsi con petardi, pietre eproiettili di gomma… Cosic-chè, in un recente intervento,l’animale aggredito ha tenta-to di fuggire sfondando unaporta, entrando in casa deimalcapitati, e spaventandosiquanto loro! Il rimedio è peg-

giore del male… Ma allora?Molti discettano, autoglorifi-candosi, ma non spiegano lecause di questo anomalo com-portamento ursino, mai verifi-catosi in passato. Né tantome-no rivelano chi ne siano i re-sponsabili. La cosiddetta “me-moria storica” non interessanessuno. Smemoratezza in-tenzionale o premio AmnesyInternational? Eppure tuttisanno delle ripetute ricercheinvasive, benedette dalla poli-tica e superforaggiate con fon-di europei, che per contare eanalizzare gli orsi avevano irro-rato il territorio di trappole ol-fattive a base di pollame e pe-sce rancido, sparso esche difrutta, granturco, carote, lam-poni, miele e resti animali... Ri-chiami irresistibili per il fiutostraordinario dei bestioni, chehanno così abbandonato i si-curi percorsi tradizionali, per fi-nire dove proprio là, dove nondovevano metter zampa. In al-tre parole, li hanno “drogati”per i propri traffici, e ora han-no la sfrontatezza di dire cheè tutta colpa dei bestioni. C’èpersino qualcuno pronto aspergiurare che “gli orsi pro-blematici ci sono sempre sta-ti”, aggiungendo così altre bu-gie. Perchè l’unica certezza ir-refutabile resta, invece, che“gli uomini problematici nonsono mai mancati”.

Perchè nell'ultimoquindicennio l'Orsomarsicano si è inur-

bato, da Scanno (in alto)fino a San Sebastiano diBisegna (in basso)? Lacolpa del disastro saràdell’orso o dell'uomo?