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1 (SEZIONE INTRODUTTIVA) CODICI MENBRANACEI - LA GHENIZAH La gheniza è un deposito in cui venivano riposti per un naturale processo di decomposizione così come avviene per i cadaveri nel cimitero. Gli Ebrei, infatti, avevano non solo un rispetto, ma una vera e propria venerazione verso pergamene di natura religiosa, in modo particolare per la Torah, che essendo scritta su pergamena, e quindi su membrana di animale, dunque materiale organico. Il rotolo o il volume era considerato un elemento vivente, che andava lascito corrompere in maniera del tutto naturale un luogo adiacente al luogo sacro, come la Sinagoga. Una volta divenuti obsoleti, i rotoli di pelle potevano servire a fare cinture, suole, scarpe e altri oggetti, oppure si cancellava il testo per riscrivere un nuovo testo su quelli che sono noti come i palinsesti. Soprattutto la pergamena, una membrana di pecora assai resistente, dopo aver cessato la sua vita come libro contenente un’opera letteraria, è sempre andata soggetta a diverse forme di reimpiego, specialmente per avvolgere o rilegare libri e registri, determinando un intenso fenomeno di riciclaggio che ha avuto il suo momento d’oro tra la metà del ‘500 e la metà del ‘600. Famosa è la gheniza annessa alla Sinagoga di Ezra di Fustat (Il Cairo), ove furono scoperti un gran numero di documenti (circa 200.000) e di grande interesse storico. Anche in Italia furono scoperti numerosi documenti.“Infatti, sostiene il Prof. Mauro Perani (Università di Bologna), la scoperta di diverse migliaia di frammenti di manoscritti ebraici recentemente compiuta negli archivi italiani ha suscitato e sta suscitando un interesse crescente. Si tratta di folia e bifolia membranacei di manoscritti ebraici medievali riutilizzati come copertine e legature di registri e volumi depositati negli archivi della Penisola che, per analogia con quella scoperta nel vecchio Cairo, sono stati definiti la Genizah italiana. Contro i circa 1.700 frammenti scoperti fino ad oggi in tutti gli altri paesi europei, sono stati rinvenuti più di 6.000 frammenti di manoscritti ebraici medievali. È importante sottolineare che quando nella "Genizah italiana" parliamo di frammenti, intendiamo nella grande maggioranza dei casi fogli o bifogli interi, per lo più di grande formato; solo in un numero minore di casi si tratta di frammenti più piccoli, strisce o pezzi di pagina tagliati in senso verticale o orizzontale ed incollati come allungamento del foglio intero, se esso risultava insufficiente per avvolgere il registro. Considerevole è il ritrovamento avvenuto in Sardegna. Lo studio è stato condotto negli archivi, biblioteche e fondi antichi della regione. CODICI MEMBRANACEI IN LINGUA GE’EZ Il ge’ez (o gheez, geez, propriamente gz) è una lingua semitica, oggi estinta, parlata nell’Impero d’Etiopia fino al XIV secolo. Anticamente veniva parlata nella provincia del Tigré, un linguaggio semitico che qualcuno fa risalire al Regno di Saba. Le prime iscrizioni in alfabeto ge’ez sono datate all’incirca V secolo a.C. La produzione letteraria in Ge’ez, invece, inizia più propriamente con la cristianizzazione dell’area, nel IV secolo, durante il regno di Ezana di Axum. I codici o a forma di scroll o a volumen sono in formato piccolo, potremmo dire minimo, in quanto i brani sacri serviva per la preghiera e spesso dovevano essere portati sull’altipiano, a 1500 metri di altezza. Dall’Osservatore Romano del 2-3 agosto 2010, apprendiamo che "L’inizio del cristianesimo in Etiopia risale alla prima metà del IV secolo, quando fu convertito il regno di Aksum… Dopo l’annuncio evangelico nel regno di Aksum, si instaurò la tradizione di compiere un pellegrinaggio alla sede marciana sfidando avversità e disagi e perfino il temibile deserto. Giunti ad Alessandria d’Egitto, i pellegrini poi si spostavano a Gerusalemme e, infine, a Roma. A questi fedeli coraggiosi, alcuni dei quali monaci, Sisto IV, nel 1481, concesse la chiesa di S. Stefano, che si trovava proprio dietro la basilica di san Pietro. Con il trascorrere degli anni, il monastero divenne un punto di riferimento per gli studi e la cultura etiopica. Nel 1513 per la prima volta vi vennero pubblicati i salmi in caratteri Ge’ez, cioè nell’antica lingua semitica dell’Abissinia, attualmente rimasta come lingua liturgica, che occupa lo stesso ruolo del latino nella tradizione occidentale. Negli anni 1548-49 venne stampato anche il nuovo Testamento. I monaci possedevano inoltre molti preziosi codici, che sono conservati attualmente nella Biblioteca Apostolica Vaticana".

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(SEZIONE INTRODUTTIVA) CODICI MENBRANACEI - LA GHENIZAH

La gheniza è un deposito in cui venivano riposti per un naturale processo di decomposizione così come avviene per i cadaveri nel cimitero. Gli Ebrei, infatti, avevano non solo un rispetto, ma una vera e propria venerazione verso pergamene di natura religiosa, in modo particolare per la Torah, che essendo scritta su pergamena, e quindi su membrana di animale, dunque materiale organico. Il rotolo o il volume era considerato un elemento vivente, che andava lascito corrompere in maniera del tutto naturale un luogo adiacente al luogo sacro, come la Sinagoga. Una volta divenuti obsoleti, i rotoli di pelle potevano servire a fare cinture, suole, scarpe e altri oggetti, oppure si cancellava il testo per riscrivere un nuovo testo su quelli che sono noti come i palinsesti. Soprattutto la pergamena, una membrana di pecora assai resistente, dopo aver cessato la sua vita come libro contenente un’opera letteraria, è sempre andata soggetta a diverse forme di reimpiego, specialmente per avvolgere o rilegare libri e registri, determinando un intenso fenomeno di riciclaggio che ha avuto il suo momento d’oro tra la metà del ‘500 e la metà del ‘600. Famosa è la gheniza annessa alla Sinagoga di Ezra di Fustat (Il Cairo), ove furono scoperti un gran numero di documenti (circa 200.000) e di grande interesse storico. Anche in Italia furono scoperti numerosi documenti.“Infatti, sostiene il Prof. Mauro Perani (Università di Bologna), la scoperta di diverse migliaia di frammenti di manoscritti ebraici recentemente compiuta negli archivi italiani ha suscitato e sta suscitando un interesse crescente. Si tratta di folia e bifolia membranacei di manoscritti ebraici medievali riutilizzati come copertine e legature di registri e volumi depositati negli archivi della Penisola che, per analogia con quella scoperta nel vecchio Cairo, sono stati definiti la Genizah italiana. Contro i circa 1.700 frammenti scoperti fino ad oggi in tutti gli altri paesi europei, sono stati rinvenuti più di 6.000 frammenti di manoscritti ebraici medievali. È importante sottolineare che quando nella "Genizah italiana" parliamo di frammenti, intendiamo nella grande maggioranza dei casi fogli o bifogli interi, per lo più di grande formato; solo in un numero minore di casi si tratta di frammenti più piccoli, strisce o pezzi di pagina tagliati in senso verticale o orizzontale ed incollati come allungamento del foglio intero, se esso risultava insufficiente per avvolgere il registro. Considerevole è il ritrovamento avvenuto in Sardegna. Lo studio è stato condotto negli archivi, biblioteche e fondi antichi della regione.

CODICI MEMBRANACEI IN LINGUA GE’EZ

Il ge’ez (o gheez, geez, propriamente gəә’əәz) è una lingua semitica, oggi estinta, parlata nell’Impero d’Etiopia fino al XIV secolo. Anticamente veniva parlata nella provincia del Tigré, un linguaggio semitico che qualcuno fa risalire al Regno di Saba. Le prime iscrizioni in alfabeto ge’ez sono datate all’incirca V secolo a.C. La produzione letteraria in Ge’ez, invece, inizia più propriamente con la cristianizzazione dell’area, nel IV secolo, durante il regno di Ezana di Axum. I codici o a forma di scroll o a volumen sono in formato piccolo, potremmo dire minimo, in quanto i brani sacri serviva per la preghiera e spesso dovevano essere portati sull’altipiano, a 1500 metri di altezza. Dall’Osservatore Romano del 2-3 agosto 2010, apprendiamo che "L’inizio del cristianesimo in Etiopia risale alla prima metà del IV secolo, quando fu convertito il regno di Aksum… Dopo l’annuncio evangelico nel regno di Aksum, si instaurò la tradizione di compiere un pellegrinaggio alla sede marciana sfidando avversità e disagi e perfino il temibile deserto. Giunti ad Alessandria d’Egitto, i pellegrini poi si spostavano a Gerusalemme e, infine, a Roma. A questi fedeli coraggiosi, alcuni dei quali monaci, Sisto IV, nel 1481, concesse la chiesa di S. Stefano, che si trovava proprio dietro la basilica di san Pietro. Con il trascorrere degli anni, il monastero divenne un punto di riferimento per gli studi e la cultura etiopica. Nel 1513 per la prima volta vi vennero pubblicati i salmi in caratteri Ge’ez, cioè nell’antica lingua semitica dell’Abissinia, attualmente rimasta come lingua liturgica, che occupa lo stesso ruolo del latino nella tradizione occidentale. Negli anni 1548-49 venne stampato anche il nuovo Testamento. I monaci possedevano inoltre molti preziosi codici, che sono conservati attualmente nella Biblioteca Apostolica Vaticana".

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I - GUTENBERG E LA RIVOLUZIONE TIPOGRAFICA Il libro dei libri, la Bibbia, di cui si è parlato nel numero precedente, fu presumibilmente la prima opera ad essere stampata, con la tecnica dei caratteri mobili di Gutenberg. La storia della tipografia ha inizio a Magonza, verso la metà del Quattrocento, quando un orefice, Johannes Gensfleisch, cominciò a fare i primi tentativi di stampa, utilizzando un comune torchio a vite, un inchiostro tratto dall’olio di lino e una serie di caratteri mobili, che aveva ottenuto dalla fusione a ripetizione di piombo fuso in una matrice. Quando ebbe trovato le leghe della durezza giusta, ma sopratutto i finanziamenti - da Johannes Fust, ricco avvocato - Gensfleisch, alias Gutenberg, stabilì non solo il principio della stampa tipografica ma introdusse anche in Europa la teoria dei "pezzi intercambiabili", alle basi della moderna produzione in serie. Ma il destino non fu subito benevolo con l’invenzione della stampa: nel 1455 Fust chiese a Gutenberg la restituzione della somma prestata, più gli interessi. Non potendo restituire il denaro, dovette consegnare gran parte dei torchi e dei caratteri della sua bottega. Fust si associò allora con Peter Schoeffer, uno studente apprendista da Gutenberg. Andando via, si portò anche una dozzina di Bibbie stampate, che Fust cercò di rivendere alla Sorbona. Ma la potente corporazione del libro di Parigi - la Confriere des Librares, Relieus, Enlumineurs, Ecrivains et Parcheminiers - preoccupati da un intruso che possedeva una simile straordinaria abbondanza di libri preziosi, avvertirono la polizia, considerando che soltanto il diavolo in persona poteva possedere quel tesoro, e Fust fu costretto a scappare per salvare la pelle. La censura, che pure era in auge con la cultura manoscritta (i filosofi furono i primi a farne le spese), rimase tuttavia un fenomeno molto ridotto fino all’invenzione della stampa, quando la tipografia si rivela strumento capace di influenzare massicciamente l’opinione pubblica. Così, il primo ufficio laico di censura fu istituito a Magonza nel 1486 e il primo Index librorum prohibitorum fu promulgato dalla Chiesa nel 1559. Se la censura ecclesiastica mirava a reprimere i testi eretici, la censura politica colpiva le opere che criticavano i detentori del potere o fomentavano la gente a sovvertire l’ordine delle cose. L’elusione della censura fu svolta dagli stampatori con svariate tecniche, a partire dalla soscrizione falsa, fino all’omissione del nome della tipografia. Gli autori utilizzavano pseudonimi o rimanevano nell’anonimato. Ma il nodo centrale della rivoluzione della stampa fu sicuramente la radicale trasformazione delle figure dell’autore e del lettore. Il plagio divenne un reato, la parola una merce e il pubblico un mecenate". L’anonimato, pratica diffusissima nella cultura manoscritta, viene mantenuto in epoca tipografica solo per proteggere la propria incolumità. Nel Medioevo si era indifferenti all’identità dello scrittore, né gli stessi scrittori si preoccupavano di indicare le fonti da cui traevano informazioni. Il plagio viene ora riconosciuto come un reato: nell’età del manoscritto - scrive H.J.Chaytor - copiare e mettere in circolazione l’opera di un altro poteva essere considerato un atto meritorio; nell’età della stampa la stessa cosa avrebbe come conseguenza una causa legale e il risarcimento dei danni. E anche il lettore cambia: con l’avvento della cultura tipografica la lettura diviene silenziosa. Prima i testi venivano scritti senza spazi tra le parole, né punteggiatura, né venivano usate le maiuscole. Dunque si doveva svolgere un’operazione di decodifica molto lunga e faticosa. Ad esempio, un testo si presentava così: inoltre il lettore per accedere all’opera doveva fare un lungo viaggio dopo aver chiesto presso le biblioteche di vari conventi dove poteva trovarla e leggere non significa più esibirsi in pubblico, con una performance pari al cantare o al ballare, ma diventa un atto privato, esteso a un numero enormemente maggiore di persone, soprattutto a partire dal diciannovesimo secolo (sino alla metà del Settecento, infatti, gli uomini possedevano ben pochi libri).

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II. LA STAMPA DELLA BIBBIA NEL SECOLO XV Dopo la Mazarina in 42 linee, fino al 1474 furono stampate circa dieci edizioni. Nel solo 1475 vennero alla luce cinque edizioni. Poi un declino: tra il 1477-1478 quattro; tra il 1479-1481 tre; fino a stabilirsi intorno a due edizioni all’anno. Eccetto il 1488, nel 1496, nel 1499 e nel 1550: in questi anni non ci fu alcuna edizione. In area italiana la prima Bibbia fu stampata 1471 a Roma per i tipi di Schweynheym e Pannartz (GW 4210); ma per quattro anni tutto tacque. Nel 1475 Venezia e Piacenza fecero nascere due edizioni e, 1476, addirittura quattro: due a Venezia, una a Vicenza e un’altra Napoli. Per vent’anni la Bibbia fu stampata solo a Venezia, eccetto quella di Brescia, nel 1496. Dal 1478 al 1498: 22 edizioni, quasi una all’anno. Anche in Italia 1499 e 1500 non furono anni favorevoli alla stampa della Bibbia. In Francia la prima edizione venne alla luce a Parigi (1476 e 1477). Ne seguirono altre 11 fino al 1500 (nessuna nel1498 e 1499). Non conosciamo edizioni in Gran Bretagna e in Spagna. Una decina di edizioni con testo ebraico, stampate in Italia dal Soncino (1488), che ripetette l’impresa a Napoli (1491/1492) e a Brescia (1494). La prima traduzione della Bibbia in una lingua volgare fu iniziativa di Johann Mentelin, a Strasburgo, nel 1466. Otto vennero edite tra il 1470-1478 e sei negli anni 1480-1494. In tutto 15 edizioni, soprattutto in altotedesco (12) e di queste, quasi la metà pubblicate ad Augsburg. Da segnalare tre edizioni della cosiddetta Biblia pauperum, due in tedesco e una in latino. Nel 1471 a Venezia la prima delle 11 edizioni, in lingua italiana di Niccolò Valermi. In Francia si cominciò nel 1473/1474 con la Bible abrégée (versione abbreviata), 12 edizioni tra il 1494/98). Seguì la Bible historiée di Antoine Vérard, nel 1495/96. La produzione tipografica, prese la scia di quella manoscritta, ponendo in stampa la Vulgata parigina sia in latino sia in volgare, destinate fin dal medioevo ad alimentare la diffusione orale. In Italia occorre segnalare l’assoluto dominio di Venezia anche in questo settore specifico: delle 38 Bibbie stampate durante nel XV secolo, cinque appena vennero alla luce in altre città. A Roma, solo l’edizione del 1471, e bisogna attendere più di un secolo (1590) per un’altra. La motivazione di rendere al meglio la vulgata parigina, giustificò la stampa di bibbie commentate verso gli anni ‘80 del sec. XV. Dapprima solo la Postilla di Nicolò da Lira o con la glossa ordinaria, poi unito al testo biblico nell’edizione di (Venezia 1481, 1482/3 e Norimberga 1485). Fra i tipografi, dal punto di vista numerico, spicca Anton Koberger di Norimberga (9 in 20 anni), Johann Amerbach a Basilea (sette edizioni), Guillaume Le Roy a Lione e Antoine Verard a Parigi (sei edizioni), Francesco Renner e Nicolas Jenson a Venezia (cinque e tre edizioni). In quanto a caratteristiche tipografiche le prime edizioni non differivano, all’occhio, dai codici manoscritti medievali. Come formato prevaleva ‘in folio’ (per biblioteche, conventi, ad uso dello o da coro per le celebrazioni comuni. Si distingue quella di Herbort, in 4°, stampata a Venezia e qui in esposizione, del 1484, e il tentativo di J. Froben, nel giugno 1491 (GW 4269), che non ebbe molto successo. Per ciò che concerne l’illustrazione, che ovviamente rendono più attraente l’estetica e la fruibilità del testo stampato, il primo tentativo lo fece a Colonia Heinrich Quentell, seguito da A. Kobergher, che seguì il tentativo laico di inserire a piena pagina le xilografie del Petrarca e propose nella sua latina del 1485 (III volume in esposizione), delle splendide xilografie. Peraltro, già la sua edizione in alto tedesco del 1483 Koberger usò l’illustrazione xilografica, ma utilizzo quelle di H. Quentell. La Bibbia del Malermi del 1490, stampata da G. Ragazzo per Lucantonio Giunta, aveva usato le oltre 200 xilografie, però anche lui per alcune aveva attinto a di H. Quentell. La giuntina una delle edizioni più illustrate dell’ultimo scorcio del sec. XV, e ciò fu posto in evidenza nel titolo: "BIBLIA VULGARE ISTORIATA". Questa divenne modello esemplare e fu seguita da Simone Bevilacqua per l’edizione del maggio 1495 (GW 4280).

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III - “RICERCA DI VERITÀ” E “FEDELTÀ ALLA VERITÀ” AGLI INIZI SECOLO XVI

Il nesso fra la Riforma protestante e le traduzioni della Bibbia nelle lingue moderne è un dato innegabile, anche se forse meno assoluto di quanto non appaia a un esame solo di superficie. I volgarizzamenti biblici cominciano a circolare già nel Medioevo e, con l’invenzione della stampa, quei testi, spesso parziali e di varie mani, vengono messi a disposizione di un pubblico non propriamente popolare, ma neanche più limitato alla cerchia dei chierici e dei dotti. E’, tuttavia, con l’esplodere della protesta luterana che la riscoperta della Bibbia diventa una questione vitale: nelle pubbliche piazze si discute di questioni di fede come prima si discuteva di commerci o si accendevano dispute politiche; si comincia a prender coscienza che non si può partecipare alla polemica che sta segnando un’epoca, senza poter accedere direttamente a quei testi. Non bastano più fioretti, salteri ed epistole della domenica, per essere in grado di valutare i termini della contesa. Le prediche dei frati concedono solo briciole di quei celesti pani divini che tanta ricchezza e forza vivificante promettono, una volta spogliati del pesante apparato di interpretazioni dottrinali e resi comprensibili nella lingua parlata. Sono tre gli elementi che, venendo a convergere, determinano una sorta di salutare esplosione che fa traboccare l’acqua viva delle Sacre Scritture fuori dagli argini: la ricerca umanistica, la rivolta protestante e l’affinarsi dell’arte della stampa. Così come sono tre le direzioni del movimento che si viene a creare: da un lato il fiorire delle versioni in volgare, che riceve una potente spinta dalla propaganda degli evangelici per un ritorno alla nuda verità della parola divina e al suo potere salvifico; da un altro l’apparire di nuove versioni latine che vanno ad affiancarsi, quando non a contrapporsi, al testo della Vulgata, da un altro ancora una non meno importante opera di correzione del testo stesso della Vulgata per riportarlo alla sua versione originale senza le pesanti corruzioni introdotte nell’ormai affermatosi testo ‘Parigino’. Nessuna delle tre direzioni è totale appannaggio di una sola delle parti in conflitto. Si può dire che si assiste ad una sorta di agone in cui tutti cercano di appropriarsi della veritas scritturale, ma è anche vero che la linea di demarcazione non passa in modo netto tra i due campi avversi. Le gerarchie ecclesiastiche non accettano che si lasci nelle mani del popolo un testo leggibile da chiunque e la Chiesa non rinuncia all’esclusività della interpretazione delle Scritture; il clima di sospetto che informa la politica vaticana, soprattutto dopo il 1542, colpisce alla cieca (fra gli autori dei libri messi all’indice il nome più ricorrente è quello di Erasmo) e tuttavia non mancano in campo cattolico, almeno nei primi anni, i sinceri spiriti riformatori convinti che un ritorno alla lettera degli originali non possa essere che salutare per la Chiesa stessa nella sua universalità. Nella scia dei grandi umanisti, si assiste infatti ad un desiderio di riscoperta dei testi originali, anche se si preferisce tradurli in latino, come fanno il cardinal Caetano e il monaco benedettino Isidoro Clario, mentre nelle traduzioni per il ‘vulgo’ si resta fedeli al testo di san Gerolamo nelle sue edizioni ‘canoniche’ lovaniensi (per esempio la· Bibbia olandese del 1548 o la francese del 1550) e raramente ci se ne distacca o si cerca di correggerla. D’altra parte, anche in campo protestante l’aspetto ‘popolare’ non è così determinante, sia perché grande attenzione viene dedicata all’aspetto ‘dotto’ della contesa e si moltiplicano le traduzioni latine, sia perché il grande motto ispiratore della Riforma - consegnare nelle mani del popolo la parola divina - risulta ridimensionato, quando si va a verificare quanto la teologia possa influenzare la traduzione di un testo. Un attento esame meriterebbero anche i commenti che accompagnavano queste nuove edizioni, spesso vere e proprie guide a una lettura tutt’altro che neutrale. Fino a oltre la metà del XVI secolo si verificano spesso contatti fra i campi avversi o fra le diverse correnti. Ne è un esempio la traduzione latina del Pagnino, padre domenicano di San Marco legato al circolo neoplatonico fiorentino, che viene ripresa quasi alla lettera dal Brucioli e serve da base a traduzioni anche più dichiaratamente riformate, come quella di Teodoro di Beza, e viene pubblicata sia dall’Estienne (Robertus Stephanus) - molto vicino alle dottrine riformate - sia dal cattolico Plantin, che la inserisce nella sua splendida poliglotta ‘Regia’ come traduzione interlineare. Lo stesso Estienne, una delle principali figure di editore nel senso più vasto della parola (tipografo, critico del testo ed esegeta), dedicò gran parte della sua opera all’edizione di un testo emendato della Vulgata. Dalla gara per l’appropriazione della verità scritturale attraverso le traduzioni si tengono prudentemente fuori soltanto gli ebrei, che si limitanoa prestare singolarmente la loro richiestissima opera di consulenza. L’opera di san Gerolamo, godrà d’altronde della stima di un calvinista come il Diodati.

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In area tedesca, poi, anche le Bibbie cattoliche non potranno prescindere dall’opera magistrale di Lutero e dalle versioni da essa derivate. Un discorso a parte va fatto per l’Inghilterra dove, grazie alla incoraggiata diffusione della Bibbia di Wycliff, si susseguirono, nel giro di circa un secolo, almeno nove versioni importanti: la Tyndale, la Coverdale nella sua prima edizione e in quella più tarda della Great Bible, la cosiddetta Matthew’s Bible curata da Iohn Rogers e la revisione che ne fece il grecista Taverner, la Bibbia di Ginevra, la Bishops’ Bible, la Bibbia cattolica di Douai e Reims, fondata sulla Vulgata, e finalmente la King James, o Authorized Version..

Nella gara sempre più serrata si fa ricorso non solo alle traduzioni ma anche agli apparati esegetici: nella Vulgata, si vanno aggiungendo ai prologhi e alle epistole di san Gerolamo tutta una serie di sussidi e commenti che si combinano fra loro in vario modo e formano diverse ramificazioni di una stessa tradizione; parallelamente nelle Bibbie in volgare, già con le prime versioni influenzate dalla Riforma il testo comincia ad essere contornato da introduzioni, brevi sommari dei capitoli e piccole note che vengono a costituire delle guide teologiche per il lettore (fa eccezione la prima Bibbia del Brucioli, la più scarna pubblicata nel Cinquecento). I teologi e le gerarchie cattoliche dapprima osteggiano queste note ‘in sapor d’eresia” e qualunque contributo critico che esca dalla suddetta tradizione o verrà messa all’indice (anche la prefazione del Clario) e/o subiranno gravi conseguenze: il traduttore inglese Iohn Tyndale e l’editore olandese Liesvelt furono condannati a morte; Anton Brucioli subì i rigori dell’inquisizione proprio per la sua opera di traduttore e commentatore della Bibbia, ma anche Robert Stephanus (l’Estienne) dovette lasciare Parigi e trasferire a Ginevra la sua tipografia per l’opposizione che le sue bibbie avevano trovato da parte dei teologi della Sorbona. In seguito, in clima di Controriforma, si adotta una tattica opposta e, quando non possono impedire la pubblicazione di traduzioni in volgare come in Italia, impongono un pesante apparato di note esplicative alle traduzioni non troppo ortodosse”. Alcune date servono a puntualizzare meglio i momenti che segnano le tappe di questa feconda temperie. Fra il 1520 e il 1535 vedono la luce i primi volgarizzamenti influenzati dalla Riforma in quasi tutte le principali lingue europee: Lutero per il tedesco (1522 e 1534); Tyndale per l’inglese (1524-31); Tigurina in ambito svizzero-tedesco (1527-29); Bruciali in italiano (1530 e 1532); Olivétan per il francese (1535). Fra il 1527 e il 1579 si pubblicano le nuove versioni latine fondate sugli originali (Pagnino 1527 e 1542, Munster 1534-35, Tigurina latina1534, Tremelli e Du Jon 1575-1579, oltre alle molte traduzioni di singoli libri curate dai principali esponenti della Riforma. Da parte cattolica vedono la luce alcuni volgarizzamenti, quasi sempre revisioni censurate delle traduzioni ‘eretiche’ (In Italia le traduzioni di Sante Marmochino (1538) e di fra Zaccaria (1536), entrambe basate su quella del Brucioli) o ristampe di versioni basate sulla Vulgata (per esempio la Malermi); ma soprattutto ci si dedica a definire il testo latino della Vulgata, opera di cui si incaricano i teologi di Lovanio. Sarà questa tendenza che alla fine prevarrà, soprattutto in Italia, contro la posizione di chi voleva accettare la sfida del confronto aperto sulle Scritture. Dal 1567 cessa ufficialmente in Italia la pubblicazione della Bibbia in volgare; riprenderà, salvo rarissime eccezioni per singoli libri, solo dopo la metà del XVIII secolo. Soltanto all’estero le versioni volgari troveranno sempre maggior diffusione, soprattutto per merito dei protestanti che sempre di più concentreranno su quest’opera le loro energie e arriveranno a produrre, entro la prima metà del secolo XVII, tutte le edizioni ufficiali delle loro Bibbie: Lutero (l555), Tigurina (1548), Bibbia dei Pastori di Ginevra (1588), King James (161l-1641).

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IV - IL TESTO BIBLICO TRA RIFORMA E CONTRORIFORMA Dalla gara per l’appropriazione della verità scritturale attraverso le traduzioni si tengono prudentemente fuori soltanto gli ebrei, che si limitanoa prestare singolarmente la loro richiestissima opera di consulenza. L’opera di san Gerolamo, godrà d’altronde della stima di un calvinista come il Diodati. In area tedesca, poi, anche le Bibbie cattoliche non potranno prescindere dall’opera magistrale di Lutero e dalle versioni da essa derivate. Un discorso a parte va fatto per l’Inghilterra dove, grazie alla incoraggiata diffusione della Bibbia di Wycliff, si susseguirono, nel giro di circa un secolo, almeno nove versioni importanti: la Tyndale, la Coverdale nella sua prima edizione e in quella più tarda della Great Bible, la cosiddetta Matthew’s Bible curata da Iohn Rogers e la revisione che ne fece il grecista Taverner, la Bibbia di Ginevra, la Bishops’ Bible, la Bibbia cattolica di Douai e Reims, fondata sulla Vulgata, e finalmente la King James, o Authorized Version.. Nella gara sempre più serrata si fa ricorso non solo alle traduzioni ma anche agli apparati esegetici: nella Vulgata, si vanno aggiungendo ai prologhi e alle epistole di san Gerolamo tutta una serie di sussidi e commenti che si combinano fra loro in vario modo e formano diverse ramificazioni di una stessa tradizione; parallelamente nelle Bibbie in volgare, già con le prime versioni influenzate dalla Riforma il testo comincia ad essere contornato da introduzioni, brevi sommari dei capitoli e piccole note che vengono a costituire delle guide teologiche per il lettore (fa eccezione la prima Bibbia del Brucioli, la più scarna pubblicata nel Cinquecento). I teologi e le gerarchie cattoliche dapprima osteggiano queste note ‘in sapor d’eresia” e qualunque contributo critico che esca dalla suddetta tradizione o verrà messa all’indice (anche la prefazione del Clario) e/o subiranno gravi conseguenze: il traduttore inglese Iohn Tyndale e l’editore olandese Liesvelt furono condannati a morte; Anton Brucioli subì i rigori dell’inquisizione proprio per la sua opera di traduttore e commentatore della Bibbia, ma anche Robert Stephanus (l’Estienne) dovette lasciare Parigi e trasferire a Ginevra la sua tipografia per l’opposizione che le sue bibbie avevano trovato da parte dei teologi della Sorbona. In seguito, in clima di Controriforma, si adotta una tattica opposta e, quando non possono impedire la pubblicazione di traduzioni in volgare come in Italia, impongono un pesante apparato di note esplicative alle traduzioni non troppo ortodosse”. Alcune date servono a puntualizzare meglio i momenti che segnano le tappe di questa feconda temperie. Fra il 1520 e il 1535 vedono la luce i primi volgarizzamenti influenzati dalla Riforma in quasi tutte le principali lingue europee: Lutero per il tedesco (1522 e 1534); Tyndale per l’inglese (1524-31); Tigurina in ambito svizzero-tedesco (1527-29); Bruciali in italiano (1530 e 1532); Olivétan per il francese (1535). Fra il 1527 e il 1579 si pubblicano le nuove versioni latine fondate sugli originali (Pagnino 1527 e 1542, Munster 1534-35, Tigurina latina1534, Tremelli e Du Jon 1575-1579, oltre alle molte traduzioni di singoli libri curate dai principali esponenti della Riforma. Da parte cattolica vedono la luce alcuni volgarizzamenti, quasi sempre revisioni censurate delle traduzioni ‘eretiche’ (In Italia le traduzioni di Sante Marmochino (1538) e di fra Zaccaria (1536), entrambe basate su quella del Brucioli) o ristampe di versioni basate sulla Vulgata (per esempio la Malermi); ma soprattutto ci si dedica a definire il testo latino della Vulgata, opera di cui si incaricano i teologi di Lovanio. Sarà questa tendenza che alla fine prevarrà, soprattutto in Italia, contro la posizione di chi voleva accettare la sfida del confronto aperto sulle Scritture. Dal 1567 cessa ufficialmente in Italia la pubblicazione della Bibbia in volgare; riprenderà, salvo rarissime eccezioni per singoli libri, solo dopo la metà del XVIII secolo. Soltanto all’estero le versioni volgari troveranno sempre maggior diffusione, soprattutto per merito dei protestanti che sempre di più concentreranno su quest’opera le loro energie e arriveranno a produrre, entro la prima metà del secolo XVII, tutte le edizioni ufficiali delle loro Bibbie: Lutero (l555), Tigurina (1548), Bibbia dei Pastori di Ginevra (1588), King James (161l-1641).

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V - IL CONCILIO DI TRENTO E LA VERSIONE DI LOVANIO 1546 e il 1564 - 1546

8 aprile: La quarta sessione del Concilio di Trento proclama l’autenticitàdella Vulgata latina Non pronunciare un giudizio sulla legittimità delle traduzioni della Bibbia in volgare

9 maggio: Indice di Lovanio 40 edizioni in lingua volgare della Bibbia sono stati censurati

Estate: accordi tra la Corte imperiale, la Facoltà teologica di Lovanio e la stampante-editore Bartholomaeus Grave van in vista della pubblicazione di tre versioni autorizzate della Bibbia: a) Revisione latina della Vulgata di John Henten (1547); b) traduzione olandese della Vulgata di Nicholaus van Winghe sotto la supervisione del teologo Lovanio Pieter de Corte e Godevaert Strijrode (1548); c) traduzione francese della Vulgata di Nicholas de Leuze e François de Larben, sotto la supervisione di Pieter de Corte (1550).

- 1550: Progetto di una censura di opere Erasmus, le sue richieste entusiasti per la lettura della Bibbia e la traduzione della Bibbia in lingua volgare

da John Henten di Tilman Clercx - 1552/53: La Facoltà consiglia Carlo V a promulgare un editto generale che vieta la lettura della Bibbia in lingua volgare, come risposta al successo persistente di movimenti ereticali nei Paesi Bassi (specialmente in Courtrai): si riteneva sufficiente per i laici di ascoltare le prediche, in cui i parroci spiegate le verità fondamentali della fede e interpretato le letture del Vangelo e epistola alla luce della Tradizione ecclesiastica.

1553: una revisione della Bibbia Lovanio fatta dal frate domenicano Jan van der Haghen, è stato pubblicato dalla sig.ra A.-M. Bergaigne

- 1559: il primo indice papale, promulgato da Paolo IV: una Bibbia in lingua volgare può essere stampata, letta e posseduta solo con l’autorizzazione del Sant’Uffizio dell’Inquisizione romana.

- 1564: Indice tridentino, promulgato da Pio IV - Articolo IV: Il permesso di leggere la Bibbia in lingua volgare è concessa dal vescovo o dal responsabile inquisitore

Diverse ristampe complete della versione di Louvanio 1566: Pubblicazione da Plantijn della Bibbia francese, tradotto da René Benoist, ha esaminato e approvato da John Henten (e di altri teologi Louvain). Pubblicazione della Poliglotta di Plantin (1571-74).

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VI - LA BIBBIA DI SISTO V

Sisto V (Felice Peretti, il cardinal Montaldo) fece in cinque anni un lavoro che ne avrebbe richiesto cinquanta: squadre di uomini lavorarono giorno e notte per sistemare la cupola di San Pietro; fece spostare l’obelisco, palmo a palmo, da centinaia di uomini e muli fino all’attuale posizione nella piazza; diede vita alla Tipografia Vaticana; fece erigere un acquedotto per portare l’acqua fino al centro di Roma. Si meritò ampiamente il soprannome Il Turbine Consacrato. Insieme ad una titanica energia c’era però uno straordinario egotismo. Egli affermò il suo potere temporale su principi e re. Quando Roberto Bellarmino, uno dei più strenui difensori del papato dall’epoca di Tommaso d’Aquino, suggerì nel suo libro Controversie che il papa aveva solo una giurisdizione indiretta sui reggenti del mondo temporale, Sisto lo censurò spietatamente. Il Concilio di Trento (1546) aveva stabilito che la Vulgata era la versione autentica della Bibbia ed essa sola doveva essere usata nei sermoni, discussioni o letture. Purtroppo il lavoro di riporto dei copisti aveva prodotto molti errori e la stampa moltiplicò il numero degli sbagli. Con la Riforma i Protestanti produssero la loro personale versione della Bibbia e diventava imperativo che anche i cattolici potessero fruire di un testo affidabile della Vulgata in tutte le discussioni. Dopo tre anni di pontificato, nel 1588, venne presentato a Sisto V il testo predisposto dalla commissione di studiosi a cui aveva dato l’incarico. Secondo il pontefice c’era troppo lavoro di ricerca, troppe variabili interpretative, sicché disapprovò il lavoro del cardinale Carafa, capo della Commissione, e promise che avrebbe provveduto lui personalmente alla revisione del testo. E lo fece. Lavorando giorno e notte (soffriva d’insonnia), operando su di un testo popolare e provvedendo ad aggiunte personali dove gli sembrava fosse opportuno, completò l’opera in circa diciotto mesi. Cambiò radicalmente il sistema di riferimenti, distribuì diversamente i capitoli. Dimenticò addirittura interi versi e cambiò i titoli dei Salmi. Tutte le Bibbie e tutti i testi scolastici divennero di colpo obsoleti! Nel 1590 gli furono presentate le prime copie in folio. “Splendido!" disse il papa, finché non si accorse delle centinaia di errori di stampa. Per non perdere tempo provvide personalmente alla correzione delle bozze (ci mise sei mesi) passandole poi alla stampa, mentre la sua Bolla Aeternus ille era già pronta da tempo e recitava autoritativamente: Nella pienezza del potere Apostolico, Noi dichiariamo e decretiamo che questa edizione....approvata per l’autorità conferitaCi da Dio, deve essere ricevuta e tenuta come vera, legittima, autentica, ed inquestionabile in tutte le discussioni, letture, preghiere e spiegazioni pubbliche e private. A nessuno era permesso, editore o libraio, di deviare di una virgola da questa finale ed autentica versione della Bibbia latina. Chiunque contravvenisse alla Bolla papale doveva ritenersi automaticamente scomunicato e solo il papa poteva assolverlo. Erano previste anche punizioni materiali e temporali. Verso la metà di aprile furono distribuite copie a cardinali ed ambasciatori. Quattro mesi dopo il papa morì. Il successore, Urbano VII, morì dopo dodici giorni di pontificato. Toccò quindi a Gregorio XIV cercare di porre rimedio alla questione della Bibbia. Ma come fare? Una Bibbia era stata imposta al mondo cattolico con l’intero peso del potere papale, ma era piena di errori. Il mondo accademico era in subbuglio ed i Protestanti si divertivano un sacco per l’intera faccenda.