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L’Informazione 1 L Informazione Dicembre ‘09 DIRETTORE LUCIANO MIRONE Distribuzione gratuita Periodico di attualità, varietà, sport e costume Aspettando il Natale foto Francesco Mirone

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1 DIRETTORE LUCIANO MIRONE L’Informazione Dicembre ‘09 foto Francesco Mirone Distribuzione gratuita Dicembre ‘09 2 di Luciano Mirone Il senatore Pino Firrarello, sindaco di Bronte L’on. Raffaele Lombardo (spalleggiato dall’ex mini- stro Gianfranco Miccichè), dall’altra quella che fa capo allo stesso Firrarello, appog- giato dal presidente della Pro- vincia di Catania, Giuseppe Castiglione, coordinatore del centrodestra siciliano. Una Dicembre ‘09 L’Informazione L’Informazione Dicembre ‘09

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Dicembre ‘09 L’Informazione 1

L’InformazioneDicembre ‘09 DIRETTORE LUCIANO MIRONE Distribuzione gratuita

P e r i o d i c o d i a t t u a l i t à , v a r i e t à , s p o r t e c o s t u m e

Aspettandoil Natale

foto Francesco Mirone

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(spalleggiato dall’ex mini-stro Gianfranco Miccichè), dall’altra quella che fa capo allo stesso Firrarello, appog-giato dal presidente della Pro-vincia di Catania, Giuseppe Castiglione, coordinatore del centrodestra siciliano. Una

diatriba che non sappiamo se, quando e come si risolverà, e soprattutto quali conseguenze avrà per il futuro della Sicilia. Senatore Firrarello, come si risolverà la crisi del Pdl?“A livello nazionale, dall’espe-rienza diretta che ho, siamo

alla dialettica normale, non mi sembra che ci siano pro-blemi particolari che possano influire sull’attività legislativa e sul corso della legislatura. Penso che continueremo ad andare avanti”.E a livello regionale?“C’è una fase di dialogo attra-verso la quale si vorrebbe chia-rire meglio quale deve essere l’attuazione di un programma per il quale credo che ci siano state diverse disattenzioni”. Quali?“Ci sono problemi diventati enormi: per esempio i rifiuti. Se la situazione dovesse per-manere così, temo che entro il prossimo anno potremmo essere sommersi dall’immon-dizia”. E poi?

IL “J’ACCUSE” DI FIRRARELLO

IL SINDACO DI BRONTE ATTACCA IL GOVERNATORE DELLA REGIONE:

“IL MARCIO È LUI”.

SILENZIO DI LOMBARDO

di Luciano Mirone

Il centrodestra siciliano rischia di implodere e difficilmente potrà ri-

compattarsi come prima.La disastrosa situazione dei rifiuti, la crisi della sanità, gli agricoltori in rivolta e tanti al-tri gravi problemi che attana-gliano l’isola, sono la punta di un iceberg che potrebbe sgre-tolarsi da un momento all’al-tro con conseguenze impreve-dibili per il futuro della regio-ne. Dalle parole del senatore Pino Firrarello (intervistato da noi), sindaco di Bronte e lea-der del Popolo delle libertà in provincia, emerge chiaramen-te lo scontro durissimo fra due posizioni diametralmente opposte: da una parte quella che fa capo al presidente della Regione Raffaele Lombardo

Il senatore Pino Firrarello, sindaco di Bronte L’on. Raffaele Lombardo

L’intervista

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“L’agricoltura. Non mi pare che in passato gli agricoltori siciliani abbiano manifestato con i trattori bloccando una città come Palermo. Se oggi è successo vuol dire che sono esasperati. Poi c’è il problema dei precari. Se dovessero esse-re abbandonati al loro desti-no, penso che non ci sarebbe alcun comune siciliano in grado di farsi carico del pa-gamento delle loro indennità. Ci sono problemi, insom-ma, che attendono soluzioni immediate. Se non succede, tutto diventerà più difficile. Abbiamo l’ultima occasione di ottenere dei finanziamen-ti europei, ma il rischio di perderli è molto alto. A fine anno perderemo 360 milioni. E credo che questo sia un de-litto per una terra che avrebbe bisogno di finanziamenti e di investimenti per rimettere in moto l’economia. È giusto

che parliamo, che dialoghia-mo, che facciamo degli sforzi per trovare un accordo, però ci sono tante motivazioni che ci portano a dire che la dialet-tica politica si è incancrenita da quando si sono svolte le ultime elezioni regionali”. Cioè da quando Raffaele Lombardo è stato eletto sul-lo scranno più alto di Palaz-zo d’Orleans. Ci sono delle responsabilità del leader dell’Mpa?“Credo di sì. Nessuno lo ha eletto per diventare il com-missario della Sicilia, perché di questo si tratta. Anzi, il suo non è il comportamento di un commissario politico ma di un commissario di pub-blica sicurezza. Onestamente mi sembra un po’ eccessivo. I partiti ci sono, gli elettori ci sono, le istituzioni locali pure, è giusto che si tenga conto di tutto ciò”.

Per quanto riguarda il pro-blema dei rifiuti, dove fini-scono le colpe dell’ex gover-natore Cuffaro, e dove ini-ziano quelle di Lombardo?“Intanto abbiamo una legge che secondo me è inapplica-bile perché aggraverebbe la si-tuazione: la costituzione di un Ato per provincia attraverso il quale governare il sistema dei rifiuti. Personalmente sono portatore di un’idea diversa: i Comuni devono essere liberi di organizzare questo servizio come ritengono perché ognu-no ha delle esigenze diverse. Sia la raccolta della spazzatura che la riscossione dei tributi è meglio che ridiventino mate-ria esclusiva degli enti locali. Chi non è capace di espletare questo servizio deve pagare. Non vedo perché a causa di un comune inadempiente, dovrei ritrovare il mio – che ha pagato regolarmente, che

ha un’amministrazione che funziona – sommerso dai ri-fiuti e senza servizi erogati”. Quali sono i punti fonda-mentali su cui il centrode-stra siciliano dovrebbe riav-viare il dialogo?“Vogliamo capire qual è il programma che vuole attua-re il governatore Lombardo. Fino ad ora l’unico che cono-sciamo è quello della sanità: a mio avviso i cittadini sicilia-ni, man mano che andranno avanti, dovranno prendere atto che non saranno più cu-rati. Se il presidente pensa di dare queste risposte, che go-verni lui la Regione. Noi non siamo interessati a seguirlo”. Lombardo ha dichiarato che sta portando avanti questo programma per estirpare il marciume che c’è all’inter-no della politica regionale.“L’unico marcio è lui”.No comment di Lombardo.

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Ormai il disegno del-la “Grande Belpas-so” vagheggiato dal

sindaco Papale si sta svelan-do in tutto il suo splendore. Ettari di territorio agricolo, archeologico, paesaggistico, sono stati o stanno per essere distrutti per far posto a im-mensi capannoni o a insedia-menti commerciali. Il tutto senza un Piano regolatore e senza un dibattito serio con i cittadini. Evidentemente non è bastata l’approvazione (marzo scorso) di una mega cementificazione di 64 ettari di territorio (in buona parte agrumeto) per la realizzazio-ne di un centro di stoccaggio e di distribuzione merci, non bastano quei mega capanno-ni all’ingresso del paese che ne stanno massacrando ir-reversibilmente l’immagine, non basta la stessa Etnapolis che sta depauperando il com-mercio locale e sta “desertifi-cando” socialmente il paese. Evidentemente non è bastata la distruzione negli anni Ot-tanta della settecentesca Fe-nicia Moncada o le centinaia di case abusive che sorgono in tutto il territorio. Adesso il Consiglio comunale di Bel-passo (con il voto contrario di

Pippo Vasta, Udc, e l’asten-sione di Gaetano Sava, Pd) ha pensato bene di approvare la costruzione di un altro cen-tro commerciale in una zona agricola dove tra l’altro esisto-no delle testimonianze arche-ologiche dell’epoca bizantina. Dove si vuole arrivare? Cosa si vuole fare? Che idea di svi-luppo si ha? Chi scrive non ha mai brandito l’arma dell’am-bientalismo a scapito della produttività. Per la semplice

ragione che la salvaguardia del territorio può coesistere con la produttività. Siamo convinti che la conservazione e la valorizzazione del paesag-gio, della natura, dell’ambien-te, del centro storico, e dei siti archeologici possano convive-re con i capannoni industriali ed artigianali.Ma ad una condizione: che esistano delle regole certe. E in questo settore la “madre” di tutte le regole è il Piano

LA “GRANDE BELPASSO”

Belpasso

INTERI ETTARI DI TERRITORIO DI GRANDE PREGIO DISTRUTTI DAL CEMENTO.

OVVIAMENTE SENZA PIANO REGOLATOREdi Luciano Mirone

regolatore, senza il quale, ap-provare centri commerciali o lasciare costruire capannoni significa venir meno al pro-prio ruolo di amministratori, anzi, peggio, essere complici della devastazione di un ter-ritorio. Dunque, non solo è urgente uno strumento ur-banistico, ma è fondamentale che a redigerlo sia un docente universitario di fama quanto-meno nazionale. Non ci sono soldi? Si trovino! Ci sono de-gli esempi (anche in Sicilia) in cui la presenza di regole certe ha creato i presupposti per uno sviluppo economico che ha portato ricchezza a tutti. Senza regole ad arricchirsi sono soltanto in pochi a di-scapito dei tanti.E forse non è casuale che la Confcommercio di Belpasso senta l’esigenza di dar vita al Centro commerciale naturale che abbia lo scopo di pro-muovere l’economia locale at-traverso una serie di iniziative in centro storico. È un’inizia-tiva da lodare e da incoraggia-re ma può avere senso solo se viene inserita in un contesto di sviluppo più ampio, più razionale, più armonioso, più serio. Sennkò rischia di di-ventare un buco nell’acqua.

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Chi era santa Barba-ra? Perché fu marti-rizzata? È vero che

qualche studioso ne mette in dubbio l’esistenza? Perché è diventata patrona di Pater-nò? A rispondere a queste domande è il prof. Vincenzo Fallica, autorevole studioso

di Storia patria: “Esaminan-do le fonti più importanti – Giovanni Damasceno, Pietro di Argo, Ansemio di Corfù – troviamo delle lodi della santa, ma non abbiamo né la città né il luogo di nasci-ta né la data del martirio. In realtà, al di là delle fonti, se

CHI ERA SANTA BARBARAil culto è stato tramandato in modo così forte, è chiaro che non poteva essere inventato. Dagli storici, Barbara viene descritta come una fanciulla bellissima e di grandi virtù morali e spirituali, che ri-nuncia agli dei pagani per ve-nerare il suo Dio. Nella torre

dove fu rinchiusa dal padre, alle due finestre esistenti, ne fece aggiungere una terza per rappresentare la Santissima trinità. Fu questo il motivo per il quale fu portata al co-spetto di Marciano, il gover-natore della Vitinia (regione dell’Asia Minore, l’attuale

PARLA IL PROF. VINCENZO FALLICA,

STUDIOSO DELLA VITA DELLA PATRONA DI

PATERNÒ

di Norma Viscusi

Paternò eSanta Barbara

foto di Giuseppe Barbagiovanni

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CHI ERA SANTA BARBARATurchia, dove è collocata Ni-comedia, la presunta città di Barbara)”.In quale periodo si presume sia avvenuto il martirio?“Ci sono diverse fonti: la pri-ma parla del 243 dopo Cri-sto e lo colloca nel periodo di Diocleziano, Decio e Valeria-

no, l’epoca più terribile delle persecuzioni cristiane da parte degli imperatori roma-ni. Un’altra parla del 302. E’ proprio questa incongruenza di date che porta qualcuno a ritenere che la santa non sia realmente esistita. Questo però, a mio giudizio, non implica la non esistenza. In ogni caso, troviamo il cul-to della santa a partire dal IV o V Secolo: questo vuol dire che il nome già allora è molto diffuso, soprattutto nelle città della Grecia, della Turchia, e della Russia (tutte Nazioni di religione greco-ortodossa) dove Barbara già da allora viene festeggiata il 4 dicembre”. Perché santa Barbara sarebbe stata mar-tirizzata?“Perché il cristianesimo in-frangeva i principi fonda-mentali dell’impero romano fondato sulla schiavitù. Bar-

bara davanti a Marciano che la interroga, più volte dice: ‘Io sono cristiana, credo nel-la Trinità’. C’è un dialogo drammatico fra lei e il padre ricostruito da Pietro di Argo: ‘Perché vuoi morire per un Dio che non hai mai visto?’. ‘Quel Dio che tu non vedi è il mio Dio, creatore dell’uni-verso”. È un periodo in cui una infinità di cristiani viene martirizzata. Fu condannata da Marciano a subire il ta-glio delle mammelle. Dice la leggenda che un angelo fer-mò la mano del boia e salvò le mammelle della fanciulla. Successivamente fu condan-nata al taglio della testa, per il quale si offrì il padre, che fu colpito da un fulmine pri-ma di compiere il gesto. Ecco perché la tradizione pone santa Barbara come protet-trice dai fulmini”. Perché il culto fu esportato

in Sicilia? “Durante le crociate i cavalie-ri teutonici portavano in Eu-ropa (soprattutto in Sicilia) le reliquie dei santi. In epoca medievale, a Paternò porta-rono i resti di questa giovi-netta martirizzata nell’Asia Minore. Furono sistemate nella chiesa di San Nicolò dei Lombardi. Nel 1378 fu-rono trasferite nella chiesa dell’Itria. Nel 1576, in segui-to ad una terribile pestilenza che colpì la città, le reliquie furono portate in processio-ne: il 5 agosto dello stesso anno la peste finì. Questo evento è documentato. Da quel momento santa Barbara diventa la compatrona della città assieme a san Vincenzo, ma poi nell’anima popolare ne prende il sopravvento per i tanti miracoli che nel corso dei secoli le sono stati attri-buiti”.

foto di Giuseppe Barbagiovanni

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La festa è nell’aria. Nessuno che viva a Paternò può sottrar-

si al fermento che precede la sera del 3 e 4 dicembre. È una lunga e variegata attesa che ogni anno sembra prendere sempre più vigore variando pur nella sua costante celebra-zione. E in questa occasione, mi piace farmi raccontare,da

quelli che ne conservano la memoria vissuta o oralmente tramandata, le loro nostalgi-che consuetudini,quelle della propria casa, del quartiere, della città. Mi piace farmi raccontare quel che ancora non so e quel che poco si sa. Pippo Virgillito, appassionato cultore, custodisce non poche informazioni storiche e di

LA FESTA E’ NELL’ARIA

folklore sulle origini del culto a Santa Barbara e sul suo pro-gressivo affermarsi e variare.Una tra queste, nota comune peraltro a tutte le feste po-polari, è che il percorso della processione che seguiva il si-mulacro della Santa, era ori-ginariamente illuminato da torce a vento, il cui stoppino era intinto nel petrolio. Si

trattava per lo più di ferule o fiaccole di resina poste ai due lati delle porte delle abitazio-ni, lungo la via principale.L’avvento della corrente elet-trica ha continuato a rispon-dere al desiderio dei devoti, di illuminare il cammino di una figura di splendore come la Nostra e di segnare, come allora, l’importanza della fe-

Paternò eSanta Barbara

foto di Giuseppe Barbagiovanni

di Norma Viscusi

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LA FESTA E’ NELL’ARIA

sta con le migliaia di luci che adornano le vie principali; ma è anche vero che, per lungo tempo i ragazzi, nel passato, continuarono a portare in giro quelle torce per la città per tutto un mese e quindici giorni prima della festa, sia per annunciare i solenni pros-simi festeggiamenti, sia per voler riportare alla memoria i tempi in cui la luce, sebbene fioca e povera, non impediva il culto.Mi piace immaginare com’era,

mentre avverto un accenno di malinconico rimpianto. Chie-do ancora a Pippo di raccon-tarmi di quelle strane bellissi-me bombe che mi tenevano da bambina, trasognata col naso all’in su la mattina del 4. Erano bombe alla giappone-se, che esplodendo facevano piovere sulla folla splendidi fazzoletti e ombrellini di seta orientale- mi spiega- ma c’è ancora un’altra tradizione soppressa, perché son venute a mancare le condizioni og-gettive e logistiche che la ren-devano possibile : era la corsa dei cavalli lungo la via Vitt.Emanuele, corsa che vantò l’affermarsi di fantini di gran-de destrezza.Anche “la sera del 3”, ovvero “l’entrata dei cantanti”, ha subito alterne vicende e varia-zioni. La tradizione racconta che ad una data ora, concor-dato un certo segnale, quattro

gruppi di ragazzi, confluivano simultaneamente in piazza In-dipendenza. Ciascun gruppo proveniva da un diverso ango-lo, a simboleggiare l’accorrere di tutti i devoti da ogni par-te della città per festeggiare la Santa, e allo stesso tempo, l’intera cittadinanza veniva rappresentata emblematica-mente nelle sue corporazioni (artigiani,mulinari…), che ne costituiscono tutte le categorie sociali. I diversi gruppi, sulle note della Marcia dei Bersa-glieri, con palme, bandiere, lampioncini alla veneziana, corone, strisce multicolori, fiaccole, bandiere, correvano verso i palchi collocati al cen-tro della piazza, mentre razzi a colori e aerostati di carta illuminati adornavano il cie-lo. Conquistare per primi il palco era un grande merito, da lì, si intonavano canti che esaltavano il martirio di Bar-

bara. La foga di conquistare per primi il palco, per quella che era una sana disputa tra le corporazioni, di elevare cioè alla Santa il canto più bello, divenne poi, l’occasione per i facinorosi,di veri e propri scontri, quasi delle risse, in cui lo spirito paganeggiante, chiassoso, carnevalesco, ave-va preso il posto della antica, sana tradizione. Era il 1970 l’anno in cui l’Entrata dei giovani cantanti fu soppressa.Al Suo posto venne messa in scena la Sacra Rappresenta-zione della vita e del Martirio di Santa Barbara, componi-mento in versi del XV Sec. con brani musicali inediti. Ideatore di questa manifesta-zione fu l’avv. Pippo Caruso, regista Emanuele Bonanno. E oggi, la sua storia continua, rimanendo uguale a se stessa pur cambiando ancora il suo abito.

di Norma Viscusi

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Correva l’anno del Si-gnore 1636 quando nell’antico paese di

Malpasso (come un tempo era denominata Belpasso) si celebrarono per la prima volta i solenni festeggiamen-ti – con il finanziamento di ben 40 onze – in onore di santa Lucia, proclamata pa-trona poco tempo prima grazie all’autonomia che il

piccolo centro etneo ottenne da Paternò (21 luglio 1636). Diventato Malpasso comune autonomo, non mancaro-no le prime polemiche: dato che ancora la Matrice non disponeva di una statua della santa, si pensò bene di chie-dere in prestito l’immagine al priore dei padri Carmelitani, Giovanni D’Assero, che nella chiesa della Madonna delle

LA PRIMA FESTADI SANTA LUCIAGrazie la teneva esposta. Con l’impegno però che dopo la festa sarebbe stata restituita tale e quale era stata conse-gnata. Passò la festa ma la sa-cra immagine resto alla Ma-trice. Malgrado le continue insistenze del priore, non ci fu verso di ricollocarla nella chiesa d’origine. Trascorre-vano gli anni, si celebrava-no le feste, ma i malpassoti, quando si parlava di restitu-ire l’icona di santa Lucia, fa-cevano orecchie da mercante. Probabilmente perché nella nuova comunità mancava ancora una statua alla quale i fedeli potessero rivolgere le

loro preghiere. Il priore perse la pazienza e, come ben docu-mentato da mons. Francesco Mio, studioso delle origini e della storia di Belpasso, il 12 dicembre 1640 (proprio alla vigilia della festa), prese carta e penna e scrisse al vescovo di Catania, Ottavio Brancifor-te, lamentando lo spiacevole inconveniente. L’alto prelato incaricò il Vicario Generale di intervenire presso il parroco della Matrice perché l’effigie della martire venisse restitui-ta, pena sanzioni severissime. Ma anche l’intervento del ve-scovo fu vano. Non sappiamo se le sanzioni furono applica-

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te, quel che è certo è che, se i malpassoti non ubbidirono neanche all’imposizione del vescovo, i motivi dovevano essere validi e anche pro-fondi. Passarono altri anni, l’immagine della santa fu ri-data alla chiesa della Madon-na delle Grazie, ma un altro problema assillò il paese per molto tempo: quello di una reliquia della martire siracu-sana (il pezzetto di un dito) di incerta provenienza che si aggiungeva alle precedenti. “Molto discusse rimangono le notizie sulla sua provenien-za”, scrive mons. Mio, “per lo smarrimento dell’’auten-tica’ (documento provante l’autenticità della reliquia)”. Per molto tempo una disputa circa la vera origine del pez-zo d’osso animò le discus-sioni dei malpassoti. Diversi furono i sacerdoti chiamati a testimoniare davanti alla

Magnifica Corte Episcopale di Catania, i quali giuraro-no di aver visto, diversi anni prima, l’autentica conservata accanto alla reliquia. Addirit-tura il can. Cunsolo dichiarò di averla notata nella casa del sacerdote Mario Spampinato “manciata e lacerata dalli sor-gi”. Soltanto diverso tempo dopo – e in base ad una serie di testimonianze attendibili – la chiesa decise di esporre la reliquia alla venerazione dei fedeli. Contrastanti restarono le versioni in merito alle ori-gini dell’osso. Ci fu chi disse che era stato portato da un frate minore del convento di Malpasso, il quale, essendosi recato a Venezia per baciare il corpo della santa martire, aveva staccato il dito dalla mano. Ci fu chi disse che esso era stato portato dalla moglie di un capitano di fregata ve-neziano (certa “Caterinella”)

oppure dal conte Francesco di Castro da Tivoli, che l’ave-va ricevuto dalla figlia adot-tiva, suor Vittoria Rossi, che era stata monaca presso il monastero di santa Cateri-na di Catania. Scrive mons. Mio: “Il 17 luglio 1657,

suor Vittoria, unica erede del conte di Castro, donava la reliquia di santa Lucia a don Francesco Strano, canonico della cattedrale di Catania, da cui l’hanno ricevuta i pre-ti e i rettori della Matrice di Malpasso”.

foto di Francesco Mirone

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È uno dei circoli più antichi di Sicilia, ma anche un luogo dove si

è fatta una parte della Gran-de Storia. Le prime notizie risalgono al 1849, quando il capitano Antonio Cimbali ne parla in un libro dal titolo “Ricordi e lettere ai figli”. Ma è Giovanni Verga che nella novella “Libertà” – nel descri-vere la rivolta dei contadini di Bronte – fa cenno al Casino dei Civili assaltato dalla folla inferocita che vuole vendicar-si di quegli affamapopolo dei “cappeddi” i quali, invece di fare gli interessi del comune, facevano gli interessi della ducea. Alla fine, di quei “cap-peddi” dell’alta aristocrazia, ne venero trucidati tredici, compreso il notaio Canna-ta, borbonico e anti Savoia – come quasi tutti i soci del circolo – il quale quando al balcone fu esposto il tricolo-re dell’Italia unita pronunciò la fatidica frase: “Perché non la togliete questa pezza lor-da?”. Poi ci pensò Nino Bixio a sedare la rivolta, ma questa è un’altra vicenda. Memoria storica del Circolo di cultu-ra “Enrico Cimbali” (come è stato denominato successiva-mente in onore della memo-ria dell’insigne giurista bron-tese) è l’avv. Felice Caruso, 83 anni, che parla con passione del sodalizio del quale fa par-te da tanti anni. “Credo che le origini risalgano addirittu-ra all’inizio dell’Ottocento, quando ancora nell’isola, di circoli, ce n’erano veramen-te pochi. Intorno al 1937 fu espropriato dal fascismo che ne fece la Casa del fascio e lo chiamò Dopolavoro del Lit-torio Artisti e Professionisti ‘Enrico Cimbali’. Non solo: il regime impose ai soci di ven-

IL CIRCOLO DEI “CAPPELLI”

derlo allo Stato al prezzo di una lira. All’ingresso, posta in bella evidenza, c’era una gran-de foto del duce dentro una robusta cornice di rovere. Poi, a causa dei bombardamen-ti, il sodalizio venne in parte distrutto: fu ricostruito dal farmacista Vincenzo Rizzo, il

quale, avendo l’abitazione al piano superiore, ripristinò la parte muraria. Dopo la guerra 47 soci decisero di rivolgersi al prof. Orazio Condorelli per fare causa allo Stato allo scopo di ottenere la restituzione del circolo che ormai apparteneva al demanio”. L’avvocato Caru-

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Direttore responsabileLuciano [email protected]

Hanno collaboratoBarbara ContrafattoAngelo ContiFederico GiuffridaAntonio PatanèGiuseppe RussoNorma Viscusi

Progetto graficoLuciano Mirone

FotoAss. “Bronte Insieme” - OnlusGiuseppe BarbagiovanniFrancesco Mirone

Impaginazione e StampaTipolitografia TMvia Nino Martoglio, 93Santa Venerina (CT)Tel. 095 [email protected]

Sede: via Fiume, 153 - Belpasso (CT)Tel. 095 917819 - 347 [email protected]

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L’Informazione è presente a:Acireale, Adrano, Belpasso, Biancavilla, Bronte, Motta S. Anastasia, Nicolosi, Paternò, Pedara, Ragalna, S.M. Licodia, Santa Venerina, Trecastagni, Zafferana Etnea.

Bronte 1928. Alcuni soci illustri del circolo.

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IL CIRCOLO DEI “CAPPELLI”È UNO DEI

CIRCOLI PIÙ ANTICHI

DI SICILIA. FONDATO ALL’INIZIO

DELL’800, NE PARLA ANCHE

GIOVANNI VERGA

di Luciano Mirone

so è un fiume in piena, i soci ascoltano, si infervorano e si avvicinano al tavolo. La cau-sa fu vinta, con delle clausole

un po’ complicate a spiegare, ma fu vinta. Alla fine il circo-lo tornò di proprietà dei soci, che da sempre ne sono custo-di gelosi, al punto che diversi anni dopo (ma questo è un episodio che apprendiamo fuori), alcuni di questi, in-tentarono un’altra causa (che vinsero) contro alcuni iscritti che volevano immettere gente nuova. “Non sia mai”, escla-mò qualcuno, evidenziando così che il “Cimbali” doveva continuare ad essere esclusivo retaggio dei “cappeddi”. Era-no tempi in cui nella società erano molto marcate le distin-zioni: i cappeddi con i cap-peddi, i viddani con i viddani, i mastri con i mastri. Anche il circolo, soprattutto il circolo,

era molto elitario, mal si tol-lerava l’ingresso del figlio di un pastore, di un artigiano o di un carrettiere che con una laurea aveva scalato i gradini della società. Causa doveva essere e causa fu. Alla fine la spuntarono i cappelli. Oggi il circolo è molto più democra-tico. Alle pareti non c’è più la

foto di Mussolini, ma i ritratti del venerabile Capizzi (grande uomo di cultura di Bronte), di Enrico Cimbali e del padre Antonio, che da sindaco del-la città fece costruire il teatro comunale. Si gioca a briscola, a tressette, a poker. Si leggono tutti i giornali, quelli di destra e quelli di sinistra. “Su circa 180 soci”, dice l’avv. Caruso, “solo 8 o 10 sono di sinistra; gli altri sono tutti moderati”. Come ai tempi del Casino dei Civili. Come sempre.

Foto gentilmente concesse dall’associazione “Bronte

Insieme Onlus”

www.bronteinsieme.it

L’avv. Felice Caruso, socio del Circolo “Cimbali”, intervistato dal nostro giornale

Costume

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È una icona del basket di casa nostra per l’il-lustre passato che lo

ha visto giocare addirittura in serie A. Gerardo “Gerry” Li-guori, 49 anni, due metri di simpatia, napoletano di ori-gine ma catanese di adozione (anzi licodiese, visto che ha sposato l’ex sindaca di Santa Maria di Licodia, Maria Lucia Tomasello), ha iniziato a fare pallacanestro a 13 anni con l’Ovomaltina Napoli per poi passare alla Partenope Napoli. Per 20 anni ha giocato fra A e B, con un esordio a soli 15 anni. Poi è sceso di categoria facendo anche l’allenatore-giocatore, ma non ha perso la grinta e la bravura dei giorni migliori. Siamo al palazzetto dello sport di Belpasso dove Gerry allena 180 bambini fra

i cinque e i diciassette anni tesserati nell’“Azzurra Basket” (la società che ha fondato 8 anni fa). “Il ricordo più bello? L’esordio in B contro il Latina: avevo quindici anni, realizzai dieci punti e diventai titolare. A 17 anni mi acquistò la Par-tenope Napoli, nel ’77 esordii in serie A con Carlos D’Aqui-la, un allenatore argentino che ebbe fiducia in me. Per due anni giocai con i più grandi cestisti del momento, Mene-ghin, Recalcati, Flaborea. Poi il coach delle giovanili, Salva-tore Furnari, mi portò in se-rie B a Messina con l’Amaro Arris. Nell’80 passai allo Ja-germeister Catania e dopo tre anni tornai a Messina dove fui allenato dal mitico Vittorio Tracuzzi, ex tecnico della Na-zionale. Altri anni di B fra Bari,

Corato (con Mark Campana-ro, ex Viola Reggio Calabria, altro mostro sacro del basket di allora) e Comiso, finché mi sono ritirato da queste parti: Gravina, Paternò (dove ha fat-to l’allenatore-giocatore) e poi la parola fine dall’attività ago-nistica. Da allora faccio il tec-nico a tempo pieno”. Ma cos’è il basket per questo “ragazzo” di quasi cinquant’anni? “Un sogno realizzato, una passio-ne ma anche una professione. All’inizio i bambini mi danno del lei e mi chiamano profes-sore, dopo cinque minuti mi danno del tu e mi chiamano Gerry”. Scusa, ma non è per-ché sei rimasto un po’ bambi-no? “Sicuramente. Guai se non fosse così, dovremmo esserlo tutti per affrontare la vita in maniera leggera. Dicono che

QUELLO CHEIL BASKET

Il personaggio

Gerry Liguori (a destra) con Dino Meneghin, ex giocatore della Nazionale

EX GIOCATORE DI SERIE A, GERRY LIGUORI ALLENA I GIOVANI DELL’AZZURRA BASKET BELPASSO.

abbia 50 anni ma io mi sento uno di loro. Ai ragazzi vorrei inculcare i valori di questa di-sciplina. Il basket è uno sport che aiuta i ragazzi a migliorar-si dal punto di vista umano e psicologico. Se sono maturato come giocatore, come tecnico e come uomo lo devo ad alcu-ni allenatori che mi hanno tra-smesso valori come la lealtà, la sincerità, l’educazione. L’Az-zurra Basket è una scommessa: sto puntando moltissimo su questi ragazzi; uno di questi, Francesco Paolo Linstvon, 17 anni, gioca a Teramo in serie B. Molti cercherò di inserirli gradatamente in prima squa-dra. Il mio sogno è quello di fare una squadra composta da giovani locali. Ci vorrà tempo e pazienza, ma stanno crescen-do bene”. (l.m.)

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“Le patologie allergiche causate da farmaci sono in costante incremento

e interessano il 30 per cento della popolazione italiana. In realtà si fa uso frequen-te di medicine.Ormai molti assumono degli anti infiam-matori senza la prescrizione del medico. L’Istituto ricerca medico ambientale di Acirea-le (Irma) è ai primi posti per l’avvio della farmaco geneti-ca. A gennaio partirà questa branca specialistica che ci consentirà di capire perché alcuni soggetti vanno in ac-cumulo farmacologico. Si tratta di un grande passo in avanti da parte dell’Istituto”.Giovanni Tringali, direttore sanitario dell’Irma di Acire-ale – Istituto all’avanguardia nel settore della prevenzione e della cura alle intolleranze ai farmaci – spiega le cause

di un fenomeno in costante crescita.A cosa è dovuto un alto consumo di farmaci?“Secondo me gli utenti fan-no ricorso a troppi farmaci in auto medicazione. Di contro, da parte di alcuni medici c’è una prescrizione eccessiva, per esempio, di antibiotici, tra i farmaci più pericolosi in quanto, in presenza di una intolleranza, potrebbero por-tare a degli shock anafilattici. Questo vale anche per gli anti infiammatori, i mio-rilassanti e gli anestetici”.A cosa può portare l’uso ec-cessivo di medicine? “C’è il rischio che la flora intestinale venga alterata. A questo bisogna aggiungere gli effetti collaterali tra cui le far-maco-anafilassi. La Sicilia è la seconda regione italiana per prescrizione di antibiotici”.

Perché in questa regione si prescrivono così tanti medi-cinali?“Esiste una cultura sbagliata. Molti pensano che andare dal medico vuol dire uscire con la prescrizione di un farmaco”.C’è il rischio che l’organi-smo possa assuefarsi a certi farmaci? “Più che l’organismo è il mi-cro organismo, cioè il batterio che può sviluppare nel tempo delle resistenze incentivate dall’uso inappropriato degli antibiotici”. Perché si diventa intolleran-ti ai farmaci?“I soggetti allergici hanno una maggiore possibilità di sviluppare una reazione. Si diventa allergici quando ci si sensibilizza”. Cosa si può fare per sapere se siamo intolleranti verso certi tipi di farmaci?

“L’Istituto ricerca medico ambientale di Acireale è mol-to avanzato nella diagnostica delle reazioni ai farmaci. A li-vello nazionale siamo tra i pri-mi, in Europa siamo presenti con il progetto Eurobat. Con un semplice prelievo si valuta l’espressione sulla membrana di alcuni particolari globuli bianchi (i basofili) marcatori di attivazione cellulare. Attra-verso la reazione si individua l’intolleranza verso il tipo far-maco”. L’Irma si occupa solo di prevenzione?“No, fa anche attività clinica. Al terzo piano c’è il poliam-bulatorio dove sono presen-ti le branche specialistiche come neurologia, nefrologia, genetica medica, angiologia, ginecologia, che richiamano utenza anche da fuori Sici-lia”.

“FARMACIMA SENZA

ESAGERARE”di Angelo Conti

L’IRMA di Acireale tra i primi laboratoriitaliani ad individuare le cause delle

intolleranze alle medicine

Medicina

Il direttore dell’IRMA di Acireale, dott. Giovanni Tringali

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