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Neurochirurgia, luogo di speranzaper i momenti più difficili

Ogni paziente raccontala sua storia... e meno male!

Lo sport: medicinaper i trapiantati

Erano amici.Michela e l’incontro con i volontari dell’associazione Akja

Prevenzione nello sport,sport come prevenzione

Sono davvero utili gli integratori per lo sport?

Antonio Rodari ci ha lasciato.Nella memoria la figuradi un illustre presidente

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Mensile di cultura sanitaria del Consiglio RegionaleAIDO Lombardia - ONLUS

Anno XIX n. 179 - gennaio/febbraio 2010

Editore: Consiglio Regionale AIDO Lombardia - ONLUS 24125 Bergamo, Via Borgo Palazzo 90Tel. 035 235327 - fax 035 244345 [email protected]

Direttore EditorialeLeonida Pozzi

Direttore ResponsabileLeonio Callioni

Collaborazioni scientifiche:Dott. Gaetano Bianchi

Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo

Dott. Michele ColledanDirettore Chirurgia Generale III Direttore Centro Trapianti di fegato e di polmoni

Dott. Paolo FerrazziDirettore Dipartimento CardiovascolareDirettore U.O. di Cardiochirurgia

Dott. Amando GambaResponsabile Unità Semplice dipartimentaleCentro Trapianti di cuore

Dott. Giuseppe LocatelliConsulente del Dipartimento di Chirurgia Pediatrica

Prof. Giuseppe Remuzzi

Direttore Dipartimento

di Immunologia e Clinica dei Trapianti

Università Milano Bicocca

Prof. Roberto Fumagalli

Docente

NITp - Nord Italia Transplant

Prof. Cristiano Martini - Presidente

Dott. Mario Scalamogna - Direttore

Istituto Mediterraneo Trapianti e Terapie

di alta specializzazione - ISMeTT

Prof. Bruno Gridelli

Direttore Medico scientifico

Professore di Chirurgia Università di Pittsburgh

Istituto Ricerche Farmacologiche

“Mario Negri” - Bergamo

Prof. Giuseppe Remuzzi - Direttore

Yale University School of Medicine

Dott. Mario Strazzabosco

Professor of Medicine,

Director of Transplant Hepatology

Department of Internal Medicine

Section of Digestive Diseases

Redazione esternaLaura SpositoCristina Grande

Redazione tecnicaBergamo [email protected] Seminati

Segreteria e Amministrazione24125 Bergamo, Via Borgo Palazzo 90Tel. 035 235327 - fax 035 [email protected]@aidolombardia.itC/C postale 36074276Ester MilaniLaura Cavalleri

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800 20 10 88NUMERO VERDE

Risponde l’Aido Lombardia

Nel clamore di questi tempi sui grandi temidel lavoro, della crisi finanziaria, delle tra-gedie come quella di Haiti (che segnerà per

sempre la storia di quella povera gente), delle guerreche umiliano e straziano i popoli più poveri delmondo, ci sono angoli di speranza? c’è la possibilitàdi vedere un pezzo di cielo azzurro?“Prevenzione oggi” cerca da sempre questo pezzo dicielo sereno per mostrarlo ai propri lettori e condi-videre con essi la speranza che dà la forza di andareavanti alla ricerca del meglio per la società e nellaricerca delle risposte da offrire ai tanti bisogni checi interpellano e ci obbligano a reagire.In realtà, anche se spesso ci sfugge, nel campo scien-tifico tante sono le ragioni della speranza, sia per ilcostante e progressivo miglioramento delle cono-

scenze del sistema cerebrale (pensiamo soltanto alla sperimentazione del “pace maker” per il cer-vello malato di Alzheimer che si sta svolgendo agli Ospedali Riuniti di Bergamo), sia per tuttele altre malattie.Per questo pubblichiamo in questo numero una interessante intervista con il prof. Francesco Bi-roli, neurochirurgo degli Ospedali Riuniti di Bergamo, con il quale, assistiti dal coordinatoreprovinciale al prelievo e alla donazione di organi, dott. Mariangelo Cossolini, abbiamo appro-fondito il tema dell’assistenza e della cura in Neurorianimazione e in Terapia intensiva. Due re-parti di particolare rilevanza medica perché rappresentano l’estremo tentativo di salvare la vitaa persone appese spesso ad un sottilissimo filo di speranza. Solo quando questo filo si rompe per-ché la vita umana ha chiuso il suo capitolo terreno questi stessi reparti diventano il centro del-l’azione di donazione per salvare altre vite umane.Gran parte della nostra rivista è poi riservata ad un tema tanto di moda quanto spesso male in-terpretato: lo sport. Chiarisco subito che non abbiamo nemmeno lontanamente pensato di parlaredello sport dei “grandi nomi” e delle “grandi cifre” (spesso vergognosamente eccessive, se para-gonate ai riconoscimenti riservati a chi dedica la vita a salvare gli altri…). Abbiamo invece in-dagato, attraverso gli scritti di nostri preziosi collaboratori, a cominciare dal carissimo dott.Bianchi, lo sport come attività che riguarda la gente comune, lo sport come attività fisica non soloauspicabile ma sempre più indispensabile per un equilibrato modo di vivere. Le ultime e conclusive righe di questo editoriale voglio dedicarle alla memoria di un carissimoamico, l’avv. Antonio Rodari, uomo di superiore statura umana e morale, principe del Foro conuna fama che ha valicato i confini nazionali, presidente nazionale dell’Aido degli albori. Par-lare con l’amico Antonio era un piacere oltre che un arricchimento continuo per la vastità dellesue conoscenze e per l’apertura delle sue posizioni culturali. Anche grazie all’avv. Rodari, che af-fiancò entusiasticamente il fondatore dell’Associazione, Giorgio Brumat nei suoi primi passi,oggi l’Aido è una realtà nazionale così diffusa, efficace, determinante nelle politiche socio-sani-tarie italiane.Grazie Antonio, non ti dimenticheremo.

Leonida Pozzi

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In copertina:«UN INSOLITO

COPRICAPO»©

foto di Silvio Gamberoni - Bergamo

“Normali campanili alpini con le loro guglie slanciate verso il cielo desiderano di solito liberarsi del fardello della neve. Ma non tutti. E qualcuno, come questo di Alagna, si tiene il cappuccio e in un invernoeccezionale trasforma un cariconormalmente sgradito in un copricapo particolarmente suggestivo”.

Le speranze legate all’azione della NeurochirurgiaParliamo tanto di sport quando è praticato per stare beneIl saluto dell’Associazione all’avv. Antonio Rodari, presidente degli albori

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C’è, nella città di Bergamo, aipiedi del colle su cui si erge, CittàAlta, maestosa e solenne, eppurebellissima, circondata da murache un tempo difendeva e oggi

accolgono, c’è - dicevamo - in questa città un ospe-dale che è meta di viaggi della speranza da tuttaEuropa (tanti) e dal mondo (qualcuno). Fra i molticentri di assoluta eccellenza di questo ospedale, gliOspedali Riuniti di Bergamo, si colloca a pieno di-ritto l’Unità Operativa di Neurochirurgia. In que-sto reparto, guidato dal dott. Francesco Biroli, cheè supportato da un’équipe di primissimo livello, sisalvano tante persone. La mortalità per interventiendocranici è inferiore a quella richiesta come goldstandard negli USA.Eppure è questo uno dei reparti di riferimento perla donazione di organi. Perché quando ormai sispenge la speranza, quando c’è la morte, allora en-

trano in campo la donazione e la solidarietà frapersone. Questo aspetto è gestito dal dott. Cossolini,coordinatore dei prelievi e dei trapianti d’organidell’area provinciale di Bergamo.“Prevenzione Oggi” incontra sia l’amico Marian-gelo Cossolini, sostenitore dell’Aido e instancabilepromotore della donazione e del trapianto di or-gani, sia il prof. Francesco Biroli in una sala vicinaal reparto. E qui avviene l’intervista con la quale ilnostro giornale cerca di raccontare, con la semplicitàe la precisione del linguaggio scientifico degli in-tervistati, le ragioni della speranza e della fiducianelle enormi possibilità che la medicina, quando èstrumento di salvezza, offre all’umanità sofferente.Il dialogo è avviato, come consueto, dal presidenteregionale dell’Aido e direttore editoriale della rivi-sta.Pozzi: Grazie per la disponibilità a questo in-contro. Peraltro con la Neurochirurgia l’Aido

Neurochirurgia,luogo di speranza

per i momenti più difficili

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ha un rapporto “datato”, Infatti già GiorgioBrumat aveva iniziato a coinvolgere la Neuro-chirurgia ai tempi del Prof. Cassinari. Era statouno dei primissimi. Aveva partecipato il prof.Stefanini che proveniva da Roma. Finora Pre-venzione Oggi non ha mai affrontato diretta-mente il tema neurochirurgico, per questosiamo qui con lei: per capire e poter raccontarequesta grande realtà sanitaria. Ringrazio ildott. Cossolini di averci affiancato in questanostra intervista. La domanda iniziale ri-guarda l’importanza della Neurochirurgia neiprelievi di organi rispetto a quelle Rianima-zioni che non hanno l’apporto delle Neurochi-rurgie. È interessante poi capire l’evoluzionedella Neurochirurgia.Biroli: Ovviamente il ruolo nel prelievo degliorgani è un aspetto collaterale rispetto al la-voro neurochirurgico. E viene alla fine di unqualche cosa che è un grave insuccesso. Nelsenso che il nostro sforzo è in modo assolutoquello di curare al meglio e il più possibile i pa-zienti che hanno una lesione cerebrale, o di tipotraumatico, o di tipo emorragico, o di tipo tu-morale. Inoltre c’è un settore di neurochirur-gia che si interessa dei problemi della colonnavertebrale: dall’ernia del disco ai tumori ver-tebrali, alla traumatologia vertebrale. E c’èun’altra parte che si interessa di un aspettofunzionale; per esempio il trattamento chirur-gico con la stimolazione nel morbo di Parkin-son. Però quello che interessa a noi in questomomento, legato al prelievo degli organi perla chirurgia dei trapianti, è un paziente che hauna lesione cerebrale e che muore a causa diquesta lesione cerebrale. Il concetto fonda-mentale sul quale abbiamo più volte parlatocon il dottor Cossolini, è proprio quello che noisiamo estremamente attenti a questo aspettoma questo aspetto rappresenta innanzi tuttoun grave insuccesso perché non siamo riuscitia salvare quel paziente. Quindi il nostro sforzoassoluto, anche davanti ad una situazione gra-vissima o disperata è quello di fare tutto il pos-sibile per salvare questo paziente. Nelmomento in cui c’è un accertamento ineccepi-

bile della morte di questo paziente, allora il no-stro pensiero cambia, non è più focalizzato sulcercare di salvare il malato, ma è focalizzatosull’attenzione alla possibilità che questo ca-davere, ancora a cuore battente e a respiro as-sicurato da una respirazione meccanica - macon un cervello morto e la cui morte è accer-tata, lo ripeto, in maniera assolutamente sicurae ineccepibile -, diventi la possibilità per altrepersone di ricevere un organo che permettaloro di ricominciare a vivere. E dico questo “ri-cominciare a vivere” senza la minima retoricaperché la realtà è questa. La nostra missione èquella di curare le persone; anche davanti a pa-tologie molto gravi, molto difficili, moltobrutte, dobbiamo fare tutto quello che è uma-namente possibile, magari anche qualcosa dipiù. Nel momento, invece, in cui questo non èpiù possibile perché il paziente non sopravvive,allora bisogna valorizzare la possibilità delladonazione.Pozzi: E questo intervento si esplica attra-verso la Rianimazione neurochirurgica? Comeè organizzato il reparto?Biroli: Il nostro è un reparto che ha una se-zione di degenza con 35 letti, una sezione disemintensiva da 10 letti, e una sezione di tera-pia intensiva che è gestita in condivisione congli anestesisti. Il primario di questa sezione èun’anestesista che è la dottoressa Zilio. C’è ungruppo di anestesisti che si occupa della partedi anestesia in sala operatoria e della gestionedella terapia intensiva fatta in comune con ineurochirurghi. Questo è un punto di forzamolto grande del nostro reparto: il fatto diavere una Terapia intensiva dedicata, con ungruppo di anestesisti dedicati e con una lungaabitudine a lavorare insieme ai neurochirurghiperché quel particolare tipo di malato ha biso-gno del chirurgo che l’ha operato e di un ane-stesista che sia un anestesista specializzato neltrattamento intensivo dei problemi cerebrali.Abbiamo costruito da tantissimi anni questogruppo composito che funziona estremamentebene. Questa, tornando al discorso di prima, èuna grandissima forza del nostro gruppo; ciP

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permette di avere dei risultati molto buoni enello stesso tempo, quando questi risultati pur-troppo non arrivano, allora scatta questo altrotipo di sensibilità e attenzione, ugualmentepresente nel gruppo di neurorianimatori e neu-roanestesisti come nel gruppo dei neurochi-rurghi.Pozzi: Ricostruiamo un ideale percorso dopoun incidente stradale con trauma cranico. Il pa-ziente quali “strade” percorre dal luogo del-l’incidente all’ospedale e poi dentro l’ospedale?Biroli: Il paziente viene assistito direttamentesul luogo dell’incidente da un gruppo formatoda personale medico e paramedico preparatis-simo e che lavora su ambulanze cosiddette me-dicalizzate che possono permettere l’assistenzaintensiva di questo paziente da subito: intuba-zione, ventilazione meccanica, sostegno car-diocircolatorio. Questo è stato un altro passoavanti estremamente importante, compiuto inquesti anni. Viene portato in un pronto soc-corso o di un ospedale vicino all’incidente odegli Ospedali Riuniti e inizia la fase diagno-stica completando al contempo il trattamentodi primo soccorso di questo paziente. Vale adire che viene sostenuta la circolazione san-guigna, viene assicurata una buona ossigena-zione, una buona respirazione conl’intubazione, con la ventilazione meccanicaquando necessaria; viene valutata la globalitàdelle lesioni di questo paziente perché puòavere solo un trauma cranico, ma può avere as-sociato un trauma vertebrale, un trauma tora-cico, un trauma addominale, un trauma degliarti. Anzi, molto spesso questi pazienti sonopolitraumatizzati. Poi, in relazione a quella cheè la patologia prevalente, viene indirizzato inuna delle rianimazioni o delle terapie intensivedi questo ospedale. Ha un prevalente patologiadi tipo addominale e toracica? Va nella Riani-mazione centrale. Ha invece una prevalentetraumatologia di tipo cranico vertebrale? Vanella Terapia intensiva neurochirurgica. Daqui, se si rende necessario un intervento chi-rurgico, va nella sala operatoria neurochirur-gica o in quella di chirurgia generale o di quellaspecificità chirurgica che è necessaria. Fattal’operazione ritorna in terapia intensiva. E disolito, adagio adagio (facciamo l’esempio deltrauma cranico), con lungo trattamento inten-sivo, il malato un poco alla volta migliora, co-mincia a riprendere coscienza, comincia arespirare per conto suo… Quando diventa au-tonomo nelle funzioni vitali (comincia cioè a

riconoscere l’ambiente e i parenti, a respirare inmodo sufficiente da solo, ad alimentarsi inmodo quasi del tutto autonomo) allora vieneavviato ad una struttura di riabilitazione spe-cializzata che provvede a completare tutto que-sto lavoro. Devo dire che l’assistenza sullastrada, l’integrazione di un’équipe di tipo neu-rorianimatorio, di tipo neurochirurgico, haportato in questi anni ad un miglioramento ve-ramente importante in questi risultati che sonocompletati dal trattamento neuroriabilitativo(quest’ultimo è di grande importanza nella ge-stione di questi pazienti). Poi purtroppo nonsempre le cose vanno così bene: abbiamo degliinsuccessi. Che possono essere o gli stati vege-tativi persistenti e permanenti, cioè persone ilcui recupero cerebrale è parziale o addiritturanullo nel senso che la parte di cervello che ci fainteragire con l’ambiente non funziona più;funziona soltanto quella parte di cervello cheassicura le funzioni vitali: la respirazione e l’at-tività cardiocircolatoria. E questi sono malatiestremamente seri, pesanti, impegnativi da ge-stire. Qualche volta le cose vanno così male cheil malato non ce la fa e muore. La morte in te-rapia intensiva non è quella che siamo abituatia pensare tradizionalmente nel letto di casa oin un letto normale di ospedale. La morte interapia intensiva si configura oramai da qua-rant’anni con la morte del cervello. Ci sono ac-O

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certamenti di tipo clinico e di tipo strumentaleche ci danno una sicurezza assoluta sullamorte del paziente, fuori veramente da ognidubbio. Questo accertamento è gestito con unrigore estremo. C’è una valutazione clinica cheè quella di uno stato di coma irreversibile ari-flessico. Il malato respira soltanto perché la re-spirazione è assicurata dalla ventilazionemeccanica, non ha più riflessi pupillari, non hapiù riflessi di nessun genere. Non ha più nes-suna risposta motoria agli stimoli esterni.Questa è quella che è definita una situazione dicoma irreversibile. A questo punto inizia la va-lutazione strumentale che deve assicurare ecertificare la morte del paziente. Il dottor Cos-solini è l’esperto più autorevole di questa ma-teria. Ma voglio aggiungere che prima diarrivare lì c’è la più grande tensione possibilea fare di tutto per salvare la vita a questi pa-zienti. Ricordo la campagna di alcuni anni fa“contro la predazione degli organi”. Una cosaignobile, che rasenta quasi la follia, nel sensoche in realtà, in ogni ospedale e in particolarenel nostro, c’è davvero uno scrupolo, un rigore,un’attenzione, assoluti. Il tutto normato da unalegge che garantisce in modo assoluto il ri-spetto della vita dei pazienti. Finché c’è vita lamedicina si spende come meglio non si po-trebbe. Dopo che si è accertata la morte siavvia un dialogo con i parenti per poter valu-

tare se c’è una espressione, in qualsiasi forma,del paziente, quando era in vita, rispetto allavolontà della donazione degli organi. E seposso aggiungere una nota di tipo umano, devodire che abbiamo sempre trovato una grandeattenzione e una grande sensibilità. La miaesperienza, considerato che già ai tempi delprof. Cassinari, mi interessava questo aspettodel dialogo con i parenti, mi fa dire che se ilmedico ha lavorato bene per cercare di salvarequesto paziente, i parenti acquisiscono unagrande fiducia nel gruppo che cura il malatoed è sicuro che tutto è stato fatto al meglio pos-sibile. Ed è quasi, nel contesto di una tragedia,un punto di serenità sapere che una parte diquesta sofferenza serve a far vivere meglioaltre persone. Questa è l’impressione che avevomolto precisa quando io mi interessavo diret-tamente, ma che i miei colleghi che gestisconoattualmente i colloqui mi riportano come unaconferma. Oggi, se mai, il problema non ètanto guardarci da una non esistente “preda-zione”, ma è la medicina “difensiva” a cui pur-troppo sono portati alcuni medici che temonoormai, intervenendo con coraggio, di esserepoi oggetto di contestazioni legali. Questomette i medici in posizione di autodifesa, cosìfiniscono per pensare di più a tutelarsi che nona fare di tutto per salvare la vita a quel pa-ziente. L’altro pericolo è quello dell’accani-mento terapeutico. Quello cioè di fare coseesagerate e non umane e non dignitose per farproseguire la vita. Questo atteggiamento puòessere figlio a mio avviso, di una grande arro-ganza, una grande presunzione medica, per cuila medicina e il medico sono onnipotenti e pos-sono fare cose miracolistiche. Oppure può es-sere figlio di una medicina di tipo difensivisticoper cui il medico non ha un rispetto umano perquel paziente ma pensa più che altro a difen-dere se stesso.Pozzi: Quando ci sono traumi cranici con in-cidenti stradali, può accadere che l’auto medicasi colleghi con voi perché il paziente ha biso-gno immediatamente di un intervento chirur-gico?Biroli: Questo è un altro discorso di gran-dissima importanza che si ricollega al temadella rete di assistenza nella provincia di Ber-gamo per la gestione dei politraumatizzati esoprattutto dei traumatizzati che hanno biso-gno di un intervento neurochirurgico. Ed èuna cosa sulla quale la nostra Azienda e io per-sonalmente ci stiamo interessando da tanto

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tempo. La direzione della nostra Azienda èmolto interessata a questo aspetto che passopasso stiamo cercando di creare, ma non è an-cora realizzata, è una rete che colleghi per lapatologia neurochirurgica, gli ospedali dellanostra area con gli Ospedali Riuniti. Abbiamocon quasi tutti gli ospedali una trasmissione diimmagini per cui se un paziente è, per esem-pio, all’ospedale di Treviglio, o all’ospedale diSeriate e ha un problema di tipo chirurgico, leimmagini, (mettiamo il caso della Tac cere-brale), vengono trasmesse al nostro ospedale;il neurochirurgo di guardia valuta queste im-magini, discute con il collega dell’altro ospe-dale e insieme valutano l’opportunità di fare omeno un trasferimento. C’è un grosso pro-blema che è quello di un certo affanno nella ge-stione dei posti intensivi del nostro ospedaleche nell’ospedale nuovo saranno aumentati eche adesso invece, pur avendo un turn over ab-bastanza veloce di questi pazienti, qualchevolta sono insufficienti. Abbiamo messo apunto con la direzione del nostro ospedale econ la dottoressa Zilio, direttrice del gruppo diNeuroanestesia, un sistema abbastanza elasticoper cui se c’è un paziente che deve assoluta-mente fare un intervento neurochirurgico, pos-siamo cercare - non sempre purtroppo ciriusciamo - di allestire un posto in più soltantoper dodici ore in modo da far fronte a questaemergenza e il mattino dopo, con calma, cer-care di organizzare diversamente i posti di-sponibili per affrontare la situazione. Questosistema va ancora perfezionato, però c’è unavolontà molto forte di portare avanti questarete di assistenza per l’emergenza che a mioavviso è la soluzione del problema. Purtroppo

ancora oggi ci sono dei casi urgenti, che de-vono essere trasportati in un’altra Neurochi-rurgia, in una situazione acuta - per un traumacranico, per un’emorragia cerebrale - perchénoi non riusciamo a farvi fronte. È comunqueun obiettivo che abbiamo estremamente chiaro,quello di mettere in atto tutta questa organiz-zazione: la trasmissione delle immagini, l’ela-sticità nella gestione dei letti, il rapporto discambio di pazienti tra i vari ospedali, la con-sulenza neurochirurgica da parte degli Ospe-dali Riuniti verso gli ospedali vicini e collegati.Il tutto per evitare che un paziente di questearee possa, in emergenza, essere costretto afarsi trasportare, con tutte le problematicheche ci sono, verso un’altra neurochirurgia.Pozzi: Questo tema della rete sarà organiz-zato sempre meglio passando dal nuovo si-stema di Pronto intervento-Emergenzadell’Areu. Il 118 per intenderci.Biroli: È un po’ diverso: questo è un collega-mento fra Ospedali Riuniti e alcuni altri ospe-dali, mentre Areu ha una competenza regionale. Pozzi: La convinzione che in qualche ospe-dale non si facciano prelievi perché non c’è laNeurochirurgia è fondata oppure no?Cossolini: Innanzi tutto è certo che il nu-mero dei donatori sarà maggiore in Neurochi-rurgia per quanto diceva prima il dottor Biroli.Noi dobbiamo dare una possibilità al paziente,se questa possibilità esiste, di salvarlo. Quindiarriva in un ospedale dotato di Neurochirur-gia. Però ci sono pazienti che arrivano in unospedale periferico, con trasmissione di imma-gini, hanno parere neurochirurgico (anche seinformatizzato e non diretto). In questo caso sipuò sapere con certezza se il paziente ha delle

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possibilità di salvarsi oppure se diventerà po-tenziale donatore perché ormai in fin di vita.Dire che gli ospedali dove non c’è Neurochi-rurgia non possono fornire donatori non cor-risponde alla assoluta verità. Ci sono lavoriscientifici che dimostrano che ospedali comeTreviglio o Seriate potrebbero fornire tre-quattro donatori l’anno. Cosa che sta avve-nendo perché infatti Seriate ne ha segnalati bensette nel 2009. Zingonia ne ha segnalati due eun terzo ci è stato inviato per un accertamentoche non riuscivano a fare a Zingonia. E’ da sot-tolineare che i parenti avevano accettato lospostamento proprio perché erano motivatiper la donazione. Un’altra cosa importante ri-guarda la rete. Noi stiamo facendo rete, comecoordinamento, con gli ospedali della provin-cia. Faccio un esempio: una mattina di que-st’anno una signora ha avuto una gravissimaemorragia cerebrale al pronto soccorso del-l’ospedale di Seriate, è stata trasmessa l’imma-gine che dimostrava che non c’era nulla da farepurtroppo dal punto di vista neurochirurgico,ma non c’erano posti letto di Terapia intensivain tutti gli ospedali pubblici della provincia.Abbiamo trovato un posto letto a Zingonia equesta signora ha donato poi gli organi a Zin-gonia. Quindi non abbiamo perso il donatore.Questa attenzione nel trovare un posto letto,verificare assolutamente tutte le possibilità diinterscambio e utilizzare anche la strutturaprivata accreditata, fa aumentare la possibilitàdi avere donatori di organo.Pozzi: Mi sorgeva una domanda. Questa retefra ospedali, con la trasmissione delle imma-gini, esiste anche nelle altre province?Biroli: Io credo che la nostra sia una realtàveramente all’avanguardia. Non ho dati certi.Noi siamo partiti in modo molto artigianale al-cuni anni fa e adesso siamo in una situazionesempre più perfezionata e abbiamo la possibi-lità di coprire tutta l’area provinciale. Questo èil primo passo vero per la rete. C’è un altroaspetto da sottolineare, perché il dottor Cos-solini ha perfettamente ragione quando af-ferma che un atto di generosità e di solidarietàha esiti positivi e vale nella pienezza del gestoanche quando avviene in un ospedale perife-rico della provincia. Io credo che centralizzarele Neurochirurgia e non frammentarle sia ne-cessario per offrire il miglior servizio. Non sipossono frammentare le risorse che permet-tono di acquisire le tecnologie sempre più co-stose che sono necessarie. Inoltre dobbiamo

puntare a formare dei gruppi che, proprio inragione dei grandi numeri trattati, assicuranoun elevatissimo standard chirurgico.Cossolini: Io vorrei aggiungere una cosache può sembrare un paradosso. Sono infatticonvinto che più una Neurochirurgia lavorabene e più può fornire potenziali donatori.Come? Perché ne salva di più ma recuperaanche molti pazienti che altrimenti andrebberopersi. A patto che ci siano le precondizioni cheperaltro qui a Bergamo ci sono: grande colla-borazione nel team, percorsi di formazione im-portanti per il personale, linee guida cheaiutano i medici, dialogo fra colleghi per con-dividere e non trovarsi mai spiazzati o soli.Pozzi: Noi siamo orgogliosi di dire chequella di Bergamo è sempre stata una Neuro-chirurgia di eccellenza. È possibile avere qual-che dato della situazione ad oggi?Cossolini: In questi anni sono cambiati al-cuni parametri in funzione anche dell’avvio delnuovo ospedale. Si punta infatti a portare il pa-ziente laddove ci sono le competenze. Mentreprima la Rianimazione generale e la Neuro-chirurgica, per questioni organizzative, si di-videvano un po’ i malati, adesso ilneurochirurgico va essenzialmente nella Neu-rochirurgia e gli altri nella Rianimazione ge-nerale. La differenza che si è verificata in questiultimi anni è che la maggior parte dei donatorista dove dovrebbe effettivamente essere, cioènel reparto di Neurochirurgia. Sono un pocodiminuiti nella Rianimazione generale, anchese alcuni scambi, opportuni per diverse ra-gioni, ci sono ancora. Oggi esiste già una col-laborazione fra tutte e quattro le Terapieintensive. Nel nuovo ospedale saranno addirit-tura in uno spazio contiguo tutte e 4. Ci saràuna collaborazione tra specialisti con dei lettidedicati ma, se ci sarà bisogno, quello piùesperto sul cervello andrà a dare una mano alcollega che è esperto sul cuore, che a sua voltasarà pronto a ricambiare, e così via. Un grandespazio interattivo, per una collaborazione chepuò dare un miglior servizio ai pazienti. Tuttoquesto senza danneggiare la specificità di me-dici, infermieri e chirurghi. Un grande ulte-riore passo avanti.

Testi a cura di Leonio Callioni

Ha collaboratoLeonida Pozzi

Fotografie di Paolo SeminatiP

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“Ogni paziente racconta la sua storia” èil saggio di Einaudi scritto da LisaSanders, una giornalista televisiva dellaCBS, diventata medico internista allafacoltà di medicina della prestigiosis-sima Università di Yale, per una auten-tica “folgorazione”. “Ho studiatomedicina come seconda carriera - rac-conta - La prima l’ho dedicata ai tele-giornali, occupandomi per lo più dimedicina. Non avevo in programma didiventare medico, non era un sogno ri-masto a lungo nel cassetto”. Un giornoperò la giovane donna assiste in manieradel tutto fortuita a un fatto drammatico,destinato a cambiarle l’esistenza. Men-tre è impegnata in un servizio in com-pagnia di un collega, lo vede eseguiretempestivamente un massaggio cardiacoe una respirazione artificiale a una an-ziana signora in procinto di affogare.“Quell’episodio - prosegue - mi rimase alungo in mente rivelandomi una insod-disfazione latente per il mio ruolo. Latelevisione - mi dissi - raggiunge mi-lioni di individui, ma ne tocca pochi. Lamedicina ne raggiunge di meno, ma hala capacità di trasformare la vita diquelli che tocca”. E’ una fascinazioneimprovvisa, quel che basta per portare labrillante giornalista a una svolta: iscri-versi alla facoltà di medicina di Yale ecambiare professione. Da allora sonopassati molti anni e oggi la Sanders èuna stimatissima internista che tuttavianon ha mai smesso di scrivere. La suarubrica di “gialli diagnostici” sul NewYork Times è diventata famosa in tuttigli Stati Uniti e la ha valso la collabo-razione come consulente della seguitis-sima serie televisiva “Doctor House”. Larealtà del mondo sanitario, avverte peròla Sanders, non è purtroppo come la fin-zione scenica: il lieto fine non è assicu-rato, il medico non è invincibile. Si vincee si perde e quando si perde, per il pa-ziente è una via senza ritorno. La mi-riade di casi complessi, a volte non risoltie niente affatto inventati che racconta nelsuo affascinate libro ne sono la tragicadimostrazione. “Quello che serviva aCrystal - dice raccontando forse il piùemblematico dei tanti narrati - era unadiagnosi”. Una ragazza, sempre in sa-

OGNI PAZIENTE RACCONTA LA

SUA STORIA...E MENO MALE!

Avvincente, acuto, ricco di suspense ma anchedi straordinari spunti di riflessione.

Si legge in un fiato e quel che più conta è altamente raccomandabile a quella speciale

categoria di persone di cui parla: i medici. Perché?

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lute, stava letteralmente morendo per lamancanza di una diagnosi. Perché ?Perché la malattia è realmente un mi-stero e svelarlo è un’arte antichissima, dicui alcune delle componenti più impor-tanti stanno scomparendo, con gravedanno per medici e pazienti. Ed eccociarrivati al dunque: il libro della Sandersha lo straordinario merito di colmare ilvuoto di informazione che c’è intorno aquesto tema delicatissimo. “Ogni pa-ziente racconta la sua storia” è infatti iltentativo coraggioso di condurci “inprima linea là dove questi modernienigmi medici sono risolti…o talvoltarestano tali”. Un tuffo dentro storie de-cisamente ingarbugliate, in cui “i sin-tomi non indicano granché, la visitarivela poco e gli esami sono fuorvianti”.“E’ in questi casi , quando la diagnosinon è ovvia - sostiene la dottoressa - chela medicina può assurgere di nuovo a li-vello di arte”. Ebbene, il libro della San-ders analizza proprio il processodiagnostico, che è” molto di più dellatrionfante dichiarazione della causa diuna malattia”, ovvero un “magnificoesercizio investigativo”, in cui il medicodeve trovare il bandolo della matassa.Un esercizio complicato ma ricco di sod-disfazioni e soprattutto importante per-ché ognuno di noi potrebbe un giornoessere quel paziente”. E allora provate ainoltrarvi con noi in questo particola-rissimo viaggio nella mente del medicoal lavoro che la Sanders ci permette difare. Ne uscirete sicuramente come noi…con occhi nuovi, tante sorprese ma anchetante conferme: leggere per credere!

Il caso esemplare“Crystal Lessing aveva ventidue annie stava inspiegabilmente morendo.Tutto era cominciato dal dentista,che le aveva estratto due denti delgiudizio un mese prima e le avevaprescritto antibiotici per due setti-mane”. Appena dopo, qualcosa avevacominciato a non funzionare. La-mentava stanchezza e si erano ag-giunte una dissenteria mista asangue e febbre alta. “Appariva ma-grissima ma la cosa più terrificanteera che era gialla. Un giallo da evi-

denziatore. I reni non funzionavano enemmeno la coagulazione. Avevametà dei globuli rossi che avrebbedovuto avere”. Risultato: i dati dia-gnostici non mancavano ma le ano-malie erano talmente numerose darendere difficile distinguere tra ilprocesso patologico primario e le sueconseguenze. I medici del prontosoccorso si erano concentrati sull’it-terizia e sull’anemia ma, sulla basedelle analisi, avevano escluso sia ilcattivo funzionamento del fegato, siauna rara coagulopatia. Quelli dellaterapia intensiva si erano invece con-centrati sulla diarrea emorragica e lafebbre con innalzamento dei globulibianchi, attribuendole a una infe-zione da Clostridium difficile. “Wa-goner - il medico curante - feceallora quello che i medici fannospesso: si rivolse a un medico piùesperto, il dottor Walerstein, prima-rio del reparto di medicina dell’ospe-dale. Walerstein accettò di occuparsidel caso ma non volle leggere la car-tella per non essere influenzato dalleipotesi di chi l’aveva preceduto. In-vece si recò direttamente al capez-zale della ragazza”.

La diagnosi“Crystal presentava un’insufficienzaepatica e la distruzione dei globulirossi. Questa combinazione risvegliòqualcosa di sepolto nella sua memo-ria e capì di cosa si trattava: la mani-festazione insolita di un’insolitamalattia ereditaria: il morbo di Wil-son. In esso al fegato manca il mec-canismo che regola il rame. Ilminerale può fuoriuscire dall’organoed entrando nel circolo sanguignodistruggere i globuli rossi. Gli esamiconfermarono la diagnosi. Per po-tersi salvare alla paziente serviva unimmediato trapianto di fegato.Il processo diagnostico Cosa era intervenuto fra le gravicondizioni in cui versava la ragazza,il brancolare nel buio dei medici chel’avevano vista e la scoperta dellacausa reale della malattia? Qual era ilpercorso che aveva condotto Waler-

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stein alla soluzione? Il viaggio dellibro inizia da questo affascinante in-terrogativo e si dipana pagina per pa-gina nel mare magnum delleesperienze vissute da tanti pazienti“difficili”, per condurci ad esplorareil territorio inquietante dell’incer-tezza in cui sempre si muove il me-dico-detective. La risposta che neconsegue è in apparenza semplice:nella valutazione del paziente oc-corre una traiettoria fatta di passiche si susseguono, uno dopo l’altro.E’ - come ama definirlo la Sanders -il cosiddetto ragionamento medico,quello cioè che unisce tutti i pezzi delpuzzle, collegando la storia persona-lissima del paziente (fatta di anam-nesi, esame obiettivo - che altro nonè che la visita - e test diagnostici)alle conoscenze acquisite , ovveroallo “schema” delle patologie stu-diate. In sé sembrerebbe un processoscontato per chi ha scelto una simileprofessione. In realtà l’esito troppevolte infausto di tanti casi - sembrasuggerire la Sanders - dice esatta-mente il contrario. Perché infattiWalerstein era riuscito dove moltialtri prima di lui avevano fallito?L’elenco dei motivi si cela negliaggettivi e negli avverbi che ladottoressa dosa sapientemente perspiegarcelo. “Walerstein avevaraccolto attentamente l’anam-nesi, eseguito l’esame obiet-tivo completo, identificatoanomalie importanti degliesami di laboratorio. Solo al-lora aveva collegato la storiadel paziente alle sue cono-scenze”. Cosa stanno a si-gnificare esattamentequesti corsivi? Nel casospecifico di Crystal vole-vano dire molte cose:come Sherlock Holmes,Walerstein aveva innanzi-tutto “chiesto alla vittima di rico-struire ancora una volta il crimine”,ovvero di raccontare nuovamente lasua storia dall’inizio; in secondoluogo aveva notato - guardandola -come il profilo del fegato sporgesse

dalla gabbia toracica e come - allapalpazione - l’organo risultasse do-lente e ingrossato; solo a questopunto aveva deciso di esaminare lacartella clinica alla ricerca di anoma-lie significative e le aveva trovate.Non solo le ipotesi formulate da chilo aveva preceduto non combacia-vano (il Clostridium difficile nonspiegava l’itterizia e l’anemia chepersisteva nonostante le trasfusioni),ma un esame, del tutto trascurato,dimostrava che i globuli rossi veni-vano distrutti all’interno dell’orga-nismo, conducendo dritto alladiagnosi.

La tesi“Capita che le informazioni che nonsi capiscono subito vengano accanto-nate - dice la dotto-ressa - e disol ito

“Ogni pazienteracconta la suastoria” è infatti

il tentativocoraggioso di

condurci “in primalinea là dove questi

moderni enigmimedici sono

risolti…o talvoltarestano tali”.

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sono quelle che contengono la solu-zione”. Ecco dunque la tesi che pro-pone la Sanders: non basta metterein fila i passaggi per essere certi chei conti tornino. Il processo diagno-

stico non è infatti così linearecome potrebbe sembrare inquanto il lavoro del profes-sionista si svolge in condi-

zioni talmente imprevedibilida rendere l’errore potenzial-

mente sempre in agguato. Almedico-detective che si preoc-

cupi davvero di curare il paziente,occorre allora un giusto uso ditutti gli strumenti a disposizione e

una domanda sempre aperta sullamalattia: “Se non è questo, cosa po-trebbe essere?”. Il problema - so-

stiene la dottoressa - è che questonon avviene più. “Una volta lavisita - dice la Sanders - in-sieme alla raccolta della sto-ria, era il pezzo piùimportante del processo dia-

gnostico”. Oggi non è piùcosì e lo avevamo detto anche

noi dalle pagine di Preven-zione Oggi qualche mese

fa, raccontando lo scon-solato punto di vista diun semplice paziente: imedici tendono, ap-pena possono, a saltarela visita e a dedicare

pochi striminziti minutiall’anamnesi, concepita

ormai come un semplice in-terrogatorio sui sintomi e

non come alla descrizione diun pezzo unico della vita del pa-

ziente, quello che dice non solo il“cosa” ma spesso anche il “come” e il“perché”, celando indizi talvolta pre-ziosi. A che pro un simile atteggia-mento? Al fine di rimandare il“verdetto” della malattia alla diagno-stica per immagini e alle analisi di la-boratorio. Il cuore del problema ditante diagnosi mancate sta tutto qui,addita la Sanders, in professionistiche hanno sempre meno contattocon il malato e sono sempre più con-centrati sui risultati delle analisi che

vengono fatte su di loro. L’esameobiettivo è agonizzante e gli effettiinquietanti sono ormai sotto gliocchi di tutti, soprattutto dei pa-zienti: un abuso indiscriminato ditest diagnostici e la perdita, moltograve, di abilità cliniche sensoriali -vedere, toccare, auscultare - capacidi fornire informazioni essenziali perrisolvere il mistero della diagnosi.Nella corposa sezione del libro cheha per illuminante titolo “Il poteredel tocco”, ecco allora l’autrice pas-sare in rassegna le varie componentidell’esame obiettivo, analizzandopregi e limiti di quelli che un tempoerano gli unici strumenti di cui il me-dico disponeva, gli arnesi di un’arteoggi in via di estinzione. “La vista -dice la Sanders - è il più prezioso deicinque sensi, essenziale per agire conrapidità”. Vedere significa per il me-dico sviluppare la capacità di osser-vazione e l’attenzione a tutti idettagli, specie se anomali. Il limitepuò essere focalizzare la vista solosull’aspetto fisico immediato del pa-ziente, senza chiedersi altro. Il tatto,dal canto suo, ha un potere diagno-stico antichissimo, addirittura piùvalido in percentuale della tecnolo-gia per quel che riguarda lo scree-ning del seno e del doloreaddominale; il limite è continuare ainsegnare alcune manovre (es. ilsegno di Tinel e il segno di Spurling)del tutto imprecise. Infine l’udito, cheha il suo pilastro nella visita cardio-logica e il suo simbolo nello steto-scopio; valido per individuare i“rumori sospetti” non importanti,ma non attendibile quanto una ECOnel rilevare quelli importanti. E’ uninventario lunghissimo quello che cipropone l’autrice del libro, il cui in-tento è chiaro: da un lato evidenziare,con il supporto di studi autorevoli, lanecessità di rendere la visita piùsnella ed efficace, sfrondandola dellecomponenti ormai superate; dall’al-tro dimostrare - a suon di storie dif-ficili, brillantemente risolte - quantovista, tatto e udito possano ancora ri-vestire un ruolo cruciale nelle dia-

gnosi tempestive, quando cioè la vitadel malato di turno è sospesa a unfilo. “Anche se la visita non sostitui-sce certamente i test diagnostici - so-stiene infatti la Sanders - essa guidatuttavia il medico nel suo ragiona-mento. Come sbaglierebbe colui cheutilizzasse oggigiorno solo l’esameobiettivo, così sarebbe altrettanto pe-ricoloso che si affidasse - come ac-cade ora - unicamente ai testdiagnostici che, come dimostra laSanders, pur essendo di gran lungapiù affidabili del passato non sonocerto perfetti, chiari e univoci. E se èvero che le varie parti della visitapossono fare difetto e dare luogo aerrori diagnostici, così anche i datifuorvianti degli strumenti tecnolo-gici possono contribuire a dare luogoa una interprestazione sbagliata,conducendo all’errore cognitivo. “Laverità - sintetizza la dottoressa - èche non è la somma di anamnesi, vi-sita ed esami diagnostici a fare la dia-gnosi, bensì il ragionamento delmedico” come ha dimostrato il casodi Crystal: Walerstein aveva utiliz-zato il proprio vasto sapere medicoche altri non avevano e questo fat-tore gli aveva fatto riconoscere laforma insolita di una malattia rara;non aveva commesso un errore di“chiusura prematura”, ovvero non siera fissato su una diagnosi prima diaver raccolto tutti i dati, e ciò gliaveva permesso di capire che il pro-blema fondamentale era l’insuffi-cienza epatica. Infine aveva osservatocon attenzione tutti i dati, nessunoescluso, dando però un peso minoreall’indizio della diarrea emorragica euno maggiore al fegato ingrossato.Insomma era andato in fondo al pro-cesso, percorrendone tutte le tappe.Chi non si augurerebbe di trovare sulproprio cammino di malato un me-dico così ? E allora le osservazionivanno di conseguenza e non possonoche trovarci d’accordo con la San-ders: per quanto ci si sforzi a crearesistemi computerizzati supereffi-cienti, integrati ed evoluti allo scopodi supportare la diagnosi medica e ri-

durre gli errori, per quanto sia sem-pre più in voga, fra medici e pazienti,la moda del “fai da te” ovvero del ri-corso alle diagnosi su Google, la pre-sunzione illuminista di fare dellamedicina una scienza perfetta elimi-nando la sfida diagnostica, non potràmai prevalere. “Ci saranno semprescelte da fare - chiude la Sanders -scelte fra possibili diagnosi, fra esamida prescrivere, tra opzioni terapeuti-che, ma sarà sempre e solo l’uomo afarle. La gente infatti ha bisogno diqualcosa di più della cura giusta peril disturbo giusto” . Come dire, benvenga la tecnologia ma mai a scapitodell’uomo e delle sue abilità clinicheche di fatto nessuna macchina potràmai imitare.

Le conclusioniCosa insegna un libro così densocome quello della Sanders? A nostroparere moltissimo, ricco com’è di in-formazioni e dati sulla diagnosi dimalattie rare, sulle loro manifesta-zioni insolite e sulle fasi del processo“investigativo-deduttivo” che tantopiace all’autrice e che dovrebbe, sispera, appassionare anche tutti co-loro che lo conducono quotidiana-mente. Tuttavia c’è di più. Nelsottolineare con decisione la derivaculturale della scarsa considerazionedella visita, legata all’eccesso di cre-dibilità attribuito alle tecnologie, laSanders mette il dito in una piagache dovrebbe far riflettere. Cosa hafavorito - si domanda la dottoressa -la progressiva perdita delle abilitàcliniche? Il loro mancato insegna-mento. “Mentre un tempo questeerano abilità che i tirocinanti e glispecializzandi imparavano sul campoin modo informale, osservando i me-dici più anziani che compivano il lorogiro di visite nelle camere, pian pianotutto questo si è perso. Le logichedell’economia medica, ovvero i costialti dell’ospedalizzazione e la conse-guente riduzione delle degenze,hanno eroso questa tradizione, fa-cendo diminuire per gli studenti l’op-portunità di formarsi al letto del

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Cosa ha favorito laprogressiva perdita

delle abilità cliniche?Il loro mancatoinsegnamento.

“Mentre un tempoqueste erano abilità

che i tirocinanti e gli specializzandi

imparavano sul campo in modo

informale,osservando i medici

più anziani checompivano il lorogiro di visite nelle

camere, pian pianotutto questo

si è perso.

malato. Come dimostrano gli studicitati dalla Sanders le Universitàamericane si sono date tuttavia dafare per correre ai ripari. Negli annisono stati creati molti programmi diinternato che prevedono prove suanamnesi, esame obiettivo e raccoltadei dati diagnostici, anche se ci sonovoluti vent’anni prima di arrivare,nel 2004, alla messa a punto di unesame di abilitazione affidabile(UMSLE) che le comprendesse tutte.La strada per l’insegnamento dell’esame obiettivo corretto è ancora

lunga - avverte la Sanders - ma passatutta per la formazione dei docenti,ormai disabituati a osservare gli spe-cializzandi nel momento dell’esecu-zione di tale esame per averlopraticato loro stessi sempre meno equindi incapaci di correggerli. Uncorso, già diffuso in alcune universitàe in procinto di entrare negli 8000programmi di internato degli States,glielo insegnerà nuovamente e que-sto si spera sarà la garanzia perchénon scompaia.

Le sfide“Ogni paziente racconta la sua sto-ria” è un libro che se solo circolassein tutti gli ambienti medici, in tuttigli ospedali, in tutti gli ambulatoridei medici di medicina generale -come ci auguriamo vivamente - fa-rebbe certamente discutere. E’ vero,fotografa una realtà americana e unarecente classifica stilata proprio dauna rivista degli States dice che,stando alla Organizzazione Mon-diale della Sanità, il sistema sanita-rio italiano è il secondo al mondo. Laprendiamo come una buona notizia,tuttavia.... siamo proprio sicuri dipoter dormire davvero sugli allori?Lo straordinario percorso in cui ci haintrodotto la Sanders non è certo fi-nito qui. Al contrario ci offre il de-stro per una serie di domande a cuicercheremo di dare risposta nei pros-simi mesi: “L’esame obiettivo è allacanna del gas anche in Italia? Il pro-cesso diagnostico come arte gode an-cora di qualche fortuna nei percorsiformativi universitari del nostroPaese? Le analisi di laboratorio, oggimolto più “computerizzate” di untempo necessitano sempre dell’”oc-chio” del medico? E come la met-tiamo con gli errori, diagnostici ecognitivi, a cui la dottoressa ha dedi-cato nel suo libro lunghe pagine dispiegazione? Novelli Sherlock Hol-mes, al pari del medico-detective dicui parla la Sanders, cercheremo discoprirlo. Continuate a seguirci. Ilviaggio è appena cominciato!

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Lo sport: medicinaper i trapiantati

Quando si pronuncia laparola sport, tantesono le immagini checi scorrono nella testadandoci molteplici

sensazioni; si pensa al divertimento,al sudore, alla fatica, alla gioia divincere e inconsapevolmente pen-siamo alla nostra salute. Quasi unaparola magica, al solo pronunciarlaci pare già di stare meglio.

Non si scoprecerto l'acqua calda

pensando al fatto cheuna giusta e moderata

attività sportiva possaportare beneficio al nostro

corpo a qualsiasi età.Quante volte si vedono geni-

tori preoccuparsi di quale equanta attività fisica far svolgere

ai propri figli già dalle scuole ele-mentari; per non parlare dei giovani,ma anche di chi giovane non lo è piùda un pezzo e ad una sgambata incompagnia non rinuncia tanto vo-lentieri.Se pensiamo però alle persone tra-piantate, l'immagine dello sport cipare lontana, quasi inadatta alla lorosituazione. Eppure piano piano que-sta sensazione si sta mitigando. Giànei mesi scorsi su queste pagine sitrattavano le gesta di un atleta lom-bardo protagonista ai Campionatimondiali per trapiantati in Austra-lia. Segno che i tempi stanno cam-biando e che l'attività fisica non è

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benevola solo per chi è sano, ma lo èancora di più per chi ha delle fragi-lità dovute a varie situazioni tra cuianche il trapianto di organo.Un dato negli ultimi anni ha fatto ri-flettere i medici: una delle principalicause di morte nei trapiantati è rap-presentata dalle patologie cardiova-scolari. Perchè allora non pensareallo sport come ad una medicina?Questa è stata la molla che ha dato ilvia ad un progetto innovativoquanto semplice per dare nuovalinfa e nuove speranze alle personetrapiantate. Il nome del progettodice tutto: Trapianto... e adessosport.Nato nel 2008, è promosso dal Cen-tro nazionale Trapianti in collabo-razione con l’Istituto superiore diSanità, l’Università di Bologna, ilcentro studi Isokinetic, il GruppoCimurri Impresa e sport, le associa-zioni di settore Aido e Aned.Lo scorso novembre è stato presen-tato il Protocollo di ricerca presso lasede della regione Emilia Romagna;l'obiettivo specificato all'interno diquesto documento è il verificare sel’attività fisica prescritta ai trapian-tati d’organo, da parte dei medicispecialisti in Medicina dello Sportoperanti sul territorio (SSN) e som-ministrata da personale specializ-zato, è in grado dimigliorare sia i parametribiologici sia la condi-zione fisica del trapian-tato, con effetti positivisulla sopravvivenzadell’organo.Ma l'affermazione più in-teressante la si trova nellaparte introduttiva del protocollodove si dice che:"Per affrontare ilproblema intendiamo dimostrare inmodo scientifico che l’attività fisica èfondamentale non solo per gli “atletitrapiantati”, ma soprattutto per tuttii trapiantati, alla luce dell’elevatamortalità cardiovascolare, oggetti-vamente favorita in questi pazientidalle accentuate alterazioni del me-tabolismo lipidico indotte dalle

gravi insufficienze d’organo e, so-prattutto, dalle terapie antirigettoche questi individui devono cronica-mente assumere. Infatti sia il corti-sone, grazie all’effetto diabetogeno,sia gli immunosoppressori determi-nano gravi alterazioni dell’assettolipidico che nel medio termine pro-vocano gravi patologie cardiovasco-lari. Il messaggio alla base delprogetto è quello di considerare losport e l’attività fisica come un “far-maco” utile alla ripresa psico-fisicadel paziente trapiantato; inoltre, di-versi studi pubblicati recentementehanno individuato la stabilità nelpeso del trapiantato ed il controllodelle sue alterazioni lipidichequali fattori prognostici positivinel lungo termine". Questa frase cambia com-pletamente il punto divista e rende il tutto in-novativo e dalla portatastraordinaria: l'atti-vità sportiva è vistae considerata comeun farmaco e se nevogliono misuraresia gli effetti fisici,che quelli psichici.Se il tutto

funzionerà edopo una casi-stica sufficiente-mente ampia,allora si potrannoprescrivere legiuste attività daeffettuarsi nellacorretta quantitàper migliorareancora di più laqualità della vita

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di una persona trapiantata.Non è da escludere poi che questaricerca, come spesso accade in moltisettori della medicina, possa portareanche dei benefici ad altre categoriedi pazienti.Lo studio prevede la partecipazionedi 120 trapiantati che saranno divisiin due gruppi. Al primo sarà pre-scritta e somministrata attività fi-sica con supervisione sulla base ditest di valutazione funzionale. Il se-condo invece, non sarà sottopostoad alcun programma di allena-mento. I risultati poi verranno con-frontati e si trarranno le opportuneconclusioni.

L’iniziativa è stata presentatanella sede della Regione

Emilia-Romagna, colVeneto capofiladello studio pilota. Alla presenta-zione hanno par-

tecipato, tra glialtri, l’asses-

sore re-gionale

a l l ePoli-

t i c h eper la sa-

lute, GiovanniBissoni, il presidedella facoltà di Medi-cina dell’Università diBologna Sergio Stefoni,il direttore del Centro na-zionale trapianti Alessan-dro Nanni Costa, il direttoredel centro studi Isokinetic GiulioSergio Roi e l’ex campione di palla-canestro Renato Villalta, testimo-nial dell’iniziativa insieme a EttoreMessina (noto coach di pallacane-stro) intervenuto telefonicamente. "Non è certo un’innovazione soste-nere che lo sport faccia bene alla sa-lute - ha commentato l’assessoreGiovanni Bissoni -, ma lo è quando

Sintesi del protocollo di ricercaOBIETTIVO DELLO STUDIO Verificare se l’attività fisica prescritta ai trapiantati d’organo,da parte dei medici specialisti in Medicina dello Sport ope-ranti sul territorio (SSN) e somministrata da personale spe-cializzato, è in grado di migliorare sia i parametri biologicisia la condizione fisica del trapiantato, con effetti positivisulla sopravvivenza dell’organo.

CARATTERISTICHE Tipo di studio Lo studio sarà prospettico, ma non randomizzato.

SoggettiVerranno considerati un minimo di 120 pazienti trapiantatidi rene, cuore e fegato. I pazienti saranno suddivisi in 2gruppi, costituiti ciascuno da 20 pazienti trapiantati dicuore, 20 di rene e 20 di fegato (per un totale di 60 pa-zienti per gruppo). Al primo gruppo sarà prescritta e som-ministrata attività fisica con supervisione, sulla base di testdi valutazione funzionale, mentre al secondo gruppo nonverrà somministrata attività fisica con supervisione. Indicativamente il gruppo che non farà esercizio supervisio-nato sarà costituito da pazienti che logisticamente hannorilevanti difficoltà a seguire il percorso stabilito in Emilia Ro-magna e Veneto. A questi pazienti verranno consigliati adeguati stili di vita, trai quali l’attività fisica, senza però prescrivere uno specificoprogramma di lavoro supervisionato.

Criteri di inclusione Pazienti di sesso maschile e femminile portatori di trapiantosolido di cuore, fegato, rene, stabilizzati dal punto di vistaclinico (giudizio da parte del Centro Trapianti di riferimento). Età minima, 18 anni compiuti. Età massima 60 anni compiuti. Tempo minimo dal trapianto: 6 (sei) mesi. Tempo massimo dal trapianto: 5 (cinque) anni. Consenso informato. Possibilità logistica di partecipare a programmi di attività fi-sica.

Criteri di esclusione Indicativamente: pazienti con angina instabile, sindrome

nefrosica, proteinuria > 2g/L. I criteri di esclusione verranno definiti da

ogni centro che effettua i trapianti.

Centri trapianto di riferimento dacoinvolgere

› Emilia Romagna: Bologna, Modena, Parma. › Veneto: Padova, Treviso, Vicenza, Verona.

PRESCRIZIONE DELL’ATTIVITÀ FISICA L’attività fisica sarà prescritta e controllata da Medici delloSport, operanti presso il Servizio Sanitario Nazionale, pre-viamente istruiti. L’attività fisica sarà prescritta sulla basedelle esigenze di ogni singolo paziente, definite dalla valu-tazione delle condizioni e dello stato psicofisico di ogni pa-ziente. Le valutazioni cliniche saranno effettuate dal CentroTrapianti di riferimento. Le valutazioni della forma fisica saranno effettuate presso ilCentro di Medicina dello Sport SSN.

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si parla di questa attività come diqualcosa assimilabile ad un farmaco,che può essere prescritto a pazientiportatori di situazioni complicate,con il coinvolgimento dei medici dimedicina generale, degli specialistie dei centri di medicina sportiva". Renato Villalta ha parlato di "un’ini-ziativa bellissima è interessante,l’ennesima conferma dell’utilitàdello sport persino come medicina",mentre coach Messina ha focaliz-zato l'attenzione sui risultati: "nonsolo fisici ma sul complessivo statodi benessere anche mentale, che pos-sono essere raggiunti da chi pratichila disciplina sportiva dopo un inter-vento così importante". L'obiettivo è di raccogliere più datipossibile, anche in manifestazionigià esistenti a cui partecipano i tra-piantati. È il caso dell'Italian TransplantTrekking, spedizione di sei trapian-tati nel deserto dell'Algeria, i cui ri-sultati scientifici sono statipresentati il 15 dicembre scorso inuna conferenza stampa a marginedel congresso della Società Italianadei Trapiantati d'Organo (SITO). L'iniziativa, promossa dalla Fonda-zione per l’Incremento dei Trapiantid’Organo e Tessuti (FITOT) in par-tnership con Novartis e con il sup-porto scientifico del CentroNazionale Trapianti (CNT), è nataanch'essa con l’obiettivo di sottoli-neare il ruolo dello sport come tera-pia aggiuntiva nel post-trapianto, atestimonianza della sua efficacia intermini di qualità di vita dei pa-zienti. I sei trapiantati di rene (cinque uo-mini e una donna), che hanno sfidatoil deserto algerino dal 4 al 13 di-cembre, sono stati sottoposti a rigo-rosi test clinici e sportivi pervalutare la loro idoneità alla spedi-zione. Impegnati in escursioni apiedi per circa 18 chilometri algiorno, (con variazioni altimetricheda 1.000 a 1.720 metri), i sei tra-piantati sono stati monitorati nellafrequenza cardiaca, nell’idratazione

e nel metabolismo basale, in movi-mento e a riposo. Altri test e altre misurazioni sonostate effettuate a Chiesa Valmalenco(Valtellina), in occasione dell’undi-cesima edizione del Trofeo Nazio-nale di Sci “Franca Pellini”, una garadi slalom gigante alla quale ognianno partecipano medici coordina-tori del prelievo di organi e nume-rosi trapiantati.L'evento è promosso ogni anno dal-l'ANED (Associazione NazionaleEmoDializzati) in collaborazionecon la Direzione Sanitaria della Re-gione Lombardia, Il Centro Nazio-nale Trapianti e la A.O. dellaValtellina e della Val Chiavenna.In questo ambito il gruppo diesperti del progetto “Trapianto…e adesso sport” ha messo a puntouna serie di test clinici e prove fisi-che che hanno coinvolto 55 personedivise in due gruppi: uno per lo scidi fondo (15 atleti) e uno per lo scialpino (40 atleti). Entrando nellospecifico dei dati raccolti scopriamoche oltre ad una scheda personaleche mira a mettere in evidenza lapercezione del paziente sul propriostato di salute in presenza e assenzadi attività sportiva, difficoltà fisichenella pratica di uno sport e miglio-ramenti nel tempo dello stato psico-fisico, sono state fatte misurazioniantropometriche (peso, statura, % ditessuto adiposo), misurazioni dellapotenza esplosiva degli arti inferiorie misurazioni del dispendio energe-tico e della frequenza cardiaca di-rettamente durante la gara. A garaconclusa invece è stato misurato illivello di latticemia.Quello che adesso pare un primoinizio delle attività del progetto, è inrealtà il compimento di un lungoprocesso di attenzione, da parte delMinistero della Salute, nei confrontidelle persone trapiantate. Energie erisorse sono state spese e si stannospendendo in questo senso, spessosenza grandi proclami, ma con ot-timi risultati. L'Aido, partner delprogetto, ormai da anni collabora e

CONTROLLO DELL’EFFICACIA DEL PROGRAMMA DI ESERCIZIO Il controllo dell’efficacia dell’esercizio verrà effettuato attra-verso la ripetizione: a ) delle valutazioni cliniche (presso i rispettivi Centri Tra-pianto) con monitoraggio dei parametri ematochimici legati ai fattori di rischio cardiovascolare connesso con laterapia immunosoppressiva b ) delle valutazioni funzionali (presso i Centri di Medicinadello Sport). I test di controllo saranno effettuati da tutti i soggetti di en-trambi i gruppi: al tempo 0 / dopo 6 mesi / dopo 12 mesi.

Durante le valutazioni di controllo è necessario indagareanche le eventuali complicanze indotte dalla pratica dell’attività fisica prescritta (infortuni, patologie dasovraccarico, ecc…).

PROGRAMMA DI ESERCIZIO Il programma di esercizio prevede una parte da eseguirsicon supervisione (circa sei mesi) e successivamente una parte da eseguirsi senza supervisione (circa sei mesi). L’esercizio con supervisione verrà prescritto dal Centro diMedicina dello Sport e verrà somministrato con la supervisione di laureati in Scienze Motorie (preferibil-mente in possesso della laurea specialistica) appositamente addestrati, operanti presso strutture (pale-stre) adatte.

ADDESTRAMENTO DEL PERSONALE CHE PARTECIPERÀ AL PROGETTO Sulla base di quanto sopra esposto, si identificano trefigure professionali che saranno coinvolte nel progetto: › Il medico che opera nel Centro Trapianto e chegestisce i controlli periodici dei pazienti. › Il medico dello Sport che effettua la valutazionedella forma fisica e prescrive l’esercizio. › Il laureato in Scienze Motorie che somministral’esercizio. Le modalità del corso (sedi, orari, docenti, even-tuale accreditamento ECM, modalità di parteci-pazione, formazione collettiva e/o personalizzata, ecc…)devono ancora essere precisate.

RICADUTE MEDIATICHE Il progetto “trapianto…e adesso sport” sarà ilmotore di diverse iniziative a carattere scientificoo prettamente sportivo che coinvolgono i trapian-tati allo scopo di studiare e far conoscere i benefici

che l’attività sportiva produce sulla salute dei pa-zienti trapiantati e per prevenire le eventuali compli-

canze del trapianto.

RICADUTE SCIENTIFICHE I dati che questo progetto potrà fornire, do-vranno essere utilizzati per redigere comuni-

cazioni scientifiche ed articoli su riviste impattate.

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viene interpellata in qualità di asso-ciazione di settore, ma anche e so-prattutto per le capacità e lecompetenze che, in materia, ha sa-puto far fruttare in questi anni. La strada è quella di una collabora-zione con le istituzioni, perchè gliobiettivi sono comuni e sono im-portanti. Un percorso spesso irto efaticoso, ma di fronte alle difficoltà,la nostra associazione non si è maitiranta indietro. Ben vengano alloraqueste iniziative che aiutano a farcrescere la cultura della donazione,ma anche a dare speranza a chi haavuto la grazia di ricevere nuova-mente il dono della vita.

Paolo Seminati

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L’aria punge, c’è neve, ilsole è luminoso, è lamattina del 23 dicembredel 2007 e ci sono quat-tro ragazzi che hanno

voglia di godersi l’allegria dello sci:l’atmosfera ideale per Michela Ga-limberti per festeggiare, con pochigiorni d’anticipo, il diciannovesimocompleanno.Sorridendo con il fidanzato e dueamici, nel mezzo di una vacanza spe-ciale, a metà giornata Michela de-cide insieme agli altri di provare unapista rossa.La velocità sale, la tensione anche,la neve si fa traditrice e lo snowbo-ard, l’equilibrio si perde, il corpo siscompone: è la caduta, comincia ildramma.Michela scivola in avanti, semprepiù veloce, sempre più violente-mente, la mente è lucida ma il re-spiro si blocca.Tutto è sospeso eppure intenso: “Ilricordo più forte - racconta Michela- è ancora quello della forte sensa-zione che avevo attorno ai polmoni,una morsa forte, avevo voglia d’os-sigeno e non riuscivo a respirare.Sono sempre stata lucida e non scor-derò mai questa sensazione che miha messo nel panico”.Michela si trova sulla pista rossa diColere, a terra, dopo una violentacaduta: “Ho preso velocità, tanta ve-locità - prosegue - e non sono piùriuscita a gestire la situazione.Quando ho perso il controllo avreidovuto buttarmi a monte, invece eroagitata e sono precipitata in avantisempre più rapidamente. Sono riu-

scita solo ad urlare e quando il miofidanzato è arrivato ero già a terra.Ero cosciente, ma mi rendevo contodi avere il respiro bloccato e alloraho cercato di non iperventilare, purfacendo molta fatica”.Sdraiata sulla pista il tempo avrebbepotuto sembrare eterno, invece inpochi attimi Michela vede sopra di

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Eccellenza in Lombardia L’accreditamento speciale dell’Associazione Akja per il soccorso sulle piste da sci

Erano amici.Michela e l’incontro con i volontari

dell’associazione Akja

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sé un viso: “Era il sorriso di Nadia,la volontaria Akja che mi ha soc-corso”.Un volto ed un sorriso: “Mi ha guar-data con tranquillità e mi ha dettoqualche parola per rendere la situa-zione più morbida, per spezzare latensione quasi scherzando, e in re-altà riuscendo a tranquillizzarmi.Paradossalmente i miei amici e ilmio fidanzato erano resi inermidalla paura, quasi come se fosseroestranei, mentre ho sentito subito ivolontari Akja come dei veri amici”.La tempestività e la professionalitàdei volontari Akja per Michela èstata decisiva: “Sono stati moltoprofessionali, mi hanno caricatosulla Akja (la barella che dà il comeanche all’Associazione) control-lando il mio stato di salute ma - ri-

pete Michela - quello che più mi hacolpita è il lato umano dell’assi-stenza”.Per la ragazza e i suoi accompagna-tori inizia così un viaggio: “Già -ride - uno scomodissimo percorsoverso valle. La Akja mi trasportava,ero tutta imbragata, vedevo Nadia egli altri volontari ma non sentivonulla. Riuscivo a guardarmi attornoa malapena e scorgevo da una partei profili delle montagne, dall’altra ladiscesa sempre più ripida. Siamo poiarrivati ai piedi della stazione dellaseggiovia e sono stata trasportataall’ospedale di Clusone”.Una volta ricoverata le cose si sonoperò complicate: “I medici hannodiagnosticato un’emorragia epaticae sono stata trasferita a Bergamo”.Nei giorni trascorsi agli Ospedali

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I numeri di Akja

Grazie al primo bilancio dimissione Akja vuole farsiconoscere sul territorio e

aumentare laconsapevolezza del proprio

operato tra i volontari.Dalla sua fondazione (che

risale al 1995), il gruppo haprestato circa 110 mila ore

di servizio di pattugliamento,effettuando oltre 4.200

interventi sui demani sciabili.Il trend, almeno negli ultimianni è in crescita: dai 252

della stagione 2005-2006 siè passati infatti ai 292 del

2007-2008, anche sebisogna sottolineare comenello stesso periodo siano

aumentate anche il numerodelle stazioni sciistiche

assistite: da 4 a 6. Per la maggior parte si trattanaturalmente di traumi (230su 292), legati a cadute in

movimento (180 su 292), inpista (215 su 292). Per

quanto riguarda la difficoltà,le «rosse» superano le

«nere» (149 interventi leprime, solo 10 le seconde)e di mezzo, come è ovvio,ci vanno quasi sempre le

gambe: 130 lesioni su 292hanno riguardato infatti gli

arti inferiori.

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Riuniti nella mente di Michela tor-navano pensieri e sensazioni: “Ri-pensavo alla sera primadell’incidente. Alla cena tra amici aCastione della Presolana, alle paroledi un mio amico che aveva rinun-ciato all’appuntamento del giornoseguente.E ancora alla mattina del 23 dicem-bre, alla colazione ai piedi della seg-giovia, alle prime sciate sulla pistababy e al momento della decisionedi passare a quella rossa in compa-gnia di un amico esperto.Riflettevo sul mio compleanno il 26dicembre, e a come lo stessi pas-sando in Ospedale, ma anche allagrande voglia di riprendermi e ditornare a casa”. Un rientro che,grazie anche all’assistenza dellamadre infermiera, è stato possibilefin dal 28 di quel mese particolaredi fine 2007: “I medici hanno datol’ok contando sulla professionalitàdi mia mamma, ma anche perché lemie condizioni, grazie alla correttaassistenza iniziale dei volontariAkja, lo consentivano. Decisivi sonostati i tempi di soccorso e le moda-lità corrette con le quali sono statatrasportata”.A distanza di due anni quei giornihanno lasciato un segno positivo nelcarattere e nella volontà di questagiovane donna: “Ho deciso di iscri-vermi al corso per volontari dellaCroce Rossa, ho superato il modulobase, ed ora posso mettermi al ser-vizio degli altri in situazioni di dif-ficoltà così come è successo a me”.Un’esperienza forte che sta gui-dando Michela anche nella vita pro-fessionale: “Ho già provato leselezioni per iscrivermi alla Facoltàdi Scienze Infermieristiche e sonodecisa a continuare su questastrada”.Una via che per Michela così comeper migliaia di appassionati (circa4.200 soccorsi dal 1995 anno di fon-dazione), si è incrociata a quella deivolontari Akja che, per continuareal meglio nel loro operare, hanno ri-lanciato la sfida puntando su un’ul-

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teriore crescita di professionalità daapplicare alla propria azione, deltutto gratuita e volontaria, lungo lepiste da sci del territorio bergama-sco.

In pista arriva il soccorso Akja col «bollino»Per la nuova stagione sciistica infattinove volontari dell'associazionehanno seguito un corso di qualifica-zione tecnica e sanitaria certificatadalla Regione Lombardia e dal ser-vizio del 118. “Grazie a questo corso- spiega Nicola Bernacca, responsa-bile Cefra (Centro di FormazioneRegionale Accreditato) dell'Akja -abbiamo messo a disposizione deisoccorritori una preparazione speci-fica sia dal punto di vista sanitarioche tecnico. Per ottenere la certifi-cazione è stato infatti indispensabilefrequentare un corso di 180 ore, 120delle quali dedicate alla formazionesanitaria, mentre le restanti hannoriguardato la tecnica di trasporto emovimentazione persone/materialesulle piste da sci in sicurezza».

«È un passo molto importante - ag-giunge Oliviero Valoti, responsabile118 provinciale - per quanto ri-guarda gli interventi in ambientiimpervi, collaboriamo da sempre colsoccorso alpino, ma le piste da scirestavano una sorta di area grigia.Ci relazionavamo con diversi inter-locutori e quindi con procedure di-verse.Akja ha avviato invece questo per-corso formativo che uniforma sem-pre più le modalità di soccorso sulterritorio e quindi garantisce mag-giore efficacia.L'associazione ha inoltre ottenutoanche il riconoscimento come cen-tro di formazione accreditato e que-sto è un'ulteriore garanzia perché infuturo il soccorso conti sempre piùsu standard professionali”.Un obiettivo che anche quest'annoverrà rinnovato: «Nei nostri pro-grammi - aggiunge il presidente diAkja Marco Gaffuri - c'è la volontàdi portare tutti i nostri soccorritoriallo stesso livello attraverso i corsidi aggiornamento che entro la finedel 2010 avranno tutti una certifi-cazione regionale.».

Clelia Epis

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Sono state recente-mente presentate lelinee guida (COCIS)realizzate dalla Fede-razione Medica Spor-

tiva Italiana (FMSI) e dalle piùimportanti società scientifiche dicardiologia riguardanti la preven-zione cardiovascolare nell’ambitodella attività sportiva agonistica.Tali linee guida sono peraltroestensibili anche all’attività spor-tiva ludica, cioè svolta non in oc-casione di competizioni sportivema per il proprio piacere. E’ questa la quarta edizione deglielaborati riguardanti l’apparato

cardiovascolare, a vent’anni dallaprima edizione. E’ questo uncampo in cui la ricerca medica esportiva presenta una rapida evo-luzione e un continuo arricchi-mento delle conoscenzescientifiche. Queste linee guidasono di estrema importanza inquanto rappresentano l’applica-zione pratica della Legge riguar-dante la prevenzione in ambitosportivo agonistico, il cui riferi-mento legislativo è il DM18/02/82. Il risultato migliore ottenutodalla sua applicazione in tutta lapopolazione sportiva italiana è la

constatazione che negli ultimivent’anni la mortalità “sul campo”degli atleti per eventi cardiova-scolari si è ridotta dal 3,5 per100.000 atleti /anno, allo 0,4 per100.000/anno, mentre la morta-lità della popolazione non spor-tiva è rimasta sostanzialmenteimmutata. Tale successo ha fatto sì che moltiPaesi europei e da ultimo anchePaesi nord americani abbianopreso atto di questi risultati e sisiano attivati per estendere anchealla loro popolazione sportivaquesti nostri protocolli di preven-zione primaria.

Prevenzione nello sport,sport come prevenzione

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Anche in questa edizione si è datolargo spazio ad alcune patologiecardiovascolari e in primo luogoalle aritmie, alterazioni del ritmocardiaco, soprattutto a quelle po-tenzialmente più pericolose per-chè causa di malesseri severi etalora di morte improvvisa. Negliultimi anni si è osservato chemolte aritmie tra le più pericolosetrovano la causa prima in alcunemalattie genetiche, cioè dovute adalterazioni del patrimonio eredi-tario, che alterano la funzionalitàcardiaca ma che talora non modi-ficano in modo evidente l’anato-mia cardiaca. Molte di queste

sono state individuate negli ultimivent’anni, come ad esempio la ma-lattia di Brugada, la sindrome delQT corto, la malattia aritmogenadel ventricolo destro. Di altre, purnote già da tempo dal punto divista clinico, ultimamente si è po-tuta accertare la natura genetica,talora ereditaria, e i meccanismiche conducono ad eventi cardiaciavversi, come nel caso della sin-drome del QT lungo. Molti atleti interpretano la visitamedico sportiva di idoneità asvolgere attività agonistica siaprofessionistica che amatorialecome una gran seccatura, soprat-tutto nei più giovani. E’ questauna convinzione che assoluta-mente deve essere modificata.Da una mia ricerca in un gruppodi oltre 6500 bambini e ragazzi dietà compresa tra i 6 e i 14 anni, sisono dovuti negare l’idoneità allosport specie di gruppo (calcio,pallavolo ecc.) al 2% di soggettiper ulteriori accertamenti, inquanto presentavano segni dubbidi cardiopatia. Nel 2/mille diquesti soggetti si sono diagnosti-cate malattie cardiache anche se-vere, altrimenti non diagnosticatee che escludevano del tutto da at-tività sportive fisicamente impe-gnative. Proprio a questa intensaopera di prevenzione primaria sideve la riduzione, in Italia, dellamorte improvvisa in campo o inallenamento.La visita medico sportiva è quindiimportante e va accolta con lagiusta serietà.La maggior severità delle nuovelinee guida ha lo scopo di miglio-rare ancor più i risultati di pre-venzione fin qui ottenuti, purconsci che sarà impossibile, al-meno alla luce delle conoscenzescientifiche attuali, azzerarla.Un aspetto peculiare della edi-zione 2009 del COCIS è la parti-colare attenzione posta allapopolazione adulta ed anziana chesempre più pratica attività spor-

tiva sia amatoriale che agonistica.E’ bene qui ribadire alcuni con-cetti essenziali riguardanti la pra-tica sportiva dopo i 35-40 anni dietà.L’esercizio fisico praticato con re-golarità, non solo nel fine setti-mana, ma con almeno tre sedutedi “allenamento” settimanali èoggi considerato assai utile permantenere il nostro organismo inefficienza dal punto di vista mu-scolare (tono e forza muscolareottimale, migliore elasticità arti-colare, migliore senso di equili-brio), scheletrico (minorincremento della frequenza car-diaca e della pressione arteriosa aparità di sforzo fisico e quindi

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minor lavoro del cuore) e metabo-lico, con effetti positivi evidentianche in caso di malattie già inatto quali il diabete mellito, o si-tuazioni favorenti le cardiovascu-lopatie come l’ipercolesterolemia,l’obesità, l’ipertensione arteriosaprimaria; tutte condizioni negati-vamente influenzate dalla seden-tarietà.Un altro discorso è la pratica diattività sportiva agonistica o cor-relabile ad essa. Non tutte le pra-tiche sportive sono adatte aqualsiasi età. Attualmente le atti-vità sportive più praticate da sog-getti adulti e anziani sonosoprattutto il ciclismo, ilnuoto, la corsa di fondo, losci ed il tennis. Proprio inquesta fascia di età è fon-damentale avere un con-trollo medico sportivo edun parere del Medicospecialista dello sport,che nel caso si avvaleanche della consulenzadel cardiologo, del neu-rologo, del diabeto-logo ecc. Infatti, sel’attività fisica rego-larmente prati-cata è utile, unaattività spor-tiva agonisticao rapportabilead essa può in-vece rappresen-tare unaumentato ri-schio per la pro-pria salute.Si deve ricordareche con l’aumentodell’età anagrafica au-menta la probabilità dipatologie quali le car-diovascolari, l’iperten-sione ecc. soprattutto insoggetti che hannocomportamenti nega-tivi dal punto divista sanitario,quali il fumo di

tabacco, il sovrappeso per errataalimentazione, l’abuso di alcoliciecc. Una particolare attenzione deveessere posta in soggetti che, mal-

grado una etàavanzata, sof-

frono di unac o n d i z i o n epsicologica

n o t ac o m e

sindrome di Highlander, caratte-rizzata da spiccata competitività,autostima ed elevato tono delleendomorfine, che li spinge a rite-nersi “eterni giovani” e “immor-tali”, pur di ottenere il certificatoe così continuare l’attività spor-tiva preferita.Altrettanto pericolosi per la pro-pria salute sono i soggetti, dasempre sedentari, che improvvi-samente, specie dopo il pensiona-mento, si scoprono atleti. Inquesti, la coesistenza di fattori di

rischio coronarico quali ilfumo, l’alimentazione scor-retta ecc. rende pericolosa unaattività sportiva improvvisatae autogestita. Proprio questi ultimi dovreb-bero avvalersi del consiglio diun medico esperto sia nella

scelta della attività sportiva, siadel modo di affrontarla soprat-tutto nelle fasi iniziali. Muscoliipotrofici per lunga sedentarietànon possono all’improvviso di-ventare massimamente efficienti ela risposta cardiovascolare allo

sforzo diventare ottimale inpoco tempo. Tutto si

può ottenere, masolo con un op-portuno giudiziocritico circa ilproprio stato disalute e un pro-gressivo oculato“allenamento”sotto la supervi-sione di esperti.Il far da sé puòessere veramentepericoloso.

dott. GaetanoBianchi

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Una dieta equilibrata evaria, adatta alle esi-genze di energia e nu-trienti del proprioorganismo è senz’altro

sufficiente alla maggior parte deglisportivi. Tuttavia gli integratorisportivi hanno un grandissimo suc-cesso di mercato e vengono utiliz-zati da una larga fascia dipopolazione, convinta che siano sa-lutari e migliorino le prestazionisportive. Conoscere le caratteristi-che degli integratori è essenzialeper capire se possano essere utili,inutili o addirittura dannosi.

Nutrienti ed energiaper lo sportI fabbisogni di energia e macronu-trienti, soprattutto carboidrati e pro-teine, devono essere soddisfattedurante i periodi di elevata attività fi-sica per mantenere il peso corporeo,ricostituire le riserve di glicogeno (lozucchero utilizzato come migliorefonte di energia durante l’attività fi-sica) e fornire adeguata quantità diproteine per la costruzione e la ripa-razione dei tessuti. L'assunzione di

grassi dovrebbe essere sufficiente afornire gli acidi grassi essenziali e vi-tamine liposolubili (A,D,E,K), comepure contribuire al rifornimento dienergia. La percentuale di grassi che assicu-rano un buono stato di salute è, peruno sportivo, circa il 35% delle calo-rie totali.La maggior parte delle calorie delladieta deve essere invece fornito dacarboidrati complessi (pasta, pane,patate, cereali e derivati) che rappre-sentano una riserva energetica pron-tamente disponibile per compiereun’attività e consentono un miglio-ramento delle prestazioni sportive,diminuendo i tempi di recupero e au-mentando la resistenza alla fatica. Bruciando i carboidrati, invece che igrassi, l’organismo ha una resa mag-giore dell’8%.L’atleta ha un fabbisogno proteicoleggermente più elevato rispetto a unindividuo sedentario ma a coprire talefabbisogno basta una dieta normaleche preveda ai pasti principali ali-menti proteici come carne, pesce euova. Non è però il caso di esagerare per-ché un eccesso di proteine comportaun sovraccarico di lavoro per l’orga-

Sono davveroutili gli integratoriper lo sport?

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nismo e una elevata formazione diurea che deve essere eliminata con leurine e aumenta il dispendio idrico,gia’ elevato nello sportivo, facilitandola disidratazione.L’attività sportiva aumenta la produ-zione di radicali liberi, responsabilidell’invecchiamento cellulare. Le vi-tamine ad azione antiossidante, checontrastano i radicali liberi, sono,quindi, particolarmente importantiper lo sportivo: vitamina C contenutain elevate quantità nel succo di aran-cia, ribes nero, peperoni, agrumi, po-modori, broccoli, cavoli, spinaci, kiwi, la vitamina A contenuta nel fegato,uova, prodotti lattiero-caseari e oliodi pesce e presente come betacarotenenei vegetali giallo – arancioni e la vi-tamina E contenuta negli oli di semi,olio di oliva, nocciole, mandorle e pi-noli.Per lo sportivo sono particolarmenteimportanti sali minerali come il cal-cio, il ferro, il sodio, il cloro, il ma-gnesio e il potassio. Il calcio, contenuto nel latte e nei suoiderivati regola l’attività dei muscoli ela coagulazione del sangue. E’ fonda-mentale per il mantenimento della sa-lute delle ossa che spesso, durantel’attività sportiva, possono riceveretraumi.Il ferro serve a trasportare l’ossigenonelle cellule e una sua carenza pro-voca anemia. Il ferro meglio utilizzatodall’organismo è quello provenientedalla carne e dal pesce.Sodio, potassio e cloro sono impor-tanti nel mantenimento dell’equili-brio idrico dell’organismo,intervengono negli scambi cellulari,regolano le funzioni delle cellule ner-vose e le contrazioni muscolari.Gli atleti, attraverso il sudore, per-dono acqua, sodio, potassio, magne-sio e cloro che, se non sonoreintegrati portano crampi, confu-sione e debolezza.Frutta e verdura hanno in genere unabuona percentuale di potassio, nesono buone fonti: il kiwi, le albicoc-che, la frutta secca, i legumi e le pa-tate.

Sodio e cloro sono contenuti nelsale da cucina (NaCl).Il magnesio, coinvolto nel me-tabolismo energetico, regolala trasmissione degli stimolinervosi ai muscoli e il trasportodi ossigeno nei tessuti. Si trovanei cereali integrali, nei legumie nella frutta secca.

Gli integratori per lo sportGli integratoriper gli sportivi eper chi praticaattività fisicadevono for-nire nutrientiottimamentebiodisponi-bili per sod-disfare lerichieste nutri-zionali secondo l’atti-vità svolta. Esistono integratori energetici,idrosalini o finalizzati all’integra-zione di proteine, aminoacidi e deri-vati o altre sostanze nutrienti.L’utilizzo degli integratori sportivisembra rispondere più che alle esi-genze di una corretta alimentazione,a un fine ergogenico, teso cioè a mi-gliorare la capacità fisica di lavoro,le funzioni fisiologiche e la presta-zione atletica.

Integratori energeticiSono prodotti a base di carboidratisemplici (glucosio, fruttosio, sacca-rosio) e/o complessi,possono essere integrati con vita-mine del gruppo B, come B2 e B6 evitamina C. Gli integratori energe-tici possono contenere anche grassie vitamina E. La finalità è quella difornire energia prontamente dispo-nibile poco prima o durante losforzo fisico. Possono essere utili incaso di prestazioni atletiche di lungadurata come una gara ciclistica.

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Nelle normali attività sportive pos-sono essere sostituiti tranquilla-mente con spuntini a base dialimenti naturali ricchi di carboi-drati come grissini, crackers o fettebiscottate con la marmellata.

Integratori idrosaliniContengono elettroliti perreintegrare le perdite idro-saline dovute alla disidra-tazione (sodio, cloro,potassio e magnesio).Oltre a questi mineralicontengono anche carboi-drati e, a volte, vitamina C.

Lo stesso risultato si può ot-tenere diluendo succo di

frutta all’albicocca con acqua eaggiungendoci 1-2 g di sale da cu-cina.Bisogna anche tenere presente che,nella maggior parte dei casi, per

reintegrare l’acqua persa è suf-ficiente introdurre acqua a

una temperatura attornoai 10°C fino ad un’ora

precedente l’esercizio(circa 50ml a dosi

inter val late ) .Per attività

inferiori aun’ora si

consi-

dera sufficiente un reintegro diacqua (20-30 ml ogni 20 minuti). Solo oltre l’ora di lavoro è consi-gliabile utilizzare bevande conte-nenti zuccheri e sali minerali abassa concentrazione.

Integratori di proteinee aminoacidi

L’utilizzo di supplementi a base diproteine e aminoacidi, molto diffusotra gli sportivi, non trova i ricerca-tori concordi sulla sua efficacia. Molto utilizzati dagli sportivi sonogli aminoacidi ramificati ( BCAABranched Chain Amino Acids) va-lina, leucina e isoleucina, che costi-tuiscono una fonte rapida di energiain caso di sforzo strenuo e stimolanola sintesi di proteine muscolari.Le “Linee guida sugli alimenti adat-tati ad un intenso sforzo muscolaresoprattutto per gli sportivi” ema-nate dal Ministro della Salute se-gnalano, oltre ad alcune indicazionicirca la quantità giornaliera da as-sumere, anche alcuni consigli ri-guardanti il fabbisogno proteico edalcune controindicazioni: l’eccessodi proteine può portare ad un so-vraccarico renale che, se protrattonel tempo, può predisporre a pato-logie croniche anche gravi.

Integratori contenenti elementi derivati dagli aminoacidiL-carnitina e creatinaLa funzione principale della L car-nitina è quella di facilitare l’entratadegli acidi grassi all’interno dei mi-tocondri dove verranno degradatiper ottenere energia e quella di mi-gliorare l’ossidazione degli aminoa-cidi ramificati( BCAA) con finalitàdi produzione energetica. La vali-dità della L carnitina come integra-tore non è sostenuta da provescientifiche chiare e può provocare

effetti avversi come crampi addomi-nali, vomito e diarrea.La funzione della creatina è, invece,quella di fornire un composto alta-mente energetico nel muscolo, for-nendo principalmente allemiofibrille, le fibre microscopiche dicui è composto il muscolo, la forzadi contrarsi. E’ un supplemento nu-trizionale molto popolare tra glisportivi, professionisti e non. Cisono stati numerosi lavori scientificiriguardanti la creatina e l’uso di pro-dotti contenenti creatina in vari tipidi attività sportive e a vari livelli diperformance. Ma i risultati non per-mettono di trarre conclusioni defi-nitive. Questo atteggiamento dicautela vale non solo nell’affermarel’effettiva capacità di migliorare laperformance (quindi il suo effettoergogeno) ma anche nell’escluderela possibilità di effetti dannosi per lasalute, specialmente quando i do-saggi sono elevati e protratti perlungo tempo.

Una dieta equilibrata fornisce dosisufficienti di creatina.

Energy drinkLargo consenso tra i giovani hannogli Energy drink, particolare tipodi bevande analcoliche che conten-gono sostanze in grado di fornireeffetti energizzanti in chi le assume.Tra gli ingredienti energizzanti tro-viamo spesso la caffeina che ha ef-fetto sul sistema nervoso e sulmetabolismo energetico.La caffeina può migliorare la per-formance atletica ma a dosi ecces-sive può causare notevoli problemicome disturbi del ritmo cardiaco, in-sonnia, tremori, nausea e irrequie-tezza.Altri ingredienti possono esserecarnitina, creatina e guaranà checontiene xantine che, come la caf-feina, stimolano il sistema nervosoo altri estratti da piante.Molti Energy drink famosi conten-gono glucuronolattone, che è un

Molti sono convintiche gli integratorisiano innocui e cheminerali e vitaminenon abbiano nessunacontroindicazione.In realtà non è così. Ci possono essereeffetti negativi sulla salute, legatiall’assunzione di dosieccessive di nutrienti.

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prodotto del metabolismo del glu-cosio con proprietà stimolanti e diaumento della concentrazione e tau-rina che agisce sui muscoli schele-trici, il sistema nervoso e lacontrattilità cardiaca.

Attenzione alle quantitàMolti sono convinti che gli integra-tori siano innocui e che minerali evitamine non abbiano nessuna con-troindicazione.In realtà non è così. Ci possono es-sere effetti negativi sulla salute, le-gati all’assunzione di dosi eccessivedi nutrienti.Il sovraccarico inutile di nutrienti,sbilancia la dieta e aumenta inutil-mente il lavoro dell’organismo chedeve eliminarli o depositarli.Prima di assumere integratori biso-gnerebbe chiedere il parere del me-dico e leggere bene le etichette peraccertarsi che le sostanze contenutein un integratore non siano le stessecontenute in un altro integratore oin altri alimenti arricchiti che già siassumono, per escludere i rischi le-gati ad un sovradosaggio.

Il parere degli espertiSecondo importanti associazioniamericane, come l’AssociazioneAmericana di Dietetica e l’AmericanCollege di Medicina dello Sport lacosa importante per l’atleta è quellodi essere ben idratati prima del-l’esercizio fisico e bere abbastanzadurante e dopo l’esercizio fisico perbilanciare le perdite idriche. Be-vande sportive a base di carboidratied elettroliti possono essere consu-mate prima e dopo l’esercizio fisicoper aiutare a mantenere la concen-trazione di glucosio nel sangue efornire combustibile ai muscoli, eper diminuire il rischio di disidrata-zione e perdita eccessiva di sodio. Gli integratori vitaminici e mineralinon sono invece necessari se si

segue una dieta equilibrata e varia.Per quanto riguarda gli integratorialimentari ergogenici e le bevandeenergizzanti, tipo red bull che moltigiovani consumano abitudinal-mente, poiché attualmente una re-golamentazione specifica èscarsamente applicata, gli espertiraccomandano molta cautela nel-l’uso.

Cristina Grande

Il sovraccarico inutile dinutrienti, sbilancia la dieta eaumenta inutilmente il lavorodell’organismo che deveeliminarli o depositarli.

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Quando un grande personaggio ci lascia, il dolore e il rimpiantoprendono il sopravvento e lo sconforto ci assale. Da una parteresta il vuoto, ma dall'altra questa assenza in una qualche ma-niera pare colmarsi di tutto il ricordo delle opere che in vitahanno avuto la grazia di essere compiute e che ci restano comeeterna memoria, quasi a lenire parzialmente il dolore che pro-viamo. Così è successo anche per Antonio Rodari, grandeavvocato, decano della professione e per diversi mandati pre-sidente dell'Ordine. Ci ha lasciati ad 88 anni, sicuramentenon in età prematura, ma per certe persone gli anni dellaloro presenza fra noi non dovrebbero mai scadere, tale èl'importanza delle loro gesta. Per le sue capacità professionali era considerato un prin-cipe del foro, mentre era un illustre volontario per l'Aido,a cui ha saputo dare slancio e lustro. In una lettera offrì il suoimpegno a Giorgio Brumat nel 1972 quando la neo co-stituita associazione iniziava a compiere i primipassi fuori provincia. Sua è stata la stesura delprimo atto costitutivo depositato il 22 febbraiodello stesso anno; ha poi partecipato ai lavoridel Comitato promotore che aveva il compitodi coordinare le attività promozionali ed è statoPresidente nazionale dal 14 gennaio 1978 al 25ottobre 1986. I risultati del suo lavoro non pote-vano che essere eccellenti. Tra gli altri citiamo: l'au-mento delle iscrizioni (passate da 102.225 a 537.865); larealizzazione del "II Convegno di studi sui prelievi e tra-pianti di organi" che vide la partecipazione di numerosispecialisti di diverse discipline, divisi in 6 commissioni,che elaborarono una serie di proposte di modifiche mi-gliorative alla legge 644 e relativo regolamento; il primo corsodi preparazione dei quadri associativi; l'incontro con il Presi-dente della Repubblica Sandro Pertini; lo studio comparatosulle legislazioni europee. Il 28 febbraio 1986, fu insignitodall'allora Ministro della Sanità On. Costante Degan, dellaMedaglia d'oro al Merito della Sanità Pubblica, che lostesso ministero aveva conferito anche all'Aido.Lo ricordiamo come una persona dalla grande incisività eloquacità con una capacità oratoria straordinaria che sa-peva rapire e allo stesso tempo trasferire le nozioni e i con-cetti con decisa padronanza e sapienza.Un vuoto grande dicevamo, profondo come l'eredità checi ha lasciato, a noi dell’Aido ma anche a tutta la società ci-vile; con un doveroso grazie lo vogliamo salutare, decisi anon dimenticare la sua opera perché ci faccia da sprono perla nostra attività di volontariato.

P. S.

Antonio Rodari ci ha lasciato.Nella memoria la figuradi un illustre presidente

1977 - Assemblea nazionale straordinaria a Milano Marittima (RA)

1981 - Corso di formazione perdirigenti a Ponte S. Pietro (BG)

1979 - 4ª Assemblea dellaSezione provinciale di Bergamo

La donazionedegli organi

in Lombardiacon loroper far

fiorire la speranza

con loroper far

fiorire la speranzaCentri di prelievoprovincialiBergamo- A.O. Ospedali Riuniti diBergamo

Brescia- A.O. Spedali Civili Brescia

Como- A.O. S. Anna di Como

Cremona- A.O. Istituti Ospitalieri diCremona

Lecco- A.O. “A. Manzoni” di Lecco

Lodi- A.O. della Provincia di Lodi

Milano- Città di Milano: A. O. Ca’Granda Niguarda,Fatebenefratelli, Policlinico,Policlinico ICP, Ospedale L.Sacco, Ospedale S. Carlo,Istituto Besta, Istituto S.Raffaele

Mantova- A.O. “CarloPoma” di Mantova

Pavia- A.O. Policlinico “San Matteo”di Pavia

SondrioOspedale “Morelli” di Sondalo

Varese- A.O. “Macchi” di Varese

Centri di trapianto

Provincia di Bergamo- A.O. Ospedali Riuniti diBergamo: cuore, polmone edoppio polmone, emifegato,fegato, fegato/rene, pancreas,rene, doppio rene.

Provincia di Brescia- A.O. Spedali Civili Brescia:rene

Provincia di MilanoCittà di Milano: - Ospedale Ca’ GrandaNiguarda: cuore, polmone, dop-pio polmone, emifegato, fegato,pancreas/rene, rene.- Policlinico: polmone, doppiopolmone, emifegato, fegato,rene, intestino- Policlinico ICP: rene- Istituto Nazionale Tumori: emi-fegato, fegato - Istituto S. Raffaele: pancreas,isole, pancreas/rene, rene.

Provincia di Pavia- A.O. Policlinico “San Matteo”di Pavia: cuore, polmone, dop-pio polmone, rene.

Provincia di Varese- A.O. “Macchi” di Varese: rene

BergamoSezione 24125 - Via Borgo Palazzo, 90 Presidente: Monica VescoviTel. 035.235326Fax [email protected]

Cremona Sezione 26100 - Via Aporti 28Presidente: Daniele ZanottiTel./Fax [email protected]

Lecco Sezione 23900 - C.so Martiri Liberazione, 85Presidente: Vincenzo RennaTel./Fax 0341.361710 [email protected]

LodiSezione 26900 - Via C.Cavour, 73Presidente: Angelo RapelliTel./Fax [email protected]

Brescia Sezione 25128 - Via Monte Cengio, 20Presidente: Lino LovoTel./Fax 030.300108 [email protected]

Como Sezione Presso A.O. Ospedale Sant'Anna22100 - Via Napoleona 60Presidente: Mario Salvatore BoscoTel./Fax 031.279877 [email protected]

Aido Consiglio Regionale Lombardia Sede: 24125 Bergamo, Via Borgo Palazzo 90Presidente: Leonida Pozzi Tel. 035.235327 - Fax 035.244345 [email protected]

Aido Nazionale Sede: 00192 Roma, Via Cola di Rienzo, 243 Presidente: Vincenzo PassarelliTel. 06.97614975 - Fax 06.97614989 [email protected]

Brescia

Bergamo

Sondrio

Melegnano - MelzoLegnanoMilano

Lecco

ComoVarese

Pavia Lodi

Cremona Mantova

L’A

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Mantova Sezione 46100 - Via Frutta, 1Presidente: Antonella Marradi Tel. 0376.223001Fax [email protected]

Legnano Sezione Pluricomunale

Melegnano-MelzoSezione Pluricomunale20066 - Melzo (Mi)Via De Amicis, 7 Presidente: Felice RivaTel./Fax 02.95732072 [email protected]

Monza-BrianzaSezione Provinciale20052 - Monza (Mi)Via Solferino, 16 Presidente: Lucio D’AtriTel.039.3900853Fax [email protected]

MilanoSezione Pluricomunale20159 - Piazzale Maciachini, 11 Presidente: Maurizio SardellaTel./Fax [email protected]

Pavia Sezione Presso Policlinico Clinica Oculistica27100 - Piazzale Golgi, 2 Presidente: Luigi RiffaldiTel./Fax 0382.503738 [email protected]

Sondrio Sezione23100 - Via Meriggio, 12Presidente: Franca BonviniTel./Fax [email protected]

Varese Sezione21100 - Via Cairoli, 14Presidente: Roberto BertinelliTel./Fax [email protected]

Monza - Brianza

800 20 10 88NUMERO VERDE