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Sulla corresponsabilità del coordinatore e dell’impresa affidataria La Cassazione: confermata la corresponsabilità del coordinatore e dell’impresa affidataria e la loro posizione di garanzia nei confronti delle ditte appaltatrici che possono operare in un cantiere edile. A cura di G. Porreca. Pubblicità Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 25529 del 5 luglio 2010 - Pres. Morgigni – Est. Bianchi – P.M. Di Popolo - Ric. R.M., M.P., A.F. Commento. È in linea con le disposizioni del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81 e s.m.i., contenente il Testo Unico in materia di salute e di sicurezza sul lavoro, questa sentenza della Corte di Cassazione penale nella quale sono state individuate le responsabilità concorsuali del coordinatore in fase di esecuzione e dell’ impresa affidataria a seguito di un infortunio mortale sul lavoro accaduto in un cantiere edile nel quale, in base ad uno schema complesso di lavori appaltati in cascata, sono venute a trovarsi ad operare simultaneamente diverse imprese esecutrici. Nel caso in esame, in particolare, una impresa affidataria ha concesso parte dei lavori avuti in appalto dalla committenza e relativi alla costruzione di un centro commerciale ad una ditta subappaltatrice la quale a sua volta ha trasferito i lavori di fornitura e posa in opera della struttura metallica del fabbricato ad altra impresa che a sua volta ancora ha affidato ad una quarta società il montaggio di lamiere e pannelli costituenti la copertura metallica del fabbricato. È stato proprio un lavoratore dipendente di quest’ultima ditta subsubappaltatrice che è rimasto vittima dell’infortunio sul lavoro per una caduta nel vuoto a seguito di un cedimento di parte della struttura di copertura. Le decisioni del Tribunale prima e quindi della Corte di Appello ed infine della Corte di Cassazione si ritengono che siano state prese nel pieno rispetto dell’applicazione delle disposizioni di cui al D. Lgs. n. 81/2008 in quanto, oltre al datore di lavoro

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Sulla corresponsabilità del coordinatore e dell’impresa affidataria

La Cassazione: confermata la corresponsabilità del coordinatore e dell’impresa affidataria e la loro posizione di garanzia nei confronti delle ditte appaltatrici che possono operare in un cantiere edile. A cura di G. Porreca.

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  Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 25529 del 5 luglio 2010 - Pres. Morgigni – Est. Bianchi – P.M. Di Popolo - Ric. R.M., M.P., A.F.  Commento. È in linea con le disposizioni del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81 e s.m.i., contenente il Testo Unico in materia di salute e di sicurezza sul lavoro, questa sentenza della Corte di Cassazione penale nella quale sono state individuate le responsabilità concorsuali del coordinatore in fase di esecuzione e dell’ impresa affidataria a seguito di un infortunio mortale sul lavoro accaduto in un cantiere edile nel quale, in base ad uno schema complesso di lavori appaltati in cascata, sono venute a trovarsi ad operare simultaneamente diverse imprese esecutrici. Nel caso in esame, in particolare, una impresa affidataria ha concesso parte dei lavori avuti in appalto dalla committenza e relativi alla costruzione di un centro commerciale ad una ditta subappaltatrice la quale a sua volta ha trasferito i lavori di fornitura e posa in opera della struttura metallica del fabbricato ad altra impresa che a sua volta ancora ha affidato ad una quarta società il montaggio di lamiere e pannelli costituenti la copertura metallica del fabbricato. È stato proprio un lavoratore dipendente di quest’ultima ditta subsubappaltatrice che è rimasto vittima dell’infortunio sul lavoro per una caduta nel vuoto a seguito di un cedimento di parte della struttura di copertura. Le decisioni del Tribunale prima e quindi della Corte di Appello ed infine della Corte di Cassazione si ritengono che siano state prese nel pieno rispetto dell’applicazione delle disposizioni di cui al D. Lgs. n. 81/2008 in quanto, oltre al datore di lavoro dell’infortunato, sono stati chiamati a rispondere dell’accaduto sia il coordinatore in fase di esecuzione che il titolare dell’impresa affidataria per non aver provveduto a coordinare i lavori in corso nel cantiere edile e quest’ultima in più anche per non aver controllata la sicurezza non solo dei propri lavoratori ma anche quella riguardante i lavori svolti dalle imprese subappaltatrici nei confronti delle quali la stessa per norma assume una posizione di garanzia.

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  La dinamica dell’infortunio.L’infortunio sul lavoro in esame è accaduto mentre il lavoratore stava trasportando una pesante lamiera che doveva servire a completare la intelaiature del tetto di copertura e dopo che lo stesso ha messo un piede su di un'apertura presente nel pavimento coperta da un pannello di polistirene che sotto il peso dell’operaio ha ceduto.

Il committente, attraverso il suo coordinatore per la sicurezza, aveva provveduto a predisporre il piano di sicurezza e coordinamento (PSC) e tutte le imprese sia appaltatrice che subappaltatrici avevano redatto il proprio piano operativo di sicurezza (POS) secondo le disposizioni di legge vigenti. Per quanto accaduto sono stati rinviati a giudizio il coordinatore per la progettazione ed esecuzione dei lavori nominato dal committente, il Presidente dell’impresa affidataria, il responsabile per la sicurezza e direttore tecnico di cantiere, il capocantiere ed il caposquadra della stessa impresa, oltre al datore di lavoro dell'infortunato. Il Tribunale ha riconosciuta la responsabilità di tutti gli imputati, salvo che per il caposquadra (deceduto prima del rinvio a giudizio) e per il Presidente della società che è stato assolto per non aver commesso il fatto, ed ha condannato il coordinatore per la sicurezza alla pena di sei mesi di reclusione, il direttore tecnico di cantiere ed il datore di lavoro dell’infortunato ciascuno ad otto mesi di reclusione ed il capocantiere ad un anno. Tutte le sentenze emesse dal Tribunale sono state successivamente confermate dalla Corte di Appello. Singolare è stata la dinamica dell’infortunio. Al momento dell'evento infortunistico erano in corso i lavori di completamento della struttura metallica di copertura del fabbricato e di tamponamento delle aperture laterali. A seguito della caduta dell’operaio nell’apertura non debitamente protetta ed esistente nel solaio del primo piano, dove il lavoratore infortunato si trovava a lavorare, e sulla quale era stata appoggiata solo una lastra di polistirene, lo stesso cadendo ha impattato contro un tavolato che proteggeva l'imboccatura di un camino sottostante il quale a sua volta ha ceduto facendo finire a testa in giù entro un condotto di aerazione il lavoratore che poi è caduto a terra una volta percorso per intero il condotto e dopo una caduta di circa 14 metri.  Tutti gli imputati sono stati ritenuti responsabili per non aver predisposto idonei presidi di protezione delle aperture presenti in più punti del cantiere e necessarie per consentire il passaggio dei condotti di aerazione, ed il capocantiere in più per non aver vigilato che non venissero rimosse le protezioni delle stesse aperture. Quest’ultimo in particolare aveva affermato di avere debitamente adempiuto alle disposizioni di legge con la sistemazione sulle aperture di reti termosaldate fissate da pezzi di legno che tenevano aderente la rete a terra e che evidentemente erano state successivamente rimosse.In realtà si era accertato che le reti termosaldate non erano state stabilmente ancorate al suolo così come richiesto dalla normativa vigente (D.P.R. n. 164 del 1956, articolo 68, comma 1) e dallo stesso POS dell’impresa affidataria secondo cui la copertura di aperture nei solai doveva essere saldamente fissata in modo da rimanere sempre nella stessa posizione ed offrire resistenza non inferiore a quella del piano di calpestio. Anche la protezione dell'apertura dei condotti di aerazione del piano sottostante era stata ritenuta insufficiente dal momento che costituiva un riparo meramente apparente e inidoneo ad offrire la resistenza necessaria al corpo del lavoratore infortunato.  “Nel cantiere erano presenti più imprese, elemento di indubbia moltiplicazione del rischio” ha affermato la Corte di Appello, “ed il dovere di adottare le misure generali di tutela di tutti i lavoratori, anche non suoi dipendenti, era a carico dell’impresa affidataria” per cui a carico del capocantiere di tale impresa è stata individuata la responsabilità di non aver realizzato un sistema sicuro di protezione e di non aver vigilato debitamente, ciò che gli avrebbe consentito di rilevare prima dell'infortunio che la rete di protezione dell’apertura in questione era fuori posto. Per le stesse ragioni è stato ritenuto responsabile anche il direttore tecnico del cantiere, massimo responsabile del cantiere per l’impresa affidataria anche sotto il profilo della sicurezza, da cui lo stesso capocantiere prendeva ordini; rientrava infatti nei suoi compiti sovrintendere alla predisposizione di misure di carattere generale quali erano quelle in esame. Anche il coordinatore per la sicurezza è stato ritenuto responsabile stante la sua posizione di garanzia che gli competeva nella sua qualità di redattore del Piano di sicurezza e Coordinamento (PSC), “figura centrale”, ha proseguito la Sez. IV, “nella

disciplina dettata dal Decreto Legislativo n. 494 del 1996 con specifici compiti (articolo 5) di controllo e vigilanza durante l'esecuzione dei lavori”. “Egli era presente sul cantiere”, ha sostenuto altresì la suprema Corte, “e pertanto avrebbe dovuto accorgersi che il sistema realizzato non era regolare e pretendere la messa in regola, laddove invece lo aveva tollerato”.  Il ricorso in Cassazione.Avverso la sentenza della Corte di appello hanno presentato ricorso per cassazione i difensori del coordinatore per la sicurezza, del direttore tecnico di cantiere e del capocantiere. Il coordinatore per la sicurezza, in particolare, fra le altre motivazioni addotte, ha sostenuto che nei precedenti giudizi non era stato tenuto conto della sua diligente attività svolta in cantiere, documentata anche da fotografie, e che “il ruolo del coordinatore non deve essere inteso quasi come una responsabilità oggettiva”.Il direttore tecnico ed il capocantiere, dal canto loro, hanno tenuto a precisare che il lavoratore infortunato era dipendente dell’impresa subappaltatrice e non dell’impresa affidataria e che quest’ultima peraltro, nella fase lavorativa in cui è avvenuto l'incidente, non stava effettuando alcuna lavorazione nel piano dove lo stesso è avvenuto. I ricorrenti hanno inoltre posto in evidenza che, in base al contenuto del D. Lgs. n. 494/1996 (in vigore al momento dell’accaduto) ciascuna delle imprese esecutrici presenti nel cantiere era responsabile della sicurezza dei propri dipendenti ed era tenuta a redigere un proprio piano operativo di sicurezza (POS) in relazione alle lavorazioni che era chiamata a svolgere, piano del quale la stessa impresa doveva curare unicamente l'esecuzione, ed hanno sostenuto inoltre che non esiste alcun obbligo in capo al datore di lavoro di un'impresa esecutrice, sia essa l'appaltatore principale o meno, di curare l'attuazione del piano di sicurezza e coordinamento generale (PSC) essendo questo un adempimento di competenza del committente o del soggetto da questi nominato quale coordinatore né di curare l’attuazione di un piano operativo che non sia il suo. Secondo i difensori del direttore tecnico di cantiere e del capocantiere dell’impresa affidataria, inoltre, i giudici di merito avevano attribuito erroneamente a questa impresa il ruolo sostanziale di " committente" rispetto alle imprese subappaltatrici, in considerazione del fatto che essa era l'impresa principale presente nel cantiere, ed ingiustamente avevano addebitato quindi alla stessa la responsabilità di vigilare sul rispetto del PSC trascurando invece che, ai sensi dell'articolo 2 comma 1 lettera b del predetto D. Lgs., fanno capo esclusivamente al committente, quale "soggetto per conto del quale l'intera opera viene realizzata", le responsabilità in tema di coordinamento previste dall'articolo 6. I ricorrenti, quindi, non ricoprendo l’impresa affidataria il ruolo di committente, hanno dedotto di non avere l'obbligo di dare attuazione alle prescrizioni del PSC della committenza ma solo a quelle del proprio POS ed hanno concluso che, se era pur vero che quest'ultimo POS prevedeva e disciplinava il pericolo di caduta dall'alto, gli stessi avrebbero dovuto curare il rispetto di tale piano solamente nei luoghi in cui l’impresa affidataria attendeva, con le proprie maestranze, a lavorazioni che avessero comportato tale rischio.

Le decisioni della Corte di Cassazione.La corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi degli imputati ritenendoli infondati. Per quanto riguarda il coordinatore per la sicurezza e le sue osservazioni la suprema Corte ha ritenuta corretta la valutazione fatta dalla Corte di Appello in merito al suo comportamento avendolo considerato “colpevole in quanto posto in essere in violazione della specifica posizione di garanzia che gli imponeva di verificare in concreto l'attuazione di quanto previsto nei piani di sicurezza (PSC e POS) e il continuo rispetto delle prescrizioni anche, e può dirsi specialmente, in relazione alla evoluzione dei lavori, essendo assai sovente proprio questo il momento più pericoloso della vita di un cantiere edile, da un lato, per il subentrare di un certo affidamento sulle prassi seguite e, dall'altro, normalmente, per l'ingresso nel cantiere di nuovi soggetti non a conoscenza di tutto quanto già in precedenza fatto fino a quel momento”. 

Per quanto riguarda il ricorso del direttore tecnico e del capocantiere dell’impresa affidataria e le osservazioni dagli stessi formulate sugli obblighi del committente che in base alle norme di sicurezza ha il compito fondamentale di curare il coordinamento tra le diverse imprese che operano nel cantiere, la Sez. IV ha posto in rilievo che gli stessi imputati “hanno trascurato di considerare che tale regolamentazione non è certamente esaustiva della complessiva disciplina che regola la sicurezza sul lavoro, dal momento che il decreto legislativo in questione si inserisce nel complessivo ambito della disciplina dettata in tale materia, quale normativa speciale dettata per meglio proteggere uno specifico ambiente di lavoro, quello del cantiere temporaneo e mobile appunto, che, a causa delle sue particolari caratteristiche (collegate alla mancanza di un punto di riferimento imprenditoriale stabile dal momento che ogni cantiere costituisce una realtà a sé, con proprie esigenze e affidata a un soggetto che ben può essere ogni volta diverso) e della correlativa particolare pericolosità del lavoro che in esso si svolge, necessita di norme particolari ed apposite che però non escludono certamente, ed anzi presuppongono, essendo di essa integrative, la contemporanea applicazione della normativa generale”. “Ciò è tanto vero” ha proseguito la suprema Corte, “che il Decreto Legislativo n. 494 del 96, articolo 1, comma 2, stabilisce espressamente che, nello specifico settore da esso regolato, quello dei cantieri temporanei e mobili, e fatte salve le specifiche disposizioni da esso dettate, trovano applicazione le disposizioni di cui al Decreto Legislativo n. 626; e l'articolo 8 del medesimo Decreto Legislativo richiama i datori di lavoro presenti nel cantiere all'osservanza delle misure generali di tutela di cui al Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 3” ed “impone loro - alla lettera g. - di curare, ciascuno per la parte di competenza, la cooperazione tra datori di lavoro e lavoratori autonomi".Per quanto sopra detto, quindi, la Sez. IV ha ritenuto essere perfettamente coerenti con l'impianto normativo di cui al D. Lgs. n. 494/1996 ed al D. Lgs. n. 626/1994 (all’epoca in vigore) le affermazioni contenute nelle sentenze di condanna secondo cui, avendo il cantiere una struttura ed una organizzazione complessa, rientrava nei compiti dell'impresa principale quello di coordinare le imprese appaltatrici e quello di adottare le misure generali di tutela di tutti i lavoratori, anche non suoi dipendenti. “La responsabilità dell'impresa principale che riveste il ruolo di committente rispetto alle imprese subappaltatrici”, ha sostenuto ancora la suprema Corte, “essendo connessa alla realizzazione dell'opera complessiva, permane ancorché essa non operi più nell'area in cui la situazione di rischio si colloca". In sostanza, ha concluso la Sez. IV, quello che i giudici di entrambi i precedenti gradi del procedimento avevano correttamente affermato è che l’impresa affidataria, e per essa il capocantiere ed il direttore tecnico di cantiere in quanto massimo responsabile della sicurezza, “quale principale società appaltatrice dei lavori per la realizzazione del centro commerciale ed appaltante essa stessa di specifiche opere, era tenuta alla vigilanza dell'intero cantiere tanto più che, come ha sottolineato in particolare la sentenza di primo grado, si trattava di misure di carattere generale”. Corte di Cassazione - Sezione IV Penale - Sentenza n. 25529 del 5 luglio 2010 - Pres. Morgigni – Est. Bianchi – P.M. Di Popolo - Ric. R.M., M.P., A.F. La Cassazione: confermata la corresponsabilità del coordinatore e dell’impresa affidataria e la loro posizione di garanzia nei confronti delle ditte appaltatrici che possono venire a trovarsi ad operare nell’esecuzione dei lavori in un cantiere edile. 

Direttore tecnico e capocantiere: dirigente e preposto per la sicurezza

Il direttore tecnico di cantiere e il capocantiere sono inquadrabili, ai fini della applicazione delle norme in materia tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, nel modello legale rispettivamente del dirigente e del preposto. Di G. Porreca.

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Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 43628 del 24 novembre 2011 - Pres. Marzano –Est. Izzo – P.M. Salzano - Ric. M.M.A., T.P. e I.G.. Commento a cura di G. Porreca.Il direttore tecnico di cantiere e il capocantieresono inquadrabili, ai fini della applicazione delle norme in materia tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, nel modello legale rispettivamente del dirigentee del prepostoed assumono pertanto le rispettive posizioni di garanzia nei riguardi dei lavoratori operanti in cantiere.È quanto emerge da questa sentenza della Sezione IV della Corte di Cassazione penale, a conferma di quanto la stessa aveva avuto già modo di affermare in precedenza, chiamata ad esprimersi in merito alla responsabilità o meno di un direttore tecnico di cantiere già condannato in primo e secondo grado per la caduta di un lavoratore in un cantiere edile risultato privo delle necessarie protezioni di sicurezza.L’evento infortunistico e l’iter giudiziario.Il Tribunale ha condannato il legale rappresentante di una impresa appaltatrice, il legale rappresentante di una impresa subappaltatrice e il direttore tecnico di un cantiere edile operante per conto della società appaltatrice alla pena, concesse le attenuanti generiche prevalenti, di anni 2 di reclusione pena sospesa per il delitto di cui all'articolo 589 c.p. per omicidio colposo aggravato in danno di un operaio edile.La Corte di Appello ha successivamente confermata la sentenza di condanna del Tribunale facendo presente che dall'istruttoria dibattimentale era emerso che la caduta del lavoratore infortunato dal fabbricato in costruzione era stata determinata dalla assenza di ponteggi di protezione ed inoltre che la carenza degli stessi era già stata segnalata e nonostante ciò i lavori erano continuati in assenza di sicurezza. Del fatto dovevano quindi rispondere sia il titolare della impresa appaltatrice dei lavori che il subappaltatore alle cui dipendenze lavorava l’infortunato nonché il direttore tecnico del cantiere dell’impresa appaltatrice che seguiva i lavori quotidianamente in prima persona. Tutti erano stati ritenuti titolari di una autonoma posizione di garanzia che li obbligava ad attuare le misure di sicurezza omesse e che avevano determinato l'evento.

Il ricorso in Cassazione e le motivazioni.Avverso la sentenza di condanna della Corte di Appello gli imputati hanno proposto ricorso in Cassazione lamentando:- il rappresentate legale dell’impresa appaltatrice la violazione di legge e l'assoluto difetto di motivazione in relazione alla condotta abnorme tenuta dal lavoratore infortunato il quale, pur essendo stato adibito alla mera pulizia dei locali interni del cantiere, si trovava sui balconi del fabbricato, il cui accesso peraltro era inibito da steccati; - il rappresentate legale dell’impresa subappaltatrice, da parte sua, la violazione di legge e l'assoluto difetto di motivazione in relazione alla condotta abnorme del lavoratore infortunato il quale, pur essendo stato adibito alla mera pulizia del cantiere, si trovava sui balconi del fabbricato, probabilmente ubriaco come deposto da un teste e lamentando altresì il difetto di motivazione in relazione alla causalità dell'assenza di ponteggi, laddove la Corte di merito non aveva tenuto conto che i balconi erano stati sbarrati con tavole incrociate, precauzione questa idonea ad evitare il pericolo di cadute ed ancora il vizio di motivazione ove il giudice di merito aveva ritenuto

sussistente la sua posizione di garanzia pur a fronte del fatto che la sua società aveva conferita la mera manodopera alla impresa subappaltatrice e quindi non poteva essere ritenuta datrice di lavoro;- il direttore tecnico di cantiere invece il difetto di motivazione nella parte in cui la Corte non aveva tenuto conto degli esiti dell'istruzione dibattimentale che aveva riconosciuto in lui il mero ruolo di contabile, senza alcuna posizione di garanzia in tema di prevenzione infortuni e che nell'accettazione dell'incarico l'accettazione da parte sua del P.O.S. era stato un mero errore di battitura.Le decisioni assunte dalla Corte di Cassazione.I ricorsi sono stati ritenuti infondati. Ha rammentato la suprema Corte che l’ispettore della ASL, giunto sul posto un ora e mezza dopo l'incidente, aveva riferito che il fabbricato in questione era privo in modo assoluto di ponteggie che alcuni balconi erano interdetti da assi di legno non robuste e fatte di tavole di fortuna, non fissate rigidamente e che non davano alcuna garanzia di sicurezza contro le cadute. Inoltre, ha precisato la Sez. IV, la circostanza che all'atto del sopralluogo alcuni operai fossero intenti a montare dette tavole ha lasciato intendere che esse erano "posticce" e cioè miravano a rimediare alle carenze presenti al momento dell'infortunio. Anche dalle stesse foto depositate in atti si evinceva, altresì, l’assoluta assenza di ponteggi intorno al fabbricato e l'assenza di assi su alcuni balconi.La suprema Corte ha, altresì, messo in evidenza che nel corso dell'istruttoria, l'autore del Piano Operativo di Sicurezza aveva riferito che lo stesso non prevedeva sbarramenti alle finestre e balconi, ma solo la presenza di ponteggi e che aveva inoltre riscontrate sul punto delle carenze in cantiere disponendo la sospensione dei lavori ed intimando all’impresa appaltatrice la corretta realizzazione dei ponteggi stessi per cui la negligente condotta omissiva di vigilanza da parte dell’impresa appaltatrice ha costituito un comportamento colposo certamente eziologicamente legato all'evento mortale. Quanto alla lamentata abnormità della condotta del lavoratore, la Corte di Cassazione ha ribadito che “in materia di infortuni sul lavoro, la condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio propria della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di Organizzazione ricevute. Nel caso di specie, come correttamente segnalato nella sentenza di merito, il (lavoratore) ha patito l'infortunio mentre svolgeva la sua ordinaria attività di lavoro per le pulizie in cantiere; pertanto, la circostanza che si trovasse sui piani del fabbricato in costruzione, non costituisce comportamento abnorme, idoneo ad interrompere il nesso causale tra la condotta dell'appaltatore e l'evento; condotta quest'ultima connotata da colpa, tenuto conto che la cautela omessa era proprio preordinata ad evitare il rischio specifico (caduta) che poi concretamente si è materializzato nell'infortunio in suo danno”.La Sez. IV ha ritenuto infondati anche i motivi di censura avanzati dal rappresentante legale della ditta subappaltatrice con riferimento all’affermata circostanza di essere la sua società non subappaltatrice ma mera fornitrice di manodopera all’impresa appaltatrice. Ha ricordato in merito la Sez. IV che “le Sezioni Unite di questa Corte hanno statuito che, in forza della disposizione generale di cui all'articolo 2087 c.c. e di quelle specifiche previste dalla normativa antinfortunistica, il datore di lavoro è costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall'articolo 40 c.p., comma 2.”. “Ne segue”, ha quindi proseguito la Sez. IV,“che il datore di lavoro, seppure in una situazione di illegittimità (nella specie derivante dalla sua posizione di subappaltante di pura mano d'opera), ha il dovere di accertarsi che l'ambiente di lavoro (nella specie il cantiere edile apprestato dall'imprenditore appaltante) abbia i requisiti di affidabilità e di legalità quanto a presidi antinfortunistici, idonei a realizzare la tutela del lavoratore, e di vigilare costantemente a che le condizioni di sicurezza siano mantenute per

tutto il tempo in cui è prestata l'Opera" per cui ne è conseguita la sussistenza di una posizione di garanzia a carico dell’imputato sia in qualità di subappaltatore datore di lavoro dell’infortunato sia, eventualmente, quale fornitrice di mere prestazioni di lavoro.Quanto al supposto stato di ubriachezzadella vittima al momento del fatto la Sez. IV ha tenuto a precisare che dagli atti processuali non è emersa questa circostanza in quanto dal giudice di merito era stato acclarato che prima di cadere il lavoratore infortunato aveva semplicemente barcollato per cui l'origine di tale condotta non era certa, potendo anche essere riconducibile a stanchezza, stato confusionale od altro ed inoltre che in ogni caso la presenza dei presidi antinfortunistici avrebbe evitato l'evento.In merito, infine, al ricorso del direttore tecnico di cantiere la suprema Corte ha confermata l’esistenza in capo allo stesso della titolarità di una posizione di garanzia per cui è stata individuata una sua negligente condotta omissiva per non essersi attivato a rimuovere le gravi ed evidenti carenze di sicurezza del cantiere. “Va ricordato sul punto”, ha quindi concluso la Corte di Cassazione, “che in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tra i destinatari degli obblighi dettati dal Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4, devono annoverarsi anche il direttore tecnico ed il ‘capo cantiere’, figure inquadrabili nei modelli legali, rispettivamente, del dirigente e del preposto”.

Gli obblighi del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione

La Cassazione: l’operato del coordinatore per l’esecuzione deve mirare ad un effettivo controllo, anche se non necessariamente costante, dell’applicazione da parte delle imprese delle disposizioni del PSC e dei POS. A cura di G. Porreca.

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  Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 1225 del 18 gennaio 2011 (u. p. 25 novembre 2010) - Pres. Brusco – Est. Romis– P.M. De Sandro - Ric. L.M. e T.S.  Commento a cura di Gerardo Porreca. Tre sono i principi che vengono ribaditi in questa sentenza della Corte di Cassazione e che sono ormai consolidati nella giurisprudenza in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro: - il coordinatore per la sicurezza è garante, in concorso con il datore di lavoro, della sicurezza dei lavoratori che vengono a trovarsi ad operare in un cantiere temporaneo o mobile;- il lavoratore non risponde del suo operato, se pure ha commesso una imprudenza, se comunque l’infortunio accadutogli è legato a delle carenze in materia di salute e di sicurezza sul lavoro;- nel caso in cui ci siano più persone titolari della garanzia di sicurezza e dell’obbligo di evitare un evento, ciascuno è destinatario per intero di quell’obbligo con la conseguenza che se un intervento è eseguito da uno dei garanti è necessario che l’altro o gli altri si accertino che il primo sia effettivamente intervenuto e nel caso in cui l’intervento non risulti adeguato questi versano in colpa se hanno confidato nello stesso.

PubblicitàSicurezza sul lavoro - Addestramento per D.P.I. di 3ª categoria contro le cadute dall'altoModello di corso su Slide in formato PDF per formatori sulla sicurezza

  Il fatto e la sentenza di condanna. Un Tribunale ha condannato per il reato di omicidio colposo, in concorso fra loro, il responsabile dei lavori nonché coordinatore per la progettazione e per l'esecuzione di un cantiere edile installato per dei lavori di ampliamento di uno stabilimento industriale, ed il legale rappresentante dell’impresa appaltatrice per aver cagionata la morte di un lavoratore dipendente della ditta appaltatrice medesima commettendo il fatto in violazione di alcune norme antinfortunistiche ed in particolare, per quanto riguarda il coordinatore, degli articoli 2 e 4, commi 1 e 2, e 5, del D. Lgs. n. 494 del 1996 e, per quanto riguarda il legale rappresentante dell’impresa appaltatrice, degli articoli 4 ed 8 del medesimo D. Lgs. n. 494 del 1996. L'operaio infortunato, salito sulla copertura di un capannone, costituita in parte da pannelli in vetroresina traslucidi non calpestabili, senza alcun mezzo di protezione né individuale né collettivo, durante le operazioni di dismissione della preesistente copertura grecata del capannone stesso nonché di predisposizione per il successivo montaggio di nuovi tegoli, poggiando il proprio peso su uno dei suddetti pannelli in vetroresina ne ha provocato lo sfondamento precipitando al suolo da un'altezza di circa dieci metri, riportando trauma cranio - encefalico e trauma toracico che ne hanno determinato il decesso. 

La Corte d'Appello ha confermata la sentenza di condanna degli imputati emessa dal Tribunale. Tale Corte ha ritenuto indubitabile che il coordinatore avesse assunto una specifica posizione di garanzia che lo esponeva a responsabilità per le conseguenze derivanti dalla violazione degli obblighi connessi a tale posizione. La stessa ha posto, altresì, in evidenza che dalle indagini era emerso che prima dell'avviamento dei lavori di ampliamento del capannone vi era stata una riunione tecnica di coordinamento alla quale aveva partecipato anche il coordinatore e durante la quale si era stabilito che, essendo i lavori di rimozione di una scossalina che ricopriva il tetto del vecchio capannone da eseguire "in quota", si rendeva necessaria, come del resto previsto dal piano di sicurezza, la predisposizione di dispositivi di protezione individuali e collettivi contro il rischio di caduta dall'alto, risultati del tutto assenti nel caso concreto. Al committente del resto, con una lettera inviata per conoscenza anche al coordinatore, era stato fatto presente che il capannone commissionato presentava lucernai a raso, ottenuti mediante distanziamento dei tegoli, non pedonabili per cui veniva consigliato di collocare una rete anti - caduta sotto le lastre traslucide, al di sotto delle quali non vi era alcuna struttura, e ciò "al fine di scongiurare spiacevoli eventi". Il coordinatore pertanto, ha sostenuto la Corte di Appello, era assolutamente consapevole della natura dei lavori che la ditta appaltatrice avrebbe dovuto eseguire "in quota" e della peculiare pericolosità degli stessi e non aveva provveduto a verificare l'applicazione delle disposizioni del piano operativo di sicurezza elaborato dalla ditta stessa con opportune azioni di effettivo controllo e non aveva neanche valutata la specifica proposta avanzata dall’impresa diretta a migliorare la sicurezza in cantiere, proprio con riferimento alle lastre traslucide poste sul tetto del capannone. Quindi, ha sostenuto la Corte di Appello nella sua sentenza di conferma della condanna, se il coordinatore fosse intervenuto sui luoghi verificando l'assenza dei dispositivi di sicurezza sia individuali (cinture di sicurezza con bretelle collegate a dispositivi di trattenuta) che collettivi, (come, ad esempio, la predisposizione di reti di protezione in corrispondenza delle lastre traslucide), l'evento non si sarebbe verificato. La stessa Corte non ha altresì condivisa l’osservazione difensiva del coordinatore secondo cui il ruolo ricoperto da questa figura non impone un obbligo di presenza costante in cantiere, in quanto, in base alle norme di riferimento, grava certamente sullo stesso l'obbligo di verificare, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l'applicazione da parte delle imprese esecutrici delle disposizioni di loro pertinenza contenute nel piano di sicurezza, nonché la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro, obblighi da intendersi necessariamente connessi a chi conduce effettivamente il cantiere. Quanto al rilievo dell'appellante che ha prospettata l'abnormità della condotta dell'operaio infortunato per essersi questi portato sul tetto del capannone mentre avrebbe dovuto invece lavorare restando all'interno di un cestello elevatore presente in cantiere, la Corte di Appello non ha condiviso tale tesi in quanto dalle indagini è emerso chiaramente che il lavoratore non avrebbe potuto eseguire talune operazioni se non portandosi sulla copertura zincata del capannone abbandonando il cestello stesso.Per quanto riguarda poi le motivazioni della difesa del rappresentante legale della impresa appaltatrice la Corte di Appello ha semplicemente fatto osservare che dal piano operativo per la sicurezza redatto dalla stessa ditta risultava che era stata prevista, in relazione all'esecuzione di lavori di dismissioni della copertura del capannone, la presenza, in relazione alla possibilità di caduta dall'alto, di andatoie e parapetti, prescrivendosi anche l'adozione di cinture di sicurezza con fune di trattenuta vincolata ad elementi stabili del fabbricato, precauzione questa risultata assente in cantiere Il ricorso e le decisioni della Corte di Cassazione. Entrambi gli imputati hanno fatto ricorso alla Corte di Cassazione riproponendo sostanzialmente le tesi difensive già sottoposte al vaglio dei giudici di merito. Nel ricorso il coordinatore ha sostenuto, fra l’altro, che solo il datore di lavoro sarebbe titolare del potere gerarchico nei confronti dei lavoratori impegnati nel cantiere con l'obbligo di individuare i rischi e prevenirli mentre al

coordinatore spetterebbe principalmente la verifica circa il rispetto delle regole dettate dal piano di sicurezza e di coordinamento, senza alcun obbligo di una sua continua e giornaliera presenza in cantiere ed ha sostenuto, altresì, che non vi sarebbe nesso di causalità fra la sua condotta e l’evento infortunistico essendo questo esclusivamente riconducibile alla condotta colposa del datore di lavoro ed alla improvvisa ed autonoma iniziativa del lavoratore. L’ impresa appaltatrice dal canto suo ha sostenuto che i lavori ad essa appaltati non erano da eseguirsi in quota ma solo esclusivamente a terra essendo stati i lavori di copertura affidati dal committente ad altra impresa.Entrambi i ricorsi degli imputati sono stati rigettati dalla suprema Corte che ha pertanto confermata la loro condanna. Nel far ciò la Sez. IV ha formulato delle osservazioni e delle considerazioni per quanto riguarda la figura del coordinatore. “In tema di infortuni sul lavoro”, ha sostenuto la stessa, “il coordinatore per la progettazione, ai sensi del Decreto Legislativo n. 494 del 1996, articolo 4 ha essenzialmente il compito di redigere il piano di sicurezza e coordinamento (PSC), che contiene l'individuazione, l'analisi e la valutazione dei rischi, e le conseguenti procedure, apprestamenti ed attrezzature per tutta la durata dei lavori; diversamente, il coordinatore per l'esecuzione dei lavori, ai sensi dell'articolo 5 stesso Decreto Legislativo, ha i compiti: (a) di verificare, con opportune azioni di coordinamento e di controllo, l'applicazione delle disposizioni del piano di sicurezza; (b) di verificare l'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS), piano complementare di dettaglio del PSC, che deve essere redatto da ciascuna impresa presente nel cantiere; (c) di adeguare il piano di sicurezza in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, di vigilare sul rispetto del piano stesso e sospendere, in caso di pericolo grave ed imminente, le singole lavorazioni”. “Trattasi di figure” ha proseguito la suprema Corte, “le cui posizioni di garanzia non si sovrappongono a quelle degli altri soggetti responsabili nel campo della sicurezza sul lavoro, ma ad esse si affiancano per realizzare, attraverso la valorizzazione di una figura unitaria con compiti di coordinamento e controllo, la massima garanzia dell'incolumità dei lavoratori”.  La Sez. IV ha altresì citate le conclusioni alle quali la stessa Corte di Cassazione è pervenuta nell’esaminare un altro caso in cui il coordinamento per la progettazione e per l’esecuzione veniva fatto dalla stessa figura professionale. In un caso nel quale l'imputato rivestiva entrambe le qualifiche, ha fatto presente la Sez. IV, la stessa Corte “ha ritenuto che le giustificabili lacune del piano di sicurezza redatto in qualità di coordinatore per la progettazione avrebbero dovuto essere colmate attraverso una concreta e puntuale azione di controllo, che competeva allo stesso imputato in qualità di coordinatore per esecuzione, e la cui omissione comportava la sua responsabilità in ordine al sinistro verificatosi" (Sez. 4, n. 18472 del 04/03/2008 dep. 08/05/2008). Anche la Corte suprema quindi, allineandosi a quella di Appello, ha affermato che non vi è alcun dubbio sul nesso di causalità tra il mancato controllo del coordinatore e l'evento, stante l'inosservanza di ogni intervento cautelare finalizzato ad evitare il verificarsi dell’infortunio mortale e l’assenza di dispositivi di protezione individuali e collettivi contro il rischio di caduta dall'alto, la cui predisposizione era stata prevista dal piano di sicurezza della ditta e che, se esistenti, avrebbero impedito l'evento. Circa l’osservazione più volte fatta in merito al comportamento anomalo del lavoratore che avrebbe provveduto autonomamente a salire sulla copertura del capannone, la Sez. IV ha fatto osservare che “la normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l'incolumità del lavoratore non solo dai rischi derivanti da incidenti o fatalità, ma anche da quelli che possono scaturire dalla sue stesse disattenzioni, imprudenze o disubbidienze alle istruzioni o prassi raccomandate, purché connesse allo svolgimento dell'attività lavorativa” ed ancora che “è stato affermato dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte il condivisibile principio giuridico che, in caso di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale esclusiva può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione

all'evento, quando questo sia da ricondursi anche alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare il rischio di siffatto comportamento”. In merito poi alle affermazioni fatte dal coordinatore circa l’obbligo di controllo delle operazioni poste a carico esclusivo del datore di lavoro e le funzioni poste a carico della figura del coordinatore stesso che non vuole essere una duplicazione di quella del datore di lavoro o del responsabile delle imprese appaltatrici ma trova una sua ragione d’essere ed un proprio ruolo in caso di compresenza di più soggetti che operano nello stesso cantiere e per cui si rende necessario il suo coordinamento, la suprema Corte ha tenuto a precisare che proprio tale azione è risultata mancante nel caso in esame. La Sez. IV ha quindi proseguito richiamando, a proposito, un consolidato indirizzo interpretativo affermatosi nella giurisprudenza di legittimità nell’ipotesi in cui si riscontri la presenza di una pluralità di garanti. “Se più sono i titolari della posizione di garanziaod obbligo di impedire l'evento”, ha quindi concluso la Sez. IV, “ciascuno è, per intero, destinatario di quell'obbligo, con la conseguenza che, se è possibile che determinati interventi siano eseguiti da uno dei garanti, è, però, doveroso per l'altro o per gli altri garanti, dai quali ci si aspetta la stessa condotta, accertarsi che il primo sia effettivamente e adeguatamente intervenuto. Se uno dei garanti è intervenuto e l'altro o gli altri, resi edotti dell'intervento e del tipo di intervento, hanno le capacità tecniche per rendersi conto dei limiti, delle insufficienze di quell'intervento, gli stessi non hanno il diritto di confidare nell'efficacia di quel precedente intervento, anche se effettuato da chi aveva specifiche capacità tecniche, sicché versano in colpa se confidano nello stesso".Per quanto riguarda, infine, la posizione del datore di lavoro e la sua affermazione di avere informato e formato adeguatamente i propri lavoratori dipendenti sui rischi presenti in cantiere e sulla necessità di utilizzare i dispositivi di protezione individuali, la Sez. IV ha avuto modo di ribadire quanto già affermato in precedenza in occasione di altre sentenze e cioè che il datore di lavoro deve effettuare un controllo continuo e pressante per imporre che i lavoratori rispettino le norme di sicurezza ed adottino le misure in esse previste. “Il datore di lavoro”, ha così concluso la suprema Corte, ”deve avere la cultura e la forma mentis del garante del bene costituzionalmente rilevante costituito dalla integrità del lavoratore, e non deve perciò limitarsi ad informare i lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste, ma deve attivarsi e controllare sino alla pedanteria, che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro”.

Il Decreto Legislativo 19.12.1994 n. 758 – “MODIFICAZIONI ALLA DISCIPLINA SANZIONATORIA IN MATERIA DI LAVORO” – al Capo II disciplina l’ “estinzione delle contravvenzioni in materia di sicurezza e di igiene del lavoro.”

Ai sensi dell’art. 17 c.p. sono contravvenzioni i reati per i quali è prevista la pena dell’arresto (art. 25) o della ammenda (art. 26).

Per i reati contravvenzionali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro il decreto 758/94 prevede una CAUSA SPECIALE DI ESTINZIONE, collegandola al verificarsi di due successivi eventi:1) il tempestivo adempimento della prescrizione impartita dall’organo di vigilanza;2) il pagamento in via amministrativa di una somma pari al quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa.

Viene definito “organo di vigilanza” “il personale ispettivo di cui all’art. 21 c. 3 della legge 23.12.1978 n. 833, fatte salve le diverse competenze previste da altre norme” (art. 19 D.Lgs 758/94).

► Pertanto sono individuati quale organo di vigilanza i seguenti: personale ispettivo Az. U.S.L. con qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria (u.p.g.) quale “addetto alla tutela della salute nei luoghi di lavoro”; Vigili del Fuoco per l’applicazione delle norme di competenza, Ispettorato del Lavoro. Per le attività di cui all’ art. 1 c. 2 del D.Lgs 626/94 le norme del decreto stesso sono applicate tenendo conto delle particolari esigenze connesse al servizio espletato (c.d. “aree riservate”): appositi decreti disciplinano l’attività di vigilanza e definiscono l’organo di vigilanza per ciascuna di tali attività.

L’organo di vigilanza, accertato un reato per il quale è prevista la pena della contravvenzione, ai sensi dell’art. 20 del D. Lgs 758/94 “impartisce al contravventore una apposita PRESCRIZIONE allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, fissando per la regolarizzazione un termine non eccedente il periodo di tempo tecnicamente necessario. Tale termine è prorogabile, a richiesta del contravventore, per la particolare complessità o per l’oggettiva difficoltà dell’adempimento. In nessun caso esso può superare sei mesi. Tuttavia, quando specifiche circostanze non imputabili al contravventore determinano un ritardo nella regolarizzazione, il

termine di sei mesi può essere prorogato per una sola volta, a richiesta del contravventore, per un tempo non superiore ad ulteriori sei mesi, con provvedimento motivato che è comunicato direttamente al pubblico ministero”.

► Quindi (cfr.circ.Min.Int. 23.1.1996 n.3):- Il termine fissato per l’ adempimento può essere prorogato, a richiesta motivata del contravventore, fino ad un massimo di 6 mesi, comprensivo anche del periodo già trascorso. Poiché non è espressamente previsto (come invece avviene al successivo periodo) che tale proroga possa essere concessa “una sola volta”, dai più si ritiene che essa possa consistere anche in più proroghe, purchè richieste dal contravventore, giustificate da difficoltà e/o complessità dell’adempimento ed embricate temporalmente in modo tale che il periodo totale non subisca interruzioni e non ecceda il limite complessivo di sei mesi. - Una ulteriore proroga, fino ad un massimo di altri 6 mesi, può essere concessa una sola volta su istanza del contravventore, che deve indicare specifiche circostanze giustificative a lui non imputabili. In tal caso l’organo di vigilanza emette un provvedimento motivato che è comunicato direttamente al pubblico ministero.

E’ bene rammentare che ai sensi dell’art. 20 c. 2 “Copia della prescrizione è notificata o comunicata anche al rappresentante legale dell'ente nell'ambito o al servizio del quale opera il contravventore.”

“Art. 21 VERIFICA DELL’ADEMPIMENTO:1. entro e non oltre 60 giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l’organo di vigilanza verifica se la violazione è stata eliminata secondo le modalità e nel termine indicati nella prescrizione.2. quando risulta l’adempimento della prescrizione, l’organo di vigilanza ammette il contravventore a pagare in sede amministrativa, nel termine di 30 giorni, una somma pari a un quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa. Entro 120 giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l’organo di vigilanza comunica al pubblico ministero l’adempimento alla prescrizione, nonché l’eventuale pagamento della predetta somma.3. quando risulta l’inadempimento alla prescrizione, l’organo di vigilanza ne dà comunicazione al pubblico ministero e al contravventore entro 90 giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione.”

► Quindi:- in caso di adempimento: a) verifica entro 60 giorni dalla scadenza del termine fissato e conseguente ammissione al pagamento della sanzione amministrativa;b) pagamento entro 30 giorni dalla ammissione al pagamento;c) entro 120 giorni dalla scadenza della prescrizione: comunicazione da parte dell’organo di vigilanza al p.m.

- in caso di adempimento e mancato o ritardato pagamento della sanzione amministrativa:a) entro 120 giorni dalla scadenza della prescrizione: comunicazione da parte dell’organo di vigilanza al p.m.

- in caso di inadempimento: a) verifica entro 60 giorni dalla scadenza del termine fissato;b) entro 90 giorni dalla scadenza del termine fissato: comunicazione da parte dell’organo di vigilanza al p.m. del mancato adempimento.

(è sempre opportuno che l’organo di vigilanza invii per conoscenza al contravventore presso il domicilio da questi eletto copia della comunicazione al p.m. relativa all’adempimento o all’inadempimento).___________________________________

Ai sensi dell’art. 347 cp.p. l’organo di vigilanza ha l’obbligo di comunicare (“senza ritardo”.. e..”per iscritto”) al pubblico ministero la notizia di reato inerente la contravvenzione.

Tuttavia “il PROCEDIMENTO PER LA CONTRAVVENZIONE è sospeso dal momento dell’iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. fino al momento in cui il p.m. riceve una delle comunicazioni di cui all’art. 21, commi 2 e 3.” (art. 23 c. 1); .. “la sospensione del procedimento non preclude la richiesta di archiviazione. Non impedisce, inoltre, l’assunzione delle prove con incidente probatorio, né gli atti urgenti di indagine preliminare, né il sequestro preventivo ai sensi degli artt. 321 e segg. c.p.p. ” (art. 23 c. 3).

Nota bene:- in caso di sequestro il termine fissato per l’adempimento, e di conseguenza i termini relativi alla verifica dell’adempimento, decorrono dalla data della notifica del dissequestro condizionato (nel verbale si indicherà: “entro …. giorni dalla notifica del dissequestro condizionato” ); - i termini per il pagamento decorrono dal momento del rilascio del foglio di ammissione al pagamento.

Art. 24 - “ESTINZIONE DEL REATOLa contravvenzione si estingue se il contravventore adempie alla prescrizione impartita dall’organo di vigilanza nel termine ivi fissato e provvede al pagamento previsto dall’art. 21 c. 2.Il p.m. richiede l’archiviazione e la contravvenzione è estinta ai sensi del comma 1.

L’adempimento in un tempo superiore a quello indicato nella prescrizione, ma che comunque risulta congruo a norma dell’art. 20, comma 1, ovvero l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione con modalità diverse da quelle indicate dall’organo di vigilanza, sono valutate ai fini dell’applicazione dell’art. 162-bis del c.p. In tal caso la somma da versare è ridotta al quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa.”

(L’applicazione dell’art. 162-bis c.p. in tale specifica circostanza è pertanto difforme dalla regola generale -introdotta con la legge 689/81 art. 126- che prevede per l’oblazione nelle contravvenzioni punite con pene alternative (art. 162-bis c.p.) il versamento di una somma corrispondente alla meta' del massimo dell'ammenda stabilita dalla legge per la contravvenzione commessa).

► La Corte Costituzionale, con sentenza n. 19/98 e con ordinanza n. 416/98, nel precisare che la ratio del D.Lgs 758/94 è quella di favorire l’effettiva osservanza delle norme di prevenzione e protezione in tema di sicurezza e di igiene del lavoro e quella di attuare una consistente diminuzione dei processi giudiziari, ha precisato che esistono soluzioni interpretative tali da consentire egualmente l’applicazione della causa estintiva del reato prevista dall’art. 20 e segg. del decreto anche nelle seguenti situazioni:a) Reato c.d. istantaneo, cioè già consumato e non ottemperabile, per il quale manca la possibilità di impartire la prescrizione;

b) Regolarizzazione della violazione prima che l’organo di vigilanza abbia impartito la prescrizione ovvero nonostante la prescrizione fosse stata omessa o fosse stata impartita irritualmente (senza osservare le forme prescritte), ovvero anche per notizia di reato acquisita da P.G. diversa dall’organo di vigilanza. (-c.d. prescrizioni “ora per allora”-);c) Eliminazione, entro i termini previsti dalle legge, della violazione con modalità diverse da quelle indicate nella prescrizione.

ESITI POSSIBILI DEL PROCEDIMENTO:

- il procedimento penale, sospeso al momento dell’iscrizione della notizia di reato, viene concluso con la richiesta di archiviazione se la contravvenzione è estinta mediante l’adempimento della prescrizione e il pagamento in sede amministrativa della somme pari a un quarto del massimo della ammenda stabilita;

- in caso di mancato adempimento alle prescrizioni, ovvero di mancata eliminazione delle violazioni, nonché nel caso di mancato pagamento il procedimento penale riprenderà il suo corso. In tale caso il pubblico ministero deposita la richiesta di rinvio a giudizio, preceduta dall’invito all’indagato a presentarsi per rendere l’interrogatorio. Il giudice fissa con decreto l’ora e il luogo della udienza in camera di consiglio. L’udienza preliminare, a cui partecipano necessariamente il pubblico ministero e il difensore, può concludersi con la sentenza di non luogo a procedere o con il decreto che dispone il rinvio a giudizio;entro i termini previsti per le indagini il p.m., se la notizia di reato è infondata, presenta al giudice richiesta di archiviazione.

Ai sensi del libro sesto del c.p.p. sono possibili anche i c.d. PROCEDIMENTI SPECIALI:

a) giudizio abbreviato (l’imputato può chiedere, con il consenso del p.m., che il processo venga definito in sede di udienza preliminare; la pena è diminuita di un terzo, ma la sentenza non è appellabile; l’accordo verte sul rito e non sulla pena: il giudizio può anche concludersi con sentenza di proscioglimento);

b) applicazione della pena su richiesta della parti -“c.d. patteggiamento”- (L’imputato e il p.m. possono chiedere al giudice l’applicazione di una pena diminuita fino a un terzo; la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna, ma

non comporta per l’imputato il pagamento delle spese del procedimento, né l’applicazione delle pene accessorie e di misure di sicurezza; non vi è menzione nel certificato giudiziale e vi è estinzione in due anni del reato contravvenzionale, se non viene reiterato; il procedimento può essere richiesto fino alla dichiarazione di apertura del procedimento di primo grado ovvero anche nel corso delle indagini preliminari; la sentenza è inappellabile);

c) giudizio immediato (il p.m. -quando la prove appare evidente e l’imputato è stato interrogato- o l’imputato possono richiedere il giudizio immediato; si evita l’udienza preliminare; l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato o l’applicazione della pena su richiesta);

d) procedimento per decreto -è il procedimento speciale adottato usualmente in questi casi- (il p.m. nel caso di reati perseguibili d’ufficio e punibili con la sola pena pecuniaria, entro 6 mesi dalla data di iscrizione nel registro primi atti, può avanzare richiesta motivata di emissione di decreto penale di condanna, indicando la misura della pena e le pene accessorie. Il p.m. può chiedere l’applicazione di una pena diminuita sino alla metà del minimo edittale. Dopo la pronuncia del giudice l’imputato ha tempo 15 giorni per opporsi al decreto: con l’atto di opposizione può anche richiedere il giudizio immediato, quello abbreviato o il patteggiamento).

INFORMAZIONI ESSENZIALI PER IL CONTRAVVENTORE

Dopo aver acquisito la notifica del verbale di ispezione e prescrizione il contravventore deve:1. provvedere ad effettuare l’elezione di domicilio per le notificazioni previsto dall’art. 161 c.p.p.; verrà a tale scopo contattato dall’upg verbalizzante (qualora l’elezione di domicilio non sia già stata redatta nel corso del sopralluogo); è possibile che altri organi (polizia, carabinieri, vigili urbani ecc.) vengano a ciò delegati. Il contravventore ha l’obbligo di fornire le proprie generalità, mentre non è obbligato ad eleggere domicilio legale e/o a firmare il verbale, né a nominare un difensore. Egli viene avvertito che, nella sua qualità di persona sottoposta alle indagini o di imputato, ha l’obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto e che in mancanza di tale comunicazione o nel caso di rifiuto di dichiarare o eleggere domicilio, le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore. Della dichiarazione o della elezione di domicilio, ovvero del rifiuto di

compierla, è fatta menzione nel verbale;2. adempiere alle prescrizioni impartite entro i termini stabiliti;3. richiedere entro i termini previsti le eventuali proroghe motivando la richiesta e, nel caso di seconda proroga, documentando le circostanze giustificative non imputabili al contravventore;4. accertarsi che la proroga richiesta sia stata concessa e rispettarne scrupolosamente i termini temporali;5. attendere la verifica dell’adempimento, effettuata dall’ispettore u.p.g. mediante un ulteriore sopralluogo da effettuarsi entro 60 giorni dal termine stabilito (in caso di proroga: entro 60 giorni dal termine dell’ultima proroga)– in caso di più violazioni con termini per l’adempimento diversi tale procedura verrà attuata per ciascuna violazione nel termine per essa indicato;6. ottenuta l’ammissione al pagamento provvedere ad effettuare il versamento entro 30 giorni;- Entro tale termine deve essere versata l’intera somma. Non è ammessa la rateazione: infatti la rateazione prevista dall’art. 26 della legge 689/81non è applicabile in quanto, in virtù dell’art. 34 lett. n) della stessa legge, i reati previsti dalle leggi relative alla prevenzione degli infortuni sul lavoro ed all'igiene del lavoro sono esclusi dalla depenalizzazione.- Poiché il reato penale è personale, nella attestazione di pagamento dovrà risultare che il pagamento è stato eseguito dal contravventore quale persona fisica. Soltanto nel caso in cui il contravventore sia il responsabile legale di una ditta privata è ammesso che l’intestazione del versamento possa contenere la sola indicazione della ditta;7. consegnare entro lo stesso termine di 30 giorni dall’ammissione al pagamento la attestazionedell’avvenuto pagamento presso la sede della Unità Operativa S.Pre.S.A.L/PISLL/PSAL o presso la sede dell’ente di appartenenza dell’u.p.g. verbalizzante. Presso la stessa sede in qualunque fase del procedimento il contravventore potrà ottenere tutti i chiarimenti e le informazioni desiderate.

IN CASO DI SEQUESTRO

1. Sequestro preventivo."Quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa

aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato. Prima dell`esercizio dell`azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari. …Nel corso delle indagini preliminari, quando non è possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del giudice, il sequestro è disposto con decreto motivato dal pubblico ministero. Negli stessi casi, prima dell’intervento del pubblico ministero, al sequestro procedono ufficiali di polizia giudiziaria, i quali, nelle quarantotto ore successive, trasmettono il verbale al pubblico ministero del luogo in cui il sequestro è stato eseguito. Questi, se non dispone la restituzione delle cose sequestrate, richiede al giudice la convalida e l’emissione del decreto previsto dal comma 1 entro quarantotto ore dal sequestro, se disposto dallo stesso pubblico ministero, o dalla ricezione del verbale, se il sequestro è stato eseguito di iniziativa dalla polizia giudiziaria . ..Il sequestro perde efficacia se non sono osservati i termini previsti … ovvero se il giudice non emette l’ordinanza di convalida entro dieci giorni dalla ricezione della richiesta. Copia dell’ordinanza è immediatamente notificata alla persona alla quale le cose sono state sequestrate."(art. 321 c.p.p.)

2. Sequestro probatorio. Una seconda forma di sequestro, più rara e volta ad assicurare che “le cose pertinenti al reato siano conservate e che lo stato dei luoghi e delle cose non venga mutato prima dell'intervento del pubblico ministero”, viene attuata sovente in caso di infortuni gravi o mortali. Questo tipo di sequestro riguarda “il corpo del reato e le cose a questo pertinenti” e viene definito pertanto sequestro probatorio. Anche in tal caso il verbale è trasmesso senza ritardo, e comunque non oltre le quarantotto ore, al pubblico ministero del luogo dove il sequestro è stato eseguito. (art. 354 c.p.p.) Il p.m., nelle quarantotto ore successive, con decreto motivato convalida il sequestro se ne ricorrono i presupposti ovvero dispone la restituzione delle cose sequestrate. Copia del decreto di convalida è immediatamente notificata alla persona alla quale le cose sono state sequestrate. (artt. 355 c.p.p.)

Sia in caso di sequestro preventivo, che in caso di sequestro probatorio, esso viene convalidato dalla A.G. (p.m. o g.i.p., a seconda dei casi) entro le 48 ore successive: contro il provvedimento di convalida può essere proposta, entro dieci giorni dal

provvedimento di notifica del decreto ovvero dalla diversa data in cui l`interessato ha avuto conoscenza dell`avvenuto sequestro, richiesta di risame, anche nel merito, a norma dell’ art. 324 c.p. La richiesta di riesame non sospende l’esecuzione del provvedimento.

► In caso di sequestro probatorio il bene sequestrato resta a disposizione della A.G. per il completamento delle indagini e la sua restituzione è subordinata alle determinazioni della A.G.

►In caso di sequestro preventivo il contravventore, per poter accedere al cantiere sequestrato (o disporre del macchinario, dell’impianto o della attrezzatura sequestrati) ed effettuare gli interventi necessari per adempiere alle prescrizioni impartite, dovrà richiedere il dissequestro condizionato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario territorialmente competente.Infatti le Disposizioni di attuazione del c.p.p. (D. Lgs 28.7.1989 n. 271) all’art. 85 stabiliscono che “Quando sono state sequestrate cose che possono essere restituite previa esecuzione di specifiche prescrizioni, l’autorità giudiziaria, se l’interessato consente, ne ordina le restituzione impartendo le prescrizioni del caso..”. Solo dopo che gli sia stato notificato il provvedimento di dissequestro condizionato (possibilità per il contravventore di accedere temporaneamente al bene sequestrato o a parte di esso al solo fine di eseguire le prescrizioni impartite ed eliminare la situazione antigiuridica riscontrata) e sia stata effettuata la eventuale rimozione dei sigilli da parte dell’u.p.g. delegato, il contravventore potrà accedere al cantiere (o manufatto) o disporre del macchinario (se si tratta di sequestro di macchinario) per effettuare le operazioni di bonifica necessarie per adempiere alle prescrizioni.

- Attenzione: chiunque violi i sigilli apposti è punito ai sensi dell’art. 349 c.p. - Se il colpevole è colui che ha in custodia la cosa la pena è aumentata.

Al termine di tali operazioni il contravventore dovrà richiedere alla Procura il dissequestro definitivo e la restituzione del bene.

Il giudice richiederà al Servizio di appartenenza dell’u.p.g. verbalizzante di effettuare un nuovo sopralluogo e di comunicarne l’esito al magistrato.

A seguito della comunicazione di adempimento il magistrato potrà emettere il

decreto di dissequestro definitivo, ottenuto il quale il contravventore avrà nuovamente la disponibilità intera del cantiere (o manufatto o macchinario) e potrà riprendere l’attività produttiva.

Al termine del sopralluogo di verifica degli adempimenti alle prescrizioni l’ispettore u.p.g. rilascerà anche il foglio di ammissione al pagamento, comunicando l’importo che dovrà essere versato entro 30 giorni al c/c postale indicato.

Entro i 30 giorni previsti il contravventore dovrà inviare o consegnare l’attestazione dell’avvenuto pagamento presso gli uffici a cui appartiene l’u.p.g. che ha redatto il verbale.

L’u.p.g. verbalizzante comunicherà, tramite il proprio Ufficio, al pubblico ministero che è stato adempiuto alle prescrizioni impartite ed effettuato il pagamento in via amministrativa della sanzione.

Il pubblico ministero richiederà conseguentemente al g.i.p. l’archiviazione del procedimento penale.

In caso di mancato adempimento o di mancato o ritardato pagamento della sanzione, il procedimento seguirà il normale iter giudiziario.

La Cassazione sul committente "di fatto"

La responsabilità per l’omessa adozione delle cautele antinfortunistiche incombe su chi dirige in concreto i lavori, indipendentemente da ogni sua posizione o qualifica formale, ed anche sulla figura del committente “di fatto”. A cura di G.Porreca.

Cassazione Sezione IV Penale - Sentenza n. 35021 del 9 settembre 2009 -   Pres. Mocali – Est. Marzano – P.M. (Conf.) Iannelli - Ric. M. F., Tr. M. e T. M.  

Commento a cura di G. Porreca.

Questa sentenza della Corte di Cassazione penale dà degli utili indirizzi per coloro che si trovano ad affrontare la problematica di dover individuare e classificare, ai fini della attribuzione delle responsabilità, le varie figure interessate alla organizzazione della sicurezza nei luoghi di lavoro alla luce anche delle definizioni dettate, per quanto riguarda i cantieri temporanei o mobili, con l’art. 89 del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81 e s.m.i., contenente il Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro,.

Il caso posto all’esame della Sez. IV riguarda questa volta un infortunio occorso nell’ambito di alcuni lavori edili a un lavoratore il quale, mentre era intento a dei lavori di edificazione di una cappella funeraria nell’interesse di due anziane committenti, è precipitato al suolo da una impalcatura, riportando lesioni che hanno poi provocato il suo decesso. Le committenti hanno riferito in merito che la vittima dell’infortunio era stata assunta su interessamento di un geometra loro nipote il quale si era anche interessato dell'andamento dei lavori ricoprendo l’incarico di direttore dei avori e di responsabile del cantiere. Il Tribunale prima e la Corte di Appello successivamente hanno ritenuto il direttore dei lavori responsabile dell’accaduto contestando allo stesso "quale responsabile del cantiere nonché promotore dell'attività edilizia finalizzata alla costruzione di due cappelle cimiteriali...", di aver cagionato la morte del predetto lavoratore per colpa ed in particolare responsabile di non aver provveduto ad installare su tutti i lati della costruzione adeguate impalcature o ponteggi atti ad eliminare i pericoli di caduta di persone e/o cose, e lo hanno condannato alla pena ritenuta di giustizia  nonché al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili, per imputazione di cui all'articolo 589 c.p., comma 2 e di cui agli articoli 16 e 24 del D.P.R. 7/1/1956 n. 164.

Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso alla Corte di Cassazione precisando innanzitutto di non essere geometra ma di essere in possesso del diploma di perito industriale capotecnico ed inoltre di non essersi mai occupato di dirigere cantieri per la costruzione di opere edili. L’imputato faceva altresì presente che in linea di principio, essendo posto sempre

in capo all'appaltatore o al lavoratore autonomo il dovere di sicurezza, né il committente, né il direttore dei lavori per conto del committente possono essere chiamati a rispondere degli infortuni verificatisi nell'ambito dell'impresa appaltatrice o nell'ambito del lavoro autonomo, non essendo gli stessi titolari della corrispondente posizione di garanzia. In definitiva, ha sostenuto l’imputato, essendo intervenuto un contratto di appalto, pur a volergli attribuire il ruolo di direttore di fatto dei lavori in rappresentanza delle anziane zie, lo stesso, nella sua qualità di rappresentante del committente sul cantiere, si è limitato ad esercitare per conto di quest'ultimo il diritto di controllare lo svolgimento dei lavori e di verificare lo stato delle cose.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’imputato in quanto ha ritenuto che lo stesso assolvesse alle mansioni di "direttore dei lavori di fatto” e non dando alcun rilievo alla circostanza della sua qualifica professionale non di "geometra" ma di "perito industriale capotecnico". Lo stesso infatti, secondo la Sez. IV, quale "portatore di un interesse legato alla richiesta delle anziane zie, dopo essersi interessato per il reperimento della manodopera, andava in concreto a controllare lo stato di avanzamento delle opere, provvedeva al pagamento degli operai talvolta addirittura con propri assegni, veniva considerato dagli stessi operai il direttore dei lavori..." e sostiene ancora la Suprema Corte che, così come è stato rilevato correttamente dal primo giudice, "diventa del tutto irrilevante che non fosse il formale direttore dei lavori, se solo si consideri che la responsabilità per l'omessa adozione delle cautele antinfortunistiche incombe su chi dirige in concreto i lavori, indipendentemente da ogni posizione o qualifica formale, e perciò egli era tenuto a vigilare sul rispetto delle norme antinfortunistiche, che sono state però del tutto violate".

“D'altronde, conclude la Sez. IV introducendo il concetto di committente di fatto, “quand'anche si volesse ritenere che il ricorrente abbia agito solo quale longa manus delle committenti anziane zie (come egli sembra prospettare), su di lui, quale committente di fatto, pure incombevano gli obblighi di cui al combinato disposto del Decreto Legislativo 14 agosto 1996, n. 494, articolo 6, articolo 4, comma 1, e articolo 5, comma 1, lettera a)”.

Corte di Cassazione - Sezione IV Penale - Sentenza n. 35021 del 9 settembre 2009 -   Pres. Mocali – Est. Marzano – P.M. (Conf.) Iannelli - Ric. M. F., Tr. M. e T. M.   - La responsabilità per l’omessa adozione delle cautele antinfortunistiche incombe su chi dirige in concreto i lavori,   indipendentemente da ogni sua posizione o qualifica formale, ed anche sulla figura del committente “di fatto”.

Le responsabilità nel caso di noleggio di macchine con conducente

Corte di Cassazione: l’individuazione delle responsabilità nel caso di un infortunio occorso ad un lavoratore alla guida di una macchina operatrice concessa con nolo a caldo. A cura di G. Porreca.

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Cassazione Sezione IV Penale - Sentenza n. 1514 del 14 gennaio 2010 (U. P. 9 dicembre 2009) - Pres. Morgigni – Est. Brusco – P.M. Ciampoli - Ric. R. N. P. M.      Commento a cura di G. Porreca. In questa circostanza la Corte di Cassazione penale ha avuto modo di esprimersi, peraltro in maniera difforme rispetto a qualche precedente sentenza, in merito alla individuazione delle responsabilità per un infortunio occorso ad un lavoratore durante  una prestazione di nolo a caldo. L’accaduto, essendo stata considerata l’esecuzione del nolo a caldo una attività di impresa, è stato addebitato dalla suprema Corte al responsabile legale della società che ha provveduto a noleggiare il mezzo in quanto non ha effettuata una valutazione dei rischi corsi dal lavoratore e non aveva informato e formato l’operatore, alla cui erronea manovra è stato ricollegato l’evento infortunistico. 

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Il casoIl fatto preso in esame dalla Corte di Cassazione in questa sentenza si riferisce ad un infortunio occorso ad un lavoratore rimasto mortalmente folgorato mentre operava su una pompa autocarrata presa a noleggio ed utilizzata per la posa del calcestruzzo, pompa venuta in contatto di una linea elettrica sovrastante il mezzo e posta ad una distanza risultata non regolare. Il Tribunale ha condannato il responsabile legale della società che ha noleggiato la macchina, il datore di lavoro dell’impresa che l’ha presa a noleggio ed il coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione rispettivamente alle pene di un anno e sei mesi, di un anno e tre mesi e di un anno di reclusione per il delitto di omicidio colposo in danno del lavoratore infortunato. La Corte di appello ha successivamente confermata la condanna degli imputati riducendo la pena del solo noleggiatore ad un anno di reclusione. In particolare, per quanto riguarda la posizione di quest’ultimo nel corso delle indagini era stato accertato che lo stesso non aveva provveduto ad evitare che il mezzo, condotto dal suo dipendente, operasse in prossimità di linee elettriche aeree né che aveva indicato tale rischio specifico nel documento per la sicurezza ed è risultato, altresì, che aveva nominato un preposto ma che questi, peraltro privo di alcuna delega, non era stato adeguatamente preparato per la tutela della sicurezza in situazioni consimili.Il ricorso e le decisioni della Corte di CassazioneContro la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso il solo responsabile legale dell’impresa che aveva dato a noleggio l’attrezzatura adducendo, fra gli altri motivi, quello di non aver avuta alcuna notizia della stipulazione del contratto fatta ad opera di un dipendente e sostenendo, altresì, che la Corte di Appello non aveva tenuto conto che aveva delegato ad un preposto, sia pure in assenza di una delega formale, i poteri riguardanti la sicurezza sul lavoro.

 Il ricorso è stato ritenuto infondato ed è stato conseguentemente rigettato. La Corte di Cassazione ha fatto osservare in premessa che  nel ricorso non si contesta che la manovra della pompa utilizzata per il getto del calcestruzzo sia avvenuta con modalità inidonee a salvaguardare la sicurezza dei lavoratori che stavano eseguendo quella attività e più precisamente ad distanza troppo ravvicinata rispetto alla linea elettrica e senza che si fosse provveduto a disattivarla. La stessa Corte ha inoltre ritenuta irrilevante la circostanza che il responsabile della società che ha dato a noleggio l’attrezzatura non fosse a conoscenza che il contratto con il titolare della ditta datrice di lavoro della vittima che aveva noleggiato il mezzo su cui era installata la pompa fosse stato stipulato da un suo dipendente. Tale società non si era limitata, secondo la Corte di Cassazione, a noleggiare il pesante mezzo ma aveva assunto l'obbligo di fornire pure una prestazione di servizi comprendente l'opera del conducente del veicolo, dipendente della società stessa, alla cui erronea manovra è stato ritenuto ricollegabile l'infortunio. “Poiché la stipulazione e l'esecuzione di questo contratto”, ha sostenuto la Sez. IV, “rientrava nella normale attività d'impresa incombeva comunque sul legale rappresentante della società - fosse o meno a conoscenza del singolo contratto - un obbligo di formazione e informazione del dipendente cui era affidata la guida e la manovra del veicolo così come incombeva su di lui, ove non avesse inteso provvedere personalmente di volta in volta, disporre in generale perché tutte le attività dell'impresa venissero svolte in sicurezza”. “Se il ricorrente”, ha proseguito la suprema Corte, “come sembrerebbe dall'impostazione delle sue difese, non intendeva seguire personalmente le attività aziendali curando personalmente che venisse garantita la sicurezza nell'esecuzione delle lavorazioni avrebbe dovuto delegare persona idonea, munita dei necessari poteri e delle disponibilità di spesa, per garantire che le attività d'impresa (e quindi anche quella oggetto del contratto stipulato, certamente non con il suo dissenso, con la ditta (noleggiante)) venissero svolte senza rischi per i dipendenti e per i terzi”. Correttamente dunque, secondo la Sez. IV, la Corte di Appello ha confermata la sentenza di condanna del ricorrente avendo riconosciuta la sua penale responsabilità per il mancato adempimento o per il solo parziale adempimento degli obblighi di prevenzione antinfortunistica, avendo rilevato che il carattere di pericolosità dell'attività che doveva essere svolta in quell'occasione in relazione alla situazione dei luoghi avrebbe dovuto imporre il distacco prima della linea elettrica. “A questi obblighi, secondo le sentenze di merito”, ha concluso la Sez. IV, “l'imputato non ha in alcun modo adempiuto. La redazione del piano per la sicurezza si risolveva in tutte le occasioni nella compilazione di un prestampato; il manovratore della pompa era stato formato e informato solo sul funzionamento della macchina ma non sull'osservanza delle cautele rese necessarie dalla situazione specifica; la persona delegata per la sicurezza non era idonea per insufficiente preparazione a svolgere questa attività”. Come già detto l’indirizzo fornito dalla Corte di Cassazione in questa sentenza non corrisponde però a quello già dato dalla Sezione IV della stessa Corte in passato in occasione di alcune altre sentenze (Cass. Pen. Sez. IV n. 34327 del 4/9/2009 e Cass. Pen. Sez. IV n. 23604 del 5/6/2009) allorquando è stato sostenuto che, essendo il lavoratore adibito alla conduzione del mezzo in noleggio inserito con il mezzo stesso nella organizzazione dell’impresa noleggiante, è sotto il controllo di quest’ultima che deve esplicarsi l’attività lavorativa oggetto del contratto.    Corte di Cassazione - Sezione IV Penale - Sentenza n. 1514 del 14 gennaio 2010 (U. P. 9 dicembre 2009) -   Pres. Morgigni – Est. Brusco – P.M. Ciampoli - Ric. R. N. P. M. -   La Corte di Cassazione

penale esprime il proprio parere sulla individuazione delle responsabilità nel caso di un infortunio occorso ad un lavoratore alla guida di una macchina operatrice concessa con nolo a caldo.

Art. 20 DLG.VO 758/94

(Prescrizione)

1. Allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, l'organo di vigilanza, nell'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di cui all'art. 55 del codice di procedura penale, impartisce al contravventore un'apposita prescrizione, fissando per la regolarizzazione un termine non eccedente il periodo di tempo tecnicamente necessario. Tale termine è prorogabile a richiesta del contravventore, per la particolare complessità o per l'oggettiva difficoltà dell'adempimento. In nessun caso esso può superare i sei mesi. Tuttavia, quando specifiche circostanze non imputabili al contravventore determinano un ritardo nella regolarizzazione, il termine di sei mesi

può essere prorogato per una sola volta, a richiesta del contravventore, per un tempo non superiore ad ulteriori sei mesi, con provvedimento motivato che è comunicato immediatamente al pubblico ministero.

2. Copia della prescrizione è notificata o comunicata anche al rappresentante legale dell'ente nell'ambito o al servizio del quale opera il contravventore.

3. Con la prescrizione l'organo di vigilanza può imporre specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro.

4. Resta fermo l'obbligo dell'organo di vigilanza di riferire al pubblico ministero la notizia di reato inerente alla contravvenzione ai sensi dell'art. 347 del codice di procedura penale.

Art. 21

(Verifica dell'adempimento)

1. Entro e non oltre sessanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l'organo di vigilanza verifica se la violazione è stata eliminata secondo le modalità e nel termine indicati dalla prescrizione.

2. Quando risulta l'adempimento alla prescrizione, l'organo di vigilanza ammette il contravventore a pagare in sede amministrativa, nel termine di trenta giorni, una somma pari al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa. Entro centoventi giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l'organo di vigilanza comunica al pubblico ministero l'adempimento alla prescrizione, nonchè l'eventuale pagamento della predetta somma.

3. Quando risulta l'inadempimento alla prescrizione, l'organo di vigilanza ne dà comunicazione al pubblico ministero e al contravventore entro novanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione.

Art. 22

(Notizie di reato non pervenute dall'organo di vigilanza)

1. Se il pubblico ministero prende notizia di una contravvenzione di propria iniziativa ovvero la riceve da privati o da pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio diversi dall'organo di vigilanza, ne dà

immediata comunicazione all'organo di vigilanza per le determinazioni inerenti alla prescrizione che si rende necessaria allo scopo di eliminare la contravvenzione.

2. Nel caso previsto dal comma 1, l'organo di vigilanza informa il pubblico ministero delle proprie determinazioni entro sessanta giorni dalla data in cui ha ricevuto comunicazione della notizia di reato dal pubblico ministero.

Art. 23

(Sospensione del procedimento penale)

1. Il procedimento per la contravvenzione è sospeso dal momento dell'iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all'art. 335 del codice di procedura penale fino al momento in cui il pubblico ministero

riceve una delle comunicazioni di cui all'art. 21, commi 2 e 3.

2. Nel caso previsto dall'art. 22, comma 1, il procedimento riprende il suo corso quando l'organo di vigilanza informa il pubblico ministero che non ritiene di dover impartire una prescrizione, e comunque alla scadenza del termine di cui all'art. 22, comma 2, se l'organo di vigilanza omette di informare il pubblico ministero delle proprie determinazioni inerenti alla prescrizione. Qualora nel predetto termine l'organo di vigilanza informi il pubblico ministero d'aver impartito una prescrizione, il procedimento rimane sospeso fino al termine indicato dal comma 1.

3. La sospensione del procedimento non preclude la richiesta di archiviazione. Non impedisce, inoltre, l'assunzione delle prove con incidente probatorio, nè gli atti urgenti di indagine preliminare, nè il sequestro preventivo

ai sensi degli articoli 321 e seguenti del codice di procedura penale.

Art. 24

(Estinzione del reato)

1. La contravvenzione si estingue se il contravventore adempie alla prescrizione impartita dall'organo di vigilanza nel termine ivi fissato e provvede al pagamento previsto dall'art. 21, comma 2.

2. Il pubblico ministero richiede l'archiviazione se la contravvenzione è estinta ai sensi del comma 1.

3. L'adempimento in un tempo superiore a quello indicato nella prescrizione, ma che comunque risulta congruo a norma dell'art. 20, comma 1, ovvero l'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione con modalità diverse

da quelle indicate dall'organo di vigilanza, sono valutate ai fini dell'applicazione dell'art. 162-bis del codice penale. In tal caso, la somma da versare è ridotta al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa.

L’obbligo di coordinamento e cooperazione dell’impresa affidataria

L’impresa affidataria ha il compito di coordinare le varie imprese subappaltatrici che operano in cantiere e di garantire la sicurezza dei suoi lavoratori oltre che di cooperare con le stesse. In mancanza assume un comportamento negligente. Di G. Porreca.

Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 5032 del 10 febbraio 2011 (u. p. 11 gennaio 2011)- Pres. Morgigni – Est. Marinelli– P.M. Fodaroni - Ric. P. A. e P. R.Commento a cura di Gerardo Porreca.Bari, 28 nov - È in linea con le disposizioni del D. Lgs. 81/2008, contenente il Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro, la posizione assunta dalla Corte di Cassazione in questa sentenza con la quale la stessa ha confermata la condanna di un amministratore delegato e del direttore di cantiere di una ditta appaltatrice per un infortunio occorso ad un lavoratore dipendente di un’impresa subappaltatrice legato alla mancanza di alcune misure di prevenzione degli infortuni sul lavoro. L’assenza di tali soggetti in una riunione di coordinamento nella quale era stata discussa e deliberata l’adozione delle misure di sicurezza sopraindicate, che se realizzate avrebbero potute impedire l’evento, è stata considerata in particolare dalla suprema Corte un comportamento negligente e colposoda parte degli stessi.

Il caso.L’amministratore delegato ed il direttore di cantiere di un’impresa capogruppo di un ATI sono stati tratti a giudizio davanti al Tribunale per rispondere del reato di cui agli articoli 40, 81 e 113 c.p., articolo 590 c.p., commi 3 e 5, articolo 583 c.p., commi 1, n. 1 per avere, in cooperazione tra loro presso un cantiere edile gestito dall’Associazione stessa, cagionato ad un lavoratore di una ditta subappaltatrice lesioni personali gravi dovute ad una folgorazione con ustioni da elettrocuzionedegli arti superiori ed inferiori, integranti incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per 111 giorni, per colpa consistita in imprudenza, imperizia e negligenza e, nello specifico, nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, nell'inosservanza del disposto di cui all’articolo 11 del D.P.R. 7/1/1956 n. 164 e dell’articolo 7 comma 2 del D.P.R. 19/9/1994 n. 626 in quanto omettevano di rispettare il divieto di eseguire i lavori in prossimità di linee elettriche aeree a distanza minore di 5 metri a meno che non si fosse provveduto ad una adeguata protezione atta ad evitare accidentali contatti o pericolosi avvicinamenti ai conduttori delle linee stesse e omettevano, altresì, di cooperare con le ditte operanti in subappalto all'attuazione delle misure di sicurezza, prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa relativamente alla presenza di linee elettriche aeree.Il lavoratore infortunato, in particolare, posizionato sulla sponda di un canale sovrastato da linea elettrica aerea, mentre era intento ad orientare il getto di calcestruzzo condotto dal braccio meccanico di una beton pompa collocata su di un vicino ponte, subiva una folgorazione a causa dell'insufficiente distanza del suddetto braccio meccanico alla linea elettrica. L’iter giudiziario e il ricorso alla Corte di Cassazione.Il Tribunale ha dichiarato gli imputati responsabili del reato di cui sopra e li ha condannati rispettivamente alla pena di mesi 3 e mesi 2 di reclusione con il beneficio della sospensione condizionale della pena. Avverso la decisione del Tribunale gli stessi hanno proposto ricorso alla Corte di Appello che ha però ha confermata la sentenza ed ha condannato gli appellanti al pagamento delle spese processuali. Avverso la stessa gli imputati stessi hanno proposto ricorso per Cassazione chiedendone l'annullamento e adducendo diverse motivazioni. Secondo il direttore di cantiere i giudici di merito non avevano tenuto conto che la prescrizione di cui all’articolo 11 del D.P.R. n. 164/1956 sarebbe stata violata non solo da parte di chi materialmente aveva eseguito l'operazione con la beton pompa, ma anche da chi gestiva e coordinava il cantiere nel suo complesso ed aveva quindi il compito di elaborare le norme di sicurezza generali. L’imputato ha sostenuto altresì che la sua qualifica era solo quella di direttore del cantiere nonché di delegato per la sicurezza per l'associazione temporanea di imprese e non di

responsabile della sicurezza dell'appaltatore e di tutte le lavorazioni in subappalto. Tale erroneo assunto, secondo il ricorrente, sarebbe stato originato dalla ingiustificata assenza nel procedimento di due figure essenziali e cioè del committentee del responsabile dei lavori. Il direttore di cantiere ha inoltre sostenuto che con il contratto con la ditta subappaltatrice era stato posto a carico della stessa il pieno rispetto delle norme antinfortunistiche né lo stesso avrebbe potuto esercitare alcuna ingerenza sul personale del subappaltatore e gestire i suoi dipendenti. L’amministratore delegato, da parte sua, ha affermato di non aver avuto nessun ruolo in tema di sicurezza sul lavoro per quanto riguarda la gestione del subappalto non essendo stato delegato alla specifica funzione di responsabile per la sicurezza di quella lavorazione.Le decisioni della Corte di Cassazione.I ricorsi degli imputati sono stati considerati infondati dalla Corte di Cassazione e quindi rigettati. La stessa ha fatto osservare che entrambi gli imputati erano stati delegati a "coordinare le imprese sul cantiere" e, nell'ambito dello stesso, "all'organizzazione in materia di sicurezza del lavoro, di tecnopatie ed igiene sul lavoro ed, in particolare, all'organizzazione ed alla scelta di misure igieniche ed antinfortunistiche, al fine di assicurare il completo assolvimento degli obblighi societari di attuazione delle misure igieniche e di prevenzione nonché del relativo controllo". “La disciplina infortunistica”, ha fatto presente la Sez. IV, “impone ai datori di lavoro, ai committenti e agli appaltatori, in caso di cantieri mobili, specifici obblighi di coordinamento per la tutela della sicurezza e della incolumità dei lavoratori con riferimento ai rischi connessi alle specifiche lavorazioni che si svolgono nel cantiere”. La suprema Corte ha fatto altresì osservare che nel PSCera stata segnalata la presenza della linea aerea in cantiere ed era stato fatto il dimensionamento dei mezzi provvisti di braccio mobile o telescopico, in modo da consentire lo svolgimento dell'attività lavorativa senza che fosse possibile, anche accidentalmente, la penetrazione nella zona di guardia mentre i ricorrenti hanno invece consentito l'uso di un mezzo non adeguato, in quanto hanno permesso che una beton pompa, con braccio estensibile in altezza per ventotto metri, operasse al di sotto di una linea elettrica in tensione che si trovava, come ben evidenziato nella sentenza impugnata, a soli nove metri dal piano su cui poggiava la macchina. Tutto ciò nonostante che fosse stata tenuta una specifica riunione di coordinamento, alla quale non avevano partecipato, che aveva avuto ad oggetto, appunto, le condizioni di lavoro in quello specifico tratto dell'opera, e durante la quale era stato stabilito che l'operazione di getto di calcestruzzo dovesse avvenire "non posizionando le macchine sull'argine, ma sull'adiacente ponte", in quanto ciò avrebbe consentito "la necessaria manovrabilità della pompa e la distanza di sicurezza dalle linee", distanza che comunque non avrebbe dovuto scendere al di sotto dei cinque metri. Nella stessa riunione era stato anche puntualizzato che, in considerazione della brevità dell'intervento, non si riteneva di chiedere il sezionamento della linea, ma si raccomandava la massima attenzione.Per quanto sopra detto quindi, ha concluso la suprema Corte, “è emerso che gli odierni ricorrenti, che avevano la responsabilità di garantire, anche attraverso il coordinamento delle varie imprese che operavano nel cantiere, la sicurezza dei lavoratori, non hanno adempiuto al loro dovere di cooperare” a nulla rilevando, come correttamente avevano fatto osservare i giudici della Corte territoriale, la circostanza della loro assenza alla riunione “tenendo in tal modo un comportamento negligente”.Corte di Cassazione - Sezione IV Penale - Sentenza n. 5032 del 10 febbraio 2011 (u. p. 11 gennaio 2011) - Pres. Morgigni – Est. Marinelli– P.M. Fodaroni - Ric. P. A. e P. R. - Sull’obbligo di coordinamento e di cooperazione da parte dell’impresa affidataria. L’impresa affidataria ha il compito di coordinare le varie imprese subappaltatrici che operano in cantiere e di garantire la sicurezza dei suoi lavoratori oltre che di cooperare con le stesse. In mancanza assume un comportamento negligente.

Sull’obbligo del committente di coordinare le imprese esecutrici

Il committente ricopre un ruolo direttivo e ha l’obbligo di curare il coordinamento degli interventi delle imprese esecutrici al fine di garantire la sicurezza e l’incolumità di tutti i lavoratori. Di G. Porreca.

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Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 99 del 4 gennaio 2011 (u. p. 8 ottobre 2010) - Pres. Morgigni – Est. Foti– P.M. Cedrangolo - Ric. C. M. Commento a cura di Gerardo Porreca.Al committente datore di lavoro incombe l’obbligo di assicurare il preciso rispetto delle norme di prevenzione, generiche e specifiche per l’attività esercitata, e di curare il coordinamento degli interventi delle varie imprese che operano in cantiere al fine di garantire la sicurezza del luogo di lavoro e la incolumità dei lavoratori. La singolarità del caso posto in questa occasione all’attenzione della Corte di Cassazione si individua nella lunga catena di appalti e subappalti posta in essere in cascata in un cantiere edile essendo l’infortunio in esame occorso al titolare di una ditta individuale che nella cascata stessa è venuto a trovarsi nella posizione di sub-sub-sub-appaltatore senza che venisse coordinato dal committente così come dispongono invece le disposizioni di legge in materia di salute e di sicurezza sul lavoro la cui applicazione, come è noto, è sempre più difficoltosa e problematica man mano si allunga la filiera delle imprese esecutrici che si trasferiscono l’esecuzione delle opere.L’organizzazione dei lavori e l’evento infortunisticoIl socio accomandatario di una s.a.s. e l’amministratore unico di un’altra società a responsabilità limitata sono stati ritenuti responsabili del delitto di lesioni colpose gravi commesse, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio del titolare di una ditta individuale per aver cagionato allo stesso, per colpa generica e specifica consistita quest'ultima nella violazione dell'articolo 7 comma 2 lettera A e B, e dell’articolo 35 comma 2 del D. Lgs. n. 626 del 1994 ed inoltre per quanto riguarda il socio accomandatario dell'articolo 7 comma 3 dello stesso D. Lgs., una frattura esposta dell'epifisi distale dell'omero sinistro ed una frattura biossea della gamba sinistra, guaribili in un tempo superiore ai 40 giorni, da cui è derivato l'indebolimento permanente degli organi della prensione e della deambulazione.All’artigiano carpentiere infortunatosi i lavori erano stati affidati da suo padre, giudicato separatamente, il quale li aveva ricevuti da una ditta che a sua volta li aveva avuti in assegnazione dall’ impresa affidataria. Nei confronti degli imputati in particolare erano stati individuati specifici profili di colpa per avere egli stessi omesso: 1) di coordinare gli interventi di prevenzione e protezione dai rischi cui erano esposti i lavoratori e di cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto (articolo 7, comma 2, lettera A e B); 2) di attuare misure organizzative e tecniche tali da ridurre al minimo i rischi connessi all'utilizzo della gru (articolo 35) ed al committente datore di lavoro, inoltre, per non avere promosso la cooperazione ed il coordinamento tra le diverse imprese ed il lavoratore autonomo al fine di attuare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi connessi ai lavori affidati.

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L’infortunio in esame era occorso in quanto il titolare artigiano, dopo avere agganciato una cesta di ferro ad una gru in dotazione al cantiere, azionata da un dipendente di una delle ditte operanti nel

cantiere stesso, utilizzando solo uno dei quattro punti di aggancio esistenti, si era posizionato sotto il punto di discesa finendo travolto dalla cesta che, a causa del forte vento, dopo alcune oscillazioni si era sganciata dalla gru ed era precipitata da un'altezza di circa cinque metri. Dalle indagini era emerso che il lavoratore infortunato operava sotto la direzione ed il coordinamento del responsabile del cantiere anche per le opere affidate in subappalto e che quest’ultimo aveva dato disposizioni perché si provvedesse a ripulire una soletta, già completata, per permettere successive lavorazioni utilizzando per l'asporto del materiale, la cesta sopra indicata la quale, male agganciata alla gru, era precipitata provocando l’infortunio. Veniva altresì accertato che in cantiere esistevano altre ceste, simili a quella utilizzata nell'occasione, ma più sicure perché dotate di ganci di sicurezza che si chiudevano attorno al punto di aggancio.Riconosciuti responsabili dell’accaduto il Tribunale ha condannato i due imputati alla pena di venti giorni di reclusione ciascuno, sostituita con la corrispondente pena pecuniaria, nonché, in solido, al risarcimento del danno, da liquidarsi in separato giudizio, in favore della parte civile costituita, alla quale ha assegnato anche una provvisionale di 15.000 euro. Su ricorso proposto dai due imputati la Corte d'Appello ha successivamente confermata la decisione del Tribunale avendo individuato l’obbligo da parte degli stessi, in ragione delle rispettive qualità, di garantire la sicurezza dei lavoratori impegnati a svolgere le mansioni affidategli attraverso il necessario coordinamento dei singoli interventi nel rispetto degli obblighi imposti dall'articolo 7 del D. Lgs. n. 626/1994.Il ricorso in cassazione e le decisione della suprema CorteAvverso la sentenza della Corte di Appello il socio accomandatario ha proposto ricorso in Cassazione sostenendo innanzitutto che gli strumenti messi a disposizione dei lavoratori in cantiere erano perfettamente regolari, e tale doveva ritenersi anche la cesta utilizzata dall’infortunato certamente idonea, a giudizio dello stesso, all'uso cui era destinata, cioè al trasporto di materiale. Nel cantiere inoltre, ha tenuto a precisare il ricorrente, erano peraltro presenti altre ceste ancor più adatte a tali trasporti in quanto munite di ganci di sicurezza, per cui lo stesso ha addebitato alla parte offesa sia la scelta non ottimale della cesta che la sua non corretta utilizzazione in quanto aveva provveduto ad assicurarla utilizzando solo uno dei quattro ganci di cui essa era dotata, oltre al fatto di aver fatto ricorso all’uso della gru che era stato vietato e di essersi posizionato proprio sotto la cesta in movimento.La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso presentato dall’imputato che ha pertanto rigettato. Secondo la stessa Corte giustamente i giudici di merito avevano ritenuto che si doveva riconoscere nell’imputato una precisa posizione di garanzia, mai formalmente delegata ad altri e dunque allo stesso direttamente riconducibile, in quanto socio accomandatario della ditta appaltatrice dei lavori in corso di esecuzione, nonché subappaltante di parte degli stessi, e titolare del cantiere nel cui ambito egli ricopriva un ruolo direttivo. Proprio in ragione di tale posizione, ha confermato la suprema Corte, “al ricorrente incombeva l'obbligo di assicurare il preciso rispetto delle norme di prevenzione, generiche e specifiche per l'attività esercitata, e che a lui stesso spettava di curare il coordinamento degli interventi delle varie imprese che operavano in cantiere, al fine di garantire la sicurezza del luogo di lavoro e l'incolumità di tutti i lavoratori. Coordinamento che non risulta esser stato curato dal (committente),donde la corretta individuazione, in capo allo stesso, da parte della corte territoriale, di uno specifico profilo di responsabilità”. E’ stato proprio a causa della mancanza di norme di coordinamento, ha così concluso la suprema Corte, che il capo cantiere, dipendente dell'imputato, ha potuto ordinare al titolare artigiano infortunato di provvedere alla pulitura della soletta già completata e di affidare allo stesso un incarico del tutto estraneo, non solo alle sue specifiche competenze ma anche al rapporto di subappalto, estraneità ed incompetenza che avrebbero dovuto quantomeno indurre, da un lato, a fornire al lavoratore le necessarie informazioni circa il lavoro da espletare, gli strumenti da adoperare e le norme di sicurezza da rispettare, e dall'altro a vigilare affinché l'incarico fosse eseguito nel rispetto delle norme di sicurezza.

Sulla responsabilità nei cantieri temporanei o mobili

E’ consolidata la posizione della cassazione sulla individuazione del committente quale

organizzatore della sicurezza nei cantieri edili e sulla necessità di una delega nel caso volesse trasferire a un responsabile dei lavori i suoi obblighi. Di G.Porreca

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Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 47476 del 21 dicembre 2011 (u. p. 27 settembre 2011) - Pres. Marzano – Est. Izzo – P.M. Tindari - Ric. F. R.. Commento a cura di G. Porreca.Se ancora permane qualche dubbio in merito alla necessità di una apposita delega nel caso della nomina da parte del committente di un responsabile dei lavori nei cantieri temporanei o mobili questa sentenza della Corte di Cassazione serve a dirimerli del tutto. In questa circostanza, inoltre, la suprema Corte ha colto l’occasione per effettuare una breve ricognizione della normativa vigente in materia di organizzazione della sicurezza nei cantieri temporanei o mobili ed in particolare per rivisitare puntualmente tutti gli obblighi posti a carico del committente che, così come più volte ha avuto modo di indicare in precedenti sentenze, è considerato il deus ex machina ed il principale organizzatore della sicurezza nei cantieri edili il quale però, per l’assolvimento dei suoi obblighi, può individuare la figura di un responsabile dei lavori al quale trasferire tutti o in parte i suoi obblighi fermo restando che in capo allo stesso committente permane comunque l’obbligo di vigilare sull’operato del responsabile dei lavori stesso e di controllare che questi provveda ad assolvere gli stessi puntualmente.

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L’evento e l’iter giudiziarioIl Tribunale ha condannato il responsabile legale di una società per il delitto di lesioni colpose in danno di un operaio dipendente di una ditta alla quale aveva appaltato dei lavori caduto dall’altezza di 10 metri in un lucernaio dopo essere salito sul tetto del capannone per iniziare alcune operazioni di smantellamento delle parti in vetro. Allo stesso imputato, quale proprietario dell’immobile e committente dei lavori da eseguire, era stato addebitato di avere omesso di pianificare la durata delle fasi delle opere relative allo smantellamento delle lastre di cemento ed amianto e di rimozione dei vetri, al fine di consentire che esse si svolgessero in sicurezza, nonché di avere omesso di designare un coordinatore per l'esecuzione dell'opera, pur trattandosi di lavoro che prevedeva la presenza di due imprese nel cantiere ed ncora di avere omesso di far redigere il piano di sicurezza e di coordinamento con la individuazione dei rischi per i lavoratori. Al committente dei lavori, considerate le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, è stata irrogata una pena di euro 400 di multa e lo stesso è stato condannato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, con attribuzione di una provvisionale immediatamente esecutiva di euro 25.000.Successivamente la Corte di Appello, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato estinto il reato per prescrizione, confermando le statuizioni civili. La stessa Corte ha ritenuto irrilevante che l'imputato non avesse alcuna competenza in campo edilizio, tenuto conto che avrebbe potuto utilizzare l'ausilio di persone esperte a cui eventualmente conferire una delega e lo ha ritenuto colpevole di non aver nominato alcun coordinatore per l'esecuzione ma un mero responsabile dei lavori privo di espresse deleghe.Il ricorso alla Cassazione e le decisioni della suprema CorteAvverso la sentenza della Corte di Appello l’imputato ha proposto ricorso alla Corte di Cassazione sostenendo che, essendo egli del tutto privo di competenza in materia edilizia, aveva provveduto

alla nomina di un responsabile dei lavori e che comunque il giorno dell’evento infortunistico nel cantiere la ditta appaltatrice doveva provvedere solo alla lisciatura del pavimento per cui nessuno doveva salire su tetto, in quanto la rimozione dello stesso ed il suo smaltimento era stato affidato ad un’altra ditta specializzata concludendo pertanto che il lavoratore era salito sul tetto di sua iniziativa e senza avere avuto alcun incarico. Questo era il motivo, secondo l’imputato, per cui sul tetto del capannone non era presente alcun presidio di sicurezza per lavori in quota che in ogni caso sarebbe spettato all’impresa appaltatrice. Il committente ha fatto altresì presente di ignorare ciò che accadeva in cantiere e di aver comunque nominato un responsabile dei lavori che non era stato neanche imputato. Il compito di prevedere la durata dei lavori e di designare il coordinatore per l'esecuzione spettava pertanto con tale nomina al responsabile dei lavori per cui il committente con tale nomina si era liberato della responsabilità dei suoi adempimenti.Le decisioni della Corte di CassazioneIl ricorso è stato ritenuto dalla Corte di Cassazione infondato e nel far ciò la stessa Corte ha colto l’occasione di richiamare brevemente la normativa vigente in materia di sicurezza nei cantieri temporanei o mobili, facente capo all’epoca dell’infortunio al D. Lgs. n. 494/1996, e ciò facendo ha fornito degli interessanti indirizzi in merito alla nomina da parte del committente della figura del responsabile dei lavori. Nel citato decreto, ha rammentato la Sez. IV, è prevista la figura del "responsabile dei lavori" che, ai sensi dell'articolo 2, lettera c) dello stesso decreto, è il soggetto che può essere incaricato dal committente ai fini della progettazione o della esecuzione o del controllo dell'esecuzione dell'opera. Quanto ai compiti da svolgere, ha ribadito la suprema Corte, l'articolo 3 prevede che il committente o il responsabile dei lavori, nella fase di progettazione dell'opera, ed in particolare al momento delle scelte tecniche, si devono attenere ai principi e alle misure generali di tutela di cui al D. Lgs. n. 626/1994, articolo 3, e devono inoltre valutare i documenti di cui all'articolo 4, comma 1, lettera a) e b) (Piano di sicurezza e di coordinamento). Infine, ha proseguito la Sez. IV, nei cantieri in cui è prevista la presenza di più imprese (come nel caso particolare), anche non contemporanea, il committente o il responsabile dei lavori sono tenuti a nominare il coordinatore per la progettazione ed il coordinatore per l'esecuzione dell'opera.In merito agli obblighi del committente la Sez. IV ha fatto presente che l’articolo 6 del D. Lgs. n. 494/1996 prevede che lo stesso è esonerato dalle responsabilità connesse all'adempimento degli obblighi limitatamente all'incarico conferito al responsabile dei lavori e che in ogni caso la designazione del coordinatore per la progettazione e del coordinatore per l'esecuzione non esonera lui o il responsabile dei lavori dalle responsabilità connesse alla verifica dell'adempimento degli obblighi di cui all'articolo 4, comma 1 (predisposizione dei piani di sicurezza), e articolo 5, comma 1, lettera a) (controllo del rispetto da parte delle ditte esecutrici di quanto previsto dai P.O.S.).Per quanto sopra detto quindi in materia di infortuni sul lavoro in un cantiere edile “il committente rimane il soggetto obbligato in via principale all'osservanza degli obblighi imposti in materia di sicurezza, Decreto Legislativo 14 agosto 1996, n. 494, ex articolo 6, come modificato dal Decreto Legislativo 19 novembre 1999, n. 528, atteso che l'effetto liberatorio si verifica solo a seguito della nomina del responsabile dei lavori e nei limiti dell'incarico conferito a quest'ultimo". “Dalla richiamata normativa emerge, quindi”,ha proseguito la Sez. IV, “che il legislatore, nel prevedere l'esonero del committente dalle responsabilità in materia di sicurezza sul lavoro nel cantiere, lo ha subordinato alla nomina di un responsabile dei lavori, limitatamente, però, della delega ad esso conferita. Infatti, alla nomina del responsabile dei lavori si deve imprescindibilmente accompagnare un atto di delega, con il quale si attribuiscano al predetto responsabile dei lavori poteri decisionali, cui sono connessi evidenti oneri di spesa o, più in generale, la determinazione della sfera di competenza attribuitagli”.“Il legislatore, in sostanza”, ha sostenuto ancora la suprema Corte, “non ha predeterminato gli effetti della nomina del responsabile dei lavori, avendo stabilito espressamente che l'area di esonero della responsabilità del committente dipende dal contenuto e dall'estensione dell'incarico conferitogli. In sintesi, perché operi l'esonero da responsabilità del committente è necessario che

egli nomini un responsabile dei lavori; che detta nomina sia riferita agli adempimenti da osservarsi in materia di sicurezza del lavoro; che sia conferita una delega e specificata la sua estensione”.“Nel caso di specie”, ha concluso la Corte di Cassazione, “come si rileva dalle sentenze di merito, non risulta che al responsabile dei lavori sia stata data, dall'imputato committente, alcuna delega, pertanto non si è maturato alcun trasferimento in capo al delegato (responsabile dei lavori) dei poteri e delle responsabilità originariamente spettanti al delegante (committente). Ne consegue che il (committente) è rimasto il soggetto obbligato in via principale all'osservanza degli obblighi imposti in materia di sicurezza, Decreto Legislativo 14 agosto 1996, n. 494, ex articolo 6 rimanendo quindi radicata sul suo capo la posizione di garanzia in ordine al rispetto delle norme di prevenzione. Ciò anche con riferimento alla nomina del coordinatore per la progettazione e l'esecuzione, in quanto la disposizione di cui all'articolo 4 si riferisce ad entrambe le figure del committente e del responsabile del lavori ed, inoltre, perché nessuna delega è stata a quest'ultimo conferita con specificazione dei compiti. Ebbene, nell'esercizio di tali funzioni, come osservato dal giudice del merito, il (committente) è venuto meno ad essenziali compiti in materia di sicurezza: ha omesso di redigere o far redigere il Piano di Sicurezza e di coordinamento che, a norma del Decreto Legislativo n. 494, articolo 12, è parte integrante del contratto di appalto; ha omesso di designare il coordinatore per l'esecuzione dell'opera; ha omesso di vigilare sul rispetto delle misure di sicurezza in corso di esecuzione dei lavori”.In conclusione quindi la suprema Corte ha individuato un chiaro nesso causale fra le carenze preparatorie ed organizzative ed il mancato controllo dell’applicazione delle misure di sicurezza con l'evento infortunistico verificatori in quanto le aziende presenti in cantiere non hanno avuto modo di uniformare il loro comportamento ad un piano di sicurezza, né di determinare la tempistica dei loro interventi secondo le indicazioni di un piano di coordinamento per cui il mancato rispetto delle regole sopra richiamante ha pertanto consentito che la vittima si trovasse a lavorare sul tetto del capannone senza che fossero state predisposte misure di sicurezza dopo una attenta valutazione dei rischi. Corte di Cassazione - Penale Sezione IV - Sentenza n. 47476 del 21 dicembre 2011 (u. p. 27 settembre 2011) - Pres. Marzano –Est. Izzo – P.M. Tindari - Ric. F. R.. E’ consolidata la posizione della Cassazione sulla individuazione del committente quale organizzatore della sicurezza nei cantieri edili e sulla necessità di una delega nel caso volesse trasferire a un responsabile dei lavori i suoi obblighi.

La Cassazione sui criteri di validità della verifica tecnico-professionale

È sufficiente ai fini della verifica tecnico-professionale della ditta appaltatrice da parte del committente, l’accertamento della sua iscrizione alla camera di commercio se a seguito di tale controllo emerge che la stessa non ha dipendenti? Di G.Porreca.

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Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 36612 del 11 ottobre 2011 (u. p. 7 giugno 2011)- Pres. Zecca – Est. Foti – P.M. Geraci -Ric. S. M. e D. B. C. parte civile. Commento a cura di G. Porreca.Oggetto di questa sentenza della Corte di Cassazione penale è la verifica tecnico-professionale a carico del committente nei confronti delle imprese e dei lavoratori autonomi ai quali lo stesso deve appaltare dei lavori da svolgere nell’ambito della propria azienda. Richiamando le disposizioni di legge secondo le quali tale verifica consiste nel controllare l’iscrizione alla Camera di Commercio dell’impresa e dei lavoratori autonomi ai quali affidare i lavori nonché nell’acquisire dichiarazioni relative al numero dei dipendenti, alla regolarità contributiva ed al rispetto del contratto collettivo di lavoro applicato, la suprema Corte di Cassazione ha sostenuto che la stessa verifica tecnico-professionale si deve ritenere assolta da parte del committente nel caso di lavori di modesta entità ed allorquando dalla verifica emerga che l’impresa è iscritta regolarmente alla Camera di Commercio e risulti altresì dalla visura dalla stessa rilasciata che l’impresa non abbia dipendenti.

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Il fatto e l’iter giudiziarioIl Tribunale ha ritenuto l’amministratore di una società, committente di alcuni lavori di posa in opera di lastre di copertura sul tetto di un capannone industriale di proprietà della stessa società, nonché il titolare di una ditta individuale incaricata di svolgere tali lavori ed ancora il datore di lavoro di una ditta alla quale parte dei lavori erano stati da questa subappaltati, colpevoli del delitto di omicidio colposo commesso, con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio di un lavoratore rimasto infortunato mentre prestava la propria attività per conto della ditta subappaltatrice, e li ha condannati a pene diverse nonché al risarcimento in solido dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, in favore della parte civile.Secondo il Tribunale i citati imputati avevano cagionata la morte del lavoratore, intervenuta per arresto circolatorio conseguente a gravissimo politrauma da precipitazione, per colpa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia e nella violazione di alcune norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Era accaduto, infatti, che l’infortunato, mentre era intento a posare delle lastre di copertura del tetto posto ad un'altezza di circa nove metri dal suolo, aveva appoggiato uno o entrambi i piedi su di una lastra appena posata la quale, sotto il peso del lavoratore, si era infranta per cui l’operaio era precipitato al suolo riportando delle ferite rivelatesi mortali. La responsabilità dell'incidente era stata attribuita ai tre imputati nella cui condotta erano stati rilevati profili di colpa specifica per avere il committente violato l’articolo 3 comma 8 del D. Lgs. n. 494/1996, in quanto aveva affidato alla ditta appaltatrice i lavori di sistemazione della coperturadel capannone senza averne preventivamente verificato la sua idoneità tecnico-professionale in relazione ai lavori da svolgere e senza avere chiesto informazioni relative ai dipendenti occupati, nonché il titolare della ditta appaltatrice per aver violato l’articolo 70 del D.P.R. n. 164/1956, per non avere realizzato, prima di iniziare i lavori, le opere provvisionali idonee a garantire la sicurezza

dei lavoratori, nonché l'articolo 10 dello stesso D.P.R., per non avere disposto l'uso di cinture di sicurezza, e gli articoli 21 e 22 del D. Lgs. n. 626/1994, per non avere fornito al lavoratore adeguata formazione e per non averlo informato dei rischi connessi con il lavoro da svolgere. Al datore di lavoro dell’infortunato era stata attribuita la responsabilità per la violazione degli stessi articoli contestati al titolare della ditta appaltatrice.La Corte d'Appello ha successivamente assolto il committente da ogni addebito per non avere commesso il fatto, eliminando la condanna al risarcimento del danno allo stesso inflitta dal primo giudice, ed ha invece confermata la sentenza inflitta ai restanti imputati. In particolare la Corte territoriale ha ritenuto inesistenti i profili di colpa addebitati al committente ritenendo che lo stesso non fosse tenuto a predisporre cautele antinfortunistiche, né a controllare che le avesse predisposte la ditta esecutrice dei lavori. A giudizio della stessa Corte di Appello, infatti, la legge impone a carico del committente solo l'onere di verificare l'idoneità tecnico professionale dell'impresa incaricata dei lavori e di chiedere alla stessa le dichiarazioni relative al numero dei dipendenti, alla regolarità contributiva ed al contratto collettivo di lavoro applicato. Detta verifica non esigeva, secondo la stessa Corte di Appello particolari interventi, né era necessaria la predisposizione di un contratto scritto, poiché il lavoro in questione era di modesta entità per cui la documentata iscrizione della ditta appaltatrice all'albo delle imprese artigiane forniva sufficienti garanzie di idoneità dell'impresa stessa. Il ricorso in Cassazione e le decisioni della suprema CorteAvverso la sentenza di condanna della Corte di Appello hanno proposto ricorso sia l’appaltatore che il datore di lavoro dell’infortunato nonché la parte civile con riferimento all'assoluzione del committente ed alla eliminazione della condanna dello stesso al risarcimento del danno. Per quanto riguarda la posizione del committente, in particolare, la parte civile ha tenuto a precisare che secondo l'impianto normativo di cui al citato D. Lgs. n. 494/1996, il committente è tenuto ad osservare in prima persona gli obblighi previsti dall'articolo 3, a meno che non provveda a nominare un responsabile dei lavori, e che la verifica di cui al comma 8 del citato articolo non ha carattere meramente formale ma deve tendere al concreto accertamento dell'affidabilità dell'impresa alla quale sono affidati i lavori. La suddetta verifica, infatti, ha carattere sostanziale e comporta che il committente deve accertare che l'appaltatore abbia a disposizione, tra l'altro, sufficienti attrezzature e mezzi d'opera, strumenti di prevenzione individuali e collettivi, nonché un'adeguata organizzazione aziendale capace di garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori, valutazioni queste che, secondo la parte civile ricorrente, sono state del tutto omesse dalla Corte di Appello che avrebbe perciò erroneamente interpretato la norma di legge sopra citata.La parte civile ha sostenuto, altresì, che dalle stesse dichiarazioni del committente sarebbe emerso che lo stesso non aveva effettuato alcuna verifica dell'idoneità tecnica della ditta appaltatrice attraverso l'ausilio della visura camerale e, conseguentemente, attraverso la verifica della iscrizione alla camera di commercio, industria ed artigianato ed era emerso inoltre ma che si era rivolto alla ditta subappaltatrice senza effettuare alcuna indagine e solo perché lo stesso gli aveva assicurato di essere in grado di effettuare i lavori richiesti. La Corte di Cassazione ha rigettati i ricorsi perché ritenuti infondati e con riferimento, in particolare, alle responsabilità del committente ha sostenuto che a questi non poteva addebitarsi alcun violazione alle disposizioni di legge. “Giustamente”,ha affermato la Corte di Cassazione, “la corte territoriale ha sostenuto che, secondo il disposto del Decreto Legislativo n. 494 del 1996, articolo 3, comma 8, al committente non spettava alcun obbligo di predisposizione di cautele antinfortunistiche, né di controllare il rispetto, da parte della ditta incaricata dell'esecuzione dei lavori, della relativa normativa, bensì solo di verificare l'idoneità tecnico-professionale della stessa ditta incaricata, anche attraverso l'iscrizione della medesima alla camera di commercio, industria ed artigianato”, verifica che del resto era stata puntualmente eseguita.“La modestia dei lavori affidati”, ha concluso la suprema Corte, “e l'iscrizione alla predetta camera della ditta (appaltatrice), forniva sufficienti garanzie, secondo il condivisibile giudizio del giudice del gravame, circa l'idoneità della stessa di eseguire regolarmente i lavori affidati, mentre non vi

era alcuna necessità di richiedere le dichiarazioni relative all'organico dei dipendenti, al contratto collettivo applicato ed alla regolarità contributiva, poiché dalla visura camerale del (omissis) era emerso che la stessa ditta non aveva dipendenti”.