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Forneletti diario di una esperienza Presentazione Da alcuni anni, Forneletti (una accogliente cascina ristrutturata situata a Valeggio sul Mincio poco a sud del Lago di Garda e gestita da una associazione che promuove solidariet? con i Paesi dell’America Latina) ? il luogo che ospita un appuntamento diventato ormai abituale tra i due Circoli ACLI di Cernusco S/N e di S. Polo. Una occasione per riflettere su argomenti scelti di volta in volta per aiutare meglio gli aclisti a comprendere il mondo che li circonda, ma anche una grande occasione per mettere a confronto culture ed esperienze e soprattutto per fare incontrare le persone. L’iniziativa non ha mai avuto una veste "istituzionale" ed ? forse per questo che continua a mantenere la freschezza che gli permette di riproporsi ogni anno. Una iniziativa nata proprio dal basso, da due realt? di base delle ACLI bresciane e milanesi che ritengono indispensabili momenti di apertura e di confronto e che proprio per questo costituiscono l’ossatura anche di altri momenti significativi quali il Convegno annuale di Basilea ormai assunto quale iniziativa delle ACLI regionali lombarde.

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Fornelettidiario di una esperienza

 

Presentazione 

Da alcuni anni, Forneletti (una accogliente cascina ristrutturata situata a Valeggio sul Mincio poco a sud del Lago di Garda e gestita da una associazione che promuove solidariet? con i Paesi dell’America Latina) ? il luogo che ospita un appuntamento diventato ormai abituale tra i due Circoli ACLI di Cernusco S/N e di S. Polo. Una occasione per riflettere su argomenti scelti di volta in volta per aiutare meglio gli aclisti a comprendere il mondo che li circonda, ma anche una grande occasione per mettere a confronto culture ed esperienze e soprattutto per fare incontrare le persone.L’iniziativa non ha mai avuto una veste "istituzionale" ed ? forse per questo che continua a mantenere la freschezza che gli permette di riproporsi ogni anno.Una iniziativa nata proprio dal basso, da due realt? di base delle ACLI bresciane e milanesi che ritengono indispensabili momenti di apertura e di confronto e che proprio per questo costituiscono l’ossatura anche di altri momenti significativi quali il Convegno annuale di Basilea ormai assunto quale iniziativa delle ACLI regionali lombarde.Fino ad ora gli incontri di Forneletti si sono sempre caratterizzati per i contenuti delle relazioni introduttive che sono sempre state affidate a personaggi di livello; contenuti sempre molto stimolanti e quasi sempre molto impegnativi per la responsabilit? che suscitano nei partecipanti; contenuti sempre poco assimilabili alla cultura dominante sia in ambito ecclesiale che in ambito socio politico, ma sempre molto ispirati alla ricerca della verit? e dell’autenticit? in ogni campo.Ma anche i contributi che i partecipanti portano alla riflessione comune rappresentano sempre un arricchimento per tutti.E’ tutto ci? che ha suggerito ai responsabili dei due circoli di non disperdere il patrimonio che ciascun incontro di Forneletti

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rappresenta, per questo si ? pensato di raccogliere tutti i contributi scaturiti in questi anni.Pubblicando questi atti, che verranno aggiornati di anno in anno, pensiamo di offrire ai partecipanti uno strumento utile per riprendere i temi affrontati e di permettere anche agli amici ed amiche dei due circoli che non hanno potuto essere presenti di arricchirsi dei pensieri e delle riflessioni che ci siamo scambiati.Purtroppo del secondo e terzo incontro non possediamo alcuna registrazione.

Angelo Levati - Dante Mantovani

Le tappe di un cammino 

10 novembre 1996Il ruolo del Circolo ACLI sul territorio e nella comunit? ecclesiale

relatore: don Sandro Spinelli

 

16 novembre 1997La Lettera di Giacomo

relatore: don Flavio Della Vecchia, biblista

 

15 novembre 1998L’anno del Signore

relatore: don Flavio Della Vecchia, biblista

 

7 novembre 1999I laici e il Concilio Vaticano II

relatore: don Giuseppe Pasini

 

8 ottobre 2000Abramo vide tre uomini che stavano presso di lui...Sara tua moglie avr? un figlio

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relatore: Raniero La Valle, giornalista

 

11 novembre 2001 (Villa d’Alm?)I laici nella chiesa e sul territorio

relatrice: Monica Martinelli, scalabriniana

 

24 novembre 2002Dalla Legge Bossi-Fini verso un’Europa multiculturale

relatore: Carlo Melegari, sociologo

 

16 novembre 2003La chiesa nel mondo contemporaneo, il ruolo del laico

relatore P. Francesco Geremia, dei servi di Santa Maria.

 

7 novembre 2004Vangelo e Politica di P. Mario Castelli

relatore: P. Pio Parisi, S. J.

 

6 novembre 2005Se le ACLI sparissero, chi se ne accorgerebbe

relatore Aluisi Tosolini, sociologo

 

19 novembre 2006I cristiani e la laicit? della politica

relatori: Aluisi Tosolini, sociologo

Franco Passuello ex presidente delle ACLI

 

11 novembre 2007

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Don Lorenzo Milani: la dignit? della persona,la consapevolezza delle scelte,chi sono oggi i contadini di don Milani".

relatore: Don Giuseppe Grampa, direttore della rivista "il Segno"

 

9 novembre 2008Un nuovo stile di vita per un mondo nuovo                    relatore: Fausto Piazza

 

Il ruolo del Circolo ACLIsul territorio e nella comunit? ecclesiale

10 novembre 1996 

don Sandro Spinelli 

Mi ? stato chiesto di parlare delle motivazioni dell’impegno sociale e cercher? di darvi alcuni spunti che nascono dalla mia esperienza di contemplazione all’alba, con la Bibbia e dall’esperienza di lavoro manuale.Non vi parler? del sociale, quello ? vostro, ciascuno di voi ha un proprio ambito nel quale operare. Vi parler? di quello che viene prima dell’impegno, cio? quello che dovrebbe ispirare e trascinare il vostro stile.La prima motivazione di fondo ? che Dio esiste, c’? per me e io ci sono per lui. Per capire meglio vi leggo un brano su Francesco nei suoi ultimi due anni di vita mentre parla a un frate: "Tu non mi comprendi perch? questo mio atteggiamento umile e sottomesso ti sembra vile e passivo, ma si tratta di ben altro: anch’io per lungo tempo non ho capito, mi sono dibattuto nel buio come un uccello in gabbia, ma il Signore ha avuto piet? di me e mi ha rivelato che la pi? alta attivit? dell’uomo e la sua maturit? consistono - anzich? nella ricerca di un ideale, per quanto nobile e santo - nell’accettare con gioia la realt?. L’uomo che vagheggia il suo ideale rimane chiuso in se stesso e non comunica veramente con gli altri, n? prende conoscenza dell’universo, gli mancano il silenzio, la profondit? e la pace: la profondit? dell’uomo non ? altro che la sua disposizione ad accogliere Dio. Gli uomini restano quasi tutti isolati in se stessi, essi sono simili ad insetti che non riescono a spogliarsi del loro guscio, in fin dei conti si ritrovano al loro punto di partenza. Essi credono

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di avere cambiato qualcosa e non si avvedono di morire senza aver visto la luce del cielo". Dunque umilt? e pace profonda.La seconda motivazione ? reincontrare la bellezza della vita. Mi domando - in questi giorni - come mai i latino-americani, i loro bambini che raccoglievano cibo nelle discariche, cantavano con la felicit? dentro l’animo: questo ? il dono della povert?. Come mai, il mio vicino, padre di sette figli, anche negli anni di siccit?, dove per sette-otto mesi non si vedeva una goccia d’acqua, la sera si metteva a cantare, accompagnandosi con una vecchia chitarra che gli avevo regalato? C’? - nella povert? di spirito il riuscire a godere e a vedere una bellezza che non si vede, ma c’? ed ? collegata a me, a quanto vivo e a quanto vedo.Terza motivazione. Accogliere il provvisorio, il precario. Noi sembra che viviamo aspettando l’evento, non ci sar? mai, l’evento ? quello che succede qui e adesso. Nel provvisorio e nel precario c’? tutto l’evento; che la mia vita sia spezzettata e non sia come la desidero, ? qui l’evento. Vivere dunque, in qualsiasi luogo col senso del tutto e, se preferite, tutto nel frammento, cio? vivere il tutto di saluto nel piccolo frammento di saluto che d? alla gente; vivere il tutto di amore dentro il piccolo amore che ho dentro casa mia, il tutto di gioia nella piccola gioia di un fiore. S. Paolo diceva: "Oggi ? il tempo", dunque il tempo ? oggi, adesso non domani e questo ? il segno della fedelt?. Quanti nostri amici ci lasciano perch? non trovano il frammento di vita nel gruppo.Quarto. In Geremia, capitolo 42, ? Dio che parla, c’? un brano che dice cos?: "Vi dar? un altro cuore e un’altra maniera di agire, cos? da fidarsi di me per sempre per il bene vostro e dei vostri figli. Concludo con voi un’alleanza eterna: non cesser? mai di seguirvi per farvi del bene e poi metter? nel vostro cuore una fiducia in me cos? che non vi allontanerete pi? da me. Io trovo la mia gioia nel farvi del bene e con tutto il cuore e con tutta la mia anima far? di tutto perch? siate solidamente piantati nella vita, nella societ?, nel paese dove vivete". E ancora: "Sei tu un figlio cos? follemente amato, che tutte le volte che penso a te, le viscere mi si ribollono dentro?Carlo Molari fa una lunga riflessione su questi tempi, pensieri che io traduco cos?: "A volte noi cerchiamo di fare cose significative, in realt? ogni cosa ? e non ? significativa: ? l’atteggiamento con cui io affronto ogni cosa che la d? significato o non lo d?. Se io vengo qui con voi con un atteggiamento di disponibilit? all’incontro, pu? essere una giornata semplicissima; se invece vengo con un atteggiamento diverso, vi pu? essere l’incontro anche con la personalit? pi? grande, ma questo incontro non avr? senso, dipende da me, se ho fede, se dentro di me sono una fonte.In Brasile non si parla di fonte, esiste l’occhio d’acqua, la polla d’acqua che emerge dalla terra, sempre nuova e fresca. Se hai fede dentro di te, ? come una polla che continua a rigurgitare acqua...

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Sempre Geremia mi ha sconcertato: "Costruite case e abitatele, piantate orti e mangiatene i frutti; prendete moglie e mettete al mondo figli e figlie, scegliete moglie per i figli e maritate le figlie: costoro abbiano figli e figlie. Moltiplicatevi l? e non diminuite. Cercate il benessere del paese in cui vi ho fatto deportare. Pregate il Signore per esso, perch? del suo benessere dipende il vostro benessere". Non esiste alcuna situazione frustrante dove io non possa essere felice, anche in una situazione di schiavit? io devo costruire casa, devo fare come se per tutta la vita sar? schiavo, e dovr? fare figli e pensare al domani e lavorare per il bene del paese dove sono schiavo perch? il mio bene dipende dal bene del paese dove sono esule.Questa ? la gratuit?, che interessa anche la politica, quella politica che, siccome non hai vinto, ti spingo ad un ostruzionismo per cui chi ha vinto non possa governare: questo lo sta facendo il centro-destra, cos? come - a suo tempo- lo ha fatto la sinistra. Questo per sottolineare la necessit? di essere all’opposizione quasi schiavi, in una situazione di esilio, in una societ? che non voglio, ma nella quale devo collaborare per il bene, anche se non ? il tutto che io desidero.

 

IL RAPPORTO CHIESA - MONDOil ruolo dei laici16 novembre 1997

 

Don Giuseppe Pasinigi? Direttore della Caritas 

Sono contento di essere con voi, questo incontro ?, per me, un ritorno alle origini nel senso che negli anni in cui sono stato Assistente nazionale delle ACLI, accanto a Mons. Cesare Pagani, sono stati anni caldi (1967-1971) con la rivoluzione studentesca del ‘68 e altro ancora. Devo dire che - anche per la mia vita sacerdotale - sono stati anni assai ricchi proprio perch? inseriti in problematiche molto vive che poi mi sono servite in ambito Caritas dove ho iniziato a dare il mio apporto a partire dal 1972, portando l? la tensione legata alla giustizia e ai diritti umani; tutte tematiche inserite nella pastorale della carit? che poi sono state sviluppate, in quell’ambito, negli anni successivi.Il tema sul quale oggi mi ? stato chiesto di parlare ? quello del "rapporto chiesa-mondo, ruolo dei laici".

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Faccio un’introduzione al tema con una sottolineatura sull’importanza e sull’attualit? di questo argomento, accennando a degli elementi che, mi sembra, spingano a considerazioni importanti:

La preparazione del Giubileo porta avanti l’idea di liberazione dalle vecchie e nuove schiavit? (prostituzione, sfruttamento lavorativo, problematiche sociali). C’? inoltre, nel Giubileo, il tema del riposo della terra, quindi il ricupero di un rapporto corretto con la creazione e il tempo del riposo e della festa. E poi ? presente l’idea dell’annuncio della buona notizia ai poveri: sappiamo tutti che il problema della povert? del mondo ? strettamente legato al debito internazionale.

Il tema dello scollamento sociale, cio? la riduzione del senso di appartenenza della gente a una comunit? e quindi ai doveri che ne derivano quali: la responsabilit? reciproca, la partecipazione (ricordo che alle ultime elezioni il primo partito ? stato quello dei non votanti) anche a livello ecclesiale, con un calo di presenze alle scuole socio-politiche e nel volontariato, sia per qualit? che per quantit?.

L’accelerazione del cambiamento esistente nel mondo in generale: pensiamo alla globalizzazione, ai riflessi che questa ha sull’occupazione, ai problemi etici nuovi che emergono, per esempio la liceit? o meno di trasferire capitali all’estero o la chiusura di fabbriche perch? le stesse, impiantate altrove, implicano meno costi del lavoro e pertanto maggiori guadagni. E poi le tendenze di modifiche istituzionali che investono tutti i cittadini e, ancora, l’allargamento del sociale al terzo settore.

Il rischio presente nella chiesa: di fronte alla complessit? dei temi che si presentano, fa capolino la tentazione di ritirarsi "dentro le mura", curare il nostro orticello senza farsi carico dei problemi che stanno "oltre le mura"; il rischio ? quello di creare una spiritualit? che ? spiritualismo, mentre la spiritualit? ? vivere secondo lo spirito la cui opera pi? grande ? l’incarnazione del Verbo.

Detto questo noi non possiamo pensare di vivere secondo lo Spirito se non incarniamo le idee e le verit? traducendole in atti concreti. Viceversa lo spiritualismo sublima tutto, stando per? ben lontano dai problemi del mondo e di fronte alle resistenze che si incontrano. Io colgo il rischio di ritirarsi in buon ordine rispetto alle presenze profetiche che invece sono pi? necessarie che mai.Nella mia zona, il Nord-Est, ho notato che, di fronte alla presenza massiccia della Lega, gli stessi preti stanno attenti a non pronunciarsi mai su argomenti

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che dovrebbero interessare tutti, pena la spaccatura della comunit?. Ma la comunit? ? gi? spaccata.I motivi qui elencati esigono di affrontare il rapporto chiesa-mondo da diverse angolature:

una chiarificazione sui termini e sugli atteggiamenti, ovvero che cosa intendiamo dire quando parliamo di chiesa-mondo;

la missione della chiesa nel mondo nel senso che la chiesa ? chiamata a vivere nel mondo, ma per fare che cosa? Qual’? il suo ruolo?

la presenza e il ruolo dei laici oggi in rapporto a situazioni emergenti.

Dunque cosa vuol dire parlare di mondo e di chiesa?Intanto quando parliamo di mondo, possiamo accennare del mondo inteso come ambiente fisico con tutte le sue risorse: sappiamo che il Signore le ha affidate all’uomo, a tutti gli uomini perch? le usino ma non le sciupino. Se queste risorse oggi non sono di tutti gli uomini, ci? vuol dire che abbiamo tradito la volont? di Dio. "Tutti" vuol dire in orizzontale per le generazioni di oggi, per cui bisognerebbe evitare sperequazioni scandalose e capire il significato del valore sociale della propriet?; in verticale vuol dire vivere queste risorse non solo per oggi, ma anche per le generazioni successive. Quindi non possiamo distruggere queste risorse perch? non sono nostre, ma dovremmo trattarle in modo tale da poter ripetere i sentimenti di Dio espressi nella Bibbia: dopo ognuno dei sette giorni della creazione, Dio guard? la sua opera "e vide che era una cosa buona".Noi dovremmo sistemare la nostra convivenza dentro questo ambiente in modo da poter respirare aria non inquinata, oppure poter bere acqua che non sia minerale. In sostanza dovremmo poter dire che nulla ? stato rovinato da noi.Un’altra accezione quando si parla di mondo ? quella di intendere l’umanit? intera. L’umanit? sono tutti gli uomini (passati, presenti, futuri) e noi, come credenti, dovremmo rapportarci ad essa in maniera simile a quella in cui vi si ? rapportato Dio che ha considerato l’umanit? il punto terminale del suo amore: "cos? Dio ha amato il mondo, da mandare suo figlio".L’amore del figlio ha reso questa umanit? Corpo mistico di Cristo, per questo siamo diventati parte di un unico corpo, dentro il quale ci sono leggi precise, le stesse presenti nell’organismo umano: sono le leggi dell’uguaglianza di tutte le membra (lo dice S. Paolo) per cui tutti abbiamo uguale dignit? a prescindere dall’essere acculturati o ignoranti, bianchi piuttosto che neri.C’? la legge del sangue, della linfa che, fuor di metafora, significa che i beni necessari per vivere devono essere accessibili a tutti: se, per ipotesi, una

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parte del nostro organismo trattiene per s? linfa e sangue privandone altre parti, si dice che il corpo ? malato. Noi purtroppo non avvertiamo la malattia quando abbiamo delle forti concentrazioni di ricchezze e beni in alcune persone a scapito di molte altre (nel mondo ci sono quattrocentotrenta persone che posseggono la met? della ricchezza mondiale!).Allora ? necessario il senso di corresponsabilit?, nel senso che noi dobbiamo rispondere di altri, di questo abominio, altrimenti siamo come Caino il quale viene condannato non quando ha ammazzato Abele, ma quando - dopo averlo fatto - a Dio che lo interroga, risponde "sono forse io il custode di mio fratello?".E poi, proprio perch? il corpo ? di tutti, ? necessaria l’attenzione preferenziale per le fasce deboli in quanto pi? bisognose di protezione.Un’altra accezione del tema "mondo" ? l’organizzazione sociale ed economica dei servizi, cio? il modo in cui l’umanit? politica si ? organizzata. Quando parliamo del rapporto chiesa - mondo, vuol dire che la chiesa, cio? ciascuno di noi, deve rapportarsi con queste tre dimensioni, che questa organizzazione dovrebbe essere funzionale ad una certa visione di societ? che presenta in se stessa l’uguale dignit? delle persone e che dovrebbe essere tanto bene organizzata da permettere a tutte le persone di autorealizzarsi.Ricordo una piccola scuola elementare in Etiopia dove in una classe di quaranta bambini esistevano solo tre sussidiari: quegli scolari se li passavano, cercando di sbirciare quando il testo non era in mano loro, ma va da s? che a questi piccoli studenti non era permesso di realizzarsi pienamente dal punto di vista intellettuale.Lo stesso discorso pu? essere fatto per l’alimentazione e la salute e per altro. Una societ? ? ben organizzata quando ad ogni persona ? consentito di essere attore, cio? di dare il suo apporto perch? la comunit? cresca. Tutto questo ? il mondo.Il secondo termine ? la chiesa, che ? quel pezzo di comunit? che il Signore ha scelto per realizzare nella storia il mistero della salvezza: continuare quindi la strada dell’incarnazione, essere nell’umanit? sale e lievito, sentendosene parte viva e chiamata a trasformare il mondo dal di dentro con atteggiamento di accoglienza e di servizio. Il Concilio Vaticano II, all’inizio della Gaudium et spes dice che "le gioie, i dolori, le fatiche e le speranze degli uomini di oggi devono essere anche per gli uomini di domani", perch? non c’? nulla di genuinamente umano che non abbia ripercussione sul nostro animo. Continuatrice della missione di Cristo, questa chiesa, quindi una chiesa essenzialmente missionaria, non in attesa che gli altri vengano ad essa, ma che esca incontro agli altri. Questo significa rovesciare una logica dell’attesa presente nella chiesa: "ho la mia chiesa, il mio oratorio, chi viene vi trova accoglienza". E tutti quelli che non vengono? Quanto sono quelli che vengono? il 20%? E gli altri 80? Non sono tuoi? Per Cristo, per?, sono i suoi.

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E’ necessario quindi portare avanti il progetto dell’amore di Dio, quello che, attraverso la chiesa, la gente possa scoprire.Nel Convegno ecclesiale di Loreto, Giovanni Paolo II, riferendosi alla parrocchia disse che: "chiunque ad essa (la parrocchia) si accosta, dovrebbe toccare con mano l’amore di Dio".Se ci? non accade, abbiamo una comunit? che non tiene fede al progetto, quindi una comunit? infedele. Gli atteggiamenti che la chiesa dovrebbe avere di fronte al mondo per? sono altri, sono quelli che il Concilio Vaticano II porta avanti:

atteggiamento di simpatia, ovvero apprezzamento per lo sforzo che la societ? sta facendo per essere pi? umana. Simpatia vuol dire stimare e apprezzare il bene, chiunque lo faccia. S. Tommaso nella Summa Theologica sostiene che la verit?, chiunque la dica, viene dallo Spirito Santo; il bene, chiunque lo faccia, fosse anche un perverso, viene dallo Spirito Santo perch? ? soltanto Dio, lo Spirito d’amore, la sorgente della verit? e del bene. Se ? cos? per Dio, dovrebbe essere la stessa cosa per noi. E’ bene allora cogliere il nuovo con disponibilit? (anche in politica) e apertura.

atteggiamento di ottimismo. Un ottimismo cristiano, che non vuole dire ignorare il male, ma partire dalla certezza che Cristo ? il cuore del mondo e proprio perch? vi lavora abbiamo il senso della speranza che dice che comunque il bene finir? per trionfare.

atteggiamento di collaborazione: se la simpatia ? autentica, se l’ottimismo ? vero, allora bisogna lavorare nel mondo a servizio dell’uomo, per un mondo pi? solidale, considerando pi? quello che unisce piuttosto quello che divide. Il fatto che la chiesa sia al servizio del mondo e per il mondo, non significa affatto che sia la sola a dare, ? un discorso di reciprocit?, nel senso che ciascuno d? e riceve reciprocamente.

La missione della chiesa si pu? intendere in tre settori:1. spazio pedagogico

2. spazio formativo

3. realizzare la propria natura di coscienza critica e profetica nel mondo.

Spazio pedagogicoLa chiesa ? chiamata dalla propria fede nella Parola a educare se stessa e tutti i propri membri, mentre tutti noi siamo invitati a salvare i valori fondamentali relativi alle persone, alla famiglia, alla societ? e alla convivenza.

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Il rispetto alla persona che, in quanto tale, ? un valore assoluto, perch? ? il punto di arrivo del cammino di Dio e quindi ha valore sacro. Da qui il no all’aborto, all’eutanasia, ma anche all’emarginazione delle persone non produttive, non autosufficienti, proprio in forza della sacralit? della persona.Se ? vero che ogni membro ? parte attiva nella costruzione della societ?, dovremmo far s? che quando si parla del valore della partecipazione, non ci siano persone emarginate cio? che i poveri abbiano diritto di parola e gli handicappati possano partecipare alla vita. Per esempio, il 95% delle stazioni ferroviarie italiane non ? accessibile a chi ? in carrozzina o a una persona anziana con difficolt? motorie. Bisogna allora scendere nel concreto, saper leggere intorno a noi per vedere se questi valori sono disattesi o resi vivibili da tutti.Anche il dovere della distribuzione delle risorse economiche sulla base delle priorit?, sono valori dei quali ? necessario tener conto. E’ giusto che alle fasce pi? deboli bisogna lasciare di pi? e noi abbiamo il dovere (anche a livello di comune) di verificare come venga usato quel margine di discrezionalit? esistente in alcune voci di bilancio. In sostanza, la priorit? si d? alle cose pi? gravi o a quelle elettoralmente pi? produttive?In questo contesto la chiesa dovrebbe lavorare molto per inserire in se stessa, cio? nei cristiani, i valori portanti della nostra fede, per poi trasformarli e tradurli in atti concreti.Spazio formativoUn ulteriore spazio che la chiesa ha ? quello della formazione dei quadri. Bisognerebbe valorizzare le scelte di impegno politico e incoraggiarle, soprattutto in questi anni, dove ? presente un disamore crescente e strisciante nei cristiani, rispetto ad un loro possibile impegno politico a favore del volontariato che ? certo buona cosa ma, se manca l’impegno politico, la causa del bene comune non far? alcun passo in avanti, cos? come non lo far? il cambiamento per la salvezza dei poveri.Quindi formazione dei quadri, sfruttando tutte le occasioni storiche presenti e le opportunit?: cosa ne fa la Caritas di tutti gli obiettori che passano da lei? A fine ferma li lascia andare tutti o di quel vivaio numeroso qualcuno rimane? Oltretutto con la soppressione della leva militare, salta tutto quel contenitore di potenziali forze nuove.Spazio di coscienza critico-profeticaCritico vuol dire che, proprio perch? ci sentiamo in cammino verso la parusia, non dovremmo mai sederci di fronte ai risultati ottenuti, ma spingere sempre per migliorare. Significa anche abituare la gente ad essere attiva quando ? compromessa la causa dei poveri, trovando strade nuove di fronte a disvalori.Coscienza profetica vuol dire aprire strade nuove e di rinnovamento. Ges?, parlando della carit?, ha detto: "Vi d? un comandamento nuovo". Noi, di

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solito, intendiamo "nuovo" perch? Ges? si ? donato, perch? egli lo ha vissuto. Ma ? "nuovo" perch? deve portare novit? nel mondo, perch? gli altri devono accorgersi di questa novit? e ci? succede se sappiamo creare cose nuove, se sappiamo rinnovare il mondo, il partito, il sindacato, la convivenza tra le persone, le forme di partecipazione.Qui entrano in gioco le capacit? innovative che possono essere i centri di ascolto, gli osservatori sulle povert?, i servizi nuovi in rapporto ai bisogni emergenti. In tempi passati, don Ciotti e il gruppo Abele avevano creato la cosiddetta Universit? della strada, composta da persone capaci di dialogare con i ragazzi a livello di prevenzione, prima che entrassero nell’emarginazione. Per quanto riguarda la chiesa, le prime comunit? terapeutiche sono maturate in questo ambito e qui si ? avvertita una presenza critico-profetica nuova.E’ importante allora che noi abbiamo il senso della profezia, che ci abituiamo a scoprire i bisogni scoperti, quelli di cui in questo momento non si occupa nessuno e, pertanto ? necessario che troviamo modalit? esemplari di risposta a questi bisogni.Lo stesso papa Giovanni Paolo II, in una lettera alle persone anziane, dice che "per dare una risposta vera ai bisogni degli anziani, questa non ? la casa di ricovero per anziani, la risposta vera, ? la loro casa e noi dobbiamo fare di tutto perch? possano restarvi e che vi possano essere servizi che consentano la loro permanenza".Questa ? una forma di risposta nuova, perch? oggi c’? una tendenza a ritornare al passato. a spedire l’anziano in casa di ricovero, adducendo i motivi pi? svariati. Non possiamo accettare questa logica vecchia, pur se noi sosteniamo di essere nel comandamento nuovo.Sulla scuola e, soprattutto, scuola cattolica c’? stata e c’? una grande battaglia, ma in questo ambito, ci interessa che esistano le scuole nostre oppure ci interessa che le scuole siano vere? Se non ? cos?, cosa si vuole salvare, l’etichetta? La scuola cattolica ? tale perch? dedica due ore di religione alla settimana o anche per qualcos’altro? Che cristiani escono dalle scuole cattoliche? Sono testimoni di cambiamento nel mondo oppure no? Sono aperti agli interessi sociali o sono chiusi e borghesi come gli altri? Se le scuole cattoliche non producono queste sensibilit?, allora non sono segno di cristianesimo!Se ? vero che il prodotto finito della catechesi ? il testimone, chi fa doppia quantit? di catechismo dovrebbe uscire dalla scuola "testimone al quadrato". Intendo non ragazzi che sanno pi? catechismo, ma ragazzi che sanno testimoniare.Questa scuola dovrebbe impegnare i suoi ragazzi nel servizio ai poveri durante l’orario di studio ed essere parte integrante del progetto educativo.

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C’? un’altra dimensione nella chiesa, quella di sforzarsi di essere se stessa, quella di vivere al proprio interno le dimensioni ideali di una societ?, cio? di rispetto e di valorizzazione dei propri membri, nella scelta preferenziale degli ultimi, nella trasparenza nei rapporti e nei bilanci. In sostanza, tutte le cose che diciamo per il "fuori" dovremmo cominciare a viverle "dentro" la chiesa, usando l’autorit? nell’ottica del servizio e nella capacit? di perdono.Da ultimo, parlando di laici cristiani come espressione di chiesa nel mondo, bisogna sottolineare che il dovere dei laici di essere parte attiva nel mondo non nasce da un comando della chiesa, n? da una autorizzazione dell’autorit? ecclesiastica, ma nasce dal loro battesimo e pertanto ? un dovere primario. Lo dicessero o non lo dicessero i preti o i vescovi, i laici hanno il dovere, per il battesimo, di essere dentro, perch? se la chiesa ? tutta la comunit? ed ? chiamata ad essere lievito nella pasta, chi ? dentro di essa sono soprattutto i laici, che troviamo nel tessuto sociale, nelle organizzazioni, mentre i preti sono in chiesa.Ecco allora che, se i laici non sono lievito, la chiesa non sar? mai l?, neanche se fa cento prediche. Ricordiamo che la presenza dei laici attraverso la testimonianza ? una forma concreta di evangelizzazione, un modo per annunciare il Vangelo, soprattutto nella dimensione della missione.Dicevo all’inizio che coloro che frequentano la chiesa non arrivano al 20% della popolazione, il che significa che l’80% ? fuori. Noi, per natura, come chiesa, abbiamo l’obbligo - impostoci da Ges? - di annunciare anche all’80% che ? fuori un annuncio di testimonianza ma se questo manca, noi riduciamo la nostra chiesa ad essere ovile chiuso, non una chiesa aperta.Ecco le strade della testimonianza personale (condivisione, stile di vita, nonviolenza) e quella della professione: noi non possiamo parlare di legalit? e nel contempo essere evasori fiscali, non possiamo parlare di trasparenza e poi fare uso di tangenti, non possiamo parlare di pulizia civica e poi avere lavoratori in nero.Infine la partecipazione nella vita sociale, essere dentro la scuola, i distretti socio-sanitari, i sindacati, la difesa dell’ambiente.Le sensibilit? da privilegiare sembrano essere l’attenzione ai poveri, ai diritti negati, la prevenzione rispetto all’assistenza e alla semplice terapia che deve entrare nel regime sanitario giocando cos? d’anticipo come diritto sulle emergenze naturali e sulle malattie. Prevenzione che si deve applicare al mondo giovanile: se non spendiamo soldi per creare luoghi di socializzazione si ha la cultura della strada, della pasticca.E poi impadronirsi delle regole dell’economia e della finanza perch? queste oggi sono le chiavi per creare un mondo, con certe caratteristiche piuttosto che un altro mondo con caratteristiche diverse. E ancora, ricuperare l’ottica della solidariet? nella coscienza sociale.

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Chiudo con una considerazione: sono rimasto molto rammaricato quando il Parlamento italiano ha deciso di eliminare la leva militare: so da me quanto sia inutile per il modo in cui essa ? gestita ma se fosse stata pensata come occasione per tutti i giovani di dare gratuitamente parte della loro vita allo Stato per la difesa e la solidariet? con chi e per chi ? nel bisogno, si sarebbe creato nella coscienza pubblica un qualcosa che valeva la pena di fare.Il lamento di tanti giovani era che la leva era tempo perso, tanto ? vero che gli obiettori di coscienza funzionavano: infatti da una inchiesta risulta che il 60% di essi ha continuato a impegnarsi in organizzazioni varie.Questo ? un errore politico enorme, perch? non tiene conto del bisogno di solidariet? nella gente, la gente che tende solo ai propri interessi in un clima strisciante di egoismi.Siamo in una fase storica nella quale non si pu? dire che le prospettive siano incoraggianti, ma proprio perch? siamo in una visione di fede in cui Cristo ? il cuore del mondo, dobbiamo saper procedere nel segno del coraggio e della speranza.

 

Dai lavori di gruppo 

Il laico in politicaE’ emerso dal dibattito la necessit? della formazione del laico che si vuole impegnare in politica. La formazione dovrebbe iniziare dai giovani a livello di oratorio. Ci? avviene raramente, forse perch? non si tiene conto dell’importanza di questo tipo di preparazione. Le stesse ACLI devono acquisire capacit? critica in questo ambito, aiutando il laico a porre al centro del suo operare la persona.Si ? considerata la scarsa disponibilit? all’impegno, talvolta dovuta al lavoro, al lavoro a turni, a ciclo continuo, compresi i festivi, per cui vi ? impossibilit? a trovarsi fisicamente.Da ultimo la professionalit? nell’impegno accettando incarichi anche in politica o a livello amministrativo che sappiamo poter espletare nel modo migliore perch? formati e informati in un certo campo, piuttosto che subire passivamente qualsivoglia proposta, giusto perch? "? importante occupare una poltrona". Compito delle ACLI ? allora quello di risvegliare questa coscienza critica. 

Il laico di fronte alla Parola di DioIl nostro gruppo doveva riflettere sulla figura del laico che si rapporta con la Parola di Dio. In questo senso la relazione di don Pasini non ci ha offerto spunti precisi in merito, comunque, collegandoci alla traccia che ci ? stata

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data, abbiamo riconosciuto la nostra ignoranza nei confronti della Parola di Dio dovuta anche ad errori pedagogici da parte della Chiesa stessa, specie in passato. E’ indubbio comunque che per la maggior parte dei cristiani il tutto si riduce alla "spruzzata" domenicale durante la Messa.Questo ha portato a chiederci come viene accolta questa Parola all’interno della chiesa, tenendo conto che il momento dell’Eucarestia non deve essere il solo momento significativo pur se importante e fondamentale. Da tutto questo la necessit? di una conoscenza del contesto storico per capire meglio il messaggio che viene dalla Parola di Dio tenendo conto, per?, che esiste anche un approccio di Fede che porta la persona ad abbandonarsi all’ascolto attraverso l’azione dello Spirito. Lo Spirito che ? pi? facile trovare nel confronto comunitario con il dialogo e che deve portare il cristiano a momenti di verifica che pu? essere personale o comunitaria, sul modo di essere cristiani a partire dalla Parola del Signore. Come aclisti sarebbe il caso di rivalutare " la Parola ai piccoli " riproponendola ai vari circoli nelle rispettive comunit?.Il laico nella comunit? cristianaAbbiamo letto la lettera del Cardinal Martini "sull’operare scelte coraggiose, serene e di speranza". Ci siamo chiesti come riuscire a tradurre nella concretezza quotidiana e del lavoro i valori in cui crediamo: avere il coraggio di ribellarsi alla realt? che ci circonda ? molto difficile, cos? come lo ? calarsi nella realt? altrui; certo ? pi? facile stare zitti, per? questo ? dannoso. Quindi ci vuole il coraggio di testimoniare con gesti un sorriso, una stretta di mano, la Fede che Dio ci dona.Inoltre in questo mondo continuamente in corsa ? necessario affrontare la fatica di fermarsi, specie in un futuro assai vicino quando in prossimit? del Natale il supermercato diventer? la santa Messa della domenica.Bisogna dire no a tutto questo e recuperare il senso della famiglia e della festa. E’ stato anche detto che oggi si preferisce dialogare con il computer piuttosto che con un collega. Dobbiamo invece dialogare con le persone, alimentandoci con la Parola di Dio e con i Sacramenti. Tutto questo esercitando la pazienza che ? una grande virt?.Rifacendoci inoltre a quanto detto dal relatore, ? necessario impadronirsi delle regole dell’economia e della finanza, quindi un maggiore impegno in politica per incidere di pi?. Da qui la sfida del cristiano per portare il nuovo, con coraggio e seminare nel nostro piccolo per raccogliere in futuro.Dialogo ecumenicoAbbiamo iniziato con un breve excursus storico sulla nascita e sull’attenzione mondiale, a partire dall’incontro di Basilea nell’89 per arrivare all’Assemblea di Graz tenuta nel giugno 1997.

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A Basilea con l’incontro di tutte le chiese cristiane d’Europa e dei vari gruppi di base all’insegna di "Pace, Giustizia e salvaguardia del Creato", presupposto per iniziare un cammino di intesa fra tutti i cristiani. Con l’appuntamento di Graz l’ecumenismo ha fatto altri passi pur tra difficolt? di rapporto tra i cattolici e gli ortodossi, a causa del proselitismo da parte nostra, iniziato subito dopo la caduta del muro di Berlino e finalizzato a convertire gli ortodossi alla fede cattolica. Anche la pretesa di esportare la nostra mentalit? economicistica, il nostro liberismo, ? stato motivo di contestazione da parte dei Vescovi orientali.Dopo queste premesse ? facile accorgersi che nelle nostre singole comunit? i risultati positivi sono stati praticamente molto pochi; forse l’ecumenismo disturba i piani delle nostre comunit? locali.Certo si organizza ogni anno la settimana di preghiera per l’unit? dei cristiani, ma in sostanza, la problematica non attecchisce: forse c’? paura del confronto, in quanto non siamo abituati al dialogo con le altre confessioni religiose presenti massicciamente nel resto d’Europa.E’ certo che cos? facendo, le vecchie incrostazioni di incomprensione che si sono consolidate lungo il corso dei secoli, non verranno facilmente rimosse. In questa situazione viene allo scoperto la responsabilit? di noi adulti, che nei confronti dei giovani non abbiamo dato e non diamo una adeguata informazione sulle problematiche ecumeniche e sulle differenze esistenti fra cattolici e protestanti o fra cattolici e ortodossi.Sar? allora compito nostro (anche di noi che ci troviamo qui) essere promotori e stimolatori di queste informazioni, sensibilizzando i nostri sacerdoti, spingendoli ad attivarsi in tal senso.In conclusione, ? necessaria una adeguata informazione sull’ecumenismo, base essenziale per le nuove generazioni per crescere in una dimensione pi? reale, che ? quella multietnica, multiculturale e multireligiosa. 

OMELIA della S. Messa 

La lettera di S. Paolo ai Tessalonicesi che abbiamo appena letto, ? vista come il primo libro del Nuovo Testamento, in quanto considerato lo scritto pi? antico, datato intorno gli anni 50, dunque pochissimi anni dopo l’Ascensione del Signore.Presso i cristiani del tempo si era diffusa l’idea che il ritorno ultimo del Signore fosse imminente, in alcuni questa attesa aveva creato una sorta di abbandono e di disimpegno, tanto che S. Paolo li riprende sui doveri reciproci della comunit?, fino ad arrivare a dire che "chi non lavora non mangi".Il brano letto poco fa riflette un’altra mentalit? allora presente: nella comunit? cristiana si immaginava che quando il Signore fosse venuto, sarebbe stato

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come quando arriva l’imperatore: grande corteo, certo, ma formato da chi? Certamente da loro in prima fila, con al seguito i morti risorti.Anche in questo caso S. Paolo li mette in guardia dicendo loro che non si sa quando il Signore arriver?, ma proprio per questo bisogna essere preparati. In ogni caso saremo tutti alla pari ma l’importante ? essere preparati. La stessa prospettiva esce dal brano del Vangelo con l’immagine delle vergini: era tradizione che alla vigilia delle nozze, la sposa e le sue amiche d’infanzia, facessero corteo insieme e insieme andassero a ricevere lo sposo che veniva a prenderle, per poi recarsi al luogo delle nozze. L’olio delle lampade viene interpretato come la Parola di Dio, tanto ? vero che un salmo recita "lampada ai miei passi ? la tua Parola". Una parola per? non solo concepita in termini di "pronunciato" ma che deve anche essere una parola "costruita" lasciando a noi il dovere di trasferirla nella vita, in una spiritualit? incarnata.Fare la Parola di Dio nella vita significa carit? che ? poi testimonianza dell’amore di Dio e questa ? considerata dalla chiesa la forma pi? efficace dell’annuncio della Parola.Ora, perch? chi ci osserva e ci ascolta si senta provocato a capire Dio, bisogna che questa testimonianza di amore rifletta la carit? di Dio e ne abbia le stesse caratteristiche, una delle quali - molto importante - ? la gratuit?. Soprattutto oggi, immersi come siamo nella logica del profitto, non si fa un passo senza che vi sia una controparte vantaggiosa. L’agire gratuitamente diventa provocazione a chi sta dietro a certi comportamenti altrimenti incomprensibili.Una seconda caratteristica dell’amore di Dio ? la condivisione: Dio si ? fatto uguale a noi, dentro di noi, (tranne il peccato) tanto da poterci chiamare figli di Dio. Allora la nostra carit? diventa annuncio, se supera la dimensione dell’elemosina per diventare condivisione. Questi sono due atteggiamenti molto diversi: l’elemosina ? dare qualcosa del nostro superfluo, condivisione vuol dire considerare me stesso e quanto sono e posseggo, mio e degli altri.In sostanza, il conto in banca, la professione ? roba mia e degli altri; roba mia perch? chiamato a trattenere per me il necessario a una vita dignitosa e onesta, tutto il resto non mi appartiene.Intorno a questo argomento i Padri della chiesa sono chiarissimi: quello che non ti serve per la tua vita, appartiene a chi rischia di morire perch? non ha il necessario. Qui si potrebbe evidenziare il grande problema del debito dei Paesi del terzo mondo! Si fa alla svelta a raccogliere miliardi; per esempio, se ciascun cristiano praticante italiano desse ?. 10.000 in un anno, siccome chi va regolarmente a Messa ? il 20% su una popolazione di sessanta milioni di persone, ne risulta che queste dodici milioni di persone raccoglierebbero 120 miliardi di lire.Questo per? non risolverebbe il problema di fondo, sarebbe solo un bel gesto compiuto insieme: bisognerebbe invece che ciascuno di noi facesse altro.

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Se crediamo che il fine dell’anno santo ? la liberazione dei popoli dalla schiavit?, bisogna fare cose serie.Nell’Antico testamento era in uso la cosiddetta "decima" ovvero la decima parte del raccolto veniva destinato al tempio e ai poveri. Questa ? condivisione e noi dovremmo arrivare a fare altrettanto con quello che possediamo. Certo, ? una scelta impegnativa, ma ? questa la sfida del credente che agisce in un certo modo perch? si fida di Dio. Se la nostra carit? non rispetta la carit? di Dio, allora ? normale che si agisca come tutti, tanto che la gente non si accorge della presenza dei cristiani nella comunit?.Se invece la Parola di Dio ? entrata e si trasforma in vita, allora diventa un annuncio: ? questa la maniera di attendere il Signore, senza angosce, anzi godendosi la vita, ma facendo s? che la gioia non sia solo di alcuni, ma sia condivisa da tutto il popolo.

 

Abramo vide tre uomini che stavano presso di lui(Gn 18,2)

Sara tua moglie avr? un figlio(Gn 18,10)

8 ottobre 2000 

Raniero La ValleGiornalista 

Credo che, come inizio, sia bene leggere il passo biblico che ci interessa, anche perch? l’incontro a Mamre tra questi tre personaggi e Abramo ? un racconto di accoglienza e, visto che la casa in cui ci troviamo ? una casa di accoglienza, mi pare oltremodo adatto:"Il Signore apparve ad Abramo alle Querce di Mamre mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora pi? calda del giorno. Egli alz? gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostr? fino a terra, dicendo: "Mio Signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ di acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Permettete che vada a prendere un boccone di pane e rinfrancatevi il cuore, dopo potrete proseguire perch? ? ben per questo che voi siete passati dal vostro servo". Quelli dissero: "Fa pure come hai detto". Allora Abramo and? in fretta nella tenda da Sara e disse: "Tre staia di fior di farina, impastala

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e fanne focacce". All’armento corse lui stesso, Abramo, prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo che si affrett? a prepararlo e lo porse a loro. Cos? mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono. Poi gli dissero: "Dov’? Sara, tua moglie?". Rispose: "E’ l? nella tenda". Il Signore riprese: "Torner? da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avr? un figlio". Intanto Sara stava ascoltando all’ingresso della tenda ed era dietro di lui. Abramo e Sara erano vecchi, avanti negli anni; era cessato a Sara ci? che avviene regolarmente alle donne. Allora Sara rise dentro di s? e disse: "Avvizzita come sono dovrei provare il piacere, mentre il mio signore ? vecchio!" Ma il Signore disse ad Abramo: "Perch? Sara ha riso dicendo: potr? davvero partorire perch? sono vecchia? C’? forse qualche cosa impossibile per il Signore? Al tempo fissato torner? da te alla stessa data e Sara avr? un figlio". Allora Sara neg?: "Non ho riso!", perch? aveva paura, ma quegli disse: "S?, tu hai proprio riso". (Gn. 18, 1-15)E’ il racconto straordinario di una visita e di una accoglienza. Sappiamo che, in effetti, Sara genera un figlio che si chiama Isacco: Isacco vuol dire precisamente "colui che ha riso" e questo nome ? certamente legato alla storia che abbiamo letto. Si ride perch? non si pensa che Dio possa fare cose straordinarie, cos? l’uomo ride, ma intanto le cose straordinarie avvengono.Noi dobbiamo riflettere su questa visita e, prima di tutto, dobbiamo dire che ? una visita misteriosa, in quanto questi tre uomini che arrivano non si sa chi siano: noi sappiamo che era il Signore, ce lo dice la Bibbia, ma Abramo non lo sa, cos? come non lo sa Sara. 

Quando noi riceviamo una visita, essa ? sempre un’incognita: non sappiamo chi veramente siano coloro che ci visitano e che cosa rappresenteranno per noi; credo che noi dobbiamo essere molto vigilanti e disponibili, perch? la visita che arriva, anche quelle inaspettate, possono essere il Kairos. Che cosa ? il Kairos? Voi sapete che c’? una rappresentazione del tempo come successione di momenti, di avvenimenti, ? il tempo cosiddetto cronologico, che infatti in greco si chiamo kronos, ed ? quello che noi conosciamo, in quanto ? misurato attraverso una successione.Spesso questo tempo ci appare come omogeneo e vuoto, dove non accade nulla di importante; il Kairos ? un altro nome per denominare il tempo e lo identifica in quanto esso irrompe e introduce nella sua successione ordinaria una novit?.Il tempo come Kairos ? quello che, nel Nuovo Testamento, San Paolo chiamer?: "tempo accettabile" cio? il tempo in cui si compie l’evento della salvezza, per? perch? questo Kairos accada, esso deve essere visto come occasione da cogliere.

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In un quadro di Donatello c’? una raffigurazione del Kairos nelle sembianze di un fanciullo con il ciuffo e con le ali, che passa e che noi dobbiamo saper afferrare. A Roma, in piazza Montecitorio, vi sono tre rappresentazioni del tempo: c’? il grande orologio, il cronos del tempo tradizionale, c’? un obelisco (che ? poi una meridiana) a poi c’? il Kairos che si trova sopra al pinnacolo di Montecitorio, dove c’? una clessidra (anch’essa misura del tempo) con le ali.Vi ho fatto questa riflessione sul Kairos, perch? credo che nel tempo che stiamo vivendo, le cose pare che non vadano molto bene. Noi oggi, apparentemente, abbiamo solo due alternative: una ? la disperazione, l’altra potrebbe essere l’alternativa apocalittica, quella di dire che s? le cose vanno male, per? alla fine arriver? la salvezza, rimandata per? in un tempo lontano, fuori dalla storia. Questa convinzione ? un classico del pensiero apocalittico che non crede al mondo.C’? un pensiero apocrifo di Esdra, contemporaneo di Ges?, dice che Dio ha creato due mondi: il primo dove siamo noi, gli ? riuscito male vista la presenza della malvagit? e del peccato e il secondo che si trova in cielo, ma che un giorno arriver? e sostituir? l’attuale mondo malvagio.In tutto questo ? s? presente una speranza ma che certo non medica le ferite dei poveri, dei maltrattati, degli uccisi, degli affamati della terra. Ma allora, di questo mondo che Dio ha amato e plasmato con le sue mani, in cui siamo nati attraverso una lunga catena di generazioni, che cosa ne facciamo?Si capisce che tra la prospettiva della disperazione e quella apocalittica, noi saremmo del tutto disarmati.C’? allora una terza strada, quella appunto del pensiero kairologico, cio? sapere che nella vita e nella storia, in un certo momento pu? accadere qualcosa, che non ? miracolo. ma ci? che la storia stessa genera e produce e che ? occasione da cogliere. C’? un pensatore marxista, Walter Benjamin il quale, nelle sue tesi di filosofia della storia, sostiene che il tempo non ? omogeneo e vuoto, perch? proprio in questo tempo vi possono essere quelle che egli definisce "irruzioni messianiche" concentrazioni di un tempo che, pur essendo l’attuale, gi? ? l’inizio di un tempo diverso.Inoltre Benjamin dice che agli Ebrei fu proibito dalla Bibbia di divinare il futuro e voi sapete che gli Ebrei sono gli uomini della memoria, quelli che ricordano che Dio li ha liberati dalla schiavit?, quindi la loro attenzione ? tutta poggiata sul passato.Dunque veto a divinare il futuro, questo per? non ha fatto s? che per gli Ebrei il futuro fosse un tempo omogeneo e vuoto, perch? (? sempre Benjamin) "ogni attimo pu? essere la porta dalla quale viene il Messia".Noi dobbiamo vivere la storia ma dobbiamo sapere che non tutto ? consumato, non tutto ? determinato e che la storia ? capace di sorprese. Se noi ripensiamo alla storia del secolo appena concluso, che pure viene presentato come il secolo dei grandi genocidi e dei grandi totalitarismi,

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notiamo che, in realt?, in questo secolo vi sono stati degli straordinari Kairos: pensiamo al momento della fine della seconda guerra mondiale, dopo la Shoah, dopo l’aberrazione del nazismo, cosa ? stato quel momento in cui ? sembrato che tutto si potesse ricominciare daccapo, in un mondo diverso, dove addirittura la guerra veniva messa fuorilegge e i paesi che la propugnavano venivano messi sotto accusa, l’abbattimento degli imperialismi e dei colonialismi, la nascita dell’ONU, l’idea di un diritto internazionale valido per tutti al di l? dei poteri statuali, l’affermazione dell’uguaglianza di uomini e donne.Pensate all’articolo 3 della nostra Costituzione: dice che non solo la Repubblica riconosce l’uguaglianza, ma deve rimuovere le condizioni economiche e sociali che la impediscono. Questo ? uno straordinario Kairos e noi, in gran parte, ce lo siamo lasciati sfuggire, tanto da voler quasi tornare al passato, alle vecchie antropologie della disuguaglianza.Pensate ancora cosa ? stato, in questo secolo, il Kairos del Concilio Vaticano II, questa chiesa che, improvvisamente, con tutto il peso delle sue tradizioni consolidate e delle sue burocrazie che cercano di conservarla immutata, si ritrova Papa Giovanni con un Concilio che rimette tutto in discussione, che fa vivere una letizia nella fede che non era conosciuta prima e che ora, forse, stiamo perdendo.Dunque la storia ci dice che queste cose sono state possibili ma, nell’attesa, ? necessario essere vigilanti ed essere capaci di cogliere l’occasione: diversamente queste passano e noi neanche ce ne accorgiamo.In questi tempi, siamo tutti atterriti per quanto succede in Palestina. Troppi morti: si muore per la spianata del tempio, si muore nei territori, tanto da mettere in pericolo anche il processo di pace. Ma prima che questo accadesse, Barak ha detto che anche i Palestinesi devono avere la loro capitale a Gerusalemme: questa ? la prima volta che un Primo Ministro israeliano dice una cosa simile ? questo un fatto che cambia l’idea mitica di Gerusalemme capitale eterna e indivisibile di Israele.Barak inoltre ha sostenuto che certo resta indissolubile il rapporto tra l’ebraismo e lo Stato d’Israele, per? bisogna sapere separare la religione dalla politica. Queste parole non sono mai state pronunciate da nessun politico israeliano ed ? cosa molto importante che siano state dette, perch? certa tendenza fondamentalista ortodossa di Israele finisce per invadere tutto, per determinare scelte politiche e istituzionali.Diciamo allora che non dobbiamo vivere la storia con un senso di frustrazione e di disperazione, perch? qualcosa pu? accadere: possiamo essere visitati come Abramo ? stato visitato dai tre personaggi di cui abbiamo letto.Se dunque dobbiamo trarre delle conseguenze, anche pi? dirette e che riguardano la nostra accoglienza (nelle nostre case, nelle nostre associazioni) dello straniero e dobbiamo dire che essa non ? solo esercizio di ospitalit?, ma

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? il dichiararsi disponibili alla sorpresa, al Kairos, l’essere cio? in grado di riconoscere quello che l’altro - venendo da lontano - ti pu? portare: tu credi di fare un dono a lui, ma non sai che il vero dono ? quello che lui fa a te.E noi dobbiamo combattere per mantenere l’accoglienza in s?, vista che la societ? non solo la rifiuta, ma cerca di ridurci a una tale unit? e uniformit?, tanto che quando arriva l’altro, il diverso, non lo riconosciamo pi?. Uno dei modi con cui questa societ? vuole conservarsi cos? com’?, ? quello di intercettare il Kairos perch? esso, quando arriva, scompagina i giochi, apre nuove prospettive, annullando tutti i calcoli di potere. E i calcoli di potere non vogliono che noi manteniamo occhi e orecchie aperti per cogliere la novit? che arriva.Come si manifesta questa novit?? Si manifesta nel modo pi? semplice, come peraltro ha fatto Abramo : Abramo mette in campo tutte le risorse della sua povera ospitalit? di nomade: offre schiacciate con la farina preparata da sua moglie, vitello, latte cagliato, l’acqua per lavarsi. D?, in pratica, tutto quello che ha ed ? anche attraverso questa gestualit? cos? semplice che scatta il Kairos, che si produce l’annuncio: Sara avr? un figlio. Un fatto sconvolgente per la vita di Abramo e per la vita di Sara ormai vecchia e, pertanto, fuori dall’et? feconda: ? l’annuncio della realizzazione di una impossibilit?, ma questo ? ancora nulla, rispetto al miracolo che sar? compreso nelle generazioni dopo Isacco, ovvero tutta la storia del popolo di Dio, di Israele, della sua schiavit? e della sua liberazione dall’Egitto, fino ad arrivare alla nascita di Ges? e, infine, a noi.Fin qui tutto ? chiaro, l’insegnamento ? l’accoglienza che per? non significa accogliere comunque lo straniero il quale potrebbe venire con cattive intenzioni, con l’inganno. Cosa vuol dunque dire accogliere lo straniero? Vuol dire renderlo amico, cio? non farlo essere pi? straniero, in quanto il muro della separazione che ? proprio l’essere straniero, viene abbattuto da un rapporto amico fatto di gesti semplici, diventando in tal modo accoglienza nel profondo di quanto l’altro ha da dire della sua storia.Ora, chi ? lo straniero? Carl Schmitt, tedesco, teorico del diritto pubblico, dice che lo straniero altri non ? che il nemico e lo ? solo perch? "altro da me" ed ? proprio su questo che si organizza una politica fondata sulla contrapposizione tra noi e gli altri.Invece l’accoglienza ? tutto il contrario di questa tesi, perch? io non solo accolgo lo straniero bench? tale, ma faccio di tutto per renderlo meno straniero entrando in comunione con lui.Vorrei fare memoria di due momenti storici nei quali l’Europa ha avuto a che fare con gli stranieri e, dal modo in cui essa ha risolto questi incontri, la storia ha seguito una certa linea.

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Il primo momento ? quello accaduto alla fine del sesto secolo, nel 596: a Roma c’? il Papa Gregorio Magno, papa monaco, il primo che si firma "il servo dei servi di Dio" quando arrivano i barbari. Siamo alla fine dell’Impero antico, Gregorio ? Vescovo, ma anche amministratore e governatore della citt?, arrivano i Longobardi di Agilulfo che distruggono tutto e tutti. E’ talmente sconvolto da smettere di spiegare la Scrittura al popolo, ma cerca anche il rapporto con i Longobardi, cerca la pace con Agilulfo e, per questo, verr? definito traditore dall’Imperatore di Bisanzio. Poi incarica quaranta monaci del suo monastero di recarsi in Britannia ed ? cos? che il cristianesimo nasce in Inghilterra: l’Arcivescovo di Carterbury non ? altro che il successore del monaco mandato allora da Gregorio. Altri monaci andranno in Germania, in tal modo nasce una nuova Europa e Gregorio ha motivi di rallegrarsi perch? nuovi popoli si affacciano alla storia e nuove lingue proclameranno l’Alleluja.Gregorio ha colto il Kairos e da l? ? nata l’Europa, dall’intreccio tra popolazioni anglosassoni e popolazioni di tradizione semitica, ebraica e cristiana.Un secondo momento da ricordare ? di mille anni dopo, quando l’Europa conquista l’America e c’? una grande occasione di incontro con i popoli nuovi e con culture grandissime: infatti le culture maya, atzeca, inca avevano dato luogo a importanti regni progrediti e avanzati. Arrivano Colombo, Cortes, Pizarro e non vedono "l’altro", non lo riconoscono, addirittura si chiedono se questi uomini hanno l’anima e siccome parlano una lingua che non ? lo spagnolo, si dice addirittura che non hanno linguaggio: Colombo ne prende cinque e li manda in Spagna dal Re di Castiglia perch? imparino a parlare. Com’? che non sono gli Inca, i Maya, gli Atzechi che scoprono l’Europa? Poteva anche succedere l’inverso. Esiste il testo di un antropologo che spiega perch? nel 1532 a Cajamarca, Pizarro fa prigioniero Atahualpa, Re degli Incas e non ? Atahualpa a fare prigioniero Pizarro che arriva con centosessantadue uomini a fronte di una popolazione inca il cui esercito conta ottantamila uomini. Dunque, come mai vince Pizarro?La spiegazione ? nel titolo del libro: "Armi, acciaio e malattie". Gli europei che arrivano in quel paese avevano scoperto l’acciaio, con il quale avevano fabbricato armi e avevano avuto in precedenza malattie che in America ancora non c’erano, attraverso le quali avevano per? sviluppato anticorpi, in modo da non morirne ma infettando i popoli indigeni che quelle malattie non avevano mai conosciuto.A questa piaga si aggiunge lo sterminio di venti milioni di indigeni da parte degli spagnoli; ma Pizarro ha vinto anche perch? aveva cento cavalli (in un Paese dove i cavalli non esistevano) e dodici fucili; poca roba in verit?, ma che gli hanno permesso di prendere Atahualpa e di farlo prigioniero. Cosa succede nei decenni successivi? Succede che queste popolazioni non vengono assunte dall’Europa, ma se lo fossero stato, certamente la storia

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sarebbe stata molto diversa, con l’immissione di altre culture, cos? come era stato con l’incontro fra culture latine e anglosassoni descritte sopra.Questo non ? avvenuto e, oggi, in America troviamo noi stessi, cio? i discendenti di spagnoli, portoghesi, olandesi, inglesi per cui si pu? dire che oggi il mondo ? cos? come ? perch? allora si ? persa l’occasione di cogliere il Kairos.Tuttavia la riflessione sul passo della Genesi che abbiamo letto non finisce certo qui perch? c’? il fatto che il Signore si ? presentato sotto forma di tre personaggi. Certo, questo ha fatto pensare al mistero della Trinit? ed ? forse la prima volta che nella Bibbia la troviamo cos? chiaramente identificata; c’? da dire che tutto ci? ? stato fortemente assorbito dalla Chiesa Russa Ortodossa, che di questi tre personaggi che si recano da Abramo, ne ha fatto il simbolo della stessa Chiesa Russa. C’? un’icona di Rubliev, grande iconografo russo, che ? intitolata la "Trinit? del Vecchio Testamento" ed ? la raffigurazione dei tre personaggi sotto forma di angeli, seduti a tavola e che rappresentano appunto la Trinit? dell’Antico Testamento.Il teologo russo Kuraiev, interpretando questa icona, dice che i tre personaggi sembra parlino tra di loro: ? un Concilio Trinitario, un concilio intradivino e c’? una sola volta in cui nella Bibbia si parla di questo concilio: ? nel momento della creazione dell’uomo, quando Dio dice "facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza". Allora, dice la Chiesa Russa, questo Concilio Intradivino ? la rappresentazione del momento della creazione.Sorge una domanda: perch? questi personaggi sono cos? tristi? Perch? da questa icona traspare un’atmosfera di grande intensit? spirituale ma anche una grande tristezza? C’? tristezza perch? l? comincia la kenosis di Dio, Dio nel momento in cui crea l’uomo, sa di creare un altro soggetto che si pone davanti a lui e che pu? essere contro di lui, pone davanti a s? un soggetto in tutta la sua libert?, che si pu? rivoltare contro il proprio creatore.Dio per? sta a questo gioco perch? Dio ? geloso di questa libert? data all’uomo, quindi gi? al momento in cui lo crea c’? la prefigurazione della passione, perch? gi? in quel momento ? previsto che il Figlio di Dio venga nel mondo, nella morte, per esprimere l’amore di Dio anche attraverso l’aiuto dato alla libert? dell’uomo perch? si possa salvare. E’ l’inizio della kenosis di Dio, che sar? realizzata dal figlio. Leggasi il famoso inno della Lettera di S. Paolo ai Filippesi.Ma nell’icona troviamo anche un calice, nel quale gi? c’? la raffigurazione dell’agnello. Inoltre il teologo russo osserva che nei primi cinque giorni della creazione non c’? alcuna kenosis, mentre il momento del dramma arriva con la creazione dell’uomo, culmine dell’inventivit? divina ma anche del dolore di Dio. Il dolore di Dio che ritroviamo nella shoah, il quale non interviene per liberare il suo popolo dagli aguzzini nazisti, in quanto a questo ha rinunciato al momento della creazione.

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Che altro ci dice la visita ad Abramo? Ci dice che non si tratta soltanto di accogliere l’altro, ma che si tratta di amarlo compiutamente fino a dare la propria vita per lui; dunque non solo accogliere gli altri rispettando le loro differenze, ma mettere nell’altro il centro del proprio interesse, organizzando la conoscenza, prima ancora della vita sociale, non pi? intorno alla rivendicazione dell’essere o l’identit? e l’io che fa la filosofia moderna, ma mettendo al centro, come principio della organizzazione sociale, l’altro.E’ questa una proposta filosofica che nasce dalla crisi e dai fallimenti dei precedenti cicli filosofici ed ? una proposta di Levinas, grande filosofo ebreo, che ha scritto molto sul riconoscimento dell’altro e del suo volto, proprio perch? ogni "altro" ? qualcosa di unico, di irripetibile, un volto da guardare e da riconoscere.Fare questo vuol dire che noi non siamo soli, che non ci realizziamo come singoli ma che lo possiamo fare solo nel rapporto con gli altri in quanto la nostra natura ? intrinsecamente comunitaria.Dentro questa riflessione c’? l’affermazione che l’altro ? un bisogno per me, l’altro ? costitutivo della mia identit? e dunque come posso colmare questo bisogno? C’? un solo modo: l’amore. Ma per riuscire in questo, non posso assoggettare l’altro, costringendolo e comprando il suo aiuto, perch? cos? distruggo l’altro e me stesso; allora il modo con cui io posso soddisfare questo bisogno dell’altro in una maniera umana ? l’amore, l’amore che diventa la struttura fondamentale.San Paolo, nella Lettera ai Corinti dice che fede, speranza e carit? (amore) rimarranno, ma delle tre una sola ? perfetta, l’amore. A questo proposito un rabbino tedesco si domanda il motivo di questa affermazione di Paolo, di questa affermazione di indigenza, di povert?: se sono ricco e autosufficiente, che c’entra quel tipo di amore che Paolo descrive?La risposta a questa domanda ? una sola ed ? che la perfezione sta nella povert?, non nel pretendersi signori assoluti tanto da poter fare l’operazione che Dio stesso non ha voluto compiere. Voi sapete che vi sono state societ? organizzate sul principio del signore che, per realizzare se stesso deve essere libero dal lavoro per poter contemplare l’assoluto, ma perch? questo accada, altri devono lavorare per lui, quindi la societ? non ? una societ? di eguali, ma una societ? di signori e di servi, di liberi e di schiavi dove certo alcuni si realizzano, ma dove la massa resta in un lavoro inteso come servit?.Se noi non superiamo questo ideale perfettistico, per cui essere uomini realizzati vuol dire essere liberi dalle necessit? materiali, noi non possiamo neanche fondare delle societ? egualitarie, dove la povert? sia riconosciuta come un valore, perch? la povert? non ? altro che una condizione di creatura, il riconoscimento del fatto che tutti abbiamo bisogno gli uni degli altri, perch? tutti interdipendenti: societ?, Stati, istituzioni, politica. E nessuno pu? avere pretese di ridurre tutte le realt? ad un unico modello.

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C’? infine un terzo quadro dentro la lettura di questa mattina; c’? un seguito nella storia di Isacco che senz’altro conoscete: dopo tutte le promesse di Dio per Isacco sulla sua numerosa discendenza, lo stesso Dio chiede ad Abramo di sacrificargli Isacco, l’unico figlio, di ucciderlo.Gli Ebrei non smettono di interrogarsi, lo stesso Talmud ? pieno di riflessioni su questo fatto, visto come una tragedia. Ma allora come mai Dio agisce cos??L’interpretazione corrente ? che, al di l? delle interpretazioni di quanto Dio dice, bisogna obbedire alla sua richiesta e dunque, in quest’ottica, Abramo conduce il figlio in quella, che oggi ? la Spianata delle Moschee, sul monte dove poi si ? costruito il tempio di Salomone e si prepara a sacrificare Isacco.Certo, sappiamo che Dio ferma il braccio di Abramo e accetta il sacrificio di un ariete, ma perch? la Scrittura riporta questo fatto? Abbiamo visto che il primo motivo ? la celebrazione dell’obbedienza a Dio, ma credo che vi possa essere un’altra lettura di questo passo: quali possibilit? di scelta aveva Abramo? Noi uomini moderni abbiamo una scelta a portata di mano: l’ateismo, tanto da poter rispondere alle richieste di Dio che "non se ne parla neanche, tanto sono ateo, non credo in te".Abramo questa possibilit? non l’aveva perch? l’ateismo non esisteva, per? aveva un’altra possibilit?, quella di passare ad un altro dio; difatti quel grande territorio che ? il Medio Oriente era costellato di stele e di altari, dove ognuno celebrava e sacrificava al proprio dio, perch? anche il Dio di Abramo era un dio tribale nel senso che era un dio del suo clan, un Dio che l’aveva indotto a uscire dalla sua terra per andare altrove in luoghi che lo avrebbero visto straniero.Per? Abramo non sceglie di passare ad altri dei ed ? in quel momento che il dio tribale diventa il Dio unico, ? in quel momento che Abramo fonda il monoteismo, uscendo dalla pluralit? degli dei, dove ogni popolo, ogni etnia ha il suo; ma Abramo fonda anche l’unica famiglia umana, perch? se Dio ? uno solo, anche l’umanit? ? una sola; quindi questo ? il grande mistero di questa unit? profonda e antropologica della natura umana.Dico cos? perch? ? proprio questo che viene negato: se oggi c’? una tragedia ? vedere come, forse per la prima volta, l’unit? della famiglia umana non solo non viene realizzata dalle istituzioni, dalla politica, ma viene negata ormai in linea di principio, perch? oggi le politiche, le ideologie, le economie che sono in atto, sono tutte selettive, non contemplano il bene comune dell’umanit?, ma sempre quello di una parte, separata e contrapposta alle altre.La stessa globalizzazione che ci parla di universalit? e che potrebbe essere un Kairos, ? la massima realizzazione della selezione, perch? la globalizzazione, vista l’ideologia che la sottende, (deregulation, libero mercato) ormai ha fatto la sua scelta, quella di abbandonare le vecchie utopie, i vecchi miti dello sviluppo per tutti, per convincerci che le capacit? del

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sistema economico, nella misura in cui esso ? ormai staccato dai bisogni reali dell’umanit? perch? quasi esclusivamente finanziario, oltre alla limitatezza delle risorse della terra, queste stesse capacit? impediscono la crescita di tutti al medesimo livello dei Paesi pi? avanzati.L’umanit? ? ormai programmaticamente divisa tra l’1/5 e i 4/5: l’un quinto (un miliardo e duecento milioni di uomini) hanno ricchezza, potere e tecnologie e usano l’ottantatre per cento di tutte le risorse mondiali, hanno il settantacinque per cento di tutti gli allacciamenti telefonici, oltre alla quota maggioritaria degli interessi di capitale, mentre gli altri quattro quinti hanno il diciassette per cento del reddito e, di questi, un miliardo e duecento milioni di persone vivono sotto il limite della fame, con meno di un dollaro al giorno.Questo lo sanno tutti, ma da parte di tutti non c’? neanche il proposito di ovviare a questo stato di cose; l’umanit? ? pensata come divisa e questo ? talmente vero che non ? pi? tanto questione di ricchezza o povert?, quanto il fatto reale che certi possono sopravvivere e molti altri soccombono perch? scartati dagli avvenimenti storici.Vi porto un esempio: un gruppo di piccole isole-Stato (per esempio, Maldive e Comore) dell’Oceano Indiano, alla Conferenza di Rio de Janeiro sul clima, tenuta nel 1992, quando si discuteva dell’effetto serra e del conseguente innalzamento del mare, si sono permessi di osservare che quando certi temuti processi si attiveranno, loro saranno sommersi dalle acque e scompariranno.Questi piccoli Stati si sono alleati per una difesa comune: voi credete che qualcuno d? una minima attenzione a queste piccole entit??La Conferenza di Rio de Janeiro non ha sortito nulla, per cui i cosiddetti grandi paesi, alla successiva Conferenza di Kioto, hanno proposto che si diminuisse l’immissione di anidride carbonica nell’atmosfera almeno del cinque per centro entro il 2005: ora, per fare questo, bisognerebbe cambiare il sistema produttivo attuale e, siccome ci? costa troppo in termini economici, "che le piccole isole vadano a fondo!".Questa ? una umanit? che non sa pi? programmare neanche la propria sopravvivenza, arrivando a dividere ci? che era considerato indivisibile, cio? la sicurezza. E, che cos’? la sicurezza nel mondo? Dopo la seconda guerra mondiale si ? visto che la sicurezza, affidata alle singole sovranit?, rappresentava la massima insicurezza per tutti, pertanto si ? deciso di fare della sicurezza di tutti i popoli della terra qualcosa di indivisibile, di conferirne la tutela non pi? alle potenze pi? forti, ma alla comunit? delle nazioni, cio? l’ONU, nel cui statuto, altre a dire che la guerra ? un flagello che deve essere bandito, la sicurezza ? garantita dall’ONU, cio? da tutte insieme le nazioni.Noi dobbiamo sapere che se anche l’insicurezza non deriva da fattori militari, ma da altri fattori fisici, ? lo stesso, perch? se scompaiono le piccole isole, stiamo pur certi che scompare anche Venezia.

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Dunque, o noi misuriamo le scelte, le programmazioni, le politiche sulla base dei bisogni e addirittura di indigenza, oppure non salviamo nessuno, neppure il pi? grande e il pi? potente.Abbiamo un esempio: di fronte alla sicurezza avviene la grande catarsi della guerra del Kossovo, dove la NATO si rigenera nel vertice di Washington del 23-24 aprile 1999. Con una nuova NATO, dove il principio non ? pi? quello della difesa (ormai la guerra fredda sono anni che non c’? pi?) e della prevenzione dei conflitti, ma quello di garantire la sicurezza di questi diciannove Paesi contro il resto del mondo, anche attraverso la guerra.A questo punto non c’? pi? la sicurezza del mondo (ormai spezzata), ma solo la nostra. Gli stessi documenti NATO sottolineano continuamente la salvaguardia della nostra sicurezza, la tutela delle  nostre  nazioni, deinostri interessi comuni.In buona sostanza da una parte c’? l’espressione armata di un quinto dell’umanit? corrispondente al Nord del mondo, che cos? possiede il maggior apparato di difesa (la NATO) e poi c’? il resto del mondo: in pratica ci sono i salvati e i sommersi, i presi e i lasciati, i cosiddetti esuberi.Se noi non recuperiamo il senso profondo di una unit? interdipendente di tutti nella famiglia umana, ogni atto di esclusione, di esasperata difesa della propria identit? ? un atto distruttivo che va contro la Creazione. 

Dopo un serie di interventi, il relatore risponde 

Quello della contrapposizione della cristianit? e l’Islam, penso sia un archetipo, perch? la cristianit? ha visto nell’Islam, fin dal suo sorgere, un pericoloso concorrente invasivo. Qui potrei dire qual’? la motivazione data da cardinale Biffi: egli ha sostenuto che, gi? dieci anni fa, aveva detto che mentre l’Occidente cristiano non ha saputo porre un argine alla secolarizzazione della societ?, l’Islam lo ha fatto ed ha cos? mantenuto i propri valori contro la ventata secolarizzante in corso. Dunque, visti questi due presupposti, alla fine diventeremo tutti islamici.Si tratta di valutare la fondatezza di questa tesi sul piano dell’analisi della secolarizzazione, che non ? solo perdita di valori.Riguardo al fatto che la Chiesa ha cercato di annullare la pretesa di essere al centro di tutto, diversamente da come lo era nel secolo scorso, noi ci possiamo affidare a San Paolo, il quale ci dice che noi siamo qui, lontani dal Signore, in situazione di alterit?. Inoltre, quando si parla di Chiesa di Cristo, bisogna intendersi: essa non ? quella che si identifica con la chiesa storicamente data: da questo punto di vista il problema del Concilio Vaticano II ? stato quello di evitare che la Chiesa Cattolica applicasse a se stessa quelle caratteristiche di assolutezza che sono proprie della Chiesa di Cristo.

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Afferma il Concilio che tra la Chiesa di Cristo, popolo di Dio, chiamato dall’Eterno e la Chiesa Cattolica Romana non c’? identit?, c’? uno snodo. L’una vive nell’ordine dell’essenzialit?, l’altra in quella del creato, della storicit?: per esprimere questo snodo, il Concilio dice che la vera chiesa di Cristo, quella di cui si pu? dire che "fuori di essa non c’? salvezza", non ? la Chiesa Cattolica, ma sussiste nella Chiesa Cattolica.Cosa vuol dire questo? Vuol dire che c’? la Chiesa di Cristo che ? certo presente nella Chiesa Cattolica, ma non solo in essa; essa pu? sussistere anche in altre chiese e, attraverso i segni del Verbo e dei doni dello Spirito, perfino nelle altre religioni e in uomini privi di religione, proprio per l’economia generale della salvezza che vede Dio Padre di tutti gli uomini, che spande l’abbondanza dei suoi doni su tutti.Noi allora crediamo che, in questa chiesa, pur "casta e meretrice" ? presente la salvezza di Dio, Dio la cui libert? va oltre le convinzioni umane che dicono che solo nella Chiesa Cattolica vi sia la salvezza.Qui si pone anche la questione dell’unico Dio: le religioni monoteiste (ebraismo, cristianesimo, islamismo) non professano un Dio diverso, ma ? il medesimo Dio che viene inteso e rappresentato in modo diverso e questo fa parte dell’esperienza umana attraverso cui arriva la rivelazione di Dio, Ora, se Dio ? uno, rimane UNO anche se noi non lo riconosciamo.Per quanto riguarda politica e globalizzazione: se ai tempi in cui era in auge la teorizzazione marxista era impossibile pensare, e i fatti lo hanno poi dimostrato, che non si pu? realizzare il socialismo in un solo paese, ancora di pi? oggi non ? possibile realizzare un cambiamento profondo del sistema economico globale dentro un solo paese.Non ? possibile perch? siamo dentro un sistema globale, gestito e diretto da grandi poteri neppure legati agli Stati nazionali, dentro cui l’unica risorsa sarebbe quella autarchica, cio? con la chiusura di confini e dogane. A questo proposito, la reazione dei localismi ? una reazione suggerita dalla disperazione, perch? di fronte al livellamento dato dalla globalizzazione si perde l’identit? e ci si attacca a quella che appare l’ultima difesa. Ci? ? provocato da una cattiva globalizzazione che nega le differenze, anzi le disconosce e provoca ribellioni infeconde e chiusure autarchiche.Ora, se c'? un momento in cui richiamare a un servizio di internazionalismo, ? proprio questo, perch? ? solamente sul piano internazionalistico che si pu? dare una regola all’economia: giusto per sottolineare, la globalizzazione non ? solo aver aperto le frontiere, la globalizzazione ha dettato una direzione ferreamente politica all’economia, tanto ? vero che la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale hanno imposto ai paesi poveri pesanti condizioni alla concessione di prestiti.Io non voglio certo mitizzare il movimento di Seattle, devo dire per? che esso assume una grande verit? e cio? che ? solo a livelli di omogeneit?, di

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universalit? che si pu? contrastare l’attuale tendenza. Questo non vuol dire che dobbiamo cambiare stile di vita: questa, casomai, pu? essere la conseguenza dei cambiamenti politici ed economici, ma non ne pu? essere l’obiettivo.Posso per? dire che se vogliamo salvare il pianeta dobbiamo fare dei cambiamenti di cui la conseguenza pu? anche essere quella di un impoverimento e di una riduzione del tenore di vita. Non ? questo il discorso della povert? che noi troviamo nel Vangelo, non ? un invito al pauperismo, ma un invito a scegliere quello che pi? conta, cio? il regno di Dio, l’amore, il bene degli altri, che porti poi a saper commisurare l’uso dei beni terreni, attraverso una politica di ripensamento delle linee fondamentali in base alle quali devono essere impostati i rapporti tra politica ed economia, tra economie generali ed economie locali, il riconoscimento delle diversit?, di vie diverse di sviluppo possibile, contrariamente a ci? che accade ora, in ottemperanza ad una legge di carattere generale che, comunque, sottost? a normative suggerite dalle multinazionali.In sostanza la globalizzazione deve riuscire a riconoscere e a lasciar sussistere le differenze perch? se prima si unificano i mercati, poi i capitali, poi altro ancora, alla fine avremo un potere politico mondiale a gestire un potere militare mondiale.E’ qui che dobbiamo inserire un’alternativa di carattere culturale e politico: cosa vuol dire universalit?, cosa vuol dire politica che guida l’economia. Io credo che le ACLI abbiano un patrimonio di internazionalismo, dovuto alla loro storia con una capacit? di mettere attorno ad uno stesso tavolo gente che sa pensare al futuro, tenuto conto che nessuno lo fa. D’altra parte non crederete che Al Gore che sta cercando di essere eletto alla presidenza USA si metta a discutere sul futuro del mondo! A lui baster? sapere come andr? nei prossimi quattro anni, anche se si stanno prendendo decisioni che investono il futuro del mondo per generazioni intere.Quindi i tempi della politica non sono pi? adeguati al tipo di sfide che abbiamo davanti, quali l’immediatezza dei cicli elettorali e gli impatti con le singole societ? nazionali.Non ? che non vi siano risorse, energie e intelligenze, queste ci sono, ma sono ormai realt? inadeguate ad impostare una alternativa politica. 

 

 

IL LAICONELLA CHIESA E SUL TERRITORIO

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11 novembre 2001

Introduzione 

Dante Mantovani 

La mia introduzione ? semplice: perch? abbiamo scelto questo tema? Siamo alla sesta edizione di questa esperienza che nasce da diversi circoli ACLI della Lombardia, qualche volta se ne sono aggiunti anche dal Veneto, una iniziativa volta a socializzare esperienze diverse che si fanno sui vari territori e, nello stesso tempo, approfondire alcuni temi che riteniamo importanti in questa fase storica.A preparare questo incontro, solitamente, ci troviamo alla FestACLI del circolo di san Polo di Brescia per decidere il tema e su come affrontarlo: quest’anno abbiamo fatto una cernita tra alcune proposte e, quella di oggi, ci ? sembrata la pi? attuale.Perch? questa scelta?La nostra sensazione ? che questo tema ? uno di quelli essenziali scaturiti dal Concilio Vaticano II: chi di noi in quegli anni era poco pi? che adolescente, certamente ricorda i fermenti che, attorno ai documenti conciliari, erano nati soprattutto nei laici.Gi? la fase precedente il Concilio era carica di questi fermenti, si avvertiva la necessit? di valorizzare il ruolo del laico all’interno della Chiesa e, man mano che i documenti uscivano, li leggevamo e li approfondivamo.Il tema della responsabilit? dei laici dentro il Popolo di Dio, terminologia di cui oggi si sente poco parlare, sembra essere andata in disuso: chiesa popolo di Dio dava proprio il senso di un popolo in cammino, un popolo fatto di gerarchia, di presbiteri, di laici che insieme camminavano. Tutto questo a me sembra che sia venuto un po’ meno.Un altro aspetto sul quale riflettere ? che prima del Concilio e nella fase successiva, l’impressione era quella che i laici erano un passo avanti rispetto alla gerarchia, piuttosto tiepida di fronte a certi approfondimenti, mentre non era cos? nei laici.Oggi, spesso ci sembra avvenga il contrario, molti documenti della Chiesa sembrano pi? avanti rispetto al cammino dei laici, tanto da sembrare documenti utopici, specie quelli riguardanti la dottrina sociale; oggi dunque ci troviamo di fronte ad una situazione in cui abbiamo un Papa profetico, una gerarchia preoccupata di mantenere contatti e rapporti con il potere costituito. Infine i laici, piuttosto deresponsabilizzati, che trovano molto pi? comodo delegare al parroco, alla gerarchia in genere, la propria responsabilit?, quella che il Concilio dava loro.

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Quando abbiamo scelto il tema su cui discutere oggi, si erano da poco svolte le elezioni politiche nel nostro Paese, durante le quali ci eravamo accorti come i movimenti - ACLI comprese - avessero assunto atteggiamenti non certo di scelta specifica rispetto a contenuti e programmi, ma un atteggiamento assolutamente non chiaro e questo in conformit? di quello altrettanto poco esplicito da parte delle gerarchie.C’? l’impressione che anche i movimenti stiano perdendo un po’ della loro laicit?, ovvero del senso della responsabilit? laicale. All’interno della Chiesa i laici, che pure hanno iniziative lodevoli, si trovano a compartimenti stagni, ciascuno porta avanti il proprio pezzetto, non si percepiscono in modo chiaro cammini laicali che possano fare camminare l’intera Chiesa.Sul piano politico, anche al nostro interno, alcuni danno come lato positivo il fatto che i cattolici sono sparpagliati in tutti gli schieramenti, ma l’interrogativo sorge quando si guardano le percentuali date dalle statistiche, per cui i cattolici si distribuiscono equamente, come peraltro tutti gli italiani, nei vari schieramenti. Sorge una domanda: non ? che il messaggio cristiano rischi di non dire nulla rispetto alle scelte? Se i cattolici votano come tutti gli altri, l’impressione ? che il messaggio dato dal Vangelo non abbia nulla da dire per orientare le scelte politiche.La stessa cosa varrebbe per la grave situazione internazionale che stiamo vivendo, tanto che si ha l’impressione che anche qui i laici cristiani abbiano poco da dire di evangelicamente ispirato: nel momento in cui i cristiani ragionano con i parametri generali con i quali tutti lo fanno, qual’? la valenza della fede rispetto alle scelte che i laici esprimono quotidianamente?Per tutti questi motivi abbiamo deciso di riprendere questo tema, che certo non possiamo concludere in una mattinata di confronto e di riflessione, ma che pu? essere il via per poi proseguire, anche perch?, pur alle prese con gravi problemi, rischiamo di mettere tra parentesi quelle tematiche che sono poi quelle che potrebbero illuminarci nelle scelte di tutti i giorni. Proseguendo nel quotidiano senza affrontare questi temi di fondo, rischiamo di toglierci l’humus che ci potrebbe aiutare a crescere come cristiani e come comunit?. 

Relazione 

 

Monica Martinelliscalabriniana 

Nel preparare questo intervento ho cercato di tenere presente i termini, alcune istanze presentate da studi e dibattiti e soprattutto dalle linee – e

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Documenti – del Vaticano II sul tema dei laici nella chiesa e nel mondo vedendo alcuni sviluppi.Anche se non sempre faccio esplicito riferimento, tengo presente il vissuto, essendo anch’io come laica, consacrata, nel mondo e in particolare nel mondo delle migrazioni (sono Missionaria Secolare Scalabriniana).Prima per? di vedere con voi cosa emerge da questi documenti e dibattiti, e prima di cogliere quella che secondo me ? oggi la vera sfida per i laici, vorrei citare alcune definizioni che – diciamolo subito – esprimono pi? una identit? negativa o riduttiva del laico che una prospettiva, pur se in molti casi ci possono far pensare a situazioni concrete, magari viste all’interno di nostre associazioni o realt? ecclesiali.Alla ricerca di definizioni…Un tipo di laico, in negativo che la difficile traduzione degli orientamenti pure della teologia e della chiesa ci hanno consegnato, ? quella di chi va a cercare in modo spasmodico un ministero: ecco che tornano quelle figure di laici "longa manus" della gerarchia che appartengono quantomeno ai primi anni del 1900, quelli cio? che di fronte alla chiesa identificata con la gerarchia, e al mondo inteso come terreno di conquista, si rifugiano nell’ambito ecclesiale, nel senso stretto e societario, ripiegando in una identit? definita a partire da un senso di inferiorit?. "Torniamo nelle sagrestie", sarebbe il loro motto, perch? il mondo fa paura, ? al massimo da convertire; il mondo rimane solo un luogo sociologico, di realt? che si contrappongono, si evolvono, hanno loro regole, ma nulla a che fare con la fede: anzi, l’impegno politico e sociale rimane qualcosa di problematico. Tutt’al pi? c’? un po’ di spazio per la professione.Un’altra figura ? quella del laico esecutore. E’ il prolungamento del precedente tipo di laico. Fa quello che gli viene detto: anche se esce dalla chiesa, intesa sempre in senso stretto, rimane un esecutore, non si assume delle responsabilit? in prima persona.Dopo di questi (i laici "dipendenti"), vengono i laici critici (quelli che reclamano l’indipendenza), cio? quelli che sono sempre pronti a criticare ogni scelta, cambiamento, profughi insoddisfatti tra una comunit? parrocchiale e l’altra in ricerca di una propria affermazione isolata e talvolta autosufficiente: chi sono io? Chi ? il laico?La ricerca di una affermazione pu? condurre anche ad un superimpegno negli ambiti nei quali ci si trova, quasi a dire che in ci? che fai trovi il tuo essere. Solo che poi viene la crisi delle opere, la crisi anche del lavoro nel quale magari ci si era identificati (pensiamo alla attuale crisi del lavoro, dei suoi significati: e qui voi siete maestri della questione) e arriva allora anche la crisi della persona, del laico. Un laico talmente impegnato da ridurre alla fin fine tutto a efficienza, persino la propria identit?, definita dall’esterno, nel ‘fare’. Non che il ‘fare’ sia negativo, ma cosa vuol dire ‘fare’? Questo laico

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iperimpegnato anche all’interno della chiesa soffre ad un certo punto di un vero stress da pastorale e corre il rischio di perdere il senso stesso del suo impegno: un laico che evolve verso la figura di un funzionario della pastorale che smarrisce per strada il senso del suo servizio. E all’esterno, nella sua professione per esempio, soffre di quella che alcuni sociologi chiamano – definendo le conseguenze delle trasformazioni sociali sull’uomo contemporaneo – l’ "ansia dell’inadeguatezza", per cui si avverte una specie di meta-dovere (ossia l’incombenza di assumere sempre nuovi impegni e compiti), per affermare a se stessi di essere flessibili, di essere in grado di reggere le sfide del mondo, e non ci si accorge che alla fine si rischia di cedere a logiche perverse, quali l’affondamento della responsabilit?, ossia il sentirsi sgravato dal peso delle conseguenze delle proprie azioni (si fa ma senza progetti). Le conseguenze della caduta di responsabilit? si traducono in condizioni di sradicamento sociale: allora quel laico che voleva impegnarsi nella chiesa o nel sociale, alla fine si sente uno sradicato proprio dalla chiesa e dal sociale.A questi laici potremmo chiedere: ma chi ? la chiesa alla fin fine? E cosa ? la socialit??Una volta che viene meno l’investimento nell’iperimpegno, se non troviamo cio? la nostra identit? da fuori e nemmeno l’abbiamo trovata da dentro (nella chiesa, dove siamo longa manus), ecco comparire i movimentisti, che sono dentro al mondo ma riferendosi a leggi e comportamenti propri non di rado in modo autoreferenziale. I laici movimentisti pensano che la chiesa non sia pi? capace di trasmettere la vera radicalit? evangelica e che bisogna ritornare ai gruppi e ai movimenti per respirare il vangelo; per loro la chiesa ? ridotta ormai a una istituzione, ecco allora il ripiegamento – non ? sempre cos?, esagero come di solito si rischia di fare con le tipizzazioni! – nel movimento e il cedimento ad una identit? di massa e all’idea che se siamo in tanti, siamo qualcuno, abbiamo un peso nella chiesa e nella societ?.C’? poi anche il laico ‘attore condottiero’: qui non ? pi? il problema dell’esecutore (un laico ancora un po’ infantile), n? di un laico critico e indipendente attraverso il proprio iperimpegno (il laico adolescente che ? per? ancora debole e ha a volte bisogno di identificarsi nella massa), ma di emergere come individuo: ? il laico che entra nella fase dell’et? adulta, parafrasando le et? della crescita umana. E’ quello che porta alla ribalta per? l’eredit? di un dualismo che ha attraversato decenni e che ? tuttora presente; si tratta del famoso dualismo: al clero la chiesa, ai laici il mondo. Allora il mondo qui non ? pi? il luogo nemico, ma ? creazione di Dio e in quanto tale ha una dimensione di santit?. Questa riflessione si era gi? sviluppata soprattutto in Francia con lo scopo di recuperare le masse operaie scristianizzate secondo un motto che potremmo riassumere: dall’interno delle realt?. La Francia era stata vista ad un certo punto come paese di missione in senso provocatorio, dato che si pensava che i paesi di missione fossero solo quelli che ancora non avevano conosciuto il Vangelo. Ora invece si vedeva

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(siamo a met? del secolo scorso) che bisognava andare tra le masse operaie e ricominciare l’opera di impiantare la chiesa: ai laici, cio?, viene affidata l’opera di evangelizzazione, sotto forma di recupero delle masse lontane dal vangelo. Come dire quasi che le circostanze e i bisogni del momento stanno all’origine della rivalorizzazione dei laici. Il risultato ? una separazione: il laico si trova ad essere di parte, per esempio dentro una classe contro un’altra. Ma pu? fermarsi a questa la fisionomia del laico-cristiano che di per s? ? cattolico-universale? Limitandosi a stare su una sola riva, ? fermo. Abbiamo sposato allora – e sposiamo ancora – il progetto di una categoria per farla anche evolvere (mettiamo, per esempio, dei migranti nel mio caso), ma alla fine affondiamo in una ‘parte’ riproducendo i dualismi invece di sposare il progetto di Dio per quella ‘parte’.Di fronte alle opportunit? e sfide del mondo contemporaneo, emergono poi le figure di laici omologati, e quindi rassegnati, cio? appiattiti sulla mentalit? comune: ci? che ci riporta alle definizioni passate e ambigue dei laici, quando addirittura il laico ? alla fin fine un non-religioso, un ateo, come la mentalit? comune del resto pensa quando parla di laici (stampa laica, associazione laica…). Si tratta di laici un po’ qualunquisti che si adeguano. 

Insufficienza delle definizioni e dei modelliQuesta tipizzazione alla fine ci lascia con una conclusione: nessuna di queste definizioni ? sufficiente; in alcuni casi ? forse pi? sbagliata che insufficiente.Perch?? Lo diciamo subito, in poche parole, ma poi ripercorriamo brevemente da dove viene fuori ci?: perch? l’identit? del laico ? pi? profonda, "verticale" che funzionale, orizzontale. E’ come una eredit? personale da portare alla luce.Come dire che non ? forse la strada della definizione statica di una realt?, o quella dell’affermazione in senso emancipatorio che ci fa capire l’identit? del laico e, di conseguenza, la sua missione.Spesso ci si ? fermati ad un confronto: cosa fa il prete… cosa fa il laico… Un confronto settoriale, ma capite bene che non aggiungiamo niente di nuovo in una realt? sociale che ? gi? una somma di settori frammentati, non comunicanti, nei quali la persona ? incasellata a partire dai suoi ruoli e funzioni.La stessa definizione di "laico" ? ambigua – come ricordavo poco fa – perch? ? forse pi? sociologica che cristiana (e un po’ tutti gli studiosi sono diventati critici sulla parola ‘laico’): la stessa famosa "teologia del laicato", alla fine arriva a dire, rivedendo le sue posizioni ultimamente, che dobbiamo definirci in un modo meno orizzontale. 

La vicenda dei laici a partire dal Vaticano II

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Il Concilio Vaticano II parla di chiesa-comunione (non quindi struttura di ruoli e funzioni), chiesa come popolo di Dio (in cammino dentro una storia), chiesa come corpo di Cristo cui si appartiene mediante il battesimo. Questa ? una idea veramente nuova: dalla chiesa-societ? avente una struttura piramidale si passa alla chiesa-comunione, comunit? di persone in relazione.Il Concilio parla anche dei laici ridando spessore alla riflessione sui laici (e questo rimane un merito). Da una parte, si descrive la chiesa-comunione, dall’altra parte i documenti (Gaudium et Spes, Apostolica Actuositatem, Lumen Gentium) non hanno subito assorbito questa novit? (non ? stato cio? automatico tirare le conseguenze) ed hanno affermato la presenza dei laici ancora a partire da una divisione di settori della realt? per cui rimane l’accentuazione delle funzioni. Il laico esiste, ha uno spazio, ma si cerca ancora il suo ruolo dall’esterno, rimane cio? indefinito ci? su cui questa presenza viene fondata. Un esempio ? questo passaggio della LG: "l’indole secolare ? propria e peculiare dei laici. Infatti, i membri dell’ordine sacro, sebbene talora possano attendere a cose secolari, anche esercitando una professione secolare, tuttavia per la loro speciale vocazione sono destinati principalmente e propriamente al sacro ministero, mentre i religiosi col loro stato testimoniano in modo splendido e singolare che il mondo non pu? essere trasfigurato e offerto a Dio senza la spirito delle beatitudini. Per loro vocazione ? proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio…" LG 31).Non ? ancora chiara qui da dove viene la missione dei laici che detta cos? ripropone il dualismo e l’isolamento delle realt? quasi in compartimenti stagni. Si ritorna alla settorizzazione: ai laici il mondo, al clero la chiesa, ai religiosi Dio. E allora si deve scegliere: o la chiesa, o il mondo, o Dio. Qualcuno ha fatto notare a proposito che il distinguere troppo bene significa anche farlo male o cogliere la realt?, alla fine, nella sua astrattezza e ristrettezza.E’ sintomatico che dopo il Concilio, per 20 anni, non si ? parlato pi? tanto dei laici perch? si sentiva l’esigenza di un maggiore fondamento.La Christifideles Laici (fine anni ’80) va avanti e parla di sacerdozio comune, usa la metafora della vite e dei tralci per parlare della chiesa e delle sue diverse realt?, parla di collaborazione e di corresponsabilit? e, soprattutto, parla di una vocazione che viene da Dio: tutti sono chiamati a lavorare nella vigna del Signore. La vita ? gi? vocazione.C’? una appartenenza che precede, ossia l’appartenenza al Corpo di Cristo, al corpo della chiesa, ad una totalit?.Gli studiosi (come per esempio Dianich, Forte) iniziano a parlare della dimensione della laicit? e della secolarit? come qualcosa che non ? del laico e basta, ma ? di tutta la chiesa: tutta la chiesa ? inserita nel mondo. Il rapporto chiesa-mondo si rinsalda a partire da quell’ottica teologica per cui: "Dio ha tanto amato il mondo…". Quindi, non ? il laico a fare da ponte tra la chiesa e il mondo: ricadremmo in una visione dualistica.

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Ecco che allora si ripensa alla missione del cristiano nel mondo riprendendo l’eredit? del Concilio soprattutto sulla chiesa. C’? qualcosa che ci accomuna, la chiesa ? prima di tutto comunione: la fonte ? unica per tutti; il laico ? un battezzato.Il salto di qualit? recupera quindi una delle intuizioni pi? feconde della Lumen Gentium, quella della comune appartenenza a Cristo, per cui il laico ? alla fin fine un cristiano (cfr. Cannobbio): una affermazione che dice tutto. Il laico ? un cristiano: un essere "di" Cristo prima di tutto il resto. La santit? (intesa come pienezza del cristianesimo) ? per tutti e non per alcuni.Da questa comune appartenenza si sviluppano relazioni di comunione che non appiattiscono le diversit? dei carismi, dei doni, dei ministeri; anzi le potenziano e danno significato ad esse. Infatti, alla possibile obiezione: "ma allora cadiamo in una uniformit?, genericit??", possiamo rispondere: la specificit? alla fine ? la comunione ma come un dono sovrabbondante, senza limiti, che ha pertanto bisogno di esprimersi in tanti modi. Se si ? in Cristo non manca niente: la chiesa, il mondo, Dio. La specificit? consiste nell’unicit? della vocazione che ? missione. Ognuno ha una vocazione in Cristo, nella chiesa e nel mondo. La diversit? sta nel fatto che la vocazione ? diversa per ciascuno e converge nella missione a servizio dell’unico corpo di Cristo: un esempio, l’occhio vive e definisce la sua specificit? nel corpo ed ? a servizio di tutto il corpo (del corpo dell’umanit? per il cristiano). Il membro del corpo parte dal tutto e va verso il tutto. Il battesimo del cristiano e la sua missione diversificata e contemporaneamente a servizio della comunione definiscono la sua specificit?.La presenza del laico allora potrebbe emergere e svilupparsi da questa autocomprensione che, a poco a poco, storicamente va delineandosi (Bruno Forte, per esempio). E questa infatti ? una delle linee interpretative.Interessante per? anche un’altra linea interpretativa che completa la prima e che situa la laicit? dentro un tessuto di relazioni: chi ? il laico in rapporto con gli altri, con tutte le realt? e con tutto il Corpo?Questo significa uscire definitivamente dall’isolamento e comprendere il laico dentro le relazioni le quali, se partiamo dal fondamento della chiesa-comunione, sono di comunione.Le conseguenze sono enormi e dinamiche e non sopportano pi? definizioni statiche: quasi a dire che non posso pi? dire: sono cristiano, ma sto diventando cristiano con gli altri, con ogni realt? del mondo e della chiesa.A questo punto, le domande si sviluppano ancora: cosa significa diventare cristiani oggi, dentro la chiesa e nel mondo? Cosa significa portare la morte e la resurrezione di Cristo nel mondo e nella chiesa? Dove finisce il cristiano, se appartiene al corpo di Cristo? Non ha dei limiti settoriali, geografici, ambientali… e non pu? circoscrivere la sua azione ad un "orto", ad un ambito chiuso: tutto ? nostro, noi siamo di Cristo e Cristo ? di Dio.

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C’? prima di tutto un dono sproporzionato da cui un compito (Gabe e Aufgabe): da una grandezza che gratuitamente ci viene regalata, allora ? possibile servire il mondo e portare la responsabilit? per tutto il mondo. Uno fa le cose comuni a tutti, le cose quotidiane di sempre. Ma l? dove ?, ha una grandezza dentro, per cui le stesse cose di sempre diventano simboliche, quasi un sacramento, hanno una valenza pi? grande, un significato che le oltrepassa.La missione che rimane sempre aperta davanti a ciascuno di noi ? quasi un’opera d’arte che si fa su strada, raccogliendo le sfide che si incontrano e vivendole da cristiani, dal di dentro di tutte le realt? che gi? sono sub-abbracciate da Dio che fa storia con noi.Ci sono delle sintesi da fare, pi? che dei ponti da lanciare tra realt? separate.Oggi sentiamo un disagio e una fatica a porci nel mondo come fermento, sale e lievito, come persone veramente alternative a certe logiche di potere camuffate dietro il presunto avanzamento della societ? verso la giustizia duratura, la pace duratura costruita su strategie di paura; siamo a disagio di fronte al tremare dell’uomo contemporaneo nelle sue profondit?. Avvertiamo un non-senso di fronte a quella irresponsabilit? diffusa nel mondo del lavoro, nella politica, ecc. in cui non ? possibile imputare a nessuno una azione, per cui tutto viene fatto risalire ad un sistema astratto, a processi incontrollabili. Un non-senso di fronte alla disperazione dilagante, disperazione che c’era gi? prima dell’11 settembre e che si esprimeva appunto nel non-senso dentro i paesi ricchi affannosamente alla ricerca di sempre maggior benessere; e nell’impossibilit? a sopravvivere in tanti paesi poveri, nelle baraccopoli africane, nelle periferie umane del centro e sud America. Ci sono quindi questioni grandi sulle quali confrontarci come cristiani: la globalizzazione che sta accrescendo le disuguaglianze e alimentando focolai di disperazione; le prospettive di senso per i giovani; le incertezze della vita quotidiana; il lavoro.I discorsi diventano allora trasversali: la sintesi tra una appartenenza di fondo, tra il Tutto e il frammento, fino a che quello stesso Tutto possa esprimersi nel frammento, attraverso la fatica di personalizzare questa appartenenza di cristiano, ? una sintesi che supera e risponde a tutto il problema dello specifico e a tutti i dualismi che ci siamo portati dietro. La metafora della vite e i tralci (ripresa dalla Christifideles laici) ? efficace: pi? che in un essere – in senso statico – o in un fare diventiamo tralci che portano frutto in quanto riceviamo la vita in Cristo con tutte le sue possibilit?.Non si tratta certo di abolire la questione laicale, in quanto ancora esistono dipendenze e indipendenze, ma credo che tale questione assume un respiro pi? ampio se collocata al di fuori della divisione delle funzioni e dei ruoli esterni, nella consapevolezza che possiamo vivere e portare una novit? di vita per cui non temiamo di lasciarci provocare dalle situazioni e dai problemi gravi nei quali viviamo oggi, perch? tutto ? gi? stato assunto dalla morte e resurrezione di Cristo; e nello stesso tempo non riteniamo di essere l’unico

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luogo – come cristiani nella chiesa – dell’azione dello Spirito, ed entriamo perci? in dialogo con tutti coloro che hanno a cuore le sorti dell’umanit? verso il bene, diventando noi stessi ‘luogo’ di confronto e di assunzione di corresponsabilit? cui siamo abilitati. 

Le sfide aperte per fecondare la chiesa e la societ?Credo che per poter operare sempre nuove sintesi tra fede e vita, e rispondere alle domande dentro e fuori di noi e della chiesa ci voglia oggi per ogni cristiano una spiritualit?, intesa come vita nello spirito, ed anche una formazione.Non ? facile trasformare il mondo: o ci si adatta o si afferma Cristo in una maniera impropria. Il dialogo con ogni realt? richiede uno spessore per tutti i cristiani, ai quali ? proposta allo stesso modo la radicalit? della sequela di Cristo.Occorre cio? riappropriarci degli strumenti teologici, del battesimo, del fondamento della nostra vocazione lasciando come conseguenza il fare o il definirci: diventa pi? impegnativo di tanti impegni la riscoperta della chiamata personale del laico-cristiano, nelle sue differenti espressioni, a far leva sulla proposta del Vangelo in cui si esprime l’incontro tra Dio e l’uomo a livello personale, corrispondente alla sua profonda sete di pienezza e di vita. Una riscoperta che recupera tutto, persino il peccato del mondo e dell’uomo, dentro l’incorporazione a Cristo, nel mistero pasquale da cui sgorga la chiesa comunione. Il primato di una vocazione e dell’appartenenza conduce a dialogare con il mondo, con le esperienze quotidiane, quali il lavoro, la famiglia, l’economia, in una dimensione relazionale: il luogo sociologico diventa teologico. Vivendo la sequela, a partire da una consapevolezza della propria appartenenza, ? possibile riconoscere nella storia la presenza di Dio, e quindi non ? insignificante la realt? come se dovesse essere riordinata.Anzi, in ogni realt? si prolunga la presenza di Cristo crocifisso e risorto: il beato Scalabrini, alla fine del 1800 (e dunque in un periodo in cui il laico non era certo visto in questa luce odierna), diceva una cosa che ritengo molto attuale proprio in riferimento alla riscoperta del laico come cristiano che ? inviato in ogni ambiente: ? un furto tenere il pane dell’Eucarestia nel tabernacolo!, come dire che occorre certo celebrarla, adorarla, ma anche portarla dentro le relazioni nel mondo, attraverso stili di vita che propongono per esempio una comunione dei beni della terra piuttosto che una divisione, attraverso proposte coraggiose e contagiose di una giustizia alternativa e di una solidariet? fattiva, attraverso esperienze di ascolto e di stima dell’altro e di ogni diversit?: questione sempre pi? attuale se pensiamo ai tentativi di dare inizio a scontri ideologici tra civilt?, etnie, religioni. Questione sulla quale come cristiani abbiamo credo qualcosa da dire, a meno che non pensiamo alla chiesa come a un club di amici, di uguali… fuori dal mondo!

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Sono enormi le conseguenze se si pensa ad una visione maggiormente unificata tra fede e vita: nella nostra esperienza con i migranti di varie nazionalit? e culture, ci accorgiamo sempre pi? che nel mondo cos? complesso e travagliato delle cause e delle conseguenze delle migrazioni, la storia non ? abbandonata a se stessa come invece tanti fatti fanno pensare. La presenza del Cristo, crocifisso e risorto, nel travaglio della umanit? – e non nelle armonie facili – sta trasformando la storia. La stessa vicenda del migrare, apparentemente mondana, ? una realt? che fermenta la stessa chiesa e la societ?: s? il migrante va aiutato, assistito in quanto in un possibile stato di bisogno per cui sollevare l’uomo dalle necessit? che lo schiacciano, ma in quanto migrante rimanda in fondo alla realt? dell’uomo come uomo viator e alla realt? della chiesa pellegrina. Dunque come cristiani, come chiesa ci dobbiamo rapportare a questi discorsi di lungo periodo. Ecco allora che l’Eucarestia portata dentro le realt? attraverso la vita del cristiano porta a intuire che i rapporti rinascono nella accoglienza delle diversit?, che anche attraverso una realt?, come quella dell’emigrazione che potrebbe rimanere sociologica, i rapporti si possono rinnovare verso una Pentecoste dei popoli.La cattolicit? di cui ? rivestita la chiesa – e dunque tutti noi - ? un frutto, non una costruzione nostra risultata da un universalismo astratto: frutto di una spiritualit? che ribalta l’immagine di un Dio inteso come assoluto, onnipotente, lontano per avvicinarci ad un Dio che ? comunione, che in s? ? un insieme di persone in relazione. La comunione della vita trinitaria ? la base per tutti gli incontri interpersonali e per il dialogo con ogni uomo: questa base parte dall’alterit?, dal rispetto delle differenze e, allo stesso tempo, incoraggia rapporti dinamici che sono caratterizzati dal dono di se stessi. Proprio in questi ultimi giorni ho sentito dire da un docente di sociologia che uno dei motivi per cui le societ? vanno in crisi ? il venir meno di persone che si spendono. Ora potremmo discutere molto e dire che molte condizioni della vita frenetica odierna non ti facilitano in questo, ma come cristiani rimane aperta la sfida e la possibilit?.La riscoperta delle dimensioni del diventare cristiani oggi implica una formazione della persona, non solo intellettuale o solo pratica, ma che ? anche ricerca, incontro: in una parola, una sorta di "laboratorio", per inventare formule nuove di convivenza, di stima, di corresponsabilit? che incidono e cambiano la realt?. Nel laboratorio ci si confronta, si impara a raccogliere le sfide del mondo post-moderno, a dare casa anche agli estremi, al negativo del mondo perch? ? gi? stato abitato dal sacrificio di Cristo e redento.Poich? si tratta di una formazione che avviene in un laboratorio, non abbiamo delle sintesi una volta per tutte, ma le costruiamo su strada, via via che il cammino ci mette in relazione con gli altri attraverso i quali possiamo cogliere una parola di Dio: vi riporto alcune parole di un giovane afgano musulmano in Europa: "per quanto mi riguarda, penso che noi intellettuali che siamo cresciuti e abbiamo studiato non abbiamo pagato qualcosa per questo. Io

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sento un debito nei confronti di tutti coloro che hanno bisogno di qualcosa… devo arrivare alla fine di questo debito. Questo mi lega fortemente e concretamente con ogni uomo, al di l? delle sue appartenenze…".C’? in effetti un debito in termini per esempio di riconciliazione: il mondo ha bisogno di persone riconciliate, di persone che si relazionino con tutto e soprattutto con l’alterit?, come accennavo gi? prima (laddove l’alterit? e la diversit? sono dentro la famiglia, i gruppi, la chiesa tra i ministeri e carismi, nei rapporti di lavoro, oltrech? tra le culture ecc.). Questo fonda una nuova socialit?, in una societ? che – si dice da pi? parti – ? in crisi perch? i legami sociali si indeboliscono, si fatica a confrontarsi con l’altro. E alla fin fine ? l’altro che mi dice chi sono, rimandandomi a quel tutto cui appartengo e da cui vengo.Allora tutto diventa occasione di formazione: non solo una teologia cui accedere non come ad un bene riservato a pochi, non solo una preghiera individuale comunitaria, ma la vita stessa, l’altro che incontro ogni giorno nella sua unicit?, diventa luogo in cui si rivela la presenza di Dio nella sua stessa alterit?.Si tratta quindi di liberare anzitutto un’ottica nuova, veramente cristiana, dentro la realt? per evitare ancora appiattimenti o separazioni, e la tentazione ricorrente del dualismo che riporterebbe nella stessa persona del cristiano la dicotomia spesso esistente fra fede e vita, finendo per diventare inautentico anche come uomo, oltrech? come cristiano.La formazione dentro l’ottica di un laboratorio si sviluppa come trasformazione della persona in un fermento dentro ogni realt?. Fermento di cosa? Di una realt? nuova, destinata a diventare porosa: se cos? non fosse, ecco la spiritualit? da una parte e il mondo dall’altra. Il supplemento di anima, che ? lo Spirito, di cui siamo portatori, trova spazio in una realt? porosa; questo supplemento, che ? vita di comunione, entra dentro una realt? porosa, cio? insufficiente, inadeguata, sproporzionata rispetto alle sfide che la interpellano. E il cristiano non ha paura delle grandezze (? responsabile di tutto il mondo) proprio nella sproporzione, inadeguatezza: questa stessa insufficienza rende la realt? porosa. Allora il cristiano attraversa tutte le realt? poroso lui stesso, nella sua sproporzione, con questo supplemento d’anima che non possiede in modo individualistico, ma nella chiesa, nelle sue appartenenze: vivendo di comunione, diventa comunione."Il cristiano deve lasciare al mondo, alla chiesa, a Dio di essere realt? infinitamente pi? grandi di lui, e tuttavia deve sapere che gli appartengono, comportandosi di conseguenza e assumendone in qualche modo la responsabilit?" (P. Zanconato). 

Dibattito 

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Liviana CavalliniMi sono sempre pi? resa conto che la sfida che dobbiamo raccogliere ? quella della formazione delle coscienze, nel senso di fare in modo che le persone siano attrezzate spiritualmente ed eticamente: la sfida ? tutta sull’etica e sulla spiritualit? e questo per evitare che siano le passioni a dettare le scelte, per non far s? che non siano le mode e che non sia l’impegno ad autolegittimarci.Se tu hai una poderosa spiritualit? e dei grandi riferimenti etici, acquisti saggezza che deriva da "sapere e cogliere il sapore delle cose", la qual cosa impedisce indigestioni che fanno perdere la qualit? delle cose, ma dona quel bagaglio che permette di coglierne il sapore. Se hai questo bagaglio, potrai non solo fare esperienze, ma potrai accompagnare l’esperienza con la parola.Oggi si dice spesso "fatti e non parole", ma io credo che siamo chiamati ad accompagnare i fatti con le parole, spiegare questi fatti che, se non sono accompagnati dalla parola, possono essere travisati.Sandro SandriniA me sembra che vi sia pi? bisogno di fatti che di parole: dal Concilio in poi si ? formata l’idea che il laico nella societ? debba fare da mediatore tra quest’ultima e la Chiesa. Io credo che per? ci? che sta succedendo in questi giorni e la situazione sociale in generale ci porti a scendere in campo, lasciando da parte parole e discorsi (abbiamo avuto decenni per farlo) e cominciare ad agire, nel mondo del lavoro, in quello della cultura, per contrastare quello che sembra essere un disegno studiato a livello mondiale: grandi problematiche sospese sopra di noi per anni, calate di colpo e tutte insieme a confondere gli animi sospettosi gli uni degli altri. E allora, basta parole, basta aspettare qualcosa che non arriva e cominciamo a muoverci con atti concreti.Roberto GalbiatiIo non parto da un discorso di formazione che ritengo sia la base di tutto, voglio invece partire dalla affermazione di Padre Turoldo quando diceva la necessit? di essere "disturbatori delle coscienze". Devo dire di essere in grosse difficolt? nel trovarmi in luoghi non comuni, nel senso che vi trovo elementi che mi infastidiscono e che io stesso snobbo oppure perch? - dal mio punto di vista - da l? non pu? venire niente. Invece mi rendo conto che potrebbero stare in questi luoghi non comuni per essere e crescere: io noto che parto dai bisogni fisici, come intervento, dopo di che scopro che facciamo un sacco di doppioni perch? non sappiamo mettere in correlazione i bisogni, non sappiamo unire le forze per coprire queste necessit?.Marco Bonandrini

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Io vorrei soffermarmi sull’umilt? e sulla necessit? che i laici ritornino sul cammino del lebbroso a ringraziare il Signore per i talenti che ci dona, ma anche per il modo in cui stiamo in mezzo alla gente, aiutandoli a risolvere problemi con quella sensibilit? e perizia laicale. Quante volte abbiamo ringraziato il Signore per tutto questo?L. MonteverdiIn relazione a certe intolleranze cui accennava nell’ultima parte la relatrice, io non vedo l’intolleranza come input all’altro, penso piuttosto sia la paura a portare l’intolleranza. Di che cosa si ha paura? Si ha paura di perdere qualcosa ed ? sempre dal punto di vista economico che parte il tutto. La tua paura di diventare pi? povero ti fa essere intollerante, se devi dividere con altri l’esistente, ? ovvio che qualcosa bisogna cedere. E noi cristiani abbiamo perso il senso della rinuncia, ormai viviamo isolati e siamo immersi in quella deleteria societ? del diritto acquisito, che nessuno mi pu? toccare. Certo, nel mio contratto questo diritto sar? una piccola parte, ma la stessa cosa le vogliono le grosse societ?, i grandi signori: in sostanza, nel diritto acquisito si nasconde la voglia di non perdere nulla di quello che si ha.Ora noi cristiani dobbiamo essere capaci di pensare alla rinuncia, non si pu? infatti cambiare le cose senza essere consci del fatto che la nostra ricchezza non ? esportabile a tutti gli altri Paesi, perch? le risorse della terra non sono un pozzo senza fondo. Allora ? urgente il ricupero di una tradizione cristiana legata al concetto di rinuncia, la qual cosa annulla la paura di perdere e dunque viene meno il concetto di intolleranza.Alessandro ColomboVorrei partire dal discorso sull’intolleranza, quest’aria che si respira dall’autobus ai luoghi di lavoro; una difficolt? che si respira anche nei rapporti superficiali con l’altro, ma che allo stesso tempo fa nascere l’esigenza di creare percorsi di vicinanza: la sensazione ? che nel momento in cui ci si avvicina, tutti abbiano voglia di incontrarsi e di superare il disagio di non essere coinvolti. Allora ci si apre e si creano percorsi di vicinanza: questo potrebbe diventare compito preciso del laico, un creatore di comunit?, tenendo conto del rischio che queste potrebbero diventare comunit? chiuse, di amici e basta.Forse oggi, nell’elaborare la figura del laico ? pi? facile pensarlo come quello che sta in sacrestia, piuttosto che quello che deve farsi carico di tutto. Manca quell’esempio di laico diverso, attento a creare comunit? non solo a dire sempre di s?; manca quella figura di laico caldeggiata al tempo del Concilio e, in questi anni, dimenticata o quanto poco meno valorizzata.Patrizia SirtoriIn riferimento al modello, noi il modello di laico l’abbiamo: ? stato Ges? Cristo. Una cosa che non si ? detta ? che c’? poca lettura della Parola, quello che tutti noi dovremmo essere ? gi? scritto nel Vangelo ed ? l? che gi? c’? quale

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deve essere il comportamento di vita. Ges? Cristo amava tutti, era tollerante con tutti, ? persino andato contro l’autorit? costituita... Credo sia importante parlare meno e leggere di pi? la sua Parola.Dante MantovaniAnche il Concilio ha riportato il dualismo tra funzioni e ruoli della gerarchia e dei presbiteri e funzioni e ruoli dei laici. Dal Concilio traevo delle riflessioni che davano un orientamento per cui ai laici spettasse dare corpo o quantomeno tentare di costruire il regno di Dio attraverso le cose terrene, riferendosi ad una spiritualit?.Oggi mi sembra che il discorso non sia il dualismo di cui sopra, mi pare per? che sia i presbiteri che i laici non si sono ritirati nelle sacrestie (il che sarebbe gi? qualcosa) ma si sono ritirati in chiesa. La sacrestia infatti ha ancora qualche aspetto di laicit?, invece ho l’impressione che la vita ecclesiale oggi si racchiuda prevalentemente in chiesa; oggi la vita cristiana ? rappresentata dalla liturgia, qualche esperienza di catechesi e basta. Poi c’? la vita, che per? a poco ha che fare rispetto alla vita che si fa nella chiesa: cos? se sono impegnato nella scuola vivo nella scuola cos? come la vivono tutti gli altri, se vivo nel lavoro o nel sindacato o altro ? la stessa cosa, vivo inglobato nell’ambiente in cui opero.Allora il problema ? quello che veniva sottolineato, vale a dire il discorso rispetto alla spiritualit? che noi abbiamo sempre inteso in termini di spiritualismo, qualcosa che sta qualche spanna al di sopra della realt?, ma che allo stesso tempo ? qualcosa di molto concreto.Noi non siamo pi? abituati a vivere la storia secondo lo spirito; le beatitudini e i criteri del giudizio universale (che noi mettiamo regolarmente tra parentesi) ci dicono non tanto di parlare o di agire, ma come parlare o agire. Nel momento in cui veramente scoprissimo il discorso delle beatitudini, scopriremmo che quelle virt? non le dovremmo tenere nascoste nel nostro privato ma le dobbiamo vivere in tutta la nostra quotidianit?, inoltre i criteri sui quali noi saremo giudicati sono criteri di azione.Credo siano queste le cose che a noi tutti manchino, nel senso di costruzione di una mentalit? con la quale leggere la realt? e intervenire su di essa. Noi per? tendiamo ad essere schizofrenici: lasciamo il Vangelo ai rapporti interpersonali, ma quando si va nella societ? o in politica, in quell’ambito viviamo come vivono gli altri, Ges? Cristo non c’entra pi?.Avere una mentalit? diversa oggi significa portare qualcosa che non ? cos? scontato all’interno della storia significa andare controcorrente, ma se ci confrontiamo con il Signore, morto per liberarci e andato contro il potere politico e religioso del suo tempo, una riflessione dobbiamo farla, preti e laici, insieme. Nel momento in cui cresciamo rispetto alla spiritualit?, avremo vocazioni e funzioni diverse, ma il Concilio dice che tutti i cristiani hanno funzioni di regalit?, sacerdozio e profezia: tutti, sacerdoti e laici.

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Enrico LeoniSe in questa sala fossero presenti i componenti del Consigli Pastorali, sarebbe cosa utile. Credo comunque sia necessario essere responsabili e credenti dentro la nostra societ? civile, non basta esserlo dentro le chiese.E’ necessario allora fare formazione alla gente comune, a quella gente che si vede arrivare l’extracomunitario, il tossicodipendente, l’handicappato e tutte le persone che possono dare fastidio perch? nel bisogno, ma che ci devono impegnare ancora di pi?, se vogliamo chiamarci sul serio cristiani. 

Giovanni FrigeniPenso che oggi viviamo un po’ troppo di buon senso, ci sentiamo tutti saggi e questo ? cosa da pantofolai: vedo in giro molto scandalo, era definita in televisione come cosa eccezionale "la banca del tempo". Da come la vedo io ? una cosa bruttissima. Io d? adesso e domani tu mi darai. Abbiamo perso il senso del dono, del gratuito, anche nelle associazioni per cos? dire vicine al cristianesimo. Lo stesso volontariato, cos? celebrato, ? un volontariato un po’ retribuito e, laddove cos? non ?, un riconoscimento di ruolo lo si vuole comunque.Certo, ? complicato fare camminare una cooperativa, ma se uno vi lavora gratis, almeno un certo peso poi lo vuole giocare. Tutto questo in parte ? anche giusto, per? credo che ci? che debba essere ripreso ? la radicalit?, propria dei giovani, a differenza di persone meno giovani che i ragionamenti li fanno prima e sono pi? calcolatori.Che fare? Quando si va contro corrente non si pu? mai fermarsi, tanto meno oggi con tante proposte che piovono da tante parti.Penso sia necessaria una vita pervasa intensamente di idealit? e della mentalit? di cui stamane si ? sentito tanto parlare.Silvio D’AmicoMi ha colpito molto la definizione di cristiano in missione per il mondo, raccogliendo le sfide che si incontrano, come apostoli. Avrei voluto sentire oggi che qualcuno che aspira a diventare cristiano debba fare i conti con quello che succede oggi, per esempio, in Afghanistan e quindi che siamo per la pace, senza per?.Umberto SirtoriCome circolo ACLI abbiamo un grande problema a rapportarci con la Chiesa, generalmente parlando del clero. Realizziamo iniziative varie ma esse vengono ignorate. Mettendocela tutta, senza volere fare polemiche con nessuno, come possiamo rapportarci minimamente con le cosiddette autorit? religiose? Come possiamo programmare strategie pastorali insieme, con un

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minimo di riconoscimento di quelle che possono essere le nostre competenze?Facciamo riunioni a Milano e siamo incensati dal nostro cardinale, il nostro don Raffaello ci invita ad andare avanti, ma l’immagine perfetta del laico che si rif? a Ges? Cristo, ci fa anche pensare che lo stesso Cristo, la sua, chiamiamola cos?, "Chiesa ebraica" alla fine lo ha abbandonato. Certo sto esagerando, ma qual’? lo spiraglio, lo sviluppo che questa situazione prevede? Aspettare...A. RinaldoVorrei tornare al ruolo del laico all’interno delle strutture parrocchiali, ma anche come seme e presenza nella societ?. A me sembra che nella prima parte della relazione siano state ben delineate figure di laico che a volte producono effetti diversi e, a volte, divergenti nel momento in cui, ad esempio, i laici vanno ad incidere nel sociale. Mi domando come si possa essere presenza viva e vivificante in una societ?, quando sappiamo che nel mondo met? delle ricchezze disponibili ? in mano a quattrocento plurimiliardari e l’ottanta per cento delle persone di questo mondo vive in condizioni di povert?.Mi piacerebbe che vi fosse una riflessione e un ricupero di spiritualit? intorno a queste tematiche in modo che si possa addivenire a soluzioni che non siano sempre divergenti.Innocentina BazzanaAscoltando l’elenco di varie figure di laici, mi sono accorta che manca quella del laico in crisi, che forse le riassume un po’ tutte. Io mi sento laica in crisi; diciamolo chiaro, noi manchiamo di coerenza, c’? questa discrepanza tra i fondamenti cristiani e la realt? della vita. Penso sia uno scandalo, sia per chi ci vede dal di fuori, ma anche al nostro interno e ci? ? fonte di divisioni fra i nostri circoli.Un altro motivo di scandalo ? la divisione fra i laici e il rapportarsi con i nostri preti oltre che guardarci quasi in cagnesco, pur sostenendo tutti di lavorare per la chiesa. Se penso che tutto questo arriva dopo un Concilio, c’? da chiedersi che cosa abbiamo fatto in tutti questi anni! Altro che popolo di Dio in cammino!Angelo LevatiOggi stiamo ricordando un momento eccezionale della Chiesa: il Concilio. Ora, la vita della Chiesa non ? un continuo concilio, ? stato un momento specifico in cui tutti i Vescovi dl tutto il mondo, illuminati dallo Spirito Santo, si sono trovati e hanno detto cose nuove: ? dunque difficile rapportarsi a quel momento, cercando poi di concretizzarlo nella vita del mondo e della Chiesa.Si ? detto che la Chiesa sta rientrando in chiesa, per? non sempre per fare liturgia. La liturgia ? anche un momento pedagogico in cui si legge la Parola e

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si fa il sacrificio: infatti il primo documento conciliare approvato fu proprio quello sulla liturgia, segno di cambiamento della Chiesa al proprio interno e nel rapporto con gli altri. Oggi pare si torni alle pratiche di piet?...Dobbiamo comunque tenere presente che i frutti del Concilio sono come il seme gettato: adesso ? il momento del "marcire", quando sembra che tutto sia finito. Noi dobbiamo vivere questo momento come il momento della pazienza e della speranza: non sappiamo quando, forse fra qualche decennio, forse fra cento anni, quello che ? stato detto negli anni ‘60, verr? fuori in maniera concreta. Dobbiamo essere come il contadino che vanga e concima e cura il terreno attorno a quella pianta che fatica a germogliare, pur tenendo conto che le crisi ci possono colpire e le intolleranze possono fare capolino nel nostro animo, di fronte a situazioni di impotenza.E poi c’? il silenzio dei nostri pastori: il Vangelo ci dice che "quando tuo padre perde il senno, compatiscilo" il che vuol dire che bisogna aiutarlo a prendere decisioni adatte al momento e un po’ coraggiose. Tra l’altro, tornando ai tempi normali della Chiesa, i cattolici italiani si sono sempre sentiti "un altro mondo, un’altra cosa" si sono sempre sentiti in dovere di vedere lo Stato non cosa propria ed ? stato solo il Concilio a prendere la Chiesa e a buttarla in mezzo al mondo. Ora stiamo ritornando a casa nostra, con le nostre strutture, con le nostre scuole, con le nostre cliniche...Chiediamoci come mai la stragrande maggioranza degli obiettori di coscienza provengono dal mondo cattolico, in fondo c’? questa sensibilit? che ci dice che siamo altro, oggi invece dobbiamo entrare nella realt? del mondo.E. Cazzaniga.Oggi si ? parlato di laici, per? i laici sono anche famiglia e di famiglia si ? parlato poco. Io penso che noi, come ACLI, dobbiamo lavorare sulla famiglia, dentro la quale molto spesso si ragiona solo sulla paura, una paura che sorge tutti i giorni, in tutti gli ambienti. Dobbiamo allora spenderci per annullarla, facendo nascere quella fede con la quale ci siamo sposati con Cristo.Prima si parlava di rinuncia; si rinuncia in favore di chi? Si rinuncia in favore dei potenti, non si rinuncia mai in favore di chi ha bisogno e quindi dobbiamo mantenere solidi i diritti che abbiamo acquisito, ma anche i diritti delle persone ad avere voce, una voce che spesso noi delle ACLI non abbiamo. Da ultimo, il nostro clero deve gridare a gran voce i peccati che ci sono nel mondo.Luciano CodazziLe differenziazioni aiutano a capire meglio la realt?: bianco e nero, chiaro e scuro, bene e male, per? questo, a volte, crea dei solchi, quindi facilita le radicalizzazioni nel senso che questo ? giusto, questo ? sbagliato, dunque sto da questa parte e non dall’altra. La stessa cosa la sto notando tra laici e presbiteri: io non trovo questa grande differenza, siamo tutti cristiani, poi, all’interno di queste due categorie, abbiamo responsabilit? diverse.

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Siamo cristiani, quando se ne parla, si parla dei cristiani, meglio ancora, siamo tutti figli di Dio e questa sarebbe gi? una differenziazione. Se siamo tutti figli di Dio ? chiaro come ci si deve comportare, cos? come ? chiaro l’orientamento che ne deve derivare. Da qui anche l’agire deve essere orientato verso la formazione e la spiritualit?.Sull’intolleranza: il contrario della intolleranza non ? tolleranza, ma l’accoglienza, la ricerca della relazione positiva, ? questo il messaggio che dobbiamo lanciare e sul quale lavorare.Mariuccia BonoSono convinta che la comunit? ? da costruire: se Ges? Cristo ha pregato il Padre "fa che siano una cosa sola", vuol dire che la comunit? non c’era ancora e io oggi non vedo una comunit? cos? ideale, dove il singolo si sente appoggiato, capito, aiutato. Vedo piuttosto una comunit? in affanno e io credo che una comunit? non si crea se non c’? rispetto per le vocazioni personali. Purtroppo vi sono vocazioni personali che sono quelle che devono rompere e bisogna lasciarglielo fare. Se una persona, non per capriccio, ma in risposta alla sua vocazione prende una strada e, in base al Vangelo fa delle scelte radicali, comincia a disturbare, bisogna avere la disponibilit? al rispetto.E chi fa certe scelte deve essere preparato alla croce, senza la quale non pu? andare avanti nel suo cammino di seme pronto a marcire in una comunit? che non ? pi? sentita come tale, nemmeno a livello familiare. Ricordiamoci quel che disse Ges? Cristo sui figli che saranno contro il padre e viceversa, la nuora contro la suocera, ecc. Oggi queste cose sono all’ordine del giorno, anche per la divisione dei cattolici in politica, che ha portato scompiglio e intolleranza verso scelte diverse dalle nostre. Quale allora la molla, se non l’umilt? di riconoscersi piccoli di fronte a problemi tanto grandi?Olga SpinelliTenuto conto del fatto che anche il clero, prima ancora che clero, ? stato laico in quanto prima ancora che preti o suore si ? uomini e si ? donne, tenuto anche conto che la maggioranza di credenti genericamente si accosta alla religione solo quando va a messa la domenica, mi chiedo quanta responsabilit? abbiano i nostri sacerdoti nelle loro omelie, fermo restando il dovere del singolo credente di scegliere letture o altro che lo aiutino per una formazione valida. 

 

Risposte di Monica Martinelli 

Pi? che rispondere ai vari interventi, io ringrazio chi ? intervenuto: mi sembra comunque che da tutto emerga il desiderio di una unificazione profonda. La carrellata di figure laicali descritta nel mio intervento ? un punto di partenza

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che via via ci ha poi portato indietro, anche a livello storico, per vederne le prospettive. Una sete di unificazione che io ho respirato, ascoltando tutti gli interventi.Come si diceva, laico ? il cristiano di Cristo e questo ? il punto di partenza. Condivido l’importanza del come agire e del come parlare e se ci pensiamo, il Vangelo ? tutto sul "come": amatevi come io vi ho amato, dunque c’? un "come" da tradurre; sono anche d’accordo su una spiritualit? di un’etica, anche se l’etica ? una conseguenza. Si ? parlato di rinuncia, ma se come cristiani non capiamo bene questa cosa, rischiamo di rinunciare a qualcosa di concreto, dimenticando che c’? gioia nel fare le cose, col pericolo di avere un triste in pi?, un rinunciatario in pi?.Oggi il problema del cristianesimo non ? nelle strutture, (scuole cattoliche, ecc.) ma ? un problema di persone, liete e contagiose nella loro giocosit?: dove la prendiamo questa gioia e questa speranza, se non su un fondamento forte? Allora posso pensare alla rinuncia, ne ho la motivazione per farlo, ma sono contento. Certo c’? un problema di spiritualit?, di formazione, di studio, ma io credo, anche nel cercare il "come", che dovremo avere davanti i coniugi Beltrame Quattrocchi, beatificati qualche settimana fa: mi ha molto colpito il loro pensare dal tetto in su, guardare la realt? dal tetto in su, perch? guardarla dal tetto in gi? ci fa cascare nella disperazione dilagante.Allora i modelli non andiamoli a cercare, lasciamo che lo Spirito, anche dentro di noi, ci trasformi al punto tale da lasciarci vivificare. Guardate che non sono solo i cristiani a darci qualcosa: vi sono persone non cristiane che mi hanno insegnato tantissimo del cristianesimo. Nella misura in cui mi apro, ricevo dei modelli a partire dalla vita e quando incontro una persona coerente, non ? un modello? Per quanto riguarda la preghiera, attenzione che essa non diventi un rifugio intimistico, altrimenti il cristianesimo viene vissuto nel privato, viene recintato, tanto che tutte le indagini sociologiche dicono che la religione – oggi – ? un fatto privato.Ora, se questo mi va bene per la religione in quanto essa ? sempre uno sforzo dell’uomo verso Dio, questo non mi pu? andare bene per la fede: la fede ? un Dio che nella storia si fa presente all’uomo, non ? un fatto privato, per cui anche la preghiera stessa ? qualcosa che mi unisce profondamente in una relazione con Dio.Qualcuno diceva di stare nelle ACLI come apostoli, ebbene, l’apostolo ? prima di tutto un discepolo: io vado, parlo, annuncio, perch? attingo, perch? come tutti sono su strada. E la chiesa non ? perfetta, ? santa e peccatrice, e questa ? una realt? che, grazie a Dio, ? presente in essa. Altrimenti dovrei uscirne. Anche la chiesa ? in cammino, per? mi appartiene, perch? se siamo corpo siamo un tutt’uno in un interscambio tutto da costruire, a partire da una trasformazione nostra.Il mio occhio deve guardare a tutto il corpo e guardare a servizio di tutto il corpo: ecco una unit? pi? profonda che aiuta anche a unire la fede e la vita

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che, secondo me, rimane la sfida grossa ai grandi problemi, dentro ai quali per? non possiamo diventare un urlatore in pi?. La denuncia ci vuole, ma la denuncia si accompagna sempre all’annuncio, nel cristianesimo, quindi lo stesso dialogo che come cristiano voglio vivere con tutti, inizia col mio vicino, dunque inizia anche all’interno della chiesa.Il rifugio nella liturgia? Ma che la liturgia si traduca in vita! Se pensiamo di formarci in modo intellettuale, siamo su un’altra pista. La formazione cristiana invece ? trasformazione, c’? un seme che marcisce, eccola qui la trasformazione; come rispondere oggi nel piccolo alla richiesta di servizio, inteso come vocazione?Il servizio non ? assistenza, il servizio mi mette di fronte all’altro come qualcuno pi? grande di me e qui cambia tutta l’ottica. Nel giudizio universale, quando Dio parla di quelli che non l’hanno riconosciuto, ma anche di quanti pur non avendolo riconosciuto hanno compiuto gesti concreti, l? si parla di servizio. La traduzione giusta ? servire e la speranza vince quando inizia a servire; servire vuol dire che sono di fronte a un altro pi? grande di me, qualsiasi altro. Questa sintesi tra fede e vita vuol dire che restituiamo al Vangelo ci? che gli abbiamo tolto: si tratta di una radicalit? per tutti, che inizia con gesti piccoli e non dobbiamo cedere all’idea imperante che siccome i gesti piccoli non servono a niente, non li facciamo. Sappiamo per? che tanti piccoli gesti, uniti insieme, arrivano a formare cose grandiose.Da ultimo, si ? detto che l’intolleranza fa nascere l’esigenza di creare percorsi di vicinanza, che il laico pu? essere visto come comunicatore, come il cristiano che dialoga: beata allora la situazione di buio attuale. Voglio dire che non ? necessario cercare una situazione ideale dalla quale partire per iniziare a riflettere, ad agire, in una parola a vivere.Beata la situazione di buio, forse pi? vicina all’alba, che non le dirci di sera, che diventa il luogo ideale, persino quello delle sconnessioni, degli scandali dentro e fuori la parrocchia. Tornando al Giudizio Universale evocato prima: esso ? collocato poco prima della Pasqua e questa collocazione ha un senso, tutto quello che Ges? dice degli altri, capita a lui stesso, la situazione di indigenza a cui egli si riferisce, diventa la sua situazione, nella Pasqua, diventa lui l’indigente. Nel buio della storia dell’umanit?, allora ? presente questo Cristo, che per? ? anche risorto. Si tratta di approfondire questa realt? che certo non ? cosa facile, ma neppure impossibile.

 

 

Appunti 

Don Sandro Spinelli 

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Mi sento un po’ scombinato, non sono pi? abituato a questi dibattiti, nel senso che nella mia vita sto tentando di sostanziare, di essenzializzare le cose. Il profeta Geremia dice che dobbiamo cominciare a conoscere "col cuore": questo che vi mostro ? un cappello di paglia usato in Brasile: il primo atteggiamento che noi dobbiamo mettere nella nostra vita ? il cappello che il contadino del Brasile continua a togliere per salutare, quasi a far sentire che ha un enorme bisogno dell’altro. Queste invece sono ciabatte, che chi lavora davvero usa, che pu? dare molte risposte a tante parole che ci siamo dette; c’? una poesia brasiliana che dice cos?: "nostro primo lavoro all’avvicinarci di un altro popolo, un’altra cultura, religione dell’altro, ? togliere i sandali, le scarpe, perch? il luogo nel quale ci avviciniamo ? sacro. Al contrario, potremmo stare schiacciando il sogno dell’altro, potremmo dimenticarci che Dio era gi? l?, prima che noi arrivassimo".E’ questa la chiave, Dio ? gi? l?, ma noi vogliamo profumare il mondo a modo nostro tenendo separato quello che profuma il mondo, noi separiamo il sacro dal profano, santifichiamo la luce come quella di Dio e viviamo pensando che essa profumi a nostro piacimento. Questa nostra scelta non profuma niente e allora diamo valore all’agire, al cambiare, al trasformare il mondo e, qualche volta, ci fermiamo con Dio. Vedete, noi ora stiamo discutendo, poi celebreremo la Messa. Terribile, questa separazione tra sacro e profano. Dove posso, questa ? gi? la Messa iniziale, non c’? la Parola di Dio dopo, l’avete gi? detta e citata un sacco di volte, gi? avete chiesto perdono. Perch? io devo mettere la veste? Parto da qui: in Brasile si chiama contemplativus in liberacion, si deve essere contemplativi mentre si liberano. Purtroppo siamo stati abituati all’ora et labora e quindi nell’epoca industriale si privilegiava il lavoro. Oggi si separano questi due momenti, invece bisogna essere contemplativi dentro la nostra vita. Io prete mi sono oggi sentito punito per questa separazione, penalizzato perch? a noi preti ci attribuiscono compiti sacri, gestione ed animazione del tempo sacro, del tempio sacro, dello spazio e dei momenti sacri. Quando superiamo, una volta per tutte, il sacro ed il profano? Ges? ? venuto semplicemente per dire questo, che tutto ? Dio e tutto ? gi? stato vivificato dallo Spirito del Signore, Spirito e crisma di salvezza che ti fa essere partecipe del popolo di Dio, con Cristo. Profeta: poter parlare e interpretare i segni di Dio; re, la giustizia e la coerenza nel mondo. Tutto questo ? essere cristiano. In questa non separazione, a me piace celebrare l’eucarestia, senza divisione tra sacro e profano: ? bellissimo vivere qualsiasi momento di vita in luoghi e tempi come incontro con Dio, incontro con l’umano. Questa non separazione vede tutto l’aspetto meraviglioso della preghiera, del rapporto con Dio profondo, continuo, totale, che alimenta la coerenza, l’ottimismo e la relazione. Essere contemplativi, vedere al di l? e percepire il volto di Dio in quello che si incontra. Questo ? mica fatto per i preti, per le suore, per chi si ritira, ? di tutti. Ma davvero siamo contemplativi? Quali silenzi permeano la nostra vita? Quale silenzio ha permeato anche questo mattino?

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Pi? che "ora et labora", vivere insieme, quasi contaminati l’uno nell’altro; certo si pu? tenere un minimo di separazione o comunque distinzione, ma lo vedo in voi laici e lo vedo anche in me laico e prete: ? quello di essere il sentimento del mondo e su questo vorrei soffermarmi un momento con voi. Essere sentimento del mondo, non la verit? del mondo, conoscere col cuore ? cosa diversa: "vi strapper? un cuore di pietra", un cuore freddo, dove la verit? viene prima della relazione e "vi dar? un cuore di carne".Sentite cosa dice la Gaudium et spes: "Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi, dei poveri soprattutto, di coloro che soffrono sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo e nulla vi ? di genuinamente umano che non trovi eco nei loro cuori": Essere sentimento del mondo, vivere cio? appassionatamente ogni fatto, la conoscenza del cuore che ammalia e che ? poi quella che diventa preghiera; questa emozione che porta a soffrire, tanto da non avere risposte, neanche davanti alla guerra, in un interrogativo fra giustizia, misericordia. Essere sentimento del mondo, che significa tollerare, portare i pesi del mondo, farsi carne della carne del mondo, prima di ogni qualsiasi azione: vi accorgerete che chi riteniamo sia avversario non lo ? pi?. Vorrei dire che il ruolo dei laici ? di essere sacerdoti, quello di caricarsi dei problemi del mondo per offrirli a Dio, portateli dentro la chiesa, fate che entri con irruenza nelle nostre celebrazioni e poi portateli nel mondo, dentro le lotte politiche e sociali. C’? un piccolo episodio che io ricordo sempre: in un piccolo paese di contadini di Pimenteiras (Brasile) c’era uno scontro coi latifondisti. Il mattino successivo ad un grande scontro, io andavo sempre il mattino presto dal latifondista a chiedere un caff?. Un anno fa ho incontrato uno di questi latifondisti, il quale mi diceva che alcuni contadini non pagavano pi? parte del prodotto: non erano per? state le mie prediche a cambiarlo, era stato piuttosto l’andare a umiliarmi, a chiedere un caff? ad averlo sconvolto e ad averlo cambiato. Non esistono nemici, per Dio. Diceva una benedettina francese, vissuta e morta in India: "? venuta l’ora dei contemplativi, ma come devono essere vivi, alla presenza del mondo dal profondo del loro silenzio".Don Primo Mazzolari: "amando gli altri controbilanciamo il loro peso. Pesano, ma non mi schiacciano, perch? so che devo portarli e perch? e per chi li porto". Ce ne sono tanti altri, anche qui e io imparo molto da voi; "nella misura in cui partecipiamo a Cristo incarnato, partecipiamo alla piena umanit? che lui porta su di s?; poich? ci sappiamo assunti e portati dall’umanit? di Ges? per questo la nostra nuova umanit? consiste nel portare la colpa degli altri". (Bonhoeffer)Noi siamo il luogo da cui e attraverso cui Dio, con la sua forte tenerezza, si affaccia a tutti per dire che tutti sono figli, nati liberi per amare. E Turoldo: "anima mia canta e cammina. Anche tu o fedele di chiss? quale fede, camminiamo insieme e l’arida valle si metter? a fiorire: qualcuno, colui che tutti cerchiamo, ci camminer? accanto".

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Avere una profonda comunione con Dio, per essere capaci, come lui, di essere il sentimento del mondo. Tollere uguale a portare il peso del mondo: questo vuol dire essere misericordiosi, avere il cuore tanto grande che quando incontra un persona la ascolta e si assume la vita e la speranza dell’altro. Essere ai piedi della croce, delle infinite croci, con un amore compassionevole. Mi piace la parola compassione, cos? come me ne piace un’altra: assistenza, nel senso di abbassarsi perch? l’altro possa prendermi il braccio e alzarsi. E’ qui la carit?, la carit? che tutto protegge, tutto sorregge, tutto circonda e valorizza ci? che ama affinch? rimanga viva.Un mistico musulmano diceva: "quando vuoi riconoscere gli eredi di Ges?, tra i loro segni distintivi osserva ogni persona nella quale vi ? misericordia e compassione verso tutti, chiunque essi siano". Essere sentimento del mondo significa un afflato umano, pieno di compassione e di entusiasmo, ? il contrario della fredda ragione che tutto vuole controllare, di tutto vuole avere certezza e sicurezza; la ricerca della verit? con il fucile della ragione. Pintor, giusto per citare un uomo impegnato, diceva che "non c’? in un’intera vita, cosa pi? importante da farsi, che chinarsi, perch? un altro cingendoti il collo, possa rialzarsi".L’attualit? del Vangelo passa attraverso i problemi degli uomini, problemi, fatiche, passi e anche gli erramenti del cammino umano. Paolo VI, alla fine del Concilio, ha detto questo: "amare l’uomo, non come strumento per amare Dio, ma come primo termine trascendente, principio e ragione di ogni amore "e ancora: "e infine questo nostro universale saluto rivolgiamo anche a voi uomini che non ci conoscete, uomini che non ci comprendete, uomini che non ci credete, a voi utili, necessari ed amici e anche a voi che, pensando di far bene, ci avversate, un saluto sincero, discreto, ma pieno di speranza ed oggi, credetelo, pieno di stima e di amore".Perch? noi parliamo sempre degli altri? Lasciamo stare, cominciamo – ciascuno di noi – a convivere, non colpevolizzando: neanche con Caino Dio lo ha fatto, anzi "porr? su di te un segno perch? nessuno ti uccida e se qualcuno ti uccider?, la mia vendetta sar? di sette volte tanto".Ho portato con me una preghiera: 

Signore, ho appena due manie il sentimento del mondo.

 

Signore, vivo tra

sogno e monotono quotidiano

visione e realt?

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utopia e miseria

il tuo Regno atteso

e la violenza che contamina

Signore ho appena due mani

e il sentimento del mondo.

Signore, cammino tra:

oppressione e libert?

ingiustizia e diritto

stabilit? e profezia

pareti di terra, tetto di paglia

ed edifici grandi sulle strade

asfaltate.

Signore, la mia voce ? straniera

all’altro

sulla torre di Babele,

mentre mi raggiunge la Parola

tua memoria:

"fratello".

Signore ho appena due mani

e il sentimento del mondo.

Signore, sento il futuro di tutto

distruggere ora, subito

e la pazienza e il calcolo

per costruire la casa nuova

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per uomini nuovi.

Signore, sono solo,

nella mia stessa famiglia

con un desiderio di eucarestia

che sia pane per tutti.

 

 

Signore ho appena due mani

e il sentimento del mondo

grande, profondo

Signore, mi hai inviato

per tessere una tela di relazioni

tra uomini:

"fratelli".

Ho capito, Signore, che il male

fuori,

? in me divisione:

di peccato e di grazia

egoismo e amore

impurezza e trasparenza

omissione e missione

morte e vita

Caino e Abele

nel cuore del mio essere.

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Signore ho appena due mani

e il sentimento del mondo

nell’attesa della gestazione

di un popolo di fratelli

in cammino nella vigilia del

sabato.

 

 

 

Dalla Legge Bossi-Finiverso un’Europa multiculturale

24 novembre 2002Introduzione

 

Dante Mantovani 

Abbiamo scelto il tema dell’immigrazione, legato alla legge Bossi-Fini, nella prospettiva della costruzione dell’Europa, un tema sul quale - di fatto - occorre riflettere.Il prossimo anno a Brescia avremo le elezioni amministrative e il tema dell’immigrazione sar? il tema che decider? le maggioranze, che sar? legato a quello dell’insicurezza o della sicurezza e sul quale si giocher? la costruzione di una cultura europea, a seconda del grado di accettazione di una multiculturalit? all’interno delle nostre comunit?.Quanto pi? moltiplichiamo le occasioni di riflessione, tanto pi? riusciremo a contribuire a costruire una societ? fondata sull’accoglienza, la tolleranza e sulla condivisione di esperienze religiose e sociali.Questa riflessione la abbiniamo ovviamente ad una legge ormai in vigore nel nostro paese, la Bossi-Fini. di cui conosceremo i contenuti e le conseguenze che porter? nel nostro paese.Chi ha badanti in casa avr? toccato con mano le problematiche legate alla regolarizzazione, dunque, dopo questa breve introduzione, d? la parola al relatore Carlo Melegari.

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Comunicazione 

Carlo Melegari sociologoresponsabile del Centro Documentazione Immigrazione(Cestim) - Verona 

Sono sociologo e ho alle spalle un interesse marcato alle problematiche dell’emigrazione. Nel 1980 sono stato chiamato dagli amici delle ACLI della Germania ad occuparmi di un servizio di coordinamento dei Corsi di formazione professionale che si tenevano nella Repubblica Federale Tedesca: pi? di duecento corsi per seicentocinquantamila italiani che l? si trovavano per lavoro. Da allora, ininterrottamente, mi sono occupato dei fenomeni che riguardano lo spostamento di persone e di gruppi da una parte all’altra dell’Europa e non solo e, dopo il servizio in R.F.T. sono stato, sempre con le ACLI e con l’ENAIP, in Belgio e in Inghilterra, quindi dal 1986 mi sono occupato, anzich? di emigrati italiani, di immigrati da altri paesi che, in pratica, si trovano nelle condizioni in cui erano gli italiani nei decenni di fine ‘800 e, per gran parte del secolo ventesimo, spinti dagli stessi fattori di espulsione, si trovano oggi in Italia e continuano ad arrivarvi.L'Italia che da paese di emigrazione e di esportazione di manodopera all’estero, ? diventata e continuer? ad essere, per molto tempo, paese di importazione di manodopera nella ricerca di migliori condizioni di vita.Sono dunque oltre vent’anni che collaboro con associazioni collegate con il mondo cattolico (ACLI, Caritas, CISL e altre) impegnate in qualcosa che fa parte della missione stessa della Chiesa. Esiste un volume nel quale si trovano tutti i documenti del Papa e delle Conferenze Episcopali proprio per sollecitare le comunit? cristiane a tutti i livelli ad una attenzione particolare per la figura del migrante che lascia il proprio paese e del migrante immigrato che si trova in un altro paese.Da questa raccolta di documenti vorrei citare Giovanni Paolo Il nel suo messaggio del 9 novembre 1997, dove troviamo le motivazioni all’impegno in questo campo. Dice il Papa nella "Giornata del migrante" del ‘97: "La Chiesa guarda all’intensificarsi dei flussi di migranti e rifugiati con viva sollecitudine pastorale e si interroga in merito alle cause di tale fenomeno e alle particolari condizioni nelle quali vengono a trovarsi quanti sono costretti, per vari motivi, ad abbandonare la propria patria".I sociologi, in riferimento a questi motivi, parlano di "fattori di espulsione dal proprio paese", perch? - per una serie di circostanze - nel proprio vissuto si ritengono intollerabili le condizioni di vita: perch? c’? una guerra in atto,

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perch? ci sono delle persecuzioni di carattere religioso o culturale, perch? vi sono delle catastrofi che hanno reso invivibile il territorio, perch? ? in atto una gravissima crisi economica senza via d’uscita... In effetti la situazione dei migranti e dei rifugiati nel mondo tende a farsi sempre pi? precaria, la violenza talvolta costringe intere popolazioni a lasciare la terra d’origine per sfuggire a perduranti atrocit?: pensiamo a quanto ? successo in Ruanda e in Burundi, al milione di persone che scappava per l’incombente minaccia di essere trucidati dalla opposta etnia.Pi? frequentemente sono la miseria e la carenza di prospettive e sviluppo a spingere singoli e famiglie sulla via dell’esilio per cercare mezzi di sussistenza in paesi lontani nei quali non ? facile trovare adeguata accoglienza.Ai problemi connessi con le barriere culturali, sociali e talvolta persino religiose, si uniscono quelli legati ad altri fenomeni, come la disoccupazione che affligge anche paesi tradizionalmente meta di immigrazione, lo sfaldamento della famiglia, la carenza di servizi e la precariet? che investe tanti aspetti del vivere quotidiano.Nella cartellina ho visto un documento sulla riforma sanitaria lombarda e sulle misure che si stanno per adottare in relazione a risposte ai bisogni socio-sanitari della popolazione: non ? che le cose siano lontane dal punto di vista della loro collegabilit?. Nel fenomeno della immigrazione ? chiaro che si entra in un sistema di rapporti con il mondo che accoglie e nel quale vanno a incidere tutte le difficolt? e i disagi che da una parte e dall’altra si vivono da immigrato a da autoctono che in quel momento si trovano a rapportarsi, ciascuno portatore delle proprie difficolt?.A tutto ci? si aggiunge il timore da parte della comunit? ospitante di perdere la propria identit? a causa della rapida crescita di questi estranei, in virt? del dinamismo demografico, dei meccanismi legati al ricongiungimento familiare e dello stesso arruolamento clandestino nella cosiddetta "economia sommersa".Quando viene meno la prospettiva di una integrazione armoniosa e pacifica, il ripiegamento su di s? e la tensione con l’ambiente, la dispersione e la vanificazione delle energie diventano rischi reali, con risvolti negativi e talora drammatici. Gli uomini si ritrovano pi? dispersi di prima, confusi nel loro linguaggio, divisi tra loro, incapaci di consenso e di convergenza.Non ? che le problematiche che l’immigrazione porta con s? non siano all’attenzione dei nostri pastori, questo per? non vuol dire che le risposte alle problematiche che si aggiungono ad altre problematiche siano quelle del rifiuto, dell’esclusione, della non inclusione, della non accoglienza.Un grande ruolo - sia in positivo che in negativo - possono svolgerlo i mass media: la loro azione pu? favorire una giusta valutazione e una maggiore comprensione dei problemi dei nuovi arrivati, fugando pregiudizi e reazioni

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emotive, oppure alimentare chiusure e ostilit?, ostacolando e compromettendo una giusta integrazione.Purtroppo siamo costretti a concludere che prevalgono gli elementi di giudizio negativo di quello che ? il ruolo dei mass media nel dare una certa rappresentazione del fenomeno dell’immigrazione e di tutto quello che ci? comporta. Questa situazione pone delle sfide alla comunit? cristiana che fa dell’attenzione verso i rifugiati e i migranti una delle sue priorit? pastorali: la "Giornata mondiale del migrante" da questo punto di vista costituisce un’occasione opportuna per riflettere su come intervenire in maniera sempre pi? efficace in questo delicato ambito di apostolato.Per il cristiano, l’accoglienza e la solidariet? verso lo straniero non costituiscono soltanto dovere umano di ospitalit?, ma una precisa esigenza che deriva dalla fedelt? all’insegnamento di Cristo; per il credente, occuparsi di migranti significa impegnarsi per assicurare a fratelli e sorelle giunti da lontano un posto all’interno delle singole comunit? cristiane, lavorando perch? ad ognuno siano riconosciuti i diritti propri di ogni essere umano. La Chiesa invita tutti gli uomini di buona volont? a offrire il proprio contributo perch? ogni persona sia rispettata e siano bandite discriminazioni che umiliano la dignit? umana: la sua azione, sorretta dalla preghiera, si ispira al Vangelo ed ? guidata dalla sua secolare esperienza".Perch? ho letto questa lunga pagina di uno dei tantissimi documenti del magistero della Chiesa? Io non so quanti abbiano ottenuto il voto dichiarandosi - in campagna elettorale - cristiani, in uno schieramento o nell’altro dell’attuale Parlamento. Certo, trovo pochissimo di questa fedelt? all’insegnamento della Chiesa nella legge Bossi-Fini, dalla quale prendere spunto per una riflessione collettiva.Noi siamo dentro un pensiero "unico" della politica, che non lascia spazio a grandi diversit? in cui lo straniero non ? certamente visto come un fratello , come una persona con uguali diritti e uguali doveri, come una persona che ha la stessa nostra dignit?, a partire da qualcosa che ? fondamentale perch? non vi sia ipocrisia nel momento in cui, da una parte si proclamano alcuni principi e, dall’altra, si mettono in atto, scrivendole - misure burocratico-amministrative - che, con questi principi fanno a pugni.Avete provato a pensare al significato che ha la parola "permesso"? Eppure nel pensiero unico politico che attraversa i vari schieramenti, si ritiene naturale che per entrare nel nostro paese ci voglia un permesso: "Vieni qua se te lo permetto io, altrimenti tu resti l? dove sei nato".Questa sembra una residua permanenza di quanto sta alla base della dottrina dell’apartheid; che merito abbiamo noi e che colpa hanno gli altri di essere nati in un posto piuttosto che in un altro? Perch? se nel mio paese non posso avere una risposta a quelli che sono i bisogni fondamentali riconosciuti da tutte le Convenzioni Internazionali sui Diritti dell’uomo, non ho la possibilit? di spostarmi, se non attraverso un permesso?

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Da notare che nella Dichiarazione stessa dei Diritti dell’Uomo del 1948, all’art.13 si dice che ogni persona ha il diritto di lasciare il proprio paese, per? c’? una contraddizione, perch? a questa frase non segue l’affermazione del diritto a entrare in un altro paese.Se ho il diritto di lasciare il mio, ma tutti i paesi mi negano l’ingresso nel loro, il diritto di lasciare il proprio ? una affermazione ipocrita, perch? o trova una sua effettivit?, oppure tale affermazione ? priva di senso.Dal punto di vista umano e cristiano, dovremmo fare tutti quanti una riflessione seria sull’uso della parola " permesso" e sul significato culturale che essa ha, perch? alla fine la ritroviamo dentro i testi di legge che, una volta passata, porta a conseguenze assai pratiche nella vita delle persone: infatti la libera circolazione delle persone, di fatto negata perch?, in base alla discrezionalit? di politici al momento della formulazione di misure di legge oppure di funzionari - burocrati amministrativi, possiamo arrivare all’arbitrariet? nella negazione di quello che dovrebbe essere un diritto affermato per tutti.La legge Bossi-Fini, nel momento in cui va a determinare in maniera ancora pi? dettagliata le procedure per l’ottenimento del visto d’ingresso e, in seconda battuta, del permesso di soggiorno e i requisiti per la permanenza nel paese, vediamo che va a incidere nella vita delle persone in maniera tale da discriminarle rispetto a quello che ? un diritto universale che di per s? dovrebbe essere riconosciuto.Tutto questo ? all’origine del fenomeno dell’irregolarit?, della presenza di clandestinit? sul territorio, che, a sua volta, produce conseguenze dall’essere portatori di diritti di cittadinanza di serie A oppure di serie B o addirittura di serie Z: infatti non c’? persona pi? ricattabile, pi? soggetta a discriminazioni, non potendo rivendicare i propri diritti, dell’irregolare e del clandestino.La critica pi? forte alle legge Bossi-Fini, e quindi ai deputati e senatori cristiani che l’hanno sostenuta, ? che essa va a produrre le condizioni nelle quali la persona dell’immigrato, trovandosi irregolare e clandestino in stato di necessit? in questo paese, non ha tutelati i diritti fondamentali della persona.E’ qui il grosso nodo della legge Bossi-Fini. Devo dire che questa legge, in questo ? figlia ulteriormente degenere della Turco-Napolitano e delle altre leggi che, sia in Italia che in altri paesi a benessere diffuso, hanno legiferato in materia di immigrazione. Perch? poco fa parlavo di pensiero unico? Perch? dal Giappone all’Australia, agli USA, al Canada, all’Unione Europea, ci troviamo di fronte a una legislazione concorde nel partire dall’idea del permesso che naturalmente porta all’idea delle quote per la qual cosa si deve vedere chi serve e chi no, col risultato di irregolarit? e clandestinit?.L'Italia non ? l’unico paese al mondo ad avere irregolari e clandestini, noi, con l’ultimo censimento che ? sempre la sanatoria o la regolarizzazione, abbiamo rilevato che sul nostro territorio, nel momento in cui si doveva andare

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all’ufficio postale col datore di lavoro, ce n’erano cinquecento-seicentomila, certamente un numero in eccesso, perch? probabilmente sono arrivati da pi? parti quanti volevano approfittare di questa occasione .Di sanatorie di questo tipo ve ne sono state in Canada, Australia, Europa, Stati Uniti: qui, l’ultimo censimento ha portato l’agenzia governativa a dichiarare che non vi sono meno di undici milioni di irregolari e clandestini negli Stati Uniti. E sono le legislazioni restrittive a portare al fenomeno dell’irregolarit?, perch? se il mondo ? diviso in maniera squilibrata dal punto di vista dell’utilizzazione delle risorse necessarie a dare risposta decente ai bisogni fondamentali delle persone, per cui l’80% della popolazione mondiale deve accontentarsi oggi del 20% delle risorse del pianeta e il 20% se ne accaparra l’80%, ? chiaro che chi ? nato dalla parte sbagliata del mondo, cercher? di spostarsi nella parte giusta per trovare risposte ai propri bisogni.Ora se non lo pu? fare in maniera legale, si riterr? in stato di necessit? tanto da raggiungere quei paesi che ritiene adatti e lo far? in maniera non legale. Tutto questo a fronte di conseguenze ritenute accettabili: i paesi a sviluppo avanzato dove il benessere ? diffuso, coincidono coi paesi che dicono di essere orgogliosi della civilt? del diritto che ritengono di aver raggiunto al massimo apice nel corso della storia: una civilt? del diritto la quale non accetter? che a vista si spari su chi entra illegalmente Quando parliamo di migranti, parliamo di persone come noi, normalmente intelligenti e normalmente oneste, con eccezioni cos? come capita anche fra i nostri concittadini; sono comunque quote marginali quelle di chi pensa di andare altrove per trovare migliori condizioni di vita, lasciando il proprio paese.La cosa funzione cos?: avute le necessarie informazioni da parte di un parente o conoscente che gi? si trova all’estero, ritenute queste informazioni attendibili, si iniziano le procedure per entrare legalmente, ma se queste - nei fatti - si dimostrano irragionevoli per i motivi pi? svariati, ? chiaro che a fronte di una possibilit? che viene negata e delle conseguenze che si subiranno entrando illegalmente, si pesano queste ultime e si decide di partire comunque.Fare questo per? ? costoso, vista l’irregolarit? di tutta la trafila, bisogna aggirare gli ostacoli previsti dalle procedure di legge, si prenderanno contatti con agenzie pi? o meno malavitose che, dietro pagamento, provvederanno al trasferimento clandestino. Va de s? che nella maggior parte dei casi il clandestino, oltre ad avere problemi in quanto tale, ? anche fortemente indebitato e si ridurr? a quella che si pu? chiamare schiavit? se vorr?, ridurre il debito e mandare qualche soldo a casa. Certo che il lavoro sar? in nero, senza diritti, probabilmente sottopagato e sotto ricatto, ma tutto questo viene affrontato nella speranza che entro due-tre anni, le cose finalmente si metteranno a posto e si potr? vivere come si sognava, che potesse essere, sia pure dopo qualche tempo tribolato.

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Immaginate la polizia che arriva, per esempio, a "liberare" un gruppo di cinesi che vive e lavora in un piccolo locale: per costoro la polizia non ? affatto il liberatore, ma costituisce il pi? grande disastro che gli potesse capitare. Vedete allora quali effetti perversi pu? avere una legislazione restrittiva che non tiene conto delle reali esigenze delle persone; paradossalmente un regime di libera circolazione delle persone, oltre a non creare clandestinit?, favorirebbe la possibilit? di esplorazione del mondo del lavoro in modo tale che, se uno entra e non trova una risposta alle sue aspettative di reddito da lavoro, come facilmente ? entrato, facilmente esce.Chi invece ? entrato con molta difficolt?, con altrettanta difficolt? sar? disposto a uscirne, visto il prezzo che ha dovuto pagare per poter arrivare, oltre a quello di un ritorno fra i suoi da fallito. Questa persona far? di tutto per restare e lo far? rimanendo in quell’area di forte rischio alla marginalit?, all’emarginazione e poi alla contiguit? con la devianza e nella devianza stessa, che rende poi estremamente problematica la convivenza civile in un paese.Alla base della legge Bossi-Fini, cos? come alla base di tutte le legislazioni dei paesi a sviluppo avanzato, sono presenti dei fantasmi: quelli dell’invasione, le paure dell’incontrollabilit? dei flussi, che poi portano a produrre una normativa che va esattamente nel senso contrario degli effetti che si vorrebbero raggiungere con quelle disposizioni di legge.Infatti, anzich? eliminare la clandestinit? e la irregolarit? (che sono chiaramente un grandissimo male per la convivenza civile) va a moltiplicarle e, unico modo per intervenire perch? esse non costituiscano una minaccia al buon ordine e alla integrazione, si ricorre necessariamente alle regolarizzazioni e alle sanatorie. Una riprova di quanto sto dicendo sta nel fatto che in questa ultima regolarizzazione, del milione e seicentomila immigrati che c’erano in Italia con regolare permesso di soggiorno, pi? dei due terzi erano passati attraverso la fase della irregolarit? e della clandestinit?: la loro presenza regolare era data da interventi precedenti di regolarizzazione e di sanatoria, con l’aspetto perverso che regolarizzazione e sanatoria hanno, quello di convogliare nel paese che sta facendo regolarizzazione e sanatoria anche gente che non c’era.Infatti in Italia sono arrivati in pullman da altri paesi europei per vedere se si poteva sfruttare questa occasione, naturalmente con carte false e quindi mettendosi in una condizione di ricattabilit? vita natural durante.La responsabilit? del cristiano, la responsabilit? politica di chi vuole rappresentare una certa visione del mondo laddove si prendono le decisioni che contano, deve tenere conto dell’analisi qui fatta e che peraltro ci viene continuamente sollecitata dagli stessi documenti del magistero della Chiesa.Tutto quello che sta avvenendo nel nostro paese per noi non ? una novit?, queste cose le sapevamo gi?, perch? anche i nostri emigrati hanno subito le stesse ingiustizie dell’ingresso e della collocazione in un paese straniero che

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noi stiamo facendo subire a quelli che vengono da noi, ma se non si conosce la storia, si fanno discorsi da bar: ? vero, i nostri partivano anche col contratto di lavoro, anche con le carte in regola, ma a centinaia di migliaia sono partiti in maniera esattamente uguale con cui purtroppo oggi si parte vincendo le resistenze poste da determinate legislazioni da paesi in cui sono presenti fattori di espulsione. Ho con me la copertina di una vecchia Domenica del Corriere del 5 dicembre 1948 in cui ? raffigurato un naufragio e la cui didascalia dice cos?:"La tragedia degli emigranti, ingannati da loschi impresari (sono i nostri) che organizzano il passaggio clandestino della frontiera. Alcuni emigranti che tentavano di raggiungere la Francia sopra una barca, hanno fatto naufragio al largo di Ventimiglia. Soltanto l’intervento di due motoscafi della polizia italiana e francese ha evitato una pi? grande sciagura".Questo vi ricorda qualcosa? Ma la storia si ripete e in questi giorni ? uscito il libro di un giornalista del Corriere della Sera, Gian Antonio Stella ed ? intitolato "L’Orda. Quando gli Albanesi eravamo noi". E’ impressionante la documentazione presa dai giornali che qui viene riportata, su quello che si diceva di noi quando eravamo noi gli Albanesi; dice il New York Times del 14 maggio 1909: "Si suppone che l’italiano ? un grande criminale, l'Italia ? prima in Europa per i suoi crimini violenti, il criminale italiano ? una persona tesa, eccitabile, di temperamento agitato quando ? sobrio ed ? ubriaco e furioso dopo un paio di bicchieri. Quando ? ubriaco arriva lo stiletto e di regola i criminali italiani non sono ladri o rapinatori, sono accoltellatori e assassini". E inoltre: "Mandrie di ignoranti e viziosi compatti solo a difendere avanzi di galera, quinta colonna di traditori, corruttori di giudici e politici, invadenti come locuste, madri maledette dai figlioletti venduti, bambini spaventati, curvi e deformi come vecchi, mendicanti per professione...".La Chiesa ha accompagnato i nostri emigranti nei decenni di fine ‘800 e in tutto il ‘900 e sa benissimo che oggi si ripropone per gli immigrati che vengono in Italia quella che ? stata la condizione di accoglienza o di rifiuto che ha caratterizzato la presenza dei nostri emigranti nel corso di un secolo: pi? di diciassette milioni dei quali circa quattordici milioni si sono fermati all’estero, tanto che oggi nel mondo vi sono pi? oriundi italiani all’estero di quanto sia la popolazione italiana nel nostro paese; si calcola che siano all’estero dai sessanta ai novanta milioni i nostri oriundi, a seconda che vi si comprendano uno o due ascendenti.Teniamo presente che noi italiani siamo cinquantasette milioni e che in questo momento gli emigranti italiani che sono all’estero immigrati in un determinato paese con passaporto italiano e, pertanto cittadini italiani a tutti gli effetti, sono pi? di cinque milioni, mentre in Italia gli immigrati provenienti da varie parti del mondo, come risulta nell’ultima sanatoria, arrivano a circa due milioni. Vediamo allora che ? pi? del doppio il contributo che ancora oggi noi, paese a sviluppo avanzato, diamo all’emigrazione internazionale.

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L’affermazione demagogica e insensata di "ognuno a casa sua" se venisse adottata come misura risolutiva dei problemi di convivenza civile nei vari paesi, in contemporanea in tutto il mondo, porterebbe ad espellere persone straniere presenti sul nostro territorio, ma nel contempo ci riporterebbe i nostri cinque milioni di italiani emigrati all’estero.Per non parlare delle tragedie che ci? provocherebbe se si facesse come ? avvenuto nei Balcani per la storia dei cognomi, sul fatto dell’essere croato piuttosto che serbo o bosniaco: su questo esempio, ci? vorrebbe dire che i nostri oriundi italiani (sessanta-novanta milioni) si ritroverebbero con milioni di altre nazionalit? in una situazione di assoluta invivibilit? dal punto di vista della loro legittimit? a risiedere sul territorio.Purtroppo c’? molta gente che parla senza sapere quello che dice e fra questi abbiamo politici fortemente condizionati da questa opinione pubblica che si rif? al pensiero unico che parte dall’idea del permesso di soggiorno con la contraddizione fortissima rispetto ai principi che poi tutti noi proclamiamo. Io credo che il nostro compito in qualit? di persone che in certi momenti hanno la possibilit? di far valere il loro potere di elettori nei confronti di chi si candida a rappresentarci, ? quello di riportare i nostri politici a questi principi, agli insegnamenti della Chiesa, a ragionamenti che non possono non stare alla base della convivenza civile nel nostro paese.

 

Domande1) Mantovani: Credo che la relazione appena ascoltata ci abbia portato argomentazioni che anche all’interno della nostra realt? dobbiamo conoscere, perch? anche fra i nostri si sentono discorsi assurdi, figli della non conoscenza delle cose. Far capire queste cose ai nostri politici? Il problema vero ? che i politici sono eletti dai propri elettori e, se facessero in campagna elettorale questi discorsi, credo proprio che pochissimi darebbero loro il voto. Purtroppo all’atto del voto, bisogna scegliere il meno peggio.2) Sul piano del diritto sia italiano che internazionale come si pu? rispondere a un politico che - contestato sul fatto che c’? libert? di libera circolazione delle merci, ma non delle persone - ribatteva molto seccato che non ? scritto da nessuna parte che uno possa entrare in un altro paese senza permesso? 

RisposteAttualmente esiste non tanto un diritto a entrare, quanto a non essere respinti in quanto oggetto di persecuzione politica e personale, quindi il diritto d’asilo codificato con la Convenzione di Ginevra del 1951, per cui chi si presenta alla frontiera, dichiarando uno stato di fuga da una persecuzione nei suoi confronti, non pu? essere respinto e, solo dopo un esame della attendibilit? o meno di quanto affermato, vi pu? essere il respingimento. E’ a questo diritto di non respingimento che si appellano i Curdi, vengono allora ospitati in un

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campo di detenzione temporanea, in attesa di decisione in base all’istanza fatta.Per il resto non esiste alcuna affermazione di questo diritto. per? c’? una cosa interessante da sottolineare che pu? essere in un immediato futuro fonte di iniziative e proposte: il 18 dicembre 2002 ? la Giornata che ricorda il varo della Convenzione Internazionale dei Diritti del Migrante delle Nazioni Unite (varata il 18 dicembre 1990). Questa Convenzione pu? entrare in vigore soltanto quando un certo numero di paesi l’ha ratificata, l’ha cio? fatta diventare legge del paese. l'Italia, uno dei paesi che pi? hanno contribuito e spinto perch? si arrivasse all’approvazione da parte dell’Assemblea delle Nazioni Unite della Convenzione dei diritti del Migrante, ? uno dei paesi che non ne vuole assolutamente sapere di ratificare la Convenzione.Lo sforzo che si sta facendo da parte di coloro che vogliono richiamarsi ai principi della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo per quanto riguarda un diritto alla emigrazione che deve avere dall’altra parte un diritto alla immigrazione, ? proprio quello di estendere le ragioni del non respingimento per motivi politici ad altre motivazioni che possono essere l’impossibilit? di vita su un certo territorio dovuta, per esempio, a siccit?, a epidemie o altro. D’altra parte questo principio ? gi? nella nostra Costituzione (art. 10): "Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libert? democratiche garantito dalla Costituzione Italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge". 

Domande3) Desidero sapere qual ? lo stato dell’attuale legislazione italiana in materia di "Rifugiati e diritti d’asilo", ovvero se esiste, se ? sufficiente, se ? restrittiva o meno.4) Vorrei sapere quando un immigrato che lavora in Italia pu? trasferirsi in Francia, sempre per lavoro, se pu? cio? godere degli stessi diritti di cui gode in Italia che gli derivano dal possedere la carta di soggiorno.5) C’? da tenere presente che nel 2004 andremo a votare per eleggere il nuovo Parlamento Europeo, allargato ad altri paesi che faranno parte dell’unione politica . Anche questo ? un tema sul quale la societ? civile si sta giocando non solo in Italia, ma in tutta Europa: ? qui la scommessa visto che, a differenza delle merci che ormai circolano liberamente , quella delle persone ?, per certi versi, ancora un problema.6) Mi sembra che il nostro, da paese razzista stia diventando un paese schiavista: sembra che noi, visti i ritardi delle nostra burocrazia, terremo in Italia molti stranieri prigionieri, che fino a quando non avranno un permesso di soggiorno scritto, non potranno uscire dall’Italia: qualora lo facessero e vi

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dovessero rientrare, risulterebbero clandestini e perderebbero ogni diritto. Cosa possiamo fare per divulgare questi abusi sulla persona? 

RisposteVoi sapete che il fenomeno dell’immigrazione in Italia per la rilevanza che ha cominciato ad assumere, data dalla met? degli anni ‘80, anche se in precedenza avevamo presenze di lavoratori o di esuli nell’ordine di alcune migliaia di persone: nel Veneto i primi ad arrivare per motivi di lavoro alla fine degli anni ‘60 e all’inizio degli anni ‘70 sono stati cittadini della Federazione Jugoslava, in base ad accordi fra il Ministero del Lavoro italiano e quello jugoslavo, proprio quando il Veneto cominciava a non essere pi? in grado di rispondere con manodopera locale alle richieste che venivano dal mercato del lavoro, ma anche perch? c’era gente che non si adattava pi? a fare certi lavori. Ancora oggi si hanno situazioni assurde, nelle quali abbiamo liste di collocamento con tanti iscritti locali (italiani) e nel contempo richiesta di manodopera dall’estero in quanto gli iscritti al collocamento rifiutano determinati lavori, in attesa di occupazione pi? confacente alle loro aspettative.Le attivit? che pi? interessano i lavoratori stranieri in quegli anni sono il lavoro domestico, specie nelle aree metropolitane e in questo settore si comincia con le donne somale ed eritree, presenti nel nostro paese dopo la campagna d'Italia in Africa, ma anche per le guerre che c’erano in corso, a motivo delle quali l'Italia ha ricevuto numerose richieste di asilo politico, alle quali, peraltro, in certo qual modo non si ? potuto opporre un rifiuto in quanto quei paesi africani, a suo tempo, erano stati colonizzati dall’Italia.Arrivano in seguito donne provenienti dalle Isole di Capoverde e dalle Filippine per quella modalit? del passa-parola presente in tutte le storie dei flussi migratori: arriva il primo e vede buone possibilit? di lavoro per parenti e conoscenti e tutto si mette in moto. Si spiega cos? il fatto che in certe zone si trovano persone provenienti da un certo paese e non da altri. Negli anni ‘70 arrivano anche esuli politici, molti i cileni dopo il colpo di stato di Pinochet, poi quelli provenienti dal Vietnam e, negli anni ‘80, i flussi maghrebini, specie in Sicilia, nella zona di pesca di Mazara del Vallo, svuotata per l’emigrazione dei locali in Germania.Si comincia dunque a delineare questo panorama di presenze dall’estero a rigagnoli per cui, a fronte di una legislazione che non aveva mai previsto questo fenomeno, cominciano ad arrivare i problemi in quanto la circolare del Ministero del Lavoro non ? pi? sufficiente, perch? c’? la necessit? dei primi ricongiungimenti familiari. Si crea cos? un movimento di attenzione alle problematiche nuove dell’immigrazione e alla quasi unanimit? delle forze politiche si approva alla fine del 1986, la legge 943, una legge di sanatoria per i non regolari e che contempla criteri che avrebbero dovuto regolare sia gli ingressi che i flussi, ma anche le politiche della buona integrazione.

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Questa legge 943 iniziava con un articolo che diceva: "I lavoratori stranieri che sono presenti regolarmente in Italia, godono di tutti i diritti che hanno i lavoratori italiani". La legge 943 ? una sanatoria in parte riuscita e in parte fallita perch? ? stata vissuta dai datori di lavoro come una autodenuncia dei rapporti in nero che avrebbero portato a denunce nei loro confronti, per cui hanno preferito non favorirla per non subire conseguenze ritenute negativeSi ? cos? ricreata una sacca di irregolarit? da mancanza di effetti della sanatoria e dall’ingresso di altre persone da vari paesi che non potevano rientrare nei criteri fissati dalla 943.In seguito a pressioni nei confronti delle forze politiche, si ? arrivati alla legge Martelli, preceduta alla fine dell’89, da un decreto-legge del Ministro del Lavoro Donat Cattin promosso da lui stesso. E siccome i decreti-legge devono diventare legge entro due mesi, ecco che il tutto diventa la legge 39 del 1990 ed ? conosciuta come "Legge Martelli" accompagnata ad un’altra sanatoria e ad una regolamentazione sia dei flussi di ingresso che della programmazione di politiche di integrazione che, nell’intenzione di chi aveva varato la legge, poteva costituire uno strumento di governo del fenomeno.Anche qui per? erano presenti vari orpelli: permesso di soggiorno rilasciato di volta in volta in relazione alle necessit? del mercato del lavoro, per la qual cosa ogni anno dovevano essere fissate quote di accesso in relazione alle quali sarebbero state fatte entrare persone dall’estero con una serie di procedure in sostanza inapplicabili, tanto ? vero che il decreto-quote che doveva essere presentato ogni anno in ottobre-novembre si ? ogni volta risolto in una quota "zero" nel senso che non veniva indicato nessun numero e si diceva che gli ingressi sarebbero avvenuti con la seguente procedura: il datore di lavoro che aveva bisogno di un lavoratore doveva prima dare questa informazione a tutti gli uffici del lavoro del paese e, nel caso non avesse avuto risposta, sarebbe stato autorizzato a chiedere la manodopera dall’estero, indicando una figura di lavoratore adatta alle sue aspettative.Di nuovo, la legge con caratteristiche di questo tipo non funziona e quindi ricrea sacche di irregolarit? perch? il datore di lavoro certamente non fa venire un lavoratore dalla Cina o dal Marocco senza averlo prima conosciuto di persona, senza sapere che pu? essere la persona adatta al lavoro che gli vuole affidare: l’incontro personale fra domanda e offerta ? di importanza fondamentale e allora si aggira la legge.E’ avvenuto che, per esempio, un datore di lavoro per ottenere che un suo dipendente fosse persona da lui conosciuta, gi? presente sul territorio con lavoro nero, sulla richiesta da inviare agli uffici del lavoro scrivesse di avere necessit? di un mungitore piuttosto che di un manovale, che conoscesse quattro lingue straniere compreso il polacco: incidentalmente queste caratteristiche rispondevano perfettamente al lavoratore in nero di cui sopra. Il gioco era fatto, perch? ovviamente gli uffici competenti non avevano in lista

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alcun lavoratore rispondente alla richiesta e, con il silenzio-assenso, la legge era aggirata.In sostanza, se l’incontro domanda-offerta di lavoro non ? possibile attraverso le procedure fissate dalla legge, lo si rende possibile sulla base di due necessit?, quella del datore di lavoro che ha bisogno di manodopera e quella di chi ha bisogno di reddito da lavoro, attraverso procedure non fissate dalla legge. Da qui il fenomeno della produzione e della riproduzione di illegalit? e clandestinit? dal punto di vista dei documenti in regola.Tutto questo ha una sua funzionalit? in un contesto in cui interessa il lavoro nero, perch?, tanto pi? ci sono leggi che impediscono nei fatti il lavoro regolare, tanto pi? si avr? sul mercato la possibilit? di avere persone disponibili a lavorare in nero; questo porta a sostenere che, nei movimenti di opinione che si sono creati a sostegno di leggi restrittive e assurde per quanto riguarda gli ingressi, sicuramente ci sono state pressioni da interesse ad avere il lavoro nero disponibile sul territorio. Infatti non c’? nessuno che sia pi? flessibile del lavoratore clandestino e irregolare.Certo non ? tutto come ora descritto, il mondo dell’industria e dell’economia ? variegato, lo si ? visto nell’ultima sanatoria dove vi era chi ? interessato al lavoro regolare e chi lo ? al lavoro nero. Il primo far? di tutto affinch? le leggi siano tali da favorire l’ingresso regolare di lavoratori stranieri, il secondo sar? interessato a rapporti in nero e quindi far? in modo che si producano sul territorio presenze irregolari perch? pi? disponibili al lavoro nero.L’analisi degli interessi in gioco ? complessa e variegata, cos? come ci sono interessi non cinici ma di necessit? nel volere il lavoro irregolare e questo l’abbiamo visto nell’ultima sanatoria: vi sono famiglie che non possono permettersi di pagare regolarmente una badante o una colf secondo quanto ? stabilito dai contratti di lavoro e questo non perch? non lo vogliono, ma perch? non hanno i soldi per farlo.In una situazione in cui c’? carenza di servizi sociali, dove non ci sono risorse delle politiche sociali di assistenza a persone non autosufficienti, le famiglie sono costrette a cercarsi una badante e questo in maniera crescente esponenziale rispetto a quanto avveniva in passato, dal punto di vista quantitativo, come emergenza del bisogno.Perch? succede questo? Perch? vi sono state evoluzioni demografiche nella nostra popolazione, per cui l’anziano, che prima moriva a settantacinque anni, adesso campa oltre i novanta, ma se a settantasei anni diventa non autosufficiente, pu? avere davanti dieci-quindici anni di necessit? di assistenza ventiquattro ore su ventiquattro.Se nella mia famiglia tutto andava bene fino a ieri, da domani posso avere bisogno di quattro persone, mentre prima non c’era bisogno di nessuno; devo dire che in questi ultimi anni ? esplosa questa problematica: da una parte con

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l’aumento della popolazione anziana che vive pi? a lungo e dall’altra con la crisi della stato sociale con tagli alle risorse.Il lavoro delle colf e delle badanti straniere se non ? rivisto nel nuovo contesto dei bisogni da soddisfare e continua ad essere regolato da vecchie modalit? che riguardava il lavoro domestico, esplode nell’impossibilit? di gestirlo secondo la legge.Cos? noi abbiamo la necessit? di avere clandestini o irregolari per non avere poi la colf o la badante che ti fa causa perch? non la regolarizzi secondo la legge.Tutto questo ha risvolti kafkiani e allucinanti perch? fa diventare quelle che sono vittime di un sistema che non risponde dal punto di vista dei bisogni della gente, a loro volta dei carnefici, che si fanno complici di aperto sfruttamento. Queste sono cose che in un contesto di relazioni nuove mostrano l’insufficienza delle regolamentazioni di legge che - appena approvate - potevano per? funzionare cinque anni prima ma non ora.Si ? iniziato con la legge Martelli del 1990 che subito mostra le sue difficolt? e che, nonostante la regolarizzazione di duecentotrentamila persone, produce di nuovo clandestinit? per cui si pensa ad una legge migliore che vada a superare le lacune della precedente, che vedeva la disciplina dello straniero in Italia distribuita in trentasei leggi diverse e in centinaia di circolari.Si tenta con il governo Ciampi nel ‘92-’93 (ministro Contri) ma il lavoro della Commissione arriva sul tavolo del Presidente del Consiglio dei Ministri il giorno dopo che Berlusconi aveva vinto le elezioni politiche nell’aprile ‘94.La bozza di legge Contri sull’immigrazione finisce nel cassetto dal quale viene tolta dal nuovo Presidente del Consiglio Lamberto Dini dopo la caduta di Berlusconi. Per? non se ne fa nulla perch? i tempi sono molto stretti rispetto ai tempi rapidi con cui devono essere fatte le cose, quindi si deve andare ad una nuova sanatoria che regolarizza altre duecentocinquantamila persone, molte delle quali gi? sanate, ma ricadute nell’irregolarit? per questioni relative al rinnovo del permesso di soggiorno e tutto questo sempre con la legge Martelli in vigore.Si arriva cos? nel ‘98 alla legge Turco-Napolitano, una legge organica sull’immigrazione, la quale prevedeva che tutto il testo approvato e quanto rimaneva di altre leggi in merito venisse riportato in un testo unico che esce il 25 luglio 1998, nel quale tutti coloro che hanno a che vedere con queste problematiche, l? trovano quanto riguarda le procedure di ingresso e le politiche dell’integrazione. La legge Turco-Napolitano aveva due dimensioni: governo e controllo dei flussi e programmazione di politiche di integrazione.Tutti quelli che avevano lavorato con gli immigrati negli anni ‘80-90 si ritenevano convinti che la parte relativa alle politiche di integrazione potesse rappresentare il meglio del meglio, almeno nell’enunciazione di principio, mentre per quanto riguardava il governo dei flussi diciamo che ci?

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rispecchiava le legislazioni europee, americane, giapponesi, fondate sulla paura dell’immigrato come potenziale delinquente o sbandato.Con questa legge si ? dato corso a una regolarizzazione di circa centocinquantamila persone: nel frattempo ? cambiata di nuovo la maggioranza di governo e quindi abbiamo avuto in campagna elettorale la proposta Bossi-Forza Italia che, nella formulazione erano entrambe assurde per la improponibilit?, anche tecnica, del testo.Comunque con il nuovo governo il tutto ? stato ripreso e ne ? uscita la legge Bossi-Fini, una legge non organica in se stessa, ma che va a prendere il testo unico della Turco-Napolitano in circa ottanta punti, peggiorando ancora di pi? la condizione dello straniero al momento della sua richiesta di ingresso, nella valutazione dei requisiti per poterlo fare, per restare o per rinnovare il permesso di soggiorno.Quindi la Bossi-Fini ? una legge di modifica del testo unico previsto dalla legge Turco-Napolitano, pertanto non si pu? parlare della Bossi-Fini in termini di legge organica, ma di legge modificata qua e l? e integrata da qualche nuovo punto, per esempio le impronte digitali obbligatorie.In sostanza, questa legge per quanto riguarda l’incontro sul territorio fra domanda e offerta di lavoro, esso viene ulteriormente complicato e ostacolato da procedure, quindi non potendo avvenire l’incontro fra domanda e offerta in tempi e modalit? ragionevoli e legali, l’incontro avverr? comunque, ma in maniera non regolare.Nonostante gli sproloqui di Bossi il quale sosteneva che non vi sarebbe pi? stata alcuna sanatoria con l’approvazione della legge che portava il suo nome, essa ? arrivata anche se ? arrivata sotto forma di altra parola, la sola con validit? giuridica, ovvero "regolarizzazione".Quest’ultima si ? rivelata la pi? grande sanatoria della storia delle migrazioni al mondo: mentre prima era l’immigrato irregolare a presentarsi in Questura a dichiararsi come avente i requisiti previsti per sanare la sua posizione, pagando una leggera penale, ora la legge attuale ha posto l’irregolare dentro il calderone dell’emersione dal lavoro nero che per? riguardava anche gli italiani in generale. E dunque se il dipendente irregolare era uno straniero, non solo veniva regolarizzato il rapporto di lavoro, ma anche la sua presenza di clandestino.Cosa ? successo? E’ successo che, come era da prevedere, non funzionando l’emersione dal lavoro nero negli altri mercati del lavoro, non ha funzionato neanche qui, infatti sono stati pochissimi quelli che hanno aderito. Addirittura vi sono stati casi in cui il lavoratore irregolare si sia offerto di pagare i propri contributi che toccava pagare al datore di lavoro, pur di regolare la propria posizione. Comunque la cosa poteva benissimo avvenire in pieno accordo fra le parti, come peraltro ? successo.

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Sulla base di questo patto informale siamo arrivati a quasi settecentomila versamenti agli uffici postali, con un incasso da parte dell’INPS di quasi quattrocentosettantuno milioni di euro. Comunque per come ? stata gestita tutta l’operazione, abbiamo di nuovo una situazione di grande incertezza, di precariet? e di grande rischio di ricaduta nella clandestinit?, sulla base di dichiarazione vera o falsa che pu? diventare oggetto di contestabilit? nel caso di controlli della Commissione. 

Domande7) Siamo nell’epoca della globalizzazione e chi arriva adesso spesso ? meno distante culturalmente da noi rispetto al contadino che magari partiva dal villaggio della Sila e si ritrovava nella grande citt?. Adesso chi arriva spesso non sono i poverini che scappano dalla fame e dalla guerra, che rimangono nei campi profughi del paese accanto. Chi si pu? permettere di pagare tangenti qua e l? fa parte di un ceto non dei pi? disperati quindi ? gente istruita con conoscenza della realt? globale che noi tendiamo a sottovalutare, mentre dovremmo imparare ad ascoltare di pi?.8) Sulla questione dei diritti sarebbe giusto che tutte le persone si potessero spostare anche se spesso questi spostamenti sono dettati da condizioni di impoverimento, spesso provocati da noi paesi ricchi. Certo se il numero ? elevato ci? pu? comportare problemi di convivenza e comprensione reciproca ed ? pensando a queste cose che anch’io ho accettato l’idea del permesso, ma dopo l’esposizione del relatore capisco la validit? di una libera circolazione delle persone e la loro accettazione in quanto tali piuttosto che solo come forza lavoro.9) Nella Turco-Napolitano il relatore diceva che c’era una parte riguardante le politiche dell’integrazione, ma a me sembra che adesso di questo non si parli per niente, cos? come c’era una Commissione a livello governativo che adesso ? stata tolta. Detto questo, quali politiche di integrazione sono possibili adesso, tenendo presente che l’integrazione c’? dal basso, con tutti gli organismi di volontariato a matrice cattolica e non che la favoriscono.Dall’alto non c’? nulla, se non "inimicizia dall’alto" nel senso di politiche ottuse e distratte che non tengono conto di queste possibilit? di integrazione che, a lungo termine, rappresentano una risorsa per il paese.Questa politica di integrazione possiamo farla noi, smitizzando alcuni stereotipi e dando strumenti adatti: se lo slogan ? uno strumento che va per la maggiore, bisogna insegnare alla gente a distinguere, a non attaccarsi agli slogan , ma a imparare a ragionare. Ma se ci? non attacca, diamoci anche noi a slogan graffianti in una sorta di tam tam culturale.10) Il relatore, in riferimento agli scritti della Chiesa, sottolineava l’importanza di parlare di questi documenti da parte di Vescovi e Parroci nelle loro parrocchie. Ma se nemmeno loro li leggono, perch? magari non ne sono

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interessati, si arriva al punto che nessuno conosce, nessuno sa. Negli stessi seminari, non credo si parli di questo ai futuri preti, non mi risulta che vadano a parlare della giornata del migrante, d’altra parte se certe cose non si sentono "dentro", ? difficile che emergano all’esterno.11) Rispetto all’intervento precedente, posso portare l’esempio della mia parrocchia dove abbiamo un parroco a suo tempo emigrato in Francia e che ha svolto il suo ministero anche sulle navi; nelle sue omelie prende parecchi spunti dalle problematiche che abbiamo affrontato oggi: il risultato ? una comunit? dimezzata. 

RisposteDai vostri interventi si ? avuta la riprova che ci troviamo di fronte a un fenomeno complesso che suscita molti interrogativi per le problematiche altrettanto complesse e delicate che porta con s? e, soprattutto, di fronte ad una opinione pubblica basata su dibattiti o tipi idi informazione dati dagli attuali mass media, specie radio e televisione, dove non c’? spazio per l’argomentazione, ma ce n’? per l’affermazione demagogica e comunque per l’enunciazione semplice di qualche aspetto del problema: naturalmente ha la meglio chi formula in maniera pi? furbesca le affermazioni che vanno per la maggiore, mentre a chi tenta di fare un ragionamento pacato viene tolta sul pi? bello la parola, a favore di chi le spara pi? grosse e fa audience.Per quanto riguarda la legge sul diritto d’asilo, in Italia non esiste: si ? tentato di farla durante la precedente legislatura, un po’ per valutazioni di opportunit?, un po’ per errori di chi avrebbe dovuto sollecitare in questo senso, quella che era stata una promessa, non ? stata mantenuta. Il governo attuale, con le modifiche al testo unico della legge, non ha voluto riprendere la questione, ha per? riportato con qualche frase l’interesse a questa problematica nel testo, rimandando il tutto a dei regolamenti di attuazione specifici.La libera circolazione in Europa: esistono dal 1986 i cosiddetti Accordi di Schengen, villaggio che si trova al confine tra Lussemburgo, Francia e Germania, dove un gruppo di studio, nominato dai vari governi, aveva elaborato il testo di accordi fra paesi dell’Unione Europea e non, che avessero voluto armonizzare i loro criteri per quanto riguardava l’ingresso dalle loro frontiere di cittadini di paesi terzi, per dare poi la possibilit? ai paesi aderenti a questi accordi di "risparmiare" sui controlli di frontiera, abolendoli in modo da poter circolare liberamente all’interno di questi paesi.Per chi ha un permesso per motivi di lavoro in uno dei paesi Schengen pu? andarci non avendo bisogno di un visto di ingresso, ma la sua presenza ? limitata nel tempo a quella che ? la libera circolazione che non prevede l’insediamento sul territorio, perch? l? ha il lavoro. Per questo vi sono da seguire le procedure proprie di quel paese. Quindi se una persona ha il

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permesso di soggiorno valido per l'Italia, pu? andare in Francia e l? se ha la possibilit? di trovare lavoro, pu? seguire le procedure francesi.Sull’impegno in relazione al rinnovo del Parlamento Europeo alle prossime elezioni: ? stata varata una dichiarazione dei diritti di cittadinanza per quanti risiedono in Europa: ? la carta che poi a Nizza, ? stata approvata ma che non ha valore vincolante, pur essendo gi? di per s? un riferimento anche in vista del suo inserimento in una futura Costituzione Europea, alla quale stanno lavorando Giscard d’Estaing, Giuliano Amato e altri. Sar? il prossimo Parlamento Europeo a prenderla in considerazione per la sua approvazione, pertanto ? importante che chi verr? eletto alle prossime europee sia preparato a sostenere una determinata visione della cittadinanza europea che, sarebbe auspicabile, non sia ancorata a quel pensiero unico legato al "permesso"; di fatto abbiamo molti governi che contano nell’attuale Unione Europea che non sono disponibili assolutamente per una visione diversa dall’attuale e io prevedo che andremo a un consolidamento del pensiero unico ancor pi? gravido di conseguenze negative.Vi sono documenti su Internet che riguardano la comunicazione della Commissione del Consiglio del Parlamento Europeo sulla politica comune in materia di immigrazione illegale; per il ricongiungimento familiare, per il quale ? stata fatta una grande campagna perch? nel Trattato di Maastricht venisse inserito il diritto al ricongiungimento familiare, nella proposta di direttiva della Commissione Europea al Parlamento e ai Governi, ha prevalso la linea pi? restrittiva, quella che in sostanza nega il diritto e riporta tutto al "permesso".Da Cristiani in Europa ? chiaro che noi dobbiamo portare avanti le nostre istanze: i responsabili della campagna per il diritto al ricongiungimento hanno individuato tutti gli attuali parlamentari italiani al Parlamento Europeo, regione per regione; in ogni collegio elettorale vi saranno delle persone che andranno a parlare con i parlamentari eletti, presentando la documentazione alle istanze di cui sopra, chiedendo i motivi della resistenza a questo diritto e, sulla base delle argomentazioni portate, si cercher? di mettere in atto strategie adatte di convincimento. E’ chiaro che chi sa di dover rendere conto del suo operato a gruppi numerosi che gli hanno dato il voto e che glielo vorranno dare in futuro, probabilmente reagir? in maniera diversa rispetto al singolo cittadino che in genere non chiede conto di nulla. Il sito ? www.cestim.it (cercare la voce campagne in atto).Da razzisti a schiavisti? Noi ci configuriamo allo stesso tempo come produttori di diritti, vittime di coloro che questi diritti li negano e, a volte, sia pure con la disapprovazione interiore, anche carnefici perch? anche noi siamo coloro che sfruttano. Che fare? Come uscire da situazioni che ci vedono sfruttatori impotenti? Innanzitutto facendo del nostro meglio per una corretta informazione su queste problematiche: spesso c’? una rappresentazione del fenomeno dell’immigrazione e delle problematiche ad

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essa connesse che ? data da input, da enfatizzazioni di disagio, in parte vero, in gran parte falsi. Ci? che ne esce ? il risultato di questi input e noi dobbiamo fare in modo che entrino in questi processi di formazione dell’opinione pubblica il pi? possibile corretti. Quindi nel nostro piccolo, con amici e conoscenti, dobbiamo farci parte attiva di questa informazione; inoltre dobbiamo aderire il pi? possibile a campagne che organizzano pressioni che portino al convincimento nel mondo politico di quanto serve per una buona legislazione e per quanto riguarda i nostri rapporti con gli immigrati e con quanti hanno a che fare con loro, fare di tutto perch? si riduca il pi? possibile la situazione di sfruttamento e si allarghino tutela e promozione dei diritti.Attualmente siamo di fronte a una popolazione di immigrati che dal punto di vista dell’iscrizione ha caratteristiche diverse da quelle che erano proprie dei nostri immigrati all’estero e questo ha dei risvolti concreti. ? chiaro che se io sono un bracciante di fine ottocento e vado a lavorare in fabbrica in Germania, mi ritrovo da un giorno all’altro da una situazione di schiavit? a un’altra forma di schiavit? in fabbrica, ma che per me ? comunque il paradiso rispetto alla mia precedente condizione di vita; se sono laureato in Algeria e in Italia posso solo fare le pulizie, certamente mi trovo in uno stato di frustrazione tale da non essere minimamente paragonabile a quello che era lo stato di gratificazione - al contrario - del bracciante che ? andato a lavorare per la Mercedes. 

Omelia della MessaTrovo che nel brano appena letto (Matteo, 25,31-46) c’? un criterio di giudizio e prima ancora c’? una persona che giudica: credo che una tentazione per noi abituale sia quella di creare noi stessi i criteri del giudizio.Immaginiamo la valle di Giosafat dove ci si ritrova tutti in attesa che arrivi il giudice, tutti prendiamo posto, tutti vorremmo essere dalla parte dei giusti, dei buoni, perch? noi abbiamo fatto le cose bene: non abbiamo ucciso, n? rubato...Il Vangelo dice altro: "Non siamo noi a scegliere il posto dove stare, ? un altro che pone da una parte o dall’altra cos? come il criterio che adopera Dio ? un altro. Hai amato gratuitamente e non per un interesse.Noi siamo stati educati a fare il bene per avere il Paradiso e dunque faccio del bene perch? ne avr? un vantaggio io, ma la parabola di Ges? dice che " hai fatto qualcosa anche se non mi conosci", il che vuol dire che chi ha fatto del bene lo ha fatto gratuitamente.Pensando ai temi di questi giorni, anche l’attenzione ai cosiddetti terzomondiali ? posta in quanto sono un vantaggio per noi; nella misura in cui vanno bene per me, vengano pure, ma che questa gente debba scappare dalla fame e dalla guerra e dal rischio di rimanere ucciso, di questo non mi importa niente.

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Il vangelo per? ci dice che l’attenzione non ? al vantaggio che ne traggo io, ma ? il suo bisogno, la sua persona.

Interventi1) Ho trovato un intervento del biblista Maggioni sulla pagina di Matteo riguardante il Giudizio Universale che ? stata letta in questa Messa. Dice cos?: "Questa pagina biblica esprime molto bene la prassi di solidariet? di Ges?, anche nella sua gloria Ges? continua a vivere sconosciuto sotto le spoglie dei suoi piccoli fratelli. E’ questa la radicale novit? della solidariet? evangelica; altre pagine bibliche raccomandano di ospitare il forestiero, ma solo Ges? afferma di identificarsi col forestiero""Ero forestiero e mi avete accolto". Il forestiero era l’mmigrato in cerca di lavoro e di migliori condizioni di vita; il forestiero non poteva possedere la terra ed era perci? costretto a lavorare alle dipendenza altrui, per lo pi? i lavori umili e mal pagati toccavano a lui.Ges? guarda al forestiero con occhi diversi, non pi? uno straniero, ma un familiare, appartiene al numero dei suoi piccoli fratelli, forestiero per gli altri, ma non per lui, inoltre l’evangelico "accogliere" ? pi? ampio del semplice aiuto, perch? significa aprirsi alla persona e non soltanto ai suoi bisogni.Accogliere lo straniero e fargli spazio nella propria citt?, nella propria casa, nel proprio tempo, nel giro delle proprie amicizie.E mi pare utile ricordare che non solo nel Nuovo, ma anche nell’Antico Testamento c’? una grande sensibilit? verso lo straniero: " vi sar? una sola Legge, per il nativo e per il forestiero che ? domiciliato in mezzo a voi, non molesterai il forestiero, n? lo opprimerai perch? voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto. Quando un forestiero dimorer? presso di voi nel vostro paese, non gli farete torto, ma lo tratterete come colui che ? nato fra di voi, tu l’amerai come te stesso perch? anche voi foste forestieri nel paese d’Egitto.Io sono il Signore vostro Dio, circoncidete il vostro cuore ostinato e non indurite pi? la vostra nuca, perch? il Signore vostro Dio ? il Dio degli dei e ? il Signore dei signori, il Dio grande e forte e terribile che non usa parzialit? e non accetta regali, rende giustizia all’orfano e alla vedova, ama il forestiero e gli d? pane e vestito. Amate dunque il forestiero perch? anche voi foste forestieri nel paese d’Egitto.Non lederai il diritto dello straniero e dell’orfano, n? prenderai in pegno la veste della vedova, ma ti ricorderai che sei stato schiavo in Egitto e che di l? ti ha liberato il Signore tuo Dio, perci? io ti comando di fare questa cosa: quando facendo la mietitura nel tuo campo tu avrai dimenticato qualche mannello, non tornerai indietro a prenderlo, sar? per il forestiero, per l’orfano e per la vedova, perch? il Signore Dio ti benedica in ogni lavoro delle tue mani.

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Maledetto chi lede il diritto dello straniero, dell’orfano e della vedova, il Signore protegge lostraniero, Egli sostiene l’orfano e la vedova, ma sconvolge le vie degli empi.2) In un recente convegno sulle radici della nonviolenza nelle Religioni del Libro veniva sottolineato che nelle radici delle religioni la nonviolenza viene promossa, come a dire che le radici nascoste nel terreno sono buone, ma l’albero che noi vediamo ? malato, bisognoso di cure e di attenzioni. Compito nostro ? far conoscere la bont? di queste radici pur in riferimento a religioni diverse. Per far conoscere quanto l’albero sia sofferente, ? bene ascoltare le esperienze dei nostri emigranti alle nostre comunit? e confrontarle con le realt? oggi presenti in Italia che possano aiutare i nostri concittadini e far aprire loro gli occhi anche sui facili slogan che ci vengono propinati.3) Penso che le parole del Vangelo lette poco fa sono pesanti per noi, sono su un piano di opere di misericordia personale, cio? ci? che ogni buon cristiano e ogni buon uomo dovrebbe aver presente nella condotta della sua vita. Queste stesse opere di misericordia sono omesse quando noi sfruttiamo le materie prime del terzo mondo, pagandole pochissimo ,quando sfruttiamo all’estero i lavoratori locali in ambienti del tutto nocivi senza protezioni di sorta, fino ad attentare alla loro salute per una paga ridicola. Queste omissioni dobbiamo riuscire a trasformarle in azione sociale e in legislazione sociale nazionale, europea e mondiale tale da rendere proibito esportare manodopera in un paese povero pagandola malissimo. Fino a quando sopporteremo questa catena di disumanit??4) Noi saremo giudicati con un unico criterio, cio? sull’amore che avremo avuto nei confronti degli altri. Il vero ateo ? chi non sa amare, chi non sa perdersi e giocarsi nei confronti di un altro, non stabilendo dei confini, ma fidandosi incondizionatamente nei confronti di un altro e giocandosi la vita. E’ una cosa molto grande, ma in fondo ? il riassunto di tutto il Vangelo. non pensare che il nostro unico orizzonte siamo noi stessi. E’ per questo che il vero ateo ? chi pone se stesso come punto di riferimento e se stesso come unico destino. Siamo allora chiamati a costruire un orizzonte comune, sempre pi? inclusivo di quelli che oggi vediamo al di fuori dei nostri confini personali e sociali. In fondo ha ragione chi dice che il vero inferno non ? tanto il fuoco che comunque arde, il vero inferno ? il freddo, tanto ? vero che nel Vangelo si parla spesso di stridore di denti. E il non amare evoca il freddo che fa stridere i denti. 

La ChiesaIl Concilio Vaticano II

Il Laicato

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16 novembre 2003P. Francesco GeremiaAbbazia S. EgidioFontanella di Sotto il Monte Giovanni XXIII 

Vorrei dividere il mio interventi in due momenti:portare l’attenzione su quello che viene vissuto come distacco tra laicato e clero;

tentare di vedere, anche sulla base dei testi conciliari, quali sono oggi le ragioni della speranza.

Io vi porter? a ragionare magari su cose gi? risapute, ma sulle quali bisogna ritornare per trovare e per ritrovare vitalit?.Cosa ? questa chiesa? L’altro giorno ero a Vicenza per la Scuola di Teologia, quando un partecipante interviene e chiede se la chiesa non sia una baracca. Una baracca o una baldracca? La chiesa ? anche questo, ma non soltanto questo. In che modo il Concilio chiama a ripensare la collocazione del cristiano all’interno delle comunit? cristiana?Due sono gli elementi fondamentali. Il primo ? Ges?, il secondo ? lo Spirito Santo e, senza queste due entit? ? inutile che stiamo qui a disquisire, non avrebbe senso farlo. Altrimenti vorrebbe dire parlare della chiesa come fosse un’azienda, ma la chiesa non lo ?, la chiesa ? una umanit? che si ritrova nella fede del Signore Ges?, animata dal suo Spirito.Ma chi ? questo Ges?. E’ come si ? detto - e oggi si dice - vissuto storicamente duemila anni fa e ha concluso la sua esperienza storica, ma ? il "vivente", ? quello che noi chiamiamo il vivente, perci? vive all’interno della comunit? cristiana, "laddove due o pi? sono uniti nel mio nome io sono in mezzo a loro". Questo Ges? a ben pensare, ha un solo scopo nella vita: fare la volont? del Padre. Non vuole fondare una nuova religione, n? chiese, n? gruppi, n? gruppetti, n? associazioni, ha solo fatto e vissuto la volont? del padre, dimostrando con questo chi ? il Figlio e dicendo ad ogni uomo che se vuole vivere la propria umanit? deve essere come lui, figlio del Padre, che ne attua la volont?.Secondo lo schema classico, Ges? ? il maestro, il profeta, il sacerdote, il Signore: questa ? la tripartizione classica presenta gi? nell’Antico Testamento, che gli estensori del Nuovo Testamento riutilizzano per far capire chi ? l’uomo Ges?.Innanzitutto Ges? ? venuto come maestro e vive la parola di verit?, ? l’inviato che deve spiegare il senso delle Scritture: Ges? non inventa nulla rispetto a

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quello che ? gi? stato detto, l’unica novit? ? lui stesso, lui ? l’interprete e insieme ? colui che fa la parola, che la vive.Ges? ? colui che insegna, ? quello che spiega, ? l’esegeta delle Scritture e questo ha significato contrasti e conflitti fino al punto di essere crocifisso.Dunque Ges? ? il Signore, il Re ed usa la metafora del regno di Dio per dire che con lui la realt? di Dio Signore si fa presente dentro la storia umana. E come esprime la realt? di Dio? Entrando nella Sinagoga, svolgendo il rotolo e leggendo Isaia: "Per questo lo Spirito del Signore mi ha inviato per guarire, liberare, sanare, consolare..."Vedete dunque in che modo Ges? instaura ed esprime la signoria potente di Dio, cio? di farsi servo e servire l’umano in tutti i suoi bisogni, dando la sua vita per questo, senza riserve mentali e gratuitamente.Ges? ? il sacerdote ed ? tale perch? rende il culto a Dio: per noi pregare vuol dire prendere in mano un libro o i salmi e leggere, ma questa - di per s? - non ? la preghiera e non lo ? neanche il recitare le cosiddette orazioni. Preghiera ? vivere nella propria autenticit?: quando io prendo coscienza di me stesso significa che prendo coscienza contemporaneamente di tutto il resto che vive e ci? vuol dire rendere il culto a Dio. Certo poi esprimeremo tutto questo in varie forme, dai sacramenti alle preghiere personali, ma di per s? Ges? ? sacerdote perch? instaura questa armonia profonda fra cielo e terra, dentro di s? e in questo modo rende culto al Padre, lo loda.Noi dovremmo avere il coraggio di dire "basta" a certe cose, per esempio, l’offerta per la messa dei morti. Cosa vogliamo fare, pregare per i morti per svegliare Dio? E noi pensiamo a Dio come uno che deve essere redarguito perch? intervenga su chi ci ? stato caro e lo salvi dalle pene? Ma ? questa la preghiera? Io credo che questo sia puro ateismo; questo ? mercanteggiare con Dio e - diciamolo pure - noi preti in tutto questo campiamo.La rivolta della coscienza cristiana ? quella del cristiano che si ribella e cerca la libert?, a partire da queste cose. La realt? di Ges? che esprime il suo rapporto con il Padre come maestro, come sacerdote, come signore, lo porta a dire ai suoi, prima di morire "quello che ho ricevuto dal padre e che ho attuato, lo d? a voi", il che vuol dire che in questa comunit? cristiana c’? Ges? stesso, che certo non ? pi? presente fisicamente ma lo ? realmente per l’azione dello Spirito, che continua ad esercitare la sua profezia, il suo sacerdozio, la sua signoria, attraverso tutti, in un unico sacerdozio che continua attraverso la Chiesa: il Popolo di Dio.Non ha pi? senso suddividere questo popolo di Dio tra clero e laici, una suddivisione che non ? di Ges?, che smentisce il suo mandato a tutti gli uomini di essere profeti; il cristiano non pu? essere pensato come un dipendente dal clero, ma come persona che deve prendere atto della propria dignit? in quanto persona, anche il Papa ? prima di ogni altra cosa un laico, cos? come lo sono vescovi e preti che, prima di essere ministri, sono popolo.

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Certo, questo mandato era un po’ pericoloso, allora abbiamo cercato di ammorbidire il tutto e allora ecco che solo uno, denominato Vicario di Cristo, pu? stare sopra tutti, lui solo infallibile, gli altri si accontentano di stare l?. Abbiamo fatto cose incredibili, abbiamo rovinato le coscienze: quando lo stesso testo del magistero dice che il Papa gode di quella infallibilit? della quale Ges? ha voluto dotare la sua Chiesa, vuol dire che l’infallibilit? del papa ? l’espressione momentanea - al singolare - di un qualcosa che ? comune a tutti.Di fronte alla situazione in cui ci troviamo, i laici smettano, una buona volta, di fare i tossicodipendenti dei vescovi e dei preti: questo non vuol certo dire negare il valore dei vescovi, questi sono un ministero importante per la vita, ma proprio perch? importanti non vanno enfatizzati e sacralizzati; bisogna riconoscerli semplicemente per quello che sono, cio? sono in funzione della gente, che deve vivere. Dunque sono io ad essere servito da loro, a loro tocca baciare la pantofola a noi e non noi a loro.Bisogna allora ritornare e ricominciare da Ges?, di nuovo dal suo Spirito che agisce dentro le chiese e siccome lo Spirito santo c’?, significa che anche tu ce l’hai uguale al Papa: non ? che lui ne abbia pi? di te, lo Spirito non si misura a peso e siccome tutto ci? che esiste, esiste perch? animato misteriosamente dallo Spirito di Dio, lo Spirito ? dovunque.Dovremmo riscrivere la storia della Chiesa, anche come presenza femminile, a partire dalle Scritture per finire alle testimonianze storiche, cosa che il maschilismo nella chiesa ha sempre rimosso. In che modo le Scritture ci parlano di questa variet? di ministeri, tutti importanti e da rispettare ciascuno nel proprio ambito, ma che non significano creare gerarchie di importanza e di sacralit??La parola "Apostoli" che troviamo nel Nuovo Testamento, non si riferisce semplicemente ai dodici ma ha un significato molto vario: Paolo, che non ? dei dodici, si chiama apostolo, anche Barnaba ? apostolo, ? l’inviato ad annunciare; ci sono poi gli episcopi, che non sono i nostri vescovi: episcopeo, in greco, vuol dire sorvegliare, dunque colui che fa da sorvegliante ad una classe, ad una citt?, a una famiglia. E’ episcopo il termine usato poi nel linguaggio cristiano per indicare coloro che hanno un compito di sorvegliante. Quando paolo scrive a Timoteo, dice: Io ti ho posto vescovo della Chiesa..." ma, allora i vescovi, nell’accezione intesa da noi, non esistevano. Paolo voleva dire: "affido a te il compito di sorvegliare la Chiesa di Dio"; abbiamo anche perduto l’idea del missionario, tipica di quel momento, che si ? poi clericalizzata, ma che, primariamente era una parte della comunit? cristiana, persone che non avendo famiglia, giravano i paesi e fondavano chiese. La stessa Chiesa di Roma non ? stata fondata da Pietro e Paolo, tanto ? vero che quando Paolo scrive la lettera ai Romani, la indirizza a una chiesa e a una comunit? che c’? gi?.

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E poi ci sono i diaconi: diaconia vuol dire "servizio", dunque sono le donne che fanno da mangiare, le diaconesse. Vi dico queste cose per ricordare chi ? il laico, ma voglio sottolineare che il prete non ? pi? importante del laico : ognuno ha il suo ruolo e ognuno deve vivere la propria scelta personale o il compito che gli ? stato affidato, la realt? di Ges?, Messia e Signore.Cosa unisce tutta questa diversit? di funzioni?Pensate alla Chiesa di Corinto, a capo della quale Paolo mette una coppia di sposi e dove, sembra, fosse la donna a mandare avanti la comunit?, in quanto il marito lavorava.Come vedete, soluzioni diverse per momenti e luoghi diversi ed ? questo che noi dovremmo ripensare, per trovare soluzioni idonee al nostro tempo; in questo senso voglio sfatare la sacralit? del clero, perch? non c’? distinzione fondamentale tra clero e laico ma esiste solo il Popolo di Dio nel quale vive ed esercita il suo sacerdozio, la sua signoria, la sua profezia, il Signore Ges?, tramite il suo Spirito.Le diversit? e variet? di ministeri hanno una caratteristica comune, sono tutti dono di Dio e hanno come criterio l’amore: o ami o ? inutile che tu sia prete o vescovo, perch? se non ami sei solo un mercenario e non un pastore che ama il gregge.Queste strutture hanno una caratteristica e non sono fini a se stesse, ma pensate in funzione di un servizio ai bisogni reali di una persona, di un gruppo, di una realt?. Tutti i compiti del ministero di Dio devono essere pensati in forma collegiale. La Chiesa non ? una monarchia, la Chiesa deve essere pensata sempre come un insieme, in cui sono presenti diversi ruoli, diversi compiti, ma nessuno pu? prevaricare sull’altro, ognuno deve riconoscere il valore dell’altro. Diversamente la Chiesa diventa un’azienda, con presidente, direttore e dipendenti.Voglio ora parlare delle donne, molte delle quali vorrebbero il sacerdozio: le donne lo hanno gi?, manca loro il ministero per la direzione della comunit? cristiana, ma questo non ? sacerdozio.Cosa troviamo fin dall’inizio delle chiese, documentato dalla scrittura e ripreso dal Concilio Vaticano II?? Che categorie troviamo a cui si riconosce una funzione e un compito in maniera ufficiale?In primo luogo troviamo le vedove e Paolo le riconosce, anche se alle donne impone di stare zitte nelle assemblee; per? lo dice solo a Corinto perch? l? c’erano le profetesse delle altre religioni che ne combinavano di ogni tipo e, per differenziarsi da costoro, anche sul piano pubblico, Paolo riconosce alle vedove il compito di assistere i bisognosi in genere e gli stranieri. Le diaconesse dunque, le quali avevano l’incarico di essere a servizio per l’educazione, l’istruzione e altri compiti nella comunit? cristiana, e queste donne erano riconosciute formalmente.

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C’era inoltre un’altra categoria, le vergini, che avevano scelto di non sposarsi e che per il loro modo di vivere la fedelt? alla parola di Dio, diventavano una benedizione per la comunit?. Negli anni ‘70, ho incontrato un vescovo dell’Amazzonia, che andava a consultare monasteri cattolici e protestanti in Europa, per poter aprire una casa di vita contemplativa in piena foresta amazzonica che fosse di sostegno a quelle comunit?.Nella storia del cristianesimo, gi? all’inizio, troviamo le profetesse, donne che avevano questo carisma, alle quali Paolo consente di parlare nelle assemblee, interpretando la Scrittura. C’? un libretto dal titolo "Donne in cerca dell’amato", scritto da una coppia di sposi spagnoli in cui viene documentato - escludendo volutamente le grandi figure femminili, da S. Caterina a S. Teresa d’Avila - tutta una categoria di persone che lungo i secoli sono emerse con forza e autorit? in campo spirituale: naturalmente tutto questo ? stato rimosso dalla componente maschile della chiesa, ma nessuno pu? negare che nella chiesa stessa - fin dall’inizio - questa forma laicale del popolo di Dio fosse presente con forza, tanto ? verro che sono state queste donne a diventare le maestre di spirito dei grandi mistici maschi.Pensate che Gregorio e suo fratello, teologi e dottori della chiesa, ? la sorella che li ha educati, dopo che erano rimasti orfani; nei secoli tredicesimo e quattordicesimo abbiamo il grande fenomeno delle beghine, parola che oggi ha un significato deteriore, ma allora no. Le beghine erano circa trecentomila, sparse per tutta Europa, soprattutto a Nord, e vivevano ognuna a casa propria, scegliendo di non sposarsi e nemmeno entrando in monastero per non cadere sotto il controllo del clero. Qualcuna di loro ? comunque finita al rogo per la corrente di pensiero che praticava.Perch? vi ho detto queste cose? Perch? nella confusione e nello smemoramento che oggi ? in atto nella chiesa e nella societ? non si perda di vista questa prospettiva storica biblica: non ? vero che non esistono possibilit? - fondate nella Parola di Dio - di essere presenti, nonostante il clero; lasciateli perdere: ognuno viva il proprio sacerdozio! Cos’? il sacerdozio della donna? Non ? che dobbiamo fare in modo che le femmine diventino preti, il che significherebbe occupare un’altra volta un modello maschile, ma quando, per esempio, la donna rimane incinta e sente e vede crescere dentro di s? il proprio bambino, ? lei che comincia a fare da maestra a questo bambino: non gli trasmette solo il nutrimento necessario, ma insieme a questo gli trasmette l’insegnamento vitale, la memoria del quale sar? presente per tutta la vita di colui che nascer?.In futuro il problema sar? che in questa chiesa, questi ruoli vengano dovutamente riconosciuti e capiti, oggi abbiamo laici che diventano teologi e allora perch? non la donna a dirigere, per esempio, una congregazione della curia romana o una Facolt? di teologia? Che il clero lo voglia o no, anche i laici sono suscitati dallo Spirito e prima si prende atto di questa realt?, meglio

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sar? per tutti, per la chiesa in primo luogo, senza per questo voler distruggere l’esistente, ma riconoscendo tutto. 

 

Domanda1. La contestazione della gerarchia in seno alla chiesa non ? stata anche uno degli elementi alla base della riforma protestante operata da Lutero?

RispostaQuello che ? avvenuto con il Concilio Vaticano II? ha costituito una svolta e non perch? abbia rinnegato il passato, ma il passato l’ha reimpostato in un’ottica e in una prospettiva nuovo; anche il primato e l’infallibilit? del Papa altro ? vederla come qualcosa a se stante rispetto all’insieme della chiesa e altro ? vederla come espressione di un’unica realt? che ? il Popolo di Dio nella chiesa.Alle richieste di Lutero io direi di s?, perch? il Vaticano II? - in definitiva - ha dato conferma a queste richieste, che non erano solo di Lutero, ma lo erano anche dei nostri frati nel 1200, oltre che dei Valdesi molto tempo prima. Era la chiesa intera che chiedeva la riforma e Lutero non scatena la riforma protestante per esigenze di moralit?, problema che accomuna le diverse chiese in quanto la chiesa ? "santa e meretrice": anche nella riforma protestante c’? una gerarchia clericale che ? oggetto di contestazione al proprio interno, inoltre l? non c’era un potere monolitico perch? nel mondo protestante erano presenti duecentottanta chiese, un marasma, tanto ? vero che loro rimpiangono il ruolo del Vescovo di Roma che assicura la non spaccatura in infiniti rivoli.Quando nell’84 abbiamo tenuto un incontro su Papa Giovanni e il Concilio, abbiamo chiamato il Preside della Facolt? valdese di Roma, Paolo Ricca, il quale ha scritto che "con questo Papa e con questo Concilio e con i testi che ha prodotto, mi domando perch? rimango ancora protestante".Anche loro avevano recepito le stesse istanze e Papa Roncalli aveva voluto fare il Concilio perch? i Vescovi potessero avere la libert? di parola. I Cardinali Montini, Suenes e Lercaro, avevano elaborato un progetto del Concilio e il Papa li aveva lasciati lavorare senza mai controllare nulla, ma quando i vescovi hanno avuto libert? di parola i progetti li hanno buttati via tutti e hanno fatto tredici documenti in piena libert?. E il Papa ? stato zitto perch? sapeva bene di essere stato eletto Papa dalla parte curiale: ha dunque pensato di servirsi della destra per fare la sinistra, in veste di papa di transizione.E’ chiaro che, nel frattempo, questo ha voluto dire scontri verbali, polemiche ma anche la necessit? di considerare le varie questioni in maniera pi? serena; per esempio, la questione "tradizione e scrittura" sono stati gli stessi

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studiosi a risolverla. Dove sono nate le Scritture? Sono nate da una tradizione viva. Ma chi le ha scritte? Non certo Ges?, lui non ha scritto nulla.Tutto questo ha voluto dire un equilibrio maggiore nel modo di guardare i problemi. Lo stesso primato del Papa non d? fastidio a nessuno, ? il papato quello che d? fastidio, cio? il modo con cui viene esercitato questo primato e qui ci sarebbe tutta la storia della chiesa da ripassare. Abbiamo scritto e titolato un libro "Un cristiano sul trono di Pietro": ? giusto, un cristiano, l? sul trono di Pietro ci sta bene e il ruolo del primato, nel modo in cui lo ha vissuto Papa Giovanni ? stato riconosciuto e accettato da tutti.

Domande2. Il relatore ha detto che la preghiera non ? un elenco di richieste che si fanno, ma il prendere coscienza e vivere la propria veridicit?. Sono concetti un po’ ardui e mi pare che, all’interno delle nostre comunit?, non si espliciti bene il concetto di cui sopra. Vorrei, se possibile, un chiarimento anche per quel che riguarda "ama il prossimo tuo come te stesso".3. E’ stato detto che il mondo protestante rimpiange di non avere un capo che in qualche modo aiuti a districarsi nella confusione: lo stesso problema ? presente nella Chiesa Ortodossa Russa. La riflessione di questa mattina sul fatto che prima di ogni cosa siamo tutti laici, non pu? essere la strada che la chiesa, le chiese devono imboccare per risolvere lo scandalo della divisione nella chiesa cristiana?4. Io credo che ci? che ha rovinato il mondo siano le contraddizioni che abbiamo: questa considerazione mi viene dall’aver letto, non tanto la Bibbia, ma un libro dal titolo "Il piccolo principe". Io sono senegalese ma non mi sento un immigrato perch? il "Libro dei numeri" dice che vi sar? una sola legge e tutti saranno uguali. Quale messaggio mi pu? dare da portare ai miei, quando torner? al mio Paese?5. In questo quadro ho visto la scelta della rievangelizzazione da parte della Chiesa che per?, mi pare, si stia arenando in una chiesa ancora impostata su un aspetto gerarchico che spesso blocca e deresponsabilizza i laici. Tornare alle radici lo vedo come percorso positivo nel ritornare - appunto - a Ges? Cristo, l’unica vera realt? che per noi ha significato e d? senso alla nostra esistenza di cristiani. Noi allora dovremmo prendere in mano seriamente questa questione e porla come elemento fondamentale. Noi abbiamo tutta la "nostra religione" da mandare avanti, mentre la Scrittura pu? aspettare e il Vangelo spesso ? una variabile.6. Prima dei documenti conciliari, dello Spirito santo se ne ? parlato poco, mentre da allora ad oggi, forse un po’ di pi?. Per chi ha potuto frequentare lezioni bibliche, l’aiuto ? arrivato: ora, se il nome di Dio ? "Io sono", noi siamo qua e dunque "Io sono" tutti noi, in virt? dello Spirito di Ges? che ? anche in noi. Perch? allora facciamo cos? fatica ad essere chiesa "io sono" nelle

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nostre parrocchie? E’ forse il desiderio dell’uomo di fare concorrenza a Dio attraverso gerarchia e potere?

RispostePer prima cosa io non sono in grado di dare consigli, perch? il consiglio ? connaturato con la mia scelta di vita, al luogo in cui mi trovo e, pertanto, non pu? essere assimilabile ad un’altra persona.Io appartengo ad un Ordine di Frati nato nel 1200 e, penso, che fra venti-trent’anni, tenuto conto dell’et? media dei nostri frati e delle scarse vocazioni, il nostro Ordine scomparir?. Probabilmente ? finito il nostro tempo e il tutto io lo vedo cos?: nel 400 c’? Benedetto che fa una prima sintesi antropologica, attraverso "ora et labora", basata sulla Bibbia, dopo ottocento anni, con Francesco di Assisi, un’altra sintesi antropologica con la povert? e la fraternit? cosmica e un nuovo modo di pensare l’uomo.Anche Francesco ? laico, la riforma non viene dal clero, non pu? venire, forse che l’istituzione si pesta i piedi da sola? Francesco, frate e laico, viene cacciato dai suoi stessi frati e l’unica persona che condivide il suo progetto ? Chiara.Da allora sono passati altri ottocento anni e noi stiamo morendo: ben venga la morte, perch? qualcosa sta nascendo di nuovo, chi ci sar? a fare una nuova sintesi antropologica io non lo so, potr? essere una donna o forse no, potr? venire dall’Africa o da un altro paese, comunque lo Spirito di Dio far? nascere certamente qualcosa.Pensare di morire da un punto di vista di visibilit?, di consistenza numerica, ma con un grande sogno che si realizzer?, ? diverso che lasciarsi morire per inedia. Allora moriamo contenti, perch? qualcosa sta nascendo, l’importante ? sapere che lo Spirito di Dio sta parlando, pur se al momento non ? chiaro in quale forma, in quale luogo.Noi abbiamo voluto imbrigliare lo Spirito di Dio istituzionalizzandolo ed ? per questo che non ne parliamo pi?, ma lo Spirito non ? contro le Istituzioni, ? oltre. Se crediamo questo, ? letizia anche il nostro morire, ? come un vecchio che vede un nipotino: l’uno muore e l’altro nasce.Ieri a Fontanella ero da una donna morente che aveva a fianco la nipote con la sua bambina di pochi mesi: ebbene, quando la piccola si lamentava, la vecchia signora sembrava riaversi; quando parlavamo noi questo non succedeva. E’ il miracolo della vita: l’uno si spegne, l’altro continua.Questo esempio pu? servire per capire che siamo in presenza di qualcosa che sta nascendo, quello che Papa Giovanni chiamava "i segni dei tempi", tra cui, per esempio, la rivendicazione delle donne ai propri diritti e doveri, nella Chiesa e nella societ?; l’emancipazione delle classi lavoratrici, la liberazione dal sistema coloniale.

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Io non capisco di scienza e di fisica, cerco di capire il senso delle cose che gli uomini ci hanno dato e che proprio noi - preti e frati - abbiamo condannato perch? atei, agnostici, anticlericali: lo Spirito di Dio sta lavorando l? per smuovere questo corpo cos? pesante che ? la Chiesa e lo sta facendo con l’energia presente in ogni materia che, in quanto energia, ? presente in tutte le forme dell’energia stessa.La scienza allora mi dice della nuova coscienza che si sta riproponendo in cui tra me e l’altro, (non solo l’essere umano) non c’? discontinuit?. Allora io devo amare l’altro non nel senso che come amo me devo amare anche l’altro: Ges? dice che devi amare l’altro perch? ? se stesso e, da questo punto di vista, la scienza mi spiega meglio la parola di Ges?.Ecco che all’interno di questo mondo dove sono presenti diversit? di popoli, di lingue, di credenze, siamo tutti profondamente legati e tuttavia tutti hanno diritto alla propria diversit? su una base di comunione reale. Se si arriva l? non c’? bisogno di ripetere giaculatorie mattina e sera, il che non vuol dire negare momenti di celebrazione in comune o momenti di preghiera personale, fondamentalmente per?, se non c’? questo stato di coscienza, anche il pregare diventa ipocrisia oppure ritualismo.Io porto l? quello che mi costituisce come persona e questa non ? cosa che si apprende come fosse un mestiere, ma qualcosa alla quale sono chiamato giorno dopo giorno, attraverso fatti e occasioni che mi fanno capire chi sono io. Non sono le scienze umane a farmelo capire, d’altra parte anche il salmo recita "Cosa ? l’uomo perch? ti ricordi di lui?" La ricerca di s? non ? neppure intimismo, perch? pi? mi conosco e pi? mi trovo collegato con l’insieme e non posso fare altro che espandermi, tanto che non posso pi? dire che me la vedo io con il mio Dio e basta.Per essere credenti bisogna diventare esseri umani, vivere la propria umanit?, perch? Dio si ? fatto uomo per dirci questo e vivere la propria umanit?.Pensate che la famosa laicit? moderna ? stata iniziata da grandi credenti, frati e martiri, tutti cattolici e credenti, da Tommaso Moro a Erasmo da Rotterdam. E’ una esigenza della fede instaurare la laicit?, distinguere il mondo del divino dal mondo dell’agire umano, mantenendo fra questi un legame stretto, ma insieme di distinzione. Fra i grandi iniziatori di questa laicit? vi ? anche un nostro frate, Paolo Sarpi, pugnalato per ordine di Roma su un ponte a Venezia: ancora oggi insistono a dire che ? morto ateo, ma io dico "ben venga quell’ateismo!". Perch? solo un vero credente ? ateo (nel senso giusto): ateo ? colui che nega le forme di Dio assolutizzate, reclamizzate e sacralizzate: le formule ci vogliono, ma non si pu? adorare la formula. E allora questa forma di ateismo ? benefico e necessario.Che poi la laicit? sia diventata anticlericalismo e opposizione al mondo credente, ci? ? dovuto anche al fatto che questi ultimi non hanno voluto dare spazio alle esigenze normali della fede e allora a Tommaso Moro tagliano la

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testa, Giordano Bruno lo bruciano vivo per ordine di Bellarmino, l’anti-Paolo Sarpi. Bellarmino ? stato fatto santo. E allora pretendo che anche mio padre e mia madre siano beatificati e lo siano gratis.Adesso, fra quelli definiti laici di opposizione e mondo credente, pur con fatica si stanno riducendo i ponti, riconoscendosi reciprocamente: questo il Concilio Vaticano II? lo ha fatto, specie con la "Gaudiun et spes" (n.16) che recita: "nell’intimo della coscienza (verbo scire = sapere e con ovvero sapere con) l’uomo scopre una legge che non ? lui a darsi, ma alla quale deve obbedire": queste sono affermazioni rivoluzionarie se pensiamo al contesto in cui sono state scritte.La coscienza che comunque dice all’uomo ci? che ? bene fare e ci? che non lo ?, perch? l’uomo ha una legge scritta dentro il suo cuore da Dio. Obbedire a questo ? la stessa dignit? dell’uomo ed ? secondo ci? che egli sar? giudicato.Questo ? sempre stato nell’insegnamento della Chiesa, anche se di volta in volta c’? stato chi l’ha negato, chi l’ha oscurato; ci sono state tragedie, spaccature, guerre di religione, altro che attaccare l’Islam per le guerre, noi ne abbiamo fatte tante da distruggere due volte l’Europa. E questo tra cristiani...Credo abbiate inteso quanto sia importante pensare, studiare, documentarsi seriamente, perch? da questo ci si pu? aspettare che sorgano proposte concrete e modalit? nuove. Con l’ignoranza si combina poco, cos? come si combina poco con il qualunquismo, anche politico che oggi si respira. Manca la cultura, la cultura che non ? affatto nozionismo, ma capacit? di documentarsi con impegno, anche se ci? non ? immediatamente produttivo.Diceva papa Giovanni nel 1903, nel Giornale dell’anima: "non disprezzo la critica e, tanto pi?, mi guarder? dal pensare sinistramente o dal mancare di rispetto ai critici, la critica anzi la amo, seguir? con trasporto gli ultimi risultati delle sue indagini, mi metter? al corrente dei nuovi sistemi, del loro sviluppo incessante, ne studier? le tendenze: la critica per me ? luce e verit? e la verit? ? santa ed ? una sola". Credo che a Roma, durante la causa di beatificazione, non abbiano letto questo passaggio!Volevo anche darvi alcune indicazioni a partire dalla "Gaudium et spes", la quale dice: "le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo", e ancora "? l’uomo dunque, ma l’uomo integrale, nell’unit? di corpo e di anime, di cuore e coscienza, di intelligenza e volont? che sar? il cardine di tutta la nostra esperienza"Ecco che abbiamo un Concilio che si occupa di parlare solo dell’uomo, perch? il figlio di Dio ? l’uomo fatto carne: credere ? dunque diventare uomini. Vorrei qui ricordare ci? che mi ha detto un prete, parroco di una piccola

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parrocchia sul Lago di Varese: ero andato a trovarlo poco prima che morisse e, appena mi ha visto, mi ha detto di essere sereno, anche perch? poco prima gli ha fatto visita il Cardinale e, questo prete, ormai sulla soglia della morte, ha invitato il suo vescovo ad adoperarsi molto perch? i preti non siano dei disperati, gente che non ha futuro, che si intristisce, che si ripara dietro infinite sicurezze, pieni di paura e che non attendono pi? niente. Ed ? vero, i preti sono dei disperati ma non nel senso psicologico della depressione, ma in quello della speranza cristiana, senza attesa del futuro di Dio che viene incontro: ? quello di cui parlavo prima, cio? il morire pensando che da questa morte nasca qualcosa d’altro e, nel frattempo, darsi da fare perch? questo avvenga.Il prete di cui parlavo prima ? morto e, al suo funerale, erano presenti pi? di mille persone, per una parrocchia di trecento-quattrocento anime, di cui pochissimi andavano in chiesa. Questo vuol dire sentire che un uomo ? orante, che tiene la propria linea di condotta nella verit? di Dio e questo la gente lo sente, lo capisce.Proviamo ad associare tutto questo ad alcuni racconti biblici che parlano del diluvio e del deserto: cos’? il diluvio se non l’immagine di acque che portano distruzione e morte? E’ il nostro mondo, tanto che usiamo il termine "diluvio" nel linguaggio normale ed ? una situazione caos in cui salta tutto. Oggi la violenza pi? forte ? quella delle parole, perch? laddove non si rispetta la parola, non si rispetta n? la cosa, n? la persona, di cui la parola ? tramite. Se non si rispetta il significato e l’energia delle parole si usa violenza.Che fare allora? La fede non ? un manuale che d? soluzioni, la fede ? una compagna che sostiene, affinch? la nostra responsabilit? sia sollecitata. Alla metafora del diluvio associamo l’altra metafora, l’arcobaleno, segno dell’alleanza e credo sia presente in tutte le culture il fatto che tra cielo e terra sia stabilito un rapporto profondo di salvezza: Dio ? soltanto questo e tutto il resto ? soltanto creazione nostra, anche il male e la perversione. Dio vuole solo l’arcobaleno, questo ponte che unisce i mondi separati in un’alleanza tra Dio e l’uomo, portata da Ges?.Tutto questo diventa ragione di fede e, nonostante il diluvio e il caos, ci troviamo di fronte ad una promessa espressa in termini di parola: quando l’ebreo usa il termine "parola", intende da una parte l’energia che esce dall’interiorit? di qualcuno e , dall’altra, insieme, il realizzarsi di quanto uno dice.Vista in Dio, questa parola ? Dio che esce da se stesso e si fa cosa, dunque una pianta, una roccia, un uomo, una donna sono tutti il concretizzarsi della Parola di Dio, nella sua essenza e tutto ? incarnazione del Verbo e non c’? nulla che esiste che sia privo di questa realt?. Allora tutto ? sacro, non c’? sacro e profano, religioso o non religioso, consacrato e non consacrato. Se mi calo nella realt? delle cose e la sento animata e partecipe da questa segreta parola "io sono" allora vivo in stato di preghiera.

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Con le metafore del diluvio e dell’arcobaleno e su ci? che esse vogliono richiamare, il tema della speranza ? una virt? teologale, il che vuol dire che fa riferimento a Dio e non ad altro, per cui non sto nella mia storia personale o del mio gruppo magari per ragioni di carriera, ma perch? mi rapporto al mio Dio e in lui pongo la mia fiducia.Madre Teresa di Calcutta diceva alle sue suore che erano entrate nella congregazione per fare del bene che questo lo potevano benissimo fare a casa loro, l? dovevano venire per Ges?, perch? non pu? neanche essere un nobile ideale a sostenere nella vita, ma solo fondandosi su colui che non si pu? comprendere ma che chiede di crederlo e viverlo. E’ da qui che anche gli ideali umani possono reggere alle sconfitte e alle prove.Parlare di speranza come virt? teologale non si intende parlare di attese, sensazioni, progettualit? o sogni umani, per quanto nobili: per la fede cristiana si tratta di aprire e rompere il muro del puro presente in forza di un agire certo ed effettivo della Parola e dello Spirito di Dio. Solo cos? sono un uomo di speranza, perch? non ? su di me che conto, ma su colui che - in virt? del crederlo e del viverlo - mi d? la forza di ricominciare sempre.Questo stato di caos l’ha provato un grande filosofo moderno - Nietzsche - che aveva gi? teorizzato tutti i sistemi del pensiero precedente e sosteneva che saremmo andati incontro a momenti di caos, di nausea, di rifiuto e di non senso delle cose. Questo sta pesando tremendamente a tutti i livelli, allora quali sono gli aspetti che possono servire a noi, fondandoci e fidandoci del Padre, del Figlio e dello Spirito? Quali le piste nelle quali identificare la speranza? La prima ? la solidariet? e il testo del Concilio dice che "esso si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e la sua storia". Si tratta di immedesimazione e di solidariet? con l’umanit? intera in una unit? indivisibile: appena io separo divento eresiarca (eresia vuol dire dividere) e lo divento non appena accetto o rifiuto una parte a piacere dell’umanit?Ricordavo prima le vergini come figura di donne che hanno un ministero riconosciuto: quello di riuscire a trasmettere - con il loro modo di essere, il senso cattolico, cio? che riguarda il tutto: ? con questo che si salva il mondo, non sentendosi superiore alla civilt? dell’altro, ma vivendo l’universalit? del mondo intero nel mio piccolo quotidiano, anche se non lo conosco.Se non c’? questa apertura - che ? propria dello Spirito - si giustifica tutto, anche le pi? grandi ingiustizie e nefandezze. Sentite cosa scrive un nostro frate, Padre Giovanni Vannucci, morto nel 1984: "Viventi in un universo fervente di vita, apri i nostri occhi alla novit? di ogni alba..." Vannucci scriveva queste cose guardando dalla finestra un enorme albero pieno di vita.E Padre Turoldo: "Il problema profondo dell’uomo d’oggi ? il suo rapporto con la natura e fino a che questo non verr? risolto in modo pacifico, non sar? in pace lui" e ancora "Il sogno che oggi ci stimola ? il tuo futuro che ci chiama, la tua vita che si esprime in nuove inimmaginabili forme, nel cuore della pietra il tuo sogno si infiora di vita. Nel profondo della terra risveglia le infinite vite, nel

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cuore dell’uomo risveglia amore e gioia. Tu, o senza limiti, ci chiami a novit? crescenti, ci inviti nella tua dimora, tu che dimora non hai. la tua tenda ? sempre oltre, il tuo infinito cammino sia il nostro, o Signore!".Solidariet? non ? portare da mangiare a uno che ne ha bisogno, ? qualcosa di ancor pi? radicale, perch? si pu? fare del bene - oltre che assistere chi ? nel bisogno - con il disagio nel cuore per una vita non in pace con i propri familiari, magari la moglie o i genitori. Se pongo la speranza come solidariet? e tendo a crearmi questo tipo di coscienza di me stesso e delle cose, allora sono un uomo di speranza, non sono pi? il prete disperato, perch? non conto pi? su di me, sui programmi pastorali, conto su un progetto di vita che ? oltre tutte le cose: mi faccio solidale perch? mi apro a tutti e allora come faccio ad escludere qualcuno?Nel caso specifico, io - come prete - come posso negare l’assoluzione? Chi ci d? il diritto di impedire alla coscienza, comunque e nonostante tutto, di vivere e di crescere? Allora vuol dire che questa chiesa il suo femminile non lo vive, che ? subentrata la supremazia del diritto, dell’etica, della regola, del comando.Padre Turoldo racconta la sua conversione avvenuta nell’et? adolescenziale, quando era terrorizzato dall’idea che Dio fosse dentro ad un triangolo, quasi fosse un dio guardone che lo scrutasse. Turoldo and? a confessarsi da P. Leopoldo - che anni dopo fu fatto santo - il quale senza interrogarlo gli lasci? raccontare i suoi peccati; alla fine, senza che Turoldo a parole esprimesse il suo dramma, P. Leopoldo gli disse di cercare Dio, tutto Dio, quello del giorno e della notte, del bene e del male, della gioia e del dolore, in tutti e dappertutto, in quelli che ti amano e in quelli che ti odiano, in quelli che ti apprezzano e in quelli che ti disprezzano, perch? solo cos? capirai molte cose e sarai sempre sulla strada buona, la strada di Dio.Diceva Turoldo di essere uscito dal confessionale come ubriaco e di cominciare a guardare con gli occhi liberati le cose e le facce degli uomini. Anzi, era lui stesso tutto liberato, tanto da accettare l’esilio anni e anni e da impegnarsi tutta la vita nelle varie lotte a favore dell’uomo, della giustizia, del rispetto della natura, e tante tante altre, politica compresa.L’ultima cosa sulla quale voglio fare un richiamo ? la fiducia nell’uomo. Papa Giovanni era l’uomo che si fidava dell’uomo perch? lo vedeva come essere dalle infinite possibilit?: il problema ? che - come dice un proverbio popolare - la madre del peggio ? sempre incinta. Se non c’? fiducia, non posso dare credito a niente, non posso portare una parola nuova, che l’uomo andr? a cercare altrove perch? io non sono credibile.C’? una poesia di P. Turoldo, scritta alla vigilia della sua morte. Sentite cosa dice: "Tu, Dio, non puoi non pensare a noi e non amarci e amandoci rivelarti ed espanderti. Siamo il tuo divertimento".

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E i profeti? I profeti si sentono talmente carichi di un mandato, di una parola di verit? che non possono non dirla, anche quando sono stanchi e vorrebbero essere lasciati in pace.Geremia dice: "Signore, tu mi hai sedotto e io mi sono lasciato sedurre", ma pi? avanti si chiede perch? mai lo abbia ascoltato, visto che dopo ci? gliene erano arrivate una peggio dell’altra. Eppure, passato il momento dell’abbattimento, continua con lena rinnovata.Anche Padre Davide era cos? e io non ho mai capito dove trovasse la forza di ricominciare daccapo, nonostante le batoste, i limiti e le contraddizioni.Bisogna dunque vedere i segni e come credere loro, nonostante i risultati - all’apparenza - siano poveri, perch? solidariet?, senso di unit?, fiducia nell’uomo sono di una debolezza e di una fragilit? incredibile, eppure ? questo ci? che vince nonostante tutto, perch? questa ? la ragione per cui gente di tutti i colori, di tutte le nazionalit? va avanti per questa strada.In questo le donne sono molto pi? forti degli uomini, ricordiamoci che Ges? ha affidato alle donne compiti decisivi, nell’Antico Testamento ci sono le matriarche (le mogli dei patriarchi); ci sono perfino le prostitute, alcune per scelta di vita, una per imbrogliare intenzionalmente il suocero e restare incinta di lui. Questi personaggi sono iscritti nella genealogia di Ges?, ma questo non si pu? dire!C’? un’altra argomentazione che mi convince, che si colloca pi? su un piano di simbologia religiosa che non su un piano di razionalit? o di dimostrazione delle cose e che appartiene, sul piano simbolico, a tutte le religioni e a tutte le culture: sto parlando dei miti, delle favole, dei canti, cio? la coscienza dell’umanit? che racconta le sue vicende, perch? l’uomo ? uguale dovunque.Il mistero di Dio secondo il nostro simbolismo di guardare le cose, rivela il suo lato maschile e il suo lato femminile, cosa che esiste in ciascuno di noi, sia che siamo maschi, sia che siamo femmine: dunque ciascuna persona ha il suo maschile e il suo femminile. Si legge che "Dio cre? l’uomo maschio e femmina". Poi Dio addormenta questo uomo maschio e femmina e gli fa sorgere accanto l’altro di lui, perch? lo riconosca e lo nomini: non ? la femmina, ? all’essere umano - maschio e femmina - che Dio pone questo altro davanti di s?, perch? lo guardi e se ne innamori, lo sposi e prenda atto che egli, come maschile si ricordi di questo, e prenda in mano l’altro di s? e tutto il suo inconscio e le sue energie.Come dire questo modo di essere di Dio nel maschile e nel femminile? Sul piano della celebrazione rituale e simbolica deve essere il maschio a rappresentare il lato maschile, non per intendere il maschio pi? importante della femmina, ma per rappresentare simbolicamente ci? che altrimenti non ? dicibile. In questo caso ? giusto che a essere presidente di una celebrazione (per esempio, l’Eucaristia) sia un maschio.

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Dio per? ? anche femminile e chi rappresenta questo spaccato femminile? La Chiesa ha perso il suo maschile, perch? non si ricorda del suo femminile: se essere compiuto dal lato maschile ? avere coscienza di se stessi, se la chiesa si ? mascolinizzata, vuol dire che ha perso coscienza di s?, non si guarda e non si ama veramente.Facendo questo lascia che anche il femminile venga ridimensionato: il femminile che ? tenerezza, sensibilit?, apertura, ? tipico della donna e che debba esistere nella chiesa (a livello di ritualit?) il richiamo all’uguaglianza e insieme la diversit? maschio-femmina ? fondamentale.

 

VANGELO E POLITICA7 novembre 2004

Introduzione di Roberto ComiPresidente delle ACLI di Cernusco sul NaviglioIl libro "Vangelo e politica" contiene alcuni scritti di P. Mario Castelli, gesuita. Sono riflessioni - leggo dall’introduzione - sollecitate per aiutare la ricerca delle ACLI avviata al Convegno Nazionale di Studi del 1992, tenuto a Urbino sul tema: "Convertitevi al Vangelo, vie nuove per la politica".Sono stati scritti tra il 1992 e il ‘97, quando la malattia di Mario Castelli si andava aggravando e non gli consentiva pi? di partecipare a riunioni allargate, sono stati cos? scritti "per un gruppo di amici" Saverio Corradino, Paolo Merucci, Pino Stancari, Pino Trotta, Pio Parisi, Marco Bonarini, che si ritrovavano mensilmente per discutere i suoi scritti.Ne sono quindi diventati la testimonianza del cammino della ricerca e della lettura della parola di Dio negli anni delle maggiori sofferenze fisiche di Mario Castelli. Un’incessante indagine sulla societ? degli uomini e dei misteri cristiani, in una costante conversione.Non ? un libro di facile lettura n? di facile approccio. Se ci si prova ad entrare con le proprie convinzioni, vissuti, esperienze precostituite, misurandolo attraverso le proprie esperienze umane, se ne ? subito allontanati. Non lo si comprende.La chiave di ingresso la d? P. Pio Parisi nell’introduzione, quando dice: "Il modo migliore per entrare nel pensiero di Mario Castelli ? quello di farlo come un momento di propria conversione personale. Si scopre cos? in lui uno straordinario compagno di viaggio ed una guida che sta ben pi? avanti di noi e di cui possiamo seguire le orme".

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L’approccio originale del pensiero dell’autore del libro parte dalla storia della salvezza, dalla rivelazione del mistero di Dio e ne riconosce la presenza operante. Nel disegno di Dio.Mentre noi troppo spesso agiamo partendo dalle nostre esperienze e dalla nostra personale definizione di politica e facciamo del rapporto con Dio un "fatto privato" per grazie personali, Mario Castelli ci dice di "avere in noi stessi i sentimenti che furono in Ges? Cristo".Uno dei temi affrontati in questo libro e che cito solo per aiutare la comprensione, ?, ad esempio la "pace". L’autore lo fa in modo sorprendente, fuori da ogni "schema moderato" e lo fa partendo dalle parole di Isaia, portando la pace escatologica, la luce dell’amore, propria della societ? terminale facendola partire gi? fin da ora, dicendo: "La testimonianza del cristiano non ? tanto nella realizzazione di un’atmosfera di pace, quanto quella di correre il rischio (come agnello presso il lupo, gazzella presso il leone), l’essere divorato, avvelenato... con la certezza della resurrezione. Cos? come nel fatto che, a lungo andare, la mitezza vince la violenza, mediante la mitezza. E’ partecipazione alla vittoria della croce di Cristo".Certamente, come cristiano "razionalizzato" abituato a parlare molto della vita temporale, dando un valore quasi assoluto, questo correre il rischio suona come rottura, un richiamo forte a misurare la propria fede e il proprio agire.Con lo stesso sguardo non condizionato da preoccupazioni ideologiche o passioni di parte e senza farsi travolgere da forze che appaiono egemoni affronta il tema del mercato e della gratuit?, economia e dono, partendo dalla gratuit? del dono della creazione di Dio. Sono approcci nuovi, parole che in politica non sono mai entrate.In un punto dell’introduzione ad un suo scritto si dice:"Non c’? altra via per i cristiani e per la chiesa che sentono la responsabilit? politica verso il mondo che quella di seguire la paradossalit? del Vangelo, preso nella sua totalit? e non ridotto, come sempre si fa, a insieme di principi o di valori, a un manuale di etica sociale e politica".Le ACLI devono essere di "confine" per rimanere profetici, bisogna essere "senza casa" per non essere alla fine dalla parte di chi non riconosce Ges?.Un po’ di storia.Termino con due note biografiche. Mario Castelli non ? stato solo un biblista, uno studioso puro, la sua formazione ? "pratica", si ? formata nel campo della pastorale sociale ed ha attraversato tutte le stagioni della seconda met? del secolo scorso.Entra nella Compagnia di Ges? e compie la sua formazione in Germania e in Francia. nel 1953 lavora presso la Redazione di Aggiornamenti Sociali, diventandone direttore nel 1957. Sono quegli anni difficili, delle sospensioni a divinis segnate dalla lotta al comunismo e della difesa della civilt? cristiana.

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La fine dell’esperienza dei "Preti operai" in Francia, l’elezione di P. Pedro Arrupe come Generale nel 1965, ha come compito di rivitalizzare la Compagnia di Ges? e Mario Castelli viene chiamato alla direzione dell’attivit? apostolica della Compagnia nella provincia Lombardo-Veneta, poi come superiore presso la Comunit? dei gesuiti a Parma, dove nella met? degli anni ‘70 incentiva la Comunit? dei Gesuiti-operai.Con l’arrivo al papato di Giovanni Paolo II il rinnovamento conciliare, di cui la Compagnia di Ges? era la punta di diamante, si ferma. Anche l’esperienza dei Gesuiti- lavoratori lentamente si sbriciola.la malattia di Castelli (morbo di Parkinson) si aggrava sempre di pi? e, nel ‘92, abbandona Parma per trasferirsi a Roma.La parola ora a P. Pio Parisi che di Castelli ? stato amico e grande conoscitore e che potr? condurci a riflettere su quanto questi scritti rappresentino oggi per noi. 

 

Comunicazione di P. Pio Parisigi? accompagnatore spirituale delle ACLIE’ necessario accostarsi all’esperienza di P. Castelli, ricercando la conversione - prima di tutto nostra e poi di tutti sapendo che la conversione ? certamente opera nostra, ma soprattutto ? opera dello Spirito Santo.Pertanto suggerirei di iniziare con l’invocazione allo Spirito Santo

Discendi santo Spirito

le nostre menti illumina

del ciel la pace accoglici

Tu Creator degli uomini.

Chiamato sei Paraclito

e dono dell’Altissimo

sorgente limpidissima

d’amore fiamma vivida.

I sette doni mandaci,

onnipotente Spirito;

le nostre labbra trepide

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in te sapienza attingano.

I nostri sensi illumina

fervor nei cuori infondici

rinvigorisci l’anima

nei nostri corpi deboli.

Dal male tu ci libera,

serena pace affrettaci;

con te vogliamo vincere

i danni che ci incombono

Il Padre tu rivelaci

e il Figlio Unigenito;

per sempre tutti credono

in te, divino Spirito. Amen

Un primo punto da sottolineare - parlando del testo di Castelli - ? che non ? un libro da leggere con leggerezza veloce; ? piuttosto un testo che va letto "ascoltando" come sosteneva Pino Trotta, perch? racchiude una esperienza vissuta fino alla morte, ma tutt’ora viva per lo spessore del personaggio. Quindi un libro da meditare, una esperienza che pu? rafforzare lo sforzo per la nostra personale conversione, ma anche di quella della Chiesa, entrambe necessarie e continue.Quella di P. Castelli ? una comunicazione di fede, insieme alla speranza e alla carit?, sono virt? teologali e sono chiamate cos? perch? non riguardano il nostro modo di comportarci sul piano religioso, ma attengono a Dio e a quello che egli fa. E noi siamo in contemplazione di Dio.Ora il termine "contemplazione" noi lo usiamo in riferimento a quanti si danno alla vita contemplativa e come tale riservato a poche persone che vivono un po’ fuori dal mondo; in realt?, l’essenza della vita cristiana in ognuno di noi ? contemplazione, ? guardare a Dio e a ci? che egli fa.Quindi la contemplazione dei misteri principali della fede, ovvero, unit? e trinit? di Dio, incarnazione, passione e morte del nostro Signore Ges? Cristo; cos? come recitava il catechismo di una volta. mancava per? il meglio,

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mancava "resurrezione" e "ascensione al cielo" e l’invio dello Spirito santo, che insieme formano il mistero pasquale.Tornando a P. Castelli, la sua ? una esperienza di fede maturata attraverso quasi ottant’anni di vita, di cui gli ultimi cinque estremamente tribolati per il morbo di Parkinson che lo aveva colpito in maniera devastante e che lo hanno portato ad accrescere la sua esperienza di fede ed a una vera e propria ascensione contemplativa. P. Castelli, pur non essendo biblista, era arrivato ad una tale familiarit? con la parola di Dio che tutto quanto faceva era sostenuto da questa contemplazione continua e dall’essere continuamente in ascolto con la Parola di Dio.Quindi tutto questo non ? tanto una comunicazione di una dottrina teologica o morale, ma una esperienza di Dio cercato e - in qualche modo - raggiunto e contemplato, attraverso le virt? teologali e penetrato profondamente nella sua esistenza, nella sua mente e nella sua cultura, anche su un piano umano. P. Castelli infatti ? stato per dieci anni Direttore della rivista dei Gesuiti "Aggiornamenti Sociali", inoltre, dopo essere stato Provinciale dei Gesuiti del Lombardo-Veneto e, prima ancora di essere superiore dei gesuiti di Parma in una Comunit? di preti-operai (sempre Gesuiti) particolarmente viva e impegnata, era stato incaricato dal generale P. Arrupe di fare la Comunit? d’Italia dei Gesuiti. ovvero di riunire le cinque provincie creandone una sola. Questo voleva dire, curie, potere religioso ed ecclesiale ridotto drasticamente in una unica curia, il che ha rappresentato una grossa esperienza umana, corroborata comunque e sempre dall’ascolto della parola di Dio, del suo mistero, ma anche del mistero della nostra esistenza.Quando S. Paolo, nelle sue lettere parla del mistero, intende sempre la conoscenza di Dio e del suo disegno: un disegno nel quale noi ci troviamo a collaborare, che si sta realizzando nella storia e che viene operato dallo Spirito Santo.Una ulteriore sottolineatura dell’esperienza contemplativa di P. Castelli, maturata sulla base di una esperienza umana molto ricca, ? da ascrivere alla sofferenza.Io penso che tutta la nostra vita sia l’esperienza di crescere diminuendo e - come diceva un vecchio sindacalista - declinare crescendo. Dunque, crescere declinando, perch? questa ? l’esperienza cristiana: una crescita verso la pienezza della vita fino a che arriva quel passaggio brusco che per? porta alla vera pienezza della vita. E questa crescita avviene declinando.C’? una esperienza di Giovanni Battista che dice "? necessario che lui cresca e io diminuisca". Ma quando lui cresce dentro di noi e noi diminuiamo, in realt? cresciamo noi, pure dentro di lui.Ecco, l’esperienza di P. Castelli ? questa, quella cio? di chi ? andato crescendo in una elevata contemplazione, declinando - nel contempo - nel fisico e non solo. La sua ? stata certamente una sofferenza fisica, ma anche

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morale: vedendo come andavano le cose nella Chiesa e nella stessa Compagnia di Ges? dove veniva ignorato e messo da parte. Tutto questo per? non dice nulla di nuovo, perch? spesso, chi cresce spiritualmente viene emarginato. D’altra parte, la stessa cosa ? successa a nostro Signore ed ? ci? che succede a chi si mette alla sequela di cristo.In una lettera di Pietro si parla di "pietra scartata, diventata testata d’angolo", quella su cui si costruisce tutto il resto e noi - dice Pietro - siamo chiamati a unirci a questa pietra scartata, ad essere a nostra volta emarginati, per poi essere il nuovo edificio spirituale, il nuovo sacerdozio santo.Una parola particolare che troviamo nel libro e al centro dell’esperienza di P. Castelli ? il termine "laicit?". Ricordo che in un incontro a casa mia con altri padri, decidemmo incontri sistematici sul tema della laicit?; eravamo in quattro e ci interrogammo su che cosa intendevamo per laicit?: intendevamo la stessa cosa e cos?, per diciassette anni, ci siamo incontrati una volta al mese per discutere su questo tema. Abbiamo poi pubblicato un primo libro per spiegare il significato di laicit?, ma rendendoci conto di quanto fosse difficile spiegare agli altri cosa noi intendevamo ne abbiamo pubblicati altri due che richiamavano ciascuno il testo precedente.Per Mario Castelli la laicit? ? la profezia del popolo di Dio sul mondo, come attesa operante della resurrezione. Profezia - in senso biblico - non ? tanto parlare e prevedere il futuro, quanto stare in ascolto di Dio che parla. Questo fa il profeta, manifestando poi con le opere e nei gesti la parola di Dio.Quindi la laicit? ? vivere in ascolto della Parola di Dio sul mondo; dice il salmo "Abita la terra e vivi con fede" nel senso di guardare a quello che succede nel mondo sentendosi coinvolti nella vita del mondo stesso.D’altro canto lo stesso Concilio Vaticano II dice che tutto il popolo di Dio ? chiamato ad essere partecipe del sacerdozio, della profezia e della regalit? di Cristo. Purtroppo questi passaggi, in larga misura, sono rimasti solo sulla carta; c’? da sperare che - come la parola di Dio - anche il Concilio riemerga nella nostra vita cristiana pi? di quanto non sia presente adesso.E poi P. Castelli aggiungeva l’attesa operante della resurrezione: ecco, noi viviamo in attesa di qualcosa che ancora non c’?, cio? la pienezza della vita per la quale Dio ci ha creato. Dunque una attesa operante, attiva con tutte le proprie energie, coscienti che tutto avviene dentro l’azione di Dio. Un testo che, spero, diventi costante nutrimento della vita cristiana ? l’Apocalisse, il libro della speranza cristiana, che parla s? di disastri nel mondo, ma che all’interno di questi guai dice della grande luce che ci viene dal Signore e il senso escatologico della vita verso cui andiamo, ma anche la bellezza dei nostri giorni terreni alla luce di questa meta.Il libro di P. Castelli pu? essere una guida, ognuno di noi ha bisogno di una guida nel suo vivere quotidiano in famiglia, sul lavoro, nell’impegno sociale, ecclesiale o politico. I giorni delle forze fisiche che dalla loro pienezza vanno

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scemando, i giorni della malattia: in tutta questa quotidianit? di vita, io penso che l’esperienza di P. Castelli pu? essere guida e conforto. D’altra parte il cristiano non ? una persona arrivata, ma una persona sempre alla ricerca del Signore, alla ricerca di come vivere i propri giorni, anche per sbarcare il lunario, di come sopportare le tante prove e, tanto pi? uno ha fede, tanto pi? uno cerca il conforto invocando lo Spirito, cos? come cerca il conforto nella comunione ecclesiale che non vuol dire partecipare a grosse manifestazioni , ma piuttosto comunicare le nostre esperienze di fede con chi cammina accanto a noi.Io vedo nel libro di P. Castelli anche una guida per le ACLI. Ricordo che nel 1985, assieme ad alcuni amici aclisti, iniziammo a scrivere dei sussidi per la lettura dei Vangeli e degli Atti degli Apostoli che titolammo "La parola ai piccoli", proprio perch? "i piccoli" sono quelli che li possono capire meglio e possono aiutare noi a fare altrettanto. Dice il vangelo di Luca (cap. 10): "Ges? esult? nello Spirito Santo e disse "Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra , perch? hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e coloro ai quali il Figlio lo ha rivelato".Ecco che l’intelligenza profonda del mistero trinitario di Dio ? rivelata ai piccoli, cio? gli umili, i poveri di Spirito.Il card. Martini diceva che nella vita ci sono quattro tempi: il primo tempo ? quando una persona impara, il secondo quando insegna, il terzo quando va nel deserto e si d? alla vita contemplativa e ripensa a tutto quanto ha imparato e insegnato; il quarto tempo ? quando diventa mendicante e si ritrova a dipendere in tutto dagli altri, perdendo anche il senso della propria grandezza.In India questo passaggio lo praticano volontariamente alcune persone che nella loro vita sono stati industriali, professori che - a un certo punto - lasciano tutto e, nell’ultima parte della loro vita, vanno a fare i mendicanti.Quella del mendicante ? la fase della perfezione, della pienezza perch? uno sperimenta la propria debolezza nel dipendere in tutto dagli altri, fisicamente, spiritualmente, culturalmente, religiosamente.Negli ultimi anni della sua vita, andavo a trovare con altri amici P. Benedetto Calati, Padre Generale dei Camaldolesi: questo uomo aveva una libert? interiore incredibile, anche nei confronti delle autorit? religiose, senza alcun astio o mancanza di rispetto e, al tempo stesso, con un senso critico buono, culturalmente libero.Tornando alla "Parola ai piccoli" nel 1995 leggevamo l’inno alla carit? della prima Lettera di S. Paolo ai Corinzi ed ecco che Franco Passuello, allora non ancora presidente nazionale delle ACLI, con una battuta, dice che vivere la carit? personalmente ? cosa assai difficile e che - forse - l’unica cosa facile da praticare ? quella del versetto finale che recita "la carit? tutto copre", ma

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aggiungeva seriamente che se praticare la carit? ? difficile per ognuno di noi, figurarsi convertire le ACLI al Vangelo! Una cosa assurda, impossibile.Allora Pino Trotta, responsabile dell’Ufficio Studi delle ACLI disse che, visto che quell’anno non era ancora stato scelto il tema del Convegno Nazionale di Studi, proponeva che il tema fosse "Convertirsi al Vangelo": vie nuove per la politica". le vie nuove sono quelle del Vangelo e le ACLI che si rifondano sul Vangelo, a partire dai piccoli, lo devono fare a partire da tutti i circoli, in piena laicit? e aderenza ai problemi del mondo che sono caratteristiche delle ACLI e, al tempo stesso, con un occhio alla contemplazione e alla lettura del Vangelo.A proposito della "Parola ai piccoli", ricordo che un sacerdote parlava di certi preti che in alcuni circoli sostenevano che per le ACLI, pi? che il Vangelo fosse adatta la Dottrina Sociale della Chiesa. Ora se la Dottrina Sociale viene proposta all’interno della lettura del Vangelo mi pare cosa molto bella, ma se diventa il sostituto della parola di Dio a me pare che se ne faccia un cattivo uso.In conclusione, il libro di P. Castelli pu? aiutarci a vivere pi? pienamente un cammino di conversione nel nostro operare da aclisti alla luce del Vangelo. Recentemente si ? tenuta la Settimana Sociale dei cattolici italiani per approfondire l’impegno dei cristiani nella societ?: un Comitato Scientifico ha preparato questo seminario presieduto dal Vescovo di Viterbo e da un personaggio della CEI molto preparato sul piano culturale e uomo di grande spiritualit? che sulla necessit? di ripartire dalla Parola di Dio in tema di democrazia era pienamente d’accordo con me. Per?, durante quella settimana non vi ? stata alcuna relazione o discussione in merito alla parola di Dio, forse perch? dentro a un certo tipo di elaborazione culturale e di governo della chiesa attuale, molto preoccupata della dimensione politica, si ? preferito non approfondire. Ma un approfondimento fra democrazia e conversione va comunque fatto in rapporto non alla ricerca del potere, ma allo spirito di servizio alla luce del Vangelo.Tempo fa, in una riunione di Vescovi in cui si parlava di scuole di formazione alla politica, un vescovo se ne usc? dicendo: "basta con la profezia, ora dobbiamo preoccuparci della politica". Tranne il sottoscritto, non reag? nessuno, ma una simile affermazione dice la non conoscenza di ci? che dice la Bibbia, che ? tutto un discorso sulla polis, non per? per vedere come si gestisce il potere, ma come si costruisce la convivenza umana attraverso rapporti fraterni. In una parola, la profezia.Per finire: Mario Castelli era un uomo che aveva sempre presente il mondo e quello che vi succedeva e dunque possedeva una grande cultura storica. Qualche giorno fa mi sono incontrato con degli amici fra i quali era presente Paolo Tufari che abitualmente organizza una lectio mundi (parallela alla lectio divina) fatta molto seriamente, alla quale partecipano cristiani e non. Il tema era "L’ingerenza umanitaria nelle varie zone del mondo dove c’era la guerra",

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l’introduzione era affidata al Prof. Cantarella, che insegna storia della Chiesa alla facolt? dei gesuiti a Napoli, il quale ha presentato quello che ? il pensiero della chiesa riguardo alle armi di guerra, la pace... E’ poi intervenuto Riccardo Chieppa, costituzionalista che ? stato presidente della Corte Costituzionale e Pietro Scoppola.La conclusione di questo incontro ? stata una grande perplessit?: da un lato vangelo e armi non possono accordarsi, dall’altro esistono situazioni nelle quali sembra che delle armi non se ne possa fare a meno per cui, in una situazione tanto complessa, bisogna continuare a ricercare la soluzione migliore.C’? peraltro uno scritto di P. Castelli sulla pace come approdo necessario e impossibile nel cammino della laicit?: questo testo dice che ci? che ? impossibile alle nostre forze ? per? possibile attraverso il Vangelo e la Parola di Dio. Paolo, nella lettera ai Corinzi, parla del vangelo come potenza di Dio per la salvezza degli uomini. Potenza di Dio che si manifesta nella debolezza del Signore, nell’annientamento di Dio che si ? fatto uno di noi, che ? morto per noi e che - per questo - ? il salvatore del mondo.A me pare che l’urgenza e l’enorme bisogno che c’? nel mondo travagliato di oggi, sia un bisogno di Vangelo, non per? di un vangelo proclamato, gestito proposto come una dottrina o usato come clava: l’uomo ? gi? sufficientemente bastonato. 

 

Dibattito1. Ricordo una espressione di P. Turoldo, negli anni ‘70, quando gli avevano fatto presente il modo di porsi di C.L., Turoldo notava che la cosa che lo aveva pi? impressionato in don Giussani era l’espressione "brandire il Vangelo". Per Turoldo ci? voleva dire trasformare il Vangelo in una clava, cosa sulla quale egli non poteva assolutamente essere d’accordo in quanto nel Vangelo non trovava niente che potesse richiamare la clava.Ci? per? pare possa tornare in uso, per esempio nella strumentalizzazione - nello scorso anno - del crocifisso, a fini grettamente politici, oppure nella "questione Buttiglione", quando laicisti, anticlericali, agnostici si sono impadroniti del vangelo e della religione cristiana come fosse una ideologia, arrivando a presentare il cristiano Buttiglione come un perseguitato solo perch? non ritenuto adeguato a coprire un determinato incarico di carattere politico nell’ambito dell’Unione Europea.Una seconda riflessione la suggerisce il titolo di questo incontro "Vangelo e politica". Circa tre anni fa, l’Ufficio pastorale della Diocesi di Milano ha dedicato un convegno a "Religione e democrazia". In una delle relazioni, tenuta da un giurista, si faceva presente il tema della posizione dei cristiani in politica, interrogandosi come la persona che ha fede sia tenuta a realizzare la

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stessa fede in politica: ci sono due strade, una quella di conquistare la maggioranza in Parlamento e imporre la fede attraverso l’emanazione di leggi, con la conseguenza di costringere i non credenti o non cristiani a seguire le norme cristiane trasformate in legge, il che significa andare a messa con i carabinieri e quindi ammettere l’ipocrisia di comportamento attraverso la legge.L’altro orientamento ? quello di seguire i valori maturandi nella societ?. facendo cio? attenzione al grado di condivisione dei valori cristiani nella societ?, aiutandoli a maturare e, solo dopo la loro condivisione, trasfonderli in norme di legge, altrimenti si ritorna all’ipocrisia.2. Viviamo in un momento in cui si fa fatica a fare scelte di rischio: oggi, per un cristiano, cosa significa rischiare? E quale connubio tra rischiare ed essere moderati? Chi rischia ? emarginato?3. In passato vi sono state persone che hanno fatto politica alla luce del Vangelo (Dossetti, La Pira e altri). Oggi ci sono persone che si professano portatori del Vangelo e della verit? e poi, in politica si comportano in modo molto discutibile rispetto a quanto sostenuto a parole.Addirittura abbiamo un Presidente che scatena una guerra sostenendo - Bibbia in mano - che Dio lo vuole. Lo stesso Buttiglione ha usato il Vangelo come una clava ... e molti politici non vivono certamente il credo francescano dell’accoglienza, n? cercano di influenzare i loro colleghi attraverso il dialogo, la persuasione, ma cercano di imporsi.4. Sono grato a P. Parisi per aver risvegliato, oltre al ricordo di P: Castelli, anche provocazioni che proprio dentro alle ACLI non sempre sono state accolte con entusiasmo e con coraggio. Il connubio tra conversione e contemplazione penso siano l’architrave su quello che potr? e dovr? essere un crescere come esperienza non solo di fede, ma anche di presenza dei laici nella chiesa e nella societ?.Ho l’impressione che - come cristiani e come aclisti - stiamo non tanto ripercorrendo la sequela di Ges? al suo tempo, ma la sequela dei sommi sacerdoti e della religiosit? del suo tempo.Mi chiedo: se oggi ritrovassimo Ges? con il suo linguaggio e con il suo modo di fare, siamo sicuri che saremmo dalla sua parte e non dalla parte degli altri? E se lo siamo anche a livello di chiesa, vuol dire che la chiesa ha perso - nel percorso - quella novit? del Vangelo che rimetteva in pista chi era stato escluso e tutte le esclusioni che, nel tempo, erano state codificate anche da un atteggiamento religioso. Oggi rischiamo di riproporre tutte le esclusioni: andiamo in chiesa e poi, tranquillamente, votiamo una legge che d? casa, ma non a quelli che non sono residenti da vent’anni e ce ne stiamo zitti di fronte a manifesti che invitano i musulmani ad andarsene "fuori dalle balle".Mi chiedo se, come laici, non siamo tra quanti sono gli interpreti della religiosit? del tempo di Ges?; se lo siamo, non possiamo dirci portatori della

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novit? che Ges? ha portato, anche attraverso lo scandalo e la profezia della sua religione.Su Buttiglione bisogna parlare in modo chiaro: la chiesa perseguitata ? la chiesa di Romero, la chiesa dei Gesuiti perseguitati e poi massacrati, non la chiesa di Buttiglione che, con arroganza, parla e finisce per tirarsi dietro elementi di criticit?. Mi spiace molto (se ? vero ci? che pubblica La repubblica) che Bobba lo abbia difeso in maniera ancora pi? retro - rispetto ad altre espressioni del mondo cattolico. Vorrei capire dove ci vuole portare questo uomo o dove vuole andare lui. Se ne vada dove vuole, ma non porti con s? le ACLI.Voltiamo pagina. Nell’ultimo numero di Azione Sociale ci sono tre pagine di Azione Sociale su Annalena Tonelli, altro segno di martirio. Altro che vedere come muore un italiano! Cominciamo a guardare come muore un cristiano, come muore una donna che, a suo tempo, ebbe a dire di essere stata invitata a pi? riprese a convertirsi all’Islam (Annalena si trovava in Somalia e operava fra i musulmani). Lei per? aveva sempre rifiutato perch? preferiva portare avanti la sua esperienza di fede, nel rispetto di quella degli altri.Questa la dice lunga sul cambio di ragionamento che dobbiamo fare: quando incontriamo una persona in gamba, il problema non ? tanto di averla tra i nostri, quanto di ammettere che il Signore semina il buono dappertutto. Quindi come gli altri - nel contesto loro - vedevano la novit? di una persona non musulmana capace e di voler bene in solidariet?, curando i malati, cerchiamo anche noi di fare altrettanto, senza andare all’arrembaggio come credenti per vedere chi deve convertire l’altro, ma ponendo la gratuit?, la generosit?, l’amore, sodalizzando in una sequela comune questi segni.5. A quindici anni dalla prima Conferenza Ecumenica tenuta a Basilea nell’89, che ha visto per la prima volta riunite le chiese europee in un tentativo di dialogo dopo secoli di chiusure reciproche, qualche considerazione bisogna pur farla: Avevamo un’Europa con il muro di Berlino, ora abbiamo un’Europa (con il tentativo di Costituzione comune che dovr? essere approvata) allargata a dieci Paesi in pi?, risultato di un cammino intrapreso da anni e nel quale molti si sono spesi. Avevamo chiese che iniziavano un percorso ecumenico e oggi, guardando a questi due capisaldi, dove ci troviamo?Come ? stato interpretato questo "crescere declinando" all’interno della nuova Europa e all’interno delle chiese? L’Europa ? convinta che, per crescere, ognuno dei Paesi che la compongono deve perdere parte della sua sovranit?? E le chiese - a loro volta - hanno in mente di crescere nell’incontro vicendevole, diminuendo la loro grandezza, i loro numeri?Padre Turoldo, poco prima di morire, ebbe a dire che in una societ? come la nostra che si basa sul nemico ed ha bisogno del nemico, a muro di Berlino caduto, si sarebbe trovato un nuovo nemico, anzi era gi? pronto: l’Islam. Ora, il nostro porci da cristiani, da aclisti, ? pronto a declinare per lasciare spazio ad altri? Ed ? attraverso questo declinare che possiamo crescere come

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cristiani? In che fase ci troviamo, forse quella di imparare? O quella dell’insegnare, quella del ripensare o quella del deserto? Certo, risulta difficile pensare che cos? si cresce, che sparendo si pu? diventare lievito che fa crescere la massa.6. Io mi trovo nella fase del "diminuendo", per? imparando, non crescendo: ? questo il guaio, ma anche oggi sto imparando. Quando Dio parla di profezia del Popolo di Dio, parla al plurale; noi ACLI, piccolo popolo di Dio dobbiamo essere d’accordo su una cosa: da dove partiamo? Dal Vangelo? Allora dobbiamo essere tutti d’accordo, diversamente non ? pi? profezia, ma solo vuota dichiarazione. Come e cosa fare per essere popolo di Dio che fa profezia?7. Ho abitato oltre trent’anni a Lecce e, con la mia famiglia, sono stata per tanto tempo vicina a don Tonino Bello, fino alla sua morte. Diversamente da don Giussani, don Tonino diceva sempre che a un musulmano non avrebbe mai messo in mano il Vangelo senza che ne fosse richiesto e questo per rispetto dell’altro.D’altra parte, a chi gli faceva osservare che lasciando la macchina aperta gli potevano rubare qualcosa, don Tonino rispondeva che vi avrebbero trovato solo il messale e il Vangelo, pertanto poteva capitare che si mettessero a leggerlo... Diceva anche che la pace non ? una vallata verde e ordinata, ma una conquista e noi cristiani dobbiamo abituarci alla conquista interiore della pace; anche le manifestazioni si devono fare in favore dell’altro, mai contro l’altro, comunque sia l’altro, pur nella liceit? della critica.8. Chi ha la mia et? avr? vissuto il Concilio Vaticano II parallelamente all’esperienza delle ACLI e si ricorder? come - negli anni precedenti a questo evento- all’interno della nostra associazione vi fosse un fermento particolare, quasi in attesa di novit? nella chiesa, perch? la societ? cosiddetta cristiana quale era quella italiana, fondamentalmente ipocrita, che non viveva il vangelo, ci portava a sentire l’esigenza di un cambiamento.Ecco allora che il Concilio era stato salutato come l’evento che poteva trasformare lo stato delle cose, tanto che si attendevano i vari documenti conciliari e si discutevano nei vari circoli ACLI e nell’Azione Cattolica. Abbiamo allora vissuto gli anni successivi come una ventata di novit?, soprattutto sulla autenticit? della vita cristiana e la separazione tra politica e Vangelo.Dico questo perch?, andando verso la vecchiaia, mi rendo conto di come si stia ritornando al pre-concilio: il caso Buttiglione e l’insistenza con la quale si chiede l’introduzione delle radici cristiane dell’Europa nella Costituzione Europea, mi fa pensare a una ricerca non di vivere nell’autenticit? e nella povert? del Vangelo, ma nel ricercare gli strumenti che impongono il Vangelo.Ho l’impressione che si stia ritornando - come era nel pre-concilio - al primato della religione sulla fede, religione che deve essere brandita come una clava;

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alcune avvisaglie pericolose sono state dette, ma quella che pi? mi preoccupa ? che, secondo alcuni, la vittoria di Bush si ? fondata sulla religiosit?: ora, conoscendo un po’ qual’? la cultura e la vita degli americani, credo si possa dire che non ? proprio imbevuta di Vangelo. Si pu? per? dire che sia imbevuta di religiosit? e di un fondamentalismo religioso che sembra faccia proseliti.Se tutto questo lo riportiamo alla nostra Italia, credo che ne siamo poco lontani: il giorno successivo all’elezione di Bush, l’editoriale di Avvenire - pur non dicendole a chiare lettere - fa capire che Bush ha vinto perch? paladino dei valori. Quali siano questi valori io fatico molto a individuarli. Osservo anche che le ACLI, mentre prima del Concilio avevano cercato di spingere verso un cambiamento, oggi mi pare lo facciano verso un ritorno: da qui il volere essere ortodossi a tutti i costi con la gerarchia, senza quell’afflato profetico che le ACLI hanno nel loro DNA.Che profeti come Tonino Bello, Balducci, Turoldo siano tornati al Padre e non se ne vedono altri all’orizzonte, porta un po’ al pessimismo, rimane comunque il fatto che fatico ad identificarmi rispetto ad alcune prese di posizione: oggi - a differenza degli anni in cui P. Pio Parisi proponeva il vangelo ai Piccoli, il Vangelo dei poveri, il Vangelo degli ultimi - mi pare che nelle ACLI di vangelo si parli poco e vada invece avanti l’idea di sentirsi l’identit?, tutti attorno, uniti al Vescovo, pronti alla battaglia, quasi ci fosse il nemico alle porte.Da ultimo vorrei parlare di una testimonianza per dire come siamo ignoranti e l’ignoranza sia cosa da combattere: ero presente ad un incontro tra un professore ebraico e un professore islamico i quale paragonandosi ad un cardinale cattolico per importanza, sosteneva di conoscere il Corano fino in fondo e si rammaricava perch? l’Islam non ha un papa che tutelasse la giusta interpretazione del Corano.Questo professore sosteneva che nel Corano vi sono due peccati che Dio non pu? perdonare. Devo dire che il secondo non me lo ricordo, io peraltro non conosco il Corano, per? mi ricordo il primo che definisce imperdonabile il suicidio volontario e lo ? ancora di pi? se ci? provoca la morte di altre persone. Noi per? sentiamo dire che quelli che compiono attentati facendosi saltare vanno in paradiso come martiri. Bisogna allora dire che si utilizza l’informazione per far passare l’idea che quanti sono di religione diversa dalla nostra, sono quelli da combattere e da escludere.

RispostaLa Chiesa ? rappresentata come una barca nella tempesta con a bordo il Signore. Oggi, non ? che questa sta diventando un transatlantico? Certo il Signore c’? ancora, ma chiss? dove sar?, ma ? anche certo che la chiesa - struttura mastodontica com’?, prevale un po’ sullo Spirito e il pericolo ? che possa passare a una dimensione pi? economica, rispetto a quello che deve essere la sua essenzialit?. Si fa avanti quello che io definisco "clericalismo manageriale" sia pur pensato con le migliori intenzioni, ma con il pericolo di

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ritrovarsi con una chiesa che si schiera con un certo tipo di mondo non propriamente praticante il Vangelo.In una riunione con i Superiori Provinciali e il Padre Generale dei Gesuiti - Kolvenbach - alcuni padri avevano proposto che, nell’azione della Compagnia di Ges?, si introducesse la scienza della managerialit?. Kolvenbach rispose che si togliessero quell’idea dalla testa, perch? il Vangelo ? tutta un’altra cosa.C’? anche il pensiero di Karl Rahner il quale sosteneva che la chiesa di domani o sar? mistica o non avr? pi? senso: mistica nel senso che far? i conti con il mistero. Nella fede, se si toglie di mezzo la dimensione del mistero, il tutto diventa una dottrina, diventa un possesso, ma questo non risponde al Vangelo, alla tradizione tramandata e poi affidata allo Spirito.Nella Costituzione "Dei verbum" del Concilio, al n. 8 si dice che la Tradizione Apostolica va crescendo nella chiesa con il contributo di tutti quelli che ascoltano la Parola e riflettono, verso una pienezza su cui la chiesa ? orientata.Gregorio Magno, di fronte al crollo dell’Impero Romano e con i barbari alle porte, leggeva la Parola di Dio accogliendo lo straniero dicendo "scriptura crescit cum ligente" ovvero "la scrittura cresce con chi la legge". Noi, ascoltando la Parola di Dio, facciamo crescere la Scrittura. Norberto Bobbio scriveva in un articolo per Micromega di non essere credente, di aver cercato sempre - con la sua ragione - la verit?, ma di fronte ai problemi principali della vita, cio? il senso della vita, il senso della sofferenza, della morte, non aveva alcuna risposta e si sentiva profondamente umiliato nella sua intelligenza. Nell’accettazione di questa umiliazione l? egli riponeva la sua religiosit?, non tanto distante da quella dei mistici della chiesa, pur non essendo egli credente.Mi pare allora che l’essenza della vita cristiana non ? un’etica, una dottrina, ma ? l’accoglienza, la scoperta del mistero di Dio che ci viene rivelato nel mistero pasquale con la morte, la resurrezione, l’ascensione al cielo del Signore. Quindi sentire il rischio, vivere la vita cristiana con inquietudine, ansiet?, insicurezza, questo fa parte della fede che non si fossilizza, ma continua a crescere. Quindi anche nelle ACLI ci si sta aderendo al Vangelo, non preoccupandosi del fatto dottrinale, ma mettendo in primo piano lo spirito evangelico, con umilt? e non per fare battaglia contro altre religioni o confessioni.

 

Se le ACLI sparissero, chi si accorgerebbe?6 novembre 2005

 

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Dante MantovaniPresidente del Circolo ACLI S. Polo - BresciaPer l’incontro di quest’anno abbiamo scelto di parlare delle ACLI, un tema ritenuto urgente da affrontare e nato da riflessioni comuni, oltre che da mugugni avvertiti qua e l?.Il tema di questo incontro "se le ACLI sparissero chi se ne accorgerebbe" pone qualche interrogativo: se le ACLI sparissero e nessuno se ne accorge, tanto vale che non esistano, se qualcuno se ne accorge e altri no, ? comunque un problema, se se ne accorgono in tanti, vuol dire che la nostra realt? ? significativa.Andiamo allora a ragionare su questi temi con l’aiuto di Aluisi Tosolini che, pur non tesserato alle ACLI, ? molto attento a questa nostra realt? che, per altro, conosce bene. 

Aluisi TosolinisociologoE’ stata sottolineata la mia non appartenenza in quanto non tesserato alle ACLI: io ritengo che, a volte, si ? pi? utili, nel lavoro che faccio, non essere iscritti a nulla perch? ? possibile percorrere un po’ di strada insieme in amicizia: una amicizia che si pu? definire come la distanza che avvicina. Essere amici significa quella distanza che avvicina e che ti permette di farti guardare da fuori con amicizia: ? quell’amico critico che non ti d? sempre ragione, ma una persona che ti pu? essere utile perch? ti pu? aiutare a guardare non con i suoi occhi, ma darti una mano a guardare (con i tuoi occhi) la realt? in un altro modo. Io sono contento di avere camminato con le ACLI in questi vent’anni da amico critico, nella logica dell’amicizia di cui parlavo prima.Da dove ? nata la questione che d? il titolo a questa giornata? Ognuno ha i propri vizi e il mio (in chiave intellettuale) ? quello di fare i conti quotidianamente con la morte: il mio cellulare, quando si accende, riprende la dizione del Qoelet"vanit? delle vanit?, tutto ? vanit?". Pu? sembrare una stupidata, ma serve a ricordare che anche oggi, cos? come domani, sei chiamato a decidere quello che conta e quello che non conta e che ? un po’ la traduzione di "se tu scomparissi, chi se ne accorgerebbe", e che comunque fa pensare in base a quale parametro si dice che una cosa conta e l’altra no. Sempre dal Qoelet si legge che "c’? un tempo per abbracciarsi e un tempo per astenersi, un tempo per nascere e un tempo per morire, vanit? delle vanit?, tutto ? vanit?".Ora, se c’? un tempo per nascere e un tempo per morire, le ACLI sono nate, le ACLI moriranno, perch? tutto ci? che nasce, muore. In questo caso, la morte non ? la fine del mondo, ma la domanda su che senso ha una realt?, oggi, se ? un morto che cammina, oppure se la stessa realt? ha ancora un significato.In tutto questo contesto interagisce la riflessione di quel grande sociologo degli inizi del ‘900 che ? Max Weber, il quale ha dedicato parte della sua esistenza a studiare il tema della secolarizzazione, della quale stiamo facendo il funerale; un’altra grande parte della sua vita l’ha dedicata a quella cosa chiamata burocrazia, nel senso di

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burocratizzazione. Ad un certo punto, una istituzione, una realt? disperde magari il senso per cui ? nata e Weber dice che, di norma, c’? il rischio che una istituzione o una organizzazione sociale ? tentata ad avere come unico scopo la propria sopravvivenza. Allora la domanda ?: qual’? lo scopo, il traguardo per cui sono nate le ACLI? Un secondo quesito ?: questo ? ancora l’obiettivo prioritario o l’abbiamo perso nel tempo per cui c’? il rischio che noi in qualche modo facciamo girare la baracca per tenerla in piedi in quanto tale? Diciamolo, ? sempre difficile mollare una istituzione che d? sicurezza, ? sempre difficile rischiare, ma se si vuole crescere bisogna prendersi anche delle responsabilit? e dei rischi.Fatta questa lunga introduzione, proviamo a rispondere al quesito che d? il titolo alla riunione odierna. Avete la riflessione di don Giuseppe Pasini che parte da un primo quesito e che ha a che fare con la "L" di lavoratori. Se l’acronimo ACLI fosse senza la "elle", si potrebbe leggere Azione Cattolica italiana, o ancora Associazioni Cristiane Internazionali. La "L" per? ? la dimensione caratterizzante e la sua specificit?.Le ACLI sono un movimento "per" i lavoratori, "con" i lavoratori, "dei" lavoratori? Sono tre cose completamente diverse tra loro.Se ? una associazione per i lavoratori privilegia la dimensione del servizio per i lavoratori, la loro formazione, privilegia il servizio ai post-lavoratori, cio? ai pensionati mediante tutti i vari patronati. In questo caso si ? in concorrenza con altri patronati anche privati. Mi sembra di capire che la parte preponderante delle ACLI, dal punto di vista strutturale, sia questa ed ? del tutto evidente che se fosse solo questa, alla sparizione delle ACLI, non solo non se ne accorgerebbe nessuno, ma per certi aspetti si potrebbe addirittura far festa, nel senso che, per quanto riguarda la formazione professionale esistono altri percorsi (soprattutto alla luce della Riforma Moratti) cos? come per i patronati e i CAF. Questa percezione mi arriva da utente della televisione e di altri mezzi di comunicazione, dove la presentazione di s? delle ACLI, in chiave pubblicitaria, ? soprattutto per i patronati, per la compilazione della Dichiarazione dei Redditi, per i corsi professionali.L’altra presenza - rara - sui mezzi di comunicazione ? in riferimento a qualche presa di posizione della direzione nazionale, mentre manca spesso il cosiddetto corpo intermedio, quello fatto da persone che si impegnano giorno dopo giorno. In sostanza viene ignorato sistematicamente il loro punto di vista sulle cose che accadono nel mondo e a me pare che la spettacolarizzazione della politica e dei movimenti e del loro intervento sul tessuto della societ? avvenga mediante l’identificazione con poche figure pi? o meno carismatiche piuttosto che con la qualit? della riflessione collettiva, che non viene assolutamente presa in considerazione.La stessa cosa accade nei partiti, anche quelli con alle spalle una storia popolare di vita nelle sezioni: quando il corpo intermedio si mette di traverso, si fa in modo che non conti, se non per dare il proprio voto.Tornando alla "elle", se questa lettera sta per lavoratori, andiamo a guardare il concetto di lavoratori, sono stati persi quei lavoratori che sono non-lavoratori: gli atipici, i co.co.co., i biagisti vari, gente alle quali nessuno fa il mutuo, che domani

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non avr? pensione: siete riusciti a intercettare quei lavoratori? Forse che la "C" di cristiani non parla ai lavoratori atipici?Se le ACLI fossero una delle associazioni che pi? lavora sul grave problema di quanto ? cambiato il lavoro, di come si fa a mettere in piedi circoli di aclisti atipici, se sparissero, sarebbe veramente grave. Ma se chi ha in mente le ACLI ? un lavoratore con un posto sostanzialmente fisso dipendente, bisogna dire che questo tipo di lavoratore sta sparendo e allora - per definizione - spariscono anche le ACLI, nel senso che le stesse diventano una associazione di aclisti pensionati che, prima o poi, se ne andranno da questo mondo ed ecco che la faccenda si chiude da s? perch? non rimane pi? nessuno.Vorrei aiutarvi in questo problema, riandando al punto di partenza delle ACLI, alla loro sorgente, che era quella di portare una dimensione cristiana nel lavoro. Oggi, rileggere il tema del lavoro in chiave cristiana, significa fare i conti con i luoghi dove il lavoro ? precario, flessibile e sfruttato; laddove - dice Bauman - il grande lavoro delle societ? contemporanee ? produrre rifiuti e relitti umani. Oggi il lavoro ? un luogo nel quale la dimensione di disumanizzazione del soggetto, di distacco tra ci? che produce e ci? che ?, ? altissima ed ? il luogo cruciale della nostra societ?.In questo caso la fedelt? alla chiesa potrebbe essere non la fedelt? del servo sciocco, ma la fedelt? dell’amico critico che - in questo caso - fa un lavoro per la chiesa, perch? ? missionario in quell’ambiente.Sul lavoro, al di l? di frasi fatte, ricordate qualche intervento significativo della chiesa in Italia che riesca ad agganciare generazioni di giovani che lavorano in quelle condizioni? Io non ne vedo e se la chiesa non riesce a dire niente sulla parte preponderante dell’esistenza, va a ficcare il naso su questioni che - alla maggior parte delle persone - non possono interessare di meno. E’ significativo che sui PACS la chiesa abbia detto di no, cos? come molti parlamentari: bisogna per? ricordare che il Parlamento Italiano ha gi? i PACS, infatti qualunque parlamentare pu? estendere, ad esempio, l’assistenza sanitaria alla propria (o al proprio) convivente. Va da s? che questa doppia morale non va assolutamente bene.Diciamo che ci si accorgerebbe della sparizione delle ACLI se le stesse ACLI fossero impegnate a battagliare sulla questione del lavoro oggi; a questo punto faccio un passo avanti e arrivo alla "I" di internazionali, la qual cosa ha a che fare anch’essa con il lavoro, perch? oggi molto lavoro ? delocalizzato e quindi interessarsi del nuovo lavoro significa interessarsi dei nuovi schiavi del lavoro in Cina, in India, in Moldavia... magari all’ombra di datori di lavoro italiani. Il lavoro al tempo della globalizzazione ? ancora pi? un lavoro che produce scarti umani e, da questo punto di vista, a me sembra che tutto quel legame con il mondo equo e solidale, nord-sudista che le ACLI (almeno quelle lombarde) hanno, sia rilevante.Le ACLI per? dovrebbero per? portarvi quello che ? il loro specifico, vale a dire l’attenzione al lavoro. mi va benissimo aprire negozi equo e solidali o fare lavori su temi solidali, ma la specificit? ? il lavoro e il senso del lavoro nel mondo. Questo manderebbe all’aria anche molti sindacati italiani, tanto ? vero che don Pasini, nel caso sparissero le ACLI, chi se ne accorgerebbero di meno sarebbero i sindacati. I

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sindacati italiani che vivono la contraddizione di non volere o di non riuscire o di non potere fare i conti con il lavoro globale e, in questo contesto, Carlo Marx ha preso cantonate invereconde: provate a dire oggi "lavoratori di tutto il mondo unitevi" Una fabbrica cinese paga i lavoratori duecentocinquanta dollari al mese che ? poi un quinto dello stipendio da mille Euro in Italia. Allora il problema ? se sono io a dovermi accontentare di duecentocinquanta Euro o se ? l’altro che deve arrivare a mille: l’andare a mille significa diritti sindacali, sicurezza sul lavoro, non inquinamento e distruzione dell’ambiente circostante, che sono poi le cose che aumentano il costo del lavoro.Si vede allora che la "I" di internazionali deve essere reinterrogata in chiave lavorativa destrutturata in chiave globale, quindi con collegamenti in tutto il mondo.Una ulteriore riflessione ha a che fare con la "C" di cristiani, ovvero quella dimensione ecumenica che ? parte strutturale e genetica delle ACLI, cio? lavoratori cristiani tesi a tenere insieme una pluralit? di esperienze del mondo cristiano: questa mi sembra essere una enorme ricchezza e quando si parla di fedelt? alla chiesa da parte delle ACLI italiane significa che nel dichiararsi cattolici, lo dichiariamo dentro un movimento di cristiani, in una dimensione ecumenica tesa a costruire percorsi insieme verso Cristo, partendo da una pluralit? di esperienze religiose.E veniamo alla "A" di associazioni. Intanto la "A" ? al plurale e a pensarci bene gi? qui c’? una certa intuizione del federalismo che ha come idea il radicamento sul territorio di una associazione di associazioni. Quindi l’idea di una base forte territoriale, della risposta alle realt? locali e una rilevante sottolineatura della dimensione democratica nella interazione fra associazioni. Una associazione di associazioni dovrebbe, in realt?, avere molta pi? cura delle dinamiche relazionali di matrice democratica nella sua gestione, nella elezione dei vertici, e nella rappresentativit?.A me per? interessa sottolineare un altro aspetto e cio? l’associazione intesa come soci: c’? una differenza tra movimento e associazione. Movimento d? l’idea di qualcosa che muove qualcos’altro e don Pasini sottolinea l’idea del movimento in chiave positiva. Nel primo libro scritto da Francesco Alberoni "Stati nascenti", egli dice che il movimento nasce da un problema dal quale nasce una risposta collettiva forte, spesso di matrice emotiva, fino a che ad un certo punto o il tutto si smorza o si istituzionalizza.Il movimento dei ragazzi di Locri, in seguito all’uccisione del vice Presidente del Consiglio regionale calabro, ne ? un classico esempio. L’idea di una associazione significa la scelta di darsi una struttura che riconosce che il movimento non ? sufficiente in quanto esso vive di dinamiche carismatiche ed emotive mentre una associazione ha delle regole, uno statuto, ma soprattutto riconosce al proprio interno pari dignit? ad ognuno, che ne ? socio. Essere soci significa avere il compito di creare e mantenere quelli che si chiamano i legami sociali, cio? solidariet?. Dentro un movimento non c’? - necessariamente - solidariet?, ci pu? essere ma momentanea, fluttuante, leaderistica; invece nella piccola societ?, ovvero nella associazione, la vita

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democratica presente al suo interno riconosce ad ognuno la sua dignit?, la sua ricchezza.Nelle societ? cooperative ognuno ? socio e conta non perch? ha tante quote, ma conta il suo voto; se osservate la pubblicit? della Cooperative, essa ? giocata su questo fatto, tanto che la sua comunicazione "la Coop sei tu" d? l’idea che in quella societ? ognuno conta.E’ chiaro che il venir meno delle ACLI sarebbe un venir meno di cui si accorgerebbero tantissimo gli aclisti e se ne accorgerebbero tanto quanto sono soci davvero. Il quesito allora ?: per te, se viene meno ? il venir meno di una dimensione di partecipazione, di impegno, di sentirti a casa, di sentire che stai costruendo legame sociale all’interno dell’associazione, oppure no? Per te sarebbe un dolore sopportabile o insopportabile se le ACLI scomparissero?Se fosse insopportabile vorrebbe dire che le ACLI sono casa tua, un luogo di partecipazione, di solidariet?, di condivisione e di elaborazione comune. Se cos? fosse ve ne accorgereste subito, diversamente le ACLI potrebbero essere una bocciofila o un qualsiasi club per cui si sceglie, senza molti patemi, l’uno o l’altro.Osserviamo come queste riflessioni poste con la tecnica della distanza che avvicina ci permettono di fare quel decentramento che per alcuni aspetti possono permettervi di definire quali sono oggi gli elementi di criticit? di una associazione di associazioni che ha al centro il lavoro e la sua dimensione cristiana, il che significa vagliare le diverse situazioni del mondo del lavoro, fermarsi su quelle ritenute pi? importanti e urgenti e lavorare con impegno su queste.Interventi1. Volevo partire da una frase di S. Pietro, trovata in uno dei quaderni di Azione Sociale. S. Pietro scrive e invita ad essere sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che ? in voi. Ora, se qualcuno ci chiede ragione delle speranze che sono in noi, credo sia una domanda da porsi, altrimenti dobbiamo dare ragione alle arrabbiature che sono in noi e che per certi versi possono essere comprensibili.Credo per? che questo sia un approccio che non semina, pur nella sua umana reazione. E allora, quali sono le speranze che sono in noi sui temi fondanti, per esempio, quello del lavoro? Quali sono le speranze che siamo in grado di trasmettere sulla terza fedelt?? E’ vero che, assieme ai servizi, tentiamo di dare anche delle risposte, ma se non ci indigniamo e non ci agitiamo quando viene avanti una cultura individualista a tutti i livelli e trova forma e spessore anche nei contratti di lavoro, ? evidente che tutto questo ha una sua logica conseguenza.Come faccio ad essere elemento di speranza per i lavoratori se mi limito ad aprire sportelli per gli extracomunitari? Certo, ci sta anche quello ma non solo quello. Ci deve anche essere una elaborazione di pensiero, del motivo per il quale fare associazione. E’ anche arrivato il Concilio Vaticano II? a dare una accelerata vigorosa, ma noi siamo tornati indietro... Io vorrei poter dire con voi che vale la pena fare le ACLI, non solo in base ad un progetto e ad uno schema, ma soprattutto perch?

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questi, accanto alla passione c’?, come c’era sessant’anni fa - la necessit? di trovare contesti nei quali valori possano realizzarsi perch? non sono esauriti.Per quanto riguarda il mondo ecclesiale, credo che la nostra presenza sia fondamentale, ma lo deve essere anche dal punto di vista della capacit? di cui parla Mimmo Luc? nella introduzione al Convegno dei cristiano-sociali. Sono passaggi che una parte delle ACLI deve avere il coraggio di portarli come elaborazione dentro le ACLI. Purtroppo su questo pensiero aclista ci siamo addormentati ed anche le strategie nel livello nazionale, nel rapporto con i vescovi si sono appiattite su equilibrismi poco condivisibili. Io sono convinto che tocca alla base aclista fare uscire idee pressanti per scelte pi? coraggiose di quelle che finora non sono venute.A livello politico ? la stessa cosa e quello che non mi piace ? quel "autonomamente schierati". Mi va bene l’autonomia, che peraltro, a suo tempo abbiamo pagato cara, ma ? lo "schierarsi" che non ? chiaro, perch? questa parola fa passare l’idea che siamo schierati, di volta in volta, laddove troviamo condivisione. Questo ? un discorso ambiguo: prima di tutto bisogna avere in testa un progetto e un progetto mi aiuta anche nello schieramento. Quando ci siamo messi con Prodi ? perch? c’era un progetto, ma se sviliamo la dimensione del progetto e facciamo solo tatticismi, ? chiaro che facciamo grandi mobilitazioni sulle persone, (magari per non andare a votare, vedi Legge 40), ma le ACLI saranno ACLI quando andranno in piazza come ACLI non solo come patronato, ma anche per i problemi dei lavoratori. Da ultimo: non andiamo da soli in piazza, ma soprattutto attenzione con chi ci andiamo. la condivisione con il mondo cattolico, propria della gestione Bobba, per cui tutto quello che si allontana dal mondo cattolico puzza sempre pi?. Ci? non ? condivisibile. O sui valori ci si confronta fino in fondo e si trovano punti di riferimento, oppure si deve dire che siamo di fronte non a un laicato maturo, ma al chierichetto che sta dietro al parroco. Se questo ? il modo di interpretare la laicit?, credo che non ci siamo.2. Credo che i vari circoli delle ACLI dovrebbero avere pi? a cuore i problemi internazionali, anche perch? tutto ? globalizzato, certamente senza dimenticare ci? che di buono le stesse ACLI hanno realizzato negli anni, a livello locale l’enorme numero di case costruite che hanno permesso a un grandissimo numero di cittadini la casa in propriet?. Trovo ingeneroso tracciare di colpevolezza l’equidistanza delle ACLI: noi dobbiamo fare battaglie di valori e di progetti. Sugli schieramenti e sulle scelte elettorali dobbiamo stare attenti, noi siamo una associazione pluricomposta. Per quanto riguarda il pronunciamento dei vescovi hanno il diritto di farlo, io pretendo che la mia chiesa mi dica quale ? il suo orientamento, poi dipende dalla nostra maturit? decidere in un modo o nell’altro.Uno dei temi da approfondire, a mio parere, ? quello della sofferenza della democrazia, sia partitica, che istituzionale, che economica.3. Con orgoglio per le cose che vanno bene, sottolineo questo momento - ormai decennale - che rimane nel tempo senza essere burocratizzato come esperienza di circoli che si ritrovano per fare formazione e discussione comune, aperta a tutti. A differenza di questo modo di fare le ACLI, si assiste a convegni provinciali nei quali

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c’? un presidente che introduce, segue una analisi, a seguire interventi programmati dalla dirigenza e tavola rotonda con quattro persone che parlano. Al momento del dibattito, contrordine: il convegno ? finito, tutti a casa. Se la formazione - da parte del palazzo - viene intesa in questa maniera, a mio parere non ci siamo.Dieci anni or sono, per il cinquantesimo delle ACLI, ci si era soffermati sulle tre fedelt?, dopo dieci anni siamo con lo stesso problema e con un po’ di malessere da parte di chi non sa dove stiamo andando oggi. Forse non ? tanto la scelta delle tre fedelt? come pilastri, quanto la loro coniugazione. Cosa ? cambiato in questi dieci anni? Forse non bisogna pi? parlare ai giovani di lavoro, ma di diritti sul lavoro in un mondo globalizzato. Parlare ai giovani di democrazia quando in un convegno parlano solo i capi? parlare di fedelt? alla chiesa vuole forse dire non andare a votare il referendum? O non vuole forse dire dialogare magari con l’Islam? Certo non ? facile con tutti, ma con qualcuno ? possibile.4. Senza rimarcare i concetti espressi da chi mi ha preceduto, vorrei sottolineare tutto il periodo dell’ecumenismo all’interno delle ACLI: Basilea, Graz, Sibiu prossimamente: Un secondo fatto ? il convegno di Orvieto dove si ? parlato di bio-politica, cosa che nessuno conosce, ma che ritengo sia da mettere in agenda, cos? come l’attenzione agli stranieri che non ? solo apertura di sportelli ma occhi e cuore che si incontrano.Dal punto di vista ecclesiale offre una grossa opportunit? il Convegno di Verona dell’ottobre 2006 che avr? come tema i laici. Tema che ci interpella da vicino e noi dobbiamo andare a predicare ai nostri vescovi e alle nostre comunit? le questioni del mondo del lavoro, di cui il nostro clero ? del tutto ignorante ma anche la maggior parte dei laici che pullulano attorno alle parrocchie. Dobbiamo aiutare le nostre comunit? cristiane al rispetto delle regole della democrazia in tempi nei quali questo sembra un optional. Sempre sul tema "laici" riporto un testo del 1936 di don Primo Mazzolari: "Occorre salvare la parrocchia dalla cinta che i piccoli fedeli le alzano allegramente intorno e che molti parroci, scambiandola per un argine, accettano riconoscenti. Per uscirne ci vuole un laicato che veramente collabori e dei sacerdoti pronti ad accoglierne cordialmente l’opera rispettando quella felice per quanto incompleta struttura spirituale che fa del laicato capace di operare religiosamente nell’ambiente in cui vive.Un grave pericolo ? la clericalizzazione del laicato cattolico, cio? la sostituzione della mentalit? propria del sacerdote a quella del laico, creando un duplicato di assai scarso rendimento. Il laico deve agire con la sua testa e con quel metodo che diventa fecondo perch? legge e interpreta il bisogno religioso del proprio ambiente. Deformandolo, sia pure con l’intento di perfezionarlo, gli si toglie ogni efficacia l? dove la chiesa gli affida la missione. Il pericolo non ? immaginario. In qualche parrocchia sono gli elementi meno vivi, meno intelligenti, meno simpatici che vengono scelti a collaboratori, purch? docili e maneggevoli"5. "Portare la dimensione cristiana nel mondo del lavoro": questa frase enunciata dal relatore, ? la stessa pronunciata cinquant’anni fa quando ci ? stato detto che Ges? Cristo ritorner? nell’ambiente del lavoro, se ? portato sulle spalle degli operai. E chi

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lavora non ? solo un lavoratore, egli ? anche una persona con sulle spalle una famiglia, con dei figli da crescere perch?, a loro volta, mettano su famiglia: interessandoci a tutto questo noi facciamo ai lavoratori un grande servizio, e se ? giusto parlare di diritti dei lavoratori ? ancora pi? pressante per noi dare speranza cristiana in special modo ai giovani, impegnarci su queste questioni e sull’inserimento della donna nel mondo del lavoro in modo tale da poter coniugare il lavoro con la cura della famiglia, visto che difficilmente si pu? vivere con un unico stipendio.Sulla questione dei vescovi, credo utile una sola domanda: le nostre associazioni sono fedeli al Vangelo? Io sono fedele al vangelo? Se lo sono, se lo siamo, tutto il resto passa in seconda linea.6. A mio parere bisogna partire dal cambiamento nel mondo del lavoro e, puntualizzando queste variazioni, cambiare il modo di muoversi nelle ACLI nelle diverse realt?, anche con messaggi provocatori rispetto a sindacato e istituzioni. Un aspetto che pu? creare dubbi ? la paura di schierarsi: ritengo che oggi, pur col rischio di sbagliare e riconoscere poi i propri errori, ci vuole il coraggio di schierarsi, anche politicamente, quando ? il caso di farlo. Su queste cose, anche rispetto alla pluralit? presente nei nostri circoli, non possiamo rimanere nel limbo dell’anonimato.Un altro aspetto riguarda quello che ? stato definito corpo intermedio: rischiamo anche noi - come dirigenti di circoli ACLI - di non tenere conto di questo corpo e di non farlo presente con coraggio al vertice. Per essere efficaci dobbiamo darci delle regole, rispettarle e non lasciarci zittire da chi predispone e decide senza coinvolgere nessuno.7. Ho fatto parte di Giovent? Aclista di Como. Io penso che le ACLI, se non riescono ad avere un cambio generazionale, sono destinate a finire, tenuto conto che le persone attorno alla trentina non ? che ve ne siano moltissime attorno all’associazione; inoltre non si riesce ad aggregare personale giovane. Come mai? Probabilmente non si riescono a dare segnali chiari, forse anche perch? non siamo coerenti con quello che diciamo: per esempio, sulla questione lavoro, facciamo convegni, stiliamo documenti, per difendere i diritti dei lavoratori fuori dalle ACLI, ma bisogna pur chiedersi se i lavoratori dentro le ACLI sono rispettati e valgono allo stesso modo.Per quanto riguarda la democrazia del movimento, per la mia esperienza devo dire che non c’? minoranza interna: va tutto bene e tutti sono d’accordo su tutto. Come ? possibile una cosa bulgara di questo genere? Ricordo il Congresso dei giovani aclisti di quest’anno, quando un giovane ha presentato la propria candidatura a segretario: ? successo il finimondo. E questo sarebbe il nuovo che avanza? E ancora: a Como, nella stessa via c’? il Patronato delle ACLI e quello della CISL; ebbene c’? gente che si prenota da una parte e finisce per andare dall’altra e viceversa, la qualcosa mi fa pensare che non ci differenziamo molto dall’altro e, se le ACLI non ci fossero pi?, almeno dal punto di vista del patronato, davvero nessuno se ne accorgerebbe.Se siamo uguali ad altri, perch? mai i giovani dovrebbero venire da noi? Forse perch? siamo "equidistanti" e non ci schieriamo? Io invece credo che sia bene schierarsi,

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perch? i valori e le idee in giro negli schieramenti politici non sono uguali, dunque dobbiamo avere il coraggio di scegliere.8. Vorrei proporre una quarta fedelt? che ? poi la conseguenza di quanto detto oggi parlando delle tre fedelt?: la fedelt? al cambiamento. Credo che ogni circolo debba avere come premessa la volont? di cambiamento; se esiste solo per gestire il quotidiano non serve a nessuno. Don Tonino Bello diceva che le associazioni, se non sono strumento di cambiamento, non servono. Questo deve portarci alla partecipazione nella consapevolezza che l’iscritto ? convinto che il suo impegno contribuisce a cambiare qualcosa, poi sar? il circolo a decidere su quali stimolazioni concentrarsi e lavorare. E’ comunque necessario - prima di ogni altro - il cambiamento personale nel senso che io mi devo convertire ad una istanza di cambiamento dentro di me per poter cambiare chi mi sta accanto. Diversamente si fa la parte dell’imbonitore che predica agli altri.9. Sul problema dello schieramento, le ACLI sono schierate e lo sono nel sociale: il problema ? che chi ? in questo campo vorrebbe schierarsi politicamente, ma la politica ? autonoma rispetto al sociale e il sociale ? autonomo rispetto al politico. Se noi cadiamo nella seduzione di accaparrarci un posto nella sfera politica, perdiamo la nostra identit? e, se lo facciamo, ? perch? i nostri dirigenti soffrono una posizione di inferiorit? rispetto ai politici. E poi c’? la questione che noi dipendiamo dai politici a livello finanziario, siamo cio? ricattabili politicamente.10. Con quello sconvolgimento chiamato globalizzazione, assistiamo alla sostituzione di lavoratori garantiti socialmente con lavoratori precari e noi, ACLI e sindacati, reagiamo con strumenti che avevamo cinquant’anni fa, ma che oggi sono frustranti, perch? non servono pi?, mentre servirebbero dove il lavoro va a finire con la delocalizzazione e dove nascono gli stessi problemi che avevamo noi quaranta-cinquant’anni fa, cos? come servirebbero nuovi strumenti a difesa dei nostri giovani alle prese con il mondo del lavoro che pensavamo non potesse ritornare. Serve un nuovo sforzo di elaborazione da parte di tutti: ACLI, sindacati, istituzioni, diversamente non ci sposteremo da questo binario che non porta da nessuna parte.Sui servizi erogati dalle ACLI e sulla necessit? di formazione, a mio parere, queste due cose sono e devono essere complementari: i servizi guardano all’immediato, la formazione guarda al futuro e, in questo ambito, bisogna inventare cose nuove. Una di queste potrebbe essere la bioetica, un campo enorme di conoscenza, alla quale accostarsi comunque con toni bassi.11. Questo convegno mi pare sia una cartina di tornasole per capire come da fuori vengano viste le ACLI e il loro lavoro. Dunque, la domanda "se le ACLI sparissero, chi se ne accorgerebbe" ? da fare a chi sta fuori, agli interlocutori che quotidianamente incontriamo nel fare il mestiere delle ACLI.Una seconda domanda riguarda noi stessi e la nostra appartenenza: le ACLI sono veramente la nostra casa, la nostra vita, il nostro senso cristiano di coniugare il Vangelo?

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Dobbiamo prendere coscienza che le associazioni possono morire per due cause: di morte naturale e per non sapere rileggere il loro mandato con i tempi del cambiamento. A ciascuno di noi la risposta. Un’ultima osservazione: ? mai possibile che il CAF non abbia mai niente da dire sulle finanziarie che si susseguono anno dopo anno? Proprio noi che siamo il ponte tra cittadino e fisco?12. Mi sembra che dai vari interventi vi sia il desiderio di cercare piste di lavoro che consentano alle ACLI di rilanciarsi, rispetto alle sue finalit?. L’oggi ? molto diverso dalla nostra storia e allora anche noi dobbiamo tenere conto - nelle nostre elaborazioni - della complessit? e della trasformazione epocale della societ?. Allora ? necessario studiare di pi? e lavorare mettendo insieme il nostro piccolo contributo che ? poi quello che concorre a modificare le cose. Inoltre, visto che il mondo del lavoro che abbiamo conosciuto non esiste pi?, forse dobbiamo concentrare il nostro impegno sul territorio, attraverso attivit? che ogni circolo deve fare, perch? ? l? che dobbiamo incarnare il nostro essere cristiani oggi, con le difficolt? che oggi ci sono.Parlare del lavoro oggi in un mercato mondiale dove la finanza la fa da padrona, richiede una capacit? legislativa che cambi il sistema taylorista di organizzazione e di retribuzione del lavoro e qui bisogna essere capaci di costruire condizioni di vita decenti per tutte le persone del mondo, non solo per una parte, in modo da dare speranza globale.C’? un grande lavoro da fare e questo sar? possibile se l’Europa non sar? solo economica, ma anche con il nostro aiuto sapr? diventare l’Europa dei popoli che dar? speranza al futuro dei giovani e - nello stesso tempo - dare incarnazione al messaggio di Ges? Cristo.13. Il linguaggio che si utilizza (anche nelle ACLI) dovrebbe diventare un elemento di discussione perch? la visibilit? di chi vuole operare in campo sociale ? molto legata al linguaggio e il linguaggio a sua volta ? legato al momento storico che si vive. A mio parere, ci si accorgerebbe della sparizione delle ACLI nella misura in cui il loro corpo intermedio, le sentinelle, avranno costruito qualcosa all’interno della societ?.14. Il relatore ricordava che c’? un tempo per nascere, un tempo per vivere e un tempo per morire. Noi dobbiamo pensare che stiamo vivendo il tempo del vivere e che quindi dobbiamo impegnarci e spenderci. Ci sar? pure la morte, ma c’? la chiesa che sta lavorando da oltre duemila anni, dunque il tempo ? molto lontano e, se noi siamo fedeli al vangelo, di tempo davanti a noi per lavorare ne abbiamo ancora. Recentemente abbiamo avuto un incontro con don Giuseppe Masiero, assistente nazionale delle ACLI, durante il quale si ? anche pregato utilizzando il libretto delle ACLI nazionali nel quale si legge: "Benedici, Signore, le famiglie che arrivano con dignit? a stento a fine mese. Benedici i padri e, soprattutto, le madri che faticano e soffrono nel conciliare il tempo di lavoro e il tempo per i loro figli".Leggendo questa preghiera ? montata dentro di me una ribellione tremenda: se a creare questa situazione di incertezza sono stati gli attuali governanti con leggi che hanno favorito i ricchi e penalizzato chi gi? fatica e la chiesa li ha appoggiati, noi non possiamo prima creare i poveri e poi pregare per loro.

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Risposte di TosoliniVolevo sottolineare qualche elemento di cui il primo ? la necessit? di una bozza di pensiero di matrice culturale. Per esempio, parlando di come cambia il lavoro, il tema lo si capisce perch? si studia, si ricerca e, da questo punto di vista, l’ultimo convegno nazionale delle ACLI a Orvieto sulla bio-politica ? una intuizione importantissima, per? bisogna chiedersi se questa ? solo intuizione culturale e per finire sui giornali, oppure diventa una questione per la quale si discute nei circoli, sul controllo della vita da parte di qualcuno che decide le mie cellule.A me sembra che dentro le ACLI vi sia il rischio di trasformare i propri servizi nella forma del "capitalismo compassionevole", non ? possibile non fare rumore sulla finanziaria, non ? possibile non avere niente da dire sul TFR, che non sono cose che non riguardano i cittadini. Anzi...Il tacere rischia di essere una formula di capitalismo compassionevole, cio? quella formula di solidariet? del liberismo: non faccio niente a livello strutturale, poi ti aiuto a livello individuale quando ti va male.Il miliardo e cento quaranta milioni di Euro per la famiglia ? una mostruosit?, perch? prima togli alla famiglia la possibilit? di vivere, poi gli dai cinquanta Euro. Bisogna avere il coraggio di dire no, il coraggio di dire che ? inutile darmi duemila Euro se faccio un figlio: tagliami piuttosto il 20% della retta mensile del Nido e in due anni mi dai pi? di duemila Euro. E avanti cos?.L’altra dimensione da sottolineare ? la dimensione interculturale e la dimensione del tema del linguaggio. Diciamo giustamente che fatichiamo a parlare con i giovani: io direi che facciamo fatica ad ascoltarli, il che significa essere disponibili a farsi dire delle cose. Il mese scorso ero a Bologna, ad un Convegno organizzato dalla pastorale Universitaria dei Comboniani: ? stato impressionante vedere circa trecento giovani dai venti ai ventidue anni. Mi sono parsi sconosciuti, a cominciare dai vestiti, dai modi di essere, di muoversi. Una massa di giovani seduta persino sui gradini ad ascoltare me e vi assicuro che sentirli parlare denota una vitalit? interiore sconvolgente. Qualcosa che li muove ci sar?, siamo noi a non saperlo leggere.Sulla dimensione interculturale vorrei leggervi alcune righe e chiedervi chi pu? averle scritte: "L’interculturalit? mi sembra oggi rappresentare la dimensione inevitabile della discussione sulle questioni fondamentali dell’essenza dell’essere umano, che non pu? essere condotta n? del tutto all’interno del cristianesimo, n? puramente all’interno della tradizione razionalista occidentale. La non universalit? (cristianesimo e ragione occidentale) di fatto di entrambe le culture dell’Occidente, malgrado queste esercitano un grosso influsso sulla vita, rende necessaria la disponibilit? ad apprendere e autolimitare da parte di entrambe, sia la religione, che la ragione occidentale.In secondo luogo, questa regola dell’apprendimento reciproco deve essere messa in pratica nel contesto interculturale della contemporaneit?. E’ importante per entrambe le grandi componenti della cultura occidentale acconsentire un ascolto, ad

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un apporto di scambio tra queste culture; ? importante accogliere nel tentativo di una correlazione politologa in cui esse si aprono spontaneamente alla complementariet? essenziale di ragione e fede, cosicch? possa crescere un processo universale di chiarificazione in cui le norme e i valori essenziali possano tenere insieme il mondo e quindi riconoscere un potere efficace all’umanit?" L’autore ? il cardinale Ratzinger in "Dialogo con Habermas" 19.1.2004.La stessa fatica che fanno le ACLI a capire il mondo la fanno anche i vescovi e non per niente ci? che ho letto viene da uno dei pi? grandi intellettuali cattolici in un confronto con uno dei pi? grandi intellettuali laici quale ? Habermas.Credo che tutto questo rispecchi la fatica della gestazione, del parto, che non ? solo delle ACLI, ma ? di tutti e, secondo me, se ne esce con un di pi? di cultura e con la capacit? di rileggere il proprio carisma nell’oggi, senza per? mettere sull’oggi il timbro del carisma senza capire l’oggi. L’oggi va capito con sofferenza e certamente, se vengono meno le ACLI, uno se ne accorge. 

 

I cristiani e la laicit? della politicaForneletti -19 novembre 2006

 

Dante MantovaniLo scorso anno, a coronamento dell’incontro che ormai da undici anni vede diversi circoli riuniti qui a Forneletti per una giornata di studio e di scambio di esperienze, avevamo prodotto un documento che pensavamo avesse una eco maggiore. Ora, le tecniche per non portare avanti alcune esperienze sono due: una ? quella di stroncare, l’altra quella di tacere, facendo cos? morire sul nascere le richieste. Chi di dovere ha scelto di tacere, ma noi continuiamo lo stesso e speriamo che le cose si modifichino in meglio considerando il cambio della Presidenza nazionale. 

Roberto ComiQuesti incontri di formazione a Forneletti hanno sicuramente una ripercussione sul territorio di appartenenza dei vari circoli: in passato abbiamo toccato vari temi, da quelli religiosi a quelli politici a quelli dell’informazione, che poi hanno coinvolto altre persone attraverso contatti personali o epistolari.Come porsi nelle difficili scelte imposte da un mondo che cambia? In questo ci aiuta padre Ernesto Balducci quando scrive che "l’uomo - per la prima volta nella sua storia - ha superato le colonne d’Ercole definite da lui l’energia atomica e l’atomo della biologia. Questi due passaggi che portano l’uomo

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nella impossibilit? di poter tornare indietro, pongono l’uomo in un ambiente nuovo, sconosciuto e pericoloso perch?, per la prima volta, l’uomo pu? diventare distruttore di se stesso". Da qui la grande responsabilit? - da cristiani e da laici - di interloquire con questa nuova realt?.In questo ci facciamo aiutare dai due relatori, che sono con noi e che ci parleranno di fedelt? religiosa coniugata alla fedelt? della coscienza, dei principi laici della democrazia in un mondo che sta cambiando.Aluisi TosoliniIl mio sar? uno sguardo esterno rispetto alla realt? aclista, uno sguardo da amico critico, dove la parola fondamentale ? "amico" e critico va inteso non nel senso di criticone, ma piuttosto di colui che pu? essere utilizzato per tentare di guardare le cose da un punto di vista diverso rispetto alla realt? che si sta vivendo. Il tema di oggi ? complicato e va letto in modo diverso rispetto a venti-trent’anni fa.Oggi collocare il tema "cristiani e laicit? politica" implica collocarlo nel contesto multiculturale e globale in cui viviamo, cio? della compresenza - all’interno del medesimo spazio fisico - di una pluralit? di valori, religioni o culture. Si pu? dire che nella nostra societ? questo c’? sempre stato, per esempio, non tutti in passato erano cristiani, tanto ? vero che trent’anni fa si poneva il tema della laicit? proprio dal punto di vista di cui sopra. Vorrei per? sottolineare qualche differenza: nel 1943, in piena seconda guerra mondiale, il filosofo Benedetto Croce - in contrasto con Giovanni Gentile - scrive un libro nel quale sostiene che noi non possiamo non definirci cristiani perch? noi viviamo in una societ? italiana nella quale anche se non sono cristiano, vivo comunque in una societ? nella quale so cosa ? la cresima, chi ? un parroco, una basilica, tanto che una serie di riferimenti cristiani fanno parte del mio corredo di conoscenze pur essendo io ateo convinto.Questo significa che, quando si ? parlato di "politica, cristianesimo e laicit?", fino a poco tempo fa si stava comunque dentro un universo condiviso, tanto che quelli che cristiani non erano, sapevano bene di che cosa si trattasse, in quale contesto si trovassero. Per inciso, un contesto cristiano.Oggi ? proprio questo che ? cambiato. Io dirigo l’Istituto onnicomprensivo di Busseto e su seicentocinquanta alunni, abbiamo il 18% di studenti stranieri per la pi? indiani e marocchini: per quanto riguarda le nascite, su duemilacinquecento parti nella maternit? di Parma nel 2005, cinquecentosettantacinque sono stati parti di donne non italiane e, tra queste, la maggioranza non potrebbe dire ci? che sosteneva Benedetto Croce. Come noi non sappiamo nulla della religione Sik, loro non sanno nulla della religione cristiana, ma nessuno di quelle cose che anche un ateo italiano capisce, pur non facendole proprie.Questo ? un grande cambiamento perch? il discorso sulla laicit? non avviene all’interno di un universo simbolico riconosciuto da entrambe le parti, ma

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accade all’interno di un tessuto nuovo dove le stesse parole rischiano di avere significati del tutto diversi. Proviamo a pensare ai nostri paesi a prevalente presenza fra vent’anni: saranno realt? con il 25-30% di cittadini che vengono da altri riferimenti culturali che non potranno dire come Croce che ? impossibile non sentirsi cristiani.Sar? con questi cittadini che andremo a fare politica, a governare paesi e citt?. In questo contesto, la laicit? cambia in maniera radicale, il Ministro Amato in una intervista parla di impegni decisivi dai comuni e dalle scuole per favorire l’integrazione, ma il problema ? proprio qui. Quando si ragiona di cittadinanza, cio? di reale partecipazione alla costruzione del governo di una citt? in Italia, si intende che "integrazione" voglia dire diventare come noi, mentre lo stesso termine, in Europa significa altro: vuol dire interazione, cio? relazione fra differenze.Sulla proposta Amato di concedere la cittadinanza agli stranieri (ammesso che la vogliano) ? uscito il suggerimento di concederla previo esame della conoscenza della lingua italiana e sulla adesione sui valori della nostra Costituzione. Io temo che se lo stesso metro di valutazione venisse usato per i cittadini italiani, nati in Italia, avremmo una marea di apolidi!Quali sono allora oggi gli interventi sul nuovo che avanza? Da un lato abbiamo una trasformazione in laicismo della laicit? e questo ? il modello soprattutto francese, laddove si prende per laicit? il proprio modo di concepire la laicit?, ovvero: lo spazio pubblico ? lo spazio dove si interagisce lasciando a casa le differenze; si ? uguali perch? ci siamo spogliati di tutto, quindi il veto ad ostentare qualunque simbolo religioso in pubblico, tanto ? vero che se un vescovo viene ricevuto dal sindaco, ci deve andare in borghese. L’idea ? che si possa entrare in un luogo comune nel quale si interagisce per governare, lasciando a casa le differenze, per cui si esaspera una idea tipicamente illuminista - che ? quella elaborata dalla Francia - di laicit? intesa come cittadino uguale a tutti gli altri cittadini perch? ha uguali diritti e doveri, ma che non hanno nulla a che vedere, nell’ambito pubblico, con le differenze: questo significa che io rispetto le tue differenze, ma le rispetto a casa tua, nella casa in cui vivi.A questo punto sorge una domanda: se si lasciano a casa le differenze, ha ancora senso la democrazia, visto che essa ha senso nel momento in cui ci si relaziona fra differenze? E’ ovvio che se invece si portano le differenze, nascono problemi e, in questo caso si scoprono personaggi, molto diffusi anche in Italia, che rispondono alla definizione di "atei devoti, i teocon e i teodem". A mio parere la laicit?, pi? tiene "teo" staccato da tutto il resto, meglio ?. Dal punto di vista tecnico, i primi ad agire sono stati teocon, cio? quelli che utilizzano la dimensione del riferimento religioso (in questo caso il cristianesimo) in chiave conservatrice. Sono anche definiti "atei devoti" forse perch? non sono frequentatori abituali di chiesa: forse per un matrimonio, un funerale, una cresima... per? utilizzano della cosiddetta radice cristiana

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dell’Europa come clava identitaria per opporsi a chi non ? dentro il loro cerchio.Questa operazione viene fatta in molti ambiti, per esempio, sulle scelte concrete della politica che riguardano, ad esempio, genetica, eutanasia, staminali...In opposizione ai teocon sono nati negli ultimi mesi - nell’ambito politico della Margherita - i teodem. Di fronte a tutto questo ? come se noi sostenessimo che c’? un Dio conservatore e un Dio democratico: in realt? entrambe sono posizioni difensiviste che hanno in mente la paura di relazionarsi nel nuovo spazio pubblico con quanti non hanno riferimenti uguali ai propri. Teocon e teodem tendono a esasperare la differenza, in particolare nei confronti dell’Islam, essi ritengono che il grosso tema sia quello di relazionarsi con la forza di un radicalismo islamico che ? tanto pi? forte quanto tu lo rafforzi. Il grosso errore che stiamo facendo in Italia ? quello di dare forza e riconoscimento a quegli esponenti - all’interno dell’Islam - che neanche l’Islam stesso riconosce.Negli ultimi mesi, in provincia di Torino, sono state spese grosse somme per pagare mediatrici culturali marocchine per andare casa per casa di famiglie marocchine a spiegare il nuovo codice familiare marocchino, approvato dal Parlamento del Marocco che ammette il divorzio, per le donne vieta il velo, rifiuta il divorzio come ripudio da parte del marito, e altre novit?. L’iniziativa torinese ? stata fatta per far sapere a queste famiglie che il mondo cambia e cambia non qui, in Italia, ma a casa loro, in Marocco.Un altro grosso errore nostro ? ritenere che l’iman sia l’equivalente del nostro parroco. Non ? cos?, per l’iman, spesso analfabeta, con del tempo a disposizione, viene eletto dalla comunit? per "tenere su il rosario", diremmo se fosse roba da cattolici. Da noi c’? una piramide composta dal parroco, dal vescovo, dal papa: in Islam non c’? n? parroco, n? vescovo, n? papa; ? tutto molto pi? "anarchico" e non capire che con l’Islam ci si deve rapportare in modo diverso da come certuni fanno, significa penalizzare chi sta cercando di mostrare la presenza di un Islam europeo e italiano completamente diverso da come lo si vuole dipingere attraverso stereotipi che non rispondono a realt? islamiche e noi vicine.Quando oggi noi parliamo di politica, laicit?, noi cristiani abbiamo il tema della nuova democrazia, cio? della costruzione di un luogo nel quale sia possibile una relazione intersoggettiva e una negoziazione continua con altri riferimenti culturali, che renda possibile la costruzione di una societ? come casa comune per tutti. Oggi il tema della laicit? ? molto complicato perch? la laicit? non accade pi? all’interno di un contesto sostanzialmente da tutti riconosciuto come cristiano, in cui ci si poteva capire anche se non si condivideva, oggi il cristianesimo ? una delle tante opzioni possibili, quindi non solo il rifiuto del fondamentalismo cristiano ma anche quello di soggetti di riferimento diversi.

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Ora ? augurabile una societ? nella quale sia possibile un apprendimento reciproco, che ? poi la definizione su cui concordano Habermas e il Card. Ratzinger nell’incontro di Monaco del gennaio 2004. L’oggetto di quel dibattito era il nostro e cio? come - all’interno di una societ? multiculturale e interculturale - ? possibile relazionarsi per il bene comune. Ratzinger dice che non ? pi? il tempo del monopolio del cristianesimo, il che ? come dire che Benedetto Croce ? finito, perch? siamo tanti e diversi nello stesso spazio e quindi non ? possibile dire che c’? un monopolio.Tuttavia, all’interno di questa elaborazione, viene riconosciuto perfino da Habermas - uno dei massimi tecnici della laicit? in politica - che le dimensioni religiose non possono stare fuori dall’agor? politico. Questo vuol dire che, laddove si governa una citt?, devo portare tutto me stesso e dunque anche tutti i miei riferimenti valoriali: il problema nasce proprio qui: come costruire una strada comune se veniamo da luoghi tanto differenti e come decidere che cosa ? meglio e che cosa ? peggio per tutti insieme. Questo significa un apprendimento continuo.Cosa significa allora fare politica in un contesto multiculturale come ? quello attuale? Di sicuro, innanzitutto, significa non rinunciare alla propria identit? cristiana: pensare di dover eliminare questa parte di s? cos? profonda e radicata non pu? che essere un equivoco; il secondo elemento consiste nella "faticosa fatica" dell’apprendimento reciproco; il terzo ? l’umilt?, umilt? di chi - come dice Ratzinger - non ha pi? il monopolio della verit?. Certo la verit? la posso avere per me, ma non ce l’ho per gli altri. Questo non vuol dire che andiamo in campo religioso a sostenere che tutte le divinit? sono uguali; dobbiamo per? anche dire che vi sono cose che non capiamo di altre dimensioni religiose, pur nell’ammissione - per esempio - di valori condivisi quali il rispetto dei diritti dell’uomoInfine la salvaguardia della trascendenza, cio? la dimensione di chi non intende esaurire, nella sua visione del mondo, la trascendenza del totalmente altro, che ? Dio. Evitare ogni forma di fondamentalismo, evitare cio? di fare noi la stessa cosa di cui accusiamo gli islamici tout court: basta poco - peraltro - per prendere atto che nel miliardo di islamici nessuno fa dappertutto la stessa cosa, il che sta a significare che il Corano non ? quel fondamentalista che noi pensiamo sia.A volte i teocon non fanno nemmeno conto con i dati di fatto: se l’Islam fosse il monolita che ci viene propinato, qualcuno mi dovrebbe spiegare come mai in Iraq vi sono fazioni islamiche che si ammazzano fra di loro e vi sia una pulizia etnica fra sciiti e sunniti.In un mondo in evoluzione come l’attuale, eternizzare il presente significa dire che come siamo adesso siamo sempre stati, e questo nega spazio alla crescita, al percorso, ma soprattutto eliminiamo ogni possibilit? di relazione con l’altro che non pu? essere esaurita dalle nostre scelte concrete di adesso.

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Andrebbe tenuto in considerazione ci? che dice quella filosofa indiana che insegna a New York, che ? una delle pi? importanti studiose culturali, scrive sulla ragione post-coloniale in questi termini: "La conoscenza dell’altro, in quanto altro, ? teoricamente impossibile". Ci? vuol dire che io non posso dire di conoscere l’altro una volta per sempre; io mi relaziono con l’altro gi? quando ci vediamo, ma ci costruiamo in una dimensione diversa. N? l’altro pu? pensare di sapere tutto di me, perch? ci? vorrebbe dire che io sono quello che l’altro pensa che io sia. E viceversa.Questo ? uno degli elementi - insieme all’umilt? - che dovremmo sempre tenere presenti per relazionarci all’interno di una societ? multiculturale, laddove siamo chiamati a fare politica, a partire dalla nostra identit? cristiana, mediante un percorso nel quale io - con fatica - mi impegno con altri a costruire una casa comune. Una casa comune implica che vi sia una pluralit? di simboli compresenti: Tomas H. Marshall, oltre trenta anni fa, sottolineava che la cittadinanza giuridica, politica e sociale, e cio? il diritto di vedere rispettati i diritti dell’uomo, ? il diritto di partecipare alla vita politica, il diritto al benessere in termini di welfare.Oggi noi ne dobbiamo aggiungere una quarta, la cittadinanza simbolica, ovvero: all’interno della nostra societ? io devo avere il diritto di non vergognarmi di essere islamico, cristiano o sik e ho il diritto che i miei simboli siano simboli che abitano in questa citt?. Questo significa riuscire a costruire una societ? nella quale non le differenze siano lasciate a casa (laicismo francese) ma possano interagire in una casa comune e una casa comune viene costruita insieme, tenendo conto delle esigenze di tutti e nella quale gli spazi, i modi di essere vengono negoziati e i singoli sono compresenti.E non mi pare sia il caso di parlare di reciprocit?, come taluni stanno dicendo, ci? vorrebbe dire che i diritti dell’uomo diventano delle concessioni invece che riconoscimenti. I diritti non si concedono, si riconoscono. Quindi quando chiedo di costruire una moschea nella mia citt? a patto che possa a mia volta costruire una chiesa alla Mecca, dico una stupidaggine: ? chiaro che io tenter? di fare una chiesa in quella citt?, ma ci? non significa che io non riconosca il tuo diritto - sancito dalla Costituzione italiana - ad avere un luogo, nel nostro paese, dove tu possa pregare come indica la tua religione.Pretendere la reciprocit? significa fare uno scambio mercantile, ma chi sei tu per dare a un altro il diritto universale di proclamare la propria religione? In qualche modo ci si fa dio e non mi pare proprio che questa sia la scelta migliore.Franco PassuelloNel mio intervento vorrei partire da una considerazione: perch? il problema della laicit? riesplode oggi come tensione acuta in tutto il mondo, non solo cristiano e non solo nel rapporto Islam-Cristianesimo. Oltre che per le ragioni gi? esposte da Tosolini, la globalizzazione, i grandi flussi di emigrazione fanno sorgere in modo violento quella multiculturalit? che negli Stati Uniti

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d’America ? di molta pi? lunga data, gli stessi USA che hanno conosciuto prima di noi problemi analoghi: i teocon nascono l?, non sono solo cristiani e fra i consulenti pi? duri di Bush vi ? una componente ebraica. Perch? esplode il problema della laicit??Oltre che per le ragioni che gi? abbiamo ascoltato, esso esplode per il fallimento di quel processo di secolarizzazione che ha le sue radici nel laicismo di cui parlava Tosolini, di cui noi abbiamo una responsabilit? storica; l’illuminismo nasce sulle ceneri di un’Europa dove milioni di persone erano state passate a fil di spada o prese a schioppettate. Pensate, decenni di massacri tra cristiani e l’illuminismo nasce per scindere la religione dallo Stato dopo secoli di regime della cristianit?.Non a caso la chiesa resta all’opposizione di tutta la modernit?, tanto che non si poteva neppure partecipare alle elezioni. Di questi tempi c’? una grande aggressione contro il laicismo, ma la responsabilit? storica di quanto accaduto con la nascita dell’illuminismo ? nostra, dei cristiani e dobbiamo dire che la tunica di Cristo ? ancora lacerata. C’? il fallimento della teoria della secolarizzazione e c’? un riemergere in tutto il mondo delle credenze religiose, non solo di quelle storiche quali il buddismo, ma di quelle fai da te, prendendo un po’ qua e un po’ l?... Questo vuol dire che era sbagliata la pretesa di cancellare - non solo dallo spazio pubblico, ma dalla vita degli esseri umani - le credenze religiose.C’? poi un’altra ragione, che non ha nulla a che fare con le religioni, per cui il tema della laicit? torna in primo piano: una ? positiva, la societ? ? pi? ricca, piena di identit? parziali non pi? assimilabili a quelle che una volta erano grandi identit? collettive ma che nelle societ? opulente moltiplicano i conflitti identitari, di riconoscimento, un esempio dei quali ? costituito dalla nascita della Lega.C’? anche una ragione pi? di fondo, legata alle trasformazioni del capitalismo e all’economia globale: per la prima volta nella storia, l’economia ? in grado di una egemonia anche culturale sulla societ? e impone il suo sistema di convenienze, che ? una ideologia che occupa lo spazio pubblico. Si pu? allora dire che riesplode il problema della laicit? come questione che deve difendere lo spazio pubblico dal prevalere di una ideologia, sia essa religiosa o non religiosa?Intanto per? dobbiamo ripensare a cosa ? la laicit? oggi e se, un tempo, il tema era sterilizzare la politica dalla religione, oggi il problema non ? solo riconoscere le diverse identit?, ma ? necessario che queste differenze e queste identit? si pensino come aperte e disponibili al dialogo e, in secondo luogo, che nello spazio della convivenza civile e pubblico della politica, questa disponibilit? si trasformi in un dialogo orientato all’intesa. Non dove ciascuno difende la sua identit?, ma ? disponibile a riconoscere l’altro e a mettersi in dialogo con lui. Non si dar? pi? democrazia - da qui in avanti - se

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ciascuna identit? non si pensi aperta e disponibile a mettersi in dialogo con l’altro.Vi sembra che la nostra chiesa in Italia abbia fatto questo negli ultimi anni? Per? ha pensato di riaffermare la propria identit? contro quella degli altri e questa ? la linea ruiniana nel pontificato di Giovanni Paolo II?.E’ recente il Convegno di Verona, qualcuno pensa sia una speranza andata delusa, dipende da quello che uno si aspettava che fosse. Personalmente non mi aspettavo granch?, c’? per? molta amarezza: a Palermo e a Verona, dov’era il laicato cattolico maturo che si assume le sue responsabilit?? Ma finch? i chierici useranno verso di noi il potere di comando anzich? il servizio, ? chiaro che i laici non cresceranno, nonostante quello che dice la Lumen Gentium (Vaticano II?).E’ chiaro che anche noi abbiamo le nostre responsabilit?: troppi silenzi, troppo quieto vivere, troppa disponibilit? a stare dove l’acqua ? bassa, dove il recinto si chiude nella tranquillit? e nella sicurezza. Ma ? questo che il Vangelo ci chiede? A me non pare proprio. Noi siamo nel mondo, ma non siamo del mondo, noi esistiamo ma non per avere successo nel mondo, anzi la logica di questo mondo non ? la nostra logica, perch? ci? di cui noi siamo testimoni non ? di questo mondo.E torno da dove sono partito: il bene comune. Anche in politica si guarda al proprio orticello, tutti hanno perso il senso di ci? che dovrebbe essere: operare per il bene comune e per fare questo non basta gridare "io" ma bisogna costruire un "noi" che in democrazia abbia una maggioranza capace di governare e di dare al Paese quelle riforme di cui c’? bisogno. Questo vale anche per la chiesa. Il Convegno di Verona ? stato fatto sulla lettera di Pietro dove, al capitolo tre c’? la frase che dice "dobbiamo dar conto della speranza che ? in noi, con dolcezza e rispetto" e, poco prima, parla delle cose gradite a Dio quali "mitezza e pace".Confesso che a Verona ho faticato a vedere questo, ho visto invece fierezza di s?, "abbiamo vinto, ci sentirete ancora!". Questo ? molto grave perch? noi dovremmo essere - come cristiani - il cuore di un dialogo orientato all’intesa perch? la laicit? cristiana ? un riflesso di quella diaconia universale dei cristiani che non dimentica che tutti gli uomini sono chiamati a far parte del popolo di Dio e tutti i popoli saliranno a Gerusalemme. La Lumen Gentium (Concilio) dice che al centro di questa missione saranno i laici, non i vescovi; il nostro dovere, come indole particolare di ordinare le cose del mondo secondo Dio, ? il centro della missione della chiesa, non ne ? il margine.Purtroppo la Lumen Gentium si ? fermata, non ha trovato un accordo laddove si sarebbe rovesciata la piramide, cio? la chiesa esiste perch? noi laici possiamo svolgere questa diaconia dell’universalismo cristiano. Quindi laddove si tratta di avere fiducia negli uomini, noi dobbiamo esserci, noi dovremo essere sicuri che in ogni uomo c’? quella luce di Dio e che quindi il dialogo e l’intesa sono possibili.

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Citando la Lumen Gentium e la Gaudium et spes si dice che gli assetti del mondo sono risorsa dentro la logica del Regno che viene, perch? la mia funzione di laico dentro le cose del mondo ? quella di leggere non solo i segni dei tempi, ma qualcosa di pi?: stare nel mondo rivela la vera natura dell’uomo, delle cose del mondo e della chiesa. Anche i non-credenti (ricordiamo la cattedra dei non-credenti del Cardinale Martini) possono insegnare alla chiesa a compiere la sua missione e quindi noi dovremmo trovarci a casa nostra in questa possibilit? dove la tensione ? a ricostruire l’unit?. "Ut unum sint", dunque, non invece a mettere recinti, perch? il Regno di Dio viene nella storia, lui ? il Signore della Storia. Questo ? il punto su cui - quando parliamo di laicit? - c’? una linea interrotta che va dalla laicit? cristiana alla laicit? della politica, quella che non pretende di imporre agli altri il mio modo di concepire la fede e la stessa chiesa.Noi dovremmo essere quelli che dedicano tutta la propria vita a far crescere la capacit? del modo di esprimere se stesso perch? il mondo ? creato e tutto il creato "geme e soffre per le doglie del parto". E la parola di Dio e lo Spirito che ci ? donato ? ovunque, non solo dentro la chiesa e io esisto come laico per testimoniare nella chiesa il mondo e la sua crescita, oltre che il Vangelo di Cristo. Vi sembra che stiamo andando in questa direzione? Ma di chi abbiamo paura? Perch? stiamo cos? in silenzio? Dentro la chiesa si ? quasi creato un clima di timore e dispiace che, anche nella nostra associazione, non si sia brillato per la capacit? di prendere la parola da questo punto di vista che - peraltro - nella storia delle ACLI c’? sempre stata.Le ACLI non hanno fatto problema solo nel ‘69, lo facevano gi? negli anni ‘50 con gli scioperi e con la lettera al Presidente della Confindustria di allora. Lo stesso presidente Penazzato pass? dei guai.Tra l’altro, leggendo le tracce su Verona c’? scritto che noi abbiamo una forte contiguit? con la natura divina, grazie al dono dello Spirito che ci ? stato dato dopo la resurrezione. Ma c’? anche scritto che tra i chierici e i laici c’? assoluta parit? di dignit?: c’? diversit? di funzioni, ma non c’? una gerarchia spirituale. Ora, perch? noi abbiamo paura di assumerci la nostra responsabilit? e di svolgere il ruolo che direttamente Cristo ha dato alla sua chiesa e a noi nella chiesa? Quando la Gaudium et spes fa un discorso sul nesso fra libert? - coscienza e comunione su cui noi dovremmo pi? spesso ragionare, dice che la libert? ? dono dell’amore di Dio ed ? la condizione per la quale noi possiamo volgerci al bene ed ? all’interno del sacrario della nostra coscienza che si svolge il dialogo diretto dello Spirito fra noi e il Padre. Quindi ? all’interno della nostra coscienza che noi scopriamo la nostra misura di figli di Dio e impariamo la legge divina non perch? la studiamo sul catechismo, ma perch? ci viene dall’interno del nostro essere.Nessuno pu? dire quello che devo fare e la stessa obbedienza ? una scelta di spiritualit?, nessuno me la pu? imporre, inoltre io ho l’obbligo della parresia dentro la mia chiesa, il mio linguaggio deve essere s?, s?, no, no. Dunque

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parresia e - insieme - mitezza di cuore: la comunione non ? che io devo obbedire ai vescovi, ci deve essere un discernimento comunitario dentro la chiesa, dove io percepisco che il mio carisma e quei doni che mi sono stati donati nel mio essere partecipe dei tre ordini del sacerdozio (quello che ho in comune) quello profetico e quello regale, mi fanno dire che la laicit? ? la profezia laicale sul mondo.Questo ? fondamentale, perch? io, in quanto cristiano, sono responsabile di questo sacerdozio e io penso che il primato della coscienza ci deve rendere tranquilli di fronte al padre e ai fratelli nella fede, prendere la parola e il dire che cos? non va, esercitando una parresia ecclesiale che spieghi che la chiesa - come ? organizzata oggi - non ? quella che aveva in mente il suo fondatore che sappiamo non era Pietro, ma era Ges? Cristo.La comunione si costruisce giorno per giorno, con l’ascolto reciproco, nel riconoscimento del valore del mio carisma laicale: se oggi ci sono pochi laici maturi nell’esercitare questo ruolo e incapaci di prendere la parola in modo responsabile dentro la chiesa non pu? essere solo colpa dell’altro. Le colpe vanno divise e questo ? un problema sul quale meditare.E’ evidente se questo ? l’assunto, se oggi restiamo sul versante del rapporto su democrazia e libert? religiosa non ce la possiamo cavare dicendo "libera chiesa in libero Stato"; ? allora evidente che chiunque fa politica deve riconoscere il valore straordinario che tutte le fedi religiose hanno nella vita degli esseri umani. E, siccome sono gli esseri umani che fondano la democrazia, questa non pu? pensare di ridurre le fedi a un fatto privato. A sua volta, la laicit? democratica deve chiedere alle fedi religiose - nel momento in cui si esprimono nello spazio pubblico - di farlo non come entit? chiuse che affermano se stesse facendo in modo che i propri valori possano entrare in dialogo con quelli degli altri, lavorando per il bene comune attraverso una sintesi che ? possibile qui e ora, democraticamente.Da parte sua la chiesa si preoccupi di essere - essa stessa - testimone fedele dei valori che predica per gli altri; per il resto, nel momento in cui si affaccia nello spazio pubblico, si pieghi sulla fatica del dialogo orientato al bene comune. E, per favore, non sia la chiesa a guidare i laici in un referendum, che ? un momento strettamente politico: non pu? essere la chiesa a dirmi come e se devo o meno andare a votare, altrimenti essa si fa parte politica.Un’ultima cosa: il laicismo ? una ideologia fra le altre, nel senso che un certo tipo di laici (alla francese) pensano che la loro ideologia sia la verit? sulla laicit?. No, nello spazio pubblico il laicismo si deve confrontare con altre ideologie, senza gridare allo scandalo quando altri contestano le loro verit?. Questo per? non basta, il problema di un dialogo orientato all’intesa e quindi capace di presentarsi con mitezza e apertura all’altro, oggi ? essenziale nella dimensione civile. Il peccato pi? grave di operare nelle nostre istituzioni ? quello di ridurre la fede a una etica o - peggio ancora - come fanno gli atei devoti o i teocon - ridurre i valori cristiani a religione civile.

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Peccato che il cristianesimo non sia una religione civile e neppure un’etica e che quindi la chiesa - in quanto tale - non pu? proporsi come agente di religione civile e di etica pubblica, perch? un’etica pubblica pu? essere soltanto un’etica condivisa che poi costruisce la casa comune di cui si ? parlato prima.C’? anche un altro versante: nel momento in cui io divento un agente puramente etico e culturale, il punto ? se io entro in contraddizione con la mia necessit? di essere testimone del Vangelo. Il quale non ? un’etica perch? l’agire del cristiano nasce dalla sua fede, che ? dono e dunque non pu? essere imposto dalla legge esterna. Dunque, quando io riduco la mia testimonianza a un’etica, tradisco la mia missione, mi metto in condizione di essere una parte della societ? anzich? esserne il sale. E’ quindi evidente che soltanto un dialogo orientato alla intesa consenta oggi di ricostruire una coesione civile e sociale nelle societ? pluralistiche e sono convinto che il mestiere delle associazioni (compresa la nostra) sia quello di impiantare queste istituzioni civili della democrazia, dentro le quali ricercare continuamente questo dialogo.A me pare per? che le ACLI, negli ultimi anni, si siano un po’ racchiuse dentro la propria identit?, con un impoverimento grave nelle dinamiche della societ? civile. Allora ? l? che bisogna concentrare tutte le nostre energie. 

Interventi1. Il tema di oggi ? senz’altro decisivo, devo comunque osservare che posizioni intransigenti ne abbiamo tante: nel pacifismo, dove esso diventa una ideologia che non si media, l’ecologismo, l’ambientalismo che, pur non essendo a carattere religioso, assumono posizioni ideologiche che non si mediano e non facilitano la costruzione di una casa comune nella quale vi sia attenzione alla pace, alla salvaguardia del creato. Allora il compito delle ACLI deve essere quello di sperimentare dialoghi che vadano in questa direzione, contribuendo ad una cultura politica improntata al dialogo, che oggi ? minoritaria nel panorama politico italiano. Lo stesso discorso in riferimento alla chiesa: spesso si abbatte la scure della censura su qualche laico che si azzarda a fare delle critiche, magari sul Convegno di Verona... e questo nella totale indifferenza.Si continuano a citare i documenti conciliari, ma del Concilio non si ? praticato nulla.2. Come mai tanti laici si rifugiano nei vari movimenti fino a creare una ?lite? Ci sono anche movimenti che rifiutano il dialogo e per ci? stesso la missione di accettare l’altro e di costruire con l’altro. Certo, fanno tanto, ma ? come se lo facessero dall’alto di un pulpito, e comunque da soli.3. Mi rifaccio a un documento del 1981 "la chiesa italiana e le prospettive del Paese" dove si dice che "le persistenti difficolt? che anche l’Italia sperimenta

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oggi, non sono frutto di fatalit?, sono invece segno che il vertiginoso cambiamento delle condizioni di vita ci ? largamente sfuggito di mano e che tutti siamo stati in qualche modo inadempienti. Conosciamo le complessit? dei problemi che, al riguardo occorre affrontare, ma innanzitutto bisogna decidere di ripartire dagli ultimi, che sono il segno drammatico della crisi attuale" A parlare cos? ? la Conferenza Episcopale.Ad arricchimento di tutto quello che abbiamo ascoltato, credo sia importante dire da che parte - anche noi - vogliamo stare, il che cambia molto la rilettura delle sollecitazioni che abbiamo ascoltato. Sui giornali vi sono pagine e pagine di dibattito politico, poi in quattro righe si legge - da un rapporto caritas - che in Italia vi sono sette milioni e cinquecentomila poveri. Se non si ha il coraggio di capovolgere, anche nella quantit? di parole, il senso delle fesserie che dice qualche politico e questi problemi reali, ? un problema.Un altro piccolo ritaglio riguarda quanto detto dal Vescovo di Chieti il quale afferma che l’evasione fiscale ? peccato grave. Diamo priorit? a queste pagine e a questi problemi anche sotto il profilo politico, dando voce alla lettura che i poveri ne danno, oppure ? finita e il rischio ? di infangarci anche noi in dibatti sterili che non dicono nulla.Risposte di Aluisi TosoliniA me sembra che la chiesa sia preda di una paura che coinvolge un po’ tutti, a partire dalle gerarchie, una paura contraddittoria rispetto all’essere portatori della speranza e al rendere ragione della propria fede che ha molto a che fare con la riduzione del cristianesimo (e della follia della croce) a dimensione culturale ed etica civile, da benpensanti. Questo essere preda della paura ? un pessimo servizio che la chiesa sta facendo - oltre che alla societ? - soprattutto a se stessa. Se noi riprendessimo il titolo dell’incontro dello scorso anno e se invece di ACLI ci mettessimo chiesa, ovvero se la chiesa sparisse chi se ne accorgerebbe? Forse qualcuno penserebbe che finalmente se ne andrebbe gente che ci bacchetta solo su certe cose anzich? su altre: ? sintomatico che certi interventi siano valorizzati o meno da vari teo, a seconda dell’interesse che li tocca da vicino. Allora si passa sotto silenzio il peccato di evasione fiscale, ma si batte la grancassa sul finanziamento alle scuole cattoliche.Una chiesa in preda alla paura ha poi un riflesso condizionato di azione e pensa alla politica maneggiona come forma della propria difesa: la proposta fatta dalla Rosa nel pugno di far pagare l’ICI alle attivit? economiche della chiesa, ha sollevato polveroni, ma io sostengo che doveva essere la stessa chiesa a dire che avrebbe pagato l’ICI. Quando si ha paura si compiono atti inconsulti e io credo che compito di cristiani che cercano di vivere come sale della terra nella propria comunit? sia proprio quello di non avere paura ed ? sintomatico non venga ricordato che il cristianesimo e la nostra fede non ? un’etica laica, ma trova il suo fondamento nella follia della croce,

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incomprensibile per gli Ebrei e i greci, ma che ? l’unica che d? senso, speranza e coraggio.E a me sembra che oggi la chiesa in Italia abbia perso e perda - in preda alla paura - quella originalit?, quella forza di chi dice con chiarezza le cose come stanno, tipo quale peccato grave sia non pagare le tasse, perch? toglie da mangiare e di che vivere a sette milioni di poveri, dando legittimit? a quanti pensano che la societ? non lavori per il bene comune, ma sia un autobus sul quale ? meglio non pagare il biglietto.Dire queste cose oggi si rischia di essere criticati pesantemente anche all’interno della chiesa e questo ? terribile. Per? bisogna dirle e io sono del parere che ci? si compito come sono le ACLI - oggi pi? che mai - di una associazione laicale che vive nella societ?, ma ha riferimento totalmente altro.Domande4. Di questi tempi, a caratterizzare molto l’aspetto della nostra societ? sono le diversit? religiose presenti sul nostro territorio, ma a me pare che vi sia una religione sommersa che, in maniera subdola, si sta infiltrando nelle varie culture ed ? la religione del mercato che sta incrinando molti dei valori in nome dei quali abbiamo costruito la nostra societ?. Per anni il cattolicesimo ha vissuto la paura di un confronto con il marxismo che, pur essendo un problema, si sapeva come affrontarlo, mentre oggi il mercato e il consumismo stanno minando aspetti fondamentali della nostra cultura. E la nostra societ? subisce.Una teologia del mercato che - come scrive un teologo coreano - ha portato alla sacramentalizzazione della morte dei poveri, nel senso che chi ha le potenzialit? deve godere e chi non le ha per spendere e consumare, ? giusto che ne rimanga fuori. Credo che questo - assieme alle diversit? religiose - sia un tema e una delle sfide pi? grandi che, come cristiani e credenti, ci deve interrogare.5. A me sembra che, se devo capire l’identit? delle altre religioni, il primo passo da fare sia capire l’identit? delle religioni cristiane. Devo dire che noi non riusciamo neanche in questo. La CEI ha preparato un programma pastorale per il 2007 e non vi ? alcun accenno al Convegno ecumenico di Sibiu del 2007, un convegno molto importante che si tiene ogni dieci anni. Noi, come ACLI dovremmo insistere sempre pi? perch? i discorsi ecumenici ci servono a dialogare maggiormente con la societ? e dunque anche con quanti hanno identit? diverse dalla nostra. basta poco, si potrebbe concedere la sede ACLI il venerd? sera ai musulmani perch? si possano incontrare per la preghiera comune, oppure che per festeggiare il natale ortodosso con le badanti non si chiamasse un prete cattolico, ma un prete ortodosso.6. Il concetto di bene ? un concetto che, nella pratica, viene sottovalutato sia da noi cristiani, sia in generale, sia in senso politico. Ad esempio, la legge

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elettorale maggioritaria a me sembra contraria al raggiungimento del bene comune e nella ultima campagna elettorale ? emerso chiaro il concetto di classe che ? in contraddizione con il bene comune; cosa che non ? stata colta n? dai media, n? dalla chiesa, n? dai cristiani in generale. Ricordo che la stessa democrazia Cristiana ha tenuto per quarant’anni sull’interclassismo, nn sul classismo. E’ bene allora chiedersi se il nostro comportamento tende a creare le condizioni perch? il bene comune prenda corpo.7. A me pare che le cose importanti ascoltate questa mattina riguardino il futuro della nostra associazione e debbano avere ricadute nei nostri circoli e nelle nostre provincie: se penso al documento prodotto lo scorso anno, mi sembra che non si sia lavorato a sufficienza in questo senso. Allora ? necessario impegnarsi di pi? perch? nelle ACLI si viva il dialogo alla luce delle tante novit? con lo stile che qui abbiamo sentito: purtroppo la cultura dei dirigenti aclisti (e non degli aclisti) di circolo non ? quella che abbiamo sentito qui, dunque c’? un grosso lavoro da fare in questo ambito.In secondo luogo noi al Nord abbiamo il problema "Lega": noi dobbiamo dialogare anche con quel 60% di elettori che da noi vota centro destra, portando avanti - senza paura - e testimoniando il nostro ruolo di aclisti. Questo ? un impegno che ci dobbiamo prendere a tutti i livelli.In terzo luogo, il futuro Partito Democratico, non pu? essere lo strumento per realizzare quelle trasformazioni - anche dal punto di vista legislativo - perch? ci si avvii con pi? speranza verso il futuro?8. Recentemente ho avuto modo di leggere il diario di Giuseppe Lazzati durante i suoi due anni di detenzione in campo di concentramento: ? stato allora che Lazzati ha preparato diverse persone che - a fine guerra - hanno preso in mano la situazione. I circoli ACLI dovrebbero fare un po’ la stessa cosa, diversamente il rischio ? quello che Turoldo chiama "il peso della libert?". Scrive infatti Turoldo: "questa libert? ? La somma di tutta quanta la Resistenza, che ne ? l’ideale. E’ pur sempre un valore scomodo, la libert? ? sempre il maggior bene, ma ? un bene pesante perch? impegna personalmente. La libert? non ? scomoda soltanto perch? - come dice Dostoevskij - ? un peso in se stesso: ? una fatica, ed ? una fatica che ognuno deve assumersi: Pu? accadere allora che in seguito a un momento di stanchezza si preferisca che un altro pensi in nostro luogo, decida e governi in luogo nostro. Questa stanchezza interiore annienta la libert? che consiste proprio nell’assenso dell’uomo alle proprie responsabilit?. Ecco perch?, ad un certo punto della loro storia, agli italiani pes? anche essere liberi. Le dittature sono sempre segni di debolezza individuale e della somma delle debolezze individuali, delle stanchezze individuali, delle rinunce, delle abdicazioni e delle vilt? individuali.Se vogliamo che questa stanchezza non prenda corpo, dobbiamo cominciare a programmare all’interno dei nostri circoli ACLI - pur nel peso dei servizi - la formazione delle persone. Il citato "La chiesa italiana e le prospettive del

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Paese" a pagina 7 dice che l’Italia non si salver? se non insieme. La politica di oggi le ha tentate tutte per tenerci divisi, noi invece dobbiamo tentare il dialogo, anche se ci? pu? creare qualche problema.9. Siamo in un momento storico molto importante, perch? il problema laico-laicit? non ? sentito solo in ambito ecclesiale, ma assume carattere generale e investe anche persone che non fanno parte della chiesa. La stessa definizione di laicit?, da parte di studiosi e di filosofi, non ha un comune denominatore. Ora, il significato che si vuole dare alle parole, ? poi alla base di quello che pu? essere costruito in termini pi? generali.Una seconda riflessione riguarda ci? che ? successo a Verona: che la gerarchia ecclesiastica abbia ribadito che ? il momento dei laici, mi induce a pensare che la lettura da darsi sia cosa noi laici abbiamo fatto ed espresso in questi vent’anni. Pensiamo in termine di figure carismatiche capaci di elaborare in chiave politica e culturale qualcosa di importante: finita la balena bianca, che comunque - nel bene e nel male - ha espresso personaggi, cultura, idee che hanno segnato il nostro vivere per decenni, cosa rimane? Dopo la morte di Aldo Moro ? stato elaborato pochissimo e mi fa piacere che il Papa abbia detto che i laici si devono dar da fare nello sviluppo di percorsi culturali per approcciare una realt? nuova. Quindi una critica che deve fare riflettere e muovere ad agire in questa direzione.Risposte di Franco PassuelloTosolini, nella sua risposta, ha sostenuto che la chiesa ha paura. A mio parere ? questo il grande peccato, vuol dire che la chiesa non ha fiducia nel suo Signore, non ? capace di affidarsi davvero al Signore della storia, del quale solo ? la potenza e la gloria.la cosa che su Verona considero meno accettabile ? un intervento del Papa che benedice a piene mani la linea di Ruini, come se tutti i materiali ufficiali precedenti in preparazione al Convegno di Verona fossero stati pensati e preparati invano.Io vi sfido a leggere uno solo dei documenti delle commissioni e la prolusione di Tettamanzi e vedere se c’? scritto quella roba di Ruini. No, proprio no.Noi abbiamo anche pagato il dazio, questo convegno si ? svolto in un momento particolare, con il Papa appena eletto e Ruini che sta uscendo. Se a Verona il Papa nel suo discorso avesse detto le cose che ha detto in questi giorni sulla pace e sulla giustizia! Invece no, ha parlato di embrioni, di famiglia, di scuola cattolica. Come se la giustizia fosse una robetta: ma non esiste fede senza giustizia e questo sta scritto nella Parola di Dio e anche nel Concilio.C’? molta elaborazione culturale in giro, ma il difetto del protagonismo dei laici non ? un difetto culturale, ? un difetto spirituale. Il limite sta nel modo in cui viviamo la nostra fede, perch? a noi ? chiesto di ordinare le cose del mondo secondo Dio, non secondo la nostra intelligenza e basta. Tuttavia ? la

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fede che d? all’intelligenza quel valore che la fa essere lievito nella pasta. Se io non ho questo lievito, non sono un cittadino come gli altri, prigioniero delle logiche di cui parlavo prima. Dunque il limite che abbiamo non ? un limite di vita cristiana: se non faccio un discernimento spirituale sulle mie opere, queste stesse opere stanno dentro la logica del mondo, perch? sono opere mie, ma non secondo Dio.Documenti di sacerdoti, di teologi che hanno scritto sulla laicit? cristiana ce n’? a iosa, perch? la chiesa non li fa suoi? Allora, se ci? che grida ? la paura, il limite non ? culturale, ma ? di affidamento a Dio. Dopodich?, visto che ? il momento dei laici, i laici prendano la parola, con mitezza e fortezza, prendendo in mano il Concilio senza aspettare che siano i chierici a farlo. Lo dobbiamo fare noi laici con discernimento sulle cose concrete, con la capacit? di comprendere cosa si muove nella societ? e la dimensione spirituale che ce ne fa cogliere il senso non solo dal punto di vista dell’uomo ma dal punto di vista del Regno.Vedete, la critica all’integralismo che pretende di mettere il timbro religioso sulla politica non significa voler tornare ad una separazione fra fede e politica: il Concilio dice che non sar? l’opera delle nostre mani a far venire il Regno, ma sull’opera delle nostre mani che sono riducibili al bene, la logica del regno verr? e scompaginer? le nostre logiche. Se anzich? un’opera in grado di parlare alla libert? dell’uomo perch? riscopra la fraternit? con l’altro, tu costruisci una struttura di peccato, stai facendo una cosa che non ? nell’ordine della logica di Dio.Oggi il problema principale ? quello di recuperare una autonomia culturale (spirituale) nei confronti del pensiero unico del mercato, presente anche nella chiesa. Se noi andiamo a vedere cosa c’? dietro le guerre di religione, notiamo le grandi multinazionali del petrolio americane, supportate dai teocom. Questo ? molto grave e se io non mi dissocio da questa seduzione, non riesco a vivere seriamente la mia fede e ad avere il discernimento necessario sui miei comportamenti. Intanto il grande unificatore ? oggi la globalizzazione, che non ? stata fatta da Carlo Marx o dal comunismo o dalla Chiesa Cattolica, ma l’ha fatta il mercato e l’ha fatta sulle sue logiche. Ditemi, cosa c’? sotto la rivolta contro le tasse, se non questo individualismo competitivo per cui vali se sei pi? ricco dell’altro?Io penso che noi che abbiamo questa dimensione spirituale, dobbiamo essere gli antesignani di un movimento - che proprio a partire dalla dimensione spirituale - si dissocia dal pensiero unico, riscoprendo le ragioni della fraternit?, anche come valore civile, perch? ? questa la frontiera sulla quale impegnarsi. Non ? tanto quello che facciamo, ma lo spirito che diamo a quello che facciamo. E’ vero, sette milioni di poveri sono tanti, ma io mi chiedo: ? compito dalla Caritas, movimento ecclesiale, fare questo? Questo vuol dire che noi laici ai quali ? dato il mandato principale della carit? nel mondo, non lo facciamo. Certo, la caritas fa un lavoro straordinario, ma l?

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vuol dire che c’? una supplenza, vuol dire che non ci si occupa della giustizia sociale che ? cosa assai diversa dall’assistenza.Dice la Gaudium et spes che le diversit? appartengono alla ricchezza e ai carismi di ciascun essere umano, ma quando la disuguaglianza supera un certo livello, diventa ingiustizia e i cristiani devono lottare contro l’ingiustizia sociale. E a proposito degli atei devoti dice che quando la scissione tra la fede che professi e il modo in cui vivi, sul piano della giustizia ? troppo grande, si apre una contraddizione.Sul bene comune: Mimmo Luc? - parlamentare - ha fatto una audizione alla Camera dei Deputati in tema di politiche familiari per sapere qual’? la condizione delle famiglie italiane e, insieme al Forum delle famiglie, ha chiamato anche l’Associazione delle famiglie di fatto: la destra ? uscita dalla Camera e il Presidente del Forum ha affermato che le politiche familiari devono essere rivolte solo alle famiglie basate sul matrimonio. E’ questo il concetto di bene comune che noi abbiamo? E’ questo il concetto di laicit? che noi abbiamo?Io non sono d’accordo sulle famiglie di fatto, ma esistono, sono titolari di diritti costituzionali per il semplice fatto di essere composte da esseri umani. In pi? generano vita. Il Concilio, nella Gaudium et spes, dice che dobbiamo essere contro ogni discriminazione di razza, di sesso, perch? sta scritto "non ci sar? pi? n? ebreo, n? donna, n? uomo". Ritenere che se non si ? una famiglia basata sul matrimonio, non si hanno diritti, non ? certamente operare per il bene comune. Operare per il bene comune vuol dire ricordarsi che anche colui che, secondo noi, ? peccatore non va discriminato in alcun modo.Quando si ? cos? sicuri di essere portatori di una dignit? morale e la si vuole affermare come l’unica possibile, si rischia di andare contro l’operare per il bene comune. Il Signore - ricordiamocelo bene - fece scandalo perch? si accompagnava anche alle prostitute e i benpensanti del tempo non gradivano. Purtroppo stiamo organizzando la societ? sulla inimicizia anzich? sulla capacit? di ascoltare e di accogliere.

 

Don Lorenzo Milani:la dignit? della persona, la consapevolezza delle scelte,

chi sono oggi i contadini di don Milani". 

Enzo TorriForneletti 

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Questo ? il dodicesimo anno dell’incontro annuale a Forneletti, sono stati incontri molto ricchi e il risultato ? sotto gli occhi di tutti. Noi di Forneletti poi, quest’anno, festeggiamo il ventesimo di attivit? e di accoglienza in favore degli ultimi e in nome della solidariet?, per la formazione e con una attenzione particolare alle persone provenienti dall’America latina e non solo.Quest’anno, in occasione del ventesimo, abbiamo ospitato tre artisti brasiliani (una religiosa e due frati) artisti di strada che lavorano attraverso la pittura, la musica o la composizione di quadri con materiale naturale. I loro lavori sono esposti nei vari spazi di questa casa.Le molte scolaresche ospitate qui, sempre per ricordare i vent’anni, si sono soffermate sul tema della salvaguardia dell’ambiente e costruire la convivialit? attraverso questa tematica. I lavori che vedete in questa sala sono opera dei ragazzi, mentre ci? che ammirerete nella biblioteca sono quattro pannelli opera dei nostri ospiti brasiliani , opere che raffigurano le quattro stagioni.Il tema che tratteremo oggi (don Milani) ? un tema che ci ? caro in quanto "I care" fa parte dello statuto di questa casa dove, lo scorso anno, abbiamo approfondito lo studio proprio su Don Milani e le sue pubblicazioni. 

Roberto ComiPresidente delle ACLI di Cernusco sul Naviglio 

Siamo doppiamente felici perch? l’argomento di oggi ? un evento per noi ma anche per la casa che ci ospita. La relazione odierna sar? tenuta da Don Giuseppe Grampa, docente a Milano, a Padova e in Albania a Scutari. Tra l’altro, il relatore ? anche direttore del mensile della Diocesi di Milano "Il Segno", che ? come l’I care della nostra chiesa locale, aperto anche a vari interventi esterni e le problematiche del nostro tempo sono affrontate in maniera molto articolata.Don Giuseppe ? anche uno scrittore e il suo ultimo libro edito qualche tempo addietro "la schiena di Dio" che affronta i vari atteggiamenti che si manifestano nelle religioni, in un periodo, come questo, dove un certo tipo di fanatismo religioso impermea le nostre societ?. Da ultimo, sono state scritte dal relatore odierno alcune riflessioni sul tema "il Dio sconfitto" che, anche questo, mostra lo spessore del relatore.Un piccolo omaggio a don Giuseppe Grampa con la somma delle relazioni fatte in questa sede in questi dodici anni che mostra l’impegno delle varie delegazioni delle ACLI qui a Forneletti.Venendo al tema della giornata: don Milani ? una persona che non si pu? studiare, una persona strana; essendo stato un profeta, le sue letture non sono facili da interpretare, per questo che le sue pubblicazioni vanno lette e

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rilette per un approfondimento continuo. Don Lorenzo soleva dire "io amo il mio popolo e gli ho tolto la pace": ecco il suo ruolo, quello di metterci sempre in gioco, come lo fa leggendo "Esperienze pastorali" e "l’obbedienza non ? pi? una virt?". A proposito di obiezione di coscienza, abbiamo in parlamento un disegno di legge che tenta di dare un nuovo ruolo l’obiezione di coscienza.Da ultimo, un DVD sulla scuola di Barbiana, come lavorava, con interviste di personaggi che, incuriositi di questa esperienza, andavano a vedere cosa succedeva. E’ un documento che ci d? una mano a riflettere. 

Don Giuseppe GrampaDirettore della rivista "Il Segno"Vi sono molto grato del vostro invito e devo dirvi subito che non ho particolari titoli e competenza di svolgere il tema che mi avete affidato, non sono uno studioso degli scritti di don Milani ma ho custodito il suo ricordo nei primi anni del mio sacerdozio che coincidono con gli anni della malattia e della morte di don Lorenzo. Ho avuto la ventura di scrivere sul "Segno" una memoria di quel prete e forse questa ? la ragione per la quale, non solo qui ma anche in qualche altro luogo mi hanno chiamato per parlare di lui.Mi sono permesso di dare alla mia conversazione un titolo diverso da quello che voi avete scritto e di intitolare questa conversazione con un termine singolare "don Milani, maestro di politica paradossale", l’ho fatto pensando a voi e alla vostra Associazione che svolge anche un ruolo politico ma certo non assimilabile a quello dei partiti, un ruolo politico-educativo vicino a quello svolto da don Milani. Un ruolo che esalta certo la partecipazione ma al tempo stesso tiene viva una vigilanza critica e progettuale nei confronti della politica. La formula "politicit? paradossale" ? presa a prestito da un testo antico, molto amato da un uomo che noi tutti consideriamo un Maestro, il  prof. Giuseppe Lazzati. Si tratta della cosiddetta Lettera a Diogneto, uno scritto proveniente forse dall’ambiente culturale alessandrino e databile tra la fine del II e gli inizi del III secolo d.C. Presenta un quadro dei rapporti dei cristiani con il mondo e con l’autorit? del tempo. L’ignoto Autore afferma che i cristiani non costituiscono un popolo a se stante, appartato e chiuso, bens? inserito nella comunit?, ai cui usi e costumi si uniformano e le cui leggi rispettano. Tuttavia per i cristiani l’orizzonte ultimo non ? quello terreno: i cristiani vivono quindi nel mondo ma protesi verso qualcosa di pi? grande. E una espressione riassume lo stile cristiano nel mondo paradoxos politeia cio? politicit? paradossale: "I cristiani non si distinguono dagli altri uomini n? per territorio, n? per lingua, n? per abiti. Non abitano in citt? proprie, n? parlano un linguaggio particolare e la vita che conducono non ha nulla di speciale…Abitano in citt? greche e barbare come a ciascuno ? toccato in sorte, e si adattano per i vestiti, per il cibo e per tutto il resto alle usanze locali, ma nello stesso tempo manifestano il carattere mirabile e, a detta di tutti, paradossale

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della loro condizione di cittadini. Appunto cittadinanza paradossale, politicit? paradossale".Ho scelto questa espressione perch? ad un tempo essa esprime la passione di don Milani, il singolare coinvolgimento nella vita dei suoi ragazzi: "Quando avrai perso la testa, come l’ho persa io, dietro poche decine di creatura, troverai Dio come un premio", e insieme la paradossalit? della sua testimonianza: "Ho voluto pi? bene a voi che a Dio, ma ho speranza che Lui non stia attento a questa sottigliezza e abbia scritto tutto al suo conto".Queste parole del suo Testamento sono la chiave per comprendere la singolare e paradossale esperienza di don Milani. In una lettera del 1966, un anno prima della morte, cos? riassume la sua strategia educativa che ? al tempo stesso il suo cammino di prete e di credente: "E allora se vuoi trovare Dio e i poveri bisogna fermarsi in un posto e smettere di leggere e di studiare e occuparsi solo di far scuola ai ragazzi dell’et? dell’obbligo e non un anno di pi?, oppure agli adulti, ma non una parola di pi? dell’eguaglianza". Una scelta di vita: dedicarsi anima e corpo a realizzare il protagonismo dei ragazzi, dei giovani mediante la scuola popolare. Tale scelta comporta ad un tempo una dimensione civile, di promozione umana e una di vera e propria evangelizzazione. La seconda non ? adeguatamente realizzabile se non sulla base di una certa maturazione umana, in particolare attraverso il possesso della parola come mezzo privilegiato di comprensione del mondo e quindi di autorealizzazione.Ma forse ? necessario tracciare brevemente gli anni della formazione di don Milani. Nasce a Firenze nel 1923 in una famiglia della borghesia, in una bella casa ricca di libri e di oggetti d’arte. Genitori, Albano e Alice Weiss non sono sposati religiosamente e Lorenzo il secondo dei loro tre figli, sar? battezzato solo all’et? di dieci anni perch? sia al riparo dalle leggi razziste antiebraiche. La mamma, infatti, ? ebrea e i figli, per conseguenza, di ‘sangue misto’. Nel 1933 la famiglia si trasferisce a Milano in via Conservatorio e poi in via Fiamma. La scuola di Lorenzo ? in via della Spiga, in un quartiere non precisamente popolare. Frequenta il ginnasio al Berchet e lo continua all’Istituto Zaccaria dei Padri Barnabiti. Qui, con grande sorpresa dei genitori Lorenzo chiede di ricevere la prima comunione. Conclude il liceo e di nuovo, sorprendendo i genitori, non sceglie l’Universit? ma l’accademia di Belle Arti di Brera per dedicarsi alla pittura.E’ durante gli anni di Accademia che Lorenzo matura la scelta di entrare in Seminario. Al suo maestro di pittura Hans Joachim Staude ne spiega le ragioni: "Tu mi hai parlato della necessit? di cercare sempre l’essenziale, di eliminare i dettagli e di semplificare, di vedere le cose come un’unit? dove ogni parte dipende dall’altra. A me non bastava fare tutto questo su un pezzo di carta. Non mi bastava cercare questi rapporti tra i colori. Ho voluto cercarli tra la mia vita e le persone del mondo. E ho preso un’altra strada. Il suo direttore spirituale don Bensi ha detto del giovane seminarista: "Chiedeva

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tutto, esigeva il massimo, la perfezione e in questo, se si vuole, era anche un po’ disumano. Ma io so che pagava per primo, che non si concedeva indulgenze e ci? che chiedeva alla Chiesa e al suo Vescovo lo chiedeva per amore".Il 13 luglio 1947 nel Duomo di Firenze don Lorenzo viene ordinato sacerdote dal cardinale Elia Dalla Costa, con lui altri dieci giovani tra i quali il futuro arcivescovo di Firenze Silvano Piovanelli che cos? lo ricorda: "Quando Lorenzo entr? in Seminario nel novembre 1943, ci accorgemmo subito che entrava come convertito. La sua tempra era d’acciaio e il suo atteggiamento radicale soprattutto nella povert?. Al posto del letto volle una branda e le scarpe se le fece da solo ritagliandole da un pneumatico di motocicletta. Un episodio che testimonia la radicalit? della sua scelta: Quando mor? suo padre il rettore lo mand? a casa e lui, la sera stessa rientr? in Seminario dicendo: "Questa ? la mia famiglia" e citando il vangelo: "Chi non lascia suo padre e sua madre…". Anche l’antico compagno di studi, il cardinale Piovanelli, ricorda il carattere paradossale, esagerato dello stile di Milani: "In Seminario lo apprezzavamo molto. Siamo stati sinceramente amici. Certo ci appariva un po’ esagerato nelle sue posizioni. Ma poi mi sono sempre pi? convinto che l’esagerazione ? la misura giusta. Noi siamo amati da Dio in modo esagerato e quindi la nostra risposta non pu? essere che esagerata. Mi sono accorto quindi che la sua esagerazione era solo coerenza evangelica".Tre mesi dopo l’ordinazione don Lorenzo viene inviato come viceparroco a san Donato di Calenzano. Vi rester? sette anni. Un testimone di quegli anni, Giorgio Pelagatti, racconta: "L’idea di don Milani era che si dovevano fare iniezioni di superbia ai poveri e iniezioni di umilt? ai ricchi. Facendo cos? dissero che ‘divideva il popolo’. Ma il popolo era gi? diviso. Da sempre. Poveri di qua e ricchi di l?. Soltanto che lui, in questa divisione che trov? nella parrocchia, si schier? dalla parte dei poveri, dalla parte di coloro che non contano". Il classismo, rimproverato a don Milani sta solo nella scelta intransigente di mettere tutto e tutti a servizio dei poveri, di coloro che non hanno parole e quindi non hanno sicurezza e autonomia. "Si accettano forse i ricchi alle nostre distribuzioni gratuite di minestra? Il classismo in questo senso non ? dunque una novit? per la Chiesa" (E. P. 133).Dura anche la critica alla pratica pastorale affidata pi? alle astuzie delle ‘sale giochi’ delle parrocchie che ad un serio lavoro di formazione. Di conseguenza il duro attacco e ai ricreatori parrocchiali e alle case del Popolo accomunati nel comune intento di non destare la dignit? dei giovani (E. P. 129). Don Lorenzo invece sceglier? la via della Scuola popolare per rendere protagonisti i giovani contadini e operai. Dall’osservazione di quel microcosmo don Lorenzo ricava l’intuizione fondamentale della necessit? per le classi subalterne di riappropriarsi della parola come condizione fondamentale della propria liberazione.

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In una lettera a don Milani del 1966 l’Arcivescovo di Firenze Florit valut? "un po’ illuministica" la pastorale di don Milani per il rifiuto di qualsiasi altro metodo pastorale che non fosse la scuola. Ma la ragione di tale "concentrazione" sulla trasmissione della parola, sul suo possesso, nasceva dalla rilevazione obbiettiva della soggezione alla quale ? condannato chi non ? in grado di disporre della Parola: "Non che io abbia della cultura una fiducia magica come se essa fosse una ricetta infallibile, come se i professori universitari fossero automaticamente tutti pi? cristiani e avessero il paradiso assicurato mentre il Paradiso fosse precluso agli indotti pecorai di questi monti…ma qui ? diverso. Fai conto che qui io mi trovi in un istituto pieno di sordomuti non ancora istruiti. Che ne diresti se pretendessi di evangelizzarli senza aver dato prima a loro la parole? I missionari dei sordomuti non fanno cos?. Fanno scuola della parola per anni e poi dottrina per poche ore. E il loro agire ? logico, obbligato, perfettamente sacerdotale" (E. P. 200-1).Si impone allora, per l’evangelizzatore, il compito di riportare alla luce la parola, per creare le condizioni elementari della libert? e della responsabilit?. La scuola non fa il cristiano ma fa l’uomo, cio? un soggetto in grado di scegliere e quindi di aprirsi o rifiutarsi alla grazia. Si intrecciano costantemente in Esperienze Pastorali la rilevazione della condizione subalterna dei giovani privi della parola e la percezione del proprio ruolo sacerdotale a servizio della parola. "Dio non mi chieder? ragione del numero dei salvati nel mio popolo, ma del numero degli evangelizzati. Mi ha affidato un libro, una parola, mi ha mandato a predicare e io non me la sento di dirgli che ho predicato quando so con certezza che per ora non ho predicato, ma solo lanciato parole indecifrabili contro muri impenetrabili, parole di cui sapevo che non sarebbero arrivate e che non potranno arrivare". Alla base di tale servizio della parola sta la persuasione che solo riportando alla luce il volto umano si disseppellisce anche l’immagine divina: solo ricostruendo grazie al possesso della parola le condizioni di una vera umanit? si potr? creare protagonismo e liberare dalla condizione subalterna. A quel punto sar? possibile smettere di fare scuola e dar loro "solo Dottrina e Sacramenti". In modi diversi don Milani esprime il suo impegno educativo mediante la scuola: "Mi ? sacra come l’ottavo sacramento". Infatti"da essa mi attendo (e forse ho gi? in mano) la chiave non della conversione, perch? questa ? segreto di Dio, ma certo dell’evangelizzazione di questo popolo. Il nesso ineliminabile tra scuola e evangelizzazione far? dire a don Milani: "Io i miei figlioli li amo, che ho perso la testa per loro, che non vivo che per farli crescere, per farli aprire, per farli sbocciare, per farli fruttare".Esperienze Pastorali attesta con ampiezza e puntualit? di rilevazioni la scelta educativa di don Milani. Ritiene infatti che sia illusoria e profondamente negativa la ricerca di uguaglianza e il superamento delle pi? insultanti differenze sociali mediante un pi? largo accesso ai beni di consumo. Al contrario la vera emancipazione si ha promuovendo la dignit? di ogni singolo uomo. Cos? la parola potr? essere efficace antidoto nei confronti delle mode

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cio? dei conformismi dei consumi, anche dei conformismi religiosi (come in occasioni di prime comunioni e matrimoni) in cui i poveri sciupano quattrini per "scimmiottare per un giorno le parate antisociali degli oppressori per poi tornare il giorno dopo nella schiera anonima degli oppressi a brontolare sterilmente contro il mondo ingiusto" (E. P. 65-75 e 103-105).Lasciare penetrare la Parola "fino a quel recondito regno dell’io dove si prendono le decisioni della vita" vuol dire riconoscere alla parola "la sua dignit? vivificatrice, la sua capacit? di piegare, di trasformare, di costruire". Per questo la parola ? eminentemente segno di contraddizione appunto perch? essa desta le risorse vere della persona portandola a uscire dal conformismo. Ritrovare la parola, contro i modi consueti nei quali essa viene abitualmente presentata dalla chiesa e cio? i modi della predicazione e della liturgia. Di tali modi don Milani condanna l’angustia ritualistica che ne snatura la forza di interpellazione e decisione personale. Quando predicazione e liturgia, come sovente avveniva in quegli anni (ma forse anche oggi) soprattutto nelle aree rurali (ma forse anche in citt?) legate a certe scadenze obbligate diventano scrive don Milani "peccato contro natura, laddove la Parola, dono sacro di Dio per l’espressione del pensiero, ? ridotta a schema obbligato entro una retorica cos? rigida da diventare rito".Esperienze Pastorali, pur pubblicato con l’imprimatur e con una prefazione dell’Arcivescovo di Camerino mons. D’Avack, ricevette una pesante stroncatura da La Civilt? Cattolica e da La rivista del Clero italiano fino alla sanzione della Congregazione del sant’Uffizio, perch? venisse ritirato dal commercio, in quanto "inopportuno". Scritta da Mons. Francesco Olgiati, nota abbastanza ampia, mi limito a citare le ultime battute"un libro come questo ? destinato ad aumentare la non mai abbastanza deprecata confusione delle idee, a disorientare pi? che a orientare saggiamente gli uomini di buona volont?, chiamati per divina vocazione a svolgere l’attivit? missionaria in un campo tanto delicato e difficile, perci? non si sarebbe dovuto consegnare alle stampe". Prosegue Mons. Olgiati "ci furono degli equivoci mediante i quali fu dato il nulla osta e l’imprimatur e la prefazione dell’Arcivescovo di Camerino. Siamo informati che la Suprema Sacra Congregazione del Santo Uffizio ha ordinato che il libro "Esperienze pastorali" di don Lorenzo Milani sia ritirato dal commercio e ne ha, inoltre, proibita la ristampa e traduzione. Tale provvedimento vuole essere indubbiamente un serio richiamo ai figli della chiesa ed in particolare ai sacerdoti, affinch? non si lascino sedurre da ardite e pericolose novit? che minacciano di insinuarsi nell’animo di certi soggetti meno preparati al grave e arduo compito dell’apostolato sociale. Non ci resta soltanto che concludere questa breve nota con un sincero augurio e una speranza che il tempestivo e provvidenziale intervento del Santo Uffizio valga ad illuminare tutti i sacerdoti i quali con tanta abnegazione e inconcussa fedelt? all’insegnamento della chiesa prodigano le loro energie per portare alle anime la dottrina evangelica".

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Nel 1954 don Lorenzo viene trasferito a Barbiana, poche case tra i boschi dell’Appennino, una parrocchia che doveva essere soppressa. Lo scorso maggio sono salito per la prima volta a Barbiana. Da quarant’anni, dalla morte del Priore, desideravo recarmi in quei luoghi. Oggi ci si arriva comodamente, allora nel 1954 gli ultimi kilometri erano un tratturo segnato dai carri agricoli e dalle greggi, mancava l’elettricit?, l’acqua corrente, il telefono. Confesso una intensa emozione sostando nel piccolo cimitero dove don Lorenzo ? sepolto e nella piccola chiesa dove ha pregato per tredici anni. Mi sono tornate alla mente le sue parole di amore appassionato per la Chiesa: "Noi la Chiesa non la lasceremo perch? non possiamo vivere senza i suoi sacramenti e senza il suo insegnamento. Accetteremo da lei ogni umiliazione". Ma, confesso, proprio in quel luogo ho avvertito quanto spietato ? stato il comportamento di certi uomini di chiesa nei confronti di un prete che senza presunzione poteva dire di s?: "Non si potr? mai trovare in me la pi? piccola disubbidienza".A Barbiana, accanto alla piccola chiesa la canonica trasformata in scuola. Ormai il nome di Barbiana ? indissolubilmente legato alla scuola: Scuola di Barbiana. Fare scuola per cancellare le differenze che condannano i figli delle classi economicamente pi? deboli a restare in posizione subalterna. E di questo lavoro ? espressione Lettera a una professoressa, pubblicata nel 1967 poco prima della morte del Priore. In questo testo, opera collettiva della Scuola di Barbiana vengono denunciati i meccanismi scolastici che producono selezione tra gli scolari della famiglie pi? povere. Il testo ? anche una forte richiesta perch? la scuola dell’obbligo si faccia carico di superare questa selezione. A Barbiana questo avveniva grazie ad una scelta unica e irripetibile: 365 giorni di scuola su 365 e un totale coinvolgimento del suo eccezionale Maestro e di tutti nel fare scuola. Scrive: "Voi dite di aver bocciato i cretini e gli svogliati. Allora sostenete che Dio fa nascere i cretini e gli svogliati nelle case dei poveri. Ma Dio non fa questi dispetti ai poveri. E’ pi? facile che i dispettosi siate voi. Anche i signori hanno i loro ragazzi difficili ma li mandano avanti…".Permettetemi, a questo punto, una parentesi del tutto personale che, in qualche modo attesta che in quegli anni, l’esempio di Barbiana si diffuse in molte altre esperienze: le molte esperienze dei doposcuola nascono da l?, cos? pure il progetto delle "150 ore" di formazione per i lavoratori. In quegli anni, dal ‘65 al ‘69 ero vice parroco in una parrocchia del centro di Milano, una parrocchia nettamente divisa in due categorie di persone: da un lato le famiglie dell’altissima borghesia e, dall’altra famiglie del sottoproletariato. Sul confine fra queste due realt? era situata la Parrocchia di S. Gioachino. Alla luce del testo di don Milani si decise, coinvolgendo il Consiglio Pastorale e il Consiglio del Bilancio, di istituire una attivit? di sostegno scolastico dopo avere fatto una indagine nelle scuole del territorio per verificare se il libro di don Milani fosse anche per quella realt?. Trovammo una conferma e decidemmo di costituire questo servizio di sostegno scolastico per evitarne

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una dispersione che segnava pi? pesantemente i ragazzi di una certa fascia sociale.Inutile dire che, nel giro di poco tempo, l’esperienza fu chiusa e il vice parroco fu trasferito.Alla scuola don Lorenzo riconosceva un altro, nobile compito: formare alla politica, cio? alla presa in carico dei problemi in vista del cambiamento, perch? politica ? uscire insieme dai problemi, mentre uscirne individualisticamente ? egoismo. Ma la funzione politica della scuola non si esaurisce nella coscienza del bene comune: "La scuola siede tra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi. E’ l’arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio, formare in loro da una parte il senso della legalit?, dall’altro la volont? di leggi migliori". E disegnando la figura del Maestro scrive "Allora il Maestro deve essere per quanto pu? profeta, scrutare i segni dei tempi, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso". E proprio per svolgere questo compito "profetico" don Lorenzo con i suoi ragazzi scrive un altro testo intransigente: L’obbedienza non ? pi? una virt?. Una appassionata difesa dell’obiezione di coscienza nei confronti del servizio militare e pi? in generale della guerra. In anni nei quali pareva che per essere buoni cittadini e buoni cristiani si dovesse obbedire sempre e comunque all’ordine costituito, don Lorenzo rivendic? il dovere di obbedire prima a Dio che agli uomini e alle loro leggi. Questo non voleva dire educare all’anarchia ma al rispetto delle leggi e al tempo stesso educare al cambiamento con gli strumenti non violenti del voto e dello sciopero. Per questa sua battaglia Don Lorenzo ha un posto decisivo nel cammino della coscienza cristiana per il superamento della tradizionale dottrina della "guerra giusta".Concludo. Confesso che a 40 anni dalla sua morte la figura di don Milani continua ad accompagnare la mia vita. Forse perch? la scoperta di Lui e dei suoi scritti ? legata ad una stagione singolare della mia vita segnata da eventi per me decisivi: l’inizio del ministero sacerdotale, i primi passi del post-Concilio con la ventata d’aria nuova che portava nella Chiesa e infine la contestazione del ’68 che, pur con le sue esasperazioni, rappresentava una istanza critica e di partecipazione.In don Milani ritrovavo allora e ritrovo oggi alcuni dei pi? preziosi valori di quegli anni.

Il primato della Parola. Il Concilio restitu? alla chiesa la centralit? della Parola, quella della Rivelazione consegnata nelle Scritture sacre ma anche quella della ricerca umana e della cultura. Una Chiesa "in religioso ascolto della Parola", "serva della Parola" e proprio per questo aperta alle parole degli uomini nella loro insonne ricerca. Una Chiesa in dialogo con le parole delle culture, della ricerca scientifica, attenta a scrutare i "segni dei tempi".

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La chiesa dei poveri. Una chiesa che sull’esempio di Cristo realizza la salvezza nell’abbassamento, nello svuotamento, nella condivisione dell’ultimo posto. La "scelta preferenziale dei poveri" che ? anche il cuore della Teologia della liberazione ? stata praticata a Barbiana con una dedizione radicale, fino alla fine.

Il primato della coscienza. La scuola, secondo il Priore, doveva rivolgersi alle coscienze perch? acquisissero autonomia, consapevolezza, uscissero dal conformismo per fare scelte di rottura, coraggiose. L’obiezione di coscienza che negli ultimi decenni ha coinvolto migliaia di giovani nel nostro Paese impegnati in forme di servizio civile alternativo a quello militare, ? stata certo propiziata dalle parole coraggiose di don Lorenzo.

Don Milani non ha voluto essere uomo politico ma prete, solo prete. Anche con certi tratti che diremmo ‘conservatori’ come la difesa dell’abito talare: "La Chiesa con l’imporci il vestito nero intendeva che la sola vista del prete richiamasse alla mente pensieri di sacrificio, di mortificazione di vogliuzze terrene, di ricerca delle gioie dello spirito e del premio in paradiso". E’ stato un prete che diceva, anzi gridava: "Chiedimi il Libro di Dio, il corpo di Cristo, il suo perdono".Proprio per questo suo radicalismo evangelico don Milani continua ad essere una voce inquietante. E se per un momento il prete potr? solidarizzare con l’iniziativa politica di chi sfonda il cancello della villa del ricco per farne la casa del povero, il suo posto sar? quello di testimone solitario e intransigente delle Beatitudini. Solo per sciogliere la Parola dalla compromissione con la logica del privilegio il prete potr? stare accanto all’agitatore sociale. Ma il suo ruolo, una volta combattuta l’ingiustizia, sar? quello radicale di testimone dell’Evangelo.Nella vita e nella morte di don Lorenzo ha trovato singolare attuazione quella parola paradossale dell’Evangelo: "E’ pi? facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri in Paradiso". Due giorni prima della morte, dopo un lungo silenzio, don Lorenzo dice ai suoi ragazzi che circondano il suo letto:" Un grande miracolo sta avvenendo in questa stanza. Che miracolo? Il cammello che passa per la cruna dell’ago". Anche per don Lorenzo possiamo dire: "Da ricco che era si ? fatto povero…". E’ in questo passaggio, in questa forza di trasformazione che noi tutti vorremmo seguirlo. 

Interventi1. La chiesa, oggi, ha avuto la forza di ricredersi sul don Milani che riteneva necessario dare la parola alla gente attraverso la cultura. Oggi si toglie la parola a chi vuole mantenersi nella legalit? e reclama il diritto alla giustizia. Ne ? esempio il Vescovo di Locri al quale - con il trasferimento - viene tolta la

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parola e con lui a tutti coloro che avevano seguito la sua opera pastorale. Perch? la chiesa continua a sbagliare, a lasciare la parola ai prepotenti e a degenerare se stessa?In quanto al fondamentalismo non esiste solo quello islamico che incarna la guerra santa, ma ci sono fior di politici occidentali che hanno, a loro volta, santificato una guerra che non ha soluzione, ma porta a immani disastri.2. Mi sembra che ci troviamo in un tempo nel quale si sta rivisitando un po’ troppo: per quanto riguarda la guerra il Concilio parla chiaro, solo che adesso ci siamo inventati la guerra umanitaria e la guerra preventiva, giustificando queste logiche. Dunque non imbrogliamoci sulle parole. Si parlava di obiezione di coscienza e di servizio civile alternativo a questa. L’obiezione di coscienza ? altra cosa; il servizio civile il pi? delle volte ? una scelta per stare vicino a casa. Abbiamo almeno coscienza che stiamo accettando cose che fino a ieri non accettavamo? Stiamo accettando la precariet? del lavoro, lo smantellamento dei diritti dei lavoratori da loro stessi guadagnati con sacrificio. Queste cose ce le ricorda tutte don Milani in quella radicalit? del Vangelo che non ci deve lasciare tranquilli.3. Culturalmente nel nostro territorio si direbbe che vi sia poca ignoranza, siamo istruiti; ma oggi qual’? lo strumento per discernere nel bombardamento di parole cui siamo sottoposti?4. A me pare che l’insegnamento di don Milani non sia rivolto a noi che, in qualche maniera, siamo un po’ svincolati, meno dipendenti dai media, ma sia rivolto piuttosto al popolo della televisione, dipendente da essa e per ci? stesso meno avveduti sulla realt? che stiamo vivendo. Penso che oggi don Milani chiamerebbe in campo la scuola, l’informazione, le stesse ACLI.5. Mi ha colpito la frase di don Milani "uscire da un problema ? solo avarizia, uscirne insieme ? politica". Tempo addietro Levinas sosteneva che la totalit? ? la negazione dell’alterit?, quindi fonte di violenza, egemonia e avarizia; in pratica quei peccati che ci portano a chiuderci in noi stessi e a non guardare all’altro, negando le differenze. Il principio di alterit? non pu? essere colto solo attraverso la conoscenza o lo studio, quanto piuttosto attraverso la Parola; penso che le ACLI, proprio per la loro formazione e cultura possono giocare in questo campo un ruolo importante nel testimoniare, quanto don Milani ha portato avanti con la sua radicalit? di pensiero e di azione nel riconoscimento dell’altro, che per lui non ? un "altro generico", ma un "altro" ben identificato, una persona.Una affermazione di don Milani pu? essere una risposta al primo intervento, laddove egli sostiene che la chiesa per lui ? come la mamma: "al primo ordine del mio vescovo rinuncio alle mie idee e sto nella chiesa per i sacramenti e non per le mie idee".6. Pensavo ai bimbi degli stranieri in Italia che, soprattutto nella scuola primaria, sono in difficolt? e che vengono visti dai genitori degli altri bambini

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come un intralcio che rallenta lo svolgimento dei programmi. Come agirebbe don Milani e che risposta darebbe ai genitori tanto preoccupati?7. Mi dicono che altre culture si stanno impossessando di don Milani e noi dobbiamo vigilare non tanto perch? don Milani sia "nostro", ma perch? non venga visto come una bandiera da certa parte politica. Se ancora oggi sono impegnato in politica, nella scuola e nel sociale, lo devo a don Milani e ricordo che nel 67/68 abbiamo letto in oratorio, per un intero anno, tutti gli scritti di don Milani. L? abbiamo letto del primato della coscienza, della formazione, il modo di vedere lo spirito critico, soprattutto nei confronti della chiesa e quindi l’importanza di valutare le cose con la propria coscienza, ma con la fedelt? che non deve venire mai meno nei confronti della chiesa. E poi tutto il discorso sulla legalit? e la responsabilit?.Nell’oggi anch’io mi chiedo cosa ci insegna don Milani: possiamo dire che oggi si avverte la mancanza della Parola con la P maiuscola? Oggi con la scuola dell’obbligo, il possesso della parola non assume l’emergenza di allora, per? io credo che - pur in questa scolarizzazione - vedo una mancanza di capacit? di lettura della realt?.Oggi viviamo in una realt? in cui l’I care di don Milani non lo si vede pi? ed io credo che il nostro ruolo sia quello di trasmettere una concezione fondata sull’I care e non sull’interesse personale. Se c’? una sollecitazione da fare alle ACLI ? quella di riprendere a fare scuola popolare di formazione delle coscienze per poter leggere e saper interpretare la realt? con responsabilit? nella libert?.Sull’esempio di don Milani credo che dall’adesione al Vangelo si debba continuamente reinventare le modalit? con le quali all’interno della societ? la chiesa vive i propri ruoli.8. Io sono preoccupato non tanto della diffusione o della conoscenza della parola con la P maiuscola, quanto per la manipolazione della parola che oggi viene esercitata. Oggi un parlamentare che legifera sulla base della propria cultura personale, dove trova un piano educativo che ci porti a fare sintesi? La recente settimana sociale dei cattolici ha dato qualche segno di speranza oppure ? stato solo un evento celebrativo?9. Esperienze Pastorali ? per me un perfetto manuale per un giovane seminarista e, a mio parere, dovrebbe essere il libro di pedagogia dei seminaristi: si pu? farlo diventare tale nella Diocesi di Milano?10. Quando ascolto il brano del Vangelo dove si dice del cammello che non pu? entrare nella cruna di un ago, poi le omelie che seguono cominciano dicendo che Ges? non voleva condannare la ricchezza, ma solo l’uso che di essa se ne fa. Io rimango perplesso perch? se all’invito di Ges? perch? il nostro parlare sia "s? s?, no, no", si sostituisce il "ni" si crea confusione. Ges? condanna il ricco, la ricchezza, non fa distinguo.

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L’esperienza di don Milani - pur di fronte a grandi problemi - ci fa capire che anche in pochi si pu? riuscire in imprese ritenute impossibili.RisposteA chi si rivolge oggi don Milani? Si rivolge anche a coloro che pur padroni della parola, sono preda di stereotipi, luoghi comuni, televisione davanti alla quale siamo tutti pi? o meno passivi.Credo che questo lavoro di presa di coscienza di fronte a problemi seri sia importante: sappiamo tutto sulla cronaca nera e rosa che solleticano la nostra morbosit?, mentre il servizio pubblico fatica a farci prendere coscienza su altri problemi che toccano da vicino la vita delle persone, per esempio, la finanziaria.Credo che don Milani si rivolgerebbe a queste persone ma anche a quelle fasce di estraneit? che pure sussistono all’interno della nostra societ?, quali i bambini, figli di immigrati, sovente considerati nella scuola una zavorra di cui liberarsi, ma proprio per questo la scuola dovrebbe avere per loro una attenzione privilegiata. Credo pertanto che la lezione di don Milani mantenga la sua attualit? e, guardando nelle pieghe di questa nostra societ? - per altri aspetti molto sviluppata - credo che esistano ancora tante Barbiane nelle nostre citt? e il pensiero di don Milani domanda a noi un investimento creativo, domanda di guardare con attenzione nelle pieghe della nostra societ? le Barbiane nelle quali un lavoro di appropriazione della parola si pu? e si deve ancora fare. Credo anche che la vostra associazione possa avere un ruolo significativo in questo ambito, data la sua vocazione formativa.Per quanto riguarda la preoccupazione sull’attenuarsi delle grandi eredit? ricevute, quasi a voler dilapidare un patrimonio ricevuto, per esempio, dal Concilio, vorrei aprire una parentesi: io credo che una delle ragioni per cui Benedetto XVI? ha consentito il ricupero del Messale precedente al Concilio nasca da una lettura dello stesso Concilio non come svolta, ma come continuit? nella tradizione, intendendo che il Concilio non ? uno spartiacque. Personalmente credo che la innovazione conciliare vada costantemente richiamata, cos? come il suo contributo su tanti temi, in primo luogo quelli della pace e della guerra. Su questo tema esiste l’unica condanna del Concilio, a differenza dei concili precedenti che presentavano la dottrina e poi la lista degli errori da condannare.A mio parere ? questo lo spartiacque e credo che su questo Giovanni Paolo II? sia stato un testimone intransigente e coraggioso del Concilio tanto che sia nella chiesa che nelle varie cancellerie ? stato isolato. Su questo tema l’eredit? del Concilio non va dissipata.In un intervento ? stato ricordato Levinas, da me personalmente conosciuto e frequentato come maestro: Levinas ci ha aiutato a pensare i totalitarismi che hanno insanguinato l’Europa a partire da quello che lui chiama "pensiero della totalit?" un pensiero che, in qualche maniera, pretende di inglobare tutte

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le diversit?, tutte le alterit? del mio "io". Questo pensiero ? fecondo di stimoli per il rapporto con l’altro, con il diverso, per il riconoscimento della sua alterit? vincendo la pretesa che ognuno di noi ha da fare di s? il centro e di inglobare l’altro nel proprio orizzonte.Per quanto riguarda il rapporto tra don Milani e la chiesa, un rapporto - ad un tempo - di rigorosissima obbedienza fino a finire in uno sperduto villaggio destinato all’estinzione come cura d’anime, ma insieme la grande franchezza (parresia, vale a dire il parlare franco) che ? propria dei discepoli del Vangelo: non un parlare calcolato in cui si misurano le parole per non disturbare il manovratore, ma la franchezza e la fedelt? alla chiesa e alle sue decisioni attraverso il suo vescovo. Io credo che si debba stare nella chiesa con questa duplice fedelt?, non rinunciando mai all’esercizio della libert? della propria coscienza che ciascuno di noi deve rispettare e fare le proprie scelte alla sua luce. Il Concilio la chiama sacrario, dunque luogo inviolabile in cui n? autorit? umana, n? autorit? religiosa hanno diritto ad entrare.Sulla povert? qualcuno sostiene che ? sufficiente avere l’intenzione di essere poveri, se poi ha le mani e le tasche piene questo ? un altro discorso. Provate a ricordare la pagina in cui Ges? si confronta con il ricco Zaccheo che dice: met? dei miei beni ai poveri e a quanti ho frodato restituisco il quadruplo. Zaccheo ristabilisce la giustizia e viene incontro ai suoi doveri di solidariet? e anche per lui ? arrivata la salvezza.Dunque il messaggio evangelico sulla povert? non ? un messaggio che possa accettare che solo le intenzioni siano distaccate e povere: le scelte effettive devono essere tali e devono essere nel segno della giustizia e nel segno della condivisione. Del resto sappiamo che l’insegnamento profetico nei confronti della ricchezza che deriva dall’ingiustizia, ? un insegnamento violentissimo e, prima di dire la beatitudine della povert?, bisogna dire la maledizione della povert? quando essa non ? libera scelta, ma ? condizione e frutto di ingiustizia, sopraffazione e distribuzione iniqua delle risorse. Poi certo c’? la scelta personale e don Milani l’ha fatta, lui che veniva da una famiglia dell’alta borghesia e si ? liberato delle sue cose, incluso il suo sapere, messo a disposizione dei suoi ragazzi. Per questo - due giorni prima di morire - pu? dire che "il cammello passa per la cruna di un ago".Che "Esperienze Pastorali" possa essere un testo per i seminari della Diocesi di Milano ? questione da sottoporre al rettore del Seminario o a chi per esso, ritengo che tra tutti i libri di don Milani sia certamente quello che meglio ci aiuta a ritrovarne la personalit?.Domande bis1. Michele Gesualdi diceva che quando ? stato ritirato "Esperienze Pastorali" ? stata una grande sofferenza, una sconfessione. Chiss? che non possa arrivare adesso una qualche forma di encomio, dopo tanta ingiustizia. A volte un gesto vale molto di pi? di mille parole.

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2. A proposito dell"Obbedienza non ? pi? una virt?" la cosa che mi sconcerta ? che quando parlano le gerarchie c’? tanta gente - a partire dai politici - che si precipita a dire che hanno ragione e va loro portato rispetto.A mio parere questo atteggiamento non aiuta a crescere i laici e la chiesa stessa. Per quanto riguarda la formazione oggi le parrocchie non fanno formazione sociale, forse non sono in grado di farla, si vedono allora persone con formazione politica che entrano in parrocchia. A me sembra che debba essere il contrario.3. In questi tempi si ha paura delle diversit? e delle alterit?. Quanto questa paura ? veramente da attribuire alla effettiva diversit? e quanto invece ad un assottigliamento della nostra cultura?4. Nel paese in cui vivo abbiamo fatto due iniziative su don Milani ed abbiamo scelto di tenerle nei luoghi della parrocchia per proporre ai giovani e alla comunit? il suo messaggio alle nuove generazioni. La scorsa domenica, in una parrocchia vicina, durante la Messa, in accordo con il parroco, l’omelia ? stata sostituita dalla proiezione della storia dell’oratorio locale in cui si ? visto cemento, costruzioni varie per giocare, fare sport... In pratica, durante la proiezione durata dieci minuti non si ? sentita una sola parola sul ruolo educativo e formativo dell’oratorio. Questo la dice lunga sulle priorit? delle nostre parrocchie.5. A trent’anni dalla morte di don Milani, siamo andati a Barbiana a visitare i luoghi in cui egli ha vissuto e una risposta alle domande che si sono succedute questa mattina la si trova scritta in un cartello in un cartello posto nell’aula dove lui ha insegnato "I care", cio? mi sta a cuore, mi prendo cura di te, la stessa cosa che dovrebbe stare a cuore anche oggi agli insegnanti.In estate andiamo a Selva di Val Gardena per giornate di studio dai Gesuiti ai quali ? stata donata la villa da una anziana coppia i quali dicono molto semplicemente di essere l? ad amministrare ci? che il buon Dio ha messo nelle sue mani.Durante una lezione alla scuola di Teologia, il relatore parlava di Nietzsche, filosofo, radicale, critico con la chiesa e concludeva cos?: "utilizzate le vostre coscienze quando siete in mezzo agli altri perch? se nessuno di voi usa il suo libero arbitrio, rimane bambino". Come peraltro ? successo a Nietzsche, finito folle.6. Lo scorso anno le ACLI di Bergamo hanno organizzato a Bose un incontro proprio sulla parresia ed Enzo Bianchi ha esordito dicendo di essere stato presente al Congresso della ACLI a Torino del 2003, "cosa che aveva fatto malvolentieri perch? - diceva - da qualche anno non capisco pi? le ACLI ".Qualche giorno prima della rimozione del Vescovo Bregantini da Locri, il Card. Ruini ? stato intervistato dal Corriere della Sera. Nell’intervista il cardinale sosteneva che la chiesa viene attaccata da pi? parti perch? essa sta vincendo. Sta vincendo davvero? Ecco allora il problema urgente del laico

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che purtroppo non ? ancora convinto di avere un ruolo importante negli organismi ecclesiali. Noi laici dobbiamo avere molta pi? stima di noi stessi con la consapevolezza di essere capaci e competenti nell’ambito della comunit? in grazia del battesimo che abbiamo ricevuto, per?, intorno a questo argomento, dobbiamo perdere molto tempo nel prepararci.RisposteQuest’ultimo intervento si ricollega al primo di questa seconda tornata e dice la difficolt? dell’emergere di una presa di coscienza in temi sociali e politici all’interno delle nostre parrocchie.Il problema esiste, le nostre comunit? in questi anni stanno scegliendo di non occuparsi di queste questioni ad evitare che emergano le opzioni politiche di partito dei diversi parrocchiani. Caduto il ruolo della Democrazia Cristiana che, in qualche modo, faceva da contenitore, il bipolarismo che c’? nelle aule parlamentari si ? trasferito nelle nostre comunit? con la conseguenza del mutismo per evitare lo scontro e il litigio. A questo punto il rischio ? che l’insegnamento sociale della chiesa venga messo da parte e si faccia una sorta di fuga di carattere spirituale che non fa sporcare le mani e non porta a scomuniche reciproche.Sulla paura della diversit?: oggi essa ? accentuata perch? la diversit? ce l’abbiamo in casa, ma io credo che la paura nasca dalla incapacit? a dialogare. Non ? avendo una identit? forte che potremo confrontarci con gli altri senza timore, ma ? necessario riapprendere la capacit? di dialogo che significa riconoscenza all’altro della dignit?, l’altro che mi pu? dare - a sua volta - qualcosa in quanto portatore di valori. Certo il dialogo ? un esercizio impegnativo di riconoscimento dell’altro, ma anche dei propri limiti.Il video sull’oratorio: che vi sia una attivit? ricreativa e sportiva intensa credo non sia un male, per? accanto a questa vi deve essere un progetto di formazione: se questa manca, l’oratorio viene meno alla sua funzione.Sulla questione del ricco come amministratore dei beni: questo ? molto interessante, per? il problema ? che di fronte alle grandi diseguaglianze non pu? bastare la testimonianza limpida e coraggiosa di una famiglia che pratica uno stile di vita sobrio. Siamo di fronte a problemi che richiedono un investimento di intelligenza politica ed economica che ben va al di l? della buona volont?, dell’altruismo di una famiglia. Problemi per i quali non basta la somma delle buone volont? dei singoli; abbiamo problemi di economia globale per i quali non basta l’appello allo stile di vita misurato, fatto salvo l’apprezzamento per ogni testimonianza di generosit?.In questo contesto la chiesa potrebbe dire la sua, cos? come potrebbe dare qualche pi? trasparente ragguaglio sulle finanze vaticane nel campo degli investimenti e dei flussi finanziari.

 

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Un nuovo stile di vita per un mondo nuovoForneletti – 9 novembre 2008

 

 

Giacomo MantelliPresidente Circolo ACLI S. Polo-BresciaA questo incontro vogliamo dare alcune caratteristiche:? un incontro tra diverse esperienze dei vari circoli ACLI di varie province della Lombardia e del Veneto per poterci confrontare e aiutare;

vuole essere una presa di posizione su temi importanti sia a livello locale che a livello globale, temi che vanno dall’energia nucleare a contingenze di livello locale;

dopo questo incontro possiamo pensare ai servizi delle ACLI che, anche loro, dopo una presa di coscienza potrebbero aprire sportelli informativi per aiutare le persone ad affrontare le varie questioni di cui hanno bisogno una mano;

la promozione degli stili di vita e la salvaguardia dell’ambiente e del creato: passano attraverso i comportamenti singoli e di gruppo. Perci?, al termine di questa giornata dovremmo imboccare strade nuove.

Il relatore Fausto Piazza (che sostituisce Lorenzo Guadagnucci), ? collaboratore di Missione Oggi, con Gianfranco Bologna e Francuccio Gesualdi scrive il libro "Invito alla societ? felice", fa parte dell’organizzazione dei "bilanci di giustizia", ? promotore del Gruppo Acquisti Solidali (GAS) del Circolo ACLI di S. Polo. 

 

Relazione 

Fausto Piazza"Quando non ci sono i cavalli, vanno bene anche gli asini", dice cos? il relatore per giustificare la sostituzione con Lorenzo Guadagnucci.Per stimolare una riflessione incomincer? a proporvi il seguente video, costruito negli Stati Uniti, si vede che nell’esporre i problemi, ha uno stile diverso dal nostro anche se certi spunti potrebbero interessare anche noi

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Testo del videoTitolo originale: Story of stuff. E’ reperibile sul sito www.storyofstuff in lingua inglese.Io sono abbastanza ossessionata nel vedere questa realt?: stiamo osservando come finiscono le cose che comperiamo quando le buttiamo via. Mi sono interessata e ho scoperto che i nostri libri di scuola ci dicono che ci sono diversi stadi del procedimento: l’estrazione, la produzione, la distribuzione, il consumo e lo smaltimento; questo sistema viene chiamato "economia dei materiali" Poi ho scoperto qualcosa di pi? girando il mondo e ricostruendo da dove arrivavano queste cose, ho pure scoperto che c’? dell’altro: questa spiegazione che ci viene data ? assolutamente incompleta.Tanto per incominciare sembra che l’attuale sistema vada benissimo ma esso non pu? funzionare per sempre su un pianeta limitato quale ? il nostro. In ogni stadio il sistema interagisce con il mondo reale, nella vita reale tutto ci? non accade, perch? questo sistema influenza le culture, l’economia e l’ambiente. In tutto questo percorso si scoprono i limiti che non vediamo perch? questo diagramma ? incompleto.Quindi torniamo un attimo indietro e vediamo cosa manca. Notiamo subito che qui mancano le persone, le persone che vivono e lavorano in questo sistema ma alcune sono pi? importante di altre, alcune hanno pi? voce in capitolo.Incominciamo dal governo, si dice che bisogna disegnare un carrarmato per rappresentare il governo, il che ? vero e, in molti stati, pi? del 50% della spesa pubblica va a finanziare le operazioni militari. Io user? una persona per rappresentare il governo, invece i governi dovrebbero essere del popolo, fatti dal popolo, per il popolo. E’ compito del governo prendersi cura di noi, poi arrivano le multinazionali e sembra che le multinazionali contino pi? del governo. Tra le maggiori strutture di economia mondiali, oggi, cinquantuno sono multinazionali. Dal momento che le multinazionali sono cresciute si ? notato anche un diverso atteggiamento dei governi, il governo si occupa pi? di loro che di noi.Incominciamo dall’estrazione: questa ? una espressione carina per significare la distruzione del pianeta, abbattiamo alberi, facciamo saltare per aria intere montagne per costruire strade, tagliamo le risorse idriche ed ecco al nostro ultimo limite: stanno esaurendo le risorse naturali. Questa ? la verit? che dobbiamo affrontare. Negli ultimi decenni le risorse del pianeta sono state consumate fino a compromettere le capacit? del nostro pianeta di rinnovarsi. Negli Stati Uniti sono rimaste meno del 4% delle foreste originarie, il 40% dei corsi d’acqua sono diventati non potabili, non solo stiamo usando troppe cose, ne stiamo usando pi? di quanto ce ne spettano. Negli Stati Uniti

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abbiamo il 5% della popolazione mondiale ma consumiamo il 30% delle risorse e creiamo il 30% dei rifiuti; se tutti consumassero come noi avremmo bisogno di tre, quattro, cinque pianeti. La risposta di ogni paese a questo stato di cose ? di tagliare ci? che appartiene agli altri, a quelli del terzo mondo.A proposito della distruzione del pianeta, il 75% delle riserve di pesca sono sfruttate al di sopra delle loro capacit?, l’80% delle foreste sono state abbattute, solo in Amazzonia tagliamo 2.000 alberi ogni minuto (sette campi di calcio ogni minuto) e le persone che ci vivono da secoli non sono proprietari delle risorse, non posseggono mezzi di produzione e le materie prime vengono usate per creare energia producendo rifiuti tossici, creando cos? prodotti contaminati. Attualmente in commercio ci sono centomila prodotti chimici che influiscono sulla salute umana. Non siamo a conoscenza di quanto queste sostanze tossiche influiscono sulla salute delle persone e sull’ambiente: queste sostanze tossiche che influiscono sulle cellule celebrali le usiamo per i computer, attrezzi vari e persino sui cuscini, dove per otto ore ogni notte poniamo la nostra testa.Gli stessi prodotti per bambini hanno una percentuale di tossicit?, questo ci fa dire che siamo arrivati ad un punto critico. L’allattamento ? un atto fondamentale per l’elemento umano, per questo dovremmo proteggerlo. Coloro che vengono in contatto con elementi tossici sono prevalentemente gli operai, sia uomini che donne che non hanno altra scelta per guadagnarsi da mangiare.Questa situazione porta continuamente le persone verso la citt?, verso i luoghi di produzione accettando tutto quanto pur di guadagnare qualcosa, anche lavori che usano sostanze tossiche. Ogni anno si producono due milioni di tonnellate di sostanze tossiche che vengono prodotte anche negli ambienti di lavoro ma che, attraverso le correnti atmosferiche, inquinano gran parte del continente.Cosa succede quando questi materiali inquinanti vengono trasformati in prodotti? Vengono venduti a basso prezzo, con sconti, per incentivarne la vendita. Chi, allora, ha pagato perch? si potesse vendere a cos? basso prezzo? Hanno pagato i paesi d’origine, mediante lo sfruttamento sul lavoro, con il lavoro malsano e inquinante, con paghe bassissime: tutto questo ha reso possibile un prezzo alla vendita cos? basso.Il 30% dei bambini del Congo hanno dovuto abbandonare la scuola per lavorare nelle miniere: anche questi hanno pagato non avendo alcuna assicurazione sanitaria. Ecco come organizzano il lavoro le multinazionali. Questo ? il cuore del sistema, il motore che muove tutto e si fa di tutto per proteggere questo sistema. Ecco perch?, dopo l’11 settembre, quando la nostra nazione era sotto shock, il Presidente Bush avrebbe potuto dare diversi consigli, invece no, disse il contrario.

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Siamo diventati una nazione di consumatori, la nostra attivit? principale ? quella di consumatori, non medici, non insegnanti, non coltivatori ma consumatori. Noi siamo importanti nella misura in cui consumiamo. Consumiamo, comperiamo, comperiamo e consumiamo e aumentiamo il consumo di materie prime. Indovinate quale percentuale delle materie che usiamo con questo sistema ? ancora in uso sei mesi dopo la vendita in Nord America? Cinquanta per cento, venti per cento, no. L’uno per cento. In altre parole il 99% del materiale che raccogliamo viene distrutto entro sei mesi. Come possiamo fare funzionare il pianeta con un tasso di smaltimento del genere?Oggi l’americano medio consuma il doppio dell’americano di cinquant’anni fa. Chiedete a vostra nonna quale capacit? di gestione della famiglia c’era allora. Come ? potuto accadere tutto questo? Non ? accaduto per caso, ? stato fatto accadere; appena dopo la fine della seconda guerra mondiale ci si ? chiesti come fare per far galoppare l’economia. La risposta fu che bisognava lavorare in modo che il consumo diventasse sistema e fare in modo che il consumismo prevalesse su ogni altra scelta: fare in modo che la merce venga consumata ad un ritmo sempre maggiore. Il pi? qualificato consulente del Generale Eisenhower diceva che lo scopo dell’economia americana era quello del maggiore consumo, non quello dell’assistenza sanitaria, non un sistema di trasporto sicuro, non sostenibilit? e giustizia, ma beni di consumo.Come hanno fatto a farci accettare questo programma? Con una strategia dell’opzione "scelta pianificata" e dell’opzione "scelta percepita". L’opzione "scelta pianificata" vuol dire progettare per la discarica, per questo vengono progettati prodotti in modo da renderli inutili il pi? presto possibile per spingere le persone ad acquistare nuovi prodotti. E’ evidente che qui stiamo parlando di cose come i sacchetti e i bicchieri di plastica e ora la situazione sta peggiorando ancora con la costruzione di computer e televisori.Avete fatto caso come la tecnologia cambi cos? velocemente da considerare inutile il vostro PC nel giro di soli due anni. Ho smontato un grosso PC per verificare l’interno: c’? solo una piccola parte che dovrebbe essere sostituita, ma la logica ? quella di buttare il PC e acquistarne uno nuovo.Ho letto alcune citazioni di un giornale di design degli anni ‘50 ed ho notato la differenza con gli attuali in materia di consigli per il consumatore: sono abbastanza espliciti dicendo che quando un pezzo si rompe ? bene comprarne uno nuovo, anzich? ripararlo. Quindi era tutto premeditato.Ma le cose non si rompono cos? in fretta, ecco perch? esiste l’altra opzione quella della "scelta percepita" che ? quella scelta che ti convince a buttare anche una cosa che funziona perfettamente: come riescono a farlo? Semplice, cambiando l’aspetto dell’oggetto in modo che se l’aveste acquistato due anni fa, oggi non sembrerebbe pi? attuale e ti troveresti davanti ad una situazione imbarazzante.

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Questo monitor bianco che ha sulla scrivania ha cinque anni, la mia collega ne ha appena acquistato uno nuovo, tipo piatto, con il suo telefono incorporato e perfino con la sua penna: sembra stia guidando una navicella spaziale e sembra che sulla scrivania abbia una specie di lavatrice.Non vi siete mai chiesti perch? i tacchi di una donna un anno sono bassi e l’anno dopo sono alti? Non c’? stato alcun dibattito intorno a quale tipo di scarpa ? pi? adatta ai piedi delle donne, eppure un motivo ci sar?: semplicemente per fare acquistare ogni anno un paio di scarpe nuove e la pubblicit? aiuta questo processo: ognuno di noi viene bombardato ogni giorno con tremila annunci pubblicitari. Subiamo pi? pubblicit? noi in un anno che una persona di cinquant’anni fa nel corso dell’intera vita. Lo scopo dello scoop pubblicitario ? quello di farci sentire infelici di ci? che abbiamo, quindi tremila volte al giorno dicono che i nostri capelli non vanno bene, che le nostre auto non vanno bene, noi non andiamo bene, ma tutto ci? pu? andare a posto se andiamo a fare un po’ di spesa.I media contribuiscono a tenere nascosto tutto ci? in modo che l’unico stadio dell’economia dei materiali che noi vediamo ? l’acquisto. L’estrazione, la produzione e lo smaltimento dei rifiuti rimangono fuori dal nostro campo visivo. Negli USA non abbiamo mai acquistato cos? tante cose ma i sondaggi ci dicono che non siamo mai stati cos? tanto infelici. Il periodi di massima felicit? sembra sia stato quello attorno agli anni ‘50, proprio quando ? esplosa la mania dei consumi.Una coincidenza interessante e penso di sapere il perch?: abbiamo sempre pi? cose, ma sempre meno tempo per le cose che ci rendono felici: gli amici, la famiglia, il tempo libero. Non abbiamo mai lavorato cos? tanto; alcuni esperti affermano che abbiamo meno tempo libero ora rispetto al periodo della societ? feudale e sapete quali sono le attivit? che svolgiamo pi? frequentemente durante il nostro tempo libero? Guardare la televisione e fare la spesa. Negli USA fare la spesa occupa pi? tempo che non l’insieme di tutte le attivit? che si svolgono in Europa.Siamo in questa situazione ridicola: lavoriamo tanto, facciamo magari due lavori, arriviamo a casa stanchissimi e ci buttiamo sul nostro divano a guardare la televisione e la pubblicit? ci dice che fai schifo e quindi ti tocca alzarti e andare al centro commerciale per comperare qualcosa che ci faccia stare meglio. Quindi dobbiamo lavorare di pi? per pagare pi? cose. Poi andiamo a casa e siamo stanchi, ci sediamo e guardiamo il televisore che ci dice di tornare al centro commerciale: un circolo folle e, alla fine, cosa succede alle cose che abbiamo comperato? Con tutto quello che abbiamo comperato non c’? pi? spazio nelle nostre case e, alla fine, il tutto finisce per aumentare a dismisura il volume della spazzatura.Questa ? la parte dell’economia dei materiali che conosciamo meglio perch? tutti noi, ogni tanto, dobbiamo buttare qualcosa nella spazzatura e tutti noi produciamo in media due chilogrammi di rifiuti che finiscono in discarica che

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non ? altro che una grande buca in cui si mettono i rifiuti che, bruciati o no, producono inquinamento dell’acqua, del suolo e dell’aria, senza dimenticare il riscaldamento climatico dell’atmosfera che si ottiene bruciando sostanze tossiche o meno e che produce diossina che ? una delle sostanze pi? tossiche che danneggiano l’uomo. Gli inceneritori sono i pi? grandi produttori di diossina.Alcune societ? non vogliono pi? costruire inceneritori per i rifiuti e pensano di esportarli perch? sono nocivi, mentre il riciclaggio pu? aiutare a risolvere una serie di problemi. Il riciclaggio riduce la quantit? di materiale da discarica: assolutamente dovremmo tutti riciclare, ma non ? abbastanza, non sar? mai abbastanza. La quantit? di rifiuti che escono dalle nostre case non sono solo che la punta di un iceberg: per ogni nostro bidone di spazzatura che ne sono settanta prodotti altrove. Quindi se anche noi ricicliamo il 100% dei rifiuti non riusciremmo a risolvere il problema. Inoltre molti rifiuti non possono essere riciclati, sia perch? contengono troppe sostanze tossiche, sia perch? sono fatti apposta per non essere riciclati come quelle confezionate con un mix di metallo, carta e plastica: ? impossibile separare le varie materie e riciclarle.Come si vede questo ? un sistema in crisi, in tutte le situazioni ci stiamo scontrando con ci? che produce il cambiamento climatico. In tutta questa situazione c’? anche un fatto positivo cio? che si pu? intervenire in tutta una serie di situazioni: ci sono persone che lavorano per salvare le foreste, persone che si occupano dei diritti dei lavoratori, del commercio equo e solidale, del consumo consapevole, dei problemi delle discariche e degli inceneritori. Importante ? portare il nostro governo sulla retta via.Tutto ci? ? estremamente importante, ma le cose incominceranno a muoversi quando tante persone, all’interno di questo quadro generale, incominceranno a muoversi nel buttare via la vecchia mentalit? "dell’usa e getta".C’? una nuova scuola di pensiero al riguardo che ? basata sulla sostenibilit? della chimica verde, della produzione a circolo chiuso, delle energie rinnovabili, dell’economia locale: ci? sta gi? accadendo. Alcuni dicono che ci? non ? realistico, non pu? avverarsi: quello che succede attualmente ? frutto di scelte di persone educate alla vecchia maniera. Anche per noi ? importante che ci educhiamo alla partecipazione e con una nuova mentalit?.Fine Filmato 

 

Riprende la relazioneIl video dura venti minuti in tutto. Una delle cose positive della globalizzazione ? che attraverso i nuovi strumenti di comunicazione si superano le distanze. Il quadro descritto dal filmato ? drammatico.

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In un dossier di "Le monde diplomatique", un atlante geo-politico che parla di tematiche ambientali, tra l’altro, dice che in Italia il quindici per cento delle persone vive sotto la soglia della povert? (un settimo delle famiglie italiane) e la situazione sta peggiorando, mentre su scala planetaria, dal 1960 al 2005 (fonte Banca Mondiale, quindi al sopra di ogni sospetto) si ? allargata la forbice tra i paesi ricchi e quelli poveri. In realt?, se potessimo andare a vedere altre forbici, per esempio, all’interno dei paesi ricchi si vede una situazione analoga: alcuni hanno fatto affari, altri sono rimasti al palo. E lo stesso vale per chi abita nei paesi poveri a causa della ripartizione delle ricchezze. Nei paesi cosiddetti in via di sviluppo, accanto alle bidonville, ci sono le ville dei signori circondate da sistemi di protezione con guardie private a causa di una sindrome di paura della parte di chi si trova ad avere molto ma ? circondato da una massa di gente che ha poco o nulla.E’ una situazione che stiamo incominciando a vivere anche noi a prescindere dai quattrini che abbiamo, impauriti come siamo dell’invasione da parte degli immigrati, che diventeremo tutti islamici, che ci porteranno via il lavoro e che ci costringeranno a cambiare vita. Sono tutte paure legate fondamentalmente al rischio di perdere qualche cosa che pensiamo di avere conquistato con grande fatica e che pensiamo sia messa in gioco dai nuovi arrivati. Ci chiediamo se ci ricordiamo che, nel recente passato, siamo stati immigrati anche noi e i motivi per cui le persone si spostano dai loro paesi sono molteplici.Se le condizioni di vita l? non sono sostenibili: chi ? sotto la soglia dei due dollari al giorno viene considerato povero, ma vi ? pure chi ha meno di due dollari e chi meno di un dollaro al giorno: una misura convenzionale che non rende l’idea della realt?. Nel mondo ci sono almeno due miliardi e mezzo di persone che non sanno quello che gli capiter? il giorno dopo, se potranno mangiare o meno, gente che non ha futuro perch? non sono in grado di pianificare la loro esistenza. Quindi ci sono persone che non hanno nulla da perdere se si mettessero in viaggio per emigrare in cerca di speranza; per questo sono disposte anche a morire.Quando qualcuno non ha paura di perdere la propria vita per raggiungere l’obiettivo che si era proposto, ? inarrestabile. L’unico modo per fermarli ? mandare le cannoniere sui nostri mari e, quando vedono uno di questi barconi, affondarli. Inconsciamente, in alcuni ragionamenti, queste sono operazioni che condividiamo, sosteniamo e finanziamo.Naturalmente nessuno ? d’accordo di arrestare in questa maniera il fenomeno dell’immigrazione, perch? ? eticamente negativo, ma ragioniamo sul come mandarli indietro e come mantenerli a casa loro.Apriamo altre tabelle che ho scaricato, per esempio, il filmato ci parlava che l’americano medio consuma il doppio degli altri. L’America riceve grandi contributi dall’Asia ma anche dall’Europa e, tutto sommato, scambia con questi sistemi molto meno; ? dimostrato che oggi gli americani sono i pi? grandi consumatori del mondo, ? vero che attraggono risorse da tutti gli altri e ci? dimostra che il sistema economico oggi ruota tra Europa, Asia e America. L’Africa (l’America Latina ?

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ancora marginale ma sta crescendo) ? tagliata fuori; l’Africa ? oggi il continente pi? povero, anzi ? il continente che viene costantemente impoverito.Ora tutto questo grande sistema di produzione-consumo non ? che ci vede estranei. Il video ha mostrato alcune situazioni americane che, dopo circa una decina d’anni, arriverebbero anche da noi. In America queste politiche sono iniziate con Reagan e si sono allungate le sperequazioni sociali. Ora tocca a noi. L’attuale maggioranza politica in Italia ci sta portando verso un capitalismo sfrenato di cui stiamo gi? percependo le prime avvisaglie. Attualmente in America, nonostante lavittoria di Obama, non ? detto che riescano a fare marcia indietro con scelte diverse. Per esempio, gli Stati Uniti oggi sono i maggiori inquinatori del mondo che non hanno ancora firmato il protocollo di Kyoto, Barak Obama non si ? impegnato a fare azioni virtuose di riduzione nell’utilizzo dell’energia, perch? vorrebbe dire fare cose che diceva prima il filmato. Ed anche da noi, se si potesse fare una analisi di questo ultimo tempo, il fatto che sia stata cambiata la maggioranza di governo da centro-sinistra a centro-destra non ha introdotto cambiamenti significativi perch? il paradigma fondamentale ? quello che abbiamo visto nel video, cio? prelievo di risorse e consumi sfrenati. E’ questo un processo lineare dell’economia del nostro paese, un processo di accumulazione che viene in parte ridistribuita e in parte accumulata.Siamo ormai in un periodo di recessione economica, cio? occorrer? consumare meno, il che si concretizzer? in una diminuzione della possibilit? delle persone che avranno meno reddito e acquisteranno sempre di meno. Su questo grafico vengono mostrate le scoperte di petrolio in riferimento a questi ultimi anni e di quanto se ne consuma. Nel passato le estrazioni del petrolio erano ingenti ma ora iniziano a diminuire, anche se la produzione per un po’ andr? ancora avanti cos? ma si pensa che dal 2010 inizier? anche la discesa di produzione del petrolio. La diminuzione di consumo di petrolio comporter? un aggiustamento della nostra economia perch? tutta la moderna produzione industriale si basa sulla disponibilit? di grandi quantit? di energia in poco tempo. 

Le attivit? produttive prima dell’era industriale si erano sviluppate essenzialmente con la forza dell’energia solare che si presentava sotto varie forme: da quella del legname da bruciare, sotto forma di energia eolica, oppure erano le acque che al calore del sole evaporavano e, con le piogge, si alimentavano i fiumi e le cascate che producevano energia elettrica. Quindi la fonte vera dell’energia era il sole, una fonte abbondantissima e usata in modo articolata. Invece il petrolio ci ha messo a disposizione una energia immagazzinata in millenni e noi, a poco a poco, stiamo consumando questa energia accumulata. Le conseguenze di questa situazione le conosciamo tutti perch? questa non ? una fonte inesauribile, in quanto ci? ? stato prodotto dalla trasformazione delle piante che marcivano producendo una riserva di energia che dava inizio a giacimenti di carbonio, prodotto che noi oggi estraiamo dal sottosuolo. Il consumo di questi prodotti produce CO2 che ? il pi? grande

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responsabile dell’effetto serra che rilancia nell’atmosfera quel gas che c’era quando noi non c’eravamo ancora.Adesso stiamo subendo le conseguenze, quello del riscaldamento globale. Nel grafico vengono rappresentati i picchi di concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera a partire da quattrocentomila anni prima di Cristo. E’ un dato che gli studiosi hanno ottenuto forando i ghiacciai dell’Antartide ed hanno trovato delle bollicine di gas nei vari strati di ghiaccio, cos? facendo sono riusciti a risalire ai periodi della formazione di CO2 nell’atmosfera. Questo ? il picco massimo che si registra nei millenni di storia passata, mentre i picchi pi? bassi corrispondono alle ere glaciali.Ma quello che fa riflettere ? la freccia che sale quasi in verticale da quando inizia l’era industriale: ? un aumento che non ha precedenti nella storia del pianeta, almeno per quanto ne sappiamo noi. Pu? darsi che la terra, quando non si era ancora modellata nella forma attuale, era diversa. Guardando il grafico vediamo che il picco massimo consentito ? di 295 di CO2 ora siamo gi? a 385, siamo quasi oltre il 50% in pi? rispetto al picco massimo. Ci? vuol dire che siamo ormai fuori da ogni logica e nessun climatologo ? in grado di sapere cosa succeder? quando arriveremo, se arriveremo a livelli ancora superiori: per la specie umana ? un fatto totalmente inedito. Sulla base delle conoscenze che abbiamo, sappiamo che le conseguenze saranno molto pesanti perch? a causa di un forte riscaldamento del pianeta sui fenomeni atmosferici ci sar? un effetto gigantesco perch? ? stato immesso nell’atmosfera un surplus di energia (il calore ? energia). 

Gli eventi estremi (forti temporali, siccit?, gelate fuori luogo) da eccezioni diventeranno regola, cambieranno le situazioni atmosferiche: zone che in precedenza era fertili potrebbero inaridirsi o viceversa, i ghiacciai potrebbero scomparire con il conseguente innalzamento dei mari e degli oceani, la corrente del golfo potrebbe modificare il suo corso. Sono tutte ipotesi che nessuno ? in grado di prevedere con certezza.Comunque vadano le cose andiamo incontro a scenari negativi, di compromissione dell’equilibrio del pianeta, non siamo al punto di non-ritorno, ma ci stiamo avvicinando, per questo dobbiamo riflettere sul come organizzare il nostro futuro. Ecco il titolo di questo incontro "Per un mondo nuovo". Un mondo nuovo vuol dire un mondo che non ha le caratteristiche attuali, perch? quanto ? successo nel passato ? avvenuto perch? lo abbiamo voluto noi: abbiamo creato una situazione tale che dobbiamo cambiare e, per riuscire, dobbiamo fare una operazione virtuosa partendo dal dirci con estrema chiarezza che il contesto in cui viviamo ? prevalentemente negativo: il consumismo non ? stata una cosa che si ? prodotta spontaneamente, ? nato da una considerazione che il desiderio di migliorare sempre di pi? ti garantisce all’infinito il processo di produzione, di consumo e di rifiuti.Il fatto di avere spinto la gente a non darsi limiti nel desiderio, ha reso tutti noi dei biliosi nel senso proprio del termine. Invece ? necessario coltivare la virt? che ? la capacit? di disporre di s?, che vuol dire dare una forma alla dignit? della persona,

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mentre il desiderio ? come l’espansione del proprio "io" che ? un processo appagante ma che porta alla distruzione di se stesso, che porta alla morte. 

Quando uno si abbandona all’infinit? del proprio desiderio senza mai contenerlo, arriva in una situazione in cui non dispone pi? di s? e, alla fine, si disgrega perch? ? culturalmente finito. Per questo, esercitare la virt? non ? rinunciare ma ? la capacit? di disporre del desiderio, vuol dire amministrare, saper contenere e indirizzare verso il bene, non verso la morte, ma verso la vita, nell’accrescimento della relazione, dell’amore, nel guardarsi negli occhi, nel mettersi in relazione.Nasce un figlio: l’amore tra marito e moglie non ? che una fetta di amore deve essere per il figlio e diminuisce l’amore tra i coniugi: nasce un figlio e l’amore aumenta; e cos? per il secondo e per il terzo figlio, e cos? via. In questo contesto quindi non c’? la morte ma l’arricchimento che ci fa crescere. Questa ? la virt? sia nella cultura laica che in quella che ha una sensibilit? religiosa, al contrario, oggi siamo in presenza della esaltazione dell’individuo anzich? fare scelte per il sociale e per la comunit?.Siamo arrivati al colmo che uno che possiede una fortuna spropositata, ci chiediamo: come fa a godere tutto questo ben di Dio? Noi, invece, siamo finiti, siamo limitati, pertanto non possiamo godere tutto e di tutto, ? una situazione demenziale che ci fa perdere il senso delle cose. 

Il vero comportamento virtuoso significa incominciare a ragionare in tema di obiezione di coscienza, che ? un atto di presa di coscienza che ci troviamo in un mondo che va da tutt’altra parte. L’obiezione di coscienza ? stata alimentata dalla convinzione che la guerra ? un atto di violenza, per cui io obietto, come facevano i primi cristiani e, per questo motivo, venivano uccisi Per fortuna per l’obiezione di coscienza moderna non c’? n? il carcere n? la morte, ma oggi obiettare vuol dire cambiare abitudini, cambiare appunto lo stile di vita, le scelte concrete quotidiane, il come fare la spesa e, siccome lo spostarsi ? parte integrante della vita, se negli spostamenti utilizzo mezzi pubblici anzich? quelli privati. 

Ecco cosa ? successo in Europa dal 1970 vediamo che la curva dell’incremento delle autostrade ? salita moltissimo, mentre sono rimasti al palo i trasporti su acqua e su ferrovia.Muoversi su gomma vuol dire produrre 4/5 delle emissioni di gas serra. Il sistema dei trasporti mondiali ? responsabile di 1/4 delle emissioni di gas serra, di cui l’80% ? prodotto dal trasporto su strada sia delle persone che delle merci.Quando acquistiamo un’automobile, qual’? il criterio che noi adottiamo nell’acquisto? Quella che va pi? forte, quella pi? grossa, oppure acquistiamo un’automobile che inquina meno, che ha dispositivi antinquinamento, che magari va anche pi? adagio: quindi non ? solo questione di tasca nelle scelte che facciamo, ma anche di atmosfera

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La maggior parte del processo tecnologico delle autovetture ? stato sulla linea delle automobili, sulle migliorie interne, sulla sicurezza dei passeggeri, ma sui motori non c’? stato alcun progresso, anzi... Questo non ? solo colpa dell’industria ma anche nostra, dei nostri gusti e, in base a questi, ? stata costruita anche tutta la pubblicit? che noi vediamo in maniera ossessionante in televisione.Altra cosa. La questione del costo della verdura fresca secondo i periodi dell’anno in quanto un tempo si consumava la verdura solo nella stagione in cui maturava. Oggi la stessa verdura l’abbiamo tutto l’anno e, se osserviamo, ci costa di pi? nel periodo della maturazione a differenza i quella importata. Perch? questa differenza di costi? La prima ? produzione nostra ottenuta mediante l’organizzazione del lavoro secondo le regole che ci siamo dati, l’altra invece arriva da mercati stranieri, dove la manodopera costa poco e le spese di viaggio sono minime. Quindi acquistare i prodotti di stagione, anche se costano di pi?, questo ? fare obiezione di coscienza, in quanto questo acquisto non danneggia il sistema di produzione locale e, nel frattempo, mi responsabilizzo, mi rendo cosciente per una spesa responsabile. 

 

Sono piccole cose, ma ? dalle piccole cose che si deve incominciare, non possiamo noi incominciare da quelle grandi in quanto noi non ne abbiamo la capacit?. Le piccole invece bisogna volerle realizzare e dobbiamo essere assolutamente coscienti del fatto che una scelta banale ? un atto di virt? e di responsabilit? nei confronti degli altri, dei poveri e un atto di responsabilit? nei confronti del pianeta; ? un atto di responsabilit? che ha come conseguenza il miglioramento della nostra vita e della nostra responsabilit?: questo ci rende liberi da condizionamenti.La figura del consumatore oggi ? centrale: la prova di questa situazione la vediamo nella pubblicit? che ci ? propinata in modo cos? martellante. Infatti i media spingono verso una serie di consumi proprio perch? sanno che il ruolo del consumatore oggi ? centrale. Oggi il consumatore conta pi? del lavoratore perch? il lavoro lo posso anche delocalizzare, lo posso sostituire con le macchine, ma il consumo no, non lo si pu? esportare.Le campagne di boicottaggio di certi prodotti, sono campagne che funzionano perch? prendono di mira il comportamento scorretto di un produttore e, non acquistando pi? quella merce, le vendite calano ed anche le entrate. Recentemente ho visto che la Ciquita Banana portava la dizione "abbiamo acquisito la certificazione etica SA 2.000". Il fatto stesso che una multinazionale come la Ciquita, e per chi ha un po’ di memoria, sa che ? quella multinazionale che ha finanziato il ritorno dei regimi militari in America Latina negli anni ‘70, e quindi soggetta a critiche da parte di associazioni di consumatori che hanno incominciato a fare acquisti altrove e che, tra l’altro, il Commercio Equo si ? messo in proprio nella vendita delle banane, Ciquita ha capito che, se voleva conservare il mercato che aveva, ha dovuto modificare il sistema di produzione nelle piantagioni di sua propriet?, per avere la certificazione etica.

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Questo vuol dire che il consumatore pu? fare pressione per cambiare le regole del gioco ed ? necessario e urgente prendere coscienza delle nostre capacit?, dobbiamo "volere" essere capaci, indirizzandoci verso acquisti responsabili. 

Le ACLI, associazioni di lavoratori cristiani, possono anche intervenire sui consumi ma anche sulle questioni inerenti al lavoro che sta subendo un pesante attacco nella sua dignit?. Altrove il lavoro non ha dignit? ma noi non siamo lontani dal perdere sempre pi? questo aspetto perch? la concorrenza non ce la fanno gli immigrati, ma la Cina, l’India e gli altri paesi emergenti che sono disposti a lavorare con ritmi che noi non siamo pi? disposti a tollerare.Quindi anche come lavoratori siamo sotto scacco: dobbiamo fare sintesi e incominciare a ragionare in questi termini. E cos? anche le organizzazioni sindacali dovrebbero fare altrettanto. Invece purtroppo sono ancora schiavi del modello produttivistico che ha consentito in passato, per salvare posti di lavoro a fare scelte non molto etiche. 

Circoli ACLICernusco sul Naviglio (Milano)

S. Polo (Brescia) 

 

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