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RELAZIONE PRIMA GUERRA MONDIALE: VISITA AL MUSEO CARLA MUSAZZI Il nostro gruppo di lavoro si è incontrato un pomeriggio per visitare l’ecomuseo storico di Parabiago. Esso è intitolato a Carla Musazzi ed è ubicato in Via Randaccio 11 a Parabiago. Il museo, inaugurato il 16 Settembre 1988, espone oggetti che illustrano la storia locale di Parabiago e si divide in tre sezioni: la prima relativa agli scavi archeologici, alla Battaglia di Parabiago e alle altre grandi guerre dei secoli precedenti; nella seconda sala viene illustrata la vita e lo sviluppo professionale del grande intarsiatore Giuseppe Maggiolini, attraverso alcuni cimeli commemorativi e caratteristici del celebre ebanista; nella terza, chiamata sala delle "curiosità", troviamo piccole collezioni, oggetti singoli, fossili, ecc… Il museo è stato rinnovato ultimamente e dedicato ai giovani con l’implemento della sezione informatica. Approfittando della possibilità di visionare da vicino i manufatti, abbiamo scattato delle foto e ci siamo documentati su attrezzature, pezzi di vestiario, accessori e peculiarità relative alla Prima Guerra Mondiale, a

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RELAZIONE PRIMA GUERRA MONDIALE: VISITA AL MUSEO CARLA MUSAZZI

Il nostro gruppo di lavoro si è incontrato un pomeriggio per visitare l’ecomuseo storico di Parabiago. Esso è intitolato a Carla Musazzi ed è ubicato in Via Randaccio 11 a Parabiago. Il museo, inaugurato il 16 Settembre 1988, espone oggetti che illustrano la storia locale di Parabiago e si divide in tre sezioni: la prima relativa agli scavi archeologici, alla Battaglia di Parabiago e alle altre grandi guerre dei secoli precedenti; nella seconda sala viene illustrata la vita e lo sviluppo professionale del grande intarsiatore Giuseppe Maggiolini, attraverso alcuni cimeli commemorativi e caratteristici del celebre ebanista; nella terza, chiamata sala delle "curiosità", troviamo piccole collezioni, oggetti singoli, fossili, ecc… Il museo è stato rinnovato ultimamente e dedicato ai giovani con l’implemento della sezione informatica. Approfittando della possibilità di visionare da vicino i manufatti, abbiamo scattato delle foto e ci siamo documentati su attrezzature, pezzi di vestiario, accessori e peculiarità relative alla Prima Guerra Mondiale, a Parabiago e altrove; di seguito troverete le foto scattate al Museo con relative spiegazioni e dati.

ELMETTO

L’elmetto è diventato un elemento iconico e caratteristico della guerra; nell’800 gli elmetti erano principalmente a scopo estetico, presentando ornamenti e fregi, ma con l’avvento della Grande Guerra, i soldati sentivano la necessità di trovare un riparo per la testa dalle nuove armi. La Francia si dimostrò all’avanguardia. Nel febbraio 1915 adottò una “cervelliera”, da indossare sotto al chepì (cappello militare rigido, di forma cilindrica, con visiera corta di cuoio), che tuttavia riscosse scarso gradimento fra le truppe per via della sua scomodità. Ebbe invece

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grande successo il modello presentato dal colonnello Louis Auguste Adrian. Era fabbricato con un foglio d’acciaio di 7 mm di spessore che veniva lavorato a freddo, a cui poi era aggiunta la crestina, la visiera e il coprinuca, nonché il fregio caratteristico francese. L’Adrian fu prodotto in circa venti milioni di esemplari. L’Italia non disponeva ancora di un elmetto metallico. Un primo tipo venne distribuito alle nostre truppe, in numero limitato; esso fu ideato e costruito dall’ingegnere Ferruccio Farina, da cui prese il nome, ma era di concezione rudimentale e si dimostrò scomodo ed eccessivamente pesante (circa 2 kg). I britannici adottarono un modello dalla caratteristica forma “a padella”, studiata per deviare la traiettoria dei colpi. Fu così messo in produzione il “Brodie Pattern’’, il cui peso si aggirava intorno al chilo. L’elmetto inglese ebbe un notevole successo anche nell’esportazione alle forze armate del Commonwealth. La Germania fu l’ultima nazione belligerante ad adeguarsi. Era entrata in guerra con l’elmo ottocentesco prussiano, il famoso Pickelhaube (elmo chiodato) un alto casco di cuoio bollito, con visiera e coprinuca, munito di rinforzi in ottone e culminante in un puntale conico, che si riteneva potesse deviare i colpi di sciabola della cavalleria. Nel 1916, venne sostituito dallo Stahlhelm, o elmetto d’acciaio, modernissimo dal punto di vista della concezione e della costruzione. Il modello austriaco differiva da quello tedesco solo in estetica. Oggi, in tutta Europa, quegli antichi elmi rimangono esposti al pubblico solo sui monumenti della Prima Guerra Mondiale, come simboli della memoria dei Caduti. Eppure, cento anni fa, questi copricapo d’acciaio salvarono migliaia di vite.

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LE GRANATE

Le bombe a mano furono un'arma molto utilizzata dagli eserciti della Grande Guerra durante gli assalti alle trincee nemiche. I Granatieri, questo il nome dei soldati addetti al lancio delle granate, quando arrivavano a qualche decina di metri dalle postazioni nemiche, le lanciavano provocando grandi danni con la loro esplosione. Furono anche utilizzate per eliminare la presenza nemica da cunicoli e luoghi in presenza di nemici. Potevano avere un doppio innesco: a tempo (con una miccia) o a percussione. Per questioni pratiche, i soldati preferivano le prime, in quanto le seconde potevano esplodere anche prima di essere lanciate.Le bombe a mano subirono profondi miglioramenti e diventarono sempre di più delle armi micidiali per l'offensiva, durante il primo conflitto mondiale del Novecento. Nel 1915 gli inglesi aggiunsero all'esplosivo anche delle schegge metalliche che, una volta liberate, provocavano gravi ferite ai soldati nelle trincee. I tedeschi aggiunsero alcuni modelli

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con gas e liquidi velenosi, unendo in questo modo un’arma esplosiva con una chimica; mentre l'esercito francese riuscì a sviluppare delle granate in grado di essere lanciate con il fucile ad una distanza di 400 metri.

Gli italiani ne ebbero in dotazione diverse tipologie. La più utilizzata fu la cosiddetta’’ Sipe a sfregamento’’, azionata tramite un innesco che produceva calore. Una seconda bomba molto utilizzata fu la Thévenot, utilizzata durante gli assalti a pochi metri dalle posizioni nemiche. In realtà, non si trattava di una vera e propria bomba, ma di un petardo che stordiva i soldati rendendoli incapaci di combattere. Infine, lungo il fronte italiano, comparve anche la "ballerina": si trattava sempre di una Thévenot a cui era stata aggiunta un manico di legno e un pezzo di tela (simile alla gonna di una ballerina) che dava maggiore stabilità al lancio.

BINOCOLO PRIMA GUERRA MONDIALE

Kenneth Malandrin classe 3F

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Mele Sofia 3F

Prima Guerra Mondiale

Il giorno 25/03/2018 io e Adriana ci siamo recate al "Museo Carla Musazzi" di Parabiago per ricercare, fotografare e catalogare i vari reperti della Prima Guerra Mondiale.

Siamo anche andate nell’archivio per trovare varie foto e l’inventario degli oggetti, che però non abbiamo potuto vedere interamente perché erano immagazzinati altrove.

Mentre Adriana e Kenneth si occupavano dei reperti fotografati e della loro descrizione, io mi sono focalizzata su un album di fotografie ed un vecchio medagliere appartenuti al mio trisnonno Giovanni Cerimedo, tenente del 5° reggimento Alpini, comandante la 219° centuria.

Questo medagliere, intagliato a mano in legno di tiglio, espone sette medaglie, risalenti alla Prima Guerra Mondiale e conferite a Giovanni Cerimedo.

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Medaglia Interalleata:

La prima e quarta medaglia partendo da destra sono medaglie Interalleate: erano concesse ai militari (generalmente dei Paesi vincitori) che avessero partecipato alla Prima Guerra Mondiale. Viene chiamata anche Medaglia della Vittoria e ne vennero coniate tredici diverse, una per ogni Paese vincitore. Il nastro presenta i colori dell’arcobaleno e il recto raffigura la ‘Vittoria Alata’, su un carro trainato da quattro leoni, rappresentanti dei Paesi sconfitti.

Croce al Merito di Guerra:

Le Croci al Merito di Guerra sono la seconda e la terza da destra: venivano conferite a tutti i soldati che avessero combattuto un anno al fronte o per meriti particolari o per ferite, dopo l’assegnazione del relativo distintivo.

Sul recto vi è il monogramma del Re Vittorio Emanuele III, foglie di quercia che circondano un gladio ed infine, al centro, la scritta “Merito di Guerra”. Il verso presenta una stella raggiata a cinque punte e il nastrino, a righe verticali azzurre con al centro due righe verticali bianche.

Medaglia Unità d’Italia 1848-1918:

Questa medaglia è la quinta da destra e fu modificata dal Re Vittorio Emanuele III alla fine della guerra, in onore delle conquiste italiane. La nuova medaglia fu coniata in bronzo, sostituendo l’effigie del vecchio re Umberto I con quella di Vittorio Emanuele III.

Presenta un nastrino a strisce tricolori e sul verso la scritta “Unità d’Italia 1848-1918”.

Medaglia Accademia Militare Theuliè:

Medaglia che veniva conferita agli allievi della medesima scuola militare di Milano, è la sesta partendo da destra.

Medaglia Bronzo nemico:

Concessa ai militari che avessero prestato servizio, per almeno quattro mesi, in zone di guerra. La dicitura "coniata nel bronzo nemico" deriva dalla sua origine: venne infatti utilizzato il bronzo fuso dei cannoni austriaci. Il nastrino è il tricolore ripetuto sei volte.

La medaglia raffigura sul recto l’effigie del Re Vittorio Emanuele III, con l’elmetto, in uniforme e la scritta “Guerra per l’Unità d’Italia 1915-1918” alternata all’alloro.

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Questo album rilegato in pelle appartenuto a Giovanni Cerimedo continene foto che spaziano in un arco di tempo dal 1913 al 1943 e raccoglie le sue fotografie di guerra.

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Cantone di Russiz, aprile 1917.

Attendamento e cucina a Russiz, 1917.

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Addestramento con maschere antigas, Gorizia, Maggio 1917.

Casa bianca ed entrata alle trincee, Gorizia, 1917.

Camminamento per il cimitero, Gorizia, 1917.

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Foto con i fratelli Floriano, 12 maggio

Ospedale della Croce Rossa, 27/06/1917.

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Cartolina del telegrafo di Legnano, con autografo del Maresciallo Cadorna.

Autorizzazione da parte dell’esercito italiano di apporre le stellette sul nastrino delle fatiche, 5 maggio 1917.

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PRIMA GUERRA MONDIALE A PARABIAGO: MUSEO

Durante la prima guerra mondiale a Parabiago sorse un piccolo accampamento militare delle truppe reali, ubicato nella zona tra il centro ed il confine con Canegrate, che dal dopoguerra si tramutò in abitazioni, in una zona chiamata ancora oggi , “l’accampamento’’.

Durante il conflitto Parabiago, con le frazioni, contò 142 caduti, gran parte dei quali sul Carso e in Trentino .

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Nel 1927 il Senatore Felice Gajo finanziò la Cappella dei Caduti nel Cimitero del capoluogo.IL TELEFONO DA CAMPO

Nel corso della prima guerra mondiale tra gli apparati di comunicazione in dotazione agli eserciti il telefono, insieme al telegrafo, ricoprì un ruolo significativo. Sul fonte italiano a tecnici e ingegneri esperti di telecomunicazioni fu affidata l’organizzazione del servizio I.T. (Intercettazioni Telefoniche), istituito presso ogni Comando di Armata. Fra i compiti del telefonista, che doveva sempre accompagnare il comandante durante le ricognizioni per la scelta della posizione dell’artiglieria da dove aprire il fuoco sulle postazioni nemiche, oltre a quello di intercettare e sabotare le comunicazioni nemiche, c’era anche la trasmissione tempestiva degli ordini, assicurando le comunicazioni tra comandi, retrovie e prime linee. Il primo conflitto mondiale fu l’occasione per affermare l’uso del telefono da campo. In Italia il merito della realizzazione del primo modello andato in produzione spetta al capitano del Genio militare Gaetano Anzalone, come è documentato dalla «Rivista di artiglieria e genio» nell’ottobre nel 1908. Il telefono da campo “tipo Anzalone” era contenuto in una cassetta di legno (munita di cinghia per il trasporto a tracolla), che su un fianco aveva un foro nel quale si avvitava la manovella del generatore magneto-elettrico, quando occorreva chiamare. Il collegamento avveniva attraverso cavi aerei, collocati su pali o più frequentemente appoggiati sugli alberi. Erano linee fragili e facilmente sabotabili.

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CONTENITORI OCCHIALI MILITARI

Contenitori per occhiali militari da aviatore della prima guerra mondiale

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Tutte le foto sono state scattate presso il Museo "Carla Musazzi" di Parabiago.

Adriana Cravcenco 3F