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CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA PROCEDIMENTO N. C-472/17 Osservazioni scritte per Di GIROLAMO GABRIELE , c.f. DGRGRL56EE30I804K, nonché per UNAGIPA Unione Nazionale Giudici di Pace , c.f. 97256970589, in persona della Presidente e legale rappresentante pro tempore avv. Maria Flora Di Giovanni, codice fiscale DGVMFL64E65E058F, rappresentati e difesi, congiuntamente e disgiuntamente, dagli avv.ti Bruno Caruso 1 , Vincenzo De Michele 2 , Giorgio Fontana 3 , Sergio Galleano 4 e Stefano Giubboni 5 , in forza di procure in calce al ricorso per decreto ingiuntivo iscritto al n.843/2017 R.G. del Giudice di pace di L’Aquila, depositato il 28 luglio 2017, con domicilio in Roma alla via Germanico 172 presso lo studio dell’avv. Sergio Galleano, fax: 0637500315, mail: [email protected] - ricorrente e intervenuta nel giudizio principale Contro 1 In allegato 1 la tessera di riconoscimento rilasciata all’avvocato Bruno Caruso dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Messina (Italia), da cui risulta l’abilitazione a patrocinare dinanzi ad un organo giurisdizionale dello Stato italiano. 2 In allegato 2 la tessera di riconoscimento rilasciata all’avvocato Vincenzo De Michele dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Foggia (Italia), da cui risulta l’abilitazione a patrocinare dinanzi ad un organo giurisdizionale dello Stato italiano. 3 In allegato 3 la tessera di riconoscimento rilasciata all’avvocato Giorgio Fontana dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Avellino (Italia), da cui risulta l’abilitazione a patrocinare dinanzi ad un organo giurisdizionale dello Stato italiano. 4 In allegato 4 la tessera di riconoscimento rilasciata all’avvocato Stefano Giubboni dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Perugia (Italia), da cui risulta l’abilitazione a patrocinare dinanzi ad un organo giurisdizionale dello Stato italiano. 5 In allegato 5 la tessera di riconoscimento rilasciata all’avvocato Sergio Galleano dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano (Italia), da cui risulta l’abilitazione a patrocinare dinanzi ad un organo giurisdizionale dello Stato italiano. 1

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CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA

PROCEDIMENTO N. C-472/17

Osservazioni scritte

per

Di GIROLAMO GABRIELE, c.f. DGRGRL56EE30I804K, nonché per UNAGIPA Unione Nazionale Giudici di Pace, c.f. 97256970589, in persona della Presidente e legale rappresentante pro tempore avv. Maria Flora Di Giovanni, codice fiscale DGVMFL64E65E058F, rappresentati e difesi, congiuntamente e disgiuntamente, dagli avv.ti Bruno Caruso1, Vincenzo De Michele2, Giorgio Fontana3, Sergio Galleano4 e Stefano Giubboni5, in forza di procure in calce al ricorso per decreto ingiuntivo iscritto al n.843/2017 R.G. del Giudice di pace di L’Aquila, depositato il 28 luglio 2017, con domicilio in Roma alla via Germanico 172 presso lo studio dell’avv. Sergio Galleano, fax: 0637500315, mail: [email protected] - ricorrente e intervenuta nel giudizio principale

Contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato ex lege presso l’Avvocatura Generale dello Stato in Roma - intimato/resistente nel giudizio principale

********Giurisdizione di rinvio: Giudice di Pace di L’Aquila – Italia

Notifica della domanda di rinvio pregiudiziale n. 1057054 IT: 13 settembre 2017

********

Indice:

a) le questioni pregiudiziali e la causa principale pag.1

a) la normativa interna nel settore del pubblico impiego pag. 3

b) le decisioni della Corte di giustizia in subiecta materia e gli effetti nell’ordinamento interno pag.

6

1 In allegato 1 la tessera di riconoscimento rilasciata all’avvocato Bruno Caruso dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Messina (Italia), da cui risulta l’abilitazione a patrocinare dinanzi ad un organo giurisdizionale dello Stato italiano.2 In allegato 2 la tessera di riconoscimento rilasciata all’avvocato Vincenzo De Michele dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Foggia (Italia), da cui risulta l’abilitazione a patrocinare dinanzi ad un organo giurisdizionale dello Stato italiano.3 In allegato 3 la tessera di riconoscimento rilasciata all’avvocato Giorgio Fontana dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Avellino (Italia), da cui risulta l’abilitazione a patrocinare dinanzi ad un organo giurisdizionale dello Stato italiano.4 In allegato 4 la tessera di riconoscimento rilasciata all’avvocato Stefano Giubboni dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Perugia (Italia), da cui risulta l’abilitazione a patrocinare dinanzi ad un organo giurisdizionale dello Stato italiano.5 In allegato 5 la tessera di riconoscimento rilasciata all’avvocato Sergio Galleano dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano (Italia), da cui risulta l’abilitazione a patrocinare dinanzi ad un organo giurisdizionale dello Stato italiano.

1

c) suggerimenti di risposte alle questioni pregiudiziali pag. 22

Le questioni pregiudiziali e la causa principale

1)

1. Con ricorso al Giudice di pace di L’Aquila depositato in data 28/7/2017 R.G. 843/2017, il dott. Di

Girolamo e l’UNAGIPA, in qualità di interveniente adesiva nel procedimento ai sensi dell’art. 105,

comma 2°; del codice di procedura civile, chiedevano accertarsi il diritto del ricorrente, Giudice

onorario in servizio presso l’Ufficio del Giudice di Pace di Avezzano, a ricevere gli emolumenti

previsti per il periodo di ferie e non corrisposti dal Ministero della Giustizia, ritenendo che fosse

proprio diritto il riconoscimento del medesimo trattamento previsto per i magistrati ordinari dalla

leggi vigenti.

Ciò premesso, il ricorrente della causa principale chiedeva al Giudice di Pace di L’Aquila,

competente per territorio, di ingiungere al Ministero della Giustizia il pagamento in suo favore della

somma di € 4.500,00, già al netto delle ritenute fiscali e previdenziali, corrispondente alla

retribuzione mensile spettante per il mese di agosto 2016 ad un magistrato togato che ha superato la

terza valutazione di professionalità (cfr. art.7, comma 1, legge n. 374/1991 e art.2, d.lgs. n. 92/2016)

ed ha maturato un’anzianità di servizio come giudice di almeno 14 anni, oltre rivalutazione monetaria

ed interessi legali nella misura di legge, a titolo di indennità mensile per il periodo di ferie goduto ma

non retribuito dal Ministero della Giustizia, considerato come “datore di lavoro pubblico”, come per i

magistrati professionali o togati (clausola 4, punti 1, 2 e 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo

determinato approvato con la direttiva comunitaria 1999/70/CE).

2

In via subordinata chiedeva al Giudice di formulare rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia della

U.E. ai sensi dell’art. 267 TFUE.

1.2.) Cenni sull’organizzazione del sistema giudiziario in Italia.

Nell’ordinamento italiano l’amministrazione della giustizia è esercitata da magistrati ordinari, ai

sensi delle disposizioni sull’ordinamento giudiziario (artt. 1 e 4 r.d. 30 gennaio 1941 n. 12), assunti a

seguito di concorsi pubblici e dipendenti dal Ministero della Giustizia, con rapporto di impiego

pubblico “non contrattualizzato”, ossia regolato dalla legge e non dal contratto collettivo come per gli

altri settori della pubblica amministrazione (a cui rinvia il d. lgs. n. 165/2001).

Con vari interventi legislativi, lo Stato italiano ha introdotto figure diverse nell’ambito del sistema

giudiziario, al di fuori del rapporto di impiego pubblico con il Ministero della Giustizia e con

rapporto a termine, poi assoggettato a successive proroghe. Queste figure (fra gli altri: Giudici di

Pace, Vice Procuratori Onorari, Giudici Onorari di Tribunale) svolgono tutti, seppure con funzioni

diverse, ruoli e funzioni giurisdizionali.

La funzione di magistrato onorario è espressamente prevista dall’ordinamento costituzionale dello

Stato. L’art. 106 della Costituzione, oltre a stabilire che le nomine dei magistrati hanno luogo per

concorso, prevede altresì che nell’ordinamento giudiziario può ammettersi, per disposizione di legge,

la nomina, anche elettiva, di giudici onorari che svolgano le funzioni attribuite ai giudici singoli.

I Giudici di Pace, assunti ai sensi della l. n. 374/1991, assicurano l’amministrazione della giustizia

con competenza giurisdizionale ordinaria nei limiti delle materie definite dalla legge (ora d. lgs. n.

116/2017), in sede penale e civile. Il Giudice di pace è organo monocratico ordinario che ha

competenza civile e penale predeterminata per legge.

Il d. lgs. n. 51 del 19/2/1998 ha poi istituito le figure di Giudice Onorario di Tribunale (GOT) e di

Vice Procuratore Onorario (VPO).

Il Giudice onorario di Tribunale è titolare, quale giudice monocratico, di processi civili e penali che

gli sono affidati e che sono di competenza monocratica.

3

Il Vice Procuratore Onorario è invece incaricato di rappresentare in sede penale la figura del

Pubblico Ministero in determinati processi in cui è delegato, nei limiti della competenza del

Tribunale (in sede monocratica) e del Giudice di pace. Nei casi di processi di competenza del Giudice

di pace, il VPO (Vice Procuratore Onorario) può coordinare le indagini di polizia giudiziaria. Può

inoltre rappresentare il Pubblico Ministero nei processi civili in cui la presenza di quest’ultimo è

prevista per legge. I Vice Procuratori onorari svolgono le funzioni proprie del pubblico ministero

(come previsto dall’art. 72 dell’Ordinamento giudiziario: R.d. 30/1/1941 n. 12) per delega

nominativa del Procuratore della Repubblica a cui sono sottoposti gerarchicamente.

Il Giudice onorario aggregato (GOA), istituito con l. n 22/7/1997 n. 276 per diminuire l’arretrato in

materia civile, è titolare di un’apposita sezione stralcio, con incarico di durata di anni cinque,

prorogabile secondo le disposizioni di legge una sola volta per la durata di un anno, ma di fatto

ulteriormente prorogati, tuttora in servizio.

I magistrati onorari (GdP, VPO, GOT, GOA) sono, ai sensi dell’art. 4 r.d. n. 12/1941 appartenenti

all’ordine giudiziario al pari dei magistrati ordinari, con garanzia di autonomia, indipendenza

interna ed esterna, imparzialità nell’esercizio delle funzioni.

La competenza per tutti i provvedimenti riguardanti i giudici onorari (nomine, trasferimenti,

conferme, sanzioni disciplinari) appartiene al Consiglio Superiore della Magistratura, come previsto

dalla Costituzione, che assegna al C.S.M. il compito di assicurare il rispetto delle garanzie dei

magistrati.

Nell’ambito poi dei Consigli giudiziari, organi ausiliari e periferici del CSM, è prevista una sezione

autonoma della magistratura onoraria, che si occupa dei provvedimenti riguardanti i magistrati

onorari.

Queste figure (ad eccezione dei vice procuratori onorari) sono state riunificate in un’unica figura

denominata giudice onorario di pace a seguito della riforma della magistratura onoraria disposta con

d. lgs. n. 116/2017.

Accanto a queste figure, l’ordinamento nazionale ne ha creato altre, inserite in altri settori o funzioni

specializzate, o che si occupano di giurisdizioni diverse:

- I giudici onorari del tribunale per i minorenni, esperti nel campo dell’assistenza dei minori, che fanno

parte del collegio giudicante in materia civile o penale, istituiti ai sensi del r.d.l. 20 luglio 1934 n.

1404 convertito con modificazioni dalla l. 27/5/1935 n. 835;

- Gli esperti della sezione specializzata agraria, che integrano il collegio della Sezione che si occupa di

controversie di diritto agrario;

- Gli esperti del tribunale di sorveglianza, istituiti ai sensi della l. 26/7/1975 n. 354;

4

- I giudici con funzioni di consigliere di cassazione designati dal Consiglio Superiore della

Magistratura, ai sensi della l. 5/8/1998 n. 303;

- I componenti della Commissioni Tributarie (art. 2 d. lgs. n. 546/1992, art. 12 l. 28/12/2001 n. 448),

che svolgono le funzioni di giudice tributario per tutte le controversie in materia tributaria in ambito

provinciale (primo grado) e regionale (secondo grado).

I dati degli organici dei magistrati onorari “ordinari”, secondo quanto rilevabile dai dati forniti dal

CSM sul sito www.csm.it, sono i seguenti:

Qualifica Posti in organico Posti coperti

Giudice di Pace (G.d.P.) 3528 1309

Giudice ausiliario di Corte d’Appello (GOA) 400 376

Giudice onorario di tribunale (G.O.T.) 2714 2385

Vice Procuratore Onorario (V.P.O.) 2078 1907

Componente privato Tribunale Minorenni 738 723

Componente privato Corte Appello Minorenni 393 354

Esperto di Sorveglianza 497 455

Esperto di Tribunale 30 29

Magistrati Tributari 8490 4698

5

1.3) La situazione lavorativa del dott. Di Girolamo

- Il dott. Di Girolamo ha svolto e svolge le funzioni di Giudice di Pace dal mese di luglio 2002 presso

gli Uffici del Giudice di Pace istituiti nell’ambito della Corte d’Appello di L’Aquila, come risulta dai

relativi decreti di nomina (delib. CSM 13/6/2002 e D.M. 15/7/2002) e di proroga, nonché dai modelli

CUD dei redditi annuali percepiti;

- I dati statistici del ricorrente sulla base dell’attività giudiziaria registrata dal Ministero della giustizia

nel proprio sistema informatico e la tabella di organizzazione dell’Ufficio del Giudice di Pace di

Avezzano per il triennio 2015/2017 attestano l’effettiva prestazione e la continuità del servizio.

- Tali documenti sono stati allegati al ricorso della causa principale.

- Dai dati statistici allegati risulta che il ricorrente dal 2003 al 2017 ha trattato n.3039 procedimenti nel

settore civile, ha definito con propri provvedimenti 2954 giudizi, e che nel settore penale ha trattato

356 giudizi e ne ha definiti 335.

- Dalla tabella di organizzazione dell’Ufficio del Giudice di Pace di Avezzano per il triennio

2015/2017 risulta che il ricorrente svolge come giudice monocratico tre udienze alla settimana (due

civili e una penale) tranne che nel periodo feriale di agosto, che non è retribuito.

- Il dott. Di Girolamo nel mese di agosto 2016 non ha prestato attività di servizio presso l’Ufficio del

Giudice di Pace durante il godimento delle ferie, ma non ha ricevuto nessuna indennità, essendo

previste per legge le sole indennità ai sensi dell’art.11 della legge n.374/1991, in ragione del numero

dei provvedimenti adottati, con in più il solo compenso mensile pari attualmente ad € 258,63 previsto

per «ciascun mese di effettivo servizio a titolo di rimborso spese per l’attività di formazione,

aggiornamento e per l’espletamento dei servizi generali di istituto», con esclusione, quindi, del

periodo nel quale il giudice non sia in effettivo servizio, perché in ferie. Viceversa, ai “magistrati che

esercitano funzioni giudiziarie”, cioè ai magistrati ordinari (o “togati”), spettano 30 giorni di ferie

retribuite, ai sensi dell’art.8-bis della legge n.97/1979, come modificato dall’art.16 del d.l.

n.132/2014, convertito con modificazioni dalla legge n.162/2014. L’indennità mensile della

retribuzione ordinaria del magistrato ordinario o “togato”, con anzianità di servizio come giudice di

almeno 14 anni, che ha superato la terza valutazione di professionalità, lavoratore a tempo

indeterminato comparabile rispetto al ricorrente Giudice di Pace per il corrispondente periodo di ferie

dell’intero mese di agosto 2016, è pari all’importo netto di € 4.500,00, come da tabella retributiva

allegata.

1.4.) Ciò premesso, il ricorrente della causa principale svolgeva considerazioni in diritto che

possono essere così sintetizzate:6

- Ai fini dell’accertamento delle condizioni di certezza, liquidità ed esigibilità del diritto all’indennità

per il periodo feriale nella misura corrispondente alla retribuzione ordinaria spettante al magistrato o

“togato”, con anzianità di servizio di almeno 14 anni che ha superato la terza valutazione di

professionalità, evidenziava che l'articolo 7 della direttiva comunitaria 2003/88/CE concernente

taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro dispone che "ogni lavoratore benefici di ferie

annuali retribuite di almeno 4 settimane, secondo le condizioni di ottenimento e di concessione

previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali".

- Sottolineava quindi che non si può dubitare della applicabilità diretta della richiamata direttiva, in

ragione del vincolo di subordinazione che disciplina l'organizzazione del lavoro del giudice di pace,

tenuto all'osservanza degli orari e delle date di tenuta delle udienze previsti nelle tabelle di

composizione degli uffici approvate dal CSM ed assoggettato alla direzione del Capo dell'Ufficio, ora

in persona del Presidente di Tribunale.

- Il diritto, irrinunciabile e indisponibile, alle ferie annuali retribuite per un periodo non inferiore a

quattro settimane, è disciplinato nell’ordinamento interno per tutti i lavoratori subordinati dall’art.36

della Costituzione, dall’art.2109 c.c. e dall’art.10 d.lgs. n.66/2003, in attuazione delle direttive

93/104/CE e 2000/34/CE.

- Inoltre deduceva che la clausola 2, punto 1, e la clausola 4, punti 1, 2 e 4, dell’accordo quadro sul

lavoro a tempo determinato, recepito dalla direttiva 1999/70/CE prevedono che ai lavoratori a tempo

determinato, come i Giudici di Pace, vanno applicate le stesse condizioni di lavoro previste per i

lavoratori a tempo indeterminato comparabili (che sono i magistrati ordinari con anzianità di servizio

di 14 anni che ha superato la terza valutazione di professionalità) salvo che non vi siano ragioni

oggettive per discriminare le situazioni soggettive comparabili, insussistenti nel caso di specie.

- Il principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo

indeterminato comparabili sulle condizioni di lavoro è stato recepito nell’ordinamento interno

dall’art.6 del d.lgs. n.368/2001, sostituito con decorrenza 25 giugno 2015 dall’art.25 d.lgs. n.81/2015.

- Il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro del Giudice di Pace deriva

dall’applicazione diretta verticale nei confronti dello Stato italiano e delle amministrazioni pubbliche

delle citate direttive 1999/70/CE e 2003/88/CE, come interpretate dalle pertinenti decisioni della

Corte di giustizia dell’Unione europea e, in particolare, dalla sentenza O’Brien del 1 marzo 2012 (C-

393/10, ECLI:EU:C:2012:110).

- Dopo aver rammentato al Giudice adito i principi posti dalla Corte di Giustizia nella citata sentenza e

l’efficacia delle sentenze della Corte ai sensi dell’art. 299 TFUE e delll'articolo 23 dello Statuto della

Corte, osservava che malgrado le formali diffide della Associazione UNAGIPA del 2 marzo 2015, 28

settembre 2016 e 28 novembre 2016 il Governo italiano non aveva provveduto a rimuovere i vuoti

7

normativi interni alla piena attuazione della sentenza della Corte di giustizia del 1° marzo 2012

(sentenza O'Brien).

- Ricordava poi che la violazione delle direttive 1999/70/CE e 2003/88/CE nella materia oggetto del

giudizio nella causa principale trovava conferma anche nella decisione del Comitato europeo dei

diritti sociali sul reclamo collettivo n.102/2013, nel quale il Comitato aveva rilevato la violazione

dell’art. E in combinato con l’art. 12§1 della Carta nei confronti di coloro che esercitano le funzioni

di Giudice di pace e non dispongono di copertura previdenziale alternative, e dalla comunicazione

DG EMPL/B2/DA-MAT/sk (2016) del giugno 2016, allegata al ricorso per decreto ingiuntivo, con cui

la Commissione Ue aveva chiuso con esito negativo il caso EU Pilot 7779/15/EMPL, preannunciando

la prossima apertura di una procedura di infrazione, sulla compatibilità con il diritto UE della

disciplina nazionale che regola il servizio prestato dai magistrati onorari (giudici e viceprocuratori), in

materia di reiterazione abusiva di contratti a termine (clausola 5 dell’accordo quadro recepito dalla

Direttiva 1999/70/CE), di disparità di trattamento in materia di retribuzione (clausola 5 dell’accordo

quadro recepito dalla Direttiva 1999/70/CE), di ferie (art.7, Direttiva 2003/88, in combinato disposto

con la clausola 4 dell’accordo quadro recepito dalla Direttiva 97/81/CE e con la clausola 4

dell’accordo quadro recepito dalla Direttiva 1999/70/CE) e di congedo di maternità (art.8 Direttiva

92/85 e art.8 Direttiva 2010/41) e infine dalla comunicazione del 23 marzo 2017 prot. D 304831, con

cui la Presidente della Commissione per le Petizioni del Parlamento Ue, Signora Cecilia Wikström,

all’esito della riunione del 28 febbraio 2017 in cui sono state discusse le petizioni nn. 1328/2015,

1376/2015, 0028/2016, 0044/2016, 0177/2016, 0214/2016, 0333/2016 e 0889/2016 sullo statuto dei

giudici di pace in Italia, ha invitato il Ministro della Giustizia a trovare un equo compromesso sulla

situazione lavorativa dei Giudici di Pace, per eliminare la «palese disparità di trattamento sul piano

giuridico, economico e sociale tra Magistrati togati e onorari».

Formulava quindi le seguenti conclusioni:

(…)

A seguito del ricorso monitorio il Giudice adito, con ordinanza depositata in Cancelleria in data 2/8/

2017 e trasmessa alla Corte in data 7/8/2017, ha sollevato la seguente questione di pregiudizialità:

1) se l’attività di servizio del Giudice di Pace ricorrente rientra nella nozione di «lavoratore a tempo

determinato», di cui, in combinato disposto, agli articoli 1, paragrafo 3, e 7 della direttiva 2003/88,

alla clausola 2 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, recepito dalla direttiva 1999/70

e all’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea;

8

2) nel caso di risposta affermativa al quesito sub 1), se il Magistrato Onorario o “togato” possa

essere considerato lavoratore a tempo indeterminato equiparabile al lavoratore a tempo determinato

“Giudice di Pace” ai fini dell’applicazione della clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo

determinato recepito dalla direttiva 1999/70;

3) nel caso di risposta affermativa al quesito sub 2), se la diversità nella procedura di reclutamento

stabile dei magistrati ordinari, rispetto alle procedure selettive ex lege adottate per il reclutamento a

termine dei giudici di pace, costituisce ragione oggettiva ai sensi della clausola 4, punto 1 e/o punto

4, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato recepito dalla direttiva 1999/70/CE per

giustificare la mancata applicazione - da parte del “diritto vivente” della Cassazione a Sezioni

unite nella sentenza n.13721/2017 e del Consiglio di Stato nel parere dell’8 aprile 2017 n.464/2017 -

ai Giudici di Pace, come nel caso del ricorrente lavoratore a tempo determinato, delle stesse

condizioni di lavoro applicate ai magistrati ordinari a tempo indeterminato comparabili; nonché per

giustificare la mancata applicazione delle misure preventive e sanzionatorie contro l’abusivo ricorso

ai contratti a tempo determinato, di cui alla clausola 5 del predetto accordo quadro recepito dalla

direttiva 1999/70/CE, e della norma interna di trasposizione di cui all’art.5, comma 4-bis, d.lgs. n.

368/2001. Ciò in assenza di principio fondamentale dell’ordinamento interno o di norma

costituzionale che possano legittimare sia la discriminazione sulle condizioni di lavoro, sia il divieto

assoluto di conversione a tempo indeterminato dei giudici di pace, anche alla luce di precedente

norma interna (art.1 della legge n. 217/1974) che aveva già previsto l’equiparazione delle

condizioni di lavoro e la stabilizzazione dei rapporti di lavoro a tempo determinato successivi di

giudici onorari.

4) in ogni caso, se, in una situazione come quella di causa, è in contrasto con l’art.47, paragrafo 2,

della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e con la nozione del diritto dell’Unione

europea di giudice indipendente e imparziale l’attività di un Giudice di Pace che, interessato ad una

determinata soluzione della controversia in favore della parte ricorrente che svolge come attività di

lavoro esclusiva le identiche funzioni giudiziarie, possa sostituirsi al giudice precostituito per legge

a causa del rifiuto del massimo organo di giustizia interna – la Cassazione a Sezioni unite – di

assicurare la tutela effettiva dei diritti richiesti, imponendo così al giudice precostituito per legge di

declinare, ove richiesto, la propria competenza nel riconoscimento del diritto richiesto, nonostante il

diritto in questione – come le ferie retribuite nel giudizio principale - trovi fondamento nel diritto

primario e derivato dell’Unione europea in una situazione di applicazione diretta verticale della

normativa “comunitaria” nei confronti dello Stato. Nel caso in cui la Corte rilevi la violazione

dell’art.47 della Carta, si chiede, inoltre, che vengano indicati i rimedi interni per evitare che la

9

violazione della norma primaria del diritto dell’Unione comporti anche il diniego assoluto

nell’ordinamento interno della tutela dei diritti fondamentali assicurati dal diritto dell’Unione nella

fattispecie di causa.

2.) La normativa applicabile nell’ordinamento italiano

2.1. Come si è già accennato in precedenza, anche se l’art. 102 I comma della Costituzione stabilisce

che “la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme

sull’ordinamento giudiziario”, l’art. 106 Costituzione consente l’ingresso nell’ordine giudiziario di

figure lavorative, definite come “onorarie”, diverse dai magistrati onorari o “togati”, stabilendo che

“la legge sull’ordinamenti giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari

per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli”.

2.2. La legge 21 novembre 1991 n. 374 ha istituito i Giudici di Pace come “ufficio” ricoperto “da un

magistrato onorario appartenente all’ordine giudiziario” (v. art. 1, comma 2°, della legge),

prevedendo il ruolo organico dei magistrati onorari addetti a tali Uffici (4.700 posti) e approvando la

relativa pianta organica (v. art. 3 della legge).

2.3. L’ufficio del Giudice di Pace esercita la giurisdizione in materia civile e penale e la funzione

conciliativa, in base alle previsioni di legge sulla competenza per materia (v. art. 1 comma 1° l. n.

374/1991), prevedendosi per ogni ufficio un coordinatore, nominato in base ad un criterio di

anzianità nelle funzioni, il quale, d’intesa con il Presidente del Tribunale, “provvede all’assegnazione

degli affari e… stabilisce annualmente i giorni e le ore delle udienze di istruzione e di discussione

delle cause di competenza dell’ufficio” (art. 15 l. n. 374).

2.4. L’ammissione alle funzioni di Giudici di Pace avviene previa pubblicazione, per ogni Corte

d’Appello, dei posti vacanti nel distretto, sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana e sul sito

internet del Ministero di Giustizia (v. art. 4).

Su domanda dell’interessato, se in possesso dei titoli e requisiti richiesti e se privo di cause di

incompatibilità, e su proposta del Consiglio giudiziario (“che formula le motivate proposte di

ammissione al tirocinio sulla base delle domande ricevute e degli elementi acquisiti”) il Consiglio

Superiore della Magistratura “delibera l’ammissione al tirocinio di cui all’articolo 4-bis per un

numero di interessati non superiore al doppio del numero di magistrati da nominare”.

All’esito del periodo di tirocinio e del giudizio di idoneità successivo, il Ministro della Giustizia,

previa deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura, nomina i magistrati onorari chiamati

a ricoprire l’ufficio del giudice di pace (v. commi 1 e 7 dell’art. 4-bis).

10

2.5. L’art. 7 della legge n. 374/1991, con le successive modifiche ed integrazioni, prevede poi che “in

attesa della complessiva riforma dell’ordinamento dei giudici di pace, il magistrato onorario che

esercita le funzioni di giudice di pace dura in carica quattro anni e può essere confermato per un

secondo mandato di quattro anni e per un terzo mandato di quattro anni”, con un ulteriore periodo

successivo di proroga di un altro biennio e poi ancora di un ulteriore mandato di quattro anni “salva

comunque la cessazione dell’esercizio delle funzioni al compimento del settantacinquesimo anno di

età” (in definitiva 18 anni, salvo il raggiungimento dell’età massima prevista dalla legge di 75 anni

d’età).

2.6. La proroga è sottoposta all’esito positivo della conferma. A tal riguardo il comma 2-bis dell’art.

7, prevede che “alla scadenza del primo quadriennio il Consiglio giudiziario….esprime un giudizio di

idoneità del giudice di pace a svolgere le funzioni per il successivo quadriennio” e che, all’esito di un

giudizio basato anche sull’esame delle sentenze e dei verbali di udienza del giudice onorario, “la

conferma viene disposta con decreto del Ministro della Giustizia, previa deliberazione del Consiglio

Superiore della Magistratura”.

2.7. L’art. 5 comma 1 lettera g) e l’art. 8 della l. n. 374/1991 sottopongono poi i Giudici di Pace a un

sistema di rigorose incompatibilità, in base alle quali è garantita l’imparzialità della funzione

giurisdizionale come prescritto dagli artt. 102 e 106 della Costituzione.

2.8. Sempre in attuazione del disposto costituzionale, si prevede altresì che il giudice onorario, in

quanto appartenente all’ordine giudiziario (art. 1, comma 2), sia tenuto all’osservanza dei medesimi

doveri previsti per i magistrati ordinari (art. 10 comma 1, l. 374) e all’osservanza delle tabelle di

composizione dell’ufficio, che disciplinano l’organizzazione del lavoro con riguardo alle udienze,

all’assegnazione dei processi, ecc., al pari dei magistrati ordinari.

2.9. In tal senso, l’art. 10-bis (introdotto dalla l. n. 468/1999) ha previsto che, salvo quanto disposto

dall’art. 3 comma 2°, ossia di reggenza temporanea di altro ufficio di giudice di pace contiguo per

assenza temporanea del titolare, “i giudici di pace non possono essere destinati, in applicazione o

supplenza, ad altri uffici giudicanti”, così garantendo una condizione di stabilità dell’incarico

nell’ufficio assegnato.

2.11. Il d. lgs. n. 51 del 19/2/1998, nel riorganizzare l’amministrazione giudiziaria introducendo il

giudice unico di primo grado, in sede penale e civile, ha istituito i Vice Procuratori Onorari (VPO) e i

Giudici Onorari di Tribunale (GOT) disponendo (v. art. 35) che “i magistrati onorari, già addetti

quali vice pretori e vice procuratori degli uffici soppressi, sono addetti di diritto ai tribunali e alle

procure della repubblica presso il tribunale cui sono trasferite le funzioni degli uffici soppressi, in

qualità, rispettivamente di giudici onorari e di vice procuratori onorari”.

11

2.12. La medesima norma ha poi previsto la scadenza triennale dell’incarico “in corso alla data di

efficacia del presente decreto” e l’applicazione degli art. 42-ter, 42-quater, primo e secondo comma,

e 71 del r.d. 30 gennaio 1941 n. 12.

2.13. L’art. 42-ter, introdotto dall’art. 8 comma 1° d. lgs. n. 51/1998, ha previsto che i giudici onorari

sono nominati con decreto del Ministro della Giustizia in conformità della deliberazione del

Consiglio Superiore della Magistratura, su proposta del Consiglio giudiziario, se in possesso di

specifici requisiti e titoli, anche preferenziali, per l’accesso, mentre l’art. 42-quater disciplina le

incompatibilità.

2.14. L’art. 71 a sua volta aveva stabilito che “alle procure della Repubblica presso i tribunali

ordinari possono essere addetti magistrati onorari in qualità di vice procuratori per l’espletamento

delle funzioni indicate nell’art. 72” e che gli stessi sono nominati con le modalità previste per la

nomina dei giudici onorari di tribunale.6 Lo stesso art. 71 rinvia all’art. 42-quiques per la durata

dell’incarico, prevedendosi una durata di tre anni, con conferma alla scadenza per una sola volta (v.

1° comma dell’art. 42-quinques).

2.15. Tuttavia, deve qui ricordarsi che con una successiva serie di norme introdotte dal legislatore

italiano, si è disposta la proroga degli incarichi e la conferma nelle funzioni dei magistrati

onorari assunti come VPO, GOT e GdP: si vedano le disposizioni di cui all’art. 245 del d. lgs. 19

febbraio 1998 n. 51, comma 2°, con le modifiche introdotte dal D.L. 29/12/2009 n. 193 (convertito in

legge con modifiche dalla l. n. 24/2010), ove si prevede che i giudici onorari e i vice procuratori

onorari, il cui mandato è scaduto e per i quali non è consentita un’ulteriore conferma ai sensi del r.d.

n. 12/1941, e i giudici di pace, per i quali non è consentita un’ulteriore conferma ai sensi della l. n.

374/1991, sono ulteriormente prorogati nell’esercizio delle rispettive funzioni “fino alla riforma

organica della magistratura onoraria e non oltre il 31 dicembre 2011”.

La stessa norma è stata successivamente riproposta con D.L. 22/12/2011 n. 212, con ulteriore

scadenza della proroga al 31/12/2012 e fino alla riforma organica della magistratura onoraria.

2.16. Deve aggiungersi che sempre l’art. 285 d. lgs. n. 51/1998 ha poi stabilito, con il comma 2-bis,

in sede di interpretazione autentica della disposizione di cui all’art. 50 dell’ordinamento giudiziario

(r.d. n. 12/1941), che per i giudici onorari del tribunale per i minorenni “non sussistono

limitazioni alla possibilità di conferma”.

2.17. Bisogna infine segnalare, per completare il quadro normativo, che con d. lgs. 31/5/2016 n. 92 il

legislatore nazionale ha previsto una riforma delle disposizioni per la conferma dell’incarico dei

6 Sulle procedure di nomina dei giudici onorari di tribunale e dei vice procuratori onorari sono state adottate norme di dettaglio previste dai Decreti Ministeriali 18 luglio 2003, 4 maggio 2005, 26 settembre 2007 e 3 giugno 2009.

12

giudici di pace, dei giudici onorari di tribunale e dei vice procuratori onorari, e in tale contesto ha

previsto che coloro i quali erano in servizio alla data di entrata in vigore del decreto legislativo,

possono essere confermati nell’incarico, per un ulteriore “mandato di durata quadriennale” e in ogni

caso cessano dall’incarico al compimento del 68° anno di età (art. 1, commi 1° e 2°, d. lgs. n.

92/2016).

Inoltre, sempre in tema di rapporti di durata, occorre ricordare che la legge nazionale, in attuazione

del terzo comma dell’art. 106 Cost., consente l’ingresso nell’ordine giudiziario e addirittura nel suo

massimo organo giurisdizionale (la Corte di Cassazione) di qualificate figure lavorative provenienti o

da altri comparti dello Stato (docenti universitari) o da ambiti di lavoro autonomo professionale

(avvocati), anche in via stabile e continuativa, prevedendo che, a seguito di istanza formulata dagli

interessati e di “designazione” da parte del Consiglio Superiore della Magistratura, le suddette figure,

se ritenute meritevoli e se in possesso di alcuni requisiti, possano essere nominati con decreto del

Presidente della Repubblica nel ruolo della magistratura ordinaria, acquisendo lo stato

giuridico di magistrato ordinario (artt. 1 e 4 l. 5/8/1998 n. 303).

Ancora, in precedenza, la l. n. 217/1974 ha disposto in favore di una figura lavorativa simile ai

Giudici di Pace (Vice pretori onorari), in servizio alla data del 1° dicembre 1973 ed incaricati ai sensi

dell’art. 32 r.d. n. 12/1941, svolgente nell’ambito dell’’amministrazione della giustizia funzioni

giurisdizionali pur non appartenendo alla categoria dei magistrati ordinari, il mantenimento

dell’incarico a tempo indeterminato fino al compimento dell’età per la pensione (65° anno), con

diritto a ricevere il trattamento economico e normativo spettante ai magistrati di tribunale (e con

applicazione di tutte le leggi a favore del personale non di ruolo dello Stato) (v. art. 1).

*****

2.18. Sul trattamento economico dei giudici onorari che svolgono le funzioni di Giudice di Pace, le

disposizioni di cui all’art. 11 della l. n. 374/1991 prevedono innanzitutto il carattere onorario

dell’ufficio del giudice di pace (art. 11 comma 1°) e, comunque, il pagamento di alcune indennità

(euro 36,15 per ciascuna udienza civile o penale; euro 56,81 per ogni altro processo assegnato e

definito; un’indennità di euro 258, 23 per ciascun mese di effettivo servizio a titolo di rimborso spese

per l’attività di formazione; in materia civile un’indennità di euro 10,33 per ogni decreto ingiuntivo o

ordinanza ingiuntiva emessi, anche se di rigetto; in materia penale un’indennità di euro 10,33 per

ogni provvedimento emesso; ed altro ancora) (v. art. 11 l. n. 374/1991).7

7 Si segnala che la Corte di Cassazione, con sentenza n. 1622 del 5/2/2001, ha sancito che “la disciplina dei compensi per il giudice di pace è dettata esclusivamente dalle fonti che specificatamente li contemplano, dovendosi escludere ogni integrazione mediante il ricorso a regole dettate per rapporti di natura diversa e dovendosi, in particolare, escludere l'estensibilità ai giudici di pace di indennità (nella specie, quella di cui all'art. 3 della legge n. 27 del 1981 come

13

2.19. Invece, sul trattamento economico dei Giudici Onorari di Tribunale e dei Vice Procuratori

Onorari sono intervenute le disposizioni di cui all’art. 4 del d. lgs. 28 luglio 1989 n. 273, con le

relative modifiche ed integrazioni, che individua i criteri per il calcolo delle indennità spettanti a tali

figure, prevedendo che ai giudici onorari spetti un’indennità di euro 98,00 per le udienze svolte nello

stesso giorno, raddoppiata se il complessivo impegno lavorativo superi le cinque ore; mentre per i

Vice Procuratori Onorari spetti analoga indennità per la partecipazione alle udienze o per le attività

delegate dal Procuratore della Repubblica, da raddoppiarsi in caso di impegno superiore a cinque ore.

Tali indennità possono essere adeguate ogni tre anni con decreto ministeriale, in relazione alla

variazione del costo della vita.

2.20. Il D.P.R. n. 115/2002 (avente ad oggetto il testo unico sulle spese di giustizia) rinvia a tali

norme (l. n. 374/1991; d. lgs. n. 273/1989) per la regolamentazione dei compensi dei giudici onorari.

2.21. Il trattamento economico dei magistrati ordinari è invece disciplinato dalla l. n. 92/1979 in

termini totalmente diversi, spettando uno stipendio commisurato secondo le tabelle allegate alla

legge, oltre l’attribuzione dell’indennità integrativa speciale e delle altre competenze previste dalle

vigenti disposizioni di legge.

2.22. Nessuna disposizione di legge ha disciplinato e previsto, in favore dei giudici onorari,

l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, la contribuzione per la

pensione di vecchiaia o di anzianità, le ferie, la maternità, ed ogni altro diritto fondamentale

riconosciuto nei confronti dei lavoratori subordinati, fino alla riforma introdotta dal d. lgs. n.

116/2017 (su cui v. infra).

2.23. Il diritto alle ferie è previsto, nell’ordinamento nazionale, dall’art. 10 del d. lgs. 8 aprile 2003 n.

66, in attuazione della direttiva 93/104/CE e 2000/34/CE, che dispone, per ogni prestatore di lavoro,

il diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane.

Per i magistrati ordinari l’art. 8-bis della l. n. 92/1979 prevede in modo specifico che “i magistrati

ordinari, amministrativi, contabili e militari, nonché gli avvocati e i procuratori dello Stato hanno un

periodo annuale di ferie di trenta giorni”.

2.24. Si deve poi ricordare che l’art. 5 comma 4-bis del d. lgs. n. 368/2001, in attuazione della

direttiva 1999/70/CE, ha previsto, in caso di superamento del periodo massimo di durata di un

rapporto a termine, la sanzione della conversione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo

indeterminato, norma questa riproposta dal d. lgs. n. 81/2015, che ha abrogato (v. art. 55) il citato d.

lgs. n. 368.

interpretato dall'art. 1 della legge n. 425 del 1984) previste per i giudici togati, che svolgono professionalmente e "in via esclusiva" funzioni giurisdizionali ed il cui trattamento economico è articolato su parametri affatto differenti”.

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L’art. 6 del d. lgs. n. 368/2001 ha poi stabilito, sempre in attuazione della normativa europea, il

divieto di discriminazione, riproposto anch’esso dall’art. 25 del d. lgs. n. 81/2015.

I principi sanciti dalle richiamate normative e qui richiamati, sono stati ritenuti applicabili alle

amministrazioni pubbliche ed ai rapporti di lavoro da esse instaurati, come nel caso di specie, grazie

alle sentenze della Corte di Giustizia della U.E del 7 settembre 2006 Marrosu-Sardino, C-54/04 e del

26 novembre 2014, Mascolo ed altri, cause riunite C-22/13, C-61/13, C-62/13, C- 63/13 e C-418/13).

****

2.25. Il d. lgs. 13 luglio 2017 n. 116, in attuazione della legge delega 28 aprile 2016 n. 57, ha previsto

una riforma organica della magistratura onoraria e ha disposto alcune modifiche, anche con riguardo

al trattamento economico e normativo dei giudici onorari (Giudici di Pace, Giudici Onorari di

Tribunale, Vice Procuratori Onorari).

Il diritto alle ferie oggetto del rinvio pregiudiziale del Giudice di Pace di L’Aquila e le relative

questioni giuridiche ed interpretative, sono rationae temporis disciplinate dalle disposizioni di legge

dello Stato italiano fin qui richiamate e illustrate.

Ma si segnalano, comunque, le principali modifiche apportate al quadro legislativo e regolamentare

in precedenza definito.

2.26. Il d. lgs. n. 116/2017 prevede (v. art. 1, comma 3°) che l’incarico del magistrato onorario sia

considerato un incarico di natura “inderogabilmente temporanea”, che “non determina in nessun caso

un rapporto di impiego pubblico” e che sia compatibile con lo svolgimento di altre attività lavorative

o professionali. A questo fine si prevede che non possa essere richiesto un impegno lavorativo

superiore a due giorni settimanali, tenendo conto sia dei compiti da svolgere in udienza che fuori

udienza pubblica, e inoltre che il magistrato onorario debba esercitare le sue funzioni “secondo

principi di autoorganizzazione dell’attività” (comma 4°).

2.27. La dotazione organica e la relativa pianta organica dei giudici onorari di pace e dei vice

procuratori onorari è demandata ad un decreto ministeriale da emanarsi entro sei mesi dall’entrata in

vigore della legge (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana il 31 luglio 2017).

2.28. La durata dell’incarico è disciplinata dall’art. 18, prevedendosi una durata iniziale di anni

quattro con possibile conferma, a domanda, di altri quattro anni, fermo il limite massimo di anni otto

e la cessazione dell’incarico comunque al compimento del 65° anno di età.

2.29. L’art. 23 disciplina i compensi previsti per i magistrati onorari, che si compongono di una parte

fissa (indennità pari ad Euro 16.140,00 per ogni anno, riducibile fino all’ottanta per cento) e di una

parte variabile (definita come indennità di risultato, dipendente dal conseguimento degli obiettivi

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assegnati) non inferiore al quindici per cento e non superiore al trenta per cento dell’indennità

annuale (v. art. 23 comma 9°).

2.30. Il periodo feriale è ora disciplinato dall’art. 24 d. lgs. n. 116/2017 nei seguenti termini: “I

magistrati onorari non prestano attività durante il periodo feriale di cui all’articolo 1 della legge 7

ottobre 1969 n. 742 [periodo di sospensione dell’attività giudiziaria], salvo che ricorrano specifiche

esigenze d’ufficio; in ogni caso, è riconosciuto il diritto di non prestare attività nel periodo ordinario

per un corrispondente numero di giorni. L’indennità prevista dall’articolo 23 è corrisposta anche

durante il periodo di cui al presente articolo”.

2.31. La malattia e l’infortunio sono regolamentati dall’art. 25 1° comma, ove si prevede che in tal

caso l’eventuale sospensione dell’attività “non comporta la dispensa dall’incarico”, che rimane

sospeso per un periodo massimo di mesi sei, senza diritto all’indennità prevista dall’art. 23.

2.32. La gravidanza e la maternità sono disciplinati dal secondo comma della medesima disposizione,

che prevede la sospensione obbligatoria dell’attività lavorativa, senza diritto ad alcuna indennità, per

il periodo di legge (due mesi prima del parto e tre dopo, o alternativamente un mese prima del parto e

quattro successivi) (art. 25 comma 2°).

2.33. La minimale tutela previdenziale e assistenziale è poi assicurata, con effetto ex nunc,

disponendo, ai sensi del terzo comma dell’art. 25, l’iscrizione obbligatoria dei giudici onorari di pace

e dei vice procuratori onorari alla Gestione Separata dell’INPS (prevista dall’art. 2 comma 26 l. n.

335/1995 e “finalizzata all'estensione dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la

vecchiaia ed i superstiti, i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva,

attività di lavoro autonomo…nonché i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e

continuativa”), ma con oneri a carico dei giudici onorari per il versamento dei relativi contributi, pari

al dieci per cento delle indennità percepite, come previsto dal comma 29 dell’art. 26 l. n. 335/1995

(queste disposizioni non sono applicabili agli iscritti agli albi professionali, per i quali vale quanto

previsto dall’art. 21 l. n. 247/2012).

2.34. Viene disposta dalla legge di riforma l’assicurazione contro gli infortuni e le malattie

professionali dei giudici onorari di pace e dei vice procuratori onorari, regolamentata dal D.P.R. n.

1124/1965, con effetto anche in questo caso ex nunc, senza alcun riconoscimento per i periodi

pregressi.

2.35. Per i magistrati onorari già in servizio alla data di entrata in vigore della riforma, come il

ricorrente della causa principale, il d. lgs. n. 116/2017 dispone che essi “possono essere confermati,

alla scadenza del primo quadriennio di cui al decreto legislativo 31 maggio 2016 n. 92, o di cui

all’articolo 32, comma 8, a domanda e a norma dell’art. 18, commi da 4 a 14, per ciascuno dei

16

successivi quadrienni” (art. 29 comma 1°) e che “in ogni caso, l’incarico cessa al compimento del

sessantottesimo anno di età” (comma 2°).

2.36. Per le indennità spettanti, si prevede per i magistrati già in servizio, in forza di quanto disposto

dall’art. 31 del d. lgs. n. 116, il mantenimento delle condizioni previste dalla precedente

regolamentazione legislativa (l. n. 374/1991, art. 11, applicabile ai giudici di pace, d. lgs. n.

273/1989, art. 4, applicabile ai vice procuratori onorari e ai giudici onorari di tribunale, illustrate in

precedenza); in alternativa, si prevede l’opzione per il passaggio al trattamento economico definito

dal d. lgs. n. 116 per i magistrati onorari di nuova assunzione, con riconoscimento di un’indennità

maggiorata pari ad Euro 24.210,00 anziché 16.140,00 (v. comma 2° dell’art. 31).

2. 37. L’art. 32 del capo XII del d. lgs. n. 116 stabilisce poi alcune disposizioni transitorie da

applicarsi ai magistrati già in servizio alla data di entrata in vigore del decreto legislativo, come il

ricorrente della causa principale.

Il primo comma prevede infatti che le nuove disposizioni si applicano ai magistrati in servizio solo

per quanto non previsto dal Capo XI (art. 29-31, riguardanti rispettivamente la durata dell’incarico,

le funzioni e i compensi dei magistrati onorari in servizio) e che l’armonizzazione dei trattamenti

avverrà con effetto dalla scadenza del quarto anno successivo all’entrata in vigore del decreto

legislativo n. 116 (31/7/2017).

3. Il diritto vivente

3.1. Già con la sentenza n. 1622 del 5/2/2001 la Corte di Cassazione, nel definire un giudizio

promosso da un Giudice di pace per rivendicare le medesime indennità erogate dallo Stato italiano ai

magistrati ordinari, aveva respinto tali richieste orientando la propria decisione in base al carattere

onorario dell’incarico ricevuto.

La Corte di Cassazione aveva difatti enunciato il principio secondo cui “la legge 21 novembre 1991,

n. 374, che ha istituito il giudice di pace, lo definisce magistrato onorario appartenente "all'ordine

giudiziario" (art. 1, secondo comma), al pari di quanto era stato previsto per i giudici conciliatori, i

vice conciliatori, i vice pretori, i vice procuratori e gli altri magistrati onorari dall'art. 4, secondo

comma, del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 sull'ordinamento giudiziario” ed è indubitabile che “la

funzione giurisdizionale viene esercitata dai magistrati ordinari e che di tale categoria fanno parte sia

i giudici di carriera che quelli onorari (…), ma da tale appartenenza non può farsi discendente il

diritto alla indennità di funzione rivendicata”.

17

La Corte di Cassazione ha infatti evidenziato nella suddetta sentenza che “la giurisprudenza di legittimità ha più volte evidenziato i profili che distinguono la figura del funzionario onorario da quella del pubblico dipendente, qual è il magistrato togato (Cass., Sez. Un., n. 129/99, Sez. Un., 7 ottobre 1982, n. 5129; Id., Sez. Un., 20 marzo 1985, n. 2033; Id., Sez. Un., 14 gennaio 1992, n. 363; Id. Sez. Un., 17 febbraio 1994, n. 1566), perché la prima si rinviene ogni qualvolta esista un rapporto di servizio con attribuzione di funzioni pubbliche, ma manchino gli elementi caratterizzanti dell'impiego pubblico, quali la scelta del dipendente di carattere prettamente tecnico-amministrativo effettuata mediante procedure concorsuali (che si contrappone, nel caso del funzionario onorario, ad una scelta politico-discrezionale); l'inserimento strutturale del dipendente nell'apparato organizzativo della P.A. (rispetto all'inserimento meramente funzionale del funzionario onorario); lo svolgimento del rapporto secondo un apposito statuto per il pubblico impiego (che si contrappone ad una disciplina del rapporto di funzionario onorario derivante pressoché esclusivamente dall'atto di conferimento dell'incarico e dalla natura dello stesso); la diversità concerne anche la durata, che è tendenzialmente indeterminata nel rapporto di pubblico impiego, a fronte della normale temporaneità dell'incarico onorario. Non meno rilevanti sono le differenze in relazione alla natura dei compensi, perché quello del giudice togato ha carattere retributivo in quanto inserito in un rapporto sinallagmatico, mentre quello percepito dal funzionario onorario ha carattere indennitario e di ristoro delle spese.Vi è poi da considerare che i magistrati onorati non sono mai stati contemplati nelle leggi riguardanti il trattamento economico di quelli togati, ma hanno sempre ricevuto il trattamento appositamente previsto dagli specifici provvedimenti istitutivi, e precisamente la legge 18 maggio 1974, n. 217 in relazione ai vice pretori onorari; la legge 22 luglio 1997, n. 276 (art. 8) in relazione al trattamento dei giudici onorari aggregati (che si compendia in una somma fissa ed un'altra variabile in relazione al numero delle sentenze ovvero dei verbali di conciliazione); l'art. 8 della legge 19 febbraio 1998, n. 51 in relazione ai giudici onorari addetti al Tribunale ordinario, la quale ha previsto che "al giudice onorario competono esclusivamente le indennità e gli altri diritti espressamente attribuiti dalla legge con specifico riferimento al rapporto di servizio onorario". (…) Si osserva altresì che il trattamento economico dei giudici di pace è minutamente regolato dall'art. 11 della legge 21 novembre 1991, n. 374, come modificato dall'art. 15 del D.L. 7 ottobre 1994, n. 571, conv. in legge 6 dicembre 1994, n. 673 e dall'art. 5 della legge 16 dicembre 1999, n. 479, per cui al giudice di pace che esercita le funzioni in materia civile è corrisposta una indennità di settantamila lire per ogni giorno di udienza, per non più di dieci udienze al mese e di lire contodiecimila per ogni sentenza ovvero per ogni verbale di conciliazione; analoghe sono le indennità per colui che esercita le funzioni penali; in materia civile, comma 3-bis, viene corrisposta altresì una indennità di ventimila lire per ogni decreto ingiuntivo o ordinanza ingiunzione; l'ammontare delle indennità viene rideterminato ogni triennio in relazione all'indice Istat dei prezzi al consumo, comma 4; ed infine si dispone al comma 4-bis che dette indennità sono cumulabili con i trattamenti pensionistici e di quiescenza comunque denominati.

18

Vi è poi da considerare che il giudice di pace, se avvocato, può continuare l'esercizio della professione forense, salvo che davanti all'ufficio cui appartiene o che si tratti di assistere o difendere le parti di procedimenti svolti dinanzi al medesimo ufficio, nei successivi gradi di giudizio (art. 8-bis della legge n. 374 del 1991, citata a seguito delle modifiche apportate con l'art. 6 della legge 24 novembre 1999, n. 468).Pertanto la specialità del trattamento economico, la possibilità del suo cumulo con i trattamenti pensionistici, nonché la possibilità di esercitare la professione forense conducono a ritenere che non siano estensibili ai giudici di pace indennità previste per i giudici togati che svolgono professionalmente ed "in via esclusiva" funzioni giurisdizionali, ed il cui trattamento economico è articolato su parametri completamente diversi (si vedano da ultimo Cass., Sez. Un., n. 129/99, nonché Cass., 19 novembre 1993, n. 11413; Id., 27 aprile 1992 n. 5008; Id., Sez. Un., 21 febbraio 1991, n. 1845; Id., Sez. Un., 16 dicembre 1987, n. 9315).Si deve conclusivamente ritenere che la disciplina dei compensi per il giudice di pace è data esclusivamente dalle fonti che specificamente li contemplano, restando esclusa ogni integrazione mediante il ricorso a regole dettate per rapporti di natura diversa”.

****

Sulla questione relativa alla posizione dei magistrati onorari era già intervenuta la Corte di

Cassazione a Sezioni Unite con sentenza 9/11/1998 n. 11272, riproponendo un orientamento

consolidato e tralatizio sulla categoria dei funzionari onorari, a cui è stato ancorato il giudizio sulle

rivendicazioni dei giudici di pace, orientamento secondo cui “le caratteristiche proprie della figura

del funzionario onorario debbono essere individuate non in positivo, ma in negativo, dal momento

che, in carenza di una organica disciplina (non dettata dal legislatore), la figura in questione

necessariamente assume una connotazione, per così dire, residuale rispetto a quella del pubblico

impiegato. E, avuto riguardo a questo rilievo, è stato quindi asserito che la figura di cui si discute

ricorre quando esiste un rapporto di servizio volontario, con attribuzione di funzioni pubbliche, ma

senza la presenza degli elementi che caratterizzano l'impiego pubblico (v. per l'enunciazione di tali

concetti e come espressione di un indirizzo risalente nel tempo, Cass., Sez. Un., 8 gennaio 1975, n.

27; Cass., Sez. Un., 7 ottobre 1982, n. 5129; Cass., Sez. Un., 20 marzo 1985, n. 2033; Cass., Sez.

Un., 14 gennaio 1992, n. 363 e Cass., Sez. Un., 17 febbraio 1994, n. 1556, tutte in motivazione)”.

Sul problema della natura onoraria dell’incarico si vedano pure Cass. SS.UU. n. 17591 del 4/9/2015 e

Cass. Lav. n. 17862 del 9/9/2016, nonchè Cass. 04/11/2015, n. 22569 e 03/05/2005, n. 9155 che

hanno escluso la parasubordinazione del giudice di pace.

Ancora più recentemente, le Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza n. 13721 del 2017,

rinnovando l’orientamento che valorizza la natura onoraria dell’incarico, ha formulato le seguenti

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considerazioni che impediscono qualsiasi tutela dei giudici onorari (giudici di pace, vice procuratori

onorari, giudici onorari di tribunale) all’interno dell’ordinamento nazionale, in base agli orientamenti

del diritto vivente.

Difatti le Sezioni Unite della Cassazione hanno nuovamente, ma problematicamente, risolto il nodo

relativo alla natura del rapporto lavorativo dei giudici onorari, riaffermando il principio secondo cui

“la categoria dei funzionari onorari, della quale fa parte il giudice di pace (L. 21 novembre 1991, n.

374, art. 1, comma 2) ricorre quando esiste un rapporto di servizio volontario, con attribuzione di

funzioni pubbliche, ma senza la presenza degli elementi che caratterizzano l'impiego pubblico. Si è

precisato, inoltre, che i due rapporti si distinguono in base a taluni indici rivelatori quali ad esempio:

a) la scelta del funzionario, che nell'impiego pubblico viene effettuata mediante procedure

concorsuali di carattere tecnico-amministrativo; b) l'inserimento nell'apparato organizzativo

dell'amministrazione, che è strutturale e professionale per il pubblico impiegato e meramente

funzionale per il funzionario onorario; c) il compenso, che consiste in una vera e propria retribuzione,

inerente al rapporto sinallagmatico costituito fra le parti, con riferimento al pubblico impiegato e che

invece, riguardo al funzionario onorario, ha carattere meramente indennitario; d) la durata del

rapporto che, di norma, è a tempo indeterminato nel pubblico impiego e a termine (con eventuale

rinnovo) quanto al funzionario onorario. Si chiarito, infine, che l'art. 54 Cost., costituendo l'unica

fonte della disciplina costituzionale dell'attribuzione di funzioni pubbliche al cittadino al di fuori del

rapporto di pubblico impiego, esclude qualsiasi connotato di sinallagmaticità tra esercizio delle

funzioni e trattamento economico per tale esercizio, che è, invece, proprio di quel rapporto; mentre il

termine "affidamento", lungi dal configurarsi come un richiamo a quel connotato, vale, invece, a

generalizzare il contenuto della norma, al fine di ricomprendere tutti i casi in cui sia affidata al

cittadino - in qualunque modo - una funzione pubblica, imponendogli che essa sia assolta con

disciplina ed onore”

****

La Corte Costituzionale, con ordinanza n. 479 del 25 ottobre-8 novembre 2000, è intervenuta per

giudicare la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni di cui agli art. 3 della legge n. 27

del 1981 e degli artt. 1 e 2 della l. n. 425/1984 nella parte in cui escludo i giudici onorari

dall’applicazione del trattamento economico previsto per i magistrati ordinari, affermando che "la

posizione dei magistrati che svolgono professionalmente e in via esclusiva funzioni giurisdizionali e

quelle dei magistrati onorari non sono tra loro raffrontabili ai fini della valutazione della violazione

del principio di uguaglianza, in quanto per i secondi il compenso è previsto per un'attività che essi

non esercitano professionalmente ma, di regola, in aggiunta ad altre attività, per cui non deve ad essi

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essere riconosciuto il medesimo trattamento economico, sia pure per la sola indennità giudiziaria, di

cui beneficiano i primi".

La Corte Costituzionale peraltro, con l'ordinanza del 30 giugno 1999, n. 272, aveva dichiarato la

manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale delle medesime disposizioni, nella

parte in cui non estendono ai componenti le commissioni tributarie la speciale indennità di funzione

attribuita ai magistrati ordinari ed equiparati, pur auspicando una revisione della materia da parte del

legislatore nell’ottica della tutela dell’indipendenza della magistratura ai sensi dell’art. 108 Cost.

(facendo seguito ad analoghe decisioni di rigetto: v. ord. n. 594 del 1989 e ord. n. 57 del 1990 con

riferimento alla violazione dell’art. 108 Cost. in relazione al principio dell’indipendenza della

magistratura, della questione di costituzionalità delle disposizioni che negano ai giudici onorari

l’indennità di funzione prevista per i giudici ordinari).

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4) Corte di Giustizia della U.E., sentenza 1° marzo 2012 Demond Patrick O’Brien/Ministry of

Justice, C-393/10

Con la sentenza del 1° marzo 2012, O'Brien, C-393/10, la Corte di Giustizia, in sede di

interpretazione autentica (articolo 19, comma 3, lett. b, TUE ed articolo 267 TFUE) della clausola 4

dell’accordo quadro allegato alla direttiva sul lavoro a tempo parziale 1997/81/CE, di contenuto

esattamente corrispondente alla clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla direttiva sul lavoro a

tempo determinato 1999/70/CE, sciogliendo una questione pregiudiziale sollevata da una Corte

britannica ai sensi dell'articolo con riguardo alla richiesta, da parte di un magistrato onorario

britannico, del riconoscimento della pensione di quiescenza, ha accertato e deliberato quanto segue.

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«28.     Va rilevato che l’ambito di applicazione ratione personae dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale è definito alla clausola 2, punto 1, di tale accordo. Ai sensi di questa disposizione, detto accordo si applica «ai lavoratori a tempo parziale che hanno un contratto o un rapporto di lavoro definito per legge, contratto collettivo o in base alle prassi in vigore in ogni Stato membro». Né la direttiva 97/81 né l’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale contengono una definizione dei termini di «lavoratore», «contratto di lavoro» o «rapporto di lavoro».29            Il sedicesimo considerando della direttiva 97/81 afferma che, per quanto riguarda i termini impiegati nell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale non specificamente definiti, la direttiva medesima lascia agli Stati membri il compito di definirli in conformità del diritto e/o delle prassi nazionali, come nel caso di altre direttive adottate in materia sociale che utilizzano termini simili, a condizione che dette definizioni rispettino il contenuto di tale accordo quadro. 30           Al pari delle parti principali, tutti i governi che hanno depositato osservazioni e la Commissione europea concordano nel riconoscere che la nozione di lavoratore nel diritto dell’Unione non è univoca, ma varia a seconda del settore di applicazione considerato (sentenze del 12 maggio 1998, Martínez Sala, C-85/96, Racc. pag.  I-2691, punto 31, e del 13 gennaio 2004, Allonby, C-256/01, Racc. pag.  I-873, punto 63)31          Nella specie, si deve rilevare che, come risulta dal tenore dell’undicesimo considerando della direttiva 97/81, l’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale non mira ad armonizzare tutte le normative nazionali relative ai contratti di lavoro o ai rapporti di lavoro a tempo parziale, bensì è inteso unicamente, fissando principi generali e prescrizioni minime, a «stabilire un quadro generale per l’eliminazione delle discriminazioni verso i lavoratori a tempo parziale».32           Dalle suesposte considerazioni risulta che il legislatore dell’Unione, adottando tale direttiva, ha ritenuto che la nozione di «lavoratori a tempo parziale che hanno un contratto o un rapporto di lavoro» dovesse essere interpretata ai sensi del diritto nazionale.33           La Corte ha fatto propria tale affermazione ricordando che un lavoratore rientra nell’ambito di applicazione dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale qualora abbia un contratto o un rapporto di lavoro definito per legge, contratto collettivo o in base alle prassi in vigore in ogni Stato membro considerato (v. sentenza del 12 ottobre 2004, Wippel, C-313/02, Racc. pag. I-9483, punto 40).34           Tuttavia, il potere discrezionale concesso agli Stati membri dalla direttiva 97/81 per definire le nozioni utilizzate nell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale non è illimitato. Come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 36 e 37 delle sue conclusioni, taluni termini impiegati in tale accordo quadro possono essere definiti in conformità con il diritto e/o le prassi nazionali a condizione di rispettare l’effetto utile di tale direttiva e i principi generali del diritto dell’Unione.35            Infatti, agli Stati membri non è consentito applicare una normativa che possa pregiudicare la realizzazione degli obiettivi perseguiti da una direttiva e, conseguentemente, privare la direttiva medesima del proprio effetto utile (v., in tal senso, sentenza del 28 aprile 2011, El Dridi, C-61/11 PPU, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 55).

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36. uno Stato membro non può escludere, a sua discrezione, in violazione dell’effetto utile della direttiva 97/81, talune categorie di persone dal beneficio della tutela voluta da questa direttiva e dall’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale [v., per analogia con la direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU L 175, pag. 43; in prosieguo: l’«accordo quadro sul lavoro a tempo determinato»), sentenza del 13 settembre 2007, Del Cerro Alonso, C-307/05, Racc. pag. I-7109, punto 29].

37           Tale interpretazione è avvalorata dalle disposizioni dei due atti precedenti, che non contengono alcuna indicazione che consenta di dedurre che determinate categorie di impieghi sarebbero escluse dal loro ambito di applicazione. Al contrario, come emerge dal tenore stesso della clausola 2, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, l’ambito di applicazione di quest’ultimo è concepito estensivamente, riguardando in modo generico i lavoratori a tempo parziale aventi un contratto o un rapporto di lavoro definito per legge, contratto collettivo o in base alle prassi vigenti in ciascuno Stato membro. La definizione della nozione di «lavoratore a tempo parziale» ai sensi di tale accordo quadro, enunciata nella clausola 3, punto 1, di quest’ultimo, include tutti i lavoratori, senza operare alcuna distinzione basata sulla natura pubblica o privata del loro datore di lavoro (v., per analogia con l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, sentenza del 22 dicembre 2010, Gavieiro Gavieiro e Iglesias Torres, C-444/09 e C-456/09, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 39 e 40 nonché la giurisprudenza ivi citata).38           Va osservato, come fatto valere dalla Commissione, che la definizione di «lavoratore che ha un contratto o un rapporto di lavoro», ai sensi della clausola 2, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, avrà un impatto sulla portata e sull’effetto utile del principio di parità di trattamento sancito da detto accordo.39           Nel caso di specie, secondo il governo del Regno Unito, il diritto nazionale riconosce da molto tempo che i giudici, titolari di una carica giudiziaria, non vengono assunti con un contratto di lavoro, e che tale diritto non riconosce nemmeno una categoria di «rapporti di lavoro» distinta dal rapporto sorto contrattualmente. Per questi motivi, a parere del Ministry of Justice e di tale governo, la categoria dei giudici, in linea generale, non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 97/81. Di conseguenza, l’unica ragione d’essere dell’articolo 17 del regolamento sui lavoratori a tempo parziale, che precisa che quest’ultimo non si applica ai giudici a tempo parziale retribuiti in base a tariffe giornaliere, sarebbe la sua ridondanza.40            In base all’interpretazione data dal diritto nazionale della nozione di «lavoratore che ha un contratto o un rapporto di lavoro», quale suggerita dal governo del Regno Unito, l’esercizio di una carica giudiziaria esclude di primo acchito l’esistenza di un contratto o di un rapporto di lavoro, privando così i giudici del beneficio della tutela voluta dalla direttiva 97/81 e dall’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale.41           Al riguardo, occorre rilevare che la sola circostanza che i giudici siano qualificati come titolari di una carica giudiziaria non è sufficiente, di per sé, a sottrarre questi ultimi dal beneficio dei diritti previsti da detto accordo quadro.42            Infatti, dai punti 34-38 della presente sentenza e, segnatamente, dalla necessità di tutelare l’effetto utile del principio di parità di trattamento sancito da detto accordo quadro emerge che tale esclusione, sotto pena di essere considerata arbitraria, può essere ammessa solo qualora la natura del rapporto di lavoro di cui trattasi sia sostanzialmente diversa da

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quella che lega ai loro datori di lavoro i dipendenti che, secondo il diritto nazionale, rientrano nella categoria dei lavoratori. 43           Spetta al giudice del rinvio esaminare, in definitiva, in qual misura la relazione esistente tra i giudici ed il Ministry of Justice sia, di per sé, sostanzialmente differente dal rapporto di lavoro esistente tra un datore di lavoro ed un lavoratore. La Corte può tuttavia fornire al giudice del rinvio taluni principi e criteri di cui quest’ultimo dovrà tener conto nell’ambito del suo esame.44           A tal proposito va rilevato, come ha fatto l’avvocato generale al paragrafo 48 delle sue conclusioni, che, nel valutare se detto rapporto di lavoro differisca sostanzialmente da quello che lega ai rispettivi datori di lavoro i dipendenti che, secondo il diritto nazionale, rientrano nella categoria dei lavoratori, il giudice del rinvio dovrà prendere in considerazione, conformemente alla ratio e alla finalità dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, la distinzione tra questa categoria e quella delle professioni autonome.45            In tale prospettiva, occorre tener conto delle modalità di designazione e di revoca dei giudici, ma anche di quelle di organizzazione del loro lavoro. Al riguardo, dalla decisione di rinvio emerge che si ritiene che i giudici lavorino secondo orari e periodi ben definiti, benché essi possano organizzare il loro lavoro in modo più flessibile rispetto a coloro che esercitano altre professioni.46           Peraltro, come risulta dalla decisione di rinvio, va constatato che i giudici hanno diritto all’indennità per malattia, agli assegni di maternità o di paternità, nonché ad altre prestazioni simili.47           Si deve rilevare che la circostanza che i giudici siano soggetti a condizioni di servizio e possano essere considerati lavoratori ai sensi della clausola 2, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale non pregiudica minimamente il principio di indipendenza del potere giudiziario e la facoltà degli Stati membri di prevedere l’esistenza di uno statuto particolare che disciplini l’ordine della magistratura. 48           Come sottolineato dalla Supreme Court of the United Kingdom al punto 27 della decisione di rinvio, i giudici rimangono indipendenti nell’esercizio della funzione giudicante in quanto tale, in base all’articolo 47, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.49           Queste constatazioni non sono rimesse in discussione dall’argomento del governo lettone, secondo il quale l’applicazione al potere giudiziario del diritto dell’Unione implicherebbe che non vengano rispettate le identità nazionali degli Stati membri, il che risulterebbe contrario all’articolo 4, paragrafo 2, TUE. Infatti, si deve rilevare che l’applicazione, nei confronti dei giudici a tempo parziale retribuiti in base a tariffe giornaliere, della direttiva 97/81 e dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale non può incidere sull’identità nazionale, ma sarebbe intesa unicamente a farli beneficiare del principio generale di parità di trattamento che costituisce uno degli obiettivi di detti testi, e, pertanto, a tutelarli contro le discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo parziale.50           Lo stesso vale riguardo all’argomento secondo cui i giudici, in linea generale, non rientrerebbero nell’ambito di applicazione della direttiva 97/81 e dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, atteso che, in forza dell’articolo 51 TFUE, la libera circolazione dei lavoratori non si applicherebbe alle attività che partecipano all’esercizio dei pubblici

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poteri. Infatti, occorre sottolineare che detto accordo quadro non riguarda la libera circolazione dei lavoratori.51           Ciò premesso, occorre rispondere alla prima questione sollevata dichiarando che il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che spetta agli Stati membri definire la nozione di «lavoratori (...) che hanno un contratto o un rapporto di lavoro», contenuta nella clausola 2, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, e, segnatamente, determinare se i giudici rientrino in tale nozione, a condizione che ciò non porti ad escludere arbitrariamente detta categoria di persone dal beneficio della tutela offerta dalla direttiva 97/81 e da detto accordo quadro. L’esclusione dal beneficio di tale tutela può essere ammessa solo qualora il rapporto che lega i giudici al Ministry of Justice sia, per sua propria natura, sostanzialmente diverso da quello che vincola ai loro datori di lavori i dipendenti rientranti, secondo il diritto nazionale, nella categoria dei lavoratori.52          Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, nell’ipotesi in cui i giudici rientrassero, in base al diritto nazionale, nella nozione di «lavoratori (…) che hanno un contratto o un rapporto di lavoro», che figura nella clausola 2, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, se quest’ultimo debba essere interpretato nel senso che osta a che, ai fini dell’accesso al regime pensionistico, il diritto nazionale operi una discriminazione tra i giudici a tempo pieno e i giudici a tempo parziale, oppure tra i giudici a tempo parziale che svolgono la loro attività secondo regimi diversi.53           Come emerge dagli atti sottoposti alla Corte, detta questione risulta dalla circostanza che l’articolo 17 del regolamento sui lavoratori a tempo parziale prevede espressamente che lo stesso regolamento non si applichi ai titolari di una carica giudiziaria retribuiti in base a tariffe giornaliere, quali i recorder. Questi ultimi, pertanto, non possono avvalersi dell’articolo 5 di detto regolamento, che vieta l’ingiustificato trattamento meno favorevole dei lavoratori a tempo parziale, con la conseguenza che essi, contrariamente ai giudici a tempo pieno e ai giudici a tempo parziale stipendiati, non possono iscriversi al regime pensionistico delle professioni giudiziarie e beneficiare di una pensione in base a questo regime al momento del loro collocamento a riposo.54           Ai sensi della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, per quanto attiene alle condizioni di impiego, è vietato trattare i lavoratori a tempo parziale in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo motivo che lavorano a tempo parziale, a meno che un trattamento differente sia giustificato da ragioni obiettive. Secondo la clausola 4, punto 2, di detto accordo quadro, si applica, ove opportuno, il principio del pro rata temporis.55           Va rilevato che la nozione di «condizioni di impiego», di cui alla clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, comprende le pensioni di vecchiaia che dipendono da un rapporto di lavoro tra lavoratore e datore di lavoro (v., in particolare, sentenza Bruno e a., cit., punto 42).56            Il diverso trattamento che subirebbero i giudici a tempo parziale retribuiti in base a tariffe giornaliere risulta dalla circostanza che essi, a causa delle loro modalità di retribuzione, non possono beneficiare di una pensione ai sensi del regime pensionistico delle professioni giudiziarie al momento del loro collocamento a riposo, né della tutela offerta dall’articolo 17 del regolamento sui lavoratori a tempo parziale.

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57           Il governo del Regno Unito fa valere, al riguardo, che la direttiva 97/81 e l’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale riguardano solamente le discriminazioni tra i giudici a tempo parziale e i giudici a tempo pieno, e non tra le diverse categorie di lavoratori a tempo parziale che svolgono la loro attività secondo regimi differenti.58           A tal proposito, occorre constatare che, come rilevato in udienza dallo stesso governo del Regno Unito, quando è stato adottato il regolamento sui lavoratori a tempo parziale, i giudici a tempo parziale, salvo poche eccezioni, erano tutti retribuiti in base a tariffe giornaliere. È dunque in tale contesto che va intesa la situazione dei giudici a tempo parziale retribuiti su tale base. Pertanto, il fatto che le disposizioni nazionali attribuiscano ai soli giudici stipendiati il diritto di iscriversi al regime pensionistico delle professioni giudiziarie equivale ad attribuire tale diritto ai giudici a tempo pieno e, in tal modo, ad escludere i giudici a tempo parziale, dato che questi ultimi, salvo poche eccezioni, sono retribuiti in base a tariffe giornaliere.59           Ciò considerato, risulta inconferente la circostanza che i giudici a tempo parziale stipendiati siano trattati in modo identico, con riferimento al diritto alla pensione di vecchiaia, ai giudici a tempo pieno. Di conseguenza, non occorre esaminare se la direttiva 97/81 e l’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale autorizzino le distinzioni introdotte dal diritto nazionale, per la definizione del diritto alla pensione di vecchiaia, tra i giudici a tempo parziale che svolgono la loro attività secondo regimi diversi.60           Va pertanto verificato se la mancata concessione di una pensione di vecchiaia ai giudici a tempo parziale retribuiti in base a tariffe giornaliere si risolva in un loro trattamento meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno che si trovino in una situazione comparabile.61           Al riguardo, la clausola 3 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale fornisce i criteri di definizione del «lavoratore a tempo pieno comparabile», definito, al punto 2, primo comma, di tale clausola, come «un lavoratore a tempo pieno dello stesso stabilimento, che ha lo stesso tipo di contratto o di rapporto di lavoro e un lavoro/occupazione identico o simile, tenendo conto di altre considerazioni che possono includere l’anzianità e le qualifiche/competenze». Occorre rilevare che detti criteri si basano sul contenuto dell’attività delle persone interessate.62           Non si può quindi sostenere che i giudici a tempo pieno e i recorder non si trovino in una situazione comparabile a causa delle divergenze tra le loro carriere, dato che i secondi hanno sempre la possibilità di esercitare la professione forense. Decisiva è piuttosto la questione se essi svolgano sostanzialmente la stessa attività. A tal proposito, le parti interessate, compreso il governo del Regno Unito, hanno chiarito in udienza che i recorder e i giudici a tempo pieno esercitavano le stesse funzioni. Si è precisato, infatti, che il loro lavoro è identico, che si svolge nelle medesime giurisdizioni e nel corso delle stesse udienze.63            In base alla clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale e al principio di non discriminazione, il diverso trattamento di un lavoratore a tempo parziale rispetto ad un lavoratore a tempo pieno comparabile può giustificarsi solo con ragioni oggettive.64           Orbene, la nozione di «ragioni oggettive» ai sensi della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale dev’essere intesa nel senso che essa non

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autorizza a giustificare una differenza di trattamento tra i lavoratori a tempo parziale e i lavoratori a tempo pieno per il fatto che tale differenza di trattamento sia prevista da una norma generale ed astratta. Tale nozione richiede, al contrario, che la disparità di trattamento in causa risponda ad una reale necessità, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria [v., per analogia con la clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, sentenza Del Cerro Alonso, cit., punti 57 e 58].65           Poiché non è stato addotto alcun motivo di giustificazione nel corso del procedimento dinanzi alla Corte, spetterà al giudice del rinvio esaminare se la disparità di trattamento tra i giudici a tempo pieno e i giudici a tempo parziale retribuiti in base a tariffe giornaliere possa essere giustificata.66           Va ricordato che considerazioni di bilancio non possono giustificare una discriminazione (v., in tal senso, sentenze del 23 ottobre 2003, Schönheit e Becker, C-4/02 e C-5/02, Racc. pag. I-12575, punto 85, nonché del 22 aprile 2010, Zentralbetriebsrat der Landeskrankenhäuser Tirols, C-486/08, Racc. pag.  I-3527, punto 46).67           Alla luce delle suesposte considerazioni, si deve rispondere alla seconda questione dichiarando che l’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale va interpretato nel senso che osta a che, ai fini dell’accesso al regime della pensione di vecchiaia, il diritto nazionale operi una distinzione tra i giudici a tempo pieno e i giudici a tempo parziale retribuiti in base a tariffe giornaliere, a meno che tale differenza di trattamento sia giustificata da ragioni obiettive, che spetta al giudice del rinvio valutare.».

5) La decisione del Comitato Europeo dei Diritti sociali del Consiglio d’Europa sul reclamo

collettivo n. 102/2013.

Con decisione del 5 luglio 2016, pubblicata il 16 novembre 2016, sul reclamo n. 102/2013, il

Comitato Europeo dei Diritti Sociali del Consiglio d'Europa, nella sua veste di organismo

internazionale e giurisdizionale investito dell'interpretazione e della vigilanza sull'osservanza, con

particolare riguardo alla tutela dei diritti collettivi, della Carta Sociale Europea, adottata a Torino nel

1961 e rivista a Strasburgo nel 1996, ratificata da ultimo dall'Italia con la legge n. 30 del 1999, ha

accertato all'unanimità che lo Stato Italiano viola, a nocumento dei giudici di pace, il principio di non

discriminazione previsto dall'articolo E in combinato disposto con l'articolo 12 della menzionata

Carta Sociale Europea, ossia un trattato internazionale vincolante ai sensi dell'articolo 117, comma 1,

della Costituzione, deliberando che i giudici di pace, sotto il profilo delle funzioni, dei doveri e del

lavoro svolto, sono equiparabili ai magistrati professionali, con particolare riguardo al diritto

inviolabile ad un trattamento previdenziale ed assistenziale equipollente, anche in materia di tutela

della maternità, della paternità e della salute.

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In particolare, il Comitato Europeo dei Diritti Sociali ha rilevato che:

- il principio di non discriminazione regolato dall'articolo E mira alla "realizzazione dei diritti fondamentali che prevede la Carta. La sua funzione risiede nel garantire il godimento della totalità dei diritti protetti indipendentemente dalle caratteristiche particolari di alcune persone o gruppi di persone";- "l’art. E della Carta impedisce non solamente la discriminazione diretta, ma anche tutte le forme di discriminazione indiretta, che possono rivelare sia un trattamento inappropriato di certe situazioni, sia l’ineguale accesso ai benefici collettivi delle persone che si trovino nella stessa situazione rispetto ad altri cittadini";

- "una distinzione è discriminatoria ai sensi dell’art. E della Carta quando difetta di giustificazione obiettiva e ragionevole, in altre parole quando non persegue un fine legittimo o non è ragionevolmente proporzionata per i mezzi usati e il fine perseguito";

- "ai sensi dell’art. 1, comma 1 lettera a del regio decreto n.12/41, i Giudici di pace sono magistrati onorari che, in qualità di componenti dell’ordine giudiziario, amministrano la giustizia ed esercitano le funzioni giurisdizionali in materia civile e penale";

- "la funzione di giudice di pace deve essere esaminata, non con riferimento al loro stato o alla denominazione loro conferita dal diritto interno, ma in maniera autonoma e secondo le funzioni affidate, l’Autorità gerarchica e le attività esercitate; quest’ultimo criterio è determinante";

- "la loro assimilazione ai magistrati di ruolo è progressivamente avvenuta con riguardo al reclutamento, alle competenze, alla fiscalità dei redditi, ed alla loro organizzazione finanziaria e personale, al punto che la Corte Suprema di Cassazione ( cass. Civ. , sezioni unite, ordinanza 21582 già citata) li definisce come magistrati “a metà strada tra giudici laici e professionali”. Sono pienamente integrati nell'ordinamento giudiziario civile e penale come risultante dalle statistiche sulle prestazioni del 2014 rese dal dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi presso il ministero della Giustizia";

- "tenuto conto delle funzioni attribuite, delle competenze esercitate e della loro integrazione in seno all’organizzazione giudiziaria, il Comitato ritiene che coloro che esercitano le funzioni di giudice di pace sono, dal punto di vista funzionale, equivalenti ai magistrati di ruolo con riguardo all’art. 12§1 della carta, a prescindere dalla loro qualifica di diritto interno come magistrati professionali o onorari";

- "la raccomandazione CM/REC (2010)12, le cui disposizioni si applicano ugualmente ai giudici non professionali a meno che non risulti chiaramente dal contesto che queste non si applicano (§2), raccomanda che sia stabilita una retribuzione ragionevole in caso di malattia o di congedo di maternità o di paternità, oltre al versamento di una pensione di un livello ragionevolmente proporzionato alla remunerazione";

- "in ragione delle incompatibilità legali, delle necessità dei uffici giudiziari, od anche delle scelte personali, coloro che esercitano le funzioni di Giudice di pace sospendono o riducono la loro attività professionale sotto la soglia richiesta per l’iscrizione alla Cassa forense o per il riconoscimento delle annualità di pensione";

- "nella misura in cui la legge 374/91 non prescrive alcuna copertura previdenziale per

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l'esercizio delle attività onorarie, né garantisce un'efficace copertura alternativa per la loro previdenza sociale, una parte di coloro che esercitano le funzioni di Giudice di pace come attività principale sospendendo o riducendo la loro attività professionale si possono trovare esclusi da ogni copertura previdenziale. Poiché la legge n. 374/91 autorizza coloro che esercitano le funzioni di giudice di pace a esercitare queste funzioni a titolo principale, ed a mantenere la loro attività professionale a titolo secondario, situazione estranea ai magistrati di ruolo in ragione del loro dovere legale al solo esercizio di funzioni pubbliche ed all'iscrizione alla previdenza sociale obbligatoria, la legge citata crea una differenza di trattamento";

- "il Governo non stabilisce che tutti coloro che esercitano le funzioni di Giudice di pace beneficino della copertura previdenziale anche nel caso in cui questi sospendano o riducano la propria attività professionale sotto la soglia utile per la copertura della Cassa forense o per l’acquisizione delle annualità utili per la pensione";

- "la procedura di selezione, la nomina per un tempo determinato, il lavoro a tempo parziale, il servizio onorario o la retribuzione a mezzo di indennità" sono "argomenti relativi alla mera organizzazione del lavoro e non costituiscono una giustificazione obiettiva e ragionevole per la differenza di trattamento in oggetto, trattandosi di soggetti ai quali è stata riconosciuta l’equivalenza funzionale" ai magistrati professionali;

- "di conseguenza il Comitato afferma che sussiste la violazione dell’art. E in combinato con l’art. 12§1 della Carta nei confronti di coloro che esercitano le funzioni di Giudice di pace e non dispongono di copertura previdenziale alternativa".

6) EU-Pilot 7779/15/EMPL - Questione relativa alla compatibilità del diritto e delle prassi

nazionali con l’articolo 7 della direttiva sull’orario di lavoro, l’articolo 8 della direttiva sulla

maternità, l’articolo 8 sulla parità di trattamento dei lavoratori autonomi e le clausole 4 e 5

sull’accordo quadro allegato alla direttiva sul lavoro a tempo determinato.

Si riporta qui la valutazione della risposta dello Stato italiano in relazione all’incompatibilità delle

condizioni di lavoro dei magistrati onorari e dei vice procuratori onorari in Italia con diverse

disposizioni della normativa U.E.

“ 2. Valutazione

Negli atti di diritto derivato dell’U.E. la definizione di lavoratore varia a seconda che sia

stabilita una definizione autonoma di lavoratore a livello dell’U.E. o sia lasciato un margine

di discrezionalità agli Stati membri. Nella giurisprudenza applicabile alle diverse fonti del

diritto dell’U.E. si è andata tuttavia affermando una crescente convergenza tra le diverse

definizioni di lavoratore a livello dell’U.E.

29

Da un lato, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (“la Corte”) ha stabilito che la

definizione di lavoratore stabilita in relazione all’articolo 45 del TFUE dovrebbe essere

utilizzata per la direttiva sull’orario di lavoro. In relazione a questa direttiva la Corte

argomenta dal 2010 che “la caratteristica essenziale del rapporto di lavoro è la circostanza

che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un’altra e sotto la

direzione di quest’ultima, prestazioni in contropartita delle quali riceva una retribuzione”.

Dall’altro, la maggior parte delle direttive dell’U.E. in materia di diritto del lavoro, tra cui la

direttiva sul lavoro a tempo determinato, rimanda alle definizioni nazionali di “lavoratori” o

di “rapporti di lavoro” per determinare chi sia titolare dei diritti e degli obblighi derivanti

da tali direttive. Potrebbe quindi sembrare che gli Stati membri dispongano di un margine di

discrezionalità nel definire il concetto di lavoratore. Al fine di garantire l’effettività del

diritto della U.E. la Corte ha tuttavia introdotto alcune limitazioni a tale discrezionalità (in

pratica gli Stati membri non possono ridurre in modo sostanziale l’effetto desiderato di una

direttiva limitandone eccessivamente il numero dei beneficiari).

Nel Regno Unito, per esempio, i giudici a tempo parziale retribuiti in base a tariffe

giornaliere erano ritenuti esclusi dal campo di applicazione della direttiva sul lavoro a tempo

parziale, ma la Corte ha ricordato che “dalla necessità di tutelare l’effetto utile del principio

di parità di trattamento sancito da detto accordo quadro emerge che tale esclusione, sotto

pena di essere considerata arbitraria, può essere ammessa solo qualora la natura del

rapporto di lavoro di cui trattasi sia sostanzialmente diversa da quella che lega ai loro datori

di lavoro i dipendenti che, secondo il diritto nazionale, rientrano nella categoria dei

lavoratori”.8

In un’altra causa la Corte ha stabilito che gli apprendisti e i titolari di contratti agevolati

non potevano essere esclusi dal calcolo delle soglie degli effettivi ai fini dell’introduzione

delle procedure di informazione e di consultazione di cui alla direttiva 2002/14/CE.9

Per quanto riguarda l’applicazione della direttiva sull’insolvenza del datore di lavoro, la

Corte ha affermato che “gli Stati membri non possono […] definire, a loro discrezione, il

termine <<lavoratore subordinato>> in modo tale da compromettere il fine sociale di detta

direttiva. Il margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri, ai sensi di tale

disposizione, per definire la nozione di lavoratore subordinato, ricordata al punto 35 della

8 Sentenza della Corte di Giustizia del 1° marzo 2012, Demond Patrick O’Brien/Ministry of Justice, C-393/10, EU:C:2012:1109 Sentenza della Corte di Giustizia del 15 gennaio 2014, Association de mèdeiation sociale/Union locale des syndacates CGT e altri, C-176/12, EU:C:2014:2.

30

presente sentenza, è pertanto circoscritto dal fine sociale della direttiva 80/987m cge gli Stati

membri sono tenuti a rispettare”.10

Il concetto di lavoratore nel contesto della direttiva sulla maternità è stato definito dalla

Corte in base a criteri obiettivi che caratterizzano il rapporto di lavoro sotto il profilo degli

obblighi della persona interessata: “la caratteristica essenziale del rapporto di lavoro è la

circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un’altra e

sotto la direzione di quest’ultima, prestazioni in contropartita dalle quali riceva una

retribuzione”.11 La nozione di rapporto di lavoro nel contesto della direttiva sulla maternità

ha ricevuto dalla Corte un’interpretazione molto ampia nella causa Danosa/LKB Lizings

SIA,12 nella quale la Corte ha chiarito che in determinate circostanze un membro di un

consiglio di amministrazione di una società di capitali deve essere considerato come dotato

della qualità di lavoratore ai fini della direttiva sulla maternità.

Più in generale la Corte ha recentemente stabilito che “la nozione di lavoratore, ai sensi del

diritto dell’Unione, dev’essere essa stessa definita in base a criteri oggettivi che

caratterizzino il rapporto di lavoro sotto il profilo dei diritti e degli obblighi degli

interessati”. In detto contesto, secondo la giurisprudenza consolidata, “la caratteristica

essenziale del rapporto di lavoro è la circostanza che una persona fornisca, a favore di

un’altra e sotto la direzione di quest’ultima, prestazioni in contropartita delle quali riceva

una retribuzione”.

Alla luce di questi criteri e degli elementi presentati dalle autorità italiane, in particolare per

quanto riguarda lo statuto dei magistrati onorari e dei vice procuratori onorari, numerosi

elementi indurrebbero a considerare tali figure quali lavoratori ai fini dell’applicazione del

diritto dell’U.E. indipendentemente dalla qualifica attribuita a livello nazionale.

Per quanto riguarda la prestazione di servizi a favore di un’altra persona e sotto la direzione

di quest’ultima, i servizi della Commissione osservano che i magistrati onorari e i vice

procuratori onorari sono assunti a determinate condizioni, si vedono assegnare compiti e

cause, sono valutati dal Consiglio superiore della magistratura e soggetti a un’autorità

superiore che può revocarli dall’incarico se non osservano i loro doversi o che può decidere

in merito al rinnovo del loro “mandato” sulla base della loro idoneità a continuare a

10 Sentenza del 5 novembre 2014, O. Turner/Raad, C-311/13, EU:C: 2014:233711 Sentenza della Corte di Giustizia del 20 settembre 2007, Kiiski/Tampereen kaupunki, C-116/06, EU:C:2007:536 punto 25.12 Sentenza della Corte di Giustizia dell’11 novembre 2010, Dita Danosa/LKB Lizings SIA, C-232/09.

31

svolgere le funzioni. A tale riguardo il fatto che i magistrati onorari avrebbero mansioni “più

semplici” rispetto a quelle dei giudici permanenti non è rilevante.

Per quanto riguarda inoltre la retribuzione, i servizi della Commissione osservano che le

indennità che tali giudici possono ricevere possono essere considerate una vera e propria

retribuzione vista l’entità dell’importo. Con riferimento alle informazioni fornite dai

denuncianti sembra inoltre che di fatto i magistrati onorari traggano la loro sussistenza dai

loro incarichi di magistrato onorario o di vice procuratore onorario e non esercitino alcuna

altra attività o professione.

Alla luce di quanto precede i servizi della Commissione respingono la risposta delle autorità

nazionali.”

3. Sulle singole questioni pregiudiziali

1. Con la prima delle questioni sottoposte a questa Corte in via pregiudiziale, il giudice remittente

chiede se l’attività di servizio del Giudice di pace, quale quella svolta dal ricorrente nella causa

principale, rientri nella nozione di «lavoratore a tempo determinato», di cui, in combinato disposto,

agli artt. 1, par. 3, e 7 della direttiva 2003/88, alla clausola 2 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo

determinato, recepito dalla direttiva 1999/70, e all’art. 31, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali

dell’Unione europea.

Non può invero sussistere alcun dubbio, ad avviso di questa difesa, che un’attività di servizio, di

natura giurisdizionale, quale quella svolta dal ricorrente nella causa principale, rientri appieno nella

nozione di lavoratore subordinato a tempo determinato di cui alla direttiva 2003/88 e alla direttiva

1999/70, interpretate alla luce dell’art. 31, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione

europea (di seguito, solo la Carta).

2. Nell’ordinanza, il giudice remittente – nello svolgere le proprie valutazioni sulla rilevanza delle

questioni sollevate in via pregiudiziale – ripercorre in modo puntuale i profili caratterizzanti lo

svolgimento del rapporto di servizio del Giudice di pace alla stregua della normativa nazionale, dal

momento della costituzione del rapporto con il Ministero della Giustizia sino a quello della sua

cessazione, delineando in modo analitico, ai punti 31-50, gli elementi costitutivi, ovvero gli «indici

tipici», della natura subordinata dell’attività svolta dal ricorrente nella causa principale. Gli indici

messi puntualmente in evidenza dal giudice remittente sono così univoci da apparire persino

sovrabbondanti e certamente soverchianti rispetto qualunque tentativo di confutazione che voglia

transitare per l’impiego delle categorie qualificatorie che, nell’ordinamento dell’Unione europea,

32

come del resto in quello nazionale, presiedono alla distinzione tipologica tra lavoro subordinato e

lavoro autonomo, ai fini in particolare dell’applicazione delle direttive 2003/88 e 1999/70.

3. Limitandoci a richiamare in maniera sintetica tali elementi costitutivi, o indici qualificatori, della

natura subordinata del rapporto di servizio (a tempo pieno e determinato) di cui al procedimento

principale, appare qui sufficiente rilevare quanto segue:

- il Giudice di pace è immesso in un ruolo organico del Ministero della Giustizia, e assegnato agli

uffici territoriali secondo le piante organiche predeterminate per legge (art. 3, legge n. 374 del 1991

e, ora, all’esito della recente riforma attuativa della legge delega n. 57 del 2016, art. 3, d.lgs. n. 116

del 2017), dopo aver superato una procedura concorsuale per l’accesso alla funzione articolantesi in

tre fasi, costituite: a) dalla predisposizione di una graduatoria provvisoria per titoli ai fini

dell’ammissione al tirocinio pre-assuntivo; b) dallo svolgimento del suddetto tirocinio presso l’ufficio

giudiziario per sei mesi; c) dall’approvazione della graduatoria definitiva e decreto di nomina quale

giudice di pace a seguito dei giudizi di idoneità dei consigli giudiziari e del Consiglio Superiore della

Magistratura (CSM);

- il Giudice di pace è definito dalla legge quale magistrato onorario (art. 1, comma 2, legge n. 374

del 1991 e, ora, art. 1, comma 1, d.lgs. n. 116 del 2017) che tuttavia, appartenendo all’ordine

giudiziario, assolve le funzioni proprie del giudice ordinario (art. 1, r.d. n. 12 del 1941) in quanto

«esercita la giurisdizione in materia civile e penale e la funzione conciliativa in materia civile» (art.

1, comma 1, della citata legge n. 374 del 1991, cui fa ora eco l’art. 9, comma 1, del pure richiamato

d.lgs. n. 116 del 2017, alla cui stregua: «I giudici onorari di pace esercitano, presso l’ufficio del

giudice di pace, la giurisdizione in materia civile e penale e la funzione conciliativa in materia civile

secondo le disposizioni dei codici di procedura civile e penale e delle leggi speciali»);

- il Giudice di pace è assoggettato ad un regime di incompatibilità del tutto analogo a quello

proprio del magistrato di carriera (artt. 5 e 8, legge n. 374 del 1991; art. 5, d.lgs. n. 116 del 2017), che

risulta come tale rafforzato rispetto a quello applicabile alla generalità dei dipendenti delle pubbliche

amministrazioni, consentendo, in sostanza (e almeno in astratto), il solo esercizio della professione di

avvocato al di fuori del circondario del Tribunale nel quale vengono svolte le funzioni giurisdizionali

(ed, infatti, gli è precluso lo svolgimento di qualsiasi altra attività lavorativa subordinata, o anche

solo para-subordinata, tanto nel settore pubblico come in quello privato, così come qualsivoglia

incarico di natura politica; ma gli è altresì precluso lo svolgimento di quelle attività lavorative di

natura autonoma, ovvero anche imprenditoriale, che possano lederne l’indipendenza o l’imparzialità

nell’esercizio della funzione giudiziaria, come, ad es., l’esercizio d’una attività commerciale);

- Il Giudice di pace è tenuto all’osservanza degli stessi doveri previsti per i magistrati ordinari (art.

10, comma 1, legge n. 374 del 1991, la cui previsione risulta ora confermata, e anzi rafforzata, dopo

33

la recente riforma organica, dall’art. 20 del d.lgs. n. 116 del 2017, alla cui stregua il magistrato

onorario è tenuto all’osservanza dei doveri previsti per i magistrati ordinari «e in particolare esercita

le funzioni e i compiti attribuitigli con imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo e

equilibrio e rispetta la dignità della persona nell’esercizio delle funzioni»);

- il Giudice di pace, tenuto all’osservanza delle tabelle di composizione dell’ufficio di appartenenza

(che disciplinano minuziosamente e in modo cogente assegnazione dei fascicoli, date e orari di

udienza come ogni altro aspetto organizzativo rilevante ai fini dello svolgimento del servizio), è

come tale tenuto anche all’osservanza degli ordini di servizio del capo dell’ufficio cui è assegnato,

che è oggi il presidente del Tribunale (il quale, appunto, secondo quanto ora prevede l’art. 8 del d.lgs.

n. 116 del 2017, «coordina l’ufficio del giudice di pace che ha sede nel circondario e, in particolare,

distribuisce il lavoro, mediante ricorso a procedure automatiche, tra i giudici, vigila sulla loro

attività e sorveglia l’andamento dei servizi di cancelleria e ausiliari», esercitando «ogni altra

funzione che le legge attribuisce al dirigente dell’ufficio giudiziario», alla stessa stregua di quanto

vale per i magistrati di carriera ordinari);

- il Giudice di pace – tenuto a garantire la costante reperibilità (circolare 15 marzo 2006 del

Dipartimento per gli Affari di giustizia) – svolge la propria attività a tempo pieno, con carichi di

lavoro del tutto analoghi a quelli dei magistrati di carriera;

- il Giudice di pace è sottopposto, in caso di violazione dei doveri d’ufficio, al potere disciplinare

del CSM, il quale, con delibera del 14 settembre 2011, ha esteso a tale giudice le stesse regole, di cui

all’art. 1 del d.lgs. n. 109 del 2006, che valgono in materia di responsabilità disciplinare dei

magistrati di carriera ordinari (una previsione, questa, che risulta ora codificata e rafforzata, in

attuazione dell’art. 2, comma 11, legge n. 57 del 2016, dal combinato disposto degli artt. 20 e 21 del

d.lgs. n. 116 del 2017);

- il Giudice di pace risponde sul piano civile, come su quello della responsabilità per danno

erariale, in base alla stesse norme applicabili ai magistrati professionali (e, cioè, limitando i richiami

alle fonti principali, in base alla legge n. 117 del 1988, come modificata dalla legge n. 18 del 2015;

alla legge n. 89 del 2001; alla legge n. 81 del 2008; alla legge n. 639 del 1996);

- il Giudice di pace è periodicamente assoggettato (già in base all’art. 7 della legge n. 374 del 1991

e poi all’art. 2, comma 4, del d.lgs. n. 92 del 2016) a valutazioni di idoneità, ai fini della conferma

dell’incarico, che sono improntate ai medesimi, rigorosi criteri utilizzati per la valutazione della

professionalità (i.e., della quantità e della qualità del lavoro giudiziario svolto) del magistrato

professionale13.

13 Anche in tal caso, la recente riforma ha rafforzato tale profilo della disciplina del rapporto di servizio del magistrato onorario, con la previsione di cui al citato art. 21 del d.lgs. n. 116 del 2017, il cui disposto merita d’esser riportato per esteso: «3. Il magistrato onorario è revocato dall'incarico in ogni caso in cui risulta l'inidoneità ad esercitare le funzioni

34

- il Giudice di pace ha stringenti obblighi formativi e di aggiornamento professionale, che il d.lgs.

n. 116 del 2017 ha ulteriormente rafforzato, uniformandoli nella sostanza a quelli gravanti sui

magistrati professionali (art. 22: «1. I giudici onorari di pace partecipano alle riunioni trimestrali

organizzate dal presidente del tribunale o, su delega di quest'ultimo, da un presidente di

sezione o da un giudice professionale, per l'esame delle questioni giuridiche più rilevanti di cui

abbiano curato la trattazione, per la discussione delle soluzioni adottate e per favorire lo

scambio di esperienze giurisprudenziali e di prassi innovative; alle predette riunioni partecipano

anche i giudici professionali che si occupano delle materie di volta in volta esaminate. 2. I vice

procuratori onorari partecipano alle riunioni trimestrali organizzate dal procuratore della

Repubblica o da un procuratore aggiunto o da un magistrato professionale da lui delegato, per

l'esame delle questioni giuridiche più rilevanti di cui abbiano curato la trattazione, per la

discussione delle soluzioni adottate e per favorire lo scambio di esperienze giurisprudenziali e di

prassi innovative; alle predette riunioni partecipano anche i magistrati professionali che si

occupano delle materie di volta in volta esaminate. 3. Sono tenuti, con cadenza almeno

semestrale, corsi di formazione specificamente dedicati ai giudici onorari di pace e ai

viceprocuratori onorari, organizzati dalla Scuola superiore della magistratura nel quadro delle

attività di formazione della magistratura onoraria di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), del

decreto legislativo n. 26 del 2006, avvalendosi della rete della formazione decentrata di cui alla

lettera f) del comma 1 del predetto articolo. Gli ordini professionali ai quali i magistrati onorari

giudiziarie o i compiti dell'ufficio del processo; in particolare è revocato quando, senza giustificato motivo, ha conseguito risultati che si discostano gravemente dagli obiettivi prestabiliti dal presidente del tribunale o dal procuratore della Repubblica a norma dell'articolo 23 ovvero, nel caso di assegnazione di procedimenti civili o penali a norma dell'articolo 11, non ha definito, nel termine di tre anni dall'assegnazione, un numero significativo di procedimenti, secondo le determinazioni del Consiglio superiore della magistratura. 4. Costituiscono, tra l'altro, circostanze di fatto rilevanti ai fini della valutazione di inidoneità di cui al comma 3: a) l'adozione di provvedimenti non previsti dalla legge ovvero fondati su grave violazione di legge o travisamento del fatto, determinati da ignoranza o negligenza; b) l'adozione di provvedimenti affetti da palese e intenzionale incompatibilità' tra la parte dispositiva e la motivazione, tali dam manifestare una inequivocabile contraddizione sul piano logico, contenutistico o argomentativo; c) la scarsa laboriosità o il grave e reiterato ritardo nel compimento degli atti relativi allo svolgimento delle funzioni ovvero nell'adempimento delle attività e dei compiti a lui devoluti; d) l'assenza reiterata, senza giustificato motivo, alle riunioni periodiche di cui all'articolo 22, commi 1, 2 e 4, nonché alle iniziative di formazione di cui al comma 3 del predetto articolo. 5. La revoca è altresì disposta quando il magistrato onorario tenga in ufficio o fuori una condotta tale da compromettere il prestigio delle funzioni attribuitegli. 6. Il capo dell'ufficio comunica immediatamente al presidente della corte di appello o al procuratore generale presso la medesima corte ogni circostanza di fatto rilevante ai fini della decadenza, della dispensa o della revoca. 7. Relativamente all'ufficio del giudice di pace la comunicazione di cui al comma 6 è effettuata dal presidente del tribunale. 8. Il magistrato professionale che il magistrato onorario coadiuva a norma dell'articolo 10, comma 10, e dell'articolo 16, comma 1, comunica al capo dell'ufficio ogni circostanza di fatto rilevante per l'adozione dei provvedimenti di cui al presente articolo. 9. Nei casi di cui al presente articolo, con esclusione delle ipotesi di dimissioni volontarie, il presidente della corte d'appello, per i giudici onorari di pace, o il procuratore generale della Repubblica presso la corte di appello, per i vice procuratori onorari, propone alla sezione autonoma per i magistrati onorari del consiglio giudiziario di cui all'articolo 10 del decreto legislativo n. 25 del 2006 la decadenza, la dispensa o la revoca. La sezione autonoma, sentito l'interessato e verificata la fondatezza della proposta, trasmette gli atti al Consiglio superiore della magistratura affinché deliberi sulla proposta di decadenza, di dispensa o di revoca. 10. Il Ministro della giustizia dispone la decadenza, la dispensa e la revoca con decreto».

35

risultino eventualmente iscritti valutano positivamente la partecipazione ai corsi di cui al presente

comma ai fini dell'assolvimento degli obblighi formativi previsti dai rispettivi ordinamenti. La

struttura della formazione decentrata attesta l'effettiva partecipazione del magistrato onorario alle

attività di formazione e trasmette l'attestazione alla sezione autonoma per i magistrati onorari del

consiglio giudiziario in occasione della formulazione del giudizio di cui all'articolo 18. 4. I giudici

onorari di pace inseriti nell'ufficio per il processo a norma dell'articolo 10, destinati nei collegi a

norma dell'articolo 12 o assegnatari di procedimenti di competenza del tribunale ai sensi

dell'articolo 11, partecipano alle riunioni convocate ai sensi dell'articolo 47-quater del regio

decreto 30 gennaio 1941, n. 12, per la trattazione delle materie di loro interesse. 5. La

partecipazione alle riunioni periodiche di cui al presente articolo e alle iniziative di formazione è

obbligatoria»);

- il Giudice di pace è retribuito con lo stesso sistema previsto per i magistrati di carriera e

percepisce, nei limiti di un tetto annuo lordo fissato dalla legge in 72.000 euro, indennità –

corrisposte in parte in misura fissa, a remunerazione forfettaria dei servizi continuativi connessi

all’assolvimento doveri d’ufficio, e in parte in misura variabile, in relazione ai provvedimenti

giudiziari effettivamente adottati – che sono fiscalmente assimilate al reddito da lavoro dipendente

(con conseguente applicazione delle trattenute fiscali previste per i pubblici dipendenti, ai sensi

dell’art. 50, comma 1, d.P.R. n. 917 del 1986);

- anche la cessazione del rapporto di servizio per sopraggiunti limiti di età (fermo quanto si è

osservato sui casi di revocabilità dell’incarico) è, infine, sostanzialmente regolata negli stessi termini

in cui è disciplinata la fattispecie per i magistrati professionali e, più in generale, per i dipendenti

delle amministrazioni statali.

4. Con la prima questione pregiudiziale, il giudice remittente chiede dunque a codesta Corte se,

tenuto conto dei suddescritti profili oggettivi – relativi alla costituzione, allo svolgimento e alla

cessazione del rapporto di servizio del Giudice di pace – questo possa essere considerato lavoratore a

tempo determinato, alla stregua degli artt. 1, par. 3, e 7 della direttiva 2003/88 e della clausola 2

dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, recepito dalla direttiva 1999/70.

5. Occorre innanzitutto premettere come la nozione di «lavoratore», così come ci viene rimandata

dalla disciplina normativa e dalla giurisprudenza euro-unitaria, può non coincidere – come ovvio –

con quella definita dagli ordimenti giuridici dei singoli Stati membri, con la (del pari ovvia)

conseguenza che i magistrati onorari possono ben essere considerati lavoratori, ai fini

dell’applicazione (se del caso diretta) del diritto dell’Unione europea a prescindere dalla circostanza

che tale qualifica venga loro attribuita (anche) dall’ordinamento nazionale. Ai fini dell’applicazione

della direttiva 2003/38, qui in combinato disposto con la clausola 4 dell’accordo quadro recepito

36

dalla direttiva 1999/70, l’unica qualificazione rilevante – o, ancor meglio, l’unico criterio

qualifcatorio utilizzabile ai fini della determinazione della natura giuridica del rapporto di lavoro – è,

infatti, quello stabilito dallo stesso diritto dell’Unione europea, con la conseguenza che diversi criteri

qualificatori del rapporto impiegati dall’ordimento interno, specie se radicalmente alternativi a quello

imposto dall’ordinamento euro-unitario, non possono assumere rilievo alcuno e, appunto, ove

incompatibili, andranno disapplicati e disattesi dal giudice nazionale.

6. Tale – seppur ovvia – premessa deve essere tuttavia qui esplicitata nella misura in cui

l’ordinamento nazionale, così come costantemente interpretato dalla Corte di cassazione a sezioni

unite (da ultimo con la sentenza n. 13721 del 2017), si rifà – ai fini della determinazione della natura

del rapporto di servizio (e quindi del trattamento economico e normativo) proprio del Giudice di pace

– a criteri qualificatori del tutto incompatibili con quelli stabiliti dall’ordinamento dell’Unione (con le

citate direttive), e anzi da tale ordinamento sconosciuti prima ancora che rifiutati. E ciò, nel senso

precipuo che è la stessa categoria qualificatoria impiegata dalla Corte di cassazione – alla cui stregua

sarebbe appunto nella specie configurabile un rapporto volontario, con attribuzione di funzioni

pubbliche, non definibile né come rapporto di lavoro subordinato né come rapporto di lavoro

autonomo (para-subordinato), ovvero non configurabile tout court come rapporto di lavoro – ad

apparire tutto estranea alle categorie definitorie consentite dal diritto dell’Unione e, in particolare,

dalle direttive 2003/88 e 1999/70, specie se lette alla luce dell’art. 3 della Carta dei diritti

fondamentali dell’Unione europea.

7. In effetti, la figura del servizio onorario, assunto volontariamente per lo svolgimento di funzioni

pubbliche, è del tutto sconosciuta, per quanto in particolare rileva in questa sede, al diritto euro-

unitario, che ai fini della definizione della nozione di «lavoratore» nel contesto dell’art. 45 del

Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (di seguito, TFUE), fa riferimento, secondo il

costante insegnamento di questa Corte, a tutti quei rapporti di lavoro la cui «la caratteristica

essenziale (…) è la circostanza che una persona fornisca prestazioni di indiscusso valore economico

ad un’altra persona e sotto la direzione della stessa, ricevendo come contropartita una retribuzione.

Il campo in cui le prestazioni sono fornite e la natura del rapporto giuridico fra lavoratore e datore

di lavoro sono irrilevanti ai fini dell’art. 48 del trattato» [poi art. 39 TCE e, infine, 45 TFUE]

(sentenza 3 luglio 1986, causa 66/85, Lawrie-Blum).

8. Orbene, la giurisprudenza di codesta Corte ha da tempo chiarito come la definizione di

«lavoratore» rilevante ai fini dell’art. 45 del TFUE debba essere utilizzata anche ai fini

dell’applicazione della direttiva 2003/88 sull’orario di lavoro. In relazione a tale direttiva, infatti, già

con la sentenza Union Syndicale Solidaires Isère c. Premier Ministre e altri (causa C-428/09, punto

29), la Corte ha affermato che «la caratteristica essenziale del rapporto di lavoro è la circostanza

37

che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un’altra e sotto la direzione di

quest’ultima, prestazioni in contropartita delle quali riceva una retribuzione».

9. Nell’analogo contesto della direttiva sulla maternità, la Corte (con la sentenza del 20 settembre

2007 in causa C-116/06, Kiiski c. Tampereen kaupunki, al punto 25), ha parimenti definito il concetto

di «lavoratore» sulla base dei criteri oggettivi che caratterizzano il rapporto, individuandone la

caratteristica essenziale nelle circostanza che «una persona fornisca, per un certo periodo di tempo,

a favore di un’altra e sotto la direzione di quest’ultima, prestazioni in contropartita delle quali

riceve una retribuzione». Sulla stessa linea, e più in generale, la Corte ha recentemente ribadito che

«la nozione di “lavoratore” ai sensi del diritto dell’Unione, dev’essere essa stessa definita in base a

criteri oggettivi che caratterizzano il rapporto di lavoro sotto il profilo dei diritti e degli obblighi

degli interessati», sicché, secondo la giurisprudenza consolidata, «la caratteristica essenziale del

rapporto di lavoro è a circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore

di un’altra e sotto la direzione di quest’ultima, prestazioni in contropartita delle quali riceva una

retribuzione» (sentenza del 4 dicembre 2014, FNV Kunsen Informatie en Media c. Staat der

Nederlanden, C-413/13, punti 34-36; sentenza del 21 febbraio 2013, L.N./Styrelsen for Videregående

Uddannelser og Uddannelsesstøtte, C-46/12, punto 40; sentenza del 10 settembre 2014, Iraklis

Haralambidis/Calogero Casilli, punto 25).

8. È pur vero che talune direttive, e tra queste la direttiva 1999/70 sul contratto di lavoro a tempo

determinato, definiscono il proprio campo di applicazione rimandando, in linea di massima, alle

definizioni nazionali di «lavoratore» o di «rapporto di lavoro», lasciando così ai singoli Stati membri

un certo margine di discrezionalità nel determinare la platea dei destinatari dei diritti e degli obblighi

derivanti dalle direttive stesse; ma questa Corte ha tuttavia introdotto significative limitazioni a tale

margine di discrezionalità, stabilendo che, al fine di garantire l’effettività del diritto dell’Unione, gli

Stati non possano ridurre in modo sostanziale il risultato che la direttiva intende perseguire,

limitandone eccessivamente i destinatari. Basti qui richiamare, a titolo meramente esemplificativo, la

sentenza pronunziata da questa Corte il 5 novembre 2014 nel procedimento O. Tümer c. Raad van

bestuur van het Uitvoeringsinstituut werknemersverzekeringen, C-311/13, in materia di tutela dei

lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro (direttiva 2008/94), nella quale si

afferma che «gli Stati membri non possono […] definire, a loro discrezione, il termine “lavoratore

subordinato” in modo tale da compromettere il fine sociale di detta direttiva».

9. Una tale conclusione vale naturalmente anche per la direttiva 1999/70. Ed infatti, ove si

ammettesse che una intera categoria di rapporti di lavoro a tempo determinato, quali quelli instaurati

dal Ministero della giustizia con i giudici di pace e più in generale con i magistrati «onorari», potesse

– solamente in virtù della qualificazione discrezionalmente decisa dallo Stato membro a proprio

38

insindacabile arbitrio – essere sottratta all’applicazione della direttiva, le finalità tutela da questa

perseguire risulterebbero frustrate in partenza, finendo in sostanza per dipendere dalla libera scelta

del legislatore nazionale. Un risultato evidentemente incompatibile con la finalità della direttiva e,

quindi, chiaramente inammissibile, già sul piano interpretativo.

10. Tale conclusione è peraltro corroborata da altre fonti europee, per quanto più specificamente

rileva ai fini dell’applicazione del principio di non discriminazione previsto dalla clausola 4,

paragrafo 1, della direttiva 1999/70 agli aspetti previdenziali ed assistenziali della disciplina

nazionale dei giudici onorari. Ed invero, questa Corte, occupandosi – con la sentenza del 1° marzo

2012 in Dermond Patrick O’Brien c. Ministry of Justice (procedimento C-393/10 – del caso dei

giudici inglesi a tempo parziale retribuiti in base a tariffe giornaliere, ha avuto modo di affermare

che: «Non si può quindi sostenere che i giudici a tempo pieno e i recorder non si trovino in una

situazione comparabile a causa delle divergenze tra le loro carriere, dato che i secondi hanno

sempre la possibilità di esercitare la professione forense. Decisiva è piuttosto la questione se essi

svolgano sostanzialmente la stessa attività. A tal proposito, le parti interessate, compreso il governo

del Regno Unito, hanno chiarito in udienza che i recorder e i giudici a tempo pieno esercitavano le

stesse funzioni. Si è precisato, infatti, che il loro lavoro è identico, che si svolge nelle medesime

giurisdizioni e nel corso delle stesse udienza […]. Alla luce delle suesposte considerazioni, si deve

rispondere alla seconda questione dichiarando che l’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale va

interpretato nel senso che osta a che, ai fini dell’accesso al regime della pensione di vecchiaia, il

diritto nazionale operi una distinzione tra i giudici a tempo pieno e i giudici a tempo parziale

retribuiti in base a tariffe giornaliere, a meno che tale differenza di trattamento sia giustificata da

ragioni obiettive, che spetta al giudice del rinvio valutare».

11. Si deve quindi concludere, alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte, che la

nozione di «lavoratore», rilevante ai fini della applicazione degli artt. 1, par. 3, e 7 della direttiva

2003/88, e della clausola 2 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, recepito dalla

direttiva 1999/70, letti alla luce dell’art. 31, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione

europea, sia quella stessa elaborata ai fini dell’art. 45 del TFUE, onde la caratteristica essenziale ai

fini del riconoscimento della natura subordinata di un rapporto di lavoro, quale quello del Giudice di

pace ricorrente nella causa principale, è che tale persona fornisca prestazioni di indiscusso valore

economico in favore di un altro soggetto e sotto la direzione dello stesso, ricevendo come

contropartita una retribuzione, mentre il campo in cui le prestazioni sono fornite e la natura del

rapporto giuridico fra lavoratore e datore di lavoro sono irrilevanti.

12. Nella sua giurisprudenza, questa Corte si richiama costantemente a tre criteri oggettivi

(rilevanti, quindi, sul piano dell’effettivo svolgimento del rapporto ed a prescindere dalla

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qualificazione allo stesso eventualmente attribuita nell’ordinamento nazionale) ai fini della

individuazione della sfera applicativa dell’art. 45 del TFUE. Tali elementi consistono: a) nel carattere

«reale ed effettivo» della prestazione personalmente resa dal lavoratore; b) nella soggezione al potere

di direzione del destinatario della stessa (in cui si esprime propriamente il vincolo di subordinazione);

c) nella natura onerosa della prestazione (e quindi nel pagamento, in qualsiasi forma, di una

retribuzione come corrispettivo di essa).

13. Non può sussistere dubbio alcuno che il rapporto di servizio, tipico del Giudice di pace italiano

(ma a ben vedere proprio anche delle altre figure di magistrato onorario, non a caso oggi

unitariamente disciplinate dal d.lgs. n. 116 del 2017), integri appieno tutti i criteri qualificatori in

questione.

14. Il Giudice di pace – e certamente il ricorrente nella causa principale – svolge la propria attività

lavorativa a tempo pieno con vincolo di esclusiva nel confronti del Ministero della giustizia e per

questo riceve una retribuzione – composta di una base fissa e di una componente variabile in

relazione al numero di udienze tenute e di provvedimenti adottati – che può raggiungere, e

normalmente raggiunte, il tetto reddituale di 72.000 euro annui lordi fissato dalla legge. Le modalità

di corresponsione di tale remunerazione – fiscalmente assimilata al reddito da lavoro dipendente –

sono del tutto analoghe, come osservato in precedenza, a quelle con le quali viene corrisposto lo

stipendio dei magistrati professionali di carriera.

15. Ma soprattutto, e con ogni evidenza, il Giudice di pace è organicamente integrato

nell’ordinamento giudiziario e pienamente assoggetto al potere organizzativo-direttivo dei capi degli

uffici giudiziari (dei presidenti dei tribunali) nonché a quello disciplinare attribuito agli organi di

autogoverno della magistratura, dovendosi considerare le funzioni effettivamente assegnate e svolte

da tali giudici pienamente equiparabili a quelle dei magistrati professionali. Tale equiparazione è

accentuata dalle similari modalità di reclutamento (concorso per titoli, tirocinio e successiva

valutazione di idoneità del CSM, da un parte, concorso per esami dall’altra), oltre che dall’identità

della giurisdizione (ordinaria) di appartenenza.

16. In definitiva, ai fini della risposta alla prima delle questioni pregiudiziali sollevate dal giudice

remittente, deve concludersi che il Giudice di pace, ma più in generale i giudici onorari, sono

pienamente integrati all’interno della magistratura e dell’ordinamento giudiziario italiano, giacché le

loro funzioni sono equivalenti a quelle dei magistrati professionali, indipendentemente dal fatto che

essi siano definiti giudici professionali ovvero onorari dal diritto interno.

****

17. Con la seconda delle questioni sottoposte a questa Corte, in via pregiudiziale, il giudice

remittente chiede, nel caso di risposta affermativa al quesito sub 1), se il Magistrato Ordinario o

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"togato" possa essere considerato lavoratore a tempo indeterminato comparabile al lavoratore a

tempo determinato "Giudice di Pace" ai fini dell'applicazione della clausola 4 dell'Accordo quadro

sul lavoro a tempo determinato recepito dalla direttiva 1999/70/CE

18. La clausola 3 punto 2 dell’Accordo quadro stabilisce che «Ai fini del presente accordo, il termine

"lavoratore a tempo indeterminato comparabile" indica un lavoratore con un contratto o un

rapporto di lavoro di durata indeterminata appartenente allo stesso stabilimento e addetto a

lavoro/occupazione identico o simile, tenuto conto delle qualifiche/competenze».

19. Ai sensi della clausola 1 lett. a) dell’accordo quadro, l’obiettivo di quest’ultimo è di «migliorare

la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non

discriminazione». Del pari, il preambolo dell’accordo quadro precisa che esso «indica la volontà

delle parti sociali di stabilire un quadro generale che garantisca la parità di trattamento ai

lavoratori a tempo determinato, proteggendoli dalle discriminazioni». Il 14 considerando della

direttiva 1999/70/CE precisa, a tal fine, che l’obiettivo dell’accordo quadro consiste, in particolare,

nel miglioramento della qualità del lavoro a tempo determinato, fissando requisiti minimi atti a

garantire l’applicazione del divieto di discriminazione (punto 36 sentenza Del Cerro Alonso, Corte di

giustizia, 13 settembre 2007, causa C-307/05).

18. Nei punti 3 e ss. di questa memoria si sono richiamati ben 12 indici di regolamentazione

normativa che vanno univocamente nel senso della qualificazione del giudice onorario

dell’ordinamento giudiziario italiano come lavoratore subordinato, giusta la nozione costantemente e

progressivamente messa a punto dalla Corte di giustizia.

19. I medesimi indici possono essere pure selettivamente utilizzati per affermare la comparabilità tra

la figura del giudice ordinario, lavoratore a tempo indeterminato, e giudice di pace lavoratore a tempo

determinato, allo scopo dell’applicabilità dell’art. 4 dell’accordo quadro recepito nella direttiva

1999/70/CE.

20. In sintesi: 1. Immissione del giudice onorario nei ruoli organici del ministero di Grazia e giustizia

dopo il superamento di una procedura di tipo concorsuale, così come i giudici ordinari; 2.

Appartenenza del giudice onorario all’ordine giudiziario e assolvimento delle funzioni

intrinsecamente proprie del giudice ordinario in materia civile e penale; 3. Assoggettamento del

giudice onorario a un regime di incompatibilità del tutto simile a quello proprio del magistrato di

carriera; 4. Osservanza degli stessi doveri di correttezza, imparzialità, diligenza, laboriosità, nello

svolgimento della funzione, previsti per i magistrati ordinari; 5. Inserimento organico del giudice

onorario nel medesimo ufficio comprendente i giudici ordinari, con conseguente obbligo di

osservanza degli ordini di servizio emanati dal medesimo capo dell’ufficio cui è assegnato il

magistrato onorario, cioè il presidente del Tribunale, con assoggettamento, dunque, al potere direttivo

41

del medesimo dirigente cui rispondono gli altri magistrati ordinari dell’ufficio; 6. Obbligo di

osservanza di un orario di lavoro prestabilito con garanzia di costante reperibilità, regime di tempo

pieno e assunzione di carichi di lavoro del tutto analoghi a quelli del magistrato ordinario; 7.

Assoggettamento al potere disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura al pari dei

magistrati di carriera (applicazione delle medesime sanzioni e del medesimo procedimento

disciplinare); 8. Assoggettamento, al pari del magistrato ordinario, al regime di responsabilità civile e

per danno erariale; 9. Assoggettamento periodico a verifiche e valutazioni di professionalità secondo

i medesimi rigorosi criteri (qualità e quantità del lavoro svolto) previsti per i magistrati ordinari allo

scopo della conferma dell’incarico; 10. Assoggettamento a stringenti obblighi formativi e di

aggiornamento professionale sostanzialmente uniformati a quelli dei magistrati ordinari; 11.

Assoggettamento della remunerazione dei magistrati onorari, come quella dei giudici ordinari, al

regime fiscale previsto per i lavoratori subordinati; 12. Analogia del regime di cessazione del

rapporto di servizio per sopraggiunti limiti di età, a quello dei giudici ordinari e, in generale, a quello

dei dipendenti pubblici.

21. Similmente, la clausola 3 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale attuato dalla Direttiva

97/81/CE, qui richiamabile per analogia, fornisce i criteri di definizione del «lavoratore a tempo

pieno comparabile», definito, al punto 2, primo comma, di tale clausola, come «un lavoratore a

tempo pieno dello stesso stabilimento, che ha lo stesso tipo di contratto o di rapporto di lavoro e un

lavoro/occupazione identico o simile, tenendo conto di altre considerazioni che possono includere

l'anzianità e le qualifiche/competenze».

22. Occorre, per altro, rilevare che i criteri per definire il lavoratore comparabile devono essere

basati sul contenuto dell'attività delle persone interessate considerando decisiva la questione se essi

svolgano sostanzialmente la stessa attività (p.to 61-62 Corte di giustizia UE, 1.3.2012, n. C-393/10,

O’Brien). Al giudice del rinvio spetta pertanto di verificare (causa C-177/14 Regojo Dans p. 52 e 53)

se i lavoratori oggetto di comparazione svolgano “una funzione identica o analoga”, secondo una

accezione ampia della nozione di lavoro “identico o simile”. E non pare dubbio che, per quello che si

è rilevato ai punti 3 e ss. e 20 di questa memoria i giudici onorari svolgano una funzione identica e

simile a quella dei magistrati di carriera: è infatti la stessa legge che ha recentemente riformato il loro

statuto a riconoscere che essi “esercitano la giurisdizione in materia civile e penale” (art. 9.1. D.

Lgs. 116/2017); e che ad essi “può essere assegnata la trattazione di procedimenti civili e penali di

competenza del tribunale” (art. 11.1. D. Lgs. 116/2017), ovvero dei medesimi procedimenti di norma

gestiti dai magistrati togati; e che essi “possono essere destinati a comporre i collegi civili e penali

del tribunale” (art. 12 D. Lgs. 116/2017), rilevandosi in tal modo, ancor più di una mera

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“comparabilità”, la sussistenza di una vera e propria “fungibilità” di funzioni tra magistrati onorari a

tempo determinato e magistrati togati a tempo indeterminato.

23. Onde la piena operatività nel caso dei giudici onorari italiani di quanto stabilito dalla sentenza

Del Cerro Alonso ove la Corte ha chiaramente affermato che: «59. la clausola 4, punto 1,

dell'accordo quadro dev'essere interpretata nel senso che essa osta all'introduzione di una disparità

di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato, giustificata

dalla mera circostanza che essa sia prevista da una disposizione legislativa o regolamentare di uno

Stato membro ovvero da un contratto collettivo concluso tra i rappresentanti sindacali del personale

e il datore di lavoro interessato»14. La Corte ha pertanto ribadito che il principio di parità di

trattamento “esprime un principio di diritto sociale dell’Unione che non può essere interpretato in

modo restrittivo” (v. sentenza Regojo Dans, cit.) e che va riferito a tutte le “condizioni di impiego”,

ivi comprese la tutela previdenziale, la tutela della maternità e della malattia, le ferie, l’orario di

lavoro e anche, non certo ultime, le condizioni economiche. Come esplicitamente chiarito dalla Corte

nella sentenza Del Cerro Alonso, infatti, l’esclusione dal novero delle competenze dell’Unione della

materia retributiva “non può impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al

divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a

tempo indeterminato, allorché proprio l’applicazione di tale principio comporta il pagamento di una

differenza di retribuzione”.

24. L’esclusione dei giudici onorari da tutte le tutele lavoristiche, riconducibili alla nozione di

“condizioni di impiego” di cui alla clausola 4 dell’Accordo quadro sul lavoro a termine, attribuite al

lavoratore comparabile a tempo indeterminato, costituisce dunque una chiara violazione del principio

di parità di trattamento discendente da una disposizione di legge interna generale e astratta.

****

25. Nel caso di risposta affermativa al quesito sub 2), con la terza pregiudiziale il giudice della causa

principale solleva, in primo luogo, la questione se la diversità nella procedura di reclutamento dei

magistrati ordinari a tempo indeterminato, rispetto alle procedure selettive ex lege adottate per il

reclutamento a termine dei giudici di pace, possa costituire una ragione oggettiva ai sensi della

clausola 4, punto 1 e/o punto 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato tale da poter

giustificare la disparità di trattamento tra giudici onorari e togati così come costantemente affermato

da parte del "diritto vivente" nazionale, da ultimo con la sentenza della Cassazione a Sezioni unite

n.13721/2017 e con il parere del Consiglio di Stato n.464/2017 -.

14 Nello stesso senso Corte giust. CE 9 luglio 2015, C-177/14, Regojo Dans, cit.; Corte giust. Ce 18 marzo 2011 (ord.), C-273/10, Montoya Medina, in Racc., 2011, p. I-00032; Corte giust. Ce 22 dicembre 2010, Gavieiro Gavieiro

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26. Occorre in via preliminare richiamare che la Corte di giustizia ha fermamente e ripetutamente

riconosciuto che la natura temporanea del rapporto di lavoro non può giustificare di per sé una

differenziazione di trattamento economico tra lavoratori stabili e lavoratori a tempo determinato in

quanto tale carattere del rapporto non costituisce una ragione oggettiva che giustifica la differenza.

27. Va infatti ricordato come, secondo la Corte di Giustizia, il carattere di ruolo del rapporto di

lavoro con la pubblica amministrazione del giudice ordinario non possa giustificare il

disconoscimento dei diritti fondamentali, tra cui il diritto alle ferie retribuite, al giudice onorario che

svolge la medesima attività. Come sostenuto nella sentenza Del Cerro Alonso, p. 27 “La mera

circostanza che un impiego sia qualificato come «di ruolo» in base all’ordinamento interno e

presenti taluni aspetti caratterizzanti il pubblico impiego dello Stato membro interessato è priva di

rilevanza sotto questo aspetto, pena rimettere seriamente in questione l’efficacia pratica della

direttiva 1999/70 e quella dell’accordo quadro nonché la loro applicazione uniforme negli Stati

membri, riservando a questi ultimi la possibilità di escludere, a loro discrezione, talune categorie di

persone dal beneficio della tutela voluta da tali strumenti del diritto dell’Unione” (oltre Del Cerro

Alonso ; Gaviero Gaviero Torres C- 444/09 e c- 456/09 cause riunite del 22 dicembre 2010 p. 43 –

54; Valenza C-302/22 C -30511 cause riunite, 18 ottobre 2012, p. 52).

30. A fronte di siffatti inequivocabili principi posti in sede europea, l’ordinamento interno continua

invece ad utilizzare proprio la nozione di “rapporto di ruolo” con la pubblica amministrazione –

riferibile ai soli giudici togati – non solo per escludere la comparabilità tra lavoratori a termine e a

tempo indeterminato, ma – ancor più oltre – per negare la stessa qualifica di lavoratore ai giudici

onorari, giungendo ad affermare nel già citato parere n. 464/2017 del Consiglio di Stato, che

“l’esclusione di qualsiasi connotato di sinallagmaticità tra esercizio delle funzioni di giudice di pace

e trattamento economico per tale esercizio e la consequenziale natura indennitaria dell’erogazione

erariale per l’esercizio di una funzione pubblica, portano il rapporto col Ministero della giustizia al

di fuori dal rapporto di lavoro”.

29. Tanto si è premesso per ricordare alla Corte come nell’ordinamento interno la nozione di

“ragione oggettiva” sia stata impropriamente utilizzata non solo perché – come oltre si dirà – gli è

stato attribuito un diverso significato da quello fatto propria dalla giurisprudenza di questa Corte, ma

anche perché alla nozione di ragione oggettiva è stata attribuita una diversa funzione, consistente nel

denegare non solo la parità di trattamento ma addirittura la stessa qualificazione in termini di

lavoratori.

28. Sul punto occorre in primo luogo ricordare che la Corte di Giustizia (Valenza p. 51 Del Cerro

Alonso p. 44; Gavieiro Gavieiro e Iglesias Torres, p. 55; ordinanza Montoya Medina, p. 41; sentenza

Rosado Santana , p. 73, nonché ordinanza Lorenzo Martínez, p. 48), ha circoscritto in modo

44

estremamente puntuale la nozione di ragione oggettiva che, in astratto, potrebbe giustificare una

differenza di trattamento; disparità di trattamento che, vale ricordare, nel caso dei giudici onorari non

è limitata soltanto al diritto alle ferie o ad alcuni istituti marginali (gli scatti di anzianità) ma a tutti gli

istituti fondamentali del rapporto di lavoro subordinato (ferie, previdenza, malattia e maternità,

complessivo trattamento economico).

Secondo la Corte, infatti, la ragione oggettiva «deve essere giustificata dall’esistenza di elementi

precisi e concreti, che contraddistinguono la condizione di lavoro in questione, nel particolare

contesto in cui essa si colloca e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se detta

disparità risponda ad un reale bisogno, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e sia

necessaria a tal fine. I suddetti elementi possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura

delle mansioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi contratti a tempo determinato e

dalle caratteristiche inerenti alle mansioni stesse o, eventualmente, dal perseguimento di una

legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro».

29. Nel caso oggetto del ricorso principale, come dimostrato in questa memoria, non si rileva alcun

elemento oggettivo connesso alla natura e alle caratteristiche dei compiti, allo svolgimento

dell’attività, all’assunzione di responsabilità, intrinsecamente considerati, che giustifichi la radicale

disparità di trattamento nel senso sopra rilevato. I giudici onorari al pari dei giudici ordinari

partecipano, infatti, della funzione di amministrazione della giustizia nell’ordinamento giudiziario

italiano. Non è pertanto richiamabile, con riguardo all’identità e analogia dell’attività, qualunque

ragionevole condizione oggettiva per giustificare che al magistrato onorario sia negato quel che è

invece riconosciuto al magistrato ordinario, vale a dire i diritti basici connessi alla nozione di

lavoratore subordinato a tempo determinato di cui alla direttiva 2003/88 e alla direttiva 1999/70,

interpretate alla luce dell’art. 31, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; e

cioè il diritto alle ferie retribuite, a una adeguata tutela previdenziale, alla tutela in caso di maternità,

malattia e infortunio, a un trattamento retributivo sufficiente, fisso e mensile (e non collegato al

quantum di lavoro erogato: a cottimo).

30. Tra le condizioni oggettive che potrebbero giustificare una differenza di trattamento con i giudici

ordinari non può essere richiamato, in particolare, il (mancato) svolgimento di un pubblico concorso,

come invece il diritto vivente nazionale continua a ritenere al fine di negare ai giudici onorari la

parità di trattamento e, a monte, la stessa qualifica di lavoratori. In primo luogo perché se è vero che

il pubblico concorso costituisce requisito necessario di accesso ai posti “di ruolo” presso la pubblica

amministrazione italiana, nessuna funzione esso può invece avere allorquando si tratti di verificare la

legittimità delle differenze di trattamento tra impiegati pubblici “di ruolo” e lavoratori che svolgano a

favore della pubblica amministrazione una prestazione di lavoro in regime di diritto privato. Se, in

45

altri termini, il principio del concorso pubblico può di certo escludere che i giudici onorari possano

essere considerati pubblici dipendenti di ruolo, esso di per sé non può escludere che i giudici onorari

possano comunque essere considerati lavoratori a termine che, in quanto tali, abbiano diritto ad un

trattamento quantomeno comparabile a quello dei giudici togati che con la pubblica amministrazione

intrattengano un rapporto di pubblico impiego. Una tale conclusione può essere supportata da diversi

ordini di argomenti.

31. Premesso incidentalmente che non mancano nell’ordinamento interno casi in cui funzioni

pienamente giurisdizionali sono esercitate anche in assenza di un pubblico concorso (v. infra), ciò

che importa qui valutare è se – una volta qualificati i giudici onorari come lavoratori a termine

(questione n. 1) che svolgono funzioni analoghe a quelle dei giudici togati qualificati lavoratori a

tempo indeterminato comparabili (questione n. 2) – sia possibile escluderli radicalmente dalla

applicazione del principio di parità di trattamento solo sulla base di un pubblico concorso considerato

“ragione oggettiva” ai sensi della clausola n. 4 dell’Accordo quadro. O, in altri termini, se l’assenza

di un pubblico concorso possa giustificare la totale carenza di tutele giuslavoristiche in capo a

lavoratori a termine che, pur senza essersi sottoposti ad esso, svolgano comunque funzioni analoghe a

quelle svolte dai lavoratori di ruolo e a tempo indeterminato comparabili.

32. Nella interpretazione fornita dal diritto vivente nazionale, alla questione summenzionata si tende

a dare una risposta univocamente affermativa, essenzialmente affermando che solo il pubblico

concorso garantirebbe che le funzioni giurisdizionali siano svolte da soggetti in possesso di una

adeguata professionalità e competenza (così, il già citato parere del Consiglio di stato).

33. Una tale prospettazione non è però ad avviso di questa difesa sostenibile, e ciò per un triplice

ordine di motivi:

a) In primo luogo perché, come già riferito, non mancano nello stesso ordinamento interno casi in cui

funzioni propriamente giurisdizionali vengono esercitate a prescindere dal superamento di un

pubblico concorso: così, ad esempio, gli avvocati in possesso di taluni requisiti possono essere

nominati consiglieri di Stato ex legge 27 aprile 1982, n. 186 o anche consiglieri di Cassazione ex

legge 5 agosto 1998, n. 303.

b) In secondo luogo perché se davvero i giudici onorari dovessero essere considerati, in ragione

dell’assenza di pubblico concorso, come soggetti privi delle necessarie garanzie di professionalità,

non si spiegherebbe come mai la legge assegni loro in taluni casi funzioni pienamente fungibili a

quelle dei magistrati ordinari, prevedendo il D. Lgs. 116/2017 – come già detto – che essi possano

essere adibiti a trattare i medesimi procedimenti civili e penali di competenza del tribunale e che

possano far parte di collegi giudicanti di cui fanno parte i magistrati ordinari

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c) E in terzo luogo perché considerare il pubblico concorso come un criterio che di per sé esclude i

lavoratori a termine svolgenti una prestazione di lavoro alle dipendenze di una pubblica

amministrazione da ogni tipo di tutela, è operazione non consentita dal diritto dell’Unione. Tale

conclusione può essere avvalorata dall’esame della corposa giurisprudenza elaborata da questa Corte

con riferimento alle vicende dei lavoratori a tempo determinato alle dipendenze di una pubblica

amministrazione.

34. Nel giudicare la legittimità, con riferimento al diritto dell’Unione, di normative nazionali che

escludono la conversione sanzionatoria a tempo indeterminato dei rapporti di lavoro a termine

illegittimamente conclusi con una pubblica amministrazione, questa Corte ha infatti più volte

affermato che se il requisito del pubblico concorso può legittimamente essere invocato dagli stati

nazionali per escludere una tale possibilità, ciò non esclude però che ai lavoratori a termine debbano

comunque essere assicurate tutele equivalenti ed effettive a quelle garantite, in caso di abuso, ai

lavoratori aventi un rapporto di lavoro a termine con un soggetto privato.

35. Una tale costante giurisprudenza – recentemente riaffermata con ancor maggior vigore dall’AG

Szpunar nelle Conclusioni presentate il 26.10.2017 nel caso C-494/16 – può essere estesa anche al di

là degli effetti sanzionatori di un contratto a termine illecito e essere posta in termini più generali

chiarendo in buona sostanza che sebbene i lavoratori aventi un rapporto a termine con una pubblica

amministrazione non possano accedere a tutte le tutele previste dall’ordinamento in ragione del

principio del pubblico concorso, essi debbano comunque avere accesso a tutele diverse ma sempre

“effettive ed equivalenti”. Il pubblico concorso può dunque incidere, al limite, sul quantum e sulle

modalità della tutela; non può invece costituire un fattore in grado di escludere a priori ogni tutela,

pena la sostanziale ineffettività del diritto dell’Unione.

36. Un tale approccio è stato del resto chiaramente prospettato nelle Conclusioni presentate dall’AG

Poiares Maduro nei casi C-53/04 e C-180/04 (Vassallo e Marrosu e Sardino). In quella occasione,

infatti, di fronte alle prospettazioni dello Stato italiano che giustificava la differenza di trattamento

con la necessità di rispettare il principio costituzionale dell’accesso agli impieghi nella pubblica

amministrazione tramite pubblico concorso, l’AG ha obiettato che “non basta riconoscere che la

differenza tra i regimi di assunzione persegue un obiettivo legittimo, ma occorre ancora verificare se

l’attuazione del regime applicabile alle pubbliche amministrazioni rispetti il principio di

proporzionalità. Difatti, una misura che determina una distinzione giustificata è conforme al

principio comunitario della parità di trattamento soltanto se utilizza strumenti necessari e adeguati

per raggiungere lo scopo legittimo perseguito”.

E tuttavia, nella fattispecie l’ordinamento nazionale non prevede misure equivalenti ed effettive alla

conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato dei giudici onorari, alla luce di quanto

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statuito dal diritto vivente e dalla giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione che

inquadrano il rapporto di lavoro nell’ambito della categoria della funzione onoraria escludendo per

principio qualsiasi tutela rapportata alla condizione di “lavoratore”.

Si richiama qui la sentenza Mascolo della Corte di Giustizia, in cui si ribadisce che la sanzione della

reiterazione abusiva di distinti rapporti a termine, come avviene nel caso dei Giudici Onorari in cui si

ha una reiterazione quasi infinita di proroghe e mandati, deve essere finalizzata all’eliminazione degli

effetti dell’abuso commesso e della violazione del diritto europeo (punto 79), e dunque che la

sanzione alternativa alla costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato deve essere

effettiva, dissuasiva, equivalente.

Si rammenta che nella fattispecie, in base alla normativa vigente nell’ordinamento nazionale, sono

previste per i giudici onorari proroghe dei distinti rapporti di lavoro a termine per 18 anni, oltre

quelle previste dalla legge di riforma della magistratura onoraria (d. lgs. n. 116/20117) per altri 12

anni!

Si richiamano qui i precedenti della Corte, costituiti dalle sentenza Pérez López, punti 46 e 47 (Causa

C-16/15 del 14.09.2016), ove, in un caso in tutto analogo al presente, in termini assolutamente chiari

e perentori si stigmatizza l’utilizzo (rectius l’abuso) del contratto a termine al fine di sopperire alle

carenze di organico strutturali dell’Amministrazione di appartenenza. Segnatamente, la Corte afferma

quanto segue: “Inoltre, è necessario ricordare che l’obbligo di organizzare i servizi sanitari in modo

tale da assicurare un costante adeguamento tra il numero dei membri del personale assistenziale e il

numero di pazienti incombe all’amministrazione pubblica e dipende da una moltitudine di fattori

suscettibili di riflettere una particolare esigenza di flessibilità che, conformemente alla

giurisprudenza menzionata al punto 40 della presente sentenza, è idonea, in tal specifico settore, a

giustificare obiettivamente, alla luce della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, il

ricorso ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. Al contrario non si può

ammettere che contratti di lavoro a tempo determinato possano essere rinnovati per la realizzazione,

in modo permanente e duraturo, di compiti nel servizio sanitario che appartengono alla normale

attività del servizio ospedaliero ordinario”.

In termini analoghi, si ricordano altresì le sentenze Porras (Causa C- 596/14 del 14.09.2016 e Andrés

+ altri Cause riunite C-184/15 e C-197/15 del 14.09.2016).

Il dispositivo di quest’ultima causa, in particolare, così si esprime: “La clausola 5, paragrafo 1,

dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, siglato il 18 marzo 1999, che figura in allegato

alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES,

UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato deve essere interpretata nel senso che osta a che

una normativa nazionale, quale quella di cui ai procedimenti principali, sia applicata dai giudici

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nazionali dello Stato membro interessato in modo che, in caso di utilizzo abusivo di una successione

di contratti di lavoro a tempo determinato, il diritto alla conservazione del rapporto di lavoro è

accordato alle persone assunte dall’amministrazione mediante un contratto di lavoro soggetto a

normativa del lavoro di natura privatistica, ma non è riconosciuto, in generale, al personale assunto

da tale amministrazione in regime di diritto pubblico, a meno che non esista un’altra misura efficace

nell’ordinamento giuridico nazionale per sanzionare tali abusi nei confronti dei lavoratori,

circostanza che spetta al giudice nazionale verificare”.

Ora, se è vero che lo Stato membro ha la possibilità di individuare misure alternative, è altrettanto

vero che la clausola 5 della direttiva 1999/70 afferma esplicitamente, in merito alle misure

sanzionatorie, che Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse

dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo

determinato: a) (…) b) devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato.

Non è dunque esatto che la clausola 5 nulla dica, indicando questa invece in modo chiaro la

riqualificazione del rapporto a tempo indeterminato quale misura che presenta garanzie effettive ed

equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente tale abuso e cancellare le

conseguenze della violazione del diritto dell’Unione (sentenza Mascolo, punto 79, cit., che richiama

la Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 64 nonché giurisprudenza ivi citata).

Il che è esattamente quello che afferma la Corte costituzionale italiana nella ricordata sentenza

187/2016, individuando la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato in assenza di una

misura risarcitoria adeguata.

37. Orbene, a fronte di tali affermazioni, è possibile concludere che l’esclusione da ogni tutela

lavoristica, in termini di retribuzione, ferie, tutela della malattia e della gravidanza e copertura

previdenziale, dei giudici onorari a tempo determinato, ove sia giustificata solo dal principio del

pubblico concorso inteso come “ragione obiettiva” di cui alla clausola 4 dell’Accordo quadro sul

contratto a termine, non rispetta in tutta evidenza il principio di proporzionalità, traducendosi

piuttosto in una totale mancanza di effetto utile della Direttiva sul contratto a tempo determinato e del

suo obiettivo di “migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del

principio di non discriminazione”.

38. Ciò che allora la pregressa interpretazione giudiziale della Corte di giustizia in buona sostanza

rivela, è che il principio costituzionale del pubblico concorso può essere utilizzato per giustificare la

mancata trasformazione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato, ma solo perché la

Clausola n. 5 dell’Accordo quadro non impone la trasformazione del contratto come unica sanzione

possibile. Non può invece giustificare l’esclusione dei lavoratori a termine dalla applicazione di

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tutele quantomeno simili a quelle dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili, perché al

contrario la Clausola n. 4 impone esplicitamente il principio di parità di trattamento. Eventuali

ragioni obiettive possono solo parzialmente, e sempre in ossequio al principio di proporzionalità,

limitare la parità di trattamento, senza però mai giungere ad escluderla del tutto sulla base di norme

interne generali e astratte che non facciano riferimento alla “sussistenza di elementi precisi e

concreti, che contraddistinguono il rapporto di impiego di cui trattasi, nel particolare contesto in cui

s’inscrive e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se tale disparità risponda ad

una reale necessità, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria”

(sentenza Del Cerro Alonso, p. 58. In termini del tutto simili v. anche sentenza da C-302/11 a C-

305/11 del 12 ottobre 2012, Valenza p. 50 e sentenza C-393/11 del 7 marzo 2013, Bertazzi ed altri, p.

40).

39. In termini ancor più precisi, la Corte ha affermato che se la circostanza di aver superato un

concorso pubblico può, in astratto, costituire una “ragione oggettiva” ai sensi della clausola 4, punti 1

e/o 4, dell’accordo quadro, essa “non può comunque giustificare una normativa nazionale

sproporzionata […], la quale esclude totalmente e in ogni circostanza la presa in considerazione di

tutti i periodi di servizio compiuti da lavoratori nell’ambito di contratti di lavoro a tempo

determinato ai fini della determinazione della loro anzianità in sede di assunzione a tempo

indeterminato e, dunque, del loro livello di retribuzione. Infatti, una siffatta esclusione totale e

assoluta è intrinsecamente fondata sulla premessa generale secondo cui la durata indeterminata del

rapporto di lavoro di alcuni dipendenti pubblici giustifica di per sé stessa una diversità di

trattamento rispetto ai dipendenti pubblici assunti a tempo determinato, svuotando così di sostanza

gli obiettivi della direttiva 1999/70 e dell’accordo quadro” (sentenza Valenza, cit. p. 62 e sentenza

Bertazzi, cit. p. 47).

40. Proprio questo è invece ciò che avviene con riferimento alla situazione dei giudici onorari, la cui

esclusione totale ad assoluta da ogni tutela lavoristica e previdenziale viene giustificata

nell’ordinamento interno sulla base di una presunzione di non professionalità identificata nel mancato

superamento di un pubblico concorso, senza tener minimamente conto della concreta attività da

questi svolta, della evidente analogia – confermata dallo stesso legislatore – con l’attività dei giudici

togati, e della esigenza di fornire tutele se non identiche almeno equivalenti a quelle di cui godono i

lavoratori a tempo indeterminato comparabili.

41. Del resto, con riferimento ad altra vicenda per molti versi assimilabile a quella oggetto del

presente giudizio, il legislatore italiano ha dimostrato di ben comprendere come sia perfettamente

possibile distinguere tra status da una parte e trattamento economico e normativo dall’altra. In

particolare, è ben possibile che allorquando si sia in presenza di categorie diverse di lavoratori che

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svolgono mansioni analoghe a favore di una pubblica amministrazione, è ben possibile riconoscere lo

status di pubblico dipendente solo a chi abbia sostenuto un pubblico concorso, senza che però ciò

impedisca di attribuire trattamenti economici e normativi parametrati a quelli dei pubblici dipendenti

anche alla categoria di lavoratori che, per non aver superato un pubblico concorso, mantiene il

diverso status di lavoratore di diritto privato alle dipendenze di una pubblica amministrazione.

42. Questo è esattamente ciò che è avvenuto – a seguito di ripetuti interventi della Corte di Giustizia

(sentenze C-33/88 del 30 maggio 1989, Allué e Coonan; C-259/91, C-331/91 e C-332/91 del 2 agosto

1993, c.d. Allué II; C-212/99 del 26 giugno 2001, Commissione c- Repubblica italiana) – con

riferimento al caso dei collaboratori ed esperti linguistici di madre lingua che lavorano alle

dipendenze delle Università italiane svolgendo funzioni di supporto alla didattica.

43. A fronte di due categorie di lavoratori – i collaboratori ed esperti linguistici da una parte e i

docenti universitari dall’altra – che svolgono funzioni didattiche in larga misura simili, questa Corte

non ha infatti avuto difficoltà a chiarire che la circostanza, riferibile solo ai secondi, di aver avuto

accesso all’impiego tramite un pubblico concorso può certo essere rilevante e costituire ragione

oggettiva di diverso trattamento con riferimento a taluni profili della attività; ma non può essere

utilizzato come criterio per escludere i primi dal godimento dei diritti provenienti dal diritto

dell’Unione.

44. Ed infatti, da una parte – con riferimento al trattamento economico e normativo - il rapporto di

lavoro dei collaboratori linguistici di madre lingua è stato assimilato dalla Corte a quello dei docenti

universitari quanto a durata necessariamente indeterminata, escludendo che essi potessero essere

assunti solo sulla base di contratti a termine indefinitamente rinnovabili e senza alcuna garanzia della

anzianità maturata. Il legislatore interno, da parte sua, ha riconosciuto coerentemente alle pronunce

della Corte di giustizia - dapprima con la legge n. 63/2004 e poi con l’art. 26, comma 3 della legge

240 del 2010 – che il trattamento economico dei collaboratori linguistici dovesse essere rapportato,

anche se non equiparato, a quello del docente universitario comparabile, stabilendo che agli esperti di

madrelingua che svolgono la loro prestazione in regime di diritto privato a favore delle Università

italiane spetti il medesimo trattamento economico corrispondente al ricercatore universitario

confermato (ovvero al primo gradino della carriera universitaria di un docente a tempo

indeterminato).

45. Dall’altra parte – e con riferimento allo status - la stessa Corte di giustizia ha affermato che

invece il diritto dell’Unione non osta a che uno Stato membro riservi la possibilità di svolgere talune

attività didattiche solo ai docenti universitari e non anche ai collaboratori linguistici, ritenendo che

tale disparità di trattamento possa essere giustificata dalla circostanza che solo i primi, e non anche i

secondi, hanno avuto accesso al lavoro alle dipendenze di una pubblica amministrazione attraverso

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un concorso pubblico (sentenza C-90/96 del 20 novembre 1997, Petrie e altri, nella quale si è

affermato che il diritto comunitario “non osta ad una normativa nazionale che riservi unicamente ai

professori di ruolo e ai ricercatori confermati la possibilità di ottenere supplenze nell'insegnamento

universitario, escludendo i lettori di lingua straniera, a meno che l'accesso alle supplenze sia

consentito ad altre categorie professionali il cui accesso all'insegnamento universitario non avvenga

mediante concorsi pubblici”).

46. I descritti svolgimenti – che con riferimento a vicende del tutto simili a quelle oggetto di causa

hanno dimostrato la possibilità di distinguere status e trattamento allorquando si tratti di applicare il

principio di parità di trattamento - confermano dunque che è perfettamente possibile tener conto del

principio del concorso pubblico, senza per questo privare di ogni tutela i lavoratori che non vi si

siano sottoposti. Riferite ai fatti oggetto di causa, tali conclusioni implicano che il concorso pubblico

non può costituire una “ragione oggettiva” capace di legittimare, secondo quanto previsto dalla

Clausola 4 dell’accordo quadro sul contratto a tempo determinato, la palese disparità di trattamento

tra giudici onorari e giudici togati. Se si può accettare che, conformemente a quanto avvenuto per i

collaboratori linguistici, talune prerogative della funzione giudiziaria e della carriera siano riservate

ai soli giudici togati (ad esempio, accesso alle giurisdizioni superiori, elettorato attivo e passivo negli

organi di autogoverno della magistratura, ed altro), non si può invece tollerare che i giudici onorari

rimangano privi di qualsivoglia tutela retributiva e normativa, persino con riferimento a diritti

fondamentali riconosciuti come tali dall’ordinamento dell’Unione.

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