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Ma se c’è un posto dove posso chiamare casa, quel posto è l’America”. Intervista a Ocean VUONG , La Lettura n°295 del 23.07.2017, Supplemento culturale al Corriere della Sera, pp.16-17. Ho imparato a mie spese i danni del bisogno di identità uniche e confini certi. Il mito del Melting pot, come qualcosa che appiana le differenze in una comunità omogenea, è pericoloso. La Letteratura deve fare resistenza a queste semplificazioni, conservare le certezze”. Intervista a Ocean VUONG , ibidem, p.17. Tutti possiamo scrivere come fossimo stranieri nella nostra lingua: significa non scrivere quello che la cultura dominante si aspetta, ma mantenere uno spazio aperto per la nostra solitudine, lo spaesamento, le nostre gioie strane, le esperienze minoritarie. Quando facciamo qualcosa di davvero creativo siamo tutti degli outsider”. Intervista a Ocean VUONG , ibidem. AMERICAN PASTORAL di Philip ROTH o il romanzo del caos interiore e della disintegrazione del mito dell’American Dream nella Storia dell’America contestataria degli anni ’60 e ’70. &&&&&&&&&&&&&&& Da metà degli anni Ottanta in poi, prima che Philip ROTH s’impegnasse a scrivere il gran libro che sognava sull’America, AMERICAN PASTORAL (1977), l’autore e intellettuale ebreo statunitense attraversò momenti particolarmente seri e delicati riguardanti la sua salute: fu vittima di un feroce attacco del vecchio mal di schiena che lo condizionò e non poco nella sua attività di scrittore limitandone gli abituali movimenti, si infortunò ad un ginocchio mentre nuotava nella piscina di Londra per sbloccare la schiena e 1

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“ Ma se c’è un posto dove posso chiamare casa, quel posto è l’America”.

Intervista a Ocean VUONG, La Lettura n°295 del 23.07.2017, Supplemento culturale al Corriere della Sera, pp.16-17.

“ Ho imparato a mie spese i danni del bisogno di identità uniche e confini certi. Il mito del Melting pot, come qualcosa che appiana le differenze in una comunità omogenea, è pericoloso. La Letteratura deve fare resistenza a queste semplificazioni, conservare le certezze”.

Intervista a Ocean VUONG, ibidem, p.17.

“ Tutti possiamo scrivere come fossimo stranieri nella nostra lingua: significa non scrivere quello che la cultura dominante si aspetta, ma mantenere uno spazio aperto per la nostra solitudine, lo spaesamento, le nostre gioie strane, le esperienze minoritarie. Quando facciamo qualcosa di davvero creativo siamo tutti degli outsider”.

Intervista a Ocean VUONG, ibidem.

AMERICAN PASTORAL di Philip ROTH o il romanzo del caos interiore e della disintegrazione del mito dell’American Dream nella Storia dell’America contestataria degli anni ’60 e ’70.

&&&&&&&&&&&&&&&

Da metà degli anni Ottanta in poi, prima che Philip ROTH s’impegnasse a scrivere il gran libro che sognava sull’America, AMERICAN PASTORAL (1977), l’autore e intellettuale ebreo statunitense attraversò momenti particolarmente seri e delicati riguardanti la sua salute: fu

vittima di un feroce attacco del vecchio mal di schiena che lo condizionò e non poco nella sua attività di scrittore limitandone gli abituali movimenti, si infortunò ad un ginocchio mentre nuotava nella piscina di Londra per sbloccare la schiena e combattere i forti dolori di cui soffriva, quindi si sottopose ad un intervento chirurgico a New York ritenuto risolutivo perché il dolore non diventasse cronico. Ma sfortunatamente non fu quella la soluzione ideale perché i medici gli prescrissero una cura comprendente l’Halcion, un farmaco sedativo ritenuto assolutamente innocuo e che invece gli scatenò una serie di devastanti effetti collaterali e anche abbastanza pericolosi quali frequenti attacchi di panico, una depressione suicida e forme di allucinazione continua tanto che, dopo quattro mesi, gli fu imposto di non assumere più l’Halcion. Due anni dopo (1989) fu sottoposto ad un delicato intervento al cuore con l’inserimento di cinque bypass e tre mesi dopo morì a ottantotto anni suo padre Herman Roth, un uomo onnipresente nella vita dello scrittore, “cocciuto, ossessivo, rude e ignorante”, e con uno spiccato senso del dovere, dedito a salvaguardare la sua famiglia e

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protagonista del libro autobiografico di Roth, Patrimony”: A True Story (1991) in cui lo scrittore fa un ritratto a tutto tondo di suo padre, sottraendosi “ai giochi di specchi fra finzione e realtà con cui l’autore è solito difendersi”” per offrire “ un’immediatezza e una tenerezza affettive nuove” (MICHITO KAKUTANI, New York Times).

Sono anche gli anni in cui la vita privata dello scrittore conosce frequenti alti e bassi. La vita londinese con la sua donna Claire BLOOM cominciava a farsi noiosa, la loro relazione non lo esaltava, anzi conosceva momenti d’incomprensione che culminavano in violente polemiche alimentate anche dalla presenza della figlia di Claire, Anna, con la quale Philip, malgrado i suoi ripetuti sforzi non era riuscito a maturare un buon rapporto tanto da sentirsi un intruso. Questi avvenimenti che lo avevano colpito in rapida successione avevano ridotto le sue capacità reattive lasciandolo in preda ad un’allarmante insicurezza. Si chiedeva, ripercorrendo mentalmente le fasi esaltanti della sua immaginazione, il perché della sua stasi creativa convinto che capendone le ragioni avrebbe potuto ritornare a riprendere il volo. In sostanza cercava di recuperare la sua identità di scrittore e di ritrovare la bussola della sua appannata esistenza.

Frutto della depressione fu anche il desiderio di ripercorrere la sua infanzia dominato com’era dalla nostalgia dei genitori (la perdita della madre era ancora presente nella sua mente e la vicinanza ad un padre ottantaseienne bisognoso di cure e di attenzione perché gli era stato diagnosticato un tumore al cervello lo agitava). Le cose sembrano cambiare completamente quando, dopo undici anni trascorsi a Londra, ROTH ritorna in America dividendosi tra la casa di campagna nel Connecticut e New York. Era contento, si sentiva a casa. Si rimette ad insegnare all’Hunter College trovandosi a suo agio a parlare con i suoi studenti, ripristinando così un contatto vero con le persone e con i libri. Poté assaporare il gusto di decidere in piena libertà di approfondire le tematiche che lo appassionavano: letteratura dell’Est europeo, letteratura americana. In un corso sull’Olocausto inserì anche lo scrittore italiano Primo LEVI da lui conosciuto a Londra e rivisto a Torino con il quale costruì una profonda e duratura amicizia.

Nonostante questi significativi cambiamenti ROTH non se la sentiva di rimettersi a scrivere fiction. Capiva che dopo l’Halcion c’era bisogno di un impegno superiore alle sue forze e che per arrivare a scrivere un grande libro fosse indispensabile ritrovare l’equilibrio interiore di un tempo, bisognava attendere ancora un po’ perché il processo immaginativo capace di produrre veri libri si rimettesse in moto. Nel frattempo pubblicò nel 1990 Deception: A Novel, un libro sull’adulterio e sull’immaginazione intesa come erosione e amplificazione della realtà. L’autrice e giornalista FAY WELDON nella recensione del libro apparsa sulla New York Times Book Reviw, definisce il testo “un romanzo agile, elegante e disturbante” e affianca Roth a Thomas PYNCHON all’apice della letteratura contemporanea, ma il romanzo non incrocia la simpatia e il consenso del vasto pubblico di lettori rothiani, specialmente quelli di sesso femminile che accusano lo scrittore ebreo di pensarla sulle donne piuttosto all’antica. Il libro non diventò un successo editoriale malgrado si fosse modificata la copertina con una foto ammiccante e provocante di una coppia a letto. Il tentativo editoriale della nuova casa editrice, la Simon and Schuster, la cui idea non piacque per niente a Roth, era stato di recuperare l’alone scandalistico degli esordi dell’autore, il carattere seduttivo del libro collegandolo a Portnoy’s Complaint (1969). Malgrado i dubbi e le incertezze espressi dallo scrittore statunitense, ormai sessantenne, e nonostante la lunga crisi personale, Philip ROTH ritrova vigore, i suoi orizzonti si allargano e il suo ritorno in America coincide con un cambiamento a

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livello emozionale e creativo. Riprende infatti a viaggiare, a leggere e soprattutto a lavorare alla sua opera definitiva sugli ebrei American Pastoral,libro che era nella sua mente da quando aveva ideato e scritto Il Lamento di Portnoy. Sul finire degli anni Settanta aveva riempito alcune pagine da utilizzare, come era sua abitudine, in qualche modo in futuro ma in vent’anni non aveva avuto modo di usarle. Al centro di quegli appunti c’era la storia di una giovane radicale, che per protestare contro la guerra in Vietnam, faceva esplodere un palazzo. Quella giovane donna somigliava alla figlia di Maggie, Holly, ribattezzata Helen che, durante il liceo, aveva esplicitamente preso posizione contro la guerra tanto da essere soprannominata Hanoi Holly. Come lei anche tante donne e giovani attivisti, negli anni Settanta, avevano sposato le idee di vari movimenti pacifisti. Erano ragazzi che avevano ricevuto un’educazione universitaria e che non avevano paura della violenza né di essere responsabili di gesti estremi o atti di terrorismo. Molto probabilmente Roth era stato particolarmente scosso dal caso, molto noto nelle pagine dei giornali, di Kathy BOUDIN appartenente al movimento estremista dei Weather Underground che si opponeva alla guerra. La Boudin, dopo anni di latitanza, stava scontando in carcere da più di dieci anni la condanna per aver partecipato ad una rapina e alla morte di tre persone ma non era descritta come una figura odiosa.

A distanza di vent’anni e riprendendo gli appunti Philip ROTH sente di dare un seguito al racconto e decide, dopo aver descritto figure di padri rudi, testardi e inconsapevolmente crudeli, di scrivere di “un brav’uomo”, di un uomo buono, generoso, quadrato. Il prototipo Roth lo trova tra i compagni del liceo di Weequahic, a Newark. Il suo nome è, soprannominato “The Swede” (lo Svedese) 1, discendente d’immigrati ebrei della comunità ebrea di Newark, nel New Jersey, capelli biondi, occhi celesti, aria di vichingo, alto, possente, ammirato da tutti per le sue non comuni doti di giocatore di basket, di baseball e di football perché si voleva credere, attraverso i successi sportivi dello Svedese, che l’America primeggiasse nel mondo.

Con il suo ventiduesimo libro, “American pastoral” 2 pubblicato negli Stati Uniti nel 1997 3, Philip ROTH inaugura una trilogia di libri sul sogno americano, sulle sue illusioni di grandezza, di felicità, fatto di fragili immagini e di grandi speranze, completata con le opere “I Married a Communist” (1998) in cui l’autore ritorna alla cronaca letteraria degli Stati Uniti, concentrandosi sulle contraddizioni del suo paese e sulle controverse storie dei protagonisti e “The Human Stain” (2000). Attraverso Seymour IRVING LEVOV un uomo programmato per incarnare il “sogno americano”, nutrito dal suo eroe, da suo padre e da suo nonno, che poggia sulla trilogia materialista: “il Lavoro, l’Economia e il Successo”: “Tre generazioni in estasi davanti all’America, tre generazioni per fondersi in un popolo. E adesso con la quarta la caduta delle speranze, dei valori culturali e intellettuali, la vandalizzazione assoluta del loro mondo”, Philip

ROTH offre un affresco realistico della storia tumultuosa dell’America relativamente alle due decadi le più corrosive e distruttive della storia americana, quelle degli anni 60-70, in cui i ricordi di Nathan, alter ego di Roth, si accompagnano alla sua presunta ricostruzione della vita dello Svedese e si intrecciano in diversi tempi del racconto. Ogni aspetto narrato è trattato con maestria stilistica Philip ROTH ha saputo analizzare a fondo e con drammaticità i diversi aspetti dell’anima del suo paese, lasciando al lettore un ritratto amaro della vita che può rivelarsi nel tempo illusoria e

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dolorosa, nel senso che spesso dietro, basta una piccola crepa perché la brillante facciata di prosperità e di felicità crolli fragorosamente affondando i destini degli uomini in un imprevedibile caos.

Al di là di questo tema ormai classico della letteratura e del cinema indipendente americano, Roth sulle prime presenta al lettore un uomo Levov, splendido, invincibile, generoso, integro, retto e filantropo, con le sue idee guida, la sua filosofia di vita, il suo sogno, per poi lentamente scomparire dando allo scrittore-personaggio Nathan Zuckermann, come lui ebreo americano, come lui nato nella cittadina di Newark, come lui nuovayorkese di adozione e figura onnipresente in gran parte dei suoi romanzi (L’alter ego invecchierà assieme all’autore fino a Exit Ghost (2007), suo ventottesimo libro, con cui Philip ROTH chiude la serie dei “Nathan Zuckerman” cominciata nel 1979 e centrata sui temi della malattia, sul rischio d’impotenza e sulla morte), la responsabilità e anche la curiosità di continuare a indagare sulla vita di Levov, soprattutto sul suo quasi perfetto passato.

Il testo è costruito alla maniera del flash back con rimandi permanenti tra presente e passato. Lo Svedese, personaggio principale, ritorna alle sue origini, a quando adolescente era osannato per le sue eccelsi doti sportive apparendo agli occhi dei compagni di classe e della comunità ebrea come un eroe vero, un “semi-Dio”, capace di ben rappresentare l’immagine di un’America aperta alle diversità, ottimista, tollerante e di successo che poteva vincere contro la Germania, l’Italia e il Giappone.

Parte prima. Paradiso ricordato.

La storia inizia quando Nathan Zuckerman, l’eterno doppio, diventato scrittore, riceve una lettera da parte di Seymour Levov, detto lo Svedese, che frequentava la sua stessa scuola, durante gli anni di guerra, presso il liceo di Weequahic a Newark che lo invita, dopo ben trentasei anni che non si vedevano ad eccezione di due fugaci incontri nel 1985 e nel 1995 4, a cena in un noto ristorante italiano, da Vincent 5, a Manhattan, dove il mittente da anni portava la sua famiglia tutte le volte che veniva a New York per divertimento o per affari e per festeggiare insieme ai suoi genitori anniversari o compleanni. Il locale era un po’ vecchiotto, tappezzato da fotografie di cantanti e artisti tra i più famosi nel mondo dello spettacolo, noto per la buona cucina specialmente per la specialità della casa, ziti alla Vincent, che Seymour sceglieva quasi sempre facendolo precedere da un piatto di frutti di mare.

In attesa dei piatti ordinati la conversazione tra i due ritrovati amici ruota sui tre figli di Levov, Chris (diciott’anni); Steve di sedici anni e Kent di quattordici, sportivi come lo era stato nella sua giovinezza lo Svedese, nati dal suo secondo matrimonio con una bella bionda sulla quarantina che a differenza della prima moglie, la splendida Dawn, cattolica irlandese ed ex Miss New Jersey 1949, aspirante a diventare Miss America, preferiva stare a casa ad accudire la famiglia. Il suo interlocutore ascoltava muto il racconto della vita passata dello Svedese rimanendo colpito dal tono sicuro ed esaltante con cui si esprimeva anche se aspettava di sentire qualcosa di più interessante delle ineccepibili banalità, dei tanti luoghi comuni di cui era intrisa la sua conversazione, tanto che Nathan aveva persino pensato di alzarsi per andare via se l’amico avesse continuato a lodare senza alcuna riserva la sua famiglia. Zuckerman arriva a pensare dello Svedese: “che tutto quello che diceva…era una damigiana di autocompiacimento, quest’uomo non può essere incrinato dal

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pensiero…non sapevo se avesse dei pensieri”. In passato grande ammiratore dello Svedese diceva: “La vita di Levov, per quanto ne sapevo io, era stata molto semplice e molto comune, e perciò bellissima, perfettamente americana”. Era il suo mito di gioventù, quasi da adorare da lontano. Ma, rivedendolo anni dopo, Nathan rimane sconvolto dalla sua imperturbabilità, dalla sua mancanza di sentimenti veri. “Al posto dell’anima, pensavo, ha l’affabilità”. Era una specie di Ivan ILLICH al rovescio, dalla vita molto semplice e molto comune ma contrariamente all’eroe tolstoiano, sembrava felice e sicuro perfettamente in linea con i valori dell’America. Niente di più falso, come si vedrà. La morte di Ivan Illich (1884), ammirevole riflessione sulla solidarietà umana e sulla morte é unanimemente ritenuto il più bello dei racconti dello scrittore russo Lev Tolstoj, un vero capolavoro, e racconta la storia di un uomo che sta morendo, dei suoi sentimenti e pensieri e della sua consapevolezza che tutto crolla, tutto è stato vano, tutto era peccato e perfino il peccato non ha più valore. Levov era più grande di lui di sei o sette anni ed era abbastanza normale che, prossimo alla settantina, qualche ruga affiorasse agli angoli degli occhi, ma appariva ancora splendido e affascinante con il suo corpo statuario e meraviglioso. Per il narratore quell’incontro restava avvolto nel pieno mistero poiché non riusciva a cogliere la ragione profonda di questo inatteso e strano appuntamento a New York. Fino a quel momento la vita di Seymour Levov si era srotolata nella semplicità e dunque nella banalità “come un morbido gomitolo di lana”, e solo verso la fine del pasto, Nathan Zuckerman/Roth apprende qualcosa che gli apre gli occhi sul perché aveva ricevuto quella enigmatica lettera, durante l’inverno lo Svedese aveva subito un delicato intervento chirurgico alla prostata. Tra un piatto e un altro Nathan SKIP Zuckerman rileggeva mentalmente alcuni passi della lettera, là dove Seymour faceva riferimento alle “sofferenze e ai colpi che si erano abbattuti sui suoi cari” pensando che alludesse a suo padre “il vecchio Lou Levov di novantasei anni molto malato un uomo irrefrenabile e vero lottatore” e/o al fratello con i quali non aveva un buon rapporto. Comunque in riferimento alle due ipotesi avanzate da SKIP 6 lo Svedese risponde difendendo “con un sorriso caldo e affettuoso” e con amoroso rispetto la figura del padre, uomo arcigno che si era fatto da sé e, circa la supposta omosessualità del fratello, riconosce sì che Jerry non si trovava a suo agio con le ragazze ma afferma che la sua omosessualità messa in giro e volutamente equivocata era senza fondamento. Prova ne era che non solo suo fratello era diventato un importante medico, un famoso cardiochirurgo con guadagni di mille dollari l’anno, ma che anche si era sposato più volte, aveva avuto quattro mogli, tutte sue assistenti-segretarie, e sei figli entrando inevitabilmente in conflitto con il padre che sulle prime non aveva accettato nessuna delle sue decisioni ma che alla fine aveva finito per rispettarle e per adorare le cinque nipoti femmine e il maschio. Anzi egli era al settimo cielo quando aveva tutti i suoi figli riuniti alla sua tavola. La conversazione scivola poi sul versante sociale e imprenditoriale e ci fa conoscere un Levov che dopo un periodo trascorso nei marines (si era arruolato per combattere i giapponesi e a Parris Island in South Carolina si era distinto prima come istruttore nel campo di addestramento militare più duro della terra e poi “come specialista della ricreazione”, faceva fare ginnastica al suo battaglione per mezz’ora ogni mattina prima di colazione, organizzava incontri di pugilato e per la maggior parte del tempo giocava nella squadra della base contro le squadre delle forze armate sparse nel Sud, basket d’inverno e baseball d’estate), rinuncia ad un favoloso contratto con i “Giants”, ad una carriera sportiva che si annunciava brillante e appagante per entrare a lavorare in Central Avenue nella società di suo padre e diventare un talentuoso uomo d’affari, un onesto commerciante, un lavoratore ostinato, un figlio riconoscente che aveva appreso dal padre tutto il mestiere di guantaio e anche la voglia e la capacità di fare impresa. Subentra nella direzione

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della fabbrica di guanti in pelle, la Newark Maid dei Levov da tre generazioni e la incrementa con il suo dinamismo e le spiccate capacità organizzative e creative (idea e fabbrica magnifici guanti da donna con quattro cuciture) meritandosi il rispetto e la gratitudine dei dipendenti per la maggior parte neri. Per completare questo quadro dorato Seymour lo informa di aver sposato in prime nozze Mary Dawn Dwayer, una bellissima ragazza non ebrea, figlia di modesti immigrati cattolici irlandesi di Elisabeth, che aveva partorito una splendida figlia, la più adorabile della contea ebrea, di nome Meredith (Merry) che una volta cresciuta gli aveva creato non pochi problemi sconvolgendo la vita di coppia. Desiderata come coronamento di un’unione sincera e appassionata, la piccola dimostrava di discostarsi dal canone di perfezione e armonia della famiglia Levov: affetta da balbuzie, pur crescendo nell’agiatezza e circondata dall’affetto dei genitori, la ragazzina non era riuscita a sentirsi a suo agio ed era diventata fragile e ribelle al punto da farsi coinvolgere, negli anni dell’adolescenza, in manifestazioni estreme di violenza. Seymour con la sua famiglia abitava ad una sessantina di chilometri ad ovest di Newark ormai invivibile, violenta in una dimora a pietra vecchia di centosettant’anni, restaurata, circondata da quaranta ettari di terreno e cinta di alberi di acero centenari dove la sua sposa poteva coltivare la passione per la terra e per l’allevamento di bestiame, vivere insomma la sua pastorale americana. Un trittico perfetto che Seymour, Dawn e Merry incarnano fino a quando i pilastri di questo nucleo familiare, apparentemente saldi verranno minati alla base da fatti molto rilevanti e inattesi quali la guerra in Vietnam e le feroci contestazioni giovanili che ispirarono i moti rivoluzionari europei e coinvolsero la cara e dolce Merry, la Terrorista di Old Rimrock. Erano una coppia magnifica, bella e carismatica: lui, un atleta apollineo, un uomo totalmente appagato che amava il suo paese, il suo lavoro e lei, una ex Miss con il gravoso compito di gestire la famiglia ma con una situazione economica florida, tutto lasciava presagire un successo sociale sicuro e folgorante nel migliore dei mondi incarnando così il modello del “sogno americano”7. Perfettamente integrato nella società americana, per molto tempo lo Svedese era riuscito a far fronte ad una realtà economica industriale che si era deteriorata dopo i disordini del luglio ’67, ma poi aveva dovuto constatare che lo scadimento della qualità dei prodotti in commercio era la conseguenza di una crisi più generale che colpiva ogni angolo anche il più piccolo del paese. “La sua vecchia e adorata Newark” non faceva eccezione distrutta dalle tasse, dalla corruzione e dal razzismo. Newark scelta come residenza dalla sua famiglia e dalla comunità di ebrei da amata era diventata “la peggiore città del mondo”, capitale dei furti d’auto (circa quaranta auto rubate al giorno), appariva una città ghettizzata, decadente, totalmente declassata, iper violenta in ogni angolo di strada tanto che Roth arriva a paragonarla a Cartagine per colpa della distruzione operata in quegli anni. Le sue strade deserte erano diventate delle vere piste per folli auto che sfrecciavano come missili mettendo a rischio la vita di vecchi, donne e bambini. Quando il padre di Seymour aveva comprato lo stabilimento, in ogni traversa di Newark c’era una fabbrica che produceva con regolarità. Adesso, invece, la zona era sommersa da negozi di bottiglieria e da pizzerie frequentate da gruppi di giovani nulla facenti che si divertivano ad andare contro le macchine della polizia per vedere gonfiare gli air bag o a vedere le loro macchine con il freno a mano alzato ruotare su se stesse al massimo della velocità lasciando sull’asfalto cerchi perfetti chiamati “ciambelle”. Un quadro a dir poco terrificante, certamente allarmante (i ladri a volte erano bambini di dieci o dodici anni), ovunque gente impazzita che saccheggiava negozi, ovunque risuonavano le armi. Nonostante ciò lo Svedese generoso com’era decide d’incrementare la produzione commerciale assumendo altre trecento persone. Ma le cose non andavano bene per

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l’industria e negli anni Ottanta molte imprese scoprirono l’Estremo Oriente (le Filippine, la Corea, Taiwan e la Cina) dove la manodopera era abbondante ed economica.

Quando scoppiò la Seconda Guerra mondiale delle novanta fabbriche di guanti, grandi e piccole, ne era rimasta una soltanto: tutte le altre erano fallite o delocalizzate all’estero e di conseguenza la manodopera era dequalificata e si registrava pure una sensibile diminuzione delle vendite. Lo Svedese aveva deciso di rimanere a Portorico e a Newark perché aveva insegnato a molte persone il difficile mestiere di confezionare un guanto con la massima cura e professionalità e poi temeva di fornire a sua figlia una ragione in più per condannarlo. Era rimasto anche perché la sua famiglia aveva una vera passione per la casa di villeggiatura fatta costruire sulla costa caraibica vicino alla fabbrica di Ponce non lontano dal mare dove i suoi figli, avuti in seconde nozze, tutt’e tre sportivi come il padre, potevano praticare lo sci d’acqua, la vela e la pesca subacquea.

In attesa del dolce, lo Svedese continua il racconto della sua vita e gli rivela, pur con qualche ritegno, che alcuni mesi prima si era fatto togliere la prostata precisando che se aveva ordinato l’ingrassante zabaione era perché era sotto peso forma. Aggiunge che l’operazione era andata bene e si ritiene fortunato e ottimista riguardo al decorso della malattia anche perché consapevole delle conseguenze non sempre positive del cancro, i rischi erano l’impotenza e l’incontinenza. Nathan confessa di aver sofferto anche lui per via del cancro alla prostata la cui asportazione lo aveva reso però impotente e si compiace con l’amico per non aver perso fiducia in se stesso, per non essere vittima di qualche ossessione, risentimento o collera, ma ancora non capisce bene il vero motivo di quell’invito. Era certo che il contenuto della lettera era in qualche modo legato all’operazione subita da Levov ma forse lo Svedese voleva anche chiedergli di omaggiare suo padre morto a novantasei anni, lucido e determinato come sempre. Voleva che lo scrittore Nathan evocasse con un testo quella rigida forza protettiva che era venuta a mancargli dopo la morte di suo padre Lou Levov, ora che la forza del suo meraviglioso corpo un tempo generatore di sicurezza, affidabilità ed equilibrio, capace di dargli conferme, era in una fase d’indebolimento inesorabile. Forse era questa la vera ragione che giustificava quell’incontro e cioè che Seymour, lo Svedese, era consapevole che la morte aveva fatto irruzione nel sogno della sua vita. Il Levov che SKIP aveva di fronte man mano che il racconto si svolgeva appariva diverso, non più sicuro come all’inizio ma turbato, emotivamente fragile, in preda a mille dubbi, deluso per i molti e inimmaginabili tradimenti che lo avevano colpito nei suoi affetti più cari, persino nella sua stessa famiglia. In verità lo Svedese, nello srotolare la sua lunga e dorata esistenza, voleva che il suo amico scrittore la registrasse in un libro a futura memoria, altrimenti rischiava di essere dimenticato. Ora finalmente Nathan Zuckerman aveva capito che la morte del padre dello Svedese, copia esatta del vecchio signor Zuckerman o del

vecchio Kespesh o di Herman Roth, figure di padri dogmatici, esasperanti ma profondamente umani, era uno schermo. Tutti vecchi erano crociati contro il caos del mondo, avevano sempre lottato col pensiero di mantenere la famiglia e diventare “americani” e cittadini “migliori” come ROTH scriveva nel libro Patrimony: A True Story (1991) in cui forniva un dettagliato ritratto della relazione sempre difficile anzi conflittuale con suo padre di ottantasei anni che stava morendo.

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A questo punto Philip ROTH 8 decide di far sparire rapidamente il suo alter ego per far parlare direttamente il suo protagonista, si scopre che i bei sorrisi del Destino non erano che illusioni e che le carte distribuite allo Svedese erano false praticamente fin dalla sua nascita. L’attenzione di ROTH si sposta quindi allora su questo personaggio e attraverso la sua storia spinge il lettore a conoscere meglio l’America turbolenta e bellicosa degli anni ’60 e ’70, un periodo segnato da sanguinose rivolte razziali, da roghi, da sconvolgimenti economici e sul piano editoriale e culturale da una ricca produzione di libri di protesta che finiranno per interessare gran parte degli Stati Uniti compresa la cittadina di Newark e che sfoceranno nella distruzione di quel sogno americano di cui i Levov erano tenaci sostenitori. È l’epoca delle grandi contestazioni dei giovani alimentate da intellettuali e professori universitari e soprattutto da una certa intellighenzia progressista capace di diffondere una filosofia della vita militante poggiante su principi nefasti e fuorvianti nel senso che portarono le nuove generazioni anche europee a farsi facili illusioni e ad appassionarsi senza riserve a idee e ideologie di rottura alla ricerca di nuove utopie e nobili ideali. E difatti soprattutto i giovani universitari vi attingeranno a piene mani e in modo entusiastico convinti come erano della necessità di abbattere il sistema con il cambiamento. Anche la giovane intelligente e graziosa Merry non resiste al richiamo dell’impegno civile e politico diventando progressivamente aggressiva e ribelle, grida, insulta i suoi genitori e il loro vivere borghese, va da sola a New York per partecipare alle numerose manifestazioni di protesta contro la guerra e le disuguaglianze economiche.

Da quel momento Seymour Levov non cesserà di sperare di ritrovare la figlia e di riportarla a casa. Lo Svedese vivrà una doppia vita: da un lato quella delle apparenze (successo sociale e perfetta integrazione) da salvaguardare ad ogni costo nella società e dall’altro, quella di tentare di salvare la sua bambina dall’incubo-abisso in cui era sprofondata, persuaso che Merry fosse stata plagiata. Non riusciva a credere che sua figlia abbastanza grande da badare a se stessa avesse cancellato il suo libero arbitrio per seguire idee da pazzi. Non poteva accettare che una ragazza intelligente e sensibile come la sua adorata Merry facesse di tutto per lasciare ad altri il compito di pensare al suo posto.

Seymour Levov aveva voluto per sé e per la sua famiglia una vita tranquilla e senza imprevisti, armoniosa e agiata nel rispetto delle convenzioni sociali. Lui, figlio d’immigrati ebrei dell’est europeo(russo) aveva creduto di rappresentare l’America del “melting pot”, dell’integrazione, dell’incontro di tante culture differenti con la sola regola del merito e la sola forza del suo lavoro (artigiano conciaio e guantaio da tre generazioni), ora constata amaramente che niente è mai come uno se lo immagina o se lo augura e che dietro tante soddisfazioni e successi spesso incombe la caduta, la distruzione di un sogno, la perdita del “paradise” con chiaro riferimento al poema di John MILTON “Paradise Lost”. La sua profonda delusione in verità cominciò quando sua figlia, Merry, che soffriva di seri problemi di articolazione (dislessia), affetta da un’umiliante balbuzie soprattutto quando provava la più piccola o leggera emozione. Per tentare di risolvere questo angustiante problema Merry fu sottoposta ad una serie di accertamenti, a cure psicoterapeutiche che secondo alcuni specialisti più tardi avrebbero peggiorato il già fragile equilibrio mentale dell’adolescente che l’avrebbero esposta al reclutamento in un militantismo più radicale. Nel 1967 per protestare contro la guerra nel Vietnam la giovane sedicenne mette una bomba artigianale nella locale posta della cittadina di Old Rimrock adiacente ad uno spaccio che aveva una bacheca per gli avvisi per la comunità sul davanti e una vecchia pompa di benzina, nonché un’asta metallica sulla quale Russ Hamlin, proprietario della piccola costruzione, aveva issato la bandiera americana, come

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sempre dal 1920 quando Warren Gamaliel HARDING era stato eletto presidente degli Stati uniti. Tutto il magazzino fu distrutto e ci fu una vittima, un medico di campagna, il dottor Fred CONLON che, prima di recarsi al lavoro nell’ospedale locale, era passato per spedire una lettera. Dopo l’attentato Merry entra in clandestinità inseguita dall’FBI e ricercata da tutte le polizie per cinque anni e i suoi genitori non avranno notizie per cinque anni. Subito dopo l’attentato alla posta la ragazza si nasconde per tre giorni nella casa dei coniugi Salzman a Morristown (Sheila è la specialista di disturbi linguistici che segue la giovane). Poi cambia nome in Mary Stoltz e, in possesso della patente, comincia a viaggiare, va a Chicago, si sposta nell’Oregon presso una comune di una setta indiana per ritornare a Chicago dove è tenuta prigioniera, rapinata e violentata a diciassette anni compiuti. Subisce una nuova violenza e lavora come lavapiatti per sei settimane. Quando lascia Chicago per passare in Oregon dove è coinvolta in altri due attentati Merry o Mary scopre di non avere più bisogno di una casa. Si sente liberata da ogni residua paura e rimorso. I due attentati confermano il suo ardore di idealista e rivoluzionaria. Crede di essere pronta ad adottare qualsiasi mezzo per attaccare il sistema ritenuto malvagio e iniquo. Ammette di essere stata lei a mettere le bombe nel piccolo negozio di Hamlin e confessa di aver fatto poi un’esperienza unica, aveva fatto all’amore con una donna, la moglie di un tessitore, di cui si era innamorata. Diventa esperta di dinamite e di detonatori ed é allora che la balbuzie sparisce, quando lavorava con la dinamite non inciampava mai. Finita la storia sentimentale, Merry si nasconde nell’Idaho occidentale dove lavora nei campi di patate per un po’, poi decide di fuggire a Cuba dove pensava di vivere tra i lavoratori senza preoccuparsi della precaria condizione di lavoro e della violenza che gli operai dovevano subire. Comincia a studiare lo spagnolo per poter andare a Cuba da Fidel Castro che aveva emancipato il proletariato col socialismo. Intanto frequenta con una certa regolarità le biblioteche dove legge giornali e studia i testi dei pensatori rivoluzionari, approfondendo Marx, Marcuse, Malcom X. Ma è a Miami che l’FBI la intercetta mentre tenta d’insegnare l’inglese ai ragazzi di strada che vivevano alla giornata al parco, luogo d’incontro di tanti giovani di colore e di donne con cani che chiedevano l’elemosina. Merry dorme sotto un ponte e conosce una donna chiamata Bunice con cui va a vivere prendendosi cura di lei. Con la morte di Bunice Merry perde la persona che più aveva amato sulla terra. Da quel momento decide di allontanarsi dalla tradizione giudaico-cristiana per condividere i principi aderendovi del la setta indiana giainista impegnata a non nuocere ad alcun essere vivente nel rispetto sistematico di qualsiasi forma di vita.

Lo Svedese intanto continua a cercare la figlia. Nel corso dell’annuale cena nella vecchia casa di pietra in onore dei suoi genitori, percepisce che tutto il suo universo sta sgretolandosi e che tutto ciò in cui credeva, si stava rivelando altro da ciò che immaginava, a cominciare dalla sua bellissima moglie, l’ex reginetta di bellezza Dawn Levov che, a causa delle dolorose, rivoluzionarie e fanatiche scelte della figlia, aveva perso la serenità di un tempo. Il suo glorioso passato di partecipante ai concorsi di bellezza, con le snervanti ma eccitanti sfilate in passerella che aveva in qualche modo accantonato, ritorna nostalgicamente ad esercitare su di lei un certo fascino. L’aver sposato un uomo che non proveniva dal suo stesso ambiente cattolico ma che la gratificava con il proprio amore non la rendeva più felice soprattutto da quando aveva saputo della strada dinamitarda e insensata intrapresa dalla sua adorata Merry. Anche sul piano più intimo, il suo rapporto “straordinariamente passionale” fino all’episodio della bomba all’unico emporio del paese gestito dagli Hamlin si stava incrinando. Dawn cominciò a rifiutare il marito e la vita in generale tanto che lo tradirà e sarà ricoverata due volte in un ospedale psichiatrico dove sarà curata per una forte e

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acuta depressione. Anche lo Svedese, abitualmente equilibrato e retto avrà una breve relazione (quattro mesi) con Sheila Salzman, la foniatra di Morristown che aveva curato il disturbo della balbuzie di Merry con qualche significativo successo. Ma la relazione finisce in malo modo con uno Svedese piuttosto aggressivo e aspramente riprovevole che l’accusa di avere accolto Merry in fuga a casa sua per tre giorni senza averlo avvisato, secondo Sheila, per timore di essere controllata al telefono e perché non voleva perdere la fiducia di Merry che la considerava non solo sua terapeuta ma soprattutto amica. La dottoressa prova a giustificarsi dicendo che non voleva gettare alle ortiche tanti progressi realizzati sul disagio della ragazza, la considerava ormai forte e capace di farcela da sola. Lo Svedese non riesce a trattenere il suo forte disappunto ribadendole la necessità e il diritto come genitore di essere contattato perché più che una ragazza forte, la sua bambina Merry era una giovane pazza, non era più lei da quando aveva fatto saltare lo spaccio degli Hamlin. “Non è più grassa…È uno stecco coperto di stracci in una stanza buia e fatiscente di Newark, in una situazione inimmaginabile e indescrivibile”. Capisce di aver commesso un errore, in quella donna non c’era niente di spontaneo mentre molto di spontaneo continuava ad esserci in Dawn e si chiedeva cosa avesse trovato di magnetico in Sheila, in questa donna “severa, introversa e compassata”. Forse l’aveva attratto “il suo candore, il suo equilibrio, il suo perfetto autocontrollo”, forse davanti ad una catastrofe così accecante si era rivolto a lei perché c’era una certa familiarità. Lo Svedese si rende conto che il sentimento non muoveva i suoi abbracci e non poteva offrirle l’amore appassionato che Dawn attingeva da lui, in quel fugace e vuoto rapporto cercava l’illusione. É per queste ragioni che lo Svedese ritorna dalla moglie per sostenerla. Per eliminare i segni del dolore dal suo volto un tempo magnifico e ammirato la porta a Ginevra in una famosa clinica europea perché si sottoponesse ad un intervento di lifting facciale, restandole accanto la notte ad alleviare con la sua presenza le sofferenze del momento.

Le fece anche costruire una nuova e più piccola casa (sette ettari) ma più moderna perché il ricordo della figlia in quella vecchia in Arcady Hill Road era per loro insopportabile. Seymour poteva condividere l’opportunità di trasferirsi in una nuova casa ma non sopportava che sotto sotto Dawn odiasse la vecchia casa di pietra posta acquistata contro la volontà del padre, con le persiane nere su un’altura che lui amava, con i vecchi aceri che lui amava allo stesso modo, con gli alberi giganteschi che la proteggevano dal caldo dell’estate e che servivano da sostegno per appendervi l’altalena di Merry. Lo Svedese l’aveva tanto sognata da quando a sedici anni l’aveva vista passando con la squadra di baseball per andare ad una partita a Whippany. Quella casa vecchia di centosettanta anni, circondata da quaranta ettari di terreno, lontana dalle nuove zone ebraiche di periferia, che aveva fatto restaurare gli appariva indistruttibile, inespugnabile, una casa che non avrebbe mai potuto essere rasa al suolo da un incendio. Costruita con pietre primordiali, pietre rudimentali, quella casa l’affascinava così tanto che immaginava, al ritorno dal lavoro, di vedere sua figlia dondolarsi sull’altalena e poi venirgli incontro gettando le braccia al collo e baciarlo. Per Seymour possedere degli alberi valeva molto di più che possedere delle fabbriche ed era motivo di orgoglio abitare questa maestosa e vecchia casa di pietra sulle colline dove Washington aveva allestito il suo campo invernale durante la Rivoluzione. Per lui quegli alberi centenari erano qualcosa di assai prezioso al pari di una moglie o di una figlia ed andavano difesi dalle tempeste di neve e dai venti impetuosi che soffiavano forti nei periodi invernali. Per proteggerli aveva fatto tirare dei cavi attorno agli aceri e predisposto che due volte l’anno venissero irrorati d’insetticidi e fertilizzati ogni tre anni. Aveva anche assunto un arborista per potare con regolarità i rami secchi e controllare lo stato di salute del parco privato. Seymour non poteva dimenticare quei momenti di

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felicità quando tornato a casa prima del tramonto del sole, Merry si dondolava energicamente sull’altalena attaccata all’albero più grosso, all’acero vicino alla porta d’ingresso. Non poteva concepire che tutto ciò che per lui era stato il simbolo della realizzazione di tutte le sue speranze, non avesse alcun significato per Dawn e sua figlia. Quell’immagine di Merry su quell’altalena era un ricordo da custodire gelosamente, ancor di più dopo che avendola ritrovata l’aveva vista buttata sul pavimento sudicio di una squallida stanza-pattumiera, come un relitto, nel vecchio ospedale per cani e gatti di New Jersey Railrood Avenue, a cinque minuti dalla Penn Station, a pochi chilometri da Old Rimrock. In quel momento aveva intuito che era lui, la sua persona che Dawn aveva sempre detestato, rifiutato e odiato.

Il ritrovamento di Merry coincide con la certezza dello Svedese che sua moglie aveva a sua volta una relazione importante con Bill ORCUTT, l’architetto incaricato della nuova costruzione. I coniugi ORCUTT (Bill e Jessie), vicini di casa di Seymour Levov (cinque chilometri dividevano le due case) erano abbastanza cordiali e frequentavano spesso la casa dello Svedese soprattutto in occasione della cena annuale di fine estate in compagnia di altri invitati e dei genitori di Seymour che venivano dalla Florida. La figura di Orcutt diventò una presenza abituale da quando aveva ricevuto l’incarico di progettare la nuova casa dei Levov. Bill e Seymour si frequentavano di tanto in tanto non rinunciando alla solita partita di football ogni sabato con amici. Bill gli aveva fatto anche da Cicerone nella contea di Morris raccontandogli un’infinità di avvenimenti e personaggi storici del territorio che dimostrava di conoscere in modo appropriato e quasi padronale facendolo sentire un ignorante. Nonostante la sua espansiva e interessata cortesia Seymour lo trovava egoista, saputello con il suo modo di guardare dall’alto in basso, frutto di una nobile educazione risalente al passato. Quella visita era stata divertente e utile sul piano della ricostruzione storica ma lo Svedese non sopportava la sua presunzione e, malgrado la vicinanza, Orcutt non fu mai una presenza a lui molto gradita. Con sua moglie Dawn l’architetto aveva rapporti professionali quasi quotidiani per discutere sull’opportunità o meno d’inserire nel progetto idee o soluzioni che rendessero la nuova casa più comoda, moderna e accogliente. Orcutt era anche un pittore astratto che teneva ogni tre o quattro anni a Morristown una sua mostra che i Levov fedelmente visitavano. Sulle doti artistiche dell’architetto-pittore i Levov avevano opinioni opposte: per Dawn i suoi quadri erano “intellettualmente stimolanti”, per lo Svedese non sembravano un granché anche se si riteneva non all’altezza di giudicare l’arte per la propria ignoranza in materia (quando era bambino non c’erano quadri appesi ai muri delle stanze. In casa sua l’Arte non esisteva). Comunque quei quadri gli sembravano vuoti e, a suo modestissimo parere, non rappresentavano niente, era convinto che Orcutt non avesse talento e perciò non poteva avere un avvenire artistico. Per la moglie, invece, quei quadri calligrafici esprimevano temi universali sulla condizione umana e, un mese dopo che Dawn era tornata da Ginevra, rinnovata nella faccia e nell’umore ne acquistò uno dal titolo Meditazione 27, con sfondo violaceo e colori scuri che lei appese sulla parete del soggiorno. Ciò inquietò lo Svedese al punto da non riuscire a dominare la sua contrarietà quando vide che il nuovo quadro che aveva preso il posto di quello su Merry da lui molto amato e che la ritraeva allegra, a sei anni, con la frangia bionda. Malgrado il suo giustificato disappunto Seymour aveva accettato quel quadro nel suo soggiorno perché era il segno che il desiderio di vivere in sua moglie era più forte del desiderio di morire (era stata ricoverata ben due volte nella clinica psichiatrica). Intanto lo studio di Dawn era colmo di schizzi ed eliografie tra i quali un diagramma preparato dall’architetto che indicava con quale angolazione la luce del sole sarebbe entrata dalle finestre il primo giorno di ogni mese dell’anno e c’erano anche alcuni campioni di un nuovo materiale plastico trasparente.

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Bill ORCUTT aveva sposato Jessie, una ragazza che aveva abbandonato la famiglia a tredici anni ed era partita insieme al suo cavallo per il Sud in direzione di Philadelphia. Avevano cinque figli che già lavoravano a New York ma dopo la loro partenza la donna aveva cominciato a bere e stava attraversando un momento di avvilimento. La verità é che quella di Jessie era un’altra vita spezzata nettamente in due. Era diventata una vecchia emaciata, un’ubriacona denutrita con la passione per i cavalli. Era anche un’accanita fumatrice e mancava di autocontrollo. Jessie soffriva di solitudine perché era stata trascurata da tutti, il marito in primis che lo Svedese scopre essere l’amante di sua moglie quando, lo stesso giorno della cena annuale lo vede vicino all’acquaio chino su Dawn che muoveva i fianchi e le natiche, mentre la guancia di Bill premeva contro quella di sua moglie. Non stavano scartocciando pannocchie di certo ed era evidente che i due amoreggiassero e da più tempo. L’infedeltà di Dawn non era infedeltà alla casa di pietra, era pura e semplice infedeltà. Non per niente quella povera donna di Jessie beveva e fumava per reprimere ogni sentimento. Il marito, il perverso e altezzoso Orcutt si dava tanto da fare per apparire distinto e ben educato ma dietro la maschera del perbenismo celava la sua insulsaggine e perversione tipiche dei WASP. Colui che voleva passare per un uomo ragionevole e raffinato (i suoi calzoni di lino color lampone e la comoda camicia hawaiana che teneva fuori rappresentavano la “buffoneria WASP”) era invece tutta apparenza e simulazione, “sopra il gentleman, sotto il verme”. Lussuria e simulazione erano i suoi demoni, invisibili, civili e rapaci. Insomma dietro le presunte buone maniere si celava in Orcutt l’aggressività, l’indifferenza e una concezione strumentale e materialista della vita.

Per un po’ lo Svedese pensò al tradimento della bella Dawn chiedendosi abbastanza incredulo cosa la moglie avesse trovato di così attraente in Bill ORCUTT. Bello certamente non era, anzi “tarchiato e corpulento” aveva una faccia tonda, il naso schiacciato, il labbro inferiore sporgente. Cosa mai l’aveva spinta ad accettare le avance di “un bastardo con un grugno di maiale”? La disinvolta padronanza di sé, era forse questo che eccitava la sua donna? O forse il suo modo eccentrico di vestire o ancora i modi competenti da signorotto di contea? O erano le grandi opere d’arte? O forse si trattava semplicemente di una banale attrazione sessuale e niente di più? Sta di fatto che lo Svedese non riusciva ad immaginare le scene di amore e di sesso tra i due, gli venivano i brividi perché le associava alle violenze degli stupratori su sua figlia adorata. Durante la cena ogni volta che Orcutt apriva bocca per dire una banalità l’odio, il disprezzo e i cattivi pensieri provocavano in Seymour un feroce sentimento di rabbia e una forte ripulsa.

Nel pieno del tradimento, quando tutto giustificherebbe la rabbia e il rancore, Seymour si siede accanto a Dawn e le tiene la mano “come un uomo tiene la mano della donna che adora, con tutta l’emozione che si riversa nella sua stretta…come se l’intrecciarsi delle dita simboleggiasse ogni intimità…come se non possedesse altre informazioni sullo stato della propria vita”. È che lo Svedese non vuole arrendersi all’evidenza e continua a tenerle la mano convinto che la relazione con sua moglie stia saldamente in piedi.

Ma tutta la geometria dei rapporti familiari che sembrava perfetta si infrange. La ritrovata Merry ormai ridotta ad uno scheletro umano, totalmente spersonalizzata dietro la sua maschera giainista, con il senso di colpa per aver causato la morte di quattro innocenti, non è più riconoscibile ed è uno strazio per il padre riaccostare nella memoria ricordi struggenti di bei momenti di complicità vissuti insieme a questo essere che in niente ricorda ciò che è stata. Lo Svedese mantiene la sua maschera di uomo arrivato e giusto almeno esteriormente, interiormente è un uragano di dubbi, di rimorsi e di

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atroci sofferenze acuitesi quando apprende che la sua adorata bambina è stata oggetto di inaudite violenze sessuali, di uno stupro collettivo e ripetuto due volte. Seymour vuole sapere chi erano questi mostri che erano contro la guerra e alla macchia come Merry, dove era successo il fattaccio e se l’avevano picchiata, lasciandosi sfuggire, in preda ad una rabbia incontrollata, la promessa che, individuati, li avrebbe uccisi con le proprie mani. Nella sua vita sportiva lo Svedese non aveva mai usato la violenza su qualcuno, l’uso della forza lo disgustava e ricorda che di fronte ai turbolenti disordini del luglio 1967, con Springfield Avenue e South Orange Avenue in fiamme, Bergen Street invasa da minacciosi contestatori, con le sirene che ululavano, le armi che sparavano in direzione dei lampioni, con gente che saccheggiava i negozi, famiglie che rubavano lavatrici, forni e asciugatrici in pieno mattino, lui, seduto alla scrivania della sua azienda deserta, rimasto solo nella fabbrica della peggiore città del mondo, noncurante delle insistenti parole del padre che lo esortava ad andare via da là perché quella situazione stava deteriorandosi impedendo la liberazione dell’intera umanità, si rifiutò di partire, di chiudere la Newark Maid ma questo suo sacrificio non aveva impedito alla figlia di essere selvaggiamente stuprata. Lui che non aveva mai abbandonato i suoi dipendenti, difeso la fabbrica contro i vandali e aveva ricevuto per questo dal Governatore della contea un attestato di stima per la sua devozione alla città, non meritava di certo l’oltraggio di giovani malvagi e balordi della stessa età della figlia che l’avevano violentata e stuprata dopo averle rotto un dente e aspettavano ridendo il loro turno per abusare ancora di lei. Ma ormai non può farci nulla e constata con amarezza che le cose peggiori della terra si erano impossessate di sua figlia lasciandosi andare, lui sempre misurato, ad un’espressione rabbiosa : “Se solo quel corpo così ben cesellato non fosse mai venuto al mondo!”. È proprio la presa di coscienza dell’esistenza diffusa di simili forme di violenza e di crudeltà che spinge lo Svedese a chiamare al telefono il più giovane fratello Jerry per chiedere conforto e aiuto. Pur sapendo di avere a che fare con il fratello “sbagliato”, Seymour sente il bisogno di un po’ di sollievo da questa orribile storia dello stupro e si rivolge al solo fratello che ha. Con tono deciso e tracotante e con la rabbia covata da una vita, dopo aver appreso delle misere condizioni in cui suo fratello maggiore aveva trovato Merry, del fatto che era stata lei a far esplodere lo spaccio di Hamlin e ad aver causato la morte di quattro persone, Jerry gli si rivolge spronandolo a non cedere alla ragazza come aveva sempre ceduto davanti a suo padre e nella vita e a ritornare dalla figlia per riportarla a casa. Il suo non è un tono consolatorio ma un vero attacco alla filosofia di vita dello Svedese, sempre pronto al compromesso e a trovare il lato migliore delle cose, ragazzo educato che non viene mai meno alle regole della convivenza civile. È un fiume in piena di parole e di fatti rimembrati unicamente per umiliare il fratello scelto dalla famiglia a prendere il posto del capostipite Lou in fabbrica mentre lui era escluso perché considerato un incapace e spigoloso anche se poi la situazione si era modificata e Jerry era diventato il più celebre cardiochirurgo di Miami, rispettato e famoso come il salvatore dei malati di cuore. Lo esorta in malo modo ad essere diverso con tutti e verso tutto. Ma sono le regole che Jerry non sopporta, non le ha mai accettate e dietro le quali Seymour, il preferito della famiglia Levov, si è sempre nascosto. Lui non pensava che a vincere tornei di sport, ad apparire per quello che non era, un individuo che non ha mai dovuto lottare contro il loro padre, che non ha mai dovuto fare delle scelte in prima persona, nemmeno quando ha sposato Miss New Jersey non per amore ma per le apparenze (chiaro riferimento al terzo grado che il padre Lou Levov ha fatto a Dawn nel suo ufficio in presenza di un Seymour in religioso silenzio). Insiste sul fatto che nessuno sa chi veramente è Seymour e per Jerry Merry, “quella cavalletta di bambina in calzamaglia”, con la sua vita indipendente quanto disastrosa, ha voluto smascherarlo e farlo apparire per quello che era e cioè che

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dietro l’apparente profilo del padre ideale, dell’ uomo schietto e tollerante non c’era niente. Merry lo odiava per questa sua ambiguità di fondo. E ancora Jerry accusa il fratello di aver fatto vivere la figlia in una campana di vetro e di essere responsabile dello stato di confusione della figlia quando si era trovata a gestire la sua vita senza esservi preparata. Là fuori, nel mondo dei ladri e approfittatori di ogni specie che era l’America del dopoguerra sconvolta e allo sbando, Merry era stata facile preda perché il fratello viveva nel mondo dei sogni del vecchio padre, nel paradiso dei guanti da donna, il loro unico pensiero. In reazione a tutto ciò Merry aveva mandato all’aria l’osservanza delle regole del padre, del nonno e del bisnonno. “L’America è pazza furiosa”, urlava Jerry a più non posso come era sua abitudine, urlava contro tutto e tutti a maggior ragione se era contraddetto o se gli si imponeva il rispetto e l’osservanza delle norme del buon vivere. Al diavolo il regolamento dell’ospedale dove lavora. Jerry non fa quello che gli ospedali gli dicono di fare, fa quello che decide lui di fare e in lui non c’è nulla di segreto. Le sue opinioni, le sue frustrazioni, i suoi impulsi sono palesi, “È netto e intransigente”. Jerry è una persona che o la si prende così o la si rifiuta, non ci sono terze vie. Lo Svedese è in lacrime, non si aspettava queste dure e terrificanti parole. Una certa inquietudine si era infiltrata nei suoi pensieri e aveva telefonato a suo fratello per chiedere aiuto e conforto ma ora si sentiva oggetto delle sue lagnanze. Aveva capito di essersi rivolto al fratello “sbagliato” che lo accusava di essere stato tollerante su ogni questione e un padre progressista. “Quella peste americana che si era infilata nel castello dello Svedese aveva contagiato tutti. Merry lo aveva sbalzato dalla tanto desiderata pastorale americana e lo aveva proiettato in tutto ciò che è la sua antitesi e il suo nemico, nel furore, nella violenza e nella disperazione della contro pastorale: nell’innata rabbia cieca dell’America”. Era vero che Seymour non aveva causato la guerra nel Vietnam ma Jerry lo ritiene responsabile di aver cresciuto “la ragazza più rabbiosa d’America” e di aver dato eccessivo risalto ad ogni parola che usciva dalla bocca della figlia. Ora lo Svedese piange in un modo del tutto inspiegabile, piange senza ritegno e le reazioni del fratello al suo dolore demoliscono il suo mondo. Jerry è profondamente disgustato e lo esorta a smettere con le apparenze e ad opporre la sua volontà a quella della figlia come faceva quando giocava e opponeva la sua volontà a quella dell’avversario e segnava. Lo invita a fingere di trovarsi in una partita e di essere un uomo d’azione. Per anni aveva giocato con successo a baseball, fabbricato guanti di qualità, vissuto anche in campagna con Dawn per semplificare tutto, per condividere con l’aspirante Miss America l’allevamento di vacche, per riproporre la vecchia America coloniale ed ora cosa credeva, che questa facciata non avesse un costo? Non poteva pensare di svignarsela e di essere cieco. Jerry lo spinge a tagliare la corda che lo legava al passato, ad ammettere che Merry è un “mostro”, “un fottuto mostro di famiglia che non ha mai combinato nulla da quando è nata”, ma anche i mostri hanno bisogno dei genitori. Arriva a dirgli che se non voleva andare a prenderla, l’avrebbe fatto lui, sarebbe salito su di un aereo e in poco tempo avrebbe portato via quella “stronzetta” egoista. Offerta che lo Svedese non può accettare perché per lui le sue proposte non sono che farneticazioni, urla, poiché Seymour vuole continuare a credere che sua figlia è costretta ad essere quella che è come tutti noi e le ragioni di questo suo strano atteggiamento si devono trovare altrove. Non era possibile che il modo misurato e razionale di vivere della sua famiglia avesse partorito simile bizzarria o orrore. Jerry si sforzava di razionalizzare ma la vicenda era tutt’altra cosa: “È il caos dall’inizio alla fine”. La telefonata lunga e dettagliata tra i due fratelli termina così in modo brutale anche perché la sala d’aspetto dell’ambulatorio è piena di pazienti che attendono di essere visitati dal famoso cardiochirurgo Jerry Levov.

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Parte seconda. La Caduta.

Nella seconda parte del romanzo la figura di Nathan scompare definitivamente e prende vita il racconto della parte tragica dell’esistenza dello Svedese dal 1968 al 1974. Tutta la prima parte è una specie di cornice che contiene la seconda, una cornice “aperta”. Il racconto si snoda all’interno di un altro racconto, in maniera quasi ricorsiva. Ora Seymour LEVOV diventa protagonista a tutti gli effetti e quello che leggiamo è un romanzo nel romanzo, una specie di ipertesto centrato sulla comparsa di Rita COHEN, giovane terrorista latitante amica di Merry che irrompe prepotentemente nella drammatica situazione che i coniugi Levov stanno vivendo da quando l’emporio di Russ e Mary Hamlin era stato fatto saltare in aria con una bomba rudimentale dalla loro amata figlia, umiliandoli sul tema dei valori e dei sentimenti umani, un po’ come Jerry aveva fatto con suo fratello e sua cognata quando aveva dato loro chiare responsabilità circa l’educazione di Merry e le sue dannose scelte. Quattro mesi dopo la scomparsa della figlia Rita, “così piccola e così giovane”, si era presentata con “un’aria così innocua” allo Svedese perché, studentessa alla Whorton School of Bussines and Finance dell’università di Pennsylvania, stava preparando una tesi sull’industria del cuoio a Newark. Voleva visitare lo stabilimento dello Svedese all’avanguardia in materia di guanti di pelle e di pelletteria in genere (era nota la disponibilità dell’azienda a offrire visite guidate alle scolaresche di Newark) e chiedeva di essere accompagnata nelle varie e complesse fasi di lavorazione delle pelli. La visita fu lunga e accurata come le spiegazioni e le descrizioni che lo Svedese andava fornendo alla giovane e attenta visitatrice, lasciando trasparire l’amore, la dedizione per il suo mestiere di guantaio e tessendo in più occasioni gli elogi del padre-padrone dell’attività, “l’uomo che ha trasformato la sua vita in un continuo processo educativo”, un uomo che doveva il suo successo al senso di abdicazione, all’alta competenza, all’impegno serio e continuo che gli avevano permesso di diventare il re riconosciuto dei guanti. Amore e dedizione verso questa professione che poi aveva riversato sul figlio scelto per continuare al meglio l’attività, coltivando nel contempo la sua idea di famiglia (Lou Levov era contento e fortunato di avere “una moglie fantastica, due ragazzi fantastici, dei fantastici nipoti”). Lo Svedese si mostrava commosso nell’illustrare i dettagli della lavorazione perché rivedeva se stesso, bambino di cinque anni, che accompagnava suo padre come stava facendo adesso con Rita nella Newark Maid. Da quando Merry era sparita, Seymour non era mai stato così loquace come adesso. Era altresì fiero nel vedere la ragazza prendere scrupolosamente appunti e rivedeva Merry che un giorno, in terza elementare, era lì insieme alle sue compagne di scuola, interessata a sapere come si facevano i guanti, come si sceglievano le pelli, come venivano tagliate e confezionate o forse rivedeva sua figlia che correva da un piano all’altro dello stabilimento “con un’aria così fiera e padronale”. Aveva voglia di parlare della sua famiglia unita e felice prima degli attentati che miravano a distruggere un mondo che lo aveva accolto e che aveva dato ad uomini immigrati come lui la possibilità di rendere l’America un paese ospitale, aperto alle diversità, il migliore dei mondi possibili. Quella ragazza bruna, più piccola di sua figlia, un po’ bruttina, gli ricordava Merry per la sua intelligenza, la sua capacità di osservazione e di memorizzazione. All’inizio provocò in lui sentimenti positivi tanto che aveva la sensazione che “nulla era andato in rovina”. Ma non era così perché alla fine della visita Rita con voce flebile ma decisa svela il vero motivo della sua presenza e cioè che era stata mandata da Merry per chiedere al padre di consegnare alla sua emissaria l’album di Audrey Hepburn, le scarpette da ballerina e la calzamaglia, il suo diario tartaglione, oggetti che, diceva, le erano cari. Inoltre voleva far sapere ai suoi genitori che non aveva alcun desiderio e volontà d’incontrarli più. Poi con un tono piuttosto minaccioso Rita chiede a Seymour quanto pagava gli operai nelle

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fabbriche di Ponce e di Portorico, quanto prendevano le operaie che lavoravano per lui a Hong Kong e a Taiwan e quanto dava alle filippine che diventavano cieche a forza di cucire a mano i modelli per le signore dell’alta borghesia e lo accusa di essere “un piccolo capitalista di merda che sfrutta la gente con la pelle gialla e bruna e vive nel lusso dietro le robuste cancellata a prova di negri della sua villa”. L’obiettivo di Rita era chiaramente di natura politica e tendeva a far risaltare lo sfruttamento della gente che vive alla giornata in condizioni di vita disumane per puro arrivismo e potere. Lo Svedese avverte di essere sotto tiro ma continua ad essere cortese e affabile con Rita. Era consapevole che la sua Merry sedicenne e balbuziente era nelle mani di quella ragazza e dei suoi giovani aguzzini e quasi quasi li giustificava, capiva cioè che quei giovani rivoluzionari si erano impegnati in quella temeraria avventura contro ogni forma di autorità e di razzismo perché spinti forse da nobili ideali senza però la minima riflessione sulle conseguenze delle loro azioni. Era così intensamente immerso nella parte che nel rivolgersi alla studentessa la chiama più volte “bellezza” perché quasi sentiva di avere al suo fianco Merry e di parlare con lei.

Lo Svedese non riesce però a nascondere l’agitazione che lo divora e dopo, aver ascoltato mal volentieri la “tirata comunista” di Rita, sfogo ideologico e accusatorio assurdo quanto insensato, trasforma la sua proverbiale calma in una rabbia inusuale e incontrollata contrapponendo alle asserzioni della ragazza una serie di fatti per dimostrare da un lato la profonda ignoranza della ragazza e dei suoi fanatici seguaci con le seguenti riflessioni: “lei non sa nulla, non ha mai visto prima d’ora una fabbrica, non sa cosa significa lavorare”, e dall’altro che i suoi dipendenti non si sentivano per niente sfruttati e mostravano totale fiducia nello staff organizzativo e direttivo attivato dai Levov da più anni al fine di creare nuovi posto di lavoro. E all’ennesima accusa di dirigere le sue aziende come un negriero che si prende cura dei suoi dipendenti con un falso atteggiamento paternalistico, lo Svedese non sa trattenersi dal rinfacciarle “di non sapere cosa è una produzione, un capitale, cosa significa esseri occupati e disoccupati”. Ribadisce di voler parlare unicamente della figlia, sapere dove si trova e se sta bene.

Le malevoli provocazioni di Rita hanno avuto l’effetto di turbare lo Svedese che non sa più chi e cosa credere. La studentessa riferisce, per rendere l’atmosfera ancora più drammatica ed incerta, che Merry non vuole vedere nemmeno sua madre e riporta alcuni termini o espressioni offensive tipo “quel bel tipo” o “la castellana” o ancora Lady Dawn definita “frivola con banale mentalità di reginetta di bellezza”, unicamente attratta da sé, dai suoi capelli da tenere sempre in ordine, una “mammina vanitosa che ha completamente colonizzato l’immagine di sé che aveva sua figlia”, una madre che non aveva un minimo di sentimento per sua figlia. A queste falsità ne aggiungeva un’ultima non meno grave, l’affermazione che Dawn odiava Merry perché non era graziosa e perché non voleva portare i capelli all’indietro come fanno abitualmente le ragazze nei concorsi di bellezza e come ciliegina sulla torta che Dawn la disprezzava perché era figlia di un ebreo e che “Merry avrebbe fatto meglio a poppare dalle vacche, se voleva un po’ di latte e di nutrimento. Almeno le vacche hanno sentimenti materni”. Quest’ultima cattiveria paralizza lo Svedese. L’aveva lasciata parlare perché sperava di sciogliere il mistero principale: come aveva fatto Merry a diventare una bombarola terrorista capace di causare la morte di persone innocenti. Ma nulla di quello che aveva ascoltato spiegava qualcosa e anzi si convince che era stato un ridicolo errore ascoltare quella piccola vipera rivoluzionaria e piena d’odio anche se si rendeva conto che per aver notizie sulla figlia non c’era nessun altro cui affidarsi. Comunque alla fine della requisitoria Rita gli comunica che “sua figlia era al sicuro tra gente che le vuole bene e che Merry stava battendosi

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per le cose in cui credeva e stava facendo, finalmente, la sua esperienza del mondo”. Il mistero continua a tormentare lo Svedese tanto che pensa che quella “marmocchia strafottente” non poteva essere l’amica e protettrice di sua figlia e che con la bassezza e la crudeltà infantile che mostrava poteva benissimo essere la carceriera di Merry o “una mentecatta politicizzata” che sfruttava il caso di una piccola ebrea pazza e criminale per portare avanti una sua personale avventura politica. Si convince pure di aver fatto male, su pressione di sua moglie, a non informare l’FBI della visita di Rita Cohen in azienda. Non volevano che si desse rinnovato ed eccessivo clamore mediatico al caso della loro figlia. Così, dopo aver consegnato quanto malevolmente richiesto, i due si danno appuntamento in una stanza dell’Hotel Hilton di New York e concordano che in quella occasione lo Svedese avrebbe dovuto consegnare a Rita cinquemila dollari in biglietti da dieci e da venti. Nel momento del loro incontro in albergo, oltre al denaro Rita, senza alcun pudore, gli chiede di essere pronta a fare all’amore con lui. Per Seymour quella richiesta choc è una tremenda mazzata giacché considerava la ragazza intelligente e graziosa ma non ne aveva calcolato lo stimolo della sensualità. Questa volta non si trattava di contrastare una violenza verbale, si sentiva immerso in un vortice d’insulsaggine e di disgusto, avendo quella stramba proposta il senso di un bieco ricatto, prima un rapporto sessuale con lei, poi la consegna del denaro e in ultimo avrebbe forse visto la sua adorata bambina. Si rese conto che la situazione stava degenerando, vedeva la ragazza che si spogliava, si toccava nelle parti intime, esprimendosi con parole chiaramente allusive, mentre lo accusava di non sapere guardare in faccia la realtà riversando con ironia sul suo sesso termini che lo Svedese aveva usato per la descrizione delle pelli e dei guanti. La reazione dello Svedese fu immediata e di stupore misto a confusione, si allontanò a gambe levate dalla stanza non prima però di aver chiamato gli agenti dell’FBI che prontamente raggiunsero l’albergo senza trovare la ragazza sparita con il malloppo. Seymour Levov non l’avrebbe più rivista ma riconosce di essere fuggito non dalla crudeltà e da quella cattiveria infantile ma dall’umiliazione subita e dalla consapevolezza di aver sbagliato tutto della sua vita.

I cinque anni che passano da quello strano incontro segnano per lo Svedese un aumento della sua ossessione dovuta anche al fatto che una infinita serie di atti criminali accadono un po’ dappertutto sul territorio americano (in Colorado, in Michigan, nel Wisconsin, all’università, a Chicago, a New Haven, in centri commerciali, in night club, su di un jet della TWA e finanche al Pentagono). Già due anni prima che Merry scomparisse c’erano stati tre scoppi ed un incendio in una casa molto elegante della zona residenziale del Greenwich Village che avevano distrutto i quattro piani del vecchio edificio. Per questo attentato erano state fermate due ragazze abbastanza giovani una delle due era la figlia dei proprietari dell’immobile appartenente alla fazione rivoluzionaria degli studenti detta “i Weathermen”. Dalla descrizione a Seymour sembrano una la figlia e l’altra Rita, ma fortunatamente si era sbagliato, era stato tratto in inganno dal fatto che per lo scoppio della palazzina erano state necessari sessanta candelotti di dinamite, trenta detonatori, delle bombe fatte in casa, tubi imbottiti, dello stesso tipo di quelli che avevano fatto saltare in aria il negozio di Hamlin. L’angoscia dello Svedese aumenta ma continua a credere all’innocenza di Merry, strumentalizzata e guidata da “piccoli delinquenti radicali”. E per trovare una spiegazione ritorna a riesaminare cose e circostanze che avrebbero potuto spiegargli la trasformazione di Merry in terrorista. È allora che gli viene in mente che alcuni anni prima lui e la moglie avevano visto in televisione insieme alla figlia delle traumatiche immagini del monaco buddista Thich Quang Duc che si auto immolava in una strada deserta di una città del Vietnam del Sud per protestare contro l’avvio del conflitto vietnamita nel 1963. Non fu un solo episodio, se ne aggiunsero altri tre simili

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fino a sette e la partecipazione emotiva di Merry a quelle visioni era stata molto intensa. Seymour e Dawn non volevano che la ragazza fosse turbata da quelle strazianti scene ma nel contempo non si sentivano di reprimere la sua curiosità. Per distrarla da quel seguito di scene raccapriccianti quanto impressionanti che potevano alterare l’apparente serenità di Merry la portarono a giocare a golf, a divertirsi al mare. Ritornando sull’accaduto lo Svedese crede che quelle immagini abbiano influenzato la fragile e dolce Merry ad abbracciare le tesi e le idee rivoluzionarie di studenti pronti alla distruzione e alla violenza senza scrupoli e senza quella coscienza che, diceva allora la giovane, a nessuno sulla terra era rimasta rendendo i suoi genitori fieri di avere una figlia alla quale stava tanto a cuore il benessere degli altri e che comprendeva le sofferenze altrui.

Morto assassinato il presidente del Vietnam del sud, Diem, la sorte dei monaci immolati nel ’63 sembrava un argomento superato ma per poco perché nel ’68 scoppiò una nuova violenza contro l’ingerenza imperialista dell’America capitalista nel Vietnam.

È l’epoca in cui è riservato un’attenzione particolare quanto continua da parte dei mezzi d’informazione e di divulgazione (giornali, televisioni) al caso eclatante di una professoressa di filosofia, nera e comunista, che è processata per sequestro di persona e omicidio di un giudice. Il suo nome è Angela DAVIS e per lei manifestano americani bianchi e neri contro la repressione politica, la guerra e il razzismo. Lo Svedese che guarda i telegiornali comincia a informarsi sulla

professoressa perché sa che può portarlo da Merry e ricorda di aver letto opuscoli di propaganda tascabili, libretti ciclostilati e altre pubblicazioni che chiedevano il rovesciamento del capitalismo e del governo degli Stati Uniti quando gli agenti dell’FBI nel corso della perquisizione della stanza di Merry li avevano trovati e destinati poi a comprovare l’attività terroristica di sua figlia. Merry dunque leggeva Karl Marx e Angela Davis. La verità era un’altra e cioè che Merry era per carattere impaziente, metteva poco a conoscere un fatto, a condividerne il pensiero, a schierarsi dalla parte di un’idea ma con altrettanta velocità se ne allontanava. L’irrefrenabile desiderio di sapere perché la figlia era diventata una terrorista spinge lo Svedese una notte in cucina ad immaginare di parlare con Angela Davis. Surrealmente i due si scambiano discorsi sul tema della guerra. Angela comincia a fare elogi a Merry chiamandola “un soldato della libertà, una pioniera nella grande lotta contro la repressione…una Giovanna d’Arco del movimento…la punta di lancia della resistenza popolare a un governo fascista e alla sua terroristica soppressione del dissenso”, e a giustificare ogni atto criminale contro uno Stato pronto a compiere “spietate aggressioni per mantenere l’iniqua distribuzione delle ricchezze”, ribadendo che quello di Merry non era stato che un atto politico di resistenza al potere capitalistico e che la ragazza non era sola ma che “faceva parte di un esercito di ottantamila giovani radicali in clandestinità per meglio battersi contro le ingiustizie sociali”. Per la professoressa era una menzogna tutto ciò che si diceva sul comunismo e che bastava andare a Cuba

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per vedere un ordine sociale costruito sull’abolizione dell’ingiustizia razziale e dello sfruttamento dei lavoratori. Su questo ultimo tema lo Svedese non può stare zitto e rivendica la sua piena generosità nell’accogliere nelle sue aziende lavoratori neri (il riferimento è a Vicky, caporeparto da trent’anni alla Newark Maid che ha difeso durante le rivolte del 14 e 15 luglio del 1967 la “sua” fabbrica da dimostranti, bande di bianchi, vigilantes e anche, come si sospettava, da poliziotti collusi. Insieme decisero che fosse giusto non abbandonare la città di Newark e i dipendenti neri sostenendo che quell’azienda era la loro casa). Lo Svedese sottolinea di essersi opposto testardamente alla volontà del padre (forse la prima volta) di spostare da Central Avenue l’azienda anche perché temeva che Merry ritenesse lui un profittatore e la sua fabbrica “una colonia nera”. In sostanza Seymour voleva confermare ad Angela il suo impegno per la liberazione della sua gente e per una società americana più umana. Le dice che è fiero della figlia che considera come lei “un soldato della libertà” e addirittura arriva a ritenere gli Stati Uniti responsabili di qualunque oppressione.

È un Seymour stranamente diverso che suscita perplessità, stupore, ma forse influenzato dall’evento tragico per la sua famiglia che lo ha intimamente toccato e turbato. Certamente è un Seymour alquanto confuso (o forse questo è il vero Svedese padre). Partecipa ad un comizio di Angela DAVIS a New York e unisce la sua vibrante richiesta “Liberate la Terrorista di Rimrock! Liberate mia figlia!” alle grida di numerosi sostenitori della leader nera che chiedevano la libertà per i loro amici prigionieri senza processo, aggiungendo che era venuto il momento di inorgoglirsi per l’imminente arrivo della rivoluzione socialista in America. Per tutti i cinque anni dall’attentato all’emporio degli Hamlin, lo Svedese prova, però, un irreprimibile senso di disagio, soprattutto quando si reca nel villaggio, rivede il luogo del primo attentato criminale di Merry, incontra persone conosciute di Old Rimrock e rivede le sei aule della scuola che sua figlia frequentava prima di andare alla Montessori e poi al liceo di Morristown. E tutte le volte che passava di là non pensava che all’esplosione, al dottor Fred Conlon che vi aveva perso la vita e a Merry che l’aveva provocata. I giornali locali continuavano a ricordare quel tragico avvenimento, alla bacheca del Community Club restò per un anno ben in vista l’intervista con Edgar Bartley, il ragazzo che aveva accompagnato Merry al cinema a Morristown due anni prima dell’attentato. L’articolo lo presentava come il fidanzatino di sua figlia ma allo Svedese sembrava inopportuna qualsiasi ricostruzione o interpretazione di un semplice ed innocente incontro. A conclusione dell’articolo si sottolineava il fatto che la vita a Old Rimrock non era più come prima e che bisognava guardarsi attorno con più prudenza. Questa tesi era ripresa negli articoli del “Newark News” e del “Morristown Record” che continuavano a sfornare articoli sulla Terrorista di Rimrock per settimane tirando fuori dal dimenticatoio della decenza storie che nulla avevano a che fare con gli avvenimenti di cui Merry si era resa responsabile. Semplice stupidità o altro? Seymour non lo sa ma queste pseudonotizie lo mandano in bestia acuendo il senso di vuoto che lo avvolge da più tempo. Era vero che Merry mostrava “una vena di cocciutaggine” nel perseguire obiettivi assai ambiziosi, così si esprimevano i suoi insegnanti per i quali sua figlia era una ragazza laboriosa e entusiasta. “Era abbastanza simpatica, anche se aveva le sue idee”, diceva di lei una sua amica, mentre per altri la ragazza “parlava molto di guerra nel Vietnam” e criticava la presenza delle truppe americane in quel paese. Insomma al padre interessava che si dicessero parole di ammirazione su sua figlia in relazione agli eccellenti risultati conseguiti a scuola, cioè che si parlasse dei Levov come di una bella e rispettabile famiglia.

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Dopo un anno dal tremendo scoppio del piccolo negozio, lo Svedese vede nascere e inaugurare un nuovo locale gestito da McPherson con servizi più moderni e con l’aggiunta di un settore del tutto nuovo, una panetteria-rosticceria attrezzata che sforna torte e focacce deliziose. Il nuovo locale simboleggia la vita che rinasce anche se quella interiore dei Levov è piena di “ossessioni tiranniche, tendenze soffocate, aspettative superstiziose, fantasie spaventevoli, conversazioni chimeriche, domande senza risposte”. La vita di Seymour e di Dawn è dominata da “una solitudine immensa, un rimorso incancellabile” anche per quel bacio sulle labbra che il padre trentaseenne aveva dato a Merry di undici anni in macchina di ritorno dalla spiaggia di Deal senza rendersene conto (lo Svedese sembra dare tutta la colpa alla ragazza), banale, perdonabile, innocente, quasi rubato, ma che forse per lei era stato molto serio (si era forse innamorata del padre?) e che gli suscitava un pesante senso di colpa, insieme alle accuse che Merry rivolgeva quasi quotidianamente ai suoi genitori sull’immoralità della loro vita borghese. Forse avrebbe fatto meglio a valutare questo e altri segnali d’insofferenza e di disagio e a non considerarli semplici “farneticazioni infantili”. Aveva sottovalutato alcune parole o espressioni quali “mi sento sola” che la piccola di due anni si era lasciata sfuggire dalla bocca. Parole che la bambina aveva imparato precocemente, forse a causa della sua balbuzie, rendendo suo padre orgoglioso della sua intelligenza ma che a pensarci bene gli facevanoi ghiacciare il sangue nelle vene. Lo Svedese non aveva capito che vivere in un’agiata famiglia e proporsi quale uomo d’affari ancorato a sani principi morali, generoso e retto tanto da incarnare con fierezza il cliché del “sogno americano”, non era sufficiente ad assicurare alla giovane e problematica figlia la felicità. Non aveva capito o meglio aveva sottovalutato anche uno dei primi atti di violenta ribellione di Merry quando la ragazza aveva tolto dalla parete del suo studio in azienda un gagliardetto della squadra di football di Weequahic per sostituirlo con il manifesto scritto in rosso ombreggiato pesantemente in nero che riportava il motto dei Weathermen: “Noi siamo contro tutto ciò che di buono e di decente c’è nell’America dei padroni bianchi. Saccheggeremo, bruceremo e distruggeremo. Noi siamo l’avverarsi degli incubi di vostra madre”. Forse lo Svedese era stato tollerante più del suo dovuto e non aveva provveduto a togliere questo offensivo poster perché pensava che avrebbe nociuto all’integrità di Merry, alla sua psiche, al suo diritto di espressione. E tutto ciò perché si sentiva a posto con la sua coscienza, perché senza esitare aveva soddisfatto con il suo onesto lavoro tutte quelle necessità familiari che riteneva importanti per la crescita in armonia dell’adorata figlia attivandosi prontamente per risolvere i problemi di ortodonzia, di psichiatria e assicurandole costose terapie per togliere i disturbi di linguaggio, farle prendere lezioni di danza classica, lezioni di equitazione e di tennis. Non poteva essere una colpa averle offerto questa possibilità grazie all’agiatezza.

Cosa aveva fatto lo Svedese per meritarsi una figlia che era diventata violenta contro tutto l’establishment e nel contempo difendeva pateticamente anche i microrganismi nell’aria? Come potevano aver contribuito con i loro innocui difetti a creare una ragazza che alla vita agiata di Old Rimrock ne aveva preferita una misera in una squallida e sudicia stanza simile ad una cella del carcere, senza luce, acqua per lavarsi e ovunque sacchi di plastica neri pieni di spazzatura tra uomini e donne della setta dall’aria pericolosa e estranei? Certamente le bestie che allevava Dawn vivevano meglio e quella che si trovava di fronte vestita di stracci simile a spaventapasseri non era sua figlia, una donna o una ragazza, quella donna lì era per lo Svedese “la parodia di un essere umano”.

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Sulla base di queste e altre riflessioni non riesce a spiegarsi l’evoluzione diMerry e ipotizza che la giovane sia stata manipolata, indottrinata e anche usata, “strumentalizzata da piccoli delinquenti radicali” per protestare contro la guerra e il potere assoluto convincendola ad abbracciare i movimenti di protesta che da pacifisti si erano trasformati in terroristici. Ma soprattutto Seymour non può immaginare che sua figlia intelligente, carina, appassionata di buona musica, abbia sentito il bisogno di andare alla ricerca di guide spirituali, di uomini che avevano cose da insegnarle e da inculcarle nella testa al di fuori del suo ambito familiare, diverse se non contrarie a quelle che circolavano quotidianamente in seno alla sua famiglia, fino ad indurla a tradire gli amati genitori e a divenire lei una esasperata militante pronta ad uccidere. Perché, si chiedeva esterrefatto ancora, la sua adorata bambina aveva messo in atto azioni pensate da altri e non era fedele a se stessa e alla propria indole? Per lei era invece suo padre che ripeteva pappagallescamente i luoghi comuni degli altri. “Tu sei l’esempio vivente-gli rinfacciava Merry senza inciampare- della persona che non pensa mai con la sua testa, sei l’uomo più conformista che io abbia mai incontrato…sei uno stupido automa, un robot”. È che la sua bambina era fuori di testa da quando aveva compiuto quindici anni e lui, stupido e bonario, distratto, aveva tollerato la sua follia convinto che con il tempo avrebbe dimenticato le ribellioni e le stranezze dell’adolescenza. Aveva fatto male le sue previsioni e anche a inorgoglirsi nell’ascoltare alcune frasi dette a scuola da Merry quale “La vita è solo un breve periodo di tempo nel quale sei vivo” che denotavano nella giovane allieva una spiccata e viva intelligenza. Ma dopo che l’aveva avuta di fronte seduta su quel puzzolente materasso con quegli stracci che le lasciavano scoperto quasi tutto non poteva tornarsene a casa e dormire nel sicuro e comodo letto di Old Rimrock e non pensare a come l’aveva trovata, con le orecchie enormi, i capelli sempre biondi un tempo magnifici taglati a zero, smunta perché si alimentava solo di verdura convinta com’era che non bisognava fare male a nessun essere vivente né uomo, né animale, né pianta e che il modo tradizionale con cui una seguace giaina finisce la sua vita è la morte per inedia.

Lo Svedese rimane di sasso nel constatare che Merry quando faceva simili discorsi non tartagliava. Riconosce che tutto quello che non era riuscita a ottenere con una foniatra, uno psichiatra e col diario tartaglione lo aveva realizzato grazie alla follia. Scegliendo la strada dell’isolamento, dello squallore, Merry aveva raggiunto il controllo mentale e fisico di tutti i suoni emessi e aveva così sconfitto il problema della balbuzie.

Terza parte. Paradiso perduto.

La terza ed ultima parte del romanzo ha come scenario la vecchia e maestosa casa di Seymour, luogo d’incontro di amici, conoscenti e dei suoi genitori venuti appositamente dalla Florida per la visita annuale di fine estate. Fa da sfondo lo scandalo Watergate del 1974 di cui si parla con particolare interesse e che finisce per coinvolgere altri abituali convitati.

È una giornata tremenda in cui Seymour Levov ritrova sua figlia irriconoscibile e si conclude in una cena a casa sua, in cui sfilano quasi tutti i personaggi della storia. È qui che crollano definitivamente tutti i miti che hanno fatto da contorno alla sua vita, i valori fino ad allora considerati intramontabili come l’amore eterno, la purezza, la lealtà. In un solo giorno al protagonista viene a mancare tutto ciò che gli è più caro: ha perso per sempre una figlia diventata irrecuperabile e irraggiungibile nel suo mondo così fuori da ogni realtà; l’amante alla quale si era rivolto in un momento di debolezza si rivela falsa, fredda e calcolatrice. Il sogno di un’America

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laboriosa che si materializza nella perfezione artigianale dei Levov fabbricatori di guanti si annulla nella banalità della produzione di massa e nella feroce tirannia della moda. L’impegno puntiglioso della moglie Dawn, allevatrice, che incarna a tutti gli effetti il sogno agreste di una pastorale americana, si annulla nella vendita di tutto il bestiame e si rigenera nella ricerca di un nuovo viso e di un nuovo uomo. La casa di pietra, solida come una roccia, che sembrava la realizzazione dei sogni condivisi dalla coppia, verrà sostituita da un’abitazione moderna e senz’anima.

Tutto è perduto e un amaro senso di solitudine e d’impotenza avvolge lo Svedese che ha creduto in persone e ideali fragili e inesistenti che si disgregano e si trasformano: Seymour che “stava in America come dentro la propria pelle…tutte le gioie dei suoi anni più giovani erano gioie americane, tutti quei successi e tutta quella felicità erano americani. Tutto ciò che conferiva un significato alle sue imprese era americano”, vede in un giorno crollare il suo essere uomo e il suo essere americano. Dawn non solo lo tradisce con Bill ORCUTT III, il più perverso dei conoscenti ma rinnega anche il passato. La ritrovata Merry ormai ridotta a pelle ed ossa è irriconoscibile spersonalizzata dietro la sua maschera

giainista. L’unico a rimanere sempre se stesso è quel magnifico personaggio che è il vecchio Lou, arrogante ma tenace, gran lavoratore sempre attento a non sprecare risorse e a produrre guanti di qualità superlativa. Ammiratore dell’America governata da Franklin ROOSEVELT, ricorda spesso quanto la sua famiglia debba a questo incredibile paese e prova una grande delusione nel vedere tanti giovani americani che combattevano battaglie altrui invece di lavorare in patria per rendere l’America più aperta e liberale. Merry con cui il nonno dialogava su queste tematiche, in occasione dell’incontro annuale, non la pensava allo stesso modo e anzi era convinta che Lyndon Johnson fosse un criminale di guerra e che stava facendo ai vietnamiti, chiusi e ghettizzati nei campi di concentramento, quello che Hitler aveva fatto agli ebrei. Lou Levov non era d’accordo e sottolineava che in questo grande paese vivevano persone di tutte le culture e etnie, “isolazionisti, bigotti, ignoranti, ladri, fascisti, comunisti” ma che fortunatamente ciò era possibile grazie al regime democratico e al sistema di votazione che assicurava la possibilità di scelta a tutti i cittadini. Questa per lui era la democrazia ed esortava la nipote a non fare confusione e a non prendersela con la sua famiglia perché la sua famiglia era con lei nel combattre la guerra. Fin da questi veloci scambi di opinione Lou capiva che in Merry c’era qualcosa che non andava, “qualcosa di squinternato”, e invitava suo figlio maggiore a tenerla d’occhio anche perché intuiva che l’avrebbe persa.

Poi ritornando ad essere il solito Lou, schietto e senza alcun timore, interviene sul caso Warergate, esprimendo il suo incontenibile odio per Nixon accusandolo di tutte le illegalità, violenze e follie, convinto che con la sua cacciata l’America sarebbe ritornata quella che era prima.

Con l’arrivo di altri ospiti (gli Umanoff, i Salzman e gli Orcutt) la conversazione si sposta sul film “Gola profonda” vietato ai minorenni in circolazione nelle sale cinematografiche con enorme successo di pubblico. L’interprete del film è una giovane attrice porno, Linda Lovelace, e prendendo spunto dalla sua interpretazione ognuno dei presenti si avventura in una disserzione sul

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Edward HOPPER (1882-1967), Automat (1927)

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significato della parola “decenza”. La frase-opinione che più colpisce suscitando una serie di polemiche è quella espressa dall’amica cicciona, professoressa di letteratura, Marcia Umanoff secondo la quale “senza trasgressione non c’è molta conoscenza”. Marcia è un’attivista dogmatica e non conformista che aveva appoggiato tutte le manifestazioni di protesta contro la guerra (aveva conosciuto anche il carcere). È certamente una donna eccentrica proveniente dal mondo intellettuale e accademico dove la polemica era vista con ammirazione e si era schierata recentamente a sostegno delle rivendicazioni dei nordvietnamiti. Il primo a reagire è Lou che si oppone a questa interpretazione riportando all’attenzione quello che gli avevano insegnato a scuola e cioè che quando Dio ci dice di non fare una cosa è consigliabile non farla altrimenti si porterà a lungo il peso delle scelte diverse. Inoltre non ritiene opportuno che le donne rappresentino simili scene degradanti per cui era preferibile il lavoro di cameriera a quello di pornostar. Marcia, invece, vede molta durezza e chiusura in quelle parole e dice che Linda meriterebbe lo stesso metro di giudizio adottato per una ragazza che si spogliava ad Atlantic City per una borsa di studio è perciò considerata una dea americana mentre colei che si spogliava in un film per soldi diventava una poco di buono, una battona. Dawn si sente toccata e reagisce malamente. Ma è sempre Lou che continua la chiacchierata ponendo l’accento ancora sul caso Watergate e sulla degradata città di Newark colpita dalla corruzione e dalla dilagante criminalità giovanile. È l’occasione per riparlare della “sua” fabbrica dei guanti, un tempo florida, e dell’industria in crisi a causa dei tanti amici che avevano votato per Nixon e le sue camicie nere. Marcia passa poi a parlare di un altro argomento, del divorzio suscitando in Lou una forte reazione, a giusta ragione, perché Jerry, il figlio minore, era uno specialista di divorzi (si era sposato ben quattro volte) e il padre si chiede il senso di questi inconcepibili cambiamenti. Per Lou Levov la ragione dello sfacelo del matrimonio in America andava trovata nella mancanza di rispetto e sensibilità verso questa sacra istituzione. Proprio per arginare così tanta insensatezza occorreva per lui ripristinare il senso e l’interesse per la comunità, per la casa, per la famiglia, per i genitori, per il lavoro, valori caduti nel dimenticatoio o cancellati. C’era bisogno per il vecchio padre dello Svedese di un rinnovato senso di appartenenza, patrimonio che le tre generazioni dei Levov avevano sempre tutelato. Su questo punto incrociava il consenso di Bill Orcutt il quale si dichiarava d’accordo a ricercare un limite alla distruzione sistematica del sistema. Marcia, invece, fedele al suo credo filosofico di militante continuava a sostenere il valore della trasgressione e la necessità di apportare cambiamenti concreti e significativi per rivitalizzare un sistema che mostrava sempre più segni di cedimento.

Intanto Seymour che ha preferito non entrare in questi vani e qualunquistici sproloqui riceve una furiosa telefonata da Rita Cohen piena di accuse e farneticazioni nelle quali non riesce a trovare il più piccolo nesso logico. Anzi si convince che lei e la figlia si siano coalizzate per tormentarlo. Non capisce cosa c’entri Rita con sua figlia che aveva deciso di morire di fame. Arriva finanche a pensare che Rita stesse interpretando una parte e che dietro di lei ci fosse qualcuno, una persona corrotta, cinica e invasata che “spogliasse Rita e Merry Levov di tutto ciò che c’era di buono nel loro retaggio e le costringesse con l’inganno a recitare una commedia”. Sotto accusa è la vita di Seymour e dei suoi amici più vicini che godono impuniti della ricchezza nell’infamia, “quella burletta frivola ed egoista”. Lui e i suoi genitori non hanno nulla da offrire a Merry se non una vita in malafede, “il non plus ultra del parassitismo delle persone perbene”. L’attacco è chiaramente rivolto alla Upper Middle Class che il nostro protagonista simboleggiava ma l’accusa più forte è contro la sua volontà di allontanare Merry da Rita, “nauseato” perché sua figlia si rifiutava di tornare a far parte “del piccolo e merdoso universo morale” nel quale si era formata e cresciuta.

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Eppure anche se lo Svedese pensa che Rita non c’entri nulla con la sua povera bambina, arriva a ritenere che Rita sia il suo vero nemico che lo imprigiona “nei suoi lunatici cliché”, lasciandolo stravolto e appesantito da una stanchezza così estrema da sembrare l’anticamera della morte. Quella donna è forse l’unica a resistergli e lo combatte con odio implacabile perché vede in lui la personificazione del male.

Lo Svedese è un padre distrutto che ha chiuso con l’egoismo e le passioni e affonda nella sua impotenza. Finita la telefonata, Seymour ritorna “alla solita e metodica buffonata della cena” e alla terrazza illuminata dalle candele, “sempre portando con sé tutto ciò che non riusciva o non ha voluto capire”. Intanto gli invitati anche se avevano cambiato posto continuano a discutere amabilmente e scherzosamente, questa volta sull’immoralità, il tradimento, l’inganno, l’infedeltà e la crudeltà, temi che facevano da corollario a quello principe della serata che era l’integrità umana messa in pericolo dalla distruzione di ogni dovere morale. Lo Svedese ripensava alla vulnerabilità di Dawn e al suo sciocco amante. Rileggeva mentalmente la lettera di ringraziamento di sua moglie al luminare dottor LaPlante che l’aveva operata e alle seguenti parole in essa contenute, “È davvero magnifico, caro dottore. È come se lei mi avesse infuso una nuova vita. Sia dentro che fuori” e capì che era per Bill che si era sottoposta a quella delicata plastica facciale, per sedurlo e conquistarlo. A Ginevra aveva vegliato sulla moglietenendole la mano nella nausea e nel dolore e tutto per amore di un altro, compresa la costruzione della nuova casa. Come due “predoni” se la stavano progettando per andarci a vivere insieme. I due “fuorilegge” volevano seppellire il loro passato, Orcutt che voleva mollare l’ubriacona Jessie e Dawn che, messo da parte il dramma della figlia, voleva ricominciare una nuova esistenza, cambiando viso, casa e marito.

Ma è il pensiero di Merry che ritorna prepotendemente a tormentare lo Svedese sempre più schiacciato dal peso gravoso dei dubbi, rimorsi e smarrimenti. In un solo giorno al protagonista viene a mancare tutto ciò che gli è più caro: capisce, finalmente, di aver perso per sempre la figlia, la moglie e l’amante. Riconosce che suo fratello Jerry aveva ragione nel dirgli di non lasciare la figlia in quell’angusto e insalubre ritrovo del sottopassaggio e che era giusto riportarla a Old Rimrock. Pensa anche di portare con sé Sheila che avrebbe potuto convincere la ragazza a lasciare quella stanza-cella, tanto Dawn non voleva avere più nulla a che fare con il loro dramma, impegnata com’era con Bill a riprendere una vita nuova. Ripensando al tradimento della moglie lo Svedese rivede i motivi che lo avevano convinto a sposare una donna non ebrea e rivaluta il pensiero di suo padre favorevole a che suo figlio sposasse una ragazza ebrea che avrebbe educato un figlio secondo principi condivisi dalla sua comunità religiosa ed invece Dawn aveva messo al mondo una figlia che non era né cattolica né ebrea, una balbuziente, un’assassina e poi un’adepta della setta indiana, una giaina. Quasi quasi ora si pente di aver sollecitato prima del matrimonio l’incontro di Dawn con il padre Lou in fabbrica perché si chiarissero su diverse tematiche a carattere personale e religioso. Lo scambio tra i due era stato indimenticabile quanto proficuo per Seymour che assisteva in silenzio alla conversazione franca, almeno in parte sincera, tra suo padre che chiamava Dawn “la ragazza” e Dawn Mary Dwyer che gli rispondeva con l’appellativo di “l’orco”. Pur non interloquendo nel dialogo, Seymour era stato contento di vedere la sua donna tener testa senza alcun timore alle questioni affrontate da Lou Levov con tono e modi inquisitori e a certe accuse più o meno velate. Dawn aveva sfilato sulle passerelle in costume da bagno in numerosi concorsi di bellezza sotto lo sguardo critico di venticinquemila persone che la guardavano con curiosità morbosa e ce l’aveva fatta. Le domande del faccia a faccia vertevano sulla religiosità della famiglia di Dawn,

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sull’occupazione e il lavoro del padre, sulle opinioni dei suoi genitori sugli ebrei, sull’opportunità o meno di battezzare i figli, di far fare la prima comunione, sul modo d’intendere le festività di Natale e di Pasqua, sul senso d’insegnare il catechismo. Insomma un lungo e serrato scambio di battute dalle cui risposte e precisazioni era del tutto evidente che le due personalità a confronto erano su posizioni lontane e divergenti. Ciò che lo Svedese aveva apprezzato di più di Dawn era stato quando, dopo che Lou l’aveva ringraziata per essersi sottoposta a questa sorta d’interrogatorio, il vecchio, sul finire della conversazione, sottolineava la bellezza della ragazza paragonandola ad un quadro. La giovane visibilmente risentita rimarcava con una punta di sarcasmo di non sentirsi una donna oggetto da guardare come un quadro e precisava che valeva molto di più del suo aspetto esteriormente gradevole. A questo riguardo diceva che se aveva partecipato a diversi concorsi di bellezza, l’ultimo a quello per Miss America ad Atlantic City, lo aveva fatto unicamente per vincere una borsa di studio di mille dollari perché Danny, suo fratello, potesse frequentare il college senza pesare su suo padre che di recente aveva avuto un infarto. Non era un fenomeno da baraccone e voleva essere giudicata per quella che era e cioè Mary Dawn Dwyer di Elisabeth, di ventidue anni, cattolica di umili origini, innamorata di Seymour.

L’unica cosa sulla quale Dawn in seguito mentì fu sul battesimo della figlia. Dopo la nascita di Merry, Dawn fece battezzare la bambina con tutti i crismi del rito cattolico e fino al giorno in cui Lou Levov trovò per caso il certificato di battesimo nella vecchia casa di Old Rimrock nessuno lo seppe mai, tranne lei e suo marito informato del fatto la sera dopo che la figlia non aveva nessuna traccia del peccato originale ed era pronta per il paradiso. Quando si seppe del battesimo Merry aveva già sei anni e il fatto non suscitò alcuna contrarietà nella famiglia. Quando finì l’incontro tra Lou e Dawn lo Svedese si congratulò con lei e ne esaltò le doti di caparbietà e di sicurezza messe in campo per tener testa alle domande più o meno insidiose del vecchio Lou. Era molto contento per aver ricevuto l’assenso al matrimonio anche se il padre restò sempre della convinzione che la causa delle difficoltà di Merry (gli strilli durante il suo primo anno di vita, la balbuzie e l’adesione ai movimenti terroristici) era il battesimo segreto, tutto ciò che di brutto le era successo aveva lì la sua origine.

Il finale di tutta la vicenda è molto amaro. Nulla più resta allo Svedese in cui credere e nulla potrà più essere come prima. Lui, il normalizzatore avveduto, si era trovato davanti a qualcosa d’impossibile da normalizzare e nonostante ciò in cuor suo si sente grato a Merry che con la sua tragica storia lo ha spinto a vedere con chiarezza ciò che non voleva vedere e cioè che l’ordine è minima cosa e che il disordine è ovunque. In un solo giorno Seymour vede crollare il suo essere americano e finisce per condividere la delusione del vecchio Lou Levov, l’incomprensione nei confronti della nuova generazione e la paura del futuro, stato d’animo certo delle persone anziane ma molto più forte e vivo in un periodo di così grande incertezza per le società occidentali: “siamo cresciuti in un’epoca in cui il mondo era un luogo diverso, quando l’interesse per la comunità, per la casa, per la famiglia, per il lavoro…insomma, era diverso”.

L’ex terrorista era tornata a Newark a tutte le cose che odiava, a un mondo coerente e armonioso che disprezzava e che aveva contribuito a distruggere, era venuta per confessare al nonno che cosa le aveva fatto fare il suo grande idealismo. Il nonno non aveva retto, già il divorzio di Seymour da Dawn era stato duro ad accettare, l’omicidio di quattro persone, no! E il suo cuore mal ridotto per gli infarti subiti, smetteva di battere sotto il colpo della forchetta lanciata dall’alcoolizzata Jessie

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Orcutt sulla tempia e sul viso di Lou LEVOV che cercava di redimerla. Quel “gigante col suo metro e settantaquattro, di quella famiglia di spilungoni, ora non poteva impedire più nulla, ha creduto nella sua vita di poter proteggere la sua amata famiglia, ma ora non riesce a proteggere se stesso”. Aveva sempre combattuto contro il disordine, la devianza, contro l’eterno problema dell’errore e dell’insufficienza dell’uomo ed ora quello stesso combattente non aveva superato la più grande delle disfatte. “La devianza aveva avuto la meglio. Impossibile fermarla”. Jessie Orcutt, seduta accanto a lui, lo aveva colpito con la forchetta a pochi millimetri dall’occhio. Lou Levov le stava spiegando come sarebbe stato meglio bere latte piuttosto che scotch whisky, molto meglio per lei, per suo marito, per i suoi figli, per tutti se Jessie avesse smesso di bere. La donna non mostrò rimorso per il gesto inconsulto e la disincantata Marcia Umanoff, l’amica che sa o crede di sapere tutto “col viso tra le mani, cominciò a ridere di tutti i presenti a quella noiosa tavolata annuale, colonne di una società che, con sua grande gioia, stava colando rapidamente a picco; a ridere e a mostrare il proprio godimento, per l’ampiezza che avevano preso il disordine galoppante e la diffusa devianza, apprezzando enormemente l’attaccabilità, la fragilità, l’indebolimento di cose che avrebbero dovute essere robuste”.

Romanzo molto amaro dunque che mostra impietosamente le ferite dell’America alle quali non fornisce né spiegazioni né balsamo. Resta solo il punto di domanda con cui il romanzo si chiude: “Ma cos’ha la loro vita che non va? Cosa diavolo c’è di meno riprovevole della vita dei Levov?”

American Pastoral parla della nostra condanna, cercare e non trovare. Ci illudiamo che cercare sia la via per trovare le risposte agli enigmi del mondo, è invece la nostra malattia, la virgola tra un sogno e l’altro. Merry Levov configura la fine di ogni speranza, per lei la mediazione non esiste, la cieca violenza e la cieca non-violenza sono la stessa cosa. È un libro che semina dubbi, scardina convinzioni, infrange protezioni, costringe a ragionare. Ti fa disperare, ma solo per invitarti a ricominciare. Ti augura di amoreggiare con la vita. Ti augura salute e felicità (non denaro e potere).

Prof. Raffaele FRANGIONE

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Note al Testo:

1. Il nomignolo “lo Svedese” gli era stato affibbiato da Henry “Doc” WARD, il giovane insegnante di educazione fisica e allenatore della squadra di lotta libera, il primo giorno di liceo, in palestra durante la prima lezione di ginnastica. In attesa che gli altri ragazzi finissero di sistemarsi le scarpe, Seymour giocava facendo mirabilie con la palla sotto canestro. Fu allora che l’insegnante lo apostrofò simpaticamente col termine di Svedese per il colore biondo dei capelli e gli occhi azzurri, rimanendo stupito per le qualità già notevoli del suo gioco. Il nomignolo gli rimase appiccicato per tutto l’anno e anche dopo era conosciuto con questo soprannome.

2. Pastorale americana è un’etichetta ironicamente geniale riferita al Thanksgiving Day, il giorno in cui i cittadini statunitensi si raccolgono sotto un unico apparente simbolo consolatorio, non importa a quale religione appartengano o quale cololore della pelle abbiano. Per quella giornata coloro che diffidavano l’uno dell’altro sino al giorno prima, diventavano solidali e uguali per mangiare il tacchino, simbolo di una comunità unita.

3. Il romanzo (edito in italiano da Einaudi 1998) ha ricevuto numerosi e prestigiosi riconoscimenti: il premio Pulitzer per la narrativa nel 1998; in Francia (2000) il premio del Miglior libro straniero;

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nell’elenco di Time Magazine (2005) il romanzo figura tra i cento libri più letti ed è presente sul Supplemento letterario del New York Times (2006) occupando il secondo posto tra i migliori romanzi degli ultimi venticinque anni. Nel 1998 Philip ROTH venne insignito per questo libro della National Medal of Arts alla Casa Bianca

4. I due amici si erano visti in due occasioni, nel 1985, a New York dove Nathan era andato a vedere i Met giocare contro gli Astro, mentre girava intorno allo stadio per raggiungere i posti che avevano prenotato. Lo Svedese indossava una camicia bianca, una cravatta a righe e un completo color antracite e benché più vecchio di quando l’aveva visto giocare a baseball per l’Upsala College, era straordinariamente bello, gli sembrava più alto e più snello di come lo ricordava. Aveva al suo fianco un bambino col berretto dei Met e i due ridevano. Poi c’era stato l’invito a cena (1995). Nathan aveva incontrato un po’ per caso (entrambi sembrano essere a quella festa soltanto perché non avevano niente di meglio da fare) Jerry LEVOV, il fratello minore dello Svedese e vagamento suo amico (frequentava la sua casa unicamente per giocare a ping-pong facendosi regolarmente battere) in occasione di una patetica rimpatriata di ex allievi del Weequahic High, “turbinosa combinazione di nostalgia e commedia” dopo quarantacinque anni dal diploma. È questa una delle parti più belle del libro. Sembra scritta dal fantasma di Proust, il Proust del tempo ritrovato che incontra le figure del suo passato tanti anni dopo e svela impietosamente il lavoro del tempo sui volti e nelle menti. L’ammiccamento dell’autore della Recherche è esplicito e, come Marcel con la “madeleine”, anche l’io narrante si augura di poter superare, attraverso sensazioni gustative riemerse dal passato (i “rugelach” della sua infanzia di bambino ebreo), la paura della morte. Ma non ci riesce, e alla sua disillusione contribuisce Joyce, una vecchia e amata compagna di classe, lucida, spiritosa e disperata che riporta Nathan al presente dei loro corpi invecchiati e alla struggente nostalgia della loro gioventù e del loro desiderio. Dopo essersi sorpreso di trovarlo ad una festa del genere, ritenendolo troppo cinico e intelligente per cedere all’illusione di poter recuperare il passato grazie a un semplice atto della volontà, Jerry LEVOV lo informa che l’indomani si sarebbe svolto il funerale di suo fratello deceduto per i postumi dell’operazione subita tre mesi prima e lo mette al corrente dei tragici fatti che avevano visto protagonista la giovane nipote Merry, la figlia nata dal primo matrimonio di Seymour con Dawn, decisa a “portare la guerra in casa”, della sua fuga da casa, della sua lunga clandestinità, dopo essere diventata una terrorista dinamitarda capace di uccidere ben quattro persone innocenti.

5. Da Vincent è un noto ristorante della quarantanovesima Strada ovest che ha gli ziti al forno più buoni di New York. Billy, un giovane cameriere, amava segretamente Merry e quando la vedeva al ristorante le parlava dei divi del cinema e della televisione che frequentavano il ristorante e le faceva ammirare le foto con autografo di Sammy Davis jr., Liza Minnelli, Gene Kelly, Tony Bennett e altre figure dello spettacolo.

6. Lo Svedese lo conosceva così bene da chiamarlo col nomignolo SKIP che significa “saltare”, affibbiato a Nathan per le due classi che aveva saltato alle elementari.

7. Cosa chiedere di più dalla vita? E infatti Seymour Levov, lo Svedese, il membro della famiglia che più incarna i valori e i modelli della società perbene, afferma in occasione dell’annuale festa del Ringraziamento davanti alla sua famiglia: “so che qualcosa dal cielo splende su di me”. La vita dei due protagonisti, invidiata da tutti va di pari passo con l’immagine del boom economico che caratterizzò gli USA nel secondo dopoguerra.

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8. Il problema narrativo di Philip ROTH è come rappresentare la coscienza di un uomo che praticamente non sa di averne una. Per il primo quarto del suo libro cult American Pastoral ha chiamato in causa, come spesso fa, una voce narrante, un suo doppio, quella del suo storico protagonista romanziere, lo scrittore Nathan ZUCKERMAN, già alter-ego dell’autore in numerosi suoi romanzi. A lui Roth affida il compito di ricostruire la storia personale del protagonista Seymour

LEVOV, detto lo Svedese, e attraverso la sua famiglia, stereotipo del sogno americano degli anni ’50, dipingere un affresco della società americana del dopoguerra. Nathan/Philip ci porta come un giocoliere avanti e indietro nel tempo e nella storia, facendoci riflettere sulla volontà dei singoli e sull’imprevedibilità dell’umana sorte. Dopo la parte iniziale in cui Nathan è un personaggio centrale la cui funzione è di raccordo e di amalgama di fatti e situazioni, l’autore per sua decisione lo rende evanescente e scompare con gradualità senza più lasciare tracce di sé. Il cerchio, contrariamente alla RECHERCHE proustiana, non si chiude. L’io narrante non si presenta alla fine, per dare coerenza all’intreccio e le domande di Seymour non trovano così risposta. Nathan ZUCKERMAN , quindi, è un personaggio senza particolare risalto dal punto di vista narrativo, esce piuttosto ridimensionato, un personaggio di età avanzata (ha superato i sessant’anni, vive solo in una casa nei Berkshires) che non ha più voglia di raccontare storie. Un personaggio reso inabile dal punto di vista sessuale a causa di un delicato intervento alla prostata e dunque provato sul lato fisico che sceglie di trovare calma e serenità perdute nella sua casa e in un bosco dove potersi “spogliare delle umiliazioni e di ogni risentimento”, fuggendo “le manipolazioni e i maltrattamenti del mondo”. L’uomo che invecchia trova riparo nei boschi, in luoghi solitari e lontani dopo essere entrato in competizione con la vita e aver lottato contro le contraddizioni e le ipocrisie del genere umano, un po’ come si vede in quei dipinti cinesi che rappresentano un vecchio ai piedi della montagna. Anche Nathan, devastato ora dalla malattia, (costretto a sostituire i piaceri ribelli e il balsamo del sesso con la musica, qualunque genere di musica) si pone di fronte alla montagna in attesa di cimentarsi con la morte, “l’ultimo ineluttabile impegno che gli resta”.

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