L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

149
L’approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

Transcript of L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

Page 1: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

L’approccio tonico- emozionale in terapia

Molè Giovanni

Page 2: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

1

RINGRAZIAMENTI

Sono più di venti anni che vivo giornalmente con persone che si affidano alle mie cure. Esse sono i

miei migliori maestri, forse i più severi. Le ringrazio perché mi hanno aiutato a capire e a mettere in

crisi ciò che ho appreso permettendomi di crescere. I pazienti, con le loro domande poste

direttamente o indirettamente, non accettano risposte precostituite o mezze verità: un bambino con

grave cerebropatia, un ragazzino miodistrofico, un paziente con la sclerosi multipla ha tante

domande ed aspettative nei suoi occhi, nel suo corpo, nel suo sorriso e nelle sue amarezze che è

impossibile rimanere sordi. Essi ci obbligano a scendere nel profondo di noi stessi per rendere

sempre più limpido il rapporto terapeutico ed umano. Non è un cammino facile né completo, ma è

bello e a volte struggente.

Ho avuto la fortuna di incontrare e lavorare con molte persone splendide, ho imparato dalle loro

parole e dal loro modo di essere. Ho sempre cercato di capire e di colmare il divario tra le parole, i

fatti e l’aspetto umano. Ed in qualche modo la Vita mi ha condotto per mano attraverso vie

inimmaginabili che non mi hanno dato ciò che chiedevo ma ciò di cui avevo realmente bisogno.

Voglio ringraziare l’Associazione Casa Famiglia Rosetta che mi ha visto crescere e maturare

dandomi opportunità che non avrei mai sperato: essere docente in corsi di formazione e seguire le

lezioni del Prof. J. Lerminiaux è stata la realizzazione di una bellissima esperienza.

Ringrazio Padre Vincenzo Sorce. Egli ha avuto il Sogno dettato dalla Volontà di donare

Solidarietà e con coraggio lo ha realizzato. All’interno di questo Sogno siamo cresciuti con alterne

vicende, circondati da un ambiente spesso ostile ed ignorante. Auguro a tutti di riuscire a fare un

nuovo passo verso una realtà più serena e matura.

Ringrazio Annette DeCoene-Degehet, Trainer in Programmazione Neurolinguistica of the

Southern Institute of California; Madlene Feyter, Trainer in Catene Muscolari e soprattutto il prof.

J. Lerminiaux, con la loro guida, severità e dolcezza mi hanno condotto nel conoscere ed

approfondire molti dei concetti esposti in queste pagine e che sono alla base del mio nuovo modo di

pensare e di essere.

Ringrazio l’Istituto “La Nostra Famiglia” di Bosisio Parini dove ho studiato per la mia formazione

professionale. Sicuramente il rigore scientifico e la professionalità sono un terreno indispensabile,

ed Esso è stato eccezionale in tal senso.

Un grazie particolare lo dedico ai colleghi e agli allievi con i quali ho condiviso entusiasmo e

momenti bellissimi nel vivere assieme esperienze ed idee.

Ringrazio tutti coloro che continuano con professionalità e con quel qualcosa oltre la stessa

professionalità a studiare e ricercare in un campo così difficile quale è la riabilitazione. Con alcuni

di loro non mi sono mai incontrato fisicamente, ma ho condiviso studi, sogni e ricerche attraverso i

loro scritti.

Sono riconoscente a Grazia per la pazienza ed i suggerimenti nella correzione della prima e della

seconda stesura del libro, compito che lei ha svolto con competenza.

Infine rivolgo il mio pensiero con dolcezza verso il Brasile, dove i miei colleghi Giusi e Sergio

operano con molto coraggio ed entusiasmo. Grazie a loro ho avuto la possibilità di condurre un

seminario sull’approccio terapeutico assieme a Carlo. E’ stata un’esperienza indimenticabile.

Tante altre persone hanno contribuito direttamente o indirettamente alla mia crescita professionale

ed umana ed è impossibile nominarle tutte. Oggi spero di aiutare me stesso a far risplendere ciò che

i miei Maestri mi hanno insegnato per poterlo donare.

Page 3: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

2

INTRODUZIONE

In ognuno di noi c’è la consapevolezza che i nostri comportamenti, in situazioni di difficoltà, non

sono sempre sotto il nostro controllo. Quando siamo coinvolti emotivamente la capacità di

osservare una situazione e di rispondere ad essa in modo adeguato è fortemente compromessa.

I pazienti con problemi neuromotori, per le difficoltà emotive dell’ambiente in cui vivono

(pensiamo ai sentimenti che un evento traumatico grave o la nascita di un bambino con problemi

può determinare) e per le effettive difficoltà fisiche nell’agire nella realtà quotidiana, arrivano

spesso da noi con gravi limitazioni, che vanno ben oltre l’impedimento proprio della patologia. Esse

sono causate dal vissuto emotivo che i pazienti hanno costruito durante la loro storia personale.

Molto spesso essi hanno una rappresentazione, un’immagine distorta di se stessi che influisce

sul loro comportamento, e soprattutto sulla possibilità di agire sulla loro patologia, bloccando

le loro potenzialità residue.

Ma come nasce il vissuto emotivo? Per rispondere a questa domanda ho usato come laboratorio

me stesso, la mia vita quotidiana, i miei pazienti e le persone che mi circondano per “sentire” il

percorso dei “movimenti interiori”. Ho cercato nella filogenesi, negli studi di psicologia, nella

psicocibernetica e nella neurobiologia una risposta.

Queste ricerche mi hanno fatto comprendere la necessità biologica dell’emotività per la

sopravvivenza, mi hanno aiutato a capire come avviene l’apprendimento emotivo nel bambino e

soprattutto come è possibile agire per aiutare il paziente ad elaborare i suoi blocchi emotivi per

favorire l’approccio terapeutico.

Spero di riuscire a riportare gli studi, le riflessioni e i frutti della mia esperienza in modo semplice,

anche se l’argomento non lo è. D’altronde non sono uno scrittore o un teorico, il mio stesso lavoro

mi porta ad essere pragmatico. Sono consapevole che non è facile esporre il mio modo di pensare

attraverso un libro e comprendo che non è sempre possibile esprimere fino in fondo ciò che riguarda

il corpo ed il suo vissuto. Preferisco il contatto diretto e l’esperienza.

Ho cercato di utilizzare il linguaggio che utilizzo tutti i giorni quando sono in contatto con i

bambini e i loro genitori riservando alle note l’aspetto scientifico di approfondimento. Ho introdotto

qualche termine tratto dagli studi di neurologia o dalle scienze del comportamento per rendere più

completo l’argomento, ed ho cercato di metterlo in un contesto che lo renda comprensibile.

In questo lavoro sintetizzo l’esperienza maturata attraverso il mio corpo e il mio vissuto personale

e professionale. Questa avventura inizia venticinque anni addietro quando ho intrapreso, da

autodidatta, lo Hata Yoga1: per quattro anni ho vissuto questa esperienza, ed è stato fondamentale

riuscire a superare la mentalità occidentale di approccio al corpo, ossia la tendenza ad essere in

competizione anche con se stesso. Solo dopo anni sono riuscito a vivere il movimento per il piacere

del movimento senza aspettarmi nulla. E solo allora il mio corpo libero da pressioni e tensioni mi ha

potuto donare sensazioni indescrivibili. Successivamente ho praticato il Training Autogeno per un

paio d’anni, seguito da un amico Psicologo.2 Questa esperienza ha iniziato a farmi comprendere i

1 Lo Yoga è un insieme di discipline psico – fisiche e filosofiche che guidano l’essere umano all’armonia ed

all’unificazione di tutti i suoi aspetti. L’Hata Yoga è una di queste discipline che utilizza la visualizzazione, la pratica di

particolari posizioni (asana) ed esercizi respiratori.

“Il termine asana, o assetto, è usato per descrivere una grande varietà di posture, o posizioni, implicanti quasi tutte il

piegamento e lo stiramento del tronco del corpo per mantenerlo agile. Tra gli esercizi fisici indiani e occidentali c'è

questa grande differenza: i secondi mirano essenzialmente a sviluppare la forza muscolare, i primi affatto. Nella scuola

yoga, in ogni caso, l’obiettivo principale è quello di curare portamento ed equilibrio; ciò, sia quando stiamo seduti che

ritti o camminiamo, richiederà uno sforzo muscolare minimo e, se possibile, nessuno sforzo compensatorio.” E. Wood,

Yoga, G. C. Sansoni, Firenze 1974, pp.99. 2 Ringrazio il dott. A. Jacono per avermi introdotto in questi studi e per la fiducia accordatami.

“Con il termine di training autogeno J. H. Schultz definì un metodo di autodistensione da concentrazione psichica che

consente di modificare situazioni psichiche e somatiche. Training significa allenamento, cioè apprendimento graduale

di una serie di esercizi di concentrazione psichica passiva, particolarmente studiati e concatenati, allo scopo di portare

progressivamente al realizzarsi di spontanee modificazioni del tono muscolare, della funzionalità vascolare, dell’attività

cardiaca e polmonare, dell’equilibrio neurovegetativo e dello stato di coscienza; il preciso e costante allenamento a tali

Page 4: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

3

meccanismi d’azione del pensiero e dell’immaginazione sul corpo. In quel periodo ho avuto alcuni

approcci con il metodo Feldenkrais che era in armonia con il mio modo di vivere il corpo.

Ma il desiderio di capire ed aiutare l’altro è nato quando sono stato ricoverato in un reparto di

neurochirurgia ed ho subito un delicato intervento; “essere insieme a” persone con problemi severi

(coma, tumori cerebrali, ecc.); vivere in attesa di esami o interventi devastanti; la paura di “non

sapere” cosa riserva il domani. Tutto questo vissuto in un ambiente “asettico” dal punto di vista

umano.

Sapevamo di essere in un’ottima struttura per quel che riguardava l’aspetto professionale e tecnico,

ma il senso di vuoto e di abbandono ci circondava. L’aiuto nasceva solamente dalla solidarietà e dal

contatto tra noi pazienti.

Questa esperienza mi ha ‘segnato’ e, nel tempo, mi sono reso conto che l’approccio medicale

classico presenta spesso delle lacune e pregiudizi ed ho continuato a cercare risposte che

corrispondessero al mio modo di sentire e che mi permettessero di utilizzarlo in terapia.

Tutto questo è maturato nel lavoro quotidiano come fisioterapista: volevo riportare in esso

l’esperienza positiva da me vissuta attraverso il mio corpo, per poterla donare ai miei piccoli e

grandi pazienti. Imparare ad essere vicino a loro, sentire le loro difficoltà e timori senza la paura di

essere ‘contaminato’ e ‘sottratto’ alla capacità professionale dal coinvolgimento emotivo.

Ho avuto la fortuna di poter collaborare come docente con il prof. J. Lerminiaux, allora direttore

scientifico dell’Istituto Mediterraneo per la Formazione, Ricerca, Terapia e Psicoterapia ed ho

ricevuto una formazione particolare attraverso seminari sulla Programmazione Neurolinguistica,

Catene Muscolari e Aptonomia assieme ad altri docenti. Durante questi seminari alcune esperienze

mi hanno colpito: era possibile ricevere informazioni su un’altra persona attraverso il semplice

contatto. Potevo modificare il comportamento di un’altra persona cambiando il mio, oppure alterare

la sua fisiologia cambiando tono, volume e timbro di voce. Potevo indurre stati di coscienza

particolari seguendo la sua fisiologia. Ecc.

Mi rendevo conto dell’importanza che questi fenomeni potevano avere nel mio lavoro. Potevo

“sentire” la spasticità di un paziente e seguirne le variazioni toniche senza toccarlo; potevo sentire

ciò che lui sentiva di sé nel mio corpo, e lo stato emotivo in risposta al contatto con lui. Un intero

universo di informazioni si riversava su di me. Queste esperienze mi hanno fatto capire quali

meccanismi agiscono durante una seduta terapeutica, essi vanno molto al di là delle manovre e

tecniche neuromotorie. Comprendevo l’importanza di strumenti terapeutici che mi permettevano di

aiutare il paziente a vivere il suo corpo libero da condizionamenti. Sono questi che molto spesso lo

bloccano ancor più di quanto faccia la patologia neurologica o ortopedica. Questa visione mi ha

aiutato a dilatare il mio modo di vedere e vivere il rapporto terapeutico in accordo con nuovi

modelli di pensiero.

Mi sono reso conto che molti meccanismi emotivi agiscono comunque in me e negli altri in modo

incontrollato (inconscio), causando blocchi o facilitazioni in terapia o nel rapporto. Ritengo

importante, quindi, per il terapista lo studio e la presa di coscienza di alcuni di essi per facilitare il

suo delicato compito.

Ho iniziato così il lavoro di ricerca e di elaborazione su ciò che ho vissuto nel mio corpo e appreso

durante lezioni, seminari e letture. Voglio premettere che esso è solo un punto di vista da cui potere

osservare i meccanismi corporei – emotivi – mentali. Una riflessione su quei meccanismi spesso

inconsapevoli che quotidianamente vive il terapista ed il paziente.

esercizi porta a modificazioni gradatamente sempre più valide, precise, consistenti.[…] La tecnica del Training

Autogeno ha essenzialmente lo scopo di consentire il raggiungimento e la realizzazione di quella specifica

deconnessione neuropsichica che si verifica nell’ipnosi suggestiva, da soli, cioè senza alcuna eteroinduzione.” J. H.

Schultz, Il training autogeno. Metodo di autodistensione da concentrazione psichica,Feltrinelli Editore, Milano 1981, p.

11.

Page 5: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

4

I vissuti concreti di alcune esperienze sono comunque fondamentali per comprendere la bellezza e

la “magia” di alcune nostre potenzialità di cui non siamo coscienti, e questi possono avvenire solo

all’interno di seminari.

Page 6: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

5

OBIETTIVO

La formazione che riceviamo durante il cammino professionale cura l’aspetto del “cosa fare” e del

“perché” di fronte ad un determinato caso clinico. Vengono apprese le basi di anatomia,

fisiopatologia, chinesiologia e soprattutto i metodi e trattamenti neurologici, ortopedici,

pneumologici, ecc. Quello che spesso manca è “come fare”, cioè l’approccio alla comunicazione:

la comprensione che la comunicazione e la relazione hanno valore di terapia in sé.

Quotidianamente possiamo osservare terapisti al lavoro, con qualità tecniche e formazione

professionale simile, che ottengono una partecipazione dal paziente qualitativamente differente. E si

osservano pazienti con patologie simili, reagire alla terapia in modo molto differente pur applicando

su di loro lo stesso metodo. E’ sufficiente questa osservazione per comprendere l’importanza della

qualità della relazione e della comunicazione in terapia.

Dalle scienze della comunicazione sappiamo che l’ottanta per cento della comunicazione è non

cosciente. Al di là della intenzione consapevole tradotta dal linguaggio e dalla gestualità cosciente

vi è un intero universo di microgesti e di segni fisiologici che indicano quello che noi stiamo

vivendo (tono muscolare, timbro di voce, colorito della pelle, respirazione, orripilazione, movimenti

oculari, atteggiamento globale, ecc.). Gli indicatori fisiologici traducono il nostro stato emotivo

di fronte ad una situazione e nella relazione con l’altro. Sono questi che comunicano all’altro

la nostra disponibilità, paura, indifferenza, tensione, ecc., al di là del nostro approccio

consapevole.3

Essere coscienti di questa comunicazione in se stessi e nell’altro è fondamentale per rendere

equilibrata la relazione e favorire la partecipazione del paziente al programma terapeutico.

L’obiettivo originario di questo lavoro sull’approccio terapeutico è di comprendere che è possibile

sviluppare una nuova attitudine all’osservazione ed all’approccio del corpo, focalizzando in modo

particolare il dialogo tonico-emozionale tra terapeuta e paziente. “Divenire sensibili alla

comunicazione vuol dire prima di tutto essere consapevoli dello scambio di messaggi tra me e

l’altro. Riuscire a comprendere in cosa consiste questo messaggio tonico emozionale in me stesso,

vuol dire sapere cosa dico a me stesso e cosa trasmetto all’altro. Leggere nell’altro tale dialogo può

aiutare a comprendere il suo cammino interiore nel senso letterale di prendere con sé.” 4

La consapevolezza di questa ‘relazione terapeutica’ fa comprendere un nuovo modo di essere

Terapista. In passato egli era il professionista che imparava, attraverso un adeguato training teorico-

pratico le tecniche da applicare alle varie patologie, ma studi sul funzionamento neuro-psico-

biologico del sistema nervoso centrale integro o con problemi hanno messo in evidenza la sua

complessità e su queste nuove basi si sono sviluppati nuovi approcci all’osservazione ed alla

terapia. Da una visione meccanica e statica (ortopedica) si è progressivamente arrivati a quella

neurologica, a quella cognitiva ed alla funzionale in una progressiva tensione volta a risolvere i

numerosi problemi che il paziente neurologico vive.

In ambito terapeutico c’è sempre più la coscienza che terapia è situazone, contesto e che il

terapista è parte della terapia (A. Milani Comparetti). Il terapista attraverso il suo bagaglio

professionale ed il suo essere umano e relazionale, infatti, può creare o no le condizioni adatte alla

crescita del paziente assieme all’ambiente dove si sviluppano ed acquistano significato le cose, le

persone e gli eventi.

3 “Con la scuola di Palo Alto e Ray Birdwhistell, non distingueremo tra comunicazione (volontaria o involontaria) di un

messaggio, ed espressione (dei sentimenti...) e diremo «non si può non comunicare», e «si comunica sempre più ed altro

di ciò che si crede o si vuole comunicare». Si apprende a tener conto della prossemica, della cinesìa, dei « lapsus

gestuali», del ritmo respiratorio, del «contagio posturale», dell’«accessibilità del corpo», del suo orientamento e delle

sue tensioni.” C. Romano, Corpo itinerario possibile. Una metodologia di formazione per gli insegnanti, Giunti &

Lisciani Editori, Teramo 1988, p. 6. 4 J. Lerminiaux, Guida al dialogo non verbale nella seduta terapeutica, in “Solidarietà”, (1996), n. 25, pp. 62.

Page 7: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

6

Questi aspetti dell’approccio riabilitativo sono però ancora concetti vaghi. L’attenzione degli

studiosi è ancora catturata dagli aspetti più visibili della patologia (movimento, i sintomi) e trascura

quelli apparentemente sottesi: emozionali e psichici in generale (anche se sempre presenti ai nostri

sensi).

Come potremo osservare in questo lavoro introduttivo il fisico-biologico (visibile) e lo psicologico

(invisibile) sono sempre e costantemente visibili, occorre solo avere gli strumenti per osservare.

Solo così potremo cogliere aspetti e significati che altrimenti perdiamo. “Questo si può verificare

proprio perché il movimento non è solo funzione neurofisiologica ma anche veicolo ed espressione

dell’affettività e delle emozioni.

Il corpo è infatti l’elemento centrale dell’esperienza psicologica e della personalità in quanto non

rappresenta la struttura oggettiva e inerte dell’anatomia ma è espressione più ampia dell’esperienza

corporea.

Nel corpo si iscrivono i significati delle varie determinanti psichiche.”5

È quindi importante che il terapista nel suo cammino tecnico e professionale sia formato attraverso

seminari pratico-teorici sull’approccio tonico-emozionale. Sarebbe più esatto dire ‘trasformato’,

poiché dovrebbe, in un primo momento, prendere coscienza dei meccanismi che guidano la propria

emotività per renderla più fluida ed elastica. Egli dovrebbe imparare a conoscere i suoi stati

emotivi per poterli padroneggiare e soprattutto giocare con essi. In un secondo momento egli può

utilizzare questo suo nuovo modo di ‘essere’ per aiutare il paziente ad affrontare gli stati emotivi

‘bloccanti’ che inevitabilmente accompagnano la patologia.

All’interno di questi seminari di formazione il terapista può vivere su di sé la condizione di

‘paziente’ e può comprendere meglio cosa si prova nell’affrontare le ‘proprie’ difficoltà. Penso che

questo sia il modo migliore per potersi mettere dal ‘punto di vista dell’altro’.

Questo processo potrebbe essere definito metaforicamente alchemico: il terapista trasforma se

stesso per trasformare il paziente. Tengo a precisare che non è un lavoro di manipolazione della

persona o sulla persona, ma un divenire consapevoli delle manipolazioni ricevute di cui siamo

coscienti o meno. Divenire coscienti di certi meccanismi, oltre a togliere loro drammaticità,

diminuisce il rischio di proiettare sul paziente i nostri fantasmi emotivi irrisolti.

Nasce così una nuova consapevolezza sulla capacità di essere e di relazionarsi che aiuta il terapista

a comprendere ‘dal di dentro’ i meccanismi emotivi che vive il paziente in se stesso e

nell’ambiente. Si può diventare più coscienti di come questi meccanismi possano avere un ruolo

decisivo nel determinare o eliminare la patologia nel senso di essere partecipe e consapevole dei

meccanismi che rafforzano l’evento patologico o, altrimenti, lo ridimensionano per ricondurlo

all’evento fisiologico originario.

Nei prossimi capitoli farò accenno ad alcuni studi recenti di neurobiologia che spiegano e

confermano questo approccio consapevole ed empatico: approccio possibile se si comprendono i

meccanismi del nostro bagaglio emozionale spesso inflazionato da schemi filogeneticamente

arcaici.

Il secondo capitolo, in particolare, riporta nelle note esplicative gli studi e gli autori a cui faccio

riferimento come base per la ricerca, ovviamente ciò rende più completa ma difficoltosa la linearità

del discorso. Per chi volesse una lettura più scorrevole si può attenere al solo testo.

Presenterò i protagonisti del processo terapeutico per entrare nella loro immagine, nel loro vissuto

e comprendere la complessità della relazione: il bambino, il terapista e la famiglia si muovono come

un’unità, consapevoli o meno della rete che li lega durante il cammino che li trasforma e, nel

migliore dei casi, li fa crescere.

Vedremo come si può sviluppare la capacità di ascolto: si può apprendere ad essere attenti verso se

stessi e verso l’altro per potersi incontrare sviluppando l’empatia senza perdersi in essa.

5 Questo è il pensiero della Scuola toscana sul corpo e quindi sul suo approccio espresso attraverso le parole della

dottoressa Lucia Vannucchi durante uno stage di formazione presso il Nostro Centro di Caltenissetta. La dott. L.

Vannucchi fa parte del centro formazione dell’Associazione “la Nostra Famiglia” sede di San Vito al Tagliamento

(PN).

Page 8: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

7

Dedico un capitolo a riflessioni che toccano alcuni aspetti della realtà emozionale. Essa per sua

natura è complessa e contorta poiché si muove liberamente dalle reazioni innate ed istintive di paura

all’altrettanto innata ricerca di armonia. A tal fine utilizzo immagini, metafore6 ed esempi per

favorire la comprensione di alcuni aspetti sull’argomento altrimenti non traducibili se non con

l’esperienza diretta. Questo capitolo, non inserito linearmente nel contesto del libro, può aiutare a

comprendere meccanismi emozionali che a volte sfuggono al contesto cosciente pur essendo sempre

presenti in esso. Esso ha lo scopo di aiutare il terapista a spostare lo sguardo (ogni tanto) verso il

suo interno o quello dell’altro e non rimanere prigioniero della dimensione troppo personale che il

mondo emozionale spesso costruisce.

Introdurrò alcuni studi fatti sulle Catene Muscolari (esse traducono il modo di funzionare del

sistema nervoso centrale, e l’attitudine prevalente nell’affrontare le varie situazioni). Farò alcuni

accenni alla calibrazione: lettura del corpo sviluppata dalla Programmazione Neuro Linguistica

(essa ci aiuta nel misurare e seguire le variazioni fisiologiche determinate dal vissuto emotivo).

Infine parlerò dei mezzi che possono portarci a guidare in modo efficace il paziente, rispettando il

suo ed il nostro mondo interiore (prolungamento, aptonomia, risonanza, ristrutturazione,

Feldenkrais).

Spero che questo lavoro si inserisca armonicamente in quella corrente di pensiero che da alcuni

decenni ha permesso una visione sempre più ampia della complessità del fenomeno riabilitativo ed

in particolare sulla comprensione della realtà che il piccolo o grande paziente vive sulla sua pelle.

Personalmente non rinnego nessun momento di questo sviluppo storico e scientifico, comprendo la

necessità di ognuno di esso per arrivare al tempo attuale e, sicuramente, oltre.

In alcuni paragrafi ho focalizzato la mia attenzione ai problemi dei bambini con paralisi cerebrale

infantile, poiché il mio lavoro mi porta a stretto contatto con loro, ma il contenuto dell’approccio

proposto può essere esteso a tutte le patologie neuro-psicomotorie o laddove l’approccio relazionale

è considerato importante.

Questo lavoro vuole essere una riflessione sostenuta dall’esperienza personale. Qualche volta il

desiderio di ampliare i propri orizzonti prevale sull’aspetto pratico, per cui la teoria è più avanti

rispetto al risultato pratico, ma proprio questo divario permette la continua ricerca e la possibilità di

fare un ulteriore passo avanti nella complessità della realtà umana.

6 Le metafore che riporto nel presente volume appartengono ad un gruppo di racconti da me utilizzato durante i

seminari. Esse chiudono le giornate di lavoro secondo la tematica sviluppata. Alcune sono tratte liberamente da: N.

Senzaki - P. Reps, 101 storie zen, Adelphi Edizioni, Milano 1973, ed altre da me create. In Programmazione

Neurolinguistica si dà molto rilievo alla metafora nell’approccio terapeutico: D. Gordon, Metafore terapeutiche, modelli

e strategie per il cambiamento. Casa Editrice Astrolabio- Ubaldini Editore, Roma, 1992.

Page 9: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

8

CAPITOLO PRIMO

I protagonisti

Page 10: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

9

UN GENITORE….. I GENITORI

Riusciamo ad immaginare quello che vive il genitore di un bambino con problemi quando affida il

figlio a noi terapisti? Possiamo capire la preoccupazione di un genitore quando si accorge che

qualcosa non va nel proprio figlio? Quando un bambino sopravvive ad un parto con gravi

complicazioni e i medici fanno una prognosi infausta? Quando, infine, è definita la diagnosi da uno

specialista?

Immagino l’angoscia nei loro cuori. La paura dell’ignoto. La paura di non farcela. Immagino le

loro notti insonni e le loro guance rigate dalle lacrime nel silenzio.

Com’è difficile parlare dei propri sentimenti con la moglie o con il marito, con i propri genitori o

con gli amici.

Si deve essere forti, far finta di essere sereni e padroni di sé. Nasce la rabbia, nascono i sensi di

colpa, si diventa nervosi e meno disponibili verso gli altri figli. Tutto ciò aumenta l’ansia e

l’angoscia. Il genitore può arrivare a star ‘male’, a sentirsi non capito, solo e distrutto.

Purtroppo, se ciò accade, il bambino non ha un “luogo” dove potersi rifugiare. Egli è solo e

non ha aiuto perché chi poteva aiutarlo è ‘distrutto’. In questi casi, con molta delicatezza,

occorre far comprendere al genitore che se cede a quest’atteggiamento di chiusura e di dolore

rischia di perdere il suo bambino e alla fine se stesso.

Alcuni autori parlano di ferita al narcisismo dell’immagine genitoriale quando nasce un bambino

con problemi. Se dovessi vivere io una situazione simile non vorrei essere considerato ‘malato’. Ciò

di cui avrei bisogno è una mano amica; qualcuno che capisca quello che vivo e che è normale

provare ciò che vivo in un ambiente che non mi ha preparato e che non è capace di gestire queste

situazioni. Vorrei vicino qualcuno che non si nasconde dietro grosse parole. Vorrei sapere cosa

posso fare, come devo fare con il mio bambino per poterlo amare e proteggere. Vorrei conoscere ciò

che posso aspettarmi da lui per aiutarlo a raggiungere i suoi obiettivi.

Spesso per questi genitori iniziano i viaggi della speranza tra i migliori specialisti e terapisti.7

Purtroppo le parole hanno dei limiti quando devono esprimere dei sentimenti, ed ho descritto solo

un breve e piccolo spiraglio su un mondo che alcuni genitori vivono quotidianamente. Infatti:

“mentre il tecnico possiede un patrimonio di conoscenze teoriche e di esperienze pratiche che gli

permettono di governare le componenti emozionali del colloquio, i genitori finiscono per riversare

in esso tutte le proprie vicende personali, i drammi passati e le speranze per il futuro, le paure e le

illusioni, i dubbi e le certezze, i presagi più catastrofici e le più ingenue fantasie. Per capire in quali

termini la famiglia si appresta a stipulare il contratto terapeutico con il servizio bisogna saper

considerare non solo il contenuto esplicito dei suoi messaggi, ma anche e soprattutto il loro

contenuto latente, spesso inconscio e deformato dalla sofferenza provata nell’esprimerli. Si possono

allora capire i tanti significati del silenzio, le domande lasciate cadere, le risposte date ‘alla lettera’,

la riproposizione incessante degli stessi quesiti a tutti i tecnici incontrati.”8

Le tensioni e le angosce che vivono i familiari, per quanto mascherate e nascoste, coinvolgono

tutte le dimensioni della persona e si manifestano, che lo si voglia o no, nel corpo e nel

comportamento. Il bambino ‘riceve’ l’ansia che vive il suo genitore attraverso il suo corpo.

Qualunque bambino piccolo riconosce le persone che lo tengono in braccio sin dai primi mesi di

vita. Egli sa se è nelle braccia della madre o di un estraneo; sente se chi lo tiene è timoroso e

insicuro oppure troppo rigido. I genitori trasmettono al bambino ciò che loro stanno vivendo

7 “ Accolta la diagnosi e con essa l’idea di una prognosi differenziale influenzabile dalla terapia, compare nei genitori la

paura di insuccesso ed il timore che quanto si stia facendo non sia adeguato alle necessità del bambino o non sia

sufficiente per i suoi molti bisogni. Spesso la famiglia oscilla fra la convinzione che esista, nascosta da qualche parte,

una terapia che guarisce e l’idea opposta della perfetta inutilità di qualunque intervento che la porta a rinunciare anche a

ciò che è realmente possibile raggiungere.” A. Ferrari, Proposte riabilitative nelle paralisi cerebrali infantili. Storia

naturale e orientamenti riabilitativi, Edizioni del Cerro, Tirrenia (Pisa) 1993, pp. 135 – 136. 8 A. Ferrari, Proposte riabilitative nelle paralisi cerebrali infantili, Edizioni del Cerro, Tirrenia (Pisa) 1997, cit., p.136

Page 11: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

10

attraverso il loro corpo: il respiro, i muscoli tesi o rilassati, il tono della voce, ecc. Tutto ha

risonanza nel corpo del figlio.9

Il neuroscienziato Le Doux afferma che non esiste emozione senza reazioni toniche, viscerali ed

ormonali, esse si riflettono sul comportamento e il bambino può registrarle inconsciamente.10

Quando sentiamo attraverso il nostro corpo, coscientemente o no, sensazioni sgradevoli o piacevoli

nel contatto con un altro corpo, esse sono tradotte dal sistema nervoso nel sentimento

corrispondente.

Il bambino con problemi riceve il messaggio che ‘qualcosa’ non va attraverso il corpo dei genitori

(sotto forma di tensione o depressione muscolare). Esso si somma allo stato tonico alterato dalla

patologia lesionale, aggravando un quadro difficile da gestire per il bambino. Questo, di fronte alla

sua difficoltà e a quella dell’ambiente, sente crescere sempre di più in sé il disagio e su questo fonda

la propria identità: “comincia nell’interazione corporea fra genitore e bambino… nel dialogo

tonico… nella proposta del volto e delle mani (Tousquelles). Secondo Polletta, in queste prime

forme di gioco tra padre, madre e bambino la relazione è diretta, molto fisica, tutta corporea, senza

strumenti intermedi, concreti o astratti… Sono i corpi, i volti, la bocca che si animano… Ciò che

passa per questi canali è un qualcosa che i genitori chiamano gioia, incredulità, stupore,

ammirazione, che il bambino imparerà a conoscere come tale… Questi primi giochi tra genitori e

figli suggeriscono che la relazione di gioco per essere relazione vera deve essere simmetrica…

Quando qualcosa non va in modo serio e minaccia la futura normalità del bambino, ciò che si nota

più spesso è una specie di assenza di gioco, di suo congelamento, di mancanza di spontaneità nel

gioco col bambino, forse perché i genitori sono soffocati dalla prevalente preoccupazione per quello

che bisogna fare per lui… Allora il gioco fatto perché coi bambini bisogna pur giocare trasmette

fantasie spiacevoli sul bambino e sulla propria capacità di essere genitori.

Viene meno così il dialogo tonico corporeo fra figlio e genitori, si impoverisce il rapporto ludico e

con esso l’investimento libidico (Ferrari). Le prime esperienze senso motorie vengono distorte dalla

paralisi e aggravate dall’atteggiamento dei genitori, che tendono a prendere le distanze in senso

emotivo e fisico dal loro bambino. La ridotta libertà di scelta in senso motorio e la conseguente

carenza di esperienze percettive limita la costruzione dello schema e l’elaborazione del vissuto

corporeo, sia in senso somatognosico (corpo agito e percepito) che nel senso della coscienza di sé

(corpo come oggetto di rappresentazione o immagine corporea) (Ferrari).”11

Ricordo le parole del prof. Lerminiaux: “In alcuni casi, quando l’ansia dei genitori è molto alta, e

quindi sono molto alte le loro richieste, occorre ricordare loro se è più importante la felicità del

bambino oppure che, ad ogni costo, egli faccia qualcosa per colmare le nostre ansie e paure.”

Dico queste cose per rendere i genitori consapevoli dei meccanismi tonico–emotivi che

influenzano la relazione con il figlio. Anche quando il genitore cerca di nascondere al bambino,

all’ambiente ed a se stesso l’angoscia, il suo corpo parla ed a volte urla nel disperato bisogno di

essere ascoltato e capito.

Questa non è un’accusa. Aiutare i genitori ad essere consapevoli di ciò che vivono e trasmettono

al loro bambino ed a se stessi può permettere loro di aprirsi quando accompagnano il figlio in

terapia. Lo spazio della terapia è un momento naturale perché ciò avvenga. Essi possono capire 9 “Molto è già stato scritto sulla difficoltà che sin dalla nascita i genitori si trovano a dover affrontare, dalle separazioni

iniziali, alla gestione dell’accudimento resa più complessa dalle condizioni cliniche del bambino, fino alle incertezze e

alle angosce che gravano sul suo futuro. Inoltre lo sviluppo del bambino spiato in cerca dei segni della patologia, l’ansia

che accompagna le visite di controllo, la delega ai medici del compito di giudicare dello stato di benessere o malessere

del bambino e la parallela difficoltà a sviluppare quell’insieme di attitudini che fanno della madre la persona

naturalmente più esperta a riguardo del figlio, rappresentano degli importanti fattori di rischio nella relazione col

piccolo neuroleso. Soulè ha parlato della ‘sindrome del bambino fragile’ per descrivere l’immagine del Sé che certi

bambini strutturano in conseguenza dei sentimenti di precarietà e vulnerabilità su di essi massicciamente proiettati.” A.

Ferrari – G. Cioni, Paralisi cerebrali infantili. Storia naturale e orientamenti riabilitativi, cit., pp. 205 - 206. 10

“Le emozioni sono evolute non come sentimenti coscienti, differenziati linguisticamente o meno, ma come stati del cervello e risposte del corpo. Sono questi i fatti fondamentali di

un’emozione.” J. LeDoux, Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni, Baldini&Castoldi,Milano

1999, p

p. 312

.

11 A. Ferrari – M. Lodesani – S. Muzzini in A. Ferrari, Proposte riabilitative nelle paralisi cerebrali infantili.cit.,

pp.122 –123.

Page 12: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

11

che non sono dei mostri perché provano angoscia, paura, solitudine, colpa e rabbia. I genitori si

trovano soli ad affrontare ‘problemi’ verso cui non sono preparati, e spesso non sono

adeguatamente sostenuti da strutture sociali e sanitarie. Dubito che qualcuno possa sentirsi a suo

agio in condizioni simili

“ Ciò si evidenzia quando si prende in considerazione l’esperienza di alcuni soggetti che vivono

serenamente la disabilità. In questi casi la relazione con gli altri è valida su tutti i piani. Essi si

sentono più che accettati, considerati e hanno la percezione che le proprie difficoltà non sono un

problema per gli altri; al contrario altri individui vivono in uno stato di continua tensione in

quanto non riescono a realizzare se stessi e avvertono che le loro difficoltà suscitano disagio e

creano ulteriori difficoltà negli altri, per cui essi oltre ad essere handicappati di fronte a sé stessi,

lo diventano anche di fronte alla relazione, agli altri.”12

E’ necessario aiutare il genitore a conoscere e liberarsi dei suoi inutili mostri. Si deve

aiutarlo a rispettare il bambino e se stesso per ritrovare forza e serenità, poiché con il suo

aiuto cresce e si sviluppa il piccolo. E’ con lui ed attraverso di lui che il bambino trova

significato e identità.

Quando un bambino ‘sano’ manifesta nuove capacità è un’esperienza affascinante, ma quando un

bambino con problemi fa un piccolo passo avanti nella sua evoluzione è una gioia immensa, esso

sembra più un dono che una conquista.

IL BAMBINO

Il bambino spastico, discinetico o atassico manifesta la patologia spontaneamente durante la

maturazione del sistema nervoso centrale. La maturazione (mielinizzazione) delle strutture cerebrali

evidenzia quali di esse sono deficitarie per la non attivazione delle loro funzioni e per lo squilibrio

che si determina nell’armonia della funzionalità globale del sistema nervoso centrale. Per cui il

bambino spastico, che ha una lesione corticale, non riuscirà ad inibire i riflessi attivati dalle strutture

più arcaiche (schemi di movimento geneticamente programmati presenti nel neonato alla nascita).

Ogni decisione volontaria e qualunque emozione attivano movimenti rudimentali con prevalenza di

pochi gesti stereotipati e tono muscolare troppo alto. Per esempio un bambino spastico fa molta

fatica nel portare un giocattolo in bocca per il prevalere d’alcuni riflessi primitivi, a volte, non

riesce del tutto.

Nello stesso tempo, la spasticità (rigidità muscolare) è vissuta dal bambino come un “sostegno”.

Egli la vive, la sente sin dalla nascita, è cresciuto con lei. La spasticità sembra dargli compattezza,

sicurezza. Il bambino vive la paura di abbandonare questo ‘abito’ che è il solo che conosce. Egli

crede che se scompare la spasticità, il suo corpo possa “crollare”. Per questo motivo il vissuto

fisico della spasticità diviene un vissuto mentale ben preciso. Una grossa mole del trattamento

riabilitativo consiste nel modificare (ristrutturare) queste immagini limitanti per permettere al

bambino di poter accedere alle sue potenzialità residue.

Un bambino discinetico, invece, non ha il controllo degli automatismi di movimento (è stato leso

quel complesso di strutture sotto-corticali che sono alla base degli automatismi di movimento. Esse

apprendono e memorizzano il movimento, e ne controllano automaticamente lo svolgimento). Per

cui, quando il bambino decide di muoversi, è come se fosse sempre la prima volta, i suoi movimenti

sono maldestri, a scatti e incontrollabili. Qualunque stimolo uditivo, visivo o corporeo un po’ fuori

12

F. Boscaini, La triade handicappata: il ‘diverso’, la famiglia, la società. Analisi e problematiche psico-pedagogiche-

riabilitative, cit., pp. 18-19.

Page 13: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

12

del normale scatena nel suo corpo una rivoluzione di movimenti, perché il bambino sa di non poterli

controllare. Egli è consapevole di non poter controllare il suo corpo.

Il bambino atassico ha una lesione o disfunzione a livello del cervelletto, che è un importante

organo d’integrazione e controllo del movimento. Il bambino atassico manifesta disturbi gravi

d’equilibrio, tremori e gesti non coordinati. La sensazione che vive un bambino con tale patologia è

di essere sospeso nel vuoto, in uno spazio pericoloso, e di non poter muovere il proprio corpo per

rispondere agli stimoli.

Questi sono alcuni dei numerosi quadri clinici che si possono presentare con gradi variabili di

gravità. Questa semplice descrizione purtroppo non può far comprendere il vissuto di un bambino

con problemi neuromotori. Il bambino è bloccato in poche e stereotipate possibilità di

esprimere i suoi bisogni, il suo gioco e la sua affettività. La sua conoscenza della realtà (la mappa

del suo mondo) è determinata da ciò che sa fare o non sa fare: il bambino vede un gioco e non può

allungare la mano per prenderlo, oppure non è capace di gattonare per raggiungerlo o vi riesce con

molta fatica. Egli costruisce lo spazio e il tempo delle cose e del proprio corpo in modo diverso da

chi fa lo stesso gesto in modo semplice e spontaneo. Il bambino ripete questi gesti per il desiderio di

esplorare o perché sollecitato dai genitori, ma egli manifesta sempre la stessa difficoltà e

costruisce su questa base l’immagine di sé, il suo schema corporeo.

Il bambino vive nel suo corpo la difficoltà e più si sforza di superarla, per gioco o per venire

incontro all’ambiente, più la patologia si fissa. Questo avviene a causa dell’impedimento

neurologico della patologia (che tende a fissare i comportamenti motori) e per i problemi che si

creano nel rapporto con l’ambiente: egli vive qualsiasi reazione con maggiore contrazione

muscolare. Questo è l’unico modo che egli conosce nel rapportarsi con la realtà esterna. Di

fronte agli insuccessi il bambino attiva reazioni toniche muscolari abnormi che diventano abituali e

rischiano di essere considerate sintomo patologico. Alcune volte, quando egli perde sempre il suo

obiettivo, manifesta reazioni d’abbandono (scarsa vivacità, demotivazione al movimento), anche

queste mascherate dal sintomo neurologico.

Situazioni come queste non possono essere gestite dall’ambiente familiare a causa della mancanza

di strumenti terapeutici e per l’ansia che inevitabilmente accompagna la scoperta della patologia del

bambino.

L’incapacità nel gestire fisicamente il bambino e l’ansia che questo suscita può, quindi, causare

nell’ambiente atteggiamento emotivo di “rifiuto” o eccessiva “sollecitazione”, dimenticando spesso

il bambino e focalizzando tutta l’attenzione sulla patologia. Tutto ciò determina un apprendimento

emotivo “negativo” del bambino verso il suo corpo e la patologia con conseguenze disastrose.13

E’ difficile immaginare il vissuto di un bambino che “sente” di essere la causa dell’ansia e

dell’angoscia dei suoi genitori. Questo determina nel piccolo senso di colpa per qualcosa che

non ha commesso e atteggiamento d’autodifesa. È comprensibile come questo vissuto emotivo

possa creare nel bambino uno stato di tensione e di frustrazione.“In considerazione di tutto ciò,

oltre alla spasticità primaria dovuta alla lesione, s’instaura facilmente nel bambino un ipertono o

ipotono secondario, che è il primo da eliminare in terapia; poiché la funzione tonica è legata

strettamente ai fattori emotivi e affettivi non si può lavorare sull’uno escludendo l’altro. Lo stesso

discorso si potrebbe fare per l’equilibrio corporeo, anch’esso funzione tonica.[…].Si può capire

come sia difficile passare dalle concezioni teoriche alle attuazioni pratiche, soprattutto per una

famiglia che vive in prima persona il problema dell’handicap e della sua emarginazione, e come sia

difficile diseducare delle persone per aiutarle ad affrontare il problema riabilitativo in modo nuovo e

13

“In tal maniera il bambino è handicappato due volte, con l’insieme delle sue reazioni tonico-affettivo e relazionali,

traumatizzato dall’ansia della madre, facilmente, dalla terapia, finisce per vivere nel ‘non essere.” F. Boscaini, La triade

handicappata: il ‘diverso’, la famiglia, la società. Analisi e problematiche psico-pedagogiche-riabilitative,cit, pp. 60-

61.

Page 14: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

13

in una dimensione più psicopedagogicamente corretta, nel rispetto della singola persona,

indipendentemente dall’essere portatore o meno di un handicap.”14

Altro fattore che agisce emotivamente sul bambino, sul paziente in generale e sull’ambiente

familiare è un certo atteggiamento popolare nei confronti di tutto ciò che è ‘diverso’. Esso nasce da

un’attitudine di ‘difesa ed esorcismo’ verso l’ignoto ed il diverso. Le sue radici affondano in

un’educazione negativa verso la propria immagine, soprattutto verso quegli aspetti considerati fuori

dal ‘normale’. Per fortuna quest’atteggiamento sta cambiando attraverso un’adeguata informazione.

Essere in difficoltà di fronte al ‘diverso’ ha creato l’attitudine di difesa che spesso si nota nei

pazienti e nei loro familiari, con la conseguenza di comportamenti esasperati che compromettono

emotivamente e fisicamente la patologia e l’ambiente in cui essi si manifestano.

Il terapista può modulare il rapporto in modo equilibrato, se il suo approccio non si limita

all’intervento rieducativo neuromotorio e riesce ad inserirsi nel dialogo bambino-ambiente. Egli può

trasformare l’ansia dei genitori in attitudine di contenimento adeguata alle potenzialità del bambino,

nel rispetto di questo.

È importante ricordare che, sebbene alcune volte il disagio del bambino si possa far risalire

all’ambiente (nel senso più esteso), una volta che si sia stabilizzato nel tempo, diventa in qualche

modo da esso indipendente. È il caso delle situazioni ormai cronicizzate. In questi casi, anche se le

circostanze esterne dovessero mutare, la patologia secondaria rimane se non cambia l’immagine che

il bambino o il paziente in generale ha di sé.15

Per fortuna l’immagine del bambino non si costruisce solo nel confronto con la realtà esterna. Il

bambino (in quanto essere vivente) è alla ricerca di un suo equilibrio interno dinamico (benessere

psico-fisiologico). Su questa base il terapista può introdurre un lavoro di ‘ristrutturazione’. Egli può

influire sul vissuto del bambino attraverso l’utilizzo consapevole di strumenti quali: i metodi

riabilitativi, la calibrazione, la risonanza, l’aptonomia. Attraverso questi strumenti egli può fare

sentire al bambino stati tonico-emotivi differenti nel suo corpo (diversi da quelli fissati dalla

patologia). In tal modo il bambino può vivere nuove esperienze, nuovi modi di sentire e si attivano

nuovi circuiti cerebrali che egli può decidere di usare, e di solito fa questo volentieri, perché queste

nuove esperienze lo aiutano ad uscire dalla costrizione della patologia. Il bambino diviene l’artefice

del suo corpo. Egli può imparare, tramite la terapia, a riconoscere ciò che prova nel suo corpo, a

cogliere le motivazioni che guidano i comportamenti, a recuperare l’autenticità dei suoi bisogni.

Il terapista che conosce e valorizza il vissuto del bambino, si pone in una relazione paritaria priva

di strumentalizzazioni. Egli aiuta il bambino nella sua espressione.

Il terapista può aiutare i genitori a riappropriarsi del loro bimbo rendendoli partecipi delle sue

difficoltà e soprattutto delle potenzialità. Egli deve aiutare insegnando loro come ‘manipolare’ il

figlio, come aiutarlo nel gioco senza trasformarsi in terapisti.16

Per questi motivi nella Nostra

Struttura riabilitativa i genitori sono invitati ad entrare nella sala di riabilitazione. Assieme al

terapista, il genitore elabora le sue ansie e le richieste. Egli impara direttamente come muovere ed

aiutare il figlio attraverso l’esempio trasformando l’atto quotidiano in terapia senza fare terapia.17

14

F. Boscaini, La triade handicappata: il ‘diverso’, la famiglia, la società. Analisi e problematiche psico-pedagogiche-

riabilitative,cit, p.61. 15

Cfr. G. Buratti – I. Castaldi, Psicoterapia individuale sistemica,CittàStudi, Milano 1998. 16

“Altri problemi riguardano le pesanti interferenze della famiglia nel trattamento, dall’investimento idealizzato del

terapista dei primi momenti, alla competizione per il suo padroneggiamento della tecnica riabilitativa, al carico di

angosce rispetto al futuro evolutivo del bambino. Talvolta il terapista si trova a dover ‘custodire il segreto’, seppure

momentaneo, delle reali possibilità di recupero del bambino e a funzionare da filtro nella comunicazione col genitore

per non alimentare aspettative inutili ma neanche provocare perdita di fiducia ed investimento affettivo nel bambino.”

A. Ferrari – G. Cioni, Paralisi cerebrali infantili. Storia naturale e orientamenti riabilitativi, cit., p. 208. 17

“Il riabilitatore dovrà ‘consegnare’ adattativamente ai familiari non una lista di esercizi, bensì

alcuni ‘trucchi’ (e facilitazioni contestuali) per costruire un modello di interazione adattiva con il

bambino, ‘accompagnandolo’ ad esplorare i suoi limiti.[…]. Il suo obiettivo sarà la costruzione dei

compensi (Sabbadini 1978; Rosano 1980) nell’emergenza atipica delle funzioni adattive, attraverso

l’evoluzione dei sottosistemi residui.”

Page 15: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

14

UN TERAPISTA

L’inizio di un nuovo trattamento crea sempre una certa ansia nel terapista. È l’inizio di

un’avventura professionale ed umana. È l’inizio di una sfida tra le “rigide” conoscenze acquisite da

un modello biomedico statico, e l’infinita variabilità che la relazione con il bambino e il suo

ambiente richiede.

Il rapporto continuo, giornaliero con un bambino con problemi neuromotori pone una complessità

di rapporto che facilmente può far “crollare” il terapista. Il quale, se non è aiutato, a volte trova

rifugio nella somministrazione d’esercizi e di tecniche sofisticate, rifuggendo tutte quelle dinamiche

che lo chiamano in causa ad un livello più “profondo”.18

La capacità del terapista d’essere flessibile e competente nel setting terapeutico è lasciata molto

spesso alla naturale predisposizione del terapista.

Ma un grande “vuoto” circonda questa figura così particolare: il terapista. Chi è al di fuori del

quotidiano universo riabilitativo difficilmente può immaginare cosa si vive, cosa succede e cosa non

si vede. 19

Il terapista è chiamato a gestire il “potere della terapia”: le aspettative dell’ambiente e la

responsabilità di aiutare il piccolo sapendo che si potrebbe fare meglio. Ma gli strumenti sono

rigidi, poco adattabili e spesso noiosi e improponibili ad un bambino che fa grande fatica ad

eseguire anche un gesto semplice.

La consapevolezza tacita del terapista di “essere strumento terapeutico” attiva spesso l’ansia di

non essere adeguato, preparato e disponibile. Al di là delle tecniche e delle metodiche, che

costituiscono la parte più controllabile dell’approccio, è richiesta una grande capacità di essere

disponibile per “raggiungere” il bambino e fare in modo che egli accetti di essere guidato.20

Tutto questo nell’approccio riabilitativo, e medico in generale, è oggetto di discussioni generiche.

La capacità di avvicinare il paziente come persona e non solo come sintomo da correggere o curare

è ancora un discorso solamente teorico, e questo costituisce “il problema” in molti aspetti medicali

tra cui la riabilitazione.

Nelle scienze della comunicazione, della pedagogia e della psicologia troviamo studi e ricerche su

questi problemi, ma esse vivono il dramma inverso. Queste scienze, spesso si limitano a curare la

relazione e la psiche trascurando l’incidenza di questi aspetti in ambiti diversi da quello

psichiatrico, soprattutto quando si tratta di soggetti in cui è dato per scontato che abbiano problemi

18

“… a proposito della relazione tra bambino e terapista osservavamo come con l'avvio di un trattamento nella mente

del terapista si costruiva l'immagine di un bambino «ideale», ovvero un bambino futurizzato nelle sue potenzialità di

recupero, la cui collaborazione ed adattabilità alla proposta terapeutica venivano date più o meno per scontate. L

'impatto con la realtà del piccolo paziente può invece molto spesso rivelarsi una fonte di stress per il conflitto ricorrente

tra la soggettività, l'emotività, le motivazioni del bambino e gli obiettivi dell'intervento. Di fronte alla cronicità della

patologia e alla irreversibilità dei suoi esiti il terapista può trovarsi disarmato e in difficoltà a mantenere quella

posizione di attesa e sospensione di giudizio necessaria alla piena comprensione del bambino. Il rifugio nella tecnica, il

privilegio in seduta dell'universo dell'agire rispetto a quello del pensare, la scomposizione del piccolo paziente in un

insieme di segmenti da trattare possono rappresentare delle difese nei confronti degli aspetti più frustranti della

patologia come la passività, l'inerzia, l'inibizione e il negativismo.” A. Ferrari – G. Cioni, Paralisi cerebrali infantili.

Storia naturale e orientamenti riabilitativi, cit., p. 208. 19 “Il riabilitatore è di fatto solo, con le sue “qualità esistenziali” ad affrontare situazioni psicopatologiche pesantissime del bambino e della sua famiglia, senza contare, sia pure di

riflesso, la propria condizione esistenziale.”

M. Pierro

- P. Giannarelli - P. Rampoldi, Osservazione clinica e riabilitazione precoce, Edizioni del Cerro, Tirrenia

(Pisa)1984, p

p. 17-18.

20 “ Se attraverso l’esercizio il terapista si propone di migliorare le capacità dell’individuo di adattare e di adattarsi

all’ambiente esterno, attraverso l’interazione egli accede alle potenziali risorse del soggetto, ma deve parimenti

riconoscere i confini del proprio agire.

Spesso questo accesso è reso difficile dalla distorsione dei messaggi offerti da un corpo prigioniero della paralisi e

proprio per questo più sensibile nel cogliere accettazione o rifiuto, disponibilità o rinuncia da parte del terapista.” A.

Ferrari, Proposte riabilitative nelle paralisi cerebrali infantili,cit., p.89.

Page 16: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

15

a causa delle loro difficoltà fisiche. Essi offrono, quindi, modelli d’approccio che ricalcano spesso i

pregiudizi e gli schemi dell’ambiente in cui si sviluppano. Ma un bambino con un’emiparesi ha e

vive delle sensazioni così diverse nei due suoi emilati del corpo che é difficile, per me “normale”,

anche solo immaginare cosa possa voler dire vivere in una realtà strutturata per due mani, quando di

mani disponibili ne ho una. Come possiamo spiegargli che entrambe le mani sono sue, se egli le

sente così diverse? Come “costringerlo” ad usare la mano che ha difficoltà per fare movimenti

“funzionali”? Come possiamo fargli capire che l’angoscia che provano i suoi genitori è causata

dalla paura dell’ignoto, la paura di essere incapaci di muoversi in un mondo difficile persino per

una persona “normale”? Come fargli dire che è solo un bambino e come tutti i bambini ha il

semplice desiderio di essere amato, accudito e di fare ciò che si sente di fare? Come spiegargli

l’ossessiva attenzione verso una parte di sé che ben presto diventerà fonte di problemi, d’angoscia e,

a volte, oggetto di accanimento terapeutico da parte di “esperti”?

Queste sono solo parole, ma il vissuto è profondo ed intenso.

Il terapista “sente” su di sé (consciamente o meno) il peso e la responsabilità di chi è chiamato a

dare delle risposte.

Il bambino è portato, sicuramente contro la sua volontà, davanti ad un estraneo. Egli è un

osservatore critico, poiché ancora non completamente condizionato dall’educazione sociale. Il

bambino sa misurare la disponibilità effettiva del terapista, riesce ad andare oltre le buone

intenzioni che questo manifesta e da questo dipenderà la riuscita della disponibilità e collaborazione

durante il trattamento. È comprensibile come l’apertura, la presenza e la trasparenza del terapista

siano importanti. Il bambino inconsciamente ‘sente’ se il terapista ha fiducia in una sua possibilità

di miglioramento: attraverso il linguaggio corporeo del terapista egli ‘sa’ se saprà guidarlo, oppure

se ha paura o non crede in ciò che sta facendo.

Saper gestire e donare il proprio aspetto umano ed emotivo all’interno della relazione terapeutica

può fare paura, ma aiuta il terapista ad essere coerente e senza doppie immagini, gli permette di

ottenere il suo scopo: essere Terapeuta. Alcune volte ciò è difficile, poiché non sempre riusciamo ad

essere disponibili, ma il solo fatto di esserne consapevoli impedisce di accanirci contro il piccolo.

Per il terapista, spesso è difficile gestire il rapporto con il bambino: non si può trasformare in gioco

ciò che gioco non è, ma si può aiutare il bambino ad esprimere i suoi bisogni, il suo desiderio di

muoversi, di conoscere ed esplorare, creando un ambiente e uno spazio adatto dove il terapista

s’introduce discretamente per aiutarlo a raggiungere il “suo scopo”. Tutto si trasforma: è un giocare

ed interagire dove la tecnica diventa un aiuto spontaneo.21

In questo rapporto prevale il desiderio del

gioco e la possibilità di essere aiutato e capito, prevale il rispetto e il trattamento è ridotto al minimo

necessario secondo il principio del good-enough (buono abbastanza). ‘Vanno privilegiate le

occasioni definibili esperienze contestuali’.22

Un bambino può, infine, decidere di dare la sua fiducia al terapista, al di là dalle buone intenzioni

di questi, perché si rende conto che il terapista, tra tutte le persone che conosce, è il più in gamba

nell’aiutarlo a muoversi.

Nuove acquisizioni in neurofisiologia stanno lentamente smantellando il predominio delle

metodiche in ambito riabilitativo (spesso contraddittorie nei loro presupposti ed interventi). Nuove

conoscenze dirigono gli sforzi verso la formazione di un riabilitatore più completo e competente, in

rapporto dialettico con il paziente: questo era spesso vissuto come il passivo esecutore di manovre.

Sta nascendo un nuovo pensiero riabilitativo fondato sul rispetto della persona e sulla crisi dalla

vecchia metodologia. I suoi pionieri: Adriano Milani Comparetti Giorgio Sabbadini, Silvano

Boccardi, Adriano Ferrari, Giovanni Cioni, Michele Bottos, Marcello Pierro e molti altri ormai

stanchi ed insoddisfatti stanno cercndo una via diversa. Nuovi modelli di pensiero e studi in

neuropsicologia danno strumenti teorici e pratici che aiutano a riflettere ed ampliare la visione

riduttiva classica del terapista e del paziente.

21

Cfr G. Molé, Riabilitazione. Un nuovo modo di sentire, in “Solidarietà”, (1995), n.22, pp.59-65. 22

Il pensiero di A. Milano Comparetti a questo proposito è citato in M.Bottos, Paralisi cerebrale infantile. Diagnosi

precoce e trattamento tempestivo, Ghedini Editore, Milano 1987, pp.187-193.

Page 17: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

16

La vecchia concezione medica propina il trattamento riabilitativo assimilandolo a pillole che il

terapista somministra più o meno passivamente e che il paziente deve prendere passivamente, nella

spesso patetica pretesa miracolistica di “normalizzare” ciò che è stato profondamente modificato

neurologicamente. Questa concezione è stata fonte di frustrazioni per il terapista, per il bambino e

per la sua famiglia per troppo tempo giustificando approcci ‘invasivi’ e ‘cruenti’ (A. Milani

Comparetti).

La nuova figura del terapista deve saper sviluppare strategie d’intervento che si adattino ai diversi

soggetti con problemi. Egli può comprendere i fattori neurologici, psicologici e sociali (emotivi e

motivazionali) del paziente per poterlo aiutare nello sviluppo delle competenze emergenti a livello

di movimento. Il terapista può, contemporaneamente, permettere la realizzazione delle intenzioni

positive del paziente, in questo modo il movimento diviene coerente e facilitato nella sua intenzione

e dalla sua intenzione.

Il bambino, ed il paziente in generale, diventa il protagonista del trattamento, ed il terapista lo

aiuta con la sua competenza e i suoi mezzi (la conoscenza tecnica e il coinvolgimento di tutto se

stesso).

Per questi motivi, così complessi da definire perché ancora poco definiti, è importante che il

terapista: abbia le dovute ed aggiornate conoscenze di neurofisiologia; sappia avvalersi delle

conoscenze e della pratica delle metodiche (è importante avvalersi dell’esperienza di altri studiosi

effettuando una critica selezione su ciò che serve in un trattamento); sviluppi, con adeguati

strumenti, la capacità di leggere nel corpo del bambino le difficoltà, le paure e i desideri che sono i

veri direttori del setting terapeutico23

; il terapista, infine, deve proporsi come strumento terapeutico

trasparente, consapevole del rischio umano e soprattutto dello scopo, guidato dalle sue capacità

professionali.

È fondamentale un buon lavoro multidisciplinare, affinché l’impegno del terapista sia sostenuto e

valorizzato: le dinamiche familiari, la necessità di consulti specialistici richiedono spesso

l’intervento d’altre figure dell’equipe, che devono avere un’adeguata formazione e capacità

d’intervento coerente con il trattamento in corso.

“Il dibattito di questi ultimi anni ha portato a definire la riabilitazione come un intervento

multidirezionale che tiene conto dei diversi aspetti della vita dell’individuo e considera centrale il

recupero di funzioni adattive. Questa concezione dell'intervento prevede il coinvolgimento di più

figure professionali e il conseguente costituirsi di un’equipe terapeutica. Tuttavia, trasformare la

formula organizzativa in una unità operativa realmente funzionante non è un compito ne facile ne

scontato. Il bambino e la complessità dei suoi bisogni possono infatti diventare terreno di scontro tra

i diversi operatori che condividono il progetto riabilitativo. Ad esempio, le esigenze e le regole

dell’ambiente scolastico possono differire molto rispetto a quelle della stanza di terapia e implicare

la mobilitazione di strategie da parte del bambino, diverse o addirittura antitetiche rispetto a quelle

apprese in terapia. La multidirezionalità dell’intervento implica cioè la capacità per ciascun

operatore di rivedere con spirito critico ed elasticità il proprio intervento e la possibilità di

ricalibrarlo alle esigenze del singolo bambino, in un confronto costante con gli altri componenti

dell’equipe.

Ma quest’attitudine al confronto, questa capacità di negoziare con i propri modelli culturali, questa

possibilità di lasciarsi permeare dalla relazione con l’altro non è innata ne acquisibile con la sola

formazione curriculare. È piuttosto una funzione che si può sviluppare se attorno agli operatori

vengono create le condizioni per riflettere e ripensare sull’esperienza clinica. D’altro canto il

rapporto diretto con l’utenza, col bambino e con la sua famiglia cimenta costantemente l’operatore 23

“E’ nostra idea che il riabilitatore debba avvicinarsi ad uno studio pragmatico del movimento, anche se, a tutta prima,

può sembrare che questo indirizzo determini un tramonto degli ottimismi quantificatori. È opportuno però riconoscere

che la sequenza delle contrazioni non ha valore in assoluto, in quanto riducibile ad un numero preciso di gradi, chili o

metri (questo è solo un aspetto) ma in quanto prodotta da un utente, situazione e scopi sono altrettanto importanti,

almeno a fini riabilitativi, dei gradi, chili o metri al secondo, che, solo in rapporto ad essi, possono assumere valore e

significato.” C. Perfetti, Condotte terapeutiche per la rieducazione motoria dell’emiplegico, Ghedini Editore, Milano

1986, pp.14.

Page 18: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

17

con queste problematiche.”24

Gli operatori che ruotano attorno al bambino devono costituire l’ambiente adeguato alla sua

crescita, ciò è possibile se essi sono motivati ed operano in un ambiente sereno. Il delicato compito

di aiutare e rispettare ‘l’altro’ è possibile solo se anche l’operatore è aiutato e sostenuto realmente.

Purtroppo i modelli sociali ed istituzionali attuali spesso sono carenti in tal senso. Essi hanno una

strutturazione piramidale ed una distribuzione dei compiti che impedisce una reale ed efficace

comunicazione.

La capacità d’intervento terapeutico, data la sua complessità, richiede doti professionali, ma anche

umane e di disponibilità perché sia coerente nel suo messaggio ed efficace nell’azione. Il terapista,

infatti, dovrebbe avere il supporto di un’adeguata supervisione. Durante il cammino terapeutico, il

terapista trasforma se stesso nell’aiutare l’altro a conoscersi. Può accadere che elementi del mondo

del paziente tocchino quelli irrisolti del suo mondo con il rischio di proiezioni dei propri fantasmi

sul paziente. In questi casi un supervisore può dare aiuto adeguato per superare il “blocco” e

permettere un sereno proseguimento del rapporto terapeutico.

Gli operatori possono essere aiutati in questo processo di crescita attraverso un’adeguata

formazione. Lo stesso cammino che l’operatore potrà poi utilizzare per aiutare i ‘suoi’ piccoli e

grandi compagni di viaggio.

Si potrà trovare alla fine due persone che giocano profondamente coinvolte. Esse hanno dimenticato

le loro difficoltà e senza rendersene conto si aiutano vicendevolmente a realizzare e continuare il

“gioco”.25

Si ride, si gioisce, si piange e a volte ci si stanca e si litiga, ma io penso che un rapporto “normale”

sia fatto di tutte queste cose.

24

A. Ferrari – G. Cioni, Paralisi cerebrali infantili. Storia naturale e orientamenti riabilitativi, cit., pp. 207 – 208. 25

“ Importanza sempre più grande lasciata all’attività spontanea che a poco a poco ha sostituito il ‘porre in situazione’,

sistematicamente programmato dell’adulto. Situazioni strutturanti nascono spontaneamente[…] sta a noi scoprirle,

utilizzarle, orientarle.” A. Lapierre – B. Aucouturier, La simbologia del movimento, Edipsicologiche Cremona, p. 20.

Quando è possibile, quindi, può essere bello ed utile farsi guidare dal bambino, dal suo desiderio di giocare.

Page 19: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

18

CAPITOLO SECONDO

La nascita dell’emotività

Page 20: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

19

SINTESI DEGLI STUDI SULL’EMOTIVITA’: ELEMENTI PER COMPRENDERE

L’INFLUENZA DELL’EMOTIVITA’ SUL COMPORTAMENTO E LE BASI DI UN EFFICACE

APPROCCIO TERAPEUTICO.

1) Lo sviluppo del sistema nervoso centrale attraverso la filogenesi e l’ontogenesi.

Una cellula primitiva, immersa nel mare delle origini, se è stimolata da segnali esterni reagisce con

una stereotipia di comportamento che si è tramandata sino ad oggi. Essa ha un tropismo positivo,

ossia tende a raggiungere le fonti di cibo, luce e calore e rifugge dai rifiuti, dal buio e dal freddo. La

ricerca di ciò che dà sostentamento genera, accanto a semplici attività motorie come il moto

ameboide o l’uso di flagelli, anche una forma di psichismo elementare: sensazioni di buono e

piacere verso il caldo nutriente habitat, e di cattivo, dispiacere contro il tossico, il freddo e il buio.

Perché ciò sia possibile negli esseri unicellulari si è sviluppato un livello di ‘attenzione elementare’

agli stimoli ambientali (risonanza elementare) che permette loro di essere presenti (essere con) gli

stimoli e di attivarsi per il nutrimento o rifuggire i pericoli. La tendenza naturale d’ogni organismo

vivente, infatti, è il raggiungimento e il mantenimento dell’equilibrio interno dinamico (omeostasi),

vissuto come stato di benessere.26

La necessità di quest’equilibrio interno determina il

movimento di ricerca (tropismo) o emotività elementare.27

Negli organismi viventi il tropismo è regolato da orologi biologici: strutture specializzate al

ripristino ciclico dell’equilibrio interno.

Gli esseri pluricellulari hanno sviluppato un sistema psichico superiore, ma gli ‘impulsi

emotivi’ primitivi restano come retaggio antico. Alla base del movimento c’è questa ricerca di

stimoli di nutrimento, di tropismo positivo che nella sua espressione più evoluta si estrinseca nei

rapporti interpersonali.28

26

“ Il fisiologo Walter Cannon riprese il principio della costanza dell’ambiente interno di un organismo, enunciato da

Claude Bernard, e lo perfezionò nel concetto di omeostasi, il meccanismo di autoregolazione che permette agli

organismi di mantenersi in uno stato di equilibrio dinamico attraverso l’oscillazione di funzioni variabili entro limiti di

tolleranza.” F. Capra, La rete della vita. Una nuova visione della natura e della scienza, Biblioteca Universale Rizzoli,

Milano 2001, p. 55. 27

Dal latino emovere: scuotere, smuovere, tirare fuori il movimento. 28

“I sistemi cerebrali che generano dei comportamenti emotivi si sono conservati attraverso molte tappe della storia

evolutiva. Tutti gli animali, noi compresi, devono soddisfare certe condizioni per sopravvivere e obbedire all’imperativo

biologico di trasmettere i propri geni alla discendenza. Come minimo, devono procurarsi cibo e un riparo, proteggere il

Page 21: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

20

Quando le condizioni ambientali non permettono il raggiungimento dell’omeostasi, l’organismo si

modifica, oppure sente minacciata la sua sopravvivenza attivandosi in tutti i modi possibili, al fine

di ripristinare il suo benessere.29 Per soddisfare queste condizioni, e per adattarsi ai mutamenti

ambientali avvenuti nel corso di milioni d’anni, gli esseri viventi hanno sviluppato strategie di

comportamento sempre più perfezionate.

Inoltre “Recenti studi di neuroscienze hanno scoperto all’interno del corpo i neuropeptidi. Essi

collegano cervello, ghiandole e sistema immunitario in una rete di comunicazione che rappresenta

probabilmente lo strato biochimico delle emozioni.[…]. Tracciando le origini evolutive del sistema

dei neuropeptidi, Roth e i suoi colleghi hanno presentato la prova che è più antica dei sistemi

centrale, autonomo o endocrino; è il metodo di comunicazione negli organismi unicellulari, nelle

piante e negli ordini inferiori della vita animale. Poiché la natura tende a conservare i suoi sistemi,

possiamo capire ora come i neuropeptidi formino un più profondo e pervasivo sistema di traduzione

delle informazioni del corpo-mente di quanto sia il sistema nervoso centrale.”30

Attraverso l’attività di numerosi mediatori chimici (neuropeptidi e neurotrasmettitori prodotti da

numerosi organi interni, non solo dal Sistema Nervoso Centrale - SNC) tutto l’organismo riceve ed

invia informazioni sullo stato psico-fisiologico dell’essere vivente, ma lo sviluppo delle funzioni

proprio corpo e procreare. È vero per gli insetti e i vermi come lo è per i pesci, le rane, i topi e le persone. Ognuno di

questi diversi gruppi di animali ha propri sistemi neurali per raggiungere queste mete comportamentali. Entro i gruppi

di animali con una spina dorsale e un cervello (pesci, anfibi, rettili, uccelli e mammiferi, umani compresi) sembra che

l’organizzazione neurale di particolari sistemi di comportamento emotivo - come i sistemi collegati alla paura,

all’attività sessuale o alimentare sia abbastanza simile da una specie all’altra. Non vuol dire che i cervelli siano tutti

uguali, ma che la nostra comprensione di cosa significhi essere umani richiede una valutazione dei modi attraverso i

quali risultiamo uguali agli altri animali, o diversi.” J. LeDoux, Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni,

Baldini&Castaldi, Milano 1999, pp. 18 –19. “Gli studi comparativi dimostrano che non importa quale sottosistema

esistente nel sistema nervoso dei vertebrati inferiori esista ugualmente nei vertebrati superiori sotto forma più evoluta.

Lo studio dei vertebrati inferiori ci permette quindi di capire meglio come funzionano nell’uomo le sue strutture nervose

primitive.” J. Lerminiaux, Gli organizzatori dello psichismo, Istituto Mediterraneo per la Formazione, Ricerca, Terapia

e Psicoterapia, dispensa prodotta per i docenti del corso triennale Psicomotricisti ed Educatori Professionali,

Caltanissetta (1991-1993), p. 1. 29

“La dinamica fondamentale dell’evoluzione, secondo la nuova concezione dei sistemi, comincia con un sistema in

omeostasi: uno stato di equilibrio dinamico caratterizzato da fluttuazioni multiple, interdipendenti. Quando il sistema è

disturbato, ha la tendenza a mantenere la sua stabilità per mezzo di meccanismi di retroazione negativi, che tendono a

ridurre l’ampiezza della deviazione dallo stato equilibrato.[....].Questo modello basilare d’evoluzione, elaborato per le

strutture chimiche dissipative da Prigogine e dai suoi collaboratori, è stato applicato da allora con successo per

descrivere l’evoluzione di vari sistemi biologici, sociali ed ecologici.” F. Capra, Il punto di svolta. Scienza, società e

cultura emergente, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 1995, pp. 238-239. 30

E. L. Rossi, Psychobiology of mind. Body healing, New York 1986, pp. 202.

Page 22: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

21

superiori del SNC permette all’essere umano di essere consapevole dei ‘moti interiori’ propri

e riconoscerli nell’altro.

L’evoluzione della vita sulla terra ha utilizzato il SNC quale organo di integrazione sensoriale e

motorio per ottenere questo scopo.

2) Il neurofisiologo Paul MacLean ha descritto tre grandi organizzazioni cerebrali che sono emerse

in successione nella storia dell’evoluzione.31

Il fisiologo Patigny e il pedopsichiatra Lerminiaux,

parlano più precisamente di sette livelli.32

Per semplicità didattica utilizzo la divisione di Mac Lean, ma nel contenuto faccio riferimento agli

studi di neurobiologia della scuola russa di A. Luria, alla teoria degli organizzatori di Lerminiaux e

Patigny, e agli ultimi studi sulla neurofisiologia dell’emotività.33

Secondo MacLean noi abbiamo tre cervelli: il primo è il cervello rettile (esso è comparso circa

300-400 milioni di anni fa) da cui si sviluppa il sistema paleomammifero (che ha 200 milioni di

anni) e successivamente il cervello neomammifero (circa cinque milioni di anni). Ogni cervello ha

un particolare tipo d’intelligenza, di memoria, di senso del tempo e dello spazio, e proprie

funzioni motorie e sensoriali. Ciascuno di questi tre cervelli continua a detenere i suoi compiti

specifici così come i suoi comportamenti caratteristici.34

31

P. D. MacLean, The Triune Brain in Evolution: Role in Paleocerebral Function, Plenum, New York, 1990. 32

J. Lerminiaux, Gli organizzatori dello psichismo, cit.

“Il biologo Woodger e molti altri posero l’accento sul fatto che una delle caratteristiche fondamentali

dell’organizzazione negli organismi viventi è la sua natura gerarchica. Di fatto, una delle proprietà preminenti di tutto il

mondo vivente è la tendenza a formare strutture a più livelli di sistemi dentro sistemi. Ognuno di questi forma un tutto

rispetto alle sue parti, mentre allo stesso tempo è parte di un tutto più ampio. Così, le cellule si combinano per formare i

tessuti, i tessuti per formare gli organi, e gli organi per formare gli organismi. A loro volta gli organismi vivono

all’interno di sistemi sociali ed ecosistemi. In tutto il mondo naturale troviamo sistemi viventi inseriti all’interno di altri

sistemi viventi.

Fin dai giorni che videro la nascita della biologia organismica, tali strutture a più livelli sono state chiamate gerarchie.

Tuttavia questo è un termine piuttosto fuorviante, poiché trae origine dalle gerarchie umane, che sono strutture rigide di

dominazione e di controllo, assai dissimili dall’ordine a più livelli che si trova in natura. Vedremo che l’importante

concetto di rete - la trama della vita - fornisce una nuova prospettiva sulle cosiddette gerarchie della Natura. Ciò di cui i

primi sistemici si resero conto molto chiaramente è l’esistenza di livelli differenti di complessità, con leggi di tipo

diverso operanti a ciascun livello.” F. Capra, La rete della vita. Una nuova visione della natura e della scienza, cit., p.

39. 33

J. LeDoux, Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni, cit – G. Rizzolatti, Uno specchio nella mente, in Quark,

(2001), n. 7, pp.60-66. D. Goleman, Intelligenza emotiva, RCS Libri S.p.A., (BUR Saggi), Milano 1999. 34

Cfr. J. LeDoux, Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni, cit, p. 101.

Page 23: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

22

3) Il cervello rettile (sistema nervoso reticolare) è la più antica unità funzionale.35

Esso mantiene il

tono corticale, lo stato di veglia e li regola in accordo con le effettive richieste dell’organismo. Il

SNC ricorre a questo cervello arcaico per attivare forme complesse di comportamenti istintivi nella

regolazione del cibo, del comportamento sessuale e di difesa: se osserviamo il comportamento dei

pesci, dei rettili e degli anfibi, possiamo notare che esso è dominato da abitudini e stabilità. Questi

animali hanno un forte istinto di sopravvivenza, e sono estremamente attenti agli stimoli ambientali

di fronte ai quali si allertano: quando uno stimolo arriva nel campo della loro coscienza essi devono

immediatamente decidere se attaccare la preda o fuggire per non essere uccisi, entrambe queste

decisioni (interpretazioni della realtà) sono fondamentali per la sopravvivenza. Lo stimolo innesca

nell’organismo di questi animali una serie di reazioni motorie ed ormonali (emotività elementare),

che cessa non appena il pericolo sparisce. Il cervello rettile si può definire il cervello della

sopravvivenza e dell’adattamento, poiché permette agli esseri viventi di attivarsi in risposta ai

mutamenti esterni ed interni per mantenere l’equilibrio.36

Esso, infatti, svolge costantemente

35

“Nell’organizzazione neurologica primitiva i neuroni sono disposti a rete. Essi possiedono dei dentriti lunghi, poco

ramificati e dritti, e i loro assoni al contrario si ramificano in numerose branchie collaterali che partono verso differenti

direzioni. Il neurone reticolare entra quindi in rapporto con numerosi neuroni ma in modo poco specifico.[…].Questo

tipo di sistema nervoso permette le funzioni minimali richieste per la sopravvivenza di un vertebrato acquatico.

Dapprincipio assicura un’informazione sulla modificazione dell’ambiente esterno, informandolo sulla preda o sul

predatore possibile, così come sulle costrizioni fisiche dell’ambiente esterno: gli oggetti solidi, come ad esempio le

rocce, possono ferirlo. Avvicinare l’animale alla preda o fuggire dal predatore o dal pericolo, non necessita che di una

sensazione locale (contatto, odore, rumore, luce) che si diffonde all’intero animale, senza che sia necessaria un’analisi

di tale sensazione. L’allarme è sufficiente senza che sia necessaria l’analisi del pericolo o del tipo di nutrimento.[….].

Inoltre, il più semplice dei vertebrati deve essere capace, per sopravvivere, di mantenere il suo equilibrio interno

fisiochimico. Il più semplice dei vertebrati viventi, la larva della lampreda, non ha dei vasi sanguigni nel suo sistema

nervoso centrale, il cilindro nervoso o nevrasse è in contatto diretto con i liquidi corporei sia verso l’esterno sia verso

l’interno del nevrasse. Queste cellule analizzano la composizione fisiochimica dei liquidi corporei ai quali esse sono

esposte. Esse devono mantenere la costanza dell’ambiente interno grazie, ad esempio a dei messaggi che spingono

l’animale a mangiare o ad arrestarsi dal mangiare, a seconda dei casi. Mantenere l’animale in equilibrio di fronte

all’ambiente esterno così come verso l’equilibrio interno può essere realizzato tramite la convergenza di fibre recettrici

periferiche e un sistema reticolare centrale. L’osservazione mostra che il sistema centrale somatosensoriale del pesce

primitivo è costituito proprio così.[.…].Ciò prova bene che un sistema nervoso centrale reticolare, malgrado l’assenza di

specificità delle sue connessioni, è tuttavia capace di realizzare dei comportamenti integrativi.” J. Lerminiaux, Gli

organizzatori dello psichismo,cit., pp 1 – 2. 36

La formazione reticolare, nell’organizzazione funzionale del cervello, è distribuita nel midollo spinale, nel midollo

allungato, nel mesencefalo nel diencefalo e nella corteccia ed è chiamata: sistema reticolare ascendente o formazione

reticolare attivatrice. Altre fibre della formazione reticolare vanno in direzione opposta: cominciano nelle strutture

nervose più alte del neocortex, dell’archicortex e dei nuclei talamici e si dirigono nelle strutture più basse del

mesencefalo, dell’ipotalamo e del tronco cerebrale. Queste strutture sono chiamate sistema reticolare discendente e,

come hanno mostrato successive osservazioni, permettono un’attività modulatrice sulle strutture più basse.

“La formazione reticolare attivatrice è la parte più importante della prima unità funzionale del cervello.[…].Come è

noto, il sistema nervoso esibisce sempre un certo tono d’attività, e il mantenimento di questo tono è una caratteristica

essenziale di tutte le attività biologiche. Esistono, tuttavia, situazioni in cui questo tono è insufficiente e deve essere

Page 24: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

23

importanti funzioni organiche di riparazione, sostituzione, ricambio, digestione, assimilazione,

eliminazione, ecc., che si compiono al di sotto del livello di consapevolezza.

Questo cervello ha immagazzinato ogni esperienza dei nostri antenati, dalle forme di vita più

elementari sino al presente stadio di sviluppo. Ogni istinto degli animali antichi ha lasciato tracce in

questo cervello, esse possono riaffiorare sotto la pressione di circostanze particolari scatenando

reazioni violente d’attacco o difesa. Questo è il cervello degli istinti o emotività elementare

automatica. Negli animali inferiori esso è il servomeccanismo (meccanismo automatico) che attiva

i comportamenti istintivi, ma esso agisce anche nei vertebrati superiori e nell’uomo. “Ciò significa

dunque che noi portiamo ancora, nel nostro cervello umano che riteniamo così nobile, gli istinti

animali che sono comuni ai mammiferi o ai rettili, o agli esseri ancora più primitivi. Sono gli strati

antichi dell’evoluzione, sempre presenti e operanti. Dei veri fossili viventi, che premono dal basso

con i loro istinti.

Ma perché sono ancora presenti? Perché questi istinti sono sempre stati essenziali (nel corso delle

varie tappe evolutive) per la conservazione della vita e per la riproduzione: senza di essi i nostri

progenitori non avrebbero potuto sopravvivere e moltiplicarsi. Questa capacità di reagire

all’ambiente faceva parte del patrimonio genetico, ed è stata trasmessa nel corso delle generazioni.

Noi stessi continuiamo a usufruirne, in ogni istante della nostra vita: basti pensare, infatti, che oltre

alle emozioni legate a questi istinti primari (come paura, odio, sonno, amore, rabbia ecc.) siamo

innalzato. Queste situazioni sono le fonti primarie d’attivazione. Si possono distinguere almeno tre fonti principali di

attivazione; l’azione di ciascuna di esse è trasmessa attraverso la formazione reticolare attivatrice e, più precisamente,

per mezzo delle sue varie parti.[…]. La prima di queste fonti comprende i processi metabolici dell’organismo o come

sono qualche volta chiamati, la sua ‘economia interna’. I processi metabolici che portano al mantenimento

dell’equilibrio interno dell’organismo (omeostasi) nelle loro forme più semplici sono connessi con i processi respiratori

e digestivi, con il metabolismo degli zuccheri e delle proteine, con la secrezione interna, e così via; essi sono tutti

principalmente regolati dall’ipotalamo. La formazione reticolare del midollo (bulbare) e del mesencefalo (mesencefalo-

ipotalamica) strettamente connessa con l’ipotalamo, gioca un ruolo importante nelle forme d’attivazione più semplici e

‘vitali’. Forme più complesse di questo tipo di attivazione sono connessi con i processi metabolici organizzati in certi

sistemi comportamentali innati; sono largamente noti come sistemi istintivi (o riflessi incondizionati) per la regolazione

del cibo e del comportamento sessuale.[…]. La seconda fonte di attivazione ha un’origine completamente diversa. È

connessa con l’arrivo sul corpo degli stimoli provenienti dal mondo esterno e porta alla produzione di forme

completamente diverse d’attivazione, che si manifestano come un riflesso d’orientamento. È quindi perfettamente

naturale che esistano nel cervello speciali meccanismi che provvedono ad una forma tonica d’attivazione e, in

particolare, nelle strutture della formazione reticolare, che usano come loro fonte l’afflusso d’eccitazione proveniente

dagli organi di senso e che possiedono un’intensità pari a quella della fonte d’attivazione appena nominata” A. R. Luria,

Come lavora il cervello. Introduzione alla neuropsicologia, Società editrice il Mulino, Bologna 1977, pp. 61 – 64.

Page 25: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

24

permeati anche di istinti ancora i più inconsci; quelli per esempio del neonato, che comincia

improvvisamente a respirare senza che nessuno glielo abbia mai insegnato, o che ha già il riflesso

prensile, o quello di succhiare, o addirittura di camminare. Gli istinti sono « memorie » genetiche,

codificate dal DNA. Appartengono alla stessa categoria di « memorie » che fanno sì che l’uomo

possieda due mani, venti dita, trentadue denti e un solo naso. E fanno sì che il nostro cuore sappia

battere, le unghie crescere, le ghiandole secernere o i reni depurare, al di fuori della nostra volontà e

senza apprendimento. Sono meccanismi vitali innati, che ci danno la capacità di reagire bene con

l’ambiente e quindi di sopravvivere; un talento antichissimo, che si è arricchito nel corso di miliardi

di anni, modificandosi con l’evoluzione.

Non dobbiamo quindi stupirci se questi istinti, che appaiono così complessi, sono già innati:

ricordiamo che il principio, nell’essere unicellulare o nell'uomo, è sostanzialmente lo stesso.” 37

Negli animali superiori il cervello rettile diventa il servomeccanismo alla base di processi

neurologici superiori.38

Il cervello rettile domina il comportamento umano dalla nascita ai sette-otto mesi. In questa fase

della vita il bambino sviluppa i suoi primi movimenti organizzati (motricità, es. lo striscio). Egli è

molto attento alle sensazioni che vengono dal suo corpo e da quello delle persone che entrano in

contatto con lui, agli stimoli visivi e sensoriali in genere.39

Queste sensazioni sono vissute dal

37

P. Angela, L’uomo e la marionetta, Garzanti Editore, Milano 1981, pp. 156 –157. 38

“Ci rimane da esaminare, a grandi linee, la terza, e forse la piu interessante, fonte di attivazione, in cui l’unità

funzionale del cervello che ho appena descritto (formazione reticolare) gioca la parte più stretta, benché non sia la sola

struttura cerebrale connessa nella sua organizzazione. I processi metabolici o l’afflusso diretto d’informazione non sono

le sole fonti dell’attività umana ad evocare un riflesso d’orientamento.[…]. Finora, quando ho discusso i meccanismi di

funzionamento della prima unità funzionale, ho considerato le connessioni ascendenti del sistema reticolare attivatore.

Tuttavia, ho ricordato che esistono anche connessioni discendenti tra la corteccia e le formazioni più basse: sono queste

connessioni che trasmettono l’influenza regolatrice della corteccia sulle strutture inferiori del tronco cerebrale e che

costituiscono il meccanismo per mezzo del quale le configurazioni funzionali di eccitazione, che nascono nella

corteccia reclutano i sistemi della formazione reticolare del «vecchio» cervello e ricevono da essa la loro carica di

energia.[…].Le fibre discendenti, che corrono dalla corteccia prefrontale (orbitale e mediale) ai nuclei del talamo e del

tronco cerebrale, formano un sistema per mezzo del quale i livelli più alti della corteccia, che partecipano direttamente

alla formazione delle intenzioni e dei piani, reclutano i sistemi più bassi della formazione reticolare del talamo e del

tronco cerebrale, modulandone perciò il funzionamento e rendendo possibili le forme più complesse dell’attività

cosciente.” A. R. Luria, Come lavora il cervello. Introduzione alla neuropsicologia, cit., pp. 66 – 68. 39

L’attenzione elementare e involontaria permette agli esseri viventi d’essere presenti e di reagire agli stimoli

ambientali. Essa è da me definita risonanza elementare poiché, più che un atto passivo di ricezione sensoriale, è “una

sensazione locale (contatto, odore, rumore, luce) che si diffonde all’intero animale.” (J. Lerminiaux). La risonanza

elementare è quel fenomeno che tras-forma l’essere vivente nel momento stesso in cui entra in contatto con lo stimolo

esterno o due esseri che vengono in contatto tra loro. Utilizzando un’immagine metaforica in fisica la risonanza è quel

Page 26: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

25

bambino quale reazione corporea immediata allo stimolo, che gli permette di adattarsi alle

situazioni e persone dell’ambiente in una particolare ‘danza tonica’ (risonanza).40

Il bambino

vive tutto al presente: non appena gli stimoli cessano, le reazioni corporee si placano.41

Anche nell’uomo il cervello rettile è il cervello delle reazioni istintive: quando viviamo una

situazione che ‘sentiamo’ o ‘interpretiamo’ come minacciosa, questo cervello allerta tutto

l’organismo con le reazioni tipiche di fuga o attacco e le reazioni ormonali proprie della paura. La

reazione di questo cervello, immediata ed inconscia, ci salva la vita se un’automobile

improvvisamente sta per piombarci addosso, prima che i circuiti cerebrali superiori e consapevoli,

ma più lenti, diventino coscienti dell’accaduto e possano reagire. Le nostre reazioni automatiche

fenomeno per il quale se avviciniamo un diapason 125 che vibra ad un altro diapason 125, anche quest’ultimo inizia a

vibrare. Negli esseri viventi la risonanza è attivata dagli stimoli sensoriali e dalle loro più piccole variazioni

biologicamente significative, infatti essa permette l’adattamento ai cambiamenti delle situazioni esterne e le reazioni

fisiologiche e motorie necessarie.

“La risonanza è alla base dei processi attentivi: per esempio può essere osservata sin dalle prime settimane di sviluppo

del bambino con comportamenti organizzati definiti da Pavlov riflessi d’orientamento. In una prima fase si ha una

reazione di risveglio del bambino ad uno stimolo, quando il piccolo è sveglio fissa lo stimolo esterno e successivamente

inizia un’attiva ricerca dello stimolo stesso. Cessano movimenti ritmici di suzione, si hanno cambiamenti nella

frequenza respiratoria, vaso-costrizione periferica e dilatazione dei vasi della testa. Attraverso misurazioni

elettrofisiologiche si osserva inibizione del ritmo alfa e rafforzamento dei potenziali evocati. Luria riporta studi sul

complesso di risposte del riflesso di orientamento fatti da Sokolov 1960 e Vinogradova 1959, i quali dimostrano che le

manifestazioni della risposta di orientamento precedono la risposta specifica (ad esempio, costrizione dei vasi sanguigni

in risposta al caldo e loro dilatazione in risposta al freddo) e sono condizioni essenziali per la formazione di un riflesso

condizionato. Esse, quindi, pre-parano l’organismo. La reazione di orientamento è inoltre molto direttiva e selettiva in

quanto è attivata da ogni piccola variazione sensoriale e si disattiva solo quando lo stimolo è ripetuto nel tempo, per un

processo di adattamento, per cui è alla base di comportamenti organizzati, direttivi e selettivi.” Cfr. Ibidem, pp. 285 –

286. 40

“Studi effettuati sul canto degli uccelli e successivamente suffragati da ricerche sull’uomo spiegano i modelli secondo

cui il SNC percepisce i suoni ed i movimenti. Utilizzando complicate tecniche di elettrofisiologia, che consentono di

registrare con dei sottili elettrodi l’attività delle cellule nervose, si è visto che nei soggetti in esame si ha l’immediata

attivazione di aree cerebrali arcaiche (in circa 10 millesimi di secondo) e subito dopo (60 millisecondi) si attivano le

aree motorie (fonatorie o di movimento) corrispondenti al suono o al gesto osservato. Il SNC mette in relazione il suono

o il movimento che ha appena percepito con lo schema motorio che serve a produrre lo stesso suono, fonema o

movimento. Se queste aree motorie vengono distrutte il soggetto perde non soltanto la possibilità di eseguire quegli

stessi suoni o movimenti, ma anche quella di comprenderla.” A. Oliviero, I mattoni del linguaggio, in “Scienza e

Dossier”, (1986), n.8, pp. 60-62.

Questi studi evidenziano una tra le più importanti funzioni del C. rettile, quella di permettere all’essere vivente di

entrare in ‘risonanza tonico – motoria’ con gli stimoli che provengono dall’ambiente, favorendo così l’adattamanto, la

relazione e l’apprendimento inconsapevole. Quando maturano l’area pre-frontale della cosapevolezza (LeDoux) e le vie

di collegamento di questa con le aree attivatrici ed emozionali (formazione reticolare discendente) la risonanza può

diventare consapevole. 41

E’ tipica la reazione del bambino di due mesi che risponde con il sorriso ad un volto in movimento (Cfr R. A. Spitz, Il

primo anno di vita, Editore Armando Armando, Roma 1975), oppure il disagio fisico che il piccolo manifesta se tenuto

in braccio da una persona spaventata o in tensione.

Page 27: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

26

agli stimoli interni od esterni hanno origine qui. 42 Esse hanno il potere di sequestrare gli aspetti

superiori della coscienza se gli stimoli che riceviamo sono vissuti (o interpretati) come pericolosi.43

4) Il secondo cervello che si è sviluppato filogeneticamente è il paleomammifero. Esso contiene il

mesencefalo e il sistema limbico che avvolgono il cervello rettile. In particolare la maturazione

dell’amigdala prima (nucleo che attiva le reazioni emotive) e dell’ippocampo (preposto alla

memoria) verso i sette - otto mesi di vita del bambino, permettono lo sviluppo di nuove capacità: la

memoria e l’affettività.44

200 milioni d’anni fa, quando la terra era abitata dai grandi rettili, i dinosauri, fecero la comparsa i

nostri pro-genitori: i protomammiferi. Questi piccoli animali, simili a ratti, erano costretti a vivere

nel buio del sottobosco, in piccole caverne o di notte per evitare d’essere facili prede dei giganteschi

cugini, i dinosauri. In queste difficili condizioni ambientali il livello d’attenzione dei piccoli

mammiferi agli stimoli ambientali doveva essere molto alto ed essi svilupparono la capacità di ri-

conoscere ciò che entrava in contatto con il loro corpo, gli stimoli sonori, gli odori, e ciò che

potevano manipolare al buio per capire se erano alla presenza di pericolo o di cibo.45

E’ la

comparsa della capacità di costruire (o ricostruire) immagini mentali dalle esperienze vissute

(memoria), e le reazioni emotive corrispondenti: se il mammifero percepisce uno stimolo per

42

“ L’evoluzione potrebbe andare nel senso di rendere più veloce la cognizione, e il pensiero potrebbe così precedere

sempre l’azione ed eliminare dal repertorio comportamentale le azioni involontarie. Il costo però sarebbe altissimo. Ci

sono molte cose alle quali è meglio non pensare affatto: mettere un piede davanti all’altro, sbattere le palpebre quando

un oggetto si avvicina ai nostri occhi, calciare con l’angolazione giusta il pallone in porta, inserire il soggetto e il verbo

al posto giusto nella frase mentre parliamo, rispondere prontamente e adeguatamente al pericolo e così via. Le funzioni

comportamentali e mentali rallenterebbero in modo esasperante se ogni risposta dovesse essere preceduta dal pensiero.”

J. LeDoux, Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni, cit, pp. 183.

43

Cfr. D. Goleman, Intelligenza emotiva, RCS Libri, Milano (1999). 44

“ La ricerca di LeDoux e di altri neuroscienziati sembra ora indicare che l’ippocampo – per lungo tempo considerato

la struttura chiave del sistema limbico – è coinvolto nella registrazione e nella comprensione degli schemi percettivi più

che non nelle reazioni emotive. La principale funzione dell’ippocampo sta nel fornire un ricordo particolareggiato del

contesto, vitale per il significato emozionale; è l’ippocampo che riconosce il diverso significato, tanto per fare un

esempio, di un orso visto allo zoo o nel cortile di casa. Mentre l’ippocampo ricorda i fatti nudi e crudi, l’amigdala ne

trattiene, per così dire, il sapore emozionale. Se cercate di sorpassare una macchina su una strada a doppio senso di

marcia ed evitate per poco una collisione frontale, l’ippocampo ricorderà le specifiche dell’incidente, ad esempio su

quale tratto di strada vi trovavate, chi era con voi e l’aspetto dell’altra auto. Ma sarà l’amigdala che da quel momento in

poi vi farà sentire ansiosi ogni volta che cercherete di sorpassare in cicostanze simili. Come mi spiegò Le Doux:

‘L’ippocampo è fondamentale per riconoscere in un volto quello di tua cugina. Ma è l’amigdala ad aggiungere che ti è

proprio antipatica.” Ibidem, pp. 38 – 40. 45

“Questo indica che nel cervello mammifero è presente un’iniziale capacità d’analisi e di cogliere l’analogia.” J.

Lerminiaux, Gli organizzatori dello psichismo,cit., p. 18.

Page 28: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

27

esempio un suono, un rumore o tocca qualcosa già incontrato in precedenza, attiva tutta una serie di

reazioni corporee (reazioni emotive che originano dall’immagine costruita sull’esperienza passata e

non dalla percezione presente). Il ricordo, quindi, modifica il movimento (emotività reattiva). I

mammiferi vanno oltre le reazioni istintive immediate dei rettili, perché hanno la possibilità di

apprendere dall’esperienza (ritenerla in memoria) ed agire di conseguenza: il loro comportamento è

arricchito dall’esperienza, ma anche condizionato da essa.

La memoria permette il riconoscimento della prole e, quindi, la possibilità di allevare i piccoli;

favorisce i raggruppamenti tra membri della stessa specie e le reazioni di difesa da pericoli esterni al

gruppo.

Lo sviluppo della capacità di ritenere in memoria e di ri-conoscere fa si che il bambino manifesti

angoscia alla presenza dell’estraneo, egli riconosce e cerca volti noti (angoscia dell’ottavo mese,

Spiz R.).46

La relazione del bambino con il suo ambiente non è semplicemente tonica

(attivazione agli stimoli ambientali, c. rettile, risonanza elementare), ma tonico-emozionale (lo

stimolo suscita il ricordo di situazioni simili e il corpo si pre-para): per esempio quando la

mamma prepara il biberon, il bambino capisce che è il momento della pappa e si pre-dispone a

riceverla (si sviluppa la capacità di anticipare gli eventi).47

Il piccolo riconosce non solo la

persona, ma anche la sua disponibilità alla relazione. Egli ha memorizzato in situazioni

precedenti lo stato d’animo della madre corrispondente a quel tipo di tono muscolare, a quel

modo di muoversi, ecc. Attraverso gli indicatori fisiologici (le reazioni fisiche ed ormonali che

manifestano a livello ‘fisico’ la tensione emotiva) il bambino ‘sente’ quello che il genitore vive

durante l’approccio con lui o con l’ambiente. Questa tensione e le sue variazioni sono ‘registrate’

dal bambino attraverso i recettori cutanei e muscolari durante il contatto corporeo (attraverso la

46

Cfr. R. A. Spitz, Il primo anno di vita,cit. 47

“ Il bambino non reagisce unicamente in funzione della situazione presente, ma il suo comportamento è composto da

‘un’altra scena’ interiore che non può essere spiegata che tramite la presenza di immagini interiori non necessariamente

coscienti.” J. Lerminiaux, Gli organizzatori dello psichismo,cit., p. 17.

Page 29: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

28

sensibilità tattile, le tensioni muscolari, la respirazione, il ritmo cardiaco, ecc.).48

Queste

modificazioni toniche sono memorizzate (cervello mammifero, emozionale) assieme alle risposte

motorie e viscerali che hanno suscitato nel bambino. Il piccolo associa al gesto fatto con un certo

tono, velocità, ecc., di chi lo accudisce, la connotazione emotiva, sia essa positiva o negativa,

che ha sperimentato nelle precedenti esperienze: cioè se quel gesto specifico ha soddisfatto o

meno il suo bisogno biologico-psicologico. In questo periodo, quindi, inizia l’apprendimento

emotivo e il gesto si carica di affettività.

Wallon sostiene, infatti, che l’affettività origina da quel particolare legame tra il gesto, il tono

muscolare e il ricordo del benessere fisiologico che esso ha procurato (in seguito il solo gesto è

sufficiente a richiamare lo stato di benessere o malessere).49

Il vissuto emotivo trasmesso

dall’adulto al bambino in modo non consapevole attraverso i cambiamenti fisiologici

dell’organismo è appreso in modo acritico e rimane nella memoria inconscia del bambino poiché

non sono ancora mature le aree corticali e i lobi frontali (della consapevolezza).

La memoria trasforma la motricità (movimento organizzato) in psicomotricità: il bambino ha la

possibilità di introiettare (memorizzare) le sensazioni che vive durante il movimento (egli ha

48

“Pensieri e sensazioni vengono spesso comunicati per via non verbale, mediante movimenti del corpo. Lo studio di

questa materia è detto cinestetica. La cinestetica si occupa della scoperta dei continui adattamenti che costantemente

impegnano l’individuo, non sempre consapevole, in rapporto alla presenza e alle attività di altri individui. Il massimo

studioso americano di cinestetica, Ray L. Birdwhistell, è convinto che il comportamento cinestetico venga appreso e sia

sistematico e analizzabile. ‘Questo’ dice, ‘non nega la base biologica del comportamento, ma sottolinea gli aspett i

interpersonali, più che quelli espressivi, del comportamento cinestetico’. Proprio nel rapporto interpersonale con la

madre, per via esterocettiva e propriocettiva, [...]il bambino stabilisce i suoi primi scambi comunicativi.” A. Montagu,

Il linguaggio della pelle, Garzanti Editore, Milano 1989, p. 92. 49

“In rapporto con i suoi bisogni elementari (bisogno di essere nutrito, ma anche di essere cullato, girato su un fianco,

etc.) il bambino stabilisce le sue prime relazioni le quali divengono veramente importanti verso i 6 mesi. In questo

stadio, il bambino ha necessità tanto di cure materne quanto di essere l’oggetto di manifestazioni propriamente affettive

da parte del suo ambiente. Egli ha bisogno di manifestazioni di tenerezza (carezze, cullate, parole, risa, baci, abbracci),

che sono, d’altra parte, generalmente le manifestazioni spontanee dell’amore materno. Oltre le cure, da cui trae

beneficio, il bambino reclama in questo momento delle intenzioni d’affetto, degli scambi di per se affettuosi.

L’emozione domina, dunque, secondo H. Wallon, tutti i rapporti del bambino con il suo ambiente: egli non trae

solamente delle emozioni dall’ambiente circostante, ma tende a condividerle con il suo o con i suoi partner adulti. Per

questo H. Wallon parla di simbiosi, poiche il bambino è una sola cosa con il suo ambiente, di cui condivide le emozioni,

in tutte le sfumature, siano esse di gioia o di angoscia.” J. De Ajuriaguerra, Manuale di psichiatria del bambino,

Masson Italia Editori, Milano 1979, p.33.

“È H. Wallon che con la sua vasta opera dà l’avvio a questi interessanti studi, il cui obiettivo è di unificare il biologico

con il mentale. Tutta la sua produzione è basata sulla nozione fondamentale di unità funzionale, di unità biologica della

persona umana in cui psichismo e motilità non costituiscono più due campi distinti o giustapposti, ma rappresentano

l’espressione dei rapporti reali dell’essere e dell’ambiente. I presupposti dell’armonica evoluzione dell’intera

personalità umana risiedono, quindi, nel movimento, nella sua ontogenesi, iniziata sin dai primi mesi di vita intra-

uterina; il movimento prefigura le diverse direzioni che potrà prendere l’attività psichica.” C. Romano, Corpo itinerario

possibile. Una metodologia di formazione per gli insegnanti,cit. p.20.

Page 30: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

29

l’immagine dello sforzo e del tempo che occorrono per raggiungere un oggetto; il senso dello spazio

e del tempo nascono in questo periodo - Lerminiaux). Da questo momento l’azione è

condizionata dall’esperienza passata, dall’immagine del mondo che ci siamo costruiti (punto di

vista personale o posizionamento rispetto all’esperienza). Attraverso quest’immagine noi

interpretiamo le esperienze future.

5) La scomparsa dei dinosauri permette ai mammiferi di vivere all’aperto in grandi praterie.

Alcuni di essi sono scimmie dal cervello sviluppato (corteccia cerebrale). Queste assumono la

posizione eretta che favorisce una percezione più ampia e l’analisi del territorio per individuare la

preda o il predatore, permettendo di sviluppare strategie di caccia. Questi neo-mammiferi utilizzano

sempre più i sensi a distanza (vista ed udito) nella lotta quotidiana per la sopravvivenza.

“L’appartenenza a piccoli branchi facilita la comunicazione attraverso segni corporei (gesti e mimica diventano significativi). Nasce la trasmissione di rudimentali regole sociali utili per la sopravvivenza del

gruppo.” 50

Trascorrono milioni d’anni, i nostri pro-genitori migliorano la vita attraverso l’uso di strumenti

manuali (la stazione eretta permette di avere le mani disponibili). Si formano gruppi sempre più

numerosi, che richiedono regole sociali complesse e l’uso del linguaggio per poter meglio

comunicare (maturazione delle aree cerebrali del linguaggio). Si sviluppa l’apprendimento e la

tradizione: all’interno di gruppi numerosi vi è la specializzazione di compiti e ruoli ben precisi che

sono tramandati alla prole.

La motricità diventa abilità nel costruire e nell’inventare strumenti sempre più perfezionati che

diventano un’estensione dei sensi e delle capacità manuali.

La sopravvivenza del gruppo è resa possibile dalla capacità di riconoscere le intenzioni di uno

sconosciuto quando si avvicina ad esso. Questa capacità di comprendere le intenzioni dell’altro

50

J. Lerminiaux. Gli organizzatori dello psichismo, cit., p. 28.

Page 31: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

30

attraverso la gestualità è fondamentale per i cacciatori preistorici, quando capirsi con “un’occhiata”

può fare la differenza tra la vita e la morte.

La maturazione delle aree corticali frontali, e lo sviluppo ulteriore della corteccia, permettono agli

individui di anticipare mentalmente il risultato delle loro opere e di elaborare la conoscenza.51

Il

movimento può essere immaginato senza l’esperienza fisica diretta e diventa movimento

concettualizzato (psichico): movimento interiorizzato alla base delle emozioni e del pensiero.

L’uomo va oltre la realtà concreta che conosce, egli elabora, immagina e costruisce il futuro

(inventa l’immagine del futuro).

Il bambino sviluppa gradualmente queste tappe nella sua ontogenesi: l’acquisizione della stazione

eretta intorno ai dodici-quindici mesi è la conquista dello spazio e dell’autonomia. Egli ha la

possibilità di esplorare esponendosi a pericoli che aumentano l’ansia e i divieti dell’ambiente, di cui

non comprende il senso. La sua gestualità si arricchisce di significato relazionale ed emotivo, egli

può imitare con il gesto un oggetto o una persona assente comportandosi ‘come se’ fosse presente

(linguaggio analogico, corporeo). Il bambino può sottrarsi alle situazioni sgradevoli attraverso

l’autonomia di movimento acquisita, ed impara ad opporre il rifiuto (prima fase d’opposizione,

Spitz).

La successiva comparsa del linguaggio verbale (digitale) e di livelli d’attenzione superiori, verso i

due-tre anni, permette al bambino di entrare nel mondo umano della comunicazione, delle regole

familiari, sociali e dell’apprendimento.52

La parola si sostituisce sempre più al gesto e all’oggetto:

51

“L’homo erectus prima e l’homo sapiens poi, avevano bisogno dell’astrazione che gli permetteva di estrapolare da

una situazione dei dati utili al fine di risolvere delle difficoltà, prevedendo ciò che era possibile.” Ibidem., p. 31 52 Vygotskij riconosce un’origine sociale alle forme d’attenzione superiori. Egli sostiene che l’attenzione volontaria

(risonanza attiva) si distingue dalle elementari reazioni d’orientamento poiché essa non è di natura biologica, ma

sociale, e che questo può essere spiegato con l’introduzione di fattori che sono il prodotto non solo della maturazione

biologica, ma di quelle forme d’attività create nel bambino durante le sue relazioni con gli adulti: quando la madre

nomina un oggetto e lo indica con un dito, l’attenzione del bambino è attratta dall’oggetto, mettendo da parte gli altri

stimoli. La direzione dell’attenzione del bambino, ottenuta con la comunicazione sociale, parole e gesti, segna uno

stadio di fondamentale importanza nello sviluppo dell’organizzazione sociale dell’attenzione. Più tardi provocherà la

nascita di un tipo d’attenzione più complessa, l’attenzione volontaria (risonanza consapevole): con lo sviluppo del

linguaggio il bambino impara a nominare gli oggetti da solo distinguendoli dal resto dell’ambiente e dirigendo la

propria attenzione. La funzione che prima era svolta nella relazione con il genitore, ora diventa un modo di

organizzazione interna dei processi psicologici. Dall’attenzione esterna, socialmente organizzata, si sviluppa

l’attenzione volontaria del bambino che diventa un processo interno d’autoregolazione. Cfr. L. S. Vygotskij, Storia

dello sviluppo delle funzioni psichiche superiori e altri scritti, Giunti_Barbera, Firenze 1974.

Page 32: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

31

ad esempio il bambino può dire acqua per richiamare qualcosa che gli manca, ma di cui ha

l’immagine mentale. Egli può utilizzare la parola al posto del gesto e dire bacio per intendere

l’azione. Queste acquisizioni permettono al bambino più grande (verso i cinque-sei anni) di

accedere al pensiero astratto e di giocare con le immagini mentali (maturazione dei lobi frontali), ad

esempio egli può immaginare un cavallo alato. La possibilità di spaziare tra le esperienze e di

costruirne di nuove proietta l’uomo oltre la dimensione del bisogno immediato. Egli accede alla

dimensione umana della Scienza, dell’Arte e della Religione.53

In questa fase l’uomo diviene consapevole dei suoi stati emotivi: i sentimenti (maturano le vie di

collegamento tra cervello mammifero-‘emotivo’ e cervello umano-‘consapevolezza’).54

La sua

consapevolezza può includere anche i sentimenti che provano altre persone, attraverso lo sviluppo

dei ‘neuroni a specchio’ nell’area di Broca.55

La risonanza tonico muscolare del cervello rettile e

I termini in corsivo e tra parentesi sono stati aggiunti da me per sottolineare lo sviluppo del fenomeno della risonanza

che attiva e permette i livelli di attenzione superiori descritti da Vygotskij. 53

Cfr.J. Lerminiaux. Gli organizzatori dello psichismo, cit., p 31.

Il progresso verso il pensiero astratto non deve far dimenticare all’uomo il passato e la sua natura biologica ed

emozionale, questa spesso condiziona alla base le sue scelte. Questa è la sua origine e non il lato ‘oscuro’. Solo

attraverso la conoscenza e il rispetto della sua natura biologico-emozionale l’uomo può avere una base reale e solida per

i suoi Progetti. In caso contrario rischiamo l’alienazione e l’interferenza da parte di ciò che abbiamo negato nel nostro

cammino. 54

“In particolare la maturazione delle aree corticali pre-frontali, che sono in stretto collegamento con le aree emozionali

sottocorticali (cervello limbico ed in particolare l’amigdala), permettono al bambino di essere consapevole dei propri

stati d’animo, cioè di provare dei sentimenti su se stesso.” J. LeDoux, Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni,

cit., pp. 306. 55

“Se interpretiamo correttamente le intenzioni degli altri è proprio grazie ai neuroni-specchio, di cui solo i primati

(uomo e scimmie) sembrano essere dotati. L’esistenza di queste cellule nervose è stata scoperta da un gruppo di

ricercatori dell'Università di Parma: Giacomo Rizzolatti, direttore dell'Istituto di Fisiologia umana della Facoltà di

Medicina, Vittorio Gallese, docente di Fisiologia umana, Leonardo Fogassi, docente di Neuroanatomia e

Neurofisiologia e Luciano Fadiga, che attualmente insegna Fisiologia umana all’Università di Ferrara.[…]. ‘L’esistenza

di questo sistema è stata dimostrata per la prima volta applicando stimoli magnetici alla corteccia motoria di alcuni

volontari durante l’osservazione di varie azioni compiute da altri.’, racconta Luciano Fadiga, che ha effettuato lo studio

sull’uomo in collaborazione con i colleghi Giovanni Pavesi e Giacomo Rizzolatti. ‘Contemporaneamente registravamo i

potenziali elettrici evocati dagli stimoli visivi nei muscoli dell’arto superiore’. I potenziali aumentavano quando il

muscolo entrava in attività. ‘Abbiamo così scoperto, per esempio, che se il volontario osservava un movimento di

chiusura delle dita su un oggetto, le registrazioni dei potenziali elettrici evocati nei muscoli della sua mano necessari a

compiere lo stesso gesto subivano un forte incremento.’, spiega Fadiga. ‘Era come se l’osservatore replicasse

internamente l’azione osservata.’[…].L’area di Broca è considerata responsabile del linguaggio, ma non solo. Come

dimostrano immagini ottenute con la PET (tomografia a emissione di positroni, un esame che consente di fotografare le

varie aree del cervello al lavoro), quest’area è coinvolta nell’esecuzione di movimenti che s’immagina di eseguire.

Addirittura, questa struttura si attiva anche in persone che hanno subito lesioni cerebrali, quando cercano di muovere

una mano paralizzata.[…]. I neuroni specchio sembrano avere un ruolo fondamentale non solo a livello motorio, ma

anche nello sviluppo del linguaggio e di ogni altra forma di comunicazione consapevole.[…]. Esperimenti compiuti

all’Università di Parma, all’University of Southern California e alla Los Angeles School of Medicine confermano che il

sistema specchio nell’uomo si trova in una regione del cervello dietro la tempia, sul lato sinistro, che comprende l’area

del linguaggio.[…]. Le lesioni dell’area di Broca non solo provocano afasia (incapacità a parlare), ma impediscono

anche di decodificare le espressioni del viso o la mimica.[…]. Ad un gesto possiamo attribuire intenzioni, desideri e

Page 33: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

32

quella tonico emozionale dei mammiferi si trasformano in consapevolezza (sentimenti) ed

empatia nell’uomo: la capacità di ‘cogliere’ e ‘condividere’ stati emotivi propri e d’altre persone,

di ‘sentire ciò che l’altro sente’.56

Nell’adulto l’empatia può essere negata o razionalizzata per evitare il coinvolgimento emotivo, ma

in ogni caso essa è percepita inconsciamente dai cervelli più antichi attraverso gli indicatori

fisiologici (per risonanza).

Gli accenni alla filogenesi ed ontogenesi permettono di rilevare alcuni elementi di riflessione

sull’emotività.

Milioni d’anni or sono, quando i nostri antenati animali dovevano sopravvivere nella giungla, era

necessario avere un meccanismo di lotta o fuga dall’efficacia immediata (cervello rettile, attivatore).

Quando si era assaliti da un predatore, le reazioni emotive automatiche (istintive) potevano salvare

la vita. La sopravvivenza esigeva l’immediata dominazione della coscienza, per affrontare i pericoli

(Goleman). Con l’evolversi delle specie, la nascita dei primi raggruppamenti e delle prime città

(circa 10.000 anni addietro), la sopravvivenza cessò di dipendere dalla reazione istantanea di lotta o

fuga. Essa dipendeva dalla capacità di entrare in sintonia con gli altri, e con se stessi per il benessere

di tutti: l’empatia. Ma il nostro SNC è ancora programmato per la lotta o la fuga come se

fossimo nella giungla. Abbiamo comportamenti abnormi di collera o paura, con tutte le

reazioni fisiologiche ed ormonali tipiche di questi stati. Nelle nostre relazioni sociali, la

coscienza ingigantisce le problematiche e le vive con senso di pericolo costante. 57

Questa

significati che vanno al di là della situazione contingente. È la cosiddetta empatia, la capacità di ‘sentire insieme’,

condividere gioie e dolori altrui, commuoverci per un film o per una vicenda vera. Ora a queste emozioni può essere

attribuita una base neurobiologica. Gli studi di William Hutchinson, dell’Università di Toronto in Canada, hanno

dimostrato che nel cervello umano esistono neuroni che si attivano non solo quando si prova dolore, ma anche quando

si osserva un altro individuo provare dolore.” G. Rizzolatti, in Quark, (2001), pp. 60-66. 56

Quando vediamo qualcuno che si taglia sentiamo una reazione non volontaria immediata nel nostro corpo, di cui

prendiamo coscienza attraverso le reazioni emozionali fisiologiche che si attivano come se sentissimo noi stessi il

dolore (sentimento). L’empatia sembra, quindi, l’evoluzione consapevole del fenomeno di risonanza: la capacità innata

degli organismi viventi di essere attivati e presenti (essere con) agli stimoli ambientali ed interni. 57

“ I segnali in entrata provenienti dagli organi di senso consentono all’amigdala di analizzare ogni esperienza.[…].

Questo suo ruolo mette l’amigdala in una posizione di grande influenza nella vita mentale, facendone una sorta di

sentinella psicologica che scandaglia ogni situazione e ogni percezione, sempre guidata da un unico interrogativo, il più

primitivo:‘E’ qualcosa che odio? Qualcosa che mi ferisce? Qualcosa che temo? Se la risposta è affermativa[…]

Page 34: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

33

continua distorsione distrugge la nostra energia, impedisce spesso di raggiungere gli obiettivi

e lo sviluppo delle nostre potenzialità.58

Il fenomeno di risonanza (la capacità fondamentale per la sopravvivenza d’ogni organismo

vivente di essere attivato e presente agli stimoli ambientali, l’essere con) è alla base delle risposte

istintive (c. rettile), emotive (c. mammifero) ed empatiche (c. umano), ma il modo in cui entriamo

in risonanza con l’ambiente e con gli stimoli specifici può essere alterato da uno stato di allerta

eccessivo dovuto a fattori ambientali, educativi o culturali: se per esempio stiamo per attraversare

una strada molto trafficata il nostro livello di vigilanza, e quindi di risposta agli stimoli, aumenta.

l’amigdala scatta immediatamente, come una sorta di ‘grilletto’ neurale e reagisce telegrafando un messaggio di crisi a

tutte le parti del cervello.[…].Quando scatta l’allarme della paura, ad esempio, l’amigdala invia messaggi d’emergenza

a tutte le parti principali del cervello: stimola la secrezione degli ormoni che innescano la reazione di combattimento o

fuga, mobilita i centri del movimento e attiva il sistema cardiovascolare, i muscoli e l’intestino. Altri circuiti che si

dipartono dall’amigdala segnalano l’ordine di secernere piccole quantità di noradrenalina, un ormone che aumenta la

reattività delle aree chiave del cervello, comprese quelle che rendono più vigili i sensi, mettendolo in uno stato di

allerta. Altri segnali ancora attirano l’attenzione su ciò che ha scatenato la paura e preparano la muscolatura a reagire in

modo appropriato.[…]. La ricerca di Le Doux ha rivoluzionato la nostra comprensione della vita emotiva perché è la

prima ad aver scoperto l’esistenza di vie neurali emozionali che aggirano la neocorteccia. I segnali che prendono la via

diretta passante per l’amigdala corrispondono ai sentimenti più primitivi e potenti; la conoscenza di questo circuito è di

grande aiuto per spiegare la capacità dell’emozione di soffocare la razionalità. Questa scoperta capovolge l’idea

secondo la quale, per formulare le sue reazioni emozionali l’amigdala dipenderebbe totalmente dai segnali provenienti

dalla neocorteccia. Essa può invece innescare una risposta emozionale attraverso questa via d’emergenza.[…]. Con la

sua ricerca sulla paura negli animali, Le Doux rivoluzionò la nostra conoscenza sulle vie percorse nel cervello dai

segnali emozionali. In un esperimento fondamentale, condotto nel ratto, egli distrusse la corteccia uditiva e poi espose

gli animali ad un suono, associandolo alla somministrazione di uno shock elettrico. Ben presto, i ratti impararono a

temere il suono, anche se esso non poteva essere registrato dalla loro neocorteccia, ma prendeva la via diretta

dall’orecchio al talamo all’amigdala, evitando i circuiti superiori. In breve, i ratti avevano appreso una reazione emotiva

senza alcun coinvolgimento da parte dei centri corticali superiori.[…].‘Dal punto di vista anatomico, il sistema

emozionale può agire indipendentemente dalla neocorteccia’ mi disse LeDoux. ‘Alcuni ricordi e reazioni emotive

possono formarsi senza alcuna partecipazione cognitiva cosciente” D. Goleman, Intelligenza emotiva,cit, pp. 35 – 38.

La frase di LeDoux sottolineata è importante per comprendere come l’apprendimento emozionale può influire

inconsciamente sul nostro comportamento determinando reazioni e attitudini automatiche non desiderate se non

s’interviene in modo consapevole sui condizionamenti. 58

“Il rapporto tra antico e nuovo cervello, diceva il professor Mac Lean, si può paragonare al rapporto che vi è tra il ca-

vallo e il cavaliere. A volte il cavallo imbizzarrisce e può disarcionare il cavaliere[…]. Normalmente, però, è il cava-

liere che comanda e guida. Sta nella sua capacità (cioè nell’educazione) tener strette le briglie, reggersi bene in sella e

utilizzare le risorse del cavallo.

Un numero sempre crescente di ricerche mette in evidenza il ruolo essenziale del cervello antico, anche nel compor-

tamento quotidiano. Le emozioni primarie, come la paura, l’odio, l’amore, la collera (e anche l’istinto sociativo) ci

fanno agire in continuazione nella vita, anche se non ce ne rendiamo conto. Basti pensare all’influenza che hanno nel

lavoro, in famiglia, nei rapporti con il prossimo. Tutti gli stimoli che giungono dall’esterno mettono in mo to questi

meccanismi, e noi reagiamo in conseguenza, anche se « filtriamo » la nostra risposta attraverso l’educazione ricevuta.”

P. Angela, L’uomo e la marionetta,Garzanti Editore, Milano 1981, p.216.

Page 35: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

34

Attraverso il processo educativo impariamo ad accettare o rifiutare certe sensazioni o

comportamenti, diventando più sensibili ad essi.59

Il sistema nervoso reticolare (cervello rettile) agisce da filtro all’infinità di stimoli che riceve

attraverso i sensi. Esso attiva l’organismo in risposta a quelli ritenuti biologicamente significativi.

Con lo sviluppo del cervello mammifero (memoria, emotività) ed umano, questo cervello antico

(rettile) diviene il servo meccanismo delle credenze emotive e culturali: interpretazioni della

realtà che derivano dalle esperienze vissute o indotte (educazione). Per questo motivo possiamo

avere risposte emotive abnormi a stimoli di natura culturale e sociale. I condizionamenti, infatti,

alterano la capacità percettiva dell’individuo, poiché la coscienza è dominata dalle cose che è

programmata a desiderare o temere.60

Essi determinano il nostro particolare punto di vista e

reazioni automatiche secondo schemi di comportamenti appresi durante la storia personale. In

questo stesso modo il bambino perde la capacità istintiva d’ascolto dei suoi bisogni e la sostituisce

con i modelli appresi.

59

“Condizionamento della paura: questa è l’espressione che gli psicologi usano per indicare il processo grazie al quale una

cosa assolutamente innocua finisce per essere temuta in quanto viene associata, nella mente del soggetto, a qualcosa di spaventoso. Quando queste paure vengono indotte negli animali di laboratorio, osserva Charney, possono durare per anni. Nel

cervello, la struttura chiave che apprende, memorizza e mette in atto queste risposte di paura è il circuito che connette il talamo, l’amigdala e il lobo prefrontale - quello stesso circuito responsabile dei «sequestri» neurali.

Di solito, quando s’impara a temere qualcosa attraverso il condizionamento, la paura con il tempo svanisce. Questo

fenomeno sembra dovuto a un ri-apprendimento naturale, che ha luogo quando il soggetto si ri-imbatte nell’oggetto

temuto, in assenza di alcunché di veramente spaventoso. Ad esempio, una bambina che abbia acquisito la paura dei cani

perché inseguita da un pastore tedesco ringhiante, a poco a poco e spontaneamente si libererà di quella paura se, ad

esempio, il suo vicino di casa possiede un cane affettuoso e la bimba passa il suo tempo a giocare con lui.” D.

Goleman, Intelligenza emotiva, cit., p. 245.

Quando il trauma è incisivo nel vissuto della persona o le situazioni negative perdurano nel tempo, il condizionamento

si fissa nella mente e si manifesta nel comportamento. Il bambino con problemi psico-neuromotori impara spesso molto

presto ad associare le sue difficoltà alle reazioni emotive negative dell’ambiente, ciò causa un livello elevato di ansia

che esaspera e rende più sensibile il bambino alle sue difficoltà e più problematico il già precario controllo sul

movimento. 60

I vissuti emotivi traumatici comportano un pericoloso abbassamento della soglia neurale che fa scattare l’allarme;

l’individuo reagisce quindi ai normali eventi della vita come se si trattasse d’emergenze. Il circuito neurale inconscio

dell’amigdala sembra fondamentale per le impressioni emotive che vi si depositano in seguito all’impatto di un singolo

episodio traumatico o a vissuti crudeli inflitti nell’arco di anni. Cfr. D. Goleman, Intelligenza emotiva, cit. pp. 240 –

241.

Page 36: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

35

Spesso i circuiti più brevi e, quindi, più veloci dei cervelli più antichi impongono reazioni arcaiche

istintive o apprese dai modelli emozionali tipici dell’ambiente, prima ancora che il cervello

consapevole comprenda e possa inibire o contrastare le reazioni che si sono scatenate nel corpo.61

Altre volte sono proprio i cervelli superiori ad attivare reazioni emotive intense, attraverso i

circuiti che dalla corteccia vanno verso il cervello limbico e rettile (formazione reticolare

discendente). Ciò accade quando l’esperienza, i modelli socio-culturali ed educativi impongono

reazioni specifiche alle situazioni (credenze, interpretazioni). In quelle situazioni in cui l’individuo

sente minacciata la sua integrità, il cervello rettile, attivato dai cervelli superiori, mantiene uno stato

di allerta non legato necessariamente a fattori biologici.62

Il Sistema Nervoso Centrale apprende le reazioni agli stimoli interni ed esterni nell’impatto con

l’ambiente. La filogenesi e l’ontogenesi dimostrano che quest’apprendimento (memorie di strategie

risultate efficaci) si trasmette geneticamente, diventando patrimonio delle singole specie viventi: gli

istinti. Nell’uomo l’evoluzione sembra aver privilegiato l’adattabilità e l’apprendimento. La

plasticità del sistema nervoso del bambino permette l’apprendimento condizionando gli schemi 61

“Senza una pronta consapevolezza si esegue ciò che i vecchi sistemi cerebrali fanno a modo loro, anche se

l’intenzione di agire viene dal terzo sistema superiore. Inoltre, l’azione dimostra abbastanza spesso di essere l’esatto

opposto dell’intenzione originale. Ciò accade quando l’intenzione di agire viene dal sistema superiore, il cui legame con

le emozioni è debole, e costringe all’azione i sistemi inferiori, che hanno legami molto più forti con esse, a causa della

maggior velocità e della riduzione del ritardo fra intenzione ed esecuzione.

In tali casi l’azione più veloce ed automatica dei sistemi inferiori cerebrali fa sì che la parte di azione corrispondente al

sentimento più intenso sia eseguita quasi immediatamente, mentre la parte che è in relazione al pensiero (proveniente

dal sistema superiore) arriverà lentamente, quando l’azione è quasi completata o addirittura finita.” M. Feldenkrais,

Conoscersi attraverso il movimento, Celuc Libri, Milano 1978, p. 52.

Alcune volte il cervello consapevole non riesce a modificare reazioni emozionali intense se i cervelli più arcaici non

cessano il loro predominio: se una persona soffre di vertigini, serve a ben poco dire a se stessi che in una situazione

d’altitudine non c’è pericolo. Precedenti esperienze, anche inconsce, condizionano il vissuto attuale. Cfr. Le Doux. Il

cervello emotivo. Alle origini delle emozioni, cit. .

“Alcune ricerche hanno dimostrato che nei primi millisecondi della percezione non solo comprendiamo in modo

inconscio quale sia l’oggetto percepito, ma decidiamo anche se esso ci piace o no; l’inconscio cognitivo presenta poi

alla nostra consapevolezza non solo l’identità di ciò che vediamo, ma anche un vero e proprio giudizio su di esso. Le

nostre emozioni hanno una mente che si occupa di loro e che può avere opinioni del tutto indipendenti da quelle della

mente razionale.” D. Goleman, Intelligenza emotiva,cit., p38. 62

Moltissime situazioni rispecchiano quanto detto, a titolo d’esempio ricordo le emozioni che si vivono quando si vince

una gara sportiva; la sensazione di disagio che si prova quando non siamo vestiti in modo adeguato o la tensione e

l’eccitazione che si provano prima di affrontare un esame importante, ecc. Qualche volta l’eccessiva consapevolezza

può bloccare emotivamente o paralizzare la persona di fronte ad un’esperienza attivando uno stato di allerta

sproporzionato. I bambini con problemi neurologici sono spesso consapevoli delle loro difficoltà motorie a causa delle

precedenti esperienze negative nell’approccio con gli oggetti o situazioni. Essi spesso si pre-dispongono fisicamente ed

emotivamente nel rivivere situazioni simili al passato alterando il tono muscolare. È come se anticipassero mentalmente

e fisicamente la difficoltà che andranno a vivere.

Page 37: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

36

istintivi. L’elemento importante che interviene in questa fase è il fattore educativo e culturale, che

incide fortemente e plasma l’aspetto genetico.63

Il piccolo dell’uomo non è in grado di affrontare la vita in modo indipendente per lungo tempo

dopo la nascita. Questo lungo periodo permette l’apprendimento di complessi modelli sociali come

il linguaggio, le reazioni emotive e i comportamenti tipici dell’ambiente in cui il bambino vive.64

Quest’apprendimento, che avviene soprattutto per condizionamento, si sostituisce progressivamente

alle reazioni istintive (emotive automatiche). Su queste, infatti, s’innestano i condizionamenti

inconsci appresi nel primissimo periodo di vita che possono scatenare reazioni emozionali intense

quando sono disattesi. Per questo motivo è predominante in noi la tendenza a conservare e

proteggere inflessibilmente le usanze abituali e i modelli personali.

63

“I geni ci danno la materia prima con la quale costruire le nostre emozioni. Specificano il tipo di sistema nervoso che

avremo, i tipi di processi mentali ai quali si può dedicare, e i tipi di funzioni fisiche che può controllare. Ma il modo

esatto in cui agiamo e pensiamo, e quello che proviamo in una particolare situazione sono determinati da molti altri

fattori e non sono scritti nei geni. Alcune e forse molte emozioni hanno una base biologica ma i fattori sociali, vale a

dire cognitivi, sono altrettanto cruciali. La natura e la cultura sono socie nella vita emotiva e il problema sta nello

scoprire quali siano i loro rispettivi contributi.” J. LeDoux, Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni, cit, pp. 141-

142.

“Durante lo sviluppo il sistema nervoso può essere considerato come una struttura 'ridondante' in quanto viene

programmata 'per eccesso', cioè con un numero di neuroni e di sinapsi superiori alle sue necessità. Se così non fosse il

rischio sarebbe troppo elevato in quanto una piccola lesione a carico di una catena nervosa o l’improprio funzionamento

di alcune sinapsi sconvolgerebbero dei programmi essenziali alla sopravvivenza. Tuttavia solo una parte di questa

massa di circuiti neuronici e sinapsi giocherà un ruolo critico nel cervello adulto, in quanto alcuni circuiti verranno

eliminati e altri stabilizzati. Il cervello può essere paragonato alla intricata e densa chioma di un albero, i cui rami e

rametti, cioè i diversi assoni, danno luogo a minute arborizzazioni, i dendriti e le sinapsi. La chioma di quest’albero è

ridondante all’origine, cioè nelle fasi iniziali dello sviluppo, ma ben presto viene sfrondata da un giardiniere che

consolida alcuni rami e ne pota altri inutili; a svolgere il compito di giardiniere, potando circuiti ridondanti, sono gli

stimoli che provengono dall’ambiente, gli eventi che a partire dagli stadi embrionali percorrono sotto forma di deboli

impulsi elettrici un determinato circuito, rafforzandolo e rendendolo funzionalmente efficiente mentre altri circuiti

alternativi decadono. In altre parole il programma dei geni non è da solo sufficiente per specificare la struttura e le

funzioni del cervello. I geni stabiliscono una traccia di connessioni essenziali ma queste vengono stabilizzate solamente

se vengono poste in funzione, se sono percorse da una serie di ripetitivi impulsi bioelettrici che lasciano il loro 'solco'

permanente. Ciò si verifica, come vedremo, per i circuiti nervosi coinvolti nella memoria e nell’apprendimento ma

anche per quelli, apparentemente meno complessi e suscettibili di modifiche, che riguardano i rapporti tra nervo e

muscolo, i riflessi, i comportamenti stereotipati.” A. Oliviero, Memorie di un neonato, in “Scienza e Dossier”, cit.,

pp27 –28.

Il bambino con paralisi cerebrale infantile è bloccato nelle sue potenzialità a causa del danno neurologico, esso altera il

programma di base e gli impedisce le normali esperienze sensomotorie. Ciò può essere aggravato da una non adeguata

educazione al movimento o da un vissuto negativo della sua condizione. 64

“Lo sviluppo del neonato umano procede molto lentamente rispetto ad altre specie animali. Questo esteso periodo di

plasticità postnatale permette una lunga esposizione all’ambiente circostante e una lunga fase di apprendimento.

L’evoluzione ha imboccato questa strategia nella specie umana preferendo, rispetto ad un ‘capitale’ di istinti preformati,

un lungo periodo di accumulo di comportamenti legati all’apprendimento individuale, all’esposizione all’ambiente e

alla cultura. Perché ciò si verifichi è necessario che il cervello sia capace di ‘assorbire’ stimoli e di modificare le sue

funzioni in particolari fasi dello sviluppo.” A. Oliviero, L’influenza dell’ambiente, in “Scienza e Dossier”, N.8, (1986),

p. 46.

Page 38: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

37

L’acquisizione di modelli di comportamento sociale ed emotivi avviene in gran parte nei primi

anni di vita del bambino. In questo periodo egli non è consapevole, non è possibile per lui

analizzare e contrastare i messaggi che riceve, anche se non si adattano ai suoi bisogni. Queste

acquisizioni rimangono inconsce, poiché non sono maturate le aree del linguaggio e

dell’elaborazione cosciente (lobi frontali), ma condizionano il futuro apprendimento cognitivo ed

emozionale.

Il bambino può entrare in risonanza con altre persone inconsciamente (c. rettile e mammifero) o

consapevolmente (c. umano) utilizzando il contatto fisico e, successivamente, quello dei sensi a

distanza: vista e udito. Per questo motivo essi diventano i sensi deputati alla difesa. Attraverso la

maturazione delle vie intra ed interemisferiche, che permettono di mettere in comunicazione tra loro

i cervelli arcaici con quelli più recenti e le varie aree cerebrali tra loro, le sensazioni e le esperienze

sono elaborate in modo da essere patrimonio comune del sistema nervoso e quindi di tutto l’essere.

Attraverso i neuropeptidi e i neurotrasmettitori il SNC, il sistema immunitario, endocrino e molti

organi interni sono informati ed informano l’intero ‘corpo-mente’ circa ciò che succede dentro

l’organismo nell’impatto con l’ambiente esterno.65

I cervelli antichi sono preposti, evolutivamente, agli automatismi di movimento ed emotivi

permettendo all’individuo di sfruttare l’istinto o l’apprendimento consapevole o non consapevole

senza dover re-imparare.66

Questo stesso processo può rendere difficile il cambiamento se non

intervengono fattori esterni che lo favoriscono.

65

Riferimenti alla Psiconeuroimmunologia si possono trovare in: D. Goleman, Intelligenza emotiva, cit., pp. 200-202.,

F. Capra, La rete della vita. Una nuova visione della natura e della scienza, RCS Libri, Milano 2001., pp 306 – 314. 66

“Si ritiene oggi che il cervello contenga molteplici sistemi di memoria. La memoria cosciente, dichiarativa o esplicita,

è mediata dall’ippocampo e dalle aree corticali connesse, mentre le diverse forme di memoria inconscia o implicita sono

mediate da altri sistemi. Un sistema di memoria implicita è quello della memoria emotiva (paura) che comprende

l’amigdala e le aree collegate. In situazioni traumatiche, il sistema implicito e quello esplicito funzionano in parallelo.

In seguito, l’esposizione agli stimoli presenti durante il trauma può riattivare entrambi i sistemi. Attraverso il sistema

dell’ippocampo, ricordate con chi eravate e cosa facevate durante il trauma, e anche il fatto nudo e crudo che la

Page 39: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

38

Quando si evolve il cervello mammifero (memoria ed apprendimento), la risonanza favorisce nel

bambino l’apprendimento emotivo non cosciente, cioè il modo particolare di rispondere agli stimoli

specifico per l’ambiente sociale in cui vive. L’apprendimento emozionale non cosciente è veicolato

dalle risposte emotive delle persone che lo circondano. Il comportamento emotivo si manifesta

attraverso risposte fisiologiche ed è in gran parte non consapevole.

Il bambino molto piccolo si adatta all’ambiente esterno attraverso la risonanza tonica

muscolare e viscerale (Cervello rettile). Successivamente, con lo sviluppo della memoria,

dell’apprendimento emotivo e della consapevolezza, il bambino impara a ri-conoscere e a ‘ri-

sentire’ su di sé i vissuti propri e dell’altro: egli può diventare cosciente delle manifestazioni

emozionali insite nel suo patrimonio genetico (istinti) attivate e vissute durante

l’apprendimento emozionale.67

Le emozioni si manifestano (consciamente o no) attraverso gli indicatori fisiologici

dell’emotività: complesso di reazioni ormonali e comportamentali che indicano e rivelano

l’estrinsecarsi di un vissuto emotivo.68

Il vissuto corporeo determina quello psichico e non viceversa.69 A sua volta l’esperienza fisica,

mediata dalla relazione con le altre persone, è condizionata dallo psichismo di queste (per

situazione era atroce. Attraverso il sistema dell’amigdala (inconscio), gli stimoli provocheranno tensione muscolare,

variazioni della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca, il rilascio di ormoni e altre risposte fisiologiche e

cerebrali. Siccome i sistemi sono attivati dagli stessi stimoli e funzionano contemporaneamente, i due tipi di memoria

sembrano far parte di un’unica funzione della memoria. Soltanto distinguendoli, soprattutto grazie agli esperimenti con

animali ma anche mediante delle ricerche su rari pazienti umani, siamo riusciti a capire come i sistemi della memoria

operino in parallelo per produrre delle funzioni della memoria indipendenti.” J. LeDoux, Il cervello emotivo. Alle

origini delle emozioni, cit, pp. 209. 67

“I sentimenti costituiscono le esperienze soggettive attraverso le quali conosciamo le nostre emozioni, e sono la

caratteristica dell’emozione per la persona che prova tali sentimenti. Non tutti i sentimenti sono delle emozioni, ma tutte

le esperienze emotive coscienti sono dei sentimenti, come ha spiegato in maniera notevole Damasio (1994).” Ibidem, p.

336 68

“Il corpo è essenziale per un’esperienza emotiva, perché fornisce le sensazioni che danno all’emozione il suo sapore

immediato, oppure perché ha fornito nel passato le sensazioni che hanno creato i ricordi con quel sapore.” Ibidem, p.

308.

Page 40: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

39

risonanza). L’apprendimento è reso ancora più complesso dalla particolare predisposizione genetica

(temperamento) che può condizionare alla base le esperienze. Non appena il vissuto psichico si

specifica, guida e condiziona le successive esperienze fisiche, mentali e psicologiche.70

“L’acquisizione definisce la capacità del soggetto di selezionare e conservare piuttosto che di

sopprimere o rimuovere (aree ipotalamiche della gratificazione e del castigo) quanto ha appreso:

molte sono le cose che un bambino con paralisi cerebrale infantile (PCI) può apprendere e rendere

possibili, assai meno quelle che può fare proprie e rendere probabili. Solo un apprendimento

acquisito, cioè integrato e reso stabile, può rendere possibile una scelta. In questo senso la

69

“Il periodo post-natale rappresenta una fase di intense modifiche, ma queste si verificano anche durante il resto della

vita e permettono di immagazzinare o di ristrutturare nuove esperienze. Per stabilire quali siano le basi biologiche di

questo processo i ricercatori hanno utilizzato diverse strategie.[…]. Due ricercatori premiati con il Nobel per le loro

ricerche, D. H. Hubel e T. M. Wiesel, hanno condotto degli esperimenti sugli effetti della deprivazione visiva nel

gatto.[…]: nella corteccia visiva dei mammiferi esistono delle cellule che rispondono a stimoli che abbiano una

configurazione simile a barre verticali oppure diagonali o orizzontali. È stato effettuato un esperimento in cui dei gattini

indossavano dei particolari occhialini che lasciavano filtrare verso l’occhio destro delle immagini a strisce verticali e

verso quello sinistro delle immagini a strisce orizzontali. I gattini indossavano questi occhialini per alcune ore al giorno

mentre per il resto della giornata stavano in un l’ambiente privo di stimoli visivi. Dopo tre mesi di questo trattamento le

cellule corticali dei gattini avevano subito delle evidenti modifiche. Quelle che rispondevano all'occhio che aveva

captato soltanto delle linee orizzontali si dimostravano recettive soltanto a questo tipo di messaggio mentre quelle che

rispondevano all'occhio che aveva visto soltanto linee verticali si dimostravano recettive soltanto agli stimoli verticali.

Queste modifiche indicano che la fase dello sviluppo è estremamente sensibile agli effetti della deprivazione sensoriale.

Nell'uomo questi studi sono stati condotti […] su persone astigmatiche, un difetto visivo che rende meno distinta la

percezione delle linee che abbiano un particolare orientamento, per esempio quelle verticali, mentre altre linee, per

esempio quelle orizzontali, vengono percepite in modo normale. Anche in seguito a una correzione della vista con

occhiali adatti, gli astigmatici vedono con minor acutezza le linee con quel particolare orientamento: ciò sta a indicare

che la minor acutezza visiva per stimoli caratterizzati da un particolare orientamento non dipende soltanto dal difetto

oculare ma dalla codificazione a livello della corteccia visiva che risente negativamente per non essere stata esposta,

durante lo sviluppo, a stimoli appropriati.” A. Oliviero, Linfluenza dell’ambiente, in Scienza e Dossier, (1986), n.8, pp.

46 – 49.

Il bambino con PCI molto spesso perde l’opportunità di vivere le tappe dello sviluppo motorio nei tempi e modi dovuti.

Possiamo comprendere il danno che ne consegue per il suo apprendimento futuro. Oltre al danno neurologico-lesionale

primario il bambino subisce un danno neurologico-disfunzionale dovuto al mancato o distorto apprendimento

sensomotorio. 70

“Le nostre risposte all’ambiente sono determinate non tanto dall’effetto diretto degli stimoli esterni sul nostro sistema

biologico quanto dalla nostra esperienza passata, dalle nostre attese, dalle nostre intenzioni e dall’interpretazione

simbolica individuale della nostra esperienza percettuale. Il debole odore di un profumo può evocare in noi gioia o

tristezza, piacere o dolore, attraverso la sua associazione con l’esperienza passata, e la nostra reazione varierà

conformemente. Così i mondi interno ed esterno sono sempre interconnessi nel funzionamento di un organismo umano;

essi agiscono uno sull’altro e si evolvono assieme. Come esseri umani, noi plasmiamo in modo molto efficace il nostro

ambiente perché siamo in grado di rappresentare il mondo esterno simbolicamente, di pensare per concetti e di

comunicare i nostri simboli, concetti ed idee.” F. Capra, Il punto di svolta. Scienza, società e cultura emergente,cit.,

pp.245 – 246.

Page 41: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

40

dimensione percettiva (attenzione e tolleranza) e la dimensione intenzionale (soddisfazione e

pulsione) si rivelano determinanti.”71

Il bambino attraverso la memoria (le esperienze che vive e gli rimanda l’ambiente) crea

l’immagine di sé e del mondo (credenze).

Quando maturano i centri nervosi superiori (C. mammifero o umano) è sufficiente l’attivazione

dell’immagine interna o il linguaggio per suscitare reazioni emotive inconsce o coscienti.72

Con la maturazione della corteccia cerebrale, delle aree del linguaggio e dei lobi frontali (cervello

umano) la risonanza tonica emotiva può diventare consapevole, questa è la base neurologica

dell’empatia. Essa, però, può essere bloccata da un’attitudine emozionale di difesa appresa

inconsciamente durante l’apprendimento emotivo.

Ciò che sentiamo e sperimentiamo attiva determinati circuiti del S.N.C e nei mammiferi l’azione

va in memoria. Quando immaginiamo un’azione fatta e sentita molte volte si riattivano gli stessi

circuiti che determinano dei cambiamenti fisiologici nel corpo, gli stessi che sono avvenuti durante

71

A. Ferrari, Proposte riabilitative nelle paralisi cerebrali infantili,cit., pp. 52 – 53. 72

“Il linguaggio, dice giustamente il biologo H. Laborit, ha trasferito su un piano simbolico una minaccia concreta: non

è più solo l’immagine del coltello che può far scattare una reazione di difesa ma una semplice parola: un insulto. L’an-

tico cervello reagisce con un impulso di fuga o di lotta, che viene filtrato dal nuovo cervello attraverso l’astrazione del

linguaggio. La risposta può anche essere una pugnalata simbolica attraverso una frase perfida. E non è necessario che

l’insulto sia volgare: può anche vestirsi di un linguaggio raffinato e apparentemente calmo.

Ecco dunque in che modo gli istinti e le emozioni primitive continuano ad operare attraverso il nuovo cervello e il filtro

dell’educazione. Vi è una linea a due sensi tra l’antico cervello e la corteccia, in interazione continua: le memorie

acquisite « interpretano » la realtà e la comunicano all’antico cervello, che reagisce seguendo antichi istinti di

sopravvivenza. Questa sovrapposizione continua, tra memorie genetiche e acquisite, determina il comportamento.

Se osserviamo con quest’ottica il nostro comportamento di ogni giorno ci rendiamo conto che la « caldaia » preme in

continuazione e ci spinge ad agire, a costruire, a combattere, a godere, a difenderci. L’educazione avvolge il

comportamento primitivo in un diverso involucro, ma sostanzialmente obbedisce a certi fondamentali istinti primitivi.

Le società, anzi, hanno via via creato dei sistemi che poggiano proprio sulla sopravvivenza dell’individuo e della specie.

L’organizzazione per difendere 1’uomo dai pericoli, la costruzione di case e di prigioni, l’assistenza ai malati ecc. e tutti

i « valori » che accompagnano la vita sociale, rispondono appunto a questa esigenza di base.” P. Angela, L’uomo e la

marionetta,cit., pp. 216 – 217.

Page 42: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

41

il vissuto concreto dell’esperienza.73

Dal S.N.C arrivano ai muscoli impulsi simili a quelli

sperimentati durante il vissuto pratico dell’azione e si osservano i micro-movimenti.74

La calibrazione (osservazione del vissuto emozionale attraverso gli indicatori fisiologici) si

sviluppa con la maturazione corticale: cervello sinistro (analitico) e destro (sintetico).75 La capacità

di analizzare e cogliere la globalità di un’attitudine nasce dalle esperienze già vissute attraverso la

risonanza tonica e successivamente attraverso la risonanza tonico- emozionale. Queste esperienze

sono ‘ri-conosciute’ poiché fanno parte del nostro bagaglio d’esperienze corporee coscienti ed

inconsce.76

Verso la fine dell’infanzia, lo sviluppo del linguaggio verbale e l’educazione spostano l’attenzione

verso gli aspetti digitali della comunicazione (linguaggio verbale e cultura), ma l’apprendimento

tonico emozionale continua a livello inconscio attraverso la risonanza.

73

“Donald Hebb, un celebre psicologo canadese.[…]. Ipotizzò che quando un neurone invia ripetutamente dei messaggi

bioelettrici a un altro neurone, che li capta a mezzo dei dentriti, il secondo neurone diviene gradualmente più sensibile

ai messaggi del primo. Questi neuroni, legati tra loro in modo funzionale, farebbero parte di un ‘anello’ costituito da

diversi neuroni che in seguito ad un impulso, formerebbero una sorta di circuito riverberante, cioè percorso da una

corrente elettrica in modo circolare. Questa situazione sarebbe alla base della memoria instabile o a breve termine

mentre ripetute stimolazioni produrrebbero delle modifiche permanenti nella struttura neuronica che sarebbero alla base

della memoria duratura o ‘a lungo termine’. ” A Oliviero, Biologia dei ricordi, in Scienza e Dossier, (1986), n. 8, pp. 38

– 40. 74

I micromovimenti possono essere misurati attraverso sofisticati strumenti elettronici e sono ‘registrati’, spesso

inconsapevolmente, dall’interlocutore all’interno di una relazione. Cfr. D. Goleman, Il cervello emotivo, cit., p. 145. 75

“Le ricerche eseguite nel corso degli ultimi vent’anni hanno dimostrato costantemente che i due emisferi del cervello

tendono a essere implicati in funzioni opposte ma complementari. L’emisfero sinistro, che controlla il lato destro del

corpo, sembra sia più specializzato nel pensiero analitico, lineare, che implica un’elaborazione sequenziale

dell’informazione; l’emisfero destro, che controlla il lato sinistro del corpo, sembra funzionare prevalentemente in

modo olistico che è appropriato per la sintesi e tende a elaborare l’informazione in modo più diffuso e simultaneo.” F.

Capra, Il punto di svolta. Scienze, società e cultura emergente,cit., p. 244. 76

Il ri-conoscimento delle reazioni e comportamenti emotivi è solo il primo ma indispensabile passo verso la

consapevolezza dei moti emozionali. D’altra parte condividiamo questa esperienza con la maggior parte degli esseri

viventi. “Quando i comportamenti emotivi agiscono in un animale dotato di consapevolezza, si producono sentimenti

emotivi coscienti. Negli umani ciò avviene sicuramente, mentre non si sa fino a che punto altri animali abbiano questa

capacità. Non affermerò che certi animali sono coscienti e altri no, ma che quando uno di questi sistemi evolutisi molto

tempo fa (quello che produce i comportamenti difensivi in caso di pericolo, per esempio) opera in un cervello cosciente,

ne risultano dei sentimenti emotivi come la paura. Se così non fosse il cervello raggiungerebbe i suoi scopi emotivi in

assenza di una forte consapevolezza che, in tutto il regno animale, è l’eccezione piuttosto che la regola. Se i sentimenti

coscienti non spiegano il comportamento emotivo di certi animali, allora non servono nemmeno a spiegare quel

comportamento negli esseri umani. Le reazioni emotive sono generate per lo più inconsciamente. Freud aveva colpito

nel segno definendo 1’Io conscio come la punta di un iceberg.” J. LeDoux, Il cervello emotivo. Alle origini delle

emozioni, cit, p. 19.

Page 43: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

42

Dalle riflessioni all’approccio efficace.

Ogni organismo vivente tende spontaneamente all’equilibrio dinamico interno (omeostasi), quindi

si riconosce la tendenza innata dell’organismo a guarirsi da sé.77

Il paziente, come tutti gli esseri viventi, tende spontaneamente a ritrovare il suo equilibrio interno

se posto nelle condizioni adatte.78

La seduta terapeutica può essere utilizzata come momento

catalizzatore di questo processo. Quando ciò avviene il paziente attiva spontaneamente le sue

potenzialità residue e diviene colui che indica le direttive del trattamento. Il terapista deve saper

leggere attraverso il linguaggio analogico (corporeo), e digitale (verbale) del paziente il percorso

che sta vivendo per poterlo guidare a raggiungere questo fine.

La conoscenza della maturazione del sistema nervoso centrale attraverso la filogenesi e

l’ontogenesi, permette al terapista di risalire al blocco evolutivo del paziente. Questa conoscenza gli

permette di pianificare il trattamento idoneo. Egli potrà utilizzare un modo specifico di porgere gli

stimoli sensoriali e il movimento adatto a quel paziente.

Il fenomeno di risonanza, alla base della relazione tonica muscolare (cervello rettile), può essere

utilizzato consapevolmente (attraverso l’aptonomia ed il prolungamento) per guidare il paziente con

le metodiche riabilitative.

77

Cfr F. Capra, Il punto di svolta.Scienza, società e cultura emergente,cit. 78

“Un organismo vivente è un organismo auto-organizzantesi: ciò significa che il suo ordine e la sua struttura e

funzione non sono imposti dall’ambiente ma sono stabiliti dal sistema stesso. I sistemi auto-organizzantisi manifestano

un certo grado di autonomia; per esempio, tendono a stabilire le loro dimensioni secondo principi di organizzazione

interni, indipendenti da influenze ambientali. Ciò non significa che i sistemi viventi siano isolati dal loro ambiente; al

contrario, essi interagiscono con esso di continuo, ma quest’interazione non determina la loro organizzazione. I due

fenomeni dinamici principali dell’auto-organizzazione sono l’autorinnovamento - la capacità dei sistemi viventi di

rinnovare e riciclare di continuo i loro componenti, conservando l’integrità della loro struttura complessiva - e

l’autotrascendenza - la capacità di superare creativamente confini fisici e mentali nei processi d’apprendimento,

sviluppo ed evoluzione.[...]. La relativa autonomia degli organismi aumenta di solito con la loro complessità, e

raggiunge il suo culmine negli esseri umani.” Ibidem, pp. 224 – 225.

Page 44: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

43

La capacità del terapista di sentire lo stato tonico emozionale del paziente (risonanza, calibrazione,

empatia) è un modo efficace per capire la difficoltà, le sensazioni e i cambiamenti che egli vive.

Ciò permette al terapista di agire tempestivamente e armonicamente in accordo con l’immagine

interna del paziente.

La conoscenza dei meccanismi d’apprendimento dell’emotività toglie drammaticità ai vissuti

emozionali appresi inconsciamente. La comprensione che molti stati emotivi non fanno parte della

nostra natura, ma sono stati appresi e fanno parte del bagaglio culturale in cui viviamo, attiva in noi

la ricerca del nostro equilibrio interno al di fuori dei condizionamenti inutili e dannosi.

Attraverso tecniche di ristrutturazione (in Programmazione Neuro-linguistica), si utilizza il

cervello corticale per indurre i cambiamenti desiderati (ampliare le possibilità di scelta spesso

limitate da apprendimenti distorti o carenti, fenomeno frequente nei nostri pazienti).

Il terapista può utilizzare consapevolmente la propria immagine interna per creare lo spazio fisico

e mentale adatto al paziente, tutto il suo corpo si pre-disporrà per aiutare il paziente (risonanza

consapevole), la stessa conoscenza degli strumenti tecnici sarà adattata spontaneamente.

Il bambino con problemi neurologici apprende il movimento attraverso la limitazione della

patologia (esercita sempre gli stessi schemi limitati). Egli non ha la possibilità di vivere e

memorizzare sensazioni differenti nel suo corpo, quindi rimane prigioniero di quest’immagine

limitata, spesso confermata ed esasperata dall’ambiente emotivo che lo circonda (apprendimento

emotivo negativo, spesso inconsapevole). In questi casi occorre ristrutturare il movimento

utilizzando le metodiche riabilitative adatte. Si può aiutare il bambino a percepire stati tonici

muscolari differenti nel corpo al fine di costruire un’immagine più ricca e più vera di sé, libera dalle

sovrastrutture emotive che bloccano.

Page 45: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

44

Esistono tecniche che permettono di diventare consapevoli del linguaggio corporeo (calibrazione,

risonanza cosciente); altre aiutano nel guidare consapevolmente il paziente utilizzando l’approccio

tonico emotivo (aptonomia e prolungamento). Altre ancora permettono di indurre cambiamenti di

comportamenti indesiderati (ristrutturazione).

L’UOMO E L’EMOTIVITA’

Nella specie umana le risposte emotive si distinguono dai comportamenti degli organismi

primitivi. Esse si discostano dalla semplice ricerca del cibo, di protezione e di sopravvivenza, ma

alcune volte sono dominate da risposte abnormi agli stimoli, come se fosse in gioco la vita stessa.

Sappiamo godere di un meraviglioso paesaggio e piangere di gioia se incontriamo una persona

cara. Ma possiamo anche vivere livelli d’angoscia indicibili che possono portare all’annullamento

fisico della vita. Vi sono molti esempi di comportamenti emotivi che fanno comprendere che

l’uomo spesso si allontana drammaticamente dal suo equilibrio interno (omeostasi).

Come avviene l’apprendimento emotivo nella specie umana?

Immaginiamo di vedere un bambino di un anno e la sua mamma. Immaginiamo di seguirli nelle

attività della vita quotidiana. Tra la madre e il bambino vi è un continuo e reciproco scambio di

contatti visivi e tonici (le sensazioni di tensioni muscolari che riceviamo attraverso il contatto

fisico): c’è un continuo scambio di voci, parole, gorgheggi, carezze, richiami. Sono entrambi

immersi in un mondo di odori, profumi, latte, minestrine, e cacche. I loro visi e i loro gesti

cambiano espressione e si modulano tra di loro momento per momento.79

Immaginiamo adesso che la mamma esca con il piccolo in braccio. All’esterno ella incontra

un’amica. Si salutano. L’amica vezzeggia un po’ il bambino e poi le due donne si mettono a parlare.

Il bambino attraverso il tono muscolare della madre, il timbro di voce di lei, attraverso la sua

gestualità “sente” quello che la madre sta vivendo e adatta il suo tono muscolare.

Alcuni minuti più tardi accade un incidente ad un incrocio. Si sentono i rumori improvvisi e le urla

della gente. Immediatamente i muscoli della madre s’irrigidiscono. Ella stringe il bambino a sé

79

“Le più recenti ricerche della psicologia dell'età evolutiva segnalano la presenza nel neonato, fin dalle primissime

settimane di vita, di complesse capacità di discriminazione percettiva, nonché di coordinazione intermodale delle

differenti modalità percettive, di tipo audio-visivo, audio-motorio, visuo-motorio, ecc. (Meltzoff, 1981). Tale

coordinazione sarebbe dimostrata, tra l’altro, dalla precocità del bambino di imitare fin dalle prime settimane di vita,

alcune mimiche del volto materno, quali ad esempio la protrusione della lingua; imitazione che presuppone la coordi-

nazione di modalità percettive diverse, in particolare di tipo visivo (guardare il volto materno) e motorio (imitarne la

mimica), nonché la presenza di iniziali forme di rappresentazione del proprio e dell’altrui corpo (Mounoud, Vinter,

1981).[…]. L’analisi microanalitica delle osservazioni, svolte con tecniche di video-registrazione, in primis

dell’interazione madre-bambino, ha permesso infatti di evidenziare l’esistenza nella prima infanzia di originarie forme

di intersoggettività intercorrenti tra il bambino e i suoi partner, centrate sulla condivisione di affetti e di

conoscenze.[…]. Centrale in tale contesto sarebbe il gioco ‘faccia a faccia’ intercorrente tra madre e bambino,

caratterizzato da forme di imitazione reciproca, riscontrabili sia nelle madre che nel neonato (Bowlby, 1977; Stern,

1974). In tale gioco proprio l’imitazione reciproca, in particolare del comportamento mimico-espressivo materno da

parte del bambino, tramite una più sistematica attività di rispecchiamento e di ‘echeggiamento’ del comportamento

infantile da parte della madre, svolgerebbe la funzione cruciale di permettere un’originaria condivisione di stati emotivi,

agevolando lo stabilirsi del contatto relazionale tra i due membri della coppia.[…].Acquista così ulteriore forza e

significatività l’immagine del bambino come dotato fin dalla nascita di una competenza relazionale ‘preadattata’

all’incontro con un partner sufficientemente disponibile a facilitere lo sviluppo.” G. Gobbi, Processi psicoaffettivi

all’inizio della vita,in “Ricerche e Studi in Psicologia del Corpo e in Psicomotricità” , (2001), anno XI – n. 3, p 2 – 3.

Quanto descritto da Gobbi esprime il fenomeno di risonanza descritto in precedenza.

Page 46: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

45

mentre il suo respiro si fa corto e veloce. Il bambino attraverso il corpo della madre “sente” quello

che accade e collega nella sua memoria il vissuto tonico a ciò che ha visto.

Nel pomeriggio viene a trovarli a casa una persona cara che porta un bel vestitino al piccolo e una

camicetta alla madre. Questa tutta felice indossa subito il vestito al bambino. I suoi movimenti sono

veloci per la gioia, ma rassicuranti. Poi la madre e l’altra persona parlano delle loro amicizie in

comune, degli abiti alla moda, del comportamento scorretto di un vicino, ecc.

Il bambino attraverso la modulazione delle espressioni dei loro visi, delle voci e della gestualità, impara a conoscere il mondo e le reazioni emotive che si vivono nel suo ambiente. Il piccolo gradualmente impara a costruirsi una mappa del mondo in cui vive attraverso la mappa del mondo di chi lo accudisce. “La forma che ognuno di noi ha assunto in rapporto alle proprie emozioni origina dal tipo di

dialogo corporeo instaurato con i genitori fin dai primi giorni di vita (alfabeto emotivo primario –

W. Stern), in quel dialogo tonico, gioco espressivo e comunicativo sotteso all’alternarsi di

contrazioni e decontrazioni muscolari, si articola il primo linguaggio dell’affettività.”80

Prima ancora che maturi il cervello corticale analitico-razionale e del linguaggio, quindi, il

bambino diviene un “esperto” nella lettura del linguaggio corporeo, soprattutto di quegli aspetti di

esso che sono gli indicatori fisiologici dell’emotività.

Attraverso le variazioni fisiologiche non coscienti (reazioni emotive alle situazioni quotidiane) della madre o di chi lo accudisce, il bambino impara ad accettare o rifiutare certi oggetti o

situazioni, impara i comportamenti sociali e morali. Allo stesso modo in cui costruisce l’immagine

del mondo che lo circonda, il bambino costruisce l’immagine di sé. Quest’apprendimento non

avviene attraverso l’intelletto ma attraverso l’esperienza.81

Attraverso il fenomeno di risonanza il bambino riceve le informazioni dall’ambiente in cui vive e

si adatta ad esso, allontanandosi, a volte, dal suo sentire naturale biologico, per sostituirlo a quello

sociale, non sempre in armonia tra loro.82

Quest’apprendimento è non cosciente poiché nel bambino sono maturi i cervelli arcaici (rettile e

mammifero: attivatore e della memoria). Attraverso la funzionalità di questi cervelli sottocorticali il

bambino ha la possibilità di apprendere (o meglio vivere-sentire) le variazioni tonico-emotive della

madre e capire in quali momenti ella è disponibile per il cibo, per il gioco e per le coccole. Egli

apprende anche i segni che indicano se la madre è occupata, spaventata, stanca, ecc.

La comprensione di queste variazioni è vitale per il bambino, affinché egli possa adattarsi

all’ambiente e capire qual è il momento più opportuno per richiedere la soddisfazione e

l’espressione dei suoi bisogni. Qualche volta, però, egli può utilizzare questo apprendimento per

manipolare l’ambiente.

La capacità del bambino di adattarsi (essere in risonanza tonica) rimane per tutta la vita anche se

essa è di solito inconscia anche nell’età adulta.

80

Lezioni di neuropsichiatria della Dott.ssa Lucia Vannucchi che opera presso l’Associazione “la Nostra Famiglia”,

San Vito al Tagliamento (PN). 81

“Non è il bambino cui si dice ‘ti voglio bene’, che impara ad amare, ma il bambino che ha provato l’amore nella sua

vita. Egli vive e rimanda l’immagine che di lui ha l’ambiente.” G. Burbatti – I. Castoldi, Psicoterapia individuale

sistemica, Città Studi, Milano 1998, pp.99. 82

“La mappa del mondo intrapsichico del bambino appare concepita come abitata da specifiche configurazioni derivate

dall’incontro tra l’originaria competenza relazionale, patrimonio del bambino e le particolari modalità d’interazione da

lui vissute con i suoi partner, centrate su esperienze reiterate e costanti di condivisione di affetti e conoscenze. Le

configurazioni relazionali così formatesi svolgerebbero il duplice ruolo di organizzare le cognizioni e gli affetti circa le

prime interazioni sperimentate dal bambino, fungendo da guida alle esperienze e ai comportamenti successivi. In questa

prospettiva la costruzione della realtà oggettuale appare ancorata fin dalle epoche più precoci a processi cognitivi e

affettivi, di schematizzazioni e d’internalizzazione, tra loro intrecciati.” G. Gobbi, Processi psicoaffettivi all’inizio della

vita,cit., P. 5.

Page 47: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

46

Verso i tre-quattro anni, con la mielinizzazione degli emisferi corticali, il bambino sarà in grado di

analizzare le informazioni e di dirsele (nascita del linguaggio e del pensiero analitico), sino a quel

periodo ciò che vive è indicibile e globale.83

In questo periodo l’attenzione del bambino si sposta progressivamente dal linguaggio analogico

(corporeo) a quello parlato. Quest’ultimo si sostituisce in parte all’azione (ad esempio se il bambino

dice “carezza”, usa la parola al posto del gesto). La parola cattura l’attenzione all’interno della

comunicazione (Lerminiaux).

Vi sono altri fattori che influiscono sui comportamenti fisici e inibiscono la capacità d’essere

consapevoli delle reazioni fisiche che si legano all’emotività: il processo educativo tende ad inibire

l’espressione corporea attraverso divieti e correzioni. Esso spesso impone di mascherare ciò che

sentiamo quando questo può ferire le persone che amiamo o che temiamo, e li sostituiamo con un

comportamento falso.84

Pensiamo anche alla diversa educazione che ricevono i bambini rispetto alle

bambine, oppure alle variabili sociali di culture molto distanti per capire che molte delle nostre

espressioni emotive non sono naturali ma sociali (apprese).

Questi sono alcuni dei motivi per cui la capacità di essere spontanei nel corpo e pienamente

consapevoli viene in parte dimenticata. Paradossalmente verso la fine dell’infanzia, quando emerge

il livello più avanzato d’empatia, il bambino ha una scarsa percezione del suo linguaggio

corporeo.85

Egli diviene molto attento al linguaggio corporeo dell’altro. In questa fase il bambino è

molto attratto dal mondo sociale, cerca di comprenderne le regole e di trovare un posto al suo

interno, ma è poco consapevole dei messaggi che invia con il proprio corpo (le modificazioni

fisiologiche dell’emotività), e dell’impatto che esse hanno all’interno di una discussione. Una

persona esterna, però, può aiutarlo a diventare cosciente di come i suoi stati emotivi si riflettono sul

corpo.

Attraverso il linguaggio del corpo, quindi, inviamo in modo spesso inconsapevole la vera

immagine di noi e del mondo che abbiamo costruito attraverso l’esperienza, e possiamo

cambiarla con lo stesso metodo.

83

“ In particolare la maturazione delle aree corticali pre-frontali, che sono in stretto collegamento con le aree

emozionali sottocorticali (cervello limbico ed in particolare l’amigdala), permettono al bambino di essere consapevole

dei propri stati d’animo, cioè di provare dei sentimenti su se stesso.” J. LeDoux, Il cervello emotivo. Alle origini delle

emozioni, cit., p. 306. 84

“Le norme di espressione vengono apprese molto presto, in parte attraverso istruzioni esplicite. Quando diciamo a un

bambino di non mostrarsi deluso, bensì di sorridere e di ringraziare se il nonno si presenta pieno di buone intenzioni con

un regalo di compleanno orrendo, non stiamo insegnandogli altro che una norma di espressione. Questa educazione,

però, avviene più spesso attraverso l’esempio: i bambini imparano quel che vedono fare dagli altri. Nell’educare i

sentimenti, le emozioni sono al tempo stesso il mezzo e il messaggio. Se un bambino si sente dire «sorridi e dì grazie»

da un genitore che in quel momento è duro, severo e freddo - che sibila il messaggio invece di suggerirlo con calore -

probabilmente imparerà qualcosa di molto diverso, e risponderà al nonno con un’espressione corrucciata e un «grazie»

secco e reciso. L’effetto sul nonno è molto diverso: nel primo caso, sebbene ingannato, sarà felice; nel secondo si

sentirà ferito dal messaggio ambiguo.

L’esibizione delle emozioni, naturalmente, ha conseguenze immediate sull’impatto che esse hanno sulla persona che le

riceve. Il bambino apprende una norma di espressione in qualche modo simile a questa: «Maschera i tuoi veri sentimenti

quando essi possono ferire le persone che ami; sostituiscigli piuttosto un comportamento fasullo ma meno offensivo».’’

D. Goleman, Intelligenza emotiva,cit., pp. 143. 85

“Verso la fine dell’infanzia emerge il livello più avanzato di empatia; i bambini, infatti, sono ora in grado di

comprendere la sofferenza anche al di là della situazione contingente.” Ibidem, pp. 134.

Page 48: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

47

Schema sintetico dell’evoluzione dell’emotività:

C. rettile: risonanza elementare con l’ambiente che permette le risposte istintive fisse tipiche della specie. Esse si attivano quando l’individuo riceve stimoli sensoriali esterni od interni ritenuti nocivi o appetibili (credenze istintive che attivano le risposte geneticamente programmate: memoria filogenetica arcaica). L’individuo in risonanza con l’ambiente, cerca di ristabilire il suo equilibrio attraverso comportamenti motori complessi.

C. mammifero: l’apprendimento emotivo è trasmesso per risonanza (in gran parte non cosciente) attraverso la relazione. Le risposte istintive di sopravvivenza sono condizionate dalle esperienze vissute (memoria personale, emotività reattiva). Queste, a loro volta, sono filtrate dai fattori socio-culturali (credenze tipiche dell’ambiente in cui l’individuo cresce). A questo livello le reazioni emotive sono condizionate dalle credenze personali e sociali.

C. umano: i moti emozionali istintivi ed appresi possono essere compresi e riconosciuti in se stesso (diventano sentimenti), e nell’altro, per risonanza consapevole (diventano empatia). L’individuo può assumere una meta-posizione di osservazione che permette di utilizzare o di ristrutturare il proprio o altrui vissuto emozionale secondo gli obiettivi prefissi (credenze guidate da uno Scopo).

Page 49: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

48

Nel prossimo capitolo accenno agli approcci che favoriscono la capacità di

osservare le variazioni emotive attraverso la fisiologia (Catene Muscolari e

Programmazione Neuro Linguistica). In seguito descrivo l’Aptonomia, il

prolungamento e il metodo Feldenkrais; essi utilizzano il contatto, l’ascolto dell’altro

e di se stesso per favorire il cambiamento.

Page 50: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

49

CAPITOLO TERZO

Gli strumenti

Page 51: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

50

Storia delle Catene Muscolari (CM)

E’ stata la terapista Francoise Mezieres ad intuire che i muscoli non lavorano isolatamente, ma in

catene che coinvolgono anche muscoli lontani quando vengono attivati.

Questa scoperta di Mezier nasce dall’osservazione quotidiana. Ella viveva in una cittadina

francese ed ogni giorno andava a piedi al lavoro. Lungo il tragitto incontrava sempre una signora

anziana affetta da Morbo di Parkinson che camminava piegata in avanti in modo impressionante.

Negli anni fecero conoscenza, e da terapista solerte avrebbe voluto aiutare l’anziana signora, ma

ogni tentativo di raddrizzare la schiena causava forti dolori e quindi resistenze. Un giorno la signora

morì e Francoise andò a salutarla per l’ultima volta nella sua casa. Il suo stupore fu grande quando

vide che l’anziana signora era perfettamente distesa sul letto come se un’improvvisa molla avesse

ceduto e avesse permesso di rilasciare i muscoli ormai bloccati da tanti anni. Lavorando su

quest’osservazione scoprì la Catena Muscolare Posteriore e le tensioni e le resistenze che essa crea

nel corpo umano.

Con alcuni collaboratori creò una scuola, che fu ostacolata da ortopedici e terapisti tradizionali.

Alcuni allievi, tra cui E. Suchard, T. Bertherat e G. D. Struyf continuarono e diffusero il lavoro di

Mezieres.

Suchard sviluppò e mantenne l’aspetto fisioterapico e tecnico. Bertherat lavorò molto sul legame

tensione psico-emotiva e muscolare. Struyf, collegandosi a studi sulla filosofia orientale, intuì

l’esistenza di altre cinque Catene Muscolari e il legame tra l’aspetto psicologico e attitudinale delle

CM.

In Belgio il dott. Patigny e il prof. Lerminiaux uno pediatra fisiologo, l’altro psicanalista

pedopsichiatra utilizzarono gli studi di Struyf per creare la ‘Teoria degli organizzatori dello

psichismo’ in accordo con i più recenti studi della fisiologia e le scoperte dei neuro scienziati sul

funzionamento del S.N.C.86

Nell’“Istituto Mediterraneo per la Formazione, Ricerca, Terapia e Psicoterapia” a Caltanissetta,

questi studi sulle C.M sono stati riportati quali programmi di formazione per insegnanti in corsi di

specializzazione in Psicomotricità, ed Educatore Professionale. Contemporaneamente alcuni di noi,

in qualità di operatori, utilizziamo queste conoscenze nel lavoro come verifica alla teoria (lavoro

psicomotorio, bambini autistici, fisioterapia).

Sono stati nostri insegnanti diretti il prof. J. Lerminiaux (allievo di Struyf e di Veldmann) in

Aptonomia; A. DeCoen Degehet, Trainer in P.N.L; M. Feyter (allieva di Struyf) in Catene

Muscolari.

Spero di riuscire ad introdurre alcuni aspetti fondamentali dell’approccio alla terapia corporea, per

iniziare un lavoro d’ascolto di se stessi e dell’altro che potrebbe richiedere anni per completarsi.

86

Cfr. J. Lerminiaux, Gli organizzatori dello psichismo, cit.

Page 52: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

51

L E CATENE MUSCOLARI

Le CM manifestano il modo di funzionare del SNC attraverso l’attitudine corporea. La

lettura delle CM indica il livello di funzionamento degli organi sensoriali e di movimento,

quindi come la persona si relaziona. Esse permettono di individuare alcuni vissuti

comportamentali ed emozionali così come in altri sistemi basati sulle osservazioni tipologiche della

personalità.

Le ricerche fatte dal Dott. Patigny e dal Prof. Lerminiaux in Belgio, hanno portato ad intuizioni

originali sullo studio delle CM fatto da precedenti studiosi (Mezieres, Struyf). Essi hanno

evidenziato lo stretto legame tra fisiologia e psicologia nella “Teoria degli organizzatori dello

psichismo.”

Secondo questa teoria gli esseri viventi si sono evoluti sulla terra per rispondere in modo sempre

più efficace agli stimoli e ai mutamenti ambientali. Per questo motivo si è sviluppato un organo di

integrazione interno: il Sistema Nervoso Centrale (S.N.C.). Esso ha la funzione di coordinare le

complesse reazioni dell’organismo e permettere la raccolta di dati dal mondo esterno (sensazioni)

attraverso il movimento e lo sviluppo di sensi specifici. Ciò rende possibile all’organismo di

sintetizzare le risposte più adeguate (comportamenti) attraverso un delicato equilibrio tra

informazioni in entrata (analisi delle sensazioni) e movimenti in uscita, al fine di raggiungere gli

obiettivi di sopravvivenza, equilibrio ed espressione di sé (dei suoi bisogni).

Lo sviluppo filogenetico di un organo, la sua innervazione ed attivazione determinano una

relazione nuova e più ricca dell’organismo con l’ambiente circostante. Inoltre, la maturazione di

centri nervosi superiori, permette un utilizzo qualitativamente diverso dei vari organi: questa

organizzazione e riorganizzazione per arrivare ai livelli più complessi è un processo delicato e

vulnerabile.87

Durante l’infanzia il SNC si sviluppa lentamente, alcune aree cerebrali fondamentali per la vita

emotiva completano la loro maturazione entro la pubertà e i lobi frontali (sede dell’autocontrollo

emotivo e della consapevolezza) continuano a svilupparsi sino alla fine dell’adolescenza. In questo

periodo in cui ogni area cerebrale si sviluppa a velocità differente, il processo di apprendimento è

più incisivo poiché la maturazione progressiva delle aree e vie cerebrali li rende più sensibili agli

stimoli esterni e il fenomeno di ‘potatura’ neurale (pruning) permette di scolpire l’architettura

neurale rendendo più difficile i cambiamenti futuri.88

La complessità di questi processi fa si che il SNC divenga un organo integratore che favorisce

l’Emergenza di nuove e più efficaci relazioni con l’ambiente, fino ad arrivare alla complessità del

sistema uomo.

Il cammino filogenetico diviene quindi una via per la comprensione del funzionamento del SNC

nell’uomo, poiché egli, durante l’ontogenesi (sviluppo embrionale, fetale e dopo la nascita),

attraversa i vari stadi di sviluppo presenti nella filogenesi.

In una persona che non ha subito “traumi” (torsioni o blocchi), questo sviluppo sarà armonico, in

caso contrario lascerà tracce che indicheranno il livello di “torsione”. Fisiologicamente ne

osserveremo i segni: tutti gli organi funzioneranno bene al livello precedente il momento di torsione

per cui il bambino manifesterà un comportamento tipico sia esso fisiologico sia psicologico.89

87

Cfr. J. Lerminiaux, Teoria degli organizzatori dello psichismo, cit. 88

Cfr. D. Goleman, Intelligenza emotiva, cit. Per il processo di ‘pruning’ vedi nota n. 38, p. 37. 89

“Il Dott. Patigny facendo riferimento alle nozioni di base dello psichismo, sulle funzioni organiche vitali e

d’evoluzione nello sviluppo del bambino, considera la fisiologia di un essere umano nel suo livello primario, ossia

l’ovulo fecondato. Quindi dal momento del concepimento fino ad arrivare al bambino, egli distingue diversi livelli

secondo il meccanismo di scambio tra l’organismo in crescita e l’ambiente esterno. Egli formula l’ipotesi che un

qualsiasi disturbo incontrato in uno di questi livelli può avere segnato il bambino che presenterà dei sintomi fisici

precisi, in relazione con il livello al quale corrisponde il disturbo.

È come se l’organismo non si fosse sviluppato armoniosamente dopo questo disturbo e ne portasse sempre la traccia.

Grazie a queste tracce e a questi sintomi somatici, il Dott. Patigny può determinare il livello psicologico del bambino.”

J. Lerminiaux, L’approccio psico-somatico,in “Solidarietà”, (1996), n. 28, p. 41.

Page 53: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

52

La conoscenza delle linee generali dell’evoluzione del SNC a livello filogenetico permette, quindi,

di evitare l’interpretazione arbitraria dei comportamenti e fa comprendere il livello evolutivo

conseguente ad un blocco: possiamo osservare cioè il modo specifico di funzionare del SNC

attraverso le CM, il modo di utilizzare i sensi, il comportamento, l’attitudine psicologica

corrispondente.90

Possiamo così comprendere le potenzialità emergenti.

Dagli aspetti fisiologici e dal comportamento si può risalire al livello del blocco: al modo di

funzionare del SNC. Nel trattamento sarà poi più semplice per il terapista comprendere quale

ambiente psicologico-fisiologico creare per il paziente.

La difficoltà più grande per il terapista è raggiungere il bambino o il paziente con problemi

gravi al ‘suo livello’ di funzionamento ottimale per poter comunicare con lui. Per quanto grave

possa essere un paziente, infatti, c’è un livello (neuro-fisio-psicologico) in cui egli è ‘normale’. A

questo livello il bambino riesce a gestire gli stimoli che riceve secondo il suo proprio modo di

sentire.

Sebbene si possano conoscere i livelli di integrazione e di funzionamento del SNC non è facile

capire e comunicare con il bambino che si trova ad un livello molto basso, ma la non conoscenza

degli stessi rende la comunicazione impossibile, poiché può essere aiutato a partire da quel livello.

Richieste terapeutiche troppo elevate o troppo basse non inducono cambiamenti efficaci.

Lo studio fisiologico e comportamentale delle CM costituisce un valido aiuto per individuare il

livello del paziente. Per poterlo poi raggiungere occorrono altri mezzi (aptonomia, risonanza

consapevole, prolungamento).

È importante ricordare che tutti noi abbiamo dei blocchi (lievi torsioni) in alcuni livelli, e

spontaneamente ritorniamo indietro quando stiamo male fisicamente o psicologicamente

(comportamenti protettivi o autoconsolatori, ecc.). Per cui è possibile riconoscere anche nell’altro

questo processo.

90

“Quando l’organismo percepisce, esso forma una rappresentazione interna del proprio ambiente, quando un

organismo agisce effettua una rappresentazione esterna dei propri piani, i programmi neurali (codici complessi) del suo

cervello.” K. H. Pribram, 1971, citato in: M. Pierro - P. Giannarelli - P. Rampoldi, Osservazione clinica e riabilitazione

precoce, cit., p. 45.

Page 54: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

53

Riporto in una tabella la correlazione tra alcuni aspetti presi in considerazione nella Teoria degli

Organizzatori. Descrivere tutte le varie sezioni, sebbene molto interessante, esula dagli scopi di

questo lavoro.

Nel capitolo precedente ho fatto una breve introduzione sulla filogenesi e l’ontogenesi.

Sensorialità

Evoluzione

Filogenesi

Ontogenesi Organizza-

tori

Sviluppo

dei cervelli

Catene

Muscola-

ri

MacLean

Asse

Equilibrio

Pesce

300-400

milioni

di anni

Ancoraggio

7-10 giorni

dal

concepimen-

to

Embrionale Vestibolo-

Centrale

vestibolare

Starter

Inizio

Messa in

tensione

C. Rettile

Circolazione

Kinestesia

Primi rettili

Lucertola

280milioni

d’anni

Stadio

circolatorio

Motricità

8-9

settimane

Embrionale Cefalo

centrale

Rubro-

olivare

AP

Catena

antero

posteriore

C. Rettile

Centrazione

Bocca

Batrace

Rana

Respiratorio

5-6 mesi

NASCITA

Fetale

Oro-centrale

Genicolato

AM

c. antero

mediana

C. Rettile

Visualizzare

Occhi

Rettili

Dinosauri

Orale

2 mesi dalla

nascita

I di Spitz

Sorriso

Oculo-

centrale

Talamico

PM

c. postero

mediana

C. Rettile

Immaginazione

Manipolare

Primi

mammiferi

200 milioni

d’anni

Orale

7-8 mesi

emotività,

affettività

Psicomotrici

II di Spitz

Angoscia

dell’estrane

o

Mano-

centrale

Cerv.

Limbico

PL

c. postero

laterale

Cervello

Mammife-

ro

Verbalizzare

Udito

Prendere le

distanze

Primi

uomini

5 milioni

d’anni

Australopit

hecus

Anale

15 mesi

III di Spitz

Opposizio-

ne

Piede-

centrale

Neo-

corteccia

PA

c. postero

anteriore

C. Umano

Sintassi

Organizzazione

delle cose

Primi

gruppi

2 milioni

d’anni

Homo

erectus

3-4 anni Spazio

Cort.

Temporale

(Broca)

AL

c. antero

laterale

C. Umano

Progettare

Pianificare il

futuro

Città 10.000

anni Homo

sapiens

Fallica

5-6 anni

mov.

Concettualiz

zato

Tempo

Cort.

frontale

PENTAX

Tutte le CM

C. Umano

Page 55: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

54

Quando prevale una CM si ha uno stile particolare. Il gesto ha una qualità pertinente a

quella CM Anche gli organi sensoriali saranno diversi a seconda se esprimono PM, AM, PA,

AP, ecc.

Quando vediamo qualcuno mangiare, camminare, ecc., osserviamo che egli utilizza sempre lo

stesso stile anche se il cibo che mangia o la strada che percorre è diversa. Così il modo di agire

(stile) è caratteristico d’ogni individuo.91

Ascoltando il modo di camminare sappiamo chi sta

arrivando anche senza vederlo. Quando si filma una persona, si coglie il comportamento di tutti gli

organi ed è possibile vedere che sono tutti allo stesso livello (Lerminiaux).

Il Sistema Nervoso Centrale dell’uomo può manifestare tre tipi di movimento qualitativamente

differenti, subordinati tra loro dal più primitivo al più complesso e che si sviluppano

filogeneticamente ed ontogeneticamente (J. Lerminiaux):

Motricità: movimento organizzato già presente nei rettili (striscio): è presente la sensazione del

movimento come fatica per realizzarlo (PRESENTE).

Psicomotricità: movimento memorizzato (cervello limbico: mammifero) si ha l’immagine dello

sforzo e del tempo (sensazione introiettata) di ciò che si è vissuto per raggiungere un oggetto

(PASSATO).

Movimento concettualizzato: il movimento può essere immaginato senza l’esperienza fisica

diretta. Esso diventa movimento psichico (concettualizzato), interiorizzato alla base delle emozioni

e del pensiero ( PUO’ IMMAGINARE E COSTRUIRE IL FUTURO).

Attraverso lo studio filo-ontogenetico Patigny e Lerminiaux in Belgio, hanno ipotizzato che un

bambino che abbia subito una “torsione” a livello embrionale, fetale o dopo la nascita, avrà

caratteristiche fisiologiche e comportamentali proprie del livello del ‘blocco’.92

Riconosciuto il

livello di torsione attraverso gli elementi psico fisiologici presenti nel bambino, abbiamo una buona

base per capire l’approccio necessario all’ulteriore sviluppo. Lo stesso nella seduta terapeutica. Il

terapista che sa spaziare tra le varie CM può cogliere i segni neurologici, l’attitudine fisica e

sensoriale, il modo di utilizzare la cognizione, ecc. e potrà offrire più possibilità al paziente. Egli

riconoscendo il livello di funzionamento globale del paziente può meglio aiutarlo nel suo sviluppo.

Simbolicamente questo processo ricorda la costruzione di un muro difettoso, continuare a

costruirvi sopra può essere pericoloso: un bravo muratore, che si accorge del problema, rompe il

muro sino al livello della falla e lo ricostruisce in modo adeguato (Lerminiaux).

Qualche esempio ci può permettere di cogliere l’originalità dell’apporto che le CM possono dare

all’osservazione del comportamento di bambini con Paralisi Cerebrale Infantile (PCI).93

Queste

riflessioni, che sono tuttora in corso di perfezionamento, nascono dalla comparazione degli studi

sulle CM, dall’esperienza concreta e da ricerche riportate da studiosi in campo riabilitativo.

Nei bambini con PCI, che hanno subito una torsione pre o perinatale (Asse, AP, AM), la ‘paralisi

motoria’ è aggravata o di fatto è l’espressione dell’incapacità del SNC di gestire gli input proprio ed

esterocettivi94

. Il SNC a questo livello di maturazione, infatti, elabora i dati che riceve dal proprio

91

“L’individualità inizia nel sé fisico. Riconosciamo una persona dalla sagoma, da come cammina, da come piega la

testa. L’individualità fisica è modellata dalle forze della vita: come siamo nati, quando abbiamo imparato a muoverci, i

nostri obiettivi, esperienze, incidenti, atteggiamenti mentali ed emotivi. Tutti questi fattori lasciano una traccia nella

memoria mentale e in quella fisica, che sono simili in molti modi: il corpo e la mente sono testimoni dei turbamenti,

degli incidenti e delle cose incompiute della vita.” I. Rolf, Il rolfing e la realtà fisica, Casa Editrice Astrolabio, Roma

1996, pp. 130. 92

Vedi nota n. 4 p. 52. 93

Il termine PCI (secondo la definizione della Spastic Society, 1966) indica una turba persistente ma non immutabile

della postura e del movimento dovuta ad un’alterazione della funzione cerebrale per cause pre-peri-post natali prima del

completamento della crescita e dello sviluppo. 94

La sensibilità propriocettiva è data dalle terminazioni muscolo-tendinee che ci informano sulle posizioni e stati tonici

del corpo. La sensibilità esterocettiva è data dai sensi comunemente detti (vista, udito, tatto, ecc.) e ci informa degli

stimoli esterni al corpo.

Page 56: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

55

corpo e dal mondo esterno attraverso la sensibilità protopatica (diffusa, aspecifica ed attivatrice).95

Il SNC che ha un blocco a questo stadio di maturazione subisce un arresto nella possibilità di

integrare i programmi neuromotori di livelli più elevati che richiedono un’elaborazione fine e

specifica dei dati sensoriali (sensibilità epicritica).

Il programma neuromotorio insito geneticamente e specie specifico, quindi, funziona in modo

ottimale sino al livello del blocco, mentre ai livelli superiori di integrazione neurologica il

funzionamento risulta disarmonico o deficitario perché il programma di base risulta alterato e non

può supportarli. Il bambino con una torsione a questi livelli (Asse, AP, AM) è sequestrato dalla

propriocettività (sensazioni che provengono dal proprio corpo) in risposta agli stimoli esterni che,

per essere gestiti richiedono una fine discriminazione sensoriale e spaziale (sensibilità epicritica) di

cui il SNC non è capace. Egli in questo stadio risponde agli stimoli interni ed esterni con un

predominio dell’attività tonico riflessa (vestibolare e centroencefalica) che lo obbligano in posture e

stati tonici specifici, questi a loro volta inflazionano la sensibilità propriocettiva.

L’incapacità di gestire gli stimoli esterni (percepiti in modo impreciso), la difficoltà nel poter e

sapere gestire il proprio corpo (propriocettività), la motricità del bambino dominata dall’attività

tonica che sequestra e sovraccarica il suo mondo percettivo, sono i fattori per cui il movimento

risulta limitato, impreciso ed, alcune volte, impossibile.96

In altre parole un bambino ‘non nato’ o ‘appena nato’ non è neurologicamente pronto a gestire gli

stimoli del proprio corpo in modo finalizzato, tanto meno gli stimoli provenienti dal mondo esterno,

pur avendo integri gli organi sensoriali. Però ad ogni livello di blocco prenatale (Asse, AP, AM) il

bambino manifesta in modo differente questi ‘segni’ per il diverso grado di maturazione e di

integrazione del SNC.

Alcuni bambini con blocco a livelli precoci (Asse) hanno pallore diffuso, insensibilità agli stimoli

esterni o ipersensibilità (con tendenza all’esclusione degli stessi), difficoltà nell’alimentazione (a

volte anche nella suzione e nell’assimilazione con rigugiti frequenti). Manifestano problemi nella

termoregolazione corporea e nel ritmo sonno veglia. La tendenza del bambino è verso l’immobilità,

questa è infatti la condizione che gli da senso di integrità.

I bambini AP sono molto sensibili agli stimoli esterni ed interni, ai quali rispondono con spasmi

tonici attivati dai riflessi (movimenti geneticamente programmati). Il tono di base è alto o fluttuante.

Vista, udito e tatto sono facilmente catturati dagli stimoli ma non riescono a focalizzarne la fonte. In

questi bambini la sensorialità e movimento sono globali ed aspecifici nei casi più gravi, in quelli più

lievi il movimento è comunque dominato dai riflessi.

I bambini AM mostrano una ricettività diffusa (vista in prevalenza non focalizzata, sguardo

erratico, udito facilmente catturato da stimoli vari, incapacità di sentire in modo selettivo la

sinestesia e la chinestesia, ecc.). L’incapacità di gestire lo spazio causa crisi di panico e respiratorie 95

“Talune forme di sensibilità hanno carattere diffuso, non differenziato; è questa la sensibilità che Head ha chiamato

protopatica; […] trattandosi di modalità sensitive relative alla percezione del dolore, degli stimoli termici, dei vari

stimoli nocivi raccolti a livello cutaneo. Un’altra forma di sensibilità più fine, più delicata, detta sensibilità epicritica

,assicura la coscienza spaziale e discriminativa degli stimoli tattili.” A. Delmas, Vie e centri nervosi. Introduzione alla

neurologia, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino 1977, p.60.

Per una descrizione più dettagliata della sensibilità protopatica vedi nota 10 pag. 24. 96

“Già negli anni '70 Sabbadini ha sostenuto l’esistenza della disprassia come fenomeno nascosto della PCI: - Ci si

rende conto che il disturbo motorio della "paralisi cerebrale" è il risultato dell’interferenza (o della somma) di più

fattori, probabilmente tutti esprimibili come disturbi esecutivi e conoscitivi ad alto livello di integrazione, che non

soltanto si aggiungono alla "paralisi spastica" (spasticità, rigidità, distonia, atassia), ma soprattutto influiscono sul

disturbo di moto o addirittura condizionano il disturbo motorio stesso, in misura assai rilevante rispetto alla paralisi

"centrale".[...]. Ammesso che sia possibile, anche temporaneamente, eliminare la "paralisi centrale" e l’ipertono

antigravitario (la spasticità), il bambino affetto da paralisi cerebrale si presenterebbe ancora ai nostri occhi con un

disturbo apparentemente soltanto motorio (più precisamente esecutivo) esprimibile come goffaggine o maldestrezza. In

verità tale disturbo “esecutivo” non è altro che il risultato della somma o dell’interferenza di vari disturbi che potremmo

definire complessivamente "aprassia" ed "agnosia", intendendo con questi due termini una serie di disturbi "esecutivi" e

"conoscitivi" ad alto livello di integrazione.” A. Ferrari, Proposte riabilitative nelle paralisi cerebrali infantili, cit.,

p.67.

Page 57: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

56

per cui sviluppano la tendenza ad un’attitudine flessoria globale difensiva. Il tono muscolare di base

è ipotonico (a riposo) ma si accentua durante l’attività, in modo particolare quando deve affrontare

posizioni che richiedono controllo dello spazio circostante. In questi bambini la possibilità di gestire

il movimento è fortemente compromessa dalla incapacità di entrare spontaneamente in ascolto del

proprio corpo (oppure sono sequestrati dalla prorpiocettività) più che dalla paralisi motoria, perché

continuamente catturati dagli stimoli esterni (risonanza passiva): i movimenti spontanei sono più

ampi del necessario o ridotti e il tono muscolare fluttua facilmente passando dall’ipotono di base (a

riposo) all’ipertono durante l’attività con perdita di controllo e goffaggine. Hanno difficoltà

nell’apprendimento motorio e nell’acquisizione degli automatismi, infatti sembra che l’esecuzione

sia bloccata sempre allo stesso stadio. In questi ultimi casi è importante ridurre la difficoltà del

compito motorio semplificandolo nei suoi componenti ed invitare il bambino a porre attenzione alle

sensazioni che riceve dal corpo (centrarsi in se stesso, cm AM); è necessario favorire

contemporaneamente il movimento ed il senso di integrità corporea (cm AP ed Asse) utilizzando le

facilitazioni di movimento e la ripetizione modulata e prolungata nel tempo dei compiti motori. In

questo modo diamo sicurezza e senso di integrità.

L’accortezza di modulare lentamente le nuove acquisizioni non crea instabilità e non sollecita le

difficoltà di organizzazione corporea e spaziale che il bambino vive. Alcuni bambini AM se

adeguatamente aiutati e motivati possono arrivare ad acquisizioni motorie e di autonomia personale

soddisfacenti, altri (con livello di torsione più basso o grave, Asse o AP) possono essere aiutati

nella ricerca dei ritmi autonomici (ritmo sonno veglia, alimentazione, postura che dia senso di

integrità corporea, ecc.).

Anche i bambini con PCI a livello leggermente più alto di blocco (PM, PL), pur potendo

raggiungere discreti livelli di autonomia motoria presentano difficoltà nei movimenti fini (controllo

tonico). In questi bambini il tono muscolare è tendenzialmente alto in modo particolare quello

estensorio. Vista ed udito sono ben focalizzati e i bambini sono discretamente abili nelle attività

manuali grossolane e nel liguaggio verbale, che utilizzano spesso come compenso. Il linguaggio ha

la tendenza ad essere fluente ma, a volte, ecolalico. Il bambino PL in particolare, attraverso la

maturazione della memoria (cervello limbico), riesce a migliorare la rappresentazione di sé (del suo

corpo) e l’apprendimento.97

Si intuisce, quindi, l’importanza dell’apporto delle CM alla comprensione delle patologie neuro-

psicomotorie. L’osservazione permette di risalire dal comportamento al livello del blocco e, quindi,

al modo di funzionare del SNC del bambino, ciò permette un approccio adeguato e globale.

Il bambino autistico, che ha subito un blocco in fase precoce (Asse, AP, AM) (Lerminiaux,

Patigny), tende ad andare a livelli precedenti la torsione a causa di problemi di tolleranza

percettiva: incapacità di gestire gli stimoli esterni ed interni. Questi sono vissuti come insopportabili

(sensibilità protopatica esasperata): egli esclude gli stimoli o li infaziona con manovre autonome-

automatiche (stereotipie) che gli permettono il controllo delle sensazioni esterne (Lerminiaux). Se

un bambino autistico è bloccato in AP è un bambino “circolatorio”, sfarfalla nell’ambiente o attiva

stereotipie continue alle mani e dondolio del corpo, tocca e fugge, lo sguardo è erratico, ecc.

Spesso, però, il bambino con patologia neuro-psicomotoria sviluppa dei ‘picchi’ in CM superiori

al suo livello di funzionamento efficace. Questi picchi indicano lo sforzo che il bambino fa nel

tentativo di approcciare l’esperienza, cioè le strategie adattive che egli mette in atto per superare le

sue difficoltà.

Il terapista deve comprendere il livello funzionale in cui si trova il bambino (in cui il suo SNC

funziona bene) e proporre esperienze adeguate in modo che egli le possa elaborare senza difficoltà

e, se possibile (se il suo SNC lo permette), aiutare il bambino nel passare a livelli superiori di

funzionamento favorendo lo sviluppo di compensi nel suo approccio all’ambiente.

È importante, tuttavia, intendere i livelli descritti non come organizzazioni funzionali fisse: una

persona ha una torsione ad un livello specifico in modo variabile secondo la gravità della torsione

stessa (il grado di disfunzione subito o organizzato dal SNC ad un determinato livello) e non 97

Vedere più avanti la Scaletta delle Emergenze.

Page 58: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

57

manifesta solamente aspetti psico fisiologici di quel livello. Il concetto di livello deve essere

utilizzato per rilevare i segni che indicano un modo globale di funzionare. Condizioni ambientali

e terapeutiche incidono in modo significativo sulle potenzialità residue del bambino in senso

motivazionale, ma è importante avere bene in mente le difficoltà neuro-fisiologiche che il

bambino ha e vive per poter adeguare la proposta terapeutica ed evitare accanimenti

terapeutici inutili o dannosi. Troppo spesso questi derivano da una scarsa cognizione sulle reali

difficoltà e potenzialità del bambino o da attuazioni terapeutiche troppo passive.

Lo studio sulle CM è una tra le tante chiavi di lettura possibili per la diagnosi e la terapia. Esso

offre un’utile sintesi tra molti aspetti fisiologici, psicologici e comportamentali, permettendo

un’approccio multidisciplinare coerente.

*****************

Farò un breve accenno alle CM dal punto di vista della espressione comportamentale così come ci

sono state presentate dal Prof. Lerminiaux e da Madlene de Feyter.98

Ricordo che durante l’evoluzione è prevalso l’uso di una CM o l’altra e di organi sensoriali

specifici determinando il modo particolare di approcciare la realtà da parte del SNC:

l’Asse non è una catena muscolare. Il cervello primitivo vestibolare (dei pesci) permette la

direzione fondamentale del corpo, il dorso sopra e la pancia sotto (protetta). Tutte le CM si

sviluppano dall’ASSE: dai tre canali semicircolari dell’orecchio interno (organo vestibolare)

derivano tre possibilità di movimento ed il loro opposto nello spazio. Le CM sono l’espressione di

queste sei direzioni del movimento nel corpo umano. Quindi l’Asse, fisicamente e

psicologicamente, si riferisce alla capacità dell’individuo di fare riferimento in se stesso: essa è

all’origine della possibilità dell’individuo di attivarsi secondo un’immagine di sé in senso fisico,

intellettivo e affettivo. “Più tardi, quando lo psichismo si basa su questo funzionamento e quando si

sviluppa la capacità di rappresentarsi delle immagini, questa capacità di fissarsi, di situarsi in

rapporto ad un asse, costituirà (evocata in immagine) l’Asse centrale dell’Io”.99

La CM AP o catena antero posteriore è responsabile

dell’armonia e della coordinazione dei movimenti di

base del nostro organismo (è a questo livello che

originano i Riflessi Arcaici o movimenti

geneticamente programmati del bambino). I soggetti

in cui prevale questa CM hanno tendenza alla lassità

legamentosa e all’accentuazione delle curve del

rachide. La muscolatura respiratoria con il suo ritmo

è determinata da questa catena.

Essa permette la spontaneità, l’adattabilità, la

vivacità e la libertà di movimento, ma un suo eccesso

crea instabilità, mancanza di ritmo nel movimento e

nelle funzioni organiche sino a sentire se stessi senza

Asse.

La CM AM, catena antero mediana, origina dalla

bocca e riveste la parete anteriore del corpo favorendo

l’arrotolamento (posizione fetale) ed il ritorno in sé. I

muscoli sono astenici (deboli) con tendenza al

98

Questo aspetto è descritto in modo completo in G. Struyf, Les Chaines Muscolaires et Articulaires, Diffusion. TGDS,

asbl Rue de la Cambre 227, 1150 Bruxelles, 1987.

99 J. Lerminiaux, Gli organizzatori dello psichismo, cit., pp. 6.

Page 59: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

58

valgismo degli arti inferiori ed adduzione ed

intrarotazine dei superiori.

È la catena muscolare dell’affettività e dell’intuizione.

Nell’uomo rappresenta l’aspetto materno di

protezione, accoglienza e stabilità, ma qualora essa si

distorce manifesta possessività, angoscia,

iperprotezione verso sé e gli altri.

La CM PM o postero mediana è formata dalla

muscolatura posteriore di sostegno del corpo. Essa

origina sopra gli occhi (dalla fronte) e scende sino alla

pianta dei piedi. Il tono muscolare è alto e serrato

soprattutto nella lordosi lombare e cervicale.

Questa è la catena di tipo cerebrale, essa favorisce la

propulsione in avanti e quindi la capacità di affrontare

le situazioni. Ma essa è anche la nostra ‘tigre in

corpo’100

, cioè la nostra attitudine di difesa - attacco,

pronta ad aggredire. La cm PM utilizza la vista per

controllare lo spazio e preparare le nostre azioni. La

posizione eretta nell’uomo ha reso potente questa

catena. Essa rappresenta l’attitudine paterna di guida e

sostegno, ma se essa è in eccesso si manifesta con

durezza, freddezza, ansia, violenza.

La CM PL, postero laterale, consente di mettere gli

arti in rotazione esterna sia a livello delle spalle, sia

alle anche e favorisce ‘l’apertura’, l’estroversione,

l’esplorazione. La muscolatura è molto sviluppata ed

il tipo PL ama essere ammirato (mister muscolo).

Questa catena muscolare favorisce la socialità e la

relazione, ma se eccessiva causa invadenza,

dispersione e poca consapevolezza degli altri.

La CM PA. La muscolatura postero anteriore

permette l’equilibrio della colonna vertebrale nel suo

asse verticale, favorisce, quindi la posizione eretta e

l’equilibrio. Questa è la CM del dinamismo,

dell’adattabilità e della sensibilità. L’esasperazione di

questa CM porta impulsività, ipersensibilità, fuga

dalla realtà.

(nella figura PA equilibrato e PA eccessivo)

La CM AL o antero laterale, mette gli arti superiori

ed inferiori in rotazione interna favorendo la

‘chiusura’ rispetto al corpo e, quindi, la 100

T. Bertherat, La tigre in corpo, Arnoldo Mondatori Editore, Milano 1990.

Page 60: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

59

concentrazione, l’organizzazione, la tenacia e la

concretezza. Il tono muscolare è teso e stressato.

L’attitudine prevalente è l’introversione ed il

perfezionismo (a volte esasperato).

(AL ha un atteggiamento ripiegato ed arrotolato su se

stesso)

Pentax : tutte le CM e i sensi sono integrati. La capacità di spaziare tra le varie CM aiuta a

riconoscere il proprio vissuto (consapevolezza) e quello degli altri (empatia). Il Pentax favorisce la

sintesi dell’esperienza e la possibilità di concettualizzarla (elaborare interiormente un’esperienza

senza doverla vivere concretamente). L’individuo sa adattarsi alle varie situazioni e prevede

l’attitudine necessaria all’esperienza che vivrà in futuro. Egli agisce non solo sulla base

dell’esperienza passata o attuale, ma anche su un progetto (futuro) che ha sé come riferimento

(Asse).

Le tensioni muscolari indotte da un vissuto emozionale o comportamentale persistente causano

delle modificazioni nell’assetto corporeo che può determinare, nel tempo, alterazioni muscolo-

scheletriche: in ogni CM si possono osservare alterazioni specifiche.

Le CM sono comunque da intendere come ‘una tendenza a ….’, e non come una classificazione

rigida. Nella loro espressione psico-fisica, inoltre, le CM possono manifestare quadri misti

equilibrati o disarmonici che rendono le classificazioni più ricche e complesse.

Page 61: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

60

LA SCALETTA DELLE EMERGENZE101

Un altro schema che ritengo molto importante per individuare il livello funzionale del SNC in

modo dinamico è la Scaletta delle Emergenze:102

FUNZIONE

MOVIMENTO

SENSAZIONE

POSIZIONAMENTO

PERCEZIONE

MEMORIA

IMMAGINE

SEPARAZIONE

PAROLA

Riprendo un concetto già accennato: la maturazione (mielinizzazione) di alcuni circuiti neurologici

del SNC (FUNZIONE) e la comparsa di nuovi organi negli esseri viventi a livello fiologenetico ed

ontogenetico determinano l'EMERGENZA di nuove capacità funzionali. Esse permettono

un’analisi sempre più fine dell’ambiente in cui l’essere vive, per un migliore adattamento.

Il SNC riceve le SENSAZIONI attraverso il movimento dell’organo innervato (es. il movimento

degli arti permette le sensazioni tattili ed il senso di posizione degli stessi nello spazio; il

movimento degli occhi rende possibile le sensazioni visive e l’esplorazione dello spazio circostante;

101

Molti concetti descritti in questo paragrafo fanno parte delle lezioni del prof. J. Lerminiaux, allora Direttore

‘dell’Istituto Mediterraneo per la Formazione, Ricerca, Terapia e Psicoterapia’ di Caltanissetta, per i docenti del Corso

triennale di Psicomotricità e del Corso per Educatori Professionali. Altri sono stati da me elaborati nel rispetto del

pensiero di base. 102

“Ciò di cui i primi sistemici si resero conto molto chiaramente è l’esistenza di livelli differenti di complessità, con

leggi di tipo diverso operanti a ciascun livello. […]. A ogni livello di complessità, i fenomeni osservati mostrano

proprietà che non esistono al livello inferiore. Per esempio, […] il sapore dello zucchero non è presente negli atomi di

carbonio, idrogeno e ossigeno che ne costituiscono i componenti. Nei primi anni Venti, il filosofo C. D. Broad coniò la

definizione di ‘proprietà emergenti’ per quelle proprietà che emergono a un certo livello di complessità ma che non

esistono a livelli inferiori.” F. Capra, La rete della vita. Una nuova visione della natura e della scienza, cit. p. 39.

Page 62: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

61

ecc.). Le sensazioni nascono dall’incontro degli impulsi che riceviamo dal mondo esterno con il

SNC. A sua volta questo è arricchito e modificato dagli input (sensazioni) che riceve e diviene un

organo d’integrazione.103

Il SNC infatti si organizza secondo le esperienze che vive e su questa base

attiva le sue risposte.104

Le sensazioni che provengono dal mondo esterno sono tantissime: in un istante il nostro SNC è

capace di elaborare due milioni di sensazioni visive e centomila uditive, ma solo una piccola parte

di esse sono messe a fuoco dalla coscienza attraverso il posizionamento. Questo è il modo

particolare di entrare in rapporto con la realtà permesso da fattori genetici, culturali ed educativi,

che agiscono da filtri nella relazione con la realtà: ad esempio nella relazione madre-bambino, le

sensazioni tattili, visive, uditive, ecc., che il piccolo vive nel contatto con il corpo della madre, sono

condizionate dal modo in cui esse gli vengono presentate. L’apprendimento emotivo, che avviene

per risonanza nel bambino piccolo, è un esempio di particolare posizionamento educativo-culturale

indotto dalla madre. Il modo di vivere le situazioni della vita quotidiana si riflette inevitabilmente

sul comportamento e sul tono emotivo materno (la tensione dei suoi muscoli, il battito del suo

cuore, il suo respiro, ecc.). La madre influenza consapevolmente o inconsapevolmente il modo in

cui il bambino sente e vive queste esperienze attraverso di lei. Queste esperienze, la stabilità

dell’ambiente, le sensazioni che il bambino incontra nella vita quotidiana esplorando il suo mondo,

fanno si che alcune di esse che egli esperimenta abitualmente diventino importanti

(PERCEZIONI).105

Nel bambino con PCI molto spesso la patologia limita o distorce l’attività motoria e quindi il

posizionamento rispetto al proprio corpo ed alla realtà che lo circonda risulta condizionato. “Per

poter compiere un movimento corretto bisogna infatti poter disporre di una corretta informazione

percettiva e viceversa per poter raccogliere una corretta informazione percettiva bisogna saper

realizzare un movimento corretto. Nella paralisi cerebrale infantile entrambi questi postulati

risultano impossibili ed a livello prognostico condizionano le possibilità di recupero del

paziente.”106

Il posizionamento acquisito, quindi, diventa significativo per l’organismo nella ricerca

dell’equilibrio fisico e psichico futuro. Qualora esso risulti negativo può avere conseguenze

disastrose per le potenzialità di un individuo, evento frequente nei nostri pazienti.

Sino a questo livello funziona il cervello rettile dell’attivazione e dell’adattamento (risonanza).

Con la maturazione del cervello mammifero (memoria ed apprendimento) il bambino impara a

riconoscere le situazioni che ha già vissuto poiché si depositano nella sua memoria (ippocampo).

In realtà non ricordiamo tutte le sensazioni vissute durante un’esperienza. Il SNC costruisce

un’IMMAGINE globale della situazione attraverso le percezioni che si fissano (ancorano) nel SNC.

Per esempio immaginiamo di vivere un incidente d’auto: nell’impatto proviamo sensazioni dolorose

nel nostro corpo, sensazioni viscerali, rimaniamo scossi, traumatizzati. Avvertiamo l’odore della

benzina versata, le urla, le immagini, ecc. La somma di queste sensazioni sono l’esperienza totale,

ma quello che memorizziamo di tutta la scena, che si fissa dentro di noi (ancoraggio), può essere

un’immagine visiva, uditiva o corporea, a seconda di quello che ha colpito la nostra attenzione

nell’attimo dell’incidente (risonanza con l’evento). Rivivendo quella specifica sensazione si

103

Il modellamento della funzione (SNC) è indicato dalla freccia di ritorno sulla sinistra della scaletta. Esso ha un

significato neurologico e comportamentale, infatti nuove esperienze creano e rafforzano nuovi circuiti cerebrali

eliminando quelli non utilizzati, e nuovi comportamenti modificano quelli di base. 104

“Secondo la scuola neuropsicologica russa ed in particolare P. K. Anochin, il movimento è il risultato di una

complessa elaborazione delle afferente (sensazioni) che continuamente si confronta con un modello interno.” M.Bottos,

Paralisi cerebrale infantile. Diagnosi precoce e trattamento tempestivo, cit., pp15. 105

Di fronte ad una stessa situazione, ciascuno ha una percezione che gli è propria ed originale. Per questo motivo un

avvenimento vissuto contemporaneamente da un gruppo di persone è riferito in modo differente da ognuno di esse. La

loro esperienza interiore (il posizionamento nell’ osservare l’evento e quindi la percezione di esso) è differente. Come

abbiamo visto in precedenza questo fenomeno ha una base nell’esperienza, quindi neurologica e condiziona le

esperienze future. 106

A. Ferrari, Proposte riabilitative nelle Paralisi Cerebrali Infantili, cit., p.55.

Page 63: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

62

richiama alla memoria il vissuto globale. Nel nostro caso potrebbe essere il luogo dell’incidente o

l’odore della benzina e del sangue, ecc.

Anche l’immagine di sé si costruisce attraverso l’esperienza sensoriale vissuta nel proprio corpo in

relazione con la realtà esterna.

La memoria, nell’esperienza quotidiana, permette di ritenere la percezione quale immagine interna

(azione, sensazione interiorizzata). A questo livello, nasce la possibilità di rappresentarsi

mentalmente un oggetto, una persona o un’azione indipendentemente dalla sua presenza.

L’immagine, nel momento in cui è interiorizzata, guida il comportamento poiché condiziona

le sue risposte (emotività). Noi tutti ci muoviamo secondo l’interpretazione, la credenza che

leghiamo alle circostanze basandoci sulla nostra precedente esperienza (condizionamento passato: il

posizionamento rispetto ad essa). A sua volta il movimento esprime l’immagine interna (vedi

CM, stato interno e processo interno).

Il terapista può utilizzare (calibrare) il movimento per capire cosa vive il paziente, cioè il suo

modo di utilizzare il SNC.107

Molti bambini con paralisi cerebrali infantili hanno problemi di movimento e spesso le

problematiche di questi bambini si manifestano con difficolttà motorie derivate dall’elaborazione

dei dati sensoriali più che da problemi di paralisi del movimento (aprassia o disprassia),108

entrambi

i fattori comunque si condizionano e rafforzano a vicenda. In ogni caso l’impossibilità di vivere

l’esperienza o la distorsione di informazioni ricevuta nel suo corso infuisce sulla costruzione di

un’immagine di sé e nella relazione con la realtà. Infatti molto, troppo spesso il paziente

neurologico è prigioniero di un’immagine limitante di sé che si fissa nella memoria cosciente ed

inconscia. Questa assieme all’immagine che gli rimanda l’ambiente può bloccare definitivamente le

risorse potenziali che possiede (paralisi intenzionale – A. Ferrari).

Avere un’immagine interna di qualcosa fa si che si possa essere consapevoli della sua presenza o

meno alla nostra realtà sensoriale e, quindi, diventiamo coscienti di essere separati da essa. Per il

bambino questa è una fase molto delicata, egli diviene consapevole che l’oggetto del suo desiderio

(madre, cibo, giocattolo, ecc.) è esterno a lui. Ciò che prima sembrava arrivare al bambino

magicamente rispondendo ai suoi bisogni, adesso può mancargli o non rispondere alla sua

aspettativa causando le prime frustrazioni. Ciò è tanto più vero per il bambino con PCI per le sue

difficoltà nell’autonomia motoria e, quindi, nella possibilità di gestire i suoi desideri e bisogni.

Quando siamo in possesso di un’immagine ben definita possiamo esteriorizzarla utilizzando la

PAROLA. Il richiamo verbale è dato dalla consapevolezza della separazione ‘dall’oggetto’ che è

nella nostra immagine. Io posso chiamare una persona, posso chiedere un bicchiere d’acqua o una

qualsiasi cosa mi manca perché ne ho fatto esperienza. Allo stesso modo, in senso metaforico, posso

inviare baci o abbracci per telefono, verbalizzare un gesto, ecc.109

107

Tra i componenti fisici, fisiologici, emotivi ed intellettivi di un individuo sicuramente il movimento e l’attitudine

corporea sono i più evidenti ed immediatamente osservabili. Essi sono dotati di una realtà oggettiva oltre che soggettiva. 108

“La disprassia non definisce un problema di movimento in quanto tale, ma identifica un complesso disturbo

dell’organizzazione dell’azione, connotato dalla incapacità di riprodurre movimenti intenzionali coordinati in

combinazioni e sequenze, appresi e finalizzati in funzione di un risultato.” A. Ferrari,Proposte riabilitative nelle

paralisi cerebrali infantili,cit., p. 49. 109

“ Utilizzare il segno è prima di tutto rimpiazzare la realtà esterna con un segno e manipolare il segno al posto della

realtà esterna. Significa creare una distanza, una differenza fra la realtà nella quale il bambino è immerso ed il segno da

lui costituito. La distanza fra il segno e la cosa permette al soggetto di costituirsi in opposizione alla realtà esterna in un

processo di separazione di de-fusione dalla realtà. Divenire soggetto significa uscire dalla fusione originaria, accettare il

taglio, la separazione dalla realtà introdotta dal segno, perdendo così il sentimento di beatitudine della fusione. Ancor

prima di accedere al linguaggio il bambino ha dovuto attraversare un gran numero di esperienze simili: uscire dal

grembo materno, lo svezzamento, le esigenze della proprietà, e sicuramente sarà sempre posto davanti a della scelte,

delle rinunce. Ma utilizzare il segno ed acquisire il linguaggio rappresenta il taglio più radicale e la tappa capitale per

l’accesso alla dimensione umana e alla comunicazione con i propri simili. Si tratta di rinunciare a qualche cosa, a non

avere tutto, ad avere il segno al posto della cosa e quindi di accettare una condizione di mancanza che introduce ad un

più essere; in altri termini accettare la cacciata dal paradiso terrestre e condurre una esistenza umana e non essere un dio

onnipotente. In termini freudiani, accettare la castrazione che introduce al piacere o, in termini filosofici, la separazione

che costituisce l’uomo come soggetto.” J. Lerminiaux, Gli organizzatori dello psichismo,cit., p. 25.

Page 64: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

63

***

Questa scaletta può aiutare il terapista ad individuare il livello del bambino osservando il suo

modo di relazionarsi con la realtà (il livello funzionale del SNC) e permette di sapere cosa e come

fare per favorire le sue competenze emergenti. In questo senso essa completa la Teoria degli

Organizzatori.

I pazienti con danno neurologico presentano un’alterazione di movimento (spasticità, atassia,

ecc.), di conseguenza le sensazioni corporee e quelle che ricevono dalla realtà esterna sono

condizionate.

A causa del posizionamento fisico alterato e delle reazioni emotive ambientali il paziente ha una

percezione distorta che incide sull’immagine di sé e sulla organizzazione dell’esperienza con il

mondo esterno.

Con i pazienti neurologici è importante, quindi, lavorare sia sul livello fisico-fisiologico

aiutandoli a sentire e vivere sensazioni nuove e più ricche nel loro corpo (ristrutturazione fisica), sia

sul piano dell’immagine per evitare che l’immagine alterata impedisca o blocchi il cambiamento

fisico (per esempio paura di abbandonare la spasticità; rifugiarsi nella patologia per non affrontare

situazioni difficili; paura di vivere sensazioni sconosciute nel proprio corpo; manipolare gli altri per

i propri bisogni; ecc. – ristrutturazione dell’immagine)

***

Possiamo utilizzare questa scaletta per riflettere su alcuni meccanismi mentali: se utilizziamo il

linguaggio in modo specifico, per esempio il linguaggio ‘sensoriale’ (senti dove c’è tensione; dove

è il peso del tuo corpo; quando parli rilascia i muscoli del corpo; ecc.), possiamo indurre dei

cambiamenti psico-fisici, poiché aiutiamo il paziente a prendere coscienza delle sensazioni che si

legano al suo vissuto corporeo. Usando un linguaggio per immagini possiamo aiutare il paziente a

richiamare e vivere esperienze positive nella sua mente e ciò induce dei cambiamenti nel suo corpo

e nella sfera emozionale. Questo avviene perché un certo modo di usare il linguaggio, che è il

linguaggio dell’ipnosi eriksoniana (studiato in PNL), favorisce cambiamenti fisiologici e, di

conseguenza, ai vari livelli.110

Gli studiosi di comunicazione umana sostengono che con il linguaggio possiamo agire

sull’immagine interna, sulle percezioni, sulle sensazioni e quindi sul SNC.111

Seguendo la via inversa, il terapista può servirsi della propria immagine interna per favorire

cambiamenti fisiologici nel proprio corpo che lo aiutano a condurre il paziente attraverso la

risonanza consapevole (Aptonomia e prolungamento).

Utilizzando in modo appropriato la scaletta della emergenze, quindi, possiamo indurre

cambiamenti partendo dal livello fisico- fisiologico, dall’immagine e dal linguaggio verbale.

**************

Lo studio di questa scaletta, inoltre, fa comprendere che la rappresentazione interna della

realtà, influisce sul comportamento e condiziona l’approccio alla realtà stessa confermandosi

(indice di computazione in PNL): una volta assunto su di sé un posizionamento fisso verso

qualcosa o qualcuno, la possibilità di entrare in ‘contatto’ con l’oggetto del posizionamento è

condizionata dall’angolo da cui il soggetto osserva (dal punto di vista). Infatti è trasformata la

risonanza con esso, cioè il modo di essere con l’oggetto. Di conseguenza sono modificate la 110

“Recentemente la ricerca sperimentale sta mostrando le vie psicobiologiche attraverso le quali la mente modula la

biochimica del corpo. Stiamo imparando a capire come i linguaggi della mente (pensiero, immaginazione, emozione e

sensazione) comunichino con i linguaggi del corpo (ormoni, molecole messaggere, sostanze di informazione).” Milton

H. Erickson, La comunicazione mente-corpo in ipnosi, a cura di E. Rossi e M. Ryan, Volume III, Casa Editrice

Astrolabio – Ubaldini Editore, Roma 1988, p. 7. 111

Cfr. R. Masters, Neurospeak. Le parole che trasformano la mente e guariscono il corpo. Gruppo Editoriale Armenia,

Milano 1996.

Page 65: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

64

sensazione, la percezione di esso, la memoria e la capacità di descrivere l’oggetto in questione

(persona o cosa). Questo concetto ci fa comprendere l’importanza del movimento e del

posizionamento (il modo di porgere o ricevere l’esperienza) per favorire il cambiamento. Attraverso

la risonanza consapevole possiamo modulare la difficoltà dell’altro ed utilizzare il movimento per

cambiare l’immagine interna di una persona (il modo di ‘osservare’ se stessa e di interagire con il

mondo esterno), poiché le facciamo vivere nuovi modi di reagire, nuove sensazioni, percezioni e

memoria di sé che può arrivare a verbalizzare.

È comprensibile l’importanza di questi studi sulla possibilità di intervento verso i pazienti con

problemi neuromotori se consideriamo la distorsione d’immagine fisica ed emozionale che essi

spesso vivono.

La scaletta delle Emergenze offre molti modelli operativi, quindi può essere utilizzata per riflettere

e studiare l’approccio al paziente e verso se stesso in modo dinamico ed efficace.

PROGRAMMAZIONE NEUROLINGUISTICA (P N L)

È un approccio alla comunicazione e al cambiamento.

Due ricercatori americani R. Bandler (matematico, psicologo e studioso di cibernetica) e J. Grinder

(psicologo e linguista) studiando i modelli di intervento di esperti terapeuti (M. Erickson, V. Satir,

F. Perls) sono riusciti a sviluppare un approccio pragmatico alla comunicazione umana: un insieme

di tecniche e procedimenti che possono essere appresi per sviluppare la propria abilità nella

relazione e determinare cambiamenti profondi e duraturi. Essi unirono le conoscenze delle scienze

della comunicazione, del linguaggio e gli studi sul funzionamento del cervello per identificare gli

schemi di comportamento umano e agire efficacemente su di essi.

Quest’approccio si chiama P N L.

Programmazione: in un certo senso noi siamo simili a computer, sin dalla nascita abbiamo

ricevuto dei programmi nei nostri dischetti. Essi sono di tipo genetico, sociale e costruiti dalla

nostra storia unica e personale. Questi programmi (comportamenti) sono riconoscibili e modellabili

(c’è la possibilità di cambiarli se non funzionano).

Neuro: ogni comportamento è attivato da specifici circuiti neurologici. Per cui vi è una

fondamentale relazione tra funzionamento cerebrale e comportamento. Nuove possibilità relazionali

implicano l’arricchimento di connessioni neurologiche.

Linguistica: i ‘programmi’ si esprimono attraverso il linguaggio corporeo (analogico) e verbale

(digitale). Il nostro modo di pensare, la nostra rappresentazione del mondo, si riflettono nel nostro

modo di agire e reagire agli stimoli esterni ed interni e manifestano le nostre credenze.

Gli autori sostengono che nel percepire la realtà attraverso i sensi ognuno di noi utilizza un canale

sensoriale privilegiato (visivo, uditivo o kinestesico-corporeo), che a sua volta determina un modo

particolare di dare significato alla propria esperienza: per esempio, nell’osservare un tramonto,

persone diverse possono mettere in risalto aspetti differenti come la bellezza dei colori o l’armonia

nel rapporto tra le parti di esso, oppure essere rapiti dagli odori a dalla brezza. Come ho già detto la

rappresentazione interna della realtà, influisce sul comportamento e condiziona l’approccio alla

realtà stessa confermandosi (indice di computazione). Ciò accade perché le esperienze si fissano

(ancoraggio) nel nostro cervello con modalità particolari ad ogni individuo (soggettive, punto

di vista particolare) secondo griglie di osservazione della realtà imposte da fattori genetici e

soprattutto socio-educativi.

Per la persona che sperimenta, il vissuto ha la sembianza di assolutezza e di universalità,

impedendogli di accedere ad angoli visuali differenti a meno che qualcuno lo aiuti ad ampliare

la sua esperienza. Ed è questo il compito del terapeuta qualora l’immagine di sé del paziente è

distorta, bloccata o limitata.

Page 66: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

65

La P N L offre al terapista diversi strumenti per favorire l’approccio al paziente:

1) La possibilità di conoscere ed acuire la sensibilità verso gli indicatori fisiologici dello

psichismo che il paziente manifesta. Gli autori hanno evidenziato che i processi mentali si

esprimono all’esterno attraverso i comportamenti. In modo specifico, i vissuti emozionali

si manifestano attraverso gli indicatori fisiologici, che permettono di calibrare (misurare)

ciò che si organizza nella mente della persona (stato interno, processo interno).112

2) Rapport (rispecchiamento): capacità del terapista di utilizzare il proprio corpo e il linguaggio

per entrare in sintonia con il paziente.

3) Tecniche di cambiamento per favorire la ristrutturazione di un comportamento indesiderato.

Si può aiutare il paziente nella ricerca di soluzioni in armonia con il suo modello di mondo e

soprattutto in accordo con i suoi bisogni, arricchendo l’esperienza.

1) La calibrazione, come già detto, permette di individuare il modo di funzionare del sistema

nervoso centrale e il suo canale preferenziale di comunicazione. Esistono molti ‘indicatori’ di

questo funzionamento: ad esempio la respirazione può essere addominale, toracica o sub-

clavicolare (alta) se il paziente utilizza in quel momento, o abitualmente, un modo di rapportarsi

emotivo-viscerale (emotività profonda), emotivo superficiale o razionale. Questi tipi di respirazione

indicano il canale di comunicazione privilegiato dal paziente: corporeo-tattile, uditivo o visivo, e

facilitare l’approccio allo stesso.

Anche i micromovimenti oculari permettono di capire se la persona è chiusa nel suo dialogo

interiore o nelle sue sensazioni corporee quando gli occhi si dirigono in basso a sinistra o a destra;

se essa sta ripensando ad un dialogo, o ad una canzone gli occhi si dirigono orizzontalmente a

sinistra; se sta costruendo mentalmente una risposta essi si dirigono orizzontalmente a destra. Se

invece sta rivivendo un’immagine interiore gli occhi vanno in alto a sinistra; ecc. (l’80% della

popolazione utilizza queste risposte a stimoli ambientali).

La calibrazione del linguaggio verbale: attraverso l’analisi dei predicati e soprattutto con il

metamodello, abbiamo altri modi per capire se il paziente vive una dimensione corporea, emotiva o

razionale, e possiamo indagare sul contenuto profondo di un messaggio linguistico liberandolo da

cancellazioni, distorsioni e generalizzazioni.113

La calibrazione può essere uno strumento per cogliere quando il paziente ha difficoltà e quale tipo

di difficoltà presenta (chinestesica, percettiva, emozionale) affinando la capacità di osservazione del

terapista.

2) Quando si comprende il vissuto del paziente e il suo canale preferenziale di comunicazione è

possibile entrare più facilmente in armonia con lui attraverso il rapport (rispecchiamento):

112

Per conoscere gli indicatori fisiologici dello psichismo vedi ‘processo interno – stato interno’ nel quarto capitolo.

Alcune reazioni emotive attivate dall’amigdala sono state descritte nella nota n. 22 del secondo capitolo. 113

“Il linguaggio umano è un modo di produrre rappresentazioni del mondo. La grammatica trasformazionale è un

modello esplicito del procedimento con cui si rappresenta il mondo e se ne comunica la rappresentazione. I meccanismi

operanti nell'ambito della grammatica trasformazionale sono universali per tutti gli esseri umani, e sono il modo in cui

rappresentiamo la nostra esperienza. Il significato semantico che questi procedimenti rappresentano è esistenziale, ed è

infinitamente ricco e vario. Il modo in cui questi significati esistenziali sono rappresentati e comunicati è retto da

regole. La grammatica trasformazionale modella non già il significato esistenziale bensì il modo in cui viene formato

questo insieme infinito: le regole stesse delle rappresentazioni.

Il sistema nervoso responsabile della produzione del sistema rappresentazionale del linguaggio è 1o stesso sistema

nervoso con il quale gli uomini producono ogni altro modello del mondo: di pensiero, visivo, di movimento, ecc. In

ciascuno di questi sistemi operano gli stessi princìpi di struttura. Pertanto i princìpi formali che i linguisti hanno

individuato nell'ambito del sistema rappresentazionale chiamato linguaggio ci offrono un approccio esplicito alla

comprensione di ogni sistema di modellamento umano.” R. Bandler – J. Grinder, La struttura della Magia, cit., pp. 56.

Bandler e Grinder hanno sviluppato il metamodello ispirandosi alla grammatica trasformazionale.

Page 67: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

66

a) il rispecchiamento di comportamento fisico si nota spontaneamente in due persone che sono

in sintonia tra loro. In questo caso, infatti, i movimenti, il tono di voce, il respiro sono in armonia

tra di loro. Purtroppo esso agisce (per risonanza) anche nelle situazioni conflittuali: in questi casi la

tensione emotiva si trasmette, spesso inconsapevolmente, tra gli interlocutori, anche se ognuno di

loro crede che il sentimento sia nato in lui spontaneamente.

Esiste un’esperienza guidata, chiamata ‘ancoraggio spaziale in tre posizioni’ di R. Dilts, che

permette di comprendere la capacità del nostro inconscio di registrare l’immagine dell’altro

attraverso la fisiologia durante una relazione conflittuale (risonanza - cervello rettile e mammifero):

quando riusciamo a richiamare coscientemente l’attitudine fisiologica dell’altro nel nostro

corpo possiamo arrivare a sentire i suoi sentimenti (cervello umano, consapevolezza ed

empatia). Quando la persona guidata arriva a ‘sentire l’altro’ avvengono dei cambiamenti fisiologici

ed emozionali che permettono di superare l’attitudine di difesa. Questa, infatti, spesso impedisce di

porsi dal punto di vista dell’altro e di risolvere situazioni conflittuali.

La stessa tecnica può essere utilizzata per capire, o meglio ‘sentire’, la difficoltà del paziente e

riconoscerla quando egli la manifesta.

Utilizzando questa esperienza si può fare la diagnosi di un paziente attraverso il terapista, quando

questi è bloccato dal paziente (in risonanza con lui). In questi casi il terapista ha un vissuto ben

preciso che può elaborare.

b) Il rispecchiamento del linguaggio verbale: utilizzando termini (predicati) in accordo con il

canale di comunicazione preferenziale del paziente (corporeo, uditivo o visivo) si entra in contatto

con l’angolo da cui l’altro osserva ed elabora la realtà.

c) Il rispecchiamento del contenuto: si ottiene rispettando le credenze del paziente (non si

devono necessariamente condividere) e cercando soluzioni in armonia con il suo modello di mondo.

Successivamente lo si può guidare ad ampliare le sue scelte ed arricchirle in base alle reali necessità

e possibilità del paziente stesso.

3) quando il terapista arriva a comprendere (prendere su di sé) ciò che vive il paziente, sarà

più facile per lui riuscire ad aiutarlo al momento opportuno con gli strumenti professionali a

sua disposizione. Il paziente a sua volta, legge inconsciamente nel corpo del terapista la

disponibilità (per risonanza) e difficilmente attiverà resistenze durante il trattamento.114

Utilizzando

questo cammino terapeutico sarà più semplice per il terapista favorire il cambiamento nel paziente

permettendo una vera e propria ristrutturazione.115

Esistono diverse tecniche che si basano sulla ristrutturazione ma il senso profondo di esse è quello

di permettere al paziente di recuperare le proprie capacità (risorse) per diventare l’artefice

del cambiamento.

114

M. Erickson, uno tra i grandi terapeuti contemporanei, ha posto questo principio alla base del suo intervento. Il

pensiero di M. Erickson è stato studiato e descritto da molti terapeuti, consiglio la lettura di alcuni libri sull’argomento:

D. Gordon – M. Meyers-Anderson, Phoenix, i modelli terapeutici di Milton H. Erickson.Casa editrice Astrolabio-

Ubaldini Editore, Roma 1984. - J. Haley, Cambiare gli individui. Conversazioni con Milton H. Erickson, Casa editrice

Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma 1987. - R. Bandler – J. Grinder, Ipnosi e trasformazione. La programmazione

neurolinguistica e la struttura dell’ipnosi, Casa editrice Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma 1983. 115

“Dare una nuova struttura alla visione del mondo concettuale e/o emozionale del soggetto e porlo in condizione

di considerare ‘i fatti’ che esperisce da un punto di vista tale da permettergli di affrontare meglio la situazione

anziché eluderla, perché il modo nuovo di guardare la realtà ne ha mutato completamente il senso.” P. Watzlawick

- J. H. Weakland - R. Fisch, Change. Sulla formazione e la soluzione dei problemi, Casa Editrice Astrolabio -

Ubaldini Editore, Roma 1974, pp. 102.

Page 68: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

67

Ristrutturazione

La ristrutturazione è una strategia utilizzata in P.N.L. che aiuta la persona a cercare nuove risorse e

nuovi modi di vedere riguardo ad un comportamento che crea problemi.116

Per il terapista essa è un potente mezzo per aiutare il paziente, ma il terapista deve tenere in

considerazione alcuni punti fondamentali:

1. Rispettare l’immagine e i valori del paziente e farli propri (assumerne il punto di vista).

2. Cogliere l’intenzione positiva che si cela dietro il comportamento: cioè comprendere il bisogno

profondo che la persona cerca di colmare spesso in modo distorto a causa di esperienze passate.

3. Essere delicati nell’entrare in contatto con i meta messaggi del paziente (i segni che egli invia

inconsciamente con i quali possiamo entrare in risonanza).

4. Proporre risorse compatibili con l’ambiente del paziente.

5. Valutare se il nuovo comportamento è accettato da altre “parti della personalità” del paziente

(ecologia).

La ristrutturazione non deve essere proposta in modo “didattico” e artificioso. Essa deve essere

vissuta, interpretata e compresa dal terapista (il fare, il metodo).

Una volta assimilata sarà proposta gradualmente per guidare il paziente verso il suo obiettivo, vale

a dire, la realizzazione della sua intenzione positiva.

Se il terapista ha introiettato bene l’immagine del paziente e il procedimento di ristrutturazione

(nei seminari di PNL si elaborano diverse tecniche che si basano su di essa) entrerà nel non fare: il

comportamento del terapista sarà spontaneamente adeguato all’immagine del paziente e

all’obiettivo da raggiungere.117

116

Cfr. R. Bandler – J. Grinder, La ristrutturazione. La programmazione neurolinguistica e la trasformazione del

significato, Casa Editrice Astrolabio – Ubaldini Editore, Roma 1983. 117

Riporto un esempio di ristrutturazione veloce tratto dall’esperienza quotidiana. Tempo addietro un caro amico e

collega mi fece una confidenza: “Quando sono bloccato nel traffico automobilistico ad un semaforo o ad un passaggio a

livello mi sento soffocare. Sento il corpo irrigidirsi, mi riempio di sudore e sono costretto ad uscire dall’automobile.”

Questo vissuto lo faceva sentire a disagio e creava un’immagine negativa di sé. Dentro di me compresi l’angoscia che lo

assillava e cercai una soluzione. Assunsi un’espressione stupita ed immediatamente risposi: “ Davvero ti succede

questo? Pensa che a me accade di dover correre per sbrigare delle faccende e non ho mai un momento per me stesso.

Quando mi accade di rimanere bloccato nel traffico e sono costretto a fermarmi, sai cosa faccio? Spengo il motore,

aumento il volume della radio e mi rilasso. Cerco di godere quei pochi minuti che il tempo mi regala.” A queste

parole il mio amico mi guardò con aria sorpresa e poi parlammo d’altro. Passati due mesi ci incontriamo nuovamente. Il

mio amico, un po’ imbarazzato mi confessò: “Sai Giovanni, non ho più quell’antica fobia. Quando ci siamo incontrati,

tempo addietro, mi è sembrato strano che qualcuno potesse vivere quella mia stessa situazione in modo così diverso.

Ho imparato a rilassarmi. E mi sembra così strano non provare paura o ansia. Però sono felice di averlo superato.”

Page 69: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

68

Esempio che può aiutare a comprendere il ‘movimento’ interiore di un terapista o di un paziente

che manifesta un problema di approccio:

TERAPISTA

accanimento terapeutico o, al contrario, distacco

LIVELLO COSCIENTE: desiderio, bisogno di aiutare l’altro, guarirlo.

LIVELLO INCONSCIO: frustrazione del terapista di fronte alla malattia, alla resistenza che

l’altro fa alla terapia.

INTENZIONE POSITIVA: aiutare l’altro.

BLOCCO: sentirsi impotenti, responsabili di ciò che l’altro vive affidandosi a noi.

COMPORTAMENTO: accanimento terapeutico o fuga dalla relazione.

PAZIENTE

Eccessivo attaccamento alla terapia

LIVELLO COSCIENTE: desiderio di essere aiutato da una persona competente.

LIVELLO INCONSCIO: la malattia mi protegge da una situazione emotiva difficile.

INTENZIONE POSITIVA: superare la sofferenza, farsi aiutare, superare il blocco emozionale.

BLOCCO: se si toglie la malattia mi trovo indifeso, devo affrontare una situazione difficile,

so di non farcela, perché nel passato mi ha distrutto.

COMPORTAMENTO: appoggiarmi morbosamente al terapista perché mi guarisca senza farmi

affrontare il trauma (in modo asettico).

In questi casi la comprensione dell’intenzione positiva (spesso inconsapevole) permette la

ristrutturazione durante il setting terapeutico.

Se il terapista considera tutti questi eventi, di se stesso e del paziente, non cade nella trappola del

comportamento. Aiuterà il paziente a ricentrarsi, a riscoprire il suo corpo e il vissuto in una

situazione emotivamente protetta (terapia).

Il paziente potrà rivivere (re-immaginare) ciò che ha vissuto e cercare nuove soluzioni (nuovi

comportamenti) che lo rendano più soddisfatto.

Il terapista ottiene due risultati: il paziente allenta la sua tensione e i sintomi e scopre di avere in sé

le risorse per guarirsi.

PROGRAMMA MENTALE E COMPORTAMENTO

Sin da piccoli mettiamo nel nostro cervello dei programmi. Alcuni funzionano sempre bene, altri

per un certo tempo e altri male.

Il cervello è simile ad un computer molto sofisticato, se impartiamo una cattiva programmazione

esso darà risultati pessimi: le potenzialità del computer non possono essere attivate o si alterano i

risultati. In base alla passata programmazione (genetica e apprendimento emotivo) scegliamo,

spesso inconsciamente, tra migliaia di programmi quello che verrà usato per generare i nostri

sentimenti e l’esperienza di ciò che accade. La programmazione imporrà quali sentimenti emotivi

devono scattare di fronte ad una situazione.118

Una cattiva programmazione limita la capacità della

consapevolezza imponendo angoli di osservazione limitati o distorti.

Immaginiamo un bambino che non riesce ad attirare l’attenzione dei genitori, perché questi sono

troppo stanchi od occupati. Poi, casualmente, accade che si interessino di lui quando il bambino

118

“Si definisce imprinting una esperienza significativa del passato attraverso la quale una persona si è formata una

convinzione o un insieme di convinzioni. Il periodo dell’imprinting è considerato quello che va da 0 a 7 anni, durante il

quale mettiamo le basi della nostra programmazione individuale e siamo però anche come spugne e inconsciamente

facciamo nostro il comportamento dei genitori. L’esperienza di imprinting spesso implica infatti l’assunzione inconscia

del modello di ruolo di altre persone significative.” Dispensa n. 2 di Programmazione Neurolinguistica, Bologna 1995.

Page 70: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

69

rompe qualcosa (viene rimproverato). In questo modo il bambino ottiene il suo scopo. Questo

comportamento nel tempo potrebbe rafforzarsi se l’ambiente, chiuso nelle sue problematiche, non si

accorge dei bisogni e dei richiami del bambino. Questi, infatti, può attivare il comportamento

distruttivo per avere i genitori a sua disposizione (a volte è meglio ricevere uno schiaffo che sentirsi

escluso o abbandonato). Crescendo egli si comporta allo stesso modo in altri ambienti. Per esempio,

a scuola lo stesso bambino rompe gli occhiali del maestro e spera inconsciamente di ottenere

l’attenzione dell’insegnante. Ma il programma mentale (comportamento) che si è creato in casa può

essere catastrofico in un ambiente diverso.

Un altro bambino potrebbe attivare una strategia differente, ad esempio egli attira l’attenzione su

di sé quando sta male. In questo caso, per colmare i suoi bisogni, egli utilizza inconsapevolmente

questo richiamo rivelatosi efficace.

Le nostre esperienze possono strutturare dei comportamenti ripetitivi, fissi, finalizzati a

certe risposte che l’ambiente ci ha dato. Se l’ambiente conferma sempre tali comportamenti

essi diventano definitivi. Colui che li attua si aspetta sempre la stessa risposta dall’ambiente

(credenza).

Molto spesso i vissuti dei bambini con PCI sono aggravati da più fattori che co-agiscono in modo

da bloccare le sue potenzialità residue. Il fattore neurologico lesionale o disfunzionale altera

l’esperienza fisica; quella cognitiva è spesso dominata da problemi di elaborazione dei dati

sensoriali e dalla mancata o distorta esperienza fisica; quella emotiva è appesantita dal vissuto

ambientale, spesso drammatico, dell’evento patologico. Questi vissuti si fissano nell’immagine di sé

del bambino determinando molto spesso uno stato tonico di difesa quando il piccolo sta per vivere

una situazione di difficoltà. Se queste situazioni si protraggono nel tempo, lo stato tonico alterato

diventa fisso, una seconda natura inconsapevole: la credenza di ‘essere così’ (ipertono secondario –

Boscaini). Aiutare il bambino a prendere coscienza di questo tono alterato di difesa, in modo da

poter utilizzare meglio le proprie risorse, occupa una grossa parte del lavoro e, soprattutto, richiede

una grande attenzione e sensibilità da parte del terapista.

La società di fatto ha creato dei modelli (immagini) ai quali inconsciamente ci con-formiamo: ne

assumiamo la forma, per risonanza. Questi modelli condizionano il nostro comportamento. Per cui

in una situazione x (inconsciamente) ho un comportamento x. Il problema nasce quando si modifica

il contesto in cui si attua il comportamento e non ho scelta perché non conosco, non ho sperimentato

esperienze diverse. Questa è spesso la condizione del bambino con PCI prigioniero dei suoi schemi

motori. Il non aver potuto vivere situazioni facilitanti crea un’immagine limitata e limitante anche

nell’affrontare situazioni in cui ha delle discrete abilità. L’ambiente, infatti, contribuisce

rimandandogli un’immagine che lo blocca (paragone con il ‘normale’). Un esempio di ciò è la

scarsa attitudine all’autonomia personale che questi bambini spesso dimostrano anche quando

hanno delle buone potenzialità.

La nuova scienza della Cibernetica ci fornisce delle prove sul cosiddetto ‘subconscio’ e sui

comportamenti che da esso derivano. Secondo questa scienza esso è un meccanismo (anzi un servo

meccanismo) formato dal cervello (cervello rettile e mammifero: attivatore, della memoria e

dell’apprendimento) che la mente utilizza per raggiungere una meta. Questo meccanismo agisce

automaticamente e impersonalmente per raggiungere un fine: un obiettivo determinato dalle

immagini mentali che si forma attraverso le precedenti esperienze, tutto ciò che ‘crede’ e le sue

‘interpretazioni’. Quando questo meccanismo ha imparato ad agire nelle varie situazioni, plasmato

dall’educazione, dai modelli sociali e dalla storia personale, diviene autonomo ed automatico.119

Per

esempio presso alcune popolazioni le cavallette sono considerate cibo (Messico), in altre il solo

contatto fisico suscita sensazioni intense e viscerali di rifiuto. Questo esempio fa comprendere che

si possono vivere reazioni emotive a volte intense e viscerali a stimoli non collegati alla

sopravvivenza, ma a fattori ambientali appresi che spesso si sostituiscono o alterano il bisogno

biologico.

119

Cfr. M. Maltz, Psicocibernetica, Casa Editrice Astrolabio – Ubaldini Editore, Roma 1965.

Page 71: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

70

Se immettiamo nel nostro subconscio informazioni e dati pensando di essere indegni, inferiori e

incapaci essi vengono elaborati come qualsiasi altro dato condizionando la nostra esperienza.120

Ma

la programmazione si può cambiare ed il computer può lavorare sfruttando nuove possibilità.

E’ fondamentale per il terapista entrare nella credenza del paziente. Comprendere il modello di

mondo che si è creato nel suo ambiente e dare nuove risorse affinché nuove scelte e quindi nuovi

comportamenti risultino più efficaci.

Comprendere questi meccanismi mentali permette al terapista di capire le strategie

sviluppate dal paziente e lo aiuta a ristrutturare l’immagine di sé quando essa impone limiti

per il raggiungimento di una migliore conoscenza del suo corpo e di se stesso.

Per fare questo anche il terapista deve conoscere e sapere riconoscere i suoi meccanismi

interiori: coscienti-inconsci-semicoscienti e deve saperli gestire con delicatezza.

Schematicamente la nostra capacità di essere cosciente dei nostri comportamenti potrebbe essere

descritta attraverso la Finestra di Johari:121

Conosciuto da me Sconosciuto da me

Conosciuto dall’altro

Sconosciuto dall’altro

In A) Tutto è chiaro, io lo so e lo manifesto.

B) Mi è sconosciuto e può essere importante avere informazioni di tipo fisiologico (terapia).

C) Mi nascondo, sarebbe bene prendere coscienza ed aprirsi se possibile (auto consapevolezza,

ristrutturazione).

D) Tutto è sconosciuto. Solo qualcuno esterno al gruppo può dare informazioni (meta-posizione)

Terapia.

120

“Avete forse smesso di essere orgogliosi del vostro corpo a causa delle critiche frustranti che vi esortavano di con-

tinuo a stare diritti, come se lo star diritti dipendesse dalla vostra volontà e prontezza nell’obbedire? Oppure è stata

l'ammirazione della gente per le vostre prestazioni da bravo bambino a insegnarvi che per sentirvi dire quanto eravate

meravigliosi dovevate inevitabilmente chiamare a raccolta tutte le vostre forze ed esibirvi? Avete fatto di tutto per

eccellere agli occhi del maestro, avete fatto di tutto per impressionare i compagni. Anni e anni dopo, anche quando

eravate soli, il vostro ego, sempre in cerca di approvazione, aveva ancora bisogno di un pubblico, anche se questo

esisteva solo nella vostra immaginazione. Accettando le critiche o l'ammirazione, avete conferito agli altri la facoltà di

giudicarvi e vi siete abituati a dipendere dal giudizio altrui, crescendo lontani dalla vostra voce interiore.” R. Alon,

Guida pratica al metodo Feldenkrais, Edizioni red/studio redazionale, Como 1992, pp. 33. 121

“ Il nome ‘Johari’ nasce dall’unione di due nomi Joe e Harry che si riferiscono rispettivamente agli psicologi Joe

Luft e Harry Ingham (dell’Università di California) ideatori del modello. Esso tende a fornire una consapevolezza del

comportamento dell’uomo ed è aperto a componenti diversificate quali la crescita, i bisogni psicosessuali, i bisogni di

sicurezza, i bisogni sociali.” I. Acerbo- F. Arena, L’evoluzione dell’individuo e l’interazione con l’ambiente. Linee di

psicologia sociale e di psicologia applicata,Editrice Canova, Treviso 1997, pp. 50 – 51.

A

Chiaro

B

Cieco

C

Nascosto

D

Sconosciuto

Page 72: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

71

“L' apertura verso nuove esperienze e nuove relazioni, che hanno la capacità di modificare

radicalmente il nostro vissuto, è una potenzialità che ciascun individuo possiede e che non sempre

ha la capacità di sfruttare fino in fondo.

Noi non ci conosciamo veramente perché indossiamo una maschera che non permette di rivelare il

nostro io più autentico se non in momenti di particolare stanchezza o abbandono. Raramente, in

tutta la vita, abbassiamo queste difese di fronte a un altro essere umano. Soltanto nel sonno o da

svegli in certi momenti di sospensione, di quiete, di solitudine si abbassano le difese; ma questi

momenti sono percepiti raramente anche dalla persona che li sperimenta.

Dobbiamo imparare, suggerisce questo modello, a esplorare noi stessi e ad abbandonare gli

atteggiamenti convenzionali per realizzare una esperienza compiuta del nostro 'io profondo' dal

punto di vista corporeo e spirituale, in altre parole dobbiamo imparare ad ascoltarci superando le

tensioni per renderci conto di ciò che accade.

La possibilità di conoscere i bisogni, di divenire consapevoli delle sensazioni e dei vissuti ci mette

a contatto con la nostra più autentica identità e ci permette di realizzare un’apertura nuova verso il

contesto situazionale nel quale siamo immersi e di cui, spesso, non siamo consapevoli.

In altre parole, per conoscere l’altro, dobbiamo entrare più intimamente in contatto con noi

stessi.”122

I settori della nostra “consapevolezza” o dell’altrui comportamento descritti nella Finestra di

Johari, vanno toccati con prudenza.

Una descrizione fisiologica, fisica-sensoriale di ciò che osserviamo (respirazione, atteggiamento

globale, tono di voce, volume, ecc.) permette di cogliere il legame (ancoraggio) tra stato emotivo,

azione e fisiologia e possiamo modificarlo senza ferire. Il giudizio invece crea difesa e chiusura.

Esso va rifiutato.

************************

Come ho già detto per le CM anche la PNL è un campo molto vasto di studi, ricerca e applicazione.

Ho deliberatamente trascurato di affrontare argomenti quali ‘indice di computazione’, ‘i livelli

logici di G. Bateson’, ‘posizione d’eccellenza’, ‘tecniche di cambiamento’, ecc., che meriterebbero

molto spazio per la loro importanza nella costruzione di un modo diverso di pensare i processi

mentali ed il corpo.

In questa sede mi sono limitato ad accennare ad alcune linee teoriche. Anche in questo caso

rimando il lettore interessato alle molte pubblicazioni e soprattutto ai seminari sull’argomento.

L’apprendimento di queste tecniche richiede che il terapista abbia rispetto verso le credenze del

paziente e flessibilità mentale. Esso costituisce un training di cambiamento permanente per le

attitudini del terapista stesso.

122

I. Acerbo – F. Arena, L’evoluzione dell’individuo e l’interazione con l’ambiente. Linee di psicologia sociale e di

psicologia applicata, cit., p. 51.

Page 73: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

72

APTONOMIA

Il fiammingo Veldman ha sviluppato una metodologia di approccio che è l’Aptonomia e il

Prolungamento. Ma più che un metodo, è un ‘contatto’, un modo di ‘toccare’ l’altro. Il Prof. Lerminiaux quando ci ha presentato l’Aptonomia ha utilizzato la metafora del cieco: un

cieco attraverso il suo bastone ‘sente’ lo spazio attorno. La sua attenzione è focalizzata sulla punta

del bastone, per mezzo di essa sente gli ostacoli nel suo cammino e riconosce ciò che incontra.

Attraverso le vibrazioni che l’oggetto trasmette al bastone il cieco può capire se l’oggetto è di legno

o di metallo, se esso è morbido o duro, può esplorarne i contorni, ecc. ed adatta il suo cammino ed il

comportamento a queste sensazioni. Perché egli possa fare questo deve essere ‘presente ed aperto’

alle sensazioni che riceve. La metafora ci aiuta a comprendere che la nostra consapevolezza è lì

dove si dirige la nostra attenzione, e in terapia si dovrebbe utilizzare un modo di ‘toccare

consapevole’.

Il terapista, quando tocca il paziente, registra attraverso il tatto ed i fusi neuromuscolari la

resistenza al movimento e la tensione del muscolo del paziente.123

I fusi neuromuscolari del

terapista si ‘adattano’ al tono (tensione muscolare) del paziente così come adattano la forza del

muscolo nel sollevare pesi di diversa misura. Essi, inoltre, funzionano come ‘termostato’ per il tono

di base: i mammiferi, infatti, hanno la possibilità di cambiare l’eccitabilità dei fusi neuromuscolari.

Se si modifica l’immagine interna, per esempio davanti ad un pericolo, il termostato si posiziona su

stati tensivi diversi (più bassi del normale) attraverso le vie sottocorticali per essere più pronti a

reagire.

Un esempio che utilizza spesso il prof. Lerminiaux per spiegare aspetti più raffinati di questo

meccanismo è quello dell’attore che si ‘immedesima’ nel personaggio ‘modificando’ il suo

comportamento, il modo di parlare, le espressioni del viso, ecc, in accordo con l’immagine che egli

ha del personaggio.

Il terapista, quindi, ‘misura’ e ‘registra’ consciamente (calibrazione, aptonomia) o

inconsciamente (risonanza passiva) tutte le variazioni toniche che sono un linguaggio ben

preciso sullo stato neurologico e sul vissuto del paziente. In questo modo egli riceve moltissime

informazioni sullo stato fisiologico ed emozionale del paziente. La tensione dei muscoli, la

resistenza che essi fanno al movimento o al cambiamento, le fluttuazioni del tono muscolare sono

sensazioni che un terapista esperto conosce molto bene, ma non sempre siamo ‘presenti ed aperti’

per poterle cogliere. Affinare questo ‘ascolto’ significa avere una fonte preziosa, una guida ed una

risposta al modo di operare.

Il terapista può utilizzare l’Aptonomia non solo per ‘essere in ascolto’, ma anche per indurre

cambiamenti fisiologici ed emotivi nel paziente: se egli comprende che un’immagine mentale

determina nel corpo uno stato fisiologico corrispondente, espressione di quello emozionale, può

creare in sé l’immagine della situazione di cui il paziente ha bisogno e tutto il suo corpo si trasforma

permettendo al paziente un contatto tonico-emozionale che induce dei cambiamenti per

123

I fusi neuromuscolari sono organi sensoriali del muscolo che permettono di registrarne e modularne il tono, la

lunghezza e la forza da applicare allo stesso durante l’attività motoria.

Page 74: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

73

risonanza.124

Ciò è possibile se il terapista è consapevole del vissuto proprio e di quello del

paziente.

In un momento successivo si può aiutare il paziente a richiamare su di sé lo stato tonico-

emozionale più adatto in modo consapevole ed in autonomia.

In ogni caso toccare ha una connotazione emotiva intensa. Il tatto è il senso dello spazio

primordiale, noi siamo là dove giunge il nostro tatto, siamo le cose che tocchiamo o per distinguerci

da esse. Essere in contatto con un’altra persona mette in gioco la nostra e l’altrui

vulnerabilità. Il terapista deve essere consapevole delle sue difficoltà e di quelle del paziente

quando entra in contatto fisico. Possiamo diventare ‘corazzati’ per non essere mai toccati realmente

dalla vita del paziente, oppure possiamo diventare sempre più preoccupati dei ‘nostri stessi bisogni’,

sino a che ascoltare il paziente diventa difficile.

Lavorando su questi ‘problemi’, queste ‘difficoltà’ il terapista diventa Terapista. Io stesso ho

imparato molto dalle mie difficoltà. Molto spesso entro in risonanza passiva con le persone con le

quali sono in contatto. Questo mi causa dei cambiamenti non sempre desiderabili, ma ho imparato

ad utilizzare consapevolmente questa capacità in terapia. Essa mi aiuta a ‘prendere su me stesso’ ciò

che ‘sente e vive’ il paziente. Ed è uno strumento eccezionale nel momento in cui ho necessità di

capire come, quando e cosa l’altro ha di bisogno.

Quando il terapista riconosce che il suo cammino e quello dell’altro coincidono molto più spesso

di quanto non differiscano, può abbandonare la preoccupazione per se stesso e creare buone

condizioni per la terapia. Il terapista crea lo ‘spazio’ che avrebbe voluto avere per superare i suoi

problemi e l’altro vi entra.

Il terapista ed il paziente possono e devono comprendere che la situazione terapeutica è un

momento privilegiato in cui non occorre essere vulnerabili o aggressivi. Si può semplicemente

partire così come si è. E da lì costruire una nuova storia.

L’aptonomia e gli altri sensi

Toccare è un gioco continuo tra dentro e fuori: è conoscere, conoscersi e delimitare lo spazio. Gli

altri sensi sono una differenziazione specializzata della pelle, del tatto. Essi ci permettono di

“toccare” i suoni con l’udito, i colori con la vista, i sapori con il gusto e gli odori con l’olfatto.

La corteccia cerebrale è formata da diverse aree preposte a ricevere ed elaborare i dati sensoriali.

Queste aree sono collegate tra loro, per cui uno stimolo percepito e riconosciuto da una specifica

area (per esempio l’area della sensibilità tattile) può attivare altre aree connesse. Ciò permette il

riconoscimento percettivo (memoria) vissuto attraverso gli altri sensi: per esempio posso

riconoscere un oggetto con la vista e ricordare le sensazioni tattili che esso mi ha sucitato (peso,

consistenza del materiale, superficie, ecc.).

Quando tocco l’altro con le mani, con gli occhi, quando l’altro mi tocca con la voce, il mio

cervello (rettile e mammifero) è estremamente attento a cogliere quelle micro-variazioni

fisiologiche che rappresentano ciò che vive l’altro a livello emotivo (questa capacità non cosciente

di apprendere la lettura del corpo si sviluppa nel primissimo periodo di vita del bambino

nell’interplay con la madre e le persone dell’ambiente). Nel lungo tirocinio di esperienze senso-

motorie della prima infanzia il bambino impara a riconoscere i movimenti e lo stato tonico

muscolare per adattarsi in modo efficace alle persone e allo spazio circostante. In questa prima fase

tattile e corporea l’attenzione e la consapevolezza del bambino sono incentrate sulle sensazioni

suscitate dai movimenti del suo corpo nell’impatto con la realtà (contatto con la madre, con gli

oggetti, ecc.). Successivamente egli utilizza gli organi di senso a distanza (vista ed udito) per entrare

in contatto e quindi controllare lo spazio e gli oggetti. L’attenzione del bambino si sposta

124

Questo concetto richiama quello espresso nella scaletta delle Emergenze: tutti i livelli, da quello fisiologico

(funzione, movimento) a quelli superiori, esprimono lo stesso vissuto.

Page 75: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

74

progressivamente su questi canali sensoriali a distanza quando egli introietta le sensazioni corporee

prossime (tattili e chinestesiche) e le ri-conosce quando si manifestano nel corpo dell’altro.125

Attraverso un adeguato allenamento si può utilizzare il tatto, la vista e l’udito per riconoscere, cioè

riportare alla coscienza le sensazioni toniche emotive che si osservano nel corpo dell’altro e che

abbiamo vissuto tante volte nel passato in noi stessi e nella relazione corporea con altre persone. La

capacità di leggere le variazioni fisiologiche del corpo è innata nel bambino (cervello rettile,

mammifero e poi corticale), essa è la base dell’empatia. Verso la fine della prima infanzia

l’attenzione viene sequestrata dagli aspetti digitali della comunicazione (linguaggio parlato), ma il

cervello rettile ed emozionale continuano a registrare, quasi sempre inconsapevolmente, gli aspetti

analogici della relazione (linguaggio corporeo o tonico-emozionale). “Nel dialogo fra gli adulti lo

sviluppo del verbale offusca il linguaggio del corpo e consente di potersi nascondere dietro al velo

delle parole. Ma quando le parole non valgono che per la loro melodia, come nel dialogo con un

bambino piccolo o con un bambino grave, è di nuovo il corpo a dover esprimere chi siamo e cosa

pensiamo nei confronti dell’altro (metacomunicazione). Spesso i messaggi non verbali, meno

consapevoli e perciò più veritieri, confortano o feriscono, seducono o allontanano reciprocamente

terapista e bambino, più di quanto non possano fare i messaggi verbali. Il terapista deve perciò saper

seguire le prestazioni del bambino non solo in senso fisico, ma anche in senso emozionale e

motivazionale, senza per questo perdere di vista il proprio scopo o confondersi con lui. Non a caso

il primo obiettivo del terapista è capire il bambino e renderlo comprensibile agli occhi dei suoi

genitori.”126

Attivare nel terapista le potenzialità innate di conoscere e riconoscere il linguaggio tonico-

emozionale è possibile, ma occorre che sia abituato ad accettare che i propri messaggi tonico-

emozionali affiorino alla coscienza (atto di consapevolezza). All’individuo che è stato educato a

reprimere ciò che “sente” sarà più difficile diventare consapevole dei sentimenti. Egli impara sin da

bambino a non manifestare il disagio fino a negarlo a se stesso ed inconsciamente blocca i

movimenti che lo manifestano, ed impara a non rivelare neanche a se stesso la sua difficoltà. In

questi casi il cervello razionale tende a censurare tali “necessità” rendendole inconsce. Però esse

condizionano il comportamento e la relazione: quando siamo di fronte a situazioni per noi

problematiche il nostro comportamento si altera. Una persona allenata nella lettura del linguaggio

corporeo può comprendere cosa stiamo vivendo e può aiutarci in modo efficace.

****************

Abbiamo visto che nell’adulto si hanno contemporaneamente due livelli di comunicazione. Il

livello cosciente che è attivato dall’intenzionalità di risposta agli stimoli ambientali ed interni

(situazioni, linguaggio, bisogni fisiologici) ed il livello inconscio che registra e, secondo i

condizionamenti vissuti, filtra attraverso i sensi un’infinità di messaggi. L’inconscio emette a sua

volta dei messaggi attraverso gli indicatori fisiologici (attività dei cervelli arcaici) secondo una

modalità che è propria a quell’individuo ed alla sua storia personale.

125

“Più che la semplice pressione sulla pelle, è il messaggio raccolto dal bambino attraverso i recettori delle proprie

inserzioni muscolari, è il modo in cui viene tenuto a dirgli che cosa ‘sente’ per lui chi lo tiene. La pelle appartiene a

quella classe di organi chiamati esterocettori perché percepiscono le sensazioni provenienti dall’esterno del corpo. I

recettori che vengono stimolati principalmente dalle azioni del corpo stesso sono detti propriocettori. Attraverso la pelle

e i propriocettori, il bambino capta il comportamento dei legamenti delle inserzioni muscolari della persona che lo tiene

in braccio.

Il bambino fa le proprie valutazioni pressapoco come fanno gli adulti quando deducono il carattere di una persona dalla

sua stretta di mano. Infatti chi non ha perso questa sensitività riesce a fare tale deduzione con una certa accuratezza.

Ogni bambino, evidentemente, nasce con il senso cinestetico, e tutte le prove di cui disponiamo (provenienti da

sperimentazioni, osservazioni, esperienze dirette o da aneddoti) confermano che, proprio come si impara a parlare

ascoltando chi ci parla, e infatti parliamo come gli altri hanno parlato con noi, così si impara a rispondere alla

stimolazione esterocettiva della pelle e alla stimolazione propriocettiva delle inserzioni muscolari soprattutto grazie alla

nostra esperienza infantile, o condizionamento, in questo senso.” A. Montagu, Il linguaggio della pelle, cit., pp. 91-92. 126

A. Ferrari, Proposte riabilitative nelle paralisi cerebrali infantili,cit., p. 89.

Page 76: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

75

Il terapista può diventare consapevole dei messaggi che il paziente invia coscientemente e

inconsciamente attraverso la risonanza, la calibrazione e l’aptonomia e poi può guidarlo attraverso il

prolungamento.

E’ importante andare oltre la vista-udito che sono i sensi di difesa usati a distanza, per favorire

l’incontro “tonico-emozionale” attraverso il con-tatto corporeo. Comunque in terapia possiamo

usare la vista e l’udito per guidare l’altro, accarezzarlo, per farci sentire vicino a lui, ecc.

Aptonomia e Prolungamento Quando si entra in contatto con altre persone possono accadere tante situazioni piacevoli o

spiacevoli, abbiamo “bisogno” di conoscere l’altro per sapere come, quando e quanto avvicinarci.

Nascono così le norme sociali di saluto che permettono il contatto “controllato” ed evitano le

“invasioni”. Esse danno il tempo di conoscere.

Nel rapporto con l’altro si può decidere di essere aperti o chiusi e ciò può accadere a livello

inconscio o cosciente. Quando si sviluppa la consapevolezza attraverso metodiche tratte dalla

scienza delle comunicazioni questo processo può diventare consapevole ed essere utilizzato in

terapia.

I momenti in cui siamo in contatto con gli altri sono tanti: brevi o prolungati, volontari come il

saluto, o forzati quando ad esempio si è in un pullman affollato. I punti di contatto possono essere la

mano, la spalla, gli abiti, un oggetto interposto, lo spazio tra due persone, ma l’esempio più bello è

la danza in cui vi è armonia quando i due entrano in sintonia.

Questa relazione con lo spazio e con l’altro, questa capacità di entrare in sintonia è un retaggio dei

nostri cervelli più antichi, infatti, se osserviamo uno stormo di uccelli in volo possiamo cogliere

l’armonia del gruppo come se si trattasse di un solo individuo: gli uccelli ruotano, volteggiano e

planano senza mai scontrarsi in modo affascinante e magico, tra i componenti dello stormo vi è una

perfetta risonanza.

Possiamo sentire cosa accade in noi e negli altri quando, consapevolmente, siamo aperti nel

ricevere le variazioni fisiologiche nostre e degli altri (tono, respiro, sensazioni, emozioni). Possiamo

imparare a cogliere i segni esterni di tale processo attraverso la calibrazione (cervello corticale

analitico), oppure possiamo sentire attraverso il nostro corpo ciò che vive l’altro (aptonomia,

prolungamento e risonanza - cervello corticale sintetico e cervelli arcaici ).

Il prolungamento è un processo naturale ed un modo particolare di entrare in relazione con gli altri

e con le cose: quando dormiamo prolunghiamo il nostro corpo nel letto, ciò impedisce di cadere;

quando guidiamo l’automobile ci prolunghiamo in essa come se fosse un’estensione del nostro

corpo ed evitiamo di strisciare un muro o un’altra auto nel fare manovre; quando incontriamo

qualcuno e stringiamo la sua mano inconsciamente (e più raramente consciamente) riceviamo una

grande quantità di informazioni su quella persona e sul suo modo di rapportarsi con noi. Ci si può

prolungare nello spazio fisico attorno a noi, in un’altra persona (Aptonomia), in un’immagine (es.

l’attore che si immedesima in un personaggio).

L’aptonomia ed il prolungamento utilizzati in terapia sono essenzialmente aspetti

consapevoli della risonanza. Il terapista, attraverso l’aptonomia e il prolungamento, può diventare

consapevole del vissuto del paziente e capire cosa trasmette lui stesso nella relazione.

La possibilità di abbinare il prolungamento e l’aptonomia con alcuni metodi di riabilitazione neuro

e psicomotoria è veramente qualcosa di eccezionale ed efficace.

Molti terapisti sviluppano inconsapevolmente una buona capacità di prolungamento ma, a volte, si

rischia di entrare in risonanza psico-fisica con il paziente, cioè di farsi carico delle sue

problematiche (simbolicamente potremmo dire che il terapista perde il proprio Asse, la propria

Page 77: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

76

centratura ed assume l’abito tonico-emozionale del paziente, cioè la sua CM). Per questo motivo è

molto importante che il terapista sia cosciente di questi processi.

La capacità di entrare nel vissuto del paziente attraverso il contatto è un bene prezioso, ma è

importante che il terapista sappia gestire ciò che riceve per non confonderlo con il proprio vissuto.

Il terapista deve poter prendere le distanze dal problema per gestirlo attraverso i mezzi terapeutici.

Per guidare qualcuno con il prolungamento, per ottenere una risonanza positiva ed efficace, per

condurre senza ambiguità una seduta terapeutica occorre:

Presenza mentale (attitudine di ascolto).

Trasparenza (sincerità di sentimenti).

Prudenza (capire dagli indicatori sin dove si può arrivare).

Con il prolungamento si può toccare con gli occhi, accarezzare con la voce, gustare con il tatto,

oppure, ferire con la voce, fulminare con lo sguardo, ecc.

CONOSCERSI ATTRAVERSO IL MOVIMENTO127

Moshe Feldenkrais, dottore in scienze naturali, in seguito a gravi problemi fisici personali cercò

una strategia che lo aiutasse a superare le sue difficoltà. Con mente da ricercatore si mise in ascolto

del suo corpo e, nel corso di alcuni anni, ha sviluppato un metodo per risvegliare l’intelligenza del

corpo e la sua naturale sponteneità. L’autore parte dallo studio dei meccanismi emotivi ‘ereditati’

dalla società e dalle esperienze (storia personale) proprie dell’individuo e comprende che esse

spesso inibiscono il nostro completo potenziale. Liberarsi dagli automatismi acquisiti e dai blocchi

emotivi che ne derivano è lo scopo del suo lavoro. Egli dimostra come ogni tensione emotiva si

manifesta nel piano fisico con muscoli contratti, posizioni non equilibrate e dolori che sequestrano

o distruggono le nostre energie. Tutto questo rende difficile o impossibile il raggiungimento dei

nostri obiettivi.

I nostri piccoli e grandi pazienti vivono sul loro corpo il problema legato alla lesione o disfunzione

neurologica, e quasi sempre presentano problemi muovendosi secondo schemi patologici esasperati

(abitudine emotiva). Per esempio il bambino spastico usa molta più ‘forza’ di quella necessaria

attivando in tutto il corpo la spasticità anche se deve semplicemente parlare, o prendere un oggetto.

L’abitudine ad agire secondo schemi patologici esasperati nasce nel bambino dalla difficoltà vissuta

nel passato di eseguire il gesto liberamente: la patologia ostacola il raggiungimento dell’obiettivo e

lui mette più forza per superarla. In questo modo, neurologicamente, egli accentua la patologia (il

movimento spastico) poiché la lesione impedisce un adeguato controllo. Questo modo di muoversi

si fissa nella memoria del corpo e nell’immmagine diventando una seconda natura che

impedisce al bambino di sviluppare strategie differenti.128

127

M. Feldenkrais, Conoscersi attraverso il movimento, Celuc Libri, Milano 1978. 128

“La persona tende a considerare l'immagine che ha di sé come qualcosa che la natura le ha concesso, mentre invece,

in effetti, è il risultato della sua esperienza. L’aspetto, la voce, il modo di pensare, l’ambiente, il rapporto con lo spazio e

il tempo - per esempio - sono accettate come vere in quanto realtà nate con essa, mentre ogni elemento importante nei

rapporti dell’individuo con gli altri e con la società in generale è il risultato di un lungo tirocinio. Le arti di camminare,

parlare, leggere e vedere a tre dimensioni una fotografia, sono capacità che l'individuo acquista nell’arco di molti anni;

ciascuna dipende dal caso e dal luogo e dal momento della sua nascita. L’acquisizione di una seconda lingua non è

facile come quella della prima e la pronuncia della lingua appresa per seconda risentirà dell’influenza della prima; la

Page 78: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

77

Utilizzando i principi del metodo Feldenkrais si invita il paziente ad eseguire i movimenti in modo

fluido, piacevole, evitando lo sforzo eccessivo. Il terapista guida il paziente con il prolungamento

affinché questi porti sul suo corpo l’attenzione durante l’esecuzione dei movimenti ed impari ad

‘ascoltare’ le risposte che il corpo da. Nasce un nuovo modo di ‘sentire’ e ‘rispettare’ il proprio

tempo e ritmo abbandonando gradualmente tensioni muscolari e comportamenti appresi

inconsapevolmente. Il paziente arriva a sentire il ‘troppo’ nel suo corpo ed impara ad

allentare, togliere le tensioni muscolari (ed emotive) sino ad arrivare a sentire il corpo libero.

Quando raggiunge questa percezione del corpo nasce una sensazione particolare che è difficile

descrivere: silenzio nel corpo e nello spazio circostante, come se il tempo rallentasse. È una

sensazione di ‘pace’ interiore, ed è un buon modo per ricominciare a conoscere se stesso.

struttura della frase della lingua madre s’imporrà sulla seconda. Ogni modello d’azione assimilato interamente

influenzerà i modelli delle azioni successive.

Le difficoltà nascono quando, per esempio, una persona impara a sedersi secondo l’usanza di nazioni diverse dalla sua.

Poiché i modelli precedenti del sedersi non sono il risultato della sola eredità, ma derivano dal caso e dalle circostanze

della nascita, le difficoltà implicate stanno non tanto nella natura della nuova abitudine quanto nel cambiare le abitudini

del corpo, del modo di sentire e della mente, partendo dai modelli già acquisiti. Ciò è vero per quasi tutti i cambiamenti

di abitudini, qualunque sia la loro origine. Naturalmente, ciò che s’intende, non è una semplice sostituzione di

un’attività con un'altra, ma un cambiamento del modo in cui si compie un atto, della sua intera dinamica, in modo che il

nuovo metodo sia, sotto ogni aspetto, efficace quanto il vecchio.” Ibidem, pag. 26-27.

Queste osservazioni sono suffragate dalle ricerche in neurobiologia (vedi capitolo secondo del presente libro). Esse

sostengono che la mancanza di esperienza senso-motoria non attiva i circuiti neurologici corrispondenti alla funzione,

ciò causa incapacità a vivere e sentire certe esperienze. È comprensibile, quindi, l’importanza di arricchire l’esperienza

del corpo (e l’esperienza in generale) attraverso un ascolto facilitato e consapevole.

Page 79: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

78

CAPITOLO QUARTO

Riflessioni

Page 80: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

79

Il muscolo parte di un Tutto

Il muscolo, parte di un tutto, è una via per risalire all’osservazione. Il muscolo, per il suo

stretto rapporto tra fisiologia e relazione, è un mezzo ideale per cogliere lo stato interno di

una persona attraverso la sua espressione esterna.

I muscoli si modificano se sono utilizzati molto o molto poco. Se si ha un’attitudine corporea di

all’erta nell’affrontare le situazioni, la CM PM sarà più sviluppata. Il terapista che guarda un corpo

può vedere il modo di pensare e di reagire della persona. Quando un paziente ha delle distorsioni di

movimento, il terapista può capire come questi ha vissuto le sue esperienze.

Osserviamo i muscoli di una persona che ha i polpacci molto sviluppati, possiamo pensare che

hanno molto lavorato o che appartengano ad un calciatore. I muscoli mascellari di una persona che

mangia molta carne sono molto sviluppati perché è un cibo che richiede molta masticazione. Ci

sono persone con movimenti oculari continui e veloci, se questi si dirigono spesso nei quadranti

laterali si può pensare che sono abituate a controllare l’ambiente.

I muscoli, quindi, dicono qualcosa su una persona: il suo modo abituale di muoversi, di

relazionarsi e di esprimersi.

“La locomozione come funzione è qualcosa di più complesso che non una ‘ semplice’ successione

di passi e comporta l’integrazione dell’attività di più sistemi, ad esempio l’equilibrio e la difesa,

l’orientamento e la direzione, la percezione visiva, tattile, barestesica e cinestesica e via di seguito,

fino agli aspetti cognitivi e relazionali (chi sono, dove sono, dove vado, a quale scopo).”129

Viceversa alcuni movimenti, anche se fisiologicamente possibili, sono assenti. Ognuno di noi

ha delle tensioni e delle deviazioni nel corpo di cui non è cosciente. Molti dei nostri malesseri,

irrigidimenti, dolori di schiena, tensioni ai muscoli del viso o degli arti, rivelano la nostra

storia dalla nascita sino ad oggi.

Ci siamo dovuti adattare a pressioni educative: fai il bravo, sbrigati, non toccare, non toccarti, fai

così, ecc. Ogni movimento spontaneo ‘congelato’, bloccato ha determinato tensione nei muscoli che

non hanno potuto esprimerlo. Per conformarci, ci siamo deformati.130

Ci sono comportamenti che

129

A Ferrari,Proposte riabilitative nelle paralisi cerebrali infantili,cit., pp. 157 - 158. 130

“Sono stati forse i vostri genitori, pieni d’apprensione nei vostri riguardi, a porvi dei limiti? Quando vi divertivate a

camminare in equilibrio su una trave o sul bordo di un marciapiede, mettendo cautamente un piede davanti all'altro con

lentezza, e praticando il più acuto dei vostri talenti nel muovervi, ovvero il senso cinestetico dell’equilibrio, è stato forse

Page 81: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

80

non possiamo accettare di noi stessi, li rendiamo incoscienti a causa della programmazione ricevuta

quando eravamo piccoli attraverso il condizionamento ambientale (quindi l’immagine che abbiamo

di noi si distorce). Gli altri quando osservano il nostro comportamento hanno un’informazione

molto precisa ed hanno ragione di non essere d’accordo con noi, quindi l’inconscio é visibile.131

Tutto rimane nel corpo, se si ha la chiave di lettura esso ci racconterà molte cose.

“Il corpo con il duplice accesso del sentire e del muoversi rappresenta il veicolo e lo strumento

dell’affettività e delle emozioni.

Queste ultime sono, infatti, direttamente influenzate dai segnali che provengono dall’organismo in

quanto, anche senza avere necessariamente il coinvolgimento della coscienza, le variazioni dello

stato di tensione dei nostri muscoli o della frequenza cardiaca ci fanno sapere come ci sentiamo.

Ugualmente gli stimoli che giungono dall’ambiente esterno vengono percepiti dal nostro cervello e

le successive rapide reazioni del corpo diventano il segno di cosa queste percezioni significano per

noi (emozione-pensiero-comportamento).

In questo modo si crea un circuito in cui le risposte del corpo possono influenzare i meccanismi di

valutazione e indirizzare i processi di elaborazione attraverso stati di attivazione specifici.

Damasio parla di percezione e rappresentazione dei cambiamenti degli stati corporei a livello

cerebrale come di marker somatici dalla cui natura dipende poi come ci sentiamo.

Gli inputs, relativi alle risposte corporee a determinati stimoli, che arrivano al nostro cervello (alla

corteccia somato-sensoriale per la muscolatura degli arti e del volto, alla corteccia orbito frontale

per gli organi interni) stabiliscono delle associazioni con le esperienze connesse che diventano

apprendimenti. Ecco che stimoli interni (pensieri, immagini, ricordi) possono attivare a loro volta

marker somatici indipendenti dal contesto in cui ci troviamo realmente che però vengono percepiti

con la stessa intensità di risposte reali dirette a stimoli esterni contingenti (ad esempio ricordando

eventi che ci hanno spaventato attiviamo reazioni corporee tipiche delle reazioni di paura).”132

Nel lavorare con il corpo è possibile che tensioni fisiche richiamino i vissuti emozionali che li

hanno determinati e che erano stati rimossi: “Ogni irrigidimento muscolare contiene la storia e il

significato della sua origine. Eliminarlo non solo libera energia, ma fa affiorare alla memoria la

situazione infantile in cui si è verificata la rimozione.”133

Sviluppare l’ascolto verso se stessi e verso gli altri, utilizzando la fisiologia muscolare, implica la

possibità di entrare in contatto con i blocchi e le resistenze che portiamo inconsciamente addosso

allora che i vostri genitori vi hanno gridato: “Scendi subito! Stai per cadere!” Oppure quando giravate come una trottola

su voi stessi, più e più volte, una cosa di cui è capace esclusivamente il bipede umano, e la vitalità accelerata insegnava

ai vostri occhi la scioltezza necessaria per il complicato coordinamento di una rotazione a una velocità tanto alta, è stato

allora che i vostri genitori vi hanno detto: “Smettila di girare, ti verranno le vertigini!” Avete ricevuto un chiaro

messaggio da coloro che erano le persone più importanti per voi allora: il messaggio che movimento era sinonimo di

pericolo, e che il vostro bisogno di osare e di sperimentarlo, di esplorare e decifrare le sensazioni, li metteva in

apprensione. Correre qualche pericolo, arrampicarsi con agilità, sono cose che rientrano nelle possibilità umane,

atrofizzate dagli ammonimenti di adulti autoritari, che, spinti da una sincera preoccupazione per la sicurezza dei figli,

hanno trascurato l’importanza della spinta vitale, che incita a sperimentare e ad imparare. La tendenza all’esplorazione

che si sviluppa nel bambino o nella bambina non sempre è riuscita a superare le preoccupazioni dei genitori, e il

bisogno di interagire con l’ambiente, che si scopre attraverso l’esperienza la forza e la competenza per fargli fronte non

è stato sufficientemente rispettato. Un simile atteggiamento di ammonimento penetra nella mente in fase di crescita, e il

giovane lo assorbe malgrado la resistenza suscitata in lui. Come un lavaggio del cervello, condizionerà tutte le

considerazioni e le reazioni future in un modo che non facilmente si potrà poi modificare, proprio come tutti gli altri

atteggiamenti sociali che i bambini colgono nell’ambiente nel corso della loro crescita.” R. Alon, Guida pratica al

metodo Feldenkrais, cit., pp. 36-37.

131

“ Il dott. Morgan in psichiatria condivideva con Feldenkrais l’idea che sia inutile rivivere il passato, che esso è qui,

adesso, fuso nel nostro corpo, e che non si può liberarlo, ameno di cambiare la nostra struttura muscolare, cioè il modo

in cui ci serviamo di noi stessi.” A. Degehet, Il metodo Feldenkrais, in “Solidarietà”, (1996), n. 28, pp. 22 – 23. 132

Lezione di neuropsichiatria tenute dalla Dott.ssa Lucia Vannucchi che opera presso l’Associazione “la Nostra

Famiglia”, San Vito al Tagliamento (PN). 133

W. Reich, La funzione dell’orgasmo, SugarCo Edizioni, Milano 1961, pp. 256.

Page 82: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

81

(sentirli e toccarli). Divenire consapevole vuol dire non identificarsi, ma creare spazio tra noi e la

tensione. Questo spazio (meta-posizione) permette di inserire il cambiamento desiderato.

Per alcuni potrebbe essere l’inizio di una nuova sensazione e percezione di sé, e soprattutto

accettazione di sé in senso affettivo. È proprio questo lo scopo di questo lavoro rivolto ai terapisti

ed ai nostri piccoli e grandi pazienti.

Essere presente a questi processi in se stessi e saperli ‘riconoscere’ nell’altro attraverso gli

indicatori fisiologici significa essere vicini al vissuto dell’altro (al suo cammino interiore). Questa

nuova attitudine ci permette di aiutare l’altro nello stesso momento in cui ha bisogno: riesco ad

essere consapevole della difficoltà dell’altro e posso “sentire” come vorrei essere aiutato se vivessi

io la stessa difficoltà.

Quanto detto è molto importante in riabilitazione poiché essere attenti all’espressione motoria ed

al vissuto che manifesta permette al terapista di cogliere quelle sfumature che altrimenti si riducono

ad una generica ‘paralisi motoria’ o ‘goffaggine’: un bambino può non muoversi o avere difficoltà

perché non riesce a gestire lo spazio attorno a sé, un altro è dominato dai riflessi tonici ad ogni

minimo stimolo e si blocca, un altro ancora è paralizzato dalla paura di sbagliare. Viceversa alcuni

bambini non riescono a gestire gli stimoli proprio ed esterocettivi e sfuggono al compito motorio

rifugiandosi nell’iperattività, ecc.

D’altra parte per il terapista è importante avere percorso almeno un breve tratto di cammino verso

l’ascolto di sé, per capirsi, comprendere le difficoltà a cambiare ed accettarsi. Egli attraverso la

lettura del proprio corpo e delle tensioni che si legano ad esso può capire quando è ‘vicino’ ad una

situazione ‘problema’. Quest’attitudine permette di aprirsi all’altro con maggiore comprensione

delle difficoltà che attraversa e possiamo evitare fenomeni di proiezione emotiva su pazienti che ci

ricordano inconsciamente personaggi del nostro passato per mezzo di una maggiore

consapevolezza.

Infatti non è possibile capire ed educare il corpo di un’altra persona e tutto ciò che esso

rappresenta se non abbiamo vissuto su di noi questo stesso cammino (A. Lapierre, B.

Aucouturier).134

(metafora)

La creazione La Creazione è terminata e Dio è soddisfatto per ciò che vede……. Un giorno chiama i Saggi

e chiede loro: “Tutto è stato creato ed è bene, anche l’uomo cammina e vive in mezzo a tutti

gli esseri. Vi chiedo, o Saggi, dove possiamo mettere la verità e la conoscenza, affinché l’uomo

la cerchi? Affinché la sua vita diventi un cammino degno di essere vissuto?”

I Saggi si consultarono e poi uno di loro disse: “Si potrebbe nasconderla in cima al monte più

alto.”

Rispose Dio: “Prima o poi l’uomo imparerà a scalare le montagne e sarà facile per lui

scoprire la verità.”

“Nel profondo degli abissi dell’oceano.” Disse un altro Saggio.

“Anche lì l’uomo arriverà con i suoi progressi.” Rispose l’Altissimo.

“Sulla luna o su una stella.” Suggerì un altro Saggio.

“E’ vero, sembrano così lontane, ma alla fine l’uomo le conquisterà.” Rispose Dio.

Venne il più anziano tra i Saggi e disse: “Mettiamo la verità nell’intimo dell’uomo. Quando

egli avrà esplorato tutto l’universo e sarà stanco per non averla trovata……inizierà a

guardare dentro di sé e la scoprirà, e come un sole la farà risplendere intorno a sé……”

“E così sarà.” Dio disse.135

134

Cfr. A. Lapierre - B. Aucouturier, La simbologia del movimento, Edipsicologiche, Cremona. 135

Liberamente tratta da una leggenda indù.

Page 83: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

82

Processo interno – Stato interno

Spiegare i comportamenti dando un’interpretazione può essere pericoloso. Mettere una persona di

fronte ai suoi problemi è il modo sicuro di farla fuggire o di attivare la sua aggressività poiché sono

toccate le sue difese (catena muscolare PM). Inoltre si corre il rischio di colorare l’esperienza

attraverso il filtro della nostra visione della realtà, che non è sempre limpida.

Per evitare questi problemi occorre dare informazioni di tipo fisiologico: “ Il tuo movimento è

veloce. Ho notato che il tuo respiro cambia e i muscoli sono in tensione”. Questo porta alla

coscienza dell’attitudine fisiologica che si lega ad un vissuto interiore. La persona può

comprendere il legame emotivo con l’esperienza che sta vivendo (creando distanza tra sé e il

vissuto) e può cambiarlo.

E’ importante per il terapista acquisire gli strumenti per identificare ciò che vive il paziente per

essere con lui e poterlo aiutare. Alcuni strumenti possono essere gli studi sulle CM, la calibrazione

in Programmazione Neurolinguistica e l’Aptonomia.

Le CM rappresentano l’attitudine neuro–fisiologica–comportamentale della persona e

quindi l’abito emozionale che indossa. Il terapista può leggere nell’attitudine corporea (macro

movimenti) il modo prevalente del paziente di affrontare una situazione, vale a dire il suo stato

interno. Esso indica l’immagine che abbiamo di noi stessi.136

L’immagine costruita durante la

nostra storia personale (ontogenesi) in rapporto all’ambiente.

La calibrazione (misurare) permette, invece, di cogliere i micro-movimenti che rappresentano

il processo interno: cosa mi dico, quali pensieri ed immagini affollano il mio cervello. Il sistema

nervoso durante l’attività rappresentativa del pensiero riattiva i circuiti neurali che erano attivi

durante l’azione, movimenti che adesso immagina soltanto.137

I movimenti sono ridotti a

modificazioni fisiologiche minime in continua variazione secondo il processo di pensiero, e

costituiscono solo una minima parte dei cambiamenti che subisce il corpo. Secondo studi recenti di

neuroscienze, inoltre, l’organismo partecipa come un tutt’uno all’attività di pensiero ed emozionale

del corpo.138

Questi studi sono confermati dall’esperienza quotidiana. Tutti abbiamo sperimentato le

136

“ Lo stato più importante è quello della presa di coscienza interiore: la presa di coscienza di sé, del proprio

movimento, della propria sensazione, del proprio sentimento, del prorio pensiero…L’immagine corporea, le emozioni e

il pensiero sono inseparabili. S’influenzano e agiscono in ogni istante, in qualsiasi situazione, come un tutto. Per

esempio, una persona ansiosa manterrà le spalle in avanti, e non terrà il collo ben dritto. Avrà un tono elevato dei

muscoli flessori e questo schema muscolare influenzerà tutti i suoi movimenti. Allo stesso tempo, tutte le sue

sensazioni, i suoi pensieri saranno filtrati dal condizionamento psichico. Se vi ponete nella posizione fisica di timidezza,

di collera, di arroganza, sentirete le emozioni corrispondenti e la vostra postura interferirà con i vostri movimenti

intenzionali. Ciascuno stato scelto dirige il vostro pensiero in direzioni diverse. Di tutti questi parametri (sensazione,

pensiero, sentimento, movimento) il movimento è il più accessibile all’osservazione pratica. Il movimento è un indizio

del funzionamento del sistema nervoso, dello sviluppo di altri aspetti del nostro essere, e un indizio della struttura della

nostra personalità.” A. Degehet, Il metodo Feldenkrais, cit., pp. 15 – 16. 137

“Per compiere un movimento è necessario attivare un programma motorio ma è anche necessario possedere una certa

motivazione a farlo. Non ci deve stupire quindi il fatto che un’area premotoria si possa attivare anche in assenza di

movimento.

Nell’uomo è stato dimostrato con la tecnica tomografica ad emissione di positroni che, quando un soggetto immagina di

compiere un certo movimento, avviene un’attivazione delle aree premotorie anche in assenza della successiva

realizzazione del movimento pensato. Questo dato attribuisce alla intenzionalità un nuovo significato, che la riscatta

dalla semplice appartenenza alla sfera motivazionale e le attribuisce un preciso ruolo neurofisiologico nella

realizzazione dei programmi motori.” A. Ferrari, Proposte riabilitative nelle paralisi cerebrali infantili, cit., p71. 138

Le cellule del corpo sono in comunicazione tra loro attraverso sistemi complessi. La Neuroimmunologia è la giovane

scienza che studia la stretta relazione tra SNC, sistema immunitario, endocrino e i vari organi: “Molte persone pensano

ancora che i nervi si servano di cariche elettriche, come il sistema telegrafico.[…]. Negli anni settanta però avvenne una

serie d’importanti scoperte riguardanti dei piccoli elementi chimici chiamati neurotrasmettitori. Come dice il nome, si

tratta di sostanze chimiche capaci di trasmettere gli impulsi nervosi; agiscono nel corpo come ‘molecole di

comunicazione’, permettendo ai neuroni del cervello di parlare al resto del corpo. I neurotrasmettitori sono i podisti che

corrono dal cervello a tutti i nostri organi e viceversa, per comunicare i pensieri, le emozioni, i desideri, i ricordi, le

Page 84: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

83

metamorfosi che avvengono nel nostro corpo quando viviamo esperienze emotive di gioia, paura,

tensione, ecc. Le emozioni non sono vissute ed espresse dal solo SNC, ma da tutto l’organismo.

Comunemente i micro-movimenti sono non coscienti, ma vi sono tecniche per guidare alla loro

osservazione sviluppate in P N L.

Ogni contatto per il terapista è un arricchimento: quando si è aperti si possono ascoltare e

osservare le variazioni del tono muscolare, del respiro, ecc. Si può entrare in sintonia con il tono e il

respiro del paziente (rispecchiamento fisiologico) e poi indurre delle modificazioni.

In sintesi le variazioni del tono muscolare e degli indicatori fisiologici ci mostrano la tensione

psichica espressione di ciò che l’altro vive, sente e crede (J. Lerminiaux).

Elenco degli indicatori fisiologici:

Tono-volume della voce.

Espressione e mimica del viso.

Movimenti oculari e battito ciliare.

Micro gesti (micromovimenti).

Movimenti specifici e tic.

Respirazione: blocco e ripresa dell’atto respiratorio, ampiezza, localizzazione (addominale,

toracica, sub-clavicolare).

Colorito della pelle, sudorazione, pelle secca, rughe, secrezioni..

Battito cardiaco, pulsazione dei vasi sanguigni.

Tono muscolare.

Il terapista che osserva nel paziente un cambiamento nel suo respiro o nel suo colorito, comprende

di avere causato una reazione emozionale con le sue parole o con il suo agire. Questa variazione

indica come il corpo partecipa all’emozione. Il terapista non incontra direttamente l’emozione

dell’altro (il vissuto personale) ma può osservare la traccia visibile sul corpo del paziente a livello

fisiologico e comprenderne, attraverso gli indicatori, lo stato emotivo (J. Lerminiaux).

Il terapista osserva la respirazione del paziente durante la seduta terapeutica, se essa diventa alta e

veloce o viceversa bassa, addominale e rilassata, può comprendere mentalmente cosa accade a

livello emozionale (tensione emotiva o rilassamento). Osservando la reazione fisiologica, quindi, il

terapista scopre l’emozione nel suo svolgersi a livello neurale e nella sua tonalità globale.139

Può essere difficile entrare nella pienezza del vissuto personale dell’altro, ma il terapista ha in ogni

caso delle informazioni su ciò che accade dal punto di vista emozionale durante la relazione

terapeutica: se egli tiene in considerazione:

intuizioni e i sogni. Nessuno di questi avvenimenti resta confinato solo nel cervello. E allo stesso modo, nessuno di loro

è strettamente mentale, dato che può essere codificato in messaggi chimici. Ogni volta che formuliamo un pensiero, si

debbono mettere in moto i neurotrasmettitori; senza di essi i pensieri non possono esistere. Pensare significa far

funzionare la chimica cerebrale, mettendo in moto una cascata di risposte lungo tutto il corpo. Abbiamo visto che

l’intelligenza, intesa come Know-how, permea la fisiologia: ora ha acquistato delle basi materiali.” D. Chopra, Guarirsi

da dentro, Sperling &Kupfer Editori, Milano 1992, pp. 56. 139

“In questo momento il vostro corpo è l’immagine tridimensionale di quel che state pensando. Questo fatto

stupefacente ci sfugge per diversi motivi. Uno è che l’aspetto fisico non cambia drasticamente per ogni pensiero.

Tuttavia il corpo proietta in modo piuttosto evidente i pensieri. Possiamo leggere letteralmente la mente degli altri

osservando il continuo cambiare delle loro espressioni facciali; senza notarlo, registriamo anche migliaia di gesti del

linguaggio del corpo come segno degli umori e delle intenzioni che hanno nei nostri confronti.[…]. Essi consistono in

minime variazioni della chimica cellulare, della temperatura corporea, delle cariche elettriche, della pressione sanguigna

ecc. sulle quali non posiamo la nostra attenzione. Possiamo essere comunque certi che il corpo è sufficientemente

plastico da rispecchiare qualsiasi avvenimento mentale.” Ibidem, p. 67-68.

Page 85: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

84

contesto in cui avviene la reazione emozionale;

messaggio che il terapista invia a livello linguistico (verbale);

il messaggio corporeo del terapista (tono, voce, gestualità, respiro, mimica, ecc.);

può considerare: la risposta fisiologica, meta-messaggio del paziente, una reazione emozionale alla

situazione da lui creata.

Gli indicatori fisiologici sono numerosi e indicano in qualsiasi momento le variazioni emozionali.

Se il terapista è consapevole di ciò che provoca con il suo intervento può modificarlo agendo su se

stesso e può leggerlo sul corpo degli altri quasi istantaneamente (J. Lerminiaux).

(metafora)

L’indio

Un giovane indio vive nella foresta con la sua gente. È abituato alla dura lotta per la

sopravvivenza. I suoi occhi e il suo udito sono allenati a cogliere i più piccoli rumori e i più

piccoli particolari per capire se egli è vicino ad un amico o ad un nemico.

Un giorno, al compimento della maggiore età, è portato fuori dal suo piccolo mondo. Deve

affrontare la foresta da solo per tre giorni e tre notti, senza ripari, senza cibo, avanzando in

posti sconosciuti nella penombra degli alberi.

Il giovane sente il fruscio delle foglie sulla pelle, l’odore della terra umida, sente rumori e

sensazioni nuove. Tutti i suoi sensi sono vigili. Mentre vive questa esperienza si avvicina ad

uno strano luogo che non aveva mai visto. Egli osserva davanti a sé una distesa lucida, piatta,

molto grande, che ha il colore del cielo. Il giovane si sporge per guardare da vicino e…. si

ferma stupito nel vedere un tizio che lo osserva con aria insolita. Subito si ritira e non vede

nessuno attorno a se. Attende un po’ e si sporge nuovamente. Egli rivede la stessa persona di

prima con gli occhi sbarrati, i lineamenti tirati e i movimenti veloci. L’altro sembra impaurito

e lo vede ritirarsi mentre lui stesso si ritira.

Il giovane si ritrova nuovamente solo ma intuisce qualcosa: quella grande distesa luminosa

rispecchia il cielo, le montagne e gli alberi e, forse….. quel viso riflesso è il suo.

Il giovane indio specchia se stesso nel lago e si riconosce….non ha più paura. Egli vede i

lineamenti del suo viso distendersi, gli occhi diventano più aperti, vede e sente il suo corpo

rilassarsi mentre il colore ritorna sul suo viso.

Egli comprende che la paura e l’angoscia nascono dal non capire che ‘l’altro’ è se stesso e

sente in sé i cambiamenti che lo riportano ad uno stato di benessere…..Mentre vive su di sé

questi mutamenti….. li osserva nell’immagine riflessa….

Una nuova sensazione nasce nel giovane come un lampo: “Quando incontro qualcuno che ha

quegli occhi serrati, quei muscoli tesi, quel respiro corto e breve…..so cosa sta vivendo, perché

io stesso l’ho sentito, l’ho vissuto…..Conosco anche il cammino per rassicurarlo….l’ho sentito

e l’ho vissuto.”

Il ragazzo si sente rilassato e felice.

Passati i tre giorni, il giovane ritorna al suo villaggio e lo Sciamano lo saluta mentre coglie

nello sguardo del ragazzo e nel suo corpo che qualcosa è cambiato…….egli lo riconosce,

perché anche lui……. l’ha sentito e l’ha vissuto.

Il punto di vista

Page 86: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

85

I filtri che impediscono di percepire la realtà per quello che è, determinando i punti di vista

particolari, sono di tre tipi:

1) Filtro genetico: esso permette di percepire attraverso i sensi specifici solo alcuni elementi della

realtà per una data specie (per esempio noi non riusciamo a percepire i raggi infrarossi o

ultravioletti), inoltre la nostra particolare predisposizione genetica determina un certo temperamento

e modo personale di rispondere agli stimoli interni ed esterni.

2) Filtro sociale: attraverso l’educazione s’insegna a dare un significato agli eventi, alle persone ed

alle cose, ma il significato ed i valori cambiano in situazioni sociali differenti ed in momenti storici

differenti.

3) Filtro personale o storia personale: l’incontro della personale predisposizione genetica con

l’educazione particolare che riceviamo nel nucleo familiare e sociale e le vicende che ci accadono

formano la nostra personalità.140

L’apprendimento emozionale, in gran parte non cosciente,

appartiene al filtro personale.

Come conseguenza delle esperienze personali noi possiamo essere incapaci, in senso neurologico

ed in quello più ampio psicologico (di vissuto e relazionale), di cogliere certi aspetti piuttosto che

altri della realtà.141

Riflettendo su quanto detto possiamo comprendere come gli oggetti e gli eventi che sono sempre

davanti ai nostri sensi sono sempre gli stessi, quello che cambia nel tempo è l’interpretazione che

diamo di essi. Per esempio i fenomeni naturali per i Greci antichi erano espressione della

manifestazione dei desideri degli dei sugli elementi. Oggi diamo agli stessi un’interpretazione

scientifica sulla base delle leggi di fisica che l’uomo moderno ha “scoperto”. Lo stesso accade per

l’etica, i costumi sociali, ecc. Di fatto, le interpretazioni sono credenze che si modificano quando “si

sposta” il “punto di vista” e conseguentemente si modifica l’agire sulla realtà.142

Questo fenomeno si verifica anche in campo riabilitativo.

L’approccio alla diagnosi ed al

trattamento nella patologia neuromotoria: “risente tuttora di una notevole disomogeneità degli

approcci metodologici e degli strumenti utilizzati: ciò è da riferirsi in primo luogo alla diversità

degli indirizzi culturali e dei modelli teorici relativi alla patogenesi del disordine motorio che si

sono succeduti negli anni, in secondo luogo alla reale difficoltà di valutazione dei risultati del

trattamento riabilitativo in questa patologia, caratterizzata dal dinamismo evolutivo proprio delle

patologie croniche in età infantile.”143

Ed ancora: “Probabilmente la difficoltà di costruire una

classificazione accettabile e significativa per tutte le forme di Paralisi Cerebrali Infantili (PCI) nasce

dal postulato stesso della complanarità classificativa e dalla scelta delle linee guida. È molto

difficile pensare che un fenomeno complesso come la PCI possa essere analizzato esaustivamente

da un solo angolo visivo, cioè attraverso un solo piano di esplorazione, per quanto suggestivo e

significativo questo possa apparire. […]. Per classificare la PCI è dunque necessario rinunciare alla

complanarità fra le diverse forme, all’omogeneità delle linee guida ed all’immodificabilità

dell’angolo visivo. Per questo una classificazione ‘limitata’ all’analisi del disturbo motorio (postura

e gesto) e della sua localizzazione somatica, come quelle attualmente in uso (Hagberg, Bobath,

Milani Comparetti), non può che avere precisi limiti.[…]. Dobbiamo imparare ad utilizzare oltre a

quello del movimento anche altri angoli visivi, tra i primi e più significativi l’angolo visivo della

percezione e quello della intenzionalità, in modo da aver accesso ad altre decisive informazioni, che

l’angolo visivo del movimento non ci consentirebbe di raccogliere.[…]. In sostanza, a seconda del

punto di osservazione prescelto e dei criteri classificativi adottati, lo stesso fenomeno potrà

apparirci secondo contorni differenti.”144

La flessibilità nell’osservazione e la possibilità di

140

Cfr R. Bandler – J. Grinder, La struttura della magia. Cit. 141

vedere note del capitolo secondo. 142

Un altro esempio per descrivere quest’aspetto della percezione ci viene dalla storia dell’arte: nel Medio Evo gli

artisti non sapevano raffigurare la prospettiva nei loro disegni poiché non era stata scoperta, anche se essa era presente

ai loro sensi. Quindi essa non era percepita e non poteva essere riprodotta e studiata. 143

E. Fedrizzi, La riabilitazione della paralisi cerebrale infantile: metodologie, strumenti e modelli teorici dello

sviluppo, in A. Ferrari – G. Cioni, Paralisi cerebrali infantili. Storia naturale e orientamenti riabilitativi, cit., p.213. 144

A. Ferrari – G. Cioni, Paralisi cerebrali infantili. Storia naturale e orientamenti riabilitativi, cit., pp. 44 - 45.

Page 87: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

86

strumenti diversificati quindi permette all’operatore di cogliere molti aspetti altrimenti ‘invisibili’.

L’aspetto tonico-emozionale è in quest’ottica un arricchimento e non una soluzione unica per

l’osservazione del bambino o dell’adulto con problemi.

Se l’operatore riesce a cogliere le molte dimensioni del bambino o dell’adulto da cui origina il

quadro clinico che manifesta, può attivare strategie adeguate e diversificate per aiutarlo.

In ogni campo le interpretazioni possono essere negative o positive ma l’aspetto più importante è

che esse sono spesso limitanti e precludono possibilità non “viste” o comunque visibili dalla

posizione da cui si osserva. In quest’ottica le credenze mediche, cioè le interpretazioni della

patologia, possono costituire, in alcuni casi, un forte impedimento a cogliere aspetti potenziali del

paziente. Ancora oggi, infatti, la diagnosi e la prognosi si basano spesso su una semeiotica che

puntualizza troppo spesso i segni evidenti (sintomi) negativi della patologia, trascurando gli aspetti

potenziali o gli elementi relazionali e ambientali (contestuali) che sono parte dell’evento.

Le interpretazioni (credenze) agiscono sul modo in cui viviamo un’esperienza e creano

un’immagine di noi stessi e del mondo ed in conformità all’immagine si attiva il nostro

comportamento.145

Anche l’approccio diagnostico e, di conseguenza, terapeutico risentono

necessariamente di questi limiti, ed è importante esserne consapevoli per evitare fenomeni quali

l’accanimento terapeutico che nasce da una visione troppo rigida ed univoca della patologia.

Il particolare punto di vista ed i comportamenti che ne scaturiscono, in sintesi, sono frutto delle

credenze contingenti che agiscono sulla nostra storia personale e professionale. Essi non sono

migliori o peggiori rispetto ad altri, ma gli effetti che essi riescono a determinare possono essere

costruttivi o disastrosi nell’impatto che hanno con la realtà.

Il proprio punto di vista si costruisce nella necessità di dare una risposta agli eventi esterni

coerentemente con le credenze correnti o in opposizione ad esse.

Per questo motivo il punto di vista ha un valore contestuale e può essere capito, ma non

sempre i suoi effetti sono giustificabili. In ogni caso irrigidirsi in un punto di vista è limitante.

Una volta assunto un punto di vista rigido si corre il rischio di distorcere la realtà con la quale

interagiamo e si perde la capacità di vedere gli eventi in modo naturale e di poter fluire con loro.

La patologia di qualunque tipo è sinonimo di limitazione e blocco.146

Ciò è vero in campo

personale e professionale. Acquisire flessibilità di vedute è comunque fondamentale per un

‘approccio’ più vicino alle reali problematiche del paziente.

Se il terapista riesce a sospendere il giudizio (che nasce da una visione parziale, posizionamento

personale verso una persona o situazione), può seguire una persona nel suo percorso esteriore e

profondo. Egli può capire il modo abituale del paziente nell’affrontare una situazione per mezzo del

livello fisiologico e relazionale (tensione muscolare, comportamento, CM) permettendogli di

risalire alle sue credenze (il punto di vista da cui osserva il mondo e dal quale agisce di

conseguenza). Questa capacità di osservare senza pre-giudizi è un arricchimento per il terapista

poiché può accedere a nuove esperienze e nuovi modi di affrontare la realtà. Essa permette di

aiutare il paziente offrendogli nuove strategie per il raggiungimento dell’obiettivo terapeutico in

armonia con le sue credenze o per ristrutturarle, se necessario.

C’è un particolare esercizio chiamato ‘il punto di vista’, esso è una metafora, come tutte le

esercitazioni che si vivono in seminari di formazione e ci aiuta a fare esperienza delle possibilità

latenti in noi. Attraverso quest’esperienza comprendiamo che vi è uno stato problema che

impedisce di assumere una posizione di osservazione flessibile e creativa. L’attitudine terapeutica

inizia, infatti, quando riusciamo a metterci dal punto di vista dell’altro; quando sappiamo esplorare

soluzioni nuove. Ciò implica una grande disponibilità e flessibilità mentale da parte del terapista.

Queste osservazioni si possono estendere all’ambito psicomotorio. Anche questo caratterizzato da molteplici indirizzi.

145

Cfr. R. Bandler – J. Grinder, La struttura della magia, Casa Editrice Astrolabio - Ubaldini Editore, Roma 1981. 146

“ La normalità è ‘variabilità’. Al contrario, in generale, la funzione patologica è ‘stereotipia’, sempre uguale, con

scarse od assenti soluzioni alternative (Prechtl e Connolly 1980).” A. Ferrari – G. Cioni, Paralisi cerebrali infantili.

Storia naturale e orientamenti riabilitativi, cit., p. 227.

Page 88: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

87

Comprendere la necessità di quest’attitudine nel terapeuta non è sempre scontato considerando che

quest’ottica, molto spesso, non fa parte della sua formazione professionale.

Inoltre possiamo e dobbiamo comprendere e imparare ad accettare in noi e negli altri quegli aspetti

che sono ‘disturbanti’. Possiamo comprendere che essi ci sono stati utili in tante situazioni in cui

eravamo in difficoltà. In quei momenti costituivano la sola risorsa a nostra disposizione.147

Pensiamo per esempio alla limitazione e distorsione di movimento che il bambino neuroleso

manifesta, ma che costituisce comunque la sola possibilità di esprimersi. Se l’ambiente inibisce

troppo l’espressione patologica o richiede al bambino abilità impossibili finisce per inibire

anche le sue potenzialità residue. Per questo motivo è importante non distruggere o accettare

passivamente il nostro o l’altrui punto di vista (credenza), ma comprendere le ragioni profonde del

comportamento da esso generate: le sue intenzioni positive spesso distorte a livello superficiale. Il

passo successivo consiste nel cercare le strategie adeguate per soddisfarle attraverso la

ristrutturazione, tenendo conto dell’attuale situazione di vita nostra o dell’altro e nei casi specifici

della sua situazione neurologica.

Possiamo imparare a metterci in meta-posizione: posizione interiore da cui si osserva

contemporaneamente il proprio punto di vista e quello dell’altro. Il terapista non si fa intrappolare

dalle proprie ed altrui distorsioni emotive, ma si fa guidare dall’obiettivo terapeutico ed umano:

dallo scopo, dall’intenzione positiva profonda del paziente.148

Utilizzando una metafora la meta-posizione può essere così descritta: immaginiamo una persona in

mezzo ad una folla che cerca d’individuare un amico. Egli incontra molti ostacoli (le sue e le altrui

distorsioni). Immaginiamo adesso che salga al primo o secondo piano di una casa e guardi verso la

folla. In questo caso egli potrà individuare più facilmente il suo obiettivo (incontrare l’altro e la sua

intenzione positiva).

Quest’attitudine può essere appresa se si capisce che le distorsioni emotive spesso impediscono di

raggiungere gli obiettivi terapeutici e relazionali.

C’è tuttavia, un’attitudine particolare che è difficile da raggiungere coscientemente: riuscire ad

essere l’altro che osserva. Quest’attitudine, detta empatia, può essere sviluppata nell’uomo poiché

fa parte del suo bagaglio ontogenetico.149

È sufficiente osservare una madre che ‘sente’ i bisogni del

suo piccolo, oppure il nostro stato d’animo quando vediamo qualcuno soffrire o gioire:

immediatamente siamo partecipi di ciò che l’altro vive e sente (risonanza consapevole), cambia la

nostra fisiologia e reazione emotiva.

Il terapista può utilizzare quest’attitudine per entrare nel mondo emotivo del paziente attraverso la

risonanza consapevole (Aptonomia e Prolungamento).

“Un intervento terapeutico che non dichiari il proprio scopo non può essere considerato tale. Non

può esistere un esercizio terapeutico assoluto, ma un esercizio adatto a quel bambino, per quella

funzione, rivolta a quello scopo, che in quel momento è interessante ed importante per lui. Bisogna

però considerare che non sempre il significato che il terapista attribuisce ad un certo esercizio

coincide con quanto fa il paziente stesso. Quello che realmente conta è il significato che il risultato

dell’azione assume per chi attua il movimento (Maturana e Varela, 1988). In termini pragmatici

questo aspetto costituisce un problema molto reale: spesso si ritiene in modo arbitrario che una certa

proposta debba risultare interessante in una certa fase dello sviluppo per il bambino, che invece non

vi trova alcun interesse. Per poter fare terapia occorre per questo imparare a vedere il mondo

attraverso gli occhi del bambino che s’intende aiutare.”150

147

Vedi più avanti in: I sintomi e la ristrutturazione. 148

A questo proposito può essere molto interessante la lettura del libro: C. Andreas - T. Andreas, I nuclei profondi del

Sé. In viaggio verso se stessi, Casa Editrice Astrolabio. Ubaldini Editore, Roma 1995. 149

Vedi capitolo secondo. 150

A. Ferrari, Proposte riabilitative nelle paralisi cerebrali infantili, cit., p.102.

Page 89: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

88

Questo ‘sentire’ aiuta il terapista a creare l’ambiente mentale e fisico adatto alla difficoltà del

paziente. Egli comprende (prende su di sé) ciò che l’altro ha di bisogno nel momento stesso in

cui il ‘bisogno’ si manifesta.151

Il prof. Lerminiaux, per favorire questo processo, ha proposto una serie di esercizi per ‘sentire’ ciò

che ‘sente’ il paziente. Il terapista è guidato ad immaginare e a ‘calarsi’ nella fisiologia di questi:

nel modo di muoversi, di respirare, di assumere espressioni, ecc. Egli può così comprendere

(prendere su di sé) le difficoltà del paziente nell’affrontare le varie situazioni, quindi il suo

vissuto.152

In un secondo momento il terapista può mettersi in posizione distaccata (meta-posizione), per

trovare le soluzioni idonee al vissuto del paziente: dare l’aiuto fisico necessario (attraverso l’utilizzo

dei metodi riabilitativi, ristrutturazione fisica) e trovare le risorse che possono servire per superare

lo stato d’animo bloccante (ristrutturazione emotiva). In questo modo, il paziente può sentire nel

corpo e nel linguaggio del terapista la risposta al suo bisogno, e seguirla spontaneamente (attraverso

il prolungamento).

E’ importante capire che questo processo richiede consapevolezza ed apertura, ma anche prudenza,

poiché può accadere di incontrare situazioni emotive per noi irrisolte e difficili da gestire (in questi

casi occorre l’aiuto della supervisione).

Per il terapista è importante la sincera e competente ricerca d’aiuto, non l’infallibilità. Egli deve

guidare con professionalità, attenzione ed empatia. Il paziente ‘sente’ questo consapevolmente o

inconsapevolmente. Ma il passo definitivo, il salto verso l’acquisizione di un vissuto più ampio,

deve essere fatto dal paziente stesso, con il suo ‘sentire’, con il suo corpo e con la sua

‘apertura’. Solo così egli cresce verso la sua autonomia, e il terapista conferma questo processo.

(metafora)

Il monaco girovago

Immaginate il Giappone dei tempi antichi. I monaci girovaghi potevano fermarsi in un monastero

e ricevere ospitalità, ma dovevano sostenere una discussione sul Buddismo e uscirne vittoriosi. Se

perdevano dovevano andarsene.

In un monastero vivevano due fratelli monaci. Il più anziano era istruito e il più giovane era

sciocco ed aveva un solo occhio. Arrivò un monaco girovago e chiese alloggio invitandoli, secondo

la regola, ad un dibattito sulla Sublime Dottrina. Il fratello più anziano quel giorno era molto stanco

e chiese al più giovane di sostituirlo: “Vai tu e chiedigli il dialogo muto…Mi raccomando!”

Il giovane monaco e il forestiero andarono a sedersi in una stanza.

Poco dopo il viaggiatore venne a cercare il monaco più anziano e disse: “Il tuo giovane fratello è

un tipo straordinario. Mi ha battuto.”

“Riferiscimi il vostro dialogo.” Chiese il più anziano.

Il viaggiatore disse: “ Per primo ho alzato un dito, che rappresenta il Budda, l’Illuminato. E lui ha

alzato due dita, per dire il Budda e il suo insegnamento….. Io ho alzato tre dita per rappresentare il

Budda, il suo insegnamento e la sua comunità, che vivono la vita armoniosa. Allora lui mi ha scosso

151

“Carl Rogers affermò il bisogno di creare una speciale atmosfera di solidarietà per intensificare l’esperienza del

cliente e accrescere le potenzialità di autoattualizzazione. Rogers suggerì l’opportunità che il terapeuta si trovi col

cliente in uno stato di intensa consapevolezza, concentrando appieno la sua attenzione sull’esperienza del cliente e

riflettendone profondamente le espressioni verbali e non verbali da una posizione di empatia e di considerazione

positiva incondizionata.” F. Capra, Il punto di svolta. Scienza, società e cultura emergente, cit.,pp.317.

Una approfondito studio sull’approccio rogersiano si può trovare in C. R. Rogers, Un modo di essere, Psycho di G.

Martinelli & C., Firenze 1983. 152

Questo esercizio in PNL si chiama rispecchiamento fisico. Esiste anche una strategia di cambiamento che si basa

sullo stesso processo: ancoraggio spaziale in tre posizioni di R. Dilts.

Page 90: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

89

il pugno chiuso davanti alla faccia, per mostrarmi che tutti e tre sono una sola realizzazione. Così ha

vinto ed io non ho nessun diritto di fermarmi.” Il monaco girovago salutò ed andò via. Nel mentre

arrivò il monaco più giovane correndo: “Dov’è quel tale?” Chiese all’anziano fratello.

“Ho saputo che hai vinto il dibattito.” Disse questo.

“Non ho vinto un bel niente. Voglio picchiare quell’individuo!” Esclamò il monaco più giovane.

“ Raccontami la vostra discussione.” Lo pregò il più anziano.

“Accidenti, non appena mi ha visto ha alzato un dito, insultandomi con l’allusione che io ho un

solo occhio. Poiché era un forestiero, ho pensato che dovevo essere gentile con lui ed ho alzato due

dita, congratulandomi perché aveva due occhi. Poi quel miserabile villano ha alzato tre dita per dire

che tutti e due avevamo solo tre occhi. Allora ho perso la tramontana e sono balzato in piedi per

dargli un pugno, ma lui è scappato via e così è finita.”153

Tre livelli dell’essere

Dalle osservazioni precedenti nasce spontanea la comprensione che la suddivisione dell’uomo in

corpo, mente e psiche è artificiosa. L’uomo è un essere multidimensionale. Le varie dimensioni si

compenetrano ed esprimono lo stesso vissuto.

Il nostro modo di muoverci, di parlare e le espressioni del nostro viso sono caratteristiche e uniche.

Chiunque ci conosce può anticipare la nostra venuta ascoltando il modo di camminare o la voce.

Anche l’aspetto emozionale è tipico per ognuno di noi. Reagiamo in modo particolare alle varie

situazioni: attraverso il corpo emozionale (comportamento), possiamo essere riconosciuti.

L’educazione plasma gran parte dei nostri gusti ed atteggiamenti, determinando l’angolo da cui

osserviamo le cose e le persone: il nostro particolare punto di vista, le credenze. Queste

condizionano i nostri comportamenti e, quindi, le reazioni fisiche.

Se incontro un amico (credenza) il mio comportamento (relazione, psiche) sarà di una qualità

particolare che si manifesta nel corpo, la cui fisiologia (atteggiamento disteso, movimenti rilassati,

respiro, mimica, ecc.) avrà un’attività armonica.

Se sta per arrivarmi addosso un’automobile, l’immediato senso del pericolo (credenza) attiva in

me mutamenti fisici (fisiologia) che alterano il mio comportamento (relazione).

Quanto accennato è confermato dai recenti studi di Psiconeuroendocrinologia. La scoperta dei

neuropeptidi e dei neurotrasmettitori sembra aver colmato il vuoto tra biochimica ed attività

mentale. Secondo questi studi il corpo e la mente sono lo specchio uno dell’altra. L’attività di

pensiero ed emotiva attraverso questi mediatori chimici è diffusa in tutto il corpo, non solo nel

SNC. Nel cuore, nei reni, nello stomaco, nel sistema immunitario e ormonale sono stati trovati

recettori specifici dei suddetti mediatori chimici, a loro volta questi organi ed apparati li producono.

Quando provo gioia o paura tutto l’organismo riceve in modo pervasivo questo messaggio per

adattarsi a quello che accade. Allo stesso modo lo ‘stato’ di un organo o apparato influisce su tutto

l’organismo.154

D’altronde se mente e corpo fossero separati, come potremmo muovere un piede semplicemente

pensando il gesto?

Questo modo di pensare, che unifica l’ambiente interno dell’essere vivente, comprende inoltre la

risposta dell’organismo in relazione con l’ambiente in cui vive. Potremmo affermare che essa si

sviluppa ed acquista significato in un organismo più grande che è l’ambiente. Ciò permette di

cogliere il senso del vissuto tonico-fisiologico-emozionale nel contesto socio-ambientale dove esso acquista significato.

La divisione in piani: fisico-fisiologico, relazionale-psichico e delle credenze è solo didattica ed è attuata dal linguaggio il quale per descrivere separa (cervello sinistro), mentre il vissuto è una

immagine globale (cervello destro).

Queste osservazioni sono importanti in terapia. Esse fanno comprendere l’unicità dell’individuo e

la necessità di capire su quali piani agisce il nostro intervento. 153

Racconto liberamente tratto da: N. Senzaki – P. Reps, 101 storie zen, cit, pp.42-44. 154

Cfr. D. Chopra, Guarirsi da dentro, cit.

Page 91: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

90

Solitamente il lavoro del fisioterapista è inteso solo sul piano fisico-fisiologico con vaghe

connotazioni psicologiche, ma abbiamo “visto e sentito” che la relazione è più complessa.

A questo proposito mi viene in mente l’esperienza da me vissuta con la piccola M. di cinque anni.

M. è una bambina vivace e simpatica. La piccola giunge in trattamento da me a diciotto mesi perché

presenta un quadro di diplegia spastica (spasticità agli arti inferiori). Le piace molto giocare e

attraverso il gioco riesce a superare le sue difficoltà ottenendo una buona capacità di camminare e

una buona autonomia. Gli schemi patologici si evidenziano maggiormente quando lei corre, quando

ha paura o è arrabbiata.

In seguito alla nascita di un fratellino, e soprattutto quando la madre inizia un’attività lavorativa, si

osserva un progressivo peggioramento della spasticità agli arti inferiori. La bambina arriva spesso in

trattamento nervosa o triste e qualche volta piange per alcuni minuti scaricando la sua tensione. Poi

iniziamo a lavorare attraverso i giochi che le piacciono e il suo corpo si rilassa. Ella riesce a

poggiare bene i piedi e cammina bene, ma appena esce dalla sala di terapia ritorna a camminare

sulla punta dei piedi. Questa situazione si protrae per alcuni mesi e i genitori decidono di far visitare

la bambina da uno specialista in chirurgia ortopedica in Belgio, approfittando di un viaggio presso

dei parenti. In questa visita, e in una successiva fatta in Puglia, gli specialisti consigliano un

intervento chirurgico d’allungamento del tendine d’Achille. Questa decisione mi lascia perplesso

poiché sono consapevole che la bambina riesce a gestire il suo tono muscolare quando è serena.

Un giorno, mentre la bambina sta piangendo dice: “È colpa di Gesù se sono così”. Dopo un attimo

di riflessione comprendo ciò che vive la bambina. Immagino le frasi insistentemente ripetute delle

persone nell’ambiente in cui lei è cresciuta: “Il Signore certe cose non le dovrebbe permettere.”

La bambina attivando il suo tono alterato esprime la rabbia per ‘l’ingiustizia subita’…e la mostra

al mondo.

Capisco il suo dramma (credenza) e comprendo la tensione che ella vive. Con molta dolcezza le

ricordo che se la sua situazione fosse stata veramente causata da Gesù, ella non potrebbe mai

camminare bene, perché Gesù glielo impedirebbe. Lei, invece, riesce a superare la sua difficoltà

quando è con me in terapia. Ciò vuol assicurare che essa dipende da lei e che è lei la padrona del

suo corpo.

Affermo che lei ha ragione di essere in tensione e fa bene ad attivare la patologia quando è

arrabbiata o vuole attirare l’attenzione. In altri momenti però, quando vuole giocare con i suoi amici

e vuole correre senza cadere, è meglio che lei controlli le sue gambe per ottenere ciò che vuole.

In seguito a quell’episodio la bambina abbassò il tono muscolare spastico al punto che non fu più

necessario l’intervento. Sembrava che un antico nodo si fosse sciolto allentando le tensioni del suo

corpo.

Spesso le nostre tensioni interiori (causate in questo caso da una credenza della bambina)

mantengono o attivano uno stato patologico, se esse non sono rimosse qualsiasi intervento è

bloccato.

Ciò implica che il terapista ha molte possibilità di intervento sul paziente e non solo a livello

fisico. Ogni bravo terapista intuisce ciò, ma occorre conoscere la strada per arrivare al ’blocco’e

rendersi disponibili senza correre rischi.

Un approccio unitario, che tenga conto dei diversi livelli, ha ripercussioni sul corpo e genera nuovi

comportamenti. E’ importante essere capaci di cogliere il cambiamento e saperlo guidare al suo

manifestarsi.

Il sintomo e la deconnessione

Page 92: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

91

L’immagine interna guida il nostro modo di essere al mondo e condiziona gli eventi esterni

confermandosi.155

Questo concetto, espresso in precedenza, indica la nostra capacità, spesso

inconscia, di manipolare gli eventi.

Immaginiamo una persona timida che entra in una stanza dove ci sono persone che conosce

appena. Ella sente il suo corpo irrigidirsi e i movimenti divenire impacciati. Questa persona è molto

attenta a come gli altri la osservano mentre la sua tendenza è di stare in disparte. Qualcuno la invita,

ma tende ad essere ritrosa. Dopo un po’ gli altri parlano tra loro e la persona timida si sente messa

da parte confermando l’immagine che ha di sé.

Quando abbiamo un comportamento che non ci piace, o un sintomo fastidioso, la nostra

coscienza è polarizzata (connessione), c’identifichiamo con il comportamento o con il sintomo.

La connessione e la deconnessione sono processi naturali del S.N.C e sono spontanei in tante

situazioni della vita: se ad esempio ascolto con interesse un film dimentico il luogo in cui mi trovo;

qualche volta quando guido l’automobile sono assorto nei miei pensieri ed arrivo alla meta senza

rendermi conto della strada percorsa; la sensazione dei vestiti sulla pelle scompare quasi subito

dopo averli indossati per un processo di adattamento; ecc.

Fattori culturali possono determinare potenti nuclei che polarizzano la coscienza, essi possono

inibire e plasmare i fattori genetici.156

Questi, a loro volta, frutto dell’evoluzione della vita sulla

terra avvenuta in miliardi di anni, spingono per manifestarsi e trovano possibilità di espressione in

modelli sociali e credenze culturali contingenti. L’interazione tra genetico e ambiente, infatti,

determina l’evoluzione o meglio la co-evoluzione individuo-ambiente. Quando, però, l’ambiente

distorce eccessivamente le pulsioni biologiche attraverso fattori socio-culturali inibenti o devianti,

impedisce all’individuo di accedere e comprendere la propria saggezza organica.157

La coscienza (e

l’inconscio) dell’individuo, in questi casi, si polarizza (connessione) nei modelli che gli sono offerti

causando, spesso, continui conflitti tra la ‘spinta interna’ e la necessità di distorcere la sua

espressione. Tutto questo impedisce all’individuo di canalizzare liberamente le sue energie e

consapevolezza verso finalità e scopi.

In terapia si può utilizzare la deconnessione e la connessione per favorire processi di

cambiamento: ad esempio si può chiedere ad un paziente diplegico di concentrarsi e rilasciare gli

arti superiori (che riesce a controllare meglio) ed automaticamente rilascia il tono muscolare

spastico agli arti inferiori, dove è localizzato il problema (ipertono). Si può dire al paziente

emiplegico di sentire lo stesso tono del lato sano in quello spastico ed osservare (calibrare) i

mutamenti fisiologici progressivi. E’ possibile dissociare le sincinesie patologiche (movimenti

associati per irradiazione) chiedendo al paziente di sollevare l’arto superiore spastico e

contemporaneamente di rilasciare i muscoli del collo e dell’arto superiore controlaterale; ecc.

La deconnessione o la connessione crea una frattura nello stato di coscienza della persona, quindi

interrompe per un certo tempo la sua immagine, determinando necessariamente un cambiamento

fisiologico. Quando la persona ritorna all’immagine solita sente, anche se per un breve tempo, il

cambiamento fisiologico e ciò diventa una variabile che destruttura lentamente l’immagine che ha

di sé. Questo processo può permettere un nuovo assetto corporeo.

La spasticità è una immagine che il paziente ha strutturato nel tempo, soprattutto quando ha

avuto difficoltà (ancoraggio - connessione – identificazione). Il tono muscolare elevato

(spastico o rigido) da sensazione d’integrità fisica (si sostituisce all’Asse), e su questa

sensazione il bambino costruisce il suo schema corporeo. Egli vive la paura che allentando la

spasticità il suo corpo possa crollare a causa delle competenze scomparse o mai acquisite.

Il tono muscolare nel bambino con PCI è primariamente alterato da fattori neurologici e attivato in

situazioni di difficoltà. Il bambino, infatti, manifesta i suoi ‘problemi’ attraverso l’incapacità di

gestire le sensazioni proprio ed esterocettive e/o nella difficoltà ad eseguire compiti motori più o

meno complessi e questo può diventare il solo vissuto corporeo, in pratica la sola percezione che

155

Indice di computazione in PNL. 156

Vedi capitolo secondo. 157

G. Molè, Il linguaggio dimenticato, in “Solidarietà”, (1995), n..24, pp. 73 – 79.

Page 93: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

92

egli sa richiamare nel suo corpo in situazioni simili. In questo modo il bambino neurologico rievoca

nel suo corpo le situazioni patologiche che gli hanno fatto fallire il compito motorio (perché spesso

sono le uniche che conosce). Egli ripropone sempre lo stesso comportamento motorio (ed emotivo

che si lega ad esso) confermando la sua immagine interna (connessione) (indice di computazione in

PNL).

Il terapista può richiedere al paziente o al bambino di fare alcuni movimenti semplici, rispettando i

suoi ritmi e tempi, stando attento alle compensazioni e ai punti in cui il paziente concentra il tono

muscolare (parti del corpo da cui s’irradiano gli schemi patologici). Egli diviene il “lettore” degli

indicatori tonici del paziente aiutandolo a portare l’attenzione su di essi. Il terapista che riesce a

fare questo lavoro d’ascolto nel paziente gli permette di dissociarsi, di creare distanza e di

controllare progressivamente il tono muscolare da utilizzare, sino ad avere “esperienze” e

sensazioni di tono muscolare e posizioni del corpo diverse.158

Se il terapista riesce a modulare il

tono muscolare del paziente con adeguate facilitazioni sia nel preparare l’ambiente (disposizione e

scelta dei giochi), sia nell’approccio fisico può aiutare il bambino ad uscire da quest’immagine

imprigionante. Ciò può avvenire senza che il piccolo se ne renda conto perché preso dal gioco e

l’intervento è ben equilibrato sulle difficoltà, potenzialità e scopi dello stesso.

Divenire consapevole di queste “nuove” sensazioni che il bambino vive non cambia subito

l’immagine prevalente, tuttavia è sicuramente una nuova immagine che nasce (emergenza).

Riprogrammando la funzione, il paziente ha una nuova memoria del suo corpo ed è sicuramente

destrutturante per l’immagine limitante che aveva di sé (spastico, distonico, atassico, ecc.).

Richiamo quanto ho detto a proposito della teoria degli organizzatori: è importante proporre ai

pazienti compiti adeguati al livello d’integrazione del suo S.N.C. Quindi le richieste devono essere

fatte tenendo in considerazione il livello di torsione del paziente in modo che egli possa avere

controllo sul movimento, sulla capacità di ricevere ed elaborare gli stimoli, ecc. Da lì egli ha una

percezione del suo corpo diversa. Attraverso adeguate facilitazioni (fisioterapiche e non), il terapista

può aiutare il bambino a gestire strategie che lo aiutino in compiti motori di complessità adeguata o,

se possibile, superiore modulando la difficoltà.

Queste strategie, assieme ad un’adeguata preparazione professionale sui metodi, permette al

terapista di facilitare le potenzialità residue del paziente.

Quest’approccio inoltre, ricorda il metodo Feldenkrais: la persona è guidata attraverso il

movimento a ri-scoprire aspetti sepolti o mai esplorati del suo corpo, semplificando o variando il

compito motorio e rispettando il suo ritmo.

Risonanza

Per introdurre il concetto di risonanza utilizzo una metafora tratta dalla fisica: quando si

avvicinano due diapason 125, dei quali uno vibra, anche l’altro inizia a vibrare. La stessa cosa

accade tra due persone che si relazionano: esse entrano in risonanza (in PNL questo fenomeno si

definisce rispecchiamento spontaneo). L’immagine interna di uno degli interlocutori induce

nell’altro, attraverso il linguaggio corporeo, le variazioni fisiologiche che si legano al suo stato

emotivo. Il cervello rettile registra e si adatta all’immagine, quello mammifero la traduce

158

Attraverso la connessione consapevole si può aiutare il paziente a diventare cosciente delle tensioni e distensioni del

corpo. Possiamo aiutarlo ad utilizzare la forza minima necessaria al movimento per non attivare la spasticità o gli

schemi patologici più del necessario (deconnessione). Il paziente può sentire nel suo corpo la ‘forza’ utile affinché il

movimento avvenga in modo fluido e senza la tensione emozionale che accentua o distorce lo stato tonico. Egli può

imparare a non attivare la ‘spasticità secondaria’, vale a dire il movimento carico delle tensioni fisiche ed emotive che

ha sperimentato nel muoversi spontaneamente all’interno della patologia.

Page 94: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

93

nell’emozione vissuta durante l’esperienza personale passata e, se vi è consapevolezza, il cervello

umano permette d’essere presente al sentimento che l’altro vive.

Può accadere così di provare sentimenti ed emozioni sino a pochi minuti prima assenti nella nostra

coscienza.159

Da quanto descritto si comprende che il fenomeno di risonanza è spontaneo, esso

permette l’adattamento, ma molto spesso è non consapevole.160

Posso spiegare il concetto con un esempio semplice e quotidiano. Immaginiamo una persona che

ha un bambino. Questa persona non ha alcun problema finché si tratta di nutrirlo e giocare con lui,

ma quando occorre cambiare il pannolino, essa ha difficoltà: sentire la puzza, dover toccare le feci

suscita sensazioni viscerali di vomito, la paura di sporcarsi, ecc. Queste sensazioni alterano i suoi

movimenti ed il comportamento. Durante il rapporto le difficoltà del genitore sono trasmesse

direttamente al bambino. Il bambino le ‘sente’ attraverso i recettori cutanei (tatto), muscolari e

cinestesiche (modo in cui è manipolato), visive, ecc. Esse sono registrate e collegate alla situazione

che vive dal suo SNC. Il bambino riceve un messaggio ben preciso riguardo alla sua ‘cacca’ e sarà

condizionato, bloccato in quest’esperienza proprio per l’ancoraggio (connessione) o risonanza che

si è venuta a creare.

Con la maturazione del cervello mammifero, la risonanza diviene attiva al servizio dell’emotività

(reazioni emozionali) e della memoria: il ricordo di ciò che si è sperimentato altera il

comportamento. Il bambino ‘ricorda’ il ‘modo’ in cui ha vissuto le precedenti esperienze ed il suo

corpo si pre-para (tono muscolare d’attesa o aspettativa). Le sue reazioni fisiche sono condizionate

dalla precedente immagine e condizionano ciò che vive.161

I nostri piccoli e grandi pazienti, a causa dell’ansia di prestazione o in seguito al vissuto

neurologico tonico fisso (determinato dalla patologia), attivano sempre un tono alterato poiché sono

159

“E’ interessante far notare che l’immagine corporea propria può essere imposta all’altro più o meno

consapevolmente. A questo proposito Tomatis racconta una sua esperienza in Sud-Africa, con un soggetto balbuziente.

Una persona estremamente brillante, affetta da balbuzie molto forte che si accompagnava a movimenti scoordinati. In

breve tempo, durante la consultazione, alla quale assistevano altre persone, tutti si muovevano come lui, con gli stessi

gesti. Il più sorpreso era l’interprete che era il più coinvolto nel linguaggio di questo soggetto. La sua immagine del

corpo era così forte che nel corso della consultazione l’aveva imposta a tutti.[…]. Secondo queste prospettive un

dialogo avviene quando due persone si mettono in vibrazione l’uno con l’altro. Secondo Tomatis quello che noi

desideriamo trasmettere originariamente non sono i modi, né dei suoni, ma delle sensazioni profondamente sentite,

profondamente vissute in noi dai nostri neuroni sensoriali. Ciò che desideriamo comunicare sono le impressioni tattili

che la parola fa correre sulla nostra chiave sensoriale. Senza saperlo, trasmettiamo gli stessi accordi al nostro

interlocutore che inconsciamente fa funzionare la propria chiave a immagine della nostra, cosicché entreremo in

risonanza.” C. Campo, L’orecchio e i suoni fonti d’energia. Il metodo Tomatis, Edizioni Riza, n. 74, Milano 1993, pp.

22 – 23. 160

“In ogni interazione, noi inviamo segnali emozionali che influenzano le persone con le quali ci troviamo.[…]. Come

avviene questa magica trasmissione? La risposta più probabile è che noi inconsciamente imitiamo le emozioni mostrate

dagli altri attraverso una mimica motoria inconsapevole che coinvolge l’espressione facciale, i gesti, il tono di voce e

altri segnali non verbali dell’emozione. Attraverso questa imitazione l’individuo ricrea in se stesso lo stato d’animo

dell’altro.[…]. Solitamente, l’imitazione dei sentimenti nelle interazioni quotidiane è estremamente sottile. Ulf

Dimberg, un ricercatore svedese presso l’Università di Uppsala, scoprì che quando un individuo osserva un volto che

sorride o esprime collera, la sua faccia riproduce quello stesso stato d’animo attraverso leggeri cambiamenti della

muscolatura mimica. I cambiamenti sono evidenti grazie all’applicazione di sensori elettronici, ma non sono visibili a

occhio nudo. Quando due persone interagiscono, lo stato d’animo viene trasferito dall’individuo che esprime i

sentimenti in modo più efficace, a quello più passivo.[…]. John Cacioppo, lo studioso di psicofisiologia sociale della

Ohio State University che ha studiato questi impercettibili scambi emotivi, osserva : ‘Può bastare la vista di qualcuno

che esprime un’emozione per evocare in noi quello stesso stato d’animo, indipendentemente dal fatto che ci si renda

conto o meno di imitare l’espressione facciale dell’altro. Questo ci accade in continuazione – c’è una sorta di danza, di

sincronia – una trasmissione di emozioni. È la sincronia degli stati d’animo che determina se l’individuo ha una

percezione positiva o negativa dell’interazione in corso.[…]. In breve, l’essenza di un rapporto sta nella coordinazione

degli stati d’animo, che è poi la versione adulta della sintonizzazione di una madre con il suo neonato. ” D. Goleman,

Intelligenza emotiva., cit., pp. 144 – 146. 161

La memoria favorisce l’apprendimento ed il condizionamento sociale. Essi sono in gran parte non consapevoli

(sottocorticali), ma condizionano le nostre reazioni coscienti fisiologiche e quindi emotive future (sentimenti). La

consapevolezza (C. umano) è importante per sottrarsi ai condizionamenti e raggiungere i propri scopi.

Page 95: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

94

abituati a viversi in questo modo. Quindi il paziente manifesta il suo vissuto profondo (o

contingente) attraverso il suo stato tonico (come un termostato che modifica la sua taratura

secondo lo stato emozionale appreso) ed il terapista può rilevarlo attraversi i suoi recettori

sensoriali (per risonanza). Egli può diventare cosciente se è consapevole di certi processi e presente

durante l’approccio terapeutico.

Il Prof. Lerminiaux spesso dice ironicamente che gli piacerebbe essere presente in terapia per

vedere chi ‘dirige’ la seduta. Infatti, se il terapista entra in risonanza non consapevole con il

paziente, quest’ultimo conduce il trattamento. Il terapista si farà sequestrare dal paziente,

oppure si opporrà a lui (alla sua patologia o situazione esistenziale), ma in ogni caso agirà in

funzione dell’immagine del paziente. Può accadere, quindi, che il terapista si trovi allo stesso

livello del paziente, avendone fatto sua l’immagine per risonanza.

Ricordiamo inoltre, che l’ambiente in cui vive il paziente, e quindi i familiari, si trovano allo

stesso livello di blocco del paziente (essi sono in risonanza) poiché nell’ambiente si strutturano

la difficoltà, le credenze e le immagini che hanno determinato la situazione emotiva attuale del

paziente.

Ricordo il caso di A., questo bimbo giunge alla mia osservazione all’età di nove mesi. Rivedo

nella mia mente l’immagine di A. in opistotono ( il corpo rigidamente esteso) in braccio a sua

madre, che era visibilmente stanca e spaventata. Ella brevemente mi racconta la storia del piccolo.

A. nasce di otto mesi e rimane alcuni giorni in incubatrice. Dopo un breve periodo a casa la madre

osserva che il bambino tende ad irrigidirsi e a piangere in modo inconsolabile. Il piccolo soffre

anche di una lieve stitichezza, ma i medici sostengono che la madre è troppo apprensiva e che il

bambino non ha nulla d’importante. Il bambino, tuttavia non si calma, e la madre è costretta a

tenerlo in braccio notte e giorno. Questo è l’unico modo in cui il piccolo trova un po’ di sollievo ed

infine si addormenta sfinito. Non appena la madre si siede o lo mette nel letto il bambino

immediatamente si sveglia, s’irrigidisce ed urla. Per questo motivo all’età di cinque mesi portano il

bambino a Genova per farlo esaminare da specialisti. Dopo accurati esami si rileva che il piccolo ha

un idrocefalo ormai maturato. Ciò nonostante il bambino continua ad avere le crisi in opistotono

come se avesse ancora la compressione cerebrale. Egli trova sollievo solamente tra le braccia della

mamma come se l’ipertensione endocranica lo facesse ancora soffrire. Comprendo la stanchezza

della madre e la sua paura, poi con delicatezza tento un approccio con il bambino. Cerco di

prenderlo in braccio e sento immediatamente che il suo corpo s’irrigidisce e si agita. Capisco che è

inutile continuare. Porgo il piccolo alla madre ed osservo cosa accade: il bambino e la madre, dopo

un primo momento in cui si ritrovano (un momento d’assestamento tonico-muscolare), sembrano

formare ‘un solo corpo’ e ritorna la calma. Nella mia mente ripenso alle parole della madre quando

afferma che ormai l’idrocefalo non costituisce più pericolo, e comprendo che quello che si presenta

è il perpetuarsi dell’immagine originaria, quando il bambino sfinito, in preda ai lancinanti dolori

della compressione cerebrale, trova consolazione tra le braccia della madre impaurita da ciò che

accade. Questa situazione sembra essersi cristallizzata nel tempo, ed è diventata l’unica strategia

che conoscono per gestire una situazione così grave. Propongo alla madre una terapia particolare: in

alcuni momenti della giornata ella deve sedersi su una poltrona con il bambino in braccio, e cercare

di rilassare il proprio corpo e il respiro anche se il bambino s’irrigidisce (in questo caso la madre

deve tenerlo stretto a sé e poi gradualmente rilassarsi). Osservo sul volto della madre la

disperazione, e su quello del nonno, che li accompagna, una smorfia d’incredulità.

Dopo appena quindici giorni il piccolo è completamente rilassato. La madre afferma che riesce a

coricare il piccolo nel letto. Le crisi di rigidità sono quasi completamente scomparse e lei si sente

rinata.

In questa situazione, la risonanza tra madre e figlio ha permesso il superamento di una fase critica.

Entrambi rispecchiano la sofferenza, l’ansia e la paura uno sull’altra. Occorreva aiutarli a superare

la paura che qualcosa di terribile potesse ancora accadere se avessero ceduto il loro atteggiamento

protettivo. Qualunque tentativo di introdursi nella loro simbiosi sarebbe stato inutile, ma loro stessi

potevano cambiarla dall’interno con le loro risorse. Questo è stato il solo aiuto che ho dato nella

Page 96: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

95

fase iniziale, ed occorreva semplicemente questo. Qualunque intervento fisioterapico ‘esterno’ alla

simbiosi o d’altro genere, avrebbe trovato una forte resistenza nella loro paura e l’avrebbe

rafforzata.

Se il terapista rimane cosciente dell’obiettivo terapeutico e prende atto consapevolmente del

vissuto del paziente attraverso il meta-linguaggio corporeo, può gradualmente guidare la seduta

terapeutica utilizzando gli strumenti terapeutici. 162

Un’adeguata formazione può aiutare il terapista a diventare cosciente del linguaggio corporeo del

paziente e del proprio attraverso la calibrazione e l’aptonomia. In questo modo egli può evitare

fenomeni di risonanza passiva o emotiva che sono spesso bloccanti.

La notte dei mammiferi Nei seminari sull’approccio terapeutico si fanno esperienze pratiche di vissuti particolari. Una di

queste esperienze è chiamata in modo metaforico “la notte dei mammiferi”. I partecipanti sono

guidati ad occhi bendati ad immedesimarsi nei comportamenti e nei vissuti sensoriali ed emotivi dei

piccoli mammiferi vissuti sulla terra duecento milioni d’anni addietro, al tempo dei grandi e

pericolosi dinosauri.

L’esperienza fa affiorare tanti vissuti emotivi. Una sola esperienza, tanti modi di viverla. Le

reazioni nascono perché è eliminata la vista: uno dei sensi per eccellenza deputati alla difesa (catena

muscolare PM). La vista permette di controllare lo spazio prossimo e distante, e ci pre-para ad

affrontare una situazione attivando nel corpo le reazioni di lotta o di fuga. Quando un organo

sensoriale così importante è eliminato si accede a livelli di coscienza più primitivi (cervelli arcaici),

più prossimi, più tattili e quindi più legati alla difesa immediata. Queste reazioni parlano di noi,

della nostra fiducia o meno nelle nostre risorse. Parlano delle nostre attitudini di fronte ad una

situazione. Memorie antiche attivano in noi comportamenti dettati dalla nostra storia istintiva

e personale.

Un comportamento, quindi, indica il modo di funzionare del sistema nervoso centrale in

conformità a precedenti esperienze. Con parole differenti possiamo dire: un comportamento

manifesta il posizionamento prevalente che la persona assume di fronte alle situazioni della

vita, rivela le sue precedenti esperienze efficaci o meno e l’immagine di sé in relazione ad esse. Le CM ci indicano ‘l’abito emotivo’ che indossiamo nella relazione con noi stessi e con gli altri.

Se una persona s’irrigidisce in un’attitudine (CM), rischia di essere bloccato in molte esperienze. Se

per esempio una persona assume sempre un’attitudine razionale di difesa (rappresentata dalla catena

muscolare PM o postero mediana) può essere favorito in situazioni in cui è necessario dirigere o

affrontare un pericolo fisico o un’emergenza. La stessa attitudine è fuori luogo in una relazione

affettiva, dove la rigidità può essere distruttiva. Può accadere la stessa cosa se la persona è molto

materna e disponibile (cm AM). In alcune situazioni ciò è indispensabile, ma in altre la stessa

persona potrebbe avere difficoltà nel gestire in modo efficace relazioni che richiedono decisioni

ferme ed autorità.

Non esiste, tuttavia, un comportamento giusto o sbagliato in assoluto. Ogni comportamento

nasce, si sviluppa o si fissa in un determinato ambiente e lì trova la sua giustificazione. Esso è

stato il migliore possibile in quell’ambiente, in quel momento, per quella persona. In altre

situazioni o ambienti lo stesso comportamento può rivelarsi negativo per gli scopi che la

persona si prefigge.

162

“Il dialogo tra terapista e bambino segue canali verbali (suono, parola) e non verbali (intonazione, ritmo, mimica,

sguardo, gesto, assetto posturale, ecc.), che devono essere ugualmente accolti ed interpretati perché possa nascere una

vera intesa, cioè una comprensione ed una condivisione di obiettivi e di percorsi. I termini del messaggio, espliciti ed

impliciti, vanno adeguati all’età del soggetto, alla sua patologia, al suo potenziale cognitivo.” A. Ferrari, Proposte

riabilitative nelle paralisi cerebrali infantili, cit., p. 89.

Page 97: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

96

In terapia è importante comprendere l’origine di un comportamento che può bloccare le

potenzialità del paziente (paralisi intenzionale – A. Ferrari). Esso può derivare da molteplici cause.

Per esempio un blocco emozionale dell’ambiente dove vive il paziente può contribuire in modo

determinante ad impedire un suo sviluppo. In questi casi è importante cogliere l’intenzione positiva:

cosa si propone la persona (o l’ambiente) di proteggere o realizzare in sé attivando quel

comportamento. Solamente dopo aver capito questo processo è possibile ricercare comportamenti

più efficaci (in accordo con il modello di mondo del paziente), che soddisfino i suoi bisogni, le

potenzialità ed i suoi scopi. E’ importante aiutare il paziente ad osservare se stesso e il suo mondo

da punti di vista nuovi in modo da poter trovare nuove soluzioni e quindi nuovi comportamenti

(ristrutturazione).Ciò richiede al terapista una grande flessibilità ed apertura. Il terapista deve capire

e non criticare, comprendere e non sostituirsi al paziente.

Torsione-comportamento-risorsa Poter danzare tra le varie attitudini divenendo fluidi con le situazioni della vita è indice di

ricchezza. Irrigidirsi in una sola attitudine è vicino alla patologia o è la sua manifestazione:

secondo W. Reich, ostacoliamo la libera circolazione dell’energia per cui zone rigide e morte ci

cerchiano come anelli a diverse altezze del corpo. Per difenderci contro l’angoscia come contro il

piacere, contro ogni sensazione, blocchiamo la circolazione dell’energia (come fanno la

maggioranza delle persone che respirano superficialmente e rinunciano all’ossigeno). Questi

blocchi sono l’origine di malattie, di malesseri, di paralisi d’ogni tipo.163

Una torsione, un sintomo, un comportamento indesiderato, indica spesso come approcciamo una

situazione. È la strategia che abbiamo sviluppato in un momento di difficoltà. In quel momento essa

è stata una risorsa, forse l’unica possibile in quel contesto e con le conoscenze che avevamo. Anche

adesso essa è una risorsa, quando abbiamo problemi in una situazione che nell’immaginario è

difficile.

Essa è utile:

a) perché siamo particolarmente sensibili a questa situazione (attraverso le reazioni emotive

suscitate dal cervello mammifero, emozionale). Il nostro S.N.C, infatti, diviene più ricettivo

(in stato di allerta, cervello rettile) e possiamo avere capacità d’analisi più attenta

sull’ambiente (cervello umano).

b) Lo stato di disagio (tensione, malattia, sintomo, comportamento indesiderato) indica che

siamo in una situazione verso la quale possiamo diventare coscienti spettatori e creare

distanza: per esempio, invece di dirmi: “Sono allergico”, mi chiedo: “Che cosa vuole ‘dirmi’

la mia allergia? In quali situazioni si accentua?”. A volte il sintomo è l’unica risorsa per

esprimere un disagio interiore altrimenti inesprimibile.

c) Il comportamento sviluppatosi ha delle valenze positive in molte situazioni: es. la nostra

testardaggine può aiutarci a portare avanti un compito e farlo bene.

d) Nel tentativo di superare il ‘problema’ sviluppiamo spontaneamente la nostra personalità e

le doti naturali.

Questi esempi fanno comprendere perché il comportamento o il sintomo non deve essere distrutto

ma ristrutturato.

I sintomi e la ristrutturazione La diagnosi classica si basa sul riconoscimento di una serie di sintomi che rientrano in un quadro

clinico. Essa è importante per riconoscere i processi fisiopatologici di una malattia. Purtroppo non

dice molto sulle cause profonde, vale a dire il terreno su cui l’evento si è determinato.164

163

Cfr. W. Reich, La funzione dell’orgasmo, SugarCo Edizioni, Milano 1961. 164

“Seguendo l’approccio cartesiano, la scienza medica si è limitata al tentativo di capire i meccanismi biologici

che hanno parte nel cattivo funzionamento di varie parti del corpo escludendo ogni influenza di circostanze non

biologiche su processi biologici. La conoscenza di questi aspetti è ovviamente, molto utile, ma essi rappresentano

Page 98: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

97

Per conoscere le cause profonde occorre avere un’ottica sistemica (l’ambiente in cui vive la

persona, i valori, ecc.), e comprendere l’equilibrio che il paziente ricerca all’interno del suo

ambiente (il ruolo che gli assegnano o si assegna). Immaginiamo un bambino con un padre dal

carattere rigido ed autoritario. Egli avrà difficoltà a mostrare le sue paure e debolezze. Sin da

piccolo cercherà di mostrarsi un “uomo” secondo il modello da lui conosciuto. Sarà efficiente,

ubbidiente e fermo nelle decisioni. Da grande cercherà di mantenere questo ruolo in famiglia, per

essere sempre all’altezza d’ogni situazione. Il suo organismo sottoposto a stress richiederà dei cibi

che aumentano il tono come il caffè, cibi ricchi e forti, vino. La pressione del suo sangue tenderà a

mantenersi alta ed il cuore batterà veloce per essere sempre pronto all’azione e alla decisione.

Quanto più le situazioni saranno difficili, maggiori saranno le richieste dell’organismo per rimanere

sempre ad un livello alto d’efficienza, sino a quando…………ictus o infarto lo bloccheranno.

Il paziente sarà improvvisamente posto di fronte alla sua paura più profonda: non posso essere un

‘uomo’ efficiente, quindi non valgo nulla……...

Viceversa immaginiamo una persona che cade e riporta una brutta frattura che richiede

ingessatura. Ella ha una grande paura di caricare sull’arto leso. Quando le tolgono il gesso, dopo

qualche tempo, ha ancora timore di caricare sull’arto fratturato e mantiene un’andatura antalgica (di

compenso) caricando sull’arto sano. Ciò altera la posizione di tutto il corpo e, nel tempo, possono

determinarsi disturbi in distretti lontani con incapacità di svolgere in modo efficace compiti

semplici. Questo può determinare senso di frustrazione, irritabilità o depressione.

La conoscenza di questi itinerari interiori aiuta a comprendere la difficoltà che può avere un

paziente nell’affrontare la sua malattia: il desiderio profondo di ‘non voler guarire

veramente’ per non affrontare antiche paure.

Nel primo caso il paziente trova finalmente un blocco ad una situazione (immagine di sé) ormai

insostenibile. Guarire fisicamente per lui può significare dover riprendere il ruolo che lo ha

perseguitato per tutta la vita (la credenza di dover essere ‘un uomo’). Solo un nuovo approccio

verso se stesso e l’ambiente può dargli “la guarigione”. Il terapista deve operare una sottile opera di

ristrutturazione sull’immagine.165

Nel secondo caso la persona deve abbandonare gli atteggiamenti fisici e psichici che l’hanno

protetto per cercare un nuovo equilibrio. L’approccio del terapista, in questo caso, deve basarsi sulla

ristrutturazione fisica ed emozionale.

solo una piccola parte della storia. In generale, la pratica medica che si fonda su un approccio così limitato, non è

molto efficace nel favorire e conservare una buona salute. Spesso anzi sono causa di sofferenze ancora maggiori

di quanto non guariscano. Questa situazione cambierà quando la scienza medica connetterà lo studio degli

aspetti biologici con la condizione generale fisica e psicologica dell’organismo umano e del suo ambiente.” F.

Capra, Il punto di svolta. Scienza, società e cultura emergente, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 1995, p.

118. 165

“A causa dei condizionamenti sociali e culturali, spesso la gente trova impossibile liberare il proprio stress in modi

sani e sceglie perciò - in modo cosciente o inconscio - la malattia come via d’uscita. La malattia può essere fisica o

mentale, o può manifestarsi come un comportamento violento e temerario, comprendente il crimine, l’abuso di farmaci,

incidenti e suicidi, che possono essere considerati altrettante forme di malattia sociale. Tutte queste "vie d'uscita" sono

forme di cattiva salute, e la malattia fisica è solo uno fra i vari modi non sani di far fronte a situazioni di vita stressanti.

Perciò la guarigione dalla malattia non renderà necessariamente sano il paziente. Se la fuga in una particolare malattia

viene impedita efficacemente da un intervento medico mentre la situazione stressante persiste, la risposta della persona

alla situazione di stress potrà trasferirsi semplicemente su un piano diverso, come la malattia mentale o un

comportamento antisociale, che saranno altrettanto patologici. Un approccio olistico dovrà considerare la salute da

questo punto di vista ampio, distinguendo chiaramente fra le origini della malattia e la sua manifestazione; in caso

contrario non avrà molto senso parlare di terapie efficaci.[…]. L’idea della malattia come modo per far fronte a

situazioni di vita stressanti conduce naturalmente alla nozione del significato della malattia o del "messaggio" trasmesso

da una particolare malattia. Per capire questo messaggio si dovrebbe considerare la cattiva salute come un’opportunità

per l’introspezione, così che il problema originario e le ragioni per la scelta di una via di fuga particolare possano essere

portati a un livello cosciente a cui il problema possa essere risolto. È qui che la consulenza psicologica e la psicoterapia

possono svolgere un ruolo importante, persino nel trattamento di malattie fisiche. L’integrazione di terapie fisiche e

psicologiche equivarrà ad una rivoluzione importante nell’assistenza sanitaria, in quanto richiederà il pieno

riconoscimento dell’iterdipendenza di mente e corpo nella salute e nella malattia.” Ibidem; PP. 271 – 272.

Page 99: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

98

Può, quindi, accadere che il paziente inconsciamente non voglia e non possa guarire, in questi casi

occorre rispetto e comprensione per la sua decisione. Ma, se la sua sofferenza è troppa, possiamo

aiutarlo cercando di capire quale intenzione positiva ha guidato la sua vita e sostenerlo nella ricerca

di un nuovo modo di affrontare la situazione (ristrutturazione).

“Il primo passo in questo tipo di autoguarigione sarà il riconoscimento, da parte del paziente, di

aver partecipato in modo cosciente o inconscio all’origine e allo sviluppo della sua malattia, e

quindi di essere in grado di partecipare anche al processo di guarigione. In pratica questa nozione

della partecipazione del paziente, che implica l’idea della sua responsabilità, è estremamente

problematica ed è negata con grande energia dalla maggior parte dei pazienti. Condizionati come

sono dalla cornice concettuale cartesiana, si rifiutano di considerare la possibilità di avere avuto

parte nella loro malattia, associando l’idea a biasimo e ad un giudizio morale. Sarà perciò

importante chiarire con esattezza che cosa s’intenda per partecipazione e responsabilità del

paziente.

Nel contesto di un approccio psicosomatico, la nostra partecipazione allo sviluppo di una malattia

significa che noi decidiamo d’esporci a situazioni stressanti e, inoltre, di reagire a questi stress in

certi modi. Queste scelte sono influenzate dagli stessi fattori che influiscono su tutte le scelte che

facciamo nella nostra vita. Esse vengono fatte in modo inconscio più spesso che in modo cosciente

e dipenderanno dalla nostra personalità, da varie costrizioni esterne e da condizionamènti sociali e

culturali. Ogni responsabilità potrà essere perciò solo parziale. Come il concetto di libero arbitrio, la

nozione di responsabilità personale deve essere naturalmente limitata e relativa, e né l’uno né l’altra

può essere associata a valori morali assoluti. Lo scopo del riconoscimento della nostra

partecipazione nell’origine della nostra malattia non è quello di farci sentire colpevoli in proposito

ma di adottare i mutamenti necessari e di renderci conto che possiamo aver parte anche nel processo

di guarigione. Atteggiamenti mentali e tecniche psicologiche sono mezzi importanti tanto per la

prevenzione delle malattie quanto per la guarigione. Un atteggiamento positivo, combinato con

tecniche specifiche di riduzione dello stress, avrà un forte impatto positivo sul sistema mente-corpo

e sarà spesso in grado di rovesciare il processo della malattia, e anche di guarire da gravi disturbi

biologici. Le stesse tecniche possono essere usate per impedire la malattia, usandole per far fronte a

situazioni di stress eccessivo, prima che si verifichi un qualche grave danno.”166

Questi concetti fanno comprendere l’importanza della partecipazione attiva del paziente alla sua

‘terapia’ e come questo atteggiamento lo renda il protagonista della sua ‘guarigione’. Ciò è tanto

più vero per i nostri piccoli e grandi pazienti che devono spesso convivere con problemi fisici e/o

psichici non indifferenti e nonostante ciò trovare il loro equilibrio, il loro scopo e l’accettazione di

sé.

Ogni essere vivente ha le potenzialità per indurre dei cambiamenti in se stesso quando lo si

aiuta ad ampliare il suo punto di vista: questo è uno dei presupposti fondamentali della P N L.

La progressione dei vari meccanismi psico-fisiologici della malattia si potrebbe sintetizzare così:

evoluzione somato-psichica:

fattori fisici = alterazioni fisiologiche e strutturali = comportamenti antalgici = difficoltà fisiche =

difficoltà relazionali = problemi emotivi.

evoluzione psico-somatica:

fattori emotivi = alterazioni fisiologiche = alterazioni organiche = malattia 167

166

Ibidem, pp.273-274. 167

Se una persona vive per lungo tempo una condizione emotiva, per esempio di paura, l’organismo, attraverso il

sistema neurovegetativo ed ormonale, si mantiene in uno stato che la natura ha predisposto per situazioni d’emergenza.

Alcuni organi sono soggetti a costante sollecitazione fisiologica. Per un lungo periodo possono manifestarsi disturbi

Page 100: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

99

Partendo dal danno fisico o da quello emozionale, si può determinare un blocco o ‘torsione’ ad un

determinato livello, una regressione a blocchi precedenti oppure una riorganizzazione funzionale

deficitaria o disarmonica.

Non tutti i meccanismi psico-fisiologici possono essere spiegati, alcune volte essi semplicemente

accadono, ma noi molto spesso non sappiamo accettarli: entrano in gioco le reazioni emotive che

hanno e ci siamo costruiti nella nostra storia personale (l’immagine di noi stessi e del mondo). Spesso non possiamo controllare ciò che ci accade, ma possiamo fare qualcosa a proposito del

modo in cui reagiamo. Allentare lo stato d’ansia (cervello rettile), abbandonare vecchie reazioni

emotive apprese (cervello mammifero) può permettere di trovare soluzioni più serene, rispettose e

adatte al problema (cervello umano). In questo cammino l’aiuto del terapista può essere prezioso

per il paziente, poiché affrontare da soli i propri ‘fantasmi bloccanti’ è difficile.

In quest’ottica il sintomo diventa un modo per entrare in contatto con noi stessi. Esso agisce

spesso come anello di retroazione quando la tensione interna aumenta ed allontana l’individuo

dall’omeostasi psico-fisiologica. “L’infermità è una conseguenza di una situazione di squilibrio e di

disarmonia, derivante spesso da una mancanza d’integrazione che può verificarsi a vari livelli

dell’organismo e che quindi può generare i sintomi di natura fisica, psicologica o sociale. La

malattia è la manifestazione biologica dell’infermità, e il modello distingue chiaramente fra origini

della malattia e processi della malattia. Si ritiene che uno stress eccessivo contribuisca in misura

significativa all’origine e allo sviluppo della maggior parte delle malattie, manifestandosi nello

squilibrio iniziale dell’organismo e, successivamente, incanalandosi in una particolare configu-

razione della personalità per dare origine a disturbi specifici. Un aspetto importante di questo

processo è il fatto che la malattia viene spesso percepita, in modo cosciente o inconscio, come una

via d’uscita da una situazione stressante (e vari tipi di malattia rappresentano vie di fuga diverse).

La guarigione dalla malattia non renderà necessariamente sano il paziente, ma l’infermità potrebbe

essere un’opportunità d’introspezione per risolvere i problemi alla radice.

Lo sviluppo della malattia implica la continua interazione fra processi fisici e mentali che si

rafforzano l’un l’altro attraverso una rete complessa di anelli di retroazione. I tipi di malattia

appaiono in ogni fase come manifestazioni di processi psicosomatici sottostanti di cui ci si

fisici definiti funzionali. Se, tuttavia, la continua sollecitazione non si risolve, questi stessi organi possono subire una

disfunzione o un’alterazione permanente, determinando la malattia organica (lesionale).

“Quando si adotta la concezione sistemica della mente, diventa ovvio che ogni infermità ha aspetti mentali.

L’ammalarsi e il guarire sono entrambi parti integranti dell’auto-organizzazione di un organismo, e poiché la mente

rappresenta la dinamica di quest’auto-organizzazione, i processi di ammalarsi e di guarire sono fenomeni

essenzialmente mentali. Poiché la mentalizzazione abbraccia processi a molti livelli, la maggior parte dei quali hanno

luogo nell’inconscio, noi non siamo sempre del tutto consapevoli di come entriamo nella malattia e di come ne usciamo,

ma ciò non incide in alcun modo sul fatto che la malattia è per sua stessa essenza un fenomeno mentale.

L’intima interconnessione fra processi fisici e mentali è stata riconosciuta in tutti i tempi. Noi tutti sappiamo che

esprimiamo emozioni attraverso gesti, inflessioni, ritmi respiratori e movimenti minuti impercettibili all’occhio non

addestrato. I modi precisi in cui aspetti fisici e psicologici interagiscono sono ancora poco compresi, e quindi la

maggior parte dei medici tendono a limitarsi al modello biomedico e trascurano gli aspetti psicologici della malattia. Ci

sono stati però in tutta la storia della medicina occidentale importanti tentativi di sviluppare un approccio unificato al

sistema mente/corpo. Vari decenni fa questi tentativi culminarono nella fondazione della medicina psicosomatica come

disciplina scientifica, interessata specificamente allo studio dei rapporti fra gli aspetti biologici e psicologici della

salute. Questa nuova branca della medicina sta acquistando oggi rapidamente favore, specialmente grazie alla sempre

maggiore consapevolezza dell’importanza dello stress, ed è probabile che sia destinata a svolgere un ruolo importante in

un futuro sistema olistico di assistenza sanitaria.

L’espressione ‘psicosomatico’ ha bisogno di una chiarificazione. Nella medicina convenzionale fu usata con

riferimento a disturbi privi di una base organica chiaramente diagnosticata. A causa della forte propensione

biomedica oggi esistente, tali ‘disturbi psicosomatici’ tendevano ad essere considerati immaginari, e non reali.

L’uso moderno del termine è del tutto diverso; esso deriva dal riconoscimento di una fondamentale

interdipendenza fra mente e corpo in tutte le fasi della salute e della malattia. Diagnosticare un qualsiasi

disturbo come dovuto a cause psicologiche sarebbe altrettanto riduzionistico quanto la convinzione che ci siano

malattie puramente organiche senza alcuna componente psicologica. Oggi ricercatori e clinici sono sempre più

consapevoli del fatto che praticamente tutti i disturbi sono psicosomatici, nel senso che implicano la continua

interazione di mente e corpo nella loro origine, nel loro sviluppo e nella loro guarigione.” Ibidem, p.272.

Page 101: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

100

dovrebbe occupare nel corso della terapia. Questa visione dinamica dell’infermità riconosce

specificamente la tendenza innata dell’organismo a guarire, - a ritornare in uno stato

equilibrato - cosa che potrebbe comportare fasi di crisi e mutamenti importanti nella vita.

Periodi di cattiva salute implicanti sintomi minori sono fasi normali e naturali, le quali

rappresentano i mezzi di cui l’organismo dispone per ripristinare l’equilibrio, interrompendo

le proprie attività usuali e imponendo un mutamento di ritmo. Di conseguenza i sintomi

associati a queste infermità minori scompaiono di solito dopo alcuni giorni, anche se non si

riceve alcun trattamento. Infermità più gravi richiederanno sforzi maggiori per recuperare il

proprio equilibrio, di solito con l’aiuto di un medico o di un terapeuta, e l’esito dipenderà in

misura decisiva dagli atteggiamenti mentali e dalle attese del paziente. Le infermità gravi,

infine, richiederanno un approccio terapeutico che si occupi non solo degli aspetti fisico e

psicologico del disturbo, ma anche dei mutamenti dello stile di vita e nella visione del mondo

del paziente che saranno parte integrante del processo di guarigione.” 168

Il sintomo indica, in altre parole, quando qualcosa non va e ciò di cui abbiamo di bisogno in

rapporto a noi stessi ed all’ambiente. La malattia, l’handicap, la disabilità, il sintomo, il

comportamento cessano di essere un evento isolato e s’inseriscono in una rete di eventi. È così che

acquistano significato il vissuto, il messaggio verso l’ambiente in cui esso si è sviluppato e,

soprattutto, può essere condiviso dal terapista e dall’ambiente ristrutturato creando una nuova rete

di significati dove il paziente è un vettore attivo assieme agli altri (e non subisce passivamente il

suo stato). Egli esce dal suo ‘isolamento’ e vive in modo attivo ed interattivo modificando la

relazione con se stesso e l’ambiente in un processo che lo può portare a vedersi in modo nuovo e

verso la ‘guarigione’, o meglio un vissuto sereno della propria condizione e delle proprie

potenzialità.

Il sintomo e il comportamento indesiderato sono simili agli indicatori sul cruscotto della macchina:

se si accende la spia rossa, posso cercare di capire cosa manca. Sicuramente non distruggo la spia o

faccio finta di niente, ma do alla macchina ciò che le serve. Allo stesso modo il sintomo non va

distrutto, ma capito per dare a noi stessi qualcosa che “abbiamo dimenticato”.169

Nell’approccio medicale classico si trascurano molto spesso le motivazioni dell’insorgenza di un

sintomo. Non di rado accade che la cura di un sintomo faccia insorgere nel tempo malattie in altri

distretti del corpo. Ciò avviene perché non sono state curate le cause profonde del malessere e

queste chiedono di essere ascoltate.

L’approccio medicale attuale molto spesso finalizza la cura alla malattia e non alla persona.

Qualche volta si osserva l’accanimento terapeutico: la tendenza a combattere a tutti i costi ed in

modo cruento il sintomo, ma se esso è l’espressione di un malessere interiore, sappiamo bene che la

cura ‘superficiale’ sortisce scarsi effetti. Il sintomo si sposta su altri organi per esprimere il disagio

non ascoltato.

“A voler eliminare il sintomo attraverso cui il bambino si esprime, non si fa che aumentare le

tensioni interne. Ogni rieducazione normativa è vissuta come un’aggressione non rassicurante,

ansiogena e colpevolizzante. Si arriva in tal modo ad un rafforzo delle resistenze.[…]. Accade

persino che il bambino accetti d’abbandonare il suo sintomo, ma per trasferire la sua domanda

affettiva inconscia in un altro sintomo. Questo spostamento è ben conosciuto in psichiatria; la

pulsione inconscia, rimossa, deve trovare un mezzo d’espressione simbolica e fintanto che non

trova una via d’uscita migliore essa va successivamente ad investirsi in ulteriori sintomi. Se ogni

mezzo d’espressione è precluso, si manifesta l’angoscia o appaiono delle turbe psicosomatiche.

Capita anche che si verifichino delle rieducazioni riuscite senza incresciose contropartite. Ci si è

accorti, analizzandole, che in quei casi è stata determinante la qualità della relazione e della

comunicazione affettiva che si è potuta sviluppare tra il rieducatore e il bambino [...] e che le

168

Ibidem, pp. 275-276. 169

“ La malattia allora può diventare un ‘pretesto’ per attivare in noi quel dialogo interno e quelle risorse da tanto tempo

dimenticate dietro a dolorosi compromessi tra noi e il mondo esterno.” G. Molé, Il linguaggio della malattia, in

“Solidarietà”, 9 (1995), n.23, p. 76.

Page 102: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

101

tecniche impiegate hanno avuto ben poco peso.”170

È importante e necessario dare le dovute cure mediche quando la persona sta male per offrirle il

sollievo di cui ha bisogno, ma è necessario anche capire qual è la vera richiesta che si cela dietro il

malessere. Non si deve dimenticare che questo è spesso il grido del suo mondo interiore che non sa

esprimere in altro modo la sofferenza.

Curare la persona vuol dire comprendere il disagio interiore che ha preparato il terreno alla

‘malattia’ per darle ciò che le serve, ossia aiutarla a trovare in se stessa le risorse e le soluzioni al

suo disagio.

I nostri pazienti presentano problemi a livello fisico, cognitivo, ecc. e questi, come abbiamo visto

sopra, hanno ripercussioni a livello relazionale ed emozionale per la difficoltà ad agire secondo

schemi normali e nel confronto con questi. Purtroppo lo stato emotivo negativo attiva ulteriormente

la patologia e la fissa, impedendo al paziente di accedere a livelli di potenzialità superiori, ed in

ogni caso, al suo benessere.

Spesso, infatti, i segni del quadro patologico si accentuano quando il paziente vive uno stato

emozionale negativo contingente. Così come in altri stati patologici cronici, gli organi colpiti

agiscono da “organi bersaglio”, essi indicano attraverso le loro variazioni e modulazioni il vissuto

interiore del paziente e le perturbazioni nel suo ambiente. Ad esempio molto spesso un bambino con

PCI accentua i suoi sintomi (rigidità muscolare, ipotonia, incoordinazione, ecc.) quando ha un

problema emotivo contingente che non riesce ad esprimere. Lo stesso accade quando egli ha in

incubazione una malattia: prima dell’evidenziarsi dei sintomi influenzali o di una malattia

esantematica il quadro clinico sembra peggiorare. O quando il bambino sta attraversando una fase

di ‘spinta’ legata all’accrescimento. Essere “aperti” nell’accogliere queste variazioni nel paziente

può essere ed è importante per il terapista, il quale può aiutare il paziente ad elaborare sul piano

emozionale il vissuto bloccante, attraverso un rapporto comprensivo ed amichevole ed un’adeguata

analisi della situazione che si è determinata. Ad esempio un bambino spastico incontra

inevitabilmente problematiche psico-fisiologiche di un certo tipo nell’ambiente della scuola

materna. Crescendo e con il diversificarsi delle richieste di prestazioni i vissuti saranno sempre più

complessi (per esempio nella scuola elementare). Il terapista deve saper essere un buon e

competente amico nel cogliere elementi che possono favorire l’autonomia (invece di bloccarla) e

possono far crescere l’autostima (invece di far regredire il ragazzo) in questi importanti e delicati

passaggi. D’altra parte se la temporanea accentuazione dei sintomi si manifesta prima di una

malattia, possiamo avere la possibilità di coglierne i segni premonitori ed evitare l’accanimento

terapeutico per il calo di prestazioni manifestato dal bambino.

Gli eventi che possono creare blocchi emozionali nei pazienti neurologici sono molto frequenti se

pensiamo ai continui ricoveri, prescrizioni d’interventi cruenti o di esami invasivi, inserimento in

strutture sociali molto spesso non preparate fisicamente (barriere architettoniche) e

psicologicamente (pregiudizi), ecc.

Il terapista, quindi, può e deve aiutare il paziente a comprendere con rispetto, comprensione e

competenza le sue tensioni e difficoltà lungo il cammino che li lega per un lungo tempo.

Il paziente impara a comprendere quando e quanto i vissuti emozionali lo bloccano. Egli impara a

chiedere a se stesso se ancora oggi occorre che le tensioni emotive lo difendano compromettendo la

sua autonomia e il suo benessere attraverso un tono ‘esasperato’ di difesa.

Egli può imparare a centrarsi in se stesso (Asse) e sviluppare la possibilità di vivere serenamente il

suo stato. Solo partendo da questo presupposto è possibile iniziare un nuovo cammino libero da

inutili blocchi emotivi ed attivare le potenzialità mai espresse.

(metafora)

Tempi di guerra 170

A. Lapierre – B. Aucouturier, La simbologia del movimento, Edipsicologiche, Cremona, p. 16.

Page 103: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

102

Sono tempi di guerra e regna desolazione e tensione. I soldati, lontani dalle loro famiglie, sono

stanchi, senza un tetto per riparo, senza cibo e in costante pericolo contro possibili attacchi del

nemico. Essi spesso scorazzano commettendo soprusi e furti. Uno di loro entra in una piccola

chiesa, deciso a prendere in giro il prete.

Nella penombra scorge il parroco in preghiera. Il soldato si avvicina al prete e con voce alta ed

imperiosa chiede: “Ehi tu! C’è davvero un Paradiso e un Inferno? Rispondi….”

Il prete apre gli occhi, lo osserva e poi chiede: “Chi sei tu?”

“Sono un soldato.” Risponde l’uomo.

“Tu… un soldato!” Dice il prete: “Quale governante ti vorrebbe per difenderlo? Hai la faccia da

stupido…”

Il soldato diventa paonazzo per la collera e con gesti bruschi impugna il fucile e lo punta contro il

prete. Mentre fa questo il prete dice: “Così hai un fucile! Sicuramente è così sporco e incrostato che

s’incepperà.”

Il soldato sente il suo corpo irrigidirsi e sta per premere il grilletto del fucile quando il prete dice:

“Qui si aprono le porte dell’Inferno.”

Il soldato si blocca. Comprende l’insegnamento del prete. Il suo corpo si rilassa ed abbassa il

fucile facendo un inchino.

“Adesso si aprono le porte del Paradiso.” Risponde il prete.171

La vulnerabilità e la consapevolezza Il cammino descritto è semplice e molto complesso allo stesso tempo. Il fine è di riuscire ad essere

testimoni, essere presenti semplicemente a ciò che si vive in se stessi ed attorno a sé.

Semplicemente sentire ed essere consapevoli per aiutare l’altro in modo limpido e trasparente. Ma

la capacità d’essere presenti lì dove sono i nostri sensi è spesso distorta dalle nostre ‘difese’. Siamo sempre all’erta per non essere feriti, e siamo pronti a ferire. Spesso tutto quello che si

presenta alla nostra coscienza rientra in queste due categorie.

All’inizio della nostra vita eravamo completamente ‘aperti’. Non c’era nessuna distinzione tra

‘dentro’ e ‘fuori’. Tutto era un semplice fluire di sensazioni senza barriere.

Poi, lentamente, sono nati i limiti quando abbiamo sperimentato la ‘separazione’ dall’oggetto

(dalla madre, dal cibo, dal giocattolo, ecc.). Esso non corrispondeva sempre al bisogno interno nel

momento stesso in cui lo desideriamo. Così nascevano le prime frustrazioni e le reazioni emotive:

la necessità di proteggersi da un ambiente che non sempre ci capiva, e non sempre potevamo

capire. Nasceva il senso di solitudine… La paura di non essere capiti o di essere feriti ci faceva

sentire impotenti e vulnerabili.

Eravamo sempre all’erta e, per paura di essere feriti, ferivamo.

Non sapevamo che le persone a noi vicine vivevano il nostro stesso disagio, poiché anche loro

avevano attraversato lo stesso cammino e, proprio per questo motivo, avevano perso la capacità di

ascoltare se stessi e gli altri.

Se all’inizio della nostra storia il rapporto con l’ambiente si è improntato su un buon dialogo tonoco-affettivo, siamo rimasti in contatto con i nostri bisogni e riusciamo ad esprimerli. Se, invece,

la relazione con le persone a noi vicine è stata filtrata dalle loro distorsioni, piuttosto che

dall’ascolto reciproco, rischiamo di perdere il contatto con ciò che sentiamo dentro, negando o

distorcendo le nostre sensazioni. Se ciò accade il contatto fisico pieno d’attenzione dell’altro ci fa

sentire ‘nudi’: nasce la paura che l’altro entri in contatto con i nostri ‘lati oscuri’. Questi sono

fondamentalmente gli aspetti negati, deboli e vulnerabili. Nasce il timore che l’altro possa

171

Racconto liberamente tratto da: N. Senzaki – P. Reps, 101 storie zen, cit., p.71.

Page 104: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

103

usarli per ferirci nuovamente così come è accaduto nel passato. Per questo motivo disimpariamo

a stare attenti ai messaggi che mandiamo (poiché sono stati ignorati) oppure li nascondiamo, e

diventiamo estremamente sensibili ai messaggi dell’altro per capire quando è disponibile o pronto a

farci del male (cm PM esasperata). Quest’attitudine, spesso inconscia, rimane da adulti.

Per reimparare ad ascoltarci dobbiamo accettare il nostro ‘sentire’ e le tensioni che ad esso

si sono legate. Possiamo e dobbiamo capire i nostri comportamenti e le nostre ‘distorsioni’.

Dobbiamo accettare la nostra vulnerabilità e riconoscerla negli altri.

Allora capiremo con quanto rispetto e dolcezza si deve guardare al nostro passato e alle nostre

tensioni. Capiremo che questi comportamenti e tensioni, che oggi ci ‘disturbano’, sono nati in

momenti delicati della nostra storia personale e ci hanno protetto dalla ‘catastrofe’.172

Ancora oggi, quando si ripresentano, essi ci ricordano che una parte di noi sta soffrendo.

Comprendere questi processi ci permette di accettare la nostra vulnerabilità. Non ignoreremo le

nostre tensioni, comportamenti o sintomi, ma avremo il coraggio di dire a noi stessi cosa abbiamo

bisogno.173

Potremo chiederci se ancora oggi occorre che la tensione o il sintomo ci difenda, oppure se

possiamo assumere un atteggiamento di maggiore sicurezza (minore dipendenza dall’ambiente).

Finalmente potremo imparare ad ascoltare i nostri sentimenti e trovare nuovi modi per esprimerli.

Se il terapista impara a capire ed a gestire questi suoi sentimenti può insegnare al paziente la stessa

strada ed accompagnarlo in un cammino che destruttura un’immagine di sé troppo spesso carica di

ferite emozionali e tensioni negative raccolte inconsapevolmente o coscientemente per trovare un

modo nuovo di vivere se stesso in armonia con le proprie possibilità e scopi.

La religione del ‘cretino’

Ho accennato al fenomeno della risonanza, all’apprendimento emozionale ed al fatto che essi sono

in gran parte inconsapevoli. E’ attraverso questi che l’ambiente condiziona l’individuo

imprimendo credenze sociali su se stesso e la realtà. Ciò impedisce spesso all’individuo di

accedere alla capacità innata di ascoltare se stesso e di attingere alle proprie risorse. Questa

distorsione coinvolge un po’ tutti noi ed avviene anche in età adulta attraverso le reazioni che si

vivono nell’incontro con gli altri.

Parto dal presupposto che nessuno possa consapevolmente fare del male, poiché se fossimo

realmente consapevoli delle conseguenze delle nostre azioni e di ciò che causano in noi e negli

altri, non le faremmo. Ognuno, in ogni momento, crede di fare la scelta migliore possibile, in

caso contrario avrebbe deciso altrimenti.

Qualunque scelta nasce da un angolo d’approccio alla situazione (punto di vista). L’angolo da cui

approcciamo le cose è spesso il solo che conosciamo o che ci hanno fatto conoscere. Le nostre

scelte, infatti, indicano spesso il limite con cui abbiamo imparato a gestire le situazioni della nostra

172

“Quando decidi di ascoltare anziché fuggire, di ascoltare, anziché capire, tu cominci a ricevere informazioni dal tuo

corpo….Può succedere che cominci a sentire i muscoli delle spalle che si tendono, la pancia che si contrae, la

mandibola che si serra, la testa scoppiare, il respiro farsi affannoso, le tue mani che divengono irrequiete e allora tu sai

che hai voglia di colpire….quando sai cosa vuoi sei libero di decidere e questo ti fa paura….Quando senti amore e sai

che sei libero di esprimere amore oppure no entri nel panico. Starai male se il tuo amore verrà rifiutato, starai bene se

verrà ricambiato. Sembra quindi che tu abbia paura dell’amore e sembra che questo voglia dire che tu hai paura di

essere l’artefice del tuo star bene o star male.” P. Lattuada, Massaggio d’amore, Gruppo Editoriale Muzzio, Padova

1989, pp. 41-43. 173

In PNL c’è una ‘tecnica di cambiamento’ (che utilizza la ristrutturazione) chiamata: ‘cambiamento della storia

personale’, essa aiuta ad elaborare vissuti dolorosi della nostra vita. Utilizzando il prolungamento il terapista può

guidare il paziente consapevolmente in quest’esperienza (con presenza e prudenza).

Page 105: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

104

vita. Non è, quindi, un problema di male o bene ma di limiti, d’ignoranza. Limiti che abbiamo

appreso inconsapevolmente da altri e che a loro volta hanno appreso inconsapevolmente.174

Purtroppo, però, le conseguenze di quest’ignoranza sono molto dolorose per sé e per gli altri, esse

molto spesso prevaricano e distorcono le intenzioni di chi li compie. La sofferenza emotiva che

nasce diviene spesso l’unico modo che si ha a disposizione per ritrovare se stessi, se non si è

aiutati.175

Io assimilo questa situazione ad una ‘religione’, la più diffusa nel nostro mondo. Con una

metafora, che è la stessa che utilizzo nei seminari di formazione, la chiamo la ‘religione del

cretino’.

Immagino me stesso al lavoro con un collega. Sono molto teso e chiuso nei miei problemi. Con

questa attitudine interiore non tollero che l’altra persona commetta errori, anche banali. Ferisco il

collega dicendo che è un cretino e non è capace di fare niente per come si deve, che il suo

comportamento mi irrita, e che per me è proprio un deficiente.

In questo modo trasferisco la mia tensione sul collega. Cerco di aprire nell’altro una ferita, la

stessa che sento in me e che in questo momento fa male…. È come se questo meccanismo di

trasferimento mi desse la sensazione, per il fatto stesso che posso fare ciò, di essere sopravvissuto e

di sfuggire al mio dolore.

Io posso aprire in un’altra persona la stessa ferita che sento dentro…e vedere se anche l’altro

sopravvive.

Tutto questo, contrariamente a quanto si pensa, è inconscio.

Io posso essere consapevole del mio sentimento (star male), ma le ragioni profonde del mio

malessere, della mia ferita nascono dalla paura, dall’insicurezza, da qualcosa d’indicibile che è

sepolto in me.

Razionalmente mi dico che l’altro con il suo comportamento mi irrita, e che fa questo

appositamente, approfittando del fatto che sono nervoso. La distorsione percettiva che avviene per

fattori emotivi impedisce la serenità di giudizio.

Il collega, di fronte all’attacco, reagisce difendendosi (per risonanza). Così egli rende reale

l’offesa, ed anche lui apre la sua ferita. In questo modo la tensione, la mia sofferenza è

confermata: si risveglia un antico ricordo nascosto in me….io ero indifeso e qualcuno mi ha

investito con tutta la sua carica emotiva di tensione. Quella persona in quel momento mi ha fatto

sentire debole ed impaurito, anche se ciò che avevo commesso era stata piccola cosa e, forse, non

l’avevo neanche fatto apposta.

Tutta la carica emotiva dell’altro si concentrò in una parola:‘cretino’. Fu allora che questo suono

con il suo ‘carico’ di tensione aprì la ferita che ancora sanguina.

E’ una strana sensazione quella che si prova quando si ferisce un’altra persona così come siamo

stati feriti noi. In parte proviamo la sensazione di ‘potere’. Sentiamo di poter esercitare lo stesso

‘potere’ che un tempo ci ha ‘schiacciato’, ma nello stesso tempo riproviamo dolore, la nostra antica

ferita sanguina perché è confermata.

E’ un rito che si ripete e si trasferisce da una persona all’altra espandendosi come una ‘religione’.

Se tutti credono che la parola ‘cretino’ possa ferire essa acquista…. ‘potere’.

…..Può accadere, però, che il collega conosca i problemi che vivo in questo periodo, oppure che sia

sereno e non si faccia coinvolgere. Egli vuole aiutarmi e chiede semplicemente in cosa ha sbagliato,

e si dice disposto a correggere ciò che ha fatto, se necessario. Questo comportamento disarmante fa

nascere in me irritazione, ma interiormente sento che la mia antica ferita può sanarsi un po’

(inconsciamente, per risonanza). 174

“Predomina nella gente, ed è raramente messa in discussione, la curiosa idea che esista una cosa chiamata esperienze

‘belle’ ed esperienze ‘brutte’[…] queste esperienze e comportamenti non sono chiaramente né belle, né brutte, né

migliori né peggiori né giuste in senso intrinseco: sono neutre. Sono solo esperienze. Ciò che differenzia ciascuna di

esse come una cosa da ricercare e ambire (oppure da temere ed evitare) è il punto di vista individuale dal quale essa

viene considerata.” D.Gordon - M. Anderson Meyers, Phoenix. I modelli terapeutici di Milton H. Erickson, cit., pp. 57. 175

“Una parte del vostro dolore è scelta da voi stessi. E’ la pozione amara con la quale il medico, che è chiuso in voi,

guarisce il vostro male.” Gibran Kalil Gibran, Il profeta, Ugo Guanda Editore, Parma 1980, pp. 93.

Page 106: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

105

Come mai il collega non si offende? Perché non si sente ferito? Forse anch’io avrei potuto non

ferirmi quella volta… non sentirmi schiacciato……. E la tensione diminuisce.

In questo caso la religione del cretino ferma la sua diffusione.

Il problema nasce quando ci sentiamo vulnerabili, indifesi o minacciati, quando siamo stati

tolti dal nostro centro (simbolicamente il nostro Asse) attraverso i condizionamenti. In quei

momenti delicati della nostra vita, le nostre reazioni di difesa più antiche e viscerali (emotività

profonda, paura istintiva) si sono legate ai vissuti trasmessi a noi, spesso inconsapevolmente,

da chi in quel momento viveva uno stato emozionale negativo (stava male).

Se siamo consapevoli di questi processi possiamo scegliere intenzionalmente di rimanere calmi e

capire l’altro e noi stessi. Perdoniamo, perchè tante volte anche noi abbiamo ferito

inconsapevolmente e ricordiamo a noi stessi che non intendiamo vivere secondo i condizionamenti

del passato. Essi ci hanno fatto soffrire troppo, ci hanno ferito, hanno bloccato la nostra crescita.

Comprendiamo che dietro i nostri comportamenti problematici e sentimenti negativi c’è un

urlo doloroso e silenzioso, una richiesta d’aiuto e d’amore che chiedono solo di essere accolti.

“Ognuno di noi ha alle spalle un percorso in cui è stato danneggiato, offeso e ferito da altri e si è

comportato allo stesso modo verso altri ancora. Nessuno ne è esente. Inoltre, anche verso noi stessi

abbiamo spesso comportamenti che ci danneggiano. Quello che facciamo solitamente è trascinarci

per tutta la vita il peso di ognuno di questi atti e le catene con cui teniamo questi macigni legati a

noi si chiamano: avversione, rabbia, risentimento, odio, desiderio di vendetta e altre amenità del

genere. La vita scorre e noi continuiamo ad accumulare senza sosta questa pattumiera che, come per

magia, nel momento stesso in cui viene donata, si trasforma in qualcosa di prezioso e, tanto era

pesante e oscura prima, tanto diviene leggera e luminosa.[…]. Ma di tutte le cose, la più difficile è

riuscire a chiedere perdono a se stesso per non essersi trattato con abbastanza amore e cura, e

accettare quindi di amarti e volerti sinceramente bene per quello che sei, anche se quello che sei può

non piacerti.[…]. Ricordati di pensarlo così: per-dono, un regalo bellissimo che fai a te stesso e agli

altri.” 176

Questa attitudine interiore può permettere di aiutare noi stessi e l’altro a superare il ‘blocco’

emotivo che soffoca poiché lo ‘ri-conosciamo’. Riconosciamo che la tensione, la paura e l’odio

non sono altro che la ricerca del nostro equilibrio, tranquillità e amore rivolta nella direzione

errata e, forse, conosciamo la strada per recuperarli.

Vissuti emotivi d’angoscia spesso impediscono al genitore di un bambino con problemi d’essere

sereno e di avere un approccio completo con il figlio, bloccando se stesso ed il piccolo. Vissuti

emotivi personali possono impedire al terapista di uscire dal proprio guscio per incontrare l’altro.

Nessun genitore consapevolmente vorrebbe vivere e trasferire sul figlio la preoccupazione che vive.

Un terapista vorrebbe donare tutto se stesso, la sua capacità professionale ed umana. Cosa lo

blocca?

I vissuti dei piccoli e grandi pazienti contaminati da pregiudizi sociali spesso rendono pesante la

loro e l’altrui vita impedendo di esprimere le loro potenzialità e, qualche volta, riversando attorno a

sé risentimento, irritazione e amarezza.

“Non dobbiamo avere paura di acquisire consapevolezza di come siamo perché questa

consapevolezza c’induce al cambiamento e il cambiamento non può, in questo caso, non avere

effetti positivi sulla personalità.[…].Tutti noi nutriamo timore nei confronti di chi non conosciamo,

questo timore ha una ragione d’essere nel fatto che noi abbiamo bisogno degli altri, abbiamo

bisogno di instaurare relazioni autentiche per migliorare la qualità della nostra vita. Si verifica,

quindi, il paradosso che quanto più noi abbiamo bisogno degli altri tanto più li affrontiamo con

timore […] specialmente quando non riusciamo ad esprimere verbalmente ciò che proviamo.[…].

Indubbiamente scoprire una parte di noi stessi all’altro o agli altri può comportare dei rischi: non

essere compresi, essere fraintesi o ridicolizzati ma, in linea di massima, ha sempre un effetto

176

F. Bottalo, Il volo del cuore, Xenia Edizioni, Milano

1997, pp.153-155.

Page 107: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

106

benefico. Il rischio di essere più trasparenti deve essere affrontato non solo per la soddisfazione e

gioia degli altri ma anche per la propria realizzazione personale.”177

(metafora)

Il cieco

In un piccolo villaggio nasce un bimbo cieco. Giorno dopo giorno il piccolo diviene consapevole

del fatto che le persone che lo accudiscono sono spesso distratte e lo mettono in difficoltà. Alcune

volte il piccolo urta contro un oggetto e nessuno sembra aiutarlo. Lo toccano molto, gli parlano e

sono affettuosi con lui, ma quando piange in silenzio nessuno si accorge del suo dolore. Alcune

volte chi lo circonda non sa dove sono i suoi giocattoli preferiti.

Il bambino cresce sentendosi trascurato. Egli vuole bene a tutti, ma si sente spesso solo e non

capito.

Il bambino cresce e diventa un uomo. Un giorno gli nasce un bimbo, anche lui cieco. Il padre

vuole fare del suo meglio, vuole evitare gli errori che hanno fatto con lui, ma ha difficoltà a causa

della cecità. Capisce di essere maldestro nel guidare il figlio e non riesce sempre a fargli evitare i

pericoli.

Un giorno gli arriva la notizia di un possibile intervento agli occhi e decide di farsi operare.

Quando ritorna al suo villaggio e finalmente può togliere la benda dagli occhi…Può vedere… Si

accorge che tutte le persone che lo circondano sono…… cieche… e gli si stringe il cuore.

Ora capisce…non era trascuratezza, o perché non gli volessero bene, erano solamente…ciechi.

In quel momento egli rivede nel suo cuore ciò che ha vissuto da piccolo ed ha interpretato senza

conoscere….e cancella gli antichi rancori. Adesso vuole aiutare tutti ad evitare i pericoli, ad

apprezzare le cose che non possono vedere. Poi…lentamente impara a perdonare se stesso per i

sentimenti che ha provato nei confronti di coloro che l’avevano cresciuto…. Loro avevano fatto del

loro meglio, ma erano semplicemente…ciechi.

L’empatia e le CM

Un cammino simbolico La capacità di entrare in ascolto dell’altro è un’esperienza che viviamo sin dai primi giorni della

nostra vita. Quando una madre sente il figlio piangere “intuisce” se questi ha fame, se ha dolori alla

pancia, è messo male, è bagnato, ecc. La madre è subito allertata dai segni che il bambino le manda

(vocalizzi, pianto, movimenti del corpo, ecc.), attivando quella che Winnicot chiama “la

preoccupazione materna primaria”.178

I cervelli arcaici hanno la capacità di cogliere tutte le sfumature dei segni e di inserirli

nell’esperienza precedente (risposte istintive ed apprese). Con la maturazione del cervello umano si

ha la possibilità di portare questa conoscenza a livello cosciente (consapevolezza), ciò permette alla

madre di dare subito le risposte adeguate.

177

I. Acerbo – F. Arena, L’evoluzione dell’individuo e l’interazione con l’ambiente. Linee di psicologia sociale

applicata, cit., pp. 53 – 54.

178

“ L’amore che la madre porta al suo bambino, e la sua stretta identificazione con lui, gli fanno percepire i suoi

bisogni al punto che essa può offrirgli qualche cosa al momento e al luogo giusti.” C. Geets, Winnicott, Armando

Armando Editore, Roma 1983, pp. 58.

Page 108: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

107

L’attitudine AM nella sua espressione positiva permette alla madre di essere in ascolto del proprio

figlio.

Se la madre è ansiosa, l’AM si distorce ed ella, invece di ascoltare i segni che il figlio le manda,

cercherà di essere all’altezza della sua immagine di madre (ansia di non essere adeguata). Molti dei

suoi comportamenti rispecchieranno i modelli (immagine) di madre perfetta, copiando sua madre,

quello che ha letto in una rivista scientifica, quello che le dice la sua migliore amica o il contrario di

quello che dice la suocera.

L’informazione è veramente importante e fa parte dell’aspetto umano della trasmissione della

conoscenza, ma essa può essere destabilizzante se la madre ha un’immagine di sé non adeguata. In

questi casi il bambino può attivare dei meccanismi di difesa per essere lui a “prendersi cura” della

madre, oppure mette a tacere le sue esigenze (fame, posizioni scomode, ecc.) rifugiandosi nel sonno

o nell’apatia per non attivare l’ansia materna.

L’empatia è la capacità di entrare in relazione con l’altro senza perdersi. Se essa non è stata

distorta nella nostra infanzia, ci permette di attingere informazioni preziose in noi stessi e nell’altro.

I cervelli più antichi, quello razionale e il cervello consapevole lavorano in collaborazione, non vi è

censura.

Possiamo osservare simbolicamente questo processo attraverso le CM. L’attitudine AM aiuta a

centrarci contemporaneamente in noi stessi e ad accogliere l’altro. Mentre l’attitudine PM permette

successivamente di affrontare la situazione distaccandosi da essa per meglio analizzarla. Quando

incontriamo un paziente non dobbiamo identificarci troppo col suo problema (risonanza passiva)

perché rischieremmo di confermarlo ulteriormente (se anche noi siamo bloccati dallo stesso

problema non c’è soluzione). In questo caso il terapista è allo stesso livello del paziente. Occorre

entrare in lui (AM), poi analizzarle (PM). Ciò è possibile se utilizziamo AP-PA (l’asse, lo spazio,

prendere le distanze, il ritmo, il respiro) e AL-PL (la capacità di manipolare le immagini interne che

il “problema” suscita e di riordinarle in modo nuovo ed originale).

Al contrario un eccessivo PM (distacco) senza AM (affettivo), non permette al terapista, e quindi

al paziente, di accedere al materiale interno.

Il terapista non deve preoccuparsi se non riesce ad andare in AM, probabilmente questa per lui

rappresenta un’esperienza dolorosa nella sua storia personale ed è diventato eccessivamente

sensibile ai messaggi dell’altro (PM esasperata, attitudine di difesa). Adesso è in una situazione

privilegiata. Egli può permettersi di dare a se stesso e all’altro le attenzioni che avrebbe voluto in

modo più sereno (non sarà distrutto), e può finalmente sperimentare (se lo vuole) i suoi sentimenti e

non sentirsi minacciato da essi.

Quindi l’incontro con ‘l’altro’ può diventare un modo per capire: “gli altri soffrono e sono feriti da

cose che noi non conosciamo neppure. Noi ipotizziamo che un viso calmo denoti una calma nei

sentimenti ma…non è affatto detto che sia così!

…noi possiamo aver ferito qualcuno senza mai accorgercene. E questo tipo di scoperta…può

causare qualche tristezza, perché se non sappiamo e non possiamo dirlo, non c’è nulla che

possiamo fare per alleviare la pena causata all’altro.

Il processo di conoscenza di queste cose si è spinto ancora più lontano: in primo luogo è apparso a

qualcuno di noi che i sentimenti di turbamento nelle nostre relazioni con gli altri possono avere

qualche fondamento.

…esplorare questi sentimenti di pena può anche provocare alla fine la loro scomparsa!

Che cosa meravigliosa imparare! La paura di ciò che può essere, si può distruggere imparando ciò

che è.”179

179

Descrizione del vissuto di un partecipante ad un corso sulla dinamica di gruppo riferito da J. Luft, Psicologia e

comunicazione, ISEDI, 1975, p. 82. riportato in : I. Acerbo – F. Arena, L’evoluzione dell’individuo e l’interazione con

l’ambiente. Linee di psicologia sociale e di psicologia applicata, cit., pp. 55 – 56.

Page 109: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

108

CAPITOLO QUINTO

Approccio alla diagnosi ed alla terapia

Page 110: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

109

Riflessioni sulla diagnosi Quando arriva un paziente si mette in atto una serie di osservazioni cliniche che si apprendono

attraverso la formazione professionale e la personale esperienza professionale. In conformità a

questi dati clinici si effettua la diagnosi che permette al terapista di individuare l’approccio idoneo.

Questo processo è efficace poiché permette di sfruttare le passate esperienze e di agire secondo

modelli appresi, ma suscita un sottile problema: quando noi facciamo la diagnosi secondo questo

processo spesso sovrapponiamo un’immagine proveniente dal nostro passato professionale e

personale alla persona che è di fronte a noi. In questo modo corriamo il rischio di non operare sulla

persona che è unica nella sua ricchezza, ma attiviamo schemi prefissati, spesso riduttivi, cui la

persona si deve adattare.180

“Le richieste non verranno formulate in termini di linguaggio semantico, ma in termini di proposte

visive (vista del giocattolo) o acustiche (suono del mazzo di chiavi) caricato però di significati

cognitivi da tutto l’atteggiamento dell’esaminatore che con la tonalità della voce, la manipolazione

del bambino, l’atteggiamento globale della persona comunica la propria proposta percettiva. E’

chiaro che in questa prospettiva l’attenzione, il rispetto, lo stesso coinvolgimento emotivo/affettivo

dell’esaminatore non sono elementi superflui ed insignificanti o nel migliore dei casi poetici, ma

sono ‘condizio sine qua non’ per l’esecuzione di una corretta semeiotica neuro-evolutiva. Il

concetto della ‘best performance’ di Brazelton (1979) è in questo senso chiarificante. La ricerca

attiva da parte dell’esaminatore della migliore prestazione nella capacità di controllare i movimenti

geneticamente programmati per uno scopo funzionale. Per tale motivo la valutazione imperterrita di

bambini disperati ed urlanti, come spesso si osserva nel corso dell’esecuzione di esami cosiddetti

‘neurologici riflessologici’ è assolutamente priva di significato, oltre che poco rispettosa della

persona bambino e della persona genitore.” 181

Questo problema è importante nell’approccio biomedico in generale e nelle metodiche riabilitative

in particolare, infatti, come sostiene Ferrari: “Nella PCI non è accettabile l’equazione diagnosi

dunque terapia, ma è necessario valutare la capacità di apprendere del paziente che assieme ad altre

condizioni (percezione, intenzionalità, sviluppo cognitivo, sviluppo affettivo, ecc.) definisce la

prognosi funzionale. Mentre la diagnosi definisce il diritto ad un’assistenza qualificata alla quale

non possono restare estranee le competenze di medici e terapisti della riabilitazione, solo la

prognosi permette, infatti, di decidere la necessità, il significato ed il limite di un trattamento

fisioterapico.” 182

E’ importante, quindi, allargare gli orizzonti della diagnostica per favorire un

numero maggiore di parametri di osservazione, ciò permette quella variabilità e ricchezza che

meglio possono specificare patologie complesse come le PCI e le patologie neuro-psicomotorie in

generale.

Oltre al problema diagnostico, che è definito sulla base delle ‘conoscenze scientifiche contingenti’,

raramente si comprende l’importanza e l’incidenza del vissuto personale dell’operatore nel setting

terapeutico. È ragionevole pensare che una persona guida o aiuta il paziente filtrando tutto

attraverso i propri vissuti personali. Ciò malgrado sì da per scontato che un’adeguata preparazione

professionale corrisponda ad un’adeguata capacità di porgere la propria disponibilità umana. In

molti settori, purtroppo, non è sempre così.

Ho già descritto, infatti, i pericoli di una risonanza passiva del terapista, ma non dobbiamo

dimenticare che lo stesso fenomeno può accadere al paziente. In alcuni casi il paziente potrebbe

essere condizionato inconsapevolmente dai ‘blocchi’ personali e professionali dell’operatore. In passato, in nome di un’oggettività professionale esasperata, si è trascurata l’opportunità di

comprendere l’importanza della relazione terapeutica: la capacità di gestire il complesso rapporto

emotivo che s’instaura inevitabilmente tra terapeuta e se stesso e terapeuta e paziente. È sufficiente

180

“Definire un comportamento o un’interazione funzionale o disfunzionale è un’operazione che ha a che fare con le

categorie descrittive e con i pre-giudizi dell’osservatore.” G. Burbatti - I. Castoldi, Psicoterapia individuale sistemica,

cit., pp. 83. 181

M. Bottos, Paralisi cerebrale infantile. Diagnosi precoce e trattamento tempestivo, cit., p. 29-30. 182

A. Ferrari, Proposte riabilitative nelle paralisi cerebrali infantili, cit., p. 52.

Page 111: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

110

ricordare che “E’ impossibile evitare quel continuo coinvolgimento psicologico caratterizzato da

ambivalenze – sicurezza–insicurezza, certezza–incertezza, forza–debolezza – e della rimessa in

causa della propria persona, della percezione di sé e della propria esistenza. L’azione pedagogica (e

terapeutica) è un feed-back che agisce di ritorno provocando un’incessante trasformazione intima

che non lascia mai indifferenti. Ma quale e quanta coscienza si ha di tale processo?

Anche coloro che sembrano impassibili, che sostengono l’impersonalità e la neutralità della

relazione pedagogica (e terapeutica), sono coinvolti dagli atteggiamenti assunti; nascosti dentro la

loro armatura-di-ruolo, essi, oltre a trasmettere contenuti, offrono modelli comportamentali che

definiscono il contesto e che vengono appresi anche inconsapevolmente.”183

Ciò accade perché l’operatore sente dentro di sé la necessità di rispondere (che ne sia consapevole

o no) alle attese proprie e del paziente, alle paure difficili da rivelare, alle problematiche che si

vivono nell’ambiente, al desiderio o alla paura di migliorare che il paziente manifesta consciamente

o, ancora di più, inconsciamente attraverso il linguaggio tonico emotivo del corpo.

Anche l’aspetto strettamente professionale c’invita ad alcune riflessioni. I metodi neuroriabilitativi

per essere scientifici e riproducibili hanno dovuto strutturare rigide premesse neurologiche e metodi

d’osservazione che a loro volta condizionano l’approccio terapeutico. L’evoluzione degli studi nelle

neuroscienze, attraverso il perfezionarsi delle indagini strumentali e cliniche, ha portato delle svolte

decisive nel modo di osservare ed interpretare i segni e quindi l’evento patologico del bambino e

dell’adulto.184

Tutte le Scuole mirano a raggiungere lo stesso obiettivo: aiutare la persona, ma partono spesso da

punti di vista neurologici e metodologici differenti, spesso in antitesi tra loro, condizionando

l’approccio e la metodologia terapeutica.185

La dialettica tra le varie metodiche, arricchisce e cerca di superare i limiti e i problemi che si

rilevano nei vari approcci, ma tende anche ad irrigidire i singoli punti di vista (diagnostici e

terapeutici), al fine di garantire una coerenza interna alla metodica stessa.

Il terapista si trova di fronte ad una difficile situazione. Ogni metodo ha premesse ed approcci

differenti, ognuno si pone come efficace e statisticamente valido.

Come risolvere questo dilemma? Iperspecializzarsi in una metodica dà sicurezza ma anche la

sensazione di ‘restrizione’. Possiamo decidere di apprendere diversi metodi ed utilizzarli quando si

ritiene opportuno. Quest’ultima soluzione è definita ‘qualunquismo terapeutico’ da alcuni autori,

che vorrebbero un’adesione illimitata al loro approccio. Essa causa la sensazione di inadeguatezza

perché c’è mancanza di ‘dialogo’ e di ‘coerenza’ tra le metodiche.

Forse, però c’è una via d’uscita.

Un giorno il prof. Lerminiaux ci pose un quesito: “Siamo in un cantiere edile dove lavorano un

ingegnere ed un capomastro e viene costruito un muro. Chi deve dire se il muro è fatto bene?”. Le

nostre risposte spaziavano tra l’ingegnere e l’abilità del capomastro. Infine il professore sorridendo

ci disse: “Il muro”. La nostra sorpresa fu grande, ma liberatoria.

Penso sia facile riconoscere i personaggi della metafora che possiamo definire terapeutica:

l’ingegnere è l’autore ed ideatore di un metodo, il capomastro è il fisioterapista, ed infine il muro è

il paziente. 183

C. Romano, Corpo itinerario possibile. Una metodologia di formazione per gli insegnanti. Cit. p. 19. Il riferimento

alla terapia tra parentesi ed in corsivo è mio per sottolineare l’affinità di pensiero. 184

“La sperimentazione neurofisiologica iniziata nel secolo scorso e sviluppatasi anche recentemente, (da cui alcune

scuole riabilitative hanno mutuato per lungo tempo le proprie premesse teoriche, Bobath. 1964-1971), ha spesso usato

come metodologia di lavoro la sperimentazione su animali in cui venivano sezionati (isolati) i vari livelli del S.N.C. per

stabilire a quale livello venisse integrato un determinato ‘riflesso’ pretendendo poi di applicare i risultati di quelle

sperimentazioni non solo alla clinica di quell’animale ma addirittura a quella dell’uomo e del bambino dimenticando

non solo l’enorme diversità tra animali da esperimento e uomini e bambini, ma anche che il S.N.C. agisce in modo

unitario e pure un S.N.C. leso non ha nulla a che vedere con i preparati di laboratorio separati da tutto il resto.” M.

Bottos, Paralisi cerebrale infantile. Diagnosi precoce e trattamento tempestivo, cit., pp. 34. 185

“Le descrizioni sullo sviluppo del bambino manifestano delle incoerenze a causa della non neutralità dell’osservatore

per diversi interessi d’impostazione (griglie d’osservazione) in conformità a ciò che per loro è rilevante.” M. Pierro,

Osservazione clinica e riabilitazione precoce, cit., pp. 27.

Page 112: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

111

Il paziente, piccolo o grande che sia, è quello che deve dimostrare se ciò che si sta facendo va

bene o no. “E’ nei progressi che il bambino dimostra di saper essere protagonista attivo della

propria riabilitazione e non contenitore passivo di azioni che altri considerano terapeutiche. È nei

progressi compiuti dal bambino che gli altri misurano l’efficacia del nostro intervento terapeutico. Il

progresso, come capacità di trasferire ciò che il soggetto impara dal setting terapeutico al proprio

ambito di vita, rappresenta il fine ultimo della terapia e costituisce la differenza fra creare o ripetere,

fra inventare o copiare.[…] Anche nelle migliori condizioni, il cambiamento consentito dalla terapia

non potrà sovvertire la natura del difetto motorio ovvero la diagnosi, ma le capacità del paziente in

termini di abilità, competenza, autonomia, indipendenza, benessere.”186

Quanto detto è coerente con

uno dei presupposti della PNL: “Il significato della comunicazione è nella risposta ottenuta”.

Possiamo comprendere, però, che c’è ancora molto lavoro da fare in campo medico per soddisfare

queste premesse.

“La scelta degli aspetti e dei criteri che consideriamo importanti per classificare in una forma

clinica la situazione del paziente resta comunque un atto arbitrario dell’esaminatore. Meglio sarebbe

poter giudicare dell’importanza di un segno o di un sintomo basandoci sull’errore computazionale

compiuto dal soggetto nell’organizzare la postura ed il gesto od altre funzioni (coerenza della

paralisi), cioè sul problema visto dalla sua parte piuttosto che dalla nostra. Per il sistema nervoso

(SN) del bambino la paralisi non è un difetto di organi apparati o strutture, ma il diverso assetto di

funzionamento (errore computazionale), la diversa modalità di azione ed organizzazione (coerenza)

di un sistema che continua a cercare nuove soluzioni all’esigenza interna di divenire adatto ed al bi-

sogno esterno di adattare a se il mondo che lo circonda.”187

Ritornando all’introduzione del nostro discorso, la diagnosi non deve essere un limite, in altre

parole non deve limitarsi a sovrapporre un’immagine al paziente. In questo caso rischiamo di

lavorare su un’immagine astratta, che raramente corrisponde alla realtà del paziente. Perdiamo la

possibilità di agire sulle cause spesso molto complesse che hanno determinato l’evento patologico o

che contribuiscono al ‘blocco’.188

Per fare una diagnosi, quindi, non si deve osservare un solo organo, un movimento o un riflesso,

per es. l’arto superiore, il linguaggio o la vista, ma tutta la persona, il contesto cui reagisce ed il

modo di reagire. Allora capiremo che anche gli altri organi ed il comportamento globale ci danno

informazioni coerenti sul modo di essere della persona e sul modo di funzionare del suo SNC

(CM).189

Osserviamo, per esempio, il comportamento di un bambino autistico che simula la sordità e/o la

cecità, in realtà indica un modo specifico di utilizzare il suo SNC.

Spesso ho avuto in trattamento bambini cui è stato diagnosticato in modo riduttivo la sordità, in

effetti, essi avevano problemi relazionali. Questi stessi bambini, attraverso un adeguato approccio

terapeutico, hanno dimostrato di rispondere agli stimoli uditivi, ma in condizioni normali

manifestano indifferenza agli stessi richiami sonori. La stessa cosa accade nell’osservazione del

bambino con problemi neurologici. “L’accentuazione o riduzione dell’influenza di un movimento

geneticamente programmato (riflesso) mi darà indicazioni relative alla presenza di un danno, ma

186

A. Ferrari, Proposte riabilitative nelle paralisi cerebrali infantili, cit., pp. 53 – 54. 187

Ibidem, p.46. 188

Vedi capitolo precedente in “I sintomi e la ristrutturazione”. 189

“La società contemporanea si caratterizza storicamente per aver portato all’estrema conseguenza la parcellizzazione

operata nell’ambito del sapere umano. La necessità, dettata dalla stessa metodologia scientifica di stampo galileiano, di

separare e ridurre le variabili di un fenomeno, per una loro migliore e più completa osservazione, ha avuto effetti

stravolgenti. Qualunque disciplina ha subito, al suo interno, sezionamenti e spezzettamenti che hanno permesso la

descrizione dettagliata e puntuale di aspetti prima sconosciuti.[…]. È così che, ad esempio, la professione-medico è

parcellizzata in decine di settori ognuno corrispondente ad una parte anatomica, ad un organo o sott’organo, del corpo.

Un processo di approfondimento che ha condotto allo studio del dettaglio, del particolare, finendo però con il rendere

irreversibile l’itinerario inverso; si è persa la capacità di ritornare all’insieme da cui si era partiti per comprenderlo.”

C. Romano, Corpo itinerario possibile. Una metodologia di formazione per gli insegnanti. cit., p. 33.

Page 113: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

112

solo la ‘capacità di uscire dalla dominanza’ cioè le ‘competenze emergenti’ mi daranno la reale

dimensione prognostica.” 190

Questi esempi fanno comprendere l’importanza dell’approccio e, quindi, dell’ambiente quale

elemento che può incidere notevolmente sulla valutazione, esasperazione o possibilità di vivere e

gestire serenamente il ‘sintomo’.191

Ma vi sono altre considerazioni, di tipo neurologico ed ontogenetico, che fanno comprendere

l’interrelazione dei fenomeni fisici e fisiologici dell’organismo e quindi dell’unitarietà delle sue

manifestazioni.

Ogni organo quando arriva alla maturità permette un comportamento meno rigido, variabile, e

questo è un momento delicato nella storia personale poiché tale organo è più sensibile agli stimoli

esterni. Ogni organo ha un proprio programma, si costituisce, probabilmente, un super-

programma (il Sistema Nervoso Centrale) che contiene i programmi dei singoli organi per

farli lavorare in cooperazione (Lerminiaux). Su questi presupposti si costruisce la Teoria degli

Organizzatori e la scaletta delle Emergenze.

La diagnosi corretta fatta da operatori diversi (fisioterapista, psicomotricista, psicologo,

medico) deve portare alla focalizzazione del comportamento e al riconoscimento del

programma cerebrale, vale a dire all’immagine interna che condiziona il funzionamento di

quella persona specifica. Immagine che il paziente si è costruita attraverso l’esperienza motoria

nell’incontro tra le sue possibilità e l’ambiente. “Mentalmente il terapista deve, innanzi tutto,

avere chiaro in mente tutto ciò che riguarda il problema del paziente, cioè avere osservato ed

essere pronto ad osservare il modo particolare di essere al mondo del paziente. Si tratta di

riconoscere il suo modo di vivere, di funzionare, il programma mentale o cerebrale di cui

dispone, lo strumento neuro-corporale costruito attraverso l’esperienza passata e

l’educazione.”192

La vera diagnosi ed approccio terapeutico si ottengono quando tutti gli operatori riescono a

comprendere il problema fondamentale del paziente pur partendo da punti di vista differenti, poiché

egli è uno, ed uno è il suo modo di funzionare (di essere).

La visione frammentata del paziente o la diagnosi classica (etichetta) dice ben poco su ciò che

determina il vissuto del paziente, che spesso è la vera fonte del comportamento patologico o se non

altro della sua fissazione.

La diagnosi è precisare il modo individuale di comportamento.

Quando i vari operatori hanno una ‘diagnosi’ corretta è più semplice raggiungere l’obiettivo

terapeutico: per mezzo degli strumenti terapeutici acquisiti ed operando una sottile opera di

‘ristrutturazione’ gli operatori lavoreranno sul programma cerebrale del paziente, quindi in

modo coerente con il suo vissuto. Il terapista saprà scegliere la manovra, tecnica o metodo più

adatto al livello che presenta il paziente o saprà adeguarlo ad esso.

Quanto detto non deve lo stesso fare dimenticare che: “La ‘certezza’ della condizione di

partenza (la natura e la misura della lesione) non basta a definire con precisione i risultati che

potranno essere raggiunti, anche includendo tutte le possibilità offerte dalla terapia e tutti i

percorsi facilitanti che potrebbero essere opportunamente attivati. Non si possono infatti

desumere dalla sola analisi delle strutture le possibilità raggiungibili dalle funzioni (tutta la

patologia psichiatrica fornisce in questo senso suggestivi esempi). La prognosi conserva

190

.” M. Bottos, Paralisi cerebrale infantile. Diagnosi precoce e trattamento tempestivo, cit., p. 34. 191

“La nostra proposta semeiologica non separa mai gli elementi neuromotori da quelli cognitivi o affettivo-relazionali

dell’atto motorio intesi in una prospettiva unitaria e finalizzata alle realizzazioni funzionali del bambino”. M. Bottos,

Paralisi cerebrale infantile. Diagnosi precoce e trattamento tempestivo, cit., pp. 29.

“Noi quindi osserviamo e valutiamo non solo un’alterazione primaria, ma anche un tentativo di adattarsi, stante questa

patologia primaria, alle richieste dell’ambiente. Da qui deriva la necessità di utilizzare diversi tipi di gestalt; andrà

infatti valutato lo sviluppo in relazione ai tentativi di organizzazione funzionale che il bambino mette in atto in diverse

fasi di maturazione in diversi contesti. Questo è il concetto di ‘sviluppo della paralisi’ proposto da Ferrari.” A. Ferrari –

G. Cioni, Paralisi cerebrali infantili. Storia naturale e orientamenti riabilitativi,cit., p. 220 - 221. 192

J.Lerminiaux, Guida al dialogo non verbale nella seduta terapeutica, in “Solidarietà”, (1996), n. 25, pp. 65.

Page 114: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

113

dunque un ineliminabile contenuto di individualità e di incertezza. Soltanto una prognosi

dichiarata consente tuttavia di valutare l’utilità e la pertinenza dell’intervento riabilitativo

(Papini, 92).”193

Ciò è importante per comprendere l’unicità di un percorso terapeutico e per evitare

accanimenti terapeutici suscitati da modelli rigidi quanto immaginari.

Approccio alla patologia

La patologia conseguente a lesione o disfunzione neurologica, determina fondamentalmente

l’instaurarsi di pochi e primitivi movimenti che impediscono al bambino la ricchezza di nuove

esperienze.

Il terapista, attraverso un appropriato uso delle tecniche neuromotorie, mette in opera un lavoro di

educazione nel corpo del bambino. Questo “impara” ad usare e a controllare le reazioni toniche

esagerate e i movimenti patologici. Sono questi che si attivano spontaneamente quando il bambino

si muove per raggiungere i suoi obiettivi. Molto spesso, infatti, nell’ansia di fare, egli perde ancora

di più il controllo del movimento. Il bambino apprende da sé la spasticità e il movimento

patologico. Egli si muove all’interno della costrizione del movimento alterato dalla lesione

neurologica e lo fissa con l’esercizio spontaneo (apprendimento cognitivo). “Per poter compiere

un movimento corretto bisogna, infatti, poter disporre di una corretta informazione percettiva e

viceversa per poter raccogliere una corretta informazione percettiva bisogna saper realizzare un

movimento corretto. Nella paralisi cerebrale infantile entrambe questi postulati risultano impossibili

ed a livello prognostico condizionano le possibilità di recupero del paziente.”194

Il bambino apprende a muoversi con la patologia e attraverso essa. Egli conosce solamente

quelle sensazioni e movimenti. Ogni tentativo di superare le sue difficoltà esaspera il

movimento ed il tono muscolare alterato a causa della lesione cerebrale. Tutto ciò impedisce

un adeguato controllo e armonia nei movimenti.

Ricordiamo, infatti, che mentre per il bambino normale la forza gravitazionale e gli stimoli

sensoriali agiscono in senso epigenetico, cioè attivano le potenzialità insite geneticamente nel

bambino (specie specifiche), nel bambino con paralisi cerebrale infantile la forza gravitazionale e

l’incapacità nel gestire gli stimoli proprio ed esterocettivi costituiscono molto spesso gli ‘scogli

insormontabili’ che non può affrontare in quanto il programma ‘originario’ è profondamente

modificato dall’evento lesionale o disfunzionale. Il bambino si trova quindi a combattere ciò che in

altre condizioni avrebbe dovuto aiutarlo. È sufficiente questa considerazione per comprendere la

difficile dimensione quotidiana che il piccolo è costretto a vivere (e la facilità di ‘aggancio’

psicologico di tecniche e metodi che promettono ciò che non è possibile: la normalità). Il bambino

quindi può, se non è messo nelle condizioni adatte, “imparare anche il non uso o il maluso,

l’inattenzione o la negligenza, la sostituzione funzionale o il compenso, la delega o la rinuncia. Si

impara a diventare ma anche a non fare, a non dare, a non essere, poiché non si può imparare ad

avere coraggio o a dimenticare la propria paura.”195

Il terapista che sa modulare facilitazioni e mezzi permette al bambino con difficoltà di ampliare la

dimensione ludica, sociale e in senso generale esperienziale realizzando così ‘la riabilitazione’. In

pratica rende capace il bambino di gestire e gestirsi in una dimensione a lui più appropriata.

Il bambino deve essere aiutato ad attivare la ricerca del movimento quale espressione di sé, dei

bisogni, del piacere e degli scopi, in questo modo egli è sostenuto nel vivere e gestire dimensioni

193

A. Ferrari, Proposte riabilitative nelle paralisi cerebrali infantili, cit., p.137. 194

Ibidem,p.55. 195

Ibidem,p.52.

Page 115: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

114

che sarebbero rimaste oltre i suoi ‘accessibili confini’ in una situazione comprensiva delle sue

difficoltà ma anche delle sue potenzialità.

Quando ciò non accade il vissuto fisico e i fattori emozionali che s’innestano, determinano la

patologia secondaria che aiuta e fissa quella primaria (neurologica) impedendo al bambino di

vivere nel suo corpo dimensioni diverse.

Vi sono altri fattori che contribuiscono al blocco nella patologia. Spesso il bambino spastico vive

paradossalmente il suo movimento e tono muscolare ‘alto’ assimilandolo ad un sostegno, esso gli da

sensazione di stabilità (si sostituisce all’Asse). Il bambino ha paura di abbandonare la spasticità per

timore che il suo corpo crolli.

Il bambino discinetico invece, s’allerta per rispondere agli stimoli ambientali attraverso i

movimenti incontrollati. Egli sembra misurarli come un barometro (entra in risonanza con essi). Gli

stimoli sensoriali improvvisi sono vissuti come potenzialmente pericolosi perché il bambino sa di

non poterli gestire: l’attivazione di movimenti incontrollati ha l’aspetto di una manovra emotiva di

difesa per allontanare il pericolo, quindi lo protegge.

Il bambino atassico fissa e riduce il movimento per non affrontare il problema dello spazio e

dell’equilibrio. Questo diviene il suo modo predominante di vivere tutte le situazioni e le

esperienze. Ecc.

In ogni patologia il bambino è costretto a sviluppare strategie che si basano sulla patologia

stessa, ricalcandola oppure opponendosi ad essa. In questo modo egli vive nel suo corpo solo

sensazioni in funzione della patologia e su di questa costruisce la sua immagine. Ciò accade

soprattutto nelle nostre società civilizzate, dove siamo allevati a credere nello sforzo, nel sacrificio e

nella competizione (anche verso se stessi). È difficile sradicare la mentalità secondo cui è

necessario fare il massimo quando ci si trova di fronte ad una difficoltà. In genere si è convinti che

più sforzo e più forza si applicano meglio si riesce ad eseguire un compito. Purtroppo nel bambino e

nell’adulto con problemi neurologici quest’atteggiamento origina l’esasperazione degli schemi

patologici, a causa della lesione del SNC o della disfunzione che impedisce un adeguato ed

armonico controllo del movimento. Questa situazione determina frustrazione e un’immagine

negativa di sé. Il bambino di fatto è sempre più convinto di non poter uscire dalla sua

incapacità e dal blocco.

La difficoltà di avere un quadro esauriente dei bambini con PCI nasce, quindi, dal sommarsi

di più fattori che si rafforzano e confermano a vicenda. Contrariamente ad un’ottica

semplicistica che riferisce il problema motorio alla paralisi in quanto tale, il quadro risulta

decisamente più complesso: l’impedimento motorio presente nel bambino con PCI è da attribuire al

fattore neurologico, alle mancate o distorte esperienze sensomotorie, a problemi percettivi, cognitivi

o motivazionali? Probabilmente, come sostengono le più recenti ricerche, tutti questi elementi

contribuiscono al suo determinarsi e fissarsi nel tempo.

Per personale esperienza, confermata da molti colleghi, se il bambino non modifica l’immagine di

sé la terapia riabilitativa o chirurgica è fortemente ostacolata in modo non consapevole dal bambino

stesso (e dall’ansia dell’ambiente). Ho visto spesso bambini, sui quali sono stati eseguiti interventi

brillanti di chirurgia ortopedica, ritrovarsi dopo alcuni mesi esattamente come prima, e lunghi ed

estenuanti trattamenti riabilitativi sono inconcludenti per lo stesso motivo.196

196

“Alcuni cambiamenti imposti dalla chirurgia ortopedica possono risultare troppo impegnativi per il paziente per cui

anziché ridurre le deformità finiscono per ridurre la funzione. Basta pensare alla spasticità di certi diplegici con

componenti dispercettive, adottata dal paziente per costruirsi una seconda pelle, che se aggredita eccessivamente o

troppo precocemente finisce per privare il paziente delle soluzioni adattive che era riuscito a creare e per riproporgli

irrisolto il problema iniziale. Analogamente la spasticità di certi pazienti con reazione di sostegno esauribile

(ipoposturali) rappresenta la miglior soluzione adattiva che quel sistema nervoso può mettere in atto di fronte al

problema della forza di gravità. Se aggrediti eccessivamente o troppo precocemente con i farmaci o con la chirurgia,

questi soggetti finiscono per perdere la competenza al carico. Solo un trattamento combinato chirurgico fisioterapico

ortesico ed una opportuna pianificazione degli interventi (prima l’anca, dopo il ginocchio, il più tardi possibile il piede,

che rappresenta la chiave di volta dell’intera reazione di sostegno, contrariamente a quanto sostenuto dalla chirurgia

multipla simultanea) rappresenta in questi casi l’unica strategia possibile, comunque non priva di rischi poiché si tratta

Page 116: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

115

Il bambino crede che nel suo corpo possano esistere solo le sensazioni che conosce dalla

nascita, esse gli danno sicurezza (reale o apparente) perché non sa viverne o richiamarne

altre. Tutti i tentativi di modificare se stesso, senza un aiuto adeguato, hanno solo esasperato

la sua difficoltà (apprendimento emozionale). Per questo motivo egli fissa e ricostruisce

l’immagine di sé.

Studi di neurofisiologia riportati dal prof. Perfetti, manovre di facilitazione del metodo Bobath ed

approcci al corpo qual è il metodo Feldenkrais permettono di richiamare nel corpo movimenti e uno

stato tonico muscolare che non attivi la patologia. C’è però una fondamentale differenza tra

l’utilizzo delle metodiche riabilitative in modo tecnico, anche se perfetto dal punto di vista

professionale, e l’approccio guidato attraverso l’aptonomia e il prolungamento. Nel primo caso il

terapista applica la tecnica per contrastare la patologia, egli entra in conflitto con l’immagine che il

paziente ha di sé, con ciò che egli difende (inconsciamente). Nel secondo caso il terapista ‘sente’ le

variazioni toniche profonde del paziente (aptonomia) e si fa guidare da queste per indurre i

cambiamenti tonici possibili, ma soprattutto, egli aiuta il paziente ad entrare in ascolto del suo corpo

senza l’ansia di dover fare.197

Le metodiche lavorano sul versante motorio o così detto neuromotorio del paziente, ognuna di esse

ha uno specifico approccio fisiologico e saltuariamente sull’analisi percettiva (spesso sottesa nel

bambino con paralisi cerebrale infantile),198

ma raramente si tengono in considerazione

l’immagine, le credenze, il modello di mondo del paziente e quanto questi possano influire sulla sua

possibilità di gestire se stesso e l’ambiente creando facilitazione o blocco (paralisi intenzionale – A.

Ferrari).

Perché il cambiamento nel paziente neurologico sia efficace e reale si devono considerare tutti

questi aspetti ed il terapista può imparare a gestirli.199

Il terapista, attraverso la calibrazione e la risonanza consapevole (aptonomia), rileva le variazioni

che sta vivendo il paziente e può permettergli di prenderne coscienza. I movimenti devono essere

eseguiti dal paziente lentamente e, quando è necessario, il terapista li facilita attraverso l’uso dei

metodi riabilitativi per evitare fenomeni d’irradiazione e, soprattutto, per aiutarlo ad entrare in

ascolto del suo corpo. Con un’attitudine d’attenzione è possibile che il paziente arrivi a vivere e

‘sentire’ stati tonici diversi nel suo corpo. Questo è l’inizio di un’immagine più ricca di sé.

Solo quando il paziente ha vissuto nuovi modi di ‘sentire e d’essere’ nel suo corpo e li desidera

vivere può iniziare la vera attività terapeutica, solo allora egli chiederà implicitamente o

esplicitamente l’aiuto del terapista, e questo deve essere pronto a cogliere questi cambiamenti e

sostenerli.

di passare da una deformità meno favorevole ad una più favorevole.

La chirurgia ortopedica funzionale costituisce un’evoluzione concettuale rispetto alla chirurgia multipla simultanea (che

a sua volta rappresentava un progresso rispetto alla chirurgia segmentaria) perché tiene conto per ciascuna stazione di

movimento non solo del tipo di deformità ma anche del tipo di organizzazione messa in atto da ciascun paziente per

quella definita attività o funzione.[…]. Si tratta in sostanza di ripensare alla chirurgia ortopedica in relazione a ciascuna

forma clinica, alla sua evoluzione probabile (storia naturale) ed ai cambiamenti possibili (modificabilità e libertà di

scelta), alla competenza organizzativa raggiunta dal bambino (cosa potrebbe imparare in alternativa alla soluzione

realizzata) ed alla stabilità dell’errore commesso, come del resto già avviene per il setting e per l’esercizio terapeutico.”

A. Ferrari,Proposte riabilitative nelle paralisi cerebrali infantili,cit, pp.158 - 159. 197

“Questa filosofia diverrà il punto centrale in tutta l’opera di Feldenkrais che riguarda l’educazione somatica: ‘Non

andare mai contro i meccanismi di resistenza di un altro essere umano, ma piuttosto lavora positivamente con essi per

aiutare la persona a migliorarsi.’” A. Degehet, Il metodo Feldenkrais, cit., pp. 11. 198

“Se la paralisi è la perdita di un certo numero di pezzi che non consente di costruire determinate prestazioni, la

disprassia è la perdita di un certo numero di istruzioni (pianificazione) che non permette di combinare in un certo modo

(sequenze e strategie) i movimenti comunque disponibili, a fronte di un risultato idealmente previsto:” A. Ferrari,

Proposte riabilitative nelle paralisi cerebrali infantili,cit, p. 51. 199

Cambiare qualcosa a livello inferiore (movimento, posizionamento) può, ma non necessariamente, cambiare ciò che

è ad un livello superiore, tuttavia, cambiare qualcosa a livello superiore (credenze, identità), cambierà necessariamente

le cose ad un livello più basso (comportamento, movimento) allo scopo di sostenere il cambiamento del livello più alto.

Vedi scaletta delle emergenze nel capitolo terzo.

Il concetto sopra esposto si basa su : “I livelli logici di G. Bateson” studiati in PNL.

Page 117: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

116

Il paziente chiede aiuto se si sente sostenuto in modo adeguato: il terapista lo mette in condizione

di sperimentare soluzioni realizzabili e rispettose dei suoi bisogni. Questi presupposti sono

importanti perché il paziente possa avventurarsi fiducioso nel difficile cammino che è stato distorto

involontariamente all’origine.

********************

Può accadere di dover prendere in trattamento un bambino particolarmente grave. In questi casi la

fisioterapia tradizionale prevede dolorosi e ripetuti stiramenti muscolari per evitare deformità. La

semplice riflessione sui meccanismi di difesa del muscolo a livello periferico e del sistema nervoso

centrale, dovrebbe far desistere da tentativi troppo cruenti in tal senso. Per personale esperienza, in

molti casi si può aiutare il bambino ad eseguire i movimenti molto lentamente adattandosi

all’allungamento del muscolo in modo tale da non sollecitare la spasticità e le reazioni di difesa

dello stesso. Questi movimenti, guidati dal terapista attraverso la calibrazione (attenta osservazione

alle variazioni toniche), favoriscono nel bambino una nuova percezione del tono muscolare durante

il movimento e a riposo. Il bambino può vivere una nuova “sensazione” nel proprio corpo arrivando

a scoprire nuove potenzialità.200

Alcune volte queste sensazioni durano solo frazioni di secondo, ma

permettono al bambino di liberarsi dalla costrizione della spasticità o della patologia (che è la sola

percezione che ha di se stesso). “Più grave è la lesione più il terapista deve saper cercare nella

propria natura oltre che nella propria cultura la chiave per potersi sintonizzare e quindi dialogare

con il bambino.

Non è forse il repertorio delle nozioni specifiche, ma la capacità di agire su se stessi fino a rendersi

adatti ad incontrare il bambino, a distinguere la riabilitazione dei terapisti da qualunque altra

proposta (vedi ippoterapia) ed a meritare il titolo di terapisti della riabilitazione. Possiamo capire

perché A. Milani Comparetti volesse prescrivere il terapista come terapia e non la terapia del

terapista.”201

Se il bambino è piccolo il terapista può guidarlo attraverso il proprio corpo (attraverso la risonanza

consapevole): egli crea un’immagine coerente con il livello di sviluppo del bambino, ed il suo

corpo, spontaneamente, invia per risonanza i cambiamenti nel corpo del piccolo. Il terapista che ha

un’immagine ben precisa del vissuto e delle difficoltà del bambino (livello-CM) adatterà in modo

automatico la tecnica al bisogno del bambino (lavoro armonico tra i tre cervelli). “Nel trattamento

dei bambini piccoli o molto gravi il primo luogo di incontro tra terapista e bambino non può che

essere il corpo stesso del bambino, che viene contenuto, toccato, accarezzato, mosso dolcemente e

ricomposto, dondolato ed aiutato a riallinearsi, che il bambino, scopre, esplora, attiva, modifica,

adatta, facendone secondo Polletta il primo vero oggetto transizionale, cioè l’oggetto investito di

piacere che egli tiene con se, la struttura portante della sua autostima. Il corpo del terapista deve

allora saper essere altalena, dondolo, scivolo, giostra, cuscino, ostacolo e protezione, barriera e

supporto, elemento di perturbazione e bastione di difesa, spazio di adattamenti posturali e

trampolino per spostamenti anche modesti. Col tono della voce il terapista potrà annunciare e

guidare, rinforzare e consolare, ammonire e ringraziare il bambino per le sue prestazioni motorie,

catturandone l’attenzione al movimento ed al piacere che ne può ricavare. Al ritmo del movimento

prodotto e restituito resta affidata la continuità del dialogo tonico fra terapista e bambino.” 202

200

“ Quando un allievo è bloccato o resiste inconsciamente all’effettuare certi movimenti, Feldenkrais non lo forza mai

a superare coscientemente la sua resistenza inconscia, accompagna invece l’allievo nel suo schema persistente,

muovendo il corpo seguendo lo stesso schema di resistenza abituale. Arrivato al punto programmato di resistenza

acquisita, l’allievo scopre di essere libero di controllare lo schema di contrazione muscolare programmato in

precedenza. Feldenkrais sa molto bene che questo rilassamento muscolare non è un avvenimento localizzato nelle fibre

muscolari, ma a un livello superiore, nel sistema nervoso centrale. Il programma di resistenza muscolare è una risposta

acquisita che potrebbe essere rapidamente dimenticata. Feldenkrais utilizza la sua forza muscolare piuttosto che quella

dell’allievo per eseguire il movimento. L’allievo diventa cosciente e spettatore del suo movimento.” A. Degehet, Il

metodo Feldenkrais, cit., pp. 25 – 26. 201

A. Ferrari, Proposte riabilitative nelle paralisi cerebrali infantili,cit., pp. 89 – 90. 202

Ibidem, p. 123.

Page 118: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

117

Il terapista diventa un feed back vivente che aiuta il paziente a modulare i suoi stati tonici e, se

possibile, avvicinarli a quelli normali o comunque alle sue reali potenzialità. Il bambino che riesce a

vivere queste esperienze può arrivare a verbalizzare la spasticità, egli la paragona spesso alla

sensazione di sentirsi “legato” e “prigioniero in un tubo elastico”.

Quando il corpo del bambino può vivere stati tonici differenti nel suo corpo non li dimentica, e

destruttura il programma patologico bloccante. Egli può acquistare più fiducia in se stesso e nasce

una nuova immagine del suo corpo più ampia e ricca di possibilità motorie e relazionali.203

E’ importante iniziare precocemente il trattamento per evitare che la patologia si fissi nel corpo

e nell’immagine del bambino e della sua famiglia in modo bloccante. Occorre spiegare a

quest’ultima l’importanza di non sollecitare troppo il bambino, ed insegnare l’approccio

corporeo che permetta di facilitare il movimento ed evita il tono muscolare esasperato.

L’intervento precoce, infatti, può prevenire il tono patologico secondario conseguente all’ansia

dell’ambiente (se il terapista sa contenere la situazione terapeutica). Infatti come sostiene

giustamente M. Pierro: “L’addestramento così concepito dovrà iniziare prima possibile per

orientare l’evoluzione dell’ecosistema prima che si configurino dei percorsi evolutivi nefasti

verso la negazione della realtà dei limiti imposti dalla patologia, e, conseguentemente, il mancato

utilizzo delle possibilità residue in soluzioni alternative.”204

Terapia

Il modo di rapportarsi con il paziente incide sul suo vissuto. Esso, quindi, è terapia così come

l’attività fisica proposta.

“Nella capacità di interagire sta la differenza fra essere terapisti e fare terapia.

Interazione è la capacità di cercare e trovare affinità e sintonia, alleanza e sostegno, comprensione

ed empatia, apertura e conforto, dialogo e propositività; è la capacità di coinvolgere il bambino

nella propria proposta terapeutica per indurlo a modificarsi. L’interazione è uno spazio interiore in

cui accogliere, contenere, sostenere e restituire i reciproci sentimenti positivi. Essa è resa possibile

dalla capacità di ascolto e dalla disponibilità del terapista a modificare se stesso per potersi

comprendere con il bambino (sia nel senso di capirsi che in quello di prendersi insieme). Gli

esercizi (fare la terapia) si possono copiare e riprodurre, l’interazione è invece unica ed irripetibile,

perché non può prescindere dall’identità delle parti coinvolte. Senza interazione non si può parlare

di riabilitazione; possiamo accogliere un’interazione senza esercizi (come in campo

psicoterapeutico) quando si gioca con il corpo, ma non esercizi senza interazione, (come in terapia

fisica) che potrebbero essere in grado di modificare un organo od un apparato, mai un individuo.

L’esercizio disgiunto dalla relazione terapeutica rischia di rimanere fine a se stesso, in quanto non

serve ad interpretare i reali bisogni del bambino, le sue paure, le sue profonde mortificazioni e

delusioni.[…]. Poter unire l’interazione con l’esercizio è l’ideale obiettivo dell’atto terapeutico

(Scavo).”205

“Ritengo che qualsiasi forma di intervento rieducativo sia fondamentalmente indiretta, in quanto di

fatto agisce nel tempo sulle interazioni esistenti entro un ecosistema (al quale il bambino

appartiene) entrandone a far parte (nel bene e nel male).

L’intervento rieducativo può risultare (a posteriori) «riabilitante» solo nella misura in cui riesce a 203

“In questo modo l’attenzione viene spostata dal danno attuale alle potenzialità residue[…] al di là della presenza di

un danno e della sua diffusione, il bambino ha (o meno) un potenziale residuo sufficiente per superarlo in termini di

funzione?” M. Bottos, Paralisi cerebrale infantile. Diagnosi precoce e trattamento tempestivo, cit., pp. 31. 204

Marcello M. Pierro in A. Ferrari – G. Cioni, Paralisi cerebrali infantili. Storia naturale e orientamenti riabilitativi,

cit., p. 237. 205

A. Ferrari, Proposte riabilitative nelle paralisi cerebrali infantili,cit., pp. 88 – 89.

Page 119: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

118

vincolare l’evoluzione storica delle abitudini interattive quotidiane, orientandole su un percorso più

favorevole all’incremento di autonomia, di autoorganizzazione e di evoluzione delle funzioni del

bambino.

In tal senso è opportuno non confondere la definizione di rieducazione con quella di

riabilitazione: non è più possibile oggi ridurre la complessità dell’intervento all’efficacia della

tecnica rieducativa utilizzata e del suo repertorio, più o meno ampio, di manovre ed esercizi.

Il «modo di» interagire del riabilitatore con il «modo di» interagire del bambino cerebroleso (con

il riabilitatore stesso, con i suoi caregivers) e dei suoi caregivers, costituisce ancor oggi una

variabile scarsamente esplorata e comunque non valutata nella definizione del successo/insuccesso

dell’intervento.”206

Proporre l’esercizio seguendo il modello di mondo del paziente rende un movimento rilevante e

importante per la persona. Possiamo proporre ad un bambino diplegico (spasticità agli arti inferiori)

un gioco in cui impara a sentire degli oggetti di diversa consistenza e materiale sotto i piedi, per

vedere chi ne indovina di più. Per fare questo il bambino deve poggiare bene i piedi a terra cercando

di superare la tendenza a stare sulle punte dei piedi. Un altro gioco che faccio con i bambini

emiplegici (spasticità in un lato del corpo), è quello di realizzare un disegno nel palmo delle mani,

ed il bambino per guardarli deve supinarle (portare i palmi in su). Sono esempi di rispetto del

modello di mondo di un bambino e delle sue attese.207

Qualche volta il bambino rifiuta anche questi approcci se l’ansia di ‘sbagliare’ o di manifestare la

‘difficoltà’ lo blocca. In questi casi il vissuto emotivo ha già aperto una grossa ferita nell’immagine

che il piccolo ha di sé. E’ necessaria molta pazienza con questi piccoli. Il terapista deve

gradualmente ristrutturare l’immagine fisica ed emotiva del bambino.

“Si può concludere che l’approccio relazionale rispetto al bambino consiste prima di tutto nel

garantirgli la possibilità di entrare in relazione con il proprio mondo interiore, e quindi anche con la

sofferenza e i vissuti depressivi legati alla condizione di malattia. Inoltre liberare le parti malate

dalla funzione di equivalente simbolico di oggetti danneggiati, può restituire dinamicità ai processi

mentali e consentire l’accesso a livelli di simbolizzazione sempre più evoluti.” 208

Per questi motivi

può occorrere un certo periodo prima di iniziare il trattamento vero e proprio. In caso contrario, se

non si rispettano queste dinamiche del mondo interiore del bambino, il terapista rischia di entrare in

risonanza con il bambino ed esercita le stesse pressioni che l’ambiente esercita sul piccolo (rischio

d’accanimento terapeutico).

In genere i bambini accettano di essere aiutati nell’esecuzione dei movimenti attraverso il gioco. In

questo modo si crea una deconnessione: il bambino per il piacere di giocare diminuisce le sue

resistenze ed accetta le facilitazioni di movimento. Egli lavora senza accorgersene e si evitano, per

quanto possibile, le imposizioni: “Metti bene i piedi.” “Cammina in posizione corretta e diritta.”

“Usa bene la mano. Ecc.”

Queste affermazioni che sembrano così ovvie e normali, tra l’altro, nascondono un grave tranello:

un bambino con problemi neurologici dalla nascita conosce solamente il movimento possibile

all’interno della patologia, il suo schema corporeo è condizionato da questa. Affermazioni come

quelle descritte sopra non possono richiamare in lui la nostra immagine, ma quella che ha vissuto e

206

Marcello M. Pierro in A. Ferrari – G. Cioni, Paralisi cerebrali infantili. Storia naturale e orientamenti riabilitativi,

cit., p. 230. 207

“Non ci concentreremo su alcune manovre tendenti ad evocare dei riflessi o sulla palpazione dei muscoli per valutare

il tono muscolare, ma neppure ci limiteremo ad osservare l’influenza di un ‘pattern motorio’ sulla motricità del bambino

ma vedremo i singoli movimenti geneticamente programmati come organizzatori di funzione motoria cognitiva e

affettivo-relazionale e d’altra parte proporremo al bambino compiti percettivi (seguire con lo sguardo, ecc.) in un

contesto per lui significativo e mediante un codice per lui intelligibile al fine di valutare la capacità del bambino di

superare i ‘patterns motori’ (m.g.p.) per scopi funzionali e di conoscenza.” M. Bottos, Paralisi cerebrale infantile.

Diagnosi precoce e trattamento tempestivo, cit., p. 29. 208

S. Maestro, Aspetti relazionali in famiglia e nel trattamento, in A. Ferrari – G. Cioni, Paralisi cerebrali infantili.

Storia naturale e orientamenti riabilitativi, cit., p. 205.

Page 120: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

119

che conosce nel suo corpo, vale a dire l’atteggiamento patologico. È importante che terapisti e

genitori si ricordino di ciò per evitare richieste frustranti.209

E’ necessario aiutare il bambino nel ‘sentire’ nuovi atteggiamenti corporei, affinché diventino

patrimonio di uno schema corporeo (immagine del suo corpo) più ricco di possibilità, affinché egli

possa richiamarli dopo averli vissuti.

È un lavoro che richiede molta pazienza e delicatezza. Spesso i ragazzi più grandi verbalizzano la

loro difficoltà in queste esperienze. Essi affermano che in realtà hanno paura ad abbandonare la

spasticità, anche se essa causa tanti blocchi. In fondo la spasticità li accompagna da sempre e

quando essa ‘cede’ sembra loro di essere sull’orlo di un precipizio e la ‘richiamano’

immediatamente nel loro corpo. In alcune forme di PCI, infatti: “Il soggetto impara ad

autogenerare un certo tipo di informazioni percettive per ridurre l’intensità di altre informazioni che

vorrebbe non ricevere, sfruttando appunto la competizione fra le diverse informazioni […]

l’adozione della spasticità può essere un meccanismo in grado di rendere più tollerabile la

percezione del vuoto e per questo motivo può essere definita adattiva e distinta dalla spasticità di

natura antigravitaria, legata alla organizzazione della reazione di sostegno. Le variazioni del tono

generate in relazione ad una competizione percettiva si riducono non appena il paziente sia meglio

organizzato sul piano emotivo, indipendentemente dalla reazione di sostegno.”210

Riuscire a far sperimentare nuove esperienze ed un corpo più ‘libero’ richiede, quindi, attenzione e

calma. Il terapista deve tranquillizzare il ragazzo, complimentarsi per la conquista ottenuta. Egli

deve far capire che è tutto sotto controllo e non deve dare carattere d’urgenza a ciò che è accaduto

per evitare l’ansia di non riuscire. Una volta aperta una nuova possibilità nel corpo, questa crescerà

e si manifesterà pienamente se sapremo calibrare con delicatezza le difficoltà e le potenzialità del

ragazzo.

Spesso accade che il paziente sperimenti spontaneamente questi momenti di ‘libertà’ durante la

vita quotidiana, e li riferisce con stupore. Qualche volta accade che in seguito a questi episodi, il

terapista ‘senta’ nel corpo del paziente un tono lieve ma costante di ‘difesa’: è la paura del ‘nuovo’

che egli sta sperimentando. In questi casi è importante rassicurarlo dicendo che in qualunque

momento egli può riprendere su di sé la spasticità, o la distonia, ecc. e che in tanti momenti della

sua quotidianità egli la può abbandonare volontariamente quando sente di voler vivere il suo corpo

in modo diverso. Quando, invece, egli sarà in uno stato emozionale (paura o gioia intensa) essa

ritornerà in tutta la sua forza, ma ciò non lo deve scoraggiare. Sappiamo che vi è un problema

neurologico di base e questo non può svanire. L’accettazione consapevole di ciò e il poter vivere

stati tonici diversi nel proprio corpo è segno di maggiore ‘libertà’ (Pentax).

Il cammino terapeutico non è lineare per sua natura perché spesso occorre rompere degli equilibri

per rendere fluido e possibile il cambiamento verso nuovi equilibri, lo scopo che deve guidarci è

l’attivazione delle potenzialità del paziente. “La cosa per noi più importante, è l’essere disponibile,

il sapere attendere, il non volere affrettare, in una preoccupazione di efficienza apparente che non è

altro che la proiezione dell’ansia, […] un’evoluzione che richiede tempi d’integrazione

209

“Il riabilitatore influisce infatti attraverso le opportune facilitazioni, situazioni e linguaggi, sulla scelta da parte del

bambino.[...]. In conclusione, il riabilitatore del bambino deve trattare quadri di complesse interazioni evolutive tra

‘aspetti motori’ e ‘aspetti motivazionali’, ‘aspetti intellettuali’ e ‘aspetti comunicativi’; spesso questi quadri appaiono

mascherati dalla formale acquisizione da parte del bambino di un linguaggio che copre nel superficiale e immediato

scambio sociale, profonde distorsioni e incoerenze percettive e cognitive.

Ad esempio è frequente il riscontro di bambini cosiddetti ‘spastici’ che, pur frequentando con relativo profitto la scuola

ed essendo in grado di conoscere ‘concettualmente’ le diverse parti del corpo, non sappiano, su richiesta verbale di

movimento da parte del terapista, ‘dove si trovi’ e ‘quale sia’ la propria gamba o il proprio piede, o da che parte iniziare

il movimento richiesto; oppure, davanti al loro ripetuto insuccesso nel copiare il disegno di un rombo, altri bambini

bene verbalizzano il proprio problema: ‘perché la mia mano non fa ciò che i miei occhi vedono?’.Questi due esempi

illustrano bene alcuni differenti e peculiari usi del linguaggio in bambini cerebrolesi e possono fare intuire quali

‘trappole’ possono nascondersi dietro un uso non controllato del linguaggio da parte del riabilitatore”. M. Pierro - P.

Giannarelli - P. Rampoldi, Osservazione clinica e riabilitazione precoce, cit., pp. 58-59. 210

A. Ferrari, Proposte riabilitative nelle paralisi cerebrali infantili, cit., p. 59.

Page 121: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

120

sufficientemente lunghi, per permettere l’investimento e il progressivo superamento del piacere

legato a ciascuna tappa.”211

Utilizzando il prolungamento durante le facilitazioni motorie noi possiamo seguire, ‘sentire’ e,

quindi, rispettare il paziente nel suo cammino in questi delicati ed a volte drammatici cambiamenti.

Presenza-trasparenza-prudenza

Per insegnare o fare terapia occorre coerenza tra ciò che s’insegna e quello che si vive e crede

realmente.212

Quello che s’insegna deve far parte della propria esperienza interiore: in questo

modo l’immagine interna di chi guida ‘modella’ il linguaggio verbale (digitale) e quello corporeo

(analogico) e chi ascolta entra in risonanza con l’immagine interna (prolungamento mentale).213

Questo fenomeno accade, consapevolmente o no, nella situazione terapeutica e nella vita

quotidiana.214

È sufficiente ricordare che il nostro modo di osservare gli eventi (punto di vista) e di

conseguenza di agire, li condiziona. Quest’argomento rimette in causa il concetto d’obiettività

nell’approccio diagnostico e terapeutico. Quando visitiamo un bambino, applichiamo un protocollo

appreso nel nostro cammino professionale, ma quanto siamo consapevoli dell’impatto della

situazione nei confronti del bambino?

Egli giunge alla nostra osservazione calmo, spaventato, ansioso, affamato, desideroso di fare

mostra di sé, noncurante dell’ambiente, assente o irritato?

Queste sono solo alcune variabili che possono influire sulla risposta ai nostri stimoli.

L’ambiente fisico dove lo accogliamo può essere dispersivo, troppo luminoso o freddo, ed il

bambino può sentirsi insicuro perché nelle mani di un estraneo oppure pronto a sfidare la situazione.

L’ansia, l’atteggiamento e le attese dei genitori, possono favorire o bloccare l’approccio.

La nostra capacità di avvicinare il bambino può dipendere dal tempo a nostra disposizione, dalla

stanchezza, dal desiderio di mettere il piccolo a proprio agio, dalla paura di un coinvolgimento

eccessivo, dal desiderio di finire la giornata lavorativa, dal piacere di scoprire cosa il bambino sa

fare, ecc.

Questi ed altri fattori incidono in modo decisivo sull’andamento del nostro approccio, molti sono

non coscienti o non sono tenuti in debita considerazione, soprattutto quelli che riguardano

l’osservatore.

Imparare a gestire una situazione terapeutica, come si può capire, è molto complesso e questo

richiede un’attenzione particolare verso quei problemi che il terapista si ritrova a dover risolvere

211

A. Lapierre – B. Aucouturier, La simbologia del movimento,cit., p. 32. 212

“La coerenza del comportamento dell’adulto offre al bambino patterns ‘coerenti’ di risposte alle sue proposte. Questi

patterns di risposte indirizzano l’azione conoscitiva del bambino favorendo lo stabilirsi di connessioni significative tra

il mondo esterno ed il suo agire o il suo essere.” M. Pierro - P. Giannarelli - P. Rampoldi, Osservazione clinica e

riabilitazione precoce, cit., pp. 121. 213

Anche il terapista deve sperimentare il piacere e la consapevolezza del proprio corpo per arricchire la propria

esperienza e favorire i cambiamenti desiderati in se stesso e nell’altro. Solo così egli potrà aiutare il paziente a divenire

consapevole delle sue potenzialità, potrà guidarlo a provare piacere nell’imparare modi nuovi e strategie in accordo con

le sue risorse. Conoscendo noi stessi la strada si può insegnare al paziente come imparare ad imparare in ascolto del

suo corpo per sperimentarlo in modo nuovo senza ansia e nel rispetto del suo ‘stato neurologico’. 214

Ciò è importante anche nel campo affine della rieducazione psicomotoria: “Come è possibile che l’insegnante situi la

sua attività educativa a livello cognitivo utilizzando il vissuto senso-motorio senza prima aver educato se stesso alla

dimensione psicomotoria, alla corporeità? Come può un operatore proporre un’educazione integrale, intervenire cioè su

tutti gli aspetti che compongono la personalità del bambino se non ha mai vissuto e ricevuto un simile modello?

Riuscirà a farlo dal momento che la sua formazione professionale è stata ed è improntata a criteri cognitivo-mentali e

sull’identificazione del suo se con il suo ruolo-sapere? Gli insuccessi e gli abbandoni registrati nell’attuazione del

progetto di un’educazione psicomotoria, oltre che alla mancanza di una competenza polivalente, non sono forse da

ascrivere anche alla completa assenza di una formazione della corporeità dell’educatore?” C. Romano, Corpo itinerario

possibile. Una metodologia di formazione per gli insegnanti, Giunti & Lisciani Editore, Teramo 1988, p. 27.

Page 122: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

121

spesso da solo. Essi riguardano l’approccio terapeutico oltre che la competenza tecnica e

specialistica.215

In questa sede posso accennare ad alcune delle qualità, che il terapeuta in generale può e deve

tenere in considerazione se vuole favorire un approccio consapevole.

Occorre che egli sia presente al trattamento e trasparente con se stesso e con l’altro: il terapista deve sapere cosa egli stesso vive e sente di fronte al paziente, consapevole che i

meccanismi della meta comunicazione corporea possono facilitare o bloccare l’intervento

terapeutico.216

Egli deve saper calibrare il cammino che sta vivendo l’altro attraverso gli indicatori

fisiologici dello psichismo, per essere prudente quando il bambino o il paziente ha difficoltà

fisiche o emotive e saper intervenire al momento opportuno.

Presenza vuol dire anche essere lì, nella stanza con il paziente e non altrove (fisicamente o

mentalmente). Trasparenza significa saper accogliere la propria e l’altrui difficoltà, cercare

l’occasione per crescere e non per nascondersi. “Molti terapeuti credono che uno fra gli eventi più

importanti in psicoterapia sia una certa risonanza fra l’inconscio del cliente e quello del terapeuta.

Tale risonanza sarà particolarmente efficace se tanto il terapeuta quanto il cliente saranno disposti a

rinunciare ai loro ruoli, maschere, difese, e a qualsiasi altra cosa li divida, cosicché l’incontro

terapeutico diventi, come lo descrive Laing, ‘ un autentico incontro di esseri umani’.” 217

Prudenza

se s’incontrano situazioni difficili che hanno lasciato il segno nel nostro passato e si ripresentano.

Per il terapista è importante prendere coscienza degli stati d’animo che vive (presenza) per

impedire che interferiscano nell’incontro con il paziente causando incomprensioni, tensioni,

accanimento terapeutico o fuga dalla relazione.

Può umanamente accadere di non essere disponibili perché stanchi o per problemi personali. La

consapevolezza di ciò non deve creare ansia, ma comprensione verso se stessi e verso l’altro.218

È

importante essere disponibili anche verso se stessi in caso contrario rischiamo l’annullamento

(perdere il proprio Asse, la propria centratura).

Il terapista può apprendere a calibrare se stesso e l’altro, ed essere guidato attraverso la

supervisione a separare i suoi vissuti da quelli del paziente. In questo modo egli non trasferisce sul

paziente i suoi modelli, affetti e credenze, deformando la realtà del paziente stesso. Il terapista

dovrebbe essere in grado di riconoscere quale tipo di risonanza avviene in determinati momenti

della terapia tra la propria esperienza e quella del paziente: che cosa richiamano nel terapista da un

punto di vista emotivo-affettivo, il vissuto del paziente, la sua patologia, il suo modo d’essere e di

rapportarsi.

Il fenomeno di risonanza, se non è consapevole, può amplificare le difficoltà e il disagio del

paziente nel caso in cui richiama nel terapista vissuti emotivi e problematiche personali non risolte.

Per questi motivi oltre alla preparazione professionale tecnica si dovrebbe dedicare molto tempo

anche alla formazione personale del terapista, e successivamente alla supervisione per garantire la

serenità e l’efficacia dell’intervento terapeutico.

215

Terapisti diversi trasmettono al paziente sensazioni e vissuti differenti pur utilizzando le stesse manovre o lo stesso

metodo. Durante i seminari sull’approccio tonico-emozionale si fanno vivere diverse esperienze su questo fenomeno di

risonanza inconsapevole. 216

“Il terapeuta deve continuamente controllarsi, e rendersi conto di come reagisce a confronto col malato. Poiché non

reagiamo solo con la coscienza, dobbiamo chiederci sempre: questa situazione come è vissuta dal mio inconscio?” C. G.

Jung, Ricordi, sogni, riflessioni di C. G. Jung, Rizzoli, Milano 1979, p. 172. 217

F. Capra, Il punto di svolta. Scienza, società e cultura emergente, cit., p. 317. 218

“Bisogna che l’operatore viva egli stesso, nelle comunicazioni infraverbali, la sua relazione al proprio corpo,

all’oggetto, allo spazio, all’altro, al gruppo, che sia confrontato a queste situazioni non solamente per comprendere ciò

che vive il bambino, ma pure per ritrovarvi la propria autenticità, prendervi coscienza delle proprie pulsioni, dei divieti

e delle difese, svilupparvi la propria disponibilità.” C. Romano, Corpo itinerario possibile. Una metodologia di

formazione per gli insegnanti,cit., p. 29.

Essere consapevoli dei propri moti in se stesso e nella relazione è fondamentale per ri-conoscere la propria difficoltà e

quella dell’altro e per essere coscienti del fatto che la propria immagine agisce sul paziente.

Page 123: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

122

Rispettando questi requisiti il terapista può guidare efficacemente il paziente con il suo linguaggio

verbale e corporeo indirizzando le sensazioni alterate da fattori fisici, emotivi e educativi

(ambientali) del paziente verso la ‘normalizzazione’.

Torsione (il blocco)

Quando un bambino ha dei problemi motori o d’altra natura, i genitori possono perdere la capacità

di guidarlo e di educarlo. Nasce la paura di non essere “adeguati” verso i problemi che presenta il

bambino: non sanno quando possono o devono richiedere qualcosa ed, alcune volte, le richieste

sono troppo elevate per le possibilità del bambino.

In questi casi i genitori subiscono un ‘blocco’. Essi non riescono a gestire la situazione a livello

fisico ed emozionale impedendo lo sviluppo delle proprie potenzialità e quelle del bambino. Per

questo motivo spesso i piccoli pazienti hanno delle possibilità ‘bloccate’ oltre il problema

neurologico. E qualche volta può accadere che l’ambiente manipoli (inconsapevolmente) la terapia,

per non rompere il fragile equilibrio interno che spesso si struttura attorno alla patologia.

“La nostra esperienza clinica conferma che il lavoro con la famiglia è essenziale e deve

rappresentare uno dei poli dell’intervento riabilitativo. L’obiettivo centrale dell’alleanza terapeutica

è quello di spostare la polarizzazione dei genitori dall’esclusivo recupero della funzione motoria e

riconquistarli alla globalità dei bisogni del bambino. In una nostra recente ricerca sulle interazioni

tra un gruppo di madri e i loro piccoli neurolesi al momento della prima consultazione, notavamo le

difficoltà delle madri a mettersi in relazione con un’immagine integrata del figlio. Nella maggior

parte dei casi dominava l’immagine di un bambino danneggiato, indifeso, da manipolare con

delicatezza: nelle sequenze interattive era possibile osservare la stimolazione tattile continua, quasi

automatizzata delle parti lese. La «manina» o il «braccino» plegico diventavano il canale di

scambio più investito nella relazione. L’oggetto, scarsamente utilizzato nel gioco col bambino,

sembrava svolgere una funzione di prolungamento della presenza materna, piuttosto che quella di

sostituto. L’evento morboso e la patologia organizzavano la relazione reale e quella fantasmatica.

Nella nostra esperienza questo tipo di vissuti crea attorno al bambino una rete di identificazioni

proiettive, difficile da «sbrogliare» senza un lavoro parallelo con la madre e sulla relazione.”219

I genitori, quindi, sono spesso allo stesso livello del bambino anche se, ovviamente, manifestano

la loro difficoltà in modo differente.

Lo stesso accade nell’ambiente del paziente adulto; iperprotezione o abbandono può aggravare il

quadro clinico.

I familiari, quindi, sono allo stesso livello del paziente poiché l’immagine di questo è il

riflesso o risonanza dell’immagine dell’ambiente in cui vive (valori, credenze).

La comprensione di questi meccanismi permette di capire che il disagio (o la patogenesi del

disagio) è da connettere con la struttura sociale. Il bambino non nasce con l’immagine di

“bambino con problemi”. Questa si definisce nel confronto con una realtà strutturata secondo

il modello sociale tipico della cultura in cui il bambino cresce e si relaziona. Il terapista stesso, se entra in risonanza passiva con l’ansia dell’ambiente o della prestazione,

rischia di perdere la sua centratura e quindi le capacità d’approccio e professionali, ritrovandosi

bloccato come il bambino ed i suoi genitori al loro stesso livello.

Il bambino sviluppa relazioni cognitive ed affettive per rispondere al suo ambiente. E’

quest’ultimo, infatti, a dare significato alla qualità di queste relazioni.

219

A. Ferrari – G. Cioni, Paralisi cerebrali infantili. Storia naturale e orientamenti riabilitativi, cit., p. 206.

Page 124: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

123

Il bambino (quale essere vivente) è alla ricerca di un suo equilibrio dinamico interno (omeostasi) e

della possibilità di esprimerlo in modo creativo. L’organismo umano è dotato, infatti, di un istinto

naturale che guida le sue scelte al fine di preservare quest’equilibrio. Condizioni ambientali e

soprattutto sociali possono inibire questa capacità per seguire modelli culturali precostituiti, essi

non sempre coincidono nei tempi e nei modi alle necessità biologiche e psicologiche del bambino.

Attraverso l’educazione egli può essere aiutato a raggiungere quest’equilibrio oppure no.

L’intervento del terapista dovrebbe permettere al bambino di esprimere le sue potenzialità nel

pieno rispetto della situazione neurologica e funzionale del piccolo: egli deve favorire la

costruzione o la ricostruzione di un’immagine equilibrata del paziente attraverso un’adeguata

valutazione funzionale e comprendere le reali potenzialità che si possono sviluppare. Il terapista può

dimostrare che il paziente gradualmente può migliorare i suoi movimenti utilizzando le metodiche

più opportune. L’approccio al movimento deve permettere al paziente di entrare in un’attitudine

d’ascolto del corpo. Il terapista lo invita ad utilizzare il minore sforzo possibile per non sollecitare

la patologia e per esplorare nuovi movimenti e sensazioni. Ciò è importante soprattutto per i

bambini con problemi primariamente dispercettivi, per i quali la semplificazione del compito

motorio e la modulazione delle informazioni proprio ed esterocettive è importante quanto rispettare

i loro tempi.

Come ho già detto, spesso il bambino o il paziente adulto tenta di superare la sua difficoltà

mettendo più forza. In questo modo i movimenti patologici si accentuano a causa della lesione del

sistema nervoso centrale che impedisce un adeguato controllo. La ripetizione di questi sforzi fissa

nel tempo la patologia e l’immagine deficitaria del paziente (rafforzata dall’ansia dell’ambiente). Il

paziente, in modo particolare il bambino, perde la possibilità di vivere e ascoltare il proprio corpo in

modo nuovo e spontaneo perché subito è imprigionato dall’immagine che l’ambiente gli rimanda

non appena ci si accorge che qualcosa non va in lui. Non appena si manifesta un movimento

‘strano’ il bambino sente la carica di tensione nel corpo, nella voce e nello sguardo dei suoi genitori

ed impara a trasferirla su di sé (risonanza fisica ed emozionale). In questo modo il bambino perde la

possibilità di sperimentare serenamente i movimenti del suo corpo. “Nel bambino con PCI la

paralisi non è solo una carenza da riempire somministrando progressivamente quanto è stato

perduto, non è solo una distorsione del movimento da correggere con il perfezionamento dei gesti e

delle posture, non è solo un ritardo da recuperare spingendo lo sviluppo attraverso tappe obbligate,

non è solo una incompetenza gestazionale da colmare giustificando simbiosi e fusione: è un’altra

strada percorsa dal bambino nella costruzione delle proprie funzioni adattive che siamo comunque

chiamati a considerare sviluppo.

Il sostegno, intervento tecnico ma non terapeutico in quanto non mirato a modificare la paralisi ma

a promuovere la qualità della vita ed il benessere del paziente, è un compito complesso erogato

senza soluzioni di continuità dalla equipe riabilitativa che può anche avvalersi in definiti momenti e

per precisi obiettivi di figure e strumenti tecnici (l’igiene motoria, l’educazione posturale,

l’assistenza respiratoria, la messa a punto degli ausili, ecc.), ma indirizzati verso un differente

scopo. La parte più importante dell'intervento di sostegno è però rappresentata dalla abilitazione dei

familiari alla care del proprio bambino, mansione che non sono stati geneticamente e culturalmente

preparati ad assolvere e senza la quale il bambino non può vivere e crescere in condizioni di

benessere. Essa è fondata sulla capacità di comprenderne i bisogni, di decifrarne i codici di

comportamento, di accoglierne le proposte, di interpretarne i messaggi per quanto confusi e distorti

questi possano essere, di rispettarne l’impegno a costruirsi una competenza adattiva, concedendogli

tempo ed accettandone con pazienza i limiti.”220

Il terapista deve permettere al bambino di sperimentare il suo corpo senza l’ansia di entrare in

competizione con esso e quindi con se stesso. Quest’attitudine d’ascolto del corpo è molto simile a

quello che si sperimenta con il metodo Feldenkrais.

Poiché il paziente presenta problemi neurologici, il terapista può aiutarlo ad entrare in questa

attitudine attraverso le facilitazioni di movimento, cioè utilizzando i metodi riabilitativi. Egli deve 220

A. Ferrari,Proposte riabilitative nelle paralisi cerebrali infantili,cit., pp145 - 146.

Page 125: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

124

restare in ascolto del tono muscolare del bambino per ‘sentire’ quando egli usa irradiazioni

muscolari (tensioni diffuse in distretti lontani del corpo) o compensazioni non necessarie (posizioni

alterate del corpo). L’aptonomia ed il prolungamento sono preziosi per guidare senza invadere e per

cogliere quei minimi cambiamenti corporei che ci dicono cosa vive il bambino e se ha veramente

ottenuto un cambiamento.

Quando il bambino o l’adulto riesce ad essere in ascolto del proprio corpo si ha un’immediata

trasformazione: una diminuzione del tono muscolare patologico, una migliore coordinazione dei

movimenti ed uno stato emotivo di serenità (può accadere che il paziente si addormenti per alcuni

istanti oppure manifesti reazione di meraviglia). Questi vissuti durano per qualche tempo, ma il

paziente non ritorna come prima, egli ha sperimentato qualcosa di nuovo nel suo corpo, ed il corpo

non dimentica.221

Quale approccio

Alcune volte ho visto arrivare pazienti grandi e piccoli che rifiutavano l’intervento terapeutico

perché reduci da terapie vissute in modo coercitivo. Essi si difendevano irrigidendo i muscoli e

bloccando il loro corpo inconsciamente perché nel loro vissuto avevano collegato il momento

terapeutico ai movimenti cruenti da loro subiti nel passato.

Riuscire a giocare con le immagini del mondo di un paziente può essere persino piacevole in

terapia: M.E. è una bambina vivace e simpatica di cinque anni, con spasticità agli arti inferiori. Ella

ama molto giocare all’alberello, e per fare ciò deve piantare bene a terra le radici (i suoi piedini

spastici) per succhiare l’acqua e il cibo dalla terra, per sentire le formiche e stare ben ferma se il

vento soffia. Le piace fare le sfilate di moda, e ad ogni seduta di terapia indossa vestiti diversi. Ha

imparato a muoversi “in un certo modo” su un’immaginaria passerella se vuole essere una modella

di successo, vendere i vestiti ed essere fotografata, ed io la guido affinché lei possa realizzare il suo

desiderio.

L’approccio terapeutico verso la patologia non deve fare dimenticare che dietro un quadro clinico

vi è una persona. Il rischio di questa dimenticanza è l’accanimento terapeutico. L’ansia che la

patologia non risponda alle nostre manovre può minare l’immagine di terapisti e porta ad esasperare

la tecnica. Accanirsi contro la patologia può accentuare paradossalmente lo stato di tensione

tonico-emozionale del bambino esasperando la patologia stessa. Dagli studi delle neuroscienze conosciamo lo stretto legame tra stato emotivo di paura e difesa e le

reazioni toniche muscolari, viscerali e ormonali che sono attivate dal cervello emotivo.222

Sappiamo

che un bambino con danno neurologico ha inevitabilmente un controllo alterato del comportamento

motorio, ma quando egli vive situazioni di difficoltà motoria ed emotiva è quasi impossibile per lui

qualunque controllo anche minimo del suo corpo e delle sue reazioni.

Si deduce facilmente che una terapia che suscita stati tonici emozionali negativi o cruenta

accentui in modo esasperato il suo quadro.

In alcuni pazienti con patologie severe può essere impossibile raggiungere obiettivi d’autonomia.

In questi casi il terapista deve stare attento a non cadere nell’ansia di dover fare terapia solo per

colmare le richieste dell’ambiente. Con delicatezza egli può far comprendere alle persone che sono

vicine al paziente i limiti neuro-fisio-psicologici che lo condizionano e la necessità di rispettarli.

221

Nella terapia della Gestalt l’approccio al paziente è simile: “ Per sbloccare le esperienze bloccate del cliente, il

terapeuta della Gestalt dirigerà l’attenzione su vari modelli di comunicazione, sia interpersonali sia interni, nell’intento

di intensificare la consapevolezza del cliente nei confronti dei processi fisici ed emotivi implicati. Questo acuirsi della

coscienza è inteso a determinare lo stato speciale in cui i modelli esperienziali diventano fluidi e l’organismo comincia

il processo d’auto-guarigione e d’integrazione.” F. Capra, Il punto di svolta. Scienza, società e cultura emergente, cit.,

pp. 318. 222

Cfr. J. LeDoux, Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni,cit. – Cfr. D.Goleman, Intelligenza emotiva, cit.

Page 126: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

125

La finalità del nostro lavoro non è di torturare un bambino o una persona adulta solo per colmare

le nostre ansie o quelle dell’ambiente, ma di farlo vivere bene nel suo corpo, rispettare il suo mondo

e, se possibile, arricchirlo di nuove esperienze.

Il terapista con una buona conoscenza dei metodi riabilitativi e della lettura del corpo, può favorire

in modo efficace un processo terapeutico che definisco naturale. Egli attraverso la PNL, lo studio

delle CM, l’Aptonomia, può comprendere (prendere su di sé) il cammino che il bambino sta

facendo e può intervenire nel momento più opportuno. Non appena il terapista coglie un punto di

tensione nel corpo del paziente, lo aiuta a portare lì la sua attenzione per favorire il rilasciamento

attraverso una “calibrata facilitazione”.

Questi sono piccoli passi che cambiano l’immagine interna del bambino; gli permettono di

scegliere tra la spasticità e la possibilità di imparare a richiamare nel proprio corpo sensazioni di

maggiore libertà. Piccoli passi rispettosi del bambino, e soprattutto efficaci.

Non si vuole sostenere che la patologia possa sparire, ciò è impossibile, ma in alcune situazioni e

poi sempre più in autonomia il bambino può gestire meglio il suo corpo, se stesso e la realtà. Così

come la patologia interferisce sulla ricchezza di esperienze è anche vero che nuove possibilità

motorie, di comportamento e relazionali creano nuovi circuiti cerebrali che le possano esprimere.

Alcuni metodi definiscono, secondo il loro punto di vista, l’approccio tonico al paziente attraverso

adeguate manovre; ad esempio il metodo Kabat parla di trazione e di stabilizzazioni dove è

importante la calibrazione della forza tra terapista e paziente. Il metodo Bobath utilizza le

facilitazioni attraverso i “punti chiave” per ridurre, controllare il tono muscolare del paziente e

favorire il movimento “funzionale”. Il Perfetti aggira l’ostacolo del movimento patologico

richiedendo al paziente, prima guidato e poi in autonomia, il controllo volontario sulle irradiazioni

patologiche. In questo modo avviene un apprendimento cognitivo del movimento libero dai fattori

che lo alterano. In sintesi questi approcci permettono un cambiamento nel tono muscolare e quindi

nel movimento utilizzando l’esperienza di nuove sensazioni possibili (un nuovo posizionamento

vissuto dal paziente durante la terapia). Quest’approccio è corretto, esso permette di introdurre una

perturbazione nello schema patologico che il bambino ha appreso muovendosi spontaneamente a

causa della lesione neurologica, ma gli interventi tecnici seguono dei protocolli d’applicazione che a

volte non tengono in considerazione i ritmi, i tempi, l’ambiente, ecc., in cui si svolge l’approccio

con il bambino o con il paziente adulto. Essi sono applicati in modo ‘asettico’ come se questo fosse

garanzia d’oggettività. In realtà l’operatore incontra una dimensione umana, quella del paziente e la

sua che d’oggettivo non hanno proprio nulla.223

Nell’approccio medicale classico non si da sufficiente importanza, o si ignora del tutto, il

fatto che spesso gli schemi di movimento patologici d’origine lesionale, si fissano a causa

dell’atteggiamento emotivo che si lega al vissuto motorio e si demanda tutto alla causa

neurologica. Come ricorda giustamente il Boscaini vi è un ipertono o ipotono primario dato

dall’evento lesione ed un ipertono ed ipotono secondario dovuto ad una situazione emotiva o

affettiva alterata. “La distinzione tra il parametro neurologico e quello relazionale è di fondamentale

importanza per la diagnosi e la riabilitazione. Il primo richiede interventi fisici, prevenzione e cura

per ridurre la disabilità. Il secondo è definito in rapporto alla società che pone il disabile in

situazioni di emarginazione fisica e psicologica determinando l’handicap nella persona direttamente

interessata e nel suo ambiente.”224

In questi casi il terapista può intervenire, ma deve avere la consapevolezza d’essere ‘ambiente’ per

il bambino.225

Egli deve capire l’influenza che esercita sul piccolo consciamente o meno.226

Se oltre

223

Di fatto come sostiene Jung: “ Nessun artificio può evitare che il trattamento sia il prodotto di un reciproco

influenzamento, al quale partecipa l’intera personalità sia del paziente sia del medico.” C. G. Jung, Il problema

dell’inconscio nella psicologia moderna, Einaudi, Torino 1959, pp.23 –24. 224

F. Boscaini, La triade handicappata: il ‘diverso’, la famiglia, la società. Analisi e problematiche psico-

pedagogiche-riabilitative, cit., p. 18. 225

“Una coerente posizione ‘neurologica’ del riabilitatore esamina fase per fase l’evoluzione adattiva del rapporto

scopi/strumenti del bambino all’interno del suo ambiente sociale, di cui anche il riabilitatore entra a far parte

attivamente.

Page 127: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

126

al danno primario, dovuto al danno neurologico, l’ambiente ha determinato inconsapevolmente un

danno secondario, aiutando la patologia neurologica a fissarsi o ad esasperarsi, il terapista può

intervenire consapevolmente creando un ambiente fisico (facilitazioni di movimento) e mentale

(un’immagine interna) che permetta al bambino di liberarsi dei suoi blocchi. Non appena il terapista

ha un’immagine ben precisa delle potenzialità del piccolo, tutto il suo corpo si adatterà

all’immagine interna e spontaneamente guiderà il bambino in modo coerente. In questo modo egli

può utilizzare l’esperienza professionale, acquisita attraverso le metodiche, e tutto il suo corpo per

trasformarsi in strumento terapeutico.227

Il terapista può determinare cambiamenti ancora più profondi e duraturi, se riesce a capire e

arricchire le credenze che guidano il bambino ed il suo mondo. Mi viene in mente l’esperienza

vissuta con il piccolo M. Questo bimbo giunge alla mia osservazione a diciotto mesi. M. è in

trattamento fisioterapico dall’età di nove mesi con scarsi risultati. Il bambino presenta una buona

motilità nella parte superiore del corpo, ma gli arti inferiori sembrano completamente abbandonati,

flaccidi con i piedi in torsione interna. Quando il piccolo si muove o è messo in posizione seduta,

gli arti inferiori non seguono il movimento. Egli non è in grado di rotolare o di strisciare. Gli arti

inferiori sembrano ‘tagliati’ dal resto del corpo come nelle patologie da lesione flaccida del

midollo, ma l’anamnesi riferita in cartella non giustifica questo quadro clinico.

Chiedo alla mamma altre informazioni sulla storia del bimbo. La madre racconta che il figlio alla

nascita presenta problemi congeniti gravi, per questo motivo ha subito un intervento al cuore a

pochi giorni di vita ed un primo intervento per piede torto congenito bilaterale a tre mesi. In seguito

ad un secondo intervento ai piedi, all’età di sette mesi, la madre riferisce uno strano comportamento

del bimbo: non appena il piccolo si sveglia dall’anestesia da pugni alle sue gambe ingessate e poi

alla madre. Da quel momento il bambino sembra ignorare le sue gambe.

Queste ultime parole della madre mi colpiscono e mi aiutano a comprendere il dramma che vive il

bambino. Capisco anche il suo rifiuto quando è toccato e stimolato agli arti inferiori e mi chiedo

interiormente come io vorrei essere aiutato se vivessi un trauma del genere. Mi rendo conto che

l’approccio fisioterapico tradizionale è vissuto dal bambino come un atto di violenza verso quella

parte del corpo che il bambino rifiuta e verso la quale ha eretto un muro d’indifferenza per evitare

che lo faccia soffrire ancora.

Mi fermo un attimo a riflettere ed inizio a fare delle carezze alla parte superiore del corpo del

piccolo. Parto dal torace e risalgo verso le spalle e le braccia lentamente come un’onda, cercando di

fargli sentire la mia presenza e comprensione, senza chiedergli nulla. Vado avanti così per alcune

sedute alternando giochi sul tappeto alle carezze. Poi le mie mani scendono verso l’addome per poi

risalire. Sento che il bambino accetta questo modo di essere toccato, ed è sorpreso che io non avanzi

alcuna richiesta. Lentamente le mie mani cominciano ad alternare movimenti scendendo dal torace

verso le sue cosce, ed infine arrivo ad accarezzare le sue gambe e i suoi piedi. Il bambino rimane

In altre parole: il riabilitatore non può esimersi dal fornire adeguate risposte e spiegazioni anche alla ‘passività’ del

bambino, e/o al suo desiderio e piacere di tentare, alla individualità delle sue reazioni, al successo e alla frustrazione. In

ciò egli è costretto a imparare ad usare individualmente in modo corretto i premi, le punizioni, gli incitamenti e i rifiuti,

assumendosi la responsabilità di modulare le emozioni del bambino rispetto alle differenti situazioni, per condurlo ad

apprendere e a ricordare (con tutta la significatività motivazionale che questo suo ruolo comporta nella storia del

bambino stesso).” M. Pierro - P. Giannarelli - P. Rampoldi, Osservazione clinica e riabilitazione precoce, cit., p. 60. 226

Il bambino messo in condizioni adeguate può manifestare capacità insospettate di organizzarsi. Altri, che

apparentemente non presentano problemi particolari, possono avere difficoltà ad eseguire compiti semplici. Molto è

dovuto alla situazione-ambiente-terapista che in tal senso può essere facilitante o inibente. 227

Lo studio dell’anatomia, della fisiologia e della fisiopatologia dell’apparato locomotore o del SNC umano non

implica necessariamente avere coscienza del vissuto del movimento. La sensazione e la consapevolezza del movimento

è qualcosa di diverso della conoscenza intellettiva di certi meccanismi e processi. Per capire cosa vive e sente il

paziente il terapista deve sperimentare e sentire il proprio movimento e come poterlo modificare, deve riscoprire la

meraviglia di viverlo anche sbagliando così come apprende il bambino piccolo (apprendimento organico descritto da

Feldenkrais). Non esiste il movimento astratto come è definito nei libri di anatomia o di chinesiologia. Ognuno di noi

ha sensazioni, emozioni e scopi propri nel vivere il movimento che esegue con uno stile proprio e personale ed esprime

attraverso di esso l’immagine personale e la sua relazione con l’ambiente.

Page 128: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

127

sempre in ascolto, godendo per questo modo di essere toccato. Dopo alcune settimane il bambino

diventa sempre più vivace ed inizia a muovere le gambe. Poi inizia a rotolare e a strisciare per il

piacere di giocare. Verso i tre anni, con gran meraviglia dei medici che lo seguono, il bambino

raggiunge la posizione eretta ed il cammino nonostante le deformità ai piedi. A quattro anni M.

dove subire un intervento ai reni, ma vive quest’esperienza serenamente perché lo ‘abbiamo

preparato’ assieme alla mamma.

Il bambino o il paziente adulto cambia se può liberarsi della patologia secondaria, legata al

vissuto emozionale (immagine di sé) distorto, cambia anche il modo di vivere la sua difficoltà.

Egli si sentirà libero da costrizioni imposte dall’esterno e da se stesso. Potrà vivere il suo

corpo senza essere sempre in tensione, questo inevitabilmente lo porterà a gestirlo

liberamente.

Riflessioni sulla terapia

Nell’approccio con i bambini o con gli adulti il terapista deve tenere in considerazione alcuni

parametri.

Secondo un’ottica sistemica i movimenti che il paziente sperimenta devono essere significativi ed

efficaci nel suo ambiente.228

Per questo motivo il terapista deve saper cogliere ‘l’intenzione

positiva’ dell’ambiente e fare in modo di attivare nel paziente dei comportamenti motori efficaci atti

a soddisfarla. Può essere gratificante facilitare nel bambino un movimento funzionale e nel paziente

adulto le attività finalizzate all’autonomia motoria.

In alcuni casi, però é la ristrutturazione dell’immagine dell’ambiente familiare a creare le

condizioni adatte a motivare lo sviluppo di nuove potenzialità, poiché alcuni atteggiamenti e

credenze possono bloccarle.

Occorre che il bambino abbia anche la possibilità di esprimere e sperimentare se stesso secondo il

“suo” modo d’essere, al di fuori di rigidi schemi imposti. Questo può diventare un modo

d’approccio creativo nel quale siamo noi ‘normali’ a cercare nuove strategie d’intervento e modi di

essere. Un atteggiamento simile permette al bambino di poter esprimere il “suo” movimento senza

l’ansia di sbagliare, di essere giudicato e corretto. Quando ciò accade, anche se il bambino si muove

all’interno della patologia, il movimento che viene fuori è libero da tensioni emotive superflue che

lo esasperano. In modo naturale, il bambino lasciato libero di muoversi, canalizza spontaneamente il

“suo” movimento verso modi più funzionali e si fa guidare volentieri dal terapista per raggiungere i

suoi obiettivi (gioco). “Poiché il bambino con PCI non può appropriarsi delle carte della normalità,

dobbiamo essere noi ad imparare a giocare con le carte della patologia, cercando di capire come

lavora il suo cervello poiché questa è in realtà l’unica possibilità concessa.”229

Per le stesse motivazioni non si può e non si deve trasformare tutto il tempo e lo spazio di un

bambino in terapia come pretendono alcune metodiche (non accetteremmo per noi stessi una

soluzione simile). Occorre che egli possa essere libero e non vivere la sua condizione come una

colpa. In questo modo il bambino sarà sereno ed accetterà di buon grado di poter utilizzare gli

schemi di movimento appresi durante le sedute di terapia sia per imitazione, sia per sentirsi

partecipe in situazioni in cui vuole dimostrare a se stesso ciò di cui è capace. “Il concetto di

228

“ Il biochimico Lawrence Henderson fu il primo a usare il termine ‘sistema’ per indicarte tanto gli organismi viventi

quanto i sistemi sociali. Da allora in poi, ‘sistema’ ha assunto il significato di un tutto integrato le cui proprietà

essenziali derivano dalle relazioni fra le sue parti, e ‘pensiero sistemico’ definisce la comprensione di un fenomeno nel

contesto di un unsieme più ampio. Questo è, infatti, il significato originario della parola ‘ sistema’, che deriva dal verbo

greco synestanai (porre insieme). Capire le cose in maniera sistemica significa letteralmente porle in un contesto,

stabilire la natura delle loro relazioni.” F. Capra, La rete della vita. Una nuova visione della natura e della scienza, RCS

Libri, Milano 2001, p.38. Ed è’ in un’ottica ‘sitemica’ che ho osservato l’interazione paziente-terapista-ambiente,

cercando, comunque, di dare una spiegazione secondo alcuni studi e ricerche in neuroscienze, in scienze pedagogiche e

della comunicazione. 229

A. Ferrari, Proposte riabilitative nelle paralisi cerebrali infantili,cit, p.96.

Page 129: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

128

intenzionalità raccoglie anche l’emozione ed il piacere che il paziente prova nel compiere una certa

azione o al contrario il disagio che ne ricava, ossia ciò che prova oltre a ciò che realizza (successo e

soddisfazione, fallimento e frustrazione, gioia ed amarezza, desiderio e delusione, gratificazione e

castigo). Soltanto chi prova piacere nell’agire continua a modificare in senso adattivo le proprie

funzioni per raggiungere un risultato che sia sempre più adeguato ai compiti indotti dallo sviluppo.

Apprendere non significa solo selezionare e conservare, ma anche sopprimere e rimuovere. Si

conservano i successi o le cose che ci hanno fatto provare piacere, si rimuovono gli insuccessi o le

esperienze che ci hanno creato disagio. In questo il percettivo ed il cognitivo rivestono un’indubbia

responsabilità e finiscono per rappresentare il prerequisito per lo sviluppo di qualunque altra

funzione. […]. L’equazione ‘se vuole, ci riesce’ che tante volte i genitori ci propongono non

consente sviluppi o soluzioni se si continua a considerare la paralisi un problema soltanto motorio,

un aspetto soltanto oggettivo. Il bambino ‘se vuole, ci riesce’, a dispetto del proprio repertorio e di

una conservata capacità di utilizzo, rivela una scarsa disponibilità a modificarsi per divenire più

adatto alle richieste ambientali ed una scarsa volontà a modificare il mondo circostante per renderlo

più adatto ai propri bisogni ed ai propri desideri. Il fatto che un bambino con PCI riesca ad eseguire

un certo compito non significa affatto che desideri farlo, anzi il più delle volte i bambini ‘se vuole,

ci riesce’ non lo vogliono per niente (paralisi nascosta) e per accettare il compito negoziano

preliminarmante un premio esterno, che li ripaghi per una soddisfazione che internamente non

possono provare a causa del disagio percettivo, della fatica del volere, della perdita del piacere,

della depressione, della paura, delle fantasie divenute fantasmi. Prima o poi arriva però il giorno in

cui non c'è un premio che possa ripagarli per il disagio che devono provare, ed essi si fermano.

È certamente più facile prevedere che un certo paziente imparerà a camminare a 8 anni, che essere

sicuri che saprà ancora farlo a 18. Se si sarà fermato, sarà solo per la recidiva delle deformità, o

piuttosto per un problema d’interesse e di determinazione, se non ancora di identità (sentirsi

adeguato da seduto ed essere a disagio da eretto)? Con la fisioterapia, gli ausili, i modelli, un

ambiente adeguato, una comunità educata, possiamo migliorare il ‘ci riesce’, ma che cosa sappiamo

fare perché il bambino lo ‘voglia’? Dobbiamo cominciare a pensare alla soddisfazione sentita ed al

successo raggiunto, misurare l’autostima e l’investimento ricevuto, ricercare il piacere provato nel

saper essere, nel saper fare, nel saper diventare. E dentro il ‘se vuole’ che si nasconde la vera natura

della PCI che non è solo movimento e non è solo percezione, ma riguarda l’intenzionalità del

bambino nel suo rapporto con il mondo e la sua disponibilità al cambiamento.”230

Ho voluto

riportare le parole di un Riabilitatore che dimostra di saper andare oltre la preparazione tecnica. Egli

penetra nel vissuto del paziente ed è attraverso questa ‘tecnica’ che il sapere diventa vivo e

coerente.

Il terapista può aiutare il bambino a vivere sensazioni nuove nel suo corpo attraverso un delicato

lavoro d’ascolto e di ristrutturazione. Egli si può inserire nel movimento del bambino utilizzando

facilitazioni di movimento e controllo del tono muscolare servendosi della guida verbale ed

utilizzando il suo corpo per indurre e guidare queste nuove situazioni toniche (un nuovo modo di

sentire i propri muscoli). Per raggiungere questi obiettivi alcune metodiche si prestano meglio di

altre, sia nell’approccio fisico sia come premesse neurologiche.

Certe metodiche, sebbene valide nel contesto dello sviluppo del pensiero riabilitativo, hanno

fatto la loro storia. Alcune di esse per la loro “cruenza” nell’approccio sono da evitare

comunque, poiché generano nel bambino un vissuto negativo legato al corpo (dove vi è già una

grossa difficoltà). Spesso queste metodiche utilizzano approcci all’osservazione del bambino che

ricalcano la difficoltà motoria. Di conseguenza il trattamento fisioterapico è finalizzato alla

correzione della patologia più che a favorire le potenzialità motorie del bambino o del paziente.

“La dimensione percettiva (attenzione e tolleranza) e la dimensione intenzionale (soddisfazione e

pulsione) si rivelano determinanti. Se l’esperienza vissuta dal bambino è stata gratificante, le

operazioni compiute possono essere fissate nella memoria stabile, se al contrario ha comportato

troppa fatica, disagio, paura o forte delusione, verrà rimossa. La riabilitazione deve far vivere al 230

A. Ferrari, Proposte riabilitative nelle paralisi cerebrali infantili,cit., pp. 61 – 63.

Page 130: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

129

bambino esperienze non solo utili, ma soprattutto gratificanti per lui, poiché è nella misura della

gratificazione e del successo conseguito che queste verranno conservate. Non basta insegnare il

come si fa (riabilitazione come repertorio dei pezzi di ricambio disponibili), bisogna trasmettere il

piacere di farlo, e questa è la parte più difficile della fisioterapia. L’acquisizione è infatti

testimoniata dall’utilizzo funzionale spontaneo di quanto è stato appreso dal soggetto. Il passaggio

dall’apprendimento all’acquisizione permette di ridurre il controllo cosciente del movimento per

trasferirlo al significato dell’azione, cioè dallo strumento allo scopo.”231

Ricordiamo che l’evento neurologico o disfunzionale ha profondamente alterato un programma

cerebrale, e la ‘normalità’ per un bambino o un adulto neurologico è impossibile nella stragrande

maggioranza dei casi.232

Il trattamento neurologico riabilitativo classico parte dal presupposto di normalizzare i movimenti

alterati ponendo come metro di paragone la persona normale, di fatto, ciò non è possibile.233

Inoltre

“Non è inutile sottolineare come i cosiddetti metodi di trattamento della PCI, prima ancora che per

la natura degli esercizi proposti, differiscano per l’idea di normalità che propongono.”234

Spesso,

infatti, si nasconde un inganno nell’uso delle metodiche riabilitative: esse, implicitamente o no,

fanno sperare di portare il paziente da un meno (situazione patologica) ad un più (normalità), in

realtà, nel migliore dei casi, possono solamente attivare le potenzialità neurologiche e psicologiche

residue insite nel paziente. “Trattamento della PCI non significa dunque possibilità di introdurre

schemi di normalità, ma capacità di modificare in senso adattivo le abilità del paziente, in relazione

agli scopi che egli intende perseguire. Una delle grandi difficoltà della riabilitazione della PCI è

rappresentata dal fatto che il paziente sbaglia spesso, anzi quasi sempre, ma quasi mai sbaglia nello

stesso modo (stabilità dell’errore). Un trattamento che si proponesse di sostituire condotte motorie

normali alle condotte patologiche del paziente risulterebbe perciò impossibile nei suoi stessi

presupposti.”235

Tolte le facili illusioni nasce un nuovo e più rispettoso modello di pensiero riabilitativo: “A fronte

di una visione che condanna la riabilitazione per la sua incapacità di far produrre normalità ad un

SNC leso, si contrappone la visione di una riabilitazione tesa a facilitare nel bambino la

realizzazione di funzioni adattive, privilegiando come discriminante lo scopo piuttosto che il mezzo,

il contenuto dell’azione piuttosto che la selezione dei patterns posturali e gestuali, l’efficacia della

prestazione raggiunta piuttosto che la forma della soluzione utilizzata. Mentre i problemi dello

sviluppo sono gli stessi, cambiano da bambino a bambino le risposte, ovvero le prestazioni adattive

messe in atto per risolverli, con una variabilità che nel normale sconfina nella ridondanza e nel

patologico si contrae nella ridotta libertà di scelta. Se c’è qualcosa di identico nello sviluppo di due

bambini non è infatti il repertorio delle prestazioni, cioè delle soluzioni adottate per ciascuna

funzione, ma il susseguirsi dei problemi affrontati e l’epoca in cui il soggetto, divenuto consapevole

delle proprie esigenze, è stato in grado di organizzare una idonea soluzione, dimostrando di aver

acquisito le regole dei meccanismi e dei processi che sottendono al proprio modo di essere e di

agire. Lo sviluppo deve essere visto allora come storia dei problemi affrontati piuttosto che come

storia delle soluzioni adottate.”236

Riflessione importante per ridimensionare i mezzi pur

comprendendo il loro valore. “In generale, rispetto alla fase di ottimismo che ha caratterizzato i

decenni precedenti, basato in alcuni casi su un delirio di onnipotenza riabilitativa, si è giunti ad un

231

Ibidem , p. 53. 232

“Non possediamo una teoria convincente dello sviluppo normale. Non dovremmo avere difficoltà ad affermare che

siamo tutti piagetiani, nel senso che nella pratica quotidiana la teoria ordinale di Piaget orienta i nostri ragionamenti e

le nostre operazioni diagnostiche, prognostiche e terapeutiche. Tuttavia, la teoria ordinale non riesce a soddisfare molte

delle nostre esigenze interpretative. Ma non possediamo altre teorie dello sviluppo normale che a tutt’oggi sembrino più

convincenti.” A. Ferrari – G. Cioni, Paralisi cerebrali infantili. Storia naturale e orientamenti riabilitativi,Edizioni del

Cerro, Tirrenia (Pisa) 1993, p. 226. 233

Cfr. M. Pierro – P. Giannarelli – P. Rampolli, Osservazione clinica e riabilitazione precoce, cit. p. 60. 234

A. Ferrari – G. Cioni, Paralisi cerebrali infantili. Storia naturale e orientamenti riabilitativi, cit., p. 32. 235

A. Ferrari, Proposte riabilitative nelle paralisi cerebrali infantili, cit., p.54. 236

Ibidem , p.96.

Page 131: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

130

indirizzo più realistico e più aderente alla natura e alle dinamiche del disordine motorio nelle PCI.

In particolare, la consapevolezza che le PCI sono malattie invalidanti croniche con un dinamismo

evolutivo nei diversi settori coinvolti dal disordine funzionale, ha portato a connotare il trattamento

delle PCI come strategia terapeutica a diversi livelli per tutto l’arco dell’età evolutiva.”237

Questa nuova visione sposta l’attenzione dalla tecnica (pure importante come strumento e non fine)

alla persona, valorizzando la relazione e le risorse. “ Il trattamento non può infatti risolvere i

sintomi o i segni, neppure nasconderli o confonderli (inibire i riflessi patologici, rendere simmetrico

un emiplegico, ecc.), né può colmare il cosiddetto ‘ritardo dello sviluppo’, ma deve saper realizzare

la persona con i suoi deficit e le sue abilità, nel suo contesto ambientale e sociale.”238

“La terapia non insegna, ma è la somma delle condizioni che consentono al bambino di scoprire le

proprie capacità e di farle diventare accessibili, in una circostanza positiva per soddisfazione, per

piacere, per successo da rendere meritevole il ricordarla, il trattenerla, il conservarla. Per questo J.

Corominas (1991) sostiene che ogni tentativo di riabilitazione va integrato all’interno

dell’interscambio emozionale. Infatti, come afferma Stern (1987), l’apprendimento stesso è

motivato ed investito di affettività.”239

La formazione del terapista

Vorrei riflettere su alcuni aspetti che riguardano l’apprendimento e la formazione del terapista.

Quando s’insegna una metodica in seminari di formazione i partecipanti assimilano la medesima

esperienza, ma essa è filtrata da molti fattori: attese del terapista, comprensione dei meccanismi

sottostanti la metodica, paura di sbagliare, problematiche personali contingenti che sequestrano la

nostra attenzione, formazione precedente che entra in conflitto con il nuovo apprendimento, ecc.

Questi ed altri fattori fanno sì che l’apprendimento sia un’esperienza unica e soggettiva.

Nel riprodurre, poi, ciò che abbiamo appreso troviamo altri filtri: il paziente più o meno

collaborante, la nostra insicurezza personale o l’eccessiva aspettativa, ecc. L’insieme di questi

fattori fanno si che tra il paziente ed il terapista s’instauri una relazione terapeutica unica nella sua

ricchezza e quest’aspetto è spesso trascurato nella riabilitazione classica ed è inconsapevole per il

terapista.

Ampliare il modello concettuale con il quale interagiamo con il mondo, o per meglio dire

modificare il punto di vista, è un processo che presenta difficoltà, le stesse che vive il paziente

quando deve modificare l’immagine di sé. Questo processo implica riuscire ad osservare credenze e

modelli che credevamo oggettivi, abbandonare certezze anche se comode, rompere antichi equilibri

instaurati con l’ambiente che ha co-contribuito alla loro formazione. Per questo motivo ampliare il

quadro concettuale dell’approccio riabilitativo non è semplice e può causare momentanee

destabilizzazioni nonostante i limiti che esso presenta. La ‘formazione professionale’ ci ha dato,

infatti, ‘in-formazione’ (ha plasmato il punto di vista) e ‘certezze’ (quadro concettuale ben preciso),

ma preclude vie non ‘pre-viste’ (la relazione dinamica con il paziente).

Il tentativo di cogliere un ‘nuovo modo di sentire’ riabilitativo risente di questi freni e limitazioni.

Negli ultimi decenni nel settore riabilitativo si sono susseguite diverse interpretazioni delle paralisi

cerebrali infantili, in conformità ai modelli di pensiero che si sono evoluti ed alle scoperte di

neurofisiologia. Questi hanno evidenziato di volta in volta aspetti differenti su bambini che presentavano lo stesso quadro clinico. Intorno agli anni 1960-70 prevale la semiologia di tipo

reflessologica secondo gli studi di André-Thomas, ed il proliferare delle metodiche riabilitative di

tipo facilitatorio finalizzate a contrastare gli schemi di movimento primitivi e abnormi (attività

riflessa che nel caso delle PCI sono spesso immutabili nel tempo): essi impediscono al bambino il

237

E. Fedrizzi in A. Ferrari – G. Cioni, Paralisi cerebrali infantili, storia naturale e orientamenti riabilitativi, cit, p.

216. 238

A Ferrari – G Cioni, Paralisi cerebrali infantili. Storia naturale e orientamenti riabilitativi, cit, p. 24. 239

A. Ferrari, Proposte riabilitative nelle paralisi cerebrali infantili, p. 85.

Page 132: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

131

normale sviluppo e apprendimento motorio. Si diffondono il metodo Doman-Delacato, il metodo

Kabat, Rood, Bobath ed il metodo Vojta.240

Successivamente si sviluppa la semiotica motoscopica

proposta da Milani-Comparetti e Gidoni: essa rileva la dinamica tra gli schemi motori dominanti nel

bambino ed iniziano studi sulle competenze emergenti (M. Bottos). Recentemente si sta

sviluppando un’ottica funzionale: essa dà rilievo al ruolo attivo e dinamico svolto precocemente dal

bambino nella capacità di uscire dagli schemi motori riflessi attraverso l’interazione con l’ambiente:

“Gli strumenti finora trattati sono gli stessi di cui tradizionalmente il clinico si serve, al momento

della diagnosi, per dimostrare i segni e i sintomi della lesione a carico del SNC (semiotica

lesionale), e per questo sono inadatti per seguire il cambiamento nel tempo di un soggetto con PCI.

Quello che è utile per valutare l’evoluzione è qualcosa di connesso con le funzioni, intese come

comportamento motorio per uno scopo, che quindi non può prescindere dall’interazione fra

individuo e l’ambiente, che deve cioè tenere in considerazione i suoi modelli di riferimento, le

occasioni che gli sono state fornite, le modalità con cui è stato educato (semiotica funzionale).

La semiotica funzionale non può e non deve separare il soggetto dal contesto ambientale in cui

vive. Essa si differenzia essenzialmente perché parte dai bisogni del soggetto, considera cioè le

funzioni in rapporto con il bisogno che tendono ad assolvere.”241

Lo stesso autore attua un’attenta

analisi dei bambini con PCI che presentano problemi percettivi, che prima ed ancora più dei

problemi motori compromettono le potenzialità latenti del bambino: “Per poter compiere un

movimento corretto bisogna infatti poter disporre di una corretta informazione percettiva e

viceversa per poter raccogliere una corretta informazione percettiva bisogna saper realizzare un

movimento corretto. Nella paralisi cerebrale infantile entrambi questi postulati risultano impossibili

ed a livello prognostico condizionano le possibilità di recupero del paziente.

La rappresentazione di un segmento è certamente legata sia alle operazioni motorie che questo può

compiere, quanto alle informazioni percettive che può raccogliere attraverso di esse. Al di là del

repertorio conservato, in termini di utilizzo è certo più favorevole la situazione di un paziente con

grave compromissione motoria ma con buona sensibilità che non il contrario, per l’importanza del

flusso di informazioni necessario alla guida del movimento stesso.

È sorprendente che la definizione di paralisi cerebrale infantile taccia di questo problema.”242

Pierro sintetizza in poche righe la complessità del fenomeno: “Le PCI rappresentano il punto

d’incontro di problemi di movimento, di percezione e d’intenzionalità. Si tratta di una distorsione

del processo d’emergenza della coordinazione tra bambino e ambiente.” (M. Pierro).

Come si può osservare c’è un continuo arricchimento nella possibilità di inquadrare l’evento

patologico del bambino costituito dall’ampliamento dei parametri d’osservazione e dal mutamento

del punto di vista da cui lo stesso fenomeno è osservato.

“L’impatto della scienza del movimento sulla prassi terapeutica rappresenta un cambiamento non

nelle tecnica, ma nel pensiero su cui la prassi deve essere basata. Gli assunti teorici che sottendono

gli approcci terapeutici basati sulla scienza del movimento sono inconciliabili con quelli relativi alle

tradizionali terapie neuromotorie basate sui modelli di facilitazione. Nell’approccio terapeutico

derivato dalla scienza del movimento, il terapista deve diventare un attivo problems solver,

utilizzando vaste conoscenze di base per trovare modi di sostegno e aiuto del singolo paziente che

sta tentando di raggiungere uno specifico obiettivo funzionale (Gentile 1992).

Quindi l’indirizzo terapeutico degli anni futuri per le paralisi cerebrali infantili è l’approccio

riabilitativo basato sui contributi della scienza del movimento e in particolare sui modelli

d’apprendimento motorio. Si configura come una via difficile, perché poco sistematizzabile, ma

ricca di promesse perché integrabile negli aspetti cognitivi e relazionali dello sviluppo.” 243

Ampliare l’ottica visuale sull’approccio riabilitativo classico è, quindi, dare nuova vitalità e valore

240

Cfr E. Fedrizzi, La riabilitazione della paralisi cerebrale infantile: metodologie, strumenti e modelli teorici dello

sviluppo, in A. Ferrari – G. Cioni, Paralisi cerebrali infantili, Storia naturale e orientamenti riabilitativi cit., p.214. 241

A. Ferrari – G. Cioni, Paralisi cerebrali infantili. Storia naturale e orientamenti riabilitativi, cit.,pp. 43 – 44. 242

A. Ferrari, Proposte riabilitative nelle paralisi cerebrali infantili,cit., p.55. 243

A. Ferrari – G. Cioni, Paralisi cerebrali infantili. Storia naturale e orientamenti riabilitativi, cit., p.217.

Page 133: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

132

ad anni di ricerca scientifica sul campo. In una cornice più ampia gli approcci esistenti possono

essere strumenti coerenti con i bisogni del terapista-paziente. In passato, però, la ricerca si è

focalizzata molto sulle tecniche assolutizzandole e troppo poco sull’importanza della relazione

terapeutica.

Nel campo affine della riabilitazione psicomotoria già da alcuni anni si studia un nuovo approccio:

“Queste constatazioni e queste riflessioni ci hanno indotto a rifiutare ogni rieducazione

‘strumentale’, che s’indirizza al sintomo e mira a sopprimerlo mediante un apprendimento più o

meno dissimulato. Noi vogliamo lavorare con ciò che c'è di positivo nel bambino: interessarci a ciò

che egli sa fare e non a ciò che egli non sa fare.[…]. Esistono nel bambino, qualunque egli sia,

molteplici qualità positive che si possono scoprire e sviluppare a patto che non si sia ottenebrati da

‘ciò che il bambino non sa fare’.[…]. Abbandoniamo qui il modello clinico: diagnosi, prescrizione,

trattamento; che è il modello secondo cui funzionano tutti gli istituti e i centri di rieducazione. Ciò

ha segnato una tappa decisiva nella nostra evoluzione. A questo punto di fatto non esiste più

‘rieducazione’. Tutto diventa educazione così come noi la concepiamo, ossia sviluppo delle

potenzialità proprie di ciascun bambino. Questo abbandono delle rieducazioni localizzate,

specifiche, strumentali, a vantaggio di un approccio educativo globale.”244

Essere fisioterapisti, fisiatri o neuropsichiatri è una dimensione a volte riduttiva. Essere

riabilitatore, capace cioè di ‘rendere abile’ e di ‘tirare fuori’ le potenzialità del piccolo o grande

paziente, implica una persona che sa andare oltre le ‘conoscenze’ acquisite per scendere nel

‘campo’. Il setting terapeutico è il luogo dove si possono incontrare due fissità: la patologia e

schemi di trattamento pre-stabiliti e rigidi, oppure due creatività: potenzialità e capacità di

osservare, apertura e creatività.

Tante volte ho visto colleghi utilizzare alcuni metodi in modo corretto, essi si prolungavano nel

loro paziente dando un aiuto efficace, ma di solito ciò avviene in modo inconsapevole. Altre volte

ho colto me stesso chiuso nei miei problemi, o in risonanza passiva con il paziente, e sono stato

incapace di gestire una situazione terapeutica. Ciò è molto frustrante, poiché come terapeuta fallisco

nel mio obiettivo umano e professionale: aiutare l’altro.

C’è tutta una pedagogia dell’accoglienza, sia nel preparare lo spazio fisico (l’ambiente), sia quello

mentale (se il terapista ha un’immagine ben precisa del paziente e di cosa ha bisogno, il suo corpo si

pre-dispone in modo adeguato ad accogliere il paziente). Il professore Lerminiaux spesso ci dice

che è importante che il terapista non entri nella sala di terapia così come la mucca entra nella stalla. Diviene importante in terapia “come” si lavora, la modalità di porgere l’aiuto è fondamentale per

l’aiuto stesso e per renderlo efficace. Ciò implica la conoscenza dei meccanismi che stanno alla

base dell’approccio corporeo e una particolare predisposizione all’ascolto di se stessi.

Da quanto detto si rileva la complessità dell’approccio terapeutico. Nasce l’esigenza di cercare le

basi di un nuovo modello per osservare ed agire.245

Ho utilizzato gli strumenti descritti e appresi durante il training professionale per verificare ciò che

‘sentivo’ e la teoria. In questo lavoro ho, quindi, utilizzato le mie verifiche sul campo.

Le nuove ottiche riabilitative pongono su piani completamente diversi, rispetto al passato, le figure

del terapista e del paziente modificando la relazione terapeutica quantitativamente e

qualitativamente.

Penso sia giunto il momento in cui il terapista rifletta sui limiti e difficoltà di una vecchia

impostazione terapeutica che lo vedeva spesso quale semplice esecutore di metodiche più o meno

sofisticate. Nuovi modi di pensare a tutti i livelli (scientifico, medico, sociale, antropologico, ecc.) 244

A. Lapierre – B. Aucouturier, La simbologia del movimento, Edipsicologiche, Cremona, pp. 16 –17. 245

Alcuni libri di F. Capra mi hanno aiutato a comprendere nuovi modelli di pensiero scientifico che si basano

sull’evoluzione del modello sistemico. Altri libri esplicativi del modello terapeutico di M. Erickson sono illuminanti

sull’importanza e la bellezza dell’approccio terapeutico. Molti autori in campo riabilitativo sono alla ricerca di nuovi

approcci neuro-psicomotori nel tentativo di uscire dalle vecchie concezioni bloccanti. A tutti loro ed a molti altri va il

mio grazie e l’esortazione a proseguire coraggiosamente in questo cammino, se non altro per ampliare il proprio punto

di vista. Tutto ciò può e deve essere, in ogni caso, verificato nel lavoro quotidiano per arricchirlo attraverso

l’esperienza.

Page 134: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

133

impongono nuovi modi di osservare e di porsi nei confronti della realtà terapeutica. Il terapista ed il

paziente possono co-evolvere nella relazione terapeutica giungendo a nuovi livelli di comprensione

di sé-altro, in meta-posizione rispetto all’ambiente ed ai propri moti interiori. La situazione

terapeutica diventa un momento di crescita che utilizza la difficoltà quale catalizzatore di processi di

cambiamento. Ciò implica un coinvolgimento totale del paziente e del terapista guidati dalla

necessità di autoguarigione reciproca. Spesso, infatti, l’altro ci fa da specchio nelle nostre difficoltà

permettendoci di osservare i nostri moti interiori, problemi e risorse. D’altra parte se così non fosse

sarebbe impossibile la maturazione del terapista nel suo cammino professionale. Egli si limiterebbe

alla passiva applicazione di tecniche sempre uguali, ma una continua retroazione tonico-

emozionale e la capacità di calibrare la difficoltà del paziente durante la seduta terapeutica

impone la modulazione dell’atto terapeutico rendendolo sempre diverso, anche con lo stesso

paziente, ed è importante essere consapevoli di ciò. “Presentavo l’approccio relazionale come quello più idoneo a comprendere l’individuo nella sua

globalità. Ripensando all’insieme dei problemi sollevati (e non risolti) da quest’intervento, verrebbe

piuttosto da concludere che l’approccio relazionale rappresenta un fattore di complicazione di una

realtà clinica, già di per se stessa così complessa, per la natura cronica della patologia, per la

sofferenza fisica e mentale ad essa connessa. Ma, nella nostra esperienza, assumere questa

‘complessità’, attrezzandosi, ovviamente, di strumenti adeguati, è essenziale, se non direttamente

per la prognosi riabilitativa del bambino, certamente per la buona conduzione del trattamento.

In un nostro contributo sul fenomeno del burn-out nei terapisti notavamo con quanta facilità la

relazione col bambino può trasformarsi in un’esperienza altamente frustrante e alienante (per

entrambi i partner) al di fuori di un’attività in grado di comprendere le dinamiche soggiacenti. Non

solo, ma è solo attraverso il lavoro di supervisione e ripensamento sull’esperienza clinica che si

possono cogliere nelle scelte terapeutiche certi agiti e collusioni con le parti più patologiche dei

pazienti. Infine la possibilità di ricomporre attraverso la discussione d’equipe (mi permetto di

aggiungere, ben condotta) l’immagine del bambino per come si viene organizzando nella mente di

chi lavora con lui, rappresenta uno degli strumenti essenziali per restituire ai genitori un’immagine

integrata del figlio.”246

Nell’ottica delle riflessioni su descritte nasce questo lavoro: ampliare il punto di vista per avere più

strumenti di osservazione ed operativi e, sebbene questo aumenti la difficoltà operativa, si ha la

possibilità di capire ed i mezzi quando l’operatore incontra aspetti altrimenti non visibili.

Come è stato detto in precedenza, l’evoluzione del pensiero riabilitativo ha ‘rivelato’ che il

movimento non è solo un atto meccanico di leve e tiranti, ma la concretizzazione di fenomeni psico-

fisiologici estremamente complessi e, ovviamente, non ancora del tutto chiariti. I vari punti di vista

che sono subentrati nel tempo conservano la loro utilità in ambiti specifici: l’approccio neurologico-

reflessologico, motoscopico, cognitivo, funzionale, sistemico ed emozionale (motivazionale).

Quest’ultimo aspetto è ‘sempre stato vissuto’ dal paziente (e dal terapista) ma raramente vi si è

focalizzata la dovuta attenzione.

Essere consapevoli di tutti questi meccanismi e come interagiscono tra loro permette di cogliere

l’unitarietà di messaggio (fisio-neuro-comportamentale) del paziente e da la possibilità di operare

armonicamente e coerentemente su più piani. Ciò è fondamentale in riabilitazione dove occorre un

quadro il più possibile completo e dinamico per poter agire sulla complessità dei problemi che

gestisce.

Desidero aggiungere un’ultima riflessione. Gli strumenti sono solo un pretesto, come d’altra parte

i metodi riabilitativi neuromotori, per aiutare a tirare fuori le risorse insite in noi e nell’altro, ma

nello stesso tempo essi sono importanti per aiutare a focalizzare la nostra attenzione ed essere

consapevoli di certi processi.247

Essi sono necessari sino a quando la persona non impara ad

246

S. Maestro, Aspetti relazionali in famiglia e nel trattamento, in A. Ferrari – G. Cioni, Paralisi cerebrali infantili.

Storia naturale e orientamenti riabilitativi, cit., p. 209. 247

Tutti gli strumenti rientrano in questa riflessione: l’educazione è un esempio sulla possibilità di aiutare un individuo

a tirare fuori le potenzialità insite in lui, oppure di circoscriverle, distorcerle o mortificarle in base alle ideologie

Page 135: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

134

autogestirsi: quando in pratica la persona riacquista la capacità di essere in ascolto di sé e diviene

nuovamente capace d’apprendimento organico.248

In ogni caso gli strumenti non sono assoluti ma

suscettibili di ampliamento, selezione e revisione secondo le necessità che la relazione presenta.

Questo lavoro non è e non vuole essere la promozione di un altro ‘metodo’, ma il riconoscimento

del parametro emozionale e le perturbazioni che esso può determinare sul comportamento del

bambino con patologia neuro-psicomotoria. Esso vuole essere un aiuto alla comprensione di alcuni

meccanismi che possono favorire l’integrazione tra movimento, affettività ed emotività. Esso è e

vuole essere un dialogo, una proposta da vivere e verificare aperta a tutti i consigli ed esperienze.

culturali predominanti nell’ambiente. Tutto ciò avviene spesso con poca consapevolezza per la difficoltà, da parte degli

educatori, di mettersi in meta posizione rispetto all’ambiente che ha plasmato loro stessi. Questo fenomeno spiega la

fatica a progredire nei modelli di pensiero e deve aiutarci a riflettere nell’accettarne o proporne di nuovi. 248

“Via via che aumenta la consapevolezza e si presta ascolto alle sensazioni, aumenta anche la possibilità di osservare

le sottigliezze: in tal modo potrete rendervi conto di quei piccoli particolari che sono alla base di ogni differenza

qualitativa.

Il movimento non apporta il miglioramento, ma il fatto che vi siete sintonizzati con la vostra dinamica interiore.

Non è la figura che descriverete nello spazio a produrre il perfezionamento, al contrario, la scoperta avviene all’interno,

nel vostro intimo. Non è il risultato misurato numericamente che vi può procurare un sollievo, ma piuttosto la

percezione dell’atteggiamento richiesto per produrre tale risultato.

Probabilmente non siete ancora pronti per rinunciare all’occupazione che secondo voi è all’origine dei vostri malesseri.

Certo non potete mutare il fatto che vi reggete su due gambe. Anche se vorreste, non potete certo mutare la vostra

struttura, che è qualcosa di unico. Potete però operare un cambiamento nel vostro modo di agire. Avete il dono di

trasformare l’atmosfera in cui vi muovete, di alterare la tonalità con cui comunicate con l’organismo. Avete la

possibilità di migliorare il rapporto con le sue risposte. Un attento ascolto del vostro Io interiore è il punto in cui

l’intento della mente conscia incontra il lavorio profondo del sistema nervoso. Questa consapevolezza è un dono

esclusivo dell’essere umano ed è anche lo strumento con cui vi sarà possibile riportare alla vita la spontaneità organica

addormentata.” R. Alon, Guida pratica al metodo Feldenkrais, cit., pp. 40-41.

Page 136: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

135

Momenti dell’approccio tonico-emozionale I fase: il terapista è consapevole del proprio ruolo di terapeuta ed è centrato in se stesso (posizione

di eccellenza - Asse). In questa attitudine, il terapista attinge alle sue risorse professionali ed umane,

consapevole delle proprie capacità.

II fase: la preparazione dell’ambiente fisico e mentale in cui accogliere il paziente. L’attitudine

mentale del terapista ricostruisce l’immagine del paziente: essa favorisce l’attitudine fisica adeguata

prima dell’incontro.

III fase: accoglienza fisica ed emozionale. Il colpo d’occhio del primo impatto. La capacità del

terapista di cogliere la prima impressione visiva, uditiva e chinestesica del paziente (risonanza).

IV fase: calibrazione: lettura consapevole dello stato psico-fisico del paziente attraverso gli

indicatori fisiologici e l’osservazione fisioterapica.

Egli può intuire le potenzialità funzionali, l’intenzione positiva e la credenza che guida il paziente e

il suo ambiente.

V fase: il terapista si distacca per affrontare la situazione terapeutica, ma mantiene in sé l’immagine

del paziente e la rispetta per non creare dissonanza con il suo mondo.

VI fase: ricerca di tecniche e comportamenti adeguati alla patologia ed al modello di mondo del

paziente.

VII fase: la capacità del terapista di modificarsi per modificare il paziente. Egli deve saper danzare

tra le CM assieme al paziente per aiutarlo a trovare nuove soluzioni coerenti con i suoi bisogni e le

sue possibilità.

VIII fase: costituire un Asse per l’intenzione positiva del paziente. Avere la calma e la pazienza di

condurre l’altro nel “sentire” nuove soluzioni e ritmi nel corpo attraverso l’aptonomia ed il

prolungamento. Questo gradualmente porterà il paziente di fronte ad un modo nuovo d’essere ed

inizia a cambiare l’immagine interna: il paziente prende le distanze dall’immagine distorta di sé e

può agire sulla patologia.

XI fase: modulazione del trattamento in base alle sequenze riuscite.

X fase: il paziente impara a gestire il proprio corpo e le emozioni in autonomia attivando le sue

potenzialità residue.

Il terapista deve sempre ricordare il proprio ruolo, le possibilità e i limiti. Noi siamo dei

catalizzatori di certi processi, se dimentichiamo il nostro ruolo rischiamo di plagiare il paziente per

le nostre necessità (siamo senza Asse), non saremo in grado di aiutare il paziente, ma subiremo

frustrazioni. L’idea di fare la cosa giusta c’irrigidisce e perdiamo la nostra flessibilità.249

Il terapista può diventare un compagno di viaggio per il paziente e aiutarlo ad affrontare

consapevolmente la sua difficoltà e il suo problema. Per fare ciò occorre grande rispetto.

249

Il medico Gladis Taylor McGerey riferisce una sua conversazione con il figlio Carl che si stava specializzando in

chirurgia ortopedica. Carl le aveva confidato di provare sentimenti di paura all’idea di avere la vita degli altri nelle sue

mani, e lei gli disse: “ Carl, come chirurgo puoi rimarginare una ferita e suturarla come si deve, ma non potrai guarirla.

Se credi di essere tu a dover guarire, hai ragione di spaventarti. Ma se capirai di essere un canale attraverso il quale

passa la guarigione e che tu in realtà puoi richiamare la forza risanante all’interno dei tuoi pazienti, non hai nulla da

temere. Tu avrai risvegliato il medico dentro di loro e li avrai avviati a guarirsi da soli.” G. T. McGarey, The Physician

within Yourself, New York 1987, p.71.

Page 137: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

136

CAPITOLO SESTO

Page 138: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

137

Finalità del trattamento riabilitativo

La finalità di un trattamento riabilitativo non è guidare il paziente, ma aiutarlo a guidarsi da solo. È

importante aiutare il paziente ad uscire da un atteggiamento passivo, facendogli sentire che ha le

risorse per migliorare e portarlo gradualmente ad autogestire il proprio corpo e se stesso secondo le

sue potenzialità.250

Nessuno di noi è necessariamente un pianista o il più bravo nello scalare le montagne e si crea dei

problemi per questo. Tutti noi sappiamo godere delle abilità altrui ed essere sereni. Il paziente

dovrebbe arrivare a vivere il suo deficit senza dover fare un confronto di sé con gli altri o,

addirittura, entrare in competizione con se stesso. Nello stesso tempo è importante che egli possa

raggiungere obiettivi possibili all’interno della sua patologia, questi gli permettono di esprimere i

propri bisogni e lo realizzano.

Nel corso della mia storia professionale ho conosciuto una ragazza con tetraparesi spastica-

distonica che lavora a maglia con le dita dei piedi; una mia amica con la stessa patologia dipinge

con la bocca e organizza mostre dei suoi quadri; un ragazzo con grave distonia e ballismo scrive al

computer utilizzando un casco speciale collegato al capo; una signora con poliartrite reumatoide

realizza dei bellissimi lavori con l’uncinetto e quadri a matita; un ragazzo con tetraparesi distonica

grave frequenta regolarmente la scuola superiore e conduce una vita familiare e sociale serena;

ecc.251

Il paziente non ha bisogno di combattere la ‘spasticità’, ma semplicemente di non attivarla più del

necessario nei tanti momenti della sua giornata in cui può stare bene con se stesso e con gli altri.

Egli, aiutato adeguatamente dal terapista, ‘cambia’ la sua immagine liberandola dai meccanismi

emotivi che lo logorano, arricchendola di nuovi vissuti corporei.252

È importante che il paziente possa sentire il suo corpo in modo nuovo e trovi il “coraggio” di

viverlo: una “grave demotivazione” nasce dal non saper gestire fisicamente ed emotivamente il

proprio corpo, essa può bloccare ogni progresso e sicuramente è all’origine del “problema”.

“Il bambino si deprime quando coglie che tutti intorno a lui sanno come egli dovrebbe fare e che

l’unico a non comprendere come poter fare è proprio lui, ed accresce il suo senso di incapacità e di

impotenza e con esso il suo rifiuto esterno e la sua rinuncia interna. Si aggrava così la paralisi

intenzionale e viene meno il prerequisito fondamentale alla terapia: la volontà di cambiare.”253

250

“Non interessa solo risolvere i problemi presentati dal cliente, ma anche aiutarlo a divenire un individuo autonomo,

capace di avere a disposizione e utilizzare tutte le proprie risorse personali in modo da poter fare da solo terapia a se

stesso, quando necessario. Come terapeuti e formatori di terapeuti, abbiamo osservato che le moderne terapie danno

tuttora troppa importanza agli aspetti ‘curativi’ della terapia (cioè il miglioramento di un particolare problema o

sintomo), e dedicano troppa poca attenzione alla formazione di individui creativi, di persone in grado di generarsi esse

stesse le esperienze di cui hanno bisogno, o che desiderano.” D.Gordon - M. Meyers Anderson, Phoenix. I modelli

terapeutici di Milton H. Erickson, cit., pp. 27. 251

“Crediamo che terapia sia la capacità di guidare il bambino leso ad affrontare i problemi che la crescita man mano

gli propone, sviluppando soluzioni adattive in coerenza con le regole della sua autoorganizzazione (storia naturale),

realizzando la persona con le sue differenze senza imporle la copiatura di irraggiungibili modelli normali.” 251

A. Ferrari

– G. Cioni, Paralisi cerebrali infantili. Storia naturale e orientamenti riabilitativi,cit., p. 32. 252

“'Tra le persone più sane che ho conosciuto, alcune vivono sulla carrozzella o sono state diagnosticate affette da

gravi malattie, altre mancano di denaro e di comodità materiali. Eppure i loro occhi splendono di passione e di obiettivi.

Ridono a volte senza nessuna ragione se non per il semplice piacere di essere in vita. Riconosco quello spirito, almeno a

brevi lampi, in moltissime persone e sento una terribile tristezza per come spesso neghiamo o ignoriamo il nostro

potenziale. Ciascuno di noi può essere più vivo, più creativo, più spontaneo e più sano.

Comunque stiate in questo preciso momento, qualsiasi cosa stiate facendo, potete trovare il modo per realizzare i vostri

sogni, manifesti e segreti. La profonda saggezza del vostro spirito, che è unico e irripetibile, si può esprimere nella

vostra esperienza quotidiana. Qui e ora, potete cominciare a essere più consapevoli e più sani.” S. Shafarman,

Conoscersi è guarire. Le sei lezioni pratiche del Metodo Feldenkrais, cit., P. 194 253

A Ferrari, Proposte riabilitative nelle paralisi cerebrali infantili,cit., p. 91.

Page 139: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

138

Il paziente che vive in tensione è stato tolto dalla sua centratura (Asse) e destabilizzato,

distorcendo l’attitudine naturale. Egli perde la capacità di spaziare tra le varie esperienze (le varie

CM) fissando il suo comportamento in una sola attitudine (patologia, irrigidimento in una catena

muscolare).

La tensione che egli vive si sviluppa in un contesto ed ha il suo significato all’interno di quel

contesto (per questo motivo non va giudicata, ma ristrutturata). Aiutarlo vuol dire riportarlo nel suo

centro, al suo Asse. È un lavoro graduale, delicato, ma deciso.

È possibile fare questo lavoro se anche noi (terapisti) abbiamo vissuto e sentito le difficoltà, le

resistenze, la sensazione di non vivere pienamente perché ci siamo allontanati dall’ascolto di noi

stessi e dalla possibilità di esprimere i nostri bisogni serenamente. 254

Il cammino descritto parte da molto vicino: riascoltare il corpo, le sue sensazioni, le paure, il

desiderio di sentirsi. Rimanere in quest’attitudine d’ascolto è come avere un amico intimo che ci

dice quando ha…..quando abbiamo difficoltà. E lo ringraziamo anche se ci fa soffrire, perché solo

quest’attitudine permette di entrare in contatto con quella parte di noi che dice se ci stiamo

tradendo.

Come dice T. Bertherat perché il corpo ci appartenga bisogna conoscerne desideri e possibilità e

osarli vivere. Solo quando siamo vivi non abbiamo paura di essere ‘conosciuti’, e cerchiamo di

conoscere l’altro, perché sentiamo e conosciamo ciò che l’altro vive e non ci sentiamo schiacciati

da lui.255

Arrivare al PENTAX, simbolicamente e realmente, vuol dire sapere danzare tra le varie CM,

essere flessibili. Avere più scelte nel comportamento può permetterci di adattarci con successo ai

capricci della vita quotidiana, pur mantenendo la propria individualità (il proprio Asse). Vuol dire

accettare tutti i lati oscuri e luminosi di noi stessi, comprenderli (prenderli con noi) e trovare uno

spazio adeguato per la loro espressione. Solo così possiamo incontrare il paziente come compagno

di viaggio, sapremo comprenderlo e creare uno spazio per la sua crescita.

Allora scopriremo che, paradossalmente, non appena il paziente smetterà di lottare per

migliorare, potrà accedere ad una dimensione più ampia del suo corpo. Cesserà la lotta con se

stesso e sarà più libero di vivere altri stati e sensazioni nel suo corpo.

Questo cammino deve essere vissuto prima dal terapista stesso e in questo deve essere guidato a

sua volta. Questo lavoro sulla nostra emotività (vulnerabilità) ci rende un po’ più consapevoli verso

le nostre ‘difficoltà’ e presenti alle ‘difficoltà del paziente’ per poterle gestire con più competenza,

in modo più piacevole e con un po’ d’umorismo. La comprensione di ciò che avviene in noi e

nell’altro toglie drammaticità al modo in cui avevamo imparato a gestire i nostri sentimenti emotivi.

Potremo aiutare il paziente ad accettare se stesso, se anche noi abbiamo imparato ad accettarci.

L’obiettivo di questo lavoro è di indicare una via che ci permetta di migliorare le nostre possibilità

d’approccio in terapia. Io ho descritto la via che ho appreso e sto cercando di applicarla.

Mi rendo conto su me stesso che non è un lavoro semplice. Esso richiede di mettere a nudo le

proprie difese e le proprie resistenze e nasce la sensazione d’essere vulnerabili, ma questi aspetti

agiscono comunque in noi e impediscono di raggiungere i nostri obiettivi (essere Terapista).

Consapevole di questo sto cercando di ‘guardarli in faccia’.

Significa accedere alla consapevolezza: essere presenti al corpo, ai suoi segni, alla sua sensibilità

quale fonte visibile e inscindibile del nostro ‘essere’ dove io-altro è lo specchio di un flusso

continuo della storia e della sua interpretazione. Significa ricostruire il cammino sino alle radici del

segno per abbandonarlo ed arrivare al movimento libero da sovrastrutture, al sentire finalmente se

stesso.

254

“Da qualunque punto si parta per riappropriarsi di sé occorre attraversare un pezzo di strada piena di pericoli. Questi

sono gli ostacoli che abbiamo incontrato e che ci siamo presi per impedirci di sentirci vivi negando certe esperienze, e

certe sensazioni.” T. Bertherat - C. Bernstein, Nuove vie dell’antiginnastica, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1981,

pp. 78. 255

Cfr. T. Bertherat - C. Bernstein, Guarire con l’antiginnastica, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1978.

Page 140: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

139

Molto dipende da quanto siamo disposti a mettere in gioco. Posso comunque assicurare che ogni

piccolo passo rende un po’ più liberi. Tante situazioni e relazioni possono diventare ‘meno

drammatiche’, anche quelle vissute quotidianamente nel rapporto con i miei piccoli e grandi

pazienti.

La possibilità di sperimentare in pratica certe esperienze è fondamentale, poiché solo attraverso il

vissuto concreto si può veramente comprendere la bellezza di trasformare noi stessi. Desidero

rassicurare i terapisti e i pazienti: attraverso questo lavoro si cambia, non nel senso di non essere più

se stessi, ma ci si ristruttura, s’impara a vedere e sentire se stessi e gli altri in modo diverso, più

ampio, più ‘leggero’, ma soprattutto s’impara a vedere e sentire dove di solito non porgiamo

l’attenzione.

Mi rendo conto su me stesso che la semplice conoscenza dei meccanismi tonoco-emozionali non è

sufficiente a risolvere prontamente i problemi emotivi, poiché questi hanno origine nei meccanismi

programmati geneticamente e culturali. Essi sono ereditati dal nostro passato filogenetico e sono

plasmati dalle credenze sociali. Questo lavoro costituisce un primo passo verso una maggiore

consapevolezza. In questa prospettiva esso non è e non può essere completo, ma trova il suo

migliore interlocutore nella Vita stessa. Nel confronto con Lei potremo verificare i nostri intenti ed i

nostri passi.

So bene che questo lavoro è un approccio teorico parziale. Un lavoro che parte dal corpo e dai

suoi vissuti è difficile da esprimere attraverso il linguaggio scritto: i vissuti concreti hanno un altro

‘sapore’ e necessitano di poche parole, la risonanza sa fare brillantemente il resto. Inoltre molti

argomenti richiederebbero una trattazione più estesa, ma desideravo lo stesso condividere la mia

ricerca.

Per approfondire alcuni aspetti rimando ai lavori degli autori che ho citato verso i quali sono molto

grato. Chiedo Loro anticipatamente scusa se alcuni argomenti sono stati trattati in modo parziale o

modificati rispetto agli insegnamenti originari ricevuti. Ho cercato di prendere ciò che ritenevo più

attinente all’argomento.

Ricordo la prima lezione sulle CM fatta da Madlene Feyter. Ella affermò che noi tutti siamo

dei RICEVITORI, dei TRASFORMATORI e degli EMETTITORI. Consapevole di questo,

spero che ciò che ho scritto s’inserisca nella volontà comune di aiutare sempre meglio e

sempre più l’altro e se stessi. Si perdonino le inevitabili mancanze che posso aver fatto. “La

presunzione di avere qualche cosa da dire in questo difficile ambito è peccato di molti;

l’incoscienza di farlo, raccogliendo le proprie idee in un testo e proponendole agli altri, è

merito purtroppo di pochi. Il più delle volte infatti le osservazioni, le intuizioni, le vere e

proprie scoperte, di quanti, medici e terapisti, sono quotidianamente impegnati nel difficile

compito di riabilitare il bambino con PCI sono destinate a scomparire o a restare un

patrimonio riservato per la difficoltà e un pò per la fatica di raccoglierle, elaborarle e renderle

accessibili agli altri.

Peccato, perché è dal quotidiano pensare - provare - riflettere di chi lavora sul campo che sono

giunti fino ad oggi i più importanti contributi al progresso delle conoscenze in campo

riabilitativo.”256

Questo lavoro è rivolto ai terapisti e agli operatori che vivono quotidianamente in contatto con i

loro pazienti. Esso è rivolto anche e soprattutto a quest’ultimi poiché sono loro lo ‘scoglio’ e la

‘necessità’ di superarlo ed è questa tensione che ci fa crescere.

256

A Ferrari, Proposte riabilitative nelle paralisi cerebrali infantili,cit., p. 9.

Page 141: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

140

FARE E NON FARE

Abbiamo imparato molte cose e verrà il tempo per assaggiarle, gustarle, digerirle e farle proprie

buttando via ciò che non serve. Voglio ricordare che questo cammino può essere fatto in due modi: imparare le parole, le idee, le immagini e

iniziare ad usarle. Questo modo si chiama FARE. Siamo padroni della tecnica, abbiamo capito, e useremo C.M,

indicatori fisiologici, Aptonomia, prolungamento, ecc. in modo didattico cercando di guidare il paziente.

Poi lentamente questi concetti scenderanno in noi….si sposeranno con l’immagine del paziente…. saremo in crisi.

Non ci sentiremo più terapisti poiché anche le metodiche spariranno. Ci ritroveremo a creare uno

spazio e il bambino si muoverà da solo: il movimento sarà proposto in un altro modo e verrà

magicamente fuori.

Scopriremo di avere modificato il nostro linguaggio ed il corpo in relazione al paziente, pur

mantenendo la propria identità. Lo sentiremo vicino, lo capiremo e, se occorre, litigheremo con lui.

Capiremo che le difficoltà non ci bloccano, ma sono il segnale di una nuova lezione, di cose da

scoprire, di nuove possibilità d’apprendere.

Ci accorgeremo di gestire noi stessi e i nostri sintomi in modo diverso. Potremo dire a noi stessi

cosa abbiamo bisogno e parlare con noi stessi.

Questo si chiama NON FARE.

Page 142: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

141

Post Scriptum

Padre V. Sorce mi ha chiesto di scrivere un libro utilizzando gli appunti personali del

seminario teorico pratico svolto in Brasile su: “Catene Muscolari e approccio terapeutico”. Il

compito è stato difficile perché la maggior parte del materiale era composto da appunti sparsi,

letture, lezioni del prof. Lerminiaux, riflessioni sul lavoro quotidiano con i miei piccoli e grandi

pazienti, ma anche intuizioni, sensazioni ed immagini ben precise ma difficili da descrivere.

Infine ho accettato perché questo lavoro mi aiuta a comprendere meglio le basi teorico-pratiche

sulle quali fondo il mio lavoro. In questo mi rispecchio nel pensiero e nel sentire di uno dei miei

compagni di viaggio: “Ma questo corpo-ricerca, questocorpoprotagonista può solamente essere

conosciuto attraverso l’azione ed il «vissuto diretto». E forse vale la pena di creare opportunità a

che altri possano ri-scoprirlo per se stessi.

Ma ogni tentativo di trasferire il linguaggio del corpo in altri linguaggi, ad esempio quello

scritto, è certamente una forzatura, spesso un arbitrio destinato a produrre fenomeni estranei

all’essenza del corpo, come il mito ed il feticcio. Questo è un rischio: dobbiamo esserne

consapevoli.

Ma capisco che la socializzazione delle mie riflessioni può essere un modo per arricchire,

ampliare, rimodificare, insomma per crescere con i contributi che posso ricavarne dai feed-back

positivi e negativi e dal confronto con gli altri.

E arrivo così alla serena decisione di continuare e concludere il lavoro iniziato.”257

Il quotidiano contatto con i pazienti ha sempre messo in crisi la mia immagine. Sono loro che

mi permettono di verificare concretamente le teorie, le aspettative, i desideri. Sono loro che mi

permettono di colmare il divario tra questi e la realtà ricordandomi sempre che la guida non è e

non deve essere la teoria o l’aspettativa ma la loro realtà, il loro modo di essere fisico-psichico-

emozionale.

Nel contatto e nel dialogo ho scoperto, nel loro corpo e nel mio, memorie e vissuti più profondi

del semplice movimento. Dietro ogni gesto si nasconde amore e odio, gioia e dolore, tristezza e

felicità, piacere e sofferenza, giusto e sbagliato, speranze, coraggio, disperazione, generosità,

complicità e tutto ciò che rende la Vita degna di essere vissuta. Cercare di capire come tutto

questo da forza oppure la toglie ad un gesto è una sfida ed una ricerca continua. In questo

senso i miei piccoli e grandi pazienti sono i migliori maestri.

Voglio ringraziarli perché spesso con il loro esempio mi hanno aiutato a crescere. Tante

volte aiutandoli ho dimenticato i miei problemi, e questo è il più grande dono che posso

ricevere.

Sono consapevole che il lavoro non è sempre lineare. Alcune volte i concetti si ripetono ed in

alcuni momenti ho utilizzato un linguaggio emozionale, ma ciò che ho voluto trasmettere è una

ricerca personale, fatta di vissuti, studi, seminari ed intuizioni. Qualche volta comprendo di non

essere riuscito a descrivere pienamente quello che sento.

La mia vuole essere la semplice condivisione di un’esperienza avvincente. Essa mi aiuta a

comprendere molti aspetti di me stesso e degli altri, ed ha spostato il mio modo di vedere la

realtà in una dimensione più ricca e piena, ma soprattutto più efficace nel mio lavoro.

257

C. Romano, Corpo itinerario possibile. Una metodologia di formazione per gli insegnanti, cit., p. 12.

Page 143: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

142

BIBLIOGRAFIA

ACERBO I. – ARENA F., L’evoluzione dell’individuo e l’interazione con l’ambiente. Linee di

psicologia sociale e di psicologia applicata,Editrice Canova, Treviso 1997.

AJURIAGUERRA J., Manuale di psichiatria del bambino, Masson Italia Editori, Milano 1979.

ALON R., Guida pratica al metodo Feldenkrais, Edizioni red./studio redazionale, Como 1992.

ALON R., Vincere il mal di schiena con il metodo Feldenkrais, Edizioni red./studio redazionale,

Como 1993.

ANDREAS C. - ANDREAS T., I nuclei profondi del Sé. In viaggio verso se stessi, Casa Editrice

Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma 1995.

ANGELA P., L’uomo e la marionetta, Garzanti Editore, Milano 1981.

ATTENBOROUGH D., La vita sulla Terra, RCS Rizzoli Libri S.p.A., Milano 1986.

BANDLER R. - GRINDER J., La struttura della magia, Casa Editrice Astrolabio-Ubaldini Editore,

Roma 1981.

BANDLER R. - GRINDER J., La ristrutturazione. La programmazione neurolinguistica e la

trasformazione del significato, Casa Editrice Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma 1983.

BANDLER R. - GRINDER J., Ipnosi e trasformazione. La programmazione neurolinguistica e la

struttura dell’ipnosi, Casa editrice Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma 1983.

BATESON G., Verso un’ecologia della mente. Adelphi Edizioni S.p.A., Milano 1976.

BERTHERAT T. - BERNSTEIN C., Guarire con l’antiginnastica. Arnoldo Mondatori Editore

S.p.A., Milano 1978.

BERTHERAT T. - BERNSTEIN C., Nuove vie dell’antiginnastica. Arnoldo Mondatori Editore

S.p.A., Milano 1981.

BERTHERAT T., La tigre in corpo. Arnoldo Mondatori Editore S.p.A., Milano 1990.

Page 144: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

143

BOSCAINI F., La triade handicappata: il ‘diverso’, la famiglia, la società. Analisi e problematiche

psico-pedagogiche-riabilitative. Libreria Universitaria Editrice, Verona 1981.

BOTTOS M., Paralisi cerebrale infantile. Diagnosi precoce e trattamento tempestivo. Ghedini

Editore, Milano 1987.

BURBATTI G. - CASTOLDI I., Psicoterapia individuale sistemica. Città Studi, Milano 1998.

CAMPO C., L’orecchio e i suoni fonti di energia. Il metodo Tomatis, Edizioni Riza, n.74, Milano

1993.

CAPRA F., Il punto di svolta. Scienza, società e cultura emergente. Giangiacomo Feltrinelli Editore

(Universale Economica), Milano 1995.

CHOPRA D., Guarirsi da dentro. Sperling & Kupfer Editori S.p A., Milano 1992.

DEGEHET A., Il metodo Feldenkrais, in “Solidarietà”, (1996), n. 28, pp. 11 - 30.

ERICKSON M., La comunicazione mente-corpo in ipnosi,a cura di E. Rossi e M. Ryan, Volume

III,

Casa Editrice Astrolabio – Ubaldini Editore, Roma 1988.

FELDENKRAIS M., Conoscersi attraverso il movimento. Celuc Libri, Milano 1978.

FELDENKRAIS M., Il metodo Feldenkrais. Edizioni red/studio redazionale, Como 1991.

FELDENKRAIS M., Le basi del metodo. Per la consapevolezza dei processi psicomotori, Casa

Editrice Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma 1991.

FERRARI A. – CIONI G., Paralisi cerebrali infantili. Storia naturale e orientamenti riabilitativi,

Edizioni del Cerro, Tirrenia (Pisa) 1993.

FERRARI A., Proposte riabilitative nelle paralisi cerebrali infantili, Edizioni del Cerro, Tirrenia

(Pisa) 1997.

HALEY J., Cambiare gli individui. Conversazioni con Milton H. Erickson, Casa editrice

Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma 1987.

GEETS C., Winnicott, Editore Armando Armando, Roma 1983.

GOBBI G., Processi psicoaffettivi all’inizio della vita,in “Ricerche e Studi in Psicologia del Corpo

e

Page 145: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

144

in Psicomotricità” , (2001), anno XI – n. 3, pp. 2 - 5.

.

GOLEMAN D., Intelligenza emotiva, RCS Libri S.p.A., (BUR Saggi), Milano 1999.

GORDON D. - MERIBETH MEYERS A., Phoenix. I modelli terapeutici di Milton H.

Erickson. Casa Editrice Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma 1984.

GORDON D., Metafore terapeutiche, modelli e strategie per il cambiamento. Casa Editrice

Astrolabio- Ubaldini Editore, Roma 1992.

JUNG C. G., Il problema dell’inconscio nella psicologia moderna, Einaudi, Torino 1959.

JUNG C. G., Ricordi, sogni, riflessioni di C. G. Jung, Rizzoli Editore, Milano 1979, p. 172.

LATTUADA P., Massaggio d’amore, Gruppo Editoriale Muzzio, Padova 1989

LAPIERRE A. – AUCOUTURIER B., La simbologia del movimento, Edipsicologiche, Cremona.

LAPIERRE A. – AUCOUTURIER B, Bruno, Editore Armando Armando, Roma 1981.

LEDOUX J., Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni, Baldini&Castoldi s.r.l., Milano

1999.

LERMINIAUX J., Gli organizzatori dello psichismo, Istituto Mediterraneo per la Formazione,

Ricerca, Terapia e Psicoterapia, dispensa prodotta per i docenti del corso triennale Psicomotricisti

ed Educatori Professionali, Caltanissetta (1991-1993).

LERMINIAUX J.,Guida al dialogo non verbale nella seduta terapeutica, in “Solidarietà”, (1996),

n. 25, pp. 62-69.

LERMINIAUX J., L’approccio psico-somatico, in “Solidarietà”, (1996), n. 28, pp. 41-82.

LURIA A. L., Come lavora il cervello. Introduzione alla neuropsicologia, Società Editrice il

Mulino, Bologna 1977.

MACLEAN P. D., The Triune Brain in Evolution: Role in Paleocerebral Function, Plenum, New

York 1990.

MALTZ M., Psicocibernetica, Casa Editrice Astrolabio- Ubaldini Editore, Roma 1965.

MASTERS R., Neurospeak. Le parole che trasformano la mente e guariscono il corpo, Gruppo

Editoriale Armenia, Pan, Geo S.p.A., Milano 1996.

Page 146: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

145

MOLE’ G., Riabilitazione: “Un nuovo modo di sentire”, in “Solidarietà”, (1995), n.22, pp.

59-65.

MOLE’ G., Il linguaggio della malattia, in “Solidarietà”, (1995), n.23, pp. 76-82.

MOLE’ G.,Il linguaggio dimenticato, in “Solidarietà”, (1995), n..24, pp. 73 – 79.

MONTAGU A., Il linguaggio della pelle, Garzanti Editore s.p.a., Milano 1989.

OLIVIERO A., L’evoluzione del cervello. I labirinti dell’intelligenza biologica, in “Scienza e

Dossier”, n.8, Giunti Brbera, Firenze 1986.

PERFETTI C., Condotte terapeutiche per la rieducazione motoria dell’emiplegico, Ghedini

Editore, Milano 1986.

PIERRO M. - GIANNARELLI P. - RAMPOLDI P., Osservazione clinica e riabilitazione precoce,

Edizioni del Cerro, Tirrenia (Pisa) 1984.

PINNERI R. - RUIU M. - VERONA S., La Programmazione Neurolinguistica, Xenia Edizioni,

Milano 1998.

REICH W., La funzione dell’orgasmo, SugarCo Edizioni, Milano 1961.

RIZZOLATTI G., Uno specchio nella mente, in “Quark”, Rusconi Editore, (2001), n.7. pp. 60-66.

ROGERS C. R.,Un modo di essere. I più recenti pensieri dell’autore su una concezione di vita

centrata - sulla - persona, Psycho di G. Martinelli & C., Firenze 1983.

ROLF I., Il rolfing e la realtà fisica, Casa Editrice Astrolabio, Roma 1996.

ROMANO C., Corpo itinerario possibile. Una metodologia di formazione per gli insegnanti,

Giunti & Lsciani Editori, Teramo 1988.

ROSSI E. L., Psychobiology of mind. Body healing, New York 1986.

SCHULTZ J. H., Il training autogeno.metodo di autodistensione da concentrazione psichica. Vol. I

– Esercizi inferiori, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 1981.

SCHULTZ J. H., Il training autogeno.metodo di autodistensione da concentrazione psichica. Vol.II

–Eesercizi superiori. Teoria, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 1981.

SHAFARMAN S., Conoscersi è guarire. Le sei lezioni pratiche del metodo Feldenkrais, Casa

Editrice Astrolabio- Ubaldini Editore, Roma 1997.

SPITZ R. A., Il primo anno di vita, Editore Armando Armando, Roma 1975.

Page 147: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

146

STRUYF G., Les Chaines Muscolaires et Articulaires, Diffusion. ICTGDS, asbl Rue de la Cambre

227, 1150 Bruxelles, 1987.

VYGOTSKIJ L. S., Storia dello sviluppo delle funzioni psichiche superiori e altri scritti,

Giunti_Barbera, Firenze 1974.

WATZLAWICK P. - HELMICK BEAVIN J. - JACKSON DON D., Pragmatica della

comunicazione umana, Casa Editrice Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma 1971.

WATZLAWICK P. - WEAKLAND J. H. - FISCH R., Change. Sulla formazione e la soluzione dei

problemi, Casa Editrice Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma 1974.

Page 148: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

147

INDICE

Ringraziamenti

Introduzione

Obiettivo

Capitolo primo…………………………………………………………………………. Pag.8

Un genitore…i genitori

Il bambino

Un terapista

Capitolo secondo………………………………………………………………………. Pag.18

Sintesi degli studi sull’emotività

Riflessioni sulla filogenesi ed ontogenesi

L’uomo e l’emotività

Capitolo terzo…………………………………………………………………………… Pag. 49

Storia delle catene muscolari

La scaletta delle emergenze

Programmazione Neurolinguistica

Ristrutturazione

Programma mentale e comportamento

Aptonomia

Prolungamento

Conoscersi attraverso il movimento

Capitolo quarto…………………………………………………………………………. Pag.78

Il muscolo parte di un tutto

Metafora-la Creazione

Processo interno-stato interno

Metafora-l’indio

Il punto di vista

Metafora-il monaco girovago

Tre livelli dell’essere

Il sintomo e la deconnessione

Risonanza

L’esperienza della notte dei mammiferi

Torsione-comportamento-risorsa

I sintomi e la ristrutturazione

Metafora-tempi di guerra

Page 149: L'approccio tonico- emozionale in terapia Molè Giovanni

148

La vulnerabilità e la consapevolezza

La religione del “cretino”

Metafora-il cieco

Empatia e le catene muscolari

Capitolo quinto………………………………………………………………………… Pag. 108

Riflessioni sulla diagnosi

Approccio alla patologia

Terapia

Presenza-trasparenza-prudenza

Il blocco (torsione)

Quale approccio

Riflessioni sulla terapia

La formazione del terapista

Momenti dell’approccio tonico-emozionale

Capitolo sesto…………………………………………………………………………. Pag.136

Finalità del trattamento riabilitativo

Fare- non fare

Post-scriptum

Bibliografia…………………………………………………………………… ……………Pag.142