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Poesie, testi e film per l’orientamento Testi di Eliot, Gibran, Neruda, Saba. Il film ‘Vado a scuola’ di Pascal Plisson Attività realizzata nella classe 3 A (ottobre 2017) Parte prima: poesie sul lavoro

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Poesie, testi e film per l’orientamento Testi di Eliot, Gibran, Neruda, Saba. Il film ‘Vado a scuola’ di Pascal PlissonAttività realizzata nella classe 3 A (ottobre 2017)

Parte prima: poesie sul lavoro

Thomas Sterns Eliot, Il LAVORO

In luoghi abbandonatiNoi costruiremo con mattoni nuoviVi sono mani e macchineE argilla per nuovi mattoniE calce per nuova calcinaDove i mattoni son cadutiCostruiremo con pietra nuovaDove le travi son marciteCostruiremo con nuovo legnameDove parole non son pronunciateCostruiremo con nuovo linguaggioC’è un lavoro comuneUna Chiesa per tuttiE un impiego per ciascunoOgnuno al suo lavoro.

T. S. Eliot, I DISOCCUPATI

Nessuno ci ha offerto un lavoroCon le mani in tascae il viso bassostiamo in piedi all'apertoe tremiamo nelle stanze senza fuoco.Solo il vento si muove

sui campi vuoti, incolti,dove l'aratro è inerte, messo di traversoal solco. In queste terraci sarà una sigaretta per due uomini,per due donne soltanto mezza pintadi birra amara. In questa terranessuno ci ha offerto un lavoro.La nostra vita non è bene accetta, la nostra mortenon è citata dal "Times".

Kalhil Gibran, IL LAVORO

Allora un contadino disse:Parlaci del Lavoro.

E lui rispose dicendo:Voi lavorate per assecondare il ritmo della terra e l’anima della terra.Poiché oziare è estraniarsi dalle stagioni e uscire dal corso della vita,

che avanza in solenne e fiera sottomissione verso l’infinito.

Quando lavorate siete un flautoattraverso il quale il sussurro del tempo si trasforma in musica.Chi di voi vorrebbe essere una canna silenziosa e mutaquando tutte le altre cantano all’unisono?

Sempre vi è stato detto che il lavoro è una maledizione e la fatica una sventura.Ma io vi dico che quando lavorate esaudite una parte del sogno più remoto della terra,che vi fu dato in sorte quando il sogno stesso ebbe origine.Vivendo delle vostre fatiche,voi amate in verità la vita.E amare la vita attraverso la fatica è comprenderne il segreto più profondo.

Ma se nella vostra pena voi diteche nascere è dolore e il peso della carne una maledizione scritta sulla fronte,allora vi rispondo:tranne il sudore della fronte niente laverà ciò che vi è stato scritto.

Vi è stato detto che la vita è tenebree nella vostra stanchezza voi fate eco a ciò che è stato detto dagli esausti.E io vi dico che in verità la vita è tenebre fuorché quando è slancio,E ogni slancio è cieco fuorché quando è sapere,E ogni sapere è vano fuorché quando è lavoro,E ogni lavoro è vuoto fuorché quando è amore;E quando lavorate con amore voi stabilite un vincolo con voi stessi,con gli altri e con Dio.

E cos’è lavorare con amore?È tessere un abito con i fili del cuore,come se dovesse indossarlo il vostro amato.È costruire una casa con dedizione come se dovesse abitarla il vostro amato.È spargere teneramente i semi e mietere il raccolto con gioia,come se dovesse goderne il frutto il vostro amato.È diffondere in tutto ciò che fate il soffio del vostro spirito,E sapere che tutti i venerati morti stanno vigili intorno a voi.

Spesso vi ho udito dire, come se parlaste nel sonno:“Chi lavora il marmo e scopre la propria anima configurata nella pietra,è più nobile di chi ara la terra.

E chi afferra l’arcobaleno e lo stende sulla tela in immagine umana,è più di chi fabbrica sandali per i nostri piedi”.Ma io vi dico,non nel sonno ma nel vigile e pieno mezzogiorno,il vento parla dolcemente alla quercia gigante come al più piccolo filo d’erba;E che è grande soltanto chi trasforma la voce del vento in un canto reso più dolce dal proprio amore.

Il lavoro è amore rivelato.E se non riuscite a lavorare con amore,ma solo con disgusto, è meglio per voi lasciarlo e,seduti alla porta del tempio,accettare l’elemosina di chi lavora con gioia.Poiché se cuocete il pane con indifferenza,voi cuocete un pane amaro,che non potrà sfamare l’uomo del tutto.E se spremete l’uva controvoglia,la vostra riluttanza distillerà veleno nel vino.E anche se cantate come angeli,ma non amate il canto,renderete l’uomo sordo alle voci del giorno e della notte.

 

Khalil Gibran ( جبران خليل o جبران Jibrān Khalīl Jibrān) (Bsharri, 6 gennaio 1883 – New York, 10 aprile 1931) è stato un poeta, pittore e filosofo libanese.

Libanese di religione cristiano-maronita emigrò negli Stati Uniti; le sue opere si diffusero ben oltre il suo paese d’origine: fu tra i fondatori, insieme a Mikha’il Nu’ayma, dell’Associazione degli scrittori, punto d’incontro dei letterati arabi emigrati in America. La sua poesia venne tradotta in oltre 20 lingue, e divenne un mito per i giovani che considerarono le sue opere come breviari mistici. Gibran ha cercato di unire nelle sue opere la civiltà occidentale e quella orientale. Fra le opere più note: “Il Profeta” e “Massime spirituali”.

Pablo Neruda, ODE AL MURATORE TRANQUILLO

Il muratoredispose

i mattoni.Mescolò la calce, lavorò

con sabbia.

Senza fretta, senza parole,fece i suoi movimenti

alzando la scala,livellandoil cemento.

Omeri rotondi, sopraccigliasopra degli occhi

seri.

Lento andava e venivanel suo lavoro

e dalla sua manola materiacresceva.

La calce coprì i muri,una colonna

alzò il suo lignaggio,i soffitti

impedirono la furiadel sole esasperato.

Da una angolo all’altro andavacon

tranquille maniil muratore

spostandomateriali.E alla fine

dellasettimana,le colonne,

l’arco,figli di

calce, sabbia,sapienza e mani,

inauguraronola semplice fermezza

e la freschezza.

Ahi, che lezionemi dette col suo lavoroil muratore tranquillo!

(Amedeo Trevellin intento alla pavimentazione di fronte a palazzo Moroni, Padova-foto da rivista anni ’80)

Pablo Neruda, ODE AL RICERCATORE

C'è un uomonascosto,guarda

con un solo occhiodi ciclope efficiente,sono cose minuscole,

sangue,gocce d'acqua,

e scrive o conta,la nella goccia

circola l'universola Via Lattea trema

come un piccolo fiume,l'uomo guarda

e annota,nel sangue punti rossi,

vaganti pianeti

o invasionidi favolosi reggimenti bianchi,

l'uomo col suo occhio

annota,descrive...

scopre un centro

una minaccia,un puntospezzato,

un alone nero,lo identifica, trovail suo prontuario ,

ormai non può sfuggire,

e prestonel tuo corpo infurierà la caccia,

la guerrainiziata nell'occhio

del ricercatore:sarà di notte, accantoalla madre la morte,

accanto al bimbo le alidell'invisibile terrore,

la battaglia nella piaga,tutto

è cominciatocon l'uomo

e col suo occhioche cercava

nel cielonel sangue

una stella maligna.E là col camice bianco

continuaa cercareil segno,

il numero,il colore

della morteo della vita,decifrandoil tessuto

l'insegna della febbre

o il primo sintomodell'umano sviluppo,

E poilo scopritoresconosciuto,

l'uomoche ha viaggiato nelle tue vene

o ha denunciatoun viaggiatore di frodo

a sud o a norddelle tue viscere,

il temibileuomo con occhio

prende il cappello dall'attaccapanni,se lo mette,

accende una sigaretta,ed entra nella via,

si muove, s'allontana,si sparge nelle strade,

si mescola al folto della gente,e infine scompare

come il drago,il minuscolo e circolante mostro

ch'è rimasto là dimenticatoin una goccia nel laboratorio.

da Poesie (Traduzione D. Puccini)

In "Ode al ricercatore" Pablo Neruda esalta il lavoro dello scienziato che esplorando i vari segreti della natura offre un grande contributo al progresso dell'umanità.

Pablo Neruda nelle sue poesie canta le cose più semplici e umili della realtà; osserva e descrive gli aspetti modesti e quotidiani della vita. Lo scienziato paziente e silenzioso cerca di combattere ciò che tormenta l'umanità e cerca di capire cosa provoca tanto male negli uomini. L'autore ci presenta il ricercatore nei vari momenti del suo lavoro per farci capire l'importanza e la difficoltà del suo operato; egli è chiuso nel suo laboratorio e come un ciclope osserva al microscopio con un solo occhio trovando nella goccia di sangue le stesse caratteristiche di armonia possedute dall'universo. Osserva e prende appunti: le molecole somigliano a costellazioni e pianeti, mentre i movimenti dei corpuscoli sembrano percorsi di stelle e minacce di invasione. Lo scienziato vede i globuli rossi e i globuli bianchi che vengono paragonati dall'autore a degli eserciti minacciosi per il fatto che il loro proliferare genera svariate malattie; l'occhio del ricercatore è molto attento e se trova qualcosa di strano porta subito l'uomo alla lotta contro l'elemento che potrebbe portare la malattia.

In questi primi versi il poeta sottolinea l'attenzione e la velocità dello scienziato intento a trovare piccoli segni negativi nel minor tempo negativo per porvi subito rimedio; si nota inoltre l'amore che mette il ricercatore, con la sua estrema pazienza, nel suo lavoro per aiutare in un futuro i suoi simili, come un soldato che vigila con attenzione per respingere l'attacco del nemico.

Con le parole "invasioni e reggimenti" Neruda evidenzia il fatto che il lavoro dello scienziato è una lotta contro le malattie e la morte. Dopo che lo scienziato ha trovato le cause della malattia, comincia la cura del paziente che se ha un buon esito porta il paziente alla salute e tutto ciò è merito del ricercatore che con la sua bravura e pazienza ha allontanato la malattia e la morte.

(da: http://doc.studenti.it/download_2/d32bed6b_1.html)

Umberto Saba, DISOCCUPATO

Dove sen va cosí di buon mattino quell’uomo al quale m’assomiglio un poco?Ha gli occhi volti all’interno, la faccia sí dura e stanca. 

Forse cantò coi soldati di un’altra guerra, che fu la guerra nostra. Zitto egli sen va, poggiato al suo bastone e al suo destino,

tra gente che si pigia in lunghe file alle botteghe vuote. E suona la cornetta all’aria grigia dello spazzino.

Parte seconda: testi sul lavoro

Cos’è il lavoro

Dalla lettera enciclica Laborem exercens del sommo ponteficeGiovanni Paolo II (1981) 

L'uomo, mediante il lavoro, deve procurarsi il pane quotidiano e contribuire al continuo progresso delle scienze e della tecnica, e soprattutto all'incessante elevazione culturale e morale della società, in cui vive in comunità con i propri fratelli. E con la parola «lavoro» viene indicata ogni opera compiuta dall'uomo, indipendentemente dalle sue caratteristiche e dalle circostanze, cioè ogni attività umana che si può e si deve riconoscere come lavoro in mezzo a tutta la ricchezza delle azioni, delle quali l'uomo è capace ed alle quali è predisposto dalla stessa sua natura, in forza della sua umanità. Fatto a immagine e somiglianza di Dio stesso nell'universo visibile, e in esso costituito perché dominasse la terra, l'uomo è perciò sin dall'inizio chiamato al lavoro. Il lavoro è una delle caratteristiche che distinguono l'uomo dal resto delle creature, la cui attività, connessa col mantenimento della vita, non si può chiamare lavoro; solo l'uomo ne è capace e solo l'uomo lo compie, riempiendo al tempo stesso con il lavoro la sua

esistenza sulla terra. Così il lavoro porta su di sé un particolare segno dell'uomo e dell'umanità, il segno di una persona operante in una comunità di persone; e questo segno determina la sua qualifica interiore e costituisce, in un certo senso, la stessa sua natura.

Il lavoro nella costituzione italiana

Alla persona che presta il lavoro la Repubblica italiana riconosce e garantisce diritti inviolabili, anche e soprattutto nella dimensione lavorativa (art. 2 Cost.). Il lavoro è considerato valore fondativo della Repubblica (art. 1 Cost.), nonché status attraverso il quale si realizza la partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese (art. 3, co. 2 Cost.). La carta costituzionale riconosce inoltre nel lavoro un «diritto», da un lato, e un «dovere», dall’altro; la Repubblica si impegna, infatti, a promuovere le condizioni di effettività del «diritto al lavoro», che riconosce a tutti i cittadini (art. 4, co. 1, Cost.), ma al contempo, cristallizza il lavoro come un «dovere», di scegliere e svolgere un’attività o una funzione, concorrendo così al progresso materiale e spirituale della società secondo le proprie possibilità (art. 4, 2° co., Cost.). La Costituzione contiene altresì un gruppo di norme dei rapporti economici, collocate nel titolo III, concernenti la disciplina di interessi ed esigenze dei lavoratori ritenuti di particolare rilevanza. L’art. 35 attribuisce alla Repubblica il compito di tutelare il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni, di curare la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori, di promuovere gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. L’art. 36 stabilisce una norma di importanza fondamentale nella disciplina lavoristica in genere, fissando i principi di sufficienza e proporzionalità della retribuzione, e riconosce altresì al

lavoratore il diritto irrinunciabile al riposo settimanale e alle ferie annuali retribuite. L’art. 37 accorda alle lavoratrici gli stessi diritti dei lavoratori dell’altro sesso – sottolineando anche l’esigenza di far sì che possano attendere alle funzioni famigliari, di mogli e di madri – e rinvia alla legge la fissazione dell’età minima per il lavoro salariato, nonché il compito di tutelare «il lavoro dei minori con speciali norme e garantire ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione». L’art. 38 concerne gli istituti e i diritti all’assistenza e alla previdenza dei cittadini inabili al lavoro e sprovvisti di mezzi e in particolare dei lavoratori colpiti da eventi che fanno cessare la possibilità di svolgere attività retribuita. Di importanza particolare in materia lavoristica e ancor più sindacale, sono gli art. 39 e 40, che fissano i principi della libertà sindacale e del diritto allo sciopero. La disposizione sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende (art. 46) è di fatto rimasta sulla carta, non essendo state mai emanate le leggi che avrebbero dovuto stabilire «i modi» e «i limiti» di tale partecipazione, fatta eccezione per alcuni diritti sindacali in materia di informazione e consultazione (per es., per il trasferimento di azienda e per il licenziamento collettivo), riconosciuti però ai sindacati e non ai lavoratori (come prescrive la norma costituzionale).

(da; http://www.treccani.it/enciclopedia/lavoro-diritto-costituzionale/)

Parte terza: il film ‘Vado a scuola’

“Vado a scuola”: un film da vedere, soprattutto per le scuole

di Cristina Lacava

Non pensate alla solita storia caramellosa e strappalacrime, studiata a tavolino per colpire al cuore gli occidentali ricchi (forse). “Vado a scuola” è un film bello, dove i bambini sono i protagonisti assoluti, con le loro voci e le loro storie, senza inutili commenti fuori campo. Commuove, certo, come è giusto che sia, ma senza facili scorciatoie. Al festival di Locarno, dov’è stato presentato l’ultima sera, ha avuto gran successo. Da noi arriva nei cinema il 26, chissà. Io spero che lo vedano in tanti, adulti e bambini, con e senza gli insegnanti.

“Vado a scuola” racconta come 4 ragazzi, tra gli 11 e i 13 anni, in 4 angoli sperduti della terra affrontino ogni giorno ore di cammino, a rischio della loro stessa vita, pur di arrivare a scuola. E come lo facciano sempre con il sorriso sulle labbra, consapevoli di quanto l’istruzione sia la loro grande, irripetibile possibilità. Le storie si intrecciano, i bambini non sono mai in posa, ma ripresi “al naturale” nei loro dialoghi con i familiari. Nessuno di loro aveva mai visto una troupe, naturalmente, e per essere ripresi hanno chiesto solo di non essere disturbati e non perdere neanche un’ora di lezione.

Si parte con Jackson, Kenya: è il bambino più a rischio perché ogni mattina fa 15 chilometri di corsa, in mezzo alla savana, trascinandosi dietro la sorellina. Per arrivare a scuola deve superare una zona piena di animali selvaggi, soprattutto i temibili elefanti. Il pericolo è noto; ogni anno 4-5 bambini della sua scuola vengono uccisi lungo il percorso mattutino, e appena si entra in classe il maestro fa l’appello per essere sicuro che tutti gli alunni siano arrivati sani e salvi. Nella scuola non c’è l’acqua potabile, e tutti devono portarsi dietro una tanichetta. Ma le difficoltà non scoraggiano Jackson che corre per arrivare puntuale: nel giorno in cui lo segue il documentario, spetta a lui l’alzabandiera del mattino. E ci tiene

tantissimo a fare bella figura. Così come ci tiene a presentarsi in ordine; nella prima scena del documentario, si vede proprio Jackson che lava la sua divisa in una buca nel terreno.

Poi c’è Carlito, in Patagonia, che ogni mattina si fa 25 km a cavallo con la sorellina e supera le montagne (i paesaggi sono straordinari). Nella prima parte è solo; poi si incontra con altri ragazzi, anche loro a cavallo. Quando arrivano a scuola, ciascuno parcheggia il suo, come se fosse un motorino. Da grande, dice Carlito, vorrà restare nella sua terra e fare il veterinario, mentre la sorella sogna di diventare maestra.

La storia forse più commuovente è quella di Samuel, 11 anni, che vive con i fratelli più piccoli in un villaggio sul golfo del Bengala. Samuel è disabile e per portarlo a scuola i fratellini devono spingerlo per un’ora e mezza su una carrozzina sgangherata che rischia di perdere i pezzi (e infatti una ruota si sgonfia). Ma il momento più bello è quando i due più piccoli lasciano Samuel davanti alla scuola media, dove lo pettinano e lo accarezzano con un affetto che fa stringere il cuore. E dopo un ultimo bacio lo lasciano ad altri ragazzini, che lo accolgono con un entusiasmo che dovrebbe essere di lezione a tanti. Proprio Samuel, il diverso, è il compagno più amato e la sua presenza in classe arricchisce gli altri

Ma a me ha colpito di più una ragazzina, Zahira, che vive in una comunità berbera tra le montagne dell’Atlante, in Marocco. Zahira è in gamba; mentre le sue sorelle a 13 anni sono già sposate e i fratelli si occupano del bestiame, lei è l’unica che ha il grande privilegio di poter studiare. Glielo spiega la nonna, analfabeta, e la ragazzina annuisce, orgogliosa e consapevole. Ogni lunedì Zahira con due amiche si fa 4 ore a piedi, lungo sentieri impervi, per arrivare nella città dove c’è il collegio che

le ospita fino al venerdì. Lungo la strada qualche volta riescono ad avere un passaggio, altre no: un anziano per esempio si rifiuta di dare uno strappo alle bambine che vanno a scuola. Loro però non si scoraggiano, anche quando una si fa male alla caviglia e non può proseguire. Sono forti, entusiaste, allegre e se ne infischiano dei pregiudizi, grazie anche alle famiglie che le appoggiano.

E questo vale anche per gli altri: i quattro ragazzi non affronterebbero quei sacrifici, quei pericoli, se i genitori, pur poverissimi e ignoranti, non li aiutassero. Sono sorridenti e fiduciosi perché pensano – e a ragione – di avere in mano le redini del proprio futuro.

Il regista, il francese Pascal Plisson, esperto in documentati sull’Africa, ha avuto l’idea mentre lavorava a un progetto sui Masai. Ha visto dei bambini che affrontavano i pericoli della savana per andare a scuola, e da lì è partito. Grazie all’Unesco e all’organizzazione internazionale Aide et Action ha avuto i contatti con le scuole, che gli hanno segnalato gli studenti. Ora promette di continuare a seguire i “suoi” magnifici quattro, e di aiutarli. Speriamo.

Parte quarta: attività assegnate

- ascoltare testi poetici per coglierne il significato, i temi, l’intenzione comunicativa

- leggere testi poetici- saper parafrasare testi poetici - saper commentare oralmente- scrivere una parafrasi, un commento- confrontare testi diversi

- cercare informazioni biografiche sugli autori- conoscere e utilizzare termini nuovi- stendere una relazione sul lavoro svolto- scrivere una recensione su un film