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Efficacia parlamentare: una proposta di misurazione Bistoncini Fabio * , De Lucia Federico ** **, Spina Stefano ** ** Introduzione Chi siamo FB&Associati è una società che, da venti anni esatti, si occupa di lobbying e advocacy: la sua mission, pertanto, è sensibilizzare il decisore pubblico sulle tematiche di interesse dei suoi clienti, allo scopo di influenzarne le scelte finali. Il mondo del lobbying è determinato da una grande complessità di attori, tali da rendere difficile una sua chiara definizione 1 ; dal punto di vista giuridico, possiamo inquadrare la questione mediante la famosa definizione di “attività di lobbying” contenuta nella sezione 3 del Lobbying Disclosure Act del 1995, ove si chiarisce che per essa si intende sia il contatto lobbistico che tutta l’attività a sostegno, ivi compresa l’ attività di ricerca 2 . Di certo, qualsiasi sia la classificazione data, un’attività di relazioni credibile non può prescindere della correttezza e dall’affidabilità dei contenuti. I contenuti che una società di lobbying produce hanno inoltre un grande rilievo esterno, dal momento che possono essere rivolti all’attenzione del decisore, a * * Founder&Partner di FB&Associati. ** ** Legislative Analyst di FB&Associati. ** 1 Sulla complessità di un’univoca definizione della categoria concettuale “gruppo d’interesse” si intende rinviare a Defining and classifying interest groups, Baroni L. et al. in Interest groups and advocacy, 2/2014, Palgrave Macmillan. Peraltro, si segnala che una tra le definizioni comunemente più utilizzate in letteratura sembra essere quella del Mattina, il quale in maniera accorta preferisce definire l’attività di lobbying, piuttosto che la mutevole categoria del raggruppamento di interessi, come l’insieme delle tattiche e strategie con le quali i rappresentanti dei gruppi di interesse cercano di influenzare a beneficio dei gruppi rappresentati la formazione ed attuazione delle politiche pubbliche. Cfr. Mattina L., I gruppi di interesse, Bologna 2010, p. 154. 2 Cit. Lobbying Disclosure Act of 1995, 2 USC ch. 26 § 1601 et seq., poi emendato estensivamente – sotto profili prevalentemente procedurali - dal Honest Leadership and Open Government Act of 2007

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Efficacia parlamentare: una proposta di misurazioneBistoncini Fabio*, De Lucia Federico****, Spina Stefano****

Introduzione

Chi siamo

FB&Associati è una società che, da venti anni esatti, si occupa di lobbying e advocacy: la sua mission, pertanto, è sensibilizzare il decisore pubblico sulle tematiche di interesse dei suoi clienti, allo scopo di influenzarne le scelte finali. Il mondo del lobbying è determinato da una grande complessità di attori, tali da rendere difficile una sua chiara definizione1; dal punto di vista giuridico, possiamo inquadrare la questione mediante la famosa definizione di “attività di lobbying” contenuta nella sezione 3 del Lobbying Disclosure Act del 1995, ove si chiarisce che per essa si intende sia il contatto lobbistico che tutta l’attività a sostegno, ivi compresa l’attività di ricerca2.

Di certo, qualsiasi sia la classificazione data, un’attività di relazioni credibile non può prescindere della correttezza e dall’affidabilità dei contenuti. I contenuti che una società di lobbying produce hanno inoltre un grande rilievo esterno, dal momento che possono essere rivolti all’attenzione del decisore, a quella del cliente, nonché della generalità dei cittadini3.

Alcuni di tali contenuti, in particolare quelli rivolti al decisore, analizzano ed espongono una situazione esterna ai luoghi del potere, un determinato contesto socio-economico, un settore di mercato, ne evidenziano le caratteristiche, le dinamiche interne, le difficoltà che i soggetti che vi operano incontrano e la misura in cui queste dipendono dalla regolazione in materia. Tali documenti evidenziano al decisore l’intreccio di interessi che si muove all’interno di un determinato settore, fornendogli informazioni che spesso possono risultare decisive per assumere la propria libera scelta politica.

Altri documenti, in particolare quelli rivolti al cliente, servono invece a delineare l’esatto quadro politico-istituzionale entro il quale matura la decisione pubblica, identificando e valutando le sue dinamiche evolutive. Essi permettono, così, di posizionare una scelta politica all’interno dell’iter decisionale, sia che essa stia ancora maturando all’interno dell’agenda politica, sia che essa sia già

** Founder&Partner di FB&Associati.**** Legislative Analyst di FB&Associati.**

1 Sulla complessità di un’univoca definizione della categoria concettuale “gruppo d’interesse” si intende rinviare a Defining and classifying interest groups, Baroni L. et al. in Interest groups and advocacy, 2/2014, Palgrave Macmillan. Peraltro, si segnala che una tra le definizioni comunemente più utilizzate in letteratura sembra essere quella del Mattina, il quale in maniera accorta preferisce definire l’attività di lobbying, piuttosto che la mutevole categoria del raggruppamento di interessi, come l’insieme delle tattiche e strategie con le quali i rappresentanti dei gruppi di interesse cercano di influenzare a beneficio dei gruppi rappresentati la formazione ed attuazione delle politiche pubbliche. Cfr. Mattina L., I gruppi di interesse, Bologna 2010, p. 154.2 Cit. Lobbying Disclosure Act of 1995, 2 USC ch. 26 § 1601 et seq., poi emendato estensivamente – sotto profili prevalentemente procedurali - dal Honest Leadership and Open Government Act of 20073 Le esternalità positive prodotte dai contenuti proposti al decisore da parte dei gruppi di interesse sono riconosciuti, inoltre, nella Comunicazione della Commissione europea del 2 dicembre 1992, Un dialogo aperto e strutturato fra la Commissione e i gruppi d’interesse speciale, ove si legge che: “La Commissione ha la reputazione di essere accessibile ai gruppi di interesse e dovrebbe naturalmente mantenere questa facilità di accesso. Ciò è in effetti nell’interesse della Commissione giacchè i gruppi d’interesse possono fornire ai Servizi informazioni tecniche e consigli costruttivi”. Cfr. European Commission, COM (92) 494 def.

incardinata in una procedura formale, parlamentare o governativa. Tali informazioni sono un prerequisito indispensabile per poter poi impostare una strategia comunicativa e relazionale che ambisca ad orientare la decisione pubblica. Ogni documento prodotto, anche se di natura particolare (sintesi di un provvedimento o schede biografiche dei decisori), è sempre parte di un’analisi del contesto politico generale.

Tale attività di indagine può dare origine a documenti di respiro molto più vasto, che possono essere di un certo interesse anche per soggetti esterni alla dinamica delle relazioni istituzionali, ovvero alla generalità dei cittadini, nonché alla comunità scientifica.

FB Lab

La nostra società di lobbying ha quindi optato per la creazione di un centro studi interno, al fine di contribuire all’indagine dei fenomeni politici da una posizione diversa ma non per questo meno interessante di quella accademica. Dall’intreccio dei due approcci potrebbe emergere una proficua collaborazione, tale da arricchire la rigorosa ed asettica osservazione tipica dell’accademico con elementi provenienti da chi vive ogni giorno le implicazioni concrete della “democrazia degli interessi”4 (e che per tale motivo ha grande interesse a comprenderne le dinamiche).

Per questo, è necessario mettere in chiaro che la ricerca origina da esigenze professionali: una società di Public Affairs deve analizzare le dinamiche politico parlamentari per fornire un quadro affidabile, essendo quindi in grado di orientare efficacemente le scelte strategiche dei suoi clienti. Tale quadro deve essere basato sui dati, non sulle intuizioni.

Dal ranking unico ai tre ranking parlamentari

A questo scopo, FB&Associati ha perlustrato la possibilità di produrre un Ranking unico dei parlamentari, basato sulla loro capacità di raggiungere risultati politici. L’obiettivo iniziale era costruire un unico sistema di classificazione, ma ci siamo resi subito conto che questo approccio non ci avrebbe portato lontano, perché non ha senso parlare di “attività parlamentare” al singolare. Difatti, l’attività parlamentare è estremamente complessa e risponde, volta per volta, a logiche totalmente diverse: provare a ridurle ad un unicum avrebbe significato privilegiare alcuni aspetti a tal punto da annichilirne altri, e viceversa.

Il processo che ci ha portato a tale conclusione sarà chiarito nel corso dell’analisi: ciò che interessa a questo livello è che abbiamo dovuto necessariamente segmentare l’attività parlamentare in tre differenti attività, cui corrispondono tre diversi criteri di misurazione dell’efficacia e tre diversi ranking. Tali risultati, proprio nella misura in cui sono presi in considerazione indipendentemente gli uni dagli altri, assumono quindi un significato ancora più rilevante dal punto di vista scientifico.

In sostanza, come spesso avviene nella ricerca, siamo partiti con una meta e ne abbiamo raggiunta un’altra. Siamo partiti dalla nostra esigenza di assegnare a ciascun parlamentare un determinato livello di efficacia politica, per poi trovarci a riflettere sul significato stesso dell’attività parlamentare, su quello che vuol dire oggi rappresentanza politica5, in un momento che per certi versi può essere definito storico. Da una parte, infatti, la legislatura iniziata nel 2013, come 4 Per la definizione di “democrazia degli interessi” cfr. Pirzio Ammassari G., Lobbying e rappresentanza della società civile nell’Unione europea, 2010 EuRoma, pagg. 10 ss.5 Si veda l’interessante lettura della crisi della rappresentanza politica operata dal giurista Massimo Luciani, il quale – determinata l’origine di tale crisi nello smarrimento politico nonché esistenziale del rappresentato – ne rappresenta la necessità di una ripresa, dal momento che “la sede parlamentare diventa il luogo in cui si tenta, in qualche modo, di ridurre ad unità i dispersi brandelli di un pluralismo troppo disarticolato”; cit. Luciani M., Il paradigma della rappresentanza di fronte alla crisi del rappresentato, in Percorsi e vicende attuali della rappresentanza e della responsabilità politica: atti del convegno, Giuffrè 2001.

conseguenza diretta del terremoto costituito dalle elezioni politiche di tale anno, è probabilmente la più confusa e disordinata dell’ultimo ventennio. Dall’altra, questo Parlamento potrebbe essere l’ultimo ad operare in un regime di “bicameralismo perfetto”, se il referendum autunnale dovesse effettivamente confermare la riforma della Costituzione proposta dal Governo Renzi6. L’attività dei parlamentari che verranno dopo tale riforma potrebbe essere quindi molto diversa rispetto a quella attuale e delle passate legislature. E questo non solo perché la Camera sarà enormemente rafforzata rispetto al Senato - e dunque sarà in essa che si concentrerà la gran parte dell’attività parlamentare - ma anche e soprattutto perché cambierà il modo di lavorare della Camera stessa.

La legislatura di transizione

Per dare una rappresentazione quanto più chiara possibile di quanto questa Legislatura rappresenti un unicum dal punto di vista politico, riportiamo di seguito un quadro riepilogativo dei motivi per cui essa si configura come assolutamente atipica.

In primo luogo, essa è caratterizzata da una significativa parcellizzazione delle forze parlamentari, costituite spesso in gruppuscoli legati anche a singole personalità, nonché da una fortissima mobilità interna ai gruppi parlamentari7. Sotto quest’ultimo versante, si deve tenere presente che i cosiddetti “cambi di casacca” effettuati dai componenti dei gruppi parlamentari sono stati 138 alla Camera e 117 al Senato, per un totale di 255 in soli tre anni e mezzo di legislatura 8, mentre in tutto il quinquennio della legislatura precedente essi erano stati “solo” 180. Il dato ancora più interessante è notare come tale aumento si concentri soprattutto al Senato (117 “cambi di casacca” in questa legislatura, contro i 60 di tutto il quinquennio precedente), che da questo punto di vista è divenuto il vero e proprio baricentro del sistema, per motivi connessi alla mancanza di una maggioranza solida nella Camera alta del Parlamento.

Evidentemente, tale confusione affonda le sue radici nell’instabilità politica derivante dagli esiti delle elezioni 2013, che ha in primo luogo messo in seria discussione gli equilibri precedenti, caratterizzati da un’alternanza tra due coalizioni, con l’irrompere in Parlamento di una forza dichiaratamente anti-sistema, peraltro di rilevante consistenza numerica. Il Movimento Cinque Stelle, difatti ha ottenuto un largo consenso, giungendo ad eleggere, con circa il 25% dei voti, oltre 160 parlamentari tra Camera e Senato, tutti molto giovani e con un retroterra culturale e professionale assolutamente diverso da quello dei propri colleghi. Tali gruppi, peraltro, hanno sofferto nei mesi successivi di una forte erosione della propria consistenza parlamentare, ridottasi ad oggi di 34 unità (al Senato la perdita è stata corrispondente a quasi un terzo del gruppo iniziale:

6 In merito invece alle implicazioni della riforma costituzionale, cfr. Ceccanti S., La transizione è (quasi) finita, Giappichelli 20167 Su ogni questione giuridica inerente i rapporti tra Istituzioni parlamentari, Gruppi parlamentari e Partiti sia permesso di rinviare al lavoro di Adriana Ciancio in materia, ove in maniera puntuale si dipanano diverse questioni critiche in merito a tale fenomeno. Di particolare interesse rimane il Capitolo III, ove si affronta il tema del rapporto tra Gruppi Parlamentari e Forma di Stato liberal-democratica, con particolare riguardo alla tutela del dissenso politico (pp. 224 ss. dei citato volume) di cui all’art. 67 Cost., dato giuridico da cui origina la questione più propriamente politologica della frammentazione degli strumenti di raccordo delle forze politiche organizzate nel Paese (art. 49 Cost.) all’interno delle singole istituzioni parlamentari. Cfr. Ciancio A., I Gruppi parlamentari, Milano 2008.Rilevante è anche la notazione del Curreri, in Curreri S., Rappresentanza politica e Mobilità parlamentare, Atti del Convegno Percorsi e vicende attuali della rappresentanza e della responsabilità politica, Milano 2001, ove si rileva l’utilità di accorte modifiche dei regolamenti di Camera e Senato al fine di controbilanciare la salvaguardia, che la vigente costituzione assume, nei confronti del libero cambio di casacca.In merito al “Cambio di casacca”, si noti che Verzichelli, nel 1996, ha notato come “Fino al 1994, in sostanza, non affiorano elementi significativi di trasformazione nel rapporto tra eletto e partito parlamentare”, Cfr. Verzichelli L., I gruppi parlamentari dopo il 1994. Fluidità e aggregazioni, in Rivista italiana di scienza politica, n. 2 1996, mentre da quell’anno in poi si assiste ad un aumento, evidenziato anche nel presente studio, sempre più evidente del fenomeno. Fenomeno che l’autore ha esaminato nuovamente, non senza alcune notazioni in prospettiva comparata, in Verzichelli L., Cambiare casacca, o della fluidità parlamentare, Rivista Il mulino, n. 388, 2000.8 Cfr. Siti ufficiali di Camera dei deputati e Senato della Repubblica

-19 Senatori sui 54 iniziali). Tali parlamentari fanno ora parte di gruppi sia di maggioranza che di opposizione.

Anche sul fronte opposto, quello del Partito Democratico, non si può certo dire che le elezioni del 2013 siano state come le altre: parzialmente scosso dall’antipasto di rottamazione renziana verificatosi in occasione delle primarie del 2012, il partito ha messo in atto un profondo ricambio della propria élite, anche attraverso l’utilizzo dello strumento delle primarie provinciali per la composizione delle liste9 (circa il 70% degli eletti del PD è stato selezionato così). Si è quindi prodotto un ringiovanimento del gruppo davvero significativo, soprattutto alla Camera, con un vistoso aumento della componente femminile.

Un parlamento nuovissimo rispetto a quello precedente10, quindi, ma anche un parlamento bloccato a causa dei diversi sistemi elettorali di Camera e Senato. La maggioranza bersaniana (PD e SEL), salda alla Camera bassa (ove aveva 297 deputati del PD e 37 di SEL), si è trovata zoppa al Senato (con, allora, 112 senatori PD e soltanto 7 SEL): quadro paralizzante in un regime di bicameralismo perfetto. La maggioranza al Senato, inoltre, non era raggiungibile nemmeno coinvolgendo Scelta Civica, seconda opzione tratteggiata da Bersani in campagna elettorale.

Dopo un iniziale tentativo esplorativo con i 5 Stelle, Bersani ha dovuto ammettere che la vittoria dimezzata era in realtà, più che altro, una sconfitta intera, e ha dovuto concentrarsi sull’elezione del Presidente della Repubblica, appuntamento delicatissimo al quale il PD è arrivato in seria difficoltà. In tale passaggio l’esito è stato addirittura epocale: dopo aver fatto venir meno, con due votazioni consecutive, ben due propri importanti esponenti (Marini e Prodi), il PD, con tutte le altre forze politiche, si è visto costretto a chiedere al Presidente uscente Giorgio Napolitano di accettare la rielezione, un evento di grande rilievo, mai verificatosi prima, che ben chiarisce la straordinarietà della condizione in cui versava il sistema. Una vera e propria riapertura del mantice di quella fisarmonica presidenziale (un'immagine cara tra gli altri a Giuliano Amato11), che nella prassi costituzionale italiana ha visto la figura monocratica di vertice sopperire all’incapacità del sistema dei partiti, facendo da collante istituzionale nei momenti di crisi.

Da quel momento, e proprio sotto la guida del rieletto Presidente Napolitano, il sistema ha provato a reagire, con l’inaugurazione di un fatto inedito: la grande coalizione tra PD, PDL e Scelta Civica, che imponeva una collaborazione tra forze politiche che si erano fronteggiate in maniera muscolare a sostegno di un Governo a guida PD, sotto l’egida del Presidente del Consiglio Enrico Letta. Un esperimento delicatissimo, tutto basato sull’incessante mediazione del Presidente, costantemente minacciato dalle ricadute parlamentari delle vicissitudini giudiziarie di Silvio Berlusconi. Una volta decaduto da Senatore, con voto decisivo del PD, Berlusconi ha ritirato il proprio appoggio al Governo: tale passaggio è stato superato dal Governo grazie alla scelta di una componente del centrodestra, organizzata attorno ad Angelino Alfano, di formare un partito filo-governativo (il Nuovo Centro Destra) che continuasse a garantire la maggioranza a Letta, nel tentativo di superare, anche a destra, il “berlusconismo”.

Un ulteriore elemento di novità è stata la vittoria al Congresso del PD di fine 2013 di Matteo Renzi, maturata sul progressivo ridimensionamento della sinistra del partito. L’ondata rottamatrice ha rapidamente travolto il Governo Letta, costringendolo in pochi mesi alle dimissioni, così come ha travolto la classe dirigente dal partito, marginalizzando sulla sinistra estrema l’intera generazione precedente a quella renziana. Con particolare riguardo alle dinamiche parlamentari, la vittoria di Renzi ha generato un progressivo smottamento correntizio interno tale

9 Cfr. Regolamento per le Candidature al Parlamento per le Elezioni politiche 2013 , Direzione Nazionale del Partito Democratico, 17 dicembre 2012.10 Cfr. Tronconi F., Verzichelli L., La nuova rivoluzione nel ceto parlamentare. Effetti congiunturali e interpretazioni diacroniche, in Chiaramonte A., De Sio L. (a cura di), Terremoto elettorale. Le elezioni politiche del 2013, Il Mulino, 201411 Su tutti, cfr. Cheli E., Il capo dello Stato: un ruolo da ripensare?, Rivista il Mulino, 3/2013

da trasformare, nel volgere di alcuni mesi, un gruppo parlamentare nominato da Bersani in una pattuglia renziana che lambisce l’80% del totale. Un partito nuovo che, per la prima volta dall’esperienza demitiana della DC degli anni 80, si assume l’onere del Governo al punto dall’individuare come Presidente del Consiglio il proprio Segretario politico, e che vede la consacrazione di questo momento di idillio con il 40% ottenuto dal PD renziano alle europee del 2014.

Il rapido successo di Renzi ha provocato ulteriori assestamenti parlamentari. Il PD è infatti divenuto un soggetto particolarmente attrattivo per i componenti dei gruppi parlamentari orbitanti attorno a lui. Al partito renziano hanno aderito alcuni parlamentari provenienti da M5S (in particolare alla Camera), SEL, Scelta Civica, partito quest’ultimo già solcato nei mesi precedenti da un netta divisione tra cattolici e liberali. L’area cattolica del gruppo SCPI, con particolare riferimento alla pattuglia del’UDC, è andata poi progressivamente saldandosi con NCD, dando origine ai gruppi di Area Popolare, gamba centrista della maggioranza che sostiene Renzi. Infine, si segnalano alcune uscite verso sinistra, attorno a Pippo Civati e a Stefano Fassina, che hanno dato vita entrambi a nuovi soggetti politici (Possibile e Sinistra Italiana).

Il quadro è reso ancora più frammentato dalle conseguenze parlamentari della crisi di prospettiva che sta vivendo il centrodestra. Alla scissione di Alfano ne sono seguite altre, altrettanto importanti: oltre all’uscita di Raffaele Fitto da FI e di Flavio Tosi dalla Lega, è stata formata la componente Alleanza Liberal-popolare per le Autonomie di Denis Verdini, contrario alla rottura del c.d. Patto del Nazareno, deliberata da Berlusconi dopo l’elezione di Mattarella. Il gruppo di Verdini sta svolgendo un ruolo decisivo: pur non appartenendo formalmente alla maggioranza è risultato indispensabile per consentire a Renzi di superare, al Senato, alcune defezioni della sinistra interna al PD (c.d. appoggio esterno). Si segnala peraltro che, con la fuoriuscita del Viceministro Zanetti da Scelta Civica e la sua partecipazione ad un soggetto unitario con Verdini, tale gruppo politico potrebbe accedere direttamente ad una posizione chiave nel Governo del Paese.

Lezioni per il futuro?

Questo quadro così turbolento, dopo aver vissuto una fase di incredibile effervescenza nel biennio 2013-2014, pare ora in una fase di relativa stabilizzazione.

Il Governo Renzi, difatti, ha approvato una serie di riforme di grande rilievo che modificano profondamente la seconda parte della Costituzione, abolendo il bicameralismo perfetto (eliminando la clausola della doppia fiducia parlamentare, che permarrebbe soltanto in capo alla Camera), nonché ridimensionando le competenze legislative delle regioni e soprattutto razionalizzando le criticità connesse alle competenze concorrenti.

La proposta di riforma è stata in prima battuta sostenuta anche da Forza Italia, che si è poi sfilata a seguito dell’elezione a Presidente della Repubblica di Sergio Mattarella (gennaio 2015), rompendo il c.d. Patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi. Da quel momento la maggioranza è proceduta autonomamente, riuscendo ad approvare la riforma nonostante alcune ritrosie della minoranza PD. La parola finale sul testo, in ogni caso, permane in capo al popolo, che si esprimerà nei prossimi mesi.

Se il referendum dovesse dare esito negativo, potremmo assistere ad una nuova fase di destrutturazione politica (Renzi, difatti, ha preannunciato le sue dimissioni in caso di fallimento) e ad un prolungarsi della transizione italiana. Se, invece, come il Governo spera, la riforma entrerà in vigore, a maggior ragione per il combinato disposto con la nuova legge elettorale della Camera, il c.d. Italicum12, potremo ben dire che il Parlamento in carica è davvero l’ultimo della lunga fase di transizione italiana.12 Legge 6 maggio 2015, n. 52, recante Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati.

Analizzare questo Parlamento, pertanto, costituisce una occasione talmente peculiare da sembrare irripetibile: scattare una fotografia ad un sistema in fase di ristrutturazione, di crisi nel senso greco del termine13. Potrebbe aiutarci a delineare l’approdo verso cui ci stiamo muovendo.

13 Kρίσις, dal verbo κρίνω: decidere, separare, discernere. Dal punto di vista etimologico, pertanto, la parola crisi indica un momento di discernimento, tale da essere un potenziale punto di partenza atto a generare un miglioramento delle strutture e degli equilibri esistenti.

Capitolo 1 - Obiettivi e metodi della ricerca

Scopo di questo studio è proporre un sistema di valutazione, quanto più esaustivo e parsimonioso possibile, dell’attività parlamentare dei singoli membri di Camera e Senato. Attraverso la trattazione statistica dei dati ricavabili dai siti web dei due rami del Parlamento, è possibile ricavare evidenze empiriche sulle performance di ciascun parlamentare. Il nostro obiettivo è indagare se si possa, e se sì in che misura, giungere ad una classificazione dei parlamentari sulla base della loro efficacia in queste attività.

1.1 Il recupero dei dati

La necessità di avere informazioni pubbliche e il più possibile dettagliate e complete in merito alla attività parlamentare ha implicato una fase di analisi delle fonti disponibili.

Sia nel caso del Senato che della Camera le possibilità di scelta erano due: le pagine dei siti web di pubblica consultazione e l'accesso open data tramite il protocollo SPARQL. L'analisi comparativa delle due fonti ha evidenziato leggere difformità e in alcuni casi l'assenza di informazioni essenziali per il nostro lavoro. In particolare gli accessi open data non permettevano al momento dell'inizio del presente lavoro l'accesso all'attività emendativa. Abbiamo potuto constatare inoltre che i sistemi di indicizzazione dei dati relativi alle due fonti (web e open data) risultano del tutto indipendenti. Sarebbe stato quindi difficile, se non impossibile, effettuare una scelta promiscua e prevedere di riconnettere i flussi di dati provenienti dalle due differenti modalità di accesso alle medesime informazioni. La scelta quindi si è orientata verso le pagine dei siti web istituzionali14, anche in considerazione del carattere di ufficialità che esse assumono in quanto di pubblico e più diretto accesso per il cittadino.

Il recupero dei dati delle fonti ha richiesto quindi lo sviluppo di software di lettura delle pagine web dei siti istituzionali di Senato e Camera. Nel reverse engineering di queste banche dati sono stati creati protocolli semi-automatici costituiti da successioni di procedure realizzate in semplici linguaggi di scripting propri di ambienti di derivazione Unix (bash, awk, sed, wget,...). In considerazione dell'architettura indipendente dei database e delle relative pagine web delle due istituzioni, è stato necessario un lavoro parallelo e differenziato per i due casi. Successivamente questi dati sono entrati a far parte della banca dati di FBLab, al fine della loro archiviazione, anche per garantire quanto più possibile l’omogeneizzazione dell’output delle due fonti indipendenti.

La stessa gestione e il processamento della quantità di dati su cui si è basato il nostro lavoro15 ha richiesto impegno di risorse considerevoli sia dal punto di vista delle piattaforme informatiche utilizzate che dal punto di vista delle verifiche puntuali della qualità e congruenza dei dati ottenuti.

1.2 Le attività parlamentari: definizioni

Se l’obiettivo è ordinare i dati raccolti all’interno di singole categorie da studiare ed interpretare, è necessario primariamente definire esattamente che cosa noi intendiamo per attività parlamentare.

In realtà, non esiste una attività parlamentare unitaria, come del resto non esiste una sola funzione del Parlamento inteso come organo costituzionale, come elemento chiave della forma di Governo.

14 www.camera.it; www.senato.it.15 Al 31 dicembre 2015, data prescelta come termine temporale della presente analisi, relativa alla XVII legislatura (che ha avuto inizio quindi il 13 marzo 2013), la nostra banca dati contiene – tra Senato e Camera - circa 38 mila atti di sindacato ispettivo, 5 mila disegni e progetti di legge, 220 mila emendamenti, oltre le tabelle relative alle informazioni del singolo parlamentare e tabelle accessorie ricavate dai suddetti documenti in merito, ad esempio, all'attività di co-firmatari svolta dagli stessi decisori.

Le singole attività parlamentari individuabili sono quantomeno le seguenti tre:

Attività politico-istituzionale. Si tratta dell’attività più politica e rappresentativa. Essa si concretizza nel ricoprire determinate cariche, politicamente rilevanti16: ad esempio, Presidenze o Vice Presidenze in Aula o in Commissione, Presidenze dei Gruppi parlamentari, anche in questo caso in Aula e nelle Commissioni. Il fatto di ricoprire tali ruoli certifica già di per sé una rilevanza politico-istituzionale del soggetto in questione.

Attività legislativa/emendativa. Si tratta dell’attività parlamentare connessa alla produzione di testi legislativi. In realtà, essa può essere ulteriormente suddivisa in tre ulteriori sotto-fasi: l’attività di iniziativa legislativa (l’essere i presentatori formali di disegni di legge), l’attività di relazione (l’essere individuati come relatore di progetti di legge), l’attività emendativa (l’essere capace di ottenere l’approvazione di emendamenti presentati a propria firma)17.

Attività ispettiva. Si tratta dell’attività corrispondente alla funzione parlamentare di indirizzo e controllo sull’Esecutivo. I parlamentari producono cioè una notevole quantità di atti di indirizzo (mozioni, risoluzioni, ordini del giorno) o di controllo (interpellanze, interrogazioni), che possono avere gradi di successo estremamente variabili18.

Il grado di efficacia che il parlamentare ottiene in ciascuno di questi tipi di attività parlamentare è influenzato da molti fattori: alcuni di essi ineriscono alla sua attività parlamentare in senso proprio (la sua autorevolezza, la sua preparazione, la qualità dei contenuti da lui proposti, la sua capacità nella scelta delle tempistiche, o nel creare alleanze attorno alle sue proposte); altri fanno riferimento a variabili inerenti la propria collocazione politica, sulle quali il singolo parlamentare può intervenire, ma con molta più difficoltà (il fatto di appartenere alla maggioranza o meno, ad esempio, o il successo che ottiene in una determinata fase politica il gruppo politico a cui appartiene, il suo partito o la sua corrente).

Il nostro obiettivo è quello di valutare l’attività del singolo parlamentare massimizzando le variabili individuali, inerenti l’attività propriamente parlamentare, minimizzando quelle inerenti la collocazione politica.

Per giungere a questo obiettivo, si pongono tre problemi di ordine metodologico. Il primo è capire se tutte le tipologie di attività che abbiamo individuato sono rilevanti al fine di valutare la capacità del singolo parlamentare di farsi valere nelle aule della rappresentanza. Il secondo problema è individuare, per ciascuna attività, degli indicatori che ci consentano di quantificare numericamente l’efficacia che il parlamentare registra in tale attività (otterremo dunque una serie di indici parziali, settoriali). Il terzo problema è capire se, ed in che misura, tali quantificazioni settoriali sono integrabili in un unico indice complessivo, che generi un ranking unico dei parlamentari.

1.3 Valutare o non valutare l’Attività politico-istituzionale?

In merito al primo problema, deve innanzi tutto risolversi l’ambiguità connessa a quella che

16 Sul punto, si veda in particolare l’insieme delle cariche che possono assumere i parlamentari nell’ambito dell’organizzazione parlamentare: su tutti, Cfr. il Capitolo III del noto manuale di diritto parlamentare Dickman R., Il parlamento italiano, Napoli 2011. Di seguito le principali cariche apicali cui solitamente si fa riferimento al fine di individuare i più rilevanti key-players a livello parlamentare: Presidenza e Vicepresidenza in Aula e Presidenza nelle Commissioni (cariche istituzionali); Presidenza di Gruppo parlamentare in Aula e Commissioni (cariche politiche).17 Vd. i Capp. VIII – X di Dickman R., Il parlamento italiano, op. cit. 18 Per un approfondimento sulle differenti fattispecie che ricadono in quello che nel diritto parlamentare viene denominato sindacato ispettivo, si intende rinviare ai Capp. XIII e XIV di Dickman R., Il parlamento italiano, op. cit, relativi appunto, rispettivamente, all’attività propriamente di controllo nonché all’attività di indirizzo politico che svolgono, in maniera pressocché identica, le due Camere del Parlamento italiano (se eccettuato il ruolo del Question Time in diretta TV svolto, di solito il mercoledì alle ore 15, presso l’Aula della Camera dei deputati).

abbiamo chiamato “attività politico istituzionale” del singolo parlamentare. Dobbiamo cioè decidere se considerare, ai nostri fini, come un merito il fatto di ricoprire o meno una carica di rilievo all’interno dell’istituzione presso la quale il parlamentare opera.

Indubbiamente, il fatto di essere selezionato (o eletto) a ricoprire un determinato ruolo è un merito del parlamentare che vi riesce. La questione è se si tratti o meno di un merito rilevante ai nostri fini, che ricordiamo, sono quelli di valutare quanto il parlamentare è efficace, ovvero è personalmente in grado di ottenere i risultati che si prefigge nelle varie attività parlamentari.

La questione rileva ai nostri fini perché il fatto di ricoprire una carica produce significative conseguenze positive sulle altre attività che abbiamo precedentemente identificato. Conseguenze che modificano necessariamente l’efficacia che il singolo parlamentare in esse registra. Per fare un esempio, l’essere Capogruppo di un partito in Commissione aumenta nettamente la probabilità di approvazione dei propri emendamenti.

Alla luce di queste considerazione, valutare l’attività politico - istituzionale come qualcosa di autonomo potrebbe risultare deviante ai nostri fini. Il fatto di essere scelti come Capogruppo, ai nostri fini, non è un merito di per sé: sarà un merito solo se e nella esatta misura in cui produrrà conseguenze sulle altre attività (legislativa/emendativa, ispettiva). La politica ci interessa, ma solo nella misura in cui interviene sui temi oggetto della decisione, non quando prescinde da essi.

La misura in cui la variabile politica interferisce con l’attività di merito delle questioni oggetto della decisione pubblica emergerà autonomamente dalla valutazione asettica delle altre attività: quella legislativa/emendativa e quella ispettiva.

Inoltre, si tenga presente che il fatto di non considerare positivamente l’attività puramente politico istituzionale come parte del nostro indice ci consentirà di fare anche una interessante analisi ex post: effettivamente, il fatto di ricoprire una carica in Commissione quanto produce risultati in termini di efficacia della propria azione, e quindi di influenza reale sul merito del processo decisionale? Confrontando le classifiche finali dei parlamentari che produrremo con la mappa delle cariche assegnate, potremo dare una risposta.

Capitolo 2 – Le attività parlamentari: descrizione operativa

Nelle pagine seguenti saranno descritte le attività parlamentari individuate. Saranno prima descritte le tre sotto-attività in cui si divide l’attività legislativa/emendativa:

- attività di iniziativa legislativa;- attività di relazione;- attività emendativa.

A seguire sarà analizzata l’attività ispettiva, che si configura come del tutto distinta dalle altre.

Per ciascuna attività saranno individuati gli indicatori rilevanti per quantificare le performance registrate dai parlamentari e le variabili intervenienti che su tali indicatori influiscono. In coda, sarà riportato uno specchietto riepilogativo delle formule operative derivate dall’analisi, dalle quali scaturiranno i nostri ranking settoriali.

Si tenga ovviamente presente che il nostro sistema parlamentare, dal punto di vista strutturale, è di tipo bicamerale, e, dal punto di vista funzionale, risulta essere (prima ovviamente del possibile esito positivo del Referendum Costituzionale prossimo) a bicameralismo paritario (rectius, simmetrico). Pertanto si specifica che tali indicazioni sono state seguite in maniera speculare nelle valutazioni delle attività dei membri di Camera e Senato19.

2.1 L’attività di iniziativa legislativa.

L’attività di iniziativa legislativa consiste nella attività di presentazione formale, come primo firmatario, dei disegni di legge. Si tratta di una attività che molti parlamentari esercitano in proporzioni massive, giungendo alcuni di essi a presentare decine e decine di proposte. Solo una piccola frazione delle proposte presentate riesce ad iniziare effettivamente il proprio iter, ed una frazione addirittura infinitesimale riesce a divenire legge.

Riuscire a fare in modo che i propri disegni di legge incedano nell’iter legislativo è pertanto molto difficile. Perché questo avvenga è necessario che il provvedimento goda del supporto della maggioranza parlamentare, del Governo, dell’Ufficio di Presidenza della Commissione di merito cui la proposta è assegnata20. È pertanto necessario un significativo sostegno politico, che il primo firmatario può essere più o meno capace di trovare. Riuscire a fare in modo che una proposta vada avanti è un risultato significativo; riuscire a fare in modo che inceda rapidamente lo è ancora di più.

Misurare il successo che un parlamentare ha come primo firmatario di disegni di legge significa dunque quantificare:

- il numero di provvedimenti che effettivamente hanno avviato il proprio iter, ovvero che sono stati “incardinati” (illustrati) in Commissione, in rapporto al numero complessivo di disegni di legge presentati da quel parlamentare. L’uso del rapporto e non del valore assoluto consente di tenere conto della tendenza che alcuni parlamentari hanno di presentare decine e decine di testi senza

19 Su tale punto, sia permesso di rinviare alla classificazione dei tipi di parlamento presente in Pasquino G., Nuovo corso di scienza politica, Cap. VII, Parlamenti e rappresentanza, Bologna 1997.20 Dal punto di vista del diritto parlamentare, l’assegnazione è un atto dovuto successivo al deposito della copia corretta (dopo un’interlocuzione tra uffici tecnici e staff del parlamentare), mentre è soltanto con la calendarizzazione del provvedimento che si ha l’avvio dell’iter legislativo vero e proprio. Si segnala, in particolare, che pur esistendo dei termini certi essi vengono, come rilevato soprattutto dal Dickman, disattesi per la gran parte nella prassi (cfr. Dickman R., Il parlamento italiano, op. cit., p. 130). Ciò avvalora la tesi dell’importanza di essere capaci di portare un proprio provvedimento alla calendarizzazione in Commissione, evento prodromico all’effettivo avvio dell’iter legislativo.

possibilità di approvazione. Quest’ultima tendenza è considerata come un demerito.

- la tappa dell’iter cui mediamente sono arrivati tali disegni di legge, assegnando a ciascuna tappa intermedia dell’iter un punteggio crescente, che tenga conto della rilevanza politica di ciascun passaggio. Considerare l’iter come un valore di per sé valorizza il risultato raggiunto a prescindere dalle altre variabili (ad es. la velocità) e consente di assegnare ad iter particolarmente rilevanti valori coerentemente alti. Ad esempio, consente di assegnare un “bonus” consistente nei casi di approvazione finale di un disegno di legge.

- con quale velocità incedono i disegni di legge presentati da quel parlamentare, ovvero il numero medio di giorni trascorsi dal momento in cui il loro iter è partito (incardinamento in Commissione) fino al momento della rilevazione. Vengono quindi considerati demeriti anche i tempi morti che spesso intercorrono tra una tappa e l’altra dell’iter, ovvero il c.d. “rischio insabbiamento”.

- se il parlamentare è di opposizione o maggioranza, con un favore nei confronti della prima . Nel ponderare il valore che emerge dagli indicatori sopra-esposti, difatti, va considerato che per un parlamentare di opposizione ottenere valori positivi sarà sensibilmente più difficile che per un parlamentare di maggioranza. Contrariamente a quanto rilevato per quanto concerne l’attività politico-istituzionale, che identifica meriti politici (e dunque pone il problema di decidere se tenere o meno in considerazione tali meriti)21, la posizione politica di un parlamentare nei confronti del Governo (maggioranza o opposizione) è un dato di fatto, su cui il parlamentare ha poco margine di manovra, ma che ha impatti evidenti ed empiricamente constatabili, sulla sua efficacia parlamentare: pertanto, se l’obiettivo è valutare quest’ultima, tale limite oggettivo che il parlamentare incontra va tenuto in considerazione.

2.2 L’attività di relazione.

Questo paragrafo analizza l’attività svolta come relatore dei disegni di legge. La nomina a relatore di un parlamentare, operata dal Presidente della Commissione assegnataria del disegno di legge sulla base delle intese intercorse tra i gruppi politici, è un fattore di rilievo nella vita parlamentare di un soggetto: essa rappresenta certamente una delle principali opportunità che il singolo parlamentare ha di incidere sul merito dei provvedimenti. Essere relatore22 significa infatti gestire l’iter parlamentare del provvedimento, porsi come riferimento per tutti gli altri parlamentari interessati ad agire sul testo in esame. Significa poter presentare emendamenti al di fuori delle scadenze temporali valide per gli altri, e porsi al centro della mediazione politica che intercorre attorno ad un certo tema. Il solo fatto di occupare quella carica è un indicatore di successo parlamentare. In questo caso, la carica ci interessa molto: si tratta infatti, al contrario di quelle politico-istituzionali, di una carica strettamente connessa all’iter di un disegno di legge.

Essere relatori di un provvedimento può essere considerato anche più importante di esserne primi firmatari, perché significa avere il controllo su una parte del processo legislativo che è destinato ad incidere, in molti casi anche profondamente, sul testo originariamente presentato. Significa godere del consenso della Commissione, quanto meno della maggioranza di essa, e significa rappresentare il Parlamento (o quantomeno la maggioranza parlamentare) nei confronti del 21 Vd. supra, par. 1.3, in cui si argomentano le ragioni che ci hanno spinto, in questo studio, a non considerare tali meriti (l’occupare o meno una carica) nella determinazione del nostro indice. Essi afferiscono ad una sfera diversa dell’agire del parlamentare, puramente politica, e pertanto avrebbero un impatto deviante sulla nostra misurazione.22 Di seguito, per comodità del lettore, si riporta la sintetica ma esaustiva definizione di Relatore riportata sul sito del Senato della Repubblica: “È il senatore o il deputato (di solito della maggioranza, ma non sempre) delegato, dal Presidente della Commissione, a studiare un disegno di legge (o altro documento) e a riferire alla Commissione. Il relatore è una sorta di regista politico del dibattito, che esprime il suo parere (in realtà, quello della maggioranza) su tutti gli emendamenti presentati, analogamente al rappresentante del Governo. Al termine dell'esame in Commissione, poi, questa designa un relatore - salvo eccezioni, si tratta di solito del medesimo relatore alla Commissione - perché riferisca all'Assemblea, oralmente o mediante la stesura e la presentazione di una relazione di maggioranza, sul testo approvato.” Cfr. url: www.senato.it

Governo, da una posizione privilegiata, se non in alcuni casi paritaria. Ovviamente, il mero fatto di essere relatore, pur costituendo un merito di per sé, non significa essere efficaci nello svolgere tale ruolo. Specularmente rispetto a quanto detto sull’attività di iniziativa legislativa, avere successo come relatore significa riuscire a fare in modo che i disegni di legge seguiti incedano nel proprio iter parlamentare.

Misurare il successo che un parlamentare ha come relatore di disegni di legge significa dunque quantificare:

- il numero di provvedimenti in questione. In questo caso, al contrario che sui primi firmatari, prendiamo in considerazione il numero assoluto di tali provvedimenti, perché come dicevamo, essere relatore di un certo numero di provvedimenti è già di per sé un merito da considerare.

- la tappa dell’iter cui mediamente sono arrivati tali disegni di legge, assegnando a ciascuna tappa intermedia dell’iter un punteggio crescente, che tenga conto della rilevanza politica di ciascun passaggio. Esattamente come per le prime firme.

- con quale velocità media incedono i disegni di legge, ovvero il numero medio di giorni trascorsi dal momento in cui il loro iter è effettivamente partito (“incardinamento” in Commissione, che coincide peraltro con la scelta del relatore) ad oggi. In questo modo, si considerano come demeriti anche i tempi morti che spesso intercorrono tra una tappa e l’altra dell’iter.

Tra i parametri che devono essere tenuti in considerazione nel ponderare il valore che emerge dagli indicatori sopra esposti, vanno considerati anche i seguenti fattori: il parlamentare in questione è di maggioranza o di opposizione (ottenere una relazione pur essendo parlamentare di opposizione è un fatto di estremo rilievo); essere o meno individuati come relatori di un disegno di legge di cui si è anche primi firmatari (la qual cosa è indice di estrema fiducia da parte della Commissione di appartenenza); il disegno di legge di cui si è relatori è o meno un disegno di legge a prima firma governativa.

In quest’ultimo caso, l’effetto è duplice. Da una parte il fatto di essere scelti come relatori in una tale occasione è sintomo di una rilevanza politica notevole, perché o si è ritenuti del tutto affidabili dal Governo, o si è ritenuti dalla Commissione sufficientemente autonomi da poter dialogare paritariamente con l’esecutivo: in entrambi i casi è comunque un successo di cui tenere conto. Dall’altra parte, l’effetto di tale fattore si inverte nel momento in cui si valuta la velocità dell’iter: poiché i disegni di legge governativi vanno naturalmente più veloci di quelli parlamentari, sarebbe superficiale considerare tale celerità come un merito del relatore.

2.3 L’attività emendativa.

L’attività emendativa consiste nella presentazione degli emendamenti ai disegni di legge. Anche in questo caso, si tratta di una attività che molti parlamentari esercitano in proporzioni notevoli, pur essendo un’attività estremamente delicata, nella quale si esprime massimamente la capacità del singolo parlamentare di influire sul processo decisionale. L’espansione di tale attività, peraltro, è consequenziale all’aumento di centralità dell’esecutivo nell’attività legislativa, dal momento che gli emendamenti rappresentano ormai il principale modo che i parlamentari hanno per incidere sull’ordinamento giuridico, visto il proliferare di decreti-legge e disegni di legge a firma di esponenti del Governo23.

23 Si veda Pisaneschi A., Fondamento costituzionale del potere di emendamento, limiti di coerenza e questione di fiducia, in Diritto e società, Padova 1988, ove si ricomprende il diritto del parlamentare di proporre emendamenti al potere delle Camere di introdurre modificazioni nel testo legislativo, proposto il più delle volte dal Governo.

Per ottenere l’approvazione di un emendamento è necessario in primo luogo superare i vari vagli di ammissibilità (deve essere un emendamento ben scritto, attinente al merito del provvedimento e sostenibile dal punto di vista finanziario24), ed in secondo luogo riuscire ad ottenere il consenso della maggioranza dei propri colleghi (in Aula o in Commissione), ed in genere anche del relatore e del Governo, sulla opportunità di cambiare una norma, ovvero uno status quo sul quale esiste già un consenso di massima. Significa essere stati molto efficaci dal punto di vista dei rapporti politici, oppure aver colto nel segno dal punto di vista del contenuto normativo.

Misurare il successo che un parlamentare ha come presentatore di emendamenti significa dunque:

- quantificare il numero di emendamenti approvati in rapporto al numero complessivo di emendamenti presentati. In questo modo teniamo conto della tendenza che alcuni parlamentari hanno di presentare centinaia e centinaia di emendamenti. Anzi, a questo proposito, è stato fondamentale espungere dalla lista degli emendamenti presentati quelli considerati “statisticamente ostruzionistici”, ovvero troppo numerosi su quel provvedimento, rispetto agli usuali comportamenti del parlamentare in questione su altri provvedimenti oggetto del suo interesse. Tali emendamenti, essendo stati manifestamente presentati al solo fine di rallentare l’iter parlamentare del disegno di legge, non vengono considerati come concorrenti a determinare il tasso di successo del parlamentare in questione.

- pesare in maniera diversa opposizione e maggioranza, con un favore nei confronti della prima. Tra i parametri che devono essere tenuti in considerazione nel ponderare le capacità del parlamentare di ottenere l’approvazione di emendamenti, difatti, dev’esservi anche la considerazione che per un parlamentare di opposizione ottenere l’approvazione di un emendamento è ben più difficile che per un parlamentare di maggioranza. Inoltre, non vanno considerati gli emendamenti approvati tra quelli presentati in qualità di relatore: dal punto di vista dell’attività emendativa, quest’ultimo gode di una posizione di vantaggio strategico rispetto ai suoi colleghi. Egli rappresenta la maggioranza parlamentare, o addirittura, su provvedimenti politicamente trasversali, rappresenta l’intera Commissione. Presentare emendamenti che recepiscano gli accordi politici in corso e vederseli approvati è per lui ordinaria amministrazione.

2.4 L’attività ispettiva

L’attività ispettiva del parlamentare è qualcosa di completamente diverso, e del tutto slegato, dall’attività che ha a che fare con la produzione di norme generali ed astratte. Consiste nella produzione di atti di indirizzo e controllo nei confronti del Governo. Si tratta di tutta una gamma di strumenti di cui il parlamentare singolarmente inteso (ed il Parlamento nel suo complesso) dispone per controllare l’attività dell’esecutivo e per indirizzarne l’agire politico. Mozioni, risoluzioni, ordini del giorno, interrogazioni, interpellanze: atti che i parlamentari producono a ritmi veramente significativi, e che spesso giacciono per mesi ed anni in attesa di essere esaminati.

L’atto di sindacato ispettivo è uno strumento di analisi molto importante: esso consente di posizionare su un tema specifico un singolo parlamentare, e di quantificare il grado di autorevolezza che su quel tema il parlamentare può vantare, visto che i tassi di risposta e di esame sono molto variabili, ma mediamente bassissimi. Tuttavia, è bene chiarire che esso si configura come molto meno importante rispetto alle altre attività, che sono più o meno strettamente connessi alla produzione legislativa. Non produce infatti norme vincolanti, si limita a dare indicazioni politiche o addirittura a chiedere mere informazioni.24 In linea generale, difatti, un emendamento viene innanzitutto giudicato ammissibile per materia dal Presidente della Commissione o della Camera, in relazione al luogo d’esame dello stesso. Si segnala poi l’importanza della sede consultiva della Commissione bilancio, fondamentale per la determinazione dell’ammissibilità della copertura. Tale determinazione in sede consultiva è determinante per la dichiarazione di ammissibilità per adeguata copertura. Si veda la parte relativa all’attività emendativa nel capitolo sui Procedimenti parlamentari in Lupo N., Corso di diritto parlamentare, Bologna 2008.

Gli atti di sindacato ispettivo sono molto diversi tra loro25. Ai nostri fini26, ne individuiamo di 5 tipi, i primi due classificati come atti di indirizzo, gli ultimi tre come atti di controllo.

- Atti di indirizzo (mozioni e risoluzioni27): si tratta di atti il cui obiettivo è impegnare politicamente il Governo ad assumere un determinato comportamento. Assumono un valore politico solo quando vengono approvati dall’Aula (o dalla Commissione, se si tratta di risoluzioni), e questo avviene abbastanza raramente, in rapporto al totale di atti presentati. Proprio per questo, sono considerabili come atti di un certo peso politico.

- Ordini del giorno28: si tratta di atti di indirizzo, che però hanno la peculiarità di essere redatti a margine rispetto a provvedimenti legislativi. Chiedono al Governo di assumere determinati impegni su temi connessi a quel provvedimento. Hanno una valenza minima, nel senso che l’impegno è meramente politico e settoriale. Spesso l’accoglimento dell’ordine del giorno (anche solo “come raccomandazione”) viene offerto al parlamentare dal Governo come compensazione in cambio del ritiro di un suo analogo emendamento. Insomma: sono atti di scarsissimo peso.

- Atti di controllo a risposta orale immediata (interrogazioni ed interpellanze29): si tratta di atti di controllo, ovvero che si limitano a chiedere una informazione tecnica o un chiarimento sugli intendimenti del Governo su una tematica più o meno specifica. Si tratta di atti di una certa rilevanza, poiché si svolgono con tempistiche certe, in Aula o in Commissione, con una cadenza generalmente settimanale. Nel caso dei cosiddetti “question time” in Aula è prevista la diretta televisiva e la presenza del Ministro al quale è rivolta l’interrogazione. Essendovi delle tempistiche certe di discussione, vi è un limite massimo di interrogazioni che i gruppi possono scegliere di presentare. Pertanto, non tutti i parlamentari riescono ad avere accesso a questa

25 Lo stesso Dickman, difatti, discerne gli atti di sindacato ispettivo nelle due classiche categorie del diritto parlamentare relative a controllo ed indirizzo. Su tali due singoli punti, vd. rispettivamente i Capp. XIII e XIV di Dickman R., Il parlamento italiano, op. cit.26 Tale nostra distinzione è frutto dell’evidenza empirica risultante dal quotidiano lavoro di monitoraggio legislativo svolto dalla FB&Associati, che consente di avere una panoramica aggiornata quotidianamente della rilevanza dei singoli atti parlamentari, finalizzata allo svolgimento sistematico dell’attività di pressione in merito a legittimi interessi particolari, indirizzata al singolo decisore parlamentare.27 Si veda in particolare, in Dickman R., Il parlamento italiano, op. cit., il paragrafo 2 del capitolo XIV ove viene definita l’importanza di mozioni (in Aula) e risoluzioni (in Commissione) per la precisazione dell’indirizzo politico del Governo da parte del Parlamento. Tali atti sono soggetti a procedura pressocché analoga ai fini di una loro analisi ed approvazione. Gli impegni contenuti non hanno ovviamente carattere cogente, ma si inseriscono in quella linea di tensione politica che lega i poteri esecutivo e legislativo, denominata rapporto di fiducia, che si instaura dal punto di vista giuridico immediatamente dopo l’insediamento del Governo ma è soggetta a variabilità nel corso della legislatura. Variabilità che è poi tale da comportare le ben note conseguenze politologiche di instabilità degli esecutivi italiani, cui non è possibile porre rimedio mediante i classici strumenti giuridici della forma di governo parlamentare razionalizzata. Sia permesso di ricordare, sul punto, che Costantino Mortati ha rilevato come i rapporti tra poteri siano tali “che nella loro disciplina poco contano gli espedienti frutto di una fantasia raziocinante, le escogitazioni a tavolino, le formule tanto astratte quanto logicamente rifinite”, se non sono saldati su una base sociale stabile ed un sistema dei partiti strutturato. Cfr. Mortati C., Le forme di governo, Padova 1973, pp. 224 ss.28 Dal glossario del Senato (in www.senato.it), “l'ordine del giorno è un atto di indirizzo: un documento (che solitamente si apre con formule come "Il Senato (o la Camera, nds) impegna il Governo a..." o "Il Senato invita il Governo a...") che ha carattere accessorio rispetto ad un altro testo - normalmente un disegno di legge - su cui l'Assemblea o una Commissione è chiamata a deliberare. In questo caso l'ordine del giorno tende a circoscrivere o precisare il significato della deliberazione principale, impegnando politicamente il Governo sul modo in cui essa vada interpretata o si debba procedere alla sua applicazione. Il Governo, se intende accogliere l'ordine del giorno, può esprimere la sua accettazione con formule, codificate dalla prassi, variamente sfumate; il presentatore può in ogni caso chiedere che l'ordine del giorno sia votato.”29 Dickman R., nella sua citata opera sul parlamento italiano, distingue tra interpellanza e interrogazione sulla base della maggiore o minore ampiezza del quesito posto. Ai nostri fini, peraltro, rileva la qualità della risposta fornita dal Governo (scritta o orale), che determina nei casi di risposta orale (in particolare se immediata) un drammatico aumento dell’importanza politica dell’atto di sindacato ispettivo. Cfr. Dickman R., Il parlamento italiano, op. cit., pp. 226 ss.

possibilità: e tale opportunità è a maggior ragione complessa da ottenere per i componenti dei gruppi grandi, nei quali la concorrenza è maggiore.

- Atti di controllo a risposta orale non immediata (interrogazioni ed interpellanze): si tratta di atti di controllo, molto simili a quelli precedenti, ma che non prevedono tempistiche di risposta certe e rapide. Pertanto, possono restare inevasi per mesi ed anni. Il loro grado di importanza è nettamente più basso rispetto a quelli degli atti sopraesposti.

- Atti di controllo a risposta scritta (interrogazioni): sono l’ultimo livello, per importanza, degli atti di controllo. Ve ne sono a migliaia, ed il tasso di risposta da parte degli Uffici ministeriali è bassissimo.

La distinzione tra atti di indirizzo e atti di controllo è piuttosto netta, ed è pertanto importante ribadirla: l’atto di indirizzo è un atto che impegna politicamente il Governo, e che pertanto viene posto in votazione dall’Aula o della Commissione. L’atto di controllo è una richiesta specifica al Governo, cui segue una risposta. Le due procedure sono diverse, e questo ha delle conseguenze sul nostro calcolo della performance che il parlamentare registra in tali ambiti. Ottenere un successo nell’attività di indirizzo significa ottenere che il proprio atto venga approvato da un organo parlamentare collegiale. Ottenere un successo nell’attività di controllo significa riuscire a farsi rispondere dal Governo.

Misurare il successo che un parlamentare ha come presentatore di atti di sindacato ispettivo significa dunque quantificare:

- il numero di atti che hanno avuto esito positivo (risposte, se si tratta di atti di controllo, o approvazioni, se si tratta di atti di indirizzo), in rapporto al numero complessivo di atti presentati. In questo modo teniamo conto della tendenza che alcuni parlamentari hanno di presentare centinaia e centinaia di atti ispettivi;

- il tempo di risposta (nel caso delle interrogazioni a risposta scritta o orale non immediata), che può essere un chiaro indicatore della capacità del parlamentare di ottenere soddisfazione da parte del Governo;

- le dimensioni del gruppo di appartenenza, che nel caso delle interrogazioni a risposta immediata è una variabile addirittura cruciale. Riuscire a presentare un question time in un gruppo composto da 20 persone è ben più semplice che farlo in un gruppo composto da 300.

2.5 Le performance nelle attività parlamentari: prospetto delle formule.

Si riporta di seguito il prospetto riepilogativo delle formule con le quali, alla luce delle analisi operate nei due capitoli precedenti, definiamo le performance parlamentari in ciascuna delle attività parlamentari individuate.

Score come primo firmatario di disegni di legge

Score come relatore di disegni di legge

Score attività emendativa (aula e referente)

Score attività di Sindacato Ispettivo (tutte le tipologie)

Indici di performance

Capitolo 3 - L’analisi

Una volta individuate le attività rilevanti per valutare il peso dei parlamentari, ed una volta individuati gli indicatori che consentono di quantificare l’efficacia che ciascuno di essi registra in ciascuna di quelle attività, ci siamo posti il problema di capire se è possibile integrare tali valori, per ricondurre tale pluralità di informazioni ad un numero unitario.

Come già esposto precedentemente, la diversificazione dei 14 indicatori considerati è riconducibile a 3 tipologie di attività parlamentare registrate dai dati a nostra disposizione (tabella in Figura 0).

Figura 0: tabella delle tipologie dell'attività parlamentare considerata

In una prima fase l'analisi si è concentrata sulla creazione di un metodo per combinare tra loro i parametri originali, prescindendo dalle specifiche tipologie e definendo un performance index per ciascuno dei parlamentari. I singoli parametri sono stati quindi indipendentemente normalizzati a valori compresi tra zero e uno, nella prospettiva di sommarli tra loro tramite pesi opportuni assegnati a ciascuno di essi.

A titolo puramente esplorativo di questa possibilità, è stato coinvolto un pool di esperti del processo politico-parlamentare al quale è stata sottoposta la lista dei parametri a disposizione con la richiesta di assegnare ad essi dei pesi opportuni, nell'intervallo [0,1], secondo il proprio

individuale giudizio dovuto alla personale esperienza. E' stata quindi prodotta una classifica dei parlamentari secondo i pesi ipotizzati e, successivamente, allo stesso pool è stato chiesto di raffinare le loro indicazioni in base alla “verosimiglianza” di detta classifica. Il processo è proseguito in modo iterativo fino a produrre un ranking dei parlamentari che rispondesse alle aspettative del pool.

Il risultato di questo test euristico nel caso del Senato è riportato in Figura.1. In blu sono riportati i pesi inizialmente indicati dagli intervistati (opportunamente rinormalizzati “ottimista-pessimista” e mediati sul pool), in rosso i pesi dopo il processo di raffinamento che ha portato alla compilazione di un ranking a loro giudizio “accettabile”.

Figura 1: risultato del test euristico per la determinazione dei pesi da assegnare ai parametri considerati nel caso del Senato.

Si nota come partendo da un bilanciamento iniziale ragionato dei pesi da assegnare, a giudizio del pool sia stato necessario schiacciare ulteriormente alcuni parametri. In particolare, è stato necessario assegnare ai parametri “Ordini del Giorno (ODG)” e “Interrogazioni scritte” un peso pari a 0.05, e più in generale a quasi tutti i parametri relativi all'attività di Sindacato Ispettivo sono stati assegnati pesi finali che di fatto ne escludono un contributo significativo alla formazione del ranking “plausibile”. Questo semplice test ha permesso quindi di evidenziare immediatamente come la combinazione dei diversi parametri nella formazione di un indice unico di classificazione dei parlamentari avrebbe presentato sostanziali problemi.

Al fine di valutare in modo più oggettivo la fattibilità della creazione di un ranking unico abbiamo analizzato con più attenzione i dati a disposizione.

In Figura.2 è riportato il confronto tra due parametri complessivi ottenuti sommando separatamente, senza alcun peso, i parametri relativi all'attività di sindacato ispettivo (score_SI) e quelli relativi all'attività legislativa (score_leg). Nel grafico superiore i parlamentari sono stati ordinati secondo score_leg decrescente (linea rossa). Come si vede il dato relativo all'attività ispettiva (linea blu) non presenta alcun carattere di correlazione con il parametro legislativo. Anche il grafico inferiore, grafico di dispersione, induce a concludere l'assenza di qualsiasi correlazione tra i due parametri, e quindi la loro tendenza a produrre ranking diversi nella classifica finale.

Figura 2: Nel grafico superiore, confronto tra ranking basato sull'attività legislativa (score_leg, linea rossa) e attività di sindacato ispettivo (score_SI, linea blu). Nel grafico inferiore, scatter-plot delle stesse variabili. Si nota la mancanza di correlazione tra i due parametri.

Una più accurata determinazione in merito alla possibilità di classificare l'attività del singolo parlamentare, costruendone una scala di valutazione per somma pesata dei 14 parametri, proviene dall'analisi delle componenti principali (PCA) sugli stessi parametri. A partire dal set originale dei parametri si è cercato di ridurre la dimensionalità del sistema con questa tecnica. L'analisi degli

autovalori (Figura.3, in rosso la “variabilità spiegata”, in verde la “variabilità cumulativa”) mostra però che per avere una “variabilità spiegata” pari al %60 del totale sia necessario l'intervento di almeno 7 delle prime componenti principali (linea verticale). Effettivamente la distribuzione degli autovalori (linea rossa) presenta una coda persistente.

Figura 3: Analisi delle componenti principali (PCA), distribuzione degli autovalori e della varianza attribuita alle singole componenti

Anche la rappresentazione spaziale delle prime tre componenti principali (Figura.4) indica l'assoluta difficoltà nel ridurre la dimensionalità del sistema fino ad una scala unidimensionale. Evidentemente la complessità dell'attività parlamentare descritta dagli indicatori in nostro possesso non consente riduttive semplificazioni: i singoli parametri raccontano storie diverse in merito alle dinamiche parlamentari.

Figura 4: Rappresentazione delle prime 3 componenti principali di cui in Figura. 3

Nell'impossibilità quindi di unificare in uno ranking unico l'insieme dei parametri in nostro possesso, è stato necessario limitarsi alla definizione di tre parametri indipendenti per le tipologie di attività in considerazione: legislativa, di controllo e di indirizzo. Queste tre classi di attività costituiscono di fatto la ripartizione minima consentitaci avendo rinunciato alla classificazione unica.

I tre parametri, ottenuti come somma diretta degli indici, secondo le tipologie di cui alla tabella di Figura.0, sono stati anche in questo caso rinormalizzati su un intervallo di valori [0,1] e i loro diagrammi di dispersione nel caso della Camera sono mostrati in Figura 5. Nei tre grafici, in cui sono evidenziati i parlamentari appartenenti a maggioranza (rosso) e minoranza (blu), permane la sostanziale non-correlazione dei tre indici. Nei grafici a sinistra e al centro, dove in ascissa compare l'indice dell'attività legislativa, si nota il prevalere dei componenti della maggioranza su quelli della minoranza. Nel grafico di destra riferentesi esclusivamente all'attività di Sindacato Ispettivo la situazione risulta più bilanciata con membri della minoranza che spiccano sulla generalità dei membri della maggioranza.

Figura 5: grafici di dispersione dei tre indici per parlamentari della Camera. I colori evidenziano l'appartenenza a gruppi di maggioranza e di minoranza

Il risultato da un lato sottolinea il carattere intrinsecamente eterogeneo dei tre parametri, dall'altro lato suggerisce ulteriori futuri approfondimenti sulla collocazione politica del singolo parlamentare (esm. il gruppo politico di appartenenza).

I risultati della nostra analisi

A conclusione dello studio, abbiamo determinato che i criteri sulla base dei quali valutare le performance dei parlamentari, ovvero la loro capacità concreta di ottenere risultati politici, variano sensibilmente a seconda del tipo di attività parlamentare che si intende analizzare. Le attività essenziali che abbiamo identificato sono tre: quella legislativa, quella di indirizzo e quella di controllo. Ciascuna di esse30 risponde ad esigenze diverse, è mossa da motivi diversi, segue processi diversi e dunque deve essere valutata in modo differente.

Questa ricerca rappresenta un punto di partenza, dal momento che ciascuna delle attività parlamentari può essere studiata in maniera approfondita. In questa occasione, ci limitiamo a tratteggiare quali devono essere le principali linee di analisi, partendo dalle tre classifiche che risultano dall’applicazione delle nostre formule31 per misurare l’efficacia parlamentare.

La performance legislativa

Iniziamo dal ranking dell’attività legislativa (che, ricordiamo, ricomprende al suo interno quella da primo firmatario, quella da relatore e quella emendativa, passibili, peraltro, di essere analizzate nel dettaglio in separata sede). Di seguito riportiamo le prime 15 posizioni delle relative classifiche di Camera e Senato.

Performance legislativa Camera Performance legislativa Senato

30 Vd. supra parr. 2.1 – 2.4.31 Vd. supra par. 2.5.

Da queste due classifiche emergono principalmente due dati.

In primo luogo, si segnala che le cariche formali hanno ancora una loro importanza presso entrambi i rami del parlamento. Molti parlamentari che compaiono nella top 15 ricoprono cariche formali: sono Presidenti di Commissione (Ferranti, Meta, Finocchiaro, Sacconi, Palma), Capigruppo in Commissione (Gnecchi, Causi, Vattuone, Puglisi, Cociancich). Coloro che non hanno cariche parlamentari, hanno comunque un altissimo profilo politico o partitico (Ermini è il responsabile Giustizia del PD, Dell’Aringa è considerato un’autorità in materia giuslavorista) oppure sono generalmente riconosciuti come esperti di procedura parlamentare (ad es. Calderoli).

Riemerge qui, e con chiarezza, un elemento che avevamo deliberato di tener fuori dall’analisi, per verificare se avesse un peso autonomo nella ricerca: l’importanza delle cariche formali. Il fatto di occupare una carica può essere quindi considerato un vantaggio posizionale: un emendamento o un disegno di legge hanno più possibilità di avere successo se sono firmati dal capogruppo del partito di maggioranza, o addirittura da un Presidente di Commissione, in quanto costui rappresenta non solo se stesso ma un intero partito o addirittura un’istituzione.

L’occupare quella carica può comunque essere considerato anche un merito a sé: si rileva quindi l’utilità della scelta iniziale di non attribuire valori speciali a chi occupa cariche formali, lasciando che i meriti dei parlamentari emergano dai dati e non dalle nomine. Peraltro, si noti che molti Presidenti e Capigruppo non emergono, a conferma che valutarli a prescindere dalla carica formale può avere un’utilità analitica ulteriore, nella valutazione della loro efficacia.

Appare poi rilevante concentrarsi su chi riesce ad occupare posizioni alte senza ricoprire cariche formali. Indagando nel merito si scopre quindi che Anna Giacobbe, Luigi Taranto e Stefano Esposito, ad es., hanno alti tassi di approvazione degli emendamenti, mentre Giorgio Pagliari e Francesca Businarolo sono stati relatori di disegni di legge che hanno avuto un certo successo.

Il secondo dato che emerge con forza è una certa differenza tra i due rami per quanto riguarda la rappresentanza delle opposizioni e dei gruppi diversi dal PD all’interno della nostra top 15. Alla Camera, ben 11 su 15 sono del PD; al Senato sono 9. Alla Camera, i 4 soggetti appartenenti a gruppi diversi dal PD sono: uno di maggioranza (SCPI) e tre di diversi partiti di opposizione (uno di SEL, uno del M5S, uno della Lega); al Senato, invece, dei 6 parlamentari non del PD, due sono di maggioranza (entrambi AP) e quattro sono di opposizione (3 di FI e uno della Lega). Questo a dimostrazione di come essere di maggioranza ovviamente abbia un peso rilevante, ma che anche le condizioni politiche nelle diverse Assemblee comportino rilevanti conseguenze nell’apertura di spazi politici in cui esercitare la propria influenza. Al Senato, dove prima Letta e poi Renzi sono stati costretti a basarsi massicciamente sul sostegno delle destre, esponenti dei gruppi di AP e di FI sono riusciti o riescono a ritagliarsi uno spazio ben maggiore di quanto non avvenga alla Camera, dove in sostanza il PD concede agli altri ben poco.

La performance di indirizzo

Di seguito le prime 15 posizioni delle classifiche, per Camera e Senato, per quanto riguarda l’attività di indirizzo (mozioni, risoluzioni, ordini del giorno).

Performance indirizzo Camera Performance indirizzo Senato

L’attività di indirizzo si evidenzia come meno interessante ai nostri fini, perché appare di gran lunga influenzata dal dato formale: come spiegato in precedenza32, mozioni e risoluzioni sono atti che impegnano il Governo ad assumere un determinato comportamento, presentati allo scopo di essere discussi ed approvati dall’Aula o dalla Commissione. Sono cioè atti eminentemente politici, spesso dedicati a questioni rilevanti per vasti settori della pubblica opinione: sovente sono valorizzati anche i contributi dei gruppi di opposizione, nel tentativo di soddisfarne alcune istanze.

Pertanto - e scorrendo le classifiche questo emerge chiaramente - i primi firmatari degli atti di indirizzo sono spesso soggetti che detengono una carica formale e che firmano tale atto proprio per il fatto di detenere una carica tale da impegnare il gruppo politico ad assumere una data

32 Cfr. supra, par. 2.4.

posizione. Tali soggetti possono essere i Capigruppo in Aula o nelle Commissioni, nonché Presidenti di Commissione o personalità tali da essere considerate come punti di riferimento in un dato settore.

Diversa è poi la logica del terzo tipo di atto di indirizzo, l’ordine del giorno, atto puramente personale, volto a dare una qualche soddisfazione politica al presentatore su questioni spesso microsettoriali. In realtà, la prassi ha del tutto ridimensionato il valore politico di tali atti, accolti dal Governo in moltissimi casi solo per evitare l’ostruzionismo, spesso con riformulazioni tali da depotenziare fortemente gli impegni contenuti.

La performance ispettiva

Di seguito, infine, le prime 15 posizioni delle classifiche sull’attività ispettiva (interrogazioni di ogni tipo ed interpellanze).

Performance controllo Camera Performance controllo Senato

Qui l’ottica cambia completamente. I parlamentari presentano centinaia di migliaia di interrogazioni l’anno: solo il 20%, mediamente, riceve risposta33.

Evidentemente, in un contesto in cui le risposte sono una risorsa scarsa, diviene molto

33 Fonte: banca dati del sindacato ispettivo, URL: aic.camera.it.

interessante capire chi se le aggiudica, e le due evidenze che emergono sono del tutto opposte a quelle emerse sul fronte dell’attività legislativa. Ovvero:

1) non pare rilevante l’essere di maggioranza o di opposizione;2) non pare rilevante il ricoprire o meno una carica formale in Aula o in Commissione.

Le dinamiche che spingono il Governo a dare la precedenza all’una piuttosto che all’altra interrogazione sembrano seguire logiche diverse, probabilmente dovute alle tematiche scelte dai parlamentari, alla loro attualità, alla capacità del parlamentare stesso di sollecitare la risposta, anche utilizzando proprie personali sponde politiche o ministeriali (ricordiamoci infatti che delle risposte si occupano uffici all’uopo preposti all’interno delle burocrazie di ciascun Ministero).

Assumendo l’ottica del singolo deputato, sul fronte ispettivo bisogna dare rilevo anche ad un’altra variabile, quella territoriale. Una buona parte delle interrogazioni infatti sono dirette a fornire risposte al collegio elettorale di provenienza del parlamentare, e le risposte ottenute costituiscono una specie di trofeo da esibire ai propri elettori. Non è forse un caso che i primi due classificati nei due ranking ispettivi di Camera e Senato siano entrambi siciliani, ovvero provenienti dalla regione italiana in cui è rimasto senza dubbio più forte il legame eletto-territorio, nonostante la legge elettorale vigente nel 2013 non lo incentivasse.

Un caso particolare è poi rappresentato dal Senatore Amidei, al sesto posto nella classifica ispettiva dei senatori, protagonista di una battaglia volta a richiedere al Governo maggiore celerità nelle risposte agli atti di sindacato ispettivo, mediante la mozione 1-00487, approvata dal Senato a metà aprile 2016.

Conclusioni generali

La prima conclusione è che le attività parlamentari sono più di una e devono essere studiate separatamente, perché rispondono a logiche nettamente distinte.

La seconda conclusione è che non è affatto vero che, come si sente nella vulgata più diffusa, “conta solo il Governo”. Certamente conta, e conta molto più che venti anni fa, ma il potere del Parlamento esiste ancora e può esercitare un peso, modificando testi, ponendo temi in agenda, esigendo risposte. E nell’ambito dell’espletazione di tali funzioni, non tutti i parlamentari sono uguali. In ciascuna di esse, esistono gradi di efficacia distinti, che possono essere misurati.

La terza conclusione è che, quanto meno sotto il profilo dell’attività legislativa (che è di gran lunga la funzione parlamentare più importante), conta ancora essere "nel posto giusto", ovvero l’avere un ruolo chiave nella propria Commissione, nel proprio Gruppo parlamentare o nel proprio Partito di appartenenza, nonché lo stare “dalla parte giusta”, ovvero in maggioranza piuttosto che all’opposizione, a meno che non vi siano spazi politici lasciati aperti da incertezze parlamentari, come ad esempio si registra al Senato.

Le logiche che guidano l’attività ispettiva sono invece del tutto diverse e tra esse emergono la capacità di cogliere tematiche di rilievo, la possibilità di fare pressioni personali su strutture politiche o ministeriali, il proprio radicamento territoriale.

Ambiti diversi dunque, che devono essere studiati distintamente. Ma questo non significa che non siano collegati, ed anche questo potrebbe essere oggetto di un interessante approfondimento. L’esperienza di chi analizza tali attività quotidianamente insegna come esistano casi di intelligente utilizzo combinato degli strumenti di controllo, di indirizzo, e legislativi/emendativi: un tema, una policy, viene fatta entrare nell’agenda decisionale presentando un’interrogazione, viene trasformata in un impegno politico per il Governo mediante una risoluzione o una mozione, e poi diviene norma vigente mediante un emendamento mirato (ovvero un piccolo ma focalizzato disegno di legge parlamentare capace di attraversare le maglie della navette).

Questo è il quadro ad oggi. Come cambierà tutto questo se la riforma della Costituzione e l’Italicum entreranno davvero in vigore così come il Governo li ha immaginati? Se effettivamente dopo le prossime elezioni potrà definirsi concluso il processo di transizione politico italiano, lo stesso potrà dirsi per il processo di transizione istituzionale? Come funzionerà il nuovo Parlamento?

In tale condizione la Camera, in quanto unico ramo parlamentare rilevante, vedrà il proprio ruolo molto rafforzato, e lo stesso potrà dirsi per i suoi componenti, unici depositari delle funzioni di controllo e di indirizzo sul Governo. Potrebbe inoltre risultare accresciuto il contributo parlamentare alla funzione legislativa, che si è progressivamente spostata, nel corso dell’ultimo ventennio, ad appannaggio del Governo. Da questo punto di vista, è vero che la riforma della Costituzione proposta dal Governo Renzi accresce il potere dell’esecutivo nella gestione dell’agenda parlamentare, ma non bisogna dimenticare che tale correttivo nasce dall’esigenza di “costituzionalizzare”, di “normalizzare” e dunque in una certa misura, anche di “parlamentarizzare” la deprecabile ma purtroppo inevitabile prassi dell’abuso della decretazione d’urgenza. Non è escluso che questo passaggio, senza dubbio positivo, possa favorire l’introduzione in Italia di un modello nettamente più simile, rispetto all’attuale, a quello del Parlamento Europeo, nel quale i dossier governativi (della Commissione) sono affidati in Parlamento ad un relatore (il Rapporteur), che assume poi una posizione centrale nello sviluppo legislativo successivo.

Interessante sarà poi analizzare come evolverà la funzione ispettiva, nelle sue diverse forme (question time, interpellanze, interrogazioni a risposta scritta). Certamente, nell’evoluzione dell’attività ispettiva avrà un ruolo significativo il ritorno della preferenza previsto dall’Italicum,

metodo con il quale saranno eletti molti parlamentari: si potrà quindi osservare un ritorno al territorio del sindacato ispettivo. Da questo punto di vista, è possibile scorgere un paradosso: come noto, i parlamentari eletti tramite le preferenze saranno molto più numerosi tra le fila della maggioranza che tra le fila dell’opposizione (il combinato disposto di premio di maggioranza, circoscrizioni piccole e capilista bloccati limiterà cioè molto i “secondi eletti” delle liste sconfitte). Singolarmente quindi, è possibile che l’interlocuzione tra Governo centrale e territori che si sviluppa tramite il sindacato ispettivo si tradurrà molto più in un dialogo interno alla maggioranza che in una dialettica tra Governo ed opposizione parlamentare.

In generale comunque, sarà interessante capire se perdurerà la sensazione che si ha oggi circa l’attività ispettiva, ovvero che essa rappresenti una sorta di camera di compensazione per i parlamentari (sia delle opposizioni che di settori della maggioranza), che ivi “sfogano” le frustrazioni accumulate in campo legislativo. In campo ispettivo le attenzioni del Governo sono distribuite in modo più equo di quanto non accada a livello legislativo, dove sono in pochi a poter emergere. Per esempio, l’accusa di inconsistenza ed incapacità di ottenere risultati che è stata più volte mossa al M5S (accusa che peraltro andrebbe ben argomentata, visto che alcuni disegni di legge a prima firma grillina hanno fatto strada eccome, soprattutto alla Camera, e non senza una mediazione virtuosa con la maggioranza), può avere avuto un ruolo nella attitudine del M5S a presentare un numero davvero notevole di atti ispettivi. La quantità di interrogazioni presentate del resto, è talmente enorme da risultare sostanzialmente ingestibile per il Governo, e non mancano proposte che limitino dal punto di vista numerico gli atti ispettivi presentabili pro capite dai parlamentari.

In estrema sintesi, questo studio lancia quindi un primo sguardo su un universo di estremo interesse, nella convinzione che l’analisi statistica del comportamento dei parlamentari possa contribuire ad indagare l’effettivo funzionamento della democrazia parlamentare italiana. Se qui abbiamo voluto, come prima cosa, distinguere tra attività parlamentari che poco hanno a che fare, per le loro dinamiche interne, le une con le altre, in prossime occasioni ci prefiggiamo di andare più nello specifico di ciascuna di esse al fine di valutarne lo stato di salute, alle soglie di un cambiamento istituzionale che potrebbe risultare, da questo punto di vista, epocale.

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