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Max Frisch , Don Giovanni o l’amore per la geometria PER SAPERNE UN PO’ DI PIU’…. In occasione dell’allestimento di Don Giovanni o l’amore per la geometria, opera di Max Frisch, che il laboratorio teatrale del Liceo scientifico “G. Galilei”, guidato dal prof. Carlo Dariol quest’anno propone alla visione degli interessati è parso utile fornire, a chi volesse eventualmente approfondire l’argomento, una bibliografia essenziale, nonché qualche passo tratto dalle diverse opere che alla figura di “Don Giovanni”, una delle più suggestive immagini tragiche della modernità, sono state dedicate. In questa sezione, dunque, gli studenti potranno trovare indicazioni di lettura, riferimenti critici, ma anche brevi brani estrapolati da diverse opere che, nel corso della storia della letteratura hanno rielaborato il mito di Don Giovanni, o semplicemente hanno preso spunto da esso. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Naturalmente la bibliografia sull’argomento è sterminata, quindi in questa sede forniamo solo le indicazioni che possono soddisfare una prima curiosità e, contemporaneamente, dare la percezione di come il mito di Don Giovanni risulti profondamente inscritto nel tessuto della cultura occidentale, cosa che appare evidente se si considerano anche i riferimenti cronologici delle diverse opere. Dunque, per quanto riguarda l’elaborazione del mito di Don Giovanni, possono essere considerati pietre miliari i seguenti testi: Tirso de Molina ( Madrid 1584 – 1648), El burlador de Sevilla Moliére (Paris 1622 – 1673), Don Juan ou le Festin de pierre W.A. Mozart (1756 –1791), Don Giovanni o l’empio punito, dramma giocoso in tre atti su libretto di Lorenzo da Ponte ( 1749 – 1838 ) Per quanto riguarda l’interpretazione filosofica della figura di Don Giovanni resta imprescindibile il testo di S. Kierkegaard Don Giovanni, la musica di Mozart e l’eros : “Quando sia nata l’idea del Don

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Max Frisch , Don Giovanni o l’amore per la geometria

PER SAPERNE UN PO’ DI PIU’….

In occasione dell’allestimento di Don Giovanni o l’amore per la geometria, opera di Max Frisch, che il laboratorio teatrale del Liceo scientifico “G. Galilei”, guidato dal prof. Carlo Dariol quest’anno propone alla visione degli interessati è parso utile fornire, a chi volesse eventualmente approfondire l’argomento, una bibliografia essenziale, nonché qualche passo tratto dalle diverse opere che alla figura di “Don Giovanni”, una delle più suggestive immagini tragiche della modernità, sono state dedicate.In questa sezione, dunque, gli studenti potranno trovare indicazioni di lettura, riferimenti critici, ma anche brevi brani estrapolati da diverse opere che, nel corso della storia della letteratura hanno rielaborato il mito di Don Giovanni, o semplicemente hanno preso spunto da esso.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALENaturalmente la bibliografia sull’argomento è sterminata, quindi in questa sede forniamo solo le indicazioni che possono soddisfare una prima curiosità e, contemporaneamente, dare la percezione di come il mito di Don Giovanni risulti profondamente inscritto nel tessuto della cultura occidentale, cosa che appare evidente se si considerano anche i riferimenti cronologici delle diverse opere.

Dunque, per quanto riguarda l’elaborazione del mito di Don Giovanni, possono essere considerati pietre miliari i seguenti testi:

Tirso de Molina ( Madrid 1584 – 1648), El burlador de Sevilla

Moliére (Paris 1622 – 1673), Don Juan ou le Festin de pierre

W.A. Mozart (1756 –1791), Don Giovanni o l’empio punito, dramma giocoso in tre atti su libretto di Lorenzo da Ponte ( 1749 – 1838 )

Per quanto riguarda l’interpretazione filosofica della figura di Don Giovanni resta imprescindibile il testo di S. Kierkegaard Don Giovanni, la musica di Mozart e l’eros : “Quando sia nata l’idea del Don Giovanni non si sa; solo questo è certo, che essa appartiene al cristianesimo e al Medioevo”

Naturalmente molti altri scrittori e musicisti hanno contribuito a consolidare la diffusione del mito. Scrive U. Curi nel suo recentissimo saggio Filosofia del Don Giovanni – Alle origini di un mito moderno :“ Si deve sottolineare, […] che con questo mito si sono cimentati, in forme e in tempi diversi, alcuni fra gli autori più importanti della cultura occidentale: oltre a Tirso de Molina, Moliére e Mozart- Da Ponte […] , Kierkegaard, Byron, Puskin, Shaw, Stravinskij, Juan Zorilla e Gregorio Maranòn , Max Frisch e Bertold Brecht, Ingmar Bergman […] e André Gide, solo per citare alcuni nomi. Ai quali andrebbero aggiunti anche alcuni nomi italiani, come Vitaliano Brancati, Carmelo Bene e Dacia Maraini […]. Insomma, se può risultare difficile individuare, nel ricco repertorio mitologico greco-latino , un eroe che si stagli nettamente, rispetto a una folla di altri personaggi maschili e femminili, non vi è dubbio che quella di Don Giovanni sia la figura più celebrata e rappresentativa, più variamente interpretata e più frequentemente riproposta, di tutta l’età moderna.”

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ANTOLOGIA CRITICADa LOREDANA LIPPERINI, Introduzione al Don Giovanni, Roma, Editori Riuniti, 1987

A differenza di quanto avviene abitualmente, al mito di Don Giovanni possono essere attribuiti una data di nascita e un autore, dal momento che il primo dramma scritto comprensivo di tutti gli elementi cardine della vicenda è unanimemente indicato come il Burlador de Sevilla che padre Gabriel Telléz, meglio conosciuto come Tirso de Molina, ultimò nel 1630. Con ogni probabilità, però, anno e nome assumono lo stesso significato della datazione e dell'attribuzione di opere nate dalla coscienza collettiva come l' Iliade o l'Odissea: tracce della leggenda si ritrovano infatti in tempi assai anteriori allo stesso avvento del Cristianesimo. Se è infatti vero che all'occidente cristiano, e quindi al concetto di peccato e di trasgressione, il mito è strettamente legato, alcuni dei suoi elementi base sono già presenti in altre culture: naturalmente prima di una loro unione non è possibile parlare concretamente di un Don Giovanni. Il motivo dell'eccesso amoroso, ad esempio, non è estraneo alla Roma di Ovidio, nella cui Ars amandi è stato visto il primo esempio della seduzione dongiovannesca: effettivamente la cura dettagliata con cui l'autore delinea la strategia amorosa non dispiacerebbe al raziocinante libertino di Molière, mentre qua e là si ritrova addirittura il motivo del «catalogo” nelle diverse adulazioni che l'eroe rivolge, per incantarle, alle sue vittime, laddove la frase «le nane chiamiamole bamboline, le enormi ben messe» potrebbe addirittura richiamare alla mente «la grande maestosa» e «la piccina vezzosa» di Mozart - Da Ponte. La differenziazione delle lodi da riservare alle varie categorie femminili non è comunque un motivo raro nei poeti e negli epigrammisti greci e latini: ma, come in Ovidio, si tratta sempre di un invito al piacere gioioso e sensuale più che il proclama di un modus vivendi. Negli allegri gaudenti precristiani manca quel sotterraneo senso di sfida e di orgoglioso individualismo che caratterizza Don Giovanni, manca il gusto per l'avventura e per la fuga, che negli antichi cantori della voluttà si traduce semmai in estenuante languore: c'è insomma un sospetto di adipe in queste mollezze latine che impedisce loro di configurarsi come presagio del mito. Qualche traccia più consistente appare semmai in relazione al secondo grande tema della vendetta del morto: è nell'antica Grecia che vedono la luce le antenate della Statua che cammina, di cui esistono addirittura due prefigurazioni. Una di esse è quella, piuttosto nota, che prende improvvisamente vita nel mito di Pigmalione, ma già Aristotele, nella Poetica, parla del simulacro di Mitys che ad Argo, durante una festa, fa giustizia del suo assassino rovinandogli addosso.

Da Storie di don Giovanni. Da Hoffmann a Brancati, a cura di Guido Davico Bonino, Milano, Rizzoli, 2004

Quando Armand Edwards Singer licenziò per i tipi della West Virginia University Press la seconda edizione della sua bibliografia su Don Giovanni (The Don Juan Theme: An Annotated Bibliography of Versions, Analogues, Uses and Adaptations, 1993), si accorse d'aver messo a disposizione dei suoi colleghi oltre tremila titoli. Erano passati, è vero, più di trecentosessant'anni da quando in una raccolta di commedie spagnole (1630) era apparso EI Burlador de Sevilla, attribuito a un frate, un certo Gabriel Tellez detto Tirso de Molina: ma la cifra aveva lo stesso qualcosa di prodigioso. Si comprende benissimo come il Dictionnaire de Don Juan, che Pierre Brunel, illustre comparatista e specialista di miti letterari, ha ideato e realizzato per l'editore parigino Laffont nel 1999, abbia visto all'opera oltre cento specialisti, impegnati a stendere circa trecento voci, per un insieme di mille pagine in corpo piccolo su due colonne. Questa straordinaria mole di referenze bibliografiche e riferimenti critici è dovuta al fatto che questo mito letterario s'accampa sin dal Medioevo (assai prima dunque della data della prima edizione del Burlador) in tutta Europa. Si conoscono, infatti, in Guascogna e Bretagna, in Catalogna, in Andalusia e nella Vecchia e Nuova Castiglia, in Italia (dall' Alto Adige alla Sicilia), in Portogallo, in Germania, e persino in Svezia numerose redazioni in prosa e versi (per la Spagna sono i cosiddetti romances), che riprendono, con lievi varianti di contenuto, pressapoco la stessa vicenda: un giovane gentiluomo, che s'incaponisce a far la corte a un gran numero di donne, s'imbatte in un morto e lo oltraggia, invitandolo a cena. Il morto si presenta all'ora fissata al convito

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(preparato per lo più dal servitore del gentiluomo) e controinvita il gentiluomo a un secondo banchetto, in chiesa o in un cimitero. Qui si spalanca, in ambedue i casi, una tomba, nella quale il gentiluomo è costretto a entrare e dove resta inesorabilmente inghiottito. In questi antichi documenti letterari, qualunque sia la natura e il peso delle varianti che ciascuno di essi propone, si delinea perentoriamente il profilo bifronte del proto-don-Giovanni: da una parte il seduttore, dall'altra l'ateista. Capace di mettere in atto tutte le astuzie pur di conseguire i propri fini, don Giovanni crede a un'idea della seduzione «quantitativa» ed estetizzante: egli «ama» (le virgolette sono d'obbligo) soltanto le donne belle e pensa che quante più ne riesce a conquistare, indipendentemente dal loro lignaggio (nobildonne o contadine), tanto più rifulgerà come conquistatore. Per questo - ha spiegato Josè-Manuel Losada-Goya -«nessuna donna gli è in- differente e le guarda tutte come se, al momento della sua estatica contemplazione, ciascuna di loro fosse la sola donna esistente al mondo». In realtà - ha osservato, di rincalzo, François Bonfils –“questo bisogno di moltiplicare le conquiste ci rivela che don Giovanni non è mai pienamente soddisfatto della donna che in quel momento possiede... tutte le donne, dunque, e nessuna donna, in nome sempre della Donna sognata...”} Mettiamoci ora nei confronti di don Giovanni dal punto di vista della religione cristiano-cattolica, dal momento che il suo mito prende vita e fiorisce tra Medioevo e Barocco, lungo quattro secoli dunque in cui l'idea di Dio e il concetto di peccato sono universalmente condivisi. Sotto questo angolo visuale, «don Giovanni ha tutto del peccatore incallito e dell'ottimista gaudente. È come il ghiottone che sa che la sua avidità lo farà morire... Egli capisce bene che deve cambiar vita e pentirsi, ma a tutti gli altri suoi peccati aggiunge una fiducia, non riposta in Dio, ma in se stesso, cioè il proprio orgoglio e la propria arroganza... Il più gran peccato di don Giovanni non è d'aver ingannato uomini e donne, di uccidere e tradire, ma di non aver mai avuto alcun rimorso» (Alexandre Cioranescu). Nell'universo cristiano-cattolico in cui fioriscono le prime versioni letterarie del mito di don Giovanni, Dio è il giudice supremo che ricompensa i buoni e punisce i malvagi. Ed è Lui a inviare a don Giovanni quella Statua, quel Commendatore, che diventa immediatamente il suo antagonista in un duello spettacolare, per presentarsi poi ai nostri occhi come il suo Doppio, la sua «coscienza di pietra», secondo una felice definizione di André Suarès nel 1935.2 Non a caso, davanti a questo messaggero del Cielo, che si stupisce che don Giovanni non si sia ancora pentito, che lo scongiura sino all'ultimo di fare ammenda dei propri peccati, il seduttore-ateista, alla minaccia di un'imminente punizione, sente risvegliare in sé il proprio istinto ribelle e lancia l'ultima definitiva sfida: lui solo è a se stesso padre, maestro, destino, Dio. L'esito della sfida è, come ognuno sa, la morte. In don Giovanni, che sprofonda nel tumulo spalancato, o -che è lo stesso- viene combusto dalle fiamme che vi si sprigionano, c'è qualcosa del «retaggio di quella quasi immemoriale cultura funebre - ha osservato con molta finezza Gilles Ernst - in cui la fede nella sopravvivenza si sdoppia nella credenza nella permeabilità del mondo dei morti, che continuano a rimanere in ascolto dei viventi. L'aura malefica, che continua ad avvolgere come un incubo don Giovanni, ...ha dunque un legame con un mondo oscuro, che l'uomo…non evoca né ab- borda senza un fremito».

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Le seduzioni di Don GiovanniDall'opera di Mozart e Da Ponte, un mito dentro e fuori della letteratura

di Valeria Merola

Capita spesso di sentir parlare di Don Giovanni, anche in contesti molto diversi da quelli che più gli sono propri, come la musica, il teatro e la letteratura. Questo perché Don Giovanni è entrato nella vita quotidiana, perdendo completamente la sua connotazione artistica e lasciandosi assimilare nell’immaginario collettivo. Don Giovanni è uno di quei personaggi che si svincolano dall’opera e dall’autore che li ha generati, per muoversi autonomamente nel mondo, forti di una personalità ben definita e priva di debiti verso l’esterno. Per questo Don Giovanni, come anche per esempio Edipo, Amleto, Faust, viene accolto dalla psicanalisi come immagine emblematica dell’uomo e delle sue debolezze. L’eroe dell’opera di Mozart e Da Ponte è quindi soprattutto un simbolo, che in quanto tale non si lascia dimenticare, passando di autore in autore come se appartenesse a tutti e a nessuno. Don Giovanni è innanzitutto un mito moderno, che si trasforma in relazione ai tempi e ai luoghi, ma che sostanzialmente rimane invariato nelle sue componenti essenziali. L’opera di Mozart è il tramite principale per la conoscenza del mito, che in essa trova anche la sua definitiva codificazione. È attraverso Mozart, e grazie all’abbinamento con la musica, che la leggenda di Don Giovanni arriva alla contemporaneità, penetrando nel profondo delle radici culturali occidentali. Eppure, nonostante l’identificazione pressoché spontanea con Mozart, Don Giovanni gode di un suo spazio indipendente dalla dimensione artistica, al punto da divenire immagine del maschile e stereotipo dell’amore libertino. L’aspetto più noto del mito di Don Giovanni è sicuramente il catalogo delle donne amate, recitato dal servo Leporello:

Madamina, il catalogo è questodelle belle che amò il padron mio,un catalogo, egli è che ho fatt’io,osservate, leggete con me.

In Italia seicento e quaranta,in Lamagna duecento e trent’una,cento in Francia, in Turchia novant’una,ma in Ispagna son già mille e tre.Don Giovanni seduce e abbandona le donne di tutto il mondo, per il solo “piacer di porle in lista”: che siano bionde o brune, grasse o magre, vecchie o giovani, ricche o povere, brutte o belle, poco gli interessa, “purché porti la gonnella / voi sapete quel che fa”. L’aria del catalogo è un retaggio delle prime versioni teatrali del mito (dallo spagnolo Tirso de Molina a Molière nei quali però si fa solo allusione ai molteplici amori del protagonista, ma anche a Bertati e Gazzaniga, il cui Don Giovanni Tenorio è sicuramente il più diretto antecedente del libretto dapontiano). Il catalogo esprime in primo luogo il carisma dell’eroe, che è colui a cui nessuna donna può resistere, ma offre anche l’aspetto burlesco del mito. Come dimostra la seduzione in scena di Zerlina nell’opera di Mozart, e come era evidente anche nei precedenti, soprattutto nell’Ingannatore di Siviglia di Tirso, Don Giovanni conquista le sue donne fingendosi diverso da quello che è, promettendo amore eterno e quindi il matrimonio:Là ci darem la mano,là mi dirai di sì;vedi, non è lontano,partiam, ben mio da qui.Gli inganni di Don Giovanni non sono indirizzati solo alle donne da sedurre. Il personaggio si realizza infatti nel travestimento, nel camuffamento dell’identità, con cui tradisce anche gli amici, come Don Ottavio. Entra qui in gioco una seconda componente fondamentale nella definizione del mito, ovvero la presenza del servo Leporello (Catalinone in Tirso, Sganarelle in

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Molière), che aiuta il suo padrone nella realizzazione degli inganni e degli scambi di persona. Il rapporto con il valletto introduce l’elemento comico del mito, perché Leporello, oltre che l’aiutante, è anche il doppio di Don Giovanni, di cui ripete le azioni, degradandole. Leporello, vuole “far il gentiluomo”, ma non ci riesce, e allora svolge un’azione critica nei confronti del padrone, di cui condanna la condotta libertina e la mancanza di valori. Il servo è in tutte le versioni del mito il confidente di Don Giovanni, il suo alter ego, ma anche la sua parte buffonesca, materiale e codarda.

L’aspetto serio e tragico del dramma è invece legato alle protagoniste femminili del mito. Dalla contadina Zerlina, la cui seduzione avviene in scena con la falsa promessa del matrimonio, “io cangerò tua sorte”, alla melodrammatica Donna Elvira, sedotta e abbandonata, che ora vorrebbe vendicarsi del libertino:

A chi mi dice maiquel barbaro dov’è,che per mio scorno amai,che mi mancò di fé?

Ah se ritrovo l’empio,e a me non torna ancor,vo’ farne orrendo scempio,gli vo’ cavare il cor.

si arriva fino alla tragica Donna Anna (che da Mozart in poi conquista uno spessore notevole, soprattutto nei rifacimenti romantici di Hoffmann e Baudelaire). La promessa sposa di Don Ottavio rimane vittima degli inganni del seduttore, ma riesce a sottrarsi alla sua violenza, chiamando il padre, il Commendatore, a vendicarla. La morte del Commendatore nel duello con il libertino innesca un’altra tematica fondamentale nella dinamica del mito, ovvero il confronto con il sovrannaturale. Il grande seduttore, incarnazione suprema dell’Eros, si trova inevitabilmente a contatto con Thanathos, e dallo scontro tra le due istanze tra loro complementari deriva la tragedia del protagonista. È nel cimitero infatti che Don Giovanni incontra la statua del Commendatore, che decide di sfidare nuovamente, sentendosi preso in giro dal morto. O vecchio buffonissimo!Digli che questa sera l’attendo a cena meco.Tramite lo spaventatissimo Leporello, che, nella sua ingenuità, svela l’arditezza dell’azione, Don Giovanni invita il morto a cena a casa sua. O statua gentilissimaDel gran Commendatore...(a Don Giovanni)Padron... mi trema il core;non posso terminar.Come dimostra la paura di Leporello, che quasi non riesce nemmeno a parlare di fronte al morto, l’invito a cena della statua è un oltraggio al sovrannaturale, un tentativo di infrangere il tabù della separazione tra il mondo dei vivi e quello dei defunti. La cena con il morto, momento cruciale del dramma di Mozart e Da Ponte, è la vera sfida di Don Giovanni, che crede di poter ingannare l’al di là, così come fa con gli uomini, senza ricordare l’incompatibilità tra i due mondi: “non si pasce di cibo mortale / chi si pasce di cibo celeste”. Per questo Don Giovanni accetta eroicamente il nuovo invito del Commendatore: “ho fermo il core in petto: / non ho timor, verrò!”, e stringe la mano alla statua a suggellare l’accordo stabilito. Ma subito si sente invadere dal gelo del morto, e quindi investire dal suo invito al pentimento. A nulla servono le premonizioni di sventura, né il terrore del servo. Rifiutatosi di cambiare vita, Don Giovanni viene assalito dalle fiamme dell’inferno.Da qual tremore insolito...

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Sento assalir gli spiriti...Dond’escono quei vorticidi foco pien d’orror!....Chi l’anima mi lacera!Chi m’agita le viscere!Che strazio, ohimè, che smania!Che inferno! Che terror!

PER ULTERIORI APPROFONDIMENTI, CFR. IL SITOhttp://www.railibro.rai.it/articoli.asp?id=212

Bibliografia critica di riferimento

Franca Angelini, Don Giovanni, in Barocco italiano, in Storia del teatro moderno e contemporaneo, diretta da Roberto Alonge e Guido Davico Bonino, Einaudi, Torino 2000, I, La nascita del teatro moderno.Alessandro Baricco, Dracula, in Il romanzo, a c. di Franco Moretti, Einaudi, Torino 2003, IV, Temi,luoghi, eroi. Pierre Brunel, Dictionnaire de Don Juan, Laffont, Paris 1999.Umberto Curi, Filosofia del Don Giovanni. Alle origini di un mito moderno, Bruno Mondadori, Milano 2002.Angelica Forti Lewis, Maschere, libretti e libertini: il mito di Don Giovanni nel teatro europeo, Bulzoni, Roma 1992.Pierre-Jean Jouve, Il Don Giovanni di Mozart, Adelphi, Milano 2001.Giovanni Macchia, Vita, avventure e morte di Don Giovanni, Laterza, Bari 1966.Massimo Mila, Lettura del Don Giovanni di Mozart, Einaudi, Torino 1988 e 2000.Renato Raffaelli, Variazioni sul Don Giovanni, Quattroventi, Urbino 1990.Jean Rousset, Il mito di Don Giovanni, Pratiche, Parma 1980.

ANTOLOGIA DI TESTIMOLIERE, Don Giovanni, atto I, scena 2

SGANARELLO Certo che avete ragione, se volete averla; questo è incontestabile. Ma se non insisteste per averla, la cosa si potrebbe discutere. DON GIOVANNI Ebbene, ti do il permesso di parlare, e di dirmi come la pensi.

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SGANARELLO In questo caso, signore, vi dirò francamente che non approvo affatto il vostro sistema di vita, e che trovo molto brutto amare donne a destra e a manca come fate voi. DON GIOVANNI Ma come! Vorresti obbligare un uomo a restare legato per tutta la vita alla prima donna che lo cattura, a rinunciare per lei al mondo, a non avere più occhi per nessun altro? Bella cosa, volersi piccare di questo falso onore della fedeltà, seppellirsi per sempre in una passione, e darsi per morto, giovane ancora, a tutta la bellezza che può balenarci davanti agli occhi! No, no, la costanza sta bene soltanto ai damerini da commedia: tutte le belle donne hanno il diritto di affascinarci, e il vantaggio di essere stata incontrata per prima non deve defraudare le altre delle giuste pretese che tutte devono poter avere sul nostro cuore. Quanto a me, la bellezza mi conquista dovunque la trovo, e mai cedo tanto facilmente come alla dolce violenza con cui essa ci trascina. Posso ben essere impegnato, l'amore che ho per una bella donna non m'impegna affatto a fare ingiustizia alle altre; conservo occhi per vedere i pregi di tutte, e a ciascuna pago gli omaggi e i tributi cui la natura ci obbliga. Checché ne sia, ,a una donna graziosa non so rifiutare il mio cuore; e come un bel viso me lo chiede, se di cuori ne avessi dieci mila li donerei tutti e quanti. È proprio il nascere di un'inclinazione, in fin dei conti, che ha questo fascino inesprimibile, e tutto il piacere dell'amore è nella novità. La più intensa dolcezza la si prova nel conquistare, con cento gesti galanti, il cuore di una giovane bellezza, vedere di giorno in giorno i piccoli progressi che si compiono, combattere con scene ardenti, lacrime, sospiri l'innocente pudore di un'anima che fatica ad arrendersi, forzare passo a lasso le piccole resistenze che ella ci oppone, vincere gli scrupoli di cui ella si fa un onore, e a poco a poco condurla dolcemente là dove avevamo voglia di farla arrivare. Ma una volta padroni, non vi è più nulla da dire e nulla da sperare: tutto il bello della passione è finito, e noi ci addormentiamo tranquilli e beati in questo amore, finché un'altra donna non si fa avanti a ridestare i nostri desideri, e a mostrare al nostro cuore l'affascinante prospettiva di una nuova conquista. Insomma, non c'è niente al mondo di più bello che il trionfare della resistenza di una donna, e in questo campo io ho le stesse ambizioni dei conquistatori, che volavano in perpetuo di vittoria in vittoria, senza mai rassegnarsi a porsi dei limiti. Non vi è nulla che possa arrestare l'impeto dei miei desideri: mi sento un cuore in grado di amare tutto il mondo; e al pari di Alessandro, vorrei augurarmi che esistano altri mondi, per potervi estendere le mie conquiste amorose. SGANARELLO Sangue della mia vita, che tirata! Sembra che l'abbiate imparata a memoria, tanto parlate come un libro stampato! DON GIOVANNI

Che cosa rispondi? SGANARELLO Parola mia, potrei rispondere... non so cosa rispondere: perché voi girate le cose in un modo che sembra che dobbiate aver ragione; e tuttavia è certo che avete torto. Avete in testa i più bei pensieri del mondo, e i vostri discorsi mi hanno imbrogliato tutto. Lasciate fare a me: la prossima volta metterò i miei ragionamenti per iscritto, così potrò discutere con voi. OON GIOVANNI

Sarà meglio.

MOLIERE, Don Giovanni, atto III, scena 1

SGANARELLO Vorrei sapere qual è in realtà il vostro pensiero. È possibile che voi proprio non crediate in Dio? DON GIOVANNI Lasciamo perdere. SGANARELLO Il che è come dire: no. E all'inferno? DON GIOVANNI Eh! SGANARELLO Idem come sopra. E, scusate: al diavolo? DON GIOVANNI Sì, sì. SGANARELLO Tale e quale. Non credete insomma alla vita eterna. DON GIOVANNI Ah, ah, ah!

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SGANARELLO Ecco uno che farei fatica a convertire. E ditemi un po': del Monaco fantasma che cosa ne dite, eh? DON GIOVANNI Che gli venga un cancro! SGANARELLO Ecco una cosa che non riesco a mandar giù; perché non c'è niente di più vero del Monaco fantasma, e io mi farei impiccare piuttosto di non crederci. Ma] siccome bisogna pur credere in qualcosa [a questo mondo: e dunque] voi, in che cosa credete? DON GIOVANNI In che cosa credo io? SGANARELLO Sì. DON GIOVANNI Credo che due più due fa quattro, Sganarello; e che quattro più quattro fa otto1. SGANARELLO Bella credenza, e begli articoli di fede! La vostra religione, a sentir voi, è dunque l'aritmetica? Bisogna pur dire che ci sono delle strane pazzie che entrano nelle teste degli uomini, e che il più delle volte, più si studia e meno si ha giudizio. lo, signore, non ho certo studiato come voi. Grazie a dio, nessuno potrà mai vantarsi di avermi insegnato qual- cosa; ma per piccolo che sia il mio cervello, per poco criterio ch'io abbia, vedo le cose meglio io di tutti i libri stampati, e mi rendo perfettamente conto che questo mon- do che vediamo non può essere un fungo, spuntato lì da so- lo, dalla sera alla mattina. Vorrei proprio sapere da voi chi è che ha fatto quegli alberi, quelle rocce, questa terra, e quel cielo là in alto; o se tutta questa roba si è costruita da sola. Eccovi voi, per esempio, che siete lì: vi siete fatto da solo, voi, o per farvi non c'è stato bisogno che vostro padre mettesse incinta vostra madre? Riuscite a pensare a tutte le invenzioni di cui è composta questa macchina che è l'uomo, senza restare a bocca aperta per il modo in cui sono tutte legate l'una all'altra; questi nervi, queste ossa, queste vene, queste arterie, questi... questo polmone, questo cuore, questo fegato, e tutti gli altri ingredienti che... Oh, diamine, volete interrompermi, per piacere? lo non riesco a discutere se non mi si interrompe! E voi ve ne state zitto apposta, e mi lasciate andare avanti a parlare perché mi imbrogli. DON GIOVANNI Stavo aspettando che tu finissi il tuo ragionamento. SGANARELLO Il mio ragionamento è che nell'uomo c'è qualcosa di straordinario, checché voi ne diciate, che nessun sapiente .l,i; potrà mai spiegare. Non è meraviglioso, per esempio, che io sia qui, e che abbia in testa un qualcosa che pensa a mille le cose diverse contemporaneamente, e che fa del mio corpo tutto quello che vuole? Voglio battere le mani, sollevare un braccio, alzare gli occhi al cielo, chinare la testa, agitare i piedi, andare a destra, a sinistra, davanti, di dietro, girare... (Girando, cade a terra.) DON GIOVANNI

Bene! Ecco il tuo ragionamento che si rompe l'osso del collo. SGANARELLO Accidenti, sono un bell'idiota a stare a discutere con voi! Credete in quel che vi pare; m'interessa tanto, a me, che voi finiate dannato! " DON GIOVANNI In tanto, a forza di discutere, ho l'impressione che ci siamo persi. Chiama un po' quell'uomo là in fondo, e chiedigli la strada. SGANARELLOOlà, oh, quell'uomo! Ehi, compare! Ehi, amico! Una parola, per piacere.

1. Questa frase sembra fosse stata pronunciata dal principe d'Orange in punto di morte.

Charles Baudelaire

Charles Baudelaire (1821-1867) ha probabilmente ventidue anni quando, intorno quindi al 1843, compone la lirica Don Giovanni all'Inferno, che pubblicherà sul periodico «L'Artiste» il 6 settembre 1846, sotto il titolo L'impenitente, firmando la Baudelaire-Dufays. La lirica, nei Fleurs du Mal (1857) verrà situata nella sezione Spleen e Ideale, a formare una sorta di dittico con quella successiva, L'orgoglio punito. L'eroe del titolo oppone il calmo rifiuto della noncuranza, «sulla sua spada raccolto», fissando la scia del vascello infero, alla turba delle sue vittime di molieriana memoria: il povero Sganarello che reclama il compenso, il padre, un «uomo alto di pietra», un gruppo di donne dai seni penduli ed Elvira.

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(…)Vorremmo qui aggiungere che sulla stesura finale delle cinque quartine dei Fleurs du Mal influirono molto probabilmente due quadri, estremamente suggestivi, di Eugène Delacroix (1798-1863).Il primo è La Barque de Dante (Paris, 1822, Louvre), il secondo è Le Naufrage de Don Juan, realizzato nel 1840, anche se il pittore vi lavorava sin dal 1824, come testimonia uno schizzo in tale data, conservato al Victoria and Albert Museum. Ispirato al Don Juan di George Gordon Byron (1818-1824, incompiuto, e, segnatamente, al canto II, strofa 63), il quadro, esposto dapprima al Salon de Paris nel 1841, venne ripresentato all'Éxposition Universelle del 1855. Baudelaire scrisse nell'occasione: «La pittura di Delacroix... sa svelarci idee di un livello più alto, più fine, più profondo di quello della maggior parte dei pittori moderni».

Don Juan aux Enfers

Quand Don Juan descendit vers l'onde souterraineEt quand il eut donné son obole à Charon,Un sombre mendiant, l'oeil fier comme Antisthène,D'un bras vengeur et fort saisit chaque aviron.

Montrant leurs seins pendants et leurs robes ouvertes,Des femmes se tordaient sous le noir firmament,Et, comme un grand troupeau de victimes offertes,Derrière lui traînaient un long mugissement.

Sganarelle en riant lui réclamait ses gages,Tandis que Don Luis avec un doigt tremblantMontrait à tous les morts errant sur les rivagesLe fils audacieux qui railla son front blanc.

Frissonnant sous son deuil, la chaste et maigre Elvire,Près de l'époux perfide et qui fut son amant,Semblait lui réclamer un suprême sourireOù brillât la douceur de son premier serment.

Tout droit dans son armure, un grand homme de pierreSe tenait à la barre et coupait le flot noir;Mais le calme héros, courbé sur sa rapière,Regardait le sillage et ne daignait rien voir

Don Giovanni all’inferno

Quando scese nell’onda di sotterraDon Giovanni, e a Caronte fu l’obolo pagato,occhio fiero d’Antistene, braccio vindice e forteun cupo mendicante s’impadronì dei remi. Discinte, i seni penduli, si torcevano donneSotto l’ottenebrato firmamento,come vittime offerte in una mandra immensadietro di lui mugghiando lungamente. Ridendo Sganarello reclamava la pagaE con dito tremante Don LuigiMostrava ai morti erranti sulle due opposte riveL’audace schernitore della sua testa bianca. Presso il perfido sposo, già suo amante,rabbrividiva in lutto la casta e magra Elvirae sembrava pretenderne un estremo sorrisodove brillasse il miele del primo giuramento. Dritto e grande al timone nella sua armaturaUn uomo di pietra divideva la tenebra dei flutti;ma l’eroe era raccolto, calmo, sullo spadae fissando la scia non degnava altro vedere.

(Traduzione di GIOVANNI RABONI) 

Paul Verlaine, Don Giovanni ingannato (Don Juan pipé)

    À François Coppée

    Don Juan qui fut grand Seigneur en ce monde    Est aux enfers ainsi qu'un pauvre immonde    Pauvre, sans la barbe faite, et pouilleux,    Et si n'étaient la lueur de ses yeux    Et la beauté de sa maigre figure,    En le voyant ainsi quiconque jure

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    Qu'il est un gueux et non ce héros fier    Aux dames comme au poète si cher    Et dont l'auteur de ces humbles chroniques    Vous va parler sur des faits authentiques.

    Il a son front dans ses mains et paraît    Penser beaucoup à quelque grand secret.    Il marche à pas douloureux sur la neige :    Car c'est son châtiment que rien n'allège    D'habiter seul et vêtu de léger    Loin de tout lieu où fleurit l'oranger    Et de mener ses tristes promenades    Sous un ciel veuf de toutes sérénades    Et qu'une lune morte éclaire assez    Pour expier tous ses soleils passés.    Il songe. Dieu peut gagner, car le Diable    S'est vu réduire à l'état pitoyable    De tourmenteur et de geôlier gagé    Pour être las trop tôt, et trop âgé.    Du Révolté de jadis il ne reste    Plus qu'un bourreau qu'on paie et qu'on moleste    Si bien qu'enfin la cause de l'Enfer    S'en va tombant comme un fleuve à la mer,    Au sein de l'alliance primitive.    Il ne faut pas que cette honte arrive.

    Mais lui, don Juan, n'est pas mort, et se sent    Le coeur vif comme un coeur d'adolescent    Et dans sa tête une jeune pensée    Couve et nourrit une force amassée ;    S'il est damné c'est qu'il le voulut bien,    Il avait tout pour être un bon chrétien,    La foi, l'ardeur au ciel, et le baptême,    Et ce désir de volupté lui-même,    Mais s'étant découvert meilleur que Dieu,    Il résolut de se mettre en son lieu.    À cet effet, pour asservir les âmes    Il rendit siens d'abord les cœurs des femmes.    Toutes pour lui laissèrent là Jésus,    Et son orgueil jaloux monta dessus    Comme un vainqueur foule un champ de bataille.    Seule la mort pouvait être à sa taille.    Il l'insulta, la défit. C'est alors    Qu'il vint à Dieu, lui parla face à face    Sans qu'un instant hésitât son audace.    Le défiant, Lui, son Fils et ses saints !    L'affreux combat ! Très calme et les reins ceints    D'impiété cynique et de blasphème,    Ayant volé son verbe à Jésus même,    Il voyagea, funeste pèlerin,    Prêchant en chaire et chantant au lutrin,

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    Et le torrent amer de sa doctrine,    Parallèle à la parole divine,    Troublait la paix des simples et noyait    Toute croyance et, grossi, s'enfuyait.

    Il enseignait : " Juste, prends patience.    " Ton heure est proche. Et mets ta confiance    " En ton bon coeur. Sois vigilant pourtant,    " Et ton salut en sera sûr d'autant.    " Femmes, aimez vos maris et les vôtres    " Sans cependant abandonner les autres...    " L'amour est un dans tous et tous dans un,    " Afin qu'alors que tombe le soir brun    " L'ange des nuits n'abrite sous ses ailes    " Que cœurs mi-clos dans la paix fraternelle. "

    Au mendiant errant dans la forêt    Il ne donnait un sol que s'il jurait.    Il ajoutait : " De ce que l'on invoque    " Le nom de Dieu, celui-ci s'en choque,    " Bien au contraire, et tout est pour le mieux.    " Tiens, prends, et bois à ma santé, bon vieux.    Puis il disait : " Celui-là prévarique    " Qui de sa chair faisant une bourrique    " La subordonne au soin de son salut    " Et lui désigne un trop servile but.

    " La chair est sainte ! Il faut qu'on la vénère.    " C'est notre fille, enfants, et notre mère,    " Et c'est la fleur du jardin d'ici-bas !    " Malheur à ceux qui ne l'adorent pas !    " Car, non contents de renier leur être,    " Ils s'en vont reniant le divin maître,    " Jésus fait chair qui mourut sur la croix,    " Jésus fait chair qui de sa douce voix    " Ouvrait le coeur de la Samaritaine,    " Jésus fait chair qu'aima la Madeleine ! "

    À ce blasphème effroyable, voilà    Que le ciel de ténèbres se voila.    Et que la mer entrechoqua les îles.    On vit errer des formes dans les villes    Les mains des morts sortirent des cercueils,    Ce ne fut plus que terreurs et que deuils    Et Dieu voulant venger l'injure affreuse    Prit sa foudre en sa droite furieuse    Et maudissant don Juan, lui jeta bas    Son corps mortel, mais son âme, non pas !    Non pas son âme, on l'allait voir ! Et pâle    De male joie et d'audace infernale,    Le grand damné, royal sous ses haillons,

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    Promène autour son œil plein de rayons,    Et crie : " À moi l'Enfer ! ô vous qui fûtes    " Par moi guidés en vos sublimes chutes,    " Disciples de don Juan, reconnaissez    " Ici la voix qui vous a redressés.-    " Satan est mort, Dieu mourra dans la fête,    " Aux armes pour la suprême conquête !    " Apprêtez-vous, vieillards et nouveau-nés,    " C'est le grand jour pour le tour des damnés. "    Il dit. L'écho frémit et va répandre    L'appel altier, et don Juan croit entendre    Un grand frémissement de tous côtés.    Ses ordres sont à coup sûr écoutés :    Le bruit s'accroît des clameurs de victoire,    Disant son nom et racontant sa gloire.    " À nous deux, Dieu stupide, maintenant ! "    Et don Juan a foulé d'un pied tonnant

    Le sol qui tremble et la neige glacée    Qui semble fondre au feu de sa pensée...    Mais le voilà qui devient glace aussi    Et dans son coeur horriblement transi    Le sang s'arrête, et son geste se fige.    Il est statue, il est glace. Ô prodige    Vengeur du Commandeur assassiné !    Tout bruit s'éteint et l'Enfer réfréné    Rentre à jamais dans ses mornes cellules.    " Ô les rodomontades ridicules " ,

    Dit du dehors Quelqu'un qui ricanait,    " Contes prévus ! farces que l'on connaît !    " Morgue espagnole et fougue italienne !    " Don Juan, faut-il afin qu'il t'en souvienne,    " Que ce vieux Diable, encore que radoteur,    " Ainsi te prenne en délit de candeur ?    " Il est écrit de ne tenter... personne    " L'Enfer ni ne se prend ni ne se donne.    " Mais avant tout, ami, retiens ce point :    " On est le Diable, on ne le devient point. "

MAX FRISCH, Don Giovanni o l’amore per la geometria (1953)

La commedia dello scrittore svizzero propone una rilettura del mito di don Giovanni: innamorato unicamente della chiarezza, della precisione della geometria, il protagonista è costretto controvoglia ad interpretare il ruolo di sacrilego e dissoluto che la tradizione impone. Come il celebre personaggio di Mozart - Da Ponte, anche l’intellettuale e sarcastico don Giovanni novecentesco è destinato ad essere punito: non la tragedia, ma la commedia e la farsa sono però il destino del leggendario seduttore secondo Frisch.

Atto II

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Don Giovanni Io non ho paura degli uomini.Donna Elvira Alt! (Si mette in mezzo.) Quattro contro uno!

E non sappiamo nemmeno perché questo ragazzo è così smarrito. Siete padroni di voi stessi? Vi prego di avere un po' di comprensione. E subito!

Tutti abbassano le spade.Padre Diego, perché non dice niente?

Padre Diego Io…Don Giovanni Cosa vuole che dica il Padre? Mi capisce benissimo. Altrimenti perché non si è sposato?Padre Diego Io?Don Giovanni Per esempio, perché non ha sposato Donna Elvira?Padre Diego Ma, Dio mio… Don Giovanni Lui lo chiama Dio, io la chiamo geometria; per ogni uomo, quando è padrone di se stesso,

esiste qualche cosa di più alto della donna.Atto III

Don Roderigo La geometria!...Don Giovanni Non hai mai provato questo semplice stupore di fronte a un vero sapere? Per esempio:

che cosa è un cerchio, un puro luogo geometrico. Io ho bisogno di questa purezza, amico mio, di questa sobrietà, ho bisogno di precisione, ho orrore della palude dei nostri stati d'animo. Di fronte a un cerchio, o di fronte a un triangolo non ho mai provato vergogna, non ho mai provato orrore. Tu sai che cos'è, un triangolo? È ineluttabile come un destino: una sola figura composta di questi tre elementi che hai a disposizione, e la speranza, l'apparenza di imprevedibili possibilità, questa cosa che così spesso ci confonde il cuore, scompare come una follia di fronte a queste tre linee, a questi tre segmenti. Così e non altrimenti! dice la geometria. Così e non in un modo qualunque! Qui non puoi far trucchi, qui non valgono gli stati d'animo, esiste una sola figura che coincide col suo nome. Non lo trovi bello? Riconosco, Roderigo, che non ho mai vissuto niente di più alto di questo gioco, di questo gioco a cui obbediscono il sole e la luna. Là non ci sono umori, Roderigo, come nell'amore umano; quello che vale oggi vale anche domani; e anche quando io avrò smesso di respirare, varrà senza di me, senza di voi. Soltanto chi è capace di questa sobrietà, intuisce il sacro; tutto il resto sono storie, credimi, non vale la pena di occuparsene (gli tende di nuovo la mano.) Addio!

Atto V

Don Giovanni In poche parole: si tratta di creare una leggenda.Il Vescovo - Come, scusi?Don Giovanni Si tratta di creare una leggenda (prende una caraffa.) Ho dimenticato di chiederle,

Eminenza: beve qualche cosa?Il Vescovo fa segno di no.

Abbiamo poco tempo, tra poco arriveranno le signore, e lei mi permetterà di parlare senza troppe circonlocuzioni.

Il Vescovo Anzi, la prego.Don Giovanni La mia proposta è semplice e chiara: Don Giovanni Tenorio, il suo popolare nemico, qui

seduto di fronte a lei nello splendore dei suoi migliori anni virili, in procinto di diventare immortale, anzi posso dirlo: di diventare un mito - Don Giovanni Tenorio, le dico, è deciso ed è disposto a morire oggi stesso.

Il Vescovo A morire?Don Giovanni A certe condizioni.Il Vescovo Condizioni di che genere?Don Giovanni Siamo tra noi, Eminenza. Quindi, in poche parole: Lei, la Chiesa spagnola, mi dà una

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rendita modesta, nient'altro, una cella in un chiostro, in un chiostro per uomini, non troppo piccola, se mi è lecito esternare un desiderio, e se è possibile aperta sulle montagne andaluse; là dentro io vivrò di pane e di vino, senza nome, al riparo dalle donne, in silenzio e felice, insieme con la mia geometria.

Il Vescovo Mhm!Don Giovanni E a Lei, Vescovo di Cordova, io regalo ciò di cui la Chiesa spagnola ha un urgente

bisogno, molto più bisogno che di denaro: la leggenda della discesa all'inferno del sa-crilego (pausa.) Cosa ne dice?

Il Vescovo Un'idea astuta.Don Giovanni Sono passati dodici anni, Eminenza, da quando esiste questo monumento con la penosa

iscrizione: IL CIELO FULMINI IL SACRILEGO, e io, Don Giovanni Tenorio, passeggio davanti a questo monumento ogni volta che vengo a Siviglia e se c'è qualcuno che il cielo non ha fulminato sono proprio io. Per quanto tempo ancora, Eminenza, per quanto tempo ancora devo andare avanti così? Sedurre, uccidere in duello, ridere, andare avanti... (Si alza.) Anche a prescindere dal fatto che incomincio ad invecchiare, ho sem-pre creduto veramente che in un modo o nell’altro il cielo si sarebbe manifestato.

Il Vescovo ride.Deve accadere qualche cosa, Vescovo di Cordova, deve accadere qualche cosa!

Il Vescovo Accadrà qualche cosa.Don Giovanni Non trovo che ci sia niente da ridere, Eminenza, proprio niente. Che impressione faccio

sulla nostra gioventù? La gioventù mi prende ad esempio, vedo venire un'epoca intera proiettata verso il vuoto, come me, ma audace, perché tutti hanno visto che non c'è punizione; vedo venire avanti un'intera generazione di persone che irridono al cielo, che si ritengono pari a me, superbi nel loro scherno, che così diventa uno scherno a buon mercato, uno scherno alla moda, un prodotto ordinario, stupido fino alla disperazione - ecco cosa vedo!

Il Vescovo Mhm.Don Giovanni Lei no?Il Vescovo prende la caraffa e si riempie un bicchiere.

Cerchi di capirmi bene, Vescovo di Cordova: non sono stanco soltanto delle donne, intendo questo in senso spirituale, sono stanco anche del sacrilegio. Dodici anni di una vita irripetibile: passata e sprecata in questa infantile provocazione dell'aria, di quest'aria azzurra che si chiama cielo! Nulla mi ha fatto arretrare, e Lei vede, Eminenza, che il mio sacrilegio non ha fatto altro che rendermi famoso.

Il Vescovo beve.Sono disperato.

Il Vescovo beve.Da trentatré anni condivido il destino di tanti uomini famosi: tutti conoscono le nostre azioni, ma quasi nessuno conosce il loro senso. Mi prendono i brividi, quando sento parlare la gente di me. Come se mi fosse mai importato delle donne!

GALLERIA DI IMMAGINI

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The Little Cavalier Don Juan 1877-1880 Painted originally by Henri Rousseau

 

Paul Klee, The Bavarian Don Giovanni (Der bayrische Don Giovanni)1919. Watercolor and ink on paper, 22.5 x 21.3 cm. Solomon R. Guggenheim Museum, New York, 48.1172.x69. © 2000 Artists Rights Society (ARS), New York/VG Bild-Kunst, Bonn

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http://www.wga.hu/frames-e.html?/html/m/mazo/baltazar.html