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Corso di Popolazione, territorio e società I A.A. 2012-2013 Appunti ad uso interno Tra il 1960 e il 1983, quando Vitali pubblicò “evoluzione rurale e urbana dei comuni in Italia”, venne a mancare in Italia una definizione universalmente accettata. In questo periodo si ritornò a considerare semplicemente l’analisi per classe dimensionale dei comuni: pur rispettando il valore conoscitivo fornito da questo approccio, che consente di cogliere alcuni aspetti della dinamica territoriale di fenomeni di natalità o migrazione, esso non permette di cogliere tutte le differenze tra i comuni perché non tiene conto del fatto che le caratteristiche del territorio spesso contribuiscono fortemente a determinarne la tipologia (si pensi ad esempio ai comuni della Lombardia: le tre province di Pavia, Mantova e Sondrio sono accomunate dal fatto di avere comuni con dimensione media molto bassa, eppure le loro caratteristiche, relativamente alla tipologia rurale-urbano, risultano molto diverse). Nel 1983 Vitali propose un nuovo modello, costituito da 6 indicatori: (1) la % di popolazione attiva extra-agricola, (2) la % di popolazione attiva nel terziario, (ripresi direttamente dalla classificazione di Somogyi e Barberi) (3) la % di popolazione dotata di diploma di scuola media superiore, (4) la percentuale di abitazioni con servizi all’interno dell’abitazione, (5) la % di popolazione residente nel centro abitato del comune (non più quello dove si trova la sede comunale) – costruito solo per i comuni con almeno 20.000 abitanti-, (6) la densità demografica. Vitali, inoltre, riduce il numero delle classi a 4 (rurale, semi-rurale, semi-urbana, urbana). Ma la vera innovazione introdotta dal modello di Vitali sta nel fatto che egli individua dei criteri di classificazione “assoluti”, non più riferiti al valore medio nazionale. Università Degli Studi di Milano - Bicocca 125

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Corso di Popolazione, territorio e società I A.A. 2012-2013Appunti ad uso interno

Tra il 1960 e il 1983, quando Vitali pubblicò “evoluzione rurale e urbana dei comuni in Italia”, venne a mancare in Italia una definizione universalmente accettata. In questo periodo si ritornò a considerare semplicemente l’analisi per classe dimensionale dei comuni: pur rispettando il valore conoscitivo fornito da questo approccio, che consente di cogliere alcuni aspetti della dinamica territoriale di fenomeni di natalità o migrazione, esso non permette di cogliere tutte le differenze tra i comuni perché non tiene conto del fatto che le caratteristiche del territorio spesso contribuiscono fortemente a determinarne la tipologia (si pensi ad esempio ai comuni della Lombardia: le tre province di Pavia, Mantova e Sondrio sono accomunate dal fatto di avere comuni con dimensione media molto bassa, eppure le loro caratteristiche, relativamente alla tipologia rurale-urbano, risultano molto diverse).

Nel 1983 Vitali propose un nuovo modello, costituito da 6 indicatori:

(1) la % di popolazione attiva extra-agricola,(2) la % di popolazione attiva nel terziario,

(ripresi direttamente dalla classificazione di Somogyi e Barberi)

(3) la % di popolazione dotata di diploma di scuola media superiore, (4) la percentuale di abitazioni con servizi all’interno dell’abitazione, (5) la % di popolazione residente nel centro abitato del comune (non più quello dove si

trova la sede comunale) – costruito solo per i comuni con almeno 20.000 abitanti-, (6) la densità demografica.

Vitali, inoltre, riduce il numero delle classi a 4 (rurale, semi-rurale, semi-urbana, urbana).Ma la vera innovazione introdotta dal modello di Vitali sta nel fatto che egli individua dei criteri di classificazione “assoluti”, non più riferiti al valore medio nazionale. La sintesi degli indicatori viene compiuta attraverso un procedimento basato sull’analisi discriminante: si definiscono le quattro categorie tipologiche a cui corrispondono prefissati intervalli di variazione dei sei indicatori adottati, l’assegnazione della categoria a ciascun comune si risolve nell’individuazione di una funzione discriminante il cui punteggio di sintesi ottenuto è combinazione lineare di ciascuno degli indicatori adottati.Nella nuova classificazione proposta emergono alcune importanti novità: viene superato il limite della classificazione di Somogyi-Barberi, poiché la classificazione risulta svincolata da un parametro di riferimento statico, dunque essa consente di cogliere la dinamica del processo di urbanizzazione, attraverso l’analisi delle traiettorie seguite dai comuni nell’arco dei tre Censimenti 1951-1971.Così, ad esempio, la traiettoria 433 indica il percorso di un comune che era rurale nel 1951, è diventato semi-rurale nel 1961 ed è rimasto tale nel passaggio dal ’61 al ’71; analogamente, la traiettoria 441 indica il percorso di un comune la cui trasformazione netta da rurale a urbano si è verificata nel periodo ‘61-’71.Il metodo delle traiettorie si rivela uno strumento potente nell’analisi di molti fenomeni sul territorio, consentendo di mettere in luce la periodicità con cui essi si sono verificati.

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Saldi migratori dei comuni italiani secondo il tipo di traiettoria (dati in migliaia)1

Traiettoria 1951-61 1961-71 1971-81 1951-81Tipo rurale 444-443-433-333 -2681 -2297 -276 -5254Semi-urbana 432-42..-32.. -756 -120 703 -173Urbana 111 2195 1285 -492 2988Altre … 200 86 110 396TOTALE -1042 -1046 45 -2043

Fonte:Vitali 1985

Dai risultati del lavoro di Vitali, tra tutte le traiettorie possibili ne vengono “isolate” tre ritenute interessanti: la traiettoria di tipo rurale, che comprende le traiettorie 444, 443, 433 e 333, la traiettoria semi-urbana, che comprende tutte le traiettorie di comuni che sono partiti come rurali o semi-rurali nel ’51 e che si sono classificati come semi-urbani al ’61 o al ’71 e, infine, la traiettoria urbana che riguarda i comuni che sono sempre rimasti urbani in tutti i periodi di rilevazione. Si noti che le tre traiettorie principali comprendono oltre il 96% dei saldi migratori nel 1951-61 e il 93% nel 1971-81.I comuni che hanno seguito una traiettoria di tipo rurale sono comuni per i quali, nel periodo osservato, non è successo nulla di sostanziale, mentre i comuni più dinamici sono quelli che hanno seguito la traiettoria di tipo semi-urbana.Osservando i valori della tabella si rileva che nel passaggio dal 1951 al 1981, l’Italia ha perso complessivamente 2 milioni di individui, ma le maggiori perdite le hanno conseguite i comuni a traiettoria rurale, con una diminuzione che supera i 5 milioni di unità. Di questi 5 milioni, una parte è andata all’estero e una parte si è diretta verso i comuni che hanno seguito traiettorie differenti, in particolare verso quelli a traiettoria urbana per i quali, alla fine del periodo, si osserva un incremento di circa 3 milioni di unità. Si noti, inoltre, come la forte emorragia dei comuni rurali sia avvenuta tra il ’51 e il ’71 mentre nel periodo successivo si è fermata; il ’71, infatti, rappresenta un punto di svolta anche nella tendenza alla crescita dei comuni urbani che cominciano ad andare in perdita. E’ interessante rilevare come i comuni di tipo semi-urbano abbiano iniziato il loro processo di urbanizzazione proprio quando i comuni urbani hanno cominciato a manifestare saldi migratori negativi. Si può pertanto osservare come il fenomeno dell’urbanizzazione abbia assunto, a partire dal ’71, una particolare caratterizzazione: ad attrarre non sono più i centri di antica urbanizzazione ma i nuovi poli semi-urbani.Altri contributi sulla scia degli studi di Vitali sono stati quello dell’Istat nel 1986 e quello di Merlini nel 1986; entrambi costituiscono delle varianti al metodo di Vitali, ma con scarso successo nel miglioramento dei risultati.

L’ISTAT ha considerato 13 indicatori (1) la densità, (2) la % della popolazione attiva in condizione professionale sul totale della popolazione di

14 anni o +, (3) la % della popolazione attiva in agricoltura sul totale della popolazione attiva in

condizione professionale, (4) % delle donne attive nei settori extra-agricoli sul totale della popolazione femminile in

età da 14 anni in poi,(5) % di persone in possesso di laurea o diploma sul totale popolazione di 18 anni o +,(6) % di occupati con luogo di lavoro situato all’esterno del comune sul totale occupati(7) % “addetti” sul totale popolazione di 14 anni o+,(8) % “addetti” nel terziario (escluso il commercio) sul totale popolazione di 14 anni o+,(9) il numero medio dei componenti per famiglia,

1 La classificazione di Vitali si ferma al ’71, per l’81 si è utilizzata la classificazione del ‘71.

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(10) % abitazioni in proprietà sul totale abitazioni occupate,(11) % di abitazioni fornite di alcuni servizi (acqua potabile e gabinetto) all’interno sul totale

delle abitazioni occupate,(12) la % utenze telefoniche sulla popolazione,(13) la % utenze telefoniche (“affari”) sulla popolazione,

e un metodo di classificazione basato sulla cluster analysis. L’utilizzo della cluster riporta in evidenza il problema della confrontabilità nel tempo delle classificazioni e non consente dunque di cogliere l’evoluzione seguita nel tempo da ciascun comune.

Un ultimo contributo riguarda alcuni autori, di cui si ricorda Merlini (1986/1991), che hanno ripreso la classificazione di Vitali apportando una modifica rispetto ad una variabile: la densità diventa la densità urbanistica (n. abitazioni per kmq). I risultati dell’analisi confermano sostanzialmente e si allineano a quelli di Vitali.

Il malessere demografico

Approccio atomistico: la rosa dei venti di Ascolani

Nell’ambito degli studi orientati all’analisi dei fenomeni di popolamento/spopolamento nei comuni italiani si distingue il contributo di Ascolani per essere stato tra i primi studiosi a legare la dinamica migratoria alla dinamica naturale delle popolazioni.Secondo il modello di Ascolani, con riferimento ad un determinato periodo, i comuni vengono classificati secondo due variabili: il saldo naturale ed il saldo migratorio (naturalmente espressi in termini di tassi per 1000 residenti). Le unità vengono disposte su di un sistema di assi cartesiani in cui in ascissa rappresentiamo il saldo migratorio e in ordinata il saldo naturale.

-150

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-150 -100 -50 0 50 100 150saldo migratorio

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Si tracciano, inoltre, le bisettrici dei quadranti: delle due bisettrici, la più importante è quella secondaria in quanto in grado di discriminare tra i comuni che si trovano al disopra (caratterizzati da una condizione di crescita demografica, avendo un saldo totale positivo), da quelli che si trovano al di sotto (caratterizzati da una condizione di decremento demografico avendo un saldo totale negativo). La bisettrice principale invece distingue i comuni per i quali il saldo migratorio è maggiore del saldo naturale (al di sotto della bisettrice) da quelli per cui il saldo migratorio è minore del saldo naturale (al di sopra della bisettrice).Il piano risulta pertanto diviso in 8 settori (numerati in senso antiorario a partire dall’asse x); questo semplice schema permette di ottenere due risultati: uno, quello di posizionare e confrontare tutti i comuni rispetto ai loro valori dei saldi naturale e migratorio misurati in un certo intervallo temporale e, due, permette di leggere in senso evolutivo il percorso compiuto da ciascun comune in più intervalli.Con riferimento ai risultati del suo lavoro, Ascolani, di fronte all’eterogeneità delle concrete esperienze di sviluppo dei comuni, propone un “percorso di riferimento” sulla cui scorta inquadrare le tendenze e le inversioni di tendenza delle evoluzioni che hanno caratterizzato il periodo 1951-1986 per i comuni della provincia di Roma.Si consideri un comune che si trova nel 1° quadrante a una certa data, ed è quindi “demograficamente sano” con saldi naturale e migratorio entrambi positivi; successivamente, per il sopraggiungere di fatti di rilievo (interni o esterni al contesto locale) si deteriora progressivamente il rapporto tra popolazione e risorse economiche, occupazionali o ambientali rallentando progressivamente l’afflusso migratorio fino a portare il comune nel 2° settore. Il peggioramento delle condizioni spinge il saldo migratorio verso il segno negativo, pertanto il comune si porta nel 3° settore; il saldo totale continua a essere positivo per via del permanere degli effetti di struttura derivanti dalla forte componente naturale; quando il deflusso migratorio diventa consistente il comune comincia a manifestare un saldo complessivo negativo, 4° settore, anche se la struttura per età rimane ancora sostanzialmente giovane per via del saldo naturale positivo. E’ questo il momento in cui, se il degrado delle strutture produttive e occupazionali permane, il comportamento migratorio comincia a condizionare anche il saldo naturale: da un lato, infatti, sono le giovani coppie che si allontanano in cerca di migliori opportunità, e andandosene sottraggono alla popolazione una parte del potenziale di fecondità, dall’altro, vi sono prove di una diffusione del comportamento teso alla bassa fecondità derivanti da scarse aspettative sul futuro e pessimiste prospettive economiche anche per coloro che rimangono. Ciò comporta uno spostamento del comune verso il 5° settore, nel quale cominciano a farsi sentire gli effetti del calo della fecondità sulla struttura per età che invecchia. Il comune precipita in un percorso involutivo che “teoricamente” porterebbe la sua popolazione all’esaurimento (6° settore), se non intervengono fattori rilevanti in grado di ridurre sostanzialmente gli squilibri economici, ambientali e/o occupazionali, fermare l’emorragia migratoria e recuperare attrazione demografica.L’avviato ripristino dei flussi migratori in ingresso promuove lo spostamento del comune verso il 7° settore. Nonostante il saldo naturale sia negativo, il passaggio da questa condizione è la necessaria premessa per la ripresa della vitalità migratoria: le giovani coppie che immigrano contribuiscono a ringiovanire la struttura per età e ad aumentare la fecondità. Gli effetti di un conseguente incremento della fecondità si traducono in un miglioramento del saldo naturale, pertanto il comune arriva a raggiungere l’8° settore, per poi, al permanere delle condizioni positive, riportarsi nella condizione ottimale del 1° settore.

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Lo schema teorico qui riportato trova conferma nell’evoluzione seguita dai comuni della provincia di Roma nel periodo 1951-1986.Come si rileva, la nuvola di punti-comune non subisce che poche variazioni nei primi due decenni durante i quali le condizioni generali di sviluppo accennano a cambiamenti rilevanti solo in vista degli anni ’70. Appunto nell’intervallo ’61-’71 colpisce l’attenzione, riguardo ai numerosi comuni con perdite migratorie, il progressivo abbassamento dei punti verso l’asse delle ascisse, segno dell’affievolimento in atto della dinamica naturale, che tuttavia, per l’epoca e per le caratteristiche di tali comuni, è da attribuirsi principalmente all’effetto delle trasformazioni di struttura imputabili all’emigrazione, piuttosto che ad un primo riscontro del declino della fecondità.Nel successivo decennio 1971-1981, il diffondersi dello sviluppo nel territorio metropolitano e i problemi di congestione dell’area di Roma concorrono a rilanciare lo sviluppo dei comuni

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posti oltre la prima cintura urbana, in molti dei quali si riscopre e si afferma una nuova residenzialità. Conseguentemente, si riduce non solo il numero dei centri con perdita migratoria ma anche l’entità di questa; contemporaneamente si osserva l’aumento del numero di centri in espansione per l’apporto dell’immigrazione. La nuvola di punti si sposta, infatti, verso destra, lungo l’asse delle ascisse ma ruota anche verso il basso, verso i valori negativi del saldo naturale. L’ultima rappresentazione cartografica, 1981-1986, denota infine che anche per la gran parte dei comuni con saldo migratorio passivo negli anni ’70 si è ormai realizzata l’inversione di tendenza migratoria ma anche complessiva, tornata a essere positiva nei comuni che si trovano nell’ottavo settore.

Le figure 12 e 13 mostrano, rispettivamente per i comuni del centro-nord e del sud l’evoluzione dei saldi naturali e migratori nel periodo 1961-87.Per entrambe le macro aree si osserva nel corso del tempo un addensamento dei punti verso l’origine degli assi: ciò indica, infatti, una generalizzata contrazione dei saldi naturali e migratori.In particolare si osserva per i comuni del sud una scarsa attitudine all’attrazione migratoria e quindi i comuni si dispongono nei settori contraddistinti da saldi migratori negativi, inoltre, i comuni tendono a muoversi nella parte superiore del piano, a conferma di saldi naturali generalmente positivi.Naturalmente, questo metodo di analisi può essere utilizzato anche per aggregati territoriali diversi dal comune.Per comprendere quale sia la situazione di ciascun comune, ossia per individuare l’itinerario che esso ha seguito, bisogna ricorrere alle matrici di transizione: l’uso delle matrici di transizione permette, inoltre, di cogliere globalmente il fenomeno degli spostamenti dei comuni appartenenti a una determinata area geografica, una provincia o una regione.

Settori 1 2 3 4 5 6 7 8 Totale1 xx X2 x X X3 x X X X4 x X X X X X5 X678

Totale

Le tabelle 4,5,6 mostrano la transizione dei comuni della provincia di Roma nei tre intervalli 1951-61 e 1961-71, 1961-71 e 1971-81, 1971-81 e 1981-86.Si osservi la tabella 4. Dall’analisi delle distribuzioni marginali emerge che il grosso dei comuni (59) nel periodo 51-61 si trovava nel settore 4 (diminuzione della popolazione ma con saldo naturale positivo); una gran parte di questi (48) vi sono rimasti nel periodo successivo. I comuni (29) che nel decennio 51-61 si trovavano nel settore 3 sono i più dinamici: nel periodo successivo ben 12 di essi riacquistano vitalità migratoria e si riportano nel primo quadrante mentre 4 scivolano nel 4 settore. Il settore 4 è comunque il più numeroso anche nel decennio 1961-71.

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Nella tabella 5 si vede come nel passaggio dal decennio 61-71 al decennio 71-81 il settore 4 perda il primato che invece viene preso dal settore 1 con 41 comuni. Va notato come ciò sia dovuto soprattutto ai contributi dei settori 2 (con 12 comuni) e 3 (con 10 comuni). Si noti anche come parte dei comuni del settore 4 (15 + 2) slittino verso i settori 5 e 6 (i meno favorevoli) mentre alcuni (in totale 6) finiscano direttamente nei settori 7 e 8.Infine, la tabella 6 mostra il compimento del processo evolutivo: i settori più numerosi sono l’1 e l’8. Si svuota il settore di malessere 5 verso il settore 8 (ben 11 comuni) e 7 (4 comuni) e il settore 2 perde 15 unità a favore del primo settore.

Approccio atomistico: Le aree di malessere demografico di Golini

Le aree di malessere demografico sono quelle aree in cui il processo di invecchiamento della popolazione è che così avanzato che si può pensare che il contesto territoriale di riferimento abbia imboccato una via senza ritorno verso l’esaurimento della sua popolazione.Bisogna quindi individuare quelli che sono gli indicatori di malessere demografico, introdurre dei livelli soglia per questi indicatori e verificare quale posizione occupa, rispetto a tali indicatori, l’unità territoriale di riferimento.Golini propone un’applicazione di questo modello ai comuni di due regioni italiane: Liguria e Molise.Anzitutto individua due indicatori di struttura:

L’indice di invecchiamento (%popolazione ultrasessantenne) e l’indice di carico famigliare.L’indice di carico famigliare può essere considerato come una proxy del numero medio di figli per donna: infatti, il numero medio di figli per donna non può essere agevolmente calcolato per comune, dunque, attraverso la relazione che lega TFT al Icf (TFT=7*Icf), è possibile stimare il TFT per comune.La procedura adottata da Golini consiste dunque nel costruire per ciascun comune la serie degli indicatori relativi ai tre censimenti 1971, 1981 e 1991; da questi dati verifica che le due regioni sono state entrambe investite da un processo di invecchiamento e da un processo di riduzione della fecondità, ma in misura assai diversa.

Distribuzione percentuale dei comuni secondo il livello di invecchiamento e fecondità: Liguria e Molise, 1971-1991

Invecchiamento FeconditàClassi dell’indicatore 1971 1981 1991 1971 1981 1991

Liguria< 20 10,6 8,5 1,7 18,7 73,2 89,820 – 24,9 25,5 23,0 13,6 24,2 22,1 6,425 – 29,9 28,9 27,7 28,9 39,6 2,6 2,630 – 34,9 20,4 18,7 20,9 13,6 2,1 1,235 e + 14,5 22,1 34,9 3,8 - -Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0N. comuni 235 235 235 235 235 235

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I cf =P0−4

P15−49fI ve=

P60+

P

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Molise< 20 33,1 16,2 5,9 5,9 18,4 26,520 – 24,9 41,2 34,5 18,4 18,4 30,1 48,525 – 29,9 19,9 30,1 24,3 29,4 36,0 21,330 – 34,9 4,4 12,5 27,2 27,2 12,5 3,735 e + 1,5 6,6 24,3 19,1 2,9 -Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0N. comuni 136 136 136 136 136 136

L’obiettivo di Golini è quello di scoprire quanto è grave il malessere demografico nelle due regioni. Di conseguenza considera, per ciascuna delle due regioni, la distribuzione congiunta dei comuni in base ai due indicatori, con riferimento al Censimento del 1981 (l’intermedio) e accosta al numero di comuni corrispondente a ciascuna cella al tasso d’incremento naturale medio annuo del periodo intercensuario successivo.

Distribuzione dei comuni al 1981 e tasso d’incremento naturale medio annuo 1982-91 (in corsivo) in funzione del livello di invecchiamento e fecondità: Liguria e Molise

Livello di FeconditàClassi dell’indicatore < 20 20 – 24,9 25 – 29,9 30 – 34,9 35 e + TotaleInvecchiamento Liguria< 20 10 -1,6 6 -1,4 4 -0,1 - - - - 20 -1,2

20 – 24,9 36 -5,4 17 -3,5 1 -3,5 - - - - 54 -4,8

25 – 29,9 47 -8,1 15 -7,4 - - 3 -6,7 - - 65 -7,9

30 – 34,9 35 -12,1 7 -14,0 1 -13,6 1 -9,2 - - 44 -12,4

35 e + 44 -17,0 7 -16,3 - - 1 -27,0 - - 52 -17,1

Totale 172 -10,2 52 -7,5 6 -2,9 5 -11,3 - - 235 -9,5

Molise< 20 1 0,4 3 1,2 12 3,4 5 3,7 1 6,1 22 3,1

20 – 24,9 1 -0,7 20 -1,6 15 -0,7 9 -0,8 2 -0,1 47 -1,1

25 – 29,9 11 -6,1 12 -6,0 15 -4,0 2 -0,2 1 -2,6 41 -4,9

30 – 34,9 6 -8,6 5 -7,1 5 -5,8 1 -9,0 - - 17 -7,3

35 e + 6 -13,6 1 -13,0 2 -12,4 - - - - 9 -13,2

Totale 25 -8,0 41 -3,6 49 -7,1 17 -0,1 4 -0,8 136 -3,1

Dall’osservazione della tabella emerge che le due realtà, quella ligure e quella molisana, sono completamente diverse.Golini propone una prima classificazione del malessere demografico: esso viene definito forte se il tasso d’incremento naturale ha un valore inferiore a -10 per 1000 (tn< -10‰), intenso se il saldo naturale è compreso tra –10‰ e –5‰, moderato se il saldo ha un valore negativo superiore a -5‰ (tn> -5‰).Inoltre, il malessere demografico è tanto più elevato quanto più è alto l’indice di invecchiamento e basso l’indice di fecondità.Dai dati della tabella si osserva, dunque, che: tassi d’incremento fortemente negativi (inferiori a -10‰) si osservano per entrambe le regioni in corrispondenza di classi di invecchiamento elevate (35+), tuttavia, nel caso del Molise, a differenza che in Liguria, il malessere è frenato da

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una fecondità che risulta ancora “tenere”, almeno per i 21 (17+4) comuni per i quali il livello di fecondità supera il 30%.

Approccio atomistico: la trasformazione urbana in Italia attraverso un’analisi per classi dimensionali di Golini-Cantalini

Analizzando il modello insediativo della popolazione italiana dal dopoguerra ad oggi si possono distinguere due fasi principali. La prima fase, che si svolge nel corso degli anni cinquanta e sessanta, è caratterizzata dal notevole sviluppo delle attività industriali e dà luogo ad ingenti trasferimenti di popolazione dai territori rurali a quelli urbanizzati e dal Sud verso il Nord. In questa fase di concentrazione territoriale delle attività produttive e della popolazione le grandi città italiane registrano un notevole tasso di crescita demografica, mentre i piccoli comuni rurali e le zone montane sono testimoni di un forte depauperamento.La seconda fase, che inizia con gli anni settanta, vede l'apparato produttivo percorso da un intenso processo di ristrutturazione tecnico-organizzativa che determina una più articolata ed equilibrata distribuzione sul territorio di tutte le attività economiche. Si passa infatti da un modello di sviluppo cumulato e spazialmente concentrato degli anni '50 e '60 ad un modello diffusivo degli insediamenti produttivi e residenziali: le forti spinte al decentramento della produzione ed i fenomeni di deconcentrazione della popolazione investono i tradizionali poli metropolitani-industriali e si riflettono nella crescita demografica ed economica di zone suburbane o periferiche.Proprio negli anni settanta si assiste, quindi, a un’inversione significativa di una tendenza secolare: il tasso di crescita della popolazione delle grandi città e più in generale delle aree maggiormente urbanizzate è più basso di quello che si registra nel resto del Paese. Come si è già avuto modo di notare, il modello di urbanizzazione, inteso come processo di agglomerazione spaziale, contraddistinto da una relazione positiva fra dimensione degli insediamenti e saldo migratorio, non è più in grado di interpretare le caratteristiche insediative dei paesi occidentali.Le recenti trasformazioni insediative sembrano pertanto suggerire l’instaurarsi di rapporti istituzionali assai più complessi rispetto al passato tra la città e il territorio circostante parallelamente all’affermarsi di una centralità urbana di tipo nuovo.Oggi l’Italia, come la maggior parte dei Paesi industrializzati sta attraversando un periodo di sostanziale stabilità demografica, cioè un progressivo rallentamento dei fattori dinamici che hanno caratterizzato il nostro recente passato: la componente naturale della crescita e quella migratoria interna hanno subìto un relativo ridimensionamento, mentre un peso non più trascurabile hanno acquistato, soprattutto dalla seconda metà degli anni ’80 ad oggi, i flussi migratori dai Paesi in via di sviluppo. Il quadro insediativo si presenta oggi in fase di assestamento, dove il processo redistributivo si manifesta in una forma senz’altro meno vistosa di quella che ha contraddistinto gli anni dei grandi spostamenti sud-nord, campagna-città, montagna-pianura, aree interne-aree costiere.Questi rilevanti cambiamenti hanno stimolato ad indagare la realtà urbana italiana privilegiando una chiave di lettura strettamente demografica, al fine di mettere meglio a fuoco il fenomeno del declino della popolazione delle grandi città che può essere considerato tra gli aspetti più significativi, anche se certamente non l'unico, dell'evoluzione dei modelli territoriali di sviluppo tipici dei paesi ad economia avanzata.Ma vediamo in dettaglio quanto è avvenuto nel corso degli ultimi 50 anni.L'urbanizzazione, cioè la concentrazione della popolazione nelle città e nei grandi centri, è in Italia un fenomeno che assume un certo rilievo solo nel corso dello scorso secolo in concomitanza del crescente ruolo politico, amministrativo ed economico che le città esercitano

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sul territorio circostante. In generale l'evoluzione del modello territoriale di sviluppo demografico è dipeso in larga parte dai processi che hanno caratterizzato l'apparato produttivo nazionale (e in molta minor misura dalla struttura burocratico-amministrativa dello Stato), processi che si sono variamente manifestati sul territorio in relazione alle diverse situazioni socioeconomiche caratterizzanti le aree geografiche.Dal dopoguerra e fino alla fine degli anni sessanta si è assistito ad una crescita sostenuta e disordinata delle attività industriali nel cosiddetto «triangolo industriale» (Milano, Torino e Genova) ed alla espansione delle funzioni politiche, governative ed amministrative di alcune città. Nelle aree «forti» del paese si sono quindi create grandi capacità attrattive che hanno alimentato flussi migratori di ampiezza tale da modificare in profondità il tessuto urbano ed economico dell'Italia.

1961 - 1971L'esame dei dati mette chiaramente in luce la tendenza della popolazione a concentrarsi nelle grandi città: mentre al 1961 12,5 milioni di persone, cioè il 25%, risiedevano in comuni con oltre 100 mila abitanti, nel 1971 viveva in questi comuni il 29%, cioè 15,7 milioni. E’ interessante notare come tale processo di urbanizzazione realizzatosi nel decennio 1961-71 abbia riguardato un numero crescente di grandi città. Infatti nel decennio 1961-71 i comuni con oltre 100 mila abitanti passano da 32 a 47; in particolare il gruppo di comuni di ampiezza demografica compresa tra i 100 mila ed i 250 mila abitanti risulta il più dinamico: raddoppia la propria quota percentuale sul numero totale dei comuni, dallo 0,2% allo 0,4%, e registra un elevatissimo tasso di incremento medio annuo della popolazione, pari al 51,7 per mille.A fronte di questa concentrazione di popolazione nelle grandi città si assiste ad una sostenuta diminuzione del peso e del numero dei centri di piccole dimensioni (classe 1001-20000 abitanti), i quali vedono scendere la propria consistenza da 6201 a 5876, pari rispettivamente al 77,2% e al 72,9% del numero complessivo dei comuni italiani; analogamente la quota di popolazione sul totale che vive in tali comuni si riduce di oltre cinque punti percentuali, dal 51,1% al 45,6%. Il regresso demografico dei piccoli centri trova riscontro anche nel sensibile incremento dei comuni piccolissimi (meno di mille abitanti), 293 in più al 1971.Se si esamina l'evoluzione della popolazione comunale nelle due grandi ripartizioni geografiche in cui normalmente si suddivide il territorio italiano si possono segnalare alcune importanti differenze: il marcato sviluppo della popolazione dei comuni di media ampiezza (20-50 mila abitanti) nel Centro-Nord (33,6 per mille l'anno) contro la stasi della popolazione corrispondente del Mezzogiorno (0,6 per mille): l'opposto andamento dei comuni medio-grandi (50-100 mila abitanti), in crescita quelli del Mezzogiorno (12,3 per mille l’anno), in regresso quella del Nord-Centro, (-7,3 per mille l’anno).1971-1981In Italia la grande trasformazione urbana è avvenuta nel decennio 1971-81 parallelamente alle profonde ristrutturazioni tecnico-organizzative dell'apparato industriale e distributivo. Da una fase di sviluppo cumulato e spazialmente concentrato degli anni '50 e '60 si è passati ad un modello diffusivo degli insediamenti residenziali e produttivi, che si riflette nella crescita demografica ed economica di zone sub-urbane o periferiche.Negli anni settanta la tendenza secolare all'accentuarsi del fenomeno dell'inurbamento nelle grandi città di quote crescenti di popolazione subisce una battuta d’arresto: le città con oltre 250 mila abitanti iniziano a perdere popolazione ad tasso medio annuo dell’1,8 per mille e la quota percentuale della loro popolazione scende dal 20,8% al 19,5%. I centri che beneficiano di questa inversione di tendenza sono soprattutto quelli di media ampiezza (50-100 mila abitanti) che nel decennio in questione fanno riscontrare un tasso di incremento medio annuo della popolazione del 21 per mille e un aumento del loro peso sul totale dei residenti di un punto e mezzo percentuale.

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La crisi delle grandi città è comune ad ambedue le grandi ripartizioni, anche se risulta molto più accentuata nel Nord-Centro dove il tasso di incremento della popolazione assume un valore negativo pari al 3,1 per mille; nel Mezzogiorno, pur in presenza di un tenue accrescimento della popolazione, la percentuale di persone che vivono nelle grandi città si riduce dal 15,2 % al 14,5 %.1981-1991Nell’intervallo temporale (1981-91) continuano e si rafforzano i processi di redistribuzione territoriale della popolazione emersi nel precedente periodo intercensuale. Il decremento di popolazione nei comuni con oltre 250 mila abitanti al 1988 comincia ad assumere dimensioni ragguardevoli: circa 1.500.000 residenti in meno rispetto al censimento del 1981 (tasso medio di variazione del -13,7 per mille) ed un rapporto di residenti sul totale (17%) sensibilmente inferiore a quello del 1971 (19,5%).Tra il 1981 ed il 1991 la popolazione dei centri medi e mediograndi conquista un vantaggio decisamente più modesto rispetto ai due decenni precedenti: nel complesso i comuni compresi tra le 20 mila e le 250 mila persone aumentano la loro incidenza sul totale della popolazione di soli due punti percentuali, dal 33,9% al 35,8%, mentre il guadagno aveva superato abbondantemente i due punti nel 1971-81 ed era stato di ben quattro punti nel 1961-71. Questo gruppo di comuni è comunque l'unico che ha fatto registrare incrementi, ed in misura straordinaria, in tutto l'arco dell'orizzonte temporale 1951-1991.I piccoli comuni (1-5 mila abitanti), che denunciano una costante perdita di popolazione, nell'ultimo periodo riescono a contenere molto la diminuzione. I centri al di sotto dei mille abitanti, pur aumentando sensibilmente dal 1961 al 1988 in numero di comuni ed in ammontare di popolazione, a causa proprio delle ridotte dimensioni mantengono inalterato il loro peso sul resto dei comuni. E’ interessante sottolineare come al 1991 questi 1959 comuni costituiscono quasi un quarto (24,2%) del totale dei comuni e assorbono soltanto il 2% della popolazione italiana (avendo una dimensione media di soli 584 abitanti), mentre i comuni al di sopra dei 100 mila abitanti rappresentano appena lo 0,5% del complesso dei comuni, ma contengono oltre un quarto (25,6%) della popolazione dell'intero paese.I dati distinti per grandi ripartizioni mettono in luce che il calo di popolazione delle grandi città accomuna il Centro-Nord, dove per altro il numero di comuni oltre i 250 mila abitanti diminuisce di una unità (nel periodo 1981-91, questa fascia di comuni diminuisce ad un ritmo medio del 12,3 per mille), e il Mezzogiorno (-18%). Pertanto tra il 1981 ed il 1991 la proporzione di popolazione che vive nei grandi centri urbani si riduce di poco più di due punti percentuali nel Centro-Nord e di circa mezzo punto nella restante parte dell'ltalia.1991-1998Dall’esame dell’ultimo periodo 1991-1998, si osserva un certo rallentamento nelle tendenze riscontrate; la popolazione nei comuni con oltre 250.000 abitanti si riduce di solo mezzo punto percentuale. Della stessa entità è anche l’incremento che subisce la fascia dei comuni medio grandi (20000-10000), e la perdita dei piccoli (< 5000). Dall'esame delle cifre relative al Centro-Nord si può osservare come i centri mediograndi (100-250 mila abitanti) che già avevano nell'intervallo intercensuale 1971-81 un tasso di incremento molto modesto (1,8 per mille), mostrano nel periodo 1981-91 una variazione negativa di popolazione pari al 5,6 per 1000, e nel periodo successivo (91-98) pari a 6,7 per 1000. Invece, i centri di media ampiezza (50-100 mila abitanti) evidenziano nel periodo 1981-91 un ritmo di accrescimento della popolazione sensibilmente più blando di quello fatto registrare nel decennio 1971-81, essendosi ridotto dal 16,8 per mille allo 0,1 per mille; mentre una certa ripresa può notarsi nel periodo 1991-98: +9,7 per 1000.

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Popres Nord-centro Mezzogiorno Italia

1961 1971 1981 1991 1998 1961 1971 1981 1991 1998 1961 1971 1981 1991 1998<= 1000 811 887 868 841 839 130 195 225 302 267 941 1081 1094 1144 11061001-5000 7389 6773 6456 6258 6392 3962 3742 3453 3367 3201 11352 10516 9908 9626 95935001-20000 8601 8759 9676 9988 10675 5951 5419 5674 5712 5916 14552 14177 15350 15700 1659220001-50000 3364 4680 5059 5263 5699 3500 3520 3824 4256 4346 6864 8200 8883 9520 1004550001-100000 2821 2622 3096 3098 3411 1564 1767 2306 2732 3322 4385 4388 5402 5830 6733100001-250000

1979 3193 3252 3073 2874 768 1354 1645 1723 1218 2747 4547 4897 4796 4092

> 250000 7082 8349 8097 7158 6810 2702 2877 2926 2441 2638 9784 11226 11023 9599 9449TOTALE 32047 35263 36504 35682 35863 18577 18874 20053 20537 20910 50624 54137 56557 56220 57612

numero comuni

Nord-centro Mezzogiorno Italia

1961 1971 1981 1991 1998 1961 1971 1981 1991 1998 1961 1971 1981 1991 1998<= 1000 1333 1522 1562 1577 1549 175 279 334 382 412 1508 1801 1896 1959 19611001-5000 3028 2805 2661 2588 2575 1513 1484 1406 1342 1312 4541 4289 4067 3930 38875001-20000 995 993 1076 1123 1155 665 594 622 630 626 1660 1587 1698 1753 178120001-50000 116 154 168 181 187 116 114 127 143 144 232 268 295 324 33150001-100000 39 37 45 47 49 23 27 36 43 50 62 64 81 90 99100001-250000

14 24 24 23 20 5 9 11 11 8 19 33 35 34 28

> 250000 8 9 9 8 8 5 5 5 4 5 13 14 14 12 13TOTALE 5533 5544 5545 5547 5543 2502 2512 2541 2555 2557 8035 8056 8086 8102 8100

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differenze assolutepopres Nord-centro Mezzogiorno Italia

1961-71 1971-81 1981-91 1991-98 1961-71 1971-81 1981-91 1991-98 1961-71 1971-81 1981-91 1991-98

<= 1000 76 -19 -27 -2 65 30 77 -35 140 13 50 -381001-5000 -616 -317 -198 134 -220 -289 -86 -166 -836 -608 -282 -335001-20000 158 917 312 687 -532 255 38 204 -375 1173 350 89220001-50000 1316 379 204 436 20 304 432 90 1336 683 637 52550001-100000 -199 474 2 313 203 539 426 590 3 1014 428 903100001-250000

1214 59 -179 -199 586 291 78 -505 1800 350 -101 -704

> 250000 1267 -252 -939 -348 175 49 -485 197 1442 -203 -1424 -150TOTALE 3216 1241 -822 181 297 1179 484 373 3513 2420 -337 1392

differenze assoluteN comuni Nord-centro Mezzogiorno Italia

1961-71 1971-81 1981-91 1991-98 1961-71 1971-81 1981-91 1991-98 1961-71 1971-81 1981-91 1991-98

<= 1000 189 40 15 -28 104 55 48 30 293 95 63 2

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Corso di Demografia Regionale A.A. 2005-2006Appunti ad uso interno

1001-5000 -223 -144 -73 -13 -29 -78 -64 -30 -252 -222 -137 -435001-20000 -2 83 47 32 -71 28 8 -4 -73 111 55 2820001-50000 38 14 13 6 -2 13 16 1 36 27 29 750001-100000 -2 8 2 2 4 9 7 7 2 17 9 9100001-250000

10 0 -1 -3 4 2 0 -3 14 2 -1 -6

> 250000 1 0 -1 0 0 0 -1 1 1 0 -2 1TOTALE 11 1 2 -4 10 29 14 2 21 30 16 -2

% rigapopres Nord-centro Mezzogiorno Italia

1961 1971 1981 1991 1998 1961 1971 1981 1991 1998 1961 1971 1981 1991 1998<= 1000 2,5 2,5 2,4 2,4 2,3 0,7 1,0 1,1 1,5 1,3 1,9 2,0 1,9 2,0 1,91001-5000 23,1 19,2 17,7 17,5 17,8 21,3 19,8 17,2 16,4 15,3 22,4 19,4 17,5 17,1 16,75001-20000 26,8 24,8 26,5 28,0 29,8 32,0 28,7 28,3 27,8 28,3 28,7 26,2 27,1 27,9 28,820001-50000 10,5 13,3 13,9 14,7 15,9 18,8 18,6 19,1 20,7 20,8 13,6 15,1 15,7 16,9 17,450001-100000 8,8 7,4 8,5 8,7 9,5 8,4 9,4 11,5 13,3 15,9 8,7 8,1 9,6 10,4 11,7100001-250000

6,2 9,1 8,9 8,6 8,0 4,1 7,2 8,2 8,4 5,8 5,4 8,4 8,7 8,5 7,1

> 250000 22,1 23,7 22,2 20,1 19,0 14,5 15,2 14,6 11,9 12,6 19,3 20,7 19,5 17,1 16,4TOTALE 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

tassi incremento medio annuopopres Nord-centro Mezzogiorno Italia

1961- 1971- 1991- 1991- 1961-71 1971-81 1991-91 1991-98 1961-71 1971-81 1991-91 1991-98

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Corso di Demografia Regionale A.A. 2005-2006Appunti ad uso interno

71 81 91 98<= 1000 9,0 -2,2 -3,2 -0,2 41,4 14,4 29,9 -12,2 14,0 1,2 4,5 -3,41001-5000 -8,7 -4,8 -3,1 2,1 -5,7 -8,0 -2,5 -5,0 -7,6 -5,9 -2,9 -0,35001-20000 1,8 10,0 3,2 6,7 -9,3 4,6 0,7 3,5 -2,6 8,0 2,3 5,520001-50000 33,6 7,8 4,0 8,0 0,6 8,3 10,8 2,1 17,9 8,0 6,9 5,450001-100000 -7,3 16,8 0,1 9,7 12,3 27,0 17,1 19,7 0,1 21,0 7,7 14,5100001-250000

49,0 1,8 -5,6 -6,7 58,3 19,7 4,6 -34,1 51,7 7,4 -2,1 -15,7

> 250000 16,6 -3,1 -12,3 -5,0 6,3 1,7 -18,0 7,8 13,8 -1,8 -13,7 -1,6TOTALE 9,6 3,5 -2,3 0,5 1,6 6,1 2,4 1,8 6,7 4,4 -0,6 2,4

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Corso di Popolazione, territorio e società A.A. 2010-2011Appunti ad uso interno

Approccio contestuale

L'approccio atomistico comprende tutta la diatriba sulla classificazione rubale-urbana dei comuni precedentemente illustrata e tutti gli studi sulle aree di malessere demografico. L'approccio contestuale conduce invece alla determinazione di aree omogenee e aree funzionali: le prime sono delle aree costituite da unità simili secondo determinati indicatori e quindi non necessariamente sono contigue; le aree funzionali (o gravitazionali), invece, individuano un'area costituita da unità contigue, con specifiche caratteristiche distintive. Le aree funzionali inoltre sono costituite da unità interdipendenti, in esse cioè alcune unità assolvono a funzioni che servono a tutta l'area. Diversamente dal primo gruppo la contiguità territoriale è un elemento fondamentale per l’individuazione dell’area funzionale; essa inoltre è costituita da unità spaziali elementari (in generale comuni) per lo più dissimili perché diverse sono le funzioni che ciascuna unità può essere chiamata a rivestire all’interno dell’area stessa: da quella ricreativa a quella connessa all’attività di produzione dei beni o della commercializzazione. A tale categoria di studi territoriali può essere ricondotto un insieme molto vasto di esperienze: dalla delimitazione delle aree metropolitane, all’individuazione dei bacini di manodopera e delle aree di pendolarismo sino alla definizione dei sistemi urbani.

Zone demograficamente omogenee

Un primo tentativo di identificazione delle zone omogenee è stato proposto da Nora Federici (1967): il metodo consiste nell’aggregare i comuni che si trovano all’interno di un confine regionale, per i quali è stato rilevato un determinato indicatore demografico –il tasso di variazione della popolazione oppure il saldo migratorio (in termini di tasso)- e i cui valori sono compresi in un certo intervallo. Contemporaneamente, per tali unità territoriali, vengono acquisiti i valori di un insieme di variabili socioeconomiche e ambientali caratterizzanti le aree già definite in base all’indicatore demografico; sulla base del confronto fra i diversi indicatori si potranno, pertanto, approfondire i legami tra demografia e territorio.

La definizione di area metropolitana in Italia: fondamenti e confronti

Un'area funzionale tipica è l'area metropolitana. Alla luce di quanto detto nelle pagine precedenti circa il fatto che il problema dell’urbanizzazione va configurandosi come un problema sempre meno importante per i paesi sviluppati (per i quali i processi redistributivi sembrano essersi notevolmente affievoliti negli ultimi anni), il dibattito sulla definizione di area metropolitana sembrerebbe apparentemente dover perdere interesse; in realtà, il tema è ancora di grande attualità. La ragione di questa attualità (apparentemente contradditoria) ha a che fare con l’idea di “città”. La nozione contemporanea di urbanizzazione è, infatti, profondamente diversa da quella che ha dato vita, ad esempio in Italia negli anni ’60, alla città industriale. La città cioè si è trasformata in metropoli, caratterizzata da una serie di fenomeni urbani (i fenomeni metropolitani) che non si riscontravano nelle agglomerazioni urbane della società industriale.

L’area metropolitana può definirsi come un territorio, appartenente ad uno o più comuni, che comprende più centri abitati vicini con una organizzazione di tipo urbano unitaria ed integrata tra le sue varie parti e facente capo ad un centro nettamente più importante degli altri avente funzione di capoluogo.

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L’area dunque è costituita da una superficie anche non completamente urbanizzata ma anzi comprendente talvolta ampie porzioni di territorio agricolo al suo interno, caratterizzata interamente da attività decentrate dal polo centrale ma da esso dipendenti. In sostanza viene definito un assetto spaziale caratterizzato da un nucleo che esercita una influenza che si irradia sul territorio circostante, il quale gravita attorno ad esso; il polo insieme alle zone circostanti costituisce un sistema metropolitano, sistema percorso da una rete di flussi, economici ma anche di altro tipo, che interconnette le sue varie parti.Le aree metropolitane quindi nascono come un tentativo di individuazione sul territorio di aree contigue tra loro in cui le unità che costituiscono le varie parti siano legate da dei flussi.

Da un punto di vista strettamente teorico l’assetto metropolitano non è precisamente definibile sul territorio entro confini spaziali rigidi; la cosiddetta dominanza metropolitana è un concetto prevalentemente funzionale, definibile in base a variabili che spesso non hanno soglie territoriali facilmente osservabili.E’ pertanto possibile riassumere gli elementi fondamentali nella definizione di area metropolitana nei punti seguenti:

una delle caratteristiche distintive del fenomeno metropolitano è il suo carattere sistematico e funzionale;

l’insieme delle interdipendenze che caratterizza un complesso metropolitano non sottintende necessariamente un’area omogenea e neppure un’area individuata nel medesimo territorio ma secondo diverse dimensioni funzionali; in altre parole, alcuni centri funzionalmente dipendenti da un polo metropolitano (ad es. per l’attrazione commerciale), possono non dipendere dallo stesso polo se la funzione è diversa (ad es. attività di svago).

Questo significa che il concetto di contiguità spaziale è contenuto nel termine “area” e non in “metropolitana”; la contiguità spaziale è, allora, una caratteristica indotta nel sistema metropolitano da ragioni di convenienza amministrativa e di familiarità con l’idea stessa di città. L’idea di area metropolitana forza la necessità di una configurazione spaziale su un fenomeno che ha natura prevalentemente funzionale.

Relativamente alla costruzione di un'area metropolitana, riprendiamo lo schema di Martinotti, che ponendo a confronto cinque definizioni di area metropolitana in Italia cerca di individuare qual'è la migliore, ossia quella che assolve meglio ad alcune caratteristiche ritenute essenziali.Martinotti (1993) introduce, tra gli altri, il paradigma della metropolitanizzazione, secondo cui tra il 1961 e il 1971 i poli si sono accresciuti mentre nel periodo successivo 1971-1981 sono le fasce che hanno continuato a crescere mentre i poli hanno sperimentato un deflusso. In base a questo modello vengono giudicate cinque tra le definizioni di area metropolitana proposte dalla letteratura scientifica con riferimento alla realtà italiana.Premesso che le aree metropolitane possono essere individuate in modo diverso: gli urbanisti, ad esempio, le individuano caso per caso sulla base di alcune caratteristiche valide per una sola situazione; mentre gli statistici e i demografi hanno bisogno di un metodo omogeneo su tutto il territorio; passiamo ad illustrare i vari criteri adottati per la definizione di un'area metropolitana.

Il primo tentativo fu fatto nel 1959 dallo IUR (Intemational Urban Research) che propose un criterio omogeneo a livello europeo (per la determinazione delle aree metropolitane in Spagna, Portogallo, Francia, Belgio, Grecia e Italia). Veniva individuato come nucleo o polo una qualsiasi unità amministrativa (comuni in Italia e in Francia, contee in Inghilterra) che avesse più di 50.000 abitanti; ad esso venivano aggregati i comuni con una popolazione dedita alle attività extra-agricole superiore al 65%.

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Se il complesso dell’area così individuata avesse raggiunto una popolazione superiore alle 100.000 unità, allora quest’area poteva essere classificata come area metropolitana. In corrispondenza del censimento del 1961 lo IUR individuò in Italia 30 aree-metropolitane con una percentuale di popolazione in esse dimorante pari al 32% della popolazione totale.

Il tentativo successivo fu quello di Cafíero-Busca (ricercatori dello SVIMEZ, l'istituto di ricerca della Cassa per il Mezzogiorno) che nel 1970 cercarono di determinare le aree metropolitane non partendo dall’individuazione dei poli centrali, ma ripartendo il territorio italiano, distinto nei suoi 8.000 comuni, sulla base di un indicatore, la densità degli attivi extra-agricoli (numero degli extra-agricoli per Kmq), e prendendo in considerazione i comuni con più di 100 extra-agricoli per Kmq.Secondo tale impostazione, se un insieme di comuni contigui con una densità di extra-agricoli superiore a 100 per Kmq, raccoglieva una popolazione maggiore di 110.000 abitanti e gli attivi extra-agricoli erano almeno 35.000, allora era stata individuata un'area metropolitana.

Queste due soglie venivano scelte perché, riportando in un diagramma la popolazione residente in ascissa e la popolazione che si dedica ad attività extra-agricole in ordinata,

in corrispondenza di 110.000 abitanti si nota una discontinuità e l'esistenza di un salto nella nuvola dei punti. Infine, la soglia dei 35.000 extra-agricoli viene individuata sulla retta di regressione che interpola l'insieme dei comuni rappresentati sui due assi in corrispondenza del valore della popolazione residente pari, appunto, a 110 mila abitanti.La novità del contributo di Cafiero-Busca sta nel fatto che per la prima volta viene legato un dato al territorio e ciò ci consente di leggerlo senza sapere se in esso ci sono città, paesi e villaggi. Viene costruita così un'area che se soddisfa alcune condizioni può essere connotata come area metropolitana. Secondo tale classificazione, al 1951 le aree metropolitane risultavano 26 e al 1961, 32, con una popolazione pari al 43%.I criteri della classificazione tuttavia solo parzialmente sono stati considerati idonei ad una univoca determinazione delle aree metropolitane del paese: gli indicatori adottati rispecchierebbero in qualche modo soltanto le componenti del fenomeno metropolitano (come detto nell’analisi si considera la densità legata alle risorse umane e economiche) mentre risulterebbe trascurata la componente legata alle comunicazioni tra le parti dell’area, queste ultime misurabili tramite i flussi (movimenti pendolari) che si instaurano all’interno dell’area.

Il terzo tentativo di delimitazione dell'area metropolitana è stato fatto dal CNR sulla base di una ricerca sui. bisogni abitativi, realizzata nel 1970. Il metodo consisteva nell’individuare le "aree di sviluppo" costruite sulla base di una prima distinzione dei comuni in urbani e rurali (ricorrendo quindi, in prima battuta, ai metodi

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Popolazione residente

Popolazione attiva in settori extra-agricoli

35000

110000

145

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dell'approccio atomistico); si individuavano, quindi, le aree che raccoglievano comuni che avessero solo caratteristiche urbane; queste ultime venivano in seguito classificate come metropolitane o non metropolitane in base alla struttura economica, all'attrazione gravitazionale e all'incremento demografico (si vedeva se la percentuale di attivi aumentava da un censimento all'altro). Questa analisi fu lasciata cadere perché essa trascurava di considerare aree metropolitane alcune aree pur molto importanti come quelle di Roma e di Palermo.

Il quarto tentativo, a livello europeo come quello dello IUR, fu condotto da due geografi inglesi, Hall e Hay, i quali hanno individuato le aree metropolitane partendo dai poli, ossia dai comuni che contavano più di 20.000 occupati, ai quali hanno aggregato (per l'Italia) le aree di gravitazione commerciale (fornite da un'analisi dell'istituto Tagliacarne). Le aree metropolitane secondo tale analisi risulterebbero, al 1971 ben un centinaio.

L'ultimo tentativo, considerato da Martinotti nel suo studio, è stato portato avanti per la delimitazione delle FUR (Functional Urban Region). In tale contesto nel 1982 si è utilizzato un metodo di regionalizzazione a livello europeo, considerando come nuclei i comuni con più di 200.000 abitanti ai quali venivano aggregati i comuni contigui con un indice di pendolarismo verso il polo superiore al 15% (indicatore di attrazione che esprime il carattere sistematico della zona). Secondo tale esperienza al 1982 le aree metropolitane sarebbero 17.

Martinotti ha messo a confronto queste cinque definizioni e introducendo alcuni paradigmi ha individuato quella che meglio li soddisfa, scartando le altre. La sua analisi è riassunta nella tabella 1, dove in testata sono riportati i tentativi di definizione delle aree metropolitane; le colonne tuttavia sono 8 e non 5 perché il tentativo di Cafiero-Busca è riportato 3 volte relativamente a 3 anni diversi (due su dati dei censimenti del 1951 e del 1961 e uno su dati previsivi della popolazione al 1981) e quello di Hall e Hay due volte in quanto c'è una ipotesi di massima e una di minima (la seconda è ottenuta dal Martinotti includendo le aree di gravitazione commerciale ma escludendo le sub-aree).

Dalla tabella 1 emerge innanzitutto una enorme variabilità nella individuazione del numero dei poli anche se bisogna considerare che le analisi si riferiscono a periodi diversi; se poi andiamo a leggere la percentuale di popolazione che dimora nelle aree metropolitane vediamo anche in questo caso che tale ammontare è particolarmente elevato nell'analisi di Hall e Hay (78%) e particolarmente contenuto nel caso delle delimitazione dello IUR e di quello relativo alle FUR.

Il principale criterio utilizzato da Martinetti per stabilire qual è la migliore tra le definizioni di area metropolitana emerge dalla tabella 2, nella quale sono riportati i risultati di confronto di ciascuna delle definizioni con il paradigma della metropolitanizzazione. In fiancata sono riportati i due periodi (1961-71, 1971-1981), i valori indicano per i poli l'incremento di densità nei due diversi periodi:

tutte le definizioni, eccetto quella di Hall e Hay, coerentemente con il paradigma della metropolitanizzazione mostrano, sebbene in misura variabile, un incremento della densità nei poli nel periodo 1961-1971 ed un decremento nel periodo 1971-1981; Hall e Hay, infatti, evidenziano anche per il periodo 1971-81 una crescita, seppur molto contenuta, della densità dei poli. Ciò induce a ritenere che l’eccessiva ampiezza della definizione porti ad includere nei poli anche comuni non inseriti in un sistema metropolitano e non investiti, cioè, dalla dinamica di decentramento tipica del decennio 1971-1981;

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quanto all’incremento della densità delle fasce, si osserva come le definizioni IUR e per la delimitazione delle FUR, le meno inclusive, individuando solo i poli principali attribuiscono un eccessivo incremento alle fasce nel primo periodo rispetto al secondo; la definizione di Hall e Hay, per contro, mostra livelli di crescita assai simili nei due periodi e notevolmente più bassi degli altri,

infine, con riferimento al rapporto tra le densità di poli e fasce, si osserva come essa dovrebbe assestarsi su un valore non molto elevato e decrescente nel tempo: anche secondo questo parametro la definizione di Hall e Hay si dimostra inadeguata, tanto da mostrare addirittura un rapporto crescente in corrispondenza del 1971; altrettanto inadeguate sembrano essere le definizioni CNR e FUR che propongono valori decisamente troppo elevati per questo indicatore.

Rimane pertanto solo il tentativo di Cafiero-Busca che sembra quello che meglio ha individuato il livello e la dinamica del processo di metropolitanizzazione.

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PROSPETTO 1Nel prospetto 1 (i seguenti prospetti sono tutti tratti dal lavoro di M. Brazzoduro, 1988, sui risultati di Cafiero) vediamo quante sono le aree metropolitane tra il 1951 e il 1981 in Italia secondo la definizione di Cafiero (che è una definizione dinamica in quanto di volta in volta, ossia a ciascun censimento, si legge il territorio per vedere quali sono stati i coaguli metropolitani): nel 1951 le aree metropolitane erano 20 e nel 1981 erano giunte a 37. La tabella riporta in fiancata le aree metropolitane divise in Nord e Sud (l'area di Roma rientra nelle aree del Sud), per ogni area metropolitana possiamo leggere il numero di comuni che ne fanno parte relativamente ad ogni censimento, e possiamo leggere anche il formarsi di nuove aree metropolitane tra il 1951 e il '61 (quattro al Nord e una al Sud) e così in tutti gli altri decenni. Roma secondo questo schema riunirebbe intorno a sé un numero scarso di comuni (7, 10, 16, 17).

PROSPETTO 2La superficie investita dal fenomeno metropolitano cresce in misura notevole: da poco più del 4% del territorio nazionale al 1951 si giunge, trent'anni dopo, ad oltre l'11: specialmente nel periodo 1961-71 il territorio si estende notevolmente in ragione non tanto dell'aggiungersi di nuove aree al novero di quelle definite come metropolitane (in realtà le tre aree neodefinite metropolitane nel periodo comprendono una porzione trascurabile di superficie) quanto per l'espandersi di quelle già metropolitane al 1961, in particolare quella denominata Toscana, quella Veneta, l'alta Emilia e l'area di Rimini-Ancona (prospetto 2).

PROSPETTO 3Nel prospetto 3 vediamo invece la popolazione italiana metropolitana che al 1981 secondo questo contributo ammontava a poco più di 30 milioni di persone, il che significa circa il 58% della popolazione italiana. Anche qui esistono delle differenze tra le une e le altre, come ad esempio il caso dell'area metropolitana lombarda che è enorme rispetto alle altre. Tale area peraltro deborda oltre i confini regionali includendo Novara con i suoi comuni satellite e comprende quasi 7 milioni di abitanti su una popolazione della regione di più o meno 9 milioni di abitanti. L'area metropolitana di Roma, invece, con i suoi 17 comuni satellite ha una popolazione metropolitana poco superiore a 3,2 milioni di abitanti su una popolazione residente nel comune pari a 2,8 milioni di abitanti (dato del censimento 1981).

PROSPETTO 4Il prospetto 4 illustra invece la dinamica della popolazione residente relativamente alla dicotomia ambiente metropolitano e non metropolitano: la popolazione residente in Italia ha un tasso di incremento medio annuo sostanzialmente pari al 4 per 1000 e possiamo individuare quelle aree che manifestano la dinamica più forte (dal punto di vista del solo incremento della popolazione residente, non sappiamo cosa c'è sotto a questo incremento, in altri termini non sappiamo qual è l'azione dei saldi naturali e dei flussi migratori). Quello che è certo, al di là di ogni ipotesi di controurbanizzazione, è che i territori che restano estranei alla porzione metropolitana manifestano sempre tassi di incremento medio annuo negativi (più o meno intorno a [-6;-10]per mille) e un'altra considerazione che si può fare è che sono particolarmente vivaci le nuove aree.

PROSPETTO 5Il prospetto 5 indica infine la densità dell'area metropolitana tra il 1951 e il 1981. Anche qui vi sono profonde differenze, alcune aree metropolitane come Sassari hanno una densità di 200 abitanti per Kmq (densità praticamente non così differente da quella media italiana) mentre

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altre, come Trieste, Torino, Roma e Napoli, individuano aree metropolitane dove invece la densità raggiunge livelli elevatissimi (sempre superiori a 1600 ab per kmq).

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PROSPETTO 1 - Numero di comuni inclusi nelle aree metropolitane. Censimenti 1951-1981

1951 1961 1971 19811 Lombarda 460 544 592 6572 Toscana 22 35 51 783 Torino 12 34 39 584 Veneta 15 27 46 815 Ligure 14 27 57 576 Alta Emilia 2 3 16 267 Bologna 2 3 5 98 Verona 2 4 6 109 Trieste 3 3 3 3

10 Biella 38 39 45 4611 Ferrara 1 1 1 112 Rimini-Ancona - 9 29 4113 Vicenza - 4 22 4214 Alessandria - 2 3 615 Udine - 7 7 716 Bassano del Grappa - - 14 2117 Bolzano - - 2 218 Trento - - - 4

TOTALE AM NORD 571 742 938 1.149

19 Napoli 144 151 151 15420 Roma 7 10 16 1721 Palermo 4 4 8 922 Bari 2 2 8 1123 Catania 7 7 15 1624 cagliari 1 1 2 325 Taranto 1 1 1 926 Messina 3 3 3 327 Reggio Calabria 3 3 3 328 Pescara - 5 5 929 Sassari - - 2 230 Lecce - - - 1131 Perugia - - - 232 Foggia - - - 133 S. Benedetto del Tronto - - - 1934 Latina - - - 335 Siracusa - - - 436 Cosenza - - - 637 Terni - - - 1

TOTALE AM SUD 172 187 214 283

TOTALE AM 743 929 1.152 1.432

RESTO D'ITALIA 7.067 7.106 6.904 6.654

ITALIA 7.810 8.035 8.056 8.086

Aree metropolitane

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PROSPETTO 2 - Superficie investita dal fenomeno metropolitano (Kmq). Censimenti 1951-1981

1951 1961 1971 19811 Lombarda 4.071,93 4.726,28 5.572,56 6.321,182 Toscana 1.141,93 1.706,79 2.407,39 3.570,663 Torino 332,33 729,85 818,40 1.113,624 Veneta 777,47 1.020,18 1.602,57 2.559,425 Ligure 504,50 713,04 1.278,88 1.180,036 Alta Emilia 444,40 675,95 1.189,92 1.538,557 Bologna 158,10 202,80 271,46 398,668 Verona 218,79 285,81 329,95 418,119 Trieste 122,15 122,15 122,15 122,47

10 Biella 354,22 370,94 502,86 519,6111 Ferrara 404,35 404,35 404,35 436,9712 Rimini-Ancona - 419,79 1.683,03 2.400,0313 Vicenza - 121,27 495,59 809,7714 Alessandria - 253,76 353,05 459,1215 Udine - 159,85 159,85 162,0816 Bassano del Grappa - - 324,47 408,6717 Bolzano - - 76,59 76,5918 Trento - - - 189,49

TOTALE AM NORD 8.530,17 11.912,81 17.593,07 22.685,03

19 Napoli 1.758,40 2.012,11 2.012,11 2.047,3020 Roma 1.692,48 1.769,53 2.012,46 1.931,6921 Palermo 195,95 195,95 245,48 770,1122 Bari 136,03 136,03 368,97 669,2023 Catania 283,34 283,34 360,29 394,4424 cagliari 133,51 133,51 160,22 256,5125 Taranto 310,17 310,17 310,17 417,3826 Messina 230,57 230,57 230,57 230,5727 Reggio Calabria 263,19 263,19 263,19 255,7028 Pescara - 156,82 156,82 237,5129 Sassari - - 707,17 707,2230 Lecce - - - 435,3431 Perugia - - - 477,5432 Foggia - - - 505,9033 S. Benedetto del Tronto - - - 324,6134 Latina - - - 392,6835 Siracusa - - - 304,2336 Cosenza - - - 114,0737 Terni - - - 211,90

TOTALE AM SUD 5.003,64 5.491,22 6.827,45 10.683,90

TOTALE AM 13.533,81 17.404,03 24.420,52 33.368,93

RESTO D'ITALIA 287.666,99 283.820,92 276.824,03 267.899,32

ITALIA 301.200,80 301.224,95 301.244,55 301.268,25

Aree metropolitane

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PROSPETTO 3 - Popolazione residente nelle aree metropolitane. Censimenti 1951-1981

1951 1961 1971 19811 Lombarda 3.803.999 4.925.026 6.351.017 6.893.6322 Toscana 1.085.493 1.474.772 1.982.681 2.371.6083 Torino 834.375 1.307.560 1.714.292 1.821.2664 Veneta 573.397 747.934 1.135.791 1.524.7135 Ligure 792.859 1.049.768 1.408.337 1.371.8106 Alta Emilia 234.342 396.831 685.934 819.0427 Bologna 350.619 476.304 572.949 584.9408 Verona 189.077 257.637 322.965 374.9119 Trieste 289.966 290.536 288.610 272.467

10 Biella 130.220 151.821 199.641 205.72411 Ferrara 133.949 152.654 153.119 158.18812 Rimini-Ancona - 275.184 888.815 999.22113 Vicenza - 144.555 320.697 421.85914 Alessandria - 111.296 154.499 194.45815 Udine - 120.777 135.834 141.92516 Bassano del Grappa - - 113.391 117.75717 Bolzano - - 128.529 205.22318 Trento - - - 112.828

TOTALE AM NORD 8.418.296 11.882.655 16.557.101 18.591.572

19 Napoli 2.713.015 3.254.111 3.662.754 4.041.51820 Roma 1.734.055 2.337.340 3.117.232 3.207.11421 Palermo 535.084 636.773 720.745 804.38622 Bari 283.888 327.735 535.933 732.10623 Catania 389.048 461.323 555.374 622.71424 cagliari 138.599 183.784 236.453 295.98925 Taranto 168.941 194.609 228.826 287.17726 Messina 228.697 262.444 256.106 269.59527 Reggio Calabria 153.938 167.514 176.921 189.33928 Pescara - 161.009 208.951 274.15529 Sassari - - 128.555 140.58630 Lecce - - - 185.47331 Perugia - - - 157.33632 Foggia - - - 156.46733 S. Benedetto del Tronto - - - 151.27234 Latina - - - 150.33035 Siracusa - - - 149.59836 Cosenza - - - 144.09637 Terni - - - 111.564

TOTALE AM SUD 6.345.265 7.986.642 9.827.850 12.070.815

TOTALE AM 14.763.561 19.869.297 26.384.951 30.662.387

RESTO D'ITALIA 32.751.976 30.754.272 27.751.596 25.894.524

ITALIA 47.515.537 50.623.569 54.136.547 56.556.911

Aree metropolitane

153

Page 29:  · Web viewTra il 1960 e il 1983, quando Vitali pubblicò “evoluzione rurale e urbana dei comuni in Italia”, venne a mancare in Italia una definizione universalmente accettata.

Corso di Popolazione, territorio e società A.A. 2010-2011Appunti ad uso interno

Università Degli Studi di Milano - Bicocca

PROSPETTO 4 - Tassi di incremento medio annuo composto. Censimenti 1951-1981

1951-61 1961-71 1971-81 1951-811 Lombarda 26,2 25,8 8,2 20,02 Toscana 31,1 30,0 18,1 26,43 Torino 45,9 27,5 6,1 26,44 Veneta 26,9 42,7 29,9 33,15 Ligure 28,5 29,8 -2,6 18,46 Alta Emilia 54,1 56,3 17,9 42,67 Bologna 31,1 18,6 2,1 17,28 Verona 31,4 22,9 15,0 23,19 Trieste 0,2 -0,7 -5,7 -2,1

10 Biella 15,5 27,8 3,0 15,411 Ferrara 13,2 0,3 3,3 5,612 Rimini-Ancona - 124,4 11,8 -13 Vicenza - 82,9 27,8 -14 Alessandria - 33,3 23,3 -15 Udine - 11,8 0,4 -16 Bassano del Grappa - - 0,4 -17 Bolzano - - - -18 Trento - - - -

TOTALE AM NORD 35,1 33,7 11,7 26,8

19 Napoli 18,4 11,9 9,9 13,420 Roma 30,3 29,2 2,8 20,721 Palermo 17,6 12,5 11,0 13,722 Bari 14,5 50,4 31,7 32,123 Catania 17,2 18,7 11,5 15,824 cagliari 28,6 25,5 22,7 25,625 Taranto 14,2 16,3 23,0 17,826 Messina 13,9 -2,4 5,1 5,527 Reggio Calabria 8,5 5,5 6,8 6,928 Pescara - 26,4 27,5 -29 Sassari - - - -30 Lecce - - - -31 Perugia - - - -32 Foggia - - - -33 S. Benedetto del Tronto - - - -34 Latina - - - -35 Siracusa - - - -36 Cosenza - - - -37 Terni - - - -

TOTALE AM SUD 23,3 21,0 20,8 21,7

TOTALE AM 30,1 28,8 15,1 24,7

RESTO D'ITALIA -6,3 -10,2 -6,9 -7,8

ITALIA 6,4 6,7 4,4 5,8

Aree metropolitane

PROSPETTO 5 - Densità della popolazione residente nelle aree metropolitane . Censimenti 1951-1981

1951 1961 1971 19811 Lombarda 934,2 1.042,1 1.139,7 1.090,62 Toscana 950,6 864,1 823,6 664,23 Torino 2.510,7 1.791,5 2.094,7 1.635,44 Veneta 737,5 733,1 708,7 595,75 Ligure 1.571,6 1.472,2 1.101,2 1.162,56 Alta Emilia 527,3 587,1 576,5 532,37 Bologna 2.217,7 2.348,6 2.110,6 1.467,38 Verona 864,2 901,4 978,8 896,79 Trieste 2.373,9 2.378,5 2.362,8 2.224,8

10 Biella 367,6 409,3 397,0 395,911 Ferrara 331,3 377,5 378,7 362,012 Rimini-Ancona - 655,5 528,1 416,313 Vicenza - 1.192,0 647,1 521,014 Alessandria - 438,6 437,6 423,515 Udine - 755,6 849,8 875,616 Bassano del Grappa - - 349,5 288,117 Bolzano - - 1.678,1 2.679,518 Trento - - - 595,4

TOTALE AM NORD 986,9 997,5 941,1 819,6

19 Napoli 1.542,9 1.617,3 1.820,4 1.974,120 Roma 1.024,6 1.320,9 1.549,0 1.660,321 Palermo 2.730,7 3.249,7 2.936,1 1.044,522 Bari 2.087,0 2.409,3 1.452,5 1.094,023 Catania 1.373,1 1.628,2 1.541,5 1.578,724 cagliari 1.038,1 1.376,6 1.475,8 1.153,925 Taranto 544,7 627,4 737,7 688,026 Messina 991,9 1.138,2 1.110,8 1.169,327 Reggio Calabria 584,9 636,5 672,2 740,528 Pescara - 1.026,7 1.332,4 1.154,329 Sassari - - 181,8 198,830 Lecce - - - 426,031 Perugia - - - 329,532 Foggia - - - 309,333 S. Benedetto del Tronto - - - 466,034 Latina - - - 382,835 Siracusa - - - 491,736 Cosenza - - - 1.263,237 Terni - - - 526,5

TOTALE AM SUD 1.268,1 1.454,4 1.439,5 1.129,8

TOTALE AM 1.090,9 1.141,6 1.080,4 918,9

RESTO D'ITALIA 113,9 108,4 100,2 96,7

ITALIA 157,8 168,1 179,7 187,7

Aree metropolitane

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