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il notiziario Trimestrale di Arte e Cultura / Anno XLIII - n. 2 APRILE / GIUGNO 2018 / Tassa Riscossa Direzione e Redazione 00167 Roma Via Giulio Sacchetti, 10 / Fuori abbonamento: 1,25 Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in Abb. Post. – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 20/b - Roma ACCADEMIA INTERNAZIONALE DI ARTE MODERNA AIAM 87

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il notiziarioTrimestrale di Arte e Cultura / Anno XLIII - n. 2 APRILE / GIUGNO 2018 / Tassa RiscossaDirezione e Redazione 00167 Roma Via Giulio Sacchetti, 10 / Fuori abbonamento: € 1,25 Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in Abb. Post. – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 20/b - Roma

a c c a d e m i a i n t e r n a z i o n a l e d i a r t e m o d e r n a

a i a m

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AntonioPietro BrunoNunzio DavidMassimoFerruccioFelipe EduardLambertoGuillaumePericleGiannettoSalvatoreFrancoEmilio

H.AMARALANNIGONIBARBORINIBIBBÒBOYDCAMPIGLICASCIOLICASTAÑEDACHILLIDACIAVATTACORNEILLEFAZZINIFIESCHIFIUMEFRAGALEGRECO

DIRETTORE RESPONSABILEAnna Nucciarone

SEGRETARIA DI REDAZIONEFausta Pinto

COMITATO DI REDAZIONE Francesca Graziano

Alfredo BonomoAndrea Apruzzese

Andrea Cirelli

COLLABORATORI Pierpaolo Cannistraci

Francesca Romana Fragale Aldo Jatosti

GRAFICA E DESIGN Consorzio Vertice - Roma

PRESIDENTE ONORARIOAvv. Francesco De Benedetta

PRESIDENTEFranca Di Furia

VICEPRESIDENTE Dott.ssa Francesca Fragale Prof. Benedetto Robazza

SEGRETARIO GENERALEProf. Aldo Jatosti

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in copertina"Ragazza"

di Pascoal De Souza60x90 cm olio su tela

collezione AIAM

RIVISTA TRIMESTRALE DI ARTE E CULTURAEDIZIONI AIAMDIREZIONE

ACCADEMIA INTERNAZIONALE DI ARTE MODERNAALbO D'ORO

VirgilioAlezUmbertoGiacomoIvanMarino LucianoAlfioHenryRodolfoHenryChengJosèPabloAntonio

GUIDIKATZLILLONIMANZÙMARCHUKMARINIMINGUZZIMONGELLIMOOREMORALESMUELLERNAN- YANORTEGAPALAZUELOPASSA

AugustoArnaldoMarioMarioBenedettoMimmoSvetlinAligiGregorioNelloLuigiOrfeoErnestoMarioSandro

PEREZPOMODORORADICERIVOSECCHIROBAZZAROTELLARUSSEVSASSUSCILTIANSEGURINISERVOLINITAMBURITRECCANITOZZITROTTI

SOMMARIO4. Editoriale di A. Nucciarone

6. Arcimboldo in mostra di Francesca Romana Fragale

7. Villa Paloma: la memoria dei luoghi nei quadri di Alfredo Volpi di Francesca Graziano

8. La signoria del segno di Andrea Cirelli

32. Considerazioni sulla mostra di Turner di Anna Nucciarone

26. La maschera sulla pelle di Anna Nucciarone

30. Turner al Chiostro del bramante di Francesca Romana Fragale

I lavori pubblicati rispecchiano il pensiero degli autori, i quali assumeranno tutte le responsabilità di legge. I testi dovranno essere dattiloscritti e firmati dall’autore. I pezzi scritti e le fotografie, anche se non pubblicate, non saranno restituite. Non si effettua pubblicità a pagamento. Le inserzioni pubblicitarie che possono apparire in qualche numero sono da ritenersi un omaggio ai sostenitori benemeriti della rivista. Il periodico viene inviato gratuitamente in abbonamento postale ad Enti Pubblici e Privati, Biblioteche e Associazioni Culturali. L’attività editoriale è di natura non commerciale a norma degli artt. 4 e 5 del D.P.R. del 26 ottobre 1972, n.633 e successive modifiche.

10. Utugawa Hiroshige a Roma: eternità a confronto di Anna Nucciarone

21. Secondo Premio Medusa Aurea per la poesia 40a edizione "Giovanni Pascoli"

Secondo Premio Medusa Aurea per le arti figurative 40a edizione "Eduardo Chillida"

28. Sergio Sani e il ritmo del colore di Cristiana Palma

RIVISTA TRIMESTRALE DI ARTE E CULTURA

ACCADEMIA INTERNAZIONALE DI ARTE MODERNAALbO D'ORO

12. Magia del cerchio di Laura Tarantola

20. Primo Premio Medusa Aurea per la poesia 40a edizione "Giovanni Pascoli"

Primo Premio Medusa Aurea per le arti figurative 40a edizione "Eduardo Chillida"

22. Terzo Premio Medusa Aurea per la poesia 40a edizione "Giovanni Pascoli"

Terzo Premio Medusa Aurea per le arti figurative 40a edizione "Eduardo Chillida"

24. Partecipanti alla 41a edizione Premio Medusa Aurea sezione Arti figurative "Marino Marini"

25. Partecipanti alla 41a edizione Premio Medusa Aurea sezione Poesia e Narrativa "Giosué Carducci"

29. Lee bae: le vibrazioni del nero di Francesca Graziano

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EDITORIALEdi Anna Nucciarone

lcuni giorni or sono parlavo con un artista e di fronte ad una sua opera gli ho chiesto a bruciapelo: “Cosa è per te l’arte?” L’uomo, non certo un bambino di età anagrafica ma con due occhi vispi e luminosi come raramente purtroppo mi capita di incontrare, mi ha sorriso e mi ha risposto: “È come se mi chiedessi cosa è Dio! Forse potrei dirti cosa è per me Dio ma sarebbe uno sforzo inutile perché naufragheremmo in un mare di parole e di elucubrazioni teoriche e metafisiche che finirebbero per lasciare il tempo che trovano. Io so che di fronte ad un tramonto, al sorriso di mio nipote, alla perfezione di una farfalla e di un fiore, io “sento che Dio è lì”.

Il vecchio artista saggio mi stava dicendo che possiamo cercare quanto vogliamo un criterio razionale per identificare l’arte ma alla fine sarebbe sterile. La vera arte è l’emozione di stupore e d’incanto che una opera suscita nel cuore di chi non la osserva ma la vive da dentro.

Prima di ogni immagine c’è una energia che si muove. Riconoscere e dare significato (cioè segno) a quella semovenza è la funzione-destino di ogni vero artista.

Per questo posso dire che questa rivista mi piace: perché dà voce a tanti artisti, ognuno con la sua storia e la sua sensibilità, ma mantenendo intatto un filo conduttore di passione e di amore unico, pur attraverso le esperienze più disparate. In questo numero infatti, insieme alle voci di molti seri professionisti che ringrazio, troviamo molti quadri, poesie, ecc., un'autentica primavera di colori: sono tutti sorrisi di un mondo che vuole comunicare la propria gioia di esistere; questo, Signore e Signori, è il mondo dell’Arte, quel corrimano che ci ricorda che la vita è una immensa opportunità per essere felici ogni singolo momento. E concludo con una frase di un altro grande vecchio che personalmente ritengo estremamente saggio, Papa Bergoglio, il quale ringraziando degli artisti per uno spettacolo organizzato per il suo compleanno presso la Sala Nervi in Vaticano, ha commentato: “La vera Arte sempre avvicina a Dio!”.

AKatia De Rosa

Il cofronto30 x 70 cm vetro fusione

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a i a ma t t i V i t à

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Arcimboldoin mostradi Francesca Romana Fragale

Roma, fino all’11 di febbraio 2018, a Palazzo Barberini si è potuta visitare la bella mostra monografica sull’opera dell’Arcimboldo.

Personaggio eclettico, ottimo disegnatore, virtuoso e originale, ferrato nelle illustrazioni naturalistiche, è nato e morto a Milano (1526-1593). Come i grandi, viaggiò e operò alle Corti di Vienna e Praga, prima di tornare alla sua Milano.

In particolare suoi committenti furono l’Imperatore Rodolfo II e a Vienna Massimiliano II Rodolfo, un anno prima della sua morte lo nominò Conte palatino.

Vissuto nel fermento del Concilio di Trento, fu un Maestro dell’arte sacra: lavorò per il Duomo di Milano, di Monza e di Como.

Nel periodo nel quale visse L’Arcimboldo stava divenendo autonomo genere pittorico quello delle nature morte; il giovane Caravaggio si andava formando e restavano vividi gli impulsi leonardeschi con le celeberrime caricature di volti umani, sovente riprese e trattate dagli artisti lombardi.

Aveva lavorato a bottega con il padre Biagio, per creare i cartoni per le vetrate del Duomo di Milano l’estroso giovane Giuseppe.

Transitò nel circolo di Giovanni Paolo Lomazzo che conduceva ricerche sul mondo naturale.

A Vienna Massimiliano II fece giungere a Corte animali mai visti prima, in concomitanza con la scoperta di terre nuove. Nuove specie di fauna e di flora che venivano studiate e sapientemente disegnate. In quel periodo storico nasceva la botanica.

Ho tenuto a dilungarmi sulle sue note biografiche e a brevi cenni di ambientazione storico culturale perché L’Arcimboldo appare di tale originalità nei sui capolavori da apparire avulso dal contesto.

In realtà dobbiamo ammettere che era decisamente integrato nel suo contesto

Questa considerazione certo non inficia la sua indiscutibile valenza artistica, ma serve a comprendere come il realtà il genio altro non è che un cinque per cento di innovatività verso l’attuale scienza e conoscenza, come sosteneva mio padre.

Certo sorprendono ancora le sue famosissime ‘Teste composte’ e le sue ‘Stagioni’. La tecnica eccezionale unita a una sfrenata fantasia lo collocano nell’’Olimpo dell’arte.

A

Santa Caterina viene condotta in carcere, ante 1556Vetrata del Duomo di Milano

Il bibliotecario, 156671x97 cm

Olio su tela

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emancipazione artistica del Brasile inizia nel ‘900 quando un gruppo di pittori che rispondono ai nomi di Alfredo Volpi, Candido Portinari, Anita Malfatti, Tarsila do Amaral, avanzano sulla scena dell’arte guardando alle avanguardie europee e adottando uno stile modernista. È il tempo della nascita di Brasilia edificata nel 1955 e dell’architettura di Oscar Niemeyer. Ma sono soprattutto gli artisti della generazione di dopo a proporre al mondo e al mercato dell’arte il movimento astrattista concreto che pratica (sono gli anni 1950-80), una pittura e una scultura in sintonia con l’astrattismo europeo. Il nuovo Museo nazionale di Monaco ha appena inaugurato nei locali di Villa Paloma la mostra di Alfredo Volpi, un artista

italiano famoso, ma di cui paradossalmente si è parlato poco finora. Nato a Lucca nel 1896, partito con i suoi genitori che non aveva ancora due anni, è vissuto a San Paolo tutta la vita nel quartiere italiano Cambuci. La mostra, curata da Cristiano Raimondi, presenta 70 opere ed è volta a ritracciare il percorso di un’artista atipico partito come autodidatta e che oggi sembra avere risvegliato - dice il curatore - un particolare interesse specialmente nei collezionisti americani. “Pur avendo sempre rivendicato la sua indipendenza dai movimenti artistici, ha molto influenzato il modernismo brasiliano a partire dal Concreto e presto lo vedremo anche alla Fondazione Cartier di Parigi, grazie al prestito del NMNM, che si conferma così museo di ricerca e snodo di collaborazioni”. Ciò che più attraversa la pittura dell’artista italo-brasiliano è la memoria dei luoghi, che rielabora cromaticamente usando colori a tempera e ispirandosi alla tecnica dell’affresco. Inizia dal basso Alfredo Volpi, come falegname e rilegatore di libri, per spostarsi man mano verso la pittura, perfezionandosi in maniera tale da essere accolto alla Biennale di Venezia nel 1950, ’52, ’62, 64 per le geometrie astratte che lo hanno reso famoso. La mostra nasce dalla personale scoperta del curatore mentre studia l’archivio di Hercule Florence fatto oggetto di una precedente mostra a Monaco. “Più mi informavo e più restavo affascinato da questa para-realtà italiana di cui faceva parte e che influenzava tutte le arti fino all’architettura con casi esemplari come Pietro Maria Bardi, Lina Bo Bardi, Marcello Piacentini. “È consultando i documenti conservati all’Istituto Alfredo Volpi che si evince la profonda conoscenza di Volpi per l'opera di maestri come Matisse e Carrà, in quanto lasciava il suo nome sui registri delle presenze delle mostre” continua il curatore.

Senza rispettare una cronologia particolare, al II piano di Villa Paloma si ritrovano opere degli anni ’50-’60, fra cui dipinti a carattere religioso dove si possono rintracciare influenze degli affreschi di Paolo Uccello visti nel corso di un suo viaggio a Firenze. Nel 1950 Volpi, grazie a Osir Art, un atelier di ceramica dove lavora assieme a creatori brasiliani di fama come Candido Portinari, riesce a venire in Italia. A Padova la Cappella degli Scrovegni dipinta da Giotto è per lui una rivelazione, ammira il blu oltremare degli affreschi, rimane affascinato dai santi e dai personaggi rappresentati. Poi va ad Arezzo dove ha la possibilità di contemplare i celebri affreschi della Vera Croce di Piero della Francesca, ammira Cimabue e Paolo Uccello.

NMNM Villa Paloma 56 Boulevard du Jardin exotique www.nmnm.mc

Villa Paloma:la memoria dei luoghinei quadri di Alfredo Volpidi Francesca Graziano

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La signoria del segnodi Andrea Cirelli

L e prime forme di attività psichica di un essere umano sono immagini; l’immagine arriva prima di ogni pensiero, idea o ragionamento. La nostra mente è attivata da immagini, simboli, segni cui attribuisce significati rielaborandoli successivamente in maniera razionale, secondo una logica personale o ritenuta valida, accettabile, condivisa.

Attraverso questa rielaborazione ogni immagine acquisisce potere evocativo, divenendo l'origine di emozioni e sentimenti, prolificando e coinvolgendo gruppi più o meno estesi, creando desiderio e inducendo all'azione.

Lo sanno bene i pubblicitari: il nostro cervello corticale, (potremmo dire la parte cosciente, che ragiona) quasi mai agisce né decide. La parte del nostro cervello che prende le decisioni e sceglie qualcosa piuttosto che altro è la zona sottocorticale, l'area limbica, così importante anche nella produzione di emozioni. In termini psicanalitici lo chiamiamo inconscio. La neocorteccia, se posta da sola davanti ad una scelta da effettuare comincia a ragionare

in un modo, poi nel suo contrario; analizzerebbe una possibilità ma anche il suo contrario ed il contrario di questo all'infinito, senza scegliere mai, sempre nell'incertezza. Abbiamo perciò il sistema emotivo sottocorticale che sceglie ed il ragionamento, poi, giustificherà tale scelta. L'inconscio è il vero conduttore della nostra vita; ogni studio lo conferma, e l'inconscio è attivato da immagini. Più in generale ancora ritengo che le immagini possano stabilire la distorsione e quindi la malattia ma anche determinare la cura di un organismo. Questo è il nostro mondo paradossale, perché in fondo non c'è niente di più astratto e inconsistente della forma. Però forma, informazione e formule determinano il nostro mondo reale. Quanto detto è completamente reversibile, in quanto un organismo introietta immagini esterne che danno forma alla propria energia la quale modula stati emotivi che a loro volta producono anch’essi immagini, segni e simboli in grado di diffondersi, germinare e prolificare.

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Questo è ciò che normalmente definiamo in-formazione: azione che forma dentro.

La mente umana registra attraverso le immagini almeno il 90% del proprio magazzino di memorie, mentre solo il restante 10% è deputato al processo testuale. Con il tempo molte memorie si modificano tramite assorbimento di ulteriori immagini che evocano altre emozioni ma questi sono concetti che ci conducono lontano dal nostro contesto artistico.

I pubblicitari studiano se una certa immagine può destare attenzione, se ha il determinato impatto emozionale che occorre, se può attrarre il potenziale utente; poche parole bastano a sigillare il messaggio stabilito dalla immagine promozionale, che è immagine evocativa e come tale si integra con le parole utilizzate. Questa creazione del desiderio viene chiamata comunicazione e l'efficacia del messaggio sta nel risultato: il cliente compra il prodotto o l'elettore vota un certo candidato.

Gli spin doctors studiano i simboli “positivi” - cioè quelli che danno un concreto risultato - sin dal tempo degli antichi sumeri, dei faraoni, degli imperatori romani fino ai nostri giorni, passando per papi, regnanti e magnati i quali hanno sempre utilizzato gli artisti, gli architetti, gli scultori che tramite le loro opere generavano stupore, paura, attrazione, senso trascendente. Oggi ricordiamo più gli artisti del potere che li ha finanziati; i grandissimi artisti riuscivano a soddisfare la committenza ma anche la propria ispirazione realizzando attraverso la propria arte immagini che

a distanza di millenni testimoniano l'espressione più alta dell'umano, tanto da estendere il concetto di arte ad ogni campo della creatività umana.

Pian piano, con l'invenzione della stampa e quindi la possibilità di creare dei multipli di una immagine la pubblicità ha utilizzato grafici, comunicatori e psicologi, oggi neuropsicologi e informatici per perseguire gli scopi che di volta in volta vengono prefissati. L'artista, forse più libero di esprimersi, svincolato da esigenti committenze, viene però a trovarsi nel gioco dei mercanti d'arte. Questi stabiliscono chi è il grande artista e chi quindi deve essere monetizzato e commercializzato. Se però riusciamo in qualche modo a recuperare un sano spirito critico possiamo certamente affermare che siamo pieni di presunti artisti ma in proporzione abbiamo ben poca arte prodotta. L'artista è più libero ma i risultati ci sono?

La persona che riproduce su tela la propria ossessione, le immagini ripetitive, la propria malattia, è artista? O basta dire che l'artista “denuncia” per giustificarlo? Siamo pieni di opere che denunciano un degrado aumentandolo, la sofferenza diffondendola, le brutture con opere brutte, il potere facendo sorridere i potenti, la mancanza di creatività con ripetizioni. L'artista, ammesso che abbia talento innato, formazione, studio ed esperienza personali, dimentica spesso la propria responsabilità umana, la propria reale funzione che è quella di innalzare la sensibilità umana o comunque mostrare qualcosa a cui nessuno aveva pensato, che nessuno vedeva. Gli artisti creano una nuova grammatica, passatemi la metafora, dell'immagine. Acquisita quella grammatica si può parlare di altre cose e lo possono fare tutti, anche coloro che prima non vedevano. Se un artista resta invece il bambinone viziato, come è facile vedere oggi, non verrà niente di buono da quello che oggi consideriamo arte.

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Utugawa Hiroshige a RomaETERNITà A CONFRONTOdi Anna Nucciarone - Giornalista

n una Roma annichilita da una coltre bianca che dopo i primi momenti di estatica meraviglia e divertimento, lascia una città che ancora una volta si scopre impreparata ad affrontare difficoltà e crepe (non solo sulle strade), in una location che non tradisce mai le aspettative come le “Scuderie del Quirinale”, si tiene fino al prossimo 29 luglio una mostra che trasferisce nella Città Eterna, l’immagine di un Paese che da sempre ha con il tempo un rapporto particolare, il Giappone, visto con gli occhi di un o dei suoi figli prediletti, il grande artista Utugawa Hiroshige (1797-1858).

La mostra curata da Rossella Menegazzo con Sara E.Thompson, si articola in sette percorsi tematici attraverso 230 opere.

Hiroshige, insieme ad Hokusai ed Utamaro sono considerati i maggiori interpreti dell’“ukiyoe”, parola che significa “mondo fluttuante”.

L’”utiyoe” è l’espressione artistica giapponese non solo più conosciuta ed esposta in occidente, ma è anche quella che è stato in grado di coinvolgere ed esercitare un fascino eccezionale sul mondo dell’arte europea della fine dell’800 ed i primi del ‘900 influenzando non solo il mondo della pittura attraverso personaggi come Manet, Monet, Degas, Van Gogh, Touluse-Lautrec, Pizarro ed altri, ma anche quello della musica, come testimonia il nostro Puccini, che rende omaggio al Paese del Sol Levante con la sua eccelsa “Madame Butterfly,

e D’Annunzio, il vate della magia decadente della stilizzazione liberty dei primi del ‘900, per estendersi poi a tutta la visione fotografica del secolo scorso in cui un particolare di vita quotidiana rappresenta un mondo.

Il termine ‘ukiyoe’ fu inizialmente legato al pensiero buddhista con il suo distacco dalle cose terrene, considerate effimere e d’intralcio al percorso di illuminazione. Successivamente tuttavia l'interpretazione di quel mondo fatto di mille particolari terreni, mutò completamente esprimendo la ricerca e riscoperta del miricismo quotidiano, di quelle piccole

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Mare a Satta, 1858

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cose che proprio per la loro transitorietà meritano di essere colte ed ammirate.

Tutto ciò andava ad arricchire quel mondo non più fisso e ieratico ma fuggevole o, per l’appunto “fluttuante”. Il tutto condito da un impalpabile senso di erotismo proibito, come si evidenzia, per esempio, nell’affermarsi del teatro kabuki o nel moltiplicarsi di quei circoli privati che l’intellighentia giapponese amava frequentare per liberarsi dal rigidismo formale che l’esistenza quotidiana della società nipponica imponeva loro. Come non cogliere in questa sommessa rivoluzione copernicana una analogia con l’emozione base della migliore espressione artistica della nostra Europa in ribellione allo staticismo dell’arte classica.

“Hiroshige cerca sempre un punto di vista alternativo che esalti la bellezza della località e la vivacità delle sue attività umane” spiega Rossella Menegazzo. Tra questi particolari della vita quotidiana sovrane le donne, geishe sensuali, avvolte in splendidi kimono (letteralmente ‘cose da indossare’).

Duecentotrenta opere da apprezzare con calma, una ad una, nella molteplicità delle forme, dall’orizzontale al rotondo, dal ventaglio rigido al rotolo verticale più facilmente “trasportabile” da chi viaggia. E soprattutto nella loro tridimensionalità creata da pochi particolari come ad esempio nel “Mare di Satta nella Provincia di Suruga” dove, nell’evidente riferimento alla “Grande Onda” di Hokusai, la spuma si infrange sugli occhi dell’osservatore. E poi

l’accurata descrizione degli elementi atmosferici come la neve, la nebbia e soprattutto la pioggia che valsero ad Hiroshige l’appellativo di “maestro della pioggia”.

Queste sono le immagini che, pubblicate dalle riviste parigine come “Le Japon artistique”, permisero ai grandi autori già ricordati di appassionarsi alla ‘emozione Oriente’ dando vita al cosiddetto movimento Japonista che poi ciascuno di loro metabolizzò in maniera autonoma e personale (ricordiamo fra i tanti il “ponte giapponese” di Monet dove il ponte, che dovrebbe essere simbolo di stabilità, vibra in sintonia della natura che lo circonda o “Il ritratto di Père Tanguy” di Van Gogh ove il personaggio viene letteralmente circondato da temi esotici di stampo appunto giapponese); passione che ancora oggi non smette di comunicare quello stupore languido ed estatico che solo la vera arte può e sa esprimere.

Claude MonetPonte giapponese, 1899

Il giardino innevato, 1854, silografia policroma, 759x377 mm

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Magia del Cerchio

Q Il CERCHIO è il principio d’ogni forma.

Il CERCHIO è la matrice di ogni curva, è la dinamica dell’Universo, è alla base di ogni movimento.

Ogni elemento appartenente alla realtà, e non solo quella del campo visuale, è in costante, inesorabile movimento ed evoluzione nello spazio.

L a CURVA, considerata quale parte di circonferenza, è l’insieme dei SEGNI che l’essere umano o qualsiasi altro essere vivente non fa che tracciare, di solito inconsapevolmente, infinite volte intorno a sé. Segni talvolta armonici, fluidi, equilibrati; talvolta repentini, violenti o addirittura aggressivi.

Il CERCHIO è anche l’eco della Natura, è la linea dell’Orizzonte, l’arcobaleno, è la luce e l’ombra del ciclo del tempo, è il profilo del mare. Secondo la filosofia di Friedrich Nietzsche non vi sono valori assoluti all’interno della concezione spazio temporale, né nelle misurazioni matematiche delle grandezze, né nella individuazione delle forme perfette e quindi anche la perfezione del cerchio è... “illusione”.... Ma il cerchio è l’anima stessa dell’uomo ed è anche emozione.

Il CERCHIO è la figura bidimensionale derivante dal piano di sezione della sfera, simbolo dello spazio infinito. La SFERA corrisponde al campo visivo dell’uomo il cui punto di vista si trova nel centro geometrico della sfera stessa, e quindi (nella contemporaneità di tutte le direzioni, se fosse possibile), il punto di fuga verrà a trovarsi sulla superficie sferica.

E la RETTA? È energia: dinamica, razionale, rigorosa, non possiede origine né fine.

di laura tarantola critico dell’A.I.C.L. (Ass. Int. Critici Letterari)

Scultura bronzea ritrovata a Capo Artemisio 460-a.C. - Zeus che lancia un fulmine

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Anche la RETTA non esiste nella realtà, esiste però nel campo della geometria descrittiva. Impossibile rincorrerla, indifferente a qualsiasi richiamo, né eventualmente alle forze gravitazionali dell’universo, procede dritta per la sua strada verso... l’eternità. Meglio considerarla appartenente ad una delle” fisionomie” della LINEA: cifra universale del linguaggio comunicativo.

La LINEA: vibrante, sinuosa, musicale, oppure severa, spietata, tagliente; può essere descrittiva, costruttiva, strutturale, allusiva.... Con tutte le sue qualità espressive è indispensabile alla storia della cultura, delle tradizioni, dell’evoluzione dei popoli.

Nell’ambito delle arti figurative, l’artista rivela, attraverso il DISEGNO, e quindi con l’uso della LINEA, la propria sensibilità, il proprio animo. Egli possiede le potenzialità perché l’immagine formatasi “in pectore” possa essere trasmessa, con il gesto sapiente della sua mano, sulla superficie scelta. Che sia un foglio, una tela, una parete da dipingere o una pietra da scolpire, l’opera che ne deriverà non sarà mai una fedele riproduzione del suo pensiero: apparirà diversa, talvolta enigmatica. In tutti i casi ogni individuo si esprimerà con un linguaggio personalissimo, unico nel suo stile, irripetibile.

Nell’immenso panorama della storia dell’arte la scelta appare impossibile, ma come non riconoscere il segno avvolgente dal tessuto fortemente chiaroscurato di Leonardo che rende i suoi studi assoluti ed eterni. Passando a periodi più

recenti è l’umorismo tragico di Honoré Daumier che si evidenzia con un disegno nervoso, drammatico dai violenti chiaroscuri. L’austriaco Egon Schiele rivela grande capacità di rendere la realtà del suo tempo con una linea tormentata e crudele. Mentre le complesse, scenografiche scalee senza fine di Maurits Escher si contrappongono, se possibile, allo stile floreale dell’Art Déco del raffinato Ertè.

Come introdurre all'azione del disegnare colui che, disconoscendo modalità e tecnica, rimanga intimorito, disorientato di fronte ad una superficie bianca e assolutamente priva di riferimenti. Ciò anche quando viene irresistibilmente attratto dal desiderio di far comparire quell’immagine, quella figura: cioè rendere possibile la destinazione materialistica, visibile del pensiero astratto.

È il docente, con le sue competenze e le strategie comunicative a stimolare nel discente le potenzialità espressive portandolo alla conoscenza delle strutture

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compositive dell’oggetto. Portandolo anche a distinguere la percezione del reale dall’analisi scientifica della visione, acquisendo non solo gli strumenti tecnici ma prendendo coscienza dell’influenza dello stato emotivo e psicologico.

Considerando che la percezione di tutto ciò che cade all’interno del campo visivo è estremamente diversa dalla vera forma dell’oggetto, poiché tutto è sottoposto alla deformazione prospettica e alle variazioni del colore e della luce, si evince che nulla è quel che sembra. Eppure raramente abbiamo cognizione di ciò: ogni momento della nostra vita crediamo di vedere forme e colori che sono irreali. Tale condizione naturale si presenta dal momento in cui apriamo gli occhi al mondo.

PRIME ESPERIENZE DI DISEGNO

Eretto, dinnanzi allo spazio bianco di una tela posta sul cavalletto, l’aspirante disegnatore, sotto la guida del docente, immaginerà di “vedere” le diagonali che si intersecano nel centro geometrico della tela stessa. Fissando tale centro egli immaginerà di “vedere” un Cerchio (es: un vecchio disco in vinile) che ruota velocemente nell’una o nell’altra direzione. Controllando sempre il centro inizierà a mimare con il braccio e la mano armata di matita, pastello, pennarello ecc. (meglio se a colori), il movimento circolare. Ciò fino a che si materializzerà una figura sufficientemente equilibrata, soprattutto centralizzata.

Da quel centro propulsore del gesto dinamico si formerà una circonferenza. È naturale che non sia perfetta: le imperfezioni rappresentano appunto la spontaneità dell’approccio senza l’aiuto di strumenti. L’esperienza può apparire come un gioco: non vi è nulla di miracoloso e la

gestualità è morbida ma consapevole. È questo il primo impatto con lo spazio libero: è il primo passo per superare incertezze e rigidità, per entrare nel “racconto” delle linee curve e di tante forme derivanti.

In una fase successiva, il diverso atteggiamento della postura e del pensiero è situazione indispensabile per affrontare il rigore della linea dritta, quindi parte di RETTA. Nell’azione del disegnare il controllo dei punti di partenza e di arrivo, insieme al gesto repentino, comporta l’acquisizione di maggiore sicurezza e decisione.

È questo solo l’inizio dell’avventura. È la conquista dello spazio. Con lo studio fenomenologico del mondo visibile, l’allievo scoprirà che non esiste spazio vuoto; quella tela bianca rivelerà di essere affollata da un infinito numero di figure piane, tridimensionali come i solidi, di composizioni assonometriche, di straordinarie prospettive ecc. Egli svilupperà la capacità di riconoscere la geometria che sottende qualsiasi oggetto visibile. Iniziando ad orientarsi e arricchendo le proprie competenze potrà affrontare forme dalle strutture sempre più complesse.

Allegati n. 3 schizzi dell'autrice a corredo delle Lezioni di Disegno:

– struttura del volto e del profilo di donna

– cerchio frontale – cerchio in prospettiva

Accademia Internazionale d'Arte Moderna

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Maria Antonella RizzoLa LagunaOlio/spatola 50x45 cm

Sery MastropietroTecnica Mista60x60 cm

IL CHICCO DI GRANO

Un chicco di granoin terra è caduto

morto e sepolto riposa nel tempoad un tratto si sveglia

mette radicine viene alla luce contento e felice

la pioggia lo bagnail vento lo soffia

cresce un filo di erba sottilevestito di verde

adorna quel pratoi giorni passano

e un raggio di solelo trasforma di colore oro.

Bionda è la piumapesante è la spiga

arriva il tempo di dare i suoi chicchi.Il buon mietitore

con la falce in manotaglia quel filo e la spiga d'or.

Nel suo dolore ha dato vitaha germogliato per un tozzo di pane

quel chicco di grano trasformato in panee ogni bocca umana per virtù

di tanti chicchi di granopuò vivere mangiando pane.

Michelina Morrone

DESTINO

Al dì raggianti, noi siam dal sentir amaroio, che mi dolo di fati ancor velati,

dell'animo, il fuoco, ardor mi è la forzae sort'avversa ha di nutrir d'ambrosia.

Che sopra lo spirto lo intelletto m'insegna.Il cui abil parlar leggiadro librarsi,

sopra all'aire in alto, sereno,tra furia e desire con l'animo vivace.

Albori inediti e dolci dottrinemi par intraveder in lontananza posti,che per profetizzar o indicar sul foglioesigon sempre un perdurar silenzioso.

Viorica PetroffTraduzione di Lavinia Petroff

Ester MuntoniSolitudine

50x70 cm carboncino/tela

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Daniela Delle FratteMalinconiaAcrilico su tela 100x80 cm

HO CREDUTO

Ho studiatoho vissutoho amatoe mi sono ritrovatosenza più nulla addossoho piantoho corsoho lavoratoma le mie mani sono rimaste vuoteho creduto in una donnae questa mi ha traditoho creduto in Dio...Signore, la mia fede è chetu non mi hai mai davvero abbandonato solo hai lasciato che io camminassi come se solo...

Claudio Alciator

SCOLPITA NEL TEMPO

La fiamma d'una candelaillumina il tuo voltoesile visione spentascolpita nel tempo.Valanghe di ricordiscendono a valledel mio cuore,mentre ti guardo amore.Ho adagiato l'ultimo tuo sorriso,su un cespuglio di soleeterna fonte di caloreper il mio malato cuore.Anna incessante preghieradei miei infiniti pensieri.

Giuseppe Cosentino

CURVA SILENZIOSA

C'è una curva silenziosadove l'animo si perde. Con passo incerto, dai tanti pesi rallentato, cerca ristoro.Nella curva silenziosa pensieri si affollano, figure si accalcano sfumate nei ricordi. Una fronda ombrosa ripara dai raggi cocenti dalle delusioni scagliati. L'animo in piena scioglie lacrime.Un vagabondo errante raccoglie strati di giorni e ne fa coriandoli.Nella curva silenziosa tutto dissolve.

Antonella Pericolini

Accademia Internazionale d'Arte Moderna

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Angela MedeiroCamino de luz...Acrílico sobre lienzo 60x73 cm

Castillo ConstantFiesta en el cieloTinta sobre lienzo 60x73 cm

Carina VitaliRincón de Palermo viejo

Óleo sobre lienzo 60x73 cm

Gabriela C. MarcocciaLa Mujer de la luna

Técnica mixta sobre lienzo 60x73 cm

Laura DoradoBuscando el equilibrioTécnica mixta sobre lienzo 73x60 cm

Patricia RuizBodegón de Cebollas

Pastel sobre papel misionero 60x73 cm

Maridee RoubineauDe niña mujerÓleo sobre lienzo 73x60 cm

Graciela ArmestoLos Colores del OcasoÓleo sobre lienzo 60x73 cm

María Cristina Díaz Di RisoMujer con los pétalos al viento

Resina sobre metal 160x160x160 cm

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Patricia Del Valle AbdalaVedere il bosco

Óleo sobre lienzo 73x63 cm

Patricia WildeTransumatión

Acílico sobre lienzo 60x73 cm

María De Los Dolores AmadoPájaro escarlataAcílico sobre lienzo 73x60 cm

María Blanca Nuri UnnaAcorralando el caosÓleo sobre lienzo 73x60 cm

METAMORFOSI

Sul mio viso merletti di rughe,righe scritte di storie,

sorrisi, sofferenze,romanzo di emozionie sentimenti vissuti.

Indugia il tuo sguardo quando m'incontri,ma non guardare la mia pelle,

il bastone che porto,le mani che tremano,

il vecchio corpo piegato.Vedimi nella profondità dell'animo

dove bambino gioco e vivo la gioventùe abbracciami benedicendo il cielo

di aver potuto vedere la mia,ma anche la tua, metamorfosi.

Anna Maria LOMBARDI

Sauro TUPINIDanzaacrilico cm 70x100

1° premio Medusa Aurea POESIA INEDITA "Giovanni Pascoli"

1° premio Medusa Aurea ARTI FIGURATIVE "Eduardo Chillida"

40ª Edizione Premio della Cultura MEDUSA AUREA

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LA MIA FEDE

Un Dio che mi perseguita,un Dio che mi condanna

e mi divora,un Dio che logora

i miei passi,annienta

in un' ipocrisia d'amoreil respiro alla vita

ed il senso ai sogni,un Dio che

non mi appartiene. Il mio Dio

è quel padre buonoche ha sacrificato

il suo corpo,ha donato il suo sangue

per rendere grazia all'uomo,suo figlio

insieme di materia e spirito,forgiato con il suo amore

nel crogiolo della vitae dell'eternità.

Il mio Dioè quel Dio della pace,

quel Dio della misericordia,quel Dio che dà

senso e colora la vitadei propri figli,

il Cristo morto gratuitamenteper dare la possibilità

a noi tuttidi vivere con i limiti

della nostra fragile umanità.Basta un cenno e sarete

nuovamente miei!In ogni caso

io verrò a cercarvi!Perché la morte

del Dio-uomoper riscattare l'uomo?

Perché l'uomoper comprendere

il mistero dell'amore doveva crocifiggere il Dio dell'amore?

Francesco TERRONE

BUONGIORNO

Dalla finestra osservo su: ancora piove.Attendo la volontà d'ingranare questa nuova giornata.

E guardo fuori. Cerco una speranza, ma le primulehanno ancora freddo e i colori me li tengo vicino sul davanzaletento di farmi scaldare il cuore, ma le nuvole negano ogni passo

e... piove. Malinconia mi siede accanto... penso...ora accendo il CD per scrollarla di dosso e ritrovarmi a domani

o forse a un attimo dopo di adesso, il pendolo ricordache devo andare avanti. Cerco un appiglio... smarrita.Qualche volta è dura, ma ieri sul mio albero bagnato,

in un rametto di mimosa s'è imbrigliato quel raggio di sole.Lo guardo... ricorda che il mondo è là fuori.

M'aspetta... ma forse non per molto.Un brivido mi gela. Comunque sto bene.

BUONGIORNO

Tiziana SABATINI

Dario BARCOMulata de la luche

T.M. cm 100x80

Angelo BOTTARO Uno scorcio del borgo

olio/tela cm 40x60

2° premio Medusa Aurea

POESIA INEDITA "Giovanni Pascoli"ARTI FIGURATIVE "Eduardo Chillida"

1° premio Medusa Aurea ARTI FIGURATIVE "Eduardo Chillida"

40ª Edizione Premio della Cultura MEDUSA AUREA

Carlos Beltran CORALIZA

EPOCA

In questa epoca sbandataun prato inaridito

un cespuglio ha dato vita.Sbocciò un fiore profumato

si esponeva tutto al solene prendeva i suoi colori

meraviglia tutti unitisi toccava l'infinito

apprezzando quel bel fiore,e le radici del suo cuorecertamente sotto suolo

ne scorreva acqua pura così che quel bel fiorenon temeva più nessuno

era nato per la gloria del Signore,a distanza passa il temposempre nascosto dai fiori

con i petali a coloridel prato inaridito

è diventato un grande campo fiorito.

Michelina MORRONE

Joop Van der LINDEN BaliePastel on paper 40x50 cm

Giovanni MATTONI cm. 50x70

3° premio Medusa Aurea

POESIA INEDITA "Giovanni Pascoli"e ARTI FIGURATIVE "Eduardo Chillida"

40ª Edizione Premiodella Cultura MEDUSA AUREA

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Daniela DI BITONTO Molo S. Carlo acrilico e china su tela

FINIS

Mentre rugge il tumor che m’ha distruttomi volgo ancora a te che sei il mio tutto...

Armanda, mi perdoni? Devo andare;porto con me l’Amor per te struggente.

Come io fui tu devi ricordarechi or non è niente.

Ma quando, Amore mio, fugge la vitadi Antonio serba spirito e intelletto.Non sarò più ma io t’avrò arricchita

di tanto affetto.Mi cruccio se non sono a te d’accanto,

ora che sto passando buie soglie.Tenera e dolce sei, fonte e rimpianto

amica e moglie.Che nel mio nulla non mi lasci sento:non son laggiù, negletto e senza cielo.

Se darti amore e gioia fu il mio intento,in te mi celo.

Perdono non ti chiedo, mia Compagnase vivere ti feci le Illusioni

del riso e il pianto che il tuo volto bagna:sogni e canzoni.

Grazie pel palpitar della tua manoche strinsi nel mio palmo ormai sfiorito.

Sorridi e, se mi vedi anche lontano,non son finito.

Se scendo senza te l’oscuro pozzomi sciolgo al Nulla e agli incubi rapacimentre vorrei fra lacrima e singhiozzo

darti i miei baci.

Antonino GIORDANO

SCHIUMA DI CUORE

Disarmata,in ricordo del giovane che eri,ti ho incontrato ancora.Ho navigato nell’azzurro maredelle tue parole,gocce di felicità incollate alla pelle,stille di gioia a colorare i giorni.Sull’onda dell’animasolo schiuma di cuore.D'improvviso naufraga sulla riva,il mare si è tinto di rosso.Tante le ferite inferte sugli scogli di un uomo irrisolto,indurito dal tempo.Incubo senza fine,avevi forma di sogno.Soffia via il ventola polvere dei ricordi.Lava via la pioggiamacerie versate di dolore.Il giovane che eri giace senza vita,lontano, tra le onde.Sempre più sfocato all’orizzonte, scompare.Ora, per sempre.

Antonella PERICOLINI

3° premio Medusa Aurea

POESIA INEDITA "Giovanni Pascoli"e ARTI FIGURATIVE "Eduardo Chillida"

L'ULTIMA PAROLA

Il mio respiro stanco nel ghiaccio tra i filari, l'unico suono.Non è il,tuo nome urlato nel silenzio.

Non è il tuo volto che sa di casa, l'ultima immagine che si consuma.

Ti chiamo, Anna,da un sospiro al vento, e voli via.

Carlo FRONTINI

Patricia ABDALA, DEL VALLE Claudio ALICANDI Dolores AMADO, DE LOS MARÍA (ATHI)Loretta ANTONIOZZI Graciela ARMESTO Pietro AUGELLO Luca BENATTI M. Grazia BENVENUTI Tina BERNARDONE Iginia BIANCHI Marina CARBONI Giuseppina CASERTA Gloria CASTELLUCCI Indiana CASTILLO CONSTANT, Marco CIOFFI Angelo COLAZINGARI Franco CORVO Walter DALLABRIDA Antonio D'ANTINI Paola de GIROLAMO Alessandra DE LEONI Pietro DE MARCO Katia DE ROSA Ornella DE ROSA Clara DE SANTIS Rina DEL BONO Rosa DELLA MONICA Daniela DELLE FRATTE Katia DI MELLA María Cristina DÍAZ DI RISIO, Barbara D'ONOFRIOLaura DORADO Francesca FALLI Alberto FERRARI Andrea FERRARI Jessica FERRARIO Andrea FESTA Sofia FRESIA Vito FULGIONE Paola GENTILE Teresa GIURIA Geex GLEZ Paola GUIA MUCCIOLI Rosalind KEITH Giuseppe LABATE Davide LEOCATA Stefania LIBERTELLA Francesca LUCENTE Maria MALDARI

Raffaella MANCA Katariina MANSIKKANIEMI Giovanni MAPELLI Gabriela MARCOCCIA C Sery MASTROPIETRO Giovanni MATTONI Angela MEDEIRO Paola MELONI Romeo MESISCA Mauro MIRKO Ester MUNTONI Gianni MUNTONI María NURI BLANCA Carmela OGGIANU (CAROGGI)Susanna PAGANELLI Patrizia PASTORELLA Anna PELLEGRINO Edy PERSICHELLI Viorica PETROFF Lucia PIANGATELLI Roberto PINETTA Patrik PIOPPI Alessandra PISEDDUSilvia POLIZZI Marcella PONASSI Sergio RAPETTI Julie REDIVO Matteo RENDINE Anna Rita RENZI Maurizio RINAUDO Antonella RIZZO MARIA Mara ROBAZZA Maridee ROUBINEAU Patricia RUIZ Rosa RUSSO Paola SCANAVINI Nicoletta SCIANNAMEO Massimo SETTE Garth SPEIGT Claudia TIRELLI Lucio TOMASIN Sauro TUPINI Mauro VALENTINI Francesco VATTUONE Carina VITALI Patricia WILDEDomenico ZACCARIA Letizia ZOMBORY

Partecipanti 41ª edizione Premio della Cultura MEDUSA AUREA 2017/2018

Sezione Arti figurative "MARINO MARINI"

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Claudio ALCIATORGaetano ANGELINIFederico BARONE Luca BENATTI Carlo BENEDETTI Lorenzo BIANCHI Lucia BONETTI Sara BRUNOMario CALABRESE Franco CARUSO Aristide CAVALLARO Davide Rocco COLACRAI Francesco CONTE Mariangela COPPOLA Giuseppe COSENTINO Gabriele COSTA Alessandra DE LEONIAurora DE LUCAPatrizio DE SANTIS Massimo DEL ZIO Daniela DI BITONTO Margherita DI FIORE Davide ESPOSITO Alessandro FERRARI Matteo FIORE Luca FONTANA Emidio GALIFFA Laura GAROFALO Paola GASPARINI Franca GATTI

Fiorella GOBBINI Carlo GRASSI Carla GRECO Monica GROSSIAlberto Valerio LORIMichele MAGGIPatrizia MANFREDI Alessio MANTOVANI Nicola MONTANARI Michelina MORRONE Federico PASTORE Carlo PAVAN Maria PEPE Antonella PERICOLINI Viorica PETROFF Sergio RAPETTI Sara RICCARDIMaria RICCI Mattia ROMANO Francesco ROSSI Matteo RUSSOFederico SACCO Amedeo SANTORO Carla SIMONETTI Emir SOKOLOVIC Fulvio VALENTIMauro VALENTIN Giovanni VECCHIO Nicoletta VIOLA

Sezione Poesia e Narrativa "GIOSUé CARDUCCI"

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La maschera sulla pelle

S appiamo tutti che nel teatro greco gli attori portavano le maschere. Ogni maschera, oltre ad un effetto di vaga amplificazione in quanto in corrispondenza della bocca veniva praticata un’apertura ad imbuto che funzionava da piccolo megafono, aveva delle caratterizzazioni ben precise che permettevano allo spettatore più lontano di capire quale emozione l’attore intendesse trasmettere a seconda della maschera indossata; c’era così la maschera della bella-sensuale, del severo-aggressivo, della madre eroica, del coraggioso, del pavido-piagnucoloso, etc.

Nella vita di ogni giorno accade spesso che ciascuno di noi indossi una maschera, esattamente come accadeva nel teatro greco. Sin dall’infanzia ad ognuno di noi viene attribuito un ruolo, impartito un copione, di cui pian piano molti finiscono per innamorarsi in quanto, assecondando il personaggio, si viene più facilmente catalogati, riconosciuti, in un certo qual modo identificati. Ma il problema è che poi ognuno di noi non riesce più a distinguere la maschera dalla personalità autentica e si finisce per continuare per tutta la vita a recitare quella e solo quella parte. Per capire il significato esistenziale di quanto sto dicendo rimando alla visione di un vecchio film giapponese del regista Kaneto Shindo basata su una antica favola buddista che rappresenta, forse in maniera esasperata, il rapporto maschera-personalità: il film è “Onibaba” del 1964

Nella vita di ogni giorno (senza bisogno di estremizzare come fa il regista giapponese) sono molti gli esempi di questa identificazione: dai ruoli sociali alla moda, dal trucco o make-up ai rapporti con le altre persone, alle idee politiche, etc.

La persona (uomo o donna) che viene cresciuto sapendo di essere bello, piacente, finirà per puntare tutta la propria esistenza su quel cavallo dimenticando magari altre qualità meno appariscenti ma che, sviluppate, finirebbero per gratificarlo di più; se si è definiti buoni bisognerà dimostrare per tutta la vita di essere la cosa più vicina alla santità che gli altri possano

di Anna Nucciarone - Giornalista

Considerazioni in libertà su qualcosa di estetico che è anche etico

Accademia Internazionale d'Arte Moderna

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incontrare; se si è costruiti con il mito dell’eroe, ogni giorno bisogna inventarsi una battaglia da vincere; se costruiti con la logica del debole, ci si dimostrerà sempre umili e sottomessi ; i simpatici parleranno solo per battute ed avranno sempre il sorriso stampato sul viso, etc.

Ma tornando più specificamente al discorso “immagine esteriore” in questi ultimi anni si è sviluppata anche presso noi cosiddetti occidentali una abitudine che, pur avendo origini antichissime, ha riaperto una competizione legata al bisogno di assumere una caratterizzazione ben definibile: quella del tatuaggio.

Il tatuaggio (o tatoo) è una delle più antiche tecniche di decorazione corporea che praticamente esiste da quando esiste l’uomo; basti pensare che sul corpo della mummia Otzi, risalente a più di 5000 anni fa e ritrovata sulle Alpi italo austriache perfettamente conservata proprio grazie al congelamento subito, sono stati evidenziati ben 53 tatuaggi. A differenza del make-up rimovibile, la caratteristica prioritaria del tatuaggio è quella di essere permanente. Esso consiste nell’iniettare per mezzo di un ago dei pigmenti colorati nello strato sub cutaneo, in modo tale da formare disegni, simboli e lettere. È singolare come anche persone che affermano di aver “paura” degli aghi e per una iniezione vanno in panico, si sottopongono in maniera stoica a questa tecnica invasiva di cui scommetto, la pelle non va particolarmente entusiasta.

Possiamo dunque dire che il tatuaggio è un messaggio che si indirizza all’altro (ed anche a se stessi) di adesione ad un pensiero, ad un modo di vivere, ad un personaggio, ad un ruolo; in sintesi a quello che in psicologia si definisce uno “stereotipo”. E soprattutto è importante che gli altri lo sappiano.

Comunicazione e permanenza sono dunque le due linee guida che caratterizzano il tatuaggio.

Certo, non solo non c’è niente di male ma anzi è importantissimo avere dei

riferimenti, siano essi di carattere ideologico-politico-sociale che emotivo-affettivo. Il problema è che, anche se non sembra, la vita è lunga e fortunatamente si cambia. Rifiutare questa possibilità di cambiamento non è coraggio, al contrario è paura. Imprimersi il nome di una persona amata sulla pelle non ci porta ad amarla di più; anche se in quel modo ci sembra di portarla sempre con noi, questo significa sminuire non aumentare quel sentimento che sarebbe fortissimo anche senza quel segno che ce lo ricordi.

Il corpo umano è sacro; sacro non significa “appartenente ad una religione” ma il primo segno dell’essere ed in questa sua funzione è già perfetto così. Se avesse bisogno di ulteriori segni o buchi, di codici a barre o anelli la natura ce ne avrebbe dotati. Tuttavia c’è un elemento che è imprescindibile nella evoluzione di una persona, ed è la libertà. Ognuno di noi può e deve evolversi alla scoperta di se stessi sperimentando anche situazioni che poi, a distanza, si rivelano fallimentari o che comunque non si condividono più. Qualcuno potrà dire “Quello è stato un momento importante della mia vita a prescindere...” Certo. Ma pensiamo forse che i segregati di Auschwitz dimenticherebbero quella esperienza se non ci fosse quel numero macabro a ricordarglielo?

La personalità è una armonia che si compone e cambia continuamente attraverso mille particolari. La scelta di un profumo, di un taglio di capelli, del colore di un abito sono cose bellissime, importanti quanto quelle ideologiche o morali. Ognuno ha bisogno di sentirsi a proprio agio con se stesso e con gli altri, in una parola di sentirsi felice. Ma per fare questo deve mettere in discussione costantemente le proprie maschere e scegliere secondo l’etica della situazione in quel momento. Fissarsi a dei ruoli in maniera eccessivamente definitiva significa amputare il proprio progetto di evoluzione.

Ogni maschera è una stampella che serve a nascondere un vuoto di personalità; più si cresce come persona meno si ha bisogno (e direi si sopportano in quanto riduttive) le maschere.

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iò che avviene sulla tela non è un dipinto, ma un evento.” (H. Rosemberg, I pittori d’azione americani, in Art News, 1952)

Questa affermazione può giustamente essere presa come chiosa d’apertura per le opere del pittore Sergio Sani. Nato a Firenze nel 1938 compie nella città toscana i suoi studi artistici; nel 1954 si trasferisce a Perugia dove si muove nell’ambito delle esperienze astratte e informali e dove tiene le prime mostre. Da questi primi passi parte il suo percorso creativo che lo porterà e lo porta a sperimentazioni e visioni sempre più legate al colore.

Colore che diviene tratto caratteristico delle opere di Sani; le sequenze di monocromatici o bicromatici lo portano ad esplorare le molteplici vibrazioni del colore ed egli, attento ai meccanismi percettivi, restituisce allo spettatore la possibilità di un’immersione visiva totale e avvolgente.

L’esplorazione del cromatismo, gli accostamenti di colore, le densità, le rarefazioni, le sovrapposizioni: tendono tutti a costruire quella struttura poetica in cui si insinua molto lentamente ed in maniera imprevista una chiara struttura armonica che a volte compie giri ma che altre volte rimane ferma nell’affermazione della costante metrica musicale. Le opere di Sani si possono e si debbono leggere anche sotto quest’aspetto: una sinfonia dove i suoni sono sostituiti dai colori o dalla mescolanza degli stessi; a volte squillanti, a volte sottili, a volte roboanti.

Vibrazioni, dunque, quelle che Sani riesce a mutuare da una bidimensionalità data dalla tela a una tridimensionalità sensoriale.

Vibrazioni di colore ora applicate monocromo su monocromo; ora giocate su pennellate circolari; ora scandite da venature; ora gestite da filiformi campiture. Ogni volta una vibrazione diversa di uno stesso tema compositivo che si avvale del colore per modulare una partitura più grande: una vibrazione ritmica che nasce dalla mente e dalla mano

dell’artista per posarsi sulla tela come esperienza mistica, come ricerca dell’assoluto.

Tele rosse, gialle, blu. Tele che sono accessi per entrare nella vibrazione dello stesso colore. Tele che ti permettono di capire il colore, afferrarne l’essenza, capirne la struttura e nello stesso tempo restarne colpiti.

Come scriveva Harold Rosemberg l’opera d’arte diventa un evento, un’esperienza visiva che lascia la sua traccia nel nostro inconscio, ci carica di emozioni e ci permette di arricchire ed aprire la nostra immaginazione. Le tele di Sergio Sani hanno questa caratteristica: sono quadri emozionali, esperenziali, vibranti, ritmici; quadri che ci lasciano persi dentro i suoi colori.

Sergio Sanie il ritmo del coloredi Cristiana Palma

"CAccademia Internazionale d'Arte Moderna

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Lee baele vibrazioni del nerodi Francesca Graziano

a bellezza e l’austera semplicità della Fondazione Maeght messe in luce da Lee Bae, uno degli artisti più importanti della scena coreana e internazionale. La Fondazione gli consacra una mostra personale con un consistente corpus di opere fra dipinti, sculture e installazioni, di cui alcune monumentali. Un universo in bianco e nero da scoprire fino a giugno 2018.

Proviene dallo studio e dalla precisione della calligrafia l’opera di Lee Bae, che la studia e la pratica dall’età di 15 anni. Nato nel 1956 nella Corea del Sud a Chung-Do, nel 1975 si iscrive alla scuola di Belle Arti di Seul dove incontra

il maestro Lee U Fan che influenzerà molto la sua opera e il suo pensiero. Nel 1990 tenta l’avventura artistica a Parigi, dove incontra quello che dovrà diventare il supporto principale del suo lavoro, il suo marchio di fabbrica, il carbone. La scelta avviene per motivi economici e congiunturali che presto si trasformeranno in culturali, con una forte componente filosofica e spirituale; racconta lui stesso del suo incontro con questo materiale: “Quando sono arrivato a Parigi, avevo pochi mezzi finanziari e i colori costavano molto. Per caso mi ritrovai in un magazzino di bricolage dove si vendevano dei sacchi di carbone per il barbecue. Quasi d’impulso ne comprai uno, non so neppure io perché, ma con questo potevo lavorare una settimana”. Un episodio che poi gli farà venire in mente l’importanza del carbone nella cultura tradizionale coreana, dove ad esempio un pezzo di carbone legato a una corda davanti alla porta segnala la nascita di un bimbo, carbone viene posto nelle fondamenta delle case per preservarle dall’umidità e dagli insetti ed è egualmente al centro di una spettacolare cerimonia del fuoco in occasione del primo plenilunio di gennaio. L’utilizzazione del carbone riporta l’artista a una simbologia forte legata alle radici, così da divenire un potente legame tra le sue origini orientali e il mondo occidentale. Lee Bae continua ad utilizzare il carbone che fa arrivare dal suo paese, da una carbonaia di montagna dove il legno viene trasformato in un antico forno a forma di igloo costruito con l’argilla. Un’intuizione divenuta un’ossessione quella del nero, espresso in tonalità diverse, riflessi particolari, opachi, lucidi, diventato anche il marchio del suo successo. La simbologia del nero è del resto molto potente in tutte le culture: il nero è il colore del buio, della morte, del male, del mistero, ci parla del vuoto, del caos e delle origini, controbilanciato dal suo opposto, il bianco, simbolo di luce. Ma il dualismo luce/oscurità non si presenta in forma simbolica e morale fino a quando le tenebre primordiali non si dividono in luce e buio, quindi all'inizio dell'esistenza esso non rappresenta il male in senso univoco. Nella tradizione simbolica l'idea delle tenebre non ha ancora significato negativo, perché corrisponde al caos primigenio dal quale può nascere ogni cosa; esso è associato all'invisibile e all'inconoscibile, alla divinità creatrice originale, alla scintilla iniziale da cui tutto è nato. L’esposizione di Lee Bae mette in luce in tutto il suo splendore e la sua austera semplicità la prima Fondazione privata di Francia, accrescendone la bellezza e il mistero attraverso l’esaltazione del bianco proprio grazie al nero. La sua opera è presente in Corea, in Cina, negli Usa, nei più grandi musei europei.

Lee Bae” Plus de lumiere” Fondazione Maeght fino al 17 giugno” 623 Chemin des Gardettes Saint- Paul de Vence www.fondation-maeght.com

L

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Turner al Chiostro del bramante“Si comincia a creare solo quando si smette di avere timore” - William Turner

P er la prima volta a Roma, al Chiostro del Bramante, fino al 26 agosto, curata da David Blayney Brown, è visitabile una favolosa mostra che riassume l’opera di Joseph Mallord William Turner. Tra i tremila e passa suoi lavori sono state scelte solo novanta opere da lui non destinate alla vendita provenienti direttamente dalla galleria londinese Tate.

Con pennellate decise e di larga gittata il Turner ci regala straordinarie sfumature di ocra, blu cobalto oltremare, tracce di rosso scarlatto, sparati bianchi di piombo il tutto talvolta tracciato con carboncino e ritoccato probabilmente con le sue mani e per certo con la sua saliva, come ci raccontano i suoi migliori biografi.

Il Turner volutamente infrange tutte le regole delle accademie, delle quali era frutto.

Nato a Londra nel 1775, il “pittore della luce” lascia questo mondo a Chelsea il 19.12.1851.

Famoso anche in vita usava tanto l’olio quanto l’acquarello ed ebbe la sorte di elevare la pittura paesaggistica a genere autonomo.

Figlio di William, barbiere e di Mary Marshall, donna sofferente e tormentata, che, dopo la morte della figlia, precipitò nell’abisso di un incurabile esaurimento nervoso e terminò i suoi giorni in manicomio nel 1804.

Il giovane Turner dunque ebbe una infanzia a dir poco complessa finché non entrò alla Royal Academy School di Londra, dove espose solo quindicenne

per la prima volta e poi vi tornò docente. Ebbe successo in vita.

Trovava pace recandosi nelle campagne inglesi per dipingere paesaggi dal vero anticipando la visione impressionistica del ‘en plein air’, al fine di leggere appieno l’energia e l’effetto della luce. Si recò nel Galles, in Scozia, in Francia e in Svizzera, finché lo scoppiare delle

della Dott. Francesca Romana Fragale

Ehrenbreisteincon arcobaleno1840, grafite, acquarelloe gouache su carta

Accademia Internazionale d'Arte Moderna

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guerre Napoleoniche lo obbligarono a tornare in patria.

Redisse il “Liber Studiorum”, una raccolta di disegni rappresentanti le varie categorie dei paesaggi che risultarono per la prima volta codificate: il pastorale, l’epico, l’architettonico, il naturale, lo storico, allora molto in auge e il marittimo. Le sue opere furono osannate o acerrimamente criticate perché non usava rifinire i suoi quadri secondo la pragmatica allora in uso nelle accademie.

Come tutti i grandi viaggiò molto e fu in Belgio, nel Paesi Bassi, a Parigi, Lione e Avignone, Firenze, Roma, Svizzera, in Tirolo e nel Nord Italia. Da tutti i luoghi traeva ispirazioni talvolta visive e talaltra oniriche o mere sensazioni trasposte mirabilmente sui suoi lavori.

Tornato a Chelsea nel 1846 divenne schivo e ombroso e dedito all’alcool. Quando morì nel 1851 a settantasei anni gli furono riservati funerali solenni e il suo corpo fu sepolto a Londra nella cattedrale di San Paolo.

Ebbe contezza della teoria dei colori di Goethe, nel 1841 tradotta in inglese, nella quale il Vate asseriva in via di rivoluzione che: “non è la luce a scaturire dai colori ma il contrario”.

La luce genera il colore dunque anche per Turner e vive come entità propria, talvolta unica di talune sue opere dove si giunge alla totale trasfigurazione delle forme.

Turner talvolta tende all’astrattismo, non solo in senso pittorico ma anche filosofico. Le sensazioni prevalgono sulle forme e questa sua visione dell’Arte lo consacra nell’Olimpo della Pittura.

Talvolta riportava su tela immagini solo ricordate, effetti di evanescenza della luce e della mente, nelle sue piogge e nelle sue onde si legge un intimo fluttuare. Non rappresenta la Natura, legge i luoghi, i paesaggi, i tramonti, le forze antagoniste come specchi per svelare attimi sensoriali che lasciano tracce indelebili nell’animo del l’osservatore.

Non lo considero precursore di movimenti successivi, anche se alcuni suoi illustri posteri trassero da lui ispirazione. Reputo Turner un capitolo a parte della storia dell’arte, un luogo a sé, un paesaggio irripetibile.

Tempesta sui monti, 1842, grafite acquarello, penna su carta

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Considerazionisulla mostra di Turner

i sono sentita motivata a scrivere questo articolo da una frase della mia stimata collega ed amica Francesca Romana Fragale, pubblicata nelle pagine precedenti. Nell’articolo la dr. Fragale dice molte cose che condivido pienamente ma c’è una frase che mi ha colpito: “Turner talvolta tende all’astrattismo, non solo in senso pittorico ma anche filosofico”. Questa frase ha provocato in me un vortice di considerazioni.

Aristotele (383 – 322 a.C.), affermava che l’uomo cominciò a fare filosofia per esorcizzare la paura, il timore di ciò che non possiamo dominare e soprattutto la grande incognita della morte. Il grande filosofo dell’analitica come unica possibile forza razionale (da “ratium” = dividere, scomporre) ammetteva l’ansia che dominava

per tutta l’esistenza pressoché tutti gli esseri umani e che si riduceva al grande salto dalla parte al tutto; di fronte a questo non rimanevano che due strade percorribili: la fede e la speranza. Per la fede l’uomo elaborò la religione, per la speranza la filosofia. Ma anche la paura si riduce ad una forma: c’è chi ha paura dei fulmini, chi del vuoto, chi dei serpenti, etc. la paura è una forma e si esprime attraverso forme, linee, oggetti....

Oltre duemila anni dopo (anno più anno meno) un tedesco dalla vita abbastanza complicata ma dalla sensibilità straordinaria come William Turner, sentenzia: “Si comincia a creare solo quando si smette di avere timore”.

Entrando in questi giorni nella mostra al Chiostro del Bramante a Roma si ha proprio questa sensazione: Turner rompe con la forma, perché la forma mette “paura”, la forma riduce a parte quello che in fondo è il vero messaggio dell’Arte: essere segno del tutto, dell’essere. E lui ci dimostra come sia possibile trasmettere intatta, per intera, l’emozione escludendo praticamente il rigidismo della forma ed affidandosi esclusivamente al colore.

Nella mitologia greca troviamo un mito, poco conosciuto ma molto emozionante, che è quello del dio Pan. Quando il dio Pan stava per manifestarsi tutta la natura si fermava ed entrava in una forma di vibrante aspettativa, da cui la parola “timor panico”; Pan non era semplicemente l’orgiastico dissoluto, ma la dimostrazione tangibile del superamento del limite dettato dalla ragione (che pure è una grazia, come ci ricorda un altro tedesco, F. Nietzsche, nel passaggio dall’apollineo al dionisiaco) per incontrare una ulteriore forma di grazia. Questo è ciò che a me ha comunicato il buon vecchio Turner; invito chi vuole ad andare a rivedere il film del 2014 di Mike Leigh sulla vita dell’artista tedesco; il titolo è appunto “Mr. Turner” ed anche nel film il protagonista aveva qualcosa che richiamava l’antico fauno barbuto. Anaffettivo e scontroso verso gli uomini e le donne (anche le proprie figlie) l’artista era capace di commuoversi in maniera totale di fronte ad un arcobaleno, ad un ruscello, ad una pioggia diventando egli stesso quella visione. E ci trasmette intatta questa emozione. Credo che questo sia davvero la missione-destino di un vero artista!

Mdi Anna Nucciarone - Giornalista

Venise, vue de Fusina, 184030x24 cm

Accademia Internazionale d'Arte Moderna

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Carmela OggianuSfilata di carnevale

Acrilico su tela cm 50x50

Frank ParadisiBarca a vela in regata

Acquerello cm 64x502016

Viorica PetroffFiori blu60x80 cm

Marcella PonassiCampi innevati Fotografia 40x30 cm

MELODIA

Nel dolor che opprime non resta che

cercar una voce -- che non ha voce

una forma -- che non ha forma

ecco un suono di silenzio

è come un sussurro

il coro canta, di seguito i violini imitano

ma è un suono di sussurri

sono voci isolate: soffi e sospiri,

dopo il dolor ci si fascia di silenzio

il coro cerca di far risonare la

campana verso il nulla

poi il rintocco e ancora...

un violoncello mormora

sussulta tace.

Margherita Di Fiore

Garth Speight Uccelli acquatici60 x 85 cm acrilico su tavola

Silvia PolizziIn principio era il Verbo

90 x 68,5 cmTempere a encausto con pigmenti naturali, oro zecchino in foglia e mosaico di marmi

pregiati su legno trattato con tela di lino

Domenico Zaccaria Venezia

70 x 50 cm olio su tela

Jessica FerraroJimi Hendrix

30 x 20 cm matita e carboncino su carta

Accademia Internazionale d'Arte Moderna

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Paola ScanaviniDama al balcone

Tina BernardoneFuria70 x 50 cm olio su tela