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30 Il Sole 24 Ore DOMENICA - 24 SETTEMBRE 2017 n. 257 Arte firenze / biennale di palazzo corsini L’Antiquariato arriva al ’900 di  Marina Mojana V i ricordate la copia in cera, a gran- dezza reale, del Ratto della Sabina del Giambologna che l’artista sviz- zero Urs Fischer presentò alla Biennale di Venezia del 2011? Con il caldo e il passare dei mesi si sciolse (come Fischer vo- leva) e, a Biennale terminata, non rimase che una traccia informe della copia di questo ca- polavoro della statuaria rinascimentale, presente dal 1583 sotto la Loggia dei Lanzi di Firenze. Ebbene, sarà proprio Fischer, clas- se 1973, con il progetto In Florence - un gran- de evento di arte contemporanea ideato da Fabrizio Moretti e Sergio Risaliti e curato da Francesco Bonami - a dare il via alla 30° edi- zione della Biaf - Biennale degli Antiquari di Firenze, in calendario in Palazzo Corsini dal 23 settembre al 1° ottobre (www.biaf.it). Fischer è stato invitato proprio dal segre- tario generale della Biaf Fabrizio Moretti (enfant prodige dell’antiquariato italiano con negozi a Firenze, Londra, Montecarlo e New York), che in collaborazione con l’am- ministrazione comunale ama collocare mo- numentali installazioni d’arte contempora- nea in quello straordinario museo della scultura a cielo aperto che è Piazza della Si- gnoria. Così, dopo Pluto e Proserpina di Jeff Koons - scultura in acciaio dorato alta tre metri, esposta nel 2015 sull’arengario di Pa- lazzo Vecchio - nei prossimi giorni scopri- remo Big Clay #4 di Fischer, in un contrasto tra antico e contemporaneo sempre più gio- coso e provocatorio. Tuttavia il cortocircuito tra passato e pre- sente non si vivrà soltanto “in esterni”, ma anche tra gli 80 stand che popoleranno le sa- le barocche di Palazzo Corsini, allestite que- st’anno da Matteo Corvino, noto interior de- signer e scenografo veneziano. «L’edizione 2017 - spiega Moretti - amplia i suoi confini temporali fino a comprendere gli anni Ottanta del Novecento. La scelta è perfettamente in linea con la tendenza evi- dente in tutte le maggiori manifestazioni del settore a livello internazionale - prosegue - e intende favorire un collezionismo capace di far dialogare tra loro opere di epoca anche diversissima, dall’archeologia al contempo- raneo, passando per tutti i grandi momenti della storia dell’arte universale». La vera arte è senza tempo - si sa - ma sol- tanto il tempo svela la verità; perciò saran- no i nostri posteri a dire quanto del XXI se- colo fu arte vera e quanto raffinate opera- zioni di marketing! Da parte mia, tra oltre tremila opere esposte, ho visto cose davve- ro strepitose, vagliate da una commissione internazionale di 35 esperti tra studiosi e mercanti (alcuni membri del vetting, però, sono pure espositori!). Fra i pezzi di manifattura italiana di mag- gior prestigio, segnalo nello stand di Piva & C. l'eccezionale lampadario in vetro della fornace muranese di Giuseppe Briati (1686 - 1772), uno dei pochissimi esemplari della ti- pologia “Ca' Rezzonico” giunti intatti fino a noi. Chiamato così dal primo modello di questa forma, creato su commissione della famiglia patrizia veneziana Rezzonico per il proprio palazzo sul Canal Grande, il lampa- dario fu realizzato dal Briati verso il 1733. A quel tempo, infatti, secondo fonti agiografi- che, l’artista si era introdotto sotto falso no- me in una vetreria in Boemia, per apprende- re la tecnica di lavorazione del cristallo, an- cora sconosciuta in Laguna. Tornato in pa- tria, grazie all'intelligente connubio fra l’intaglio del cristallo “alla moda di Boemia” e l’uso, tipico della tradizione muranese, di elementi in vetro soffiato colorato, l’artista ottenne un successo immediato e diede vita a tripudi di fiori, riccioli, foglie e decorazioni spiritose ed eccentriche, fatti per trattenere e moltiplicare la luce delle candele. Da Antonacci Lapiccirella, invece, segna- lo il dipinto del bellunese Ippolito Caffi (1809 - 1866) Il Canal Grande a Venezia con Santa Maria della Salute: in questa magica veduta, illuminata in maniera sublime, l’imponente cupola della chiesa di Santa Maria della Salute emerge da una foschia vi- ola, che sembra sciogliersi al sole del matti- no. Nello stand di Dario Ghio, infine, ho vi- sto l’esemplare dalla provenienza più sor- prendente: è un cammeo ovale in onice a due strati, bianco su nero, con cesellato a ri- lievo il profilo di Luigi XV inserito in una montatura ad anello in oro giallo del XVIII secolo. Appartenne alla favorita del re, la Marchesa di Pompadour, che per anni lo possedette e indossò. L’aspetto più origina- le della storia, tuttavia, è che la dama france- se più potente del XVIII secolo ne sia anche l’autrice; Il gioiello svela, perciò, un volto davvero poco noto di Jeanne Antoinette Po- isson, detta Reinette, meglio nota come Ma- dame de Pompadour, protettrice degli arti- sti di Versailles. Tra questi c’era anche Jac- ques Guay (1711 - 1793), famoso incisore di pietre e artista di corte, sotto la cui direzione la marchesa si dedicò con particolare talen- to a realizzare raffinati intagli a cammeo. Tra le iniziative culturali della Biaf merita un cenno la mostra Un incontro tra tardo goti- co e contemporaneità: Pietro di Chellino e Pie- tro Annigoni con opere della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, che festeggia i 25 anni di attività esponendo in Palazzo Corsini alcuni tesori della sua raccolta d’ar- te. Mentre nei giorni della Biennale è stato messo a punto un calendario di visite guida- te quotidiane ad alcune raccolte private della città, oggi sedi di musei tanto preziosi quan- to sconosciuti al circuito turistico di massa: Palazzo Davanzati, Casa Siviero, Fondazio- ne Romano e i Musei Stefano Bardini, Horne e Stibbert nacquero dalle donazioni di colle- zionisti attivi tra Otto e Novecento e si for- marono con l’aiuto di grandi antiquari. © RIPRODUZIONE RISERVATA Biennale Internazionale dell’Antiquariato di Firenze, Firenze, Palazzo Corsini dal 23 settembre al 1° ottobre. Info: www.biaf.it roma Frutta e verdura alla Farnesina di  Salvatore Settis D ella Farnesina, la mirabile villa eretta in riva al Tevere nel primo Cinquecento da Agostino Chigi su progetto di Baldassarre Pe- ruzzi (e passata nel 1579 ai Farnese, da cui prende nome), tutti conoscono i cicli pitto- rici dello stesso Peruzzi, di Sebastiano del Piombo, e specialmente di Raffaello e aiu- ti. Altri ambienti dell’edificio, oggi pro- prietà dell’Accademia dei Lincei, sono me- no prestigiosi ma meritano una visita, e si sta ora provvedendo a un accurato restau- ro, ma anche ad aperture temporanee, co- me quella in occasione della mostra I colori della prosperità: frutti del Vecchio e Nuovo mondo, aperta dal 18 settembre al 30 di- cembre, prima di un tour che la porterà a Pisa (Scuola Normale), Urbino (Casa di Raffaello), Matera, e poi nell’America Lati- na, dal Messico all’Argentina. Curata dal linceo Antonio Sgamellotti e dalla botanica Giulia Caneva (Sapienza di Roma), che da anni esplora con rigore e successo la flora nell’arte dai Romani in poi, la mostra è accompagnata da un picco- lo e mirato catalogo (Bardi editore), che si arricchisce di contributi di storici dell’arte come Lucia Tongiorgi Tomasi (lincea). Ma perché le tappe americane a cui la mostra è destinata? Singolare nel tema e nell’im- pianto quanto accurata nell’allestimento e nella comunicazione al pubblico (anche mediante un sistema interattivo), questa mostra s’incentra sulla celebratissima vol- ta del loggiato maggiore, dove Raffaello e bottega affrescarono, traendola dall’Asino d’oro di Apuleio, la favola di Amore e Psi- che. Non è però il mito né il piacevolissimo romanzo di Apuleio il filo conduttore della mostra, che è interamente dedicata non al centro del loggiato, ma ai suoi fastosi e ori- ginalissimi margini. Essi sono decorati per ogni dove da una moltitudine di festoni ve- getali che imprimono al loggiato un carat- tere perpetuamente festivo, che deve a Raffaello l’ideazione di base e a Giovanni da Udine l’esecuzione minuta e fantasiosa, ma sempre fedele ai modelli botanici nei colori e nelle forme. Concepita come una sorta di briosa prosecuzione dell’antistan- te giardino, questa esibizione di fiori e frutta non aveva, quando fu dipinta, nulla di scontato: mostrando (scrivono i curato- ri) la «straordinaria biodiversità botanica che convergeva a Roma da tutto il mondo», fiori e frutti si dispiegavano come una sor- ta di macchina delle meraviglie, un ingra- naggio di conoscenza che, mettendo sotto gli occhi dei privilegiati ospiti del Chigi va- rietà esotiche che nessuno aveva ancora visto, alludevano a una sorta di controllo visuale del mondo, che tendeva ad artico- larsi nella scienza ma già prendeva forma nell’arte. Queste ricche illustrazioni bota- niche, intorno a cui dobbiamo immagina- re l’intrecciarsi degli stupori e dei discorsi di chi le vide dipinte di fresco, «hanno il primato di prima documentazione delle piante appena arrivate in Europa dopo la scoperta dell’America». Mostrando (scrive Vasari) «stagione per istagione di tutte le sorti frutte, fiori e fo- glie, con tanto artifizio lavorate, che ogni cosa vi si vede viva e staccata dal muro e na- turalissima», Giovanni da Udine getta sul muro col suo pennello più di 170 diverse specie botaniche, che includono varietà ra- rissime e di recente importazione. Mele, pere, pesche, sorbe, ciliegie, agrumi si ac- compagnano con cetrioli e melanzane di provenienza indiana. specie dalla Persia, dal Caucaso e dal Medio Oriente (come il melograno), meloni, angurie, datteri e sor- go dalle zone tropicali di Africa e Asia, e in- fine pannocchie di granturco, zucche e zuc- chine da poco approdate dal continente americano. L’elenco delle provenienze di queste specie forma una mappa del mondo, che si proietta sul soffitto di questo esube- rante loggiato, giocando sia sull’intensità e sullo spettro dei colori che sulla ricchezza e molteplicità delle varietà rappresentate. Come è nel Dna dell’Accademia dei Lin- cei, scienza e arte congiurano in questa mo- stra per intendere in tutti i suoi risvolti una simile congiuntura nella Roma di Agostino Chigi: la chimica dei materiali con cui si ot- tennero i colori, in uno sforzo di opulenza, ma anche di fedeltà, e l’accurata identifica- zione delle specie botaniche vano di pari passo con la storia dell’arte e della cultura. Nella sua introduzione al catalogo, Ales- sandro Zuccari (anch’egli linceo) ricorda vitali tangenze con gli ambienti culturali romani del tempo di Agostino Chigi, ma anche con l’Accademia romana di Pompo- nio Leto, e Virginia Lapenta presenta la Vil- la e i giardini, con un flashback sulla non meno nobile (e non meno dipinta) villa ro- mana di età augustea rivelata lì accanto da- gli scavi. Quasi che nel cantiere decorativo della Farnesina, mentre Giovanni da Udine dipingeva fiori e frutti (dal vivo, o da un re- pertorio di disegni?), si fosse inconsape- volmente inscenato un prologo della stessa Accademia dei Lincei, che nella sua primis- sima fase (dal 1603) registrò fra gli altri, ol- tre al fondatore Federico Cesi e a Galileo, quel Cassiano Dal Pozzo che promosse uno spettacolare repertorio disegnato di agru- mi e altre piante, e contribuì alla stampa, dal 1628 in poi, del Tesoro Messicano (o me- glio Rerum Medicarum Novae Hispaniae Thesaurus), anch'esso ricco di illustrazioni. © RIPRODUZIONE RISERVATA I colori della prosperità: frutti del Vecchio e Nuovo mondo, Roma, Villa Farnesina, fino al 30 dicembre. Catalogo Bardi editore Leonardo dell’Accademia di Venezia Domenica 1° settembre 2013 Marco Carminati ha presentato l’eccezionale rassegna alle Gallerie dell’Accademia di Venezia dedicata ai cinquantadue fogli di Leonardo da Vinci conservati nel Gabinetto dei Disegni e delle Stampe annesso alle Gallerie veneziane www.archiviodomenica.ilsole24ore.com venezia / grandi musei Pinacoteca bicentenaria Nel 1817 aprivano le Gallerie dell’Accademia destinate a diventare la maggior raccolta d’arte veneta esistente al mondo di Fernando Mazzocca D uecento anni fa apriva al pubblico quel magnifico museo destinato a diventare la maggior raccolta di arte veneta esistente al mondo: le Gallerie dell’Accademia di Venezia. La mostra Canova, Hayez, Cicogna- ra. L’ultima gloria di Venezia viene realizza- ta per ricordare questo evento riconsidera un periodo particolamente significativo della storia e della cultura veneziane che va dal sensazionale ritorno nel 1815 dei cavalli bronzei sul pronao della basilica di San Marco alla morte, avvenuta proprio a Vene- zia nel 1822, di Antonio Canova, allora con- siderato il più grande scultore vivente. In- sieme a Canova e al giovane Hayez (ritorna- to da Roma a Venezia e tutto concentrato a cambiare il corso della pittura italiana cre- ando il Romanticismo), il protagonista di questi anni cruciali era stato il conte Leo- poldo Cicognara. Aristocratico di origine ferrarese - che aveva avuto discussi trascorsi politici nella Milano appena occupata dalle armate fran- cesi - il conte Leopoldo Cicognara era diven- tato presidente dell’Accademia di Belle Arti di Venezia che, insieme a quelle di Milano e Bologna, aveva fatto parte durante gli anni della dominazione napoleonica del sistema delle tre Accademie nazionali. Come capita- le del Regno, Milano venne decisamente pri- vilegiata, per cui l’Accademia di Brera riuscì già dal 1806 ad avere un proprio museo dove confluirono alcuni immensi e straordinari dipinti (da Gentile Bellini a Tintoretto) pro- venienti da edifici religiosi veneziani, chiese e scuole di devozione. Fu forse anche per questo motivo che la pinacoteca dell’Acca- demia veneziana potrà essere realizzata so- lo quando, dopo la caduta di Napoleone, l’Impero austriaco - che aveva già per alcuni anni dominato su Venezia in seguito al trat- tato di Campoformio - ritornò in possesso del Veneto. Erudito, grande conoscitore, con una competenza che spaziava dall’ anti- chità al contemporaneo, sommo storico del- l’arte, amico intimo di Canova, l’allora cin- quantenne conte Cicognara aveva i numeri e l’energia per poter non solo creare final- mente un grande museo di pittura venezia- na, ma per valorizzare l’ancora immenso patrimonio artistico, seppur martoriato dalla decadenza e dalla fine della Serenissi- ma Repubblica. Agli monumenti e alle opere d’arte venivano affidate la memoria e la glo- ria di una città che aveva perduto per sempre indipendenza e potenza economica. Lo slancio iniziale al progetto di Cicogna- ra venne dal ritorno delle opere d’arte che erano state - come in altre parti d’Italia - re- quisite dall’esercito napoleonico e portate a Parigi quali trofei di guerra. Tra queste ope- re soprattutto tre avevano un forte significa- to: i quattro cavalli di San Marco, che a Parigi erano stati collocati sulla sommità dell’Arc du Carrousel; il leone, emblema della città, che dalla sua colonna in piazza San Marco era finito al centro di una fontana davanti agli Invalides; e infine un antico cammeo, il leggendario Giove Egioco, considerato allo- ra un capolavoro inestimabile, donato alla città dall’ ambasciatore Zulian, grande mecenate di Canova. Queste restituzioni non avvennero senza polemiche e incidenti se pensiamo alla folla che si accalcò minac- ciosa durante la delicata movimentazione dei cavalli realizzata da esperti tecnici au- striaci e al fatto che, il leone, durante la rimo- zione, si ruppe in quattro pezzi. Ma, come documentano le stampe e i dipinti esposti in mostra, fu veramente straordinario il coin- volgimento di tutta la popolazione accorsa in piazza San Marco per la cerimonia solen- ne - che avvenne alla presenza dell’impera- tore d’Austria, del cancelliere Metternich e delle autorità tutte - della ricollocazione sul pronao della quadriga che i veneziani ave- vano a loro volta portato via tanti secoli pri- ma dall’ ippodromo di Costantinopoli. Per qualificare il museo della sua Accade- mia, Cicognara le provò tutte. Gli andò male quando richiese a Milano – sembra con una certa arroganza che dovette nuocergli – la restituzione di alcune opere sottratte a Ve- nezia. Ma mise anche a segno anche alcuni colpacci, ottenendo dalle chiese veneziane opere straordinarie, magnifiche pale di Bel- lini e di Cima da Conegliano, immensi teleri di Veronese e Tintoretto, ma soprattutto, dai Frari, quell’Assunta di Tiziano che rimase per un secolo in Accademia, collocata con uno straordinario effetto scenografico in fondo alla grande sala che costituì il cuore del museo. Come documenta un famoso di- pinto di Borsato, questo ambiente fece da sfondo a cerimonie pubbliche, a veri e propri eventi epocali come l’orazione funebre di Canova recitata dallo stesso Cicognara da- vanti alla bara dell’artista collocata ai piedi del capolavoro tizianesco. Nella stessa posi- zione, proprio nel 1817, era stata esposta, e lì rimase per diversi mesi, una delle più belle sculture di Canova, la Polimnia, prima di partire per la corte di Vienna cui era destina- ta insieme ad una serie di opere d’arte (di- pinti, sculture, oggetti d’arredo e oreficerie) che costituirono il cosidetto Omaggio delle Provincie Venete. Si trattò di un altro grande risultato conseguito da Cicognara che, in oc- casione delle quarte nozze dell’imperatore Francesco I con Carolina Augusta di Baviera, aveva ottenuto dal governo austriaco di per- mutare la consistente tassa dovuta in una serie di opere d’arte da fare eseguire da gio- vani artisti veneziani, quasi tutti allievi del- l’Accademia, per arredare i nuovi apparta- menti dell’imperatrice. Questa mostra con- sente di vedere di nuovo riuniti insieme, in quella stessa Accademia dove erano stati esposti nel 1818 prima della partenza di Vienna, i pezzi dell’Omaggio che, dopo la lo- ro dispersione, sono stati riconosciuti e rin- tracciati per questa occasione. Cicognara non sarebbe stato in grado di realizzare i suoi ambiziosi progetti senza il decisivo appoggio dell’amico Canova, di cui fu il maggiore interprete come dimostra l’ultimo libro della sua monumentale e ri- masta insuperata Storia della scultura in Ita- lia interamente a lui dedicato. Del resto la sua strategia culturale, risultata vincente, fu quella di promuovere, insieme alla valoriz- zazione del patrimonio, l’arte contempora- nea. Così entrarono in Accademia, per esse- re collocati insieme alle opere antiche, i gessi dei capolavori canoviani, che poi rimossi so- no oggi in gran parte in deposito alla Gipso- teca di Possagno, e i dipinti eseguiti a Roma, dove venivano inviati per perfezionarsi, da- gli allievi dell’Accademia. Tra questi l’ irre- quieto Hayez, molto amato sia da Cicognara che da Canova, si dimostrò subito il più pro- mettente, come confermano alcuni capola- vori giovanili in mostra, come il sensuale Ri- naldo e Armida, dove è prefigurato quel tema del bacio destinato a rendere popolare l’arti- sta, o lo splendido Ritratto della famiglia Ci- cognara in cui ritroviamo un esplicito omag- gio a Canova presente attraverso un suo bu- sto. Del resto Hayez era tornato a Venezia da Roma proprio nel 1817, per portare questo quadro al suo protettore e per realizzare uno dei dipinti destinati al ricordato Omaggio. Ma proprio aggirandosi tra le opere delle appena inaugurate Gallerie che il giovane pittore, a partire dal 1818, ispirandosi ai ca- polavori di quelli che allora venivano consi- derati i Primitivi, Mantegna, i Bellini, Cima da Conegliano, ma anche Tiziano, aprì la strada al Romanticismo in pittura come di- mostrano dipinti come il Pietro Rossi e il Car- magnola che, purtroppo non capiti a Vene- zia, fecero sensazione a Milano proprio alle esposizioni della rivale Accademia di Brera e trovarono subito degli acquirenti. Questo determinerà, come sappiamo, il suo trasfe- rimento definitivo nel 1823 nella capitale del Regno Lombardo Veneto. Non senza rimpianti e nostalgia per una città che resta- va magica e molto eccitante dal punto di vi- sta della ancora brillante vita mondana. In- fatti, proprio negli anni qui considerati Ve- nezia aveva affascinato un personaggio co- me Byron che, residente dal 1816 al 1819 a Palazzo Mocenigo sul Canal Grande, elabo- rò durante il suo soggiorno, caratterizzato da infinite stranezze e anche rischiose av- venture amorose, quel mito ottocentesco, romantico e decadente, della città destinato a dominare per tutto il secolo, e oltre, l’im- maginario occidentale. © RIPRODUZIONE RISERVATA le gallerie dell’accademia | Giuseppe Borsato, «Commemorazione di Canova all’Accademia», Venezia, Galleria Ca’ Pesaro da altomani | Benedetto da Rovezzano e Benedetto Buglioni, «Angelo ceroferario» 1510 ca dal 29 settembre Dal 29 settembre 2017 al 2 aprile 2018 le Gallerie dell’Accademia di Venezia ospitano la mostra «Canova, Hayez, Cicognara. L’ultima gloria di Venezia» a cura di Paola Marini, Roberto De Feo e Fernando Mazzocca (che qui la presen- ta). La rassegna celebra il bicentenario (1817- 2017) dell’apertura delle Gallerie dell’Accade- mia di Venezia: con oltre 100 opere, articolate in nove sezioni tematiche, la rassegna narra la storia della nascita del museo destinato a diventare la più importante raccolta d’arte veneta al mondo. Catalogo Marsilio/Electa. Info: tel. 041.5200345, www.gallerieaccademia.it raffaello e giovanni da udine  Festoni decorativi con frutta, fiori, vegetazione e animali (particolare), Roma, Villa Farnesina

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30 Il Sole 24 Ore DOMENICA - 24 SETTEMBRE 2017 n. 257

Artefirenze / biennale di palazzo corsini

L’Antiquariato arriva al ’900di Marina Mojana

V i ricordate la copia in cera, a gran-dezza reale, del Ratto della Sabinadel Giambologna che l’artista sviz-zero Urs Fischer presentò alla

Biennale di Venezia del 2011? Con il caldo e ilpassare dei mesi si sciolse (come Fischer vo-leva) e, a Biennale terminata, non rimase cheuna traccia informe della copia di questo ca-polavoro della statuaria rinascimentale,presente dal 1583 sotto la Loggia dei Lanzi diFirenze. Ebbene, sarà proprio Fischer, clas-se 1973, con il progetto In Florence - un gran-de evento di arte contemporanea ideato daFabrizio Moretti e Sergio Risaliti e curato daFrancesco Bonami - a dare il via alla 30° edi-zione della Biaf - Biennale degli Antiquari diFirenze, in calendario in Palazzo Corsini dal23 settembre al 1° ottobre (www.biaf.it).

Fischer è stato invitato proprio dal segre-tario generale della Biaf Fabrizio Moretti

(enfant  prodige  dell’antiquariato italianocon negozi a Firenze, Londra, Montecarlo eNew York), che in collaborazione con l’am-ministrazione comunale ama collocare mo-numentali installazioni d’arte contempora-nea in quello straordinario museo dellascultura a cielo aperto che è Piazza della Si-gnoria. Così, dopo Pluto e Proserpina di JeffKoons - scultura in acciaio dorato alta tremetri, esposta nel 2015 sull’arengario di Pa-lazzo Vecchio - nei prossimi giorni scopri-remo Big Clay #4 di Fischer, in un contrastotra antico e contemporaneo sempre più gio-coso e provocatorio.

Tuttavia il cortocircuito tra passato e pre-sente non si vivrà soltanto “in esterni”, maanche tra gli 80 stand che popoleranno le sa-le barocche di Palazzo Corsini, allestite que-st’anno da Matteo Corvino, noto interior de-signer e scenografo veneziano.

«L’edizione 2017 - spiega Moretti - ampliai suoi confini temporali fino a comprenderegli anni Ottanta del Novecento. La scelta è perfettamente in linea con la tendenza evi-

dente in tutte le maggiori manifestazioni delsettore a livello internazionale - prosegue - eintende favorire un collezionismo capace difar dialogare tra loro opere di epoca anchediversissima, dall’archeologia al contempo-raneo, passando per tutti i grandi momentidella storia dell’arte universale».

La vera arte è senza tempo - si sa - ma sol-tanto il tempo svela la verità; perciò saran-no i nostri posteri a dire quanto del XXI se-colo fu arte vera e quanto raffinate opera-zioni di marketing! Da parte mia, tra oltretremila opere esposte, ho visto cose davve-ro strepitose, vagliate da una commissioneinternazionale di 35 esperti tra studiosi emercanti (alcuni membri del vetting, però,sono pure espositori!).

Fra i pezzi di manifattura italiana di mag-gior prestigio, segnalo nello stand di Piva &C. l'eccezionale lampadario in vetro dellafornace muranese di Giuseppe Briati (1686 -1772), uno dei pochissimi esemplari della ti-pologia “Ca' Rezzonico” giunti intatti fino anoi. Chiamato così dal primo modello di

questa forma, creato su commissione dellafamiglia patrizia veneziana Rezzonico per ilproprio palazzo sul Canal Grande, il lampa-dario fu realizzato dal Briati verso il 1733. Aquel tempo, infatti, secondo fonti agiografi-che, l’artista si era introdotto sotto falso no-me in una vetreria in Boemia, per apprende-re la tecnica di lavorazione del cristallo, an-cora sconosciuta in Laguna. Tornato in pa-tria, grazie all'intelligente connubio fral’intaglio del cristallo “alla moda di Boemia”e l’uso, tipico della tradizione muranese, dielementi in vetro soffiato colorato, l’artistaottenne un successo immediato e diede vitaa tripudi di fiori, riccioli, foglie e decorazionispiritose ed eccentriche, fatti per tratteneree moltiplicare la luce delle candele.

Da Antonacci Lapiccirella, invece, segna-lo il dipinto del bellunese Ippolito Caffi(1809 - 1866) Il Canal Grande a Venezia conSanta Maria della Salute: in questa magicaveduta, illuminata in maniera sublime,l’imponente cupola della chiesa di SantaMaria della Salute emerge da una foschia vi-ola, che sembra sciogliersi al sole del matti-no. Nello stand di Dario Ghio, infine, ho vi-sto l’esemplare dalla provenienza più sor-prendente: è un cammeo ovale in onice adue strati, bianco su nero, con cesellato a ri-lievo il profilo di Luigi XV inserito in unamontatura ad anello in oro giallo del XVIII

secolo. Appartenne alla favorita del re, la Marchesa di Pompadour, che per anni lopossedette e indossò. L’aspetto più origina-le della storia, tuttavia, è che la dama france-se più potente del XVIII secolo ne sia anchel’autrice; Il gioiello svela, perciò, un volto

davvero poco noto di Jeanne Antoinette Po-isson, detta Reinette, meglio nota come Ma-dame de Pompadour, protettrice degli arti-sti di Versailles. Tra questi c’era anche Jac-ques Guay (1711 - 1793), famoso incisore dipietre e artista di corte, sotto la cui direzionela marchesa si dedicò con particolare talen-to a realizzare raffinati intagli a cammeo.

Tra le iniziative culturali della Biaf meritaun cenno la mostra Un incontro tra tardo goti­co e contemporaneità: Pietro di Chellino e Pie­tro  Annigoni  con opere della FondazioneCassa di Risparmio di Firenze, che festeggiai 25 anni di attività esponendo in PalazzoCorsini alcuni tesori della sua raccolta d’ar-te. Mentre nei giorni della Biennale è statomesso a punto un calendario di visite guida-te quotidiane ad alcune raccolte private dellacittà, oggi sedi di musei tanto preziosi quan-to sconosciuti al circuito turistico di massa:Palazzo Davanzati, Casa Siviero, Fondazio-ne Romano e i Musei Stefano Bardini, Hornee Stibbert nacquero dalle donazioni di colle-zionisti attivi tra Otto e Novecento e si for-marono con l’aiuto di grandi antiquari.

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Biennale Internazionale dell’Antiquariato di Firenze, Firenze, Palazzo Corsini dal 23 settembre al 1° ottobre. Info: www.biaf.it

roma

Frutta e verduraalla Farnesinadi Salvatore Settis

D ella Farnesina, la mirabile villaeretta in riva al Tevere nel primoCinquecento da Agostino Chigisu progetto di Baldassarre Pe-

ruzzi (e passata nel 1579 ai Farnese, da cuiprende nome), tutti conoscono i cicli pitto-rici dello stesso Peruzzi, di Sebastiano delPiombo, e specialmente di Raffaello e aiu-ti. Altri ambienti dell’edificio, oggi pro-prietà dell’Accademia dei Lincei, sono me-no prestigiosi ma meritano una visita, e sista ora provvedendo a un accurato restau-ro, ma anche ad aperture temporanee, co-me quella in occasione della mostra I coloridella prosperità: frutti del Vecchio e Nuovomondo, aperta dal 18 settembre al 30 di-cembre, prima di un tour che la porterà aPisa (Scuola Normale), Urbino (Casa diRaffaello), Matera, e poi nell’America Lati-na, dal Messico all’Argentina.

Curata dal linceo Antonio Sgamellotti edalla botanica Giulia Caneva (Sapienza diRoma), che da anni esplora con rigore esuccesso la flora nell’arte dai Romani inpoi, la mostra è accompagnata da un picco-lo e mirato catalogo (Bardi editore), che siarricchisce di contributi di storici dell’artecome Lucia Tongiorgi Tomasi (lincea). Maperché le tappe americane a cui la mostra èdestinata? Singolare nel tema e nell’im-pianto quanto accurata nell’allestimento enella comunicazione al pubblico (anchemediante un sistema interattivo), questa mostra s’incentra sulla celebratissima vol-ta del loggiato maggiore, dove Raffaello ebottega affrescarono, traendola dall’Asinod’oro di Apuleio, la favola di Amore e Psi-che. Non è però il mito né il piacevolissimoromanzo di Apuleio il filo conduttore dellamostra, che è interamente dedicata non alcentro del loggiato, ma ai suoi fastosi e ori-ginalissimi margini. Essi sono decorati perogni dove da una moltitudine di festoni ve-getali che imprimono al loggiato un carat-tere perpetuamente festivo, che deve aRaffaello l’ideazione di base e a Giovannida Udine l’esecuzione minuta e fantasiosa,ma sempre fedele ai modelli botanici neicolori e nelle forme. Concepita come unasorta di briosa prosecuzione dell’antistan-te giardino, questa esibizione di fiori efrutta non aveva, quando fu dipinta, nulladi scontato: mostrando (scrivono i curato-ri) la «straordinaria biodiversità botanicache convergeva a Roma da tutto il mondo»,fiori e frutti si dispiegavano come una sor-ta di macchina delle meraviglie, un ingra-naggio di conoscenza che, mettendo sottogli occhi dei privilegiati ospiti del Chigi va-rietà esotiche che nessuno aveva ancoravisto, alludevano a una sorta di controllovisuale del mondo, che tendeva ad artico-larsi nella scienza ma già prendeva forma

nell’arte. Queste ricche illustrazioni bota-niche, intorno a cui dobbiamo immagina-re l’intrecciarsi degli stupori e dei discorsidi chi le vide dipinte di fresco, «hanno ilprimato di prima documentazione dellepiante appena arrivate in Europa dopo lascoperta dell’America».

Mostrando (scrive Vasari) «stagione peristagione di tutte le sorti frutte, fiori e fo-glie, con tanto artifizio lavorate, che ognicosa vi si vede viva e staccata dal muro e na-turalissima», Giovanni da Udine getta sulmuro col suo pennello più di 170 diversespecie botaniche, che includono varietà ra-rissime e di recente importazione. Mele,pere, pesche, sorbe, ciliegie, agrumi si ac-compagnano con cetrioli e melanzane diprovenienza indiana. specie dalla Persia,dal Caucaso e dal Medio Oriente (come ilmelograno), meloni, angurie, datteri e sor-go dalle zone tropicali di Africa e Asia, e in-fine pannocchie di granturco, zucche e zuc-chine da poco approdate dal continenteamericano. L’elenco delle provenienze diqueste specie forma una mappa del mondo,che si proietta sul soffitto di questo esube-rante loggiato, giocando sia sull’intensità esullo spettro dei colori che sulla ricchezza emolteplicità delle varietà rappresentate.

Come è nel Dna dell’Accademia dei Lin-cei, scienza e arte congiurano in questa mo-stra per intendere in tutti i suoi risvolti unasimile congiuntura nella Roma di AgostinoChigi: la chimica dei materiali con cui si ot-tennero i colori, in uno sforzo di opulenza,ma anche di fedeltà, e l’accurata identifica-zione delle specie botaniche vano di pari passo con la storia dell’arte e della cultura.Nella sua introduzione al catalogo, Ales-sandro Zuccari (anch’egli linceo) ricordavitali tangenze con gli ambienti culturaliromani del tempo di Agostino Chigi, maanche con l’Accademia romana di Pompo-nio Leto, e Virginia Lapenta presenta la Vil-la e i giardini, con un flashback sulla nonmeno nobile (e non meno dipinta) villa ro-mana di età augustea rivelata lì accanto da-gli scavi. Quasi che nel cantiere decorativodella Farnesina, mentre Giovanni da Udinedipingeva fiori e frutti (dal vivo, o da un re-pertorio di disegni?), si fosse inconsape-volmente inscenato un prologo della stessaAccademia dei Lincei, che nella sua primis-sima fase (dal 1603) registrò fra gli altri, ol-tre al fondatore Federico Cesi e a Galileo,quel Cassiano Dal Pozzo che promosse unospettacolare repertorio disegnato di agru-mi e altre piante, e contribuì alla stampa,dal 1628 in poi, del Tesoro Messicano (o me-glio Rerum  Medicarum  Novae  HispaniaeThesaurus), anch'esso ricco di illustrazioni.

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I colori della prosperità: frutti del Vecchio e Nuovo mondo, Roma, Villa Farnesina, fino al 30 dicembre. CatalogoBardi editore

Leonardo dell’Accademia di VeneziaDomenica 1° settembre 2013 Marco Carminati ha presentato

l’eccezionale rassegna alle Gallerie dell’Accademiadi Venezia dedicata ai cinquantadue fogli di Leonardo

da Vinci conservati nel Gabinetto dei Disegnie delle Stampe annesso alle Gallerie veneziane

www.archiviodomenica.ilsole24ore.com

venezia / grandi musei

Pinacoteca bicentenariaNel 1817 aprivano le Gallerie dell’Accademiadestinate a diventare la maggior raccolta d’arte veneta esistente al mondo

di Fernando Mazzocca

D uecento anni fa apriva alpubblico quel magnificomuseo destinato a diventarela maggior raccolta di arteveneta esistente al mondo:le Gallerie dell’Accademia di

Venezia. La mostra Canova, Hayez, Cicogna­ra. L’ultima gloria di Venezia viene realizza-ta per ricordare questo evento riconsideraun periodo particolamente significativodella storia e della cultura veneziane che vadal sensazionale ritorno nel 1815 dei cavallibronzei sul pronao della basilica di SanMarco alla morte, avvenuta proprio a Vene-zia nel 1822, di Antonio Canova, allora con-siderato il più grande scultore vivente. In-sieme a Canova e al giovane Hayez (ritorna-to da Roma a Venezia e tutto concentrato acambiare il corso della pittura italiana cre-ando il Romanticismo), il protagonista diquesti anni cruciali era stato il conte Leo-poldo Cicognara.

Aristocratico di origine ferrarese - cheaveva avuto discussi trascorsi politici nellaMilano appena occupata dalle armate fran-cesi - il conte Leopoldo Cicognara era diven-tato presidente dell’Accademia di Belle Artidi Venezia che, insieme a quelle di Milano eBologna, aveva fatto parte durante gli annidella dominazione napoleonica del sistemadelle tre Accademie nazionali. Come capita-le del Regno, Milano venne decisamente pri-vilegiata, per cui l’Accademia di Brera riuscìgià dal 1806 ad avere un proprio museo doveconfluirono alcuni immensi e straordinaridipinti (da Gentile Bellini a Tintoretto) pro-venienti da edifici religiosi veneziani, chiesee scuole di devozione. Fu forse anche perquesto motivo che la pinacoteca dell’Acca-demia veneziana potrà essere realizzata so-lo quando, dopo la caduta di Napoleone,l’Impero austriaco - che aveva già per alcunianni dominato su Venezia in seguito al trat-tato di Campoformio - ritornò in possessodel Veneto. Erudito, grande conoscitore,con una competenza che spaziava dall’ anti-chità al contemporaneo, sommo storico del-l’arte, amico intimo di Canova, l’allora cin-quantenne conte Cicognara aveva i numeri el’energia per poter non solo creare final-mente un grande museo di pittura venezia-na, ma per valorizzare l’ancora immenso patrimonio artistico, seppur martoriatodalla decadenza e dalla fine della Serenissi-ma Repubblica. Agli monumenti e alle opered’arte venivano affidate la memoria e la glo-ria di una città che aveva perduto per sempreindipendenza e potenza economica.

Lo slancio iniziale al progetto di Cicogna-ra venne dal ritorno delle opere d’arte che erano state - come in altre parti d’Italia - re-quisite dall’esercito napoleonico e portate aParigi quali trofei di guerra. Tra queste ope-re soprattutto tre avevano un forte significa-to: i quattro cavalli di San Marco, che a Parigierano stati collocati sulla sommità dell’Arcdu Carrousel; il leone, emblema della città,che dalla sua colonna in piazza San Marcoera finito al centro di una fontana davanti

agli Invalides; e infine un antico cammeo, illeggendario Giove Egioco, considerato allo-ra un capolavoro inestimabile, donato allacittà dall’ ambasciatore Zulian, grandemecenate di Canova. Queste restituzioninon avvennero senza polemiche e incidentise pensiamo alla folla che si accalcò minac-ciosa durante la delicata movimentazionedei cavalli realizzata da esperti tecnici au-striaci e al fatto che, il leone, durante la rimo-zione, si ruppe in quattro pezzi. Ma, comedocumentano le stampe e i dipinti esposti inmostra, fu veramente straordinario il coin-volgimento di tutta la popolazione accorsain piazza San Marco per la cerimonia solen-ne - che avvenne alla presenza dell’impera-tore d’Austria, del cancelliere Metternich e delle autorità tutte - della ricollocazione sulpronao della quadriga che i veneziani ave-vano a loro volta portato via tanti secoli pri-ma dall’ ippodromo di Costantinopoli.

Per qualificare il museo della sua Accade-mia, Cicognara le provò tutte. Gli andò malequando richiese a Milano – sembra con unacerta arroganza che dovette nuocergli – larestituzione di alcune opere sottratte a Ve-nezia. Ma mise anche a segno anche alcunicolpacci, ottenendo dalle chiese veneziane

opere straordinarie, magnifiche pale di Bel-lini e di Cima da Conegliano, immensi teleridi Veronese e Tintoretto, ma soprattutto, daiFrari, quell’Assunta di Tiziano che rimaseper un secolo in Accademia, collocata conuno straordinario effetto scenografico in fondo alla grande sala che costituì il cuoredel museo. Come documenta un famoso di-pinto di Borsato, questo ambiente fece dasfondo a cerimonie pubbliche, a veri e proprieventi epocali come l’orazione funebre diCanova recitata dallo stesso Cicognara da-vanti alla bara dell’artista collocata ai piedidel capolavoro tizianesco. Nella stessa posi-zione, proprio nel 1817, era stata esposta, e lìrimase per diversi mesi, una delle più bellesculture di Canova, la Polimnia, prima dipartire per la corte di Vienna cui era destina-ta insieme ad una serie di opere d’arte (di-pinti, sculture, oggetti d’arredo e oreficerie)che costituirono il cosidetto Omaggio delleProvincie Venete. Si trattò di un altro granderisultato conseguito da Cicognara che, in oc-casione delle quarte nozze dell’imperatoreFrancesco I con Carolina Augusta di Baviera,aveva ottenuto dal governo austriaco di per-mutare la consistente tassa dovuta in unaserie di opere d’arte da fare eseguire da gio-vani artisti veneziani, quasi tutti allievi del-l’Accademia, per arredare i nuovi apparta-menti dell’imperatrice. Questa mostra con-sente di vedere di nuovo riuniti insieme, inquella stessa Accademia dove erano statiesposti nel 1818 prima della partenza diVienna, i pezzi dell’Omaggio che, dopo la lo-ro dispersione, sono stati riconosciuti e rin-tracciati per questa occasione.

Cicognara non sarebbe stato in grado direalizzare i suoi ambiziosi progetti senza ildecisivo appoggio dell’amico Canova, di cuifu il maggiore interprete come dimostral’ultimo libro della sua monumentale e ri-masta insuperata Storia della scultura in Ita­lia interamente a lui dedicato. Del resto la sua strategia culturale, risultata vincente, fuquella di promuovere, insieme alla valoriz-zazione del patrimonio, l’arte contempora-nea. Così entrarono in Accademia, per esse-

re collocati insieme alle opere antiche, i gessidei capolavori canoviani, che poi rimossi so-no oggi in gran parte in deposito alla Gipso-teca di Possagno, e i dipinti eseguiti a Roma,dove venivano inviati per perfezionarsi, da-gli allievi dell’Accademia. Tra questi l’ irre-quieto Hayez, molto amato sia da Cicognarache da Canova, si dimostrò subito il più pro-mettente, come confermano alcuni capola-vori giovanili in mostra, come il sensuale Ri­naldo e Armida, dove è prefigurato quel temadel bacio destinato a rendere popolare l’arti-sta, o lo splendido Ritratto della famiglia Ci­cognara in cui ritroviamo un esplicito omag-gio a Canova presente attraverso un suo bu-sto. Del resto Hayez era tornato a Venezia daRoma proprio nel 1817, per portare questoquadro al suo protettore e per realizzare unodei dipinti destinati al ricordato Omaggio.

Ma proprio aggirandosi tra le opere delleappena inaugurate Gallerie che il giovanepittore, a partire dal 1818, ispirandosi ai ca-polavori di quelli che allora venivano consi-derati i Primitivi, Mantegna, i Bellini, Cimada Conegliano, ma anche Tiziano, aprì lastrada al Romanticismo in pittura come di-mostrano dipinti come il Pietro Rossi e il Car­magnola che, purtroppo non capiti a Vene-zia, fecero sensazione a Milano proprio alleesposizioni della rivale Accademia di Brerae trovarono subito degli acquirenti. Questodeterminerà, come sappiamo, il suo trasfe-rimento definitivo nel 1823 nella capitaledel Regno Lombardo Veneto. Non senzarimpianti e nostalgia per una città che resta-va magica e molto eccitante dal punto di vi-sta della ancora brillante vita mondana. In-fatti, proprio negli anni qui considerati Ve-nezia aveva affascinato un personaggio co-me Byron che, residente dal 1816 al 1819 aPalazzo Mocenigo sul Canal Grande, elabo-rò durante il suo soggiorno, caratterizzatoda infinite stranezze e anche rischiose av-venture amorose, quel mito ottocentesco,romantico e decadente, della città destinatoa dominare per tutto il secolo, e oltre, l’im-maginario occidentale.

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le gallerie dell’accademia | Giuseppe Borsato, «Commemorazione di Canova all’Accademia», Venezia, Galleria Ca’ Pesaro

da altomani | Benedetto da Rovezzano e Benedetto Buglioni, «Angelo ceroferario» 1510 ca

dal 29 settembre

Dal 29 settembre 2017 al 2 aprile 2018 le Gallerie dell’Accademia di Venezia ospitano la mostra «Canova, Hayez, Cicognara. L’ultima gloria di Venezia» a cura di Paola Marini, Roberto De Feo e Fernando Mazzocca (che qui la presen­ta). La rassegna celebra il bicentenario (1817­2017) dell’apertura delle Gallerie dell’Accade­mia di Venezia: con oltre 100 opere, articolate in nove sezioni tematiche, la rassegna narra la storia della nascita del museo destinato a diventare la più importante raccolta d’arte veneta al mondo. Catalogo Marsilio/Electa. Info: tel. 041.5200345, www.gallerieaccademia.it

raffaelloe giovanni

da udine  Festoni 

decorativi con frutta, fiori, 

vegetazione e animali 

(particolare), Roma, Villa 

Farnesina