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LUNEDÌ 24 SETTEMBRE 2007 Copyright © 2007 The New York Times
Supplemento al numeroodierno de la Repubblica
Sped. abb. postale art. 1legge 46/04 del 27/02/2004 — Roma
P U B B L I C I T À
Ecco il trucco: sognatesi realizzeranno i vostri desideri
Quel popolo di smemorati nell’era digitale
I segreti della mente
segue a pagina IV
Ossessionati dal Selvaggio WestLa riscoperta di un romanzo sugli Apache
scatena in Gemania la “mania indiana”.
ARTI E TENDENZE VIII
di MICHELLE SLATALLA
Qualchegiorno faunamiaamicamichiamapersottopormiun problema:nonsacomefar funzionareungiocoonlineperbambi-ni, e sua figliaè impaziente. Si trattadiun’emergenzadomestica, la richiesta d’aiuto piomba sulla mia segreteria telefonica. “Non mi raccapezzo granché coi computer”, la voce di Jennifer quasi si scusa. “Potresti venire ad aiutarmi domani?”.Il nostro telefono squilla sempre quando i vicini sono in amba-
scia per una connessione Internet o per una stampante che non funziona. Stavolta però mio marito, l’esperto di casa fissato con gli ag-
geggi elettronici, non è disponibile, e io so a malapena far funzio-naregliapparecchidicasa.Mentrecercodi ricordarmiqualesia il tasto da premere per cancellare il messaggio, sento la voce di Jennifer, implorante: “Potresti mandarci Celmentine”?.Clementine? Mia figlia frequenta la quinta elementare!CapiscosubitocheJennifer forseharagione.LeditadiClemen-
tine sanno danzare sul laptop come quelle di Mozart sul clavi-cembalo. In questo batte tutti noi.La trovonella suacamera,unciuffo di capelli inbocca, intenta
ascrivereunaemailasuopadreperricordarglidiportareacasa il Mac con il nuovo emulatore Windows, per cui gli sta dietro da settimane.“Ce la fai domani a fare un intervento a domicilio?”, le chiedo.
“Fammi vedere”, risponde lei, cliccando sul calendario Goo-gle. “D’accordo, ma devo tornare per mezzogiorno: mi aspetta un’amica”.E’ così che la più giovane dei miei figli varca ufficialmente
l’ingresso del mondo del lavoro come esperta in tecnologie. Una qualifica che richiede una notevole abilità nel risolvere problemi e retribuita in media con uno stipendo annuale di 44.350 dollari. Loscorsoanno, standoaidatidelMinisterodel lavoro,ven’era-
no 514.460 di esperti del genere. Immagino che gran parte di loro avesse più di 9 anni, ma vai a sapere. Come ricorda Henry Jenkins, del Massachusetts Institute of
Technology, in una recente intervista “le tecnologie ormai cam-biano tanto in fretta che le conoscenze che si hanno a 9 anni d’età potrebberorivelarsi superategiàa12o13.Perciò teneted’occhio i bambini della materna: loro sanno cose che voi non sapete”.Chissà quanto tempo passerà prima che Clementine venga
canzonata nel laboratorio di informatica della scuola magari da un bambino di 5 anni più esperto di lei.L’indomani, la mia amica ricompensa Clementine con 10 dol-
lari per un’ora di lavoro. Diritornoacasa, lapiccola trova ilpadreallepresecon ilnuovo
sistema Windows. Con pazienza gli spiega che per uscire deve prima chiudere tutte le finestre sulla sua finestra virtuale. O al-meno così mi pare d’avere capito .
Stelle del pop che dimenticano le parole delle canzoni, reginette di bellezza che s’impappinano quando interrogate su testi preconfezionati: a tutti capita prima o poi un vuoto di memoria, un intoppo momentaneo del cervello. Ma perché prendersela
con le vittime? Sono null’altro che il prodotto di una cultura che non promuove lo sviluppo delle capaci-tà mnemoniche.Ormai si trascura d’insegnare
ai giovani come allenare la memo-ria. L’ideale vittoriano di una co-
noscenza enciclopedica è stato accantonato. Con l’attuale esplosione di informazioni, nessuno può sapere tutto. Di più: nessuno è motivato ad espan-dere la propria conoscenza; meno che mai se ciò implica uno sforzo di memoria.Infatti mentre i microchip riescono a immagaz-
zinare un numero sempre crescente di dati, nell’es-sere umano quell’abilità diminuisce. Dall’avvento dei cellulari, non si mandano più a mente nemme-no i numeri di telefono. Con lo sviluppo dei motori
di ricerca su Internet, ora basta battere un tasto (ammesso che si ricordi la propria password) per recuperare nozioni un tempo conservate nel no-stro cervello. Recitazione e arte dell’oratoria, un tempo ingredienti essenziali dell’istruzione, sono reliquie cadute in disuso.“E’ tramontato quel genere di cultura orale”,
ammette il professore James Engell, autore di The Committed Word: Literature and Public Values, docente di retorica all’Università di Harvard. “La cultura oggi attribuisce scarso valore alle capaci-tà mnemoniche”.Ai tempi incuiJohnQuincyAdams(il sestopre-
Problemi al computer? Li risolvono i bambini delle elementari
di STEPHANIE ROSENBLOOM
Il bacio con l’elegante sconosciuto è elettrico,coinvolgente, apparentemente interminabile.Poi apri un occhio e t’accorgi che stavi baciandoil cuscino.Se soltanto fossi riuscita a prolungare il sonno
abbastanza da consumare la seduzione. Anchestavolta,nonavevi ideachefosseunsogno.E’ im-possibile controllare il viaggio notturno sulle alidel subconscio.O invecesipuò farlo?Forse sì, se si sapraticare ladisciplinadel “so-
gno lucido”, uno stato nel quale una persona ad-dormentatadiventaconsapevolechestasognan-do, epuòperfino riuscirea imprimereunasvoltaalla storia. Chi sperimenta regolarmente questofenomeno sostiene d’essere in grado di creare omanipolare il fantasioso canovaccio del sogno.Volare senza ali, suonare strumenti che non siconoscono,giocareabowlingconT.S.Eliote,na-turalmente, crogiolarsinelle fantasiesessuali.Può darsi che alcuni abbiano sempre avuto
esperienze di questo tipo, dice Jayne Gackenba-ch, psicologa al Grant McEwan College di Ed-monton, nella provincia canadese dell’Alberta,
che conduce ricerche in merito. Ma la praticaesoterica, riconosciuta in Occidente almeno findal 1867, probabilmente acquisterà entro breveunafamainedita.Infatti il 5 ottobre uscirà un film che esplora
il fascino di questo fenomeno: The Good Night,diretto da Jake Paltrow, fratello della celebreattrice Gwyneth Paltrow, affiancata nel cast daPenélopeCruzeMartinFreeman.Altrepellicole,comeIl labirintodel fauno,diGuillermodelToro,hanno trattato l’argomento.Per chi voglia annoverarsi fra i “sognatori lu-
cidi”, il 1°ottobre inizieràalleHawaiiunappositoconvegno dal titolo Dreaming and Awekening:Lucid Dreaming, Consciousness and DreamYoga” (Sogno e risveglio: sogni lucidi, consa-pevolezza e yoga dei sogni) Per chi non desiderifarsi il viaggio in aereo, il 3 ottobre è prevista suInternet una chat sul sogno lucido, nell’ambitodella conferenza PsiberDreaming, organizzatadall’Associazione internazionaleper lostudiodeisogni. Diversi libri sono usciti o stanno per usci-
Alexander Hammid/Zeitgeist Films
La scienza s’interroga sullo sviluppo del cervello umano, e sul ruolo dei sogni e della memoria nella coscienza. Maya Deren s’appisola nel documentario “In the Mirror of Maya Deren”.
Erik Jacobs per The New York Times
Recitazione ed esercizi mnemonici sono cosedel passato. Oggi dilaga l’assenza di memoria.
segue a pagina IV
L’ultima sfida a La PazIn Bolivia, gli abitanti di Sucre reclamano
la riabilitazione dell’antica capitale.
MONDO II
ANALISI
JENNY LYN
BADER
Repubblica NewYork
Direttore responsabile: Ezio Mauro
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Gregorio Botta, Dario Cresto-Dina
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Supplemento a cura di:Paola Coppola,
Francesco Malgaroli, Alix Van Buren
•
Traduzioni: Emilia Benghi, Anna Bissanti,
Antonella Cesarini, Fabio Galimberti,
Guiomar Parada, Marzia Porta
MONDO
II LUNEDÌ 24 SETTEMBRE 2007
di THOMAS FULLER
NERN MAPRANG, Thailanda
— “Per essere una brava ragazza”, fa
Pannipa Chaiyated, timida tredicenne,
“bisogna avere buone maniere, parlare
educatamenteeaiutare incasa”.Questo
quandononè impegnataabattersicon le
sue avversarie sul ring.
In un Paese in cui la femminilità è te-
nuta in grande considerazione e dove i
genitori raccomandano alle ragazze
garbo e discrezione, la boxe femminile
è un colpo a sorpresa.
Chanin Preechakul, fondatore del
ThaiBoxingClubfemminile, calcolache
vi sianopiùdi 100palestredoves’allena-
no le ragazze, con un’alta concentrazio-
ne nella zona centrale della Thjailandia,
povera e abitata in gran parte da colti-
vatori di riso.
“Dieci o vent’anni fa, una donna pugi-
le che riusciva a fare tre combattimenti
in un anno era molto fortunata, almeno
così si diceva”, ricorda Chanin. “Ora ci
sono incontri tutti i fine settimana”.
Laboxe tailandese, dettaanchemuay Thai, énatacomeartemarzialeedèuno
sport rude. L’obiettivo di questa disci-
plina, che per anni ha attirato ragazzini
dai 9 anni in su, è quello di fiaccare l’av-
versario per poi farlo crollare sotto una
tempesta di calci e pugni.
I pugili nonpossonodare testate,mor-
dere, sputare, tirare i capelli, colpire gli
occhi e tirare fuori la lingua. Ma dare
una ginocchiata ben assestata ai reni
o colpire con un calcio la testa o il collo
rientra nelle regole del gioco.
E’ soltanto negli ultimi anni che il
muay Thai ha acquistato popolarità tra il pubblico femminile, in parte perché,
quando si raggiungono i livelli più alti,
giovani in condizioni disagiate vedono
nello sportun’opportunitàdi relativobe-
nessere. I compensi, fra il corrispettivo
di 6 euro a oltre 150 euro per un grande
match, in un’economia in difficoltà ser-
vono ad aiutare la famiglia.
Le superstizioni sulla boxe femmini-
le (per una fanciulla era considerato di
cattivo augurio entrare nel ring) si sono
dissolte via via che un numero sempre
maggiore di donne ha iniziato a eserci-
tare questo sport.
“La gente viene ad assistere agli in-
contri: un bel viso è un incentivo in più”,
dice Pariyakorn Ratanasuban, che or-
ganizza combattimenti femminili allo
stadio. La donna, figlia di Songchai Ra-
tanasuban, il più importante manager
di incontri di muay Thai, ritiene che in
Thailandiavisianocirca5.000donneche
praticano il pugilato come dilettanti.
Quella di conservare la propria fem-
minilità è una preoccupazione impor-
tantepermoltereclutediquestadiscipli-
na, dice la signora Pariyakorn. Spesso,
aggiunge, abbandonano il ring prima di
compiere 20 anni. “Crescendo, trovano
un fidanzato oppure si sposano”, spiega.
“La loro carriera non è molto lunga. I
mariti non vogliono che tornino a casa
con i lividi”.
“Sulring,comepugile,devocombatte-
reedare ilmeglio: tirocalci epugni, uso
i gomiti e leginocchiacomeunragazzo”,
dice Pannipa. “Quando scendo dal ring
divento quello che sono: una ragazza”.
Giovani e spigliate sul ring in Thailandia
Thomas Fuller/International Herald Tribune
Sucre o La Paz? La guerra delle capitali in Bolivia
di SIMON ROMERO
SUCRE, Bolivia — “Benvenuti nella
capitale della Bolivia”, recita il cartello
che accoglie i passeggeri nell’aeroporto
di Sucre, sonnolentacittàcheal tramon-
to chiude le piste di atterraggio
Infatti è proprio così: la residenza del
presidente, il parlamento, la banca cen-
trale, i ministeri del governo e gli am-
basciatori stranieri possono anche tro-
varsiaLaPaz, 400chilometripiùaNord
—cittàcheconta il quadruplodiabitanti
rispetto a Sucre, che ne ha 250 mila.
Ma, con irritazionedialcuniboliviani,
gliabitantidiquestacittadina insistono:
quel cartello è corretto. Ruminando an-
cora dopo più di un secolo le “malefatte”
della guerra civile che nel 1899 trasferì
le sedi del potere esecutivo e legislativo
daSucreaLaPaz, lasciandoquisoltanto
le Alti Corte, questa cittadina prosegue
la campagna per riconquistare il titolo
di capitale della Bolivia.
Il desiderio apparentemente donchi-
sciottesco di Sucre di riconquistare ciò
che ha perduto va assumendo le propor-
zioni di una crisi nazionale, una delle più
importanti che è costretto ad affrontare
Evo Morales, discendente indigeno
degli Aymara, un tempo pastore di
lama, e primo presidente indiano
della Bolivia.
“Qui non sacrifichiamo i lama
come fanno sull’altiplano” (altopia-
no) dice Jaime Barrón, rettore del-
l’Università di Sucre e leader della
campagna municipale, al quale non
piacciono né le politiche radicali di
Morales né la sensazione che le tra-
dizioni Aymara in auge sulle alture
boliviane siano imposte in questa
regione centrale. “Noi vogliamo
semplicemente ciò di cui 108 anni fa
è stata privata Sucre, il che ci con-
sentirebbe di espanderci e diventa-
recosì il centrogeopoliticodelSuda-
merica”, ragiona Barrón.
Neigiorni scorsiunmilionedima-
nifestanti si è riversato nel centro di
La Paz per opporsi alla campagna
di Sucre: monito della potenza della
basepoliticasullaqualepuòcontare
Morales e della resistenza popolare
alle ambizioni di Sucre. Stando agli
economisti, i costi legati al trasferi-
mento della presidenza e della legislatu-
raaSucre, chedetiene il titolodi “capita-
lecostituzionale”, sarebberoesorbitanti
per la Bolivia, che già adesso è il Paese
più povero del Sud America.
Quanti accolgono con favore la propo-
stadiSucreehanno inscenatomoltepro-
testedipiazzaescioperidella fame,han-
no già conseguito una sorta di vittoria.
La lorocampagnaharichiamato l’atten-
zione di un’assemblea convenuta per ri-
scrivere la Costituzione boliviana, a tal
puntodadistrarre idelegati dal compito
assegnato loro da Morales, impegnato a
sfidare l’éliteboliviana.Preoccupatiper
la loro sicurezza nel momento in cui le
manifestazioni di piazza infuriavano, i
delegatiall’assembleaqualchegiorno fa
hannosospeso i lavoriperunmese.Que-
sto annuncio, assieme alla disposizione
dellaCortecheautorizza l’assembleaad
accogliere la proposta di Sucre, ha con-
vinto i dimostranti ad arginare le loro
proteste. “Con la richiesta di spostare la
capitale lanciatadaSucre, l’opposizione
ha cavato fuori dal cilindro un coniglio”,
commentaJimSchultz, giornalistapoli-
tico della città centrale di Cochabamba.
Incoraggiata dal sostegno assicurato
dalla maggioranza a Morales, l’assem-
blea si era riunita un anno fa con l’auspi-
cio di studiare misure e provvedimenti
tesia liberare lepopolazioni indigenebo-
liviane dalla loro secolare condizione di
miseriaeservitù.Lepropostevannodal
ribattezzare la Bolivia con il nome indi-
genodiQollasuyoaconsentireaMorales
di essere rieletto a tempo indefinito.
I politici delle province nelle pianure
si inalberano alla sola idea: sostengono
che Morales sia un burattino nelle mani
del suo più stretto alleato, il presidente
venezuelano Hugo Chávez.
Mentre la Bolivia orientale è l’epicen-
tro dei gruppi antigovernativi e del mo-
vimentoseparatista,aSucre lapreoccu-
pazione è quella di annullare poco alla
volta l’influenza del presidente. Fuori
dell’ufficio del maggiore Aydée Nava,
per esempio, è appeso un manifesto che
raffiguraMoralescon indossoun’unifor-
me dell’esercito nazista, mentre aizza i
cani ad aggredire i manifestanti, accla-
mato da una contadina delle alture.
Dietro a queste come in altre iniziati-
ve in corso in tutta la Bolivia, il governo
di Morales vede la mano delle élite che
cercano di indebolire la sua ammini-
strazione.
Mentrecresce il timoreche le tensioni
tra Sucre e La Paz possano sfociare nel-
la violenza, circa diecimila sostenitori
delpresidentesonoaffluiti aSucre inau-
tobus e a piedi nella seconda settimana
di settembre per denunciare la campa-
gna della “antica capitale”. Davanti a
un pubblico sbigottito, hanno scandito:
“Morte a coloro che vogliono spaccare
il Paese”.
Tuttavia agli occhi di molti cittadini,
il sognodi restituireaSucre lagrandeur
burocraticapesapiùdei timori. “Noisia-
mo lacapitaledellaBolivia”,nonhadub-
biJhon(sic,ndt)Cava,presidentedelco-mitato civico di Sucre. “Siamo persone
ragionevolinoi. Sul tavoloci sonoancora
molte opzioni”, continua prudente, ga-
rantendo che qualsiasi trasferimento a
Sucrepotrebbeavveniregradualmente.
Se le ambasciate dovessero decidere di
restare a La Paz, chiosa, “sarebbe una
loro scelta”, e la stessa cosa varrebbe
per alcuni ministeri. “Stiamo soltanto
affermandoche laBoliviaè indebitocon
Sucre”, dice, “e per noi è giunta l’ora di
riscuotere”.
David Rochkind per The New York Times
I sostenitori del presidente Morales sfilano a Sucre, in segno di protesta contro chi vuole trasferire la capitale.
PannipaChaiyated,13 anni, quia fianco, fa
la boxeur perpagarsi gli studi.
Sudan, la scelta dei Dinka fra passato e futurodi JEFFREY GETTLEMAN
POOLCOOCH, Sudan — Che fine ha
fatto Panthar Machar?
Questa era la domanda che l’altro
giorno aleggiava intorno al recinto del
bestiamementre il sole si tuffavaverso
l’orizzonte, le zanzare si alzavano scia-
mando dalla superficie di uno stagno
e Panthar, un pastorello di pochi anni
incaricato di accudire il tesoro (150 ca-
pi di bestiame) appartenente alla sua
famiglia estesa, non era reperibile da
nessunaparte.Erascomparsoqualche
ora prima nella boscaglia, con la testo-
lina che a stento si levava al di sopra
dell’erba, mentre vezzeggiava, parlot-
tava e colpiva il dorso delle mucche con
un lungo e grosso bastone per condurle
alpascolo.Maormaisi era fattodavve-
ro tardi. “Tornerà” insisteva suo padre
Machar, in attesa nel recinto vuoto.
In questa nostra epoca ipertecnolo-
gica, i piedi infangati di Panthar sono
piantati nel passato del Sudan meridio-
nale, un’area sperduta che è patria del
popolo Dinka, gente dedita alla pasto-
rizia, alta e robusta: dopo aver patito
50 anni di guerra, finalmente conosce
pace, sviluppo e cambiamenti. Ma non
è chiaro se Panthar e migliaia di bam-
binicomeluibeneficerannodavverodel
cambiamento. Il bestiameèfondamen-
tale per la cultura Dinka e i Dinka non
sono pronti a sbarazzarsene in cambio
dei guadagni che la vita in città potreb-
be offrire loro.
Il fratello maggiore di Panthar, Moi-
chok, ha 18 anni ed è un Dinka in tutto e
per tutto:ha lunghecicatrici sulla fron-
te che paiono le corde di una frusta. gli
mancano sei denti, estratti da un uomo
che porta una lancia ed è noto col nome
di ingegnere. Le cicatrici e i denti man-
canti sono i segni tradizionali dell’età
adulta presso i Dinka, nonché la prova
della sopportazione del dolore. Si dice
cheseunbambinosi lamentaancheso-
lo un po’ mentre gli incidono la fronte,
sarà deriso per il resto dei suoi giorni.
Il fratellopiùvicinoaPantharperetà
si chiamaBol,ha16annievaascuola in
unacittadinadeidintorni.Lasuafronte
è liscia, segnocheèormaiunragazzodi
città. Pare che Bol sia l’unico scelto dai
suoi per seguire la nuova strada.
Quanto a Panthar, il padre vorrebbe
mandare a scuola anche lui, ma a suo
avviso si tratterebbe di una mossa az-
zardata perché non resterebbe alcuno
in grado di occuparsi del bestiame. E il
suo è un lavoro senza tregua. Panthar
inizia le giornate accovacciato sotto il
ventre di una bestia irrequieta di tre
quintali di peso, con il volto ricoperto
da uno strato di sudore e latte. Munge
gli animali eriempieunsecchioche tie-
nestretto tra leginocchia.Raccattapoi
stercodimuccaperalimentare il fuoco
e raccoglie l’urina del bestiame in re-
cipienti ricavati da zucche affinché il
fratellomaggioree isuoiamicipossano
tingersi i capelli. Cura le bestie quando
si ammalano e canta per loro quando si
innervosiscono.
Le mucche sono i diamanti del terri-
toriodeiDinka.Si scambianoallenozze
e si regalano come doni di alto pregio. I
Dinka li venerano al punto da preferire
una alimentazione a base di latte (con
un po’ di sorgo ogni tanto) piuttosto che
nutrirsi della loro carne. “Se mai gua-
dagnassi dei soldi” aveva annunciato
Panthar quella mattina presto, prima
di guidare altri tre bambini piccoli – i
suoiaiutanti–nellaboscaglia, “micom-
prerò dei vestiti e altre mucche”.
Gli unici vestiti di Panthar sono una
camicia e dei calzoncini logori e spor-
chi. Non ha scarpe. Procede stoico tra
i cespugli colmi di spine affilate come
aghi chirurgici. Nessuno sa con sicu-
rezza quanti anni abbia. La famiglia
calcola che potrebbe averne una dozzi-
na. Il suo nome significa “casa vuota”,
perché è nato quando la famiglia era in
fuga dai bombardamenti del governo.
Il Sudan meridionale è stato piagato
dalla più lunga guerra civile dell’Afri-
ca, una ribellione iniziata ancor prima
che nel 1965 al Sudan fosse riconosciu-
ta l’indipendenza. A grandi linee si può
dire che il Sud, di religione cristiana e
animista, combatteva contro il Nord,
di religionemusulmanaedi linguaara-
ba. Un accordo di pace firmato nel 2005
apre nuove opportunità, anche se con
troppa lentezza per la maggior parte
degli abitanti del Sudan meridionale.
Moli centri restano privi di energia
elettrica, hanno poche strade e offrono
pochi posti di lavoro. Fuori città l’eco-
nomia si regge ancora sul bestiame.
La mandria di Panthar è più ridotta
rispetto alle mandrie del passato. Con-
sideratoche ibambiniDinkaemigrano
verso altre aree e si sposano al di fuori
della tribù, il prezzo generalmente pat-
tuito per una sposa carina è sceso dai
200 capi di bestiame a cento. Tuttavia,
alcuni Dinka hanno trovato il modo di
tenere il piede in due mondi: crescono
tra le mucche e poi vanno via, verso un
futuro a volte di impiegati d’albergo,
autisti, giornalisti e manager.
Anni fa WilliamMalual si è lasciato
alle spalle montagne di concime per
guidare un camion delle Nazioni Unite.
Dice che la durezza della vita al campo
bestiame lo ha temprato per sempre.
“Non dimenticherò mai la pioggia e il
calore di quei giorni” dice.
Alle 18 il padre di Panthar cammina
avanti e indietro inquieto. “Quel ragaz-
zo ha ancora molto da imparare” dice
ricordando un giorno d’ottobre quando
Panthar si perse con tutto il bestiame.
Ritrovata laviadicasa,dopoessereso-
pravvissuto per giorni nella boscaglia,
ilpadre lopicchiòconunbastone.Final-
mente, verso le 19, una testolina spunta
tra gli alberi. Si sente parlottare. Ecco
Panthare lesuemucche. “Benfatto, ra-
gazzo!” , lo saluta il padre, e il piccolo
sorride. “Sono libero”, per questa sera,
s’intende. Il sole tramonta, le mucche
si accovacciano per la notte intorno a
un falòenelmondodegli insetti cambia
la guardia: via le mosche, arrivano le
zanzare.Pantharhastesounastuoiadi
plastica in terraperdormire.Unvitello
bianco si assopisce al suo fianco.
Evelyn Hockstein per The New York Times
Panthar Machar, un piccolo Dinka appena dodicenne nel Sudan meridionale, guida 150 capi di bestiame.
Da pastori a manager: la parabola di un popolo leggendario.
Repubblica NewYork
MONDO
LUNEDÌ 24 SETTEMBRE 2007 III
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gli altri è già finita.Nessuno vola nell’Est e nel Centro Europa
quanto noi, i migliori dell’Est.
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dall’Italia per Vienna, permettendo così comode coincidenze con le sue 130 destinazioni
di cui ben 45 localizzate in 23 paesi dell’Europa dell’Est.
www.austrian.comAccumula miglia con Miles&More.
Partenze via Vienna da:Bologna, Firenze, Milano, Napoli, Roma, Torino, Venezia e Verona.
C’era una volta il Triangolo d’Oroparadiso dei papaveri da oppio
di THOMAS FULLER
Il Tr]anYolo d’oro dVl Sud Esj as]aj]co rVs]sjV nVll’]mmaY]na(r]o comV un sussVYu]rs] d] f]am(mVYY]anj] camp] d] papavVro! jr]bù coll]nar] c[V fumano opp]o V raff]nVr]V d] Vro]na sVpoljV nVl(la Y]unYla) NVlla rValjà! quVl jr]anYolo d]
forVsjV ]mpVnVjrab]l] [a pVrso la palma dVl p]ù YrandV produjjorV d] opp]oalmondoVconsVrvasolo una p]ccola quoja nVl commVrc]o YlobalV dVll’Vro]na) “Il m]jo rVs]sjVrà pVr lunYo
jVmpo! vVrrà cVlVbrajo ]n c[]ssà quanj] aljr] romanz]”! d]cV Anjo(n]o Mar]a Cosja! d]rVjjorV VsV(cuj]vo dVll’Uff]c]o dVllV Naz]on] Un]jV pVr ]l conjrollo dVlla droYa V laprVvVnz]onVdVlcr]m]nV)“Ma dal nosjro ossVrvajor]o pr]v]lV(Y]ajo! vVd]amo una rVY]onV c[V sja YuadaYnandos] ]n frVjja ]l j](jolo d] rVY]onV l]bVra dall’opp]o”)Il dVcl]no dVl Tr]anYolo d’oro è
un succVsso d] nojVvolV porjaja! sVppurV poco nojajo! nVlla YuVr(ra conjro la droYa) La domanda adVssoèquVsja:sV ]l r]suljajos]a sosjVn]b]lV) TrV dVcVnn] fa! lV rVY]on] dVl(
l’VsjrVmo Nord dVl Laos! dVlla T[a]land]aVdVllaB]rman]apro(ducVvano p]ù dVl 70 pVr cVnjo d] jujjo l’opp]ovVndujonVlmondo! V nV raff]navano la maYY]or parjV pVr ojjVnVrV Vro]na) Ora! sVcon(do l’aYVnz]a d] Cosja! quVsj’arVa forn]scVsoloun5pVrcVnjodVl jo(jalV) C[V cosa è succVsso?P]ù c[V aljro! la svolja è dovu(
ja allV prVss]on] VsVrc]jajV dalla C]na! all’offVns]va conjro ] colj](vajor]d]opp]oVallosposjamVnjo dV] carjVll] dVlla cr]m]nal]jà or(Yan]zzaja vVrso la produz]onV d] mVjamfVjam]nV) InoljrV! alcun] Yrupp] r]bVll] c[V un jVmpo s] f](nanz]avano con ] provVnj] dVlla droYa ora sp]nYono! a loro d]rV! ] conjad]n] a d]sjruYYVrV ] camp] d] papavVro)La consVYuVnza d] jujjo c]ò è
c[V ]l Tr]anYolo d’oro è sjajo so(sj]ju]jodallaMVzzalunad’oro ( la zonad]colj]vaz]onVdVlpapavVro ]njorno all’AfY[an]sjan c[V for(n]scV! sVcondo ]daj]dVllVNaz]on] Un]jV!c]rca ]l92pVrcVnjodVll’op(p]o c[V c]rcola nVl mondo)La produz]onV è crVsc]uja so(
prajjujjo ]n cVrjV arVV conjrol(lajV da] Tal]ban c[V! sVcondo ] funz]onar] dVllV Naz]on] Un]jV! uj]l]zzano ] r]cav] dVll’opp]o V dVll’Vro]na pVr f]nanz]ars])Lo sposjamVnjo vVrso l’AfY[a(
n]sjan[aavujoVffVjj] ]mporjanj]
sul mVrcajo YlobalV dVll’Vro]na: ]l raddopp]o dVlla produz]onV mond]alV d] opp]o ]n mVno d] duV dVcVnn]) IpapavVr]colj]vaj]nVllV fVrj]l] vall] dVl Sud dVll’AfY[an](sjanproduconoc]rcaquajjrovol(jV d] p]ù r]spVjjo quVll] dVl Nord dVl SudVsj as]aj]co)NVl dVcl]no dVl Tr]anYolo d’oro
pVsa ]l ruolo svoljo dalla C]na nVl pVrsuadVrV lVrVY]on]c[Vcolj]va(no opp]o a d]sjruYYVrV ] raccolj] d] papavVro) La C]na! dovV s] r](vVrsava Yran parjV dVll’Vro]na dVl Tr]anYolo d’oro! [a v]sjo ]m(pVnnars] ]l numVro d] joss]cod](pVndVnj] V d] s]Vropos]j]v])L’arVa dVlla B]rman]a! c[V s]
sjVndV lunYo la fronj]Vra c]nVsV V c[V un jVmpo producVva c]rca ]l /0 pVr cVnjo dVll’opp]o dVl PaVsV! è sjaja d]c[]araja l’anno scorso dallVNaz]on]Un]jVunazonal]bV(ra dall’opp]o) LV aujor]jà local]! c[V appar(
jVnYono alla jr]bù Qa! aujono(mV r]spVjjo al YovVrno cVnjralV! [anno v]Vjajo la colj]vaz]onV dVl papavVroV ]ncoraYY]ajoYl] ]nvV(sj]mVnj] c]nVs] nVllV p]anjaY]on] d] Yomma! canna da zucc[Vro V jè! nV] cas]nò V ]n aljrV ajj]v]jà) “Il ruolo dVlla C]na è sjajo soj(
jovalujajo”! d]cV Marj]n FVlsma!
unr]cVrcajorVolandVsV!aujorVd] numVros] lavor] sul commVrc]o ]llVc]jo dVlla droYa ]n As]a) “La lVva maYY]orV è d] j]po Vconom](co: quVsjV zonV d] fronj]Vra ora sono p]ù lVYajV Vconom]camVnjV alla C]na c[V al rVsjo dVl PaVsV”! sp]VYa) “AYl] occ[] dVllV aujor]jà local] è c[]aro c[V sV dVs]dVrano ajj]rarV un quals]voYl]a ]nvVsj](mVnjo! la coopVraz]onV con la C](na è una nVcVss]jà”)La B]rman]a rVsja jujjora
]l sVcondo forn]jorV d] opp]o al mondo! ma è un sVcondo posjo nojVvolmVnjVd]sjanjVdalpr]mo) Lasuaproduz]onVs]èr]dojjanVl(l’ulj]mo dVcVnn]o! n]VnjVmVno! dVll’80 pVr cVnjo) LV Naz]on] Un]jV r]conoscono
al YovVrno cVnjralV d’avVrV Yu](dajo lV ]n]z]aj]vVpVrsrad]carV la produz]onV d] papavVr] da opp]o dallV arVV dVYl] S[an)NVYl] Ann] Novanja ]l YovVr(
no dVl Laos lanc]ò un’offVns]va conjro la droYa pVr rafforzarV la propr]a crVd]b]l]jà ]njVrnaz]o(nalV) Non solo: lV aujor]jà Vrano mossV dalla consapVvolVzza c[V ] loro sjVss] f]Yl] Vrano a r]sc[]o! racconjaLV]kBoonwaaj! rapprV(sVnjanjVdVlLaosprVsso l’Uff]c]o dVllVNaz]on]Un]jVpVr ]l conjrol(lodVlladroYaV laprVvVnz]onVdVl cr]m]nV) NVl Laos! l’opp]o è sjajo mVsso
al bando dalla lVYYV nVl 1996) Il YovVrno! aYY]unYV Boonwaaj! s] Vra anc[V rVso conjo c[V l’opp]o non a]ujava ] conjad]n] c[V colj](vavano ]papavVr]) “SonosVmprV sjaj] ] carjVll] dVlla cr]m]nal]jà orYan]zzaja a ]njascarV la maY(Y]or parjV dV] prof]jj]”! d]cV)La quanj]jà d] jVrrV colj]vajV a
opp]o nVl Laos dal 1998 a oYY] s] è r]dojja dVl 94 pVr cVnjo) Il PaV(sV ora nV producV janjo poco c[V pojrVbbV VssVrnV d]vVnjajo un ]mporjajorV nVjjo! d]cono allV Naz]on] Un]jV) Gl] VspVrj]! pVrò! avvVrjono c[V ]l calo pojrVbb r](vVlars] jVmporanVo sV ] conjad](n] non jrovVranno aljr] mod] pVr YuadaYnars] da v]vVrV) In T[a]land]a sono occors] /0
ann] pVr d]ssuadVrV lV popola(z]on] aYr]colV dalla colj]vaz]onV dVl papavVro) S] è jrajjajo d] una jrans]z]onVpromossadalla fam](Yl]a rValV ja]landVsV: quVsja [a ]ncoraYY]ajo lV jr]bùdVllVcoll]nV a sfrujjarV ]l cl]ma frVsco dVllV aljurV pVr p]anjarV caffè! noc] d] Macadam]a V vVrdurV anz]c[é opp]o! r]fVr]scV P]VrrV(Arnaud C[ouvy! VspVrjo dVl CVnjro na(z]onalV pVr la r]cVrca sc]Vnj]f]ca a Par]Y]) “NVl Laos V nVlla B]rman]a!
]nvVcV! quVsja r]duz]onV è sjaja moljovVlocV”)Tanjobasjaa ]sp](rarYl] la domanda: “DurVrà?”Ancora quajjro ann] fa! a
Banna Sala! un v]llaYY]o ]solajo dVl Laos! Yl] ab]janj]! qualc[V cVnj]na]o d] pVrsonV dVlla jr]bù HmonY! colj]vavano apVrjamVn(jV ]l papavVro) Ora quVll’uso è cVssajo ma ]
conjad]n] s] r]bVllano) “Non m] pVrmVjjono p]ù d] colj]varV l’op(p]o! qu]nd] non [o sold] pVr man(darV ] f]Yl] a scuola”! d]cV una donna dVl v]llaYY]o! FVryV[ S]n(Yya! /4 ann] V sVjjV f]Yl]) “SV m] lasc]assVro farV! r]com]ncVrV]”) SVcondoYl] VspVrj]! pVrprVsVr(
varV ] r]suljaj]nV]v]llaYY]rVmoj] c[V d]pVndono Vconom]camVnjV dalla colj]vaz]onV dVl papavVrVo! occorrV ]nvVsj]rV ]n sjradV! scuo(
EuropVan PrVssp[ojo AYVncy RVujVrs
In Asia, la produzione di oppio è calata grazie all’intervento della Cina. Nel Wuhan i carcerati promettono di rinunciare alla droga; l’esercito tailandese distrugge i papaveri.
lV V ospVdal] m]Yl]or]) LaB]rman]a!YovVrnajadauna
Y]unja m]l]jarV! rapprVsVnja pVr ] PaVs] occ]dVnjal] un d]lVmma) Gl] Sjaj] Un]j] [anno ]mposjo al
PaVsV l’VmbarYo commVrc]alV) L’Un]onV EuropVa [a sospVso
] pr]v]lVY] commVrc]al] V la coo(pVraz]onV ]n majVr]a d] d]fVsa! l](m]jando ]suo]a]uj]all’ass]sjVnza
uman]jar]a) “InsVYu]joalbo]cojjaYY]oVal(
l’]solamVnjo! ]l flusso d] a]uj] pVr lo sv]luppo V l’ass]sjVnza uma(n]jar]a c[V raYY]unYV ]l PaVsV è
moljo l]m]jajo”! d]cV FVlsma) “In quVsjomodo!èdavvVro ]mproba(b]lV c[V ] r]suljaj] ojjVnuj] nVllo srad]carV la droYa s] jraducano ]n un succVsso pVrmanVnjV’’)
La produzione di droga
del Sud Est asiatico
è stata sostituita
dall’Afghanistan.
Repubblica NewYork
MONDO
IV LUNEDÌ 24 SETTEMBRE 2007
Carnet di esercizi per intelligenze brillanti
Il “sogno lucido”: un fenomeno che avvera i desideri
Quei nuovi smemorati
dell’era digitale
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segue dalla prima pagina
di CHRISTINE LARSON
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Imparate una lingua,ballate il tango, allenatevi coi giochi elettronici.
segue dalla prima pagina
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Charline Truitt, 62 anni, con il marito Dan si esercitano di fronte allo schermo con il Brain Fitness Program, usato per ravvivare la memoria.
Ykés Fsvw Léz’à
Ora che tutto è online,
il nostro cervello
rischia di atrofizzarsi?
coéòk Nòkòs/Usmù’éorz’òo
Nel film “The Good Night,” con Martin Freeman (a sinistra), il protagonista sogna per evadere dalla realtà. Il regista Guillermo del Toro rivive i sogni d’infanzia nel “Labirinto del fauno”.
Repubblica NewYork
ECONOM I A E SOC I E TÀ
LUNEDÌ 24 SETTEMBRE 2007 V
di SUSAN STELLIN
La prossima volta che varcate la so-glia di in un albergo chiudete gli occhi, ascoltate e inspirate profondamente. Può anche darsi che troviate una fonta-na nella quale immergere le dita, o una prelibatezzadaassaporare.Tuttoquesto accadeperché l’ultimatendenza in fatto didesignalberghieroprevededi fareap-pello a tutti e cinque i sensi degli ospiti, offrendoquellochepotrebbeesseredefi-nito un soggiorno sensoriale. Che si tratti di una leggera fragranza
nella lobby o di una colonna sonora ad hoc che cambia nel corso della giornata, l’obiettivo è di dar vita a un’esperienza memorabile, che gli ospiti possano per-cepire con l’olfatto, ascoltare e “assapo-rare”.“In futuro il marchio dell’hotel è nel-
l’assenza di logo e pubblicità strombaz-zanti:piùsemplicementeci siaccorgerà diessere inundatoalbergo”,diceMartin Lindstrom, autore di Brand Sense che indaga il concettodi “sensorybranding” (marchi sensoriali). I negozianti sono stati i primi a ricor-
rereallamusicaeagliaromiper influen-zare il comportamento della clientela — diffondendo profumo di cioccolato, per esempio, per invogliare il pubblico adacquistaredolciumi—mal’industria alberghiera ha escogitato una serie di obiettivi più sottili. “Vogliono creare un luogo differente”,
diceLindstrom,espiegacheunaplaylist o un profumo ben scelti non solo danno vita a un’esperienza piacevole in alber-
go, ma possono evocare ricordi positivi con i cd o gli shampoo profumati che gli ospiti si portano a casa propria. “Se si usasse quello shampoo a casa”, dice “indurrebbe quell’insieme di sensazioni emotive già sperimentate nel soggiorno in albergo”. Fra le catene alberghiere che hanno
elaborato profumi propri vi sono Westin Hotels and Resort, il cui aroma di tè ha portato alla creazione di una linea di articoli di consumo e ha contraddistin-to alcune strisce di carta profumata utilizzate per una campagna pubblici-taria; Omni Hotels, che infonde negli atri profumo di citronella e tè verde; e il Morgans Hotel Group, proprietario di “alberghi boutique”, come il Royalton di New York, ciascuno con fragranze diverse. Gli effluvipossonoessere immessinel
sistema di riscaldamento o raffredda-mentoo inalcunidispositividelledimen-sioni di un tostapane forniti da società come ScentAir. “Il profumo è tenue, quindi non capi-
ta che la gente entri e dica: ‘Ehi, questo profumo di citronella e tè verde è davve-romoltogradevole’”,diceCarynKboudi, portavocediOmniHotels. “Ci siaccorge solo che la lobby ha un buon odore, ema-na un senso di freschezza”. Gli alberghi evitano profumi che
possano scatenare reazioni allergiche, motivo per il quale Westin non usa es-senzedi fiori odi limone,diceSueBrush, vicepresidente per i marchi. Omni ha avviato anche un’iniziativa “soggiorno
sensoriale” che comprende etichette aromatizzate ai mirtilli sui giornali di-stribuiti ai clienti, nonché la presenza di “bar sensoriali” forniti di articoli come i sali da bagno all’eucalipto. Come molti alberghi, Omni presta maggiore atten-zione alla musica negli spazi comuni, mettendo a punto una scelta su misura per ciascuna albergo e ogni ora della giornata. “Ci siamo accorti che la mat-tina, quando gli uomini d’affari escono dalle stanze, dovevamo dare un po’ di carica”, dice Kboudi, quindi niente mu-sicaclassicao jazz. “Disera, invece, tra-smettiamo musica che sia un pò più soft e lenta, più melodiosa”. Allen Klevens, amministratore di
Prescriptive Music, società di consu-lenza che aiuta a compilare le colonne sonore, dice che gli alberghi cercano di distinguersi dall’onnipresente suono del
jazz “morbido”, e trasmettono motivi che gli ospiti non necessariamente rico-noscono. “Se si diffonde nell’ambiente il genere
di musica di Sheryl Crow o di Dave Mat-thews, per esempio, risulterà familiare alla maggior parte delle persone”, dice Klevens. “Per creare una vera atmosfe-ra o quell’impressione di essere diversi, occorre che non si sappia di quale arti-sta si tratta, che gli ospiti non conoscano quel suono ma dicano: ‘Ehi, dove posso procurarmi questo cd?’”. E gli ospiti possono acquistare un cd o
scaricare i brani online. Con tanta attenzione riposta nel solle-
citare i cinque sensi, si corre il rischio di procurare un sovraccarico sensoriale. “Ènecessarioche lamusica forniscava-lore aggiunto all’esperienza degli ospi-ti”, diceJulianTreasure,autoredel libro
Sound Businesse capo di Sound Agency, una società di consulenza con sede a Londra. “Ho visitato un certo numero di ‘boutique hotel’ dove si ha la sensazione che vi sia un po’ di indulgenza verso se stessi”. Treasurediceche lecatenealberghie-
re dovrebbero prendere in esame l’inte-ro “sonoro” dei loro edifici, non soltanto la musica trasmessa in sottofondo, ma anche il rumore che si riverbera nelle camere costruite con materiali duri co-me il legno e il granito. Quando poi si tratta di sound design, a
suo avviso le camere degli ospitinon de-vono essere considerate off limits. “Al momento, l’unico modo possibile
per modificare il sonoro di una camera è accendere la televisione, cosa che non tutti amano fare”. Chi sa che cos’altro inventerà.
di SUSAN STELLIN
Chi vola spesso, tende ad affrontare le turbolenze con nonchalance, finché l’ae-reo incappa in un vuoto d’aria. In quel momento, quando i bicchieri comincia-noacamminaresui tavolini e il bagaglio vola dallo scompartimento sopra di voi, anche i più provetti viaggiatori confes-sano di aggrapparsi ai braccioli della poltrona con una certa apprensione.“Logicamente e razionalmente, so
che gli aeroplani sono progettati per re-sistere a turbolenze di grande intensità prima che succeda qualcosa di brutto”, dice Lawrence Mosselson, che lavora per una società immobiliare a Toronto e vola circa 50 volte all’anno. “Anche così, al primo segno di turbolenza, mi ritrovo quasi paralizzato nella poltrona”.Gli esperti spiegano che le turbolenze
causanosoloraramentedannisostanzialiagliaerei,equestosoprattuttoperchéisi-stemiper individuareerispondereall’al-larmesonomigliorati. Lamaggiorpartedeidanni imputabilialleturbolenze,dico-no,potrebbeessereevitataconunamisu-ra che di tecnologico ha ben poco: tenereallacciata lacinturadisicurezza.“Gli aerei sono progettati molto più di
noiperresistereamanovrebrusche”,di-ce Nora Marshall, responsabile dei fat-tori di sopravvivenza nell’aviazione del National Transportation Safety Board. “Moltepersonecherestanoferiteduran-te le turbolenze non avevano le cinture allacciate”.In base ai criteri usati per definire un
incidente — cioè un evento che causa undanno sostanziale al velivolo, la morte oaltre ferite gravi — negli ultimi 10 annine sono stati calcolati 94 scatenati dalle
turbolenze.Quasi tutti sonostati classificati come
incidenti perché 119 persone, soprattut-to assistenti di volo, hanno subito gravi ferite che andavano dalle fratture alla rotturadellamilza. Solounoriguardava anche un danno sostanziale all’aereo.Per il National Transportation Safety
Board solo un caso di morte può essere attribuito alle turbolenze. E’ successo nel 1977, quando una passeggera giap-ponese su un volo della United Airlines daTokyoaHonolulu, èstatascaraventa-ta dal sedile nel corso di una turbolenza
e, ricadendo sul bracciolo, ha riportato danni fatali. Secondo laMarshall, cheha partecipato all’indagine, la donna non aveva la cintura di sicurezza allacciata, forse perché l’annuncio con cui s’invita-no i passeggeri a tenere le cinture anche quando il segnale è spento, non era stato tradotto in giapponese.La maggior parte delle ferite ripor-
tate, ripete la Marshall, riguardano proprio passeggeri senza la cintura al-lacciata. I dati della Ntsb indicano che i danni fisici, inclusi tagli o storte alle ca-viglie, subiti dai viaggiatori in un anno sono circa 50. Ma questi comprendono solo i casi per i quali esiste una pratica
aperta, quindi il numero reale è proba-bilmente più alto. Anche se è vero che, in alcuni casi, la turbolenza è stata un fattore determinante per gli aerei che sono precipitati, la maggior parte degli incidenti è dovuta a una molteplicità di cause e spesso è impossibile affermare che l’aereo sia caduto in seguito a un fat-tore atmosferico. Le turbolenze sono in sostanza varia-
zioni delmovimento dell’aria. Le tempe-ste elettriche, le correnti d’aria e lemon-tagnesonoalcunedellecausepiùcomuni,mentre la cosiddetta turbolenza di sciapuòessereattribuitaaunaltroaereo.Certiviaggiatori tentanod’informarsi
in anticipo se durante il viaggio si “bal-lerà”. Peter Murray, amministratore di una rete informatica di Lansing, Mi-chigan, ha creato TurbulenceForecast.com, un sito che permette ai più appren-sivi di individuare potenziali turbolenze sul percorso di volo. A lui è capitato di dover fare la spola con Baltimora dove ha la fidanzata e qualche volta ha anche cambiato volo se era previsto che si bal-lasse durante il viaggio. “Non ho mai sperimentato niente che
possaassomigliareaunaturbolenza,perquanto leggera, perché sono sempre riu-scitoaevitarle”, si complimentadasé.La tecnologia offre altri modi per af-
frontare il problema. Tim Johnson, un frequent flyer di una
societàdi telefonia satellitarediWashin-gton, hachiestoadaltri viaggiatori suunforum di Flyertalk.com quale sia la loromusica preferita in caso di scossoni incielo. “Abbiamomolti più strumenti perdistrarci”,dice.Almenofinchél’iPodnontivolaviadallamano.
Sono in viaggio circa quattro giornia settimana. Solamente nell’ultimoanno ho percorso in aereo 225milachilometri, sempre rimanendo negliStatiUniti.
E, come molte altre persone che viaggiano per lavoro, mi trovo a dover affrontare anche le consuete problema-tiche della mezza età. Aggiungiamo al qua-
dretto un’ulteriore dimensione: sono una donna in menopausa. Gli sbalzi ormonali, apparsi per la
prima volta diversi anni fa, hanno ag-giunto non pochi chili alla mia figura un tempo snella. Mio marito ed io ci siamo iscrit-
ti a una palestra, cui appartenia-mo da quasi quattro anni. Sino ad oggi però, non ci ho mai messo piede.La mia routine prevede che
ogni lunedì io mi alzi alle tre di mattina per prendere l’aereo del-le 6 che mi porta in una zona con un fuso orario diverso. Il martedì lavoro con i clienti,
e la sera prendo un volo diretta altrove. Mercoledì e giovedì la manfrina si ripete, e il venerdì — sul tardi — torno a casa.Come potrei, con un carnet
tanto fitto di impegni, trovare iltempo per dedicarmi all’attivitàfisica?Ho provato ad approfitta-re delle palestre degli alberghi,ma significava anticipare lasveglia di almeno 45minuti. Si-gnificava anche doversi portarenel bagaglio amano tuta e scar-pe da ginnastica. La cosa non èduratamolto. Allora ho escogi-tato alcuni esercizi, per personeche, comeme, sono sempre inviaggio.Il primo l’ho chiamato: “Scom-
piglio tra i documenti”. Mentre vi fate strada diretti al controllo ba-gagli, muovete la parte superiore del corpo alternando piegamenti in avanti e all’indietro. Provate anche ad aprire la vostra ventiquat-trore sempre di più, sino ad estrarne il laptop e tutto ciò che contiene, in cerca della carta d’imbarco e dei documenti di identità. Quando alle vostre spalle nessuno
sbraiterà che state rallentando la fila , sarete pronti a passare a un livello più avanzato. E solo quando ci avrete davvero
preso la mano, potrete bruciare molte più calorie lanciando per aria contem-poraneamente caffé fumante e sopra-bito, mentre controllate i messaggi sul Treo e frugate nella ventiquattrore. Poi viene lo “step dell’uomo musco-
loso”. E’ un esercizio ben collaudato e particolarmente efficace quando ci si
trova a salire o scendere da un piccolo aereo. Con una valigia in una mano, la ventiquattrore nell’altra e un cappotto sulle spalle, spostate il peso del corpo prima da una parte e poi dall’altra. Sollevate i bagali, e anziché dirigervi verso le scale mobili o infilarvi in ascensore, prendete le scale. Ignorate lo strappo lacerante ai tricipiti e ai muscoli delle cosce. E non vergogna-tevi di piagnucolare: aiuta a bruciare più calorie. Uno dei miei esercizi pre-feriti è: “Tocco il finestrino accanto”. Metto la ventiquattrore sotto la sedile davanti. Poi mi allungo piegando il collo sino ad assumere un’angolazione impossibile per evitare di schiacciare la faccia contro lo schienale di fronte.
Poi svuoto la valigetta, un articolo alla volta. Durante un volo ho dovuto allungarmi quasi 75 volte prima di tirare fuori tutto ciò di cui avevo bi-sogno. Per evitare le proteste di chi siede accanto, basta indossare tappi per le orecchie.Concentrandovi sulle vostre attività
durante i viaggi ne troverete qualcuna che possa valere come attività fisica. E se sfruttate queste opportunità ma-gari dimagrirete. L’anno scorso ho perso un chilo.
Quindi, se mai doveste pescarmi a sollevare il bagaglio a mano sopra la testa, per favore non cercate di aiu-tarmi. E’ ginnastica, e devo perdere qualche chilo.
In albergo, musica e profumi per stimolare i cinque sensi
Voli turbolenti: calma, se l’aereo balla
Alex di Suvero per The New York Times
Ricci M. Victorio: due borse per fare un po’ di sollevamento pesi.
Fotografie di Ozier Muhammad/The New York Times
Ginnastica in viaggio una libera interpretazione
NASA
TurbulenceForecast.com, un sito per viaggiatori nervosi, informa sulle condizioni del volo.
Le turbolenze scuotonoi nervi, molto più chel’apparecchio.
OPINIONE
RICCI M.VICTORIO
Un esempio di “soggiorno sensoriale”:
Omni ha ideato un “banchetto
dei sensi” e diffonde
nelle sue sale profumo di
citronella e tè verde.
Repubblica NewYork
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Ricordi indelebili
1. Il gatto
viene distratto
dal cibo dopo
aver scavalcato
un ostacolo basso.
2. Mentre il gatto mangia, l’ostacolo scompare.
3. Riaccostandosi
al cibo 10 minuti
dopo, l’animale
solleva la zampa
per superare
l’ostacolo scomparso.
Fonte: Current Biology
M. LLULLAILLACO
CILE
ARGENTINA
A N D E
Sito approssimativodella scoperta
N
Monte
LLULLAILLACO
CILE
ARGENTINA
Salta
Impero Incacirca 1500 d.C.
Km 800
di DENISE GRADY
SALTA, Argentina — La fanciulla, il bambino, la bambinacolpitadal fulmine:eranotrepiccoli Inca, tumulati sullabrullaegelidacimadiunamontagna 500 anni fa, immolati come sacrificio religioso.Portati alla lucenel 1999, aquota6.700metri sulla
vetta del monte Llullaillaco, un vulcano situato 480chilometri a Ovest di Salta, vicino al confine con ilCile, i lorocorpicongelati sono tra lemummie inmi-gliorstatodiconservazionechesianomaistateritro-vate,congliorgani intatti, il sangueancorapresentenel cuoreeneipolmoni, e lapelle e i tratti del volto ingranpartepreservati.Nonvenneadoperataalcunatecnica specifica per conservarli: l’opera è meritodel freddoedell’ariaseccaerarefatta.Morironoas-
siderati nel sonno, e 500annidoposembranoancorabambiniaddormentati, piùchemummie.Negli otto anni trascorsi dalla scoperta, le mum-
mie, conosciute semplicemente come Los Niños, i bambini, sonostate fotografate, passateai raggiX, sottoposte a Tac e biopsie per ricavare il Dna. Gli abiti, il vasellamee lestatuette sepolti insiemea lo-ro sono stati meticolosamente scongelati e conser-vati. I corpi, però, venivano tenuti in celle frigorife-re, nascosti alpubblico: finoaquestomese,quando La Doncella, la ragazza di 15 anni, è stata esibita per la prima volta al Museo di archeologia di alta montagna, creato qui a Salta apposta per esporre le tre mummie.La città argentina, capoluogo provinciale che
Nel mondo dei gatti, così si sviluppa il ricordodi HENRY FOUNTAIN
Sarà vero che i gatti sono un mondo a parte, pe-rò devono sopravvivere nel nostro. Perciò, quando camminano, fanno come noi: usano la vista per elaborare ricordi a breve termine. E se si rimuove il segnale visivo, stando a certi studi, il gatto riesce comunque a superare vari ostacoli prima di smar-rire la strada. Eppure, per ricordare davvero una cosa, affer-
manoDavidA.McVea eKeirG. Pearson dell’Uni-versità dell’Alberta sulla rivista Current Biolo-gy, il felino deve basarsi suun’azione, più che sulla vista.L’atto di scavalcare un ogget-to può generare la memoriaduratura.LaricercadiMcVeasi fonda
su uno studio precedente che dimostra come gli animali ricordino la presenza di un ostacolo anche quando que-sto è stato rimosso. Nell’espe-rimento il gatto in un primo momento scavalcava con le zampe anteriori una barriera alta otto centimetri, poi veni-va distratto mentre l’ostacolo scompariva. Ripetendo l’ope-razione, la bestiola sollevava le zampe posteriori come se l’intralcio fosseancorapresen-te. “La memoria dell’ostacolo durafinché ilgattoresta inpie-
di nello stesso luogo”, spiega McVea.Laricercainiziale tuttavianonchiarivaseacrea-
re questa memoria persistente fossero gli input vi-sivi o altro. Così l’esperimento è stato ripetuto, ma conunavariante: ilgattovede labarriera,peròvie-ne fermatoprimache lascavalchi.Risultato:quan-do riprende a muoversi, non solleva a sufficienza le zampe posteriori. “Il movimento degli arti anteriori assolve a un
compito insolito”, dice McVea. “Fissa la memoria dell’ostacolo”. I ricercatorihannoottenutorisultati
analoghiusandounostacolodi cui il felinopotevaavvertire la presenza senza però vederlo, il che dimostra che gli elemen-ti visivi non sono necessari a creare la memoria. SecondoMcVeaconognipro-
babilità lacortecciacerebrale, che imprime ai muscoli l’im-pulso che genera il movimen-to, invia al contempo segnali a un’altra parte del cervello preposta alla mappatura del-l’ambiente circostante. A detta di Sylvain Fiset, do-
centediPsicologiaall’Univer-sità canadese di Moncton, laricerca indica che i processicognitivi nei gatti si adattanoalle circostanze e che questi“usano vari percorsi neuraliper ricordare eventi diversi”.
Natacha Pisarenko/Associated Press; a sinistra, Museo di Archeologia d’alta quota.
The New York Times
Inca, in Argentina la Vergine di Ghiaccio si rimette in mostra
The New York Times
conta 500mila abitanti, faceva parte dell’impero degli Inca fino al XVI secolo, cioè fino all’invasione dei Conquistadores spagnoli.Le mummie fecero scalpore al momento del ri-
trovamento, ma i responsabili del museo hanno deciso di inaugurare la mostra in modo discreto, senza fanfara né celebrazioni.“Sono dei morti, degli indios morti”, dice Gabriel
E. Miremont, 39 anni, progettista e direttore del museo. “Non è l’occasione per una festa”. Le altre due mummie ancora non sono state esposte, ma lo saranno nei prossimi sei mesi.I ragazzi furono sacrificati nell’ambito di un ri-
tuale religioso chiamato capa-cocha. Camminarono per cen-tinaia di chilometri Cuzco perprendere parte a delle cerimo-nieaCuzco,poi furonocondottifino alla cima del Llullaillaco,gli somministrarono la chicha(birra dimais), e una volta ad-dormentati lisistemarononellenicchie sotterranee, dove mo-rirono congelati. Solo ragazzibelli, sani, fisicamenteperfettivenivanosacrificati;l’essere prescelti rappresentava un onore. Secondole credenze Inca, i fanciulli nonmorivano,maanda-vanoaraggiungerei loroantenati,proteggendoivil-laggidallacimadellemontagne, comeangeli.Miremontdicechemummiebenconservatecome
queste sono rarissime: sono stati necessari appro-fonditi studiperescogitare ilmodod’esibirli al pub-blico senzarischiare il deterioramentodei corpi.La soluzione è stata trovata sotto forma di un in-
volucro dentro a un involucro: un cilindro in acri-lico all’interno di una cassa di vetro a tre strati. Un sistema di controllo informatizzato riproduce all’interno della cassa le condizioni atmosferiche della cima della montagna: bassa concentrazione diossigeno, tassodiumiditàscarsoebassapressio-ne, nonché una temperatura di -18°C.
La luce nella stanza che ospita La Doncella è fio-ca, la cassa è al buio: i visitatori devono accendere una lucepervederla. “Questoeraunaspetto impor-tante, per noi”, dice Miremont. “Se non vuoi vedere il corpo di un morto, non premi il bottone. Sei tu a decidere. Puoi sempre vedere il resto del museo”.Verso la fine di agosto, prima dell’inaugurazio-
ne, Miremont mostrava La Doncella ai visitatori.Toccando un pulsante, sembrava materializzarsidall’oscurità, sedutaagambe incrociatenel suoabi-to marrone e coi suoi sandali a strisce, i pezzetti difoglie di coca ancora attaccati al labbro superiore, ilunghicapellineriarrotolati intanteraffinatetrecce
eunapiegasuunadelleguance,nel punto in cui era appoggiatasullo scialle, durante il sonno.I corpi facevano pensare a
bambiniaddormentati, alpun-to che lavorando su di essi “ci sentivamo più dei rapitori di bambini chedegli archeologi”, dice Miremont.Una dei tre, una bambina di
6 anni, era stata colpita da un fulmine dopo la morte, e per questo porta segni di ustioni sulla faccia, sulla parte superiore del corpo e sui vestiti.Lei e il maschio, di 7 anni, avevano il teschio leg-
germenteprolungato, unadeformazionecreatade-liberatamenteattraverso l’usodi fasciature:segno di appartenenza alle classi alte.Ci sono due aspetti, sottolinea Miremont. Quello
scientifico è il fatto che possiamo leggere il passato studiando lemummieeglioggetti. Il secondoaspet-toèchequesti bambinivenivanodaunaculturaan-cora viva, da un luogo sacro sulla montagna.Qualcuno si avvicina a questa mostra con lo stes-
so atteggiamento con cui si avvicinerebbe a una chiesa, dice Miremont. “Per me è un museo, non un luogo sacro”, dice. “Il luogo sacro è in cima alla montagna”.
Nel Museo di Archeologia d’alta quota, un team di ricercatori attorno alla mummia di una ragazza Inca di 15 anni che verrà esposta.
Immolati agli dei, morti assiderati, la natura ne ha preservato i resti.
Repubblica NewYork
MODE
LUNEDÌ 24 SETTEMBRE 2007 VII
NEW YORK— A seconda di chi ne parla, la moda è borghese, da ragaz-zine, antifemminista, conformista, elitaria, frivola, anti-intellettuale, una figliastra della cultura che solo a sten-
to merita l’attenzione tributata alle arti più secondarie. Con l’apertura della
stagione della Moda nel-le capitali mondiali - da Parigi, Milano, Londra
e New York - all’inizio di un ciclo che si ripete due volte l’anno, fatto di presen-tazioni di grandi stilisti col trampolino di lancio per centinaia di giovani crea-tori – vale la pena domandarsi perché la moda continui a essere la forza cul-turalmente più potente che tutti amano disprezzare. Quel “tutti”nonsi riferisce inque-
stocontestoagliaddettiai lavorinéacoloroper iquali la formadiunabitooil tagliodiunamanicapossonoesserequalcosadideterminante.No:“tutti”significa tuttigli altri, noi, ecioècolorochesnobbano lamodaecolorodicuinonsipuòdireche ladisprezzinoepurehannosempre l’indigestasensazionechequesto irresistibilemondo fattodiapparenzeeauto-rappresentazionesiaimmeritevolediconsiderazionealcuna.“E’ diffusa l’impressione che la
moda non sia una forma di arte o di cultura, bensì una forma di vanità e di consumismo” dice Elaine Showalter, femminista, critico letterario, nonché professore emerito a Princeton. E que-ste, aggiunge Showalter, sono dimen-sioni di una cultura che alle persone “intelligenti e serie” mal si addicono, per comune consenso. In modo partico-lare nell’ambiente universitario, dove il corpo è considerato poco più che un contenitore per trasportare il cervello, e il brivido, il gioco di società, la com-plessa mascherata della moda sono “assai denigrati” conclude Showalter. Quando Valerie Steele, oggi direttri-
ce del museo del Fashion Institute of Technology, dichiarò un interesse per lo studio della storia della moda alla scuola di specializzazione post-laurea di Yale, i suoi colleghi inorridirono. “Rimasi sbigottita dall’ostilità nei miei confronti” dice Steele. “Gli intellettuali pensavano che la moda fosse qualcosa di indicibile, spregevole, se non addirit-tura frivolo e peccaminoso”. E questo, in sostanza, è il modo in cui
viene tuttora guardato colui cui capiti anche solo di menzionare, in compa-gnia di gente seria, un certo interesse per la lettura, per esempio, di Vogue. “Io la odio” mi ha detto una volta
Miuccia Prada, riferendosi alla mo-da. “Ovviamente, la adoro pure”,ha aggiunto, e la sua motivazione rivela molte cose sul perché la moda è un argomento che nessuno dovrebbe ver-gognarsi di prendere sul serio. “Anche quando una persona non possiede nul-la, ha pur sempre il suo corpo e degli
abiti indosso”, ragionava Prada. Ha una propria identità, intendeva dire, costruita nel corso di quell’importante rito quotidiano che consiste nell’ab-bigliarsi. Eppure, malgrado sia uno strumento per indagare la cultura, la storia, la politica e l’espressione creati-va, la moda altrettanto spesso è usata come un’arma, una clava brandita da chi dimentica che ciascuno di noi espri-me qualcosa ogni qualvolta si veste. Alla morte di Michelangelo Anto-
nioni, i critici cinematografici hanno ricordato entusiasti il suo classico film L’avventura. Alcuni hanno fatto nota-re che l’Antonioni degli esordi aveva già perso incisività quando prese a girare film come Blowup, ambientato appunto nel mondo della moda. Non importa che L’avventura sia un
film ricco di stile e che nelle mani di
Antonioni il guardaroba abbia la fun-zione del dialogo. Mancando la trama, è usato dal regista per inquadrare l’at-mosfera dell’anomia dell’upper-class e per dichiarare la propria avversione per i neorealisti italiani. “È così facile detestare la moda” di-
ce Elizabeth Currid, docente presso la Facoltà di politica, pianificazione e svi-luppo dell’università della California meridionale e autrice del testo “The Warhol Economy: How Fashion, Art and Music Drive New York City”. “Le industrie culturali, come la moda, sono spesso considerate qualcosa cui pensa-no soltanto le allampanate studentesse liceali” dice Currid, quasi mai come attività redditizie che garantiscono impiego a migliaia di sarte, tagliatori, modelliste, autotrasportatori, media-tori immobiliari e pubblicitari. “Anche se, per un certo aspetto, la moda è fantasia, la concentrazione di eventi che contribuiscono a darle vita e a produrla, e le loro conseguenti ricadute sociali”, possono costituire un enorme beneficio economico per una città.
Mentre le sfilate stagionali di que-st’anno, con la loro passività forzata e
quell’aura di spettacolarizzazione del-la femminilità, si prestano alla derisio-ne, rafforzando il sentimento che tutti quelli che hanno a che fare con la moda siano poco più che fannulloni e sprov-veduti, i grossi affari vanno avanti. È assai probabile che gli stessi
giornali, sulle cui pagine i critici rac-colgono facili consensi condannando la moda, debbano la propria prosperità economica proprio al vitale sostegno fornito dalla pubblicità che reclamizza abiti, borse e calzature. Una delle scoperte più sbalorditi-
ve scaturite dalla sua ricerca, dice Currid, è quanto potente possa essere qualcosa di tanto superficiale, da ra-gazzette, borghese, antifemminista, conformista, elitario e frivolo come la moda nel dar vita a quella seduzione immateriale che attira nelle città soldi, talento, bellezza e aziende. “In che mo-do un luogo si differenzia da un altro in un mondo nel quale c’è una caffeteria Starbucks, con locali identici, ad ogni angolo?”, si chiede Currid. “La gente deve credere che quella è proprio la città giusta nella quale trovarsi”. E la moda ha questo effetto.
di GUY TREBAY
TOKYO — Per i seguaci del culto giapponese del denim, Hinoya Plus Mart è una miniera di jeans prodotti in edizione limitatadaaziendegiapponesi di nicchia. Nel nome dei marchi c’è già dell’ineffabilepoesia:Skull, Skinny,Sa-murai o Sugar Cane.La capricciosa evoluzione del gusto
ha inaugurato l’era dei cosiddetti jeans di “primascelta”,vendutiaoltre150eu-ro. L’angolo del denim, inedito ancora cinque anni fa, oggi è un elemento im-prescindibile in ogni negozio specializ-zato che si rispetti.“Il denim giapponese punta sempre
sull’estremaindividualità”spiegaLong Nguyen, direttore della rivista ameri-cana “Flaunt”. Nguyen,uno dei primi estimatori del denim giapponese, già diecianni fa indossava jeans aedizione limitata prodotti da Evisu: molto pri-ma, cioè, che gli artisti hip-hop inizias-sero a pagare 500 euro per un modello realizzato per una sola stagione e poi ritirato dal mercato.“I jeans di prestigio sono concentrati
in un numero molto limitato di stili pro-dotti in quantità ridotte”, dice Nguyen, che ultimamente ha abbandonato gli Evisu per i jeans della Yoropiko e per quelli della Rmc, un’azienda fondata nel 2002 con il marchio Red Monkey Jeans da uno stilista di Hong Kong, Martin Ksohoh (all’epoca conosciuto come Martin Yat Ming) che produce pantaloni secondo uno stile americano utilizzando però le elaborate tecniche giapponesi. Il fatto che le tasche poste-
riori degli Rmc, decorate con stampe giapponesi realizzate a mano, siano l’emblema della “edizione limitata”, può in parte spiegare come mai vadano a ruba in negozi come Lane Crawford di Hong Kong e tra clienti come Long Nguyen o il rapper Jay-Z, che non si scandalizzano di fronte al cartellino col prezzo di 2.000 euro. Tuttavia, da Hinoya Plus Mart non è il design ba-rocco di Martin Ksohoh a richiamare il maggior numero di fedelissimi. A farla da padrone sono soprattutto le griffe il cui stile sommesso, quasi anonimo, è in
linea con la scelta “anti-brand” (contro le marche e le griffe) lanciata nel 2003 daWilliamGibsonnelromanzoPattern Recognition. La protagonista del libro ha un’avversione tale verso i modelli griffati da indossare solo abiti anonimi di negozi come Muji – la catena giappo-nese dai prodotti spesso privi etichetta e il cui nome, tradotto letteralmente, si-gnifica, appunto, “senza nome”.“Si torna al concetto originario della
Levi’s”,diceKiyaBabzani,proprietario di Self Edge, una boutique di San Fran-cisco. “L’ideaèquelladi indossarequal-
cosadigrandequalitàe fattura”mache sia allo stesso tempo anonimo.Come accade con il minimalismo in
architettura,anche l’assenzadivisibili-tà nell’abbigliamento non è a buon mer-cato: le riproduzioni dei classici Levi’s Vintage prodotti dalla Sugar Cane ne-gli Stati Uniti costano fino a 300 dollari - ammesso che si riesca a trovarli- e in Giapponenonsonomoltopiùeconomici. Come tutti i migliori prodotti in denim giapponesi, quelli della Sugar Cane so-no realizzati in cotone su stretti telai e prodotti in un tessuto più pesante della maggiorpartedei tessuti commerciali, tinti seguendo un metodo gelosamente custodito che conferisce al prodotto fi-nale un colore azzurro carico.“Stiamo vendendone moltissimi”,
si rallegra Koji Miura, proprietario di Hinoya, rifererendosi alle riproduzioni dei Levi’s degli Anni Quaranta, legger-mente alti in vita e larghi sulla gamba, oppure agli stretti 501 di moda nella stessa epoca in cui l’esercito america-no bombardava la Cambogia, e anche a una versione di jeans stretti in fondo risalente alla fine degli Anni Sessanta.“Guardi chebelli questi 501del 1966”,
esclama il signor Miura, mostrando un paio di Sugar Cane. E lo sono davvero. Consapevoli che laversionegiapponese di ogni prodotto nazionale è molto più raffinata rispetto a qualunque cosa venga prodotto oggi in America, c’è chi èprontoaspenderevolentieri 250dolla-ri per un paio di pantaloni che ne sareb-be costati soltanto 20, in un tempo che sembra secoli fa.
di CATHY HORYN
Il giovanilismo ci opprime, ci emargi-na. Anche se la donna sa perfettamente cosa si adatti meglio al suo corpo, alla sua età e alla sua personalità, è difficile evitare vetrine che espongono baby doll e abitini a trapezio, magliette di cotone increspato, pettinato, ristretto, collane e braccialetti da ragazza e schiere di ri-viste in cui abbondano il rosa e chiome lunghe e arricciate.“La scelta è tra l’ indossare qualcosa
di giovanile o fare la guastafeste”, ride Linda Wells, direttrice di “Allure”.Susan Stone, proprietaria di un nego-
zio californiano della catena Savannah, ha clienti quasi tutte sopra i 40. La que-stionedell’abitopiùconsonoall’età,dice, s’è posta con il tramonto tailleur-panta-lone. “Il tailleur-pantalones’indossavaa ogni età”, ricordaStone. “Adessoc’è solo il vestito: versione baby-doll, svasato, mini”. Riflette: “Puoi essere in forma quantovuoi,madopogli “anta” laminiè esclusa: ti fa sembrare ridicola”.A giudizio della Stone, Alber Elbaz,
stilistadiLanvin, hacreatounbell’abito senzamaniche(“nasconde laparte infe-riore del braccio, non certo bella”). C’èun’indiscutibileveritàriguardoal-
la moda e all’età: “Sta tutto nel taglio”, dice Isabel Toledo, stilista per Anne Klein. In effetti, se le quarantenni e cin-quantenni si sentono inspiegabilmente a disagio in un capo, aggiunge la Tole-do, forse dipende soltanto dal fatto che nell’industria della moda scarseggia la sartoria di qualità.
Molte giovani mamme in carriera non hanno né tempo né interesse per lo lo shopping. Natasha Fraser-Cavas-soni, scrittrice a Parigi, la mette così: “L’idea di pranzare con un’amica e poi fare shopping? Preferisco darmi una botta in testa”Cresciuta in Inghilterra, la signora
Fraser-Cassoni nota una differenza ri-spetto alle francesi e alle italiane: “Non badano tanto alla marca quanto le an-glosassoni”, dice.Fissate per i capi firmati oppure no,
molte donne non riescono a trovare gliabiti che cercano e che avrebbero la pos-sibilità economicadi comprare.Qualchetempo fa, Courtney Hanig, architetto emadre di due ragazze adolescenti, cer-cavaqualcosadispecialedaindossare invistadialcuneoccasioni. “Erodispostaaspendereunabellacifra,eppurenonsonoriuscitaa trovareunbelniente”,dice.“Non voglio sembrare una matrona”,
aggiunge. “Penso che ci sia una impor-tante lineadidemarcazione tra lamam-ma alla moda e la matrona”.Certi semplici accorgimenti evitano
le seccature legate all’età. Trovare unnegoziante che conosca il vostro tipofisico e che vi tenga da parte gli abitiche fanno per voi, prima che li scovinoaltre clienti. “Un bravo sarto è megliodi un chirurgo”, dice la Wells, che con-siglia un po’ di imbottitura sulle spalleper dare sostegno alla postura. Nientepuò invecchiare più del trucco e dellapettinatura.Perciò, èmeglio evitareuncorrettore troppo pesante e un rosset-to o uno smalto troppo scuri. “I capellihanno un aspettomigliore quando sonoleggermente più chiari di quando ave-vate 20 o 30 anni”, consiglia la Wells.“E non dovranno avere mai un aspettorigido”.
Abbasso la moda. Viva la moda. Un potere che conta.
Tokyo, caccia ai jeans minimalisti. Valgono quanto l’oro
Età, se bellezzanon fa rimacon eleganza
GUY
TREBAY
COMMENTO
L’identità si crea anche attraverso il rito dell’abbigliamento.
Charles Platiau/Reuters
Malgrado l’ironia di certa élite intellettuale, l’industria della moda è una potenza sia culturale sia economica.
Torin Boyd/Polaris
Modelli anonimi, in edizione limitata: i jeans dell’Hinoya Plus Mart a Tokyo, attirano schiere di devoti. Koji Miura (nella foto) è il proprietario.
Disegni di Sara Singh
Un abito svasato di Chloé; la giacca in tweed di Moschino è utile per chi vuole sovrapporre vari strati.
Repubblica NewYork
AR T I E T END ENZ E
VIII T4ÌNMC 7B 2N33NUL1N 744D
di CHARLES McGRATH
E’ la primavera del 1992: Chri-stopher McCandless, 24 anni, origina-rio della Virginia, sbarca in Alaska in autostop dopo aver vagabondato per due anni. Armato di un fucile calibro .22, e di quattro chili e mezzo di riso, si accampa nella foresta, in un autobus abbandonato non lontano dal fiume Teklanika. Vive così per quattro mesi, da apri-
le ad agosto, finché muore per fame:ridotto allo stremo, pesava ormai sol-tanto 30 chili.IlmisterodelcasoMcCandlessresta
irrisolto. In Alaska c’é chi crede che egli fosse un ragazzo inesperto, inca-pace di vivere da solo nei boschi. Altri ritengono che, speso o dato via tutto il suo danaro, tagliati i ponti con la fa-miglia e presa l’idenità di Alexander Supertramp, egli fosse mentalmente instabile.La vicenda ora è ricostruita da un
best-seller di Jon Krakauer, Into the wild. Nel romanzo la morte è attribui-taaunavvelenamento, inseguioall’in-gestione involontaria di semi di patata selvatica. Respingendo la tesi della follia, il
libro presenta McCandless nei panni dell’eroe, alla stregua di Jack London eThoreau:unesploratoresolitario, al-la ricerca di un rapporto più autentico con la natura.L’interpretazione di Krakauer ha
convinto gruppi di pellegrini che da anni si recano invisitaall’autobus, tra-mutato inunasortadi santuario, rima-sto intattocosì come l’aveva lasciato, e gli rendono omaggio con testimonian-ze scritte. Adesso il luogo — distante 35 chilo-
metridallastradapiùvicina—potreb-be trasformarsi in attrazione turistica per l’imminenteuscitadi Into thewild, unfilmtrattodal librodiKrakauer,con straordinarie riprese che fanno appa-rire l’Alaskaun seducente paradiso. Into the Wild è stato scritto, diretto,
e girato, in parte, da Sean Penn, che ha affrontato il progetto con la stessa caparbietàcon laqualesi èdatoall’im-pegno politico. Il fatto che Hollywood potesse appassionarsi a un film che racconta il progressivo deperimento di un ragazzo, fino alla morte, non ha scoraggiato Penn. Il regista dice d’avere preso in mano
il libropocodopo lasuauscita,nel 1996, e,arrivatoall’ultimapagina,ha inizia-to a leggerlo di nuovo. Voleva a tutti i costi farneun film:questogli fuchiaro dal primo istante.
Sean Penn non era l’unico, e come altri avvicinò sia Krakauer che i geni-tori di Christopher McCandless: Walt e Billie. Impresa non facile poiché nel libro i McCandless appaiono come una coppia infelice, spesso litigiosa, che il figliodisapprovaconrisentimento.Al-la notizia del film, i due erano percorsi da sentimenti contrastantiCosì si viene a sapere che nella deci-
sione presa da Christopher di chiudere con i genitori, pesò anche la scoperta che ilpadrenonsolo fossestatogiàspo-sato,machedopo lasuanascitaavesse avuto un figlio con la prima moglie.Pennalla fine l’haspuntata.McCan-
dless è interpretato da Emile Hirsch. L’attore nelle ultime riprese doveva apparire emaciato, anzi scheletrico quanto doveva esserlo McCandless, perciò è stato costretto a perdere 18 chili: quasi un quarto del suo peso. Di più: ha dovuto percorrere le ra-
pide in kayak, cosa mai sperimentata prima;galleggiarenudo inunruscello gelido;rimanere impassibileallavista diunenormegrizzlypassatogliapochi
centimentri di distanza (l’orso si sup-pone sia stato ammaestrato). Oltre alla resistenza fisica, Hirsch
porta nel ruolo una sorta di folle fasci-no. La sua interpretazione suggerisce cheMcCandless fosseun“candido”,un innocente, quasi un santo laico. Per girare il film Penn ha installa-
to una copia dell’autobus a Cantwell, in Alaska, circa 80 chilometri da dove McCandless morì. Anche la musica nasce da un’intui-
zione del regista. Nel progetto iniziale dovevano intervenire vari cantautori, mapoi,osservandol’interpretazionedi Hirsch, Penn ha pensato a Eddie Ved-der, la voce solista dei Pearl Jam. SottopostoaVedderuntagliononde-
finitivo, il cantante ha scritto una co-lonna sonora intensa e sentimentale.“Quel che più mi ha commosso di
questastoriaèche inunbrevissimoar-co di tempo quel ragazzo ha avuto una vita davvero piena”, dice Penn. “Ne ha consumato tutti i capitoli in un fiato, come pochissimo fanno”.
Un nuovo Jack London nel Canada selvaggio
Attenti a quel trio: è tornato Sonny Rollins
MICHAEL
KIMMELMAN
COMMENTO
di BEN RATLIFF
Sonny Rollins non si è limitato a in-fluenzare gli altri sassofonisti: ha pro-dottomezzosecolodiascoltatoriattenti. I suoi lunghi e inconfondibili assoli per sax tenore, che ha cominciato a elabo-rare circa 50 anni fa, sono diventati au-tentica retorica americana, delirante ed estatica: il pubblico, ascoltandoli, ha ricalibrato la propria immaginazione. Ma le sue opere più importanti, degli
Anni Cinquanta e Sessanta, hanno abi-tuato gli appassionati ad aspettarsi co-se che lui, dopo, non era più disposto a concedere.Forse la speranza più inconfessa-
bile era che lui semplificasse le cose e ricominciasse a suonare come faceva
spessonegliAnniCinquantaeSessanta, accompagnato solo da un bassista e un batterista.Perciò quando Rollins, che questo
mese ha compiuto 77 anni, ha annuncia-to un suo spettacolo al Carnegie Hall a New York, e che per parte del concerto avrebbe suonato in trio con il bassista Christian McBride e il batterista Roy Haynes, tutti quelli che seguono con at-tenzione ilmondodel jazzsi sono fermati e hanno tratto un bel respiro.Checos’hannodi tantospecialeSonny
Rollins e i suoi trio?Quando Rollins decise di non scrit-
turare un pianista per il discoWay Out West, nel marzo 1957, il jazz cambiò im-percettibilmente rotta, nella sua dire-
zione. “Quellocheneho ricavato”, ha detto lui, “nel bene o nel male, fu di avere l’opportunità di suonare quello che avevo in testa. Ero li-bero”.“Quando suonavo
con Miles Davis”, che fu il primo a scritturare Rollins, alla fi-ne degli Anni Quarantava, “ricordo che facevamo una cosa che chiamavamo ‘passeggiatina’: il piano veniva esclu-so e suonavano soltanto il batterista e il basso con lo strumento a fiato”. L’assenza del piano consentì a Rollins
di assumere un ruolo ben diverso all’in-terno della band.
“Lo strumento a fiato è quasi obbligato a seguire il pianista”, spiega. “Ci sono delle eccezioni,ma ingenere il pianista sta un gradi-
no più su dello strumento a fiato”.Lew Tabackin, veterano del sax teno-
re, avevapocomenodi trent’anni evive-vaaFiladelfiaquandosentìper laprima voltaRollinssuonareintrio.“Quell’espe-rienza fubasilareperquellochecercavo di fare”, dice. “Ascoltare Sonny in trio è stata lapiùgrandeesperienza jazzistica che io abbia mai avuto”.
Una di queste grandi esibizioni in trio èquasi introvabile: le trecanzoni suona-te da Rollins durante la sua prima esibi-zione alla Carnegie Hall, il 29 novembre 1957, con Wendell Marshall al basso e Kenny Dennis alla batteria. Dai nastri, scoperte nella Biblioteca del Congresso nel 2004, è stato ricavato il fenomenale cd Thelonious Monk Quartet With John Coltrane at Carnegie Hall.“Potrà sembrare strano”, dice Rol-
lins, “ma certe volte ho trovato più sem-plice, meno impegnativo fisicamente, suonare con un trio. Quando ci sono altri strumenti, a uno verrebbe da pensare: ‘Beh, ci sono altri a darmi una mano, a prendersi un po’ di spazio, quindi non so-nocostrettoasuonare tutto io’. Inrealtà, però, funziona al contrario. In quelle oc-casioni, quando ho suonato con basso a batteria, alla fine ero meno affaticato e mi sentivo più euforico”.
Stephanie Berger per The New York Times
RADEBEUL, Germania — Jürgen Michaelis è da solo all’interno di un teepee non molto più grande di una ca-bina telefonica, sul retro di una casa di Dresda. Michaelis, 50 anni, un passato
di fabbro e addetto alle demolizioni, si è trasferito qui da Chemnitz (un tempo Karl-Marx-Stadt), qualche anno fa. Dietro un paio
di lenti spesse, felice di avere ospiti, mostra orgoglioso il suo abito cucito a mano in pelle di daino. Sbilenca sulla te-sta porta una parrucca nera arruffata con una piuma blu. Ai suoi piedi arde un minuscolo fuoco di carbonella, appena sufficiente a scaldare un pentolino d’ac-qua nelle mattine fredde.“Il mio nome indiano”, mi dice, “è Uo-
mo Solitario”.In occasione dei powwow— se ne
tengono dozzine ogni anno, espressione della tradizione dei nativi — migliaia di tedeschi con la fissazione degli indiani d’America bevono una bevanda simile al whiskey, indossano monili di turche-se e girano per il Baden-Württemberg o lo Schleswig-Holstein vestiti da Coman-che e da Apache. Ci sono ritrovi, riviste, figurine,
corsi scolastici, popolarissimi film western “made in Germany”, e arene all’aperto, ad esempio una sui pendii di arenaria sopra la piccola città-fortezza medievale di Rathen, in Sassonia, dove i cowboy combattono gli indiani in sella ai cavalli. Causa di questa infatuazione è Karl
May (1842-1912), scrittore pressoché sconosciuto negli Stati Uniti, ma famo-sissimo autore popolare qui.Ha scritto decine di libri che hanno
venduto più di 100 milioni di copie, forse il doppio considerando le traduzioni dal tedesco. L’imperatore Guglielmo II,
come May personaggio fantasioso che amava indossare costumi esotici, ado-rava i suoi libri. Lo stesso vale per Ein-stein e Albert Schweitzer, Kafka e Fritz Lang. Hitler non faceva eccezione. L’eroe dei romanzi era Winnetou, un
capo Apache inventato, qui un nome sulla bocca di tutti. Durante i mondiali di calcio, l’anno
scorso, una occasione per i tedeschi di fare dibattito, come spesso accade, sulle insidie che comporta la rinascita dello spirito nazionalista, l’autorevole settimanale Der Spiegelha pubblicato un articolo dal titolo: “La terra di Win-netou”. “Ci sono i poeti e i pensatori tedeschi,
la Foresta nera, la Gemütlichkeit (la sensazione di star bene in un posto), l’efficienza tedesca, la passione per l’Italia, e poi c’è Winnetou”, recitava. “Winnetou è la quintessenza dell’eroe tedesco, modello di virtù, amante della natura, pacifista nel cuore, ma in un
mondo in guerra il migliore dei guerrie-ri, vigile, forte, sicuro”. Si potrebbe dire che May è stato as-
surto a simbolo dello spirito germanico. La “naturale simpatia” dei tedeschi per gli indiani d’America risale a tempi lon-tani, mi dice Johannes Zeilinger. Specialista in chirurgia della mano,
il dottor Zeilinger, 59 anni, cultore di May, è curatore di una grande mostra sullo scrittore presso il Deutsches Hi-storisches Museum di Berlino. Tacito definiva le tribù germaniche un popolo integro, primitivo, fiero e in simbiosi con la natura, ai margini di un impero corrotto e vorace. May attinse a quello spirito primor-
diale, nonché al crescente interessesviluppatosi allametà del Dicianno-vesimo secolo per l’America e i Paesiesotici.Ma torniamo a Radebeul. Michaelis
riconosce in sé una identità mista. “Sono al 75 per cento indiano, ma pur sempre tedesco”, dice. Spiega che, pur amando il suo teepee, recentemente ha accettato la proposta di dormire nella casa di Karl May, perché il rumore del traffico tra Dresda e Meissen lo tiene sveglio la notte. Si avvicina l’ora di pranzo e mi con-
siglia un saloon all’angolo che vende hamburger di bufalo. Dice che lui va lì quando può permetterselo. Stasera cu-cinerà sulla brace. “Schnitzel”: un piatto decisamente
tedesco.
In Germania sotto il teepee, come gli Apache
Archiv Verlegerfamilie Schmid
Chuck Zlotnick/Paramount Vantage
Emile Hirsch, a sinistra, e Sean Penn. In “Into the Wild”, Hirsch è un
esploratore perso nella natura selvaggia fino alla morte per fame.
Cliff Serna per The New York Times
Parola di Rollins:
a volte suonare con
un trio è molto più
semplice.
Kara Ben Nemsi e Winnetou:
un ritratto dei protagonisti
indiani dei romanzi di Karl
May, nei primi del 1900.
In alto, Jürgen Michaelis nel
suo teepee a Radebeul.
Il giovane vagabondo, lasciata la famiglia, scompare in Alaska.
Repubblica NewYork