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LO STRILLONE N° 3 - Maggio 2005 1

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N° 3

Maggio

All’interno:

� I SALUTI DELLA

NOSTRA INSEGNANTE DI ITALIANO

� ANGOLO DELLA POESIA . CLASSI 1° E 2° SIRIO

� SPORT

� RACCONTI E TEMPO LIBERO

� CULTURA STRANIERA E ITALIANA

� RACCONTI ISPIRATI DAL FILM “LA GABBIANELLA E IL GATTO”

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Arrivederci Ora Bravi Proprio Cari Questo Discepoli, Ricordo. Encomiabili Una Fanciulli Volonta’ Grandi. Zelante!!! Ho In Memoria Nitidamente Auguri di Buona Fortuna!!!!

nna

omaniello


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� L’ANGOLO DELLA POESIA . CLASSI 1° E 2° SIRIO

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Tutto nella vita cambia,

si spegne, si trasforma

ma rimane un punto fermo, unico,

insostituibile, grandioso

è il tuo bene che mai nessuno potrà togliermi. Capisci che vivere è meraviglioso, non è una cosa scontata e dovuta,

perché ti svegli o perché ti hanno messo al mondo, perché inizi ad apprezzare ogni piccola cosa

che ti circonda e alla fine capisci che l’unico scopo

per cui valeva la pena vivere è amarti!

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Tu fanciullo senza età

sereno nella tempesta, tempesta d’amore.

Con lacrime senza dolori

ogni lacrima dei miei occhi è di gioia, gioia nella vita

perché nella mia vita ci sei tu.

Adalgisa Ferrera

L’angolo della Poesia.


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� I SALUTI DELLA NOSTRA INSEGNANTE DI ITALIANO


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IL PESCATORE �

Con aria pacata scandaglia la sua rete, i raggi del sole accelerano la sua sete. L’orecchio si indispettisce al vagito di un bambino, la gioia lo pervade al fischio di un gabbiano. Ha sempre la bocca serrata e la pelle scura, anche se la banchina è gelata ed i tuoni rimbombano in un cielo che fa paura. Si appisola all’angolo della sua prua ma un occhio resta sempre aperto. Se abbocca un pesce grosso non esita a gettarsi in acqua, giunto il tramonto rema verso il porto. Seguendo la luce del faro torna col suo bottino, immaginando la preda del prossimo mattino. Adesso sembra un uccello in gabbia, perché costretto a gettare l’ancora. Ma lo vedremo allegro come un fanciullo, quando la isserà molto prima che giunga l’aurora.

Rosario Persico È qui nel mare del nord dove devo costruire il mio castello di alte cupole dorate? Oh! Si, ti amo, mare vasto e ruvido, di selvagge onde, di terribili tempeste! Però l’amore deve essere libero,ed andare dove vuole. Un castello sarà come un anello di matrimonio: potrà per caso l’amore unirsi a lui? Io voglio volare come i gabbiani. Volare libera sopra le sue acque. Non desidero fare in alcun modo un nido per sempre.

Adalgisa Ferrera �


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FILASTROCCA Truttuzèla cavalòun trotterella cavallone, va in piaza dal padròun va in piazza dal padrone degh acsè a la sgnòra Reina dì così alla signora Rina ch’la parècia bein da zeina che apparecchi bene la cena ch’à da gnir di furestèr che devono venire dei forestieri tòtt vistì da cavalèr tutti vestiti da cavalieri bòtta dedzà, bòtta dedlà butta di qua, butta di là tottà l’acqua la va per cà. Tutta l’acqua sparsa per casa. LA MANINA MATTA La manèina maàta La manina matta la pèccia chi la càta picchia chi la trova la càta al so padròun trova il suo padrone l’à-gh mola du s’ciafon gli da due schiaffoni nanein nanein piccolino piccolino fa la nàna al mè putèin fa la nanna mio bambino nanèin cucàtta che la mamma è andata a Messa che la mama l’è andèe a Màssa il babbo è andato al mercato al papa l’è andèe al marche il bimbo è addormentato. al putèin l’è indurmintèe. FILASTROCCA Se Dio vòl l’è andè via al Se Dio vuole è andato via Dòca, Franzàsch Quint l’à il Duca, Francesco Quinto fat fagòt, Dio vòia ch’al ha fatto fagotto; Dio voglia straboca, ch’al s’inzòca in che inciampi, che si “inzucchi” fonda al fos! In fondo al fosso! FILASTROCCA Lumagòt, lumagòt Lumacotto ,lumacotto Tìra fora i to curnòt, tira fuori i tuoi cornini, un per me, un per te, uno per me ,uno per te, un per San Matè. uno per San Matteo. �� Benincasa Monica


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CANZONCINA POPOLARE

In d-al mès ed la vendàmia Nel mese della vendemmia Geminino cusa fàmia? Geminiano, cosa facciamo? Bujì dl’òva in quantità bollite dell’ uva in quantità s’a vlì bàver po’ st’istè poi volete bere questa estate. LA FERA ED SAN ZEMIAN

Per la fera ed San Zemian Per la fiera di San Geminiano La montagna vin al pian la montagna viene al piano ela bàssa la vin in so e la bassa viene in su dentr’ed Modna ann gh’in dentro a Modena non ce sta piò. ne stanno più FILATROCCA

Nadèl e Pasqua a cà di tò , Natale e Pasqua a casa dei tuoi, a Capdan da chi et t’impat, Capodanno dove ti imbatti, a Carevèl a cà di mat. a carnevale a casa dei matti. FILASTROCCA

Campa cavàl che l’erba la cres, Campa cavallo che l’erba cresce, e meinter che l’erba la chersìva, e mentre che l’erba cresceva, al cavàl al muriva il cavallo moriva. FILASTROCCA

Quand avril al fa da urlant Quando Aprile è molto piovoso Al vèl piò al sach che al gran. vale più il sacco che il grano. FILASTROCCA

Alpinista so al Zimon! Alpinista, sul Cimone! Gamba lèsta a bon baston : gamba lesta e buon bastone: e ann’v’scurdèdi per la fàm e non vi scordate per la fame ed tòr vòsch pan e salàm . di prendere con voi pane e salame. ��Benincasa Monica


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Le troppe delusioni, che stanno arrivando dal campionato di F1 per la scuderia di Maranello e per i tantissimi tifosi, hanno convinto Luca di Montezemolo a valutare in modo saggio il da farsi per ora ed in futuro. I problemi ci sono, sia per quanto riguarda le gomme che per la meccanica della nuova F2005. In effetti lo si è visto anche domenica, nel G.p. di Spagna: tutti i tentativi di recuperare posizioni da parte di Michael Schumacher sono andati a vuoto. A vanificare la rincorsa di Michael sono stati due pneumatici, entrambi fuori uso per una banale manovra di assetto con scarso equilibrio del pilota e dell’alettone col baricentro alte-rato dalla erronea pressione delle gomme. Ora bisogna guardare avanti, Montezemolo è sicuro che lo spirito è quello giusto. E sicuramente ci saranno nuove vitto-rie per portare la Ferrari di nuovo sul gradino più alto!! �

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� I SALUTI DELLA NOSTRA INSEGNANTE DI ITALIANO


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Alla ricerca dell’amicizia perduta La nostra società ha perso un tesoro: l’amicizia. Anche se gli italiani non si sentono soddisfatti dalle proprie relazioni con gli amici, l’amicizia rimane nell’immaginario di tutti uno dei valori più stimati. Il mondo non può andare avanti senza amicizia. Co-me sostiene Aristotele:”un uomo non è tale senza un amico”. Bisogna cercare di definire il rapporto dell’amicizia che spesso confondiamo con solidarie-tà, benevolenza o compassione. Siamo portati a cre-dere che l’amicizia non serva. Un tempo era la migliore compagna di banco, ora è la competitività. Forse l’educazione all’amicizia spetta ai genitori, che possono trasmettere ai pro-pri figli sentimenti come l’accoglienza fra coetanei e la collaborazione.

Ma chi è per ognuno di noi il vero amico?

Per me è una persona con la quale posso confidarmi liberamente e fidarmi, disposta ad aiutarmi ed ad essere aiutata, che mi sa ascoltare, crede in me e mi accetta come sono. L’amicizia è come una pianta che bisogna saper coltivare, ha bisogno di terra, acqua e sole per po-ter vivere e dare i migliori frutti.

Katia Pianosi �

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SSccuuoollaa JJaaccooppoo BBaarroozzzzii Quest’anno noi della classe 1°A Sirio, abbiamo potuto iniziare in-sieme ai professori un lungo cammino scolastico. Ciò che rimane impresso nella mente di ogni alunno è sicuramente ………….

…il modo di fare dei professori:� C’è chi, con la scusa del comportamento ci chiede 1 o 2 euro per mangiarsi la pizza insieme a noi alla fine dell’anno! Ma che in real-tà lo fa solo per sdrammatizzare le lunghe ore di scuola dopo altret-tante ore di lavoro. Chi vorrebbe condurci alla vita in Germania! (Forse è meglio aspettare ancora un po’!). Magari il prossimo anno, dato il Suo accurato insegnamento. Chi tenta di farci tacere e per farcelo capire lo dice anche in ingle-se, ma… si fa quel che si può!

C’è anche chi pensa che siamo tutti scienziati o meglio, che vorrebbe lo fossimo! (Ad ogni suo compito ci vorrebbe il dizionario!) Ma come dice Lui: “Sono tutti esercizi di vita!”. Chi non aspetta altro che dare i numeri e poi alla fine della sua ora, li diamo anche noi! Insomma si potrebbe dire di tutto e di più, ma la cosa importante è che tutti i nostri professori hanno nel cuore la voglia di insegnarci al meglio la propria materia e speriamo sia sempre così!!

Barbato Erika �


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�� La chiave di Sol (o di Violino) fissa la posizione della nota Sol sulla se-conda linea del pentagramma semplice e corrisponde alla quinta nota ascendente del Do centrale. La chiave di Sol viene chiamata anche chiave di Violino perché la mu-sica sia per il violino sia per la voce acuta (canto) viene scritta in que-sta chiave. La chiave di Sol derivò da una trasformazione della lettera G, che nel sistema letterale internazionale corrisponde alla nota Sol.

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�� C D E F G A B C Do Re Mi Fa Sol La Si Do

�� La chiave di Fa (o di Basso) fissa la posizione della nota Fa posta sulla quarta linea del pentagramma semplice e corrisponde alla quinta nota discendente del Do centrale. La chiave di Fa viene chiamata anche chiave di Basso perché usata nella scrittura musicale per la voce di basso e per tutti gli strumenti la cui estensione è grave. Essi sono: contrabbasso, basso, trombone basso, fagotto, pianoforte per le note che dal Do centrale scendono verso il grave. Il suo segno grafico è una trasformazione della lettera F che sistema internazionale corrisponde infatti alla nota Fa.

Andreoli Martina �


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L’amicizia Trattare un argomento così delicato come questo non è facile. Cosa si intende per amicizia, ognuno di noi ha la propria opinione. Vi sono persone che la considerano un mezzo per arrivare a certi livelli più alti. Al-tri la sfruttano fanno credere di non svelare segre-ti ma è un modo per poterli raccontare ad altri e prendersi gioco delle persone alle spalle. Altri an-cora senza amici non sanno vivere, ed altri che tut-ti sono amici ma quelli veri li conti sulle dita di una sola mano. Nel corso della vita di ognuno di noi quante volte siamo stati traditi da chi consideravamo amico. Quante volte abbiamo dovuto umiliarci davanti a per-sone che credevamo amici invece ci prendevano in gi-ro e ridevano dei nostri problemi anche solo se si trattava di una confidenza banale. Oppure abbiamo fatto qualche stupidata, di cui ci vergognavamo tan-tissimo e li giù battute pesanti, mettendoci in dif-ficoltà con le persone che ci circondavano, e con la vergogna che ci saliva addosso diventare rossi di rabbia “pensare di sprofondare in quel preciso i-stante senza che nessuno se ne accorgesse”. Poi ci sono alcuni che non sanno sinceramente cos’è un amico. Stiamo affrontando questo argomento con la consape-volezza, che in noi ci sia un pezzo di cuore del no-stro più caro amico. Cos’è un vero amico? Un vero amico è colui o colei di cui ti puoi fidare quasi come se fossi tu ad affrontare il problema. È la persona con la quale non hai bisogno di chiedere perché già te lo dà. Capisce senza parlare, capisce senza spiegare e non vuole essere ringraziato, anzi è lui che ringrazia te, ti dona il suo sorriso di conforto e ti consola sempre in tutte le occasioni belle o brutte che siano. La conclusione potrebbe essere con il vecchio pro-verbio “chi trova un amico trova un tesoro”. Ma io aggiungo: se le piante non le annaffi muoiono ed an-che per le amicizie è così, bisogna saperle coltiva-re, soprattutto quelle vere.

Lidia

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LA PICCOLA STELLA Nel nord del Madagascar ci sono delle spiagge bellissime. Con un mare cristallino ricco di coralli,pesci e stelle di mare. Maria ha deciso di andare in vacanza proprio lì. Maria è una ragazza fredda e pensa solo a se stessa. Arrivata lì, ha voluto subito vedere questo mare. Incredula ai suoi occhi,Maria fece subito un gran tuffo. E ogni giorno, faceva delle passeggiate sul lungo mare. Vedeva sempre un giovane prendere una stella e gettarle in mare . Un giorno gli chiese: Perché lo fai ? Che differenza fa, se domani la spiaggia sarà piena di stelle ? Egli risponde : Per questa piccola stella ho fatto la differenza . Sorpresa dalla risposta del giovane , Maria ha pensato che forse a-veva ragione perché la piccola stella poteva morire essiccata dal so-le, come tutte le altre. Da quel momento Maria non fu più la stessa,c’era qualcosa nel suo sguardo. Maria ritorna a casa con suoi pregi e difetti, e qualcosa in più. Con il suo papà va a fare una passeggiata sul piccolo mare di Ri-mini. Maria vede una piccola stella di mare… senza pensarci più di tanto la prende e la getta in mare. Il suo papà sorpreso le chiese: Perché lo fai ?che differenza fa se domani la spiaggia sarà piena di stelle ? Maria risponde : Papà , per questa piccola stella ho fatto la diffe-renza. p.s Maria ha imparato che anche nei piccoli gesti si può fare la dif-ferenza.

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INSALATA RUSSA

Ingredienti: 200 g carne bollita di vitello 1 barattolo di piselli 5 uova bollite 1 cetriolo fresco 1 cipolla piccola di tropea 2 carote bollite Condimento: sale, pepe nero, prezzemolo, 3 cucchiai di maionese 1 cucchiaio di panna. Preparazione: Tagliare tutti gli ingredienti a dadini piccoli. Aggiungere i piselli; condire con sale, pepe, prezzemolo, maionese e panna. Nota : servire a tavola come antipasto. ELENA TSYNSKAYA. �

LIMONCINO PUGLIESE Ingredienti: 10 limoni 1 lt d’alcool puro a 95° 3 bicchieri di zucchero Preparazione: raccogliete solo la scorza di limone, ponetela in un vasetto di vetro chiuso, versate l’alcol a 95°, ora lasciatelo riposare per alcuni giorni, fino a quando il colore dell’ alcool non diventa scuro. Dopo di che procurarsi due bottiglie in vetro, e versare acqua e zucchero. In fine metterlo in frigo e servire freddo. VALENTINA DEL CONTE�

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VIAGGIO IN PERU’ …….. anche solo con internet

Il Perù è uno splendido stato del sud America, con un passato glorioso alle spalle grazie alle civiltà che proprio lì sono nate. Le città che di solito si visitano attraverso i circuiti tu-ristici sono poche, ma notevoli sono i piccoli centri che meritano una visita. Citiamo alcuni: Cusco, con le sue muraglie Incas, chiese costruite su palazzi, percorsi in cittadelle perdute sulle Ande, viene chiamata la “casa e dimora degli dei”. E’ una delle città più famose d’America; Machu Picchu, è uno dei più straordinari esempi di architettura paesaggistica del mondo, arroccata sulle cime di un’alta montagna che domina la gola del fiume Urubamba. E’ un centro di culto (famosa la frase di tanti: “vado a meditare sul Machu Picchu) e un osserva-torio astronomico; Manu, con il suo parco nazionale, meta di tutti gli animalisti e botanici e di chi vuole semplicemente addentrarsi nella tranquillità e nella pace della natura. Fanno parte della cultura peruviana anche i piccoli gesti quotidiani; non appena arrivati in questo Paese i volti, i vestiti e tutto ciò che si vede profuma di antiche civiltà. Ma ci sono anche tradizioni secolari che un turista deve assolutamente conoscere. A Lima, situato proprio al centro della città, troviamo il santuario di Santa Rosa, meta di tanti pellegrini in cerca di un miracolo. Il 30 agosto si gettano le lettere con scritte le pro-prie buone intenzioni nel pozzo dove la santa fece cadere una chiave, chiedendo in cam-bio la guarigione dalle malattie. Santa Rosa è la patrona della Polizia Nazionale del Perù e viene celebrata in tutto il Paese. Un classico della tradizione peruviana è anche la Marinera, un ballo di grande dinami-smo, con movimenti eleganti ed una coreografia molto complessa. E’ nato nel 1893, in-ventato da Abelardo Gamarra “El Tunante” e viene accompagnato dalla musica di una chitarra e del cajon . Nel 1938 viene esibita nel Teatro Municipale di Lima durante il Concerto delle Feste Pa-trie. Attualmente in tutto il Paese si realizzano dei festival, con vari stili a seconda del luogo di origine: la marinera della costa, della sierra e del nord. La cucina è molto varia. Sulla costa il mare peruviano offre innumerevoli pietanze, come ad esempio il pesce a lo macho bagnato con una salsa di molluschi, la parihuela , il cele-bre cebiche. Al nord troviamo il riso all’anatra, il seco de chavelo (banane verdi arrostite con un in-tingolo di sgombri), il capretto con fagioli e il sudado di granchi. A Lima il tacu tacu (fagioli fritti con riso), il riso verde con il pollo e il tradizionale ca-priccio notturno degli anticuchos. Nella sierra troviamo la pachamanca , dove fanno una forno nel terreno e vi si cucinano le patate, le fave, il mais e le diverse carni accompagnate da erbe e spezie. Ci sono le zuppe come i pucheros, la patasca e il brodo di testa d’agnello. A Cusco troviamo la zuppa di gamberi di Arequipa o l’agnello al forno. Nella foresta si trovano piatti dove l’armonia dell’essere umano è in comunione con la na-tura: il juane (riso con gallina avvolto in foglie), l’inchi capi (gallina con arachidi e mais tostato), la patarashca (pesce avvolto in foglie di banane e arrostito). Riprendono un poco gli elementi delle stregonerie della foresta e la magica cucina peruviana. Ditemi un poco voi se non viene voglia di partire immediatamente!!! E se volete ulteriori informazioni, visto che inizia il periodo delle vacanze, potete colle-garvi al sito : www. peru. info.

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Benny Gervacio


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“ Se perdi ti uccido”

Sembra una barzelletta, un racconto di cattivo gusto.

Purtroppo è il nuovo linguaggio d’un calcio malato e d’un tifo violento

(quasi assassino) di un continente assai conosciuto, ma tanto abbandonato (l’Africa ). I calciatori nazionali di questa Africa organizzata sono terrorizzati. Durante ogni manifestazione internazionale calcistica, prima della fine della partita, la loro sorte è molto spesso legata al risultato.

L’ultimo episodio, triste e tragico, è stato la morte del giovanissimo portiere della nazionale del Benin, appena diciottenne. Si aggiunge alla recente catastrofe, al disastro, ai danni subiti dai calciatori nazionali, dopo la sconfitta contro il Togo per le qualificazioni dei mondiali 2006. Sono stati picchiati, minacciati insieme ai famigliari, derubati e anche danneg-giati i monumenti della città di Bamako. Saccheggiati gli uffici, persino fermata l’intera giornata della produzione della capitale e del pubblico impiego.

Mi preoccupa molto questo atteggiamento della nostra gioventù. E’ il loro modo di percepire l’immagine violenta dei tifosi. Bisogna fare qualcosa in fretta, e usare misure drastiche e severe, oltre a prati-care nel metodo più veloce ed efficace l’istruzione e l’educazione dei ragazzi. Solo cosi potranno essere responsabili e servitori della patria. Haidara Uomar. �

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El senor de los Milagros – Signore del Per Simbolo incancellabile della fede di un popolo Nel 1651 in un quartiere povero di Lima, uno schiavo angolano dipinse l’immagine di Gesù crocifisso su una parete d’argilla della chiesa di Pachacamilla. Quattro anni più tardi, la capitale viene investita da un tre-mendo terremoto cha lascia dietro di sé morte e distruzione. Non rimane niente tranne quel muro all’apparenza cosi fragile. L’evento inspiegabile e allo stesso tempo grandioso spinge una confraternita di schiavi a venerare quell’immagine. Ogni notte i fedeli vi si riuniscono intorno per pregare ed elevare la fe-de attraverso canti e balli. La chiesa cattolica non può accettare simili comportamenti e spinta dal razzismo contro gli schiavi di razza nera, decide di abbattere il muro. Però ogni tentativo è vano, perchè c’è una strana forza che impedisce che cada. Questo accresce la devozione e induce il Clero a officiare la Prima Messa in onore del “Cristo in croce” a cui si dà il nome “Santo Cristo de los Milagros”. Successivamente 1687 altri ter-remoti colpiscono la città di Lima, però nemmeno questi riesco-no a distruggere il muro, così i fedeli decidono di dipingere il Cristo e portarlo in processione. Questa tradizione é nata più di 300 anni fa: da allora si ripe-te ancora tutti gli anni nel mese di ottobre (il 18 e 19) a Li-ma e da tempo si è diffusa in tutto il mondo grazie all’ impe-gno e dedizione dei fedeli. Ogni anno il dipinto incastonato in una cornice d’oro, ornato di candele e fiori, viene portato su un baldacchino del peso di circa una tonnellata, dai fedeli (circa 32 uomini), che fanno parte delle quadrillas della Hermandad del Senor de los Mila-gros”. Essi sorreggono la struttura e vestono tuniche di colore viola che simboleggia la sofferenza di Cristo sulla croce. Davanti a loro sfilano Las Cantoras, gruppo di donne con il ca-po coperto da candidi veli di pizzo, che diffondono nell’aria l’incenso e intonano inni religiosi. La lunga marcia viene interrotta sei volte e ognuna simboleggia una fermata della Via Crucis. I fedeli, che sono a migliaia, seguono con tuniche viola l’imponente corteo religioso. E’ una delle manifestazioni sacre e più coinvolgenti nel mondo catto-lico della fede di un popolo. Questo mese, nella mente di ogni peruviano, credente o non, è il ”mese porpora”: ricorda gli abiti porpora di centinaia di migliaia di fedeli, l’odore dell’incenso, le migliaia di tappe-ti con motivi religiosi ornati di fiori sui pavimenti che a-spettano il passaggio della processione. E ancora la benedizio-ne, i moltissimi dolci, gli spettacoli della corrida de toros, e altri eventi ancora. Rappresenta parte della tradizione, tramandata da generazioni, che continua. MERCEDES BUSTAMANTE �


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Racconti nati dalla visione de

Pensati……….

Scritti………. Stampati………

dalla classe 1° Sirio del corso serale: 1 Barbato Erika 11 Furia Francesca 2 Benincasa Monica 12 Gervacio Benilda 3 Beccasio Elena 13 Grisanti Lidia 4 Bustamante Mercedes 14 Haidara Oumar 5 Alessandra Chimento 15 Khechoubi Samira 6 De Paola Vincenza 16 Pianosi Katia 7 Del Conte Valentina 17 Possidoni Gianni 8 Demirel Yelis 18 Saladino Ignazio 9 Di Giacomo Giuseppe 19 Swietochowska Renata 10 Ferrera Adalgisa 20 Tsynskaia Elena

21 Latuta Kristina

Coordinatrice: Prof.ssa ROMANIELLO ANNA Dirigente scolastico: Prof.ssa CEDOLIN MARIANGELA

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La gabbianella e poi ……

La gabbianella vola sulla città, ha finalmente imparato a spiegare le sue ali al vento e da lassù guarda le case, le strade e la gente che cammina e ride. Ma non tutti sono fortunati come lei da essere sopravvissuti alla grande pazzia dell’uomo e alle avversità che la natura ogni giorno impone; da aver incontrato dei grandi amici che l’ hanno aiutata, come Zorba. C’è chi è ancora in vita con grande sforzo e guarda il volo della gabbianella chiuso nel suo dolore. E’ un bambino che ogni giorno resta affacciato al da-vanzale della sua finestra, vivendo solo di ciò che vede oltre quel vetro, co-stretto all’immobilità da una malattia che lo ha colpito alla nascita. E’ solo da sempre in quell’orfanatrofio, dove la madre lo ha relegato proprio per la sua menomazione: e lui si è convinto che nessuno lo avrebbe mai volu-to, così com’era!! Guarda il gabbiano volare, sperando solo che la morte sopraggiunga presto e si chiede perché la vita è stata così crudele con lui. Fortunata lo guarda dall’alto e capisce che deve condividere la sua esperienza con quel piccolo: anche lei è rimasta orfana prima ancora di nascere e deve as-solutamente trovare un modo per spiegare a quel bambino che si può vincere anche il destino più avverso, se si è aiutati da qualcuno che ci ama. Ma per fare questo ancora una volta deve ricorrere ai suoi amici gatti. Sentita tutta la storia di questo incontro, Zorba chiama a raccolta tutta la banda e cerca nell’enciclopedia in biblioteca qualche notizia sulla malattia che ha colpito il bambino. E’ fortunato!! I topi non hanno divorato le pagine che gli servono. Certo non sarà facile superare le difficoltà, oltrepassati gli scogli iniziali occorrerà di nuovo l’aiuto di un uomo. Ma intanto bisogna fare il primo passo. �

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segue alla pagina successiva


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Una volta arrivati vicino all’edificio, incalzati dalla gabbianella, i gatti si ar-rampicano fino al davanzale del bambino. Pallino lo guarda con disprezzo, ma Zorba lo rimprovera, lo esorta a crescere e vedere la diversità non come una barriera, ma come un mezzo di scambio, un modo per sviluppare la propria capacità di aiutare il prossimo, di diventare più umani. Zorba inizia a miagolare, a leccare le mani al bimbo, cercando di arrivare al suo cuore indurito dalla solitudine e dal dolore. Vuole rassicurarlo che nessuno al mondo deve essere solo. Da quel momento ogni giorno i gatti si recano dal ragazzino, aprendo un varco tra la sua stanza e la città, facendo spalancare per sempre le porte di quella gabbia nella quale il piccolo si è rinchiuso, il suo cuore stesso prima ancora dell’orfanatrofio. E il volo del gabbiano, così vicino a lui, gli torna a dare la speranza in un futu-ro migliore, nella possibilità, che deve essere di tutti, di andare oltre i confini dei nostri occhi. Il bambino, ora che si sente amato, capisce tante cose che prima ostinatamente rifiutava.

Quella paura di essere rifiutato che lo aveva definiti-vamente fatto chiudere in se stesso ora stava svanendo e anche la gabbianella, guardandolo, ricorda l’attimo in cui si è lanciata dal campanile con il terrore di vola-re ed è tornata ad essere ciò che doveva.

Non posso dire che ora quel bambino sia felice, oppure che stia studiando per crearsi un lavoro ed integrarsi, non posso nemmeno dire che un medico lo ha curato ed ora cammina, ma il fatto che l’ottimismo lo abbia pervaso fa sì che qualunque di queste cose sia possibile. L’amore e il sostegno degli altri è importantissimo nella vita di tutti, soprattut-to di chi ha dei problemi di salute.

Ora sia il bambino che la gabbianella stanno volando……..

Beccasio Elena

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Maggio

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LA CERBIATTA E IL PIPISTRELLO C’era una volta un pipistrello di nome Silvestro che stava imparando a volare. Ma come tutti i cuccioli non si rende conto di essersi allontanato troppo dalla sua casa e si perde. Inizia la sua ricerca disperata, piangendo e sbattendo di qua e di là. Arriva davanti ad una casetta, bussa e chiede aiuto. Apre la porta una bellissima cerbiatta, che vedendo quell’animale così brutto gli dice di andarsene via subito e che non l’avrebbe mai aiutato. Silvestro si addormenta sfinito poco più lontano. Intanto la cerbiatta esce per la sua solita passeggiata nel bosco, poi si ferma assetata allo stagno, ma questa volta non si accorge che l’acqua era stata avvelenata. Dopo averne bevuta solo un po’ inizia a stare male, ma lì vicino non c’è nessuno che la possa aiutare, soltanto Silvestro sente i suoi lamenti. Corre in suo aiuto e vola più veloce che può. Arriva fino al villaggio e chiede al dottore, il tasso, di precipitarsi con la medicina a salvare la cerbiatta. Si salva appena in tempo e capisce di essere stata molto cattiva con Silvestro, gli chiede perdono e pensa che la vera bellezza è dentro ognuno di noi. La cerbiatta accompagna subito Silvestro a casa e da quel giorno diventarono amici inseparabili. Katia Pianosi �


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Birillo, il cane meticcio �� !��"��#��$�� %�� &�� ##�� '��'��%��'�� ##�� &��'��# �� '�� (� �� &��#�� ##�� (��(��)��

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�� In un angolo del mondo esisteva un pezzetto di terra chiamato “Felicia”. Era bellissimo, pieno di vegetazione, alberi e animali di ogni specie, cielo, sole e terra e vi regnava tutto ciò che la natura può donare, senza che fossero conta- minati da agenti inquinanti. Due scoiattoli vivevano in questo paradiso, dove c’erano cibo ed acqua in abbondanza e dove allegria e felicità non mancavano. Purtroppo, un brutto giorno, anche a Felicia, come spesso accade in ogni ango-lo del nostro pianeta, arrivarono l’uomo e il progresso, due cose che unite assieme distruggono tutto ciò che la natura ci regala. Qui comincia la storia di Scott e Iole, i nostri amici scoiattoli, che videro distruggere la vegetazione: alberi tagliati, corsi di ruscelli deviati e quanto altro la natura aveva creato venne modificato. I due amici dovettero abbandonare quello che una volta era il loro paradiso ed emigrare in cerca di un pezzo di terra simile a quella dove avevano vissuto il loro trascorso felice. Il loro migrare non fu tanto facile, pensavano a ciò che avevano lasciato e a ciò a cui andavano incontro, essendosi avventurati in territori a loro del tutto sconosciuti. Qualsiasi cosa si muovesse, qualsiasi rumore, per loro rappresentava un serio pericolo. Il tempo passava nel cercare la cosiddetta “Oasi felice”. Camminando, camminando si scorgeva sempre di più il passaggio del progresso. Passò qualche giorno, la fame e la stanchezza ebbero il sopravvento sui nostri amici i quali, sfiniti, si lasciarono andare ad un sonno profondo senza curarsi dei pericoli che correvano. Erano passate diverse ore quando Scott e Iole furono svegliati da strani e inquietanti rumori. Infatti, aprendo gli occhi, videro una volpe e un’aquila che lottavano tra di loro. Il primo pensiero dei nostri amici fu: “Poveri noi, chiunque vinca per noi è la fine!!” Dopo alcuni minuti di lotta, la volpe con una zampata riuscì a ferire l’aquila ad un’ala, scoraggiandola e mettendola in fuga. I due piccoli scoiattoli, vistosamente sudati dalla paura, chiesero alla volpe cosa ne sarebbe stato di loro. �

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La volpe si avvicinò e vedendoli così impauriti, con un gesto affettuoso, leccandoli, disse loro di salirgli in groppa e li portò alla sua tana per rifocillarli e farli riposare. Nella tana della volpe c’erano due cuccioli, che impazientemente Aspettavano che la loro madre portasse loro da mangiare. Al suo arrivo i cuccioli capirono subito che i nostri amici, Scott e Iole, non erano cibo, bensì ospiti inconsueti. Nei giorni successivi, mentre la volpe usciva in cerca di cibo, i Cuccioli iniziarono a fare amicizia con Scott e Iole, giocando e scorazzando intorno alla tana. Il rapporto tra questi andò man mano solidificandosi, al punto da andare a cacciare tutti insieme. Naturalmente le volpi, esperte caccia- trici, aiutavano Scott e Iole a trovare cibo per loro commestibile. Il tempo passò veloce, ormai anche i cuccioli di volpe erano diventati adulti e pronti a fare esperienze separatamente. Tutto questo rendeva tristi sia le volpi che gli scoiattoli, ma in cuor loro sapevano che era un percorso al quale non potevano sottrarsi. Arrivò il giorno dei saluti e con commozione si abbracciarono e scoppiarono in lacrime, promettendosi che in futuro sarebbe rimasta l’amicizia e che di tanto in tanto si sarebbero rincontrati. La morale della favola è che non esiste diversità tra popoli, esiste nella nostra mente; e se solo lo volessimo non esisterebbe razzismo né guerre fratricide. Vincenza De Paola �


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INCONTRI FORTUNATI Era una bella giornata, il cielo era limpido e azzurro, i raggi del sole riscaldavano la città di Amburgo. Finalmente è arrivata la primavera. Il mare era calmo , profumava di iodio e all’orizzonte si vedevano alcune barche di pescatori. Sulla spiaggia pulita e deserta era seduto il figlio di Zorba, un bel gatto bianco e grosso come suo padre. Lo chiamavano White, dal colore del suo pelo tutto bianco. Veniva spesso sulla spiaggia, guardando il mare e pensando a quanti paesi lontani poteva visi-tare e quante cose poteva imparare se avesse potuto viaggiare. Da lontano si sentì suonare l’orologio di San Michele, era mezzogiorno. White si alzò lentamente, si ricordò che doveva passare da suo padre: “Chissà di cosa mi vuole parlare?”, miagolo fra sé. Passando tra le vie si rese conto che erano molto affollate, era mar-tedì, giorno di mercato. Decise di passare dal mercato, sapendo bene che qualche ambulante gli avrebbe offerto un pezzo di pesce fresco. Girando intorno ai banche del mercato udì un pianto. Incuriosito cercò di scoprire da dove proveniva. Si trovò davanti a tre bambini, due di loro deridevano un altro: “Guarda, guarda, lo hanno rasato a zero!!!Ah, ah, ah!!!” White si rese conto che l’altro ragazzino era senza capelli e che per terra di fianco a lui c’era un cappello (uno di quelli da baseball). I due bambini erano più grandi dell’altro e a White non sono piaciuti dal primo istante. Dalla folla si sentì: “Bambini, dove siete? Andiamo?”. Uno dei due rispose: ”Mamma, arri-viamo!!”. Il bambino senza capelli rimase da solo, White si avvicinò al ragazzo e gli passò due volte tra le gambe e si mise a giocare con il cappellino. Il bambino vedendo il gatto cominciò a ridere, si asciugò le lacrime, raccolse il cappello e accarezzò White. Quelle coccole così delicate e ca-lorose hanno creato nel gatto una strana sensazione di benessere e pace. In quello stesso mo-mento arrivò un uomo alto e biondo, prese per mano il bambino dicendo: “Robertino, ti ho cercato dappertutto. Cosa fai qui?” Il bambino con gli occhi gonfi di pianto rispose: “Papà, te lo racconterò a casa” Poi aggiunse: “Guarda che bel gatto ho trovato, potrei avere un gatto?” “Vieni adesso, ne parliamo un’altra volta!!” White si ritirò tra i banchi, il ragazzino lo salutò e poi si allontanò con il padre. Era tardi, White si ricordò dell’appuntamento con Zorba, corse per tutto il mercato velocemente fino a raggiungere suo padre. Lì trovo anche la mamma, erano seri. “Sei già grande –disse Zorba – dovresti cominciare ad avere più responsabilità; fantastichi troppo su viaggi, nuove città….” “Io e tua madre pensiamo che dovresti trovare una fidanzata, ci sono tante belle gatte in giro…. Sai, quasi tutti i tuoi amici hanno già formato una famiglia e hanno già figli!!” White abbassò la testa dicendo: “Va bene, ci penserò!” e salutò i suoi genitori. Passò una settimana durante la quale White diventò malinconico e triste. Le giornate erano splendide, ma lui pensava sempre alle parole dei genitori. E’ vero che era un irresponsabile? E’ vero che era un poco diverso dagli altri? Arrivato il martedì, decise di tornare al mercato, lì succedeva sempre qualcosa di interessante. Passando incontrò alcuni amici che raccontavano storie su altre città, a lui piaceva ascoltare. Decise di tornare, quando da lontano notò il bambino con il cappello. Si fermò e pensò: “E’ Roberto!!” e decise di seguirlo. Il bambino camminava al fianco dell’uomo alto. White seguendoli stava molto attento a non farsi scoprire. Ad un certo punto si trovò davanti ad una casa con il tetto rosso, attorno c’era un bel giardino curato, con dei fiori primaverili. L’uomo alto entrò in casa e il bambino decise di rimanere nel giardino. C’era una pallina da tennis nel prato e il bambino cominciò a giocare buttandola contro il mu-ro della casa. Al gatto piaceva giocare con le palline e decise di uscire allo scoperto, avvici-nandosi pian piano. ��Segue nella pagina successiva


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All’interno: �� ANGOLO

DELLA POESIA

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�� CULTURA STRANIERA E ITALIANA

�� RACCONTI ISPIRATI DAL FILM “LA GABBIANELLA E IL GATTO”

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�Il ragazzino si girò e gridò: “Ciao, sei venuto a trovarmi! Che bravo gatto che sei, che bello!!” White, senza pensare troppo, si buttò a giocare. Alla fine si sentì stanco e si sdraiò vicino al ragazzino. Roberto si alzò, dicendo: “Aspetta qui, penso che tu abbia sete”. Entrò in casa e quasi subito portò al gatto una ciotola rossa piena di latte. A White pia-ceva tanto il latte e mentre si dissetava il bambino lo accarezzava. Si sentì così bene che cominciò a fare le fusa e anche il bambino era felice, i suoi occhi parlavano ed erano lucidi e gioiosi. In quel momento uscì dalla porta il padre del ragazzino, dicendo: “E’ ora di pranzo, Robertino!!”. Il bambino gli acca-rezzò la testa per l’ultima volta dicendo: “Vieni a trovarmi qualche volta, giocheremo insieme”. Roberto avvicinandosi al padre disse: “Papà , hai visto, ho trovato un amico!!” White tornò a casa dalla mamma, ma non raccontò niente di quello che gli era successo. Era felice! Passarono alcune settimane durante le quali White andò a trovare Robertino quasi tutti i giorni.

Un giorno, dopo che si furono divertiti insieme, il bambino si mise a sede-re con l’aria un po’ triste. White si rese conto che c’era qualcosa che lui non sapeva, gli saltò sulle ginocchia e il ragazzino cominciò ad accarez-zarlo, parlando: “Sai, mi piace che mi vieni a trovare, sei il migliore ami-co che ho, però sarebbe bello che tu mi potessi parlare: non so se mi capi-sci.

Una volta io, la mia mamma e il mio papà abitavamo in un’altra città. La nostra casa era vicino ad una fabbrica che per molto tempo ha inquinato l’acqua. Purtroppo, a causa di quell’inquinamento, si ammalò prima la mia mamma, poi anche io. La mamma non ce l’ha fatta….. Io, come vedi, con tutte le cure che ho dovuto fare, ho perso i capelli. Adesso sto bene, ma abbiamo dovuto trasferirci qui, dove l’aria è pulita e c’è poco inquinamento. Sai, ho perso i miei amici e quasi tutti quelli che ho conosciuto qua mi evitano o mi deridono, per colpa dei miei ca-pelli. Se tu sapessi come sono felice di averti conosciuto. Il papà mi dice che i capelli un giorno ricresceranno e che i veri amici si trovano nel momento di difficoltà” Di fronte alla casa di Roberto ce n’era un’altra, anch’essa molto bella. Da questa casa uscì una ragazzina che iniziò ad chiamare a gran voce: “Regina! Regina! Dove sei? Vieni qui!” Robertino e White osservavano la scena. La ragazzina, dai capelli rossi e lunghi, attraversò la strada e si avvicinò al cancello del giardino di Roberto, dicendo: “Scusami, non hai visto per caso un gatto rosso?” “No, mi dispiace” rispose Roberto avvicinandosi al cancello. “Oh, vedo che anche tu hai un gatto, è veramente bello, così bianco!”. Il ragazzino arrossì. “Ah, scusami, non mi sono presentata: sono Karolina e abito qui da pochi giorni. Io e la mia fa-miglia ci siamo trasferiti qui da Francoforte”. Roberto, intimidito, rispose: “Io mi chiamo Roberto e anch’io mi sono trasferito qua da poco” “Perché non vieni a trovarmi qualche volta?” “Grazie, molto volentieri, anche tu se vuoi puoi venire qua da me” White osservò la situazione seduto vicino e ad un tratto vide avvicinarsi qualcosa di rosso di un’agilità straordinaria! Davanti si trovò una gatta tutta rossa, i suoi occhi erano grandi e azzurri, e lui la osservò incantato: era stupenda!! “Regina, finalmente sei tornata, mi sono preoccupata moltissimo, sai!!” disse la ragazzina. E Roberto approfittò dell’occasione: “Visto che hai trovato la tua gattina, vuoi venire un poco nel mio giardino, così anche loro si possono conoscere??” I bambini parlando si allontanarono e White rimase solo con la gatta. “Ciao, sono White!” miagolò e la sua gola di-ventò secca, chissà quale cosa strana gli stava succedendo. La gatta rispose, ma non subito: “Io sono Regina”. La sua voce era bellissima, dolce e delicata, a White sembrò un canto, tanto da fargli girare la testa. Ed iniziò a sudare. Il suo cuore batteva forte, forte. “Mi sono innamorato?” si domandò. La ragazzina sembrava un dono mandato dal cielo, per Roberto, che nell’arco di qualche mese si ristabilì completamente, vide i suoi capelli ricrescere sulla testa e, proprio grazie a Karolina riuscì a farsi tanti nuovi amici anche in una città sconosciuta. La sua malattia lo aveva profondamente colpito, ma gli aveva anche insegnato che gli amici veri si riconoscono quando hai bisogno di aiuto, proprio come diceva il papà, e chi all’inizio lo aveva de-riso era solo un essere insensibile e meschino!! Quanto a White, forse è inutile dirlo, ma ha trovato in Regina la sua compagna per la vita: ha già una piccola cucciola-ta di micetti di appena venti giorni!! L’incontro fatto al mercato è stato provvidenziale: ora è’ incredibilmente felice insieme a quella gatta rossa e lo sono anche suo padre e sua madre che finalmente possono coccolare i loro nipotini. White ormai non sognò più altre città, viaggi o missioni: gli bastava il calore del suo cestino, con la sua famigliola nella casa di Roberto. Svietochowska Renata �

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UNO STRANISSIMO ACCORDO……

Una casa in campagna era completamente infestata dai topi, dal granaio sino ai tetti. Il padrone di casa sperimentò vari sistemi per liberarsi delle bestiacce, ma senza risultati apprezzabili. La moglie gli suggerì di procurarsi un robusto gat-to campagnolo e così fece. L’arrivo del gattone procurò allarme e scompiglio nella numerosa famiglia dei topi, poiché questi era davvero un bravo cacciatore e non passava giorno che qualcuno non finisse artigliato dal felino. I topi erano sempre più preoccupati e si riunivano per discutere dei provvedimenti da prendere. Seppur molto affannati, mancava loro il coraggio di far visita alla credenza, ben fornita di ogni leccornia. Uno dei topi, più ardito dei confratelli, osò sfidare il feroce gattone e incurante delle suppliche di mamma topa, uscì dal nascondiglio e si infilò nella dispensa. Il giovane topino assaggiò con gusto le varie prelibatezze, poi rifocillato si infilò sotto la credenza per poi scomparire in un foro del pavimento in legno. Al gatto riuscì solo di sentire il suo odore e si indispettì molto per quel topino così imprudente. Per alcuni giorni gli fece la posta, ma non gli riuscì mai di catturarlo. Il topino non solo riusciva a cibarsi a sazietà, ma lo umiliava ogni giorno di più, facendogli addirittura le boccacce.

La famiglia dei topi era molto orgogliosa del loro topino, poiché provvedeva al loro sostentamento. Il gatto, che però non era uno sciocco, mise in atto un piano strategico che si dimostrò vincente. Sistemò in una scodella della panna cotta caramellata e preparò l’agguato con cura.

Il topolino, che era molto goloso, non riuscì a resistere a quel richiamo e cercò con ogni mezzo di procurarsela. Perlustrò guardingo il territorio ma del gatto nessuna traccia. Con uno squittio di gioia raggiunse finalmente l’ambita sco-della, che era però troppo alta per la sua piccola statura. Provò quindi a spicca-re dei salti fino che piombò a capofitto nel bel mezzo della ciotola e per poco non affogò. Il gattone uscì con uno sbalzo dal suo nascondiglio, precipitandosi sul malcapitato topino. Questi per fuggire rovesciò anche la scodella. Tentò disperatamente di fuggire, ma le sue zampette così sporche di panna ca-ramellata permisero al gattone di raggiungerlo. Con una zampa gli bloccò il lungo codino ed il povero topino si sentì perduto. Raggelato e semisoffocato dalla panna pregò il gatto di lasciarlo andare, ma questi, alquanto irritato per avergli sempre mancato di rispetto, sfoderò gli artigli per sbranarlo. Il povero topino, quasi già morto dalla paura, strillò con quanta voce aveva in gola che se lo avesse liberato gli sarebbe stato riconoscente per tutta la vita. Il gattone si mise a ridere a crepapelle, ma poiché era già sazio, lasciò andare quel topino così impertinente. Il topino scomparve nella sua tana e non lo vide più. Nel paese intanto era venuta ad abitare strana gente, venuta da lontano e con strane abitudini culinarie. A loro infatti piaceva la carne di gatto, che tro-vavano molto gustosa. Segue nella pagina successiva


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Disposero in tutta la zona delle ingegnose trappole, con dei bocconcini preliba-ti di cui i gatti erano molto ghiotti. Tutti i gatti della zona si passavano la paro-la, per via di quei succulenti bocconcini. Ad uno ad uno cadevano però nelle trappole, così come accadde per il gattone. Da gatto furbo qual era, cercò di prendere l’esca senza farsi catturare, ma gli esseri umani erano però molto più astuti. Una sua zampa restò impigliata in un robustissimo filo e subito dopo si trovò impigliato in una rete composta da sot-tili cordicelle. Il povero gattone si ritrovò così imprigionato insieme a tanti altri gatti e mia-golò così rabbiosamente da farsi udire anche dal topino. Tentò di liberarsi da quel groviglio di cordicelle, ma come gli altri suoi amici, ormai allo stremo delle forze si accucciò, rassegnato ad essere mangiato da quegli uomini. Ad un tratto, sente che qualcosa gli tira la corda, si girò e vide quel topino a cui aveva risparmiato la vita. “Vedi – gli disse il topino- che ora posso esserti riconoscente? Tu sei grande e grosso, caro amico mio, ma i tuoi denti aguzzi ed i tuoi artigli non ti servono per uscire da questa trappola! Tu fosti generoso con me, perciò vedrò di contraccambiarti. Ora ti mostro come anche un piccolo topino come me può esserti utile in certe situazioni!”. Questi si mise all’opera, chiamando sul posto anche i suoi numerosissimi fratelli. I loro affilati dentini riuscirono a rosicchiare tutte le funicelle che tenevano prigionieri i gatti, così che di lì a poco riassaporarono tutti la tanto agognata libertà. Il gattone ringraziò i topi a nome di tutti e strinsero un patto di alleanza, per lottare insieme contro quella gente forestiera. Il topino diventò il più grande amico del gattone, che mai dimenticò di onorare il patto di solidarietà. I topi potevano così scorrazzare liberamente per tutte le case, perché i gatti si erano impegnati a non aggredirli. Avevano anche il permesso, nei giorni festivi, di rubare qualche pezzo di for-maggio, e tutti vissero in amicizia felici e contenti. Anche i più forti quindi possono avere bisogno dei più deboli quando la fortu-na volge loro le spalle!! Gianni Possidoni


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LE SCIMMIETTE SOLIDALI C’era una volta, in terre lontane un gruppo di scimmiette operose, che vivevano in un villaggio ai piedi di una montagna. Erano molto, molto vivaci e spesso giocavano a rincorrersi tra di lo-ro fra una liana e l’altra. Queste scimmiette vivevano in un villaggio ed erano tranquille, perché erano protette dai genitori. La loro giornata cominciava con lo svegliarsi, rimettere in ordine la propria capanna, sistemarsi, procurare l’acqua e la colazione e successivamente correre alla capanna più esterna del villaggio dove si tenevano le lezioni scolastiche. Così procedeva la loro vita ed essendosi ben organizzate nei lavori domestici, visto che li tro-vavano noiosi, riuscivano a finire in fretta per poi svignarsela a giocare. Il pomeriggio lo dedicavano al riposo ed al gioco, cosa che a loro piaceva molto. Giocando tra di loro spesso, bisticciavano. Così arrivava il capo branco Moncky che alzando la voce difendeva e proteggeva i più piccoli e faceva tornare la calma. In un tiepido pomeriggio di primavera, i tre amichetti, annoiandosi della solita routine, decise-ro di spostarsi verso il fiume per giocare e crogiolarsi al sole. Presi dall’euforia e dalla curiosità di spostarsi in un posto nuovo e di nascosto dagli adulti, non badarono al percorso fatto. Arrivati a metà percorso, si resero conto di aver sbagliato strada, invece d’aver percorso la strada che li portava a sud verso il fiume presero la via opposta inconsciamente. Quando si resero conto di essersi smarriti ci fu un attimo di panico!! Uno di loro disse: ”Niente di grave! Basta ripercorrere la strada in senso opposto e ritroveremo la via del ritorno!” Così decisero di tornare indietro, ma attratti da diversi rumori e frastuoni, si guardarono attor-no e presi dalla curiosità andarono qualche metro più in là e videro una grande catena di ogni tipo di animale che lavorava senza sosta. Le scimmiette rimasero scioccate nel vedere come questi soldati leoni tenessero sotto torchio tutti gli altri animali. Dalla cima di un albero si scorse un gufo, che con voce d’oltre tomba fece prendere uno spa-vento ai tre amichetti. Il gufo, vedendo che le scimmiette erano molto giovani, gli consigliò vivamente di tornarsene a casa, perché se qualche leone le avesse viste potevano finire come gli altri animali, cioè in schiavitù! E tutto questo per costruire il regno del nuovo mondo dei Leoni. Le scimmie, guardandosi spaventate negli occhi, decisero di tornarsene a casa, ma purtroppo stava calando la sera e non sapevano neanche la strada da percorrere. Così chiesero aiuto al gufo, visto che poteva volare alto sopra gli alberi e condurli al villaggio delle scimmie. Questo gufo accettò, così le scimmie tornarono giusto in tempo al villaggio ed evitarono una tirata d’orecchi dal grande capo Moncky!! Durante la cena le scimmiette non seppero stare in silenzio, dopo aver visto quello sfruttamen-to. Così, pur sapendo che si sarebbero prese una sgridata perché si erano allontanate troppo e senza nessun adulto del villaggio, decisero ugualmente di raccontare quanto visto. Segue nella pagina successiva


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Moncky, sentita la storia, non credette che i leoni avessero sottomesso tanti animali per creare un nuovo regno. Il giorno dopo tutti insieme decisero di tornare sul posto dove lavoravano tutti gli animali. Il capo branco delle scimmie, vista la situazione di sfruttamento di questi animali, decise di parlare con il capo dei leoni. Così Moncky si fece forza e andò da Masone. La discussione durò diverse ore. Nel frattempo i tre compagni radunarono più animali volatili possibili per escogitare un piano di fuga per tutti gli animali sfruttati. Una delle tre scimmie, esperto in bacche soporifere, ne colse una cesta. Fece fare degli infusi e li diede a tutti i volatili in piccoli contenitori, pronti per essere dati nel rancio dei soldati leoni. Alti volatili, dal becco duro e forte, con l’aiuto delle scimmie più agili ed atletiche avevano l’incarico di disfare i nodi delle corde che tenevano insieme il campo di lavoro. Tutto era pronto, bastava solo un cenno! La riunione si dilungò perché il leone Masone, testardo come una pietra, continuava a ripetere che bisognava entrare nel nuovo mondo, dove regnavano tecnologia, comodità e il superfluo. Tutti d’accordo, fin qui! Il problema era riuscire a produrre tanto con costanza e con un costo di produzione bassissimo. Così Masone si inventò lo sfruttamento minorile e successivamente quello di massa. Moncky, lo scimpanzè, dentro di sé pensò: “Grande idea da imprenditore mafioso!!” Moncky, vista la situazione, diede ragione al leone e per evitare guai se ne andò. Le tre scimmiette, sentita la storia raccontata da Moncky, rabbrividirono, ma si fecero più for-za per dare il via all’azione di liberazione. Il gruppo, essendo ben organizzato e ricco di animali volenterosi a far smettere questo sfrut-tamento, si divisero in gruppi. Così i volatili di nascosto diedero il sonnifero ai leoni ed al re, che dopo essersi addormentati furono portati nelle cave dove avveniva lo sfruttamento. Intanto l’altro gruppo si preoccupò di sciogliere i nodi a recinti e impalcature per fare scappare tutti gli animali più piccoli e successivamente anche i più grandi. L’azione era compiuta!! Al risveglio dei leoni, tutti gli animali che erano scappati da quell’inferno, decisero di farli la-vorare per farli capire come ci si sentiva. Quando i soldati leoni, stremati dal duro lavoro sotto il sole, non ne potevano più, decisero di chiedere scusa e di smetterla di sfruttare piccole creature innocenti. Finalmente capirono che nella vita basta sapersi accontentare di quello che si ha.

Chimento Alessandra


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˘ ˇˇ ˆlo strillone n° 3 - maggio 2005 4 ˚ ˘ˇˆ˙ ˝ ˛ ˜ !" ˇ˚ # $ n° 3 maggio...

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