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L’insediamento altomedievale delle campagne toscane. Paesaggi, popolamento e villaggi tra VI e X secolo. Marco Valenti Introduzione: Villaggi dell’altomedievo: invisibilità sociale e labilità archeologica. 1. Dalla fine degli anni Novanta l’Area di Archeologia Medievale dell’Università di Siena sta realizzando un grande progetto sui “Paesaggi Medievali della Toscana”, con particolare riferimento alla parte meridionale della regione, in sinergia con la Fondazione Monte dei Paschi di Siena, che si è fatta, con grande generosità, promotrice dell’iniziativa. Il progetto ha come obiettivi principali quelli di costruire un sistema integrato di parchi e musei, capace di valorizzare un patrimonio culturale straordinario costituito non solo da monumenti, ma anche da un numero altissimo di “rovine” ed aree archeologiche, che segnano in profondità le caratteristiche del paesaggio della regione. Fra i motivi sostanziali del progetto vi è quello inoltre di introdurre massicciamente, nella gestione del patrimonio, una diffusa pratica di uso della tecnologia innovativa. Il progetto si articola attraverso interventi archeologici su specifici siti, sui quali vengono poi delineati progetti di valorizzazione che investono i resti materiali emergenti, la costruzione di centri di documentazione e la realizzazione di strumenti di comunicazione raffinati: pannellature particolarmente sofisticate, sistemi informativi territoriali, banche dati destinate ad un pubblico differenziato, ma sempre più attento ai segni della storia inestricabilmente legati al territorio toscano. L’uso di tecnologie avanzate caratterizza il progetto sia nella fase di raccolta delle informazioni, dai rilievi con scanner 3d di manufatti e monumenti, dalla gestione in GIS, dei rilievi e della documentazione di scavo e del patrimonio diffuso. Fino ad oggi sono stati raggiunti tutti gli obiettivi definiti, grazie al formidabile impegno dei ricercatori coinvolti, andando alla realizzazione di mostre e centri di documentazione in aree urbane e rurali, da Siena a Grosseto, alla costruzione di parchi, da quello archeologico e tecnologico di Poggibonsi ai segmenti centrali del sistema dei parchi della Val di Cornia, da Gavorrano a Roccastrada, dall’Amiata al territorio di San Galgano. Sono inoltre in atto collaborazioni con strutture di gestione di parchi quali quello della Maremma, il Parco archeologico e tecnologico delle Colline Metallifere, il Parco della Valdorcia, ma soprattutto con un laghissimo numero di governi locali, in particolare della Provincia di Siena e della Provincia di Grosseto, mentre non mancano iniziative significative nella Città e nella Provincia di Firenze, come nelle provincie di Pisa e di Livorno. Gli interventi puntuali si iscrivono nel quadro di un’ articolata sistematizzazione di quanto si è conosciuto relativamente al patrimonio 1

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L’insediamento altomedievale delle campagne toscane. Paesaggi, popolamento e villaggi tra VI e X secolo. Marco Valenti

Introduzione: Villaggi dell’altomedievo: invisibilità sociale e labilitàarcheologica.

1. Dalla fine degli anni Novanta l’Area di Archeologia Medievaledell’Università di Siena sta realizzando un grande progetto sui “PaesaggiMedievali della Toscana”, con particolare riferimento alla partemeridionale della regione, in sinergia con la Fondazione Monte dei Paschidi Siena, che si è fatta, con grande generosità, promotrice dell’iniziativa.

Il progetto ha come obiettivi principali quelli di costruire un sistemaintegrato di parchi e musei, capace di valorizzare un patrimonio culturalestraordinario costituito non solo da monumenti, ma anche da un numeroaltissimo di “rovine” ed aree archeologiche, che segnano in profondità lecaratteristiche del paesaggio della regione. Fra i motivi sostanziali delprogetto vi è quello inoltre di introdurre massicciamente, nella gestione delpatrimonio, una diffusa pratica di uso della tecnologia innovativa.

Il progetto si articola attraverso interventi archeologici su specifici siti,sui quali vengono poi delineati progetti di valorizzazione che investono iresti materiali emergenti, la costruzione di centri di documentazione e larealizzazione di strumenti di comunicazione raffinati: pannellatureparticolarmente sofisticate, sistemi informativi territoriali, banche datidestinate ad un pubblico differenziato, ma sempre più attento ai segni dellastoria inestricabilmente legati al territorio toscano.

L’uso di tecnologie avanzate caratterizza il progetto sia nella fase diraccolta delle informazioni, dai rilievi con scanner 3d di manufatti emonumenti, dalla gestione in GIS, dei rilievi e della documentazione discavo e del patrimonio diffuso. Fino ad oggi sono stati raggiunti tutti gliobiettivi definiti, grazie al formidabile impegno dei ricercatori coinvolti,andando alla realizzazione di mostre e centri di documentazione in areeurbane e rurali, da Siena a Grosseto, alla costruzione di parchi, da quelloarcheologico e tecnologico di Poggibonsi ai segmenti centrali del sistemadei parchi della Val di Cornia, da Gavorrano a Roccastrada, dall’Amiata alterritorio di San Galgano. Sono inoltre in atto collaborazioni con strutturedi gestione di parchi quali quello della Maremma, il Parco archeologico etecnologico delle Colline Metallifere, il Parco della Valdorcia, masoprattutto con un laghissimo numero di governi locali, in particolare dellaProvincia di Siena e della Provincia di Grosseto, mentre non mancanoiniziative significative nella Città e nella Provincia di Firenze, come nelleprovincie di Pisa e di Livorno.

Gli interventi puntuali si iscrivono nel quadro di un’ articolatasistematizzazione di quanto si è conosciuto relativamente al patrimonio

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archeologico regionale, attraverso una schedatura di vasto respiro: solo perdare un esempio, si ricorda che parte integrante del progetto èl’”informatizzazione” georeferenziata del celebre Dizionario di EmanueleRepetti, che si è conclusa proprio in questi mesi, come della letteraturaarcheologica e storico topografica della Regione, che si è andataaccumulando soprattutto nel corso del secolo passato.

Al lavoro tradizionale degli archeologi, la realizzazione del progetto hapermesso di affiancare un valore aggiunto di grande significato per laricostruzione dei quadri ambientali attraverso la realizzazione dei laboratoridi scienze applicate all’archeologia in grado di apportare contributisostanziali alla definizione delle trasformazioni geomorfologiche,vegetazionali, come allo studio dei manufatti e dei materiali organici.

Ma, accanto agli obiettivi di valorizzazione, “comunicazione” delpatrimonio e costruzione delle banche dati, si vanno raccogliendo risultatisignificativi nell’ambito strettamente attinente la ricerca. Infatti la scalasubregionale e urbanistica degli interventi, che si affiancano a quelli giàrealizzati negli anni Ottanta e Novanta, sta contribuendo ad elaborare unadocumentazione per la storia delle dinamiche e delle trasformazionidell’insediamento rurale fra tarda antichità e i secoli centrali del medioevotale da perrmettere di elaborare quadri ricostruttivi innovativi e certamentein grado di “sfidare” quanto delineato sulla base delle mere fonti scritte. 2. In questo contributo Marco Valenti elabora la vasta messe di nuovi dati,accumulati soprattutto negli ultimi anni, ma anche quelli emersi nel corsodell’ultimo venticinquennio, e li colloca nel quadro della discussione chel’archeologia europea ha aperto sul terreno delle dinamiche insediative tratardo antico e medioevo, e sfida coraggiosamente i ricercatori a renderecompatibili le interpretazioni storiografiche con queste diverse e nuovetipologie di fonti.

Il saggio porta elementi di chiarezza e di discussione in quella nebulosa,costituita dalla ricostruzione storica dell’assetto delle campagnealtomedievali che denuncia evidenti segnali di afasia fra storici edarcheologi, questi ultimi non propensi a delineare quadri interpretativigeneralizzanti, partendo dai loro singoli momenti di approfondimento, e glialtri, soprattutto nell’ultimo trentennio, propensi a offrire un quadro talvoltacontradditorio, ma non di rado caratterizzato da un paesaggio incerto e“derivante”, sostanzialmente, da un assetto tardo romano. Un paesaggiodove avrebbero avuto largo spazio le forme dell’insediamento sparso,mentre la struttura del villaggio, in buona parte della penisola, avrebbeassunto una propria forma consolidata solo con l’affermazione dei castelliin relazione ai processi di formazione della signoria territoriale intornoall’anno mille.

Il modello insediativo altomedievale fondato sul villaggio accentrato,che ebbe nelle pagine di Georges Duby nel 1962 una prestigiosaespressione storiografica, è stato più o meno esplicitamente contestata, sia

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dagli assertori di una antitetica diffusione del popolamento sparso1, sia daisostenitori della labilità e dell’incessante mobilità delle forme insediativeaccentrate2.

Prescindendo dai dati emergenti dalla ricerca archeologica, si ècontinuato a descrivere i nuclei di popolamento contadino e i centriaziendali della grande proprietà come realtà, fra loro, diverse e benseparate non solo sul terreno socio-economico, ma anche sul pianoinsediativo; si sono escluse implicitamente sia la consistenza demograficasia l’identità comunitaria dei centri sui quali si incardinava la signoriafondiaria, che spesso invece costituivano rilevanti agglomerati rurali,abitati da contadini e non da allodieri giuridicamente liberi, le cui traccedocumentarie possono emergere con maggior facilità dalle carte privatealtomedievali. In tal modo molti medievisti sembrano riferirsi ad unapresunta continuità tra la villa di Varrone e quella dell’abate Irminone3,come se la villa/curtis carolingia derivasse direttamente dal latifondoromano, come se la dissoluzione dell’intero assetto politico-economico-sociale romano imperiale non avesse rivoluzionato profondamente le stessestrutture agrarie, e i villaggi altomedievali non si fossero affermatiattraverso profondi processi di trasformazione dei sistemi insediativiantichi 4.

Numerosi storici dell’Italia altomedievale sono giunti a supporrel’esistenza di un popolamento rurale sparso sulla base di indicatori desuntiesclusivamente dall’esigua documentazione d’archivio, peraltro sempresuccessiva alla metà del secolo VII, distribuita non uniformemente neltempo e nello spazio, nonché sostanzialmente ambigua ai fini dellaricostruzione dei contesti insediativi.

Nel delineare i caratteri dell’habitat e del paesaggio agrario, Andreolli eMontanari proponevano, nel 1983, una sintesi sulla curtis in Italiaessenzialmente incentrata sugli aspetti gestionali dell'azienda curtense inriferimento alla proprietà della terra e al lavoro contadino durante i secoliVIII-XI5.

1 In riferimento alla diffusione del villaggio accentrato nel secolo IX sostenuta da Duby, ad esempio Andreolli eMontanari ritengono che “tale immagine, se può valere per l’Europa del Nord a cui il Duby soprattutto siriferisce, non può certamente essere applicata all’Italia” (ANDREOLLI, MONTANARI 1983, pp.177-200).

2 FOSSIER 1992, p. 208.

3 Cfr. TABACCO 1967, pp. 67-110.

4 Wickham in un suo contributo del 1998 affronta l’analisi del doppio impatto della crisi del sistema romanoe della continuità delle strutture agrarie dopo essersi posto la domanda “come è stato possibile che la crisidell’impero [romano] si sia sviluppata in concomitanza con una sostanziale continuità dell’economiaagraria?” (WICKHAM 1998a, pp. 203-226 in particolare pp.204-205).

5 ANDREOLLI, MONTANARI 1983, pp.177-200.

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Riconoscendo che le fonti d’archivio utilizzate si prestano soprattutto adelineare i caratteri del possesso fondiario altomedievale, le relazionieconomico-sociali e le forme di controllo sugli uomini, gli autorievidenziavano che il sistema gestionale “curtense” non implicò alcun tipospecifico di insediamento e di organizzazione agraria6. Sottolineavanotuttavia che dalla lettura documentaria avevano tratto l’impressione di unaprevalente diffusione di un modello insediativo di tipo poderale, secondo ilquale i mansi dipendenti da un centro curtense corrispondevano ad una«unità aziendale compatta, autonoma nei suoi confini, delimitabile conchiarezza nella sua individualità», presupponendo che a tale definita unitàgestionale dovesse corrispondere necessariamente anche una contiguitàtopografica delle terre, giungendo a generalizzare tali osservazioniall’intera penisola.

La posizione sostenuta, secondo cui molti riferimenti documentarialtomedievali sarebbero interpretabili come indizi di popolamento sparsoinserito nel quadro del sistema curtense appare fragile. Ma una simileperplessità è suscitata dalle affermazioni che generalizzano la diffusionedell’insediamento sparso anche a prescindere dall’affermazione dellagrande proprietà e del sistema curtense e che ne presuppongono anche unanotevole diffusione nei decenni precedenti l’affermazione dell’aziendabipartita: «In Italia, nei secoli VIII-IX, il modello prevalente di habitatsembra essere quello sparso». Andreolli e Montanari giungono asistematizzare e ad enfatizzare posizioni analoghe espresseoccasionalmente dalla storiografia precedente sulle campagnealtomedioevali, che a partire dagli anni cinquanta ha creduto di intravederetestimonianze di una consistente diffusione di abitazioni isolate nellecampagne altomedievali, proponendo anche una distinzione tra i piccoliproprietari, residenti nei vici, e i massari da essi dipendenti, che spesso nonavrebbero abitato entro il villaggio, ma sul podere loro affidato in gestione7.

Andreolli e Montanari, usando soprattutto le fonti private dell’Italiasettentrionale, sono giunti ad ipotizzare per l’intera Penisola dei secoli VIIIe IX, tanto nelle aree di tradizione longobarda quanto in quelle di tradizionebizantina, una sostanziale marginalità del modello insediativo fondato sulvillaggio accentrato, che tuttavia confligge con le conoscenze relative amolte regioni italiane (aree montane, sia appenniniche che alpine, granparte della Toscana) e al quadro che si va delineando per l’Europacarolingia e nel mondo bizantino. Il pregio di queste pagine dedicate aiquadri insediativi nell’Italia “curtense” consiste nella proposta di unmodello insediativo senza sostanziali ambiguità, con la quale gli archeologipossono utilmente confrontarsi; mentre posizioni storiografiche altrettantoorientate a generalizzare la diffusione del popolamento sparso durante

6 ANDREOLLI, MONTANARI 1983, p. 180.

7 FASOLI 1958, pp. 111-133.

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l’alto Medioevo sono state avanzate, più spesso sottointese che esplicitatecon coerente consapevolezza

Si potrebbe affermare, dunque, che la medievistica interessata aiproblemi della storia rurale abbia rinunciato ad usare i documentiarcheologici che hanno apportato nuove conoscenze sugli elementi cardinedelle forme insediative altomedievali, e che le ricostruzioni dei quadriinsediativi sono state proposte dagli storici sulla base del genere di fontiscritte cui hanno fatto prevalente ricorso. Infatti, in assenza didocumentazione scritta di tipo fiscale-descrittiva, la presenza del villaggiorisulta sostanzialmente “invisibile” utilizzando questo o quel tipo discrittura8.

Le vecchie ricerche della scuola economico-giuridica, ad esempio, hannoricondotto univocamente le testimonianze relative a organizzazionicomunitarie rurali a forme di organizzazione politico-amministrativa edecclesiastico-religiosa fondate sul villaggio o su quadri territoriali ancorapiù organici e complessi (vicus, casale, pagus, etc.), attingendo soprattuttoalle fonti normative tardo-romane e romano-barbariche, alle non rare fontinarrative e, non ultimo, alla documentazione di tipo giudiziario9.

D’altra parte anche gli studiosi che si sono avvicinati all’alto medioevoda una prospettiva storico-economica e storico sociale hannofrequentemente fatto riferimento al villaggio come cellula di un ecosistemanel quale la comunità era inserita, nell’ambito di sistemi produttivi chetendevano all’autosufficienza su base locale10. Infine, il villaggio è statoconsiderato come il fulcro dell’organizzazione del territorio rurale nell’altomedioevo quando ci si è occupati dell’assetto ecclesiastico altomedievaledelle campagne11, come è accaduto in Toscana12, per la straordinariadisponibilità di testimonianze giudiziare raccolte in occasione della contesa

8 Non pare un caso che un assetto del popolamento per villaggi emerga con chiarezza da un testo del secolo Xche presenta caratteri per certi versi assimilabili a fonti di tipo fiscale, vale a dire l’inventario della pieve di S.Pietro di Tillida (nella pianura veronese) riguardante i vici i cui abitanti erano tenuti a versare la decimaecclesiastica presso l’ente ecclesiastico (CASTAGNETTI 1976; cfr. anche CASTAGNETTI 1982, p. 62).

9 SCHNEIDER 1914, pp 182-183 e SCHNEIDER 1980; BOGNETTI 1927; FASOLI 1958; SANTINI 1964, pp.33-65; BOGNETTI 1965, in particolare pp. 469-490; CAVANNA 1967, p.546; MOR 1972, pp. 15-19.

10 Per le comunità di villaggio altomedievali italiane cfr. FUMAGALLI 1985a, pp. 22-23; le stesse posizionisono riprese, sottolineando l’erosione dei beni comunitativi da parte della grande proprietà dei secoli VIII e IX,anche in FUMAGALLI 1994 pp. 377-379. Sostiene che nel mondo longobardo la struttura del villaggio apparedominante dai nostri primi documenti scritti WICKHAM 1992, pp. 240-241. Più in generale, per i villaggi tardo-antichi e del primo altomedioevo nel contesto dell’Europa occidentale cfr. CONTAMINE, BOMPAIRE,LEBECQ, SARRAZIN 1997, pp. 29-31, mentre per il villaggio del IX secolo è ancora utilissima la lettura diDUBY 1984, pp. 8-10.

11 Cfr. VIOLANTE 1986, pp. 105-265.

12 Cfr., ad es., l’analisi della charta repromissionis dell’ottobre 746 relativa alla chiesa di S. Pietro di Mosciano,presso Lucca (CDL, I, n. 86, pp. 252-254), in MENGOZZI 1915, pp. 271-273 .

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tra il vescovo di Siena e quello di Arezzo in merito alla titolarità di ungruppo di pievi poste al confine tra i due territori13.

Ma le posizioni sull’insediamento altomedievale in Europa e in Italiasembrano differire non solo tra “storici” e “archeologi”, quanto piuttosto inrelazione alla formazione dei singoli ricercatori e al genere di fonti cui si èfatto riferimento. Una più estesa analisi riguardo ai temi dell’insediamentoaltomedievale lascerebbe emergere più profonde distinzioni tra chi (storicoo archeologo) è ricorso a paradigmi interpretativi, attingendo a modelli notio elaborandone di autonomi, e chi, invece, ha organizzato le informazioniin forma disaggregata e meramente descrittiva.

Appare chiaro che l’archeologo che appiattisse un inquadramento deidati materiali prodotti dal proprio lavoro sul campo entro modelli costruitisulle fonti scritte si priverebbe di strumenti essenziali, tali da escludereinterpretazioni innovative, anche a livello storiografico, e si priverebbedegli strumenti indispensabili per individuare i contesti e le strategie per leindagini future. L’unica strategia possibile per accrescere la conoscenzadell’insediamento altomedievale è quella di costruire e mettere alla prova iparadigmi interpretativi, rimanendo disponibili a modificarli e a superarlisulla base delle nuove conoscenze acquisite, e la verifica delleinterpretazioni storiografiche non può che ripartire dalla lettura delle fonti:chi le ha usate infatti non necessariamente si è confrontato con sufficientistrumenti critici alle fonti materiali. Ma anche questa strada nonnecessariamente, sopratutto in fasi di elaborazione intermedie, porta aconclusioni definitive: la logica di conservazione della materialità dellastoria è ben diversa dalla logica di conservazione delle fonti scritte. Inparticolare per l’altomedioevo dobbiamo aver chiaro che ormai gli scavihanno prodotto, in relazione alle strutture dell’habitat, documenti cheinvestono qualità e quantità di dati assai superiori ai pochi documentiprivati superstiti

3. La Toscana è stata, ed è, contrassegnata dalla compresenza di contestigeografici e ambientali molto differenziati14 e le varie subregioniconobbero vicende storiche divergenti già durante l’alto medioevo15,determinando condizioni specifiche che influenzarono localmente lageografia del popolamento rurale. Tuttavia, le differenze nei quadriinsediativi altomedievali proposte sulla base dell’analisi delladocumentazione d’archivio superstite16 non hanno trovato riscontro sulterreno dell’indagine archeologica: i risultati delle ricognizionitopografiche e degli scavi dei siti rurali delineano in modo concorde una

13 CASTAGNETTI 1982, pp. 34, 41, 272-274.

14 PINTO 2002, pp. 7-73.

15 Cfr. WICKHAM 1995, pp. 232-233.

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realtà tendenzialmente omogenea entro i diversi comprensori indagati.Infatti, in Toscana – come, del resto, nella generalità delle regioni oggettodi estese ricognizioni archeologiche -, l’esame dei dati relativi ai secoli V-X consente di escludere una diffusione del popolamento sparso, mentre gliscavi hanno frequentemente portato alla luce centri abitati di altura,contrassegnati generalmente da una consistenza demografica percepibilepiuttosto rilevante, con fasi di occupazione che prendono avvio già apartire dal primo altomedioevo17.

Per alcune aree della Toscana, una difficoltà di cogliere i segni di unaidentità sociale fondata sul territorio di villaggio attraverso l’analisi delladocumentazione privata di età carolingia e post-carolingia ha indotto aipotizzare una diffusione a tratti pervasiva dell’insediamento sparso, nonsolo nella piana di Lucca, strettamente legata alla città, ma persino in areemontane, quali l’Appennino casentinese e l’Amiata18. A fronte di taliipotesi ricostruttive la ricerca archeologica di superficie avrebbe dovutoindividuare in buon numero tracce di residenze rurali isolate, che – invece –risultano del tutto assenti: per quali motivi l’insediamento sparso, che peraltri contesti cronologici emerge con chiarezza nell’indagine di superficie,non viene individuato in queste medesime ricerche? Appare allora chiaro,come ci conferma Valenti, che l’”invisibilità” del popolamentoaltomedievale si debba alla ricorrente presenza di nuclei altomedievali neicentri a continuità di vita fino al basso medioevo o alla sua ubicazione incorrispondenza di alture, per le quali l’esistenza di fasi altomedievali èaccertabile attraverso scavi programmati o, più semplicemente, alla suacoincidenza con i centri abitati di lunga durata che ne hanno obliterato letracce sino a renderle non percepibili fuori da indagini archeologichemirate, data la “monumentalità” delle strutture in pietra delle fasisuccessive all’ XI secolo e, viceversa, per la labilità dei materialicostruttivi dei secoli compresi fra il VI e l’XI.

Possiamo inoltre chiederci se le differenze negli assetti delle campagnetoscane altomedievali, delineate dagli storici, riflettano una disomogeneitànelle definizioni socio-insediative delle fonti, utilizzando una terminologianotarile, finalizzata a descrivere rapporti giuridici privati, non in grado difarci capire quale fosse l’assetto reale delle strutture del popolamento,aderendo invece ad altri schemi di riferimento mentale19.

16 Per due recenti sintesi sull’articolata organizzazione socio-insediativa delle campagne altomedievali toscane,realizzate appoggiandosi ai documenti scritti, cfr. WICKHAM 1992, pp. 239-251 e FRANCOVICH,GINATEMPO 2000 pp. 7-24.

17 FRANCOVICH, HODGES 2003, pp. 61-74, 106-114;

18 WICKHAM 1990, pp. 79-102. WICKHAM 1995, WICKHAM 1997.

19 Cfr. le esemplificazioni in WICKHAM 1992, p. 241.

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Dopo il collasso dei sistemi distributivi e delle principali vie dicomunicazione di epoca romana, le popolazioni rurali furono costrette acontare su se stesse per il soddisfacimento dei bisogni primari. In talecontesto, le logiche distributive del popolamento furono orientate dadinamiche completamente diverse rispetto a quelle che avevanocaratterizzato i paesaggi antichi: il popolamento rurale, fortemente ridotto,anziché disperdersi tra i boschi e gli incolti, si andò rapidamenteaggregando in nuovi insediamenti20, dopo una fase di disarticolazione degliimpianti insediativi tardo antichi, spesso collocati ai margini degli spazifino ad allora utilizzati.

Le condizioni socio-economiche e l’insicurezza politico-militare checontrassegnarono la regione nel corso del VI secolo fecero sì che unaorganizzazione di villaggio tornasse a soddisfare le esigenze di sussistenzadelle popolazioni rurali21, concorrendo al sedimentarsi di strutture mentaliche vincolavano la comunità ad un centro abitato ben caratterizzato nellasua identità, ancorchè labile per i materiali utilizzati nelle struttureabitative.

L’accentramento delle abitazioni contadine in nuclei di popolamentoconsentiva inoltre di raggiungere una ‘massa biologica’ di consistenzaadeguata, vale a dire un numero di abitanti che giungesse almeno allasoglia del centinaio di individui, al di sotto della quale difficilmente lasolidarietà e la sussidiarietà comunitaria potevano raggiungere quellamassa critica utile per ottenere una produttività agricola efficace per lasopravvivenza: in quel contesto, per un gruppo umano troppo esiguo eisolato, una comune infezione batterica sarebbe bastata a comprometterel’esito di un raccolto. I villaggi - che tra l’altro costituivano il naturalequadro di riferimento anche per le popolazioni germaniche migrate nellaPenisola22 – rappresentavano, poi, una sede ove accumulare le scortealimentari, uno spazio privilegiato per la produzione, la riparazione e loscambio degli utensili e, non ultimo, il contesto di riferimento privilegiatoper la conservazione e la trasmissione del patrimonio di conoscenzetecniche, tanto più prezioso, quanto più ciascuna comunità era forzatamentespinta all’autarchia in quasi tutti i settori produttivi. Lo sviluppo di una vitacomunitaria entro questi nuovi centri fu favorito dall’abituale conduzionedi pratiche collettive: la mietitura, la vendemmia, la caccia e persino lerivalità con i centri vicini dovevano costituire ragioni per consolidare ilegami di villaggio, mentre le dinamiche dei rapporti parentali interni e

20 FRANCOVICH 2002, pp. 144-167; FRANCOVICH, HODGES 2003, pp. 61-74; WICKHAM 1992, pp.240-241.

21 FRANCOVICH, HODGES 2003, pp. 31-74.

22 GALETTI 1997; GALETTI 2001; GASPARRI 1996, pp. 317-320.

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esterni a questi centri abitati rimangono ancora da indagare in unaprospettiva archeologica e antropologica23.

Il popolamento rurale non si esauriva nelle comunità di villaggio,doveva includere infatti l’esistenza di elementi marginali: i vagabondi, ipellegrini, i lavoratori forestieri specializzati, forse anche i pastoritransumanti. Non vi è dubbio, tuttavia, che, sulla base delle indicazioniarcheologiche, nella sua sostanza lo scheletro insediativo del primomedioevo fosse costituito da villaggi di dimensioni non trascurabili, vale adire da strutture socio-insediative in grado di assolvere alla massima partedelle necessità dei propri abitanti, in un contesto complessivo di profondacrisi delle città, dell’economia di scambio, delle infrastrutture viarie e degliassetti politico-amministrativi.

L’economia di sussistenza delle popolazioni rurali si fondava sullaraccolta, sulla caccia e sull’allevamento, quanto sulle tradizionali attivitàagrarie, il cui ruolo si andava ridimensionando rispetto alla tarda antichità,come emerge con chiarezza anche prendendo in considerazione l’evidenzaarcheozoologica (un crollo della presenza di ossa di bovini adulti, legataall’impiego come animali da tiro, a fronte di un incremento percentuale dicapriovini e di suini24). Pertanto, i nuovi centri abitati, che talvoltaoccuparono insediamenti d’altura dell’età del Bronzo o del Ferrosostanzialmente abbandonati dopo la romanizzazione, andarono acollocarsi vicino a sorgenti perenni, presso le quali vennero impiantati gliorti, e si insediarono non lontano dagli estesi manti boschivi montani, doveil castagno e il cerro consentivano di sfamare uomini e bestiame anchequando una carestia stagionale o un conflitto avrebbero compromesso ilraccolto cerealicolo25. Il ruolo centrale ricoperto dall’allevamento bradonell’economia agraria del primo medioevo concorse a favorirel’accentramento insediativo delle popolazioni rurali, che impiantarono leresidenze e le connesse colture orticole, arboree e arbustive, entro una sortadi “oasi”, ben separate dal paesaggio semi-selvatico circostante attraversoalte siepi, che dovevano impedire agli armenti e alle bestie selvatiche didanneggiare le colture e gli animali domestici. Si determinò, così, quasiovunque una ripartizione colturale che nella sua rudimentalità dovetteandare a separare nettamente i due fondamentali territori agrari: quelloprossimo al villaggio, e quello esterno comprendente in apparente fluiditàle colture cerealicole, quelle tessili, i pascoli e i boschi. In tale contesto, ilmanso di villaggio (vale a dire la casa attestata nei documenti d’archivio apartire dalla metà del secolo VII) costituisce l’elemento in grado di

23 Cfr. FUMAGALLI 1976, p 34.

24 SALVADORI 2003, pp. 180-181.

25 Cfr. QUIRÓS CASTILLO 1998, pp. 177-198; QUIRÓS CASTILLO, GOBBATO, GIOVANNETTI,SORRENTINO 2000, pp. 147-175.

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garantire una gestione familiare individuale piuttosto che“individualistica”, integrandosi con l’uso comunitario degli incolti e dellestesse terre coltivate esterne alla cintura ortiva dell’abitato, durante iperiodi di riposo26.

La documentazione archeologica raccolta, e ben illustrata nelcontributo di Valenti, spinge inequivocabilmente a ricostruire un quadrodove l’habitat era già accentrato, anche se non ancora gerarchizzato, ecollocato, nella stragrande parte dei casi, sulle alture.

In Toscana, al cui interno si riscontravano quasi esclusivamente terrenicollinari o montani, spesso piuttosto fragili a causa della loro scarsaprofondità, la scelta delle alture come sede dei villaggi altomedievali fufavorita anche dalla possibilità di coltivare i suoli più leggeri delle colline,né aride, né suscettibili di inondazione, lavorabili a zappa senza ricorrerenecessariamente all’impegnativa e dispendiosa pratica delle arature.L’assetto economico complessivo rendeva, infatti, improponibile larealizzazione e la manutenzione di opere volte a irrigare le terre colpite daaridità stagionale o a prosciugare dalle acque terreni inondatiperiodicamente; pertanto, nelle aree più lontane dalle città, le pianurevennero lasciate al prato, all’acquitrino o alla palude e utilizzate come tali,mentre le colture di maggior reddito, evitando i fondovalle, venivanotendenzialmente collocate sulle alture e, poiché richiedevano una maggiorintensità di lavoro ed un più diretto controllo, attraevano a sé gli abitatirurali.

I villaggi andarono a collocarsi spesso in prossimità del limite superioredell’utilizzazione agricola del suolo, ponendosi per così dire “a metàstrada” tra i coltivi, a valle, e l’incolto, a monte27. La scelta delle sommitàera favorita dalla stabilità e dalla resistenza all’erosione dei ripiani rocciosisommitali a fronte della franosità di molti pendii argillosi, poco adatti, perqueste ragioni, ad ospitare le fragili dimore contadine. Inoltre, in uncontesto orografico molto mosso e irregolare, le diverse parcelle afferentiad un manso di villaggio, vale a dire le terre legate ad una casa, potevanodisporsi su due o più versanti dell’altura occupata in sommità dal nucleoinsediativo, per limitare i rischi di cattivi raccolti legati alle avversitàatmosferiche, in modo che “la posizione dominante delle sedi abitate e laloro centralità rispetto all’insieme delle particelle coltivate” consentisseroai contadini “ un più coerente, più regolare e quindi meno costoso eserciziodei lavori sullo spezzettato patrimonio terriero” 28

Nella riconquista delle sommità dovette pesare l’intento di occupareluoghi contrassegnati, anche simbolicamente, da una particolare vocazione

26 SERENI 1962, p. 335.

27 Cfr. per il Piemonte GRIBAUDI 1951, pp. 19-33; per il Lazio TOUBERT 1973, pp. 135-198.

28 GRIBAUDI 1951, pp. 19-33, in particolare p. 27.

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al controllo territoriale, talvolta coniugata all’opportunità di riutilizzare lestrutture di centri fortificati di età preromana29. Ma non si devecontrapporre al continuismo insediativo di quei ricercatori, che prolunganoi paesaggi antichi sino all’incastellamento, un altrettanto fragile modello dicontinuità del villaggio altomedievale con quello protostorico, che valuta laromanizzazione come una semplice e lunga parentesi, tutto sommato privadi duratura incisività sul piano dell’assetto territoriale delle campagnetoscane. E’ possibile, semmai, che ragioni simili spinsero, a distanza disecoli, popolazioni rurali, culturalmente diverse, ad adottare scelteinsediative in parte sovrapponibili.

Tuttavia, le motivazioni di tale processo non possono essere ridotte aquelle strategico-militari, non si capirebbe infatti né la rinnovata centralitàdei villaggi di altura nei quadri del popolamento rurale, né la capacitàdimostrata di sovvertire radicalmente gli assetti paesaggistici antichi e diimprontare con duraturo successo quelli dei secoli a venire. Per tali ragioni,la forte insistenza su questi aspetti da parte di molta storiografia, ancherecente, non è condivisibile30, tantopiù che anche molti siti dell’Italiasettentrionale indagati dagli archeologi delle fortificazionitardoantiche/altomedievali si sono rivelati nient’altro che villaggi contadinid’altura, dotati di modeste opere fortificate e normalmente privi di chiese edi residenze di rappresentanza per il potere pubblico31.

5. Valenti nel suo saggio ricostruisce come, in Toscana sulla base degliindicatori archeologici, nel corso del VI secolo la rete del popolamentorurale risulta caratterizzata da forme “residuali” di insediamento, talvoltaedificate sugli stessi impianti di ville tardoromane che avevano cambiatodestinazione. Le strutture abitative erano molto semplici, monovano, inpietra o più spesso in materiale deperibile e con copertura laterizia. Leattività produttive erano caratteristiche di un’economia di sussistenza.Generalmente non si colgono elementi di una gerarchizzazione sociale edeconomica. In sostanza sulle aree di popolamento tardoantico, e negli spaziagrari connessi, si coglie il lungo processo di “esaurimento” dei paesaggiantichi.

Il grande intervallo cronologico per il quale l’indagine archeologica disuperficie non produce informazioni sulla struttura dell’habitat rurale(metà VI/VII–XI secolo) è invece ampiamente colmato dai risultatiprovenienti dai cantieri di scavo sui castelli, di cui Valenti ci da una piùche esauriente selezione. In sostanza ciò che appare chiaro ormai è chel’incastellamento interessò soprattutto realtà insediative preesistenti e

29 Emblematici a tale riguardo i casi dei castelli di Scarlino, Donoratico, Castel di Pietra e Montemassi.

30 SERENI 1962, p. 22; inoltre CHIAPPA MAURI 2002.

31 CAGNANA 2001, pp. 101-117.

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stabilmente popolate, villaggi e curtes. Sulla base della documentazionearcheologica possiamo quindi affermare che l’incastellamento siincardinò su una rete di popolamento già stabilizzata, sulla cui ossatura siera modellata l’organizzazione del lavoro contadino. L’altomedioevo, almeno a partire dall’VIII secolo, non è un periodo

di crisi del popolamento, al contrario, proprio in quella fase si vaconsolidando la nuova trama insediativa delle campagne, sulla quale siinnestò più tardi la rete dei castelli. Anzi il periodo compreso fra la fine delVI e l’VIII secolo appare una fase cruciale nella formazione delle formeaccentrate di popolamento rurale, all’interno delle quali è difficile, se nonimpossibile, cogliere indicatori archeologici che ci permettano diindividuare diversificazioni sociali, e si è spinti a pensare che nellaformazione di questi insediamenti comunitari si seguirono “logichecontadine”, piuttosto che indirizzi di possessores. All’interno di questivillaggi si innescarono, soltanto a partire dalla metà dell’ VIII secolo,processi di gerarchizzazione sociale nell’assetto “urbanistico”, simmetriciall’affermazione delle aristocrazie rurali. Tali forme di gerarchizzazione sicolgono, in particolare, attraverso i segni della costruzione di fortificazioni,di cinte difensive dell’intero insediamento, o di parti di questo, e attraversola formazione di residenze di maggior prestigio. La signoria territoriale, asua volta, si sviluppò in un assetto fondiario che si era andato a definire inquesti secoli. I monumentali castelli di pietra rappresentano il segno fortedel nuovo ruolo sociale, politico ed economico che andavano assumendoaristocrazie laiche ed ecclesiastiche, cittadine e rurali, grandi e mediproprietari.

6. Dalle indagini archeologiche dell’ultimo venticinquennio sulle fasi divita altomedievali di quegli insediamenti, che si trasformeranno poi incastelli, è emerso che il materiale da costruzione più diffuso nella Toscana,in questo periodo, fu il legno, ma anche altri tipi di materiali costruttivideperibili: terra, paglia, incannicciati,etc.

In generale, nell’Italia centrale, la pietra non è più usata per le abitazionie compare nuovamente e massicciamente nei villaggi verso l’XI secolo,non solo in relazione alle strutture difensive o a quelle ecclesiastiche, maanche alle residenze signorili e, successivamente, anche in quellecontadine. E questo profondo mutamento nel modo di costruire, checoincide con l’inizio di una documentazione scritta sempre più consistentee con il consolidarsi e il manifestarsi attraverso un’edilizia monumentaledei poteri locali, ma è sufficiente a impedirci di vedere l’esistenza dicomunità ben solide, e con una lunga storia di trasformazioni interne, neisecoli VI-X, quando le strutture delle curtis si andarono formando suinsediamenti che appaiono socialmente omogenei ? Ci viene da pensare cheforse la pratica e la strategia della ricerca sul campo si mostra troppoincline a privilegiare i paradigmi storiografici sugli assetti del potere

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piuttosto che elaborare le labili realtà che ha di fronte, che è espressione dicontesti sociali che sfuggono alla tradizione scritta.

7. Se l’habitat di altura altomedievale nasce, come mostra ladocumentazione archeologica, con la fine dei paesaggi antichi, ancora sulleultime fasi di questi ultimi non è stata prodotta una mole di scavisufficiente a conseguire una ricostruzione esaustiva, nonostantel’attenzione recentemente dimostrata dai ricercatori a questi temi32. Generalmente, la rete insediativa tardo antica così come era sopravvissuta alla crisi delV secolo, si dissolse fra VI e i primi decenni del VII secolo: sui ruderi delle ville siimpiantarono talvolta nuovi abitati in legno o strutture precarie, interpretabili comeelementi catalizzatori per la popolazione residua oppure per elementi di popolazioniallogene33. D’altronde, alcuni indicatori archeologici mostrano che attorno alla metà delVI secolo si determinarono profondi mutamenti sociali nelle campagne toscane: lascomparsa delle ultime produzioni ceramiche legate per morfologia, tecnologia e retidistributive al mondo antico34 e l’egemonia delle strutture ecclesiastiche nella gestionedei rituali funerari che sfociò nella fine delle sepolture di tipo “germanico” e in unprogressivo incremento delle chiese rurali35.

Sotto il profilo dell’organizzazione religiosa dobbiamo evidenziare chenon emerge un ruolo centrale delle chiese rurali nella costituzione di unaidentità socio-insediativa di villaggio36. Ragionando sulla base dei datiacquisiti per i secoli successivi, attraverso le prospezioni topografiche e ladocumentazione d’archivio, possiamo forse intravedere una maggioreresistenza ad abbandonare i paesaggi antichi da parte degli edificiecclesiastici rispetto alle tendenze complessive del popolamento.

All’interno dei villaggi altomedievali, prima dei secoli IX e X, non è documentataarcheologicamente la costruzione di edifici religiosi in pietra e i nostri scavi ciconsentono anche di escludere la preesistenza di chiese lignee all’interno degli abitatid’altura, mentre è possibile che alcune chiese rurali, in particolar modo quellebattesimali, maggiormente legate agli episcopati cittadini, si andassero a configurarecome luoghi d’incontro temporanei per gli abitanti dei villaggi circostanti.

Gli enti ecclesiastici, talvolta dotati dai fondatori di patrimoni ancoralegati agli assetti proprietari tardo antichi, presentavano infatti non di rado

32 Per un quadro generale FRANCOVICH 2002 e FRANCOVICH, HODGES 2003.

33 CAMBI et alii 1994; VALENTI 1995; VALENTI 1997; VALENTI, 1999.

34 FRANCOVICH, VALENTI 1997; VALENTI 1999.

35 FRANCOVICH 2002, pp.144-167.

36 Anche in Toscana le conoscenze sulle chiese rurali tardo-antiche e altomedievali sono scarse, soprattutto neiloro rapporti con i quadri insediativi complessivi (cfr. i quadri di sintesi esposti in PERGOLA 1999). Per alcuniriferimenti ai casi di chiese rurali toscane attestate dalla metà del VII secolo nei loro rapporti con i quadriinsediativi circostanti, ricostruiti attraverso analisi topografiche e studio documentario si veda FRANCOVICH,FELICI, GABBRIELLI 2003.

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una collocazione in corrispondenza dei gangli delle direttrici viariepreesistenti - che normalmente lasciavano ai margini le alture ove avevanotrovato sede i nuovi villaggi - e raramente tali siti coagularorno attorno a séil popolamento rurale.

Per secoli i villaggi d’altura, da un lato, e le chiese pievane, dall’altro, sifronteggiarono in un rapporto dialettico che improntava l’organizzazionereligiosa e insediativa delle campagne toscane. Generalmente i villaggigiunsero, alla fine, ad attrarre presso di sé gli edifici religiosi, ma ciòaccadde solo nel corso di un arco temporale molto esteso. Nel frattempo, lecomunità di villaggio, contrassegnate inizialmente da una omogeneitàsocio-economica degli abitanti, avevano conosciuto una progressivaaffermazione di élites rurali, tradottasi anche in interventi digerarchizzazione dell’insediamento chiaramente leggibili in termini didocumentazione archeologica37. Durante i periodi di difficoltà economichee politiche molti piccoli proprietari liberi avevano infatti ceduto i proprimansi di villaggio ad un grande proprietario per ottenerli in concessionecome terra tributaria collegata ad un centro curtense. Pertanto, in etàcarolingia, i nuovi poteri legati al grande possesso fondiario, all’eserciziodi attività funzionariali, all’organizzazione della difesa e del controlloterritoriale, investirono massicciamente i gangli pulsanti dell’economiarurale e si imposero all’interno dei villaggi. In tale contesto nuovi edifici,magazzini e strutture, che manifestavano in modo concreto l’egemonialocale cui aspiravano i nuovi soggetti di potere, andarono ad occupare leparti privilegiate dei villaggi altomedievali.

Proprio i nascenti soggetti signorili, a partire dal secolo IX si rivolserocon progressiva convinzione ed efficacia all’istituzione ed al controllo dellechiese di villaggio (o, utilizzando termini documentari, di curtis, di villa odi castrum), concependoli come un elemento-chiave per il consolidamentoulteriore del proprio prestigio.Per contro, l’offensiva dei potentes per la loro affermazione sulle comunità di villaggiodovette determinare la crisi di un sistema di gestione collettiva delle terre e dell’usocomunitario dei pascoli e dei boschi. Nonostante tali dinamiche, tuttavia, possiamoritenere che in gran parte della campagna toscana l’identità del villaggio altomedievalesi mantenne a lungo sostanzialmente integra. Infatti, tra XII e XIII secolo i processi diulteriore accentramento insediativo, nel quadro dell’”incastellamento” o di terre nuovepromossi dai principali signori territoriali o dai comuni cittadini, avvennero nonattraverso un indistinto afflusso di popolazione dalle campagne circostanti, ma conmodalità che rispettavano le antiche fisionomie di villaggio. Vale a dire attraversomeccanismi di tipo sinecistico, per le popolazioni dei villaggi e dei castelli circostantiche, abbandonati gli originari centri di residenza, si insediarono entro i nuovi contestiper quartieri topograficamente omogenei e trasferirono al loro interno le proprie antichechiese.

37 FRANCOVICH 2002, pp. 144-167; FRANCOVICH, HODGES 2003, pp. 61-105.

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8. Dopo aver appurato la qualità di informazione che emerge dal lavoroarcheologico, così come ci è narrato da Marco Valenti, appare sempre piùevidente che la ricostruzione delle strutture insediative altomedievali si puòappoggiare solo in misura marginale sui documenti scritti, sia a causa dellaloro intrinseca inadeguatezza a illuminare questi temi, sia in relazione alleirrimediabili lacunosità, frammentarietà e disomogeneità distributiva che licaratterizzano nel loro complesso38.

Nonostante che per la Toscana di età longobarda risalti una sua peculiarericchezza rispetto alla tradizione complessiva delle scritture documentariealtomedievali (due terzi dei documenti diplomatici di questo periodoproviene da archivi toscani39), e che tale materiale sia utile per conoscerel’esistenza di un certo numero di insediamenti, tuttavia esso rimane di persé strutturalmente inadatto a ricostruire le forme insediative di quelperiodo40.

Alla luce di tale stato di cose, è utile tornare ad una lettura delle fontiscritte attraverso i modelli elaborati sulla base di quelle archeologiche,capovolgendo quanto è stato proposto in sede storiografica, vale a dire che«le poche fonti materiali» relative al periodo compreso tra la fine del VII el’inizio del X secolo debbano «ancora essere lette attraverso le fontiscritte»,41 a causa dell’esiguità delle conoscenze conseguite su basearcheologica42.

Quindi dobbiamo verificare se un sistema insediativo fondato sulvillaggio, che emerge chiaramente dalle indagini sul campo, risulti o menocompatibile con i documenti disponibili per l’alto medioevo.

Nella documentazione d’archivio altomedievale, l’unità elementaredell’insediamento rurale è designata casa, vale a dire un insieme distrutture e di appezzamenti fondiari, di cui si componeva un’aziendacontadina retta da un nucleo familiare43. I meccanismi mediante i qualiqueste case si correlavano reciprocamente non sono chiariti dal dettato diquesti testi, poiché attraverso questi generalmente non è possibile stabilire

38 Sull’irrimediabile penuria di fonti scritte altomedievali, Stefano Gasparri ha messo in risaltoche tra la discesa dei Longobardi e l’inizio del secolo VIII si sono conservati (in originale o incopia) solo nove documenti d’archivio relativi al Regno d’Italia, cui si aggiungono otto testi perl’Italia bizantina, una breve fonte cronistica e la raccolta legislativa di Rotari (GASPARRI1983, pp. 118-121).

39 Su 296 documenti autentici editi nei primi tre volumi del CDL, quasi duecento provengono da centri toscani(poco meno di 160 dall’archivio arcivescovile di Lucca, una ventina circa da quello del monastero di S.Salvatore al Monte Amiata ed una trentina circa dagli antichi archivi di altre istituzioni ecclesiastiche).40 Per la messa a punto di questi temi, cfr. GINATEMPO, GIORGI 1996, pp. 7-52 e FRANCOVICH,GINATEMPO 2000.41 CAROCCI 2000, p. 426.42 GINATEMPO, GIORGI 1996, pp. 7-52.43 CAMMAROSANO 1991, p. 131.

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se tali dimore contadine fossero disperse nelle campagne o inveceraggruppate in villaggi44.

Non vi è dubbio inoltre che risulta assai arduo determinare anche qualiconcreti contesti di popolamento stessero dietro alle definizioni vicus,fundus, locus, casale o curtis, poiché l’uso di questi termini non è semprericonducibile a un significato generale e univoco in contesti documentari ecronologici diversi45. Anzi, in alcuni casi si ha la netta sensazione che illoro utilizzo sia stato sostanzialmente intercambiabile, mentre in altrisembra più probabile che esso variasse nel tempo, in relazione al mutaredei caratteri degli abitati o della loro percezione individuale da parte deidiversi estensori dei documenti. In linea generale, tuttavia, risulta piuttostoevidente la loro valenza semantica collettiva, che li rende riferibili acontesti di villaggio, sebbene siano possibili valutazioni diverse sul gradodi accentramento insediativo che poteva contrassegnare questi abitati nelcaso in cui si prescinda dai risultati delle indagini archeologiche46, oppurese si consideri queste ultime determinanti per la piena comprensione delsignificato di tali definizioni insediative47.

Nel contesto documentario toscano il termine vicus48 rimanda in modomeno ambiguo a forme di villaggio, ricalcando una designazione giàpresente nell’età classica che tende rapidamente a scomparire durante ilsecolo X a favore di nuove dizioni (villa, curtis, castellum), persopravvivere in seguito nel solo ambito toponomastico. Nonostante unevidente nesso del vocabolo con l’assetto insediativo antico, sarebbeerroneo ritenere che gli abitati designati vici siano da riferire soltanto avillaggi tardo antichi49.

In sede storiografica viene normalmente registrata l’ambiguità deltermine casale, che - come del resto il vocabolo curtis - può essereutilizzato indifferentemente con accezione insediativa o patrimoniale,anche in considerazione del fatto che non di rado un intero insediamento(casale o curtis) poteva essere ascritto al patrimonio di un singolosoggetto50. Talvolta si è colto nell’uso del termine casale un nesso con una

44 GINATEMPO, GIORGI 1996, pp. 7-52.45 Ad esempio, in riferimento alla documentazione di Farfa dei secoli VIII e IX ove si menzionano domuscultae, cellae, curticellae, curtes, casalia, Pierre Toubert osservò a suo tempo: “il arrive que les mêmes motsdéfinissent, selon le contexte documentaire, des réalités diverses et parfois même contradictoires” (TOUBERT1973, p. 456).46 Wickham sostiene che i termini vicus, villa, casale e castrum non possono dire qualcosa sul carattereconcentrato, disperso o intermedio di questi habitats (si veda il suo intervento in NOYÉ 1988, p.215). 47 FRANCOVICH 1998, pp. 13-20; FARINELLI 2000, pp. 13-20; FRANCOVICH, GINATEMPO 2000, pp. 7-24.48 CASTAGNETTI 1982, pp. 272-273.49 Come dimostra, ad esempio, il caso del vicus di S.Ansano, formatosi durante l’età longobarda incorrispondenza dell’omonima chiesa, entro il territorio conteso tra le diocesi di Siena e Arezzo CASTAGNETTI1982, p. 273.50 Cfr. le considerazioni in FUMAGALLI 1992, p. 77. I casalia del secolo IX sono intesi come complessifondiari minori delle curtes, gruppi di poderi accentrati, ma privi di dominico, proiettati ad una conquista deiboschi alla agricoltura, in FUMAGALLI 1976, p. 29. Per i diversi significati attribuiti in sede storiografica al

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organizzazione di villaggio alternativa alla grande proprietà, legata allosfruttamento collettivo di spazi incolti51 e, in area bizantina, a iniziative dicolonizzazione e dissodamento52.

In riferimento alla Toscana orientale, alcuni autori hanno interpretato ilcasale come una ripartizione territoriale al cui interno poteva essereinquadrato un popolamento più o meno intensamente nucleato53, per laToscana meridionale, invece, è stata rilevata la frequente identificazionedei casalia attestati nei documenti d’archivio con nuclei insediativi,normalmente d’altura, talvolta di dimensioni modeste54.

Le ricerche più organiche sul significato insediativo delle informazioniprovenienti dai testi altomedievali toscani sono state compiute da ChrisWickham, che ha proceduto ad una faticosa analisi della dimensioneinsediativa rurale. Wickham, che si è dimostrato attento anche aconsiderare i dati e i modelli scaturiti dalle prime e frammentarie indaginiarcheologiche, ha proposto paradigmi interpretativi alternativi a quelli cheè possibile elaborare sulla base delle più recenti indagini archeologiche.Infatti, a più riprese ha sostenuto la possibilità che un’organizzazioneterritoriale per villaggi sia corrisposta, da un lato, a un tenue accentramentodell’insediamento55, dall’altro all’apparente debolezza dell’identità divillaggio prima dell’XI secolo”56.Per quanto poi concerne specificamente l’assetto del popolamento perl’area del Monte Amiata, Wickham, concordando con le posizioni espresseanche da Manuel Vachero Piñero in riferimento alla Valdorcia, ha ritenutoche né i vici o i casalia, né, in una prima fase, gli stessi castelli avrebberodeterminato una pronunciata concentrazione dell’habitat sino al pieno XIIsecolo, poiché sino a quell’epoca un ruolo determinante sarebbe statoricoperto dall’insediamento sparso57.Le argomentazioni di Wickham risalgono ad una ventina di anni fa, quandodovevano ancora essere avviate indagini sistematiche sui contestiarcheologici amiatini. Le ricognizioni di superficie, le ricerche sulsopravvissuto e quelle di aereofotointerpretazione condotte nell’ultimoquindicennio, tuttavia, hanno portato nuovi dati che possono indurre aelaborare interpretazioni alternative rispetto a quelle a suo tempo proposte

termine casale nei secoli VIII e IX cfr. PASQUALI 2002, pp. 45-46. Sulla valenza insediativa delle curtesmenzionate nei documenti toscani cfr. FARINELLI 2000 pp. 161-166. Sull’appartenenza nel X secolo di interivillaggi situati in aree marginali del territorio lucchese a soggetti signorili che utilizzavano la curtis perl’organizzazione dei patrimoni rurali cfr. ANDREOLLI 1998, pp. 154-155.51 ANDREOLLI 1989, pp. 362-363.52 ANDREOLLI 1989, p. 366; CASTAGNETTI 1982, pp. 225-247.53 Su tale accezione del casale altomedievale hanno insistito DELUMEAU 1996, pp. 118-121 e WICKHAM1997, pp. 186-18754 Si vedano anche gli accenni in CONTI 1965, pp. 9-14.55 WICKHAM 1990, pp. 79-102; WICKHAM 1989, pp. 101-137; WICKHAM 1995; WICKHAM 1997.56 WICKHAM 1995, p. 233; WICKHAM 1988, p.215.57 WICKHAM 1989, pp. 110-111; VAQUERO PIÑEIRO 1990, pp. 21-23.

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dallo studioso anglosassone58. Infatti, l’archeologia dei paesaggi non haportato alcuna conferma della presenza di un habitat altomedievaledisperso, evidenziando invece la diffusione di villaggi nucleati, spessocollocati in sommità e non di rado in corrispondenza di località in cuifurono ubicati edifici religiosi medievali o insediamenti qualificati nelladocumentazione d’archivio come curtes, ville o castelli.

Alla luce di queste indicazioni dovrebbe essere riconsiderata la portatageneralizzante riguardo alla scarsa coesione insediativa dei casalia e deivici posti nelle pendici occidentali e orientali dell’Amiata59. Gli indiziraccolti da Wickham provengono da cinque documenti, pertinenti a unperiodo piuttosto tardo (uno risale all’830 e gli altri al X secolo), in cui lagrande proprietà aveva già raggiunto una forza tale da spezzare i legami deirustici con le rispettive comunità di origine60. Inoltre, solo alcuni di questitesti mostrano con sufficiente chiarezza la collocazione di edifici abitativiall’esterno del nucleo centrale del villaggio (un molino in località Comulonel casale Plana o una casa da costruire in prossimità del tracciato dellaFrancigena), mentre niente permette di escludere che la maggior parte deiriferimenti potrebbe riguardare residenze contadine poste in villaggiaccentrati.

Per altro verso, la discussione sul tema della labilità delle strutturecomunitarie locali sino all’età dei castelli, intravista da Wickham attraversol’analisi dei testi scritti, non può trovare nei risultati della ricercaarcheologica elementi di contradizione, - come viceversa è possibile perquelle aree dove i cantieri stanno dimostrando la solida e prolungatapresenza di villaggi altomedievali, - a causa dell’assenza di scavi, ma certola stessa assenza di documentazione relativa alla presenza di insediamentosparso non sembra cofermarla.

Speculare rispetto a questa problematica è la proficua prospettiva diValenti quando confronta il modello storiografico degli assetti sociali e diorganizzazione del potere nelle campagne fra VIII e X secolo, elaboratosulla base della documentazione scritta, con le evidenze chemacroscopicamente emergono sotto gli insediamenti incastellati, sia intermini di produzione agricola accumulata sia in termini di organizzazionetopografica dell’insediamento. Valenti riesce a darci un quadro dellediversificazioni e delle specificità delle abitazioni in legno, con varie e benpercepibili destinazioni funzionali, o della formazione di aree privilegiatedegli insediamenti con la costruzioni di cortine in pietra o legno, con ilchiaro intento di rendere compatibile l’interpretazione storiografica con lerealtà materiali emergenti dal terreno. Tale tentativo, se può in alcuni casi

58 CAMBI 1996; FRANCOVICH et alii 2002, pp. 40-46; ma nuovi elementi emergono da recenti tesi sulterritorio amatino (CAPRASECCA 2002; CAVALLO 2003; GIUSTARINI 2004; MENCI 2004; BOTARELLIc.s).59 WICKHAM 1989, pp. 110-115. 60 Presoniano (CDA I, n. 108); Talassa (CDA I, n. 178); Lamula (CDA I, n. 174; CDA I, n.194); Plana (CDA I,n. 167; CDA I, n.194).

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apparire una “fuga in avanti”, certamente contribuisce a rendere possibileun’interpretazione innovativa delle fonti scritte.

9. In conclusione, se il modello, prospettabile attraverso l’interpretazionedelle fonti archeologiche, ci delinea un quadro del popolamentoaltomedievale radicato ad una variegata, ma solida, realtà di villaggio, paredelinearsi chiaramente un quadro nel quale le fonti scritte nonnecessariamente contraddicano tale dimensione, mentre l’esistenza di uninsediamento sparso, significativo in termini di consistenza demografica,attende una conferma archeologica e documentaria. La ricostruzione deigrandi processi di trasformazione dei quadri ambientali nella lunga fase ditransizione fra il tardo antico ed il medioevo si basa sulla valutazioni difonti diversificate e l’interpretazione dei “frammentari” indicatori sui qualisi fonda il processo di ricostruzione storica non può fare a meno diottimizzarne il loro potenziale informativo e a rivolgersi alla fontemateriale non solo per “fletterla” a vantaggio di questa o quellainterpretazione storiografica, ma piuttosto per esplorare la complessità dellerealtà insediative, le cui logiche di conservazione, di “uso” e diinterpretazione differiscono profondamente da quelle delle fonti scritte.Sapendo bene che soltanto le fonti archeologiche sono in grado dirinnovarsi e di produrre nuove e sostanziali informazioni.

Se nel nostro disattento paese si sarà in grado di mettere in campostrategie di conservazione e di valorizzazione di un patrimoniopaesaggistico ed archeologico, che rischia di essere usurato senza averpotuto comunicare il suo straordinario potenziale conoscitivo, non solopotremo realizzare politiche efficaci di conservazione del patrimonio, masapremo trovare quei segni della storia davvero capaci di orientare losviluppo e una pianificazione equilibrata del territorio. Sarebbe un graveerrore che il mondo della ricerca, nel suo complesso, si ritenesse estraneo alproblema della conservazione di fonti tanto centrali per riscrivere capitolidi storia e all’uso pubblico che di questo patrimonio si fa.

E allora entra in gioco di nuovo il Progetto “Archeologia dei PaesaggiMedievali” della Fondazione Monte dei Paschi di Siena che non solopermette di operare su una scala quantitativamente significativa, mascommette sulla possibilità di trasmettere ad un grande pubblico temiapparentemente complessi attraverso elaborazioni di immagini, capaci direndere comprensibili assetti insediativi passati, che hanno marcato, econtinuano a marcare, il territorio toscano. Molte delle ricostruzionigrafiche, utilizzate in questo volume, frutto di un lavoro di sintesi operatoda illustratori di grande capacità e da archeologi, sono al tempo stesso unmezzo efficace didatticamente e il risultato narrativo più incisivo del nostrolavoro di archeologi-storici.

Riccardo Francovich

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1 - Le problematiche61 L’organizzazione economica delle campagne altomedievali italiane è

un tema consolidato nella letteratura storica dell’ultimo trentennio. Provare atracciare una sintesi sugli aspetti legati alle forme del popolamento nonrisulta però facile.

Le informazioni, più approfondite quando riguardano alcuni grandipatrimoni monastici, sono circoscritte soprattutto al periodo che va dal IXall’XI secolo, privilegiando gli aspetti giuridici, economici e sociali.L’interesse della ricerca non si è concentrato sui luoghi del vivere, bensì sulloro ruolo nello sfruttamento delle campagne. La casistica insediativa, i suoicaratteri topografici, l’entità demografica, gli aspetti strutturali e lafunzionalità degli spazi nei centri di popolamento sono identificabili solo perdeduzione.62

In generale, per l’Italia del centro nord, non disponiamo di modellieconomico-insediativi attendibili precedenti alla formazione dell’aziendalatifondistica. Esistevano grandi tenute fiscali e aziende fondiarie, talvoltainterpretate come eredi del sistema di gestione della proprietà ruraletardoromana, ma delle quali si sa poco ed è impossibile comprenderne tantola reale articolazione quanto l'impatto avuto sul territorio.

La media e grande azienda sembrano avere avuto una lentaaffermazione, ostacolata dalla presenza di molti poderi di grande estensionecon i quali conviveva,63 tant’è che ancora nel corso dell'VIII secolo ladisponibilità fondiaria dei maggiori proprietari contava pochi centri rurali dipiccole dimensioni o con dominici di estensione molto ridotta rispetto

61 Questo saggio si basa sui risultati ottenuti dall’Area di Archeologia Medievale dell’Università di Siena inoltre un ventennio di ricerche sulla storia dell’insediamento nella Toscana centro-meridionale. Fa parteinoltre del progetto “Archeologia dei Paesaggi Medievali”, in cooperazione tra Fondazione Monte deiPaschi di Siena ed il Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti dell’Università di Siena, incentratosulla conoscenza e la valorizzazione dei territori di Siena, Firenze, Livorno e Grosseto.Le persone da ringraziare sono molte. In particolare voglio sottolineare la continua discussione con RiccardoFrancovich, da sempre mio maestro e punto di riferimento nelle ricerche che conduco. Il confronto, ancheanimato, che ci caratterizza è e sarà sempre fondamentale per migliorare sia la qualità della mia ricerca sia laqualità della ricerca degli allievi che ci seguono.Sottolineo anche il dialogo, talvolta sulla base di idee contrastanti, che è intercorso con Gian Pietro Brogioloe Sauro Gelichi, ai quali devo alcune indicazioni di percorso. Allo stesso modo ringrazio Chris Wickhamche anche in quest’occasione non ha mancato di interagire e sottoporre a critiche scrupolose quanto andavoelaborando.Voglio poi citare una gruppo di amici con i quali condivido da anni lavoro e ricerca; soprattutto VittorioFronza, Luca Isabella, Alessandra Nardini, Frank Salvadori, Federico Salzotti, Carlo Tronti, Marie-AngeCausarano, Benjamin Tixier; ad essi si aggiungono Gaetano di Pasquale, Giuseppe Di Falco e GiovannaBianchi.Infine dedico questo lavoro a mia madre, Laurina Marraccini, che purtroppo ci ha lasciati mentre avevo dapoco iniziato a scrivere.62 Alcuni interventi di Fumagalli (FUMAGALLI, 1978a), Andreolli e Montanari (ANDREOLLI,MONTANARI, 1983) si sono sforzati di andare oltre i limiti delle fonti scritte. Solo nell’ultimoquindicennio Galetti ha affrontato con sistematicità il tema delle forme abitative altomedievali italiane;seguendo dichiaratamente le riflessioni di Marc Bloch sulla necessità dello storico di interagire con fontidiversificate nel trattare “fatti profondi”, elabora con parità di valore informativo dati storici ed archeologici(in particolare GALETTI, 1987; GALETTI, 1994; GALETTI, 1997; GALETTI, 2001).63 FUMAGALLI, 1978b, pp.XII-XIII.

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all'insieme dei poderi aggregati.64 Fu nella metà dell’VIII secolo che si avviòuna decisa tendenza verso la concentrazione della proprietà della terra, dandoluogo ad entità fondiarie a struttura bipartita, sebbene facessero parte di moltipatrimoni anche numerose e piccole aziende contadine, le casae, assegnate aservi o coloni e forse sottoposte ad un regime di gestione diretta.65

Rappresentava comunque lo spazio di dominio diretto di un vescovo, o di unabate, o di un grande proprietario laico, o di un esponente del gruppo deipossessores. Questo dominio veniva detto latinamente domusculta, o contermini d’origine germanica sundrium-sala sundrialis, o infine con il piùampio e diffuso curtis.

Per il IX secolo è assodato il carattere portante della curtis nell'interoedificio economico, affiancata da modalità gestionali, sempre di tipoaziendale o in essa comprese, come il casale e la villa. Il suo processo diespansione culmina tra X e XI secolo, quando la corte stessa si frantuma: glispazi tenuti in economia vennero lottizzati in fondi affidati a contadini e inseguito dispersi tra più proprietari.66

Vengono proposti tre tipi di organizzazione dell’azienda fondiariaattraverso i quali si tenta di modellizzare una situazione che, in realtà, eramolto più articolata: la curtis "pioniere" (caratterizzata dall’assenza di unacasa dominica; vero e proprio organismo di rottura di fronte all'incolto); lacurtis con sfruttamento diretto verso i settori di profitto agricolo (gestiva unpiccolo settore silvo-pastorale, la produzione era specializzatanell'olivicoltura e viticoltura, con ruolo secondario della cerealicoltura,controllava e provvedeva al mantenimento di dispositivi tecnici con al primoposto i mulini); la curtis di tipo "classico", divisa in parte domocoltile emassaricia.67

Non sono state prodotte descrizioni dei centri della parte massaricia,per la quale spesso si prospetta un frazionamento in singoli poderi.

L’area del dominico, invece, secondo calcoli sommari basati suiPolittici di IX e X secolo dell’Italia settentrionale, pare aver occupatomediamente degli spazi intorno ai 5000-6000 mq68. Si articolava in edificidove vivevano il proprietario od il suo amministratore ed i servi prebendari,magazzini o altre strutture di servizio e forni. Solo occasionalmente vitrovavano posto le stalle, poiché gli animali dovevano essere custoditi inedifici staccati dal caput curtis. Inoltre sembrano essere state assenti struttureper la produzione di manufatti artigianali, nella maggior parte dei casi

64 Si vedano VIOLANTE, 1953; FUMAGALLI, 1974.65 TOUBERT, 1995, pp.188-189. Sulle casae presenti invece nella Romania (e sulla loro progressivaidentificazione con il fundus ad indicare un’azienda agraria con un centro di popolamento: «il territorio diun centro demico della consistenza di un villaggio») si veda anche CASTAGNETTI, 1991.66 FUMAGALLI, 1980a, pp.21-22; inoltre si veda SERGI, 1993 con bibliografia per una riorganizzazionedei dati sulla curtis.67 TOUBERT 1995, pp.159-167. Si veda inoltre CAPITANI, 1992, pp.86-93.68 FUMAGALLI, 1980a, pp.28-29.

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oggetto di canoni e quindi forniti dai massari, benchè sia nota l'esistenza dialcuni laboratori artigianali (lavoratoria, genitia).69

Questo è il quadro per grandi linee che possiamo tracciare sulpopolamento altomedievale e più nello specifico per la Langobardia.70 Imodelli storici, calibrati soprattutto sugli aspetti giuridico-istituzionali,economici e sul tema del servaggio, non offrono spunti concreti per capire laformazione e la lunga durata dell’insediamento.71 Nella maggior parte deicasi la struttura dei contesti abitativi resta nebulosa; non mostrano una lorodinamicità, come se un insediamento accentrato altomedievale non fossestato oggetto di trasformazioni prima dei grandi cambiamenti strutturaliregistrati a partire dall’anno Mille.

Al riguardo, pochi hanno colto il significato del modello di Fossier e laportata della sua discussione in tema di insediamento72 e quindi intrapresodelle ricerche mirate. L’autore, che ha utilizzato anche dati archeologicicollaborando con l’archeologo Chapelot, nega l’esistenza del villaggio pertutto l’alto medioevo73 e colloca la sua nascita nel periodo che va dal 930 al1080.74 E’ espressione di un profondo cambiamento nella struttura insediativarurale, nella pratica agricola, nell’ordinamento sociale e signorile; elementi ditrasformazione che sono utilizzati soprattutto nell’affrontare il tema della«mutation féodale».75

69 Per quanto riguarda la presenza di strutture artigianali nella casa dominica Toubert precisa che non sitrattava comunque di un’eventualità molto frequente (TOUBERT, 1995, pp.216-218).70 In generale si vedano le sintesi CAMMAROSANO, 2001 e PASQUALI, 2002 e le bibliografie ivicontenute. Inoltre i saggi sul medioevo (curate da Luisa Chiappa Mauri, Massimo Montanari, AlfioCortonesi, Bruno Andreolli e Gabriella Piccinni) nella Storia dell’agricoltura italiana dell’Accademia deiGeorgofili: PINTO et alii, 2002.71 In particolare gli interessi della ricerca si sono coagulati sull’aspetto istituzionale della fisionomiaaristocratica, tentando di vedere l’azione di tale classe sul territorio tra età longobarda e carolingia. Per unasintesi si veda il contributo di Vito Lorè La storiografia sulle aristocrazie italiane nell’alto medioevo, alconvegno L’historiographie des élites dans le haut Moyen Âge tenuto all’Università Paris I nel novembre2003 scaricabile al seguente indirizzo internet:http://lamop.univ-paris1.fr/lamop/LAMOP/elites/lore.pdf. A livello più generale, come Laurent Feller ha sottolineato nell’intervento L’historiographie des élitesrurales du haut Moyen Age. Emergence d’un probleme? tenuto nello stesso convegno di Paris I (scaricabileal seguente indirizzo internet: http://lamop.univ-paris1.fr/lamop/LAMOP/elites/feller.pdf), dopo Blochl’oggetto privilegiato degli studi è soprattutto la seigneurie.72 CHAPELOT, FOSSIER, 1980; inoltre FOSSIER, 1984 e FOSSIER, 1990.73 Duby, sino dagli inizi degli anni ’60 aveva invece sottolineato come «l’Occidente del IX secolo è popolatonel suo insieme da un contadiname stabile, radicato» e che «gli uomini vivono quasi costantemente su unaterra che è quella della loro famiglia, in un agro organizzato, insediato in un villaggio»; afferma inoltre che ivillaggi furono stabili e di lunga frequentazione (DUBY, 1984, pp.7-16).74 Fossier riprende dei temi sviluppati dai geografi e dagli storici dei processi di colonizzazione di scuolatedesca che, domandandosi quali siano le condizioni necessarie per definire villaggio un insediamentorurale, hanno individuato il parametro delle dimensioni minime accettabili e della presenza di legami chetrascendono le singole aziende. Si veda BADER, 1957-1973, vol I, ed i contributi raccolti in JANKUHN etalii, 1977. Più nello specifico, nella sintesi di ampio respiro curata da Bader si afferma chenell’altomedioevo dominavano i piccoli centri (Kleinsiedlungen o Weiler); non esistevano villaggi ma soloinsediamenti composti da più mansi disposti a maglie e larghe senza particolare ordine.75 Si veda la messa a punto sul dibattito in LAURANSON-ROSAZ, 2002. Il contributo è anche scaricabiledal sito web del GERHMA (Groupe d'Études & de Recherches sur le Haut Moyen Âge) della Faculté deDroit et de Science Politique dell’Università di Clermont Ferrand al seguente indirizzo internet:http://www-droit.u-clermont1.fr/Recherche/CentresRecherche/Histoire/gerhma/MutationFeodale.htm.

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Secondo Fossier, le campagne merovingie e carolinge erano connotateda una demografia che languiva e da habitat privi di sedi fisse,76

«un’atmosfera più vicina alla preistoria che alla grande civiltà agraria delMedio evo centrale».77 Alla fine del X secolo, con gli effetti provocatidall’encellulement, cioè con l’assoggettamento degli uomini al dominiosignorile ed il conseguente radicamento delle famiglie rurali all’interno diuna rete di insediamenti stabili, ebbe inizio l’opera di costruzione deipaesaggi agrari. L’incremento demografico, la stabilità residenziale (il segnoviene letto nel passaggio dalle capanne a case con fondazioni in pietra), lanascita di nuove parrocchie e di edifici di culto, la chiara delimitazione deiconfini dei distretti agricoli e l’espansione delle colture, a cui conseguì ilfenomeno della cosiddetta “cerealizzazione”, trasformarono i centri dipopolamento in comunità sociali e parrocchiali; in esse la chiesa ed ilcimitero rappresentarono da questo momento in poi il nucleo centrale.78

Fossier elabora un concetto “sociale” ed organico di villaggio:79 è uncomplesso insediativo unitario, più o meno chiuso, comprendente numeroseabitazioni, percepito come una comunità economica di vita, regolata su“strutture” che legano tra loro le abitazioni dei contadini (le terre comuni, lefontane, la strada, l'uso collettivo del bosco, regolamenti economico-giuridici, la chiesa, talvolta il castello).80 Le limitazioni imposte dai nuoviregolamenti agrari collettivi che impedivano di operare al di fuori dellaInoltre il contributo CAROCCI, 2002; dello stesso autore il testo digitale Signoria rurale, prelievo signorilee società contadina (sec. XI-XIII): la ricerca italiana in Para una Antropología de la Renta Señorial en elOccidente Medieval (siglos XI-XIV). Realidades y representaciones campesinas de la renta (Atti delconvegno, Medina del Campo, 31 maggio-4 giugno 2000), distribuito in formato digitale da "RetiMedievali".76 FOSSIER, 1981 e FOSSIER, 1990. 77 Si veda BOIS, 1991, pp.159-166 per la critica e la revisione delle idee di Fossier sulle campagnealtomedievali. La sua analisi sul villaggio di Lournand e della regione di Macon è dichiaratamentefinalizzata a demolire i modelli di Fossier, sottolineando che per raggiungere un grado di elaborazioneattendibile è necessario lavorare nell’integrazione con tutte le fonti archeologiche disponibili (come luistesso tenta): dagli scavi di insediamenti, a quelli di necropoli, all’uso della fotoaerea alle analisiarcheobotaniche e paleoclimatiche.78 Sulle stesse posizioni è Robert Delort affermando che i centri abitati erano sparsi, di modeste dimensioni ein gran parte precari; non corrispondevano realmente a dei villaggi pur se esistevano proprietà capaci diriunire molte aziende contadine. La trasformazione in insediamenti stabili e quindi in comunità villageoise sirealizzò intorno a tre poli: il castello, la cinta paesana, la chiesa parrocchiale (DELORT, 2000, pp.105-134).79 Sul concetto sociale ed organico del villaggio secondo Fossier si veda la parte iniziale della relazioneintroduttiva al seminario "Per una storia delle comunità. (Ricordando i primi anni ’80)", tenutosi a Este(Gabinetto di lettura) il 20 aprile 2002 di Gian Maria Varanini dal titolo Spunti per una discussione sulrapporto fra ricerca medievistica recente e storia delle comunità di villaggio. Scaricabile al seguenteindirizzo web: http://helios.unive.it/~riccdst/sdv/saggi/testi/pdf/varanini_este.pdf.80 Il percorso di Fossier nell’elaborazione del modello di villaggio ha inizio con l’indagine sulla Piccardia(FOSSIER, 1968), dove propone come evento economico centrale del Medioevo il progresso portatodall’espansione agricola nei secoli centrali. Fossier giudica severamente il contadino altomedievale,descrivendolo impegnato ad allargare gli spazi coltivati a spese della sodaglia invece di abbattere la foresta,«guadagnando ora un solco, ora una striscia di terra» con studiata lentezza per non attirare le attenzioni «diun sorvegliante signorile dotato di buon fiuto». Il contadino diviene invece parte attiva nella colonizzazionedella campagna solo fra XI e XII secolo (intitola un paragrafo «Gli uomini che lavorarono veramente per lacolonizzazione»), si trasforma in uomo libero e contribuisce alla fondazione dei villaggi come comunitàcaratterizzate dall’uso collettivo delle risorse. Si veda per le ricerche sulla Piccardia di Fossier (con dati edimpostazioni di fondo riprese anche in DUBY, 1978) le osservazioni in FUMAGALLI, 1978b, pp.VII-X.

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comunità, e la veloce massarizzazione delle terre in precedenza gestite ineconomia diretta dal signore, crearono le condizioni per il superamento dellasignoria fondiaria basata soprattutto sulle prestazioni d’opera; la parsdominica non fu più al centro della vita quotidiana dei contadini come in etàcarolingia e dunque venne sostituita dalla comunità di villaggio. Per sfruttarepiù intensivamente i terreni si sviluppò un tipo d’insediamento articolato intre anelli, traducibile nel modello Haufendorf della scuola geograficatedesca: il villaggio accentrato (case con orto) con un agro o campi divisi inblocchi a loro volta articolati in strisce (Gewanne) spesso sottoposti arotazione triennale, prati e boschi comuni (Allmende).81

I sostenitori del modello di Fossier hanno ancorato spesso la loroposizione a presunte conferme fornite dalla ricerca archeologica europea. Inrealtà i contesti scavati non aderiscono a questo schema,82 che relega lacasistica insediativa altomedievale nell’ambito dell’addensamentodemografico cioè del substrato sul quale poi si svilupperà il villaggio.83 Lareazione critica sul tema del popolamento altomedievale e della suaevoluzione non si è comunque fatta attendere al di fuori dell’Italia.84

Ancora nel 1981, a Spoleto, Fossier ripropose la sua visione negativa del contadino altomedievalesintetizzando così la realtà economica del periodo carolingio: «Una tecnica inesistente, un suolo nonpadroneggiato, un insediamento a mala pena stabilizzato e dei più mediocri, rare eccedenze che pochiprivilegiati scambiano fra loro, una struttura produttiva pressoché incapace o perlomeno inefficiente»(FOSSIER, 1981). Si vedano le pp.275-290 degli atti spoletani per l’accesissimo dibattito che seguì alla suarelazione.81 Su tali aspetti si veda anche GENICOT, 1990 e ROSENER, 1995, pp.92-98. Rosener negli anni ’80sosteneva comunque una posizione diversa. Correlando dati storici ed archeologici criticava lemodellizzazioni della scuola tedesca (alle quali le idee di Fossier molto vicine): leggeva nella strutturazionedel villaggio medievale suddiviso in tre anelli il risultato di un lungo processo storico le cui origini erano daricercare nel villaggio altomedievale (ROSENER, 1989, pp.59-82, in una più tarda edizione italiana).82 Oggi i casi da citare sono ormai moltissimi; tra le raccolte di dati disponibili ed una loro tipologizzazionesi vedano soprattutto DONAT, 1980; FAURE-BOUCHARLAT, 2001; HAMEROW, 2002. Come esempio-tipo si pensi ad uno scavo della fine degli anni ’70 effettuato sul sito francese di La Grande Paroisse, a circa70 km di distanza da Parigi. Il villaggio di X secolo aveva grandi dimensioni, forma allungata ed eracomposto dalla vicinanza degli edifici riconducibili ad almeno 8 unità agricole disposte lungo un incrocio diassi viari; comprendeva inoltre un cimitero ed un edificio forse di carattere religioso (AA.VV., 1987,pp.380-383; CUISENIER, GUADAGIN, 1988).83 L’esistenza di uno spirito comunitario negli abitanti del villaggio altomedievale ed in particolare perquello di età carolingia, che Fossier nega, era stata invece sottolineata da Riché nel 1973 sulla base della LexSalica emendata: «Le esigenze dei lavori agricoli e lo spirito comunitario del popolo carolingio favorisconole riunioni periodiche. I contadini debbono mettersi d’accordo per la data delle arature, o delle semine, lamessa a dimora delle chiusure mobili che difendono i raccolti, l’invio degli animali sul terreno comunale(...). Alcuni testi (troppo rari) evocano la vita di queste comunità rurali, gelose dei diritti acquisiti. Se unostraniero arriva al villaggio, non può stabilirsivi se non viene accolto da tutti: che uno solo lo rifiuti ed eglideve sloggiare dopo tre intimazioni. Se invece viene ammesso, riceve i diritti sulle erbe, le acque, le stradecomuni» (RICHÉ, 1994, pp.147-149).Anche Dhondt parla esplicitamente per l’alto medioevo di comunità rurali, composte dagli agricoltoriinseriti in una grande tenuta ed appartenenti ad uno stesso proprietario. Tra i fattori che influivano nellaformazione dello spirito comunitario tra gli stessi contadini elenca le prestazioni dovute per dirittoconsuetudinario al signore del luogo, i diritti di usufrutto delle terre comuni, i lunghi periodi di strettaconvivenza (DHONDT, 1990, p.107). Montanari individua nella comunità rurale il «referente sociale ed economico di base» per tutto l’altomedioevo sia nella Romania sia nella Langobardia (MONTANARI, 1988, pp.15-17).84 Già Donat, contemporaneamente all’uscita del lavoro di Chapelot e Fossier, sottoponeva a critiche severe,su basi archeologiche molto più complete, i criteri di definizione del villaggio e le conclusioni di Badersull’esclusiva presenza di un insediamento provvisorio e per fattorie o per piccolissimi nuclei nell’alto

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Inizialmente il dibattito ha riguardato soprattutto gli storici e solo nell’ultimodecennio è iniziata la partecipazione degli archeologi, coinvolgendo tuttoramolti ricercatori.85

Rémy Guadagnin, dai primi anni ‘80, pur attento a non entrare ineccessivo contrasto con Fossier nel coniare l’espressione proto-village,86 giàsottolineava comunque che «dès la fin du IX siecle, l’habitat estdéfinitivement fixé dans notre région, sous la forme de villae-village» e comel’organizzazione della villa carolingia «correspond veritablement à un villagemédievale».87 Ma fu con il convegno di Flaran del settembre 1988, occasionein cui si riunirono alcuni dei migliori specialisti in tema di crescita agraria,che la revisione in corso mise in discussione i temi cari a Fossier dellanascita dell’Europa e del villaggio come fenomeni posteriori all’anno Mille,spostando definitivamente l’attenzione sull’età carolingia.88 Come hasottolineato Bois, in quell’occasione, «”solo contro tutti”, secondo la suapropria espressione, Robert Fossier ha mantenuto il punto di vistatradizionale con energia quasi patetica».89

Uno dei primi archeologi a contestare il concetto di habitat disperso eprovvisorio è stato Patrick Périn che ha sostenuto l’esistenza di una rete divillaggi stabili e ben strutturati sino dall’età merovingia,90 mentre Chapelotnel decennio 1993-2003 ha continuato a difendere con forza le proprieposizioni.91 Zadora-Rio ha poi posto in parallelo i due tipi di villaggio, quellodelle fonti scritte e quello delle fonti materiali92 criticando il concetto del“non villaggio” altomedievale e mostrando la differenza esistente tra imodelli di centro insediativo deducibili dalla documentazione scritta e dallefonti materiali,93 un tema ripreso da Francovich e Hodges nel proporre

medioevo (DONAT, 1980, p.134 in particolare).85 La discussione coinvolge storici, archeologi, antropologi sia in convegni e seminari internazionali (peresempio LORREN, PERIN, 1995), sia incontri d’ambito regionale (come il recente convegno "Autour duvillage". Etablissements humains, finages et communautés rurales entre Seine et Rhin (4e - 13e siècles),Louvain-la-Neuve, 16 et 17 mai 2003). Scaricabile al seguente indirizzo web:http://juppiter.fltr.ucl.ac.be/FLTR/HIST/MAGE/Colloque%20Village/AutourduVillage.htm.86 «L’appellation de proto-village, souvent utilisée pour désigner les habitats ruraux du haut Moyen Age, estsymptomatique de la difficulté à appréhender leur réalité. Elle devraie etre proscrite, tant elle constitue unfrein à la réflexion»: ZADORA-RIO, 2003, p.8.87 GUADAGNIN, 1981, p.56.88 AA.VV., 1988.89 BOIS, 1991, pp.124-125.90 PERIN, 1992.91 Chapelot, dopo aver dibattuto le obiezioni sostenendo con forza il modello elaborato con Fossier(CHAPELOT, 1993), ha recentemente ribadito il concetto di «passage de l'habitat rural du haut Moyen Ageau village médiéval de l'époque classique» nel convegno "Autour du village". Etablissements humains,finages et communautés rurales entre Seine et Rhin (4e - 13e siècles), Louvain-la-Neuve, 16 et 17 mai 2003.Scaricabile al seguente indirizzo web:http://juppiter.fltr.ucl.ac.be/FLTR/HIST/MAGE/Colloque%20Village/AutourduVillage.htm.92 ZADORA-RIO, 1995 e la più recente riflessione in ZADORA-RIO, 2003 in cui sottolinea apertamentecome la ricerca storica non considera i modelli elaborati dall’archeologia, mentre le informazioni tratte dellefonti materiali oggi rivelano chiaramente quell’organizzazione per villaggi e per comunità stabili la cuiesistenza era stata negata con risolutezza.93 Zadora-Rio ha tenuto inizialmente una posizione favorevole al modello di Fossier. Nel 1990 proponeva ladispersione dell’habitat come l’elemento caratteristico della campagna altomedievale. Descriveva unpopolamento distribuito in piccole frazioni, con edifici in materiali deperibili e di breve frequentazione,

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anch’essi il «villaggio degli storici e quello degli archeologi».94 Hamerow hainfine tentato con successo una sintesi molto articolata dei villaggialtomedievali nell’Europa del nord ovest inserendo significativamente neltitolo la definizione early medieval communities.95

Per l’Italia, l’impatto del modello francese e la mancanza di una suadiscussione,96 e quindi la sostanziale assenza da un dibattito più cheventennale, mette a nudo lo scarso stato di conoscenza sulle forme dipopolamento delle campagne altomedievali in base alle fonti scritte. In altreparole, non ci sono spunti di riflessione poiché non sono state ricostruite

disposti a nebulosa intorno a siti più antichi o che rioccupavano, talvolta come area cimiteriale, le strutturein abbandono di ville (come nei casi di Mondeville, Limetz-Villez, Saint-Germain-les-Corbeil). Collegava laformazione di confini territoriali alla progressiva sistemazione della rete parrocchiale tra metà VIII e XIIsecolo quando, con la generalizzazione della decima, le chiese assunsero anche un ruolo fiscale. La nascitadei villaggi, fra il X e il XII secolo, era quindi una conseguenza del raggruppamento delle funzioni religiose,funerarie e difensive in un luogo unico, mentre in precedenza erano disperse sul territorio. Laconcentrazione di popolamento in centri stabili innescò anche la riorganizzazione in forma concentrica delterritoro del villaggio (intorno all’abitato l’orticultura ed i campi coltivati intensivamente; al di là le coltureestensive ed al margine la pastorizia ed il bosco). ZADORA-RIO, 1990.94 FRANCOVICH, HODGES, 2003. I due archeologi, oltre a tratteggiare il dibattito intercorso negli anni’90, illustrano le posizioni più recenti tenute da archeologi operanti in Italia che condividono il modello del“non villaggio”. In particolare contestano le elaborazioni di Hubert sulla Valle del Turano, una zona in cui,di fronte a ricognizioni e scavi che si segnalano per le ridotte dimensioni dell’intervento stratigrafico, vieneproposto un incastellamento che non interessò villaggi di lunga frequentazione bensì realizzatosi ex novo.Anche il rinvenimento di buche di palo, quando avviene, non è mai collegato a depositi altomedievali. Siveda HUBERT, 2000.95 HAMEROW, 2002. Sconfessa il modello del “non-villaggio” espresso da Fossier, accettato più o menoall’unanimità dalla ricerca storica (definita in altre pagine anche l’ortodossia storica dell’insediamentoaltomedievale isolato), molto spesso distratta verso le indicazioni delle fonti materiali. I dati archeologicimostrano in realtà che l’economia e l’interazione culturale tra i centri di popolamento furono moltocomplesse, con una crescita demografica lenta nel VII secolo ed una maggiore espansione delle aree popolate,affiancata dalla riorganizzazione e dalla stabilizzazione dei centri insediativi, soprattutto dall’VIII secolo.Questo cambiamento riflette un’intensificazione della produzione e la trasformazione dell’allevamento, maanche la nascita di nuovi sistemi di distribuzione e scambio che mutarono significativamente la strutturaeconomica delle comunità rurali, come mostrano un considerevole accesso a beni di prestigio, nuovi sistemidi sepoltura per piccoli nuclei compatti, inedite strategie di sfruttamento della terra e la commercializzazioneo scambio dei surplus produttivi. Furono fondate nuove strutture amministrative (insediamenti rurali di rangosuperiore; dei central places, luoghi di mercato e di controllo politico del territorio con presenza quasiesclusiva di attività artigianali) che spesso smantellarono l’antico ordinamento tribale. Anch’essa, comeDonat, interpreta il villaggio alla stregua di un complesso composto da fattorie; era una grande azienda o partedi essa ed esistevano “strutture” usate dall’intera popolazione che evidenziano un carattere di comunità escelte condivise mirate ad una migliore gestione della terra.96 Il modello di Fossier trova consenso in Francia, soprattutto in ambito storico ed è diffuso attraverso corsiuniversitari senza descrivere il dibattito intercorso e dando per assodato che la comunità di villaggio sia unacreazione dell’XI-XII secolo. Un esempio, tra i tanti, è il corso di Géographie historique presso l’UCL(Université Catholique de Louvin – Facolta di Filosofia e Lettere); la parte 6.1 del programma è dedicataalla discussione del significato di villaggio medievale (les fonctions villageoises : culte, justice, défense) edall’habitat altomedievale mentre la parte 6.2, La naissance du village (IX-XIe siècles), è suddiviso in leregroupement des hommes (motte castrale, village emmuré, église), le remaniement des terroirs, lesfacteurs explicatifs. Si veda l’indirizzo web:http://pot-pourri.fltr.ucl.ac.be/histoire/HIST2180/Un’ulteriore testimonianza si osserva nella versione on-line della rivista francese “Historia”, dove èpubblicata la versione digitale ridotta di un dizionario tematico del medio evo (Le Moyen Âge de A à Z),edito dalla Presses Universitaires de France nel 2002 sotto la direzione di Claude Gauvard, Alain de Liberae Michel Zink, diviso in sezioni curate da 380 autori. Al termine Communauté villageoise (inseritosignificativamente nella sezione Les pouvoirs) viene dato il seguente significato «les villageois sont despaysans, il est tentant de faire de la réglementation agricole le motif premier de leur organisation collective.Au sens strict en effet le village est fondamentalement le centre d'un territoire, le finage, aux limites dé

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storie insediative approfondite, posteriori alla crisi tardoantica ed anteriorialla comparsa dei primi castelli. In generale non viene presa una posizionesull’esistenza o meno dei villaggi; il problema non fa parte del dibattitopoiché le indagini, riguardando la proprietà fondiaria, mettono a fuocosoprattutto una campagna divisa in aziende rurali, che non sono in realtàtraducibili in modelli urbanistici ed in stime demografiche.97 Come haaffermato Zadora-Rio «L’habitat rural du haut Moyen Age trouvedifficilement sa place dans les paradigmes historiques. Dans le modèle quipostulait une filiation directe de la villa au village, il n’était conçu quecomme une transition invisible. Dans le modèle de l’encellulement, il occupeune place plus importante, mais uniquement comme faire-valoir; il ne existeque comme préliminaire, par référence à la forme aboutie, supposèe connue,du village des XI°-XII° siécles».98

Di questo panorama lacunoso non è responsabile solo la ricercastorica. Anche le scelte strategiche degli archeologi italiani non hannoperseguito con decisione il tema del villaggio altomedievale; gli sforzi e gliinteressi delle indagini si sono concentrati soprattutto sulle forme insediativesviluppatesi dopo la fine delle ville romane, fermandosi cronologicamente trala fine del VI ed il VII secolo.99 Eppure senza lo studio dei resti materiali,come dimostrano le molte indagini svolte nell’Europa del centro-nord,100

finies, dont l'exploitation, pour les cultures comme pour les divers espaces incultes, forêts, landes et coursd'eau, est l'activité essentielle du villageois-paysan. Les villageois sont paysans, certes, mais ils sont aussiparoissiens et sujets d'une ou plusieurs seigneuries, et les communautés de diverses natures s'enchevêtrent.À partir du XIe s., l'encadrement social plus ferme a contribué à consolider la communauté». Si veda l’indirizzo web: http://www.historia.presse.fr/data/thematique/79/07900401.html97 Con l’eccezione dei lavori di Galetti, solo Barbero, nella sua biografia di Carlo Magno, affronta il temadelle strutture insediative rivolgendosi all’archeologia (pp.334-344) con la descrizione degli scavi di Villier-le-Sec e Baillet-en-France editi nel catalogo della mostra Un village au temps de Charlemagne tenuta nel1988 a Parigi presso il Museo Nazionale delle Arti e delle Tradizioni popolari (CUISENIER,GUADAGNIN, 1988). Senza mai citare Fossier, prende posizione sul tema del “non villaggio altomedievale– villaggio medievale” accettando le conclusioni degli archeologi che riconoscono un villaggio a maglieallargate, disposto lungo la strada di collegamento Parigi-Amiens, con lunga continuità di frequentazione,organizzato in forma di azienda agricola e con elementi comunitari come il cimitero collettivo ed una sortadi piazza centrale. «Non si trattava di un insediamento provvisorio: il luogo era abitato ininterrottamente findall’epoca galloromana, ed è probabile che l’insediamento comprendesse parecchi altri mansi dello stessogenere; tutti, però, a sufficiente distanza l’uno dall’altro da conservare l’aspetto d’un abitato rurale esemisparso, non d’un villaggio accentrato e, men che mai, fortificato. Un’immagine coerente con quantosappiamo, in genere, dell’insediamento rurale al tempo di Carlo Magno, dove il villaggio come fittoaggregato di case, strette intorno alla chiesa e magari al castello, era poco diffuso, e in molte zoneprevalevano quelle che oggi chiameremmo frazioni» (BARBERO, 2000, p.335).98 ZADORA-RIO, 2003, p.8. 99 BROGIOLO, 1996, inoltre il recente seminario di Gavi (BROGIOLO, CIAVARRIA, VALENTI, 2005cs.), dove nonostante il tema prescelto comprendesse il VI-IX secolo, la maggior parte delle relazioniitaliane non è andata oltre il VII secolo; si veda il seguente indirizzo internet:http://archeologiamedievale.unisi.it/dopoleville/index.htm.100 Le indagini effettuate in ambito germanico rappresentano dei punti di riferimento nello studio dell'ediliziaaltomedievale in materiale deperibile e sulla tipologia del villaggio. Nel 1980 la grande mole dei risultati èstata portata a sintesi nel contributo fondamentale di Donat, incentrato su casa, corte e villaggio nell'Europacentrale fra VII e XII secolo (DONAT, 1980). Anche la Francia si segnala per i molti contributi pubblicati, nei quali convergono stimoli provenienti dallaricerca archeologica, antropologica ed etnografica, nonchè uno stretto legame con l'analisi dei fondid'archivio. Contemporaneamente alla pubblicazione di Donat, usciva il già citato contributo di sintesi inottica europea di Chapelot e Fossier (CHAPELOT, FOSSIER, 1980), accompagnato negli anni successivi da

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risulta quasi impossibile ricostruire la storia insediativa della campagnaprima del XII secolo.101 Tutto ciò sorprende poiché, citiamo ancora Zadora-Rio a proposito della ricerca francese, «Il n’est pas execessif de dire quel’archéologie de l’habitat rural est en mesure de boileverser une grande partiede l’histoire du hat Moyen Age».102

Questo obiettivo può essere raggiunto articolando un questionariodella ricerca archeologica diviso in tre sezioni ed esteso ad un ampiascansione cronologica (VI-X secolo).

La prima sezione, di tipo più generale, è dedicata a comprendere comesi sono formati e quale aspetto avevano i centri di popolamento rurale dopola fine del sistema delle ville tardoantiche e da quanti individui era costituitauna comunità agraria altomedievale.

La seconda sezione è finalizzata a riconoscere la tipologia dei villaggie dei suoi abitanti, quindi ad individuare quali sono gli elementi chepermettono di differenziare gli insediamenti tra loro e quali possono esseregli indicatori utili per comprendere una distinzione, sia sociale siaeconomica, tra gli abitanti.

La terza sezione, improntata sugli aspetti diacronici, intende appurarese per l'intero altomedioevo tali villaggi rimasero più o meno invariati o sefurono oggetto di trasformazioni legate a processi socio-economici diversi;ed eventualmente, oltre che dal punto di vista strutturale, sotto quali formesono riconoscibili questi cambiamenti.

Infine, nell’agenda della ricerca deve trovare posto anche il confrontotra il modello di popolamento e di “villaggio” degli archeologi e la letteratura

una serie di monografie regionali (si vedano come esempi LORREN, 1989; SCHNEIDER, 1992; o i saggiproposti in LORREN, PERIN, 1995). Sono da segnalare le lunghe indagini su Brebiéres, svolte a cavallo tragli anni 'sessanta e 'settanta (DEMOLON, 1972; DEMOLON, 1974), nonchè il lavoro effettuato sui villaggidel nord (CUISENIER, GUADAGIN, 1988) e le sintesi NISSEN-JAUBERT, 1996, FAURE-BOUCHARLAT, 2001.Gli studi britannici si sono concentrati sul periodo anglo-sassone, confrontandosi con i problemimetodologici dello scavo e della ricostruzione delle strutture in materiali deperibili. Dalla fine degli anni '70iniziano ad uscire i primi lavori di sintesi fra i quali meritano attenzione quelli di Brown (BROWN, 1978),di Wilson (WILSON, 1976), la monografia dei British Archeological Reports del 1979 sugli studi anglo-sassoni (AA.VV., 1979), la monografia su Londra sassone di Vince (VINCE, 1990), lo studio sui timbercastles di Barker e Higham (HIGHAM, BARKER, 1992) e le sintesi di Hooke e di Hamerow (HOOKE,1998; HAMEROW, 1993 ed in particolare HAMEROW, 2002).101 In Italia, tranne pochi tentativi (FRANCOVICH, NOYE’, 1994; BROGIOLO, 1994; FRONZA,VALENTI, 1996; per la Toscana FRANCOVICH, CUCINI, PARENTI, 1990; VALENTI, 1995a), non sisono intraprese sintesi regionali da porre a confronto per ottenere delle griglie casistiche. Se la strutturadell’abitazione rurale fra età della transizione ed alto medioevo inizia ad essere nota grazie ad esempi discavo sempre più numerosi per l’intero centro nord italiano, sono però ancora pochi i casi di contestiinsediativi datati fra VII e X secolo indagati in estensione.In generale il quadro che possiamo fornire dei processi di cambiamento delle campagne italiane sulla basedei dati archeologici comincia ad assumere una qualche consistenza, anche se permangono ampie zoned’ombra. Si deve infatti osservare che, nonostante il vasto numero di indagini di archeologia medievalecondotte in Italia (quasi un migliaio negli ultimi 25 anni secondo una schedatura in progress svolta presso ilDipartimento di Archeologia e Storia delle Arti dell’Università di Siena) i tentativi di sintesi possono essereintrapresi solo per determinate aree, essenzialmente parte dell’Italia settentrionale, della Toscana, del Lazio,dell’Abruzzo, della Puglia, della Calabria e della Sicilia occidentale. Altre regioni, come per esempiol’Umbria e la Basilicata, sono pressoché prive di ricerche territoriali e di scavi puntuali.102 ZADORA-RIO, 2003, p.5.

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storica, facendo comunque attenzione, come sottolinea Riccardo Francovich,a non piegare e leggere la fonte archeologica alla luce della fonte scritta; chenon significa volere riscrivere la storia delle campagne, bensì proporremodelli autonomi ed evitare di ricondurre e giustificare rigorosamente i datiarcheologici all’interno dei quadri ricostruiti dalla storiografia. Gli archeologidovranno convincersi della necessità di elaborare le proprie griglieinterpretative per trarre dalle fonti materiali ciò che possono rivelare «sur lessociétés médiévales, avant de confronter cet éclairage spécifique avec celuiqu’apportent les textes».103

In queste pagine si proporrà un bilancio delle indagini svolte inToscana, attraverso l’illustrazione dei metodi di ricerca utilizzati, la casisticadelle componenti e delle forme insediative riconosciute fra metà VI secolo eX secolo.

Si cercherà inoltre di isolare nella diacronia una serie di indicatoriarcheologici utili nell’interpretazione della natura economica dei centrid’insediamento e dei rapporti, tra persone e di produzione, in essi attivi.

I casi scelti fanno parte delle ricerche condotte dall’Area diArcheologia Medievale dell’Università di Siena nelle provincie di Siena(Montarrenti,104 Miranduolo,105 Poggibonsi106), Grosseto (Rocca di Scarlino107

e Rocchette Pannocchieschi108) e Livorno (Rocca di Campiglia,109 Suvereto110

e Donoratico111), oltre che sui progetti territoriali avviati dalla fine degli anni’80.112

Nel loro complesso, i dati scaturiti, mostrano come il popolamento sipolarizzava in una rete di insediamenti accentrati, organizzati come azienderurali ed in gran parte trasformati in castelli, a partire dalla metà del Xsecolo. Ci danno modo di osservare la nascita, l’evoluzione e le componentidi una serie di centri rurali frequentati stabilmente per secoli, su molti deiquali si basò l’affermazione dei poteri locali. Per le loro caratteristichestrutturali questi centri sono identificabili come realtà di villaggio ed in esse,come Wickham ha sottolineato recentemente confrontandosi con Chapelotsulla natura dell’insediamento altomedievale francese, «la force et lastructuration n'étaient pas encore aussi développées qu'elles le seront au XII

103 ZADORA-RIO, 2003, p.8. 104 FRANCOVICH, HODGES, 1990; CANTINI, 2003.105 NARDINI, 1999; NARDINI, 2001; NARDINI, VALENTI, 2003. Lo scavo è consultabile, conaggiornamenti in tempo reale, al seguente indirizzo web:http://archeologiamedievale.unisi.it/NewPages/MIRANDUOLO/MIR.html.106 Si vedano soprattutto VALENTI, 1996a; VALENTI, 1999; VALENTI, 2000; SALVADORI, VALENTI,2003.107 Oltre a FRANCOVICH, 1985, si veda la recente tesi di laurea MARASCO, 2003.108 DE LUCA et alii, 2003.109 BIANCHI, 2004a.110 CUTERI, 1990.111 BIANCHI, 2004b.112 In particolare le indagini sul territorio provinciale senese e su quello grossetano. Si veda FRANCOVICH,VALENTI, 2001 per le loro caratteristiche e per la bibliografia.

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siècle: on peut ici parler des 'villages faibles'; mais à mon avis ils faisaientpartie du même type idéal».113

Figura 1 e 2

113 Intervento in "Autour du village". Etablissements humains, finages et communautés rurales entre Seineet Rhin (4e - 13e siècles), Louvain-la-Neuve, 16 et 17 mai 2003. Scaricabile al seguente indirizzo web:http://juppiter.fltr.ucl.ac.be/FLTR/HIST/MAGE/Colloque%20Village/AutourduVillage.htm.

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2 - Il metodo della ricerca: fra ricognizione di superficie e scaviIn Toscana, l’apporto dell’archeologia nella ricostruzione delle

strutture insediative altomedievali è riconducibile a due filoni principali diricerca.

Il primo filone, attualmente forse il più diffuso, affronta il tema dellacrisi dell’insediamento e dell’organizzazione produttiva tardo romanafermandosi alla metà del VI secolo. La ricerca, condotta sia da archeologi diformazione classicista sia da medievisti impegnati in progetti territoriali,rappresenta un terreno d’incontro tra i due orientamenti disciplinari ed èmolto attenta a mettere in evidenza il collasso del sistema delle ville ed aconfrontarsi sia sui diversi effetti regionali della crisi, sia sugli indicatoridella trasformazione in corso.114

Figura 3

Il secondo filone, attraverso interventi di scavo su castelli, èconcentrato sulla comprensione delle dinamiche di trasformazione delpopolamento post-classico, cercando di ricostruire le forme di organizzazioneinsediativa antecedenti le prime fasi di incastellamento. La scelta di scavarecastelli trova una sua giustificazione anche nella natura delle emergenzearcheologiche medievali toscane (sono oltre 1550 i castelli censiti da fontidocumentarie ed ancora rintracciabili sul territorio).115

Il castello rappresenta infatti la componente più marcata del paesaggiodei ruderi toscani e la forma più evidente di quei “villaggi abbandonati”, sulcui studio ha mosso i primi passi la moderna archeologia degli insediamentimedievali.116 Inoltre scavare castelli significa ancora oggi indagare unfenomeno storico “che ha funzionato in connessione così ampia e profondacon altri, da potere assumere il ruolo di phénomène globalisant”: non «unastruttura pensabile come costitutivamente essenziale alla società umana nelsuo divenire, bensì un fatto empirico, emerso in dimensioni eccezionali, cosìda coinvolgere visibilmente gli sviluppi strutturali più eterogenei e dasegnalarne la complessa interdipendenza».117 In altri termini, un evento digrande rilievo che permette di osservare le diverse strutture di una societàattraverso la lente di una tendenza centrifuga da lungo tempo in atto deipoteri locali rispetto alla centralità dello Stato: attraverso la formazione e latrasformazione della base economica dei ceti egemoni.

Figura 4

114 Si vedano sulle ricerche concernenti l’età tardoantica ed il suo significato di transizione le sintesi inGIARDINA, 1999 e CAMERON, 1996, quest’ultimo anche per le ricerche sul tardoantico in relazione almedioevo.115 Si veda FRANCOVICH, GINATEMPO, 2000.116 Si ricordano i contributi ormai “classici” di KLAPISH-ZUBER, DAY, 1965, pp.419-459; AA.VV.,1970; BERESFORD, HURST, 1971; KLAPISH ZUBER, 1973. Inoltre QUADERNI STORICI, 1973 ebibliografie citate. Per un inquadramento sintetico sul tema dei “villaggi abbandonati”: GELICHI, 1997,pp.78-84.117 TABACCO, 1979, pp.45-46.

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I quadri che sono stati ricostruiti dalle indagini territoriali riescono afare luce sul popolamento rurale sino ai secoli della Transizione e lascianooscure le vicende altomedievali.118 In sintesi, nel corso del VI secolo la reteinsediativa risulta a maglie larghe ed articolata soprattutto per case sparsetalvolta edificate sui complessi tipo villa che avevano cambiato destinazione.L’accesso ai mercati urbani od a punti di distribuzione delle merci eradiversificato secondo la perifericità delle zone. Le abitazioni erano moltosemplici, monovano, in pietra o più spesso in materiale deperibile e concopertura laterizia. Le attività produttive si legavano soprattutto adun’economia agricola di sussistenza. In alcune aree non sono rintracciabilicontesti che attestino una gerarchizzazione sociale ed economica; in altre,forse, iniziano a comparire i primi indicatori di un controllo seppur deboledelle persone. Si tratta comunque di un panorama di disgregazione in atto,che evidenzia una crisi economica e sociale in accelerazione; è la fine deipaesaggi romani. L’impatto della cristianizzazione sul popolamento non èriconoscibile con chiarezza; sembra comunque non aver avuto un ruoloimportante sino alla matura età longobarda.

La generale assenza di rinvenimenti di superficie ascrivibiliall’altomedioevo non ci fa conoscere le vicende del popolamento antecedentila metà del X secolo, quando le attestazioni archivistiche lasciano intravedereun sistema di centri demici spesso organizzati in strutture curtensi. Per alcunearee come la piana di Lucca e l’Amiata, l’affondo analitico in una molemaggiore di documentazione scritta disponibile, ha fatto ipotizzare perl’VIII-X secolo dei territori in cui erano nettamente prevalenti esteseagglomerazioni formate dall’unione di «small groupings of houses» e«totally dispersed settlement».119

La mancanza di riscontri materiali non concede però di proporre datiesaustivi sulla densità demografica e sulle forme insediative, che solo traXI-XII secolo appare più chiara. I contadini si distribuivano nelle magliestrette di una rete insediativa costituita soprattutto da castelli e piccolivillaggi. Gli spazi scelti per l’insediamento corrispondono in prevalenza allesommità di rilievi collinari ed attestano un già avvenuto fenomeno di risalita.

Il grande intervallo cronologico per il quale l’indagine territoriale nonproduce dati utili alla costruzione di un modello diacronico dell’insediamento(metà VI–XI secolo) è in parte colmato dai risultati provenienti dai cantieri discavo. In Toscana nello spazio di un ventennio sono stati indagati circa 37

118 Si veda come esemplificazione la sintesi sulla Toscana in CAMBI et alii, 1994.119 WICKHAM, 1999, p.16. In particolare si vedano per l’Amiata WICKHAM, 1989a e per laLucchesia WICKHAM, 1995 e WICKHAM, 1997; in generale anche WICKHAM, 1989b.

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castelli,120 sottolineando un dato interessante: 24 contesti, una percentualesuperiore al 62%, restituiscono attestazioni altomedievali.121

Figura 5

Questo dato, di per sé considerevole, deve però essere letto alla lucedella quantità di spazio esplorato. Sono infatti 21 le indagini di piccolaestensione, condotte attraverso saggi conoscitivi od interventi di emergenza.Un elemento che abbassa la percentuale di depositi altomedievalipotenzialmente riconoscibili e soprattutto leggibili nella loro complessitàurbanistica e nei cambiamenti ai quali furono soggetti.122

Figura 6

Sull’eventualità di un altomedioevo invisibile, possono inoltre avereinfluito le stesse vicende edilizie del sito; molto spesso, le massicceristrutturazioni di XII e XIII secolo che investono gran parte dei castellitoscani hanno cancellato sia le evidenze della prima fortificazione sia idepositi antecedenti, rappresentati da stratigrafie labili e soprattutto da buchedi palo. La percentuale indicata, di fronte a scavi maggiormente estesi e piùattenti, è senza dubbio destinata ad accrescersi.

Lunghe stagioni di scavo su una serie di castelli hanno iniziato quindia far luce sulla rete insediativa altomedievale e costituiscono la base del“modello continuista” d’incastellamento elaborato dall’area di Archeologia

120 Dal computo sono stati esclusi i contesti che, o iniziati di recente o mai portati avanti dopo una o duecampagne, hanno visto l’effettuazione di scavi ancora molto ridotti spazialmenti dei quali non si hanno notizieche si pongono aldilà della semplice segnalazione. Come esempio si citano i casi di Bruscoli, Calcinaia,Fucecchio, Monsummano tra la zona pisana e pistoiese.121 Lucca: Montecastrese (REDI, 1997), Castagnori (curtis altomedievale attestata nei documenti scritti;CIAMPOLTRINI, 1997), Gorfigliano (QUIROS CASTILLO, 2004; QUIROS CASTILLO et alii, 2000).Pistoia: Larciano (villa altomedievale attestata dai documenti scritti; MILANESE, PATERA, PIERI, 1997),Montecatini Alto (MILANESE, BALDASSARRI, BIAGINI, 1997), Pontito-Terrazzana (QUIROSCASTILLO, 1999), Massa (villa altomedievale attestata dai documenti scritti; MILANESE et alii, 2000). Firenze: Poggio della Regina (VANNINI, 2002), Poggio Castello (DE MARINIS, 1979), Montefiesole(FRANCOVICH, TRONTI, 2003). Livorno: Campiglia Marittima (BIANCHI, 2004a), Donoratico (BIANCHI, 2004b), Suvereto (CUTERI,1990).Pisa: Monte Castellare (solo edizione on-line - http://marolaws.iet.unipi.it:31442/gap/csgg.htm), SantaMaria a Monte (REDI, 1997). Siena: Radicofani (AVETTA, 1998), Montarrenti (CANTINI, 2003), Poggibonsi (VALENTI, 1996a),Miranduolo (NARDINI, VALENTI, 2003). Grosseto: Selvena (casale altomedievale attestato da documenti scritti; FRANCOVICH et alii, 2000),Ansedonia (HOBART, 1995; FENTRESS et alii, 1991; FENTRESS, 2003), Montemassi (GUIDERI,PARENTI, 2000; inoltre scavi ancora inediti dell’Area di Archeologia Medievale dell’Università di Siena),Scarlino (MARASCO, 2003), Rocchette Pannocchieschi (DE LUCA et alii, 2003).122 La stessa tendenza si osserva a livello nazionale, confermando che è impossibile conoscere la formazionedei nuovi centri di insediamento che caratterizzarono il periodo compreso fra il VII e l’XI secolo senzaindagare i castelli. Consultando dati aggiornati al 2002 (secondo una schedatura in progress svolta presso ilDipartimento di Archeologia e Storia delle Arti dell’Università di Siena), su poco più di 130 casi di castellioggetto di scavi circa il 50% mostra la persistenza dell’insediamento su centri preesistenti. E’ inoltre daconsiderare che soltanto in 30 occasioni si è trattato di indagini condotte su ampie aree.

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Medievale di Siena.123 L’incastellamento interessò soprattutto realtàinsediative preesistenti e stabilmente popolate, dei siti altomedievali disuccesso ed aziende rurali talvolta riconoscibili come curtes o come il loronucleo centrale. Fu un fenomeno che aderì ad una rete di popolamento giàstabilizzata e sulla cui ossatura si era modellata la gestione del lavoro nellecampagne. Ciò non significa volere rintracciare l’origine di tutti i castelli neinuclei accentrati altomedievali; tale processo si lega soprattutto ai castelli diprima fase, mentre non si esclude, come alcuni casi comprovano, uno pertutti Rocca S.Silvestro nel livornese, la fondazione ex novo dietro interessiparticolari (lo sfruttamento minerario nell’esempio citato) e per i castelli diseconda fase.124

Per questi motivi, la ricostruzione delle dinamiche insediativeterritoriali ha quasi sempre una brusca frenata dopo il periodo dellatransizione. Non si ritrovano infatti sul terreno gli indizi di quei contestialtomedievali, che pur dovevano esistere e talvolta attestati dalla stessadocumentazione d’archivio, poiché i depositi ad essi relazionabili sono per lamaggior parte sepolti od erosi dalle successive fasi di vita, finoall’edificazione ed allo sviluppo dei castelli o di altri siti di successo(probabilmente quei nuclei di villaggio che hanno continuato ad esserefrequentati fino ai nostri giorni).

L’altomedioevo non è un periodo drammatico del popolamento e diselezione dei centri abitati, come potrebbero far pensare le evidenze negativedelle ricognizioni di superficie. Al contrario, siamo di fronte alla formazionedella nuova trama insediativa delle campagne, sulla quale si innestò più tardila rete dei castelli.

L’altomedioevo rappresenta una fase cruciale nella storiadell’insediamento e nell’affermazione delle aristocrazie rurali. La signoriaterritoriale pose le proprie basi su una serie di patrimoni fondiari formatisi inquesti secoli; il sorgere dei castelli costituì sia il segno forte del nuovo ruolosociale, politico ed economico che andavano assumendo gruppi di grandi emedi proprietari, sia la definitiva trasformazione dei centri preesistenti.

Da tutto ciò ne consegue che scavare i castelli rappresenta ad oggi unatra le strategie di ricerca più redditizie per la comprensione dei caratteri delpopolamento altomedievale.

L’elaborazione di una modellistica concernente i centri d’insediamentopre-castrale deve comunque seguire un progetto di ricerca ben definito, siadal punto di vista operativo sia per gli aspetti “qualitativi” dei dati prodotti.

Operativamente è necessario basarsi su un numero cospicuo di casi daindagare e su scavi in estensione rappresentativi di ampie percentuali dello

123 La definizione “modello continuista” può ingenerare fraintendimenti. Per continuista s’intende lacontinuità fra rete insediativa altomedievale e medievale, ovvero le forme del popolamento altomedievalecostituirono l’ossatura della rete insediativa dei secoli successivi. E’ invece da intendere come“discontinuista” in relazione all’insediamento tardoantico: passaggio dall’insediamento sparsoall’insediamento accentrato a partire dal VII secolo.124 Per Rocca S.Silvestro si veda soprattutto FRANCOVICH, WICKHAM, 1994 e bibliografia citata.

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spazio incastellato. La gamma di realtà insediative altomedievali individuatein Toscana, seguendo questa strada, evidenzia come il semplicericonoscimento di alcune buche di palo o di alcune capanne non esaurisce leproblematiche a cui tentare di dare risposta.

Qualitativamente è indispensabile basarsi su indagini dove l’analisicombinata di tutti i tipi di restituzione (dalle strutture edilizie, ai reperticeramici, osteologici ed archeobotanici sino agli eventi geoarcheologici)rappresenta il mezzo principale per la caratterizzazione dei villaggi nelladiacronia; troppo spesso, all’interno delle pubblicazioni di scavi, tali dativengono relegati in una dimensione descrittivistica non funzionale allacostruzione di modelli.

Dal punto di vista archeologico, infatti, il problema, oltre chenell’individuazione delle strutture e della composizione dei centrid’insediamento per comprenderne le trasformazioni, risiede nella creazionedi una griglia di indicatori materiali utili nel definire la natura socio-economica dei villaggi. Ciò significa valutare tramite sistemi correlati difonti materiali, talvolta rischiando anche uno sbilanciamento nella lorolettura, quali tipi di rapporto esistevano fra gli abitanti, quali tipi diorganizzazione del lavoro si svilupparono, come vennero gestite e in qualiforme evolvettero.

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3 - Le strutture dell’insediamentoIl materiale edilizio più diffuso dell'altomedioevo è senza dubbio di

tipo povero e facilmente reperibile sui luoghi in cui fu scelto di abitare. Ilbosco, quindi la disponibilità di materia prima, caratterizzava la campagna.125

Ma l’altomedioevo non rappresenta solo «il mondo del legno», comepiù autori sottolineano parafrasando Le Goff.126 E’ un periodo in cui ne vienefatto largo uso, benchè siano stati impiegati tutti i tipi di materiali costruttivideperibili: terra, paglia, incannicciati, ramaglie, legacci vegetali ecc. Lestrutture indagate non sembrano mostrare solo pali; questi vengono inveceinglobati all'interno di elevati in terra, fungendo da armatura, o coperti diterra poi intonacata.

In Toscana, come in tutto il centro nord, l'uso di materiali leggeri nonrappresenta una novità ed è diffuso ampiamente anche nel periodotardoantico. A Colle Carletti a Orentano (Castelfranco di Sotto-Pisa), nel Vsecolo, sono attestate due abitazioni realizzate tramite impiego di materialideperibili misti con predominanza del legno.127 Nel Chianti senese la quasitotalità delle abitazioni di V e VI secolo individuate tramite ricognizionerisultano costruite in terra come ha dimostrato anche la verifica tramitescavo.128 A Poggibonsi la fase più antica di occupazione della collina èrappresentata da edifici con zoccolo in pietra ed elevati in terra. Nella pianadi Sorano (Massa Carrara), sui ruderi di una grande fattoria romana copertida coltri alluvionali, fra V e VI secolo furono edificate delle piccole case inlegno su terrapieni destinati ad isolarle dall’umidità; erano tramezzate edivise in due vani e la struttura portante fu realizzata da pali infissi nelterreno con pareti di rami intonacati di argilla; questa evidenza è statainterpretata come parte di un villaggio di capanne distrutto da un eventotraumatico improvviso, forse un incendio.129 A Gronda di Luscignano (MassaCarrara), in cronologie comprese tra IV-VI secolo, uno scavo per piccolisaggi ha restituito tracce molto alterate di un villaggio composto da capannesu basamento in pietra (con confronti negli abitati tardoantichi posti allespalle di Genova come il villaggio di Savignone e San Cipriano).130

Figura 7

Anche se è forte la tentazione di accostare lo sviluppo stabile diun’edilizia per capanne ai casi già presenti nell’età tardoantica, si deve peròsottolineare come il periodo compreso fra la fine del VI secolo ed il X secolomostra caratteristiche proprie e di rottura con le tecniche in uso nella tarda

125 ANDREOLLI, MONTANARI, 1988.126 LE GOFF, 1981.127 ANDREOTTI, CIAMPOLTRINI, 1989.128 VALENTI, 1995b.129 GIANNICHEDDA, LANZA, 2003, pp.78-79; CAGNANA, 1994, p.172; MANNONI, MURIALDO,1990.130 FERRANDO CABONA, CRUSI, 1981; DAVITE, 1988; inoltre la messa appunto sulle ricerchearcheologiche nella provincia di Massa-Carrara in GIANNICHEDDA, LANZA, 2003.

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antichità. La tendenza verificabile a livello nazionale sembra convergere inquesta direzione; nel VI secolo coesistono abitazioni in materialedeperibile131 con abitazioni in materiali misti,132 mentre nei tre secolisuccessivi, vengono edificate strutture interamente deperibili e sottoforma dicapanne.

Il problema principale è comprendere i motivi di questo assolutopredominio e perchè la pietra trovi scarso uso, venendo utilizzata in strutturemiste, come fondazione per elevati in legno o terra. In generale, soprattuttoper l’Italia centrale,133 la pietra decade e compare nuovamente nei villaggiverso il X secolo, quasi a rappresentare una sperimentazione preliminare, «iprimi tentativi di una muratura corrente».134

131 A Villandro, nella prima metà del V secolo, il villaggio di edifici in pietra fu distrutto da un incendio;pochi anni dopo venne effettuata una sistematica rioccupazione del sito e gli strati di bruciato furono scavatiper recuperare l’uso degli ambienti; durante il VI secolo le strutture abitative subirono un abbandonodefinitivo e nel VII secolo venne costruito un villaggio di capanne fondate su un esteso vespaio di pietrameche obliterò sistematicamente i resti delle strutture preesistenti (DAL RI', RIZZI, 1994). A Manerbio(Brescia), in cronologia di generico altomedioevo, è attestato un insediamento di capanne in numeroimprecisabile, testimoniate dalla presenza di oltre cinquanta buche di palo (BREDA, 1986, pp.127, 128). ASizzano (Novara), su una villa che nel V secolo era stata dotata di una chiesa, dopo l’abbandono di VIsecolo furono impiantate strutture abitative interamente lignee (PANTO’, PEJRANI BARRICCO, 2001,pp.40-41).132 A Volano (Trentino meridionale), tra IV-VI secolo, è stato indagato un edificio in muratura e legno(CAVADA, 1992, pp.113-114). A S.Giorgio (Val Curone-Alessandria), con cronologia di V-VI secolo, sisono documentate una serie di strutture di planimetria imprecisabile, caratterizzate dalla presenza di unozoccolo in muratura, mentre gli elevati hanno struttura portante lignea tamponata con argilla e paglia(WATAGHIN, 1994; PANTO', 1992). A Belmonte (Torino), con datazione compresa tra V-VII secolo, sonostate identificate strutture delimitate tramite basamenti in pietra legata da malta povera, mentre l’elevato eracostituito da legno o da altro materiale deperibile che collegava una serie di pali interni a ridosso dei muriperimetrali (WATAGHIN, 1994; PEJRANI BARICCO, 1984, pp.285-286; PEJRANI BARICCO, 1986,p.229; PEJRANI BARICCO, 1991, p.202-204; PEJRANI BARICCO, GALLESIO, 1988, p.104; PEJRANIBARICCO, PANTO, 1992, pp.157-170; SCAFILE, 1985, pp.30-31). A S.Stefano di Lenta (Vercelli),intorno ad una chiesa battesimale paleocristiana, sono stati riconosciuti alcuni edifici rettangolari confondazione a secco in ciottoli e frammenti di laterizi ed alzato ligneo databili fra V e VI secolo(FRONDONI, 1998; FRONDONI, 2001, pp.752-763). A San Cipriano (Appennino ligure-Genova), incronologia compresa tra V-VII secolo, una struttura di piccole dimensioni e di forma rettangolare aveva unbasamento in pietra, lungo il quale poggiavano un numero non precisabile di pali inseriti in elevati dimateriale deperibile (D’AMBROSIO, 1985; CAGNANA, 1994); a Savignone, IV-V secolo, una capannaera costituita da un basamento in pietra a secco, costeggiato da un numero non precisabile di pali e conimpiego di ramaglia intrecciata ed intonacata (FOSSATI et alii, 1976; CAGNANA, 1994; MANNONI,1983; GIANNICHEDDA, 1988, p.27; CASTELLETTI, 1976, pp.326-328). A Castelseprio è stato scavatoun edificio con pali portanti angolari poggianti su basi in pietra e cronologia di generica età tardoantica-altomedioevale (DABROWSKA et alii, 1978-1979). A Idro (Brescia), in età tardoantica, sono stateindividuate capanne con perimetrali in filari di pietre legate da terriccio ed elevati in legno (BROGIOLO,1980, pp.186-193). Alla Pieve di Manerba (Brescia), tra VI-VII secolo esisteva una capanna seminterratacon tracce di zoccolo in muratura sul fondo (CARVER et alii, 1982, pp.237-298). A S.Lorenzo diQuingentole (Mantova) tra V e VII secolo, su un’area occupata da un edificio di culto posto ai margini diuna villa abbandonata nel IV secolo, fu costruito un edificio con fondazione a secco in frammenti di laterizied elevati in legno e terra (MANICARDI, 2001). Recenti scavi nella zona di San Marino, a Domagnano inlocalità Paradiso, hanno mostrato un complesso di età gota tipo fattoria con un nucleo centrale di 200 mq,che rioccupa un più vasto edificio romano ricostruendo elevati definiti in “tecnica edilizia rustica”: erano inlegno con fondazioni in pietra (BOTTAZZI, BIGI, 2001).133 Nell’Italia settentrionale, invece, l’impiego del legno nell’edilizia continua ad essere prevalente. Si vedaal riguardo BROGIOLO, GELICHI, 1998, pp.103-154. 134 PARENTI, 1990. A Carvico (Bergamo), un edificio datato tra IX-XI secolo, posto a fianco della chiesa diS.Tomé, era costituito da muri con travi portanti inserite (BROGIOLO, 1985, pp.137-140); a PonteNepesino (con cronologia incerta) una struttura abitativa aveva perimetrali in pietra non lavorata, impiegati

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Nell’Italia cento-settentrionale, con il periodo longobardo, cambiaradicalmente la tecnica costruttiva delle abitazioni e le cause sembrano esseremolteplici. Nel passaggio ad un'edilizia abitativa per capanne sonoriconoscibili l'importazione di modelli di tipo germanico, il recupero od ilriperpetuarsi di tradizioni costruttive rurali, la capacità di costruire la propriaabitazione (nella quale la terra ed il legno trovavano larga diffusione)compresa nel background del contadino altomedievale, una scelta deliberatae di convenienza per la grande abbondanza di materiali deperibilidisponibili.135

Le conseguenze più vistose si osservano nella perdità della capacità diimpastare buone malte e alzare mura in pietra; un fenomeno acuitosi con iprogressivi ricambi generazionali, benchè la rinuncia alla tecnica dellamuratura non decretò comunque una sua definitiva scomparsa.136 Vengonomeno le coperture laterizie, sostituite da tetti in paglia o simili; questopassaggio deve essere collegato alla scomparsa quasi totale di ogni forma diproduzione industriale a larga distribuzione, con alcune eccezioni locali eduna probabile fabbricazione occasionale per specifici monumenti.137

E’ questo il quadro generale nel quale s’inseriscono anche le strutturedell’insediamento toscano che oggi, sia per i caratteri degli edifici sia per latopografia dei nuclei insediativi, iniziano a proporre dei modelli di lettura daicontorni più netti. I contesti rintracciati negli scavi di castelli mostrano cosìundici tipi di depositi altomedievali riconducibili a capanne abitative,magazzini, granai, annessi, attività artigianali, corti, steccati, palizzate,strade, fossati e muri.

3.1 - Le capanne abitative 138 . Sono riconducibili a quattro macro-gruppi: grubenhaus, con armatura

di pali a livello del suolo, con zoccolo in muratura, a materiali misti.Nella loro attestazione si intravede una specie di linea cronologica. Le

capanne seminterrate rappresentano il tipo più antico; vengono edificate dallametà-fine del VI secolo e continuano ad essere presenti sino all’VIII secolo.Dalla metà del VII secolo convivono con una serie di strutture a pali piantatia livello del suolo, di forma circolare e rettangolare, che raggiungono il Xsecolo segnalandosi come il tipo di maggior successo. Ad esse si affiancano

come zoccolo per elevati in legno (PHILPOT, POTTER, 1984, pp.81-82). 135 In generale, oltre a BROGIOLO, 1994, si veda anche BROGIOLO, GELICHI, 1998, pp.103-154.136 All'interno di organizzazioni curtensi di VIII e IX secolo, esistevano dei servi specializzati nellacostruzione di muri in pietra. Sembra trattarsi di eccezioni, pertanto la portata del dato non è dageneralizzare. I casi maggiormente citati (il magister carpentarius, il magistro de ligno et lapide, i magistriad muros et casas et buttes faciendum ecc.) sono infatti collegati alla grande proprietà fondiaria deimonasteri di Bobbio (la struttura del polittico voluta dall’abate Walla, nel primo trentennio del IX secolo, siiscriveva nelle linee suggerite dal Capitulare de villis) e di Santa Giulia di Brescia. Si consultino GALETTI,1987 e FUMAGALLI, 1980a.137 Si vedano BROGIOLO, 1994 e PARENTI, 1994, pp.487-489 con ampie indicazioni bibliografiche.138 Per la casistica europea ed italiana delle strutture in materiali deperibili altomedievali si veda FRONZA,VALENTI, 1996. Per i criteri interpretativi delle strutture in materiale deperibile provenienti da scavo sivedano FRONZA, VALENTI, 1997 e FRONZA, VALENTI, 2000.

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edifici di pianta ellittica con la metà dell’VIII secolo, mentre nel X e nell’XIsecolo fanno la loro comparsa abitazioni a materiali misti e con fondazione inpietra, elevati sia in terra sia in incannicciato o graticcio intonacati ecopertura talvolta in lastrine di calcare.

Dalla casistica tracciata sono riconoscibili capanne tipiche della primaetà longobarda (grubenhauser) e capanne che entrano in uso con gli inizidell’età carolingia (a livello del suolo con pianta ellittica). Inoltre, il lentopassaggio da un’edilizia in materiali deperibili verso edifici realizzati inpietra, che avvenne nel periodo iniziale di evoluzione delle signorie fondiariein territoriali, è sottolineato dall’uso di materiali edilizi diversificati fra loro,tra i quali il legno e la paglia non hanno più il predominio assoluto.

Grubenhaus - A Poggibonsi questa capanna, scavata sul terrenovergine per una profondità di circa mezzo metro, ha forma circolare ediametro mediamente intorno agli 8 m. Doveva essere costituita daun'armatura lignea rivestita da alzati in terra; la pianta e la presenza di grossipali interni, combinate con le tracce di buche esterne al taglio stesso,evidenziano una copertura a cono molto alta ed appuntita, appoggiata fuoridal circuito. L'accesso era spesso rappresentato da un ingresso a scivolo: unasorta di corridoio scavato anch'esso sul terreno vergine. Lo spazio abitativorisulta diviso in due navate da una fila di pali centrali; in un caso, la presenzadi un vasto taglio di forma rettangolare con fondo spianato (2,60 x 2 m,profondità 40 cm) è da leggere come una lettiera che doveva ospitare unsemplice pagliericcio. La sua comparsa segna il passaggio dalle casetardoantiche di terra con copertura laterizia all’abitato altomedievale.

Anche a Donoratico è stata recentemente individuata una grubenhauscircolare e di forma regolare, diametro di 3,5-4 m circa, con corona dialmeno 7-8 pali perimetrali; non è possibile valutare la profonditàdell'escavazione o l'eventuale presenza di un palo centrale a causa degliinterventi succedutisi sull'area nelle fasi successive. Si conserva invece illivello di vita della struttura, ancora da scavare, e un probabile focolared’incerta messa in fase. Doveva trattarsi di una capannna probabilmentesemiscavata circa 40-50 cm in origine, con pali perimetrali e coperturapoggiante a terra all’esterno del taglio di escavazione; recentissime indaginiradiocarboniche, sul livelli ancora in corso di scavo, datano per il momentola struttura intorno alla metà dell’VIII secolo.139

139 Le grubenhauser, o sunken-featured buildings, sono un tipo di capanna sulla quale il dibattito è ancora aperto.Sinora, oltre ai casi qui descritti di Poggibonsi e Donoratico, sono state rinvenute a Brescia (BROGIOLO, 1992),Siena (sottosuolo del Duomo: CAUSARANO, FRANCOVICH, VALENTI, 2003) ed a Supersano in provinciadi Lecce (ARTHUR, 1999; ARTHUR, MELISSANO, 2004). Tutte le strutture, tranne, per il momento, quella diDonoratico, sono datate tra la fine del VI e gli inizi del VII secolo.Molto diffuse nell’Europa settentrionale, la discussione in passato si è incentrata sulla disposizione dei piani dicalpestio e sulla presenza o meno di pavimenti lignei (RHATZ, 1976; CHAPELOT, FOSSIER, 1980, pp.116-133; GIANNITRAPANI et alii, 1990). In realtà il problema non sussiste, in quanto sono riscontrabili ambedue lepossibilità: sia vita sul fondo della capanna sia pavimenti in assi con un vano ad uso cantina-magazzinosottostante. Inoltre non devono essere confusi con le grubenhauser quegli edifici che, pur seminterrati (i fond decabannes), sono però destinati a piccoli laboratori-tessitoi ed i cui esempi più noti provengono dall’areamerovingia.

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Figura 8

Capanne in armatura di pali a livello del suolo - Rappresentano il tipomaggiormente attestato; ognuno dei centri scavati mostra l’esistenza distrutture con pianta rettangolare, ellittica o circolare.

Pianta rettangolare - A Scarlino, sono state indagate capanne di lungafrequentazione che mostrano successivi rifacimenti e livelli precedenti erosio cancellati nel corso di tre secoli. Agli inizi del X secolo tali abitazionierano di due tipi, cioè più o meno estese. Nel settore di scavo «C» sono staterilevate misure di 5 x 3,5 m, mentre nel settore «A» una planimetriaincompleta è stata ricostruita nelle dimensioni di 10 m circa x 4-4,50 m. Gliedifici avevano comunque strutture portanti sotto forma di pali inseriti inbuche riempite da terra sciolta e pietrame con funzione di rincalzo; ilmateriale usato per le pareti non ha lasciato stratificazioni distinte adeccezione di concrezioni argillose e accumuli di terra molto carboniosa neilivelli di abbandono, per cui non dovrebbe essere lontano dalla realtàimmaginare alzati di frasche impastate con argilla cruda. La copertura, inpaglia tenuta insieme da legature vegetali (assenza di chiodi dallerestituzioni), poggiava su un sistema di incastri e perni. I piani pavimentalierano stati costruiti su uno strato di terra livellato e relazionabile aldisfacimento di muri in pisée di edifici ellenistici; formati da terra battutamolto limosa, erano soggetti ad accrescimento progressivo. Il focolare,circoscritto da pietre, si posizionava alle estremità e nei pressi della portavista la presumibile assenza di un sistema di tiraggio.

In Italia si vanno profilando comunque due posizioni interpretative. Da una parte (i casi bresciani e senesi) si tende a riconoscere l’origine di queste capanne nell’importazione dimodelli germanici, come mostrano i confronti con gli scavi in ambito pannonico (si veda BONA, 1976a; BONA,1976b; BROGIOLO, GELICHI, 1998, pp.132-133). I recenti rinvenimenti piemontesi di Collegno (TO), dovetra le strutture sono presenti anche grubenhauser associate a tombe longobarde di prima fase (PEJRANIBARICCO, 2004) sembrano confermare questo modello; anche Leciejewicz, in un recente contributo di sintesisulla formazione dell’Europa dall’età della transizione interpreta tali strutture come tipiche dei longobardi(LECIEJEWICZ, 2004). A questi casi si aggiunge un ulteriore recente rinvenimento piemontese di Frascaro,d’ambito goto, ma anch’esse forse riconducibili all’esperienza precedente l’insediamento in Italia(MICHELETTO, 2003; MICHELETTO, 2004). Dall’altra, a seguito dei rinvenimenti leccesi ed applicando letture di tipo etnografico, si tende a sconfessare laprima interpretazione ed a ricondurre queste strutture ad una tradizione plurimillenaria tipica delle zone umide ocon condizioni climatiche molto deteriorate: «testimonianze di un’architettura “povera” o contadina che èsopravvissuta in Italia dall’età protostorica sino, almeno, all’alto medioevo, in determinati contesti ambientali»(ARTHUR, 1999, p.175). Il dibattito su tale tema è ancora ben lungi da chiudersi e la ricerca dovrà ancora disporre di un maggior numerodi casi da elaborare. Dal nostro punto di vista le grubenhauser databili tra fine VI e VII secolo presenti nell’Italiacentro-settentrionale sembrano introdotte dai longobardi (Brescia, Collegno, Siena e Poggibonsi); il tipo, comemostrato in questo paragrafo ha successo per oltre un secolo (l’esempio di Donoratico) e quindi pare sfumare lasua connotazione “etnica”. Da comprendere sono invece ancora i due casi leccesi; può avere ragione Arthurquando riconduce la loro presenza ad una tradizione millenaria ma è da verificare anche un’eventuale”contaminazione” di elementi germanici in loco; un caso forse raro ma del quale esistono alcune testimonianze:per esempio la ceramica longobarda rinvenuta nel castrum bizantino di Sant’Antonino di Perti. In conclusione,l’esempio leccese, da solo, non ha al momento la forza di mettere in dubbio quanto ipotizzato sulla base dei casidel centro-nord.

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Le capanne di Montarrenti sono anch'esse al livello del suolo e piantarettangolare. La più piccola (in area 2000), frequentata tra metà VII eseconda metà VIII secolo, ha misure pari a 4,5 x 2,5 m ed occupava unospazio di circa 11 mq; l'armatura dei pali perimetrali era alloggiata in buchescavate nella roccia. Il piano di calpestio era costituito dalla roccia stessa chepresenta tracce di livellamento. In una seconda fase l'edificio venneristrutturato livellando ancora di più la zona e coprendola di terra; la presenzadi un focolare, situato nella parte nord, è attestata da quattro piccole buche dipalo, disposte a formare un quadrato; alcuni pali interni senza un ordinepreciso dovrebbero rappresentare rinforzi della copertura che sembra esserestata ad uno spiovente. Tra fine X-inizi XI secolo nella parte sommitale (area1000) si osservano altre tre capanne rettangolari con dimensioni più o menosimili. La più piccola, di pianta irregolare, era composta da 10 buche di palo,occupava uno spazio di 27,5 mq ed aveva dimensioni di 5,5 x 5 m.L’intermedia, con pianta regolare, era composta da 14 buche di palo,occupava uno spazio di 33 mq ed aveva dimensioni di 5,5 x 6 m; le bucheangolari appaiono di grandi dimensioni ed era dotata di un focolarecontornato da pietre e spostato sul lato est dell’edificio. La più grande,delimitata da 12 buche di palo, occupava uno spazio di 37 mq ed avevadimensioni di 7,5 x 5 m.

Nell’insediamento di Poggibonsi, fra IX-X secolo, si osservanoalmeno due capanne rettangolari, una con il lato ovest leggermente stondatoe semiscavato per livellare il pendio della collina. La capanna non èinteramente conservata (manca una piccola parte del lato nord), ma sipossono comunque ipotizzare un ingombro di circa 33 mq e dimensioni di6,9 x 4,8 m. La struttura portante è costituita da un allineamento centrale e dapali perimetrali piuttosto regolari che denotano una buona qualità delletecniche costruttive. Presso il perimetrale sud si trova una canaletta (3,4 m dilunghezza) riferibile ad un rifacimento strutturale o, più probabilmente, adattività svolte all’interno dell’edificio: aveva quindi funzione abitativa eartigianale.

A Donoratico sono state individuate recentemente una serie di capannea livello del suolo ed a pianta rettangolare, con focolare centrale e misurepiccole (circa 4 x 3 m).

Figura 9

Pianta circolare – Nei siti di Poggibonsi, Miranduolo e RocchettePannocchieschi, nello stesso periodo cioè tra VIII e X secolo, alcune capannehanno struttura in armatura di pali e pianta circolare con diametro di pocosuperiore agli 8 m. Risultano perimetrate da pali di grandi dimensioni, condiametro medio intorno a 45 cm, posti a distanza più o meno regolare di circa150 cm; non possediamo tracce del materiale impiegato negli elevati tranneche pochissimi frustoli di intonaco e veli di polvere tipo gesso-legante

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sabbioso che fanno ipotizzare un incannicciato rivestito di terra intonacata. Iltetto, in paglia, doveva avere forma di un cono molto largo con armatura ditravi tenuti insieme da legacci vegetali e puntoni in legno. Il piano dicalpestio era in terra battuta poggiante su un vespaio di pietre in assettocaotico spesso circa mezzo metro, l'ingresso era invece aperto a nord ovest.Nel caso di Miranduolo la struttura si appoggiava alla palizzata checoronava la parte sommatale della collina ed i pali perimetrali erano moltoravvicinati fra loro tanto da far pensare all’assenza di elevati in terra dicollegamento; aveva una pavimentazione in assi di legno ed al suo internodoveva vivere una famiglia che sembra essere impegnata nella lavorazionedell’osso e del corno.

Figura 10

Pianta ellittica – Alla Rocca di Campiglia le tracce di capanne sonodisposte lungo il margine del pianoro ed ascritte al X secolo. Le dimensioniappaiono standardizzate (11-12 x 4 m) e sono suddivise in due navatedall’allineamaneto centrale di pali per il sostegno della copertura. APoggibonsi le capanne di forma ellittica sono attestate dalla metà dell’VIIIsecolo alla fine del IX-inizi X secolo. Hanno piccole e medie dimensioni:occupavano uno spazio variabile fra 20 mq e 52-53 mq circa. I paliperimetrali erano inseriti all'interno di una canaletta scavata nel terreno, glielevati realizzati con pali di medie dimensioni e la canaletta (un tracciato conlarghezza variabile tra 28-30 cm), ospitava anche terra di riempimento epietre a zeppa. L'assenza di chiodi conferma ancora un largo impiego dilegacci vegetali e puntoni. La copertura era a doppio spiovente e sorrettainternamente da pali con diametro di 25-30 cm, alternati a paletti condiametro di circa 15 cm, collocati sia regolarmente lungo il limite del battutosia con disposizione caotica verso il centro. In altre parole il tetto venivaeretto sui pali più grandi destinati a sopportare il peso maggiore e rinforzatolateralmente. In alcuni casi erano dotate di un focolare interno sottoforma dipunto di fuoco appoggiato sul battuto.

Figura 11

Un’eccezione è costituita dalla presenza di una longhouse a forma dibarca: edificio accuratamente pianificato, con un lato seminterrato edimensioni di 17 x 8,5 m, occupante quindi uno spazio di 144 mq. Vennecostruita scavandone la pianta sul terreno vergine in corrispondenza del latolungo sud e dei lati brevi; per la parte nord fu sfruttato lo spazio cheprecedentemente ospitava altre capanne. Aveva uno scheletro in armatura dipali ed elevati in terra. Mostra una suddivisione in tre ambienti: zonadomestica, zona magazzino, zona ad uso misto. L'ambiente domesticopresentava un focolare ricavato su una base quadrangolare di terra verginesormontata da un'incastellatura di almeno tre pali. A breve distanza veniva

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lavorato il grano come prova la macinella impiantata sul piano di calpestio.Una fila di paletti posta in orizzontale nella zona ovest separava poi lo spaziodomestico dall'ambiente destinato a magazzino, dove liquidi e derratealimentari venivano conservati in contenitori ceramici di grandi dimensionialloggiati in buche poco profonde; i grani erano invece accumulati in duesilos di forma cilindrica. Il tetto, in paglia o altro materiale vegetale, era adoppio spiovente.140

Figura 12 e 13

Capanne con zoccolo in muratura - Nel villaggio di Scarlino, aglistrati di abbandono delle capanne che costituivano la frequentazione piùantica, si sovrappone l'impianto di nuove unità abitative, caratterizzate da unacommistione di murature, pali lignei e probabile completamento con altrimateriali deperibili (paglia, stuoie ecc). Le fondazioni dei muri perimetralisono costituite da piccoli pezzi di pietra non lavorati e legante composto daterra con residui vegetali, mista a calce grossolana, impiegate anche perl'allestimento dei piani pavimentali. Si sono identificati almeno quattroedifici; la cronologia dei reperti ceramici presenti nei livelli di abbandono di

140 Longhouses a forma di barca non hanno attestazioni per il momento in Italia. Confronti e similitudinisono invece individuabili in una vasta gamma di edifici attestati a livello europeo: per esempio inDanimarca a Omgard tra IX-X secolo, una capanna aveva misure di 19,40 x 6,80 m, struttura a barca conarmatura di pali a livello del suolo, forse tre navate e divisa in due vani tramite una parete interna(NIELSEN, 1979, pp.180-185, fig.7). Anche dei rinvenimenti francesi mostrano analogie per pianta edimensioni: per esempio la casa VII del timber castle di Mirville era una capanna a barca con misure di 17 x8 m (HIGHAM, BARKER, 1992, pp.265-267). Altre similitudini sono riscontrabili in capanne bipartite tipowohnstallhaus molto diffuse in ambito germanico e danese; l'edificio 1 di Eielstaedt, frequentato tra IX-XIsecolo, misure pari a 16 x 8 m, aveva forma di barca con due ingressi contrapposti sui lati lunghi eun’allineamento di buche di palo orientato nord-sud che fungeva da separazione tra i due vani (WILBERS,1985, pp.219-221 e fig.4); a Telgte-Woeste, nella prima metà del IX secolo, è attestata una capanna di 19 x7 m, leggermente a forma di barca con due ingressi contrapposti sui lati lunghi, caratterizzata da unportico/navatella che copriva il lato corto fungendo anche da sala/ambiente d’ingresso (REICHMANN,1982, pp.170, 171 fig. 113.1). In generale, abitazioni a due navate con dimensioni analoghe alla longhouse di Poggibonsi sonoparticolarmente diffuse in area franco-alamanna. Confronti per le dimensioni e per i materiali impiegati sonorintracciabili in Germania. A Eching per il generico altomedioevo, la casa B era costruita in armatura di palicon elevati in materiale deperibile, battuto in terra, pianta a due navate di 10 x 8 m; mentre la casa D eraestesa 17,4 x 6 m ed i molti frammenti bruciati di intonaco in argilla rinvenuti fanno pensare a pareti conintonaco d’argilla misto a pagliericcio intrecciato (WINGHART, 1987, pp.139-140). A Gladbach la casa 14aveva misure di 13 x 7 m (DONAT, 1980, pp 15, 17; SAGE, 1969); a Wuelfingen, è stata indagata unastruttura a livello del suolo con armatura di pali, a due navate, misure di 16 x 8 m (DONAT, 1980, p.17); aBarbis, la casa III.1, aveva misure di 18 x 6 m ed una parete divisoria di due vani entrambi dotati di focolare(DONAT, 1980, p.24). In molti insediamenti rurali sassoni individuati in Germania e in modo chiaro perWarendorf, capanne a barca con dimensioni simili alla longhouse di Poggibonsi venivano destinate allamanovalanza servile mentre i proprietari dimoravano in strutture anch'esse a barca ma molto estese, sino araggiungere i 30 m. La differenza più significativa tra il nostro caso e molte delle abitazioni di Warendorf èriconoscibile nella presenza diffusa di paletti esterni inclinati a rinforzo delle pareti (uno in corrispondenzadi ogni palo), nell'assenza di navate interne e dalla costante apertura di due ingressi contrapposti. Si vedanoDONAT, 1980; FEHRING, 1991, pp.162-163; inoltre la tipologia abitativa presentate in CHAPELOT,FOSSIER, 1980, Fig.17 pp.86-87. Per altri esempi si vedano le capanne documentate a Haldern, Wijk bijDuurstede e Sleen tra VIII-IX secolo, a Odoorn tra VII-VIII secolo (DONAT, 1980, pp.11-12), a Kirchheim(CHRISTLEIN, 1980, pp.162-163). Al riguardo si deve sottolineare la diversa interpretazione delle piccolebuche esterne; gli archeologi di Sleen e di Trellerborg hanno visto in esse le tracce di capriate riconducibili acopertura inclinate fino a terra (si veda PESEZ, 1976, pp.776-777 sulla questione).

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questo periodo consente una datazione alla fine del X-XI secolo, dunque inconcomitanza con la prima menzione nelle fonti scritte di una curtis aScarlino.

Anche alla Rocca di Campiglia questo tipo di struttura viene attestatonella medesima cronologia. Si tratta di edifici a pianta rettangolare,dimensioni di circa 6 x 10 m, fondazioni in pietre di calcare di medie egrandi dimensioni non lavorate, legate da malta di terra; erano a doppianavata e l’allineamento di pali centrali, con dimensioni regolari, presentavauna corona argillosa di terra e sabbia come rinforzo. Un possibile focolare,adagiato sui battuti e privo di delimitazioni, era posto quasi al centro dellastruttura: il tetto, quindi, doveva avere uno sportello apribile per lo sfogo deifumi. Due ulteriori esempi, definiti in passato “capanne in muratura”, sonopresenti a Montarrenti; hanno pianta rettangolare, pareti in materialideperibili rivestiti da argilla, impostate su una base realizzata con pietre nonsbozzate e non legate da malta. Il piano di calpestio era costituito da stratiargillosi ricchi di carboni e non è riconoscibile una ripartizione funzionaleinterna alle strutture: i focolari, accesi sui battuti, furono spostaticontinuamente.

Figura 14

Capanne a materiali misti - Miranduolo è l’unico contesto chepresenta questo tipo di edificio. E’ databile tra fine X ed inizi XI secolo,contemporaneo all’incastellamento del sito. Si addossava alla cinta ed allepareti rocciose, aveva pianta quadrangolare con copertura ad uno spiovente;la funzione portante di alcune buche rimanda ad una struttura in tecnicamista; la necessaria inclinazione della copertura, in materiali deperibili,suggerisce un’altezza originaria contenuta dello stesso muro di cinta e, forse,un’elevazione maggiore della parete rocciosa sul lato opposto. Gli elevatipresenti solamente sul lato ovest dovevano essere ad intreccio rivestitod’argilla, come provano gli intonaci rinvenuti. Era dotata di un focolarecircolare alloggiato in una grande buca delimitata da pezzame di pietra; glialloggi per grandi contenitori, già in dotazione di una capannaprecedentemente in vita, furono riutilizzati ed aumentati di numero e ciòsuggerirebbe la presenza di un edificio a destinazione abitativa e funzionale.

Figura 15

3.2 - Magazzini, granai, annessi funzionali

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Magazzini141 – L’edificio riconosciuto a Poggibonsi, ascrivibile alperiodo longobardo, ha una pianta leggermente trapezoidale e misure medio-piccole (base maggiore 3,5 m, base minore 2 m, altezza 6 m). La strutturaportante è a pali perimetrali, probabilmente rinforzati da un allineamentointerno di paletti, asimmetrico rispetto all'asse longitudinale; tale asimmetriafa presuppore la presenza di una copertura ad unico spiovente, inclinato daest verso ovest con traverse che poggiano sui tre allineamenti di pali (i duelati lunghi e quello asimmetrico interno). Gli elevati dovevano essere adintreccio di ramaglia e vimini ricoperti da intonaco di argilla. Una paretetrasversale interna, in armatura di pali e incannicciato, divideva la struttura indue ambienti, con piani di calpestio differenti: l'ambiente a nord, dove conogni probabilità si trovava l'ingresso, sembra avere funzioni di magazzino perla conservazione delle derrate alimentari ed è caratterizzato dalla presenza diun silos per grano semiscavato all'estremità nord; il vano a sud, invece,sembra essere stato utilizzato quale semplice rimessa per attrezzi.

Figura 16

Il contesto di Miranduolo, attestata invece una tipologia articolata esono quattro le strutture destinate a questa funzione; in tal senso testimonianole decine di migliaia di resti archeobotanici rinvenuti nelle stratigrafie.L’edificio più antico sinora scavato, ascrivibile gli ultimi decenni dell'VIII-inizi IX secolo, con misura circa 5 x 3 m, era alloggiato in un taglio dellaroccia; aveva forma circolare ed in gran parte costruito con intelaiatura dipali di quercia e pareti in terra, mentre sul lato ovest veniva delimitato da unallineamento di pietre.

Fu sostituito da una struttura a pianta rettangolare, con dimensioni di20 mq, formata da un fronte nord in armatura di pali, mentre ad est e sud ilimiti erano costituiti dagli speroni rocciosi. Il tetto era ad una falda,fortemente inclinato, sorretto da pali in prossimità dei lati terminali e verso ilcentro; altre buche di grandi dimensioni fungevano da alloggio percontenitori da conserva. La cronologia dedotta dall'analisi al C14 è di metàIX secolo. Presenta due battuti in successione; ambedue mostrano lo stessotipo di resti archeobotanici e quindi una destinazione invariata nel tempo.Contemporaneo è un edificio circolare (con diametro di circa 6 m), un

141 I casi di magazzini ascrivibili all’alto medioevo indagati in Italia sono pochi. In particolare è da citarequello di Otranto – cantiere Mitello, datato alla fine del VI-VII secolo, con pianta rettangolare, fondazionein muratura a secco ed elevati in materiale deperibile, del quale sono stati rinvenuti solo parte di due lati(dimensioni minime dell’edificio: 5,5 x 1,6 m). La struttura, certamente connessa al quartiere alrtigianalepresente in quest’area, poteva essere impiegata come deposito per il combustibile o per l'essiccazione di vasi(ARTHUR et alii, 1992, p.100). A livello europeo gli esempi sono invece molti; hanno sia piantarettangolare con pali a livello del suolo, sia pianta circolare o quadrangolare semiscavata. Le attestazioniprovengono dalla Danimarca negli scavi di Vorbasse (seconda metà del X secolo; HVASS, 1979), e diSaedding (IX-XI secolo; STOUMANN, 1979); in Germania da Krefeld (X-XI secolo; REICHMANN,1987), Eielstädt (IX-XI secolo; WILBERS, 1985), Telgte (seconda metà IX secolo; REICHMANN, 1982),Vreden (per la metà del VII secolo e fine VIII-inizi IX secolo; REICHMANN, 1982), Warendorf (VIII-IXsecolo; DONAT, 1980, pp.78, 167), Hamburg Altstadt (X secolo; DONAT, 1980, pp.157-158), Barbis (Xsecolo; DONAT, 1980, pp.74, 160), Berlin–Kaulsdorf (fine X-XII secolo; DONAT, 1980, pp.47, 175),Tönning (VIII-IX secolo; DONAT, 1980, p.159), Borken (IX-X secolo; DONAT, 1980, p.164).

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magazzino con una profonda fossa centrale tipo "cantina". Era delimitato dabuche di palo di medie dimensioni, alloggiato in una bassa escavazione edoveva avere copertura in materiali deperibili.

L’ultimo edificio individuato era in materiali misti e databile nel corsodel X secolo; misurava circa 5,50 x 3 metri, sul lato sud si appoggiava ad unaparete rocciosa ed era pressochè contiguo ad una cinta muraria che definivala sommità della collina. Questa struttura era delimitata da muri in terra conzoccolo in pietra ed il tetto, ad uno spiovente, fu realizzato in lastrine dicalcare scistoso.

Figura 17

Lo stato di conservazione dei reperti archeobotanici attestati aMiranduolo, attualmente in corso di studio,142 inizia a fornire interessantiindicazioni sui tipi di materiali scelti nella costruzione. L’edificio di metà IXsecolo, che restituisce 1033 frammenti di carboni molti dei quali di grandidimensioni (misure variabili fra 30 e 50 cm, quindi campioni considerevoli ditravi, pali ecc), era costruito prevalentemente in legno di quercia per i paliperimetrali ed i travetti, utilizzando con probabilità il castagno per i traviportanti. Pali e travi potevano essere fissati fra loro attraverso l’impiego dilegacci in frassino, un legno robusto, resistente e flessibile; mentre i puntoniper incastri e chiodature sembrano essere attestati dall’olmo, un legno duro,pesante e difficile a spaccarsi, usato generalmente in lavori di carpenteria.

La presenza di elevati in ramaglie o simili, associati ai pali perimetrali,sembra evidenziata dalla presenza di rami di pruno selvatico, erica e nocciolo(legni molto resistenti, spesso utilizzati in campagna per fare siepi,generalmente mescolati al biancospino). Il nocciolo comunque potrebbeanche aver trovato usi diversificati; si tratta di un legno tenero e flessibile maresistente, impiegato in genere per realizzare stuoie, pioli da staccionate, perfermare le coperture in paglia, per fare cesti e rivestimenti. Probabilmente eraanche utilizzato nella fabbricazione di quei contenitori destinati alla conservadelle sementi e dei frutti rinvenuti negli strati (un campione di 14790macroresti) come proverebbero anche l’assenza di ceramica, se non pochiframmenti privi di attacchi, e di indicazioni di sacchi o balle (attestati peresempio ampiamente nel magazzino di X secolo). Nei cesti, posti sul lato suddell’edificio, venivano conservati soprattutto grano duro, in parte segale edorzo (quasi il 70% della restituzione) e piccole quantità di frutti come uva,pesche, castagne, noci, nocciole ed olive; mentre sul lato nord si

142 La raccolta sul campo è stata effettuata da Giuseppe Di Falco nel corso dello scavo 2003; le analisi dilaboratorio sono coordinate da Gaetano Di Pasquale. Inizialmente era stato previsto di campionare circa 4kg di terra all’interno delle maglie di una griglia ripartita in quadrati di 1 x 1 m, tracciata su ogni livello.Constatata la quantità di macroresti e di legni carbonizzati presenti si è optato per una campionatura totale.La griglia si è trasformata quindi nello strumento principale per il posizionamento dei resti archeobotanici ericavare, oltre ai dati sulle formazioni forestali del periodo di vita dell’insediamento, sulle abitudinialimentari e sull’allevamento del bestiame, le informazione sulla distribuzione e funzione degli ambienti esulle tecnologie del legno.

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accatastarono prodotti destinati ai pastoni per gli animali (circa il 27% dellarestituzione): legumi come il favino e la cicerchia uniti alle ghiande.

Come il nocciolo, altri tipi di legno sembrano riferibili alla presenza dioggetti e strumenti. Il carpino (molto duro e resistente) e l’acero (compatto edi piccole dimensioni), possono indiziare la presenza di utensileria realizzatain tali materiali: ancora oggi sono usati per piccoli oggetti e per lavori altornio. Il sommaco e lo scotano sono piante arbustive che trovano largoimpiego nella concia e nella tintura delle pelli.

Annessi funzionali - Nella fase carolingia del villaggio di Poggibonsi,una capanna era destinata alla macellazione ed alla conservazione della carneconsumata nell’adiacente longhouse. La struttura si presenta molto semplice:a pianta rettangolare con un lato leggermente semiscavato e dimensionimedio-piccole (5,5 x 4,40 m). Il lato nord ovest veniva delimitato da untaglio profondo 10-15 cm che, livellando il terreno, comportava un piano dicalpestio leggermente seminterrato. I pali portanti erano dislocatiregolarmente lungo il perimetro, fungendo da collegamento per elevati interra e sostenendo una copertura a doppio spiovente del tipo sparrendach(poggiava infatti su tre travi, uno di colmo impostato sui due palicontrapposti al centro dei lati corti e due laterali impostati sull'allineamentodi pali dei lati maggiori). L'ingresso era ad escavazione, di forma rettangolareallungata: lunghezza 1,70 m, larghezza 94 cm.

Granai143 - Datano all’età carolingia i due edifici individuati aMontarrenti (metà VIII-IX secolo) ed a Poggibonsi (fra IX-X secolo).

Il granaio di Montarrenti era un grande edificio esteso 13 x 4 m, apianta rettangolare con un lato leggermente stondato, diviso in tre ambienti(quello centrale di dimensioni minori), delimitato da 26 buche di palo ed unagrande apertura sul lato sud. 143 Gli unici casi di granaio individuati al di fuori della Toscana provengono da Fidenza, via Bacchini,databili fra VI-X secolo. Sono state identificate una serie di strutture testimoniate da allineamenti regolari dibuche di palo associate a tronchi crollati senza un ordine preciso; si sono rinvenute cassette adibite allostoccaggio di granaglie e frutta, oltre ad un probabile essiccatoio (CATARSI DALL'AGLIO, 1994, pp.152-153).A livello europeo il rinvenimento di granai è più comune; si presentano spesso a struttura sopraelevata alfine di preservare meglio dall'umidità le provviste. Alcuni edifici riconosciuti nella Francia in villaggifrequentati fra IX e inizi XI secolo sono proponibili come esempio-tipo. Nel contesto di Baillet-en-France ilgranaio era rettangolare, a sei pali perimetrali molto robusti (quattro ai vertici e due al centro dei lati lunghi;diametro medio 1,10 m) sui quali poggiava la piattaforma sopraelevata del pavimento (CUISENIER,GUADAGNIN, 1988, pp.146, 151-152, 161). Nel contesto di Villiers-le-Sec il granaio era quadratoirregolare a sei pali perimetrali (diametro medio 1,20 m) sui quali poggia la piattaforma sopraelevata delpavimento. Vi si accedeva attraverso una scala (CUISENIER, GUADAGNIN, 1988, pp.140-141, 151, 160-161).Anche i granai della Germania meritano di essere citati: Krefeld (VII-XI secolo; REICHMANN, 1987,pp.171-175), Eielstädt (IX-XI secolo; WILBERS, 1985, pp.219-221), Telgte (seconda metà IX secolo;REICHMANN, 1982, p.173), Vreden (metà VII secolo; REICHMANN, 1982, pp.170, 173, Warendorf(VIII-IX secolo; DONAT, 1980, pp.78, 167), Kirchheim (VII secolo; DONAT, 1980, pp.70, 172), Gladbach(VII-VIII secolo; DONAT, 1980, pp.79, 168), Hamburg (VII-VIII secolo; DONAT, 1980, p.158), Tornow(inizi VII-VIII secolo; DONAT, 1980, pp.82, 178), Weimar (IX-X secolo; DONAT, 1980, pp.80, 183-184),Neumünster, IX-inizi X secolo; DONAT, 1980, pp.73, 158), Gristede (IX-X secolo; DONAT, 1980, pp.79,162), Usedom (VIII-IX secolo; DONAT, 1980, p.176).

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Il granaio di Poggibonsi, di forma rettangolare (8,5 x 5,5 m), eracostituito da un'armatura di pali perimetrali estremamente robusta e da unpiano di calpestio molto scuro con evidenti tracce di frequentazione nondomestica. La letteratura nord europea ha spesso associato questo tipo dievidenze a granai con piattaforma pavimentale sopraelevata (con il fine diisolare i cereali dall'umidità), pareti in assi di legno orizzontali e copertura adue spioventi.

Figura 18

3.3 - Steccati, viabilità, strutture artigianali, corteSteccati144 - A Poggibonsi, nel villaggio di VIII-IX secolo, abbiamo

l’esempio di uno steccato lineare, costituito da pali di medie e medio-piccoledimensioni (diametro 10-20 cm) contigui l’uno all’altro, in alcuni casi indoppia fila. Si estende in direzione nord-sud per almeno 5,3 m, anche se nonè escluso un proseguimento in entrambe le direzioni. Racchiude un nucleoche si sviluppa a est, costituito da un vicolo, che corre lungo la recinzione, eda una struttura abitativa.

Anche nella fase di IX-X secolo si riconosce una staccionata la cuipresenza è indiziata da un tratto superstite composto da dieci piccole buchein successione continua; sono interpretabili come i resti di una recinzionerealizzata in paletti, da leggere come piccola area ortiva, e più in generalecome il sedimen.

Figura 19 e 20

144 Esempi di steccati o staccionate provengono dal Piemonte (Monfenera e Centallo), da Brescia, dal Lazio(Ponte Nepesino e Caprignano).A Monfenera (Vercelli), in un insediamento rupestre, lo scavo ha evidenziato fasi insediative di etàtardoromana ed altomedievale. In particolare si è messo in luce integralmente un'occupazione altomedievaledi circa 30 mq all'interno della grotta e 37 mq nella zona più esterna. Per alcune fasi è accertatol'adattamento abitativo del riparo con la presenza di pali, steccati inchiodati, sterri e fosse (MICHELETTO,PEJRANI BARICCO, 1997; BRECCIAROLI TABORELLI, 1995). A Centallo (Cuneo), chiesa e cimiterofrequentati fra VI-X secolo, si è identificata una situazione di buche di palo probabilmente pertinenti ad unrecinto/palizzata, di difficile attribuzione cronologica; la cospicua quantità di pietra ollare fa propendere peruna datazione all'altomedioevo (MOLLI BOFFA, 1986).Brescia-S.Giulia propone due esempi di recinzioni che delimitano il confine di proprietà di abitazioni datatealla metà del VII secolo; particolarmente chiara è la clausura dell’edificio XX, parzialmente rinvenuta ecostituita da un allineamento di sei buche di palo (diametro medio 0,30 m; profondità 70 cm circa), poste aduna distanza regolare di 25 cm l'una dall'altra. Le buche dovevano contenere pali appuntiti con una sezionedi circa 20 cm quadrati (BLAKE, MACCABRUNI, 1985, pp.200-201).Anche a Ponte Nepesino (Viterbo), fra IX-XI secolo una staccionata era costiuita da quattro pali collocati anord ovest della capanna 4, della quale probabilmente rappresentava il recinto. Le buche di palo hannodistanza regolare (circa 70 cm) e profondità media di 40 cm (POTTER et alii, 1984, pp.90-91). ACaprignano (Rieti), fra IX-X secolo, un recinto nelle vicinanze di una capanna di forma allungata è statointerpretato come limite di proprietà (BOUGARD, HUBERT, NOYÉ, 1988, pp.438-439).

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Viabilità145 - Sono due i tratti di viabilità interna a villaggi riconosciuticon chiarezza e provengono dallo scavo di Poggibonsi. Il primo tratto èrelativo al villaggio di VIII-IX secolo; conservato per circa 6 m, ha unalarghezza di circa 1,60 m ed è realizzato in terra battuta; si tratta di unpercorso interno all’insediamento che costeggia da un lato un esteso steccatoin pali di piccole e medie dimensioni e dall’altro una capanna abitativa. Ilsecondo tratto fa invece parte del villaggio di IX-X secolo e si collega allalonghouse: un lungo corridoio rettangolare in pendenza (segue l’andamentodel terreno; larghezza 44 cm), scavato, con spallette rialzate ed ampi resti dicanalette per il deflusso delle acque piovane. Resta il dubbio di un suorivestimento in tavolato di legno, per il quale, come propongono i confrontipiù frequenti con il nord est Europa, non abbiamo però riconosciuto eventualitracce od alloggi tranne alcuni livelli carboniosi.

Figura 21

Strutture artigianali - Sono attestate in coincidenza del periodocarolingio e gli esempi provengono da quasi tutti i contesti indagati.

Connesso alle attività agricole dell’insediamento è il fornetto peressiccazione di granaglie presente a Montarrenti fra metà VIII-IX secolo,realizzato su una base di pietra e argilla, con elevati a calotta in argilla dicolore giallo, coperto da una tettoia innalzata su 8 buche di palo. Allo stessomodo, nel sito di Donoratico, una capanna a pianta rettangolare con angolistondati (circa 4,5 x 3,5 m) a livello del suolo, retta da pali perimetrali digrandi dimensioni doveva essere adibita alla lavorazione del grano comeprova la presenza di una macina e di un suo probabile alloggio collocato inposizione centrale. La struttura, in una seconda fase di uso, fu destinata adattività metallurgiche come indiziano un focolare contenente scorie difusione ed una canaletta che sfrutta in parte il taglio di escavazioneprecedentemente tracciato.

Altri esempi di forge per la lavorazione del ferro provengono daRocchette, Rocca di Campiglia, Poggibonsi e Montarrenti in cronologie di IXe XI secolo. Presentano tutte il medesimo tipo di deposito: strati composti daterra concotta e pietre, carboni e cenere, scorie. Le stratigrafie di Poggibonsisi compongono di un allineamento di pali orientato nord-sud (circa 2,6 m), diun livello di frequentazione a tratti molto annerito, ricco di materialeorganico, tracce di carbone e frammenti laterizi (dimensioni 4,1 x 4,3 m), diuna buca nella parte sud dal diametro circa 1,30 m contenente scorie e

145 Un tratto di viabilità è stato individuato a Peveragno (Cuneo), in una sequenza di tre battuti cheriempiono un fossato trasformato in terrazzamento percorribile (MICHELETTO et alii, 1995, p.151).Esempi ben conservati di sistemi viari provengono dalla Danimarca. A Grønbjerg, tra seconda metà X-iniziXI secolo, il sistema viario sul lato ovest della parte centrale dell'insediamento era sopraelevato per evitare iproblemi causati dalle frequenti inondazioni delle campagne; il sistema viario secondario era costituito dastrade in terra battuta leggermente seminterrate; un’ulteriore strada con pavimento in legno collegava unterrapieno al sistema viario principale (NIELSEN, 1979, pp.174, 198). A Vorbasse, tra prima metà dell’VIIIsecolo e seconda metà del X secolo, una strada in terra battuta, larga 8-10 m, orientata est-ovest, eraconservata per tutta l'area di scavo per una lunghezza di 40 m circa (HVASS, 1979, pp.150-151).

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conservata solo parzialmente in quanto tagliata da un muro bassomedievale.Lungo il lato nord del livello di frequentazione si collocava un taglio lineareinterpretabile come una probabile canaletta collegata allo svolgimento delleattività artigianali. La forgia, con cappa realizzata tramite pietre e lateriziimpastati con l’argilla, era quindi coperta da una tettoia con dimensioni di 4 x2 m, parzialmente chiusa da bassi muretti in terra con fondazione in pietra suilati nord ed est.

A poche decine di metri di distanza, fra metà VIII-IX secolo, era infunzione una struttura ipotizzabile come un piccolo forno a riverbero perceramica; di forma cilindrica, era costituita da una cupola di laterizi, con unprobabile foro per l’uscita dei fumi al centro, circondata da un rinforzoformato da pietre, ciottoli e altri laterizi frammentati; su due grandi conci dipietra ben squadrati e lavorati si impostava la bocca e le pareti mostranovistose tracce di annerimento da fuoco. Benchè si tratti del probabile riuso diun deposito per acqua di età tardoantica, gli elementi per la sua attribuzioneinterpretativa sono sufficientemente chiari: la presenza di distanziatori interracotta, i numerosi strati di terra sia rossa sia molto annerita che siappoggiano alle pareti esterne (confermando anche il suo funzionamento infase con la longhouse), alcuni frammenti di ceramica stracotta.

Da Scarlino per l’insediamento di IX-X secolo, proviene l’attestazionedi un fornetto fusorio per piombo.

Figura 22

Corte - L’unico esempio riconoscibile con chiarezza, per articolazionedelle stratigrafie, proviene dal contesto di IX-X secolo a Poggibonsi.Immediatamente a nord della longhouse si estende uno spazio aperto di oltre400 mq, delimitato a nord da una capanna abitativa, ad est da unatettoia/recinto per animali, a sud da due capanne di piccole dimensioni. Nonesiste un limite chiaro a ovest; l’allineamento di tutte le strutture lungo ilpercorso della strada bassomedievale può far supporre l’esistenza, fin dall’etàcarolingia, di una viabilità interna all’insediamento: in questo caso,delimiterebbe anche lo spazio aperto. Le numerose tracce relative ad attività,descritte di seguito, permettono di interpretare l’area come corte/aia.

La tettoia rettangolare (5,1 x 2,1 m) aveva probabilmente funzione diricovero per animali; un allineamento regolare di pali immediatamente a sudpuò essere interpretato come recinto ancora collegato ad attività diallevamento (è anche possibile che la tettoia e l’allineamento descrittiformino in realtà un’unica struttura di maggiori dimensioni).

Numerose buche di piccole dimensioni, sparse senza ordine nell’area,possono essere riconosciute come paletti temporanei. Di più difficileinterpretazione sono tre grosse buche nelle quali si sono rinvenuti frammentidi grandi contenitori ceramici: piccoli silos per la conservazione di derratealimentari in recipienti o abbeveratoi collegati alla tettoia?

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Una serie di buche di medio-piccole dimensioni che formano numerosiallineamenti sono distribuite nella parte centro-occidentale dello spazioaperto; si tratta con ogni probabilità di uno o più recinti con frequentirifacimenti e cambiamenti di planimetria. Anche in questo caso le strutturesono funzionali al ricovero di animali. Immediatamente ad est, un’area dibutto di circa 10 mq, contraddistinta dalla composizione fortemente organicadei suoli e da alcune buche di palo, può essere interpretata come letamaio oscarico di rifiuti legati alle attività agricole del villaggio.

Una diversa caratterizzazione sembra avere la parte sud-ovest, dovealcune buche di forma irregolare e dimensioni maggiori (fino ad 1,2 m didiametro) e numerose buche di palo di modeste dimensioni, distribuite inordine sparso su tutta lo spazio aperto, sono da riferirsi ad impiantitemporanei collegati alle attività agricole e di allevamento (pali per legare glianimali, pagliai, cataste di legna, ecc). Almeno due focolari si collocano nellaparte centrale dell’area, che insieme a varie chiazze d’argilla concotta, terramolto scura, terra con inclusi carboniosi e chiazze di calce (accumulo diintonaco impiegato nella costruzione di capanne?) testimoniano losvolgimento di numerose operazioni.

Figura 23 e 24

3.4 - Palizzate, fossati e muriPalizzate146 - Esempi di palizzate sono riferibili ai contesti di

Montarrenti e Miranduolo ed ambedue furono poi sostituite da un muro inpietra.

Montarrenti, tra metà VII e metà VIII secolo, propone una recinzionein pali che separava l’area sommitale dai versanti della collina. La palizzataseguiva una delle isoipse del rilievo ed era costituita da pali di grandidimensioni disposti a coppie simmetriche che forse sostenevano altri pali odaltre travi orizzontali. Una seconda palizzata, con la medesima cronologia,della quale restano cinque grandi buche di palo, doveva difendere la partebassa del villaggio.

A Miranduolo l’intera sommità della collina era cinta da una grandepalizzata in legno. Al momento è stato individuato l’intero andamento deltratto nord-ovest per un’estensione di circa 38 m. A nord, di fronte ad unoscosceso dirupo, venne scavata una fossa profonda 60 cm circa e larga un146 Alcuni casi di palizzate difensive sono stati rintracciati in Liguria ed in Piemonte.Nel Castrum Pertice (Finale Ligure), la palizzata era impostata su buche di palo di grandi dimensioni,scavate direttamente nella roccia; si collocava su un gradino roccioso della collina, in posizione leggermentearretrata rispetto al successivo muro di cinta. Un allineamento di pietre a secco non lavorate, poste ai piedidella base di appoggio, sostenevano il terrapieno restrostante di raccordo con il pendio. La palizzata precedele mura di fine VI-inizi VII secolo, alle quali si addossano le strutture abitative in legno rinvenute in questosito (MANNONI et alii 1990, p.431; MANNONI, MURIALDO 2001).A Treonzo (Alessandria), tra V-X secolo è attestata una palizzata lineare della quale si sono identificate 10buche di palo poste a distanza regolare, con alcune interruzioni. Si estende per circa 40 m in direzione est-ovest (con almeno due leggeri cambi di direzione per adeguarsi alla morfologia della collina). Sul lato ovestformava un angolo retto. L'autore suggerisce lo "Ständerbau" con pali portanti infissi nella roccia cometecnica costruttiva (GIANNICHEDDA 1990, pp.274-276).

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metro; furono poi impiantati sulla roccia una serie di pali di mediedimensioni, fissati tramite un riempimento composto di terra e pietriscoderivante dal taglio della roccia. Ad ovest, invece, venne costruitadirettamente sul piano di roccia e rinforzata attraverso due ordini di pali digrandi dimensioni. Alla palizzata si appoggiavano almeno tre edifici che inparte la utilizzavano come perimetrali. Gli evidenti segni di riuso sono dacollegare a momenti di manutenzione, come mostra la stessa datazionetramite analisi C14. I campioni di carbone prelevati dalle buche ad ovest e glistessi campioni prelevati a nord collocano la costruzione delle difese intornoalla metà del IX secolo e il loro disuso nella metà del X secolo.

Figura 25 e 26

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Fossati147 – In corrispondenza del versante ovest della sommitàcollinare di Miranduolo, la palizzata di metà IX secolo fu impiantatadirettamente sul versante roccioso che nelle fasi di vita del castellorappresentava uno dei lati del fossato artificiale. Proprio il taglio delle buchein corrispondenza dell’intera lunghezza del fossato, seguendone il bordoanche in coincidenza di cambi di quota, lascia presupporre comequest’ultimo sia stato realizzato contemporaneamente alla recinzione di pali.Risulta largo 7 m ed esteso in lunghezza per 33 m; non sappiamo se la suaprofondità di oltre 5 m possa essere attribuita all'altomedievo o sia dovuta adulteriori trasformazioni legate alla vita del castello. Veniva attraversato da uncamminamento realizzato risparmiando un tratto della roccia dallo spessoredi circa 1 metro; il camminamento è ancora in corso di scavo.

147 Fossati in contesti altomedievali sono attestati in Piemonte, in Lombardia, in Emilia Romagna, nel Lazio,nell’Abruzzo ed in Puglia.A Treonzo (Alessandria), datato tra VII-X secolo, la ricognizione topografica ha permesso di individuare unsito fortificato, collocato su più terrazzamenti ottenuti regolarizzando la roccia con piccoli tagli. Verso ilcrinale, sul lato ovest del poggio, l’insediamento era difeso da un vallo artificiale profondo oltre quattrometri nella parte centrale; sulla parete occidentale, due nicchie poco incavate sono state interpretate comeappoggio per una passerella tipo ponte levatoio (GIANNICHEDDA 1990).A Castelseprio (Varese), la chiesa di Santa Maria foris portas venne dotata di un fossato di difesa, largo 5metri e profondo 3, rimasto in uso per breve tempo, la cui realizzazione trova ampi confronti sia nelle fontiscritte a partire dal IX secolo (SETTIA 1982), sia nella documentazione archeologica coeva che proponiamodi seguito. La chiesa di San Tomè di Carvico nella sua ultima fase era dotata di opere difensive costituite da un fossatocon terrapieno (BROGIOLO, 1986; BROGIOLO, 1990; BROGIOLO, GELICHI, 1996). Cittanova (Modena), un insediamento fortificato interpretato come episcopio, databile al generico periodoIX-XI secolo, aveva strutture difensive costituite da un fossato con aggere artificiale e massicciata inpezzame di laterizio (GELICHI et alii 1989). Ad Imola-Villa Clelia (Castrum Sancti Cassiani), nellaseconda metà del VI secolo, un edificio identificato come la basilica cimiteriale tardoantica di San Cassiano,era difeso da una cinta muraria con fossato. Il rinvenimento di una moneta sul fondo del fossato indicacontinuità d’uso ancora tra la fine del X e gli inizi dell’XI secolo (GELICHI et alii 1990). In localitàSant’Agata Bolognese (San Giovanni in Persiceto) il villaggio fortificato di forma quadrangolare,presumibilmente identificabile con il castrum Pontilongi menzionato in documenti del X e XI secolo, eracostituito da un nucleo di abitazioni circondato da un alzato di pali verticali e da un ampio fossato su ognunodei suoi lati (GELICHI, GIORDANI 2003). Recentemente lo scavo presso l’abbazia di Nonantola harivelato la presenza di un fossato databile al X secolo, ancora inedito, che doveva essere largo unaquindicina di metri, profondo due e con pareti oblique in pendenza di circa 45° (informazione di SauroGelichi, che ringraziamo).Castel Porciano, nell’VIII secolo era un insediamento posto su una piccola collina (25 x 25 m) e nonostantele possenti difese naturali, fu dotato di due linee di fortificazione. Un fossato largo 3 m venne scavato a sudin corrispondenza del punto più stretto dell’altura; una torre in muratura (di piccole dimensioni, con un latodi 3,75 m, costruita in blocchi di tufo), era fronteggiata da un secondo fossato a proteggere l’accessoprincipale del villaggio (POTTER 1985, pp.170-173)A Casale San Donato (Rieti), nell’alto medioevo, esisteva un taglio con pareti quasi verticali (profondità 2,6m, larghezza 1,2-1,7 m) individuato per circa 1,5 m e interpretato come fossato; è in fase con unapiattaforma ottenuta mediante livellamento della roccia e delimitata a sud da un muro (MORELAND et alii,1993)In località Astignano (Castrum de Lesteniano, a Pescara), sono riferibili all’altomedioevo le tracce di unprobabile fossato (STAFFA, 1994, p.84).A Specchia Schiavoni (Taranto), tra VII-VIII secolo, era presente un fossato scavato nella roccia, conlarghezza variabile tra 6-6,50 m e profondo circa 3 m. Nell’area si notano numerosi blocchi sparsiprobabilmente appartenenti ad un muro che correva parallelo al fossato stesso e la struttura ha termine inprossimità di alcune carreggiate stradali. Nel complesso è stata riconosciuta una parte delle strutturedifensive realizzate dai Bizantini per ostacolare la pressione dei Longobardi (STRANIERI, 2000, pp.333-335).

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Figura 27

Muri - Tre contesti, Montarrenti, Scarlino e Miranduolo, propongonola presenza di muri in pietra databili all’altomedioevo. Fra metà VIII e IXsecolo la zona sommitale di Montarrenti vide la sostituzione della palizzatain legno attraverso la costruzione di un muro. Questa nuova difesa furealizzata con grandi pietre rozzamente squadrate, legate da malta giallastra efondata direttamente sulla roccia. Subì una repentina demolizione cheraggiunse le fondamenta e fu ricostruito.

Lungo il versante sud- ovest di Scarlino, nel corso del X secolo, erapresente uno spesso muro di pietra grezza legata con terra, che possiamoidentificare come muro di cinta. Problematiche la ricostruzionedell'andamento e quella dell'eventuale elevato, che non si può escludere fosserealizzato con palizzate, siepi od altri sistemi e che coincidesse con la pareteesterna degli edifici in muratura e legno. Risulta evidente infatti il rapportotopografico-funzionale tra gli edifici ubicati lungo il margine sud-ovest e ilsottostante muro di cinta, anche se non abbiamo la completa certezza chequesti elementi fossero in fase.

A Miranduolo è attestato un muro in pietra del quale sono statiindividuati un lungo tratto a nord e la trincea di fondazione, con poche pietresuperstiti, in quello ad ovest. La cinta, spessa 1,30 m, fu realizzata in pietrespaccate e sbozzate di calcare cavernoso poste in opera su filari diorizzontamento; il legante è tenace e di colore giallo, composto da sabbie finie calce. Sostituì la palizzata che cingeva la sommità collinare intorno allaprima metà del X secolo e ne seguì fedelmente l’andamento. Non è ancoracerto se le difese furono realizzate interamente in pietra o se l’elevato fossestato in materiali deperibili (legno e terra) poggianti su uno zoccolo inmuratura. La cinta fu in uso un cinquantennio circa, dopo di che fu sostituitada un nuovo muro edificato utilizzando come fondazione la sua rasatura.Questa nuova edificazione del circuito difensivo, per le sue caratteristiche(pietre spaccate di calcare non lavorato poste a formare un’apparecchiaturamuraria irregolare su corsi suborizzontali; il legante è dilavato e quasitotalmente assente), risulta probabilmente databile tra fine X ed inizio XIsecolo: cronologia che si basa, oltre alla sequenza stratigrafica, su confrontiin muri analoghi registrati nel vicino castello di Rocchette Pannocchieschi enel castello garfagnanese di Gorfigliano.148

148 La fondazione del castello di Gorfigliano ebbe luogo su un insediamento altomedievale individuatosoprattutto sulla sommità del castello, mentre altre tracce parziali (a causa della distruzione dei depositi piùantichi causata dalle ristrutturazioni di età romanica) sono presenti in coincidenza del versante sud ovest.Si tratta di tre capanne (una con pianta circolare, le altre ellissoidali) che sono state datate tra VIII e Xsecolo. Queste strutture sembrano convergere con alcune attestazioni documentarie che per gli anni 793 e802 ricordano delle abitazioni a Curfiliano/Corfiliano. L’interpretazione del contesto come centro curtense èstata data sulla base di ulteriori indicazioni d’archivio, in quanto le tracce individuate non permettono nelloro complesso di riconoscere caratteri specifici. Si vedano QUIROS CASTILLO, 2004; QUIROSCASTILLO et alii, 2000.

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4 - Urbanistica e trasformazione dell’insediamento149 4.1 – Poggibonsi (Val d’Elsa – Siena) Figura 28

L’insediamento ebbe una durata continuativa di vita di circaduecentocinquanta-trecento anni. In ognuna delle fasi era composto dacapanne delimitate e difese naturalmente da uno scosceso dirupo con oltre100 m di dislivello a settententrione, da due zone d'inumazione a sud est eprobabilmente a nord ovest, mentre i limiti sul lato meridionale non sonoancora noti: comprendeva la sola area in corso di scavo, o si estendevasull’intera collina, oppure si fermava all’isoipsa centrale della superficie nonancora indagata?

Fra VII e VIII secolo doveva essere inserito al centro di zone incolte eboschive. In tal senso indirizzano i risultati dell’analisi archeozoologica; unagrande superiorità numerica delle capre e delle pecore su tutte le speciericonosciute ed un aumento progressivo dei suini sino alla metà dell’VIIIsecolo, sono indizio di attività silvo-pastorali predominanti e di unosfruttamento continuo dell’incolto.

Le fasi d’età longobarda attestano quindi un centro caratterizzato dafamiglie di pastori, ognuna delle quali occupava una piccola unità di circa 80mq, composta dalla capanna (circolare, seminterrata ed estesa mediamente 50mq), corredata spesso da recinti o steccati, talvolta da magazzini o rimesse.Ad oggi sono sei i nuclei individuati, distanti fra i 20 ed i 25 metri l’unodall’altro, per un totale plausibile di circa trenta abitanti150. Se l’estensionedella superficie insediata si confermerà intorno ai due ettari (in pratica l’areasotto scavo), la sommità della collina potrebbe essere stata occupata dadodici nuclei circa, permettendo di stimare una sessantina di abitanti edalmeno trenta fra uomini e donne in grado di lavorare. Questa stima è daconsiderare comunque livellata verso il basso e destinata ad accrescersi conl’apertura dello scavo sulle altre superfici.151

149 Dalla trattazione sono esclusi quei pochi siti toscani che, pur oggetto di scavi e pur restituendo depositialtomedievali, non hanno fornito indicazioni convincenti sulla realtà insediativa. Come esempio si veda ilcaso senese di Radicofani, castello della seconda metà del X secolo, che ha mostrato la presenza di unedificio non databile con precisione ma compreso in un arco cronologico di due secoli (tra IX e XI secolo),forse destinato a magazzino per l’associazione con silos scavati nella roccia tenera, affiancato da unacanaletta per il deflusso delle acque (AVETTA, 1998).150 Si considera come valore medio 5 persone per nucleo, adottando le più recenti stime proposte inPANERO, 1999 e PASQUALI, 2002. Questo valore sarà applicato in tutti i calcoli di tipo demografico cheseguiranno.151 Significativo sul tipo di organizzazione del villaggio di VII secolo è il confronto con un recentissimocontesto indagato in Piemonte dalla Soprintendenza Archeologica (PEJRANI BARICCO, 2004); si tratta delloscavo di Collegno (TO) dove è stato individuato un complesso frequentato tra fine VI ed VIII secolo,composto da necropoli e villaggio. Le capanne sono orientate da nord a sud, con dimensioni di 3 x 5 m,talvolta prive di focolare, separate da cortili e dotate di recinti per animali; gli elevati erano in terra mista aghiaia, gli scheletri in armatura di pali, le coperture, a doppio spiovente, in paglia. Il villaggio è statoidentificato come una fara e la necropoli ad esso associata presenta i caratteri tipici dei cimiteri germanicipianificati e ordinati per file, con le tombe orientate est/ovest e il defunto deposto supino con il capo ad ovest.Rientra anche nelle consuetudini del rituale funerario longobardo l’allestimento di grandi fosse, destinate aicapi della comunità delle prime generazioni. Rare in Italia, sono poi le sovrastrutture in legno della fossa cheemergevano dal tumulo nelle forme di una “casa della morte”. Tracce di simili costruzioni sono state sonoindividuate in un gruppo di sepolture, in corrispondenza dei corredi più antichi e preziosi, che si possono

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L’urbanistica dell’insediamento subisce una trasformazione dalla metàdell’VIII-inizi IX secolo. S’intensifica l’articolazione per singole unità dotatedi recinti od annessi e vengono costruiti sei edifici intorno ad una piccolacorte, in parte cinta da una bassa palizzata e costeggiata sul lato nord da unaviabilità in terra battuta. Il cambiamento coinvolge anche la tipologia delleabitazioni: decadono le strutture seminterrate, che sono sostituite da capannea livello del suolo e di pianta circolare, ellittica o rettangolare. Il complessodi abitazioni, stalle od altri ricoveri per animali, spazi aperti destinati allosvolgimento di attività rurali ed artigianali, sembra in questo periodoassomigliare ad un modello semplificato di Haufendorf, soprattutto comenucleo accentrato a maglie strette con superfici boschive ed agro coltivatointorno. Ancora i dati archeozoologici indirizzano verso tale conclusione;accanto al persistere della pastorizia, mostrano il grande aumento dei bovinie la presenza di soli individui anziani cioè macellati quando il loro apportocome forza lavoro sui campi era terminato. Mantenendo l’ipotesi diun’estensione intorno ai due ettari (e tenendo però sempre ben presenti ilimiti dell’indagine già esposti), i nuclei famigliari ipotizzabili salgono ora adalmeno venti: circa un centinaio di abitanti ed una forza lavorativa adulta dicinquanta persone.

Nel corso del IX secolo le strutture dell’insediamento furonoriorganizzate sulla base di un progetto imperniato sulla centralità di ungrande edificio abitativo tipo longhouse, con magazzino interno per derratealimentari. Da esso si dipartiva una lunga strada in terra battuta, affiancata daun edificio di servizio (destinato alla macellazione della carne che in essaveniva consumata), contornato da capanne di dimensioni minori, da una zonatipo corte, spazi destinati ad ospitare strutture artigianali (una fornace daceramica ed una forgia da ferro) e per l'accumulo dei prodotti agricoli (ungrande granaio), un'area aperta con contenitori ceramici infissi nel terreno,steccati, concimaia e resti di attività rurali quotidiane. La distribuzione dellespecie animali conferma la crescita delle attività agricole, quindi un probabileallargamento dello spazio coltivato, e la sostanziale tenuta delle praticheallevatizie e pastorali che comunque si specializzano; perdura l’allevamentodei caprovini e decade invece quello dei suini, indicando un uso della selvameno decisivo nei processi produttivi, forse limitato alla sola raccolta dilegna.

4.2 – Montarrenti (Val di Merse - Siena) Figura 30

Nasce come insediamento di capanne tra la metà del VII e la metàdell’VIII secolo, caratterizzandosi per la presenza di piccole strutture diforma rettangolare ed ovaleggiante che si dispongono su tutta la superficiedel rilievo collinare; già in questo momento poteva essere circondato da duepalizzate lignee che difendevano la parte bassa e alta del rilievo. Pare

verosimilmente ricondurre ai “fondatori” della fara.

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occupare quasi un ettaro (9450 mq) con una parte sommitale estesa poco piùdi un terzo dello spazio (2700 mq). Una stima di massima lascia ipotizzareun carico demografico intorno alle 150 persone, cifra che pare ripetersicostantemente durante la vita dell’insediamento.

Tra metà VIII e IX secolo la parte alta fu soggetta a trasformazioni: lapalizzata lignea venne sostituita da un muro in pietra legato da malta e lecapanne, a loro volta, soppiantate da un grande magazzino in legno di formarettangolare. L’area sommitale sembra destinata non solo alla raccolta dellederrate agricole ma anche alla loro lavorazione, che viene attestata dalrinvenimento di una macina e di un piccolo fornetto impiegato perl’essiccazione delle granaglie. Nella seconda metà del IX secolo il grandemagazzino andò a fuoco e furono costruite nuove strutture lignee che nonsembrano rispettare i limiti del muro di cinta in parte crollato.

Figura 31

Tra X e XI secolo l’insediamento cambiò ulteriormente; l’interacollina tornò ad essere occupata da strutture in legno o in tecnica mista,mentre la parte sommitale fu delimitata da un nuovo muro di cinta in pietra.La parte bassa della collina non fu invece circondata da alcun tipo direcinzione o fortificazione. Un’area posta sul versante orientale ospitavaattività di lavorazione del ferro (come suggerisce la presenza di una grandequantità di scorie e di un piccolo fornetto per la riduzione del minerale) eprobabilmente di produzione del vetro.

L’economia, per tutto l’altomedioevo, pare incentrata soprattuttosull’agricoltura, attraverso un sistema di rotazione biennale basato sullacompresenza di cereali e leguminose. L’ampia varietà di specie di cerealiattestata sembra indicare una scelta differenziata, per avere una minoredipendenza possibile dalle variazioni climatiche e stagionali. Il lino sembraessere stato funzionale sia alla fabbricazione d’indumenti sia perl’alimentazione degli animali. Mentre la vite veniva coltivata, non è inveceattestato l’olivo. L’allevamento, che aveva un’importanza più marginale, erain parte destinato al consumo di carne (suini ambosessi macellati in giovaneetà) ed al lavoro sui campi per trazione (rinvenuti buoi ed alcuni equinideceduti in tarda età). Figura 32 e 33

4.3 – Miranduolo (Val di Merse - Siena) Figura 34

Il sito dista circa 20 km da Montarrenti. Lo scavo, dopo tre campagneè ancora in corso, ma sta rivelando una frequentazione stabile della collinache pare avere inizio nel corso dell’VIII secolo (cronologia da precisaretramite analisi radiocarboniche) e proseguire ininterrottamente sino alle fasid’incastellamento. Sinora ha interessato soprattutto la sommità del rilievo,pertanto le conclusioni e le misure che proporremo devono tenere conto degli

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attuali limiti spaziali dell’indagine. Allo stesso modo non siamo per ora ingrado di effettuare stime attendibili sull’entità della popolazione; se lecapanne si estesero sull’intera collina possiamo ipotizzare almeno 150persone ma ogni calcolo è rimandato ad ulteriori sviluppi dello scavo. Lesequenze che mostrano l’evoluzione dell’agglomerato sono però chiare.

I depositi più antichi indicano la presenza di un insediamento aperto,composto di capanne ed annessi tipo magazzino, che sembra occuparel’intera sommità per un’estensione di 750 mq. Intorno alla metà del IX secoloquesti spazi (successivamente destinati al cassero del castello), furonoriprogettati; venne dato avvio ad una imponente opera di escavazione dellaroccia, realizzando un profondo fossato dalla larghezza di circa 7 m ederigendo un’estesa palizzata difensiva, in alcuni punti doppia.

L’insediamento doveva ora ruotare intorno ad una estesa capannacentrale con fasi continue di restauro e rifacimenti, in parte obliterata dai restidel palazzo in pietra di XII secolo. Ad essa sono riferibili oltre 40 buche dipalo, aveva pianta probabilmente rettangolare, con dimensioni in lunghezzadi circa 8 m ed in larghezza per ora individuate sino a 5 m, ed è riconoscibilechiaramente una navata. Questo edificio era al centro di strutture di servizio.Veniva affiancato a sud da una capanna circolare con pavimento in assi dilegno, nella quale si lavoravano corno ed osso.

A nord, in corrispondenza di un terrazzo roccioso artificiale, sorgevanodue magazzini destinati all'accumulo di prodotti agricoli e derrate alimentari.Il primo, una capanna circolare con diametro di circa 6 m, aveva unaprofonda fossa centrale ad uso cantina. Il secondo, posto a circa 7,50 m didistanza, corrispondeva ad una capanna a pianta rettangolare, con tetto aduna falda fortemente inclinato; alcune buche di grandi dimensioni fungevanoda alloggio per contenitori da conserva e da silos, mentre due battuti insuccessione, stanno restituendo migliaia di reperti archeobotanici. Ilproseguio dello scavo chiarirà la destinazione d’uso degli spazi est.

Con la metà del X secolo l’area sommitale subì nuove ristrutturazioniche attestano il primo incastellamento del poggio; vengono trasformati gliedifici e le fortificazioni, ma non sembra allargarsi lo spazio occupato. Lapalizzata fu sostituita da un muro di cinta che ne ripercorreva l’andamento.Dopo un’iniziale continuità d’uso, il grande edificio centrale in legno (chenel frattempo ebbe la copertura rinnovata attraverso lastrine di calcare e fuallargato di quasi 4 m), nei decenni successivi fu sostituito da una strutturarettangolare molto estesa, in muratura con pietre non lavorate a formareun’apparecchiatura irregolare su corsi suborizzontali; è riconoscibile il sololato est che misura 12 m. Il terrazzo nord vide invece la sostituzione delmagazzino per derrate agricole con un’abitazione a materiali misti, dotata difocolare e l’edificazione ad ovest di un nuovo magazzino per prodottiagricoli (cereali, legumi, uva ed olive) con muri in terra fondati su zoccoli inpietra e copertura in lastrine.

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La collina di Miranduolo si estende per 4490 mq; al momento attualedello scavo non sappiamo se l’insediamento di capanne si fosse esteso anchesui versanti, come sospettiamo, viste le buche di palo che stanno comparendosu un’area esterna al cassero del castello, indagata dal 2003; quindi, non èancora provato se la costruzione della palizzata segnò una clausura ed unadivisione al suo interno. I resti archeobotanici (oltre 100.000 mentrescriviamo) permettono una prima ricostruzione dell’ambiente circostante efanno luce sugli aspetti produttivi. La loro analisi è ancora in corso e nonpossiamo dare ancora per certe delle differenze fra le fasi insediative. Iboschi, come oggi, dovevano estendersi sui versanti della collina, eranocomposti di castagni e querce; ambedue i tipi di legname furono sfruttati per ipiù diversi usi: per esempio nella costruzione delle capanne e di recipientitipo ciotole. Sulle pendici collinari dovevano essere coltivate la vite e l’olivo;in corrispondenza delle superfici pianeggianti ai piedi dell’insediamento, siseminavano i campi con cereali di diversa tipologia, legumi e quella canapa,o lino, con la quale furono fabbricati i sacchi contenenti prodotti agricoli,rinvenuti frammentari nei livelli di un magazzino. Il confronto fra lerestituzioni archeobotaniche ed un primo campione archeozoologico, lasciariconoscere nell’agricoltura l’occupazione predominante; l’allevamento dianimali, incentrato soprattutto sui suini (presenti in percentuale schiaccianterispetto ai caprovini ed ai buoi) aveva un ruolo secondario nell’economiadella popolazione. Figura 35 e 36

4.4 – Scarlino (Pian d’Alma - Grosseto) Figura 37

L’insediamento altomedievale mostra una lunga frequentazione che hainizio dalla fine del VI-VII secolo e prosegue senza soluzione di continuitàsino alla sua trasformazione in castello fra X-XI secolo. Misurare la suacompleta estensione spaziale è difficile; non essendo stato allargato lo scavosulle superfici circostanti la sommità, risulta impossibile sapere sel’insediamento si limitasse alla parte scavata o se fosse proseguito suiversanti collinari.

La parte sommitale presenta comunque uno spazio occupatocostantemente intorno ai 3360 mq circa. Fra VII e VIII secolo si caratterizzaper la presenza di almeno cinque edifici ed un probabile annesso: tre sono inmateriali misti (sfruttando come basamento per elevati in materiali deperibilidei ruderi di età ellenistica ancora visibili), gli altri interamente lignei. Nelcomplesso gli edifici abitativi, estesi circa 45 mq, si disponevanoparallelamente all’andamento naturale del colle in corrispondenza del latosud-est, mentre il lato settentrionale non sembra occupato se non da strutturetemporanee o di servizio o da steccati. Possiamo ipotizzare una popolazionecomposta da circa 30 persone, ricordando che questo valore non ha ilriscontro dell’eventuale presenza od assenza di altre stutture abitative suiversanti.

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L’insediamento cambia completamente fisionomia fra VIII-IX secolo,quando la sommità fu circoscritta e difesa da una cortina in pietra e materialideperibili e si riorganizzarono gli spazi interni nella loro totalità. L’abitato,ancora poco esteso, sembra ora disporsi irregolarmente intorno ad un’areaaperta, sfruttata anche per piccole attività metallugiche (presenza di unfornetto per piombo) ed immagazzinamento di prodotti agricoli (riconosciutoun silos). Vennero edificate cinque nuove capanne con destinazione abitativa,tendenzialmente di medio-piccole dimensioni, fra 15 e 50 mq circa, ed unastruttura molto grande, non individuata interamente, ma con un latocompreso fra 9 e 12 m. Questo edificio, nella sua ultima frequentazione,sembra aver subito una ristrutturazione attraverso l’impiego di chiodi per iltetto e l’innalzamento di elevati in pietra mista a terra e frasche; gli elementiesposti, insieme ad un corredo di ceramiche e di oggetti in metallo più ricco,hanno fatto ipotizzare un carattere distintivo dell’abitazione.

Infine sul limite nord ovest della collina sorse una chiesamonoabsidata, decorata da affreschi all’interno, con dimensioni di 14 x 5,5 m(abside di 3 m), elevati in grandi conci di pietra locale posti in operairregolarmente e legati da malta. A circa 4 m di distanza, e connessaall’edificio religioso, fu impiantata un’ulteriore costruzione in pietra di 35-40mq circa, caratterizzata dalla stessa tecnica edilizia ma della quale non èpossibile definire la funzionalità. La popolazione, nella zona sommitale,poteva raggiungere un numero di circa 40 persone calcolando la presenza diun prete ed un numero maggiore d’individui all’interno dell’edificio piùesteso. Non è invece calcolabile la demografia delle zone di versante dove loscavo non è stato esteso.

4.5 – Donoratico (Val di Cornia - Livorno) Figura 38

La topografia dell’insediamento altomedievale è da chiarire così comeun eventuale rapporto con trace di frequentazione tardoantica che stannoiniziando a comparire ma che non sono riconducibili per il momento ad alcuntipo di realtà insediativa; lo scavo, tuttora in corso, ha raggiunto questi livellisolo di recente. Tuttavia il colle, non sappiamo ancora se parzialmente o pertutta la sua estensione di oltre 8000 mq, fu occupato da capanne già dallametà dell’VIII secolo, che subirono numerosi rifacimenti e ristrutturazioni.Gli eventi per ora riconoscibili lasciano forse intravedere la costruzione diuna palizzata: un tratto di circa 2 m, caratterizzato da un allineamento digrossi pali ravvicinati, in alcuni casi in doppia fila, è presente nella zona poioccupata dalla chiesa. Durante il X secolo fu realizzato un primo muro, chetagliava in due parti l’intero insediamento ancora costituito da capanne edobliterato da ceramica a vetrina sparsa. La sua presenza è statapreliminarmente letta come una divisione fra parte artigianale e parteabitativa.

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4.6 - Rocca di Campiglia (Val di Cornia – Livorno). Figura 39

L’insediamento, posto sulla sommità collinare, disponeva di unospazio sfruttabile intorno ai 1290 mq. L’agglomerato più antico, databile al Xsecolo, era probabilmente composto da cinque-sei capanne ellissoidali,mediamente estese intorno ai 46 mq, che si affacciavano su uno spiazzocircolare, abitate da famiglie impegnate soprattutto nell’allevamento delmaiale. La popolazione doveva ammontare intorno alle 30 persone.

La connotazione dell’insediamento non cambia nella fine del X secoloquando, pur di fronte ad una sua trasformazione, rimase più o meno invariatoil numero delle abitazioni e la loro dislocazione. Doveva essere infatticomposto da quattro-cinque edifici, con fondazione in pietra ed elevati interra, ancora raccolti intorno allo spiazzo. Iniziano comunque ad intravedersiindizi di attività artigianali (è presente una forgia) e l’intera collina risulta inquesta fase difesa da un muro che sembra indicare il passaggio verso latrasformazione in castello.

Nel suo insieme pare trattarsi di un centro in cui l’attività economicaprincipale era l’allevamento suino integrato, anche se in misura sicuramenteinferiore, dall’agricoltura, dalla produzione di latte e di formaggi, dallacaccia. La dominanza del maiale sulle altre specie domestiche è schiacciante,inoltre sono stati rinvenuti frammenti ossei appartenenti a faune selvatiche(cervo, daino, capriolo, tasso, cinghiale e lepre) che, pur non essendonumerosi nel computo percentuale, attestano in ogni caso come la selvacostituisca una risorsa fondamentale, se non la principale, per l’economia edil sostentamento degli abitanti.

Figura 40Figura 41

4.7 – Rocchette Pannocchieschi (territorio di Massa M.ma - Grosseto)Figura 42

La conformazione dell’insediamento precedente la fondazione delcastello non è ancora stata chiarita. Le grandi ristrutturazioni di XII secolosembrano avere danneggiato e talvolta cancellato molte delle stratigrafiealtomedievali potenzialmente presenti.

La sommità del rilievo propone comunque tracce di strutture databilitra la fine del IX secolo e gli inizi del X secolo. Si tratta di una serie di buchedi palo e di tagli irregolari relativi a strutture in legno che dovevano in parteappoggiarsi agli speroni rocciosi e di alcune depressioni circolari sul piano diroccia (una di esse collegata ad una canaletta) ipotizzate come vasche per laraccolta delle acque piovane.

Altre probabili tracce di capanne sono state osservate incorrispondenza di un terrazzo ad ovest della sommità. Qui, sembra porsi unastruttura abitativa forse parzialmente semiscavata e con pali interni. A brevedistanza, separata da una probabile staccionata (un divisorio del quale restano

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solo pochi indizi) era posto un secondo edificio seminterrato, di forma quasiovale e con diametro di circa 2 m, interpretabile come una struttura diservizio alla vicina forgia ed un focolare per arrostimento del minerale.Anche su tali spazi, un taglio circolare con diametro simile al precedente, èstato interpretato come fossa per la raccolta dell’acqua piovana.

Gli archeologi hanno ipotizzato un collegamento con un centroinseditivo di metà IX secolo, attestato da un documento d’archivio nel qualesi nomina un tale Simprando del fu Sasso de Trifonte, quindi l’attestazione diuna forma di popolamento altomedievale sul poggio dove poi sorgerà ilcastello di Rocchette.

4.8 – Suvereto (Val di Cornia - Livorno)Le tracce materiali riferibili all’altomedioevo sono state rinvenute

nella Rocca a dominio del paese e probabilmente databili tra IX e fine Xsecolo.

Si tratta di una serie di buche di palo rinvenute negli spazi occupati dalrecinto difensivo e dalla torre, non traducibili in strutture di capanna bendefinite ma alle quali erano connesse una serie di piani d’uso ed abbandoni.

Una recente revisione del contesto, nella quale si sono riconosciutielementi altomedievali nella decorazione scultorea della vicina pieve diS.Giusto (i due capitelli di stipite del portale sembrano da leggere comeelementi di riuso provenienti da un precedente edificio religioso), lascianosuggestivamente ipotizzare un centro insediativo caratterizzato da struttureabitative tipo capanna e da una chiesa in pietra (forse la pieve di S.Giusto inKornino).152

152 BELCARI, 2003.

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5 – Insediamento e gestione della terra dall’età longobarda a quella carolingia5.1 – La transizione verso l’insediamento di età longobarda: il modello caotico e la suainterpretazione controversa

La prima stesura del modello “caotico, sulle trasformazioni delpopolamento rurale nel passaggio fra tarda antichità e altomedioevo, è statapresentata in occasione del convegno di Pontignano del 1992,153 consuccessive rielaborazioni fino al 1999.154

Si è posto l’accento sulla disgregazione della rete insediativa ordinatasecondo un progetto economico e fiscale di gestione della terra, sostituita nelcorso del VI secolo da uno sfruttamento disarticolato e di scarso pesodemografico.

Era ed è ancora un modello valido per alcune zone della Toscana, conriscontri nel senese (Chianti, Val d’Elsa e Val di Merse, Valdorcia), fragrossetano e livornese (Ager Cosanus-Valle dell'Albegna, Valle dell'Osa),nella lucchesia (Versilia e bassa Valle del Serchio). Queste aree attestano unaprima crisi delle strutture rurali intorno al III-IV secolo, alla quale consegueuna stabilizzazione delle aziende superstiti, in pochi casi una lorotrasformazione, per almeno i due secoli successivi.155 Nella sola lucchesia,pare allargarsi lo spazio messo a coltura dietro spinte economiche di variotipo.156

L'intera organizzazione produttiva collassa definitivamente intorno allafine del V-inizi VI secolo, decenni che segnano una selezione della reteinsediativa rurale. Il processo degenerativo del popolamento è riconoscibilein tutto il centro-nord dell’Italia, con il sistema delle ville entrato in faseterminale.157 153 FRANCOVICH, NOYE’, 1994.154 CAMBI et alii, 1994; VALENTI, 1995b e VALENTI, 1999. Per la situazione riscontrata nell’AgerCosanus e nella Valle dell’Albegna si vedano CAMBI, 2002; CAMBI, FENTRESS, 1989.155 Nella Toscana interna, sino al V secolo, sono riconoscibili almeno cinque tipi di forme insediativecollegate allo sfruttamento fondiario organizzato. 1 - Complessi tipo fattorie come centri di riferimento per fondi coltivati tramite poderi contadini aconduzione monofamiliare posti sulle superfici distanti dalla città (zone più settentrionali del senese, AgerCosanus-Valle dell'Albegna, forse bassa Valle del Pecora). 2 - Ville occupanti le zone di pianura più distanti dalla città (Val d'Elsa senese, Ager Cosanus-Valledell'Albegna, Valle del Pecora e Pian d'Alma, zona Roccastrada).3 - Ville con villaggi vicini abitati da manovalanza servile (Ager Cosanus-Valle dell'Albegna).4 - Ville disposte a cerchio nei pressi della città (nell'immediato nord e sud di Siena, Ager Cosanus-Valledell'Albegna).5 - Una serie di complessi medio-piccoli tipo fattoria sembrano organismi autonomi a controllo diretto difondi non molto estesi (bassa Valle del Pecora e Pian d'Alma).Si vedano CAMBI et alii, 1994; VALENTI, 1996b e FRANCOVICH, VALENTI, 2000.156 Anche nel nord Italia si assiste in questa fase anche ad una ripresa dell’edilizia residenziale rurale concaratteri di lusso; la sua portata sembra comunque modesta e limitata ad alcune aree della Lombardia(Desenzano - BS e Palazzo Pignano) e della Romagna (Meldola - FO, Galeata - FO, Palazzolo - RA),collegandosi con la presenza della corte rispettivamente a Milano ed a Ravenna. Si vedano GELICHI, 2001pp.226-227 per una sintesi e BROGIOLO, 1996.157 In Emilia tra V e VI secolo è attestata un’involuzione del modello di gestione della campagna incentratasulle ville, che si conclude con un marcato degrado ambientale ed un drastico collasso “spaziale” degliedifici (per esempio Casteldebole propone una riduzione dell’ambiente abitativo da 7000 a 110 mq):ORTALLI, 1996; ORTALLI, 2000. In Piemonte, dopo una relativa prosperità della regione ancora verso gli inizi del V secolo (indizi di unrinnovato benessere e vitalità sono percepibili sia nei centri minori sia nelle campagne, dove si diffondono

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Oltre agli indizi delle ricognizioni di superficie, alcuni scavi toscanimostrano con chiarezza gli effetti della crisi.

Torretta Vecchia (Collesalvetti), era un complesso di grandeestensione caratterizzato da almeno cinque fasi edilizie e frequentato fra il Isecolo a.C. e la metà del VI secolo. Tra la fine del IV e gli inizi del V secolouna parte dell’edificio principale, che raggiungeva un’estensione di circa3000 mq, sembra essere stata in condizioni rovinose ed in altre parti, cioènelle terme e nella zona orientale, vennero impiantate delle attività artigianalifra le quali un fabbro ed abitazioni; alla metà del VI secolo l’abbandono eragià definitivo.158 La villa di Settefinestre (Orbetello), pur se abbandonataforse a seguito di un’epidemia verso la fine del III secolo, tra IV e VI secolosembra essere stata rioccupata per uso abitativo occasionale e come areacimiteriale.159 La villa in località La Tagliata (Orbetello) fu anch’essarioccupata da una piccola comunità che sfruttava le risorse della laguna e cheforniva appoggio al cabotaggio tra V e VI secolo.160 La villa di Poggio delMolino (Piombino) dopo un’intensa occupazione che raggiunse la metà del Vsecolo venne frequentata saltuariamente sino alla fine del VI-inizi VIIsecolo.161

La villa di San Vincenzino (Cecina), anch’essa un complesso di grandidimensioni con caretteri di lusso e successive fasi di trasformazione per scopiproduttivi, poco prima del definitivo abbandono nel V secolo, vide gran partedegli spazi in disuso ed un’occupazione limitata solo ad alcune sue parti.162

La villa di Linguella (Isola d’Elba), dopo il momento di massimo splendorenel III secolo, fu oggetto progressivamente di una destrutturazione fino

ville anche di un certo rilievo, come a Ticineto e Centallo), le strutture mostrano decadenza e segni ditrasformazione. In molte ville si inserirono degli edifici di culto (per esempio nel Novarese a Carpignano eSizzano, nel Cuneese a Centallo) ed altri ambienti continuano ad essere usati per scopo abitativo,attestandone la contrazione od una differente organizzazione distributiva: MICHELETTO, 1998.In Lombardia a partire dalla metà del V secolo si assiste ad un decadimento progressivo delle strutture; delle70 fra ville e fattorie individuate solo 12 hanno continuità dal I al V secolo e 17 vengono parzialmenteriusate tra V e VI secolo. A Monzambano, dopo una fase di degrado e spoliazione ascritta entro la primametà del V secolo, i muri presentano una fase di legno o di argilla. La villa di Sirmione-via antiche mura èabbandonata intorno alla fine del V secolo; più o meno contemporaneamente viene distrutta per incendio lavilla di Desenzano; a Pontevico la frequentazione fu prolungata tra IV e VI secolo con la costruzione diedifici con zoccolo in muratura e alzato in legno, una capanna, un “muro rustico” successivo ad una fase diesondazione del vicino fiume Oglio; a Nuvoleto tra fine VI e VII secolo viene demolito l’edificio termalepoi riutilizzato successivamente per realizzare dei piccoli vani con alzato in legno: BROGIOLO, 1996;inoltre interventi specifici in ROSSI, 1996; ROFFIA, 1996; BOLLA, 1996; SCAGLIARINI CORLAITA,1997.Nel basso Trentino, sulla piana di Riva-Arco, gli edifici in muratura vennero sostituiti da strutture lignee; aNago furono riutilizzati dei piccoli ambienti di un edificio e gli archeologi hanno scavato un sistema dicampi chiusi da muri utilizzati almeno sino a tutto il VI secolo; a Varone si procede ad inumare negliambienti interni di una villa: CAVADA, 1996; CAVADA, 1997; CAVADA, 2000; PACI, 2000.158 AA.VV., 2003, pp.50-53. 159 CARANDINI, 1985a, 1, pp.184-185. La frequentazione viene attribuita a gruppi di pastori, senzaprendere in considerazione la presenza di un insediamento più stabile che riusa le strutture cadenti dellavilla. Il fenomeno del riuso di complessi fatiscenti era in quegli anni appena agl inizi e percepito in relazionead un paesaggio soprattutto di tipo pastorale.160 CARANDINI, 1985b; CIAMPOLTRINI, RENDINI, 1990.161 SHEPHERD, 1986-1987; DE TOMMASO, 1998; AA.VV., 2003, pp.136-137.162 DONATI et alii, 1989; AA.VV., 2003, pp.94-101 con bibliografia.

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all’abbandono avvenuto nel V secolo.163 Anche altri complessi come lagrande villa di Giannutri,164 la villa o mansio di Torre Saline (Orbetello),165 lavilla di Talamone (Orbetello),166 la villa di Santa Liberata (Orbetello),167 lavilla dell’Isola del Giglio,168 la villa alla Befa di Buonconvento (Siena),169 lavilla di Pieve a Bozzone presso Siena170 mostrano le medesime vicende ecronologia.

Nella metà del VI secolo il territorio toscano presentava bassi indicidemografici ed ampie fasce spopolate, un'occupazione polarizzata su moltiterreni in precedenza compresi in complessi latifondistici. Il popolamento sidistribuisce soprattutto in case monofamiliari edificate ex novo, o approntatesu ville e complessi in abbandono, che compongono una rete a maglierelativamente strette; lo sfruttamento della terra non restituisce un’immaginedi pianificazione piuttosto mostra la scelta di vivere su terreni già dissodatida lungo tempo.

Il fenomeno del riuso delle ville si manifesta in tutta Italia con aspettisimili: «occupazione parziale della villa/fattoria (generalmente l’antica parsurbana); abitazioni con largo impiego del legno e recupero, ma solostrettamente funzionale, di precedenti strutture; nuclei più o meno estesi disepolture» e «complessivamente, il maggior numero dei siti indagati indicaun definitivo abbandono nel corso dell’età gota».171

In Toscana, però, la rioccupazione di complessi romani sembra esserestata più limitata di quanto si possa pensare. Le ville rintracciate nei territoriprovinciali di Siena e Grosseto, su 1979 kmq campionati, ammontano a 427 equelle con tracce di frequentazione ascrivibili nel maturo VI secolo sono solo42. Proiettando tali cifre sui 22990 kmq della regione possiamo ipotizzare unpotenziale di 4960 ville (che si dividevano in media poco più di 4,5 kmq) edun loro riuso in percentuale del 9,83%: 487 complessi, mediamente unarioccupazione ogni 47 kmq circa.

In pochi casi si osserva l’esistenza di piccoli centri agglomerati neiquali si dovevano concentrare delle attività di scambio a carattere localecome a Pantani-Le Gore presso Torrita di Siena, un insediamento che sicolloca nella fase iniziale del modello caotico. Nel corso del V secolo vennerioccupata parzialmente una statio databile fra I-II secolo; è statariconosciuta una massicciata realizzata con materiale di recupero sulla qualevennero impiantate strutture lignee caratterizzate dalla presenza di ceramicad’imitazione africana. Dopo la distruzione del complesso ed una suaristrutturazione, si sviluppò un abitato di dimensioni ridotte, con edifici in

163 AA.VV., 2003, pp.174-175.164 CELUZZA, 1993, pp.252-253.165 CIAMPOLTRINI, RENDINI, 1988.166 CARANDINI, 1985b; CELUZZA, 1993, pp.184-186.167 CARANDINI, 1985b168 CELUZZA, 1993, pp.243-254.169 DOBBINS, 1983.170 CRISTOFANI, 1979, p.196.171 GELICHI, 2001, p.227.

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materiali deperibili e testimonianze di attività collegate all’allevamentobovino ed alla lavorazione del ferro. Il sito, che prima dell’abbandonodefinitivo di metò VI secolo era già frequentato occasionalmente (forse perfiere o mercati periodici), sembra potersi identificare con la statio Manlianaindicata dalla Tabula Peutengiriana. Il suo abbandono viene collegato dairicercatori agli effetti della guerra greco-gotica.172

Un contesto apparentemente molto simile a Pantani-Le Gore, ancorainedito, è stato individuato durante le ricognizioni sul territorio provincialesenese, nella Valdorcia. Tra V e VI secolo, lungo una probabile direttrice chesarà poi la via Francigena, il popolamento continuava a polarizzarsi su uninsediamento degradato che sembra svolgere attività di tipo artigianale ecommerciale; si tratta di una grande emergenza di reperti mobili insuperficie, posta a circa 500 m dalla frazione di Briccole (stazione citatanell’itinerario di Sigerico ed oggi in comune Castiglion d’Orcia) con unavasta concentrazione di ossa animali e scorie di ferro.

I caratteri della circolazione ceramica a livello regionale riflettono lararefazione del popolamento rurale, quindi la diminuzione della domanda, ildecadimento e più in generale la scomparsa di organizzazioni aziendali, ilcollegamento con i mercati urbani che cessa. La distribuzione si restringedivenendo locale, i campionari tipologici vengono semplificati, leimportazioni hanno una riduzione drastica fino a cessare.173

Ancora alla fine del V secolo esisteva un quadro variegato nelladiffusione dei prodotti, con zone dotate di modalità e capacità di accessodifferenziate ai mercati. Sono riconoscibili particolarità sub-regionali in cuioperano fornaci, la cui ubicazione non è nota, ma che producono vasellamein serie, diffondendolo a medio-largo raggio.

Nel senese esistono due fasce diverse di consumatori: i residenti deigrandi complessi e le singole famiglie contadine. Per i primi è chiara lafrequentazione di un mercato ancora vivace, dove era possibile reperireoggetti e derrate d'importazione. Il singolo coltivatore si limitava invece adacquistare solo le merci in circolazione nelle zone rurali interne, soprattuttoproduzioni locali di minore costo; osserviamo corredi domestici composti daceramiche acrome da cucina ad impasto grezzo, ceramiche da mensaverniciate parzialmente o in toto di rosso e grandi dolia, rari gli oggetti invetro, quasi sempre assenti forme in sigillata africana ed anfore. Con gli inizidel VI secolo le produzioni locali divengono vincenti.

La valle dell’Albegna e l'Ager Cosanus restituiscono invece corredimolto articolati (prodotti africani, iberici, siro-palestinesi ed egeo-orientali)sino alla fine del V secolo; la vicinanza alla costa ed una vivacità mercantileche tocca anche l'interno ed i siti più lontani dalle principali vie dicomunicazione, accentuano la diffusione delle merci d’importazione. Nel VIsecolo, con un radicale cambiamento di tendenza, si conferma anche in tali

172 Si veda CAMBI, MASCIONE, 1998 e soprattutto MASCIONE, 2000.173 Si vedano al riguardo FRANCOVICH, VALENTI, 1997; VALENTI, 1999.

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aree la preponderanza della circolazione di merci prodotte localmente sulleimportazioni.174

Nella lucchesia (dalla Valle del Serchio all'area versiliese) si verificauna trasformazione progressiva dello scambio. Sino al IV secolo sono diffusequasi in modo capillare sia le importazioni sia le ceramiche locali. Tra V-inizi VI secolo, cambia tutto: una fortissima diminuzione di ceramiched'importazione che con gradualità scompaiono, mentre i prodotti ceramicid'imitazione aumentano prepotentemente; l'agricoltura si specializza e tendeil più possibile all'autosufficienza, con la conseguente circolazione di anforevinarie provenienti da aree vicine ed in particolare i contenitori valdarnesi.

Alcune indagini mostrano la composizione del corredo ceramico disingole abitazioni, lasciando constatare i cambiamenti nello spazio di unsecolo e mezzo.

Colle Carletti (Orentano di sotto-Pisa),175 esemplifica la dotazioneceramica di edifici frequentati nel IV secolo e per tutto il V secolo. Ildeposito restituisce 31 recipienti da mensa in africana, 29 imitazioni e 19esemplari di forme chiuse ad impasto depurato; il rapporto tra importazioni eproduzioni locali si inverte per la ceramica da fuoco: le africane sonorappresentate da 13 attestazioni mentre le forme ad impasto grezzocorrispondono a circa 447. Le anfore sono invece scarsamente attestate,pochi frammenti di contenitori africani non definibili, una di produzioneadriatica ed una Dressel 20. Calcolando una frequentazione di almeno tregenerazioni nell'arco di un secolo si può pensare ad una media di 30 forme damensa, di circa 150-160 forme da fuoco e 2-3 anfore usate nell'arco di 30-40anni.

Nei pressi di Orbetello (Gosseto),176 per la fine del V secolo,un'emergenza di reperti mobili in superficie interpretata come casa inmateriale deperibile era caratterizzata dalla presenza di almeno 22 diverseforme in africana e 7 in depurata per i tipi da mensa, una decina di forme adimpasto grezzo per la ceramica da fuoco, 7 esemplari di anfore. Mancanoriscontri di scavo per scandire ulteriormente il rapporto tra reperti affioranti epresenze in giacitura, non crediamo però che il panorama delle formeattestate possa mostrare variazioni eccessive nelle sue componenti;sicuramente cambierà l'ammontare dei singoli recipienti ma non fornirannoulteriori indicazioni per quello che riguarda le informazioni di tipoeconomico: diffusione di importazioni e circolazione capillare di merci nellezone estraurbane.

In località S.Quirico (Chianti senese),177 un'abitazione databile allametà del VI secolo rivela la mutata composizione del vasellame impiegato daun nucleo familiare nel corso di una generazione: 22 esemplari da mensaimitanti le ceramiche africane, 45 da fuoco, 2 dolia.174 CAMBI, 2002, p.239. 175 ANDREOTTI, CIAMPOLTINI, 1989.176 CIAMPOLTRINI, RENDINI, 1989.177 VALENTI, 1994; VALENTI, 1995b.

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Le restituzioni ceramiche dei contesti urbani fanno riconoscere unprocesso analogo a quello verificato nelle zone rurali. Sino a tutto il V secoloosserviamo una duplice realtà: città nelle quali continuano a circolare grandiquantitativi di ceramiche sigillate norditaliche e africane, di anfore prodottesia nel Mediterraneo occidentale (Africa e Spagna) sia nelle fornaci regionali(anfora di Empoli) accanto a produzioni locali; città nelle quali leimportazioni sono numericamente più limitate e dove le produzioni localirisultano invece in grande abbondanza. In tutti i casi con il maturo VI secolole importazioni risultano un fatto episodico e contemporaneamente èosservabile la decadenza di centri produttivi operanti in economiapienamente di mercato anche se in un raggio sub-regionale. Questa tendenzaè ben riconoscibile osservando l'evoluzione tipologica di tutte le ceramichecon coperta rossa.178

Il “caotico” definisce sia la caoticità della distribuzione insediativa, sial’assenza di progettualità; caratterizza decenni problematici e di instabilitàdel governo centrale, segnati da uno stato di guerra più o menopermanente,179 da carestie e da epidemie.180

178 Particolarmente significativa è l’evoluzione tipologica di boccali e brocche. Sino alla metà del VI secolosono attestate forme che mostrano ancora stretti legami con gli esemplari tardoantichi. Il boccalecaratterizzato da bordo estroflesso, collo breve, corpo spesso ovoidale, fondo piano e apode in uso tra V eVI secolo, viene affiancato dal boccale con ventre decisamente ovoidale ed il collo molto stretto nel Vsecolo avanzato, che raggiunge la metà VI-VII secolo (come attestano gli esemplari di Massaciuccoli eFiesole). Quest'ultimo è strettamente legato ai tipi con ansa a nastro leggermente insellata e complanare oimpostata poco sotto il bordo, bocca appena trilobata o circolare, corpo quasi a sacchetto in parte coperto davernice rossa, databili tra fine VI-VII secolo. Nel complesso si tratta delle ultime forme diffuse a livelloregionale e distribuite da più centri produttivi (attestate a Fiesole, Arcisa, Massaciuccoli, Pistoia, nel Chiantisenese); le stesse bottiglie rinvenute a Fiesole rimandano decisamente ad una produzione specializzata.Sembra poi proponibile una netta diversificazione delle forme sino a tutto il X secolo che sottintende adelaborazioni locali; in altre parole i boccali in uso dal VII secolo potrebbero essere stati prodotti da vasaioperanti per una committenza composta da più nuclei di popolamento dislocati in più circondari.179 Citando uno dei tanti autori che hanno descritto questo periodo: «Gli anni 554-68 costituiscono un breveintervallo nell'arco dei settant'anni di una guerra che riprese nel 568 con le invasioni dei Longobardi econtinuò, con qualche interruzione, fino al 605. Pur se l'Italia medicò le proprie ferite dopo il 605, comeaveva già iniziato a fare durante la breve pace, non c'è dubbio che il colpo era stato forte» (WICKHAM,1983, p.41).180 Si veda per la criticità della situazione economica, sociale e poltica dell’Italia CAPITANI, 1992, pp.32-43. Come ricorda ancora Wickham più volte (WICKHAM, 1983; WICKHAM, 1998), Procopio descrivecarestie tremende sin dal 538; la peste bubbonica si manifestò ad ondate a partire dagli anni quaranta del VIsecolo; nel 556 papa Pelagio I affermava che i propri possedimenti italiani erano disabitati; papa GregorioMagno descriveva un quadro di desolazione e crisi demografica. Pur senza estremizzare la portata deglieventi, è innegabile lo svolgersi di decenni fortemente critici. Per la successione delle epidemie dall’etàgiustinianea e quelle dei tre secoli successivi si veda comunque CORRADI, 1972.Nello scavo di Settefinestre si sono riconosciuti indizi indiretti sulla presenza di malaria nella Maremma diV e VI secolo. I resti umani rinvenuti nelle sepolture ricavate negli strati di crollo della villa, appartenevanoad individui giovani che si nutrivano quasi esclusivamente di carne e che erano affetti da anemiamediterranea, un’alterazione congenita del sangue che però rende immuni dalla malaria. Le epidemie dimalaria erano quindi diffuse in forme tali da innescare una selezione naturale che favoriva solo gli individuiimmuni dalla malattia (CARANDINI, 1985a; CELUZZA, 1993).

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Ad esse si accompagnava il declino demografico nelle campagne,181

sul quale aveva influito sino dagli anni della guerra greco-gotical’imposizione sempre più esosa della tassa sul terreno e sulla proprietà,182

complicando una situazione economica già in fase recessiva.Rappresenta l'interfaccia tra il mondo tardoantico e quello

altomedievale.183 Essendo un periodo di passaggio non ha il significato dicompleta e radicale rottura, un day after; bensì di anni in cui scompaionoalcuni elementi della società tardoromana mentre altri caratteri, seppuralterati ed in via di ulteriore traformazione, persistono ancora.

I cambiamenti avvengono con progressione nel corso del VI secolo,con un processo che si mostra compiuto agli inizi della seconda metà. Ingenerale non sono più riconoscibili archeologicamente sul territorio indizi diorganismi dominanti. Questo elemento ha fatto ipotizzare una popolazionerurale, di scarsa entità numerica, che si è trasformata. I contadini, dasemplice strumento di produzione soggetto a rapporti personali di vario titoloe ad obblighi fiscali, divengono forse una massa di individui tendenzialmenteliberi per brevissimo tempo.

Non possiamo però definire questo fase “l’età d’oro” delle famiglierurali, anche se doveva essere venuta meno la pesante pressione fiscaletardoromana.184 Ma allo stesso modo non possediamo elementi per ricondurrele evidenze riscontrate nelle campagne a poderi affidati a servi od a coloni ecompresi nei patrimoni di proprietari residenti in città. Osservando lecondizioni della campagna, il carattere delle abitazioni, il loro basso numeroe la collocazione su terreni in precedenza compresi in latifondi ormaidecaduti, non si ha questa impressione.

Interessante si rivela il ricorso alla statistica per comprendere meglio iprocessi insediativi realizzatisi. Le ricognizioni sui territori provinciali diSiena e di Grosseto si sono estese su 1979 kmq pari all’8,60% dei 22990 kmq

181 Sulle stime demografiche dell’Italia intorno alla metà del VI secolo (valutazione pari a 4.000.000 diabitanti) si vedano soprattutto CIPOLLA, 1959; PINTO, 1996; CAMMAROSANO, 2001; CHIAPPAMAURI, 2002 (significativo il titolo del primo paragrafo sull’alto medioevo: I secoli dell’uomo raro) ebibliografie indicate. Si legga inoltre sulla crisi demografica delle campagne PRATESI, 1985, pp.61-76;infine BELLETTINI, 1973. Per i criteri sui quali si è fondata la stima demografica per il medioevo si vedaPICCINNI, 1986. 182 Si veda STUMPO, 1983 per la pesantezza e gli effetti negativi della jugatio-capitatio, associazionedell’imposta prediale ereditaria e della capitazione, alla base del sistema fiscale del tardo impero. Si vedainoltre TRAINA, 1994, p.89: «la crisi economica colpì l'equilibrio di ciò che chiamiamo il sistema dellavilla, accelerandone l'evoluzione verso nuove soluzioni: 1'eccessiva tassazione, nei momenti di crisi, portavaall'abbandono dei campi; al tempo stesso, le misure a favore dei contribuenti dovevano essere ammortizzatein altra maniera, ad esempio intensificando le opere pubbliche militari. Il problema non poteva essere risoltocon periodiche misure ad hoc; ciò può contribuire a spiegare le ragioni del rinnovato interesse per gli agrideserti. (…) Si tratta quindi di un processo di avvicinamento alla natura che ritroveremo nel medioevo informa compiuta, ma che si era avviato già in età romana».183 Per l’Emilia centrale è stato sottolineato un processo molto simile: «La contrazione del popolamentoantico, iniziato con le vicende della guerra greco-gotica si accentuò inesorabilmente tra la fine del VI e laprima metà del VII, fase cronologica alla quale si riferisce un vero e proprio abbandono dell’insediamentosparso nelle campagne per dare vita a nuove forme organizzative che preludono a quelle di età medievale»(GIORDANI, LABATE, 1994, p.164).184 WICKHAM, 1988, pp.108, 121-122.

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circa del territorio regionale. Hanno rivelato 2521 strutture dell’insediamentodatabili tra I-IV secolo, 506 tra IV-VI secolo e 201 tra VI-VII secolo.Mostrano così una prima crisi molto forte, con una diminuzione di strutturepari al 498%, nel periodo IV-VI secolo ed un crollo significativo fra VI e VIIsecolo quando il decremento risulta del 251% e del 1254% dal periodo dimaggiore popolamento. Proiettando tali valori sull’intera Toscana siottengono risultati ipotetici molto indicativi: il popolamento si dirada quasi adismisura nello spazio di 300 anni circa, periodo per il quale la crisidemografica e la scomparsa di un’organizzazione quasi capillare dellaproduzione e della terra viene evidenziata indiscutibilmente dai numeri. TraI-IV secolo è possible ipotizzare 29286 siti in vita con una media di 1,27 perkmq, tra IV-VI 5878 siti con una media di 0,25 per kmq (cioè un sito ogni 4kmq) e tra VI-VII secolo 2335 siti con una media di 0,10 per kmq (cioè 1 sitoogni 10 kmq). 185

Figura 43Figura 44Figura 45

Gli indicatori archeologici mostrano la povertà delle strutture,l’uniformità economica ed un popolamento regionale che si localizzadistribuendosi ad isole dalle maglie molto larghe; fanno pensare a territoricaratterizzati da una semplificazione progressiva delle strutture sociali, chepare indiziare la scomparsa dell’impronta organizzativa della classe deimedio-grandi possidenti romani.186 Mancano quindi i segni di una gestionedel lavoro ed emerge invece un quadro di crisi; le condizioni di vita nonsembrano ottimali, anzi l’immagine è quella di una decadenza e miseriadiffuse. E’ in gran parte questa la campagna toscana tra la prima e la secondametà del VI secolo, segnata dalla disarticolazione del rapporto con la città,dall’assenza di progettualità economica, da famiglie contadine chesopravvivono, da larghe fasce di territorio incolte e boschive.187

185 Ricorda Capitani «Anche senza poter racchiudere in una formula complessiva le condizioni dellosfruttamento della terra (…) sembra plausibile che si indichi, nel periodo considerato, il protrarsi ed in talunicasi l’aggravarsi di condizioni che erano proprie del paesaggio agrario tardo-romano: ciò perchè, in molticasi, le ragioni che avevano determinato certi fenomeni di insediamento, anzi ché certi altri, persistevano,pur nella varietà del succedersi di invasioni, frantumazioni di aggregazioni territoriali di antica tradizione,calamità naturali di vaste proporzioni (la degradazione del suolo, dovuta ad alluvioni e sedimentazioni perabuso della terra coltivata; incuria ed abbandono delle opere idrauliche ed irrigue romane; cambiamenticlimatici); pestilenze terribili e gravi endemie (malaria) indubitabili (una peste nera è attestata nel 543).Anche se è sempre possibile porsi la classica domanda se furono queste le cause o gli effetti dellospopolamento che è un dato costante del periodo considerato, rimane certo un fatto: quello dellospopolamento» (CAPITANI, 1992, p.87).186 Come sottolinea anche Pasquinucci in un’analisi recente del territorio livornese, basata su dati diricognizione e di scavo, «Il paesaggio e le strutture produttive e commerciali “romane”, pur conmodificazioni sempre più evidenti nel tempo, si conservarono sino al VI secolo d.C. Negli anni 535-553 laguerra fra Goti e Bizantini interessò anche questa regione, portando distruzioni, rovine e carestie. Infine, laconquista longobarda, a partire dalla fine del VI secolo, pose le premesse per il passaggio all’età medievale»(PASQUINUCCI, 2003).187 Sulla destabilizzazione del sistema fondiario romano tra VI e VII secolo si vedano CARANDINI, 1993 eGIUSTECHI CONTI, 1992, pp.17-20.

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Significativo è il parallelismo tra l'abitazione scavata nel Chiantisenese188 e quella scavata a Siena nella piazza del Duomo.189 Ambedue sonoquasi dei tuguri, occupano circa 20 mq, la pianta è rettangolare, gli elevatisono in terra (nel caso di Siena con fondazione in pezzame di pietra legata dagrumi di calce e sabbia), tetto ad uno spiovente (in materiale deperibile aSiena in tegole e coppi nel Chianti), focolare circoscritto da pietre; in unangolo alcuni grandi contenitori fungevano da dispensa (un'anfora diproduzione orientale a Siena; due dolia nel Chianti).

Il parallelismo prosegue anche per la fine del VI-VII secolo, con ilpassaggio ad un’edilizia per capanne, come evidenziano le strutturesemiscavate poggibonsesi e quella rinvenuta recentemente al di sotto delDuomo di Siena o nello scavo della città abbandonata di Cosa.

A Siena, su un’area d’intensa frequentazione in età imperiale e adibitaa discarica in età tardoantica per livellare il pendio, fu impiantata una piccolanecropoli poco distante da una capanna tipo grubenhaus circolare, daldiametro di circa 4 m e profonda 2 m; doveva avere alzati in terra e canniccioed essere divisa in due parti: quella più bassa sembra riconducibile ad unacantina sottostante il pavimento in assito del quale sono visibili gli alloggi sulpiano di appoggio (una cornice circolare di circa 50 cm di larghezza alla basedell’escavazione più alta).190

Figura 46 e 47

A Cosa, nel primo periodo longobardo, venne rioccupata l'area delForo attraverso la costruzione di una chiesa dotata di cimitero con oltreduecento tombe e la popolazione sembra aver vissuto in piccole capanne, conpianta rettangolare ed angoli stondati, elevati in materiale deperibile sorrettida basamento in pietra o da un'armatura di pali posti ai limitidell'escavazione.191 I confronti più stretti, soprattutto con Brescia-S.Giulia,192

sembrano dare conferma alla cronologia proposta in via preliminare dagliarcheologi.

Un’ulteriore forma abitativa attestata, cioè l’uso delle grotte in zonemorfologicamente predisposte, rafforza ancora di più l’immagine decadente.Sembra essere una tipologia insediativa caratteristica della lucchesia

188 VALENTI, 1994 e VALENTI, 1995b.189 BOLDRINI, PARENTI, 1991.190 CAUSARANO, FRANCOVICH, VALENTI, 2003.191 CELUZZA, FENTRESS, 1994.192 Si vedano per esempio BROGIOLO, 1991, pp.104-105; BROGIOLO, 1994a, pp.108-109. A Brescia-S.Giulia due capanne relative alla prima occupazione longobarda avevano pianta quadrangolare con angolistondati, dimensioni ridotte (edificio III: 3,80 x 3 m ed escavazione compresa tra 40-15 cm; edificio IV: 2,5x 2,5 m ed escavazione di 80 cm), armatura di pali laterali ed alzati in rami intonacati. Altre capanne dellostesso periodo, circa una decina, erano anch'esse in tecnica mista con riuso di murature romane superstitiintegrate da armatura di pali poggianti su basi in pietra o inseriti nelle murature, elevati in ramaglia rivestitad’argilla.

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settentrionale193 e del territorio grossetano meridionale,194 anche serecentemente sono stati individuati esempi nel senese a Pienza195 ed al Vivod'Orcia196.

Si riconoscono due diversi tipi e due diverse durate del lorosfruttamento. Nella Toscana meridionale interna il fenomeno rupestre èriscontrabile in modo significativo sui comprensori comunali di Sorano ePitigliano (Grosseto) collegandosi a realtà abitative e funerario-religiose conuna complessa gamma tipologica e lunghe frequentazioni.197 Si tratta invecedi una scelta occasionale nell'Alta Valle del Serchio e nelle alture dellaGarfagnana (Lucca),198 con frequentazioni isolate di cavità rocciose naturalisparse sui rilievi costeggiati dal fiume. Grotte abitate limitatamente alperiodo tardoantico sono state rintracciate sulla Pania di Corfino (Grotta delCinghiale), a Soraggio (Caverna delle Fate), a Fabbriche di Vallico (Buca diCastelvenere). Erano scelte come ripari temporanei o stagionali nellosfruttamento dei boschi per la produzione di legname. Più che nella speloncavera e propria, occupata solo occasionalmente, la frequentazione si svolgevaall'interno del riparo che ad essa introduce; qui sono stati rinvenuti i nucleimaggiormente cospicui di materiale ceramico indizio d’uso. Anche nell’altavalle dell’Albegna è attestato un riparo in grotta in località Montemerano neipressi di una vila abbandonata.199 Il caso senese deve essere ancorainvestigato; in linea di massima propone similitudini con l'area lucchese nellascelta della grotta (vengono sfruttate cavità naturali) e la vicinanza dei rilieviamiatini potrebbe fare sospettare la medesima finalità.

Su alcuni punti del modello sono sorte delle controversie. La propostadi un breve periodo di indipendenza delle famiglie contadine e di un mancatocontrollo della città sul territorio, è stata dibattuta soprattutto da Brogiolo.200

Delle obiezioni sono lecite; è vero che «conosciamo ancora troppo poco deicastelli, diffusi particolarmente nella lucchesia e nel grossetano e delle città,dove potevano risiedere i proprietari di poderi lavorati da servi e coloni». Lapresunta indipendenza contadina non riguarda comunque il periododell’occupazione longobarda; la mancata organizzazione in larga scala del

193 CIAMPOLTRINI et alii, 1991; si veda anche VALENTI, 1994 con bibliografia.194 Si veda BOLDRINI, 1986-1987 per un'ampia disamina sulla zona; inoltre PARENTI, 1980 eBOLDRINI, DE LUCA, 1985.195 In FRANCOVICH, VANNINI, 1981 sono presentati i materiali medievali rinvenuti nella Grotta delBeato Benincasa durante uno scavo preistorico. Una revisione della ceramica, effettuata nella relazione diFrancovich-Valenti al convegno di Aix en Provence del 1995, ha proposto una cronologia di VI-VII secolo.196 GALIBERTI et alii, 1996.197 L’area, caratterizzata dalla presenza di tufi vulcanici, è stata indagata per meglio comprenderel'insediamento a lunga frequentazione di Vitozza. La ricerca, pur condizionata dagli effetti di unosfruttamento delle grotte tufacee perdurato sino agli anni sessanta producendo sistemazioni degli ambienti etecniche di scavo simili nel tempo o comunque difficilmente distinguibili dalle antiche, dà modo diricostruire le tendenze insediative del territorio e datare l'inizio della stessa facies rupestre.198 CIAMPOLTRINI et alii, 1991.199 FENTRESS, 2002, p.262.200 BROGIOLO, 1997, p.109.

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territorio rurale da parte delle prime aristocrazie longobarde toscane non èstata proposta come segno di un’assenza di gerarchie sociali.201

Diverso è il caso della ceramica dipinta di rosso la cui presenza «mal siaccorda inoltre con la presunta disorganizzazione del “modello caotico”».202

Questa produzione, pur diffusa sull'intera regione (Roselle, Fiesole e Firenze-Piazza della Signoria, zona di Asciano, Lucca e suo entroterra, Volterra,Pistoia, Siena ed il senese, Arezzo) mostra peculiarità regionali e spesso sub-regionali; intorno alla metà del VI secolo, come già esposto in precedenza, silocalizza e si semplificano le forme fabbricate, differenziandosi anchenotevolmente, fino a scomparire.203

Il modello caotico non è stato esteso all’intera Toscana, mettendo inrilievo come la situazione poteveva essere più articolata in quelle zone chepossono considerarsi strategiche o di frontiera.204 Qui l'insediamento pareessersi organizzato soprattutto in centri fortificati di altura, anche se sonopochi i riscontri da ricognizione e di scavo. Per il sud viene proposta lapresenza di fortificazioni bizantine (una linea meridionale composta da

201 L’esempio proposto in FRANCOVICH, HODGES, 2003 a sostegno della presenza di segni di distinzionesociale non riscontrabili archeologicamente nella casistica insediativa ma ancora da individuare (sonopresenti per esempio in traccia nei corredi delle necropoli di Castel Trosino e Nocera Umbra) è senz’altrogiusto e centrato ma non inerente ai decenni del “caotico”.202 BROGIOLO, 1997, p.109.203 La classe in questione ha da poco ricevuto un'adeguata attenzione da parte degli archeologi e unriconoscimento come produzione con caratteristiche proprie. Per questi motivi viene identificata in modidiversi; i più diffusi sono ceramica verniciata di rosso, ceramica a vernice rossa tarda, ceramica dipinta,ceramica a copertura rossa, ceramica ingobbiata di rosso. Si tratta di recipienti con impasti molto farinosi eteneri, coperta di colore rosso (talvolta con tonalità bluastre causate da cotture eccessive) o tendenteall'arancio. Sono comunque individuabili tre principali tipi di manufatto: con coperta di buona qualità moltosomigliante ad una vernice sintetizzata; con coperta molto diluita ed evanide, in pratica un ingobbio colorato(rappresentano largamente le più attestate); con coperta parziale e distribuita in superficie a formare motividecorativi di carattere geometrico (si vedano al riguardo le restituzioni di Fiesole-Via Portigiani e Lucca).Le ceramiche con motivo decorativo dipinto vengono rappresentate soprattutto da grandi piatti da portata ebrocche-boccali; la vernice impiegata è la stessa presente nei prodotti qualitativamente peggiori.Nel senese, a Fiesole, a Lucca, le tre produzioni elencate, non mostrano differenze per quanto riguardaforme ed impasti e s’ipotizza che tutti i prodotti, sia con copertura uniforme sia con decorazione, uscisserodalle medesime officine; in altre parole siamo di fronte ad un'unica classe sulla cui definizione influisconosoprattutto la funzionalità ed i criteri stilistici rivelati dalle foggie. Per quanto riguarda le forme aperte, il filodi congiungimento sembra soprattutto la destinazione di tali ceramiche ad uso mensa e talvolta cucina, lacostante ripetizione e rielaborazione di archetipi in sigillata africana D, ma non si escludono formeestrapolate da modelli in sigillata microasiatica ed in sigillata adriatica. Le forme chiuse non trovano invececonfronti precisi ed è stata proposta recentemente per le restituzioni romagnole e fiesolane una derivazioneda prototipi metallici; si tratta di un repertorio limitato soprattutto a pochi tipi con varianti interne,essenzialmente boccali, brocche e bottiglie. Si vedano al riguardo FRANCOVICH, VALENTI, 1997;VALENTI, 1995a; VALENTI, 1999.204 VALENTI, 1995b; VALENTI, 1999.

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Cosa,205 forse Roselle,206 forse Talamonaccio,207 Capalbiaccio,208 Sovana,Saturnia ed altre piccole località; una linea settentrionale estesa fra la zona dialtura di Tirli-Scarlino e le alture di Roccastrada) parallele al corsodell'Albegna e facenti parte di una frontiera fluttuante, benchè l'ipotesi tengaconto soprattutto di vecchi rinvenimenti occasionali e dell’analisitoponomastica.209

Anche per la zona di Vitozza si è ipotizzato una situazione simile. Idati, comparati con studi relativi alla zona dell'Alto Lazio (limitrofa,paesaggisticamente simile e talvolta collegata: per esempio il limeslongobardo-bizantino del tardo VI-VII secolo) hanno evidenziato che gliabitati rupestri si situano con regolarità su speroni naturalmente difesi allaconfluenza di due fiumi, componendo una rete insediativa molto fitta. Decinedi piccoli villaggi in grotta, la cui vicinanza impedisce un ampio controllovisivo del territorio. In molti casi sono preesistenti alla costruzione di castellicollocati nei loro pressi. Prove in tal senso sarebbero riscontrabili nelle grottetagliate dai fossati artificiali delle fortificazioni aldobrandesche di Vitozzaapparentemente realizzate alla fine del XII secolo; in altri siti, nelle grotteposte fuori dai circuiti fortificati.

Sono oggetto di frequentazione almeno sino dall'età tardoantica e pertutto l'alto medioevo come indiziato dai loculi di deposizione paleocristianadi IV-V secolo e dalla chiesa rupestre riconosciuti a Vitozza. In questoperiodo i villaggi in grotta, affiancati da capanne sparse poste sui pianori,sono spesso difesi da fortificazioni e installazioni di tipo militare delle qualirimangono tracce di fossati o evidenze di torri.

Solo apparentemente più chiara (analisi archeologica abbinata a letturadi documenti, verifica della continuità toponomastica e rilettura di vecchirinvenimenti) si rivela la situazione del nord, dove pare stabilizzata una retedi roccaforti a protezione di Lucca. Erano in gran parte castella bizantini o di205 A Cosa, dopo una lunga crisi demografica, è riconoscibile una rioccupazione nel corso del VI secolocirca, quando sull'arx venne costruita una mansio con granaio, fienile ed una grande stalla per cavalli; nellazona del Foro furono impiantate costruzioni in gran parte destinate ad uso civile ed anch'esse cinte da muradi fortificazione. Sono inoltre riconoscibili case in muratura, una chiesa con cimitero ed un forno da pane.Potrebbe trattarsi della fondazione del nuovo centro amministrativo di Ansedonia, imperniato su unacittadella con carattere militare nella zona dell'arx e su una zona popolare circostante (si veda CELUZZA,FENTRESS, 1994 con bibliografia; inoltre FENTRESS, 2003). Questa interpretazione è stata parzialmentecontestata. Pur restando valido il modello di città-fortezza, la nuova strutturazione dell'arce viene vista comeuna vera e propria fattoria fortificata che poteva qualificarsi come castellum privato; in pratica si propone,dietro la spinta della nuova classe di proprietari goti (molto consistente in questa zona), uno «sfruttamento diaree urbane come "ville" secondo il modello che segnalava Rutilio Namaziano» (si veda CIAMPOLTRINI,1994, p.603).206 Roselle, alla fine del V-inizi VI secolo, subì alcuni interventi nella zona centrale: viene costruita unagrande chiesa sulle rovine delle terme adrianee, dotandola di fonte battesimale e cimitero ordinato suterrazzi; la strada basolata di età imperiale venne obliterata innalzando il livello di calpestio attraversogettate di terra e materiali di crollo, mentre l'edificazione di un muro di terrazzamento coprì parzialmente gliingressi di case-bottega adiacenti alle pendici della collina nord. In questa fase la città, uno degli ultimicaposaldi bizantini sulla costa toscana, doveva essere dotata di una fortezza, per il momento ipotizzatanell'anfiteatro (si veda CELUZZA, FENTRESS, 1994 con bibliografia).207 von VACANO, 1988; FENTRESS et alii, 1991, p.208.208 DYSON, 1985.209 KURZE, CITTER, 1995.

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età gota (il castellum de Carfaniana, il Castrum Novum, il castellumAghinulfi nella Garfagnana, il castellum Uffi in Versilia), sfruttati poi dailongobardi per garantire i confini con Luni e presidiare la via di penetrazioneper la Maremma e Chiusi (zona intorno al quale si ipotizzano almeno trecentri fortificati: il castrum Faolfi, Montepulciano e Sant’Antimo), chiave divolta per raggiungere Roma.210 Nei loro immediati entroterra, la popolazionesi raccoglieva in abitazioni la cui disposizione e collocazione geograficarientra nello schema tracciato per il periodo caotico: sorgono in zone giàcoltivate in età tardoromana e sfruttano talvolta i ruderi di ville abbandonateverso gli inizi del VI secolo.

E' stato ipotizzato che le fortezze fungessero anche da centriamministrativi in embrione del popolamento circostante, per lo meno fino atutto il periodo bizantino.211 Ma in questo caso, pur con i limiti di teorie chenon hanno il supporto di ricognizioni sistematiche o di scavi estesi, la tracciadi un’organizzazione del territorio si basa sulla compresenza di più elementi:le fortezze come centri di riferimento, l’abitato sparso nei loro entroterra, lapresunzione dell’imposta fondiaria annuale che i bizantini avrebberocontinuato pur con difficoltà a riscuotere, tentando di generalizzarla alla finedel conflitto poichè essenziale per il mantenimento dell'esercito.

L’impressione che però si ha guardando ai pochi casi di scavi effettuatiin coincidenza di castra, è quella di una rete di fortificazioni abbastanzaelementari e mai di complessi imponenti come negli esempi dell’Italiaalpina. Una sorta di avamposti dai quali sembra difficile organizzare edamministrare organicamente un territorio. Il loro peso sulle vicende della reteinsediativa dovrebbe essere quindi ridimensionato. Con le parziali eccezionidi Cosa e Roselle (dove le fortificazione sono comunque ridotte e limitate aduna sola parte del centro), l’unico contesto realmente indagato in Toscanacorrisponde a Filattiera, ricostruibile come una fortificazione in pietra pressoMontecastello ed in un campo trincerato presso Castelvecchio, anche se gliscavi qui condotti non hanno interessato un'area particolarmente estesa.

A Monte Castello, castrum bizantino databile fra V e metà VII secolo,la fortificazione era costituita da una spessa cinta muraria, conservata su unlato per circa 100 m, e cingeva una superficie di circa 3500 mq. Affiancatoalla cinta muraria, verso l'interno, era collocato un edificio rettangolare inpietra (30 m x 8 m circa), diviso in tre ambienti, con un focolare rettangolaredelimitato da lastre litiche, la cui fondazione è datata al V secolo tramiteanalisi su reperti antracologici. L'insediamento dovette essere frequentatosaltuariamente.

A Castelvecchio sono stati trovati i resti di un campo trincerato, cheoccupava un'area estesa 800 mq circa, interamente attraversato da una stradaacciottolata, difeso mediante due valli affiancati (profondi e larghi 2 m) e daun aggere in ciottoli sormontato da una palizzata. La povertà

210 Si veda CIAMPOLTRINI, 1990.211 CIAMPOLTRINI, 1995.

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dell'insediamento, datato fra V-VII secolo, ha fatto avanzare l'ipotesi di unarealizzazione legata a mercenari germanici al soldo dell'Impero bizantino. Sitratta forse di un elemento di difesa piuttosto limitato e direttamenteconnesso al sottostante villaggio della pieve di Sorano: una specie di rifugiofortificato.212

Figura 48

5.2 - Insediamento accentratoIl modello caotico, in sostanza, fotografa una Toscana dove

convivevano delle realtà solo in parte diverse. Esistevano zone nelle quali ilpeso della grande e media proprietà pare essere stato ormai azzerato e lascarsa popolazione viveva per la propria sussistenza, dove il legame città-campagna sembra essere venuto meno e le due forme insediative siomologano all’interno di un quadro economico, sociale e demograficolivellato verso il basso. Esistevano anche zone nelle quali si individuano lestesse manifestazioni di crisi e dove un governo delle scarse risorseterritoriali doveva essere tentato soprattutto per sovvenzionare le truppebizantine ancora presenti per alcuni anni dopo la guerra greco-gotica.213

Ciò non toglie che, in altre aree della regione, future ed auspicabiliricerche impostate su ricognizione e scavi mirati non possano rivelare tipidiversi di occupazione e di gestione della terra. Per esempio l’esistenza dizone nelle quali, di fronte ad un abbandono generalizzato della campagnasopravvissero forse delle deboli forme di organizzazione della proprietà conattardamenti sino alla fine del VI secolo, come parrebbero mostrare alcunerecenti ricognizioni nel grossetano, tra la valle dell’Alma e la valledell’Osa.214

L’eventuale incremento delle casistiche insediative confermeràulteriormente che il periodo del caos segnò la frattura definitiva conl’organizzazione tardoantica delle campagne. La fine del VI e gli inizi delVII secolo rappresentano così una fase cruciale per la storia insediativa delmedioevo, come sottolineano anche i modelli elaborati a livello italianoevidenziando nel loro insieme un’eterogenea geografia nazionale delpopolamento proprio perchè legata a decenni di trasformazione. Il confrontocon il nord dell’Italia, per esempio, propone senza dubbio delle differenzesostanziali con la Toscana. Se tendenzialmente le aree dell’antica Emilia non

212 Si veda GIANNICHEDDA, 1998; inoltre GIANNICHEDDA, LANZA, 2003.213 Recentemente Wickham, tentando una sintesi sull’archeologia dell’alto medioevo italiano degli ultimiventi anni (WICKHAM, 1998) nella quale ha affrontato anche il “caotico”, ha messo in evidenza che perquanto carico di suggestione non può essere esteso all’intera Italia ed all’intera Toscana. Inoltre, come giànel corso del VII secolo, i villaggi dovevano essere stati parte di una gerarchia insediativa. Le osservazionisono giuste ma d’altro canto si deve sottolineare che il modello non è mai stato esteso all’intera regione nètantomeno all’intera Langobardia. Allo stesso modo il modello non investe la realtà insediativa di VIIsecolo.214 Si ringrazia per le informazioni Emanuele Vaccaro, che svolge le indagini territoriali nell’ambito del XIXciclo del dottorato in Storia e Archeologia del Medioevo dell’Università di Siena.

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differiscono molto dal quadro tracciato,215 il panorama insediativosettentrionale sembra invece non aver visto mai la cessazione di un potereeffettivo sulle campagne, collegandosi alla tenuta dei centri demici fortificati(i castra) sviluppatisi pienamente tra VI e VII secolo, inoltre conl’affermazione di «una costellazione di insediamenti nucleati minori cheallentano, e in taluni territori spezzano il rapporto città campagna,anticipando fenomeni che avranno pieno sviluppo in età feudale».216

Il contributo dell’archeologia è quindi insostituibile per comprenderela novità dell’insediamento altomedievale; una realtà che si và rivelandomolto complessa e differenziata, oltre che regionalmente anche tra areeterritoriali vicine, dove l’inserimento dei longobardi non fece altro cheaccentuare i processi in corso e, da lì a breve, dare luogo a nuove formeinsediative.

La ricerca storica tende invece a proporre una rete di popolamento piùsemplice e quasi lineare, articolata in centri di villaggio e per lo più in casecostruite direttamente sui fondi coltivati, poi cresciute di numero nell’VIIIsecolo.217 L’immagine, dedotta dai contratti di livello pervenutici, proiettataretroattivamente anche a tutto il VII secolo, è quella di una campagnacaratterizzata in maniera considerevole da singole unità poderali in cuirisiedevano famiglie contadine dipendenti e spesso piccoli allodieri.218

In realtà la portata di queste ipotesi deve essere valutata proprio per ilimiti di fondo che presentano; come è stato osservato gli «atti privati, perparte loro, rivelano un campionario di patrimoni che deve essere trattato conmolte precauzioni. I trasferimenti che interessano parcelle isolate, gruppi diparcelle o complessi fondiari modesti non costituiscono la prova di una forteprevalenza del piccolo allodio rurale» e di conseguenza «ci sfugge, fino alsecolo VIII, qual'era la distribuzione reale delle ricchezze, quali erano ledimensioni dei patrimoni, la loro struttura e la loro mobilità, le loro tendenzeal frazionamento o alla concentrazione. Anche se la situazione diventa menodisperata in Italia che in altre parti dell'occidente, le conclusioni alle quali sipuò legittimamente arrivare rimangono modeste e banali».219

215 GELICHI, GIORDANI, 1994.216 BROGIOLO, 2001.217 Si veda per il ruolo dell’insediamento sparso nell’Italia longobarda SETTIA, 1982, pp.460-470 eSETTIA, 1991, pp.167-284. Inoltre la trattazione in ANDREOLLI, MONTANARI, 1983, pp.177-200 dove,pur riconoscendo la contemporaneità di villaggi e case singole e diversità regionali da appurare, si afferma(p.180) che «In Italia, nei secoli VIII-IX, il modello prevalente di habitat sembra essere quello sparso» e piùavanti «Sembra dunque che ci troviamo di fronte ad un modello insediativo di tipo prevalentemente“poderale”: il manso appare un’unità aziendale compatta, autonoma nei suoi confini, delimitata conchiarezza nella sua individualità». Più avanti stemperano le loro affermazioni (pp.181-182), per poiriprenderle nuovamente con forza (p.188) scrivendo «non infirma l’impressione che nell’Italiaaltomedievale, fino a tutto il secolo IX, il modello di gran lunga prevalente di occupazione del suolo siastato quello dell’insediamento sparso, (…). Un paesaggio anch’esso “decentrato”».218 In PASQUALI, 2002, p.10, nella sintesi sugli studi concernenti l’economia rurale fra VI e XI secolo, sisottolinea come la presenza della piccola proprietà degli allodieri, ormai assunta a certezza nella letteratura,sia in realtà una supposizione poichè scarsamente documentata.219 TOUBERT, 1995, p.188.

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Le fonti archeologiche toscane, indirizzano verso conclusioni oppostenella ricostruzione dei quadri insediativi.220 Tra la fine del VI ed il VII secolole abitazioni di “caotico” sono già abbandonate a favore di un nuovo tipo dipopolamento raggruppato in centri. Le espressioni abitative «rilevate nellefasi tardive di occupazione (precedenti all’età longobarda) non ebbero quasimai esito»,221 segnando la formazione ed il successo secolare delle comunitàagrarie.222

L’assenza dell’insediamento sparso pare dimostrata dal “vuoto”archeologico sul territorio. Le ricognizioni di superficie raramenterintracciano le evidenze di una o più abitazioni altomedievali isolate o gliedifici di piccole fattorie ed il campione di territorio esplorato (nell’insiemedei progetti di carta archeologica delle provincie di Siena, Grosseto e delleColline Metallifere) è decisamente significativo per ampiezza (pari al23,77% del due provincie e, come abbiamo già ricordato, all’8,60% dei22990 kmq circa della Toscana).

Spesso la causa dei mancati rinvenimenti viene collegata dagli stessiarcheologi alla labilità dei depositi ed alla scarsa conoscenza dei materialiceramici: «un ritorno al modello preromano di autosufficienza, con capannein legno a graticcio ricoperto di argilla e ceramiche fatte a mano, li escludedall’analisi archeologica».223 Ma ambedue le spiegazioni non convincono;per giustificare il vuoto archeologico, ci si nasconde dietro spiegazioni oggiinaccettabili.

Grazie ad un lavoro puntuale sui materiali provenienti dai contestidella Transizione224 e da scavi sui castelli,225 disponiamo infatti di seriazioniceramiche sempre più approfondite. Inoltre è lecito domandarsi per qualeragione solo i depositi altomedievali, formatisi conseguentementeall'abbandono degli edifici in materiale deperibile, dovrebbero rimanerecelati nel terreno od irriconoscibili, quando ogni indagine di superficieindividua i resti di capanne protostoriche, etrusche, romane e tardoantiche?Non convincono neppure alcune recenti e troppo semplicistiche ipotesi sulloscarso interro dei depositi altomedievali rispetto a quelli di più anticaformazione e conseguentemente un loro depauperamento più accellerato.226

La questione è quindi più complessa e archeologicamente non possiamo che

220 Ci riferiamo soprattutto alla parte centrale e meridionale del territorio toscano poiché il nord della regionenon è stato indagato in modo estensivo, né tramite ricognizioni di superficie né attraverso scavi.221 GELICHI, 2001, p.230.222 Recenti ricerche per esempio, confermano anche per l’esteso territorio compreso tra le diocesi di Massa ePopulonia, come il VII secolo si caratterizzi per la presenza rigorosa di villaggi (DALLAI, 2003).223 CHRISTIE, 1995, p.145.224 In generale si veda SAGUI’, 1998. Per la Toscana si ricorda ancora VALENTI, 1995a; FRANCOVICH,VALENTI, 1997.225 Si vedano i recenti studi sui materiali provenienti da Poggibonsi, Montarrenti e Scarlino (VALENTI,1996a; CANTINI, 2003; MARASCO, 2003 inoltre CANTINI, 2000; CANTINI, 2003 c.s.) nonchè ilconfronto fra Rocca di Campiglia e Rocchette Pannocchieschi (BOLDRINI, GRASSI, 2003).226 FELICI, 2004.

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sottolineare l’esistenza di popolamento rurale raccolto in forme accentrateper tutto l’altomedioevo.227

La causa del vuoto di presenze deve essere quindi ricercata nellemodalità di sviluppo della rete insediativa, che sin dalla fine del VI-VIIsecolo ebbe inizio prevalentemente attraverso la costituzione di villaggi.Furono frequentazioni di lungo periodo, talvolta ininterrotte sino ad oggi,dove le testimonianze più antiche venivano obliterate con il succedersi dellefasi di occupazione e delle ristrutturazioni funzionali degli spazi.228

Rappresentarono l’ossatura sulla quale s’impostò l’insediamento dei secolicentrali del medioevo e le cui tracce sono riconoscibili solo scavando.

Tutto ciò non vuol dire che l’insediamento sparso sia in assolutoimproponibile. Su basi documentarie, per la piana di Lucca e la Garfagnana(Toscana settentrionale) e per il Chianti e le zone amiatine (Toscana centro-

227 Per una trattazione più estesa di questo tema si veda FRANCOVICH, VALENTI, 2000 eFRANCOVICH, VALENTI, 2001.228 In generale, l'eventualità di rintracciare depositi altomedievali tramite la prospezione è risultata possibiledi fronte ad una casistica particolare di emergenze, legata a contesti con cronologia di IX-XI secolo: sitidefinibili "fallimentari" e siti incastellati abbandonati con superfici circostanti non urbanizzate. Si tratta intutti i casi di insediamenti accentrati.La definizione di "siti fallimentari" individua quei nuclei di popolamento che, costituitisi durante unacongiuntura favorevole allo sviluppo della rete insediativa, furono abbandonati precocemente. Per adessotali centri sono stati localizzati in aree d'altura coperte da vegetazione boschiva; spazi connotati da terrenileggeri e ad alto tasso di acidità che, non adatti all'insediamento od a seguito di vicende proprie, hanno vistooccupazioni di breve durata. Le indagini sui siti incastellati abbandonati e con superfici circostanti nonurbanizzate hanno dato modo di rintracciare stratificazioni altomedievali, confermando l'esistenza diagglomerati aperti successivamente cinti da mura.Si veda per alcuni esempi di “siti fallimentari“ l’esperienza svolta sui monti del Chianti (VALENTI, 1995b)dove sono stati individuati contesti con ceramiche databili tra IX-XI secolo. In particolare, in località Istine(Radda in Chianti), una sommità collinare di forma allungata, a dominio del torrente Pesa, si presenta comeuna piattaforma intagliata nella roccia. Lo scavo di trincee ha mostrato l'esistenza di alcune strutture tipocapanna, con grande palo centrale, forse elevati in materiali misti (pietra e legno) e spessi strati carboniosi.La superficie non mostrava alcun tipo di materiale; la visibilità era inoltre quasi azzerata dalla vegetazionestabile.Si vedano come esempio del secondo tipo di rinvenimento ancora le esperienze svolte nella provincia diSiena. Nella zona del Chianti senese e della Berardenga, le ricognizioni in località Sestano hanno permessodi trarre informazioni da spazi boschivi e da sezioni occasionali, create dall'apertura di un sentiero. PressoLa Fonte, due rilievi collinari in successione continua, con sommità arrotondata e versanti in lieve pendenza,coperti da bosco e delimitati dalla confluenza fosso di Calceno-fiume Ombrone, contengono depositiarcheologici relazionabili ad un insediamento composto da più edifici in materiali deperibili. Le strutture delcomplesso si estendono inoltre su ambedue i versante dei rilievi collinari e sulle loro sommità. Si trattaprobabilmente dello scomparso castello di Cerrogrosso attestato nella metà dell’XI secolo dalle fonti scritte,che descrivono un nucleo di estensione ridotta, una chiesa e la probabile origine da una curtis. La ceramicaproveniente dalle sezioni è ascrivibile nel corso del X secolo e mette in risalto la presenza di un nucleoaperto preesistente al castello stesso. Anche il caso di Valcortese rappresenta un esempio ottimale. Citato sino dagli inizi dell'XI secolo, oggi èun'emergenza monumentale in completo disfacimento ed invasa da vegetazione boschiva. La ricognizioneha rivelato la presenza di due lunghe sezioni occasionali, distanti alcune decine di metri dal castello, contracce di stratificazioni ascrivibili al X-XI secolo e relative ad abitazioni in materiale deperibile con tetto inlaterizi. Questi depositi sono indizi di un villaggio aperto più antico del castello; non si esclude che possatrattarsi di un nucleo aperto poi fortificato con la recinzione della parte più innalzata.A Murlo presso la località Poggio Castello (CAMPANA, 2002), un insediamento fortificato attestato nellefonti scritte dalla metà dell'XI secolo con il toponimo di Montepescini, l'indagine di superficie ha rivelatosugli spazi circostanti molte presenze di materiali mobili; tra esse si distinguono sette concentrazioni conceramiche databili tra IX e XI secolo. Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un nucleo aperto poitrasformato in castello con la recinzione della parte più innalzata.

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meridionale), Wickham ha continuamente presentato reti insediativearticolate su centri di popolamento alternati ad aree di insediamento piùrarefatto.229 Ma l’evidenza negativa della ricerca archeologica, non stafornendo conferme e se, a dire il vero, sono mancati finora dei progetti diricerca estensivi nella lucchesia, le ricognizioni di superficie hanno inveceinteressato ampie parti del territorio amiatino e del Chianti senese.230

Esiste quindi una discrepanza tra quanto si può evincere dalle fontiscritte e quanto invece dalle fonti materiali. Dal punto di vista archeologico,però, la scarsità dei rinvenimenti suggerisce che il ruolo dell’insediamentosparso nelle vicende insediative della regione, soprattutto per le aree centro-meridionali (cioè quelle sottoposte a ricerche territoriali), dovette esseremolto marginale, mentre un posto centrale fu occupato dai villaggi.

Alcune emergenze ascrivibili al maturo alto medioevo, per esempio,sono state identificate durante le prospezioni nei dintorni di Follonica nelgrossetano231 e nella Val d’Elsa senese. Nel primo caso si tratta di repertimobili ascritti al IX secolo ed interpretati come indizio di un podere legatoalla vicina corte di Valli; la datazione si basa però su indicatori cronologicimolto dubbi. Nella Val d’Elsa, presso le località Staggia (castello dal 994sorto su un centro preesistente), Talciona (castello già nel 998) e Valle(castello già nel corso del X secolo), alcune emergenze di superficieascrivibili in un ampio lasso cronologico di trecento anni (VIII-X secolo)sono forse interpretabili come componenti di villaggi a maglie largheanteriori alla fondazione dei castelli. Questi esempi, pur con un tasso diaffidabilità incerto per lo scarso stato di conservazione dei reperti e degliipotetici depositi,232 non prospettano eccezioni al modello "siti di successo",confermando una tendenza verso l’insediamento nucleato; la lorocollocazione spaziale sottolinea di nuovo come il villaggio sembrarappresentare una realtà dominante.

Altre apparenti evidenze di insediamento sparso interpretato comepiccole case di legno in connessione con una rete di abitati accentrati, sonostate recentemente presentate per alcune aree della bassa valle dell’Albegna.Le caratteristiche delle emergenze dei materiali in superficie (circa 5 x 5 m,alcune tegole da copertura ed in genere prive di pietre), la cronologia ampiaad esse attribuita (VII-IX secolo), i criteri stessi di datazione (basati sullapresenza di frammenti ceramici riconducibili ad una brocca globulare afondo piatto ed ansa a nastro complanare al bordo individuata come “fossileguida” che trova in realtà confronto con analoghe forme datate tra metà VI-inizi VII secolo) fanno suscitare dei dubbi. Non sembra trattarsi di piccole

229 WICKHAM, 1989a; WICKHAM, 1995; WICKHAM, 1997. Sulle stesse posizioni per la zona aretina siveda DELUMEAU, 1996.230 CAMBI, 1996; VALENTI, 1995b.231 CUCINI, 1989.232 VALENTI, 1999. Tali emergenze sono state impiegate per calcolare un’eventuale divisione in unità dicoltura del territorio legato ai centri di villaggio e proporre così modelli grafici e spaziali dell’insediamentoe del territorio.

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case di legno altomedievali, piuttosto di quelle stesse case in terra e coperturalaterizia dell’età della transizione.233

5.3 – La formazione del villaggioUn problema di difficile soluzione è comprendere come nacque la

nuova rete insediativa. In un’elaborazione iniziale del modello caotico eranostate proposte una serie di eventualità che, cercando di trovare unaspiegazione all’evidente accentrarsi del popolamento, ipotizzavano nellafunzione attrattiva degli edifici religiosi e, più o meno contemporaneamente,nelle iniziative di carattere aristocratico i promotori della nascita deivillaggi.234 Ad essi si aggiungeva l’ulteriore possibilità di un’aggregazionespontanea delle famiglie rurali; l’abbandono delle case di caotico e la lorosostituzione con centri di popolamento più complessi sarebbe così derivataanche dalla necessità dei contadini di vivere raggruppati.

Oggi possiamo discutere questi aspetti tramite una disponibilitàmaggiore degli elementi di riflessione.

Il ruolo accentratore della chiesa deve essere ridimensionato; i riscontriarcheologici evidenziano soprattutto come l’edificio religioso sia statoassente dai villaggi altomedievali riconosciuti al di sotto dei castelli toscani.Nei rari casi in cui è invece attestato, sembra rimandare a realtà insediativeparticolari e meno frequenti, che ebbero un carattere più importante delsemplice agglomerato rurale.

Pensiamo in particolare al contesto di San Genesio (vico Uualari)nell’empolese, indagato da pochi anni ma con risultati già indicativi. Si trattadi un centro di grande estensione, cresciuto probabilmente intorno ad unachiesa sorta a sua volta su spazi di intensa frequentazione tardoantica (non èperò ancora accertata la continuità) ed assurta nel tempo ad un ruoloprestigioso, come testimoniano l’assemblea ivi tenuta nel 715 per redimere lafamosa controversia tra i vescovi di Arezzo e di Siena.235 Un abitatosviluppatosi progressivamente più in forma di agglomerato urbano e aderentealla definizione di vicus proposta da Castagnetti per la Langobardia: ilvillaggio contadino che rappresentava, nell’ambito di un’accentuataruralizzazione delle strutture politico-amministrative, il punto di coagulo deivincoli di solidarietà fra i suoi abitanti ed in grado di configurarsi con unacerta autonomia amministrativa.236 Lo ritroviamo citato tra fine X e XII

233 FENTRESS, WICKHAM, 2002, pp.260-261 in particolare e nota 4.234 Questa ipotesi, priva di riscontri di scavo, si basava sulla coincidenza fra gli abbandoni delle abitazioni dietà caotica e la comparsa di chiese nelle loro vicinanze. La riconversione delle aree rurali nell'orbita dipoteri ben definiti veniva collocata in tale periodo, parallelamente al ritrovato interesse della chiesa el'avvento di organismi fondiari legati all’aristocrazia.235 Nell’assetto territoriale della Toscana di età longobarda, Siena fu favorita con un accrescimento della suagiurisdizione civile a spese di Arezzo. Di conseguenza i vescovi senesi pretesero l’ampliamento delladiocesi fino alla sovrapposizione con il distretto cittadino, dando così inizio alla plurisecolare questionedell’appartenenza delle chiese battesimali poste nella fascia di confine. Tra i tanti interventi sulla questionesi vedano SCHNEIDER, 1975; SETTIA, 1982; TABACCO, 1966; TABACCO, 1969; TABACCO, 1973a;VIOLANTE, 1982.236 CASTAGNETTI, 1982; CASTAGNETTI, 1991; inoltre GALETTI, 1991.

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secolo nell’itinerario di Sigerico ed in quello di Nikulas abate di Thingor.Inoltre fra il 1055 ed il 1164 fu la sede prescelta per le diete indette dai messidel potere imperiale, raccogliendovi i rappresentanti delle città e delle altearistocrazie toscane.237

Nella casistica dei contesti insediativi altomedievali toscani l’edificioecclesiastico, quindi, non sembra essere stata un elemento “fondamentale”del villaggio. Azzara, in un contributo recente di sintesi, ha osservato: «lacapacità di attrazione di una specifica chiesa potrebbe aver pur semprefavorito lo svilupparsi nel tempo di un nuovo nucleo demico attorno ad essa»e «a sua volta, avrebbe potuto farle ottenere il rango di pieve, se già non lopossedeva».238 Ciò non toglie che le manifestazioni archeologiche individuatenella nostra regione sembrano indicare nei centri privi di chiesa la formainsediativa predominante e piuttosto negli esempi archeologici più chiaricome San Genesio (che rientra a pieno titolo nella casistica di Azzara) leeccezioni.

Oltretutto, non si potrà ignorare, anche di fronte ad una futura edeventuale dimostrazione del contrario, come questo sia il fenomeno finorapiù macroscopico; in tutti i centri indagati (con la sola eccezione di Scarlinoper il IX secolo) l’edificio ecclesiastico continua a non far parte dellestrutture comunitarie. Riconoscere la presenza e la destinazione funzionaledella struttura quando non venne costruita in muratura è difficile, soprattuttoin contesti insediativi caratterizzati da grandi quantità di buche di palo spessoappartenenti a fasi diverse e molto ravvicinate nel tempo. Ma una gamma dicasi per effettuare confronti, seppure quantitativamente non estesa, esiste.239

Pertanto la non evidenza archeologica di questo tipo di edifici è interpretabilecome assenza certa tra le componenti del villaggio: una tendenza forseconfermata anche dalle fonti scritte per i centri di popolamento rurale dellaToscana dell’intero periodo longobardo che propongono chiese isolate e

237 CANTINI, 2002.238 AZZARA, 2001, p.5.239 I casi indagati di chiese in legno, provenienti soprattutto dall’Italia settentrionale, sono pochi: San Pietroa Gravesano (sacello di IV secolo), San Martino a Sonvico (prima metà del VII secolo), Chiesa Rossa aCastel San Pietro (VII secolo?), Sant’Ilario a Bioggio (prima metà VIII secolo), San Vittore a Terno d’Isolae Santa Maria Nullate a Fermo alla Battaglia (generico altomedioevo), infine San Tomè a Carvico (primametà VII secolo). De Marchi, tipologizzando gli impianti edilizi fra tardoantico ed altomedioevo, hasottolineato che le strutture in legno possono presentarsi come un semplice sacello rettangolare od essereprovviste di abside trapezoidale o semicircolare sia realizzato tramite pali sia in pietre; in un secondomomento vennero ricostruite in muratura. Si veda DE MARCHI, 2001. Una ricca tipologia di églises enbois du haut moyen-age riconosciute da scavo è invece disponibile per la Svizzera; al riguardo si vedaBONNET, 1997.San Tomè rappresenta ottimamente questo tipo di successione nella tipologia degli edifici (BROGIOLO,1986; BROGIOLO, 1990; BROGIOLO, GELICHI, 1996). Lo scavo ha identificato quattro fasi principali.La prima è rappresentata da un edificio absidato in legno. poi ristrutturato (seconda fase) attraversol’aggiunta di basamenti in pietra per l’appoggio dei pali lungo l’asse centrale (datati da una fibula ageminatadi VII secolo). La terza fase vede l’abbattimento dell’edificio in legno per far posto ad una costruzioneabsidata in muratura, interessata successivamente da una ripavimentazione. Nell’ultima fase si realizzanoopere difensive, costituite da un fossato con terrapieno, all’interno del quale si è rinvenuta una moneta diCarlo Magno. Nell’area del nartece, contemporaneo alla chiesa in muratura, erano presenti cinque sepolture,di epoca leggermente più tarda.

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sparse nel territorio.240

Alcune congetture, che sostanzialmente non differiscono dal quadrotracciato, sono proponibili sulla base dei dati di ricognizione per chiese postenella Versilia, in Val d'Elsa, nel Chianti senese e nella Garfagnana. AllaPieve di San Giovanni e Santa Felicita nei pressi di Pietrasanta, documentatadalle fonti scritte dal IX secolo, le arature nei campi circostanti hanno portatoalla luce alcuni reperti mobili; attestano una frequentazione da porsi nel VIsecolo conclusasi agli inizi del VII secolo, sottoforma di pochi edifici inlegno e con riutilizzi di strutture precedenti.241 A Galognano in comune diColle Val d'Elsa, la chiesa esisteva già nel VI secolo come rivela ilrinvenimento di un tesoretto composto da suppellettili dedicate;242 lericognizioni hanno mostrato la presenza di tre piccole emergenze con lastessa cronologia.243 A San Marcellino, nel Chianti, la pieve altomedievale fuedificata sul sito di una villa frequentata fino in età tardoantica ed i campicircostanti evidenziano l'esistenza di uno scarso popolamento che non si poneoltre alla metà-fine del VI secolo.244 Santa Cristina in Caio a Buonconvento,pieve attestata per la prima volta nell’anno 815 sorse anch’essa nellevicinanze di una grande villa lungamente frequentata che tra IV e VI secoloospitava un’area cimiteriale.245 I pochi frammenti ceramici posteriori al V-VIsecolo rinvenuti durante accurate ricognizioni nei suoi dintorni, nonconcedono di ipotizzare la presenza di un villaggio sviluppatosi inconnessione all’edificio religioso e non retrodatano la chiesa stessa.246 Allostesso modo è difficile collegare le ceramiche di metà VI-inizi VII secolorinvenute in passato alla villa di Massaciuccoli ad un centro di popolamentostabile.247

Figura 49

240 SETTIA, 1991, pp.167-284.241 PARIBENI ROVAI, 1995, pp.170-177.242 Si tratta di un corredo eucaristico noto con il nome di «Tesoro di Galognano», composto da sei oggetti inargento: quattro calici, una patena ed un cucchiaio. La scoperta è stata effettuata casualmente nel 1963 in uncampo distante 80 metri dalla chiesa romanica di San Lorenzo in Pian dei Campi (von HESSEN et alii,1977; KURZE, 1989; SANTI, 1994; MUNDEL MANGO, 1986; von HESSEN, 1990; ARCAMONE,1984). Il corredo è costituito da manifatture in argento: un calice grande, due calici medi, un calice piccolo,una patena, un cucchiaio. Si distingue da analoghi tesori altomedievali rinvenuti in Italia perchè sicuramenteex proprietà di una chiesa, quella di Galognano, come attesta l'iscrizione presente su uno dei calici medi: «+HUNC CALICE (M) PUSUET HIMNIGILDA AECLISIAE GALLUNIANI». Sulla patena corre invece lascritta incisa a bulino e poi niellata (si scorge il residuo in corrispondenza della "S") «+ SIVEGERNA PROANIMAM SUAM FECIT». Dal punto di vista linguistico si tratta di un latino ormai lontano dalle formeclassiche e con elementi estranei alla declinazione; per esempio «CALICE» è privo della terminazionedell'accusativo, «PUSUET» sostituisce pusuit, «AECLISIAE» sostituisce invece ecclesiae. I nomi delle duedonatrici, cioè «HIMNIGILDA» e «SIVEGERNA» sono di origine ostrogota; il secondo, per esempio(ARCAMONE, 1984, p.254), è un nome composto con i temi germanici sibajo- (stirpe) e -gerno(premurosa). Attestano la presenza di nuclei goti nella zona.243 VALENTI, 1999.244 VALENTI, 1995b.245 GOGGIOLI et alii, 1995.246 I rinvenimenti sono stati effettuati durante le ricognizioni di superficie svolte nell’ambito del progettoCarta Archeologica della Provincia di Siena; si veda la tesi di laurea CENNI, 2002.247 CIAMPOLTRINI, NOTINI, 1993.

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In molti dei casi elencati, le ricognizioni attestano presenze di scarsoconto, da leggere come un semplice addensamento demografico intorno agliedifici ecclesiastici. Le emergenze di reperti mobili in superficie potrebberopoi rappresentare abitazioni di “caotico” abbandonate prima dellacostruzione degli edifici religiosi; le frequentazioni hanno termine tra VI-forse inizi VII secolo e non abbiamo indizi della continuità di popolamentonell’alto medioevo: sembrano delle brevi esperienze insediative fallite quasisul nascere.248 Mancano sia dati di scavo sia di ricognizione che indichinouna delle molte chiese rurali toscane ergersi a promotrice o perno dellaformazione di un nuovo insediamento agricolo o silvo-pastorale di lungafrequentazione sino dal VI-VII secolo.249

Se si deve riconoscere che le indagini archeologiche su edifici religiosie sui loro dintorni non sono state perseguite con sistematicità come èavvenuto in altre regioni, al tempo stesso non si può chiudere gli occhi difronte alla esiguità numerica delle presenze di materiali mobili rivelata dallestesse ricerche di superficie sugli spazi circostanti. Troppo spesso, inoltre,una bassa percentuale di reperti databili nel corso del VI secolo raccolti suun’emergenza riconoscibile come villa o complesso produttivo non viene piùinterpretata come una rioccupazione di scarso profilo delle sue strutture.Bensì il segno di una continuità come centro di organizzazione dellaproprietà terriera e del popolamento, che si vuole confermata dall’esistenzadi una chiesa (attestata da fonti documentarie altomedievali o più tarde maretrodatata sulla base delle ceramiche tardoantiche in superficie), seguendo lesuggestioni di quanto si va elaborando nel nord e senza considerare che lacampagna toscana fu interessata da una severa destrutturazione tra V e VIsecolo.250

248 Gelichi afferma che in generale l’archeologia «forse non potrà chiarire il falso problema del rapportoplebs-pagus, ma aiuterà certamente a conoscere l’evoluzione materiale di tali insediamenti, come nel caso,non infrequente, di chiese sorte su ville o strutture rustiche tardo romane. Può anche capitare che intorno aduna chiesa si sviluppi un insediamento; più facile la presenza di edifici abitativi connessi con il luogo diculto o resti di attività artigianali e produttive. Alcune di queste sono strettamente collegate con laproduzione di oggetti di pertinenza liturgica» (GELICHI, 1997).249 Patrick Périn e Jean-François Reynaud, interrogandosi sulle prime chiese e sulle origini delle pievi ruralifrancesi, riconoscono un processo di cristianizzazione delle campagne per mezzo dei vici, ad opera deigrandi proprietari (quindi attraverso le villae) e dei monasteri. Le prime chiese battesimali sono attestatesino dal V-VI secolo e tra VI-VII secolo nella Gallia del Nord. Durante l’VIII secolo, la moltiplicazionedelle chiese contribuisce a riunire ed a stabilizzare la popolazione, senza essere però all’origine dellaformazione dei villaggi. In questa fase le necropoli sono abbandonate, i cimiteri vengono trasferiti nei pressidella chiesa e quest’ultima diviene uno degli elementi fondamentali del paesaggio francese. E’ tra VIII e Xsecolo che si costituisce una vera e propria rete parrocchiale: segna una mutazione profonda del mondorurale e la sua definitiva cristianizzazione. La costituzione del territorio di una pieve nasce comunque inmodo progressivo, iniziando come una copertura delle campagne più che di una rete organizzata. Si vedaPÉRIN, REYNAUD, 1990. Recentemente Reynaud ha precisato ancora i modelli di riorganizzazioneecclesiastica in Gallia tra VII e VIII secolo (REYNAUD, 1999).250 Come viene proposto nel paragrafo 5.1, le ricognizioni mostrano un notevole collasso della reteinsediativa rurale tra I-IV secolo (in media 1,27 siti per kmq), IV-VI secolo (in media 0,25 siti per kmq) eVI-VII secolo (in media di 0,10 siti per kmq); il decremento delle strutture è pari al 498% nel periodo IV-VIsecolo con un crollo ulteriore del 251% tra VI-VII secolo (e del 1254% dal periodo di maggiorepopolamento).

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In generale nell’Italia settentrionale altomedievale, la presenza dichiese isolate sul territorio ha fatto ipotizzare la loro relazione con una reteinsediativa sia di tipo accentrato sia, soprattutto, di tipo sparso251 (cheparrebbe trovare fondamento sulle fonti storiche);252 sinora le ricognizioniterritoriali, nei pochissimi casi nei quali sono state svolte, non hanno peròportato delle conferme.

Anche quelle chiese che sono state oggetto di scavi,253 pur fornendodati sulla loro fondazione già in età tardoantica od agli inizi dell’altomedioevo, non mostrano un chiaro rapporto fra edificio religioso epopolamento,254 così come con la nascita dell’insediamento accentrato.255 Inumerosi interventi effettuati in Piemonte, Lombardia, Friuli e Trentinoevidenziano per il V-VII secolo soprattutto un processo capillare dicristianizzazione svoltosi attraverso chiese edificate sfruttando i resti delleville abbandonate e, in minor numero, scegliendo nuovi spazi. Talvolta icomplessi tardoromani continuano ad essere impiegati anche come areacimiteriale o come zona abitativa contemporaneamente all’uso della chiesa;sono però frequentazioni che allo stato attuale dei dati non permettono diipotizzare comunità di grandi o medie dimensioni e soprattutto di lungadurata. La sola parziale eccezione sembra costituita dal contesto piemontesedi Desana dove una chiesa di V secolo edificata sugli spazi di una villa inrovina, vide lo sviluppo di un cimitero fra VII e VIII secolo affiancato dacapanne che non sono riconducibili però ad un modello chiaro di habitat.256

I problemi da risolvere sono ancora molti per chiarire il rapporto trachiesa ed abitato circostante. Innanzitutto di scala: quanto erano estesi questiinsediamenti? In secondo luogo di tipo numerico: a quanti individui

251 CANTINO WATAGHIN in BROGIOLO, CANTINO WATAGHIN, 1994, p.143: «Il prevalere di unhabitat disperso è tuttavia suggerito in più circostanze dalla posizione delle chiese battesimali, la cuiindividuazione rappresenta una delle acquisizioni più significative della ricerca archeologica recente».252 SETTIA, 1982, pp.466-467; SETTIA, 1991, pp.167-284.253 Si vedano BROGIOLO, 2001 e BROGIOLO et alii, 2003.254 Brogiolo sottolinea con rammarico che nelle indagini archeologiche condotte «il rapporto tra chiese edinsediamenti è stato tuttavia considerato solo marginalmente: gli scavi di emergenza si sono in generelimitati ad investigare il deposito stratigrafico collegato alla chiesa, senza poter ampliare la ricercaall’habitat circostante. Anche quando si riesce a dimostrare che la chiesa sorge su un insediamentopreesistente, rimangono sovente irrisolti problemi centrali. Ad esempio quale fosse la vitalità economica e lacomposizione sociale dell’insediamento al momento della fondazione della chiesa e quale la sua evoluzionesuccessiva, quale il rapporto con i siti circostanti, quando si sia sviluppata un’organizzazione ecclesiastica econ quali relazioni e dipendenze tra i singoli luoghi di culto» (BROGIOLO et alii, 2003, p.11). AncheGelichi aveva ricordato che «l’archeologia delle chiese, (…), risente troppo dei condizionamenti di unaricerca il più delle volte casuale e parcellizzata, che raramente prende spunto dallo specifico dell’edificio diculto per estendere l’indagine al territorio circostante» (GELICHI, 1997).255 DE MARCHI, 2001, pp.63-64, trattando la Lombardia e parte del Canton Ticino tra VII e VIII secolo:«Le fonti archeologiche disponibili relativamente agli edifici di culto e agli insediamenti presentano ancoracarattere di discontinuità, nel caso degli insediamenti sono del tutto carenti»; «risulta difficile sapere se equali luoghi di culto a noi noti si trovassero vicino o presso centri abitati preesistenti o di nuova fondazione(vici), al loro interno, al centro di una corte presso le case signorili, o in posizione isolata, ma centralerispetto al territorio, in modo da potere essere raggiunti da una popolazione rurale che viveva in villaggisparsi o distribuita nei terreni (loci, fundi, capanne, case massariciae), dove lavorava la terra».256 PANTO’, PEJRANI BARICCO, 2001, pp.30-34: il contesto «sembra comunque configurarsi secondo unassetto sparso, caratterizzato dalla commistione tra le aree insediate e funerarie, sorte in adiacenza allestrutture abbandonate di un edificio rustico di età tardoantica».

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ammontava la comunità? Infine di tipo socio-economico; come si è chiestoBrogiolo «l’archeologia non è attualmente in grado di chiarire la posizionesociale dei nuovi abitanti e rimane perciò aperto un problema di fondo perricostruire l’evoluzione delle campagne in questa fase cruciale: il gruppoinsediatosi nella villa era formato da liberi coltivatori, sostituitisi (in chemodo?) agli antichi proprietari, o da servi e affittuari dipendenti da un riccopossessore che abitava altrove?».257

Applicare i modelli interpretativi dell’Italia del nord alle scarseevidenze toscane è quindi ancora difficile. Non abbiamo alcuna provamateriale per proporre anche qui l’azione decisiva dei possessores nellacristianizzazione delle campagne tra V e VII secolo258 e leggere larioccupazione delle ville quasi in chiave ideologica: il recupero dei luoghisimbolici del potere per affermarsi e legittimarsi come detentori dellaproprietà fondiaria; il tentativo di trasferire sulle nuove forme insediative(abitazione del possessor, chiesa, area cimiteriale e addensamentodemografico nei loro dintorni) il ruolo di organismo di dominio e diammassamento della popolazione legato ai complessi produttivitardoromani.259

Con l’avanzare di ricerche, soprattutto tramite scavi mirati, in futuro ilmodello potrebbe essere esteso alla Toscana, oppure rivelare alcune suevariabili; ma sulla base del record archeologico odierno non siamoautorizzati a confermare alcuna tendenza in tal senso.

La sovrapposizione complesso tipo villa-chiesa non è automaticamentericonducibile a una continuità insediativa e ad un ruolo importantenell’organizzazione delle campagne poiché, nella maggior parte dei casil’edificio religioso si inserisce sulle strutture romane già esistenti dopo unalunga fase di abbandono.

Cantignano fu costruita nell’VIII secolo su un complesso di genericaetà imperiale,260 a San Bartolomeo a Triano, Santa Giulia di Caprona,261 SantaFelicita a Pietrasanta e Casale Marittimo262 su contesti della stessa cronologiaed a San Lorenzo a Vaiano263 su un complesso di V secolo furono impiantatechiese pre-romaniche e romaniche, Gropina a Loro Ciuffenna vide unasuccessione di due chiese tra VII e VIII secolo su un insediamentogenericamente di periodo romano,264 Santa Cristina presso Bonconvento, San

257 BROGIOLO et alii, 2002, p.290.258 Oltre alla bibliografia già citata si vedano soprattutto per la Lombardia anche ANDENNA, 1990;LUSUARDI SIENA et alii, 1992; SANNAZZARO, 1992.259 In Francia, nella territorio di Metz, la rioccupazione delle ville dopo una fase di abbandono è statainterpretata come la scelta delle élites, che dal maturo V secolo tentano di legittimare il possesso della terrain un’epoca segnata da un notevole tasso di competizione sociale nonché dalla necessità di asserzione delpotere a livello locale presso le comunità rurali: ville come “unità fiscali di affermazione” (HALSALL,1995, pp.248-253; al riguardo AUGENTI, 2003).260 CIAMPOLTRINI, 1995.261 CIAMPOLTRINI, 1995.262 CIAMPOLTRINI, 1994; CIAMPOLTRINI, 1995.263 MILANESE, PATERA, PIERI, 1997.264 Gabrielli in FRANCOVICH et alii, 2003.

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Marcellino a Gaiole in Chianti e Pacina presso Castelnuovo Berardenga,265

pur attestate dall’alto medioevo, non mostrano alcun rapporto di continuitàcon le vicine emergenze romane.

Le eccezioni sembrano rappresentate soprattutto dalla pieve diSant’Ippolito ad Anniano nel Valdarno inferiore (su un abitato trasformato inmausoleo nel IV secolo fu edificata nello spazio di un cinquantennio unapiccola chiesa ad aula rettangolare poi sostituita nel VI secolo da un edificiopiù esteso)266 e dalla Pieve a Nievole per la quale, però, la fondazione dellachiesa alla fine del VI secolo su un complesso romano già destinato ad areacimiteriale nel V secolo e con riusi a scopo abitativo è solo un’ipotesi sinorascarsamente comprovata;267 ed allo stesso modo la chiesa battesimale diMassaciuccoli la cui fondazione nel corso del VI secolo con l’edificiotardoantico ancora in vita268 è comunque solo una supposizione.269 Ad essepossiamo aggiungere alcuni casi di fonazione ex novo come Santo Stefano aFilattiera dove un intervento di scavo ha mostrato un primo edificioecclesiastico nel VI secolo,270 la chiesa di Galognano già esistente in età gota,San Paolo a San Polo nell’aretino che forse insiste su un precedente impiantopaleocristiano.271

Anche se il binomio villa-chiesa troverà delle confermenumericamente più consistenti sembra comunque plausibile prospettare ilfallimento quasi sul nascere di un’eventuale politica di controllo e diaccentramento della proprietà rurale; la fondazione di una serie di edificireligiosi nelle campagne non riuscì a modificare i processi sociali edeconomici di una campagna affossata demograficamente a partire dalla metàdel V secolo e nella quale le forme insediative che andavano nascendoseguirono logiche diverse sin dal secolo successivo.

Questa ipotesi si accorderebbe con il quadro storico tracciato daViolante per le campagne toscane tardoantiche e del primo altomedioevo,272

265 VALENTI, 1995b.266 CIAMPOLTRINI, MANFREDINI, 2001.267 CIAMPOLTRINI, PIERI, 1998; CIAMPOLTRINI, PIERI, 1999; CIAMPOLTRINI, PIERI, 2004.Ciampoltrini, in quest’ultimo contributo afferma che «La presenza di un edificio tardoantico di tono “alto”,qualificabile come “villa”, (…), a Pieve a Nievole è – come si è visto – solo congetturale, indiziataindirettamente dal materiale laterizio di reimpiego» (CIAMPOLTRINI, PIERI, 2004, p.26); prosegue poi«Seppure solo per suggestione, si potrebbe quindi concludere che nei calamitosi frangenti della secondametà del VI secolo l’antico complesso di Pieve a Nievole, (…), fosse stato scelto come sede di un edificioreligioso destinato a fungere da polo di riferimento di un vasto distretto» (CIAMPOLTRINI, PIERI, 2004,p.28). In realtà l’autore che si è occupato in più occasioni del rapporto villa/complesso tardo romano – pieve,propugnandone la continuità e vedendo nella maggior parte degli edifici fondazioni in età della transizione,non dispone mai di elementi decisamente convincenti, fose con l’eccezione dela Pieve di Sant’Ippolito dovel’esiguità dello scavo ed una strategia per trincee non permette comunque di proporre dati certi.L’impressione che si ha è di un riferimento e di una lettura dei dati archeologici all’interno di un modellopreconcetto. 268 Recentemente si sono posti dei dubbi sull’interpretazione dell’intero complesso come villa; inCIAMPOLTRINI, 1998, Massaciuccoli viene così ripartito in una grande villa d’otium ed in una mansio.269 CIAMPOLTRINI, NOTINI, 1993.270 GINNICHEDDA, LANZA, 2003, pp.80-86.271 GABRIELLI, 1990, pp.46-51, 124 n.17, 149-150.272 VIOLANTE, 1982; Gabrielli in FRANCOVICH et alii, 2003.

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nel quale si intravede una scarsa diffusione del processo di cristianizzazionecon una rete di insediamenti religiosi insufficiente e non strutturata, conconferme fornite dai carteggi di papa Gelasio I e di Gregorio Magno.273 Ilrecupero dei ruderi di edifici rurali potrebbe collegarsi alle fondazioni che frala fine del VII e gli inizi dell’VIII secolo crearono nuovi centri di vitareligiosa nel territorio, quando ormai l’assetto territoriale con distretti pievanisi andava definendo; non è un caso che in questo periodo si verificarono laben nota disputa tra i vescovi di Siena e di Arezzo, così come quelle tra ivescovi di Lucca e Pistoia per il distretto della baselica Sancti Petri locus ubidicitur Neure.274 E’ più probabile che le chiese esistenti, delle quali nonconosciamo le vicende (furono veramente edificate in età tardoantica? difronte alla crisi demografica ed economica delle campagne continuarono adessere attive?) servissero una serie di insediamenti posti nei loro dintorni ecostituitisi a partire dalla fine del VI e dal VII secolo. In altre parole: non fula rete del popolamento a modellarsi in relazione alle chiese esistenti, bensì ilcontrario.

Le origini del popolamento accentrato altomedievale sono dariconoscere nella scelta spontanea delle famiglie rurali di vivere raccolteoppure nella decisione di un proprietario, con modalità di costituzione chesottolineano sia la scelta di colonizzare nuovi spazi sia la persistenza su areedi popolamento già collaudate.

In alcuni casi l’occupazione risulta ex novo come a Montarrenti,Miranduolo, Rocca di Campiglia, Rocchette Pannocchieschi. In altri, cioè neidue esempi di più antica attestazione, ovvero Scarlino e Poggibonsi, e in uncontesto dove la ricerca è ancora agli inizi (Donoratico) ricalca dei rilievicollinari già occupati più o meno intensivamente fino dall’età tardoantica.

A Scarlino il primo impianto di capanne alla fine del VI-VII secoloavvenne su depositi, seppur alterati, databili fra l’età ellenistica e IV-Vsecolo. A Poggibonsi fra metà V e VI secolo, la collina ospitava un nucleo dicarattere agricolo ed allevatizio, del quale sinora sono state riconosciutealcune componenti. Si tratta di cinque abitazioni a pianta rettangolare, conmuri in terra fondati su zoccoli in pietra e tetto in laterizi ad uno spiovente.Hanno dimensioni standardizzata di circa 30 mq, si dislocano intorno ad unaprofonda e larga calcara, erano affiancate da alcune infrastrutture (undeposito per acqua in mattoni, una zona per la macellazione di animali) e daun tratto di campo arato od un ampio orto fossilizzato. Tali evidenza lascianointravedere uno spazio organizzato che potrebbe essere stato parte di uncomplesso produttivo tipo un’azienda od una villa di età gota andata in

273 Gelasio I sottolineava lo scarso popolamento della Tuscia, l’esiguità numerica e l’insicurezza dellefondazioni ecclesiatiche dipendenti dai vescovi, la presenza di chiese private. Gregorio Magno lamentavainvece l’assenza di vescovi, preti e chierici, il basso numero di chiese battesimali, la vacanza delle sedivescovili, le numerose chiese in rovina, crollate o incendiate (VIOLANTE, 1982, pp.989-990; 1007-1013;Gabrielli in FRANCOVICH et alii, 2003, pp.267-268).274 CIAMPOLTRINI, PIERI, 2004, p.27; REDI, 1991.

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graduale declino.275 Nella seconda metà-fine del VI secolo, assistiamo ad uncambiamento radicale degli spazi insediati. Il complesso costituito da case diterra venne abbandonato e ad esso si sovrappose un insediamento di capanne.

Figura 50 e 51

Le fasi d’età longobarda di Scarlino e Poggibonsi attestano la presenzadi una popolazione priva di differenze sociali ed economiche al suo interno;le capanne risultano per lo più tutte uguali e non si riconoscono segni digruppi o di individui segnalati da un maggior grado di benessere o perarticolazione e topografia delle proprie abitazioni. La mancanza di traccearcheologiche che rivelino una gerarchia sociale sembrerebbe accordarsi conil potere limitato delle aristocrazie, almeno sino a poco dopo l’VIII secolo, ela relativa autonomia delle comunità rurali formate da contadini proprietari inmolte parti dell’Italia?276 E’ difficile fornire risposte in un senso o nell’altro;gli unici elementi certi che si possono proporre sono l’uniformità economicadella popolazione residente e l’assenza della figura signorile nel villaggio perla durata di oltre un secolo.

In questa direzione un problema di difficile soluzione a livelloregionale è sapere chi erano e da dove venivano le famiglie rurali presenti neinuovi centri di insediamento. Con questo non intendiamo semplicementeappurare se si trattò di autoctoni o di invasori poichè è vero che l’attenzionedeve essere spostata «dalle relazioni tra i gruppi etnici alla costruzione di unasocietà nuova nell’Italia longobarda».277 La questione è invece diversa edaffrontarla significa contribuire a capire la formazione degli insediamentirurali del primo altomedioevo; avere degli esempi del tipo di organizzazioneche fu data alla proprietà fondiaria e quale ruolo ebbero le famiglie contadinelocali.278

275 SALVADORI, VALENTI, 2003. L’interpretazione della villa è solo un’ipotesi ancora da comprovare.Se, con il prosieguo dello scavo, non verrà individuata l’eventuale area padronale, si dovrà forse proporre lapresenza di un piccolo centro rurale simile a quello scavato in località Pantani-Le Gore presso Torrita diSiena (CAMBI, MASCIONE, 1998; MASCIONE, 2000).276 Sul potere limitato delle aristocrazie sino all’VIII secolo si veda soprattutto WICKHAM, 1998, pp.153-170 e WICKHAM, 1999, pp.15-16. Tra i tanti si vedano poi gli accenni in PASQUALI, 2002;ANDREOLLI, 1983 e più approfonditamente i contributi ANDREOLLI, 1999; TOUBERT, 1995;FUMAGALLI, 1978b e bibliografie riportate. Cammarosano sostiene una posizione ancora più radicale;colloca negli anni che vanno dal 950 al 1100 circa la fase fondamentale di assestamento locale dellearistocrazie, vedendo una fragilità di fondo nell’insediamento delle élites laiche per tutto l’altomedioevo(CAMMAROSANO, 1998; inoltre CAMMAROSANO, 2003).277 DELOGU, 1997, p.430.278 Oltre quindici anni fa, nelle zone campione di Torino, Brescia e Verona, processando i dati registrati nellenecropoli (caratteristiche delle sepolture, dei resti scheletrici, dei manufatti di corredo ecc.) e lastratificazione toponomastica, furono proposti quattro modelli insediativi: una sovrapposizione longobardaaccanto alla popolazione locale, la ristrutturazione della rete insediativa creando ex novo insediamenti conproprio territorio tramite acquisizione di terra dagli insediamenti confinanti, la fondazione di nuoviinsediamenti in zone incolte, insediamenti misti dove si verifica una commistione razziale (LA ROCCA,HUDSON, 1987). Questi schemi interpretativi, se applicati alla Toscana, farebbero pensare ad unapopolazione dei centri rurali molto differenziata al suo interno e che poteva comprendere, sia separatamentesia in commistione, le famiglie contadine prelevate dalle case e dai centri di caotico, popolazionecoinvogliata dalle città, piccoli proprietari longobardi e servi di arimanni longobardi. Non possiamo peròproporre ipotesi fondate e l’unica soluzione percorribile è senza dubbio individuare e scavare i cimiteri

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Alcuni indizi, in realtà, sembrano mostrare che la formazionedell’insediamento accentrato doveva essersi svolta con modalità proprie dazona a zona, collegandosi sia a decisioni spontanee delle famiglie rurali(dietro la necessità di sfruttare nel migliore dei modi la terra) sia guidata daesponenti dell’aristocrazia. Scarlino potrebbe rientrare nella prima categoria,mentre nella Valdelsa si ha l’impressione in alcuni casi dello svolgersi di unprocesso di ammassamentum hominun. La ricognizione mostra la persistenzadel popolamento nelle aree in cui si era articolato l’insediamento di periodocaotico. Dove esistevano famiglie contadine attive e dove la terra era ancoracoltivata, vennero impiantati i nuovi organismi fondiari; il processorealizzatosi, pare corrispondere alla formazione di centri che controllavano ilterritorio agricolo circostante sostituendosi alla maglia dei poderi esistenti trafine VI-VII secolo, la cui popolazione potrebbe essere stata fatta trasferirenei nuovi villaggi. In molti centri del poggibonsese, dove si presumecontinuità d’insediamento per tutto l’altomedioevo, possiamo immaginare lapresenza di gruppi di origine longobarda ai quali erano stati assegnati dalpotere regio territori più o meno estesi; per tutti citiamo l’esempio dellafamiglia dominante di Staggia.279

Nel caso del contesto scavato a Poggibonsi, il passaggio repentinodalle case in terra alle capanne, potrebbe anche rappresentare l’avvenutoesproprio di un fundus sfruttato in età gota o forse l’occupazione di unpiccolo nucleo di popolamento abbandonato280 e la costituzione di un nuovoinsediamento dove un esponente dell’aristocrazia longobarda coinvogliò deirustici. La specializzazione delle attività nella pastorizia pare attestare perquesto periodo delle famiglie soprattutto dipendenti.281 Inoltre, l’unica spiapervenutaci di una serie di vincoli a cui la popolazione era sottoposta sembra

connessi ai centri d’insediamento, effettuare indagini di tipo antropologico e soprattutto analisi del DNA:attribuire «a ciascun scheletro un passaporto» come ha scritto alcuni anni fà, polemicamente, Settia(SETTIA, 1994, pp.64-69). Questi risultati dovranno poi essere valutati e confrontati con elementi più“archeologici”, come per esempio il tipo di cultura materiale delle abitazioni e la tipologia delle capanne,riflettendo su coincidenze e discordanze.279 La genealogia della famiglia dei Lambardi di Staggia, raffigurata in una pergamena miniata nella metàdel XII secolo proveniente dall'archivio della Badia a Isola (CAMMAROSANO, 1993, n.75, ante 1164gennaio; il documento è riprodotto in CAMMAROSANO, 1993 ed in KURZE, 1989), attesta l'antichità ditale gruppo e non dobbiamo escludere che il primo nucleo fondiario intorno a Staggia possa risalire al regnolongobardo. Kurze, basandosi sui primi documenti di Isola e sugli antenati di Ildebrando citati dallaGenealogia deduce che Ildebrando stesso (in età virile nel 953 e morto già nel 994) doveva essere natointorno al 930. Adottando quindi i trenta anni come intervallo generazionale (un valore plausibile; ilcimitero altomedievale scavato a Poggio Imperiale a Poggibonsi vede infatti la maggioranza dellapopolazione deceduta tra i 30 ed i 35 anni) passa in rassegna cinque generazioni (i nomi citati sembranoprovenire dalla tradizione orale tramandatasi nella famiglia stessa: CAMMAROSANO, 1993, pp.39-41),cioè Rodulfiatus, Odalberto, Gisalprando ed infine il quadrisavolo e capostipite Reifredo, collocando lanascita di quest'ultimo nel decennio 770-780 (KURZE, 1989, pp.234-235).280 In caso affermativo, cioè di un complesso rurale ancora organizzato, si tratterebbe di una delle pocheforme di controllo della campagna senese, se non l’unica, poichè i contesti individuati nelle indaginiterritoriali nel corso di tredici anni (l’inizio del progetto Carta Archeologica della Provincia di Siena data al1990) mostrano continuità di frequentazione episodica e marginale.281 Sui pastori e dei porcari in età longobarda si vedano in particolare BARUZZI, MONTANARI, 1981;ANDREOLLI, MONTANARI, 1983; ANDREOLLI, 1999; PASQUALI, 2002, pp.75-98. Per una sintesisulla servitù in generale si veda soprattutto PANERO, 1999 e l’ampia bibliografia citata.

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riconoscibile, come ha rilevato l’analisi archeozoologica, nell’assenzarigorosa di selvaggina dalla dieta quotidiana; la mancanza di ossa pertinentiad animali selvatici dai depositi di queste fasi potrebbe indicare spazi il cuiuso per attività venatorie era vietato o riservato ad altri soggetti.282 L’assenzadi un potere signorile sarebbe stata quindi solo “virtuale” e collegata allascelta del signore stesso di non vivere nel villaggio.283

Figura 52

Di fronte all’eventualità di villaggi che non nacquero dall’azionespontanea dei contadini ma che facevano parte di patrimoni, dobbiamocomprendere dove potevano vivere i detentori (in toto od in maggioranza)della proprietà fondiaria. Gelichi ha sottolineato che «è plausibile pensareche i nuovi possessores risiedettero prevalentamente in città o nei castra,alcuni dei quali acquisirono una funzione nel controllo del territorio».284

In quelle parti della Toscana, dove il modello proposto per la Valdelsatroverà conferme (cioè centri di popolamento sorti per iniziativaaristocratica), è più probabile la prima eventualità. I castra, allo stato attualedella ricerca, sembrano limitarsi solo a determinate zone, peraltro maiindagate intensamente e quindi non definibili con sicurezza come centri dipotere.285

Alcuni casi, come quelli della lunigiana, base territoriale dalla quale èstato ipotizzato l’inizio della conquista definitiva della Toscana entro ilprimo decennio del VII secolo da parte di Agilulfo, meriterebbero un serioapprofondimento attraverso scavi mirati.286 Finora l’unico sito sottoposto aindagini, il castrum Aghinolfi (documentato in una carta dall’VIII secolo cheattesta l'esistenza del castello di Aginulfo, forse un alto funzionariolongobardo lucchese), sembra deporre in senso negativo. Ha messo in luce

282 L’assenza di cacciagione potrebbe indicare aree boschive nelle quali era concesso svolgere soprattuttoattività di allevamento e pascolo ed approvvigionamento di legname. L’esistenza di divieti venatorisottolinea ancora di più l’appartenenza del villaggio ad un signore che regola in qualche forma losfruttamento delle risorse naturali.Per la funzione della caccia nell’economia e nell’alimentazione dei ceti rurali in età longobarda e più ingenerale per tutto l’alto medioevo, sul carattere solo “virtualmente” libero della sua pratica e sulle restrizioniad essa connesse (che gradualmente si allargarono a tutte le risorse dell’incolto) si vedano in particolareSERENI, 1972; MONTANARI, 1984, pp.159-168, 174-183 (soprattutto per l’espropriazione dei diritti dicaccia), MONTANARI, 1988 in particolare pp.3-4; GALLONI, 1993, pp.65-105: quest’ultimo sottolineacon chiarezza le forti limitazioni a cui andò soggetto il diritto di caccia fino dall’età longobarda.283 Sul ruolo decisivo della proprietà fondiaria come base per garantire la continuità dei gruppi parentaliaristocratici si veda TABACCO, 1973b. 284 GELICHI, 2001, p.228.285 Forse ha ragione Gelichi quando afferma che tuttavia «anche di questa presenza non si rilevano, fino adoggi, tracce archeologiche a livello di edilizia abitativa: questo dato può essere in parte dovuto adarretratezza nella documentazione archeologica, ma anche a modelli di vita sicuramente più spartani»(GELICHI, 2001, pp.228-229). Sui castra longobardi (la cui questione è affrontata più estesamente inBROGIOLO. GELICHI, 1996, pp.63-78 e 177-220) precisa comunque che «salvo l’area padana o la fasciacentrale della penisola (Tuscia), dove i dati storico-archeologici forniscono un quadro ancora discordante, iLongobardi non sembrano particolarmente attivi nella realizzazione di castelli» (GELICHI, 2001, pp.230-231).286 Si veda CIAMPOLTRINI, 1990 per l’ipotesi sulla rete di castra posta tra Luni e Chiusi.

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solo i resti di una torre quadrangolare, con un lato lungo 8 m, priva di cintamuraria o di altro tipo di recinzione o di difesa, databile tramiteradiocarbonio in una cronologia compresa tra il 775 ed il 980.287 Poco peressere interpretata come una delle fortezze protagoniste nell’assoggettamentodella regione.

5.4 – I villaggi tra VII e VIII secolo: verso una progressiva trasformazioneI centri di popolamento di più antica formazione, Poggibonsi e

Scarlino, costituiscono due esempi dei villaggi che caratterizzavano lecampagne del regno longobardo e per i quali la ricerca storica non è in gradodi definire con chiarezza articolazione e realtà insediativo-produttiva a causadei limiti oggettivi delle fonti scritte..288

Le fonti materiali mostrano insediamenti di medie dimensioni e la loropopolazione è stimabile solo per le aree indagate dallo scavo (quindi indifetto sul computo reale) rispettivamente fra 60 e 30-40 persone circa.Queste comunità agrarie rappresentano le forme insediative dominanti nellacampagna per tutto l’alto medioevo, con dinamiche interne i cui effetti sonoriconoscibili nelle loro trasformazioni materiali e nella grande fluttuazionemostrata dall’urbanistica nella diacronia. Le “strutture” comunitarie risultanoforse ancora deboli, ma esisteva una pianificazione degli spazi determinataperlomeno dal carattere economico del centro e probabilmente da una formadi prelievo fiscale.289

Se si crede che per attribuire la definizione di villaggio ad un nucleo dipopolamento sia condizione indispensabile la presenza degli elementistrutturali sottolineati nel modello proposto da Fossier290 e che la presenza dimolteplici proprietari all’interno dell’insediamento sia una variabileindispensabile, allora il popolamento altomedievale toscano non può essere

287 Si vedano GALLO, 1997 e GALLO, 2001. Inoltre il seguente indirizzo web:http://www.studioarx.it/massalunense/aghinolfi/index.html.288 Sullo sviluppo e la gestione della proprietà agraria privata e regia in forme di villaggio-azienda nelperiodo longobardo si veda soprattutto MODZELZWSKI, 1978.289 Delogu ha messo in dubbio le affermazioni di Wickham (WICKHAM, 1984; WICKHAM, 1988) sullarinuncia dei longobardi «ad imporre le tasse sulla proprietà e la produzione della terra, che erano statefondamento della finanza pubblica nell'impero tardoantico, determinando con questo una sostanzialeredistribuzione delle risorse economiche interne, da cui vennero modificate sia le attività statali in tutto quelche comportava spesa, sia il tenore di vita delle popolazioni rurali, che migliorò sostanzialmente. Le formestrutturali dell'insediamento e della produzione non si sarebbero perciò modificate per l'innesto delletradizioni degli occupanti, ma piuttosto, liberate dal peso dei prelievi fiscali, avrebbero più liberamenteesplicato le loro tradizionali funzioni».Ha invece ipotizzato, sulla scorta delle analisi sui prelievi longobardi e sulla produzione agraria dei romani(GOFFART, 1980 e DELOGU, 1990) e sull’esistenza di tributi pubblici almeno dall'VIII secolo(GASPARRI, 1990), che questo periodo potesse essersi accompagnato a «mutamenti nella distribuzionedell'insediamento e nelle tecniche di gestione, se non proprio nel sistema agrario, che poterono risentiredelle concezioni sociali tipiche dei longobardi anche se presentano analogie con evoluzioni attestate neiterritori bizantini, sicché non si può nemmeno escludere che si collegassero alle trasformazioni già in corsoprima dell'invasione» (DELOGU, 1994, p.15).290 In area germanica, per esempio, tra VII e XII secolo prevalsero delle tipologie insediative composte daaggregati a maglie larghe di nuclei tipo mansi, mentre il villaggio con organizzazione delle strutturecomunitarie, come inteso da Fossier, non esisteva (DONAT, 1980, p.137).

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definito come una rete di villaggi.291

Ma i caratteri urbanistici non sembrano fare riconoscere solo una seriedi piccoli poderi ravvicinati tout cour. Sono insediamenti compatti,organizzati intorno ad uno spazio aperto o con unità abitative contigue, la cuidisposizione in apparenza casuale trova una sua logica nella strutturazionedello spazio disponibile per ogni singola famiglia: capanna, recinto odannesso e presumibilmente l’orto, evidenziato da quei livelli di terra spessoannerita, di forma irregolare ed esterni alle capanne, contenenti alcune pietre,frammenti ceramici di frequente privi di attacchi e reperti osteologici.292

Indipendentemente dal tipo di popolazione residente (solo servi,composta da liberi, oppure di carattere misto?) sono pur sempre riconoscibilicome villaggi imperniati su uno spazio insediato e su zone di catchment nellequali si esercitavano delle attività lavorative soggette a regolazioni econsuetudini, ovvero su territori agrari sfruttati dalla comunità.

A livello europeo si osservano situazioni molto simili a quelle descritteper la Toscana. Gli scavi degli agglomerati altomedievali hanno rivelatosoprattutto insediamenti accentrati, legati ai grandi patrimoni di abbazie oinseriti in proprietà regie (le ville alla base dell’organizzazione fondiariafrancese) o gruppi di mansi molto estesi e vicini (cioè villaggi originati dallacontiguità degli edifici che costituivano le fattorie). Questi centri, didimensioni molto simili ai nostri, furono soggetti anch’essi a ricambistrutturali e cambiamenti urbanistici che attestano la lunga continuitàdell’insediamento ed una sua articolazione comunitaria che non sembraessere mai venuta meno. Anche quando si è trattato di aziende, spesso legatead un solo proprietario, la letteratura archeologica non ha mai smesso didefinirle come villaggi anche se prive di chiesa.293 291 Brogiolo, per esempio, accetta in pieno il modello di Fossier, proiettandolo però sul primo altomedioevo.Trattando il protagonismo delle chiese nella formazione dei centri di popolamento tra VI e VII secolo(questi ultimi, in ultima analisi, sarebbero sorti a seguito della cristianizzazione delle campagne) ritiene cheun insediamento, per non essere considerato di tipo sparso od un’azienda, doveva presentarsi come «unacomunità organizzata, e dunque con una dimensione spaziale del villaggio con aree comunitarie, tra le qualiin primo luogo una chiesa, e relazioni economiche e sociali» (BROGIOLO et alii, 2002, p.290).292 Galetti, nella sua inchiesta sulle forme insediative altomedievali, descrive la casa contadina ideale; unpodere od una piccola fattoria «organizzata come un nucleo edile, nel quale si configuravano unitariamentestrutture insediative diverse, ognuna con una specifica funzione. L’abitazione in senso stretto aveva accantoa sè come edifici a se stanti, il forno, a volte la cucina, la cantina, il locale adibito alle operazioni divinificazione, magazzini, stalle, granai, tettoie per gli attrezzi, fienili. Un cortile centrale e l’aia necostituivano l’elemento di raccordo; spesso era presente un pozzo per il rifornimento idrico, oltre a un orto,una piccola vigna, un piccolo frutteto, immediatamente e facilmente sfruttabili sul piano alimentare. Tuttiquesti elementi erano racchiusi in una “clausura” da siepi, recinzioni, fossati ed erano recepiti dagli uominidel tempo come una realtà unitaria» (GALETTI, 1997, p.20). L’archeologia mostra in realtà situazionimolto più semplici.293 Alcuni esempi. In Germania a Tornow l'insediamento occupava due ettari con dieci capanne tra inizi VII-VIII secolo, quattordici nella seconda metà del IX secolo, dieci tra seconda metà IX-inizi XI secolo (65-78abitanti stimati) e diciotto tra XI-XII secolo (90-108 abitanti stimati; DONAT, 1980, pp.138-146, 178-179).A Gladbach, nel VI-VII secolo, il villaggio era imperniato su una struttura abitativa molto estesa definitacasa-mercato, circondata da ventisette capanne delle quali le più grandi erano recintate, otto granai e moltisilos (SAGE, 1969. Per una riproduzione della pianta del villaggio, di facile consultazione, si veda ancheARIÈS, DUBY, 1988, Fig.4.21). In Francia, a Villier-Le-Sec, due ettari videro l’alternarsi di sessantottostrutture in età merovingia (capanne, laboratori, magazzini, forni ecc.) e novantaquattro strutture in etàcarolingia: anche per questa fase suddivise in capanne, laboratori, magazzini e forni ai quali si aggiungeva

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In Toscana le realtà di villaggio più antiche scavate sembranocollocarsi a pieno titolo in un quadro della prima età longobardacaratterizzato da un’azione di basso profilo svolta dalle aristocrazienell’organizzazione delle campagne, dove i centri di popolamento dovetterospesso formarsi, come già detto, dietro l’esigenza della popolazione rurale divivere insieme e sfruttare meglio la terra. Aristocrazie prive di strategieprogettuali di tipo economico che si ponessero aldilà della sempliceproduzione per autoconsumo, agli inizi di un lento processo distabilizzazione sul territorio.294 Ad esse si affiancava un potere regio che siconsolida per gradi, sino a raggiungere una più complessa dimensione disovranità territoriale solo alle soglie dell’VIII secolo.

Non è un caso che proprio questi decenni siano in assoluto uno deiperiodi della storia italiana meno documentati da fonti scritte, che peròtestimoniano nuovamente la natura del popolamento nelle campagne ed irapporti sociali ed economici in esso attivi con l’VIII secolo,295 quando lagestione stessa della proprietà fondiaria inizia a cambiare strutturandosi informe più articolate e complesse. Delogu, dopo la fase iniziale delradicamento longobardo in città e nel territorio, proposta come continuitànella decomposizione e nello snaturamento dell’organizzazione socio-economica e politica della tarda antichità, sottolinea il verificarsi dicambiamenti verso la fine del VII secolo. Sembrano trovare origine nelraggiungimento di un equilibrio interno delle diverse regioni, permessoanche dalla fine degli scontri con i bizantini ed in una crescente capacità diiniziativa manifestata dai poteri politici, ma probabilmente diffusa in tutta lasocietà.296 Anche Wickham non differisce troppo da questa linea

un’area cimiteriale composta da cinquantatre sepolture ed una piccola piazza luogo di mercato(CUISENIER, GUADAGNIN, 1988, pp.142-145). Nella repubblica Ceca, a Brezno, le capanne sidisponevano a cerchio su un'area di due ettari ed ammontavano a ventidue nella prima metà del VI secolo, adieci nel VII secolo, nuovamente a ventidue tra VIII-IX secolo (DONAT, 1980, pp.138-146, 199).294 Come ha osservato Delogu «sotto il profilo dell'evoluzione delle strutture, non è necessario attribuire ailongobardi una rottura qualitativa ed una ricostituzione dell'organizzazione economica e culturale su basidiverse: come già si è detto, il loro ruolo potè consistere nell'accentuazione data ai processi in corso, giàvolti alla decomposizione dell'organizzazione tardo imperiale» (DELOGU, 1994, pp.16-17).295 E’ stato posto l'accento su una campagna che nel centro-nord vive lunghi decenni di stallo (scarsaespansione degli spazi coltivati e bassi indici demografici) letti come fase di faticosa espansione della mediae grande azienda fondiaria che trovava ostacolo nella presenza di molti poderi di impressionante estensione,tra i 35 ed i 28 iugeri (uno iugero = 7.900 mq): si veda FUMAGALLI, 1978b, pp.XII-XIII. Durante l'VIIIsecolo la disponibilità fondiaria dei maggiori proprietari contava ancora pochissime aziende, molte dellequali di piccola dimensione o con un dominico molto ridotto rispetto all'insieme dei poderi aggregati(VIOLANTE, 1953; FUMAGALLI, 1974). E’ comunque dopo il 730-740 che un numero maggiore diinformazioni permette di riconoscere una decisa tendenza alla concentrazione, con proprietà a strutturabipartita (sala sundrialis/casae tributariae), gestite secondo le norme di un sistema curtense in via diformazione: si veda TOUBERT, 1995, p.188. Sulla progressiva affermazione della grande proprietà e sullaconseguente crisi della piccola proprietà contadina in epoca carolingia e soprattutto nei decenni fra VIII-IXsecolo si vedano anche FUMAGALLI, 1976 e ANDREOLLI, MONTANARI, 1983, pp.69-128 con unesame molto approfondito dei meccanismi di appropriazione fondiaria dei potentes.296 I segni sono da leggere nell’unità ecclesiastica del regno con la conclusione dello scisma dei Tre Capitoli(per la Toscana in una ricostituzione del territorio rurale sotto il profilo ecclesiastico), nella ripresa dei centriurbani, nella fondazione o rifondazione di alcuni importanti monasteri come Farfa, San Vincenzo alVolturno e Montecassino. Il gruppo di monetazioni longobarde dell'VIII secolo, che per la prima volta nonsembrano più imitare tipi bizantini. La stessa ricomparsa della documentazione scritta, così come la nuova

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interpretativa, individuando nel VII secolo un’aristocrazia fondiaria ancoradebole e nell’VIII secolo, pur con il persistere di una disponibilità economicarelativamente scarsa, l’iniziale sviluppo di ricchezze rurali private.297

Fu quindi un’«integrazione dal basso», avviata con l’inserimento deiLongobardi in una campagna ed in una società fortemente impoverite298 ed inprogressiva crisi almeno dalla fine del V secolo che, inizialmente, furonoancor più affossate. La riorganizzazione rurale si svolse come un processolento, incentrato su territori degradati che richiesero quasi un secolo prima divedere in vita una rete di villaggi numericamente consistente, la cuistabilizzazione fu affiancata da un graduale «processo di divaricazionesociale che portò da una parte ad una ristretta aristocrazia (che deteneva edesercitava il potere) e dall’altra ad una classe, sempre di uomini liberi, mache da questa di fatto andava a dipendere».299 Gasparri, sulla scia delleriflessioni di Tabacco,300 affronta ancor più in profondità questo tema,riconoscendo nei possessores dell’VIII secolo la classe dirigente vincente,quindi i nuovi componenti dell’exercitus composto ora da tutti coloro cheerano longobardi di diritto (ovvero dai proprietari terrieri affermatisi tra VII eVIII secolo indipendentemente dall’origine etnica), ed una società chetendeva a farsi sempre più differenziata socialmente con la crescita di unamassa indicata dalle leggi come pauperes o rustici.301 «Gli arimanni oexercitales nel secolo VIII coincidono quindi con i possessores. Per cui loschema tribale di riferimento, sul quale si innestava il potere politicoall’interno del popolo longobardo, entrava in crisi nella realtà concreta deirapporti sociali. In teoria non veniva però mai ripudiato del tutto:ufficialmente l’esercito era sempre formato da tutti i Longobardi, i membridel gruppo tribale originario. Di fatto, ormai quello che esisteva era inveceun esercito formato da possessori – o negotiantes – dalle origini etniche inparte almeno contestabili».302

A livello nazionale, la progressiva trasformazione e stabilizzazionedelle aristocrazie della terra pare trovare una corrispondenza sia negli scavidi alcune chiese sia nei caratteri delle sepolture. Come in alcuni casi

monetazione dell'ultimo decennio del VII secolo, s’inquadrano in quest'insieme coerente di indizi diriorganizzazione e vitalità (DELOGU, 1994, pp.20-21). Sul regno longobardo nell’VIII secolo ed i mutati comportamenti delle aristocrazie si veda la sintesiBERTELLI, BROGIOLO, 2000.Sul ruolo di re Liutprando nella riorganizzazione del regno si legga GASPARRI, 2000, pp.26-27:«Liutprando poteva contare su un palazzo ben organizzato, su un patrimonio fiscale i cui territori –organizzati in curtes, che erano al tempo stesso unità di produzione agraria e centri amministrativi pubblici –si estendevano su vaste zone sparse in tutto il regno, su uno stuolo di funzionari (talvolta, è vero, dallafedeltà un po’ incerta) addetti a tale patrimonio e alla riscossione delle pochissime imposte esistenti e,infine, su una rete di clienti – i gasindi – ramificata e socialmente qualificata».297 WICKHAM, 1994.298 DELOGU, 1990.299 GELICHI, 2001, pp.234-235.300 TABACCO, 1967 e TABACCO, 1973b.301 GASPARRI, 1983, pp.107-113.302 GASPARRI, 1983, pp.108-109.

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piemontesi (Mombello e Centallo)303 e lombardi (per esempio Trezzo,Palazzo Pignano, Garbagnate Monastero ecc.)304 databili fra VII e VIIIsecolo, dove è stata riconosciuta l’associazione chiesa privata con cimitero eabitazione del proprietario terriero longobardo posta a breve distanza.305 Sitratta di oratori privati, con sepolture privilegiate, la cui fondazione sembrariconducibile ad un modello di riferimento fornito dai sovrani (per i secoliVII e VIII abbondano le notizie circa la fondazione di chiese da parte dei relongobardi); sono indizio di un ceto di fideles del re che si staterritorializzando (esponenti di spicco della nuova classe dei possessores),facendosi seppellire nel luogo in cui vivevano. Tra essi si distinguono anchealti funzionari, dei gasindi, che operano per conto della corona e che da essaerano beneficiati e protetti, ben rappresentati dai cosiddetti “signori deglianelli” delle tombe di Trezzo e di Palazzo Pignano.306

Le tendenze mostrate dai corredi funerari di età longobardarappresentano anch’esse indicatori dei processi sociali in corso.307 Il caratteredegli oggetti contenuti nelle sepolture degli strati dirigenti cambia dalla finedel VI secolo e per tutto il VII secolo. I simboli con i quali si affermava ilproprio status divengono mano a mano più prestigiosi, indicando l’esistenzadi flussi commerciali regolari riattivati dalla nuova committenza. Glielementi del corredo non sono più destinati a rappresentare l’etnicità308

piuttosto ad ostentare il prestigio sociale raggiunto e negoziato localmente.Gli oggetti del banchetto deposti ai piedi del corpo si accompagnarono

sempre più di frequente in questi decenni all’abito funebre decorato confibule, cinture e vesti di broccato d’oro e ad una gamma di armi ampliata conaccentuazione degli elementi decorativi nelle sepolture maschili. Nellesepolture femminili sono introdotti i gioielli; oltre a modifiche nell’uso dellefibule a staffa o a disco, compaiono anelli, orecchini, gemme incise ditradizione mediterranea.

303 PANTO’, PEJRANI BARICCO, 2001, pp.17-25.304 DE MARCHI, 2001; BROGIOLO, 2001.305 Gelichi sottolinea come il campione che abbiamo a disposizione, per quanto abbastanza casuale nelladistribuzione geografica, «sembrerebbe indicare piuttosto chiaramente come anche il fenomeno di recupero,parziale o parassitario, delle antiche ville/fattorie, non fu praticato in maniera capillare dai Longobardi. Se leoccupazioni tardive non sono ancora una volta sfuggite all’esame degli archeologi, dovremmo dedurne cheil quadro che emerge dei casi ora analizzati tenda parzialmente a coincidere con quanto restituito dallericognizioni di superficie, nel senso di una forte selezione degli insediamenti nella fase del primo altomedioevo» (GELICHI, 2001, p.227).306 Si veda per tutti la recente messa a punto in LUSUARDI, 2004.307 Su questi temi si veda LA ROCCA, 1997 e LA ROCCA, 1998.308 Le caratteristiche fondamentali del rito funebre di tipo merovingico si mantengono immutate anche inItalia (la disposizione delle fosse in file orientate est-ovest, la frequente presenza di bare lignee, la strutturadei sepolcreti per gruppi familiari) mostrando una certa corrispondenza tra intensità e precocitàdell’occupazione territoriale. Le tombe più ricche riferibili alla generazione immigrata, oltre alle armi(spatha, lancia e scudo) ed oggetti del banchetto, presentano gioielli personali di tradizione germanica,spesso consunti dall’uso (soprattutto le fibule), comprendono qualche raro bene suntuario, che non si collegaa nessuna serie (quindi non appartenenti ad una fase di committenza consolidata) ma che doveva essere statosottratto a quella parte del ceto dirigente romano a cui i longobardi sono subentrati nel possesso della terra(per esempio: l’anello traianeo e la fibula a disco sbalzata di tipo bizantino dalla tomba 39 di NoceraUmbra). Si veda MELUCCO VACCARO, 1988.

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Questa evoluzione può essere letta come il segno di un processo diprogressiva trasformazione dell’aristocrazia longobarda. La partecipazioneall’exercitus rimane la principale occupazione dell’uomo libero, che peròevolve nella nuova condizione di proprietario fondiario. Le sole armi,componenti principali dei corredi maschili pannonici, non sono piùsufficienti a rappresentare la sfera di relazioni delle aristocrazie.309

Sulla stessa scia sembrerebbero inserirsi quelle sepolture dette deicavalieri. In alcune aree, infatti, dalla fine del VI secolo, i longobardi tesero asottolineare il proprio rango equestre ed a qualificare quindi il sepolto comeun uomo armato a cavallo. La manifestazione di status avvenne attraversooggetti di corredo riferiti all’equipaggiamento del cavaliere ed alla bardaturadell’animale (speroni, briglie, morso) e talvolta con la sepoltura dello stessocavallo insieme all’inumato od anche in fosse separate. Si trattava quindidella spia di un forte mutamento nella composizione sociale delle élites el’ostentazione equestre, caratterizzata da un apparato ridondante di corredo, atestimoniare il notevole investimento della famiglia per caratterizzareappieno le qualità del morto, sembra rimandare all’esistenza di veri e propriparvenus.310 Si sottolinea inoltre come le tombe equestri sono spessoaccompagnate da tombe femminili anch’esse riccamente dotate.311

Gli effetti prodotti da un maggior radicamento delle aristocrazie nellacampagna sono riconoscibili archeologicamente in Toscana solo con l’VIIIsecolo. Non si manifestano come nel settentrione, dove alcuni possessoreslongobardi vivevano in centri di riferimento sul territorio, che abbiamo vistoarticolarsi in una residenza ed un oratorio privato con cimitero (ma ancora

309 Nell’VIII secolo la pratica risulta definitivamente abbandonata, affermandosi un nuovo ceto di possessoriin controtendenza con il precedente ed un diverso atteggiamento delle aristocrazie nei confronti dei ritualilegati alla morte. Il disprezzo delle forme usuali di ostentazione del proprio prestigio sociale si ricollega allerielaborazioni delle celebrazioni funebri di un gruppo sociale teso a ridefinire continuamente la propriaspecificità. In questo cambiamento, che appare come una risposta aristocratica alla diffusione generalizzatadei corredi funebri, si manifestò anche l’influenza ecclesiatica. Su tali aspetti si veda in particolare la sintesiin LA ROCCA, 2000 e l’epigrafia funeraria trattata in DE RUBEIS, 2000.310 Le tombe caratterizzate dall'armamento del cavaliere sono state intepretate anche dalla Melucco Vaccarocome segno di un complesso fenomeno di mutamento e diversificazione sociale tra coloro che vengonoseppelliti con le armi. Collega la loro presenza ad una disposizione di legge aggiunta all’edictus di Astolfodi metà VIII secolo che ratificava delle consuetudini preesistenti: sulla base della proprietà fondiariavenivano stabiliti per censo gli obblighi militari degli arimanni. La qualità e la composizione del corredosono quindi ricondotti all’appartenenza a tre fasce: proprietari di più di 7 casae massariae = cavalli, armi,armamento per sé e per i propri uomini; proprietari fino a 7 casae massariae = armi personali, corazza,cavallo; proprietari di 40 iugeri = cavallo, scudo e lancia personali. (MELUCCO VACCARO, 1988).Il fenomeno è stato riscontrato diffusamente nell’Europa dell’est; per esempio nell’area tra il Reno ed ilNeckar viene collegato all’emergere di nuove stratificazioni e gerarchie: membri di famiglie aristocratichealamanne subentrati nel possesso di terre fiscali sino dalla prima metà del VI secolo che, soprattutto nellaseconda metà del VII secolo ed a supporto al potere ducale, avrebbero ricevuto compiti di vigilanza militare,amministrazione civile e fiscale. In Italia le tombe con cavallo sono attestate in varie località tra le qualiTrezzo, Nocera Umbra e Vicienne in Molise (dove sono state scavate dieci tombe di questo genere).311 Se fino alla fine del VI secolo i corredi femminili indicavano caratteri distintivi del diverso stato sociale,con gli inizi del VII secolo pare manifestarsi l’intenzione di manifestare con chiarezza un modello dideposizione femminile definito come “le donne del cavaliere”. In questa fase di mutamento, le donnesembrano poter utilizzare e condividere, ma soprattutto contribuire ad affermare, i simboli dello status delproprio gruppo parentale.

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non sono noti archeologicamente i nuclei in cui si raccoglieva la massa deilavoratori).

Si osserva invece dagli scavi un’evoluzione nei villaggi già esistenti edanche quelli di nuova fondazione (Montarrenti e Miranduolo) mostranocaratteri convergenti verso un nuovo tipo di comunità. Le trasformazioniriguardano aspetti economici e strutturali, presentandosi in alcuni casigradualmente, mentre in altri il nuovo tipo di organizzazione è già impostataall’origine.

Nel villaggio di Poggibonsi la popolazione continuava ad essereeconomicamente uniforme; erano presenti capanne abitative, stalle od altriricoveri per animali, spazi aperti destinati allo svolgimento di attività ruralied artigianali. Intorno alla metà dell’VIII secolo le strutture già esistentifurono affiancate da un nucleo composto da sei edifici raccolti intorno ad unapiccola corte, due dei quali con destinazione di magazzino-rimessa. Lacostruzione di questo complesso (le cui prime tracce sono presenti agli inizidel secolo in forma già evidente) è interpretabile come l’inserimento di unsignore o di un suo actor (agente incaricato di raccogliere le rendite esorvegliare il lavoro dei contadini dipendenti) nel villaggio; rappresenta nonsolo l’indizio di gerarchizzazione sociale, ma anche un cambiamento ed unmaggiore controllo diretto sulla produzione.

La presenza del nuovo complesso è parallela ad altri due elementi dinovità: un apparente aumento della popolazione residente, ipotizzabile in uncentinaio di persone circa e quindi quasi raddoppiata (dato che però potràaccrescersi solo con l’ampliamento dello scavo) e la variazione delle attivitàproduttive. Accanto all’allevamento ed alla pastorizia inizia ad avere un pesomaggiore l’agricoltura, come rivela lo studio archeozoologico sulla base deirapporti percentuali delle specie e dell’età di morte stimate. In questo sensol’aumento dei bovini e la presenza di soli individui anziani sembra indicareun loro utilizzo esclusivo per la coltivazione. Tra i maiali, inoltre, non sonostati rinvenuti soggetti abbattuti prima del secondo anno, indice di unamaggiore attenzione verso la massima resa in carne, anche a seguito di unadiminuzione del numero di capi allevati e forse di una contrazione dellesuperfici boschive, derivanti dalla messa a coltura di nuovi spazi.

Figura 53

La trasformazione dell’insediamento e un’economia che sidiversificava divenendo anche agricola, segnano la riorganizzazioneurbanistica e produttiva del villaggio ed un controllo più forte sul lavoro. Lacostruzione dei due magazzini può infatti implicare l’accumulo di prodottiprovenienti da campi gestiti direttamente dalla casa del signore ma anche ilprelievo di quote. Ci troviamo di fronte ad un’azienda di età longobarda chericorda, pur non essendolo, una curtis di piccola estensione, compatta e conelementi pertinenti sia ad una casa dominica sia ad un nucleo massaricioall’interno dello stesso centro; un esempio tangibile di quelle forme pre-

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curtensi intuite da molti autori, ma mai tratteggiate urbanisticamente, la cuicomparsa facilitò l’applicazione dei modelli franchi di un maturo sistemacurtense.312

Un villaggio imperniato quasi esclusivamente sull’agricoltura e dovela presenza di due zone distinte attesta gerarchizzazione, è Montarrenti. Trala metà del VII e la metà dell’VIII secolo, decenni nei quali l’insediamento siformò, esisteva una divisione netta fra gli spazi sommitali ed i versanti. Sel’intera comunità risultava difesa da un’estesa palizzata, la parte più innalzatavenne ulteriormente rinforzata, e distinta fisicamente dal resto delle superficiinsediate, attraverso una seconda cortina. Questa zona può essere paragonataal complesso di sei edifici intorno ad una corte scavati a Poggibonsi e quindileggervi la presenza di un controllo signorile diretto sul villaggio-azienda.

Mentre a livello di restituzioni ceramiche non si osservano differenzefra le due aree dell’insediamento, la distribuzione dei reperti archeozoologiciè concentrata solo nella parte sommitale. Su questi spazi sono statiriconosciuti soprattutto maiali e caprovini; le giovani età d’abbattimentotendono a far riconoscere una pratica allevatizia finalizzata soprattutto alconsumo di carne. Ai maiali ed ai caprovini si aggiungevano in percentualeminore i bovini, macellati quando ormai inutilizzabili nei lavori di trazione. Ilconsumo della carne, in un villaggio la cui popolazione era impegnata quasiesclusivamente nel lavoro dei campi, sottolinea un elemento di distinzionesociale nell’alimentazione differenziata e più ricca; inoltre mostra come ilcontrollo degli animali sia stato direttamente esercitato dal signore.

Il caso di Montarrenti, in questa fase, può essere riconosciuto comeuna curtis, ma solo nel significato attribuito al termine nelle primeattestazioni documentarie centro-settentrionali che risalgono al secolo VIII,quando corrisponde all’esigenza di individuare una casa rurale padronale,protetta da un recinto (è questo il significato originario di curtis), cuidemandare sia la gestione economica del dominico, sia la raccolta e l’usodelle rendite del massaricio.313

Figura 54

Il villaggio di Miranduolo, tra VIII-IX secolo, sembra assimilabile aMontarrenti ed a Poggibonsi per la presenza di un’area insediativa distinta; inquesto caso, il segno di una gerarchizzazione non viene letto nell’esistenza difortificazioni o di una alimentazione migliore ma nella costruzione di edificiin cui si raccolgono ed immagazzinano derrate agricole. Lo scavo dei livellipiù antichi è comunque ancora in corso e per esporre conclusioni definitive si312 Per le differenze di fondo fra l’azienda di età longobarda e quella carolingia si vedano in particolareVIOLANTE, 1953; FUMAGALLI, 1976; TOUBERT, 1983; TOUBERT, 1995, pp.183-196; ANDREOLLI,MONTANARI, 1983; ANDREOLLI, 1978. Si veda PASQUALI, 2002 per un confronto fra le posizionidegli autori citati e per un’estesa bibliografia.313 Al riguardo si vedano le precisazioni in PASQUALI, 2002, p.43. Azzarra e Gasparri sulla base delle leggidi Rotari commentano: «La corte è la fattoria, cinta da siepi e fossati, in cui risiede il libero e che costituisceil centro delle sue proprietà; al suo interno convivono proprietari e lavoratori e vi si trovano tutti glistrumenti e i servizi all’attività agricola e pastorale» (AZZARRA, GASPARRI, 1992, p.109 nota 37),

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deve attendere. Ma i dati disponibili indirizzano in tal senso, così come latrasformazione nel IX secolo parrebbe confermare l’ipotesi, oltre cheaccordarsi con le vicende riscontrate su tutti i centri indagati.314

Le attività produttive riconosciute nei villaggi indagati sembranoriconducibili solo parzialmente all’interno del modello tracciato da Fumagalliper l’economia agraria longobarda, costituita da una stretta integrazione traallevamento e sfruttamento delle aree incolte.315 Si conferma invece,osservando le trasformazioni urbanistiche dei centri e l’emergere di spazi conuna strutturazione particolare e distinta, come la proprietà agraria in etàlongobarda anticipava alcuni degli elementi del sistema curtense e quindicome costituisse «un terreno in parte già preparato per la diffusione dellacurtis».316 Nel loro insieme, tali villaggi possono rappresentare le curticelledegli storici? Cioè dei centri di piccole dimensioni, con un dominico ridotto espesso contrapposto al massaricio, che rappresentano forme di gestione pre-curtense della proprietà?317 In essi esisteva un sistema di prelievo canonariosul lavoro dei rustici ma non si verificava una funzionale compenetrazionefra dominico e massaricio attraverso quelle corvées definite la «vera epropria forza motrice dell’azienda curtense».318 La presenza di una casadominica poco estesa potrebbe essere un indizio di insediamenti cosìtipologizzabili; ma come archeologi sottolineiamo solo il nostro modello divillaggio-azienda per la matura età longobarda, che si presenta con lecaratteristiche indicate.

5.5 – Trasformazione dei villaggi in curtesTutti i contesti scavati mostrano, con l’età carolingia, l’inizio di una

stagione di rinnovamento urbanistico legato ad un controllo decisamenteforte sulla popolazione e sul lavoro, ad una nuova capacità di organizzare lasocietà locale. L’effetto più evidente fu una sistematica riprogettazione deivillaggi che si lega all’introduzione dell’organizzazione latifondistica dimodello franco.

Il villaggio di Scarlino cambiò quasi del tutto fisionomia fra VIII e IXsecolo; venne fortificato e furono erette due strutture che implicano laprobabile presenza di un possessor di età carolingia: la grande capanna319 esoprattutto la chiesa per la cui costruzione furono impiegate delle maestranze314 Le trasformazioni alle quali fu soggetto Miranduolo sono illustrate nel paragrafo 4.3.315 FUMAGALLI, 1992, pp.38-43.316 ALBERTONI, 1997, pp.125-126.317 In particolare Toubert e Fumagalli hanno sottolineato che nel centro-nord la fisionomia delle campagnealtomedievali non fu caratterizzata da grandi latifondi almeno sino al maturo VIII secolo. Questi erano privispesso di una parte centrale efficiente, che emergesse al ruolo di nucleo forte nella coesione con i poderidegli affittuari. Si vedano TOUBERT, 1973a (soprattutto pp.100-104); TOUBERT, 1973b; TOUBERT,1995, pp.181-245. Inoltre FUMAGALLI, 1966; FUMAGALLI, 1968; FUMAGALLI, 1970; FUMAGALLI,1976; FUMAGALLI, 1978.318 ANDREOLLI, MONTANARI, 1983, pp.45-55. Sulla stessa posizione FUMAGALLI, 1976 eFUMAGALLI, 1980a; FUMAGALLI, 1980b; ANDREOLLI, 1999, pp.69-85, 111-127. Di diversa idea(sistema curtense già maturo nell’VIII secolo almeno per l’Italia centro-settentrionale): TOUBERT, 1983;VIOLANTE, 1953; PASQUALI, 1992.319 La struttura è presentata nel capitolo 2, sezione Capanne in armatura di pali a livello del suolo.

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specializzate esterne e che doveva avere carattere privato.320 Questi eventisegnano la costituzione del villaggio in curtis e la parte sommitale, dotata oradi clausura, sembra rappresentare la casa dominica. E’ possibile che ilmassaricio si dislocasse sui versanti della collina, ma in queste aree non èstato scavato e non possiamo dare conferme. La presenza di una chiesa estesa77 mq, con uno spazio di circa 60 mq utilizzabile escludendo l’areapresbiteriale, quindi in grado di ospitare almeno una 120-150 persone(considerando che in 1 mq potevano raccogliersi almeno 2-3 individui),rappresenta un indizio della probabile popolazione. Avendo calcolato in 30-40 unità gli abitanti della zona sommitale, Scarlino doveva avere unmassaricio tre volte più popolato e posto a distanza tale da raggiungerefacilmente la chiesa.

Figura 55

Un fenomeno simile è osservabile a Montarrenti e Miranduolo. Nelvillaggio di Montarrenti la palizzata che cingeva gli spazi di sommità fusostituita da una cortina muraria ed al suo interno, alcune capanne vennerosoppiantate da strutture che attestano il controllo della produzione, lariscossione di quote canonarie, il loro trattamento e conservazione: un grandegranaio, una macina e un fornetto per essiccare le granaglie.

Le trasformazioni indicano, anche per Montarrenti, la presenza di unpossessore in grado di esercitare prerogative di signoria fondiaria, capace didefinire il nuovo assetto economico del villaggio accentrando beni e strutturedi servizio nella parte alta della collina, cinta ora da mura di pietra. Ilcomplesso di IX secolo è identificabile come il centro di una curtis cumclausura, un nucleo insediativo e di raccolta, dotato di strutture difensive acontrollo della “ricchezza”. I versanti del rilievo e le capanne qui edificatepossono essere invece riconosciute come la zona massaricia dell’azienda.

A Montarrenti il controllo dei beni sembra essere stato capillare. Pergli animali per esempio, la distribuzione dei reperti osteologici mostra ilpersistere di una concentrazione pressochè totale nell’area di sommità: dei472 frammenti rinvenuti solo 20, pari ad una percentuale del 2,54%,provengono dalle zone di versante. E’ possibile che le ossa fossero in granparte gettate all’esterno dell’insediamento ma, a parere nostro, questo datosembra indicare che nella casa dominica si gestissero quasi interamente glianimali presenti nel villaggio; inoltre che solo un numero molto ristretto difamiglie del massaricio poteva disporne, come la capanna dell’area 2000 conalmeno una vacca (tutte le ossa rinvenute appartengono ad uno stessoindividuo) o quella dell’area 8000 con alcuni maiali ed un piccolo320 La fondazione di un oratorio privato tra IX e X secolo, oltre che per motivi devozionali, era finalizzataall’acquisizione di diritti e privilegi da parte della famiglia del fondatore. Si veda al riguardo VIOLANTE,1977, pp.673-674; SETTIA, 1991, pp.5-6. Sullo scavo di chiese rurali databili tra VII e VIII secolo si vedaBROGIOLO, 2001, pp.199-204. Si veda inoltre come esempio recentissimo il caso, un po’ più tardo, dellachiesa del castello fiorentino di Monte di Croce in comune di Pontassieve, una cappella privata signoriled’inizi XI secolo (CAUSARANO, FRANCOVICH, TRONTI, 2003).

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allevamento di animali da cortile. Viene da chiedersi, constatata la rigorosaconcentrazione di animali all’interno degli spazi cinti da mura, se ladisponibilità di capi in abitazioni del massaricio non possa essere collegataalla presenza di liberi, legati a vario titolo al signore, dotati di animali proprio forniti contrattualmente.321

I dati esposti lasciano avanzare ipotesi sulla ripartizione delle attivitàeconomiche nell’azienda. Il lavoro dei campi era svolto soprattutto daimassari. La casa dominica funzionava essenzialmente come centro diraccolta di prodotti agricoli già semi-lavorati sotto forma di canone (comemostra l’alto grado di ripulitura dei resti archeobotanici), di allevamentofinalizzato soprattutto all’alimentazione (il 50% del totale delle ossa èrappresentato da porci macellati in giovane età) ed allo sfruttamento delleattività casearie e della lana (37% del totale è rappresentato da caproviniquasi tutti abbattuti in tarda età). Alcuni campi dovevano inoltre essere gestitidirettamente dal dominico attraverso i propri dipendenti, impiegando deibuoi a tale scopo (presenti in percentuale dell’11% e destinati alla mensa inetà matura). Anche l’uso dei boschi pare essere riservato al dominico per ilpascolo dei suini e per la caccia: le uniche attestazioni di selvagginaprovenendo ancora dall’area di sommità.

Figura 56

Miranduolo, nella metà del IX secolo, faceva parte di una signoriafondiaria che promosse la sua definitiva trasformazione in azienda. I profondicambiamenti topografici realizzati sono indizio di manovalanza da impiegarein un’impegnativa escavazione della roccia. Mostrano per la prima volta lapresenza di una gerarchizzazione elementare, articolata in una bipolarità frasignore e contadini dipendenti, che venivano impiegati sia nelle attività ruralisia in opere decise dal signore stesso. La parte sommitale del rilievo, estesa750 mq, fu fortificata tramite una robusta palizzata e probabilmente da unfossato.

Il carattere dell’insediamento, che da aperto si cinge di difese,evidenzia una nuova realtà in cui è necessario proteggere persone, animali,strumenti e derrate agricole. Il villaggio è divenuto un centro economicodistinto fisicamente dal circondario; si trasformò anch’esso, comeMontarrenti, in una curtis cum clausura. La parte sommitale deve essere lettacome una casa dominica di piccola estensione ed essenzialmente luogo diresidenza del proprietario o di un suo agente e luogo di raccolta. Sicaratterizzava come una fattoria composta da pochissime abitazioni (sinorasono state scavate quella padronale ed una capanna in cui si svolgevanoattività artigianali), contornate da edifici per l’accumulo di scorte alimentari.Le considerevoli restituzioni archeobotaniche attestano un’economia agricola

321 Si veda fra i tanti FUMAGALLI, 1976, p.33 sugli animali di grossa taglia affidati dal proprietario allivellario.

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tesa a impiegare intensivamente tutto il territorio di catchment tramite campiseminati a cereali (grano duro, segale, orzo) e legumi (favino e cicerchia),coltivando vite, olivo, peschi e noci, sfruttando le risorse di boschi (castagnee ghiande) e di probabili piantumazioni nel loro insieme composti da querce,castagni, carpini, eriche, aceri, olmi, frassini e pioppi.

Il ruolo dell’allevamento non è calcolabile essendo lo studio dei repertiarcheozoologici ancora in corso. Ma alcune indicazioni lasciano intravedere(va però detto che il prosieguo dello scavo confermerà o smentirà) come lacasa dominica controllasse anche la gestione degli animali; nei magazzini,infatti, oltre alle derrate destinate all’alimentazione della famiglia dominante,si sono rinvenute ampie quantità di prodotti finalizzati al sostentamento deglianimali. Il dato sembra confermare quanto osservato per Montarrenti, edanche per Poggibonsi come si esporrà più avanti, dove la gestione deglianimali compare come un’esclusiva del dominico.

Ugualmente non è stimabile l’ammontare della popolazione. Sel’ipotesi sulla presenza di capanne per l’intero mezzo ettaro del rilievotroverà conferma (alcune buche di palo stanno già comparendo sugli spazi anord ovest del fossato), il villaggio aveva una notevole entità demografica.Al tempo stesso preciserà l’articolazione del villaggio-azienda in una casadominica difesa e di piccole dimensioni ed un massaricio molto esteso.

La consistenza della popolazione e del territorio della curtis, possonoessere ipotizzate per il momento attraverso un processo di analisi retroattivafondata su due supposizioni: coincidenza spaziale fra villaggio altomedievalee castello fondato alla metà del X secolo e coincidenza dei loro distretti. Ilrisultato mostra un carico demografico sulle 130-150 persone322 ed unterritorio di 16 kmq circa.323 322 Un confronto con Rocca S.Silvestro (Campiglia M.ma – LI; si veda FRANCOVICH, 1991) castello piùvicino tra quelli scavati in ampia estensione (80% del complesso), svolto attraverso calcoli e comparazionisulle rispettive piattaforme GIS, lascia congetturare l’entità delle strutture abitative e quindi dellapopolazione. Per Miranduolo possiamo così immaginare la presenza di 20 abitazioni circa, cheattesterebbero un carico demografico intorno alle 100 persone (nucleo familiare medio di 5 unità) che saleintorno alle 130-150 anime includendo i residenti all'interno del cassero. Si veda NARDINI, VALENTI,2003.323 Per dare un aspetto “spaziale” alla rete dei castelli appartenenti ai Gherardeschi, è stato costruito unmodello dimensionale dei loro distretti, ricorrendo all’applicazione dei poligoni di Thiessen intesi cometerritorio teorico di pertinenza. Per diminuire il rischio di misure falsate, sono stati presi in considerazionetutti i castelli in vita fra XI e XII secolo compresi nella fascia degli attuali comuni di Chiusdino,Roccastrada, Montieri, Monticiano, Sovicille, Radicondoli e Casole d'Elsa; la maglia ottenuta mostra unaserie di territori con dimensioni variabili (dai 36 kmq ai 7 kmq). Ai castelli gherardeschi, posti ad unadistanza variabile fra i 3-3,5 Km, si legano distretti estesi mediamente 21 kmq, che investono tre quarti circadell’Alta Val di Merse; definiscono così un progetto di dominio territoriale attraverso la fondazione di un“gruppo” organico di centri fortificati. Nel caso di Miranduolo, il poligono delimita un territorio di circa 16Kmq e racchiude tutte quelle località indicate nelle fonti documentarie di metà XIII secolo come confini delsuo comprensorio od in esso inserite. Si veda NARDINI, VALENTI, 2003.I valori registrati per la Val di Merse trovano sufficiente corrispondenza nella Val d’Elsa. In questo caso lataratura dei poligoni è stata effettuata considerando le attestazioni dei territori limitrofi (Castellina, SanGimignano e Monteriggioni per Poggibonsi; Casole, San Gimignano e Monteriggioni per Colle). Il risultatoha materializzato 6 poligoni intorno a Staggia, Talciona, Lecchi, Marturi, Papaiano e che rivelanoun’estensione media di poco superiore ai 13 kmq (13,47962) ed i seguenti valori unitari: Staggia =18,608462 kmq; Talciona = 14,788310 kmq; Lecchi = 13,820152 kmq; Bibbiano = 13,491514 kmq;Papaiano = 14,133508 kmq; Marturi = 6,035817 kmq. Nel complesso i territori ipotetici di dominio del

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Figura 57, 58, 59, 60

A Poggibonsi, le strutture d’età carolingia nascono da una nuovaridefinizione urbanistica dell’abitato intorno al grande edificio tipolonghouse. Il villaggio, anche in questo caso, fu riprogettato secondo lalogica di un controllo forte sugli uomini e sul loro lavoro e su un usoottimizzato degli spazi. Il costante aumento della frequenza di bovini ascapito delle altre specie domestiche, accompagnato dalla presenza delgrande granaio e di un magazzino molto articolato interno alla longhouse,testimoniano l’emergere di un’economia spiccatamente agricola, alla qualesopravvive solo l’allevamento di caprovini.

Le differenze con il più antico villaggio di età longobarda e con quellodi VIII secolo sono sensibili. Sino dal VII secolo l’economia silvopastoraleaveva il ruolo di attività trainante e raggiunse l’apice agli inizi dell’VIIIsecolo, incentrandosi soprattutto sui suini; i decenni successivi mostranol’affiancarsi di attività agricole e la comparsa di nuove strutture funzionali adun loro controllo, poi molto più stretto con le trasformazioni del villaggio diIX secolo.

L’area indagata dallo scavo324 è interpretabile come il centro diun'organizzazione produttiva di tipo curtense; sembra riconducibile almodello delle curtes di tipo "classico", divise in parte domocoltile emassaricia, quest’ultima da collocare sulle superfici sud della collina nonancora sottoposte a scavo (ipotesi più plausibile) o in altra zona del territoriocircostante. Nel massaricio dovevano svolgersi le stesse attività lavorativeattestate nel dominico, cioè agricoltura e pastorizia specializzata; le quotecanonarie venivano raccolte nel grande granaio o, nel caso di prodottialimentari in carne, portate direttamente alla casa dominica.325

La presenza del proprietario in loco sembra accertata dalla stessacentralità della longhouse e dalle restituzioni di una struttura adiacente. Sitratta di una piccola capanna con pianta a”T” affacciata sulla strada in terra,in pratica un’abitazione-magazzino, con reperti che rivelano l’identità delsignore: una lancia a foglia, una punta di freccia, elementi della bardatura diun cavallo. La piccola capanna era quindi occupata da un diretto dipendente,forse un servo, che custodiva alcuni beni fra i quali le armi del suo padroneidentificabile in un miles od un exercitalis che traeva sostentamento e profittodall’azienda affidatagli in beneficio.326

Lo spazio intorno alla capanna dominica fu organizzato come unaspecie di fattoria dotata di annessi e strutture di servizio; gli animali erano

centro di riferimento mostrano, una rete di grandi aziende che si sono divise più o meno equamente la terra(VALENTI, 1999).324 Lo scavo è descritto più in dettaglio nel paragrafo 4.1.325 Sulla tipologia dei modelli di azienda curtense si veda soprattutto la sintesi in TOUBERT, 1995.326 Sugli exercitales, i liberi possessori con obblighi di servizio militare e, in relazione ai beni posseduti, tenutianche ad altri servizi come la manutenzione di ponti e strade o la custodia armata dei placiti, si vedaTABACCO, 1966.

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custoditi all’interno del centro e le attività artigianali venivano svolte sotto ildiretto controllo del proprietario. La forgia da ferro e la fornace da ceramica,disposte poco lontano dalla longhouse, lasciano intravedere come lafabbricazione di alcuni beni necessari alla vita ed al lavoro quotidianoavveniva nella casa dominica e può rappresentare sia una tendenzaall’autosufficienza, sia una produzione di attrezzi destinati per contratto ailivellari,327 sia l’esercizio di una bannalità: i contadini ed i pastori delmassaricio potrebbero essersi dovuti approvvigionare presso il centro.328

L’autosufficenza è comunque da interpretare alla stregua di una limitatadipendenza economica dall’esterno, che non significa totale chiusura ecompleta autarchia come dimostrano la ceramica a vetrina pesante ed i moltireperti vitrei rinvenuti.329

Figura 61

La letteratura storica mette in dubbio la presenza di strutture funzionalialla produzione di manufatti artigianali, poichè nella maggior parte dei casioggetto di canoni e quindi forniti dai massari. Gli inventari redatti nellaseconda metà del IX secolo nel monastero di Bobbio mostrano la fornitura diprodotti artigianali da parte dei coloni del massaricio: per esempio la corte diLuliatica nel pavese era adibita alla produzione ed alla lavorazione del ferro,altre a fornire il vestimentum cioè l’abbigliamento dei monaci.330 Gliinventari di seconda metà IX-inizi X secolo del monastero di Santa Giulia diBrescia attestano infatti che circa un quinto dei coloni dipendenti (su untotale di quasi 1000 capifamiglia suddivisi in 80 aziende curtensi) fornivanoannualmente censi sottoforma di beni materiali.331 Anche se esistono casi incui si attesta l'esistenza di laboratori artigianali nella casa dominica, siprecisa comunque che non si trattava di un elemento frequente.332 AncoraFumagalli sottolinea come gli stessi inventari di Santa Giulia di Bresciatestimoniano raramente l'esistenza personale impiegato nel centro dellacurtis per attività di tipo artigianale: così nella curtis di Nuvolera, si tratta di

327 FUMAGALLI, 1976, p.33 per la pratica del proprietario di affidare gli attrezzi al livellario.328 Potevano svolgere attività di tipo artigianale nei laboratori del centro dominico i massari stessi, comeprestazione d’opera; su tali aspetti si veda anche DHONT, 1990, pp.33-36.329 Sul tema dell’autosufficienza del sistema curtense, non s’intende il raggiungimento di un’autarchia in unasingola curtis bensì nell’ambito dell’insieme complessivo delle aziende. Autarchia comunque parziale,ricorrendo al mercato per beni che il “sistema” non produceva. Si veda PASQUALI, 1981, in particolarep.94 che riprende un concetto già illustrato in LUZZATTO, 1910, pp.73-74. A livello più generale, conun’enfasi maggiore posta sui centri curtensi come promotori e organizzatori di scambi e distruggendodefinitivamente il concetto curtis = economia chiusa si vedano in particolare TOUBERT, 1983 eTOUBERT, 1988.330 Si veda FUMAGALLI, 1969, pp.38-49.331 Sono stati calcolati circa 170 kg di ferro grezzo, attrezzi in metallo (3 falci, 2 forconi, 3 scuri, 1 mannaia,29 vomeri), oggetti in legno (400 scandolas cioè tegole lignee per tetto), quantitativi di lana e lino, tele estoffe grezze. Si veda FUMAGALLI, 1980a.332 Si veda TOUBERT, 1995, pp.216-218 con bibliografia.

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generici manufatti e nella curtis di Cervinica erano invece prodotte 18 libbredi lana.333

L’archeologia toscana sta però evidenziando l’esistenza di struttureartigianali e la loro collocazione sugli spazi interpretati come centro deldominico (oltre a Poggibonsi, Scarlino, Montarrenti, forse RocchettePannocchieschi).334 Probabilmente il tipo di organizzazione registrata daiPolittici è relativa soprattutto alla grande proprietà monastica,335 mentre casidi curtes più piccole, come quelle che sono state scavate in Toscana e chedovevano essere le più diffuse, articolarono rapporti e strategie diverse nellaproduzione di strumenti ed oggetti, preferendo gestirli direttamente e, comegià esposto, rendendoli eventualmente oggetto di bannalità.336

Tornando a Poggibonsi, il centro della curtis risulta articolato nellaresidenza padronale, in strutture artigianali ed ausiliarie, in abitazioni piùpiccole che sembrano essere state occupate essenzialmente da prebendari eministeriales, quindi dei servi casati e dai dipendenti operanti nel dominicoed incaricati di presiedere all’amministrazione, al controllo dell’esecuzionedelle corvées ed alla riscossione dei canoni, all’allevamento degli animali,alla produzione di generi alimentari e di strumenti di lavoro.337 In tal senso valetta la presenza e la gestione delle strutture per la macellazione e per lalavorazione della carne, per la produzione di beni e per l’accumulo di derratee sementi; ed allo stesso modo devono essere interpretate le informazioniscaturite dall’analisi archeozoologica.

La distribuzione dei reperti osteologici, il loro numero e natura,confermano la presenza di un dominus, mostrandone alcune prerogative e lescelte effettuate. Egli provvedeva al mantenimento dei dipendenti operantinel caput curtis e gestiva il consumo della carne regolandone l’accesso (ladifferenziazione dei consumi in carne si rivela quindi un indicatore digerarchia sociale). Inoltre, il grande quantitativo di reperti osteologici,

333 Si veda FUMAGALLI, 1980a, pp.26-27.334 Le strutture sono descrittie nel paragrafo 3.3.335 Pasquali, per esempio, ha stimato il patrimonio di Santa Giulia di Brescia, pur tratto da documentazionegiunta incompleta, suddiviso in 93 fra corti e possessi ubicati in 73 località diverse, comprese entro unadistanza massima di 60 km dalla città, con terre coltivate che raggiungevano quasi 3.000 ettari e boschi peroltre 10.000 ettari. Cifre non molto distanti dalla dotazione del grande monastero parigino di Saint Germain-de-Prés (rispettivamente 4848 ettari e 11.173 ettari). Si veda PASQUALI, 1981, pp.96-97 anche perl’organizzazione spaziale della produzione.336 Duby sottolinea con chiarezza la natura dei Polittici altomedievali: «Questi polittici, in verità, proiettanosulla realtà delle campagne una luce del tutto particolare, che forse la deforma. Ciò per tre ragioni principali.Anzitutto, gli inventari non descrivono che le aziende contadine sottoposte all’autorità e al potereeconomico di un padrone. Sennonché, ne esistevano certamente altre, indipendenti, delle quali, in mancanzadi fonti, non si conoscerà mai né il numero, né la collocazione, né la consistenza. D’altra parte, niente provache i ruoli in cui, nei polittici, sono registrati gli oneri incombenti ai dipendenti abbiano sempre coinciso conla vera ripartizione del possesso fondiario nell’agro, dato che, per semplificare il lavoro di riscossione, gliamministratori di signorie responsabili della redazione degli inventari continuavano a far valereartificiosamente ruoli vecchi e non più rispondenti alla realtà. Un polittico infine non è un catasto» (DUBY,1984, pp.46-47).337 Si veda PASQUALI, 2002, in particolare pp.76-87, per approfondimenti sulla figura dei servi nella casadominica e l’estesa trattazione in FASOLI, 1983. Inoltre LUZZATTO, 1910; PASQUALI, 1992; PANERO,1999.

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interpretabile come indizio della specializzazione economica dei dipendentioperanti nel dominico, lascia ipotizzare che i lavori dei campi (lapreponderanza dell’agricoltura nell’economia del villaggio è infatticonfermata dalle attestazioni di bovini macellati in età avanzata, nonchè dallestrutture di accumulo) potessero essere svolti in gran parte tramite corvées.

Il dominico in definitiva fu organizzato come un centrotendenzialmente autosufficiente e collettore di derrate alimentari, che in partevenivano prodotte in loco (carne, latte, prodotti caseari, prodotti agricoli dalleterre in gestione diretta) ed in parte provenienti dal massaricio. Ladistribuzione delle specie animali evidenzia come negli spazi dominicivenivano allevati soprattutto caprovini mentre il maiale era legato adapprovvigionamenti esterni. Sono stati infatti rinvenuti unicamente elementianatomici che corrispondono alla spalla dell’animale: i suini giungevanoquindi nell’insediamento già macellati e come parti scelte di carne lavorata.Era la corresponsione di un canone tipo amiscere proveniente dal massaricio,la parte dell’azienda in cui evidentemente venne concentrato l’allevamentodei suini.338

Mangiare la carne diviene poi un fattore discriminatorio; il consumodei tagli di bue qualitativamente migliori ed in notevoli quantità appare comeuna prerogativa degli abitanti della longhouse. Nella struttura adiacente, lacapanna a “T”, si ritrovano, invece, tagli di seconda scelta ed in particolarequelli relativi alla spalla dell’animale, appartenenti a soggetti generalmenteanziani. Infine alle famiglie residenti nelle altre capanne, erano riservatiunicamente gli scarti e nella fattispecie le estremità degli arti. Oltre alla carnedi bue e di cavallo, era appannaggio quasi esclusivo del proprietario quella dicapre e di pecore abbattute tra il primo ed il secondo anno di vita; i soggettipiù anziani, invece, venivano equamente distribuiti tra le famiglie deldominico. In altre parole, la famiglia residente nella longhouse mangiavamolta carne di prima scelta e di tipo diversificato, i dipendenti più strettiaccedevano a tagli di seconda scelta, il resto della popolazione a tagli di terzascelta. Anche la distribuzione delle spalle di maiale (presenti soprattutto nellalonghouse) mostrano un accentramento di tale bene ed una redistribuzione dialcune spalle fra gli stessi dipendenti.

Infine, le caratteristiche mostrate dalla ripartizione della carneall’interno delle strutture indagate, così come le ipotesi sulla gestione delle

338 Il dato è stato interpretato, in base al concetto di schleep effect, come evidenza dell’importazione di carnedi suino, ovvero il maiale non era allevato nel villaggio. Trova inoltre riscontri nelle fonti documentarie di Xsecolo dell’Italia centro-settentrionale, dove sono riportate le corresponsioni che i livellari, insediati neimansi di proprietà di una curtis, dovevano al dominico (ANDREOLLI, 1981; ANDREOLLI,MONTANARI, 1983). In particolare, a partire dal X secolo, in alcune zone d’Italia si diffuse unacontribuzione nuova riportata con il termine di amiscere, ad indicare in genere un canone che equivaleva aduna spalla del maiale (oppure sostituibile con alcuni denari). La coincidenza dei dati documentari edarcheozoologici rinforza quindi l’ipotesi del centro curtense nel quale, a differenza del villaggio di etàlongobarda, sembra svilupparsi un’economia variegata, dedita in parte all’agricoltura ed in parteall’allevamento dei capriovini e ovviamente dei bovini impiegati come forza lavoro nei campi. Si veda peruna chiara esposizione sul significato del termine amiscere DU CANGE, 1954; inoltre ANDREOLLI, 1999,pp.206-208.

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terre legate al dominico già presentate, sembrano confermare l’esistenza diuna “signoria domestica”, dato che rinforza ulteriormente l’interpretazione dipars dominica del complesso sinora scavato a Poggibonsi.339

Lo scavo e lo studio del cimitero legato al villaggio di capannesottolinea un dato interessante, tendenzialmente a conferma della presenza diun’articolazione gerarchica all'interno della popolazione; gli indizi sembranorilevabili in un nucleo di quattro tombe con copertura in lastre di travertinoinserite al centro di un’area connotata rigorosamente da tombe a fossaterragna. La particolarità di questo gruppo è rafforzata anche dalla lorocollocazione spaziale (una zona ben definita) e dalla presenza di un neonatoall’interno di una piccola cassetta di travertino e deposto ai piedi di un uomo,l'unico sinora rinvenuto.

Il cimitero ci mostra inoltre le caratteristiche dell’abitante del villaggiodi Poggibonsi, confermando la presenza di una popolazione impegnataprevalentemente nei lavori agricoli, con un tenore di vita pressoché uniforme;inesistenti sono le morti violente e molto rari i traumi.

Il 45% circa degli uomini e delle donne moriva tra i 25 e i 35 anni dietà ed avevano lavorato duramente per tutta la loro esistenza comedimostrano le patologie collegate al tipo di attività svolta; erano dicostituzione robusta e di alta statura. Lo studio ergonomico non rivela unanetta separazione sessuale del lavoro. Le donne, come gli uomini, seppure inpercentuale inferiore, presentano le ossa molto modellate, con improntemuscolari marcate e con entosapatie, tanto da far supporre che fosseroimpegnate in lavori altrettanto pesanti di quelli maschili; avevano quindi unruolo molto importante nell’economia del villaggio.340

Ambedue i sessi rivelano patologie comuni che derivano da impegniconsiderevoli della parte inferiore del corpo. Sono attestate lesioni dasovraccarico (sindesmopatie), soprattutto a livello del cingolo scapolare,conseguenti ad attività fisicamente molto impegantive, spesso collegate allavoro dell’aratura (lo sforzo di affondare l’aratro nel terreno sollecitafortemente il legamento costo-clavicolare). Inoltre gli indici postcraniali, inparticolare dei femori che sono caratterizzati da pilastrismo e platimeria,indicano una forte sollecitazione dei muscoli impegnati nella marcia.

339 La particolare forma di signoria che il dominus esercitava sui contadini residenti nella pars dominica o suterreni a gestione diretta è stata individuata con il termine di “signoria domestica” per effettuare unadistinzione con la signoria fondiaria; questa implica infatti «la superiore capacità del padrone di controllare econdizionare tutti i lavoratori dipendenti» e che spesso portava a poteri coercitivi su tutti i coloni (SERGI,1986, p.379; si vedano inoltre ALBERTONI, 1997, pp.11-115; SERGI, 1993, p.17; VIOLANTE, 1991).340 Tali caratteristiche sono osservabili a livello degli arti inferiori dove particolarmente forti sono leimpronte del muscolo grande gluteo (70%), dell’ileopsoas (51.61%), del femore e del soleo della tibia(60%); l’entesopatia del tendine di Achille riguarda poi il 50% dei calcagni osservati. Le inserzioni moltomarcate e le entesopatie del grande gluteo sono conseguenti ad intensi e ripetuti movimenti di rotazioneesterna ed estensione della coscia; quelle dell’ileopsoas indicano ripetuti movimenti di flessione dellagamba; il muscolo soleo è flessore plantare del piede. Nell’osso dell’anca, per il 28% dei casi,particolarmente forte è l’area d’inserzione del semimembranoso situata sull’ischio, muscolo che flette lagamba sulla coscia, imprimendole anche un leggero movimento di rotazione mediale.

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Uomini e donne si distinguono nettamente, invece, per quanto riguardauna particolare patologia vertebrale, riscontrata sulle superfici dei corpi dellevertebre toraciche e lombari: le ernie di Schmorl. Ben il 55% dei maschi nerisulta affetto, mentre nessuna delle femmine presenta questa patologia. E’una lesione che si manifesta nella colonna vertebrale se soggetta asollecitazioni compressive fino dalla giovane età. Sembra quindi che imaschi, a differenza delle femmine, fossero avviati precocemente al lavoroed in età adolescenziale. Alcuni individui sono affetti da periostite,soprattutto a livello delle gambe, lesioni alle quali le popolazioni agricole epastorali risultano particolarmente soggette in quanto, camminando su terreniimpervi, sono esposte a microtraumi ripetuti, in particolare, a livello dellecreste tibiali.

La famiglia contadina media era rappresentata da un uomo alto 175,5cm e da una donna alta 163 cm. Il numero dei figli non è precisabile masappiamo che erano avviati al lavoro prima dei 15 anni, contribuendo quindifin da piccoli all’economia del nucleo. La vita si svolgeva in condizioniambientali poco salubri causando alle persone forti dolori artrosici ereumatici.

Erano spesso soggette a malattie infettive che colpivano soprattutto lasuperficie delle ossa, mentre molto rari sembrano essere stati i tumori (duecasi di carattere benigno ed un caso di cisti alla mano). La dieta quotidiana sibasava su cibi non raffinati e carenti di minerali, quali calcio e ferro; talideficit portavano in oltre il 40% degli individui ad anemie benchè non gravi.Talvolta questa patologia, come nel caso della iperostosi porotica, può esserericondotta anche a parassitosi. I denti, molto consumati, venivano colpiti datartaro anche sotto le gengive (causandone la caduta) e mediamente da circadue carie.341

L’intera famiglia era impegnata in un'attività lavorativa che sollecitavatutto il corpo con una prevalenza nei maschi per la parte inferiore dellacolonna vertebrale. Il fatto che camminassero molto indica che i campi eranodisposti al di fuori dell’area del villaggio ed in alcuni casi anche ad una certadistanza. Non si doveva disporre di animali di grossa taglia poiché l’aratrosembra trainato dalle persone. Anche attrezzi e prodotti dei campi eranotrasportati dall’uomo come mostrano il 36% dei radii con impronte muscolarimolto marcate e le entesopatie del bicipite; l’ipertofia di queste inserzionisuggerisce un’attività frequente di sollevamento di pesi e di trasporto dicarichi con gomiti flessi.342

Figura 62 e 63

341 Si veda al riguardo FRANCOVICH, NARDINI, VALENTI, 2000.342 Si vedano per tutti i dati illustrati WALKER, 1996a e WALKER, 1996b. Inoltre si devono molte delleosservazioni ad Angelica Vitiello dell’Istituto di Patologia medica dell’Università di Pisa che staanalizzando l’intero cimitero.

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Considerando nel loro insieme caratteristiche degli spazi insediati, tipidi strutture indagate, presenza significativa degli animali accanto agli uomini,alimentazione e patologie, si osserva inoltre che le condizioni di vita nelvillaggio di Poggibonsi dovevano essere più o meno le stesse sia per gliindividui che sembrano inumati in sepolture di tipo “privilegiato” sia per lamassa della popolazione. Il confronto incrociato delle anamnesi delle duetipologie di scheletri rivela in realtà poche differenze sostanziali. Sia laprobabile élite sia i dipendenti vivevano nello stesso ambiente, in case umideper gran parte dell’anno, a contatto continuo con buoi e caprovini, conun’alimentazione che pur differenziandosi probabilmente non copriva conefficacia i bisogni vitaminici e proteici indispensabili per una dieta salutare eper evitare disfunzioni fisiche.343

Le reali differenze tra la famiglia detentrice della curtis ed il restodella popolazione contadina sono quindi percepibili nell’appartenenza delcapofamiglia all’esercito, nella maggiore disponibilità di cibo e nel deciderela sua distribuzione (non significa però una migliore e più sanaalimentazione), nel vivere in un edificio circa tre volte più grande degli altri,nell’avere servi e dipendenti ai quali si doveva provvedere per ilsostentamento e che svolgevano mansioni diverse legate all’economia delcentro. Gli stimoli creati dalla lettura congiunta dei dati di Poggibonsi sonoindubbiamente affascinanti. Rimandiamo però ogni conclusione più certa adun futuro in cui avremo a disposizione molti più campioni dagli scavi divillaggi altomedievali.

Un esempio di villaggio-azienda diverso dalle curtis scavate, od incorso di scavo, fra Val di Merse e Valdelsa,344 è rappresentato dal contesto

343 Lo scheletro 36 e lo scheletro 111 rappresentano rispettivamente un individuo che fa parte del gruppodistinto all’interno del cimitero ed un individuo ben rappresentativo della massa e propongono delle carted’identità fisica che non differiscono molto. Lo scheletro 36 apparteneva ad un individuo di sesso maschile,di età compresa fra i 35-45 anni, un soggetto colpito da artrosi primaria. Le patologie degenerativericonosciute nelle vertebre lombari e cervicali lasciano ipotizzare un'attività che impegnava in modoomogeneo tutta la struttura scheletrica. L'esostosi alla clavicola sinistra, può ricondursi ad un precoceepisodio infiammatorio, occorso prima dei 15 anni; la patologia infatti si manifesta in età puberale, primache si completi il processo di ossificazione delle cartilagini. Lo scheletro 111 era un individuo di sessomaschile, di età compresa fra 35-45 anni, in cattivo stato di salute con numerose patologie a caricodell'apparato scheletrico e di quello articolare. L'attività svolta e la malnutrizione, causarono un processodegenerativo delle ossa, normalmente sollecitate dai pesanti sforzi, sviluppando forme di artrosi anche agliarti superiori.344 Un ultimo caso interessante che, pubblicato recentemente, è stato presentato come una sorta di villaggio-azienda è a Cosa; città abbandonata che nel maturo altomedioevo vide la costruzione di nuove struttureinsediative che interessarono una parte dell’antico abitato urbano. La datazione finale è stata fissata tra lametà del X secolo e gli inizi dell’XI secolo tenendo conto di due fattori: l’assenza di un’abbondante culturamateriale e la datazione più tarda (XI secolo) che potrebbe solo definire la fase di abbandono di questo tipoinsediativo (la ceramica datante della cisterna della Casa di Diana è infatti presente negli strati diriempimento e non di uso). Se le indicazioni fornite dagli archeologi sono attendibili ci troveremmo difronte ad un contesto insediativo rurale caratterizzato da difese: un ridotto fortificato in materiale deperibilenella zona alta dell’Eastern Height con una concentrazione di strutture abitative (almeno tre capanne), unfossato alle sue pendici, altre capanne nella zona del Forum V con campi ed orti (tracce di sfruttamentoagricolo riconosciute sui crolli della Casa di Diana ) e sistemi di drenaggio e raccolta delle acque, altri duefossati con muri di difesa o di rafforzamento collegati al riuso di preesistenze (si veda FENTRESS, 2003).Viene comunque il dubbio che possa trattarsi di un castello di prima fase non riconosciuto dagli scavatori, inquanto conformazione urbanistica e cronologia lasciano aperta questa possibilità.

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indagato a Campiglia Marittima che si propone nel X secolo come uninsediamento uniforme di capanne, con occupazione specializzata in attivitàsilvo-pastorali ed in particolare nell’allevamento di maiali. La vocazioneeconomica del centro campigliese è testimoniata dalla presenza di uncospicuo numero di capi di suino e dalla distribuzione delle età di decessodell’animale: si nota una prevalenza di soggetti consumati molto giovani(entro il primo anno) a discapito di una loro migliore resa, che non trovariscontri in altre zone italiane. Mentre di minor incidenza, se non quasiinsignificante, doveva essere l’attività agricola ad integrazione delle necessitàalimentari del villaggio; è stato rinvenuto infatti un solo bovino anzianopresumibilmente impiegato nei lavori agricoli.345

Si trattava quindi di un centro abitato da porcari, che potrebbe esserericonoscibile come componente del massaricio di una curtis, il cui villaggiodi riferimento non è stato individuato ma che non doveva essere moltodistante.346

Figura 64

In tal senso, il confronto con Poggibonsi sembra rivelare la differenzafra un centro dominico ed un centro del massaricio. Il confronto tiene contodei caratteri discordi d’immediata percezione, riguardanti topografia earticolazione delle strutture (a Campiglia sono assenti edifici destinatiall’accumulo, le capanne risultano tutte uguali e non si rileva unagerarchizzazione tra gli abitanti o la chiara presenza di attività artigianali) esoprattutto della diversa economia.

Nella curtis di Poggibonsi l’agricoltura rappresentava sicuramentel’attività principale interagendo con pratiche di pastorizia incentrate inparticolare sull’allevamento dei capriovini, che risulta invece quasi assente aCampiglia. A Poggibonsi non era praticato l’allevamento del maiale chearrivava nel villaggio come corresponsione, Campiglia invece doveva forniredei prodotti al proprio ed eventuale centro di riferimento.

Ed è singolare e significativa la coincidenza rilevabile nei dueinsediamenti fra corresponsioni ricevute e corresponsioni fornite.Contrariamente al centro domocotile di Poggibonsi, in quello che parerivelarsi a Campiglia come un villaggio massaricio i quarti posteriori delmaiale (praticamente assenti dalle restituzioni) e forse anche dei capriovini(che sono poco attestati) sembrano costituire i canoni che i pastori, insediatinel villaggio, dovevano forse per l’usufrutto delle aree boschive in cuivenivano ingrassati i maiali.

Un ulteriore elemento distintivo tra i due insediamenti riguarda lapresenza di una gerarchizzazione sociale evidenziata, oltre chedall’urbanistica dei centri, dalla stessa alimentazione. A Poggibonsi ilconsumo di carne bovina, e quello d’altri animali di grossa taglia come il345 SALVADORI, 2004.346 L’azienda di riferimento di Campiglia non è nota ma probabilmente da collocare nella Val di Cornia.

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cavallo e l’asino o di particolari pennuti da cortile come l’oca, era riservatoesclusivamente alla famiglia residente nella longhouse; mentre la dieta dicarne riscontrata in coincidenza delle adiacenti capanne (occupate dapersonale accasato e probabilmente sfamato dal signore stesso) era molto piùlimitata, basandosi su consumi il cui accesso sembra essere stato regolato inbase alla posizione occupata nella gestione e nelle mansioni svolte neldominico.

I segni di una gerarchizzazione dei consumi proteici non sono statiinvece riscontrati nel villaggio campigliese. L’analisi quantitativa dellespecie presenti, in associazione all’età di decesso ed all’elemento anatomico,non ha rilevato alcun segno distintivo che possa essere attribuibile a ragionidi tipo sociale nelle tre strutture rinvenute. Ciò non significa che le famigliedelle capanne di Poggibonsi mangiassero meglio; anzi, confrontando lerestituzioni degli edifici dei due centri (con l’eccezione della longhouse), ladieta sembra più completa per le famiglie di pastori che vivevano aCampiglia. Significa invece che l’alimentazione, all’interno di un villaggiocon presenza signorile, rappresenta uno dei segni principali per confermarel’esistenza di gerarchia e di controllo e di una strutturazione dei consumi ditipo piramidale.

Campiglia è riconoscibile come una forma insediativa ad economiaspecializzata e di rottura di fronte all’incolto, caratteri che molti autoriattribuiscono all’insediamento definito come casale?347 Il paragone potrebbeessere fatto, non siamo però in grado di affermarlo con certezza, in quantol’urbanistica dell’insediamento, l’organizzazione del lavoro e l’ammontaredel popolamento ipotizzati trovano confronti abbastanza precisi anche inalcuni insediamenti di metà IX secolo della Berardenga, in territorio senese.Si tratta di piccoli centri, dei villaggi-azienda che facevano parte delpatrimonio di un grande proprietario, quel Winigi già conte di Siena che, purdescritti con grande precisione (citando persino tutti i nomi dei servi ceduti edei dipendenti operanti, nonché il numero degli abitanti), non vengono peròdefiniti in tal senso. 348

Nell' 867 vengono citate «res nostra in Casprina (...) cum casis ethedificiis, cum greges ovium et greges porcorum et greges armentorum, cumservos et ancillas, et cum ipsos pastores qui animalia custodiunt»,349 per untotale di 22 abitanti raccolti in 3 nuclei familiari e una specializzazione delleattività nella pastorizia e nell'allevamento: la citazione degli uomini ceduti347 Il casale ha avuto una serie di definizioni più o meno coincidenti. Un'unità agricola dispersa impegnatanello sforzo di ridurre a coltura gli spazi intercalari (TOUBERT, 1995, p.65); più spesso un villaggio,originariamente semplice unità agraria di nuovo impianto, sviluppatasi in un'insediamento rurale di unacerta qual consistenza; può divenire spesso un'azienda agricola autonoma (MIGLIARIO, 1988, p.56);proponendosi come gruppi di poderi accentrati (PETRACCO SICARDI, 1980, p.363) privi di dominico(FUMAGALLI, 1976, p.29). Si veda anche CAPITANI, 1992, pp.87-88. E’ paragonabile al villaggiotedesco destinato al dissodamento, tipologizzato all’interno del modello Waldhufendorf (ROSENER, 1989).Si veda inoltre per la definizione proposta nel Lexicon des Mittelalters FUMAGALLI, 1983.348 Per i Berardenghi si veda lo studio proposto in CAMAROSANO, 1974. Per l’edizione del Cartulariodella Berardenga si veda CASANOVA, 1927.349 CARTULARIO DELLA BERADENGA, LIII anno 867.

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mostra l'assenza di coltivatori: il pecorario e il porcario. Nell’881 sidescrivono «Canpi, hubi dicitur Fontebona, super fluvio Cogia, pago senese,cum ipsa terra et silva uno tenente ipsa silva nuncupante Acceptoraria et silvaet terra de Piscina sancta et villa qui nuncupante Septiminula, ibidem propeipsa ecclesia cum casis, terris, vineis, silvis, servis pro servis, aldiis proaldiis, liberis pro liberis, omnia et omnibus ad ipsa villa pertinentes et casa inipso soprascripto Canpi, cum servos et ancillas, cum greges porcorum, gregescaprarum, greges iumentorum, greges armentorum».350 Canpi e Septiminulasi estendevano su uno spazio formato da poche abitazioni e conducevano tipidiversi di attività produttiva. Septiminula doveva il suo aspetto accentratoalla contiguità di poderi contadini destinati alla coltivazione dei seminativi edella vite integrando con le risorse dell'incolto. Canpi pare invece legato amanovalanza specializzata nell'allevamento e non c'è traccia di terracoltivata; la conferma viene dallo stesso elenco dei servi ivi residenti: ilbefulcus (quattro esempi), il pecorario (due esempi), lo iumentario (unesempio) divisi in sette nuclei familiari per 28 abitanti. Un ulteriore elementodi differenziazione si rivela nelle condizioni personali degli individuiresidenti nei due villaggi; fanno parte del primo uomini con condizionipersonali diversificate (servi, semiliberi, liberi), del secondo esclusivamentepersone di rango servile.

350 CARTULARIO DELLA BERADENGA, III anno 881.

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6 – Conclusioni6.1 –Fonti materiali e fonti scritte.

Questo contributo ha tentato di muoversi nel solco della ricerca nord-europea in tema d’insediamento delle campagne altomedievali, per ciò cheriguarda l’interpretazione strutturale e funzionale degli edifici e lamodellizzazione dei villaggi sotto il profilo socio-economico.351

S’inserisce inoltre in quella serie di confronti fra ricercatori italiani,svoltisi nell’ultimo decennio soprattutto al centro nord, nei quali si è iniziatoa dibattere la casistica delle strutture abitative e la formazione del villaggioma, più raramente, la sua struttura nella diacronia e gli indicatori archeologiciutili a definire i caratteri economici ed i rapporti di tipo sociale in atto.

Dietro tali esigenze, nell’area di Archeologia Medievaledell’Università di Siena, abbiamo tentato da alcuni anni di sperimentare unametodologia interpretativa che contribusse a capire cos’è stato realmente ilvillaggio rurale fra VII e X secolo, come e per quali motivi si è trasformato equali sono gli indicatori archeologici nella diacronia. La valutazione deicontesti sottoposti a indagini di scavo si è imperniata su delle analisi dimicro-scala (la singola struttura e la sua funzionalità) e di macro-scala(l’insediamento come insieme di strutture che lo connotano), sfruttando a talfine le risorse dell’informatica applicata.352

Lo sforzo di ricostruire in pianta le strutture edilizie in materialideperibili e comprendere la loro destinazione funzionale ha avuto inizio conle indagini su Poggibonsi, contesto di lunga frequentazione in cui eraindispensabile raggiungere una razionalizzazione tipologica applicandogriglie interpretative.

La realizzazione di un quadro di riferimento per lo scavo dei livellialtomedievali ha significato ridurre il più possibile soggettività e ipotesipreconcette del ricercatore e liberare il dato archeologico dalla distorsionedei processi post-deposizionali di trasformazione in un approccio quindi ditipo processuale: le tracce di strutture deperibili altomedievali sono spesso

351 In particolare si ritiene ancora oggi valida l’impostazione ormai più che ventennale del lavoro di Donat:studiare la formazione delle aristocrazie locali implica un’esauriente inchiesta sul ceto produttivo contadino.Sono quindi centrali le analisi dei rapporti socio-economici mentre quelle concernenti le tecniche costruttivee loro diffusione sono subordinate a comprendere la funzionalità delle forme insediative (DONAT, 1980,pp.5-6).352 Il percorso di elaborazione è descritto in FRONZA, VALENTI, 1996; FRONZA, VALENTI, 1997;FRONZA, VALENTI, 2000. La metodologia applicata si basa sul dialogo e sul processamento continuo deidati attraverso la piattaforma GIS ed il Database Management Systems. Il DBMS ospita un contenitoreInterpretazione contesti altomedievali impostato sul concetto di “struttura in materiale deperibile”, intesacome un contesto omogeneo ed unitario identificato durante le indagini stratigrafiche; per strutture sipossono intendere unità abitative (capanna), unità funzionali (stalla, granaio, tettoia, recinto, palizzata, ecc.)o, nel caso di depositi poco leggibili, semplici “situazioni” di buche di palo. Alla struttura si leganodirettamente le schede delle unità stratigrafiche che ne fanno parte, già immagazzinate nei moduli delDBMS relativi alla stratigrafia.Altri archivi-contenitori sono poi usati come collettori di dati integrativi; ci riferiamo in particolare a tutti gliarchivi dei reperti e ai contenitori Capanne europee, Unità stratigrafiche e Allineamento (quest’ultimo èstato appositamente creato per tale analisi e quindi per l’applicazione delle griglie). Sulla completastrutturazione del sistema degli archivi si veda in particolare FRONZA, VALENTI, 2000.

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comprese in contesti pluristratificati che rendono problematica una completavalutazione dei depositi più antichi.

Non sempre una serie di buche o di tagli apparentemente riconducibiliad una pianta più o meno regolare sono in realtà componenti della strutturaipotizzata.353 Possono cioè dare luogo ad errate messe in fase di stratigrafie econseguentemente a scorrette interpretazioni che falserebbero laricostruzione dei quadri socio-economici di ogni centro di popolamento,arrivando infine a proporre modelli non attendibili o fuorvianti.354

Figura 65

Sulla lettura urbanistica e sull’identificazione tipologica dei villaggi,possono inoltre presentarsi dei limiti legati all’estensione dello scavo. Latendenza generale di ogni contesto è comunque intuibile e, di fronte aindagini stratigrafiche correttamente registrate su piattaforma Gis, ilprocessamento dei dati riesce a far ipotizzare il numero delle strutturepotenzialmente presenti, l’eventuale forma del villaggio e la suaconnotazione economica, nonché l’ammontare del popolamento ed i rapportidi tipo sociale esistenti.355

Figura 66, 67, 68, 69, 70

353 La razionalizzazione dei criteri interpretativi si è basata su due diverse riflessioni. La prima riflessioneaffronta il riconoscimento delle tracce materiali generate dall’impianto di un palo, la valutazione di tutti ifattori coinvolti e l’assegnazione di un grado di affidabilità finale. La cautela nel riconoscimento di buchedeve essere d’obbligo ma al di là dell’individuazione, definibile non del tutto appriopriatamente “classica”(articolata in buca e riempimento connotato da terra sciolta, carboni e pietre a zeppa), sono possibili in realtàmolte varianti, evidenziate sia dalla letteratura archeologica disponibile sia dalla stessa e particolare storia“stratigrafica” del sito, non sempre riconoscibili per inesperienza o non conoscenza della bibliografiaesistente. La seconda riflessione è invece dedicata alla lettura e all’interpretazione delle strutture (siano esseabitative, di servizio o funzionali ad attivittà agricole ed artigianali) legate alla presenza delle buche di palo,il cui grado di affidabilità è spesso alterato dalla forte attività succedutasi sullo stesso contesto in corso discavo.354 Secondo un processo di feedback tipico della ricerca e perfettamente aderente alla logica del mezzoinformatico (in particolare VALENTI, 1998a e VALENTI, 1998b) va rilevato come, durante l’attuazione alcalcolatore di analisi simili, si ricavano continui stimoli sia per il miglioramento delle metodologiearcheologiche e informatiche sia sotto il profilo dell’interpretazione complessiva. Per esempio, la presenzadi gerarchizzazioni sociali ed economiche nelle varie fasi di un villaggio rappresenta uno dei nodiinterpretativi più complessi per capire i processi storici in atto; a tale riguardo le caratteristiche relativeall’edilizia abitativa e funzionale sono indicatori importanti, già utilizzati in fase di modellizzazione.Coinvolgere nel processo i dati prodotti dalla presente analisi significa poter disporre di un nuovo insieme diinformazioni, caratterizzate da un elevato grado di dettaglio e visualizzabili sulla base GIS in combinazionimultiformi e complesse.355 L’applicazione dei sistemi di griglie attraverso il dialogo d’interscambio DBMS-GIS, rientra peraltropienamente in quei punti che De Guio, trattando il tema dell’archeologia del potere, indica come indirizzifondanti dell’«agenda del potere di fine millennio» (DE GUIO, 2000, p.227). Allo stesso modo l’uso dellapiattaforma GIS come strumento di analisi delle frequenze distributive e percentuali di ogni tipo di reperto,in una loro lettura spaziale, individua molteplici variabili attraverso quali calibrare con un grado diprecisione senz’altro maggiore il modello storico che l’indagine archeologica cerca di tracciare. Peresempio, nel caso dei reperti osteologici animali, attraverso la visualizzazione spaziale della lorodistribuzione, sarà possibile riconoscere elementi utili per indicare usi alimentari, attività economiche edifferenze sociali, partendo dal principio che diverse tendenze distributive del materiale nello spazio e neltempo possono fornire informazioni in tal senso (si veda NARDINI, SALVADORI, 2000).

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In altre parole, la sperimentazione di questo tipo di metodologia èfinalizzata ad analizzare i villaggi altomedievali e le loro componenti, inmodo tendenzialmente aderente alle linee di ricerca dell’Archeologia delPotere, ed avendo come obiettivo di studiare l’organizzazione sociale edeconomica della campagna ed i suoi processi formativi; più espressamente diritrovare attraverso analisi intra-site «(fra cocci, strati, superfici arate dicampi...) “la firma” della complessità sociale (signature of complexity), laproiezione, cioè, nel record archeologico delle forme e della dinamicadell’interazione politica, tramite un affascinante ma impegnativo crescendoanalitico di riconoscimento di “oggetti”, “modelli” e “scene”».356

La costruzione del documento archeologico porta quindi a proporre deimodelli che detengono un loro valore autonomo. Si basa su metodologied’indagine sempre più rigorose, su raffinamenti dei postulati teorici dellaricerca (nati soprattutto in ambito protostorico ma allargatisi alle archeologiestoriche), sulla crescita esponenziale dei casi sottoposti ad analisi, sulbagaglio di un’esperienza ormai più che trentennale in tema di storiadell’insediamento e sull’impiego della tecnologia informatica comestrumento di processamento del dato.

Non si possono ricostruire attendibilmente la formazione el’evoluzione dell’insediamento altomedievale escludendo la dimensionemateriale, senza la quale risulta arduo comprendere il significato storico deicambiamenti strutturali ed economici dei villaggi.357 Le fonti archeologiche,oggi, permettono di completare e sottoporre a verifica, discutendoli, i quadritratteggiati dalla storiografia; non a caso, oltre venti anni orsono, Le Goffintuiva che «Le carte non esprimono più tutta la realtà medievale. Pertanto unnuovo Medioevo sta nascendo, o meglio rinascendo».358

Più o meno nello stesso periodo molti autori, fra questi lo stesso LeGoff e Toubert,359 Tabacco360 e Comba361 riconoscevano l’esistenza di unaproblematica storica comune alla Storia ed all’Archeologia e quindi lanecessità di un’inchiesta globale. Dobbiamo però chiederci quante esperienzesono state condotte in tal senso, arrivando a conclusioni nelle quali si sonoconiugati i due tipi di dato?

Comba nel 1983, trattando l’apporto dell’archeologia del nord italianoalla ricostruzione delle campagne, sottolineava: «Altre caratteristiche dellericerche archeologiche dell’ultimo decennio sull’Italia settentrionale sono ladisparità quantitativa e qualitativa a livello regionale e la scarsità dei legami

356 Si veda in particolare DE GUIO, 2000, pp.222-228 e bibliografia citata.357 Si veda come esempio il saggio di Galetti su Uomini e case nel Medioevo tra Occidente e Oriente;nonostante gli sforzi della ricercatrice, il libro si basa quasi esclusivamente su dati archeologici per tutto ciòche concerne l’insediamento rurale (GALETTI, 2001). Per il ruolo delle fonti materiali nella costruzione delpopolamento altomedievale e per il carattere di autonomia che devono avere i modelli archeologici si leggaZADORA-RIO, 2003.358 LE GOFF, 1982.359 LE GOFF, TOUBERT, 1977.360 TABACCO, 1979, pp.45-47.361 COMBA, 1983, p.89.

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che le uniscono a quelle svolte da quanti si basano prevalentemente sullefonti scritte. Rari sono stati i contatti interdisciplinari e il confronto con imetodi e i risultati delle discipline che più si occupano di storia del territorioe della cultura materiale (…) e ancor più rari sono i risultati integrati».362 Ilproblema era di impostazione e di apertura reale della ricerca: «evitandol’isolamento disciplinare e i pericoli di chiusura insiti in ogni pur necessariolavoro di erudizione, l’archeologia medievale potrà dare un contributodavvero fondamentale all’illustrazione di ciò di cui le fonti abituali dellostorico non rilevano, per dirla con Georges Duby, che l’accident oul’ostentoire: la vie».363

Gli archeologi hanno ricercato da tempo il confronto e l’interazionecon gli storici. Si pensi ad alcune esperienze come il convegno di Pontignanodel 1992364 o, guardando solo al caso senese, la commissione di refereesorganizzata per la grande inchiesta sui castelli toscani della quale hanno fattoparte storici che hanno discusso sia l’impostazione del lavoro sia lamodellizzazione proposta,365 sino al corpo docente del dottorato inarcheologia medievale attivato a Siena che ha carattere misto366 od il masterin storia ed archeologia dell’alto medioevo in collaborazione fra gli atenei diPadova, Venezia e Siena.367

Ed ancora in questi ultimi anni Niessen-Jaubert, trattando laspatialisation des èlites, è tornata a sperare «que les historiens etarchéologues renforceront leur collaboration dans les années prochaines.L’enjeu ne serait pas d’accomoder les sources aux interprétations des deuxdisciplines rispectives mais d’élaborer des problématiques et desquestionnement transversaux».368 Non è un caso che la più recente edintrigante sintesi sulla diacronia dell’insediamento nelle campagnealtomedievali si deve a due archeologi, Francovich e Hodges con il lorovolume Villa to Village,369 i quali riflettono e progettano indagini, seguendoproblematiche storiche fondanti e sottoponendole a verifica.

362 COMBA, 1983, pp.90-91.363 COMBA, 1983, pp.98-99.364 FRANCOVICH, NOYE’, 1994.365 Si veda FRANCOVICH, GINATEMPO, 2000. Citiamo al riguardo Paolo Cammarosano, SandroCarocci, Maria Luisa Ceccarelli Lemut, Simone Collavini, Paolo Pirillo, Aldo Settia e Chris Wickham.366 Si vedano le pagine web al seguente indirizzo: http://archeologiamedievale.unisi.it/NewPages/DOTT/home.html.367 http://archeologiamedievale.unisi.it/NewPages/MASTERAM/.html368 Intervento di Anne Niessen Jaubert dal titolo Historiographie de la spatialisation des élites: lesapproches archéologiques al convegno L’historiographie des élites dans le haut Moyen Âge tenutoall’Università Paris I nel novembre 2003 scaricabile al seguente indirizzo internet:http://lamop.univ-paris1.fr/lamop/LAMOP/elites/nissen.pdf.369 FRANCOVICH, HODGES, 2003.

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Il pericolo d’isolamento, pertanto, ci riguarda parzialmente370 mentresignificative di un comportamento inverso sono invece alcune recenti sintesistoriche dovute a Cammarosano, Montanari e Pasquali.

Nel primo lavoro il dato archeologico non compare, pur trattandodiffusamente di alto medioevo e di incastellamento; così come non si tieneconto del grande dibattito intercorso tra gli archeologi nel capitolo cheillustra le città italiane nella Transizione.371

Anche nel secondo lavoro, un manuale di Storia Medievale, icontributi della ricerca archeologica sulla storia delle campagne sono assenti,persino nell’illustrazione di un fenomeno ben indagato comel’incastellamento e nella bibliografia ad esso dedicata.372

Nel terzo lavoro, significativo per la messa a punto e per sforzo diriordino della letteratura e delle diverse posizioni esistenti, le fonti materialivengono invece utilizzate parzialmente ed in appendice per descriveresopattutto la casa dei contadini.373 L’apporto riconosciuto all’ArcheologiaMedievale nella comprensione dell’insediamento e delle sue trasformazioniè, forse involontariamente, di basso profilo: «Oggi è possibile mettere inrelazione i risultati di scavi archeologici degli ultimi decenni con una riletturapiù attenta delle fonti scritte e di quelle prodotte dalle arti figurative.Esaminiamo in primo luogo i risultati emersi a proposito delle forme degli

370 Si pensi per esempio agli autori che si sono inseriti fra gli anni ’80 e gli anni ’90 nel dibattito sulla città.Tranne i contributi di Wickham o Delogu, gli interventi hanno considerato solo marginalmente i dati chel’archeologia urbana andava producendo. Barnish trascura l’archeologia proponendo il suo concetto di piùmarcata continuità urbana manifestatasi nelle regioni di frontiera, punto di contatto tra il mondo bizantino edil mondo dei regni barbarici, dove si svilupparono i grandi empori quali Venezia, Gaeta ed Amalfi messi inrapporto alla ripresa economica di Costantinopoli dopo il fallito assedio arabo del 717 (BARNISH, 1989). Inun'ottica di continuità della città e di un decadimento inesistente dei centri urbani per tutto l'altomedioevo sipongono tra 1989 e 1990 Jarnut e Gasparri. In sintesi, non considerando il dato archeologico, si afferma chel'eclissi della città tardoantica e altomedievale non avvenne, poichè i nuclei urbani restarono centri militariimportanti; mentre la presunta decadenza (che l’archeologia andava rivelando) è vista come il riflesso di unadocumentazione scritta incompleta. Fu invece la disarticolazione dei sistemi di confine a provocare laridefinizione degli assetti urbani e le gerarchie fra centri. Solo successivamente, con il venire meno di unaccentuato ruolo militare, furono possibili nuove forme di vita cittadina che si espressero con una egemoniaeconomica sulla campagna ed il rafforzamento dei poteri ecclesiastici al suo interno (JARNUT, 1989;GASPARRI, 1990).371 CAMMAROSANO, 2001, pp.47-86; 185-198.372 L’incastellamento viene descritto come «il cambiamento del ruolo politico dei grandi proprietari, che inquanto possessori di castelli riuscirono a estendere la loro autorità su comunità intere, (…). Grandiproprietari laici ed ecclesiastici, assieme agli eredi dei funzionari regi di età carolingia che avevanoassorbito nel patrimonio familiare cariche e benefici, utilizzarono il timore diffuso per consolidare lerispettive posizioni di potere. L’incastellamento diventò così un mezzo per estendere l’autorità del grandeproprietario non soltanto sui coltivatori direttamente dipendenti ma anche su tutti i residenti nell’area in cuisi trovava la grande proprietà. L’incastellamento apportò profonde modifiche anche nel paesaggio e nelleforme insediative: scomparvero o diminuirono le abitazioni che nelle campagne sorgevano direttamente suipoderi. L’insediamento divenne più accentrato e anche il paesaggio si conformò alla nuova organizzazionedel territorio: a ridosso delle mura dei castelli si concentrarono le coltivazioni di maggior pregio, orti evigneti, contornate dai campi e poi dai pascoli e infine dai boschi. L’Europa assunse una nuova fisionomia,di carattere duramente militare» (MONTANARI, 2002, pp.110-111). Sul manuale di Montanari si veda la scheda di Pietro Corrao su Reti Medievali (Il manuale è finito, viva ilmanuale! Considerazioni sulla manualistica a proposito di M. Montanari, "Storia Medievale"), al seguenteindirizzo internet:http://www.storia.unive.it/_RM/didattica/strumenti/montanari-corrao.htm.373 PASQUALI, 2002, pp.113-116.

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insediamenti accentrati e sparsi. La sequenza vicus-curtis-castrum èindividuabile in parecchi casi nelle fonti scritte della Langobardia; piùdifficile è trovare una conferma di questi passaggi nelle fontiarcheologiche».374

L’analisi dei documenti scritti, da sola, non è più sufficiente percomprendere realmente cosa sono stati i villaggi ed i centri di produzionealtomedievali, come si configuravano ed in quale forma materiale simanifestarono i cambiamenti economici o sociali, se non quelli organizzativi,ai quali furono soggetti. Gli strumenti di cui si è dotata la ricercaarcheologica ed una pratica di ricerca sempre più raffinata, permettono diprodurre modelli con un loro valore specifico, tale da far rifletterenuovamente sulla costruzione dei quadri storici del popolamento,riconsiderando con maggiori elementi di valutazione le fonti archivistichedisponibili.

6.2 – Il presunto ruolo dell’insediamento di tipo sparso.In questo saggio si è proposta una lettura della Toscana rurale basata

soprattutto sulla contestualizzazione dei villaggi all’interno di unadimensione socio-economica che mostrasse formazione e trasformazionedell’insediamento fra VI e X secolo, fermandosi alle soglie del primoincastellamento.

E’ stato sottolineato il confronto con le elaborazioni storiche el’individuazione degli indicatori archeologici per tentare di comprendere icambiamenti ed isolare i punti di stridore o di contatto fra i due tipi di fonte.Sono emersi soprattutto dei punti di frizione; i dati archeologici contrastanocon quanto emerso dallo studio della documentazione scritta e sembra che ilvero dibattito sul carattere e sulla diacronia del popolamento nella campagnaaltomedievale deva ancora avere inizio.

I quadri storiografici prospettano una presenza molto estesa dellapiccola proprietà fondiaria, diffusa soprattutto tramite singoli poderi o mansiallodiali. Quindi una società agraria di età longobarda e carolingia gestita daproprietari di fondi disseminati sul territorio, coltivati direttamente o concessia servi e coloni, secondo modalità al di fuori dei modelli curtensi.375

Montanari ha ricordato più volte come «fino a tutto il secolo IX, il modello digran lunga prevalente di occupazione del suolo sia stato quellodell’insediamento sparso, cui faceva riscontro un paesaggio estremamenteframmentato, a piccole tessere giustapposte».376

L’insediamento per fattorie o per poderi dell’alto medioevo, in realtà,non ha lasciato alcuna traccia archeologica sul territorio; gli scavi hannoindividuato i resti di insediamenti di tipo accentrato e di lunga

374 PASQUALI, 2002, pp.112-113.375 Si veda in linea generale VERHULST, 1966 e le successive elaborazioni da ANDREOLLI,MONTANARI, 1983 sino ad ALBERTONI, 1997, pp.122-124.376 ANDREOLLI, MONTANARI, 1983, p.188.

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frequentazione, sui quali poi si imperniò la rete insediativa dei secoli centralidel medioevo.

Non corrisponde quindi ad una strategia di ricerca lacunosa se nonsono stati indagati «gli insediamenti sparsi di carattere poderale (mansi)»,come ci è stato rimproverato.377 Il popolamento altomedievale toscano fusoggetto infatti a scelte diverse che privilegiarono soprattutto la vita dicomunità: sulla scorta del dato archeologico, si potrebbe cambiare otticanella lettura di quei documenti che sembrano attestare una campagnapunteggiata da poderi monofamiliari.

La citazione di mansi continua però ad essere sempre messa inrelazione all’abitato sparso se non viene esplicitata la loro collocazione in uncentro d’insediamento, così riconosciuto quando il toponimo è accompagnatoda termini come curtis, villa, vico ecc.

Inoltre il significato di manso si è ormai definitivamente trasferitosull’unità di coltura tipica, mentre, come ricorda Duby, «questo vocaboloindica la parte abitata del villaggio, il luogo dove sorge la casa; ma perestensione esso si applica a tutto il complesso economico di cui il sitoresidenziale è il centro. Il mansus è così affiancato da appendicia sparsinell’area del villaggio: terre annesse vicinissime nella cinta degli orti, campisparsi fra i seminativi infine diritti di partecipazione allo sfruttamentocollettivo delle terre incolte».378

E’ possibile quindi che molte definizioni toponimiche e territoriali dimansi siano in realtà da riferirsi ad unità comprese all’interno di villaggi;solo la mancata esplicitazione di una terminologia d’identificazione, ol’occasionale comparsa del toponimo di riferimento, impediscono diriconoscerle come tali.

Sulla stessa scia, sarebbe interessante anche approfondire la riflessionesul concetto di azienda agraria. Capitani, per esempio, sottolinea che«l’organizzazione aziendale curtense si affermò in stretta connessione con ilcontesto territoriale di una determinata regione, e perciò non cancellò, népoteva cancellare, quelle tipologie agrarie» come il manso che corrispondevaad una «unità poderale, di varia estensione, affidato alle cure di un rustico,proprietario o affittuario, cui possono aggregarsi altre terre ed altri rustici, amano a mano che la colonizzazione progredisce».379

Ma quante possibilità ci sono di rintracciare sul territorio dei depositiarcheologici interpretabili come un complesso agricolo estraneo alla realtà

377 PASQUALI, 2002, p.113.378 DUBY, 1984, p.44. Sul significato di mansus come «dimora» dal verbo manere «rimanere» si vedaBARBERO, FRUGONI, 1994, pp-164-166.379 CAPITANI, 1992, p.91. In pratica il manso è interpretato come piccola azienda o fattoria impiantata inzone da colonizzare, dove non era parso utile alla grande proprietà laica ed ecclesiatica gestire la produzioneattraverso l’organizzazione curtense, che poi potrà dare sviluppo a forme di insediamento accentrato;prosegue infatti riconoscendo come «il problema, in fondo, rimane sempre lo stesso: quello di riconquistarela terra stessa, di strapparla alle silvae, alle paludi». E’ un modello simile a quello del Donat per l’areagermanica che vede la presenza di insediamento sparso per mansi solo nelle aree di conquista e nuovariduzione a coltura della terra (DONAT, 1980, p.136).

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del villaggio? Probabilmente nessuna, poichè le aziende si modellarono suuna rete di centri demici già esistente. In Italia non sono mai stati scavatisingoli insediamenti tipo fattoria come quelli altomedievali della Germania,dell’Olanda o della Danimarca.380

L’archeologia dei castelli toscani, con le sue percentuali del 62% dicontinuità su insediamenti comunitari altomedievali, indica per esempioun’esclusiva presenza di villaggi, stimabile in un numero di circa 960 (su unnumero complessivo di 1554 castelli presenti nella regione), la quasi totalitàdei quali non trova attestazione nelle fonti documentarie o identificazione neitoponimi in esse citati. Tra tutti i castelli noti sono infatti solo 166 i casi per iquali le carte attestano una frequentazione iniziata nell’altomedioevo,evidenziando quindi una percentuale di circa l’86% di località nonidentificabili o mai oggetto di transazioni od i cui documenti di riferimentosono andati perduti; in estrema semplificazione si potrebbe affermare chequasi 800 villaggi altomedievali sono sconosciuti e da identificare.

In Europa gli scavi hanno mostrato da molto tempo che un grannumero di villaggi (con questo termine sono identificati i contesti indagati)erano definiti proprio dalla contiguità degli edifici che facevano parte deipoderi contadini.381 Hamerow, nella sua classificazione delle struttureinsediative, ha proposto come Donat una serie di definizioni di villaggio,ognuna delle quali contempla la presenza di fattorie tra le loro componenti.382

Il villaggio era quindi un’azienda o parte di essa ed all’interno deicentri esistevano “strutture” usate dall’intera popolazione che evidenziano uncarattere di comunità (il cimitero, talvolta la chiesa, gli spazi aperti tipopiazza, le aree con concentrazione di strutture artigianali).383 Come ricordava

380 Si vedano DONAT, 1980, pp.111-125, HAMEROW, 2002, pp.80-85. Nell’area germanica ad est delReno in particolare, Donat propone per il periodo VII-IX secolo una prevalenza di grandi mansi. Si tratta difattorie molto simili fra di loro, costituiti da una abitazione di medio-grandi dimensioni affiancata da annessidi varie dimensioni (comunque più piccoli delle abitazioni) e funzioni (stalle, granai/fienili, magazzinigrubenhaus); talvolta all’abitazione principale se ne affiancano altre più piccole con relativi annessifunzionali.Dal IX secolo e soprattutto dal X secolo si affermano mansi più piccoli, cui si conformano anche ledimensioni delle abitazioni e in parte degli annessi; inoltre la superficie occupata dal manso è piùdensamente costruita, mentre scompaiono le grubenhauser (attestate solo sporadicamente nell’XI secolo,quando non fungono più da tessitoi). Le cause del restringimento vanno ricercate nel venir meno delleattività produttive legate alle stesse grubenhauser, nello sviluppo di numerosi siti signorili fortificati. I casi di manso/fattoria proposti dalla Hamerow (Morup nello Jutland, Daren nel Drenthe e Norre Snede nelMitteljutland) non differiscono dagli esempi di Donat per estensione ed urbanistica: una o due grandiabitazioni tipo longhouses, annessi funzionali e spesso recinzione in pali dell’intero complesso.381 Questa tipologia di villaggio si caratterizza per essere composta da lotti insediativi che Galetti,esaminando i dati archeologici europei, ha definito con casa “a corte”; si affianca al villaggio raccolto nellacategoria “a casa strutturata unitaria” o “elementare” (GALETTI, 2001).382 HAMEROW, 2002, p.54. Villaggi come insieme di fattorie sono compresi nei gruppi Row Settlements(con fattorie contigue e allineate), Grouped Settlements(con fattorie raggruppate intorno ad uno spazioaperto tipo corte o ad una chiesa) e Perpendicular Settlements Settlements (fattorie ordinate quasi ascacchiera lungo le maglie di una serie di strade perpendicolari). Mentre solo il gruppo PolyfocalSettlements definisce «several clusters of buildings lie together without a clear articulating structure». Infinesegnale le Single farmsteads, precisando che spesso sono comunque collegate ai vicini villaggi per gestireed organizzare lo sfruttamento dei campi.383 Donat tenta di stimare la consistenza demografica degli insediamente di area germanica tra VII e IXsecolo ed indica il villaggio (Dorf) nei contesti composti da 6-12 fattorie o mansi ed una popolazione

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Fehring, lo scavo parziale di molti contesti aveva fatto pensare che nellacampagna dell’alto medioevo esistessero insediamenti accentrati moltoirregolari perchè originati dalla contiguità di fattorie spesso sorte in tempidiversi;384 mentre dagli anni Settanta interventi sistematici hanno mostratovillaggi pianificati, composti da fattorie con lo stesso orientamento, allineatee suddivise regolarmente da un’articolata viabilità.385

Si considerino i contesti francesi di Villier-le Sec, Baillet-en-France eLa Grande-Paroisse,386 dove i gruppi di costruzioni pertinenti ai mansi cheformavano la villa di età carolingia erano a distanza di 60-65 m e separati dafossi; si disponevano regolarmente ai due lati di una strada, ed il cimitero erain comune; la parte residenziale di ogni manso comprendeva circa dueabitazioni, un fienile, un recinto per animali, talvolta una «cabanne»(laboratorio artigianale molto semplice, spesso destinato ad attività tessili) oun forno da cucina scavato nel terreno e molti silos per grano anch'essiscavati all'aperto.

Altri casi simili, che trovano l’origine della loro urbanistica nellaforma e nell'articolazione dei mansi, sono attestati in ambito germanico. AWarendorf tra VII-IX secolo: le quattro, forse cinque, fattorie occupavanoognuna una superficie di 4.500 mq sui quali si dislocavano edifici di ordinediverso (abitazioni e istallazioni agricole); ogni manso era abitato da unamedia di 25 persone ed il centro insediativo si estendeva su un'areacomplessiva di un ettaro.387 Merdingen fu un villaggio articolato in unitàpoderali affiancate, molto estese e composite; la zona residenziale di ognunaera chiusa da steccati/palizzate e si componeva di un ampio numero di edifici(una media di 14-15 strutture) in parte funzionali alle attività agricole (fienili,pagliai ottagonali ed esagonali, piccole capanne con e senza focolare lettecome annessi funzionali, piccoli magazzini per grano e stalle), in parte adibitia residenza sia del detentore del manso (abitazione più estesa, con dueingressi contrapposti) sia di manodopera servile.388

Anche a Odoorn, in Olanda. dove gli otto mansi individuati erano aconduzione monofamiliare ed hanno minore estensione (compresa tra 1200-3000 mq), gli spazi occupati dalle abitazioni distavano circa 30 m l'unodall'altro389 ed erano presenti dodici capanne in ognuna delle sue fasi (V-VI

compresa tra 125-300 abitanti (per esempio Warendorf e Odoorn); il piccolo villaggio (Weiler) nei contesticomposti da 2-3 fattorie ed una popolazione di 30-50 abitanti (per esempio Gladbach e Burgheim);l’insediamento sparso, sottoforma di singolo manso/fattoria (Einzelhof) in contesti con 20-30 abitanti(DONAT, 1980, p.133). Come si è già ricordato in precedenza, l’insediamento sparso sotto forma di singolomanso sembra prevalere solo nelle aree di conquista e nuova riduzione a coltura della terra (DONAT, 1980,p.136).384 In pratica l’archeologia confermava l’esistenza di situazioni simili a quelle prospettate da Capitani(CAPITANI, 1992), cioè un insediamento comunitario a maglie larghe costituito da mansi sorti incronologie diverse e che andarono nel loro insieme a costituire quei casalia noti sino alla metà dell’VIIIsecolo, solo di fronte a scavi parziali; una volta estese le aree di intervento le interpretazione sono cambiate.385 FEHRING, 1991, pp.165-171.386 CUISENIER, GUADAGNIN, 1988, pp.142-152.387 WINKELMANN, 1954; WINKELMANN, 1958; DONAT, 1980, pp.93-94.388 GARSCHA et alii, 1948-1950.389 DONAT, 1980, pp.94-95.

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secolo; VII-VIII secolo; IX-X secolo).390 La storiografia tedesca, attenta allaricerca archeologica, riconosce del resto la composizione dei villaggi inpoderi contigui e di fronte a casi con ampia disponibilità documentaria, comeper il villaggio di Menzingen nella Germania occidentale, ha ricostruito unagglomerato di 30-35 poderi popolato da 150-200 persone nel IX secolo.391

Negli scavi descritti, quindi, il centro insediativo era costituito dallavicinanza delle strutture abitative e di servizio, mentre i campi compresi inognuno dei mansi si collocavano all’esterno. Anche per i villaggi toscanipossiamo immaginare situazioni più o meno simili. Prendiamo le capanne diMontarrenti poste sui versanti del rilievo e cinte, come la zona sommitale, dauna palizzata; i campi ad esse legati dovevano per forza essere esterni ecomporre ugualmente con l’abitazione di riferimento un’unità tipo manso.392

L’archeologia individua nei villaggi le forme insediative altomedievalidominanti nella Toscana e non sono definibili alla stregua di habitat rarefattoe provvisorio. La grande fluttuazione delle loro piante nella diacronia, afronte di una chiara persistenza delle strutture sugli stessi spazi, mostranocentri stabili e dinamici; quindi, nonostante le trasformazioni e leristrutturazioni susseguitesi, gli insediamenti continuarono ad essere deicentri economici di riferimento stabile nella gestione della terra. Con idistretti agricoli ad essi collegati, rappresentarono le strutture portanti dellavita rurale sino alla formazione della signoria territoriale.

L’organizzazione del territorio rurale dovette avvenire lentamente,prendendo avvio attraverso la costituzione di insediamenti, forse di mediedimensioni, che privilegiarono tanto nuove aree quanto gli agri desertidell’età della Transizione; o meglio sarebbe dire parzialmente deserti, poichél’insediamento di VI secolo come si è visto, pur molto ridotto, ripercorreva inparte quei terreni già sfruttati dai complessi latifondistici romani.

Colonizzarono un territorio regionale dove, tra VI-VII secolo, lapresenza dei contadini era fortemente diminuita. Per questo periodo si sonoipotizzati circa 2.335 siti (una media di 0,10 per kmq, cioè 1 sito ogni 10kmq) e calcolando una media di 5 persone per abitazione è possibile proporreun carico demografico intorno alle 11.675 unità (in media 1 persona ogni 2kmq).

Con la fondazione dei villaggi, nello spazio di trecento anni circa, siverificò una crescita esponenziale del popolamento. L’alto medioevo

390 DONAT, 1980, p.154.391 ROSENER, 1989, p.65 con bibliografia392 Lo stesso Duby, trattanto il tema dell’occupazione del suolo fra IX e X secolo, sottolineava che «soloeccezionalmente l’esistenza del campagnolo si svolge in un habitat solitario; le case sono più o meno vicinele une alle altre, ma molto raramente isolate; il raggruppamento costituisce la regola»; «allo stato attualedelle indagini, sembra che, nei secoli IX e X, i villaggi costituissero l’ambito normale dell’esistenza, qualiche fossero le loro dimensioni» (DUBY, 1984, pp.8-9). Montanari, trattando l’area dell’appennino faentino,afferma che le fonti scritte disponibili a partire dal IX secolo, mostrano una rete insediativa articolata pervillaggi di piccole dimensioni e che spesso «i contadini non vivevano sulle terre che lavoravano (in tanti casinon compatte, ma formate da tanti appezzamenti, dislocati in luoghi diversi, secondo le vicende dellaproprietà e secondo le esigenze di un paesaggio orograficamente complicato); in questi casi l’abitazione sitrovava nel villaggio» (MONTANARI, 1984, p.115).

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toscano, con i suoi 960 centri ipotizzati al di sotto dei castelli, sembrerebberivelare una popolazione rurale compresa tra le 100.000 e le 150.000 unità,alle quali devono essere però aggiunte le persone residenti in quei villaggiche non sono mai divenuti castelli, le eventuali poche abitazioni intorno achiese ed i monasteri. Si può affermare che segnò la rinascita della vita nellecampagne; anche considerando il valore più basso proposto (cioè 100.000unità) il tasso di crescita dal periodo della transizione è considerevole:superiore all’856%.

6.3 – L’apporto delle fonti materiali nella definizione delle curtesTendenzialmente i contesti indagati nelle campagne toscane furono

centri di coagulo della famiglie contadine per meglio organizzare unterritorio agrario: «un insediamento accentrato permette più facilmente diattuare forme di sfruttamento estensive, di alternare periodicamente le colturee di sfruttare al meglio attrezzi agricoli complessi».393 Le attività economichericonosciute attestano un’iniziale specializzazione nell’allevamento deglianimali ed un progressivo sviluppo dell’agricoltura.

In un secondo momento sembrano trasformarsi in centri di gestione dellavoro,394 andando così a costituire le forme di riorganizzazione del potere subase locale. L’impressione che comunque si ha, è di una partenza ascartamento ridotto del processo di appropriazione delle campagne da partedelle aristocrazie e di una iniziale e limitata disponibilità di forza-lavoro.

Durante il VII secolo tali centri sembrano privi della gestione diretta diun proprietario o di un suo fiduciario/agente; probabilmente risiedevanoaltrove, ma non siamo però in grado di riconoscere in quest’assenza unlegame con aristocrazie stanziate in città (che resta però l’ipotesi piùprobabile) o proprietari-consumatori itineranti tra un centro e l’altro; forsel’uniformità economica della popolazione può essere segno di famigliecontadine di condizione diversificata, tra le quali erano presenti sia piccoliproprietari di poderi sia servi e affittuari.

Le fonti materiali mostrano una lenta trasformazione in villaggio-azienda nel corso dell’VIII secolo ed una definitiva evoluzione in villaggiocurtense (centro dominico o parte di un massaricio) tra IX-X secolo. Inquesto periodo troviamo un maggior numero di villaggi operanti, con una

393 ALBERTONI, 1997, p.125.394 Montanari, tratteggiando la figura del signore dell’alto medioevo, sottolinea come «il connotato dellaricchezza viene di gran lunga secondo, perché è soprattutto il possesso fisico delle cose e degli uomini, nonla loro “rendita”, che costoro perseguono. La ricchezza viene come corollario del potere, inversamente aquanto più spesso accade in epoche successive». I potentes furono soprattutto molto attenti a ribadire ipropri diritti sui contadini sul piano delle prestazioni d’opera; in questo modo ottenevano il controllo socialedelle persone (MONTANARI, 1988, p.18). Ribadisce più avanti (p.34) che «la corvée rappresenta un datocentrale nell’esperienza sociale ed economica dell’alto Medioevo, consentendo ai proprietari della terra, daun lato, di disporre di manodopera agricola nei momenti cruciali del ciclo produttivo annuale senza doverricorrere al dispendioso mantenimento di una squadra servile numerosa; dall’altro, di affermare la propriaegemonia sociale tramite il controllo degli uomini». Sulle prestazioni d’opera si veda comunquel’approfondita disamina che Montanari svolge nel capitolo 3 analizzando anche le tesi esposte inLUZZATTO, 1910 e PASQUALI, 1987 (pp.33-65).

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popolazione che pare accresciuta ed una diversificazione delle attivitàlavorative in cui l’agricoltura rivestiva un ruolo primario.

Inoltre l’urbanistica dei centri indagati pare oggetto di una forma diprogettazione ed i cambiamenti possono essere ricondotti a nuove scelteorganizzative. Il riconoscimento di edifici che sembrano collegatiall’esistenza di un controllo gestionale, passa attraverso la valutazionetopografica e funzionale di contesti costituiti da gruppi di strutture benriconoscibili e che compongono delle anomalie nell’uniformitàdell’insediamento; si manifestano come un blocco di edifici raccolti intornoad uno spazio aperto, tra i quali sono identificabili locali destinatiall’accumulo ed alla conservazione. Questi elementi attestano nel lorocomplesso lo sviluppo di un’organizzazione definita dalla presenza distrutture di coordinamento della produzione in precedenza assenti dalvillaggio. La trasformazione in curtes dette poi luogo ad ulterioririnnovamenti urbanistici, con una caratterizzazione della zona dominicaancor più evidente.

La stabilizzazione del potere delle aristocrazie rurali sembra quindi unprocesso di lunga gestazione, del quale riusciamo a coglierearcheologicamente i segni solo dalla matura età longobarda ed in manieraancor più distinta in età carolingia attraverso un deciso cambiamento, daleggere nella presenza di una gerarchia interna che caratterizzasignificativamente la topografia dei centri di popolamento. E’ tra VIII e IXsecolo che le élites rurali si affermano definitivamente, avendo successo nelcontrollo-assoggettamento della popolazione rurale e consolidando i propripatrimoni; contemporaneamente nei contesti scavati compaiono spazidistinti, chiare tracce di un’articolazione più complessa sia interna alvillaggio sia nell’organizzazione del lavoro, infine la presenza tangibile di undominus o di un suo rappresentante. I cambiamenti rilevati nei centri giàesistenti e la nuova connotazione di quanti furono fondati più tardipotrebbero quindi rappresentare il segno della concentrazione, totale omaggioritaria, nelle mani di un unico soggetto della terra legata al villaggio.

Più difficile è invece comprendere, tramite il processamento delle fontimateriali, le condizioni personali dei contadini operanti nelle nuove forme divillaggio curtense, anche se in alcuni contesti, per esempio Poggibonsi eScarlino, la loro natura di dipendenti, se non servile, sembra evidente. I casiscavati in Toscana non mostrano in apparenza, come fanno invece idocumenti scritti disponibili, una presenza generalizzata di proprietàaltamente frazionate e quindi villaggi divisi fra più proprietari. Questo puòsignificare che si dovranno individuare una serie di indicatori archeologicisinora sconosciuti per trarre conclusioni in questa direzione; inoltre che ilconcetto di villaggio = azienda sembra, allo stato attuale delle ricerche,estendibile alla maggioranza dei centri insediativi di età carolingia poievoluti in castelli.

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In ultima analisi si può argomentare che, se la stima potenziale di circa960 centri di popolamento altomedievale presenti in Toscana si riveleràattendibile, il villaggio-azienda è proponibile come la realtà insediativadominante nella regione fra VIII e X secolo. All’interno di questi centri sidovrà poi capire quanti originariamente sorsero per iniziativa spontanea dellefamiglie contadine e quanti, invece, fecero parte sino dagli inizi di proprietàlatifondistiche.

Con la trasformazione di gran parte dei centri demici in aziendecurtensi, le aree insediate subirono delle evidenti ristrutturazioni ed anchel’organizzazione del lavoro sembra cambiare. Dal punto di vista urbanisticosi rilevano casi di dominico e massaricio contigui (Montarrenti,probabilmente Scarlino, Miranduolo e Donoratico) e casi di massariciodisgiunto dal centro. Questa eventualità potrebbe essere rilevabile aPoggibonsi dove abbiamo però scavato il solo caput curtis (siamo comunqueconvinti che il massaricio si trovi nelle superfici ancora da indagare) esoprattutto a Campiglia dove la parte sottoposta a scavo, per connotazioneeconomica e specializzazione, per assenza di strutture di carattere distintivo eper l’uniformità sociale della popolazione, sembra da interpretarsi come unvillaggio massaricio distaccato dal centro dominico di riferimento.

Gli spazi del potere si presentano come un complesso moltoorganizzato, talvolta difeso e separato fisicamente dalle case dei contadini ecollocato al centro dell’insediamento (Poggibonsi) o sulla sommità delrilievo (le aree chiuse da palizzate a Montarrenti ed a Miranduolo; lo spaziocinto da mura di Scarlino se un massaricio si trovava sui versanti non scavati;la divisione interna di Donoratico), riconoscibile come una specie di grandefattoria circondata da dipendenti (soprattutto Montarrenti e Poggibonsi).

L’aspetto del villaggio cambiò quindi attraverso la costruzione diedifici (magazzini e granai) che mostrano la presenza di un possessor ingrado di razionalizzare prelievi sulla produzione agricola (Montarrenti,Poggibonsi, Miranduolo, probabilmente Scarlino), di accentrare le struttureper la fabbricazione di beni (forge e fornaci: soprattutto Montarrenti ePoggibonsi, probabilmente Donoratico e Rocchette) o per il trattamento deiprodotti alimentari (forni per essiccazione dei cereali, strutture per lamacinatura, edifici per la macellazione e la lavorazione della carne:Montarrenti, Poggibonsi, Donoratico), di esigere opere dai propri contadini(erezioni di palizzate o di muri, escavazione di fossati: Montarrenti,Miranduolo, forse Scarlino) o di assoldare maestranze specializzate perspecifici interventi (la costruzione della chiesa di Scarlino).

In definitiva è possibile descrivere la casa dominica come un’arearesidenziale poco estesa (dai 750 mq circa di Miranduolo, passando per iprobabili 2700 mq circa di Montarrenti, sino 3360 mq circa di Scarlino),articolata in un’edificio residenza del padrone o del suo agente (la longhousedi Poggibonsi, le grandi capanne di Scarlino e Miranduolo), contornata damagazzini e granai, aie, stalle e recinti per gli animali, da strutture funzionali

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alla produzione di manufatti artigianali od alla lavorazione ed al trattamentodei prodotti agricoli. L’occupazione principale dei diretti dipendenti e deiservi sembra essere stata lo svolgimento di attività artigianali, l’allevamentoe la cura degli animali (concentrati nel dominico a Poggibonsi eMontarrenti). Dovevano inoltre essere parzialmente impiegati nei campigestiti direttamente dal centro domocotile, ai quali si destinavano comunquealcuni buoi e talvolta degli equini per operazioni di trazione; l’impegno quasipreminente nella pastorizia e nelle attività di tipo artigianale, lascianointravedere la presenza di opere svolte dai massari e per le quali non èpossibile quantificare archeologicamente l’apporto o l’ammontare ma chesembrano essere state prevalenti.395

Lo studio delle ossa animali fa luce sulle diverse strategie economichein atto nella diacronia e sui cambiamenti ai quali andarono soggette; peresempio a Poggibonsi mostra l’evoluzione progressiva da nucleo di pastorisino a centro agricolo con una minore importanza finale dell’allevamento;ancora a Poggibonsi ed a Montarrenti gli animali venivano gestitirigorosamente nel dominico, mentre alcuni centri (come Campiglia o come ilmassaricio che si legava al centro domocotile di Poggibonsi) eranospecializzati nell’allevamento dei suini.

La presenza di canoni in natura è attestata soprattutto dalle analisiarcheozoologiche. La riscossione di corresponsioni in carne lavorata siverifica a Poggibonsi (presenti le sole spalle del maiale fra le restituzioni)mentre a Campiglia Marittima, al contrario, questi generi venivano portati alcentro domocotile (dalle restituzioni le spalle sono in percentuale maggioredella coscia). Le analisi archeobotaniche forniscono invece solo indicazioniindirette sull’esistenza di canoni in prodotti agricoli che sono riconoscibilisoprattutto nella presenza delle strutture di accumulo (gli edifici destinati allaconservazione delle derrate agricole sembrano rappresentare un chiaroindizio del versamento di quote parti della produzione), mentre fanno lucesul tipo di agricoltura in atto. A Montarrenti per esempio era attuata la praticadella rotazione biennale, con un’ampia varietà di cereali, vigne e piantedestinate all’alimentazione degli animali. A Miranduolo, per il momento, siosserva una strategia articolata nello sfruttamento dei campi sia perl’alimentazione dell’uomo (cereali, legumi, canapa o lino), sia perl’alimentazione degli animali (favino e cicerchia) di vigne, di oliveti, delbosco di querce e dei castagneti, nonchè la raccolta di frutta, delle noci e dinocciole, di arbusti con diverso impiego. Anche rinvenendo i prodotti

395 Dal punto di vista strutturale un confronto archeologico calzante, si osserva in alcuni scavi francesi tra iquali Juvigny (nella regione Champagnes-Ardenne), contesto frequentato fra metà VII-fine IX/inizi Xsecolo, esteso per circa 3800 mq. L’insediamento di Juvigny sembra svilupparsi intorno ad un grandeedificio con basamento in pietra (lunghezza massima 22 m e larghezza fra 7,5 e 9 m con superficie di165/200 mq), situato presso uno spazio aperto (un cortile) di circa 800 mq, parzialmento inghiaiato edelimitato da fosse/palizzate. Intorno a questo spazio si trovano circa 50 capanne semiscavate (suddivise fraabitative e artigianali), una grande fornace domestica, 12 pozzi, 25 fosse granarie varie e focolari artigianali.Si tratta con molta probabità di un dominico, di grandi dimensioni, scavato integralmente. Si veda alriguardo BÉAGUE-TAHON, GEORGES-LEROY, 1995.

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raccolti e conservati nei granai e nei magazzini, non riusciamo a fornireindicazioni sull’ammontare dei canoni; neanche in casi privilegiati come,appunto, Miranduolo dove la straordinaria restituzione archeobotanica potràfar luce in futuro sui più svariati aspetti economici ed ambientali ma non cidirà mai quali e quanti erano i canoni corrisposti dai massari.

Figura 71, 72, 73

Più nello specifico, l’analisi archeozoologica si rivela indispensabile perindividuare l’esistenza di rapporti di tipo gerarchico ed economico, le lorocaratteristiche, gli obblighi e le limitazioni. L’alimentazione, come abbiamotentato di dimostrare, è uno degli indicatori più evidenti per riconoscere lapresenza di una differenziazione sociale e di gerarchie. Ma ancora piùinteressante è il tipo di distribuzione della carne che, nel caso di Poggibonsi,effettua il dominus tra i suoi diretti dipendenti con un ulteriore collegamentofra qualità della carne e diverso ruolo o posizione rivestiti dai dipendentistessi.

Figura 74

L’assenza di reperti osteologici legati ad animali selvatici mostra unuso limitato dei boschi, dove certamente si raccoglievano legna e fruttispontanei e si pascolavano gli animali ma dove non si poteva cacciare(Montarrenti, Poggibonsi, Campiglia). La caccia sembra quindi essere stataun’attività probabilmente esclusiva e riservata al solo signore, un elementodistintivo e che costituiva una prerogativa di chi deteneva proprietà e potere.Il caso di Campiglia sembra bene illustrare questo fenomeno. Nel corsodell’XI secolo, la comparsa delle specie selvatiche tra le restituzionifaunistiche (il cervo, il daino, il cinghiale, la lepre ed il tasso) pare coinciderecon la trasformazione del villaggio in castello e la probabile presenza di unrappresentante dell’aristocrazia militare, insediato dai Gherardeschi acontrollo del centro e del territorio limitrofo. In tal senso è stata interpretataanche la ripartizione anatomica del cinghiale e la presenza di specie di grossataglia.396

396 Salvadori, nello studio archeozoologico dei reperti di Campiglia (SALVADORI, 2004), illustra come laripartizione anatomica del cinghiale, caratterizzata da una prevalenza di elementi craniali, rappresenta uncaso anomalo che introduce alcuni elementi di discussione riguardanti le consuetudini degli aristocratici. Ilconsumo della testa dell’animale era investito da un valore simbolico, che si identificava con la capacità dicomando, la forza ed il potere; era quindi invalsa l’usanza da parte dei signori di farsi consegnare, dai colonidipendenti, le teste degli animali cacciati (BARUZZI, MONTANARI, 1981). La presenza stessa di specieselvatiche di grossa taglia, quali il cervo ed il daino, riscontrata nel campione, potrebbe essere statadeterminata da ragioni che coinvolgono nuovamente alcune espressioni culturali tipicamente nobiliari. Lacaccia agli animali di grossa taglia aveva assunto, nel corso del medioevo, il carattere di un vero e propriocostume aristocratico (al riguardo si veda anche GALLONI, 1993). L’esercizio venatorio rivestivaun’importanza indiscussa come mezzo di affermazione del proprio status sociale. Le battute si svolgevanosoprattutto nelle foreste, secondo precise norme di comportamento che trasformarono tale attività in un veroe proprio rito, enfatizzandone l’aspetto ludico. Queste valutazioni porterebbero a considerare l’eventualità diun profondo cambiamento nella struttura sociale dell’insediamento. Se così fosse, i rapporti tra classiegemoni e subalterne, in particolare il presunto diritto dei contadini di cacciare nelle selve (MONTANARI,

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In conclusione, si sottolinea come l’archeologia stia iniziando adimostrare nella Toscana altomedievale l’esistenza di un governo della terrae del lavoro che si articolò stabilmente su insediamenti accentrati. Villaggi, lecui connotazioni cambiarono nel corso di almeno tre secoli, che in etàcarolingia (ma con un processo già iniziato in età liutprandea) si trasformanoin centri curtensi.

La curtis si inserì e si modellò su un sistema di centri rurali giàesistenti, che la riorganizzazione di un proprietario trasformòurbanisticamente. Spesso l’intera struttura della curtis permeò in toto ilvillaggio, venendo così ripartito in dominico e massaricio. Più raramente, edancora senza definitive certezze archeologiche, il villaggiò potè rappresentareil solo centro dominico od il solo massaricio. Il modello storico collegatoall’immagine delle curtes di tipo polverizzato, composte cioè da nucleid’insediamento e poderi disposti a “macchia di leopardo” sul territorio e condominici molto spesso inesistenti, deve essere ridiscusso sulla basedell’informazione archeologica.397 Ed allo stesso modo deve esserericonsiderato il concetto di curtis come «un’unità teorica e gestionale in cui,soprattutto dall’VIII all’XI secolo, sono organizzate presenze fondiariedisperse, facenti capo di solito a più villaggi».398

Questo modello, peraltro citato come il più frequente, si avvicina soloin parte alla casistica individuata attraverso l’indagine archeologica nellaToscana. Gli elementi in comune sono rappresentati dal tipo di insediamentosul quale si impostava la curtis e dalle sue caratteristiche: il popolamentorurale era raccolto in villaggi la cui urbanistica, a maglie strette, derivavadalla contiguità di case ed annessi agricoli (la parte insediata dei mansi), allequali si legavano una serie di campi variamente distribuiti in un coltivo postonella fascia esterna al villaggio stesso (le terre che componevano i mansi).399

Gli elementi discordanti sono invece quelli sull’articolazione dellacurtis; composta da una serie di villaggi al cui interno erano variamentedistribuite case massarice, case di piccoli proprietari e di dipendenti di altrecurtes, case gestite direttamente dal dominico. Il «”caput curtis” (cioè ilcentro amministrativo definibile anche “curtis” in senso stretto, con edificiopadronale e magazzini) era di norma collocato nel villaggio con la maggiorquota di dominicum».400 Probabilmente, è più difficile riconoscere attraversole fonti archeologiche la composizione e la topografia di questo modello dicurtis, ma i casi individuati da scavo mostrano con insistenza il binomio

1979; ADREOLLI, MONTANARI, 1983 pp.20-21), sarebbero da riconsiderare alla luce dei rinvenimentifaunistici.397 I casi archeologici toscani, mettono in dubbio l’esistenza di una «pars dominica, spesso spezzettata edispersa sul territorio» che non riuscì a ricoprire un ruolo guida nell’organizzazione del lavoro e dellaproduzione, così come affermato nella sentesi sull’Italia carolingia di Albertoni (ALBERTONI, 1997, pp.126-127).398 SERGI, 1993, p.7.399 Al riguardo si veda lo schema di villaggio medievale-tipo proposto in SERGI, 1993, p.8.400 SERGI, 1993, p.10 anche per lo schema impostato su una casistica esemplificativa di quattro villaggi.

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singolo villaggio-azienda od al limite (in un solo esempio) il villaggio dipiccole dimensioni inserito in un massaricio.

6.4 – Un’agenda della ricerca da rinnovareLe domande che restano aperte sono comunque molte, così come sono

da verificare tutte le possibili variabili alle tendenze riconosciute nellevicende del popolamento rurale toscano tra VI e X secolo.

Più nel dettaglio dobbiamo costruire ed affrontare un’agenda dellaricerca archeologica impostata sui seguenti punti:

1) Verificare definitivamente la presenza reale dei castra altomedievalie comprendere come si svolgeva la vita al loro interno, se esisteva unagerarchia che lasci riconoscere i segni di una presenza distintiva diesercitales longobardi e come, se presenti, questi segni si rivelino.

2) Effettuare ricognizioni territoriali sistematiche sulle aree in cuiesistevano castra e comprendere il rapporto tra questi e le vicende della reteinsediativa.

3) Individuare e scavare casi di ville con rioccupazione otrasformazione tra fine del V-VI secolo per appurare il carattere e la densitàdel popolamento che riusava le strutture in rovina dei complessi.

4) Scavare i dintorni di chiese attestate fino dall’alto medioevo etentare di capire la presenza (o l’assenza) di un rapporto abitazione delpossessores di età longobarda-oratorio privato con sepolture privilegiatecome si inizia ad appure nel nord Italia.

5) Incrementare i casi di scavo di villaggi altomedievali continuando averificare e ricostruire le fasi di una linea evolutiva che si lega ad unaprogressiva gerarchizzazione delle componenti insediative.

6) Continuare a costruire ed a discutere un registro degli indicatoriarcheologici che lasciano interpretare i centri insediativi come nuclei di undominico o di un massaricio.

7) Comprendere le diverse variabili delle componenti insediative,cercando di appurare se le realtà di villaggio sinora scavate sono quelle piùdiffuse o se il peso di centri come il vicus wallari sia stato più incisivo,proponendo quindi una serie di rapporti di gerarchia territoriale più ampia epressochè sconosciuta al momento attuale della ricerca.

8) Iniziare a programmare saggi di scavo nei dintorni della reteinsediativa di tipo sparso ancora presente sul territorio, scegliendo i punti diapprofondimento sulla base dell’esistenza o meno di tali località nelladocumentazione d’archivio medievale.

Si tratta di un lavoro che richiederà molti sforzi, che non potrà essereesaurito nello spazio di questa generazione di archeologi (e nemmeno inquella prossima), ma che dovrà essere affrontato se s’intendono costruireattendibilmente modelli antagonisti alla ricerca storica e soprattutto utili a farluce definitivamente sulle vicende insediative dell’alto medioevo toscano.

Bibliografia

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