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  • La pubblicazione è stata resa possibile grazieanche alla sponsorizzazione della

    BANCA PREALPI

    Sede di Tarzo

  • © Copyright 2000 Cierre Edizioni Via Ciro Ferrari 5,Caselle di Sommacampagna,37060 Veronatelefono 045.8581575, fax 045.8581572e-mail [email protected]://www.cierrenet.it

    Consorzio Prto Loco Quartier del Piave

    Progetto grafico e impaginazione in.pagina S.r.l.,Venezia-Mestre

    © Tutti i diritti riservatiRiproduzione, anche parziale, vietata

    Opera pubblicata con il patrocinio di

    PROVINCIA DI TREVISO

    COMUNITÀ MONTANA, Comuni di: Cison di Valmarino, Farra diSoligo, Follina, Miane, Moriago della Battaglia, Pieve di Soligo, Refrontolo,Revine, San Pietro di Feletto, Segusino, Sernaglia della Battaglia, Susegana,Tarzo,Valdobbiadene,Vidor.

    U.N.P.L.I.Unione Nazionale delle Pro Loco Italiane - Provincia di Treviso

    Iniziativa cofinanziata dallaCOMUNITÀ EUROPEAFondi Leader FESRProgramma Leader II, Gruppo di Azione Locale (G.A.L.) n° 4“Associazione Pianura e Collina di Treviso: Destra Piave”,Sub-Azione n° 6.b.1 “Promozione di itinerari turistico culturali”Autorizzazione alla pubblicazione delle foto dei monumeni sacri dellaDiocesi di Vittorio Veneto n.ro 121-2000 del 15 marzo 2000

  • L’alta marcatrevigianaItinerari storico-artistici nel Quartier del Piave

    Testi di:Silvia Bevilacqua, Katia Bettiol, Dario Canzian, Luisa Cigagna, Enrico Dall’Anese,Mario De Osti, Paolo Furlanetto, Gino Lucchetta, Gianni Marciano, RosannaMutton, Gianpierre Nicoletti, Diego Tomasi e Luigi Urettini.

    A cura di:Danilo Gasparini

    Consorzio Pro Loco Quartier del Piave

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    Ideazione:

    CONSORZIO PRO LOCO QUARTIER DEL PIAVE

    Pro Loco consorziate: Cison di Valmarino, Col San Martino, Combai, Farra di Soligo, Follina,Miane, Moriago della Battaglia, Mosnigo, Pieve di Soligo, Refrontolo, San Pietro di Feletto,Soligo,Tovena,Valmareno,Vidor

    Pro Loco di Cison di Valmarino

    Coordinamento a cura di Danilo Gasparini

    Redazione a cura di Luisa Cigagna

    Foto di Iris Bortoletto, Gianangelo Breda, Rinaldo Checuz, Enrico Dall’Anese, NivesDal Vecchio, Roberta De Facci, Luigi Dorigo, Giuseppe Fedato, Bruno Foltran,Alberto Garettini, Luca Marchesin, Gianni Marciano, Leo Munari, Pierluigi Piccin,Silvano Selvestrel, Maurizio Tonetto,Anna Zambon, Luigi Zancanaro.

    Le foto storiche sono state messe a disposizione da Raul Bernardi, Danilo Gasperini,Giovanni Toffollati, Daniele Zanco

    Pro Loco di Follina

    Pro Loco di Pieve di Soligo

    Pro Loco di Tovena

    Pro Loco di Miane

    Pro Loco di Moriago

    Pro Loco di Mosnigo

    Pro Loco di Refrontolo

    Pro Loco di San Pietro di Feletto

    Pro Loco di Soligo

    Pro Loco di Valmareno

    Pro Loco di Vidor

    Pro Loco di Col San Martino

    Pro Loco di Combai

    Pro Loco di Farra di Soligo

  • SOMMARIO

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    AMBIENTE11 Gelogia e geomorfologia17 Aspetti naturalistici28 I palù33 La flora

    STORIA37 Il popolamento del Quartier del Piave dal Paleolitico all’Età romana41 Castelli, signori, monasteri e comunità nel Quartier del Piave in Età medievale49 Il Quartier del Piave in Età moderna e contemporanea

    ARTE57 Itinerario 1

    Visitando le chiese, arte e cultura di un territorio (da Longhere a Segusino)71 Itinerario 2

    Le chiese del Quartier del Piave, tra storia antica e ricostruzione85 Itinerario 3

    Tra la pieve di Feletto e le contea di Tarzo95 Poeti e scrittori nel Quartier del Piave

    ECONOMIA101 La cultura del vino105 La civiltà del castagno107 Le malghe e l’attività casearia

    FOLCLORE111 Feste tradizionali117 Le tradizioni gastronomiche

    I COMUNI123 Cison di Valmarino141 Farra di Soligo157 Follina171 Miane185 Moriago della Battaglia

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    193 Pieve di Soligo211 Refrontolo217 Revine Lago229 San Pietro di Feletto235 Segusino241 Sernaglia della Battaglia249 Susegana259 Tarzo269 Valdobbiadene285 Vidor

    295 Bibliografia300 Informazioni utili

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    Dopo anni di operoso lavoro all’interno delle Associazioni Pro Loco lapubblicazione di questa guida è motivo di soddisfazione perché sintetizza glisforzi e il lavoro di molte persone che, con spirito autenticamente volontari-stico, si prodigano per la valorizzazione del nostro territorio. La ricchezzastorico, artistica, culturale e ambientale di questo spicchio di Marca Trevigia-na chiamato alternativamente Quartier del Piave, Vallata, Altamarca è unbene prezioso che merita di essere conosciuto e tutelato.

    È stato possibile realizzare questa pubblicazione grazie ad un importanteprogetto di recupero e promozione del territorio che ha coinvolto profes-sionisti esperti ed appassionati cultori di storia ed arte locale. Ne è uscitauna guida che si propone di portare il turista, l’escursionista, il viaggiatoredomenicale curioso – forestiero e non – alla scoperta del nostro ambiente edelle sue valenze artistiche, architettoniche e paesaggistiche, attraverso alcunipercorsi a tema ma anche in assoluta libertà passando semplicemente dipaese in paese alla scoperta di angoli caratteristici.

    Un sottofondo di leggende, tradizioni e blasoni popolari rende curioso eleggero il nutrito apparato storico – artistico dedicato ad ogni paese e allesingole frazioni.

    Una sorta di viaggio dentro il viaggio, anche attraverso cibi e sapori consuggerimenti per la degustazione dei prodotti tipici e dei vini che hannoreso queste terre famose in tutto il mondo. Nel ringraziare quanti, nel corsodel tempo, hanno partecipato e collaborato alla realizzazione di quest’operae alla valorizzazione del nostro territorio e del suo patrimonio di cultura etradizione, auguro a tutti una piacevole lettura sperando che queste pagineincuriosiscano e spingano i lettori a diventare prossimi turisti nell’Altamarca.

    Roberto FranceschetPresidente del Consorzio Pro Loco Quartier del Piave

    PREFAZIONE

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    Per la continua opera di valorizzazione e promozione del territorio svolta dalle Associa-zioni Pro Loco e dai loro Presidenti

    CISON DI VALMARINO: Costantino Salton, Lino Magagnin, Raffaele Salton, MarioPillotCOL SAN MARTINO: Bruno Tormena, Luciano DorigoCOMBAI: Giovanni Follador,Adorno Pagos, Maria Vittoria MoroFARRA DI SOLIGO: Silvano Burol, Gimmy Tormena, Daniele Biscaro,Annibale Buset-ti, Gianni Biscaro,Angelo GuizzoFOLLINA: Giancarlo Zago, Leone Nicaretta, Giuseppe TomasiMIANE: Costante Azzalini, Daniela Casagrande, Luca De Biasi, Guerrino Frezza, Riccar-do D’AgostinMORIAGO DELLA BATTAGLIA: Innocente D’Agostini, Antonio Signoretti, PierluigiVarago,Adriano Dal CortivoMOSNIGO: Ivo Vendramini, Roberto Contessotto,Araldo RizzettoPIEVE DI SOLIGO: Roberto Franceschet, Piero Dal Canton, Luigi Frattina, Mario Sist,Roberto Menegon,Anna Flavia Roman, Franco Donadel, Maurizio BernardiREFRONTOLO: Livio Zaccaron, Silvano AntoniazziSAN PIETRO DI FELETTO: Falminia De Martin, Loris DaltoSERNAGLIA DELLA BATTAGLIA: Graziano Appiuma, Antonio Trinca, GiovanniPederiva, Carlo BallianaSOLIGO: Giulio Stella, Giosuè Signorotto,Arcangelo Busetti, Mario Dorigo, Maria Gra-zia Moschetta,Attilio DozzaTOVENA:Tonino Cecchinel, Mauro PossamaiVALMARENO: Franco Dal VecchioVIDOR: Giuseppe Vidori, Enrico De Poi, Guerrino Da Riva, Angelo Miotto, IvanoCordiali

    Si ringrazia quanti hanno collaborato a questo progetto e alla realizzazione di questaguida

    Teresa Ballancin, Rita Ballarin, Fausto Bassotto, Raoul Bernardi, Firmina Bertazzon,Flavio Bottega, Luca Bressan, Bertilla Brunelli, Gianpietro Callegaro, Dilva Carrer,Denis Cattelan, Luisa Cigagna, Luisa Dall’Agnese, Enrico Dall’Anese, Sabina De Faveri,Maria Chiara De Lorenzi, Silvana De Marchi, Gianni Marciano, Flaminia De Martin,Antonio De Osti, Lorenzo De Pizzol, Giuseppina De Vecchi, Marika Dozza,Maria Elena Filippi, Pietro Furlan, Gianantonio Geronazzo, Luigi Ghizzo,Romano Gugel, Giovanna Lorenzon, Piero Lorenzon,Tarcisio Lorenzon, GinoLucchetta, Paolo Martorel, Giorgio Mies,Annarosa Mongera,Angelo Moschetta,Rosanna Mutton, Fulvio Paladin, Micele Potocnik, Gino Presti, Lidia Rasera,Leopoldo Saccon,Tatiana Santin, Riccardo Scapol,Antonio Signoretti,Terry Silvestrin,Enrico Tonello, Mauro Tonello, Micaela Tonetto, Marina Toppan,Angelisa Tormena,Giancarlo Vettorello, Pierina Vibbani, Luigi Zaccaron, Gianna Zorzenon

  • L’ALTA MARCA TREVIGIANA

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    La nostra zona presenta alcune carat-teristiche geologiche singolari. Il pae-saggio collinare della fascia pedemonta-na mostra una serie di rilievi allungati,separati da incisioni parallele ai rilievistessi; in termini geologici è il tipicopaesaggio da erosione selettiva su di unsubstrato monoclinale.

    È purtroppo ancora opinione diffusache l’origine delle nostre colline sia“morenica” o “glaciale” quando inveceesse vanno inserite tra i rilievi di origi-ne tettonica. Questo significa che anti-chi depositi di materiali sciolti sonoprima diventati rocce e poi, deformatidalle imponenti spinte derivanti dall’in-terno del pianeta, hanno assunto laposizione che attualmente occupano;mentre tali processi avvenivano era atti-vo anche il processo di modellamentoda parte dei vari agenti erosivi che, concontributi diversi, hanno prodotto ilpaesaggio attuale.

    Volendo comprendere come si ègiunti all’attuale configurazione del ter-ritorio è forse utile ripercorrerne, agrandi linee, alcune delle tappe dellastoria geologica ricordando che i treattori principali sono sempre compre-senti sulla scena anche se con ruoli diimportanza variabile nel tempo e nellospazio: il primo attore è l’orogenesi conla deformazione e il sollevamento diffe-renziale di tutta l’area; il secondo è l’e-rosione che modella i rilievi; il terzo è la

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    GEOLOGIA E GEOMORFOLGIAGino Lucchetta

    sedimentazione di ingenti quantità didetriti che col tempo, la pressione e lacircolazione di fluidi car ichi di saliminerali, diventano rocce.

    Va ricordato che mentre i detriti sidepositano sul fondo di un bacino que-sto va via via sprofondando (subsidenza)a causa dell’aumento del carico e chequindi la tendenza di una certa porzio-ne di mare a diventare più o meno pro-fonda dipende dall’equilibrio tra veloci-tà di subsidenza e velocità di sedimenta-zione.

    Le rocce più antiche che possiamorinvenire nelle nostre Prealpi sono i cal-cari e le dolomie del Giurassico che affio-rano tra la valle di San Boldo e Miane:esse si formarono oltre 150 milioni dianni fa sul fondo di un ampio bacinomarino (bacino bellunese), che si esten-deva all’incirca dall’attuale Cansigliofino al Grappa, delimitato ad ovest daun altofondo sommerso da poche deci-ne di metri di acqua (piattaforma trenti-na) e a est da un’analoga piattaforma(piattaforma fr iulana) sul cui limiteoccidentale sorgeva una scogliera coral-lina (Cansiglio, monte Pizzoc).

    Nel Cretacico permane la piattafor-ma friulana ma verso ovest il fondalemarino diventa più monotono con ladeposizione di fanghi calcarei ed argilleche costituiranno le formazioni delBiancone e del Calcare di Soccher,rocce biancastre e ben stratificate, facil-

  • mente riconoscibili in tutta la regionealpina e prealpina.

    Attorno a 65 milioni di anni fa, alpassaggio tra Mesozoico e Cenozoico,troviamo che l’area corrispondente alleattuali colline era ancora ricoperta dalmare; poco più a nord c’erano dei rilie-vi appena accennati, dei cordoni insularisimili a quelli dell’attuale costa dalmata,che più tardi diventeranno i nuclei delleDolomiti e delle Prealpi. Ancora più anord l’orogenesi alpina stava per entrarenella sua fase più intensa (fase eoalpina:30-40 m. a.) inarcando e sollevando inmodo deciso le attuali alpi austriache.Queste terre dovevano trovarsi nellafascia intertropicale come dimostratodai resti fossili di coralli ed altri organi-smi tipici di ambienti caldi.

    Mentre la linea di costa tende a spo-starsi progressivamente verso sud, idetriti erosi dai rilievi alpini vengonotrasportati dai corsi d’acqua e depositati

    sul fondo del mare, strato su strato. Fin-ché la sorgente dei detriti è relativa-mente lontana ed il mare profondo, idepositi sono dati da argille e fanghicalcarei alternati nella tipica facies diFlysch. Queste rocce sono oggi difficilida osservare perché in gran parte can-cellate da una grossa faglia che percorrela Vallata (faglia di Longhere). Dei pic-coli lembi si possono osservare a Miane,a Combai e a Follina (località San Cle-mente).

    Quando la linea di costa si avvicinaal bacino di sedimentazione, cioè laprofondità del mare si riduce a pochedecine di metri, abbiamo una successio-ne da materiali fini a materiali più gros-solani, denominati nel complesso molas-sa, che testimonia il fenomeno dellaregressione. Si tratta di potenti strati disabbie entro i quali si sono conservatifossili di conchiglie di gasteropodi (tur-ritella) e di lamellibranchi (Chlamys)

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    QUARTIER DEL PIAVE

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    Prealpi venete, gruppo detto della “Dormiente”

  • insieme con coralli e alghe rosse conscheletro calcareo (nullipore). Questerocce costituiscono oggi la dorsale colli-nare di Zuel, delle Serre e delle Tenade.

    Nel periodo successivo, fino a circa10 milioni di anni fa, si depositano fan-ghi alternati con livelli più ricchi di cal-care e con livelli sabbiosi che diventanosempre più grossi e frequenti con il pas-sare del tempo per uno spessore com-plessivo di circa 1,5 km. Questo è legatocon il progressivo accentuarsi dei feno-meni erosivi all’interno delle Dolomitie quindi al maggior apporto di detritiverso il mare. Tali rocce sono relativa-mente tenere e facilmente erodibilicome possiamo osservare attorno aRolle oppure al Fol di Valdobbiadene. Ifossili di coralli, di ricci marini, di mol-luschi, ci testimoniano un ambienterelativamente tranquillo e con acquecalde tutto l’anno.

    Attorno a 10 milioni di anni fa (Tor-

    toniano) si deposita un potente com-plesso sabbioso con intercalazioni argil-lose (spessore di circa 200 m), che testi-monia una situazione di mare pocoprofondo, quasi di spiaggia, in cui sonoabbastanza frequenti i fossili di ricci dimare e di molluschi.

    Si arriva infine (Messiniano) a unabrusca accelerazione del sollevamentodelle Alpi che comincia ad interessare inmaniera diretta anche le Prealpi. Dall’en-troterra arrivano ingenti quantità didetriti ghiaiosi trasportati da due impor-tanti corsi d’acqua che possono grossomodo corrispondere agli attuali fiumiBrenta e Piave. Nella nostra zona si creaun grande delta che si estende da Bassa-no a Vittorio Veneto: i vari rami fluvialidivagano tra una piena e l’altra isolandozone lagunari in cui prosperavano mol-luschi anche di grandi dimensioni (ostri-che giganti) mentre nelle fasce emersecresceva una rigogliosa foresta. In alcunicasi la foresta fu abbattuta e sommersadai fenomeni di piena ed i resti deglialberi si sono conservati sotto forma dilignite (oggetto di coltivazione minerariafino al 1950). Questi depositi hanno unospessore complessivo di circa 1 km ecostituiscono oggi la fascia più meridio-nale delle colline che bordano il Quar-tier del Piave (San Gallo, Montello).

    Nella parte finale del periodo, attor-no a 5 milioni di anni fa (Messinianosuperiore), il processo orogenetico sub-isce un nuovo rallentamento che per-mette l’instaurarsi tra Cornuda e l’attua-le Formeniga di un ampio bacino lacu-stre, delimitato a sud dal Montello, cheiniziava appena ad inarcarsi consenten-do la creazione di cordoni detr iticicostieri. In questo bacino lacustre siandarono depositando argille con inter-calazioni molto discontinue di ghiaie e

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    GEOLOGIA E GEOMORFOLOGIA

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  • sabbie che oggi possiamo r itrovaresoprattutto nel felettano; la sequenza,che ha uno spessore di meno di 200 m,è caratterizzata da fossili di gasteropodidi acqua dolce (Helix), anche se all’e-stremità verso Cornuda sono stati rac-colti anche resti di organismi di acquasalmastra a testimonianza di periodicheingressioni marine.

    Attorno a 4 milioni di anni fa (Plio-cene) il processo di orogenesi ha subitouna brusca accelerazione che solo negliultimi millenni si è andata attenuando.Le Prealpi si sono inarcate rapidamente(circa 1 mm/anno corrispondente a unsollevamento complessivo di 4 km),mentre l’erosione ha intaccato e aspor-tato gli strati man mano che si andavanosollevando; i detriti venivano trasportativerso il mare la cui linea di costa si tro-vava ormai a sud del Montello. L’erosio-ne ha naturalmente agito in manieradifferenziale, preservando le rocce piùresistenti ed intaccando a fondo quellepiù deboli. Su questa superficie emersaesisteva una rete idrografica che eredita-va gran parte dei suoi percorsi dallasituazione preesistente: il Paleopiavescendeva dal Fadalto e, tagliando tra-sversalmente il Quartier di Piave, andavaa sfociare in mare presso Montebelluna,vicino ad un Paleocordevole, che attra-versava la stretta di Quero dopo averraccolto anche le acque del Paleoci-smon e del Paleobrenta.

    Un concetto un po’ più difficile daintuire è che l’erosione non ha comin-ciato ad agire dopo che l’edificio strut-turale dei rilievi ha raggiunto la suaconfigurazione attuale, bensì strato sustrato, man mano che i rilievi emerge-vano dal mare: in questo modo, dovel’innalzamento era più intenso (Dolo-miti e Prealpi) l’erosione ha avuto

    modo di asportare l’intera coltre dellemolasse, mentre dove il processo era piùblando il fenomeno ha interessato soloquella porzione degli strati che permotivi tettonici, andava via via emer-gendo.

    La piegatura e il sollevamento dellerocce avviene in maniera lenta e altret-tanto lentamente agisce l’erosione percui un immaginario viaggiatore che sifosse trovato a osservare la zona alcunimilioni di anni fa, avrebbe riscontrato lapresenza di una estesa superficie semi-pianeggiante e inclinata verso il maredalle Dolomiti fino alla linea di costa, dacui emergevano rilievi e dorsali appenaaccennate tra cui la dorsale prealpina.

    Tra gli elementi tettonici che hannocondizionato l’evoluzione della regionesi possono riconoscere due stili conorientamenti diversi: una serie di pieghee pieghe-faglie con direzione WSW-ENE che evolvono in sovrascorrimenti;una serie di faglie con movimenti siatrascorrenti che verticali con direzioneNW-SE.A questi si può aggiungere unaser ie di r icoprimenti con direzioneNW-SE che interessano il Friuli e solomarginalmente la nostra area. Al primogruppo va la responsabilità della forma-zione dei rilievi, mentre il secondo dis-seca le compagini rocciose in grandiblocchi che possono muoversi in modorelativo; i contatti tra un blocco e l’altro,frantumati dalle faglie, costituisconozone di minor resistenza e su di esseavrà buon gioco l’erosione.

    Il progredire dell’orogenesi dalle Alpiverso la pianura avviene per attivazionedi fronti successivi di sovrascorrimento:nel Miocene superiore -Pliocene è atti-vo il fronte periadriatico (fianco norddel Vallone Bellunese); nel Pliocene-Pleistocene inferiore si attiva il fronte

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  • Bassano-Valdobbiadene-Vittorio Venetosul versante meridionale delle Prealpi;infine nelle ultime centinaia di migliaiadi anni si è attivato il fronte più esternoche passa davanti al Montello ed è chia-mato linea di Aviano. In corrispondenzadi questi ultimi due fronti abbiamofenomeni sismici che periodicamente ciricordano che l’orogenesi è ancora inatto.

    Nell’ultimo milione di anni unaserie di variazioni climatiche si inseri-scono a turbare i complessi equilibri trasollevamento ed erosione fluviale:imponenti masse glaciali, che dal cuoredelle Alpi si spingono verso la periferiadella catena, scavano profonde valli etrasportano ingenti quantità di detriti.Queste pulsazioni glaciali, intercalate daperiodi relativamente più caldi, furonoalmeno quattro, denominate, dalla piùantica alla più recente: Gunz, Mindel,Riss e Wurm. Come è logico, l’ultimafase glaciale tende a cancellare le traccedelle precedenti per cui diventa estre-mamente difficile ricostruire l’effettivaestensione delle lingue di ghiaccio: pos-siamo ipotizzare che seguissero i percor-si fluviali preesistenti. Lembi di terrenidepositati nel corso della glaciazioneMindel formano la piana di Farrò e diCol mentre i ripiani di Premaor e delCastelletto di Follina corrispondono allivello di pianura al tempo della glacia-zione Riss. Queste superfici sono rico-noscibili e databili soprattutto grazie allaprofonda alterazione (pedogenesi) che siè instaurata durante i periodi intergla-ciali e che ha portato alla formazione disuoli rossicci molto profondi, detti “fer-retto”, osservabili a Farrò, nel Felettanoe sul Montello. Su queste superficimolto antiche e mai ricoperte da ghiac-ciai si impostano i processi di dissolu-

    zione chimica delle rocce conglomera-tiche con formazione di doline einghiottitoi in superficie e di grotte econdotte carsiche nel sottosuolo.

    Al ritiro del ghiacciaio Rissiano ilPaleopiave si trova la valle di Fadaltoostruita, probabilmente da alcune frane,e modifica quindi il suo corso deviandoverso ovest a Ponte nelle Alpi e appro-priandosi del letto del Paleocordevole;va così a sfociare in mare ad ovest delMontello. Il drenaggio delle acqueviene allora svolto da un Paleomeschioche partendo dalla Val Lapisina percorrel’attuale valle del Soligo.

    La glaciazione Wurmiana (da 75.000a 15.000 anni fa) ha lasciato tracce benvisibili in Vallata: la collinetta di Gai nonè altro che la morena frontale del ghiac-ciaio mentre lembi di morene laterali sipossono osservare a Tovena, a Sottocro-da, a Resera e a Tarzo. I due anfiteatrimorenici meglio conservati sono peròquelli di Vittorio Veneto-Colle Umber-to e di Quero. Va tenuto presente chedurante le fasi glaciali la forza erosivadei corsi d’acqua è amplificata dal fattoche il livello marino viene a trovarsianche oltre 100 m più in basso del nor-male: si ha così l’incisione di valli siatrasversali che parallele alle colline.Dove affiorano rocce tenere l’erosioneha modo di agire in profondità, mentredove sono presenti rocce dure e resi-stenti si formano costoni e dorsali, ameno che esse non siano indebolite,rotte, da disturbi tettonici. I detr itivanno a ricoprire e colmare la depres-sione sinclinalica che si va delineandonell’attuale Quartier del Piave in segui-to al progressivo inarcamento del Mon-tello e soprattutto a causa della faglia delQuartier del Piave che tende a sollevarela parte meridionale della piana.

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  • Sempre durante l’ultima glaciazioneil Paleopiave non riesce più a superarela soglia del Montello che continua asollevarsi per cui devia verso est, primadivagando ed alluvionando con detritighiaiosi la piana di Moriago, poi allar-gando il varco nei conglomerati messi-niani di Nervesa, assumendo così il per-corso attuale. Tra i detriti del conoidedel Piave e quelli del Soligo rimane iso-lata una zona depressa in cui si instaura-no condizioni di palude con deposizio-ne di alcuni metri di argille sopra alleargille del Messiniano: si tratta dei Palù.Al margine settentr ionale dell’areaemergono dalla pianura alcuni piccolirilievi residuali (colle d’Attila) formatida argille del Messiniano superiore.

    In altre zone depresse si formano

    laghi con sedimentazione argillosa: unlago si forma a San Giovanni di Valdob-biadene (con resti di difese di Mam-mut), mentre uno più vasto si crea inVallata, delimitato ad ovest dalla morenadi Gai e a est dalla lingua di ghiaccioche si andava via via ritirando; sullesponde di questo lago prosperava unambiente di foresta fredda boreale checi ha lasciato i tronchi fossili delle For-naci. Di esso rimangono oggi due testi-monianze: i laghi di Revine.

    L’evoluzione del territorio degli ulti-mi 15.000 anni non ha visto grandisconvolgimenti e il processo di model-lamento del paesaggio è proseguito conquella naturale lentezza che lo rendequasi inavvertibile alla scala dei tempiumani.

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    QUARTIER DEL PIAVE

    Massicci prealpini

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    IL CLIMA

    La temperatura media annuale è di10-11°C. L’inverno è relativamentemite, con una media nel mese più fred-do compresa tra –5 e 0°C.

    La presenza dei rilievi montuosi anord impedisce la penetrazione di ventifreddi settentrionali e nord-orientali,mentre i versanti mer idionali sonomaggiormente esposti all’insolazionerispetto alla pianura. D’estate la tempe-ratura media, nel mese più caldo, è di15-20°C; il clima è quindi piuttosto fre-sco, per la presenza delle colline e delfiume Piave.

    Le precipitazioni raggiungono i1000-1200 mm annuali, con dei massimidurante la primavera e l’autunno e unperiodo di siccità soprattutto in inverno.

    Temperature in genere più basse siregistrano comunque alla quote maggio-ri dei rilievi montuosi, dove le precipita-zioni nevose sono piuttosto frequenti.

    LA VITA NATURALE

    Il settore dell’alto trevigiano quiconsiderato comprende il corso delPiave tra la stretta di Segusino e quelladi Nervesa, il Quartier del Piave, l’am-pio settore collinare immediatamente anord, la valle del Soligo e i versantimeridionali delle Prealpi tra il monteCesen e il Col delle Poiatte.

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    ASPETTI NATURALISTICIKatia BettiolLucio Bonato

    Il Piave

    Attraverso la stretta di Segusino ilPiave entra nella provincia di Treviso,mantenendosi a carattere torrentizio finocirca a Nervesa, con il caratteristicoaspetto a rami divaganti. La portata delfiume risente di sporadiche piene nei pe-riodi primaverili e autunnali e di secchesoprattutto nel periodo estivo, a causadegli ingenti prelievi d’acqua effettuati ascopo irriguo. Il letto risulta costituitosoprattutto da ciottoli e ghiaia grossola-na, anche se i depositi alluvionali sononotevolmente impoveriti per la continuaattività di escavazione. L’ambiente fluvia-le, per sua natura in continua evoluzione,offre ancor oggi notevoli aspetti di natu-ralità nonostante gli interventi umani diregimazione e sfruttamento.

    Le coperture boscose riparie conser-vano una certa estensione solo in alcunitratti, ad esempio presso il Settolo Basso(Valdobbiadene) e presso Falzè di Piave(Sernaglia). Qui dominano specie arbo-ree legate a terreni saturi d’acqua, comeil pioppo nero (Populus nigra), i salici etra questi il salicone (Salix caprea), l’onta-no nero (Alnus glutinosa). A quest’ultimoè legato il lucarino (Carduelis spinus), unuccello che in inverno si muove ingruppi, appendendosi ai rami terminalidi questi alberi per alimentarsi dei lorofrutti. In estate, invece, nel sottoboscovolano alcune specie di farfalle diurne

  • piuttosto localizzate, quali l’Aphantopushiperanthus, dalle ali brune, che può esse-re osservata con eccezionali densità tragiugno e luglio, e l’Heteropterus morpheus,che allo stadio di bruco vive esclusiva-mente sulle graminacee dei prati umidi.In primavera, le fasce boscose risuonanodel canto sottile ed elegante del rampi-chino (Certhia brachydactyla), un piccolouccello in grado di arrampicarsi suitronchi degli alberi e che tra le fessuredelle cortecce trova cibo e posto pernidificare; altrove non è così abbondante.Gli alberi maturi e marcescenti che quiancora rimangono permettono anchel’insediamento del picchio rosso mag-giore (Picoides major): il becco di questopicchio è adattato a scavare nei tronchi ea ricercare insetti all’interno del legno;

    in febbraio-marzo, inoltre, i maschi ter-ritoriali tambureggiano assiduamente.

    I potenti depositi ghiaiosi all’internodell’alveo, relativamente aridi e assolati,tendono ad essere colonizzati da pianteerbacee e arbusti, in particolare l’olivellospinoso (Hippophaë rhamnoides), che sicarica in autunno di frutti carnosi rossa-stri. Il raro dente di leone di Berini(Leontodon berinii), il cui fiore giallocompare tra maggio e giugno, viveesclusivamente sui greti fluviali dellapianura veneto-friulana, e quindi anchenell’alto corso del Piave fino al Montel-lo. I prati secchi e sassosi sono frequen-tati dall’Oedipoda caerulescens, una caval-letta mimetica che però, quando spiccail volo per fuggire, mostra il coloreazzurro delle ali posteriori. Oltre alla

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    Il Piave, tra Montello e Quartier del Piave

  • comune lucertola muraiola (Podarcismuralis), su questi terreni vive anche lapiù rara lucertola campestre (Podarcissicula): quest’ultima si trova diffusamentenelle fasce dunali del litorale adriaticoma sopravvive nell’entroterra solo inpochi siti localizzati, come presso l’Isoladei Morti (Moriago). Tipici uccelli chesi riproducono in questo ambiente digrava sono l’ortolano (Emberiza hortula-na) e lo strillozzo (Miliaria calandra),legati alla vegetazione arbustiva e altrovenon molto diffusi; entrambi sonomigratori che raggiungono annualmen-te l’Africa centrale per l’inverno. Il cor-riere piccolo (Charadrius dubius), invece,dal disegno facciale bianco e nero, fre-quenta esclusivamente le superficighiaiose spoglie, dove pure depone leuova che ben si mimetizzano tra i ciot-toli; reagisce tipicamente a intrusioni dipotenziali disturbatori lanciando acute

    strida e fingendo di essere ferito.Gli stagni e i rami marginali dove la

    corrente è debole sostengono una riccacomunità di piccoli animali: tra i ciottolidel fondo si nascondono dense popola-zioni di chiocciole come la Lymnaea,larve di insetti come i Tricotteri e i Ple-cotteri, pesci come lo scazzone (Cottusgobio). Fuori dall’acqua, in estate, volal’Apatura ilia, una vistosa farfalla le cui alilampeggiano di iridescenze purpureesotto la luce solare; questa specie puòsvilupparsi solo negli ambienti ripari,poiché il bruco si nutre esclusivamentedi pioppi e salici. In inverno, invece, pic-coli uccelli provenienti da regioni set-tentrionali si insediano presso questeacque per nutr irsi: il luì siber iano(Phylloscopus collybita tristis), in particola-re, svolazza sul pelo dell’acqua per racco-gliere insetti che galleggiano; lo spion-cello (Anthus spinoletta), diversamente,

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    Un’upupa

  • perlustra zampettando le rive ghiaiose.Nelle acque più profonde del Piave

    sopravvive la trota marmorata (Salmotrutta marmoratus), esclusiva dei bacinifluviali dell’alto Adriatico, altrove drasti-camente diminuita. Tra gli altri pesci, lasanguinerola (Phoxinus phoxinus), che simuove a mezz’acqua, e il barbo comune(Barbus plebejus), i cui barbigli sono uti-lizzati per esplorare i fondali ghiaiosi.Durante la notte, il vespertilio di Dau-benton (Myotis daubentoni) sfreccia in

    volo sull’ampio specchio del fiume; sitratta di una delle numerose specie dipipistrelli presenti sul territorio, partico-larmente adattata a predare insetti appe-na sopra la superficie dell’acqua.

    Il Quartier del Piave

    Si tratta di un’ampia zona pianeg-giante, estesa per 70-80 kmq, originatasiper l’accumulo di depositi fluviali e gla-ciali. Incastonato tra il Montello a sud e

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    Il Piave in piena

  • la prima linea di colline prealpine a nord,il Quartier del Piave è solcato da alcunipiccoli corsi d’acqua, che scorrono versosud fino ad immettersi nel Piave, quali ilRaboso, il Rio la Dolsa, il Soligo e ilLierza.Vi si trovano inoltre sorgenti d’ac-qua regolari (risorgive) e terreni tenden-zialmente paludosi, come i Palù.

    La maggior parte del territorio, dif-fusamente antropizzato, è occupato dacoltivi, tra i quali si sviluppano reticolidi siepi. Queste fasce di vegetazioneospitano una comunità di forme viventirelativamente più ricca e varia dei suoliagricoli. Tipica specie arborea è l’acerocampestre (Acer campestre), spontaneo inlarga parte dell’Europa e privo di parti-colari esigenze ecologiche. Sugli arbustiche si sviluppano sotto questi filari, neimomenti di maggiore umidità si muo-vono alcune specie di chiocciole, tra cuila comune Helix pomatia. Vari uccelli,inoltre, sono legati al paesaggio apertodella campagna e trovano siti idonei pernidificare proprio nelle siepi. Il torcicol-lo (Jynx torquilla), ad esempio, è un pic-chio che ben si mimetizza sui tronchidegli alberi, ma che scende spesso alsuolo per nutrirsi di formiche; in pri-mavera, appena giunto dalle regioni disvernamento, emette caratter istiche“risate”. Il saltimpalo (Saxicola torquata),diversamente, caccia insetti a ter raappostandosi su posatoi elevati e tra-scorre l’inverno nello stesso territorio.L’averla piccola (Lanius collurio), perquanto in diminuzione nella pianuraveneta, si riproduce ancora in questolembo di campagna, cacciando grandiinsetti, ma anche piccoli mammiferi euccelli. Durante l’inverno, l’albanellareale (Circus cyaneus), scesa dall’Europasettentrionale, cerca piccoli roditorivolando bassa sui prati e sui campi arati.

    Nelle abitazioni più rustiche si inse-diano invece animali più adattabili. Tragli invertebrati, frequente è la Scutigeracoleoptrata, un centopiedi dalle lunghezampe e capace di correre velocemente.La faina (Martes foina) è pure diffusapresso le case rurali, dove spesso trovarifugio: è attiva solo di notte, quandoesce all’aperto per nutrirsi di piccolimammiferi e, in autunno, anche di frutti.

    Negli incolti e nelle aree dove l’atti-vità umana è meno intensa, possonosopravvivere piante e animali di mag-giore rarità.Ad esempio, nei campi pro-spicenti l’alveo del Piave presso l’Isoladei Morti (Moriago), negli ultimi anni èriuscita a riprodursi la pavoncella (Vanel-lus vanellus). Questo uccello, presenteregolarmente nella pianura veneta solodurante l’inverno, durante la stagioneriproduttiva fa ruotare in volo le ali inmodo tipico, realizzando spettacolaricontrasti di bianco e nero. Nello stessosito, inoltre, nei pascoli abbandonati traaprile e maggio fioriscono l’orchideacimicina (Orchis coryophora), il cui pene-trante odore è simile a quello dellecimici, e la vesparia comune (Ophrysholosericea), un’orchidea diffusa nel baci-no del Mediterraneo e altamente spe-cializzata per farsi impollinare da insetti.

    Nell’ambito del Quartier del Piave, iterreni acquitrinosi dei Palù (Moriago)costituiscono sicuramente l’area di mag-gior valore naturalistico, sia per la relati-va spontaneità del paesaggio sia per lapresenza di piante estremamente rare.Tra queste, la Gentiana pneumonanthe ètipica di prati paludosi e freschi, dove isuoi fiori azzurri compaiono nella pienaestate; nella regione veneta è oggi confi-nata in pochi siti, a causa delle estesebonifiche degli ambienti adatti. Il Giag-giolo siberiano (Iris sibirica), analoga-

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  • mente, si è estremamente rarefatto nellapianura padana, essendo legato ai suoliumidi; la sua presenza nei Palù è ancoraabbondante e si manifesta con vistosefioriture azzurre tra maggio e giugno.

    Le acque sorgive che emergono inpiù punti nel Quartier del Piave sosten-gono lo sviluppo di comunità acquati-che e riparie particolarmente ricche. Èil caso, in particolare, delle FontaneBianche di Fontigo e di Falzè (Serna-glia). Nei canali, freschi e ossigenati, gal-leggia il ranuncolo d’acqua (Ranunculustrychophyllum), adattato a fluttuare appe-na sotto la superficie pur facendo uscireall’aria i suoi fiori bianchi. Tra gli stelisommersi si muove lo scorpione d’ac-qua (Nepa cinerea), un grosso insettopredatore che respira aria tramite unlungo tubicino posteriore. Sulla superfi-cie, invece, nuotano i girinidi (Gyrinus):le zampe a paletta di questi coleotteripermettono loro di roteare rapidamenteal confine tra aria e acqua. Le spondeombreggiate si ricoprono in aprile diestesi tappeti odorosi di aglio orsino(Allium ursinum); il colchico (Colchicumautumnale), invece, è presente in prima-vera solo con il suo apparato fogliare,

    mentre i grandi fiori violetti si sviluppa-no in settembre. Strettamente legata allefasce boscose dei canali di risorgiva è laCalopteryx virgo, una elegante libelluladai riflessi metallici, verdi nelle femminee blu nei maschi; nella stagione calda, gliadulti manifestano uno spiccato com-portamento territoriale, rimanendo inguardia su fronde sporgenti sull’acqua escacciando eventuali intrusi; le popola-zioni di questa specie presenti nellanostra pianura, inoltre, presentano carat-teristiche morfologiche peculiari. Piut-tosto rara è la Hamearis lucina, una pic-cola farfalla bruna e arancione il cuibruco vive sulle primule. Le acque sta-gnanti e ricche di piante acquatichesono siti riproduttivi per la rana di Lata-ste (Rana latastei), esclusiva della pianurapadana ma localizzata; gli accoppiamentiavvengono già nel tardo inverno e sonoaccompagnati da deboli miagolii. Lestesse acque sono frequentate dal topo-ragno acquatico di Miller (Neomys ano-malus), un piccolo mammifero dall’atti-vità frenetica, abile ad immergersi percacciare piccoli invertebrati sul fondale,ma anche prede più grandi che immo-bilizza con la saliva velenosa.

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    Rana di Lataste Esemplare di Syntomis phegea

  • La regione collinare

    Tra la valle del Soligo a nord e ilQuartier del Piave a sud si estendeun’ampia fascia di colline. A ridossodella Vallata, i rilievi si sviluppano deci-samente secondo la direzione parallela aquesta, da nord-est a sud-ovest, raggiun-gendo un’altitudine di circa 600 m.Altri rilievi, meno elevati, degradanodolcemente verso sud, terminando nellecolline di Colfosco e di Conegliano. Un

    complesso sistema di valli torrentizieincide questa regione; i principali corsid’acqua (Soligo, Lierza e Cervano), inparticolare, si impostano tendenzial-mente secondo una direzione perpendi-colare alla precedente. Numerose cavitàcarsiche, per lo più di sviluppo limitato,si aprono in questo territorio: tra quelledi estensione maggiore la grotta di Fol-tron (San Pietro di Feletto) e il Bus dele Fave (Refrontolo). Nonostante granparte della superficie sia stata disboscata

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    Bosco e vigneto in collina

  • per dare spazio a prati e coltivazioni (inparticolare vigneti), permangono tuttoraalcuni lembi boschivi, soprattutto nelsettore settentrionale, dove si sviluppanole pendenze maggiori e le quote piùelevate. Sui versanti esposti a sud lacopertura è realizzata principalmente daspecie arboree tipiche delle colline cal-caree prealpine e presenti più in genera-le nel bacino orientale del Mediterra-neo. Tra queste, il carpino nero (Ostryacarpinifolia), i cui frutti sono aperti dairobusti becchi di uccelli granivori qualiil frosone (Coccothraustes coccothraustes),più raro, e il verdone (Carduelis chloris),più comune. Al carpino nero si associa-no la roverella (Quercus pubescens), unaforma di quercia particolarmente adat-tata ai substrati aridi, e l’orniello (Fraxi-

    nus ornus). Maturi individui di castagno(Castanea sativa) prosperano negli stessiboschi, come ad esempio presso Rolle(Cison di Valmarino): le cavità naturalidi questi alberi permettono la riprodu-zione all’allocco (Strix aluco), un diffusorapace notturno che emette penetrantigrida nelle fredde notti invernali. Pre-senze particolarmente significative sonopure quelle del picchio muratore (Sittaeuropaea) e della Cincia bigia (Paruspalustris): anche questi due uccelli, sta-zionari durante l’intero anno, necessita-no di cavità nei tronchi per allevare laprole. Il Picchio muratore, in particola-re, adatta il foro d’ingresso del nido confango e imbottisce il fondo dello stessocon pezzi di corteccia.

    La luce primaverile, che raggiunge ilsuolo attraverso le chiome ancora spo-glie di questi boschi decidui, genera unafioritura esplosiva di numerose pianteerbacee.Tra le più precoci, il campanel-lino (Leucojum vernum) offre i suoi fioripenduli alle visite dei pr imi bombi(Bombus) che si sono risvegliati dallapausa invernale, mentre l’elleboro verde(Helleborus vir idis) diviene punto diaggregazione per gli accoppiamenti dialcune api selvatiche. Successivamenteappaiono il dente di cane (Erythroniumdenscanis), una elegante liliacea, l’anemo-ne trifogliata (Anemone trifolia), partico-larmente abbondante sulle Prealpi vene-te, e l’erba moscatellina (Adoxa moscha-tellina), che produce un fiore svettantema minuscolo.Il suolo da cui emergonoqueste piante ospita una ricchissimafauna di invertebrati, tra i quali i comu-ni crostacei terrestri Androniscus dentiger.

    La presenza del pungitopo (Ruscusaculeatus) rende il sottobosco verdeanche durante la stagione invernale. Ipiccoli fiori portati dalle piante femmi-

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    Insediamenti rurali

  • nili si trasformano inoltre, prima dell’in-verno, in vivaci bacche rosse. Le fogliecoriacee e pungenti di questa piantamediterranea sono una difesa sicuraverso gli animali erbivori.

    In estate, invece, il suolo ombreggia-to dei boschi diviene teatro per l’attivitàdella Pararge aegeria, una farfalla dalle alia macchie arancioni e brune: posatisulle poche macchie di luce realizzatedai raggi che penetrano tra le chiome,questi agili volatori sono pronti ad inse-guire ogni altro intruso che si avviciniloro. Molto meno veloce è il volo dellaSyntomis phegea, altra farfalla boschiva, inalcuni momenti molto abbondante, pro-tetta dalla colorazione contrastantebianca e nera delle ali che la rendonosimile alle disgustose zigene (Zygaena).

    Nelle ristrette incisioni vallive diruscelli e torrenti, sempre ombreggiate,fresche e umide, prosperano alcune felciquali la capelvenere (Adiantum capillusve-neris), localizzata in questo territorio mamolto diffusa nelle regioni tropicali,dalle delicate foglioline a ventaglio, e lascolopendria comune (Phyllitis scolopen-drium), dalle lunghe foglie pendenti.Nelle pozzette d’acqua dove la correnteè più lenta, i ciottoli nascondono assem-bramenti di Gammarus balcanicus, unpiccolo crostaceo che si sposta tipica-mente coricato su un fianco. Presenzasignificativa in questi stessi corsi d’acquaè quella del ghiozzo padano (Padagobiusmartensi), un pesce esclusivo della pianu-ra padana: tra maggio e luglio, durantela stagione riproduttiva, i maschi comu-nicano con individui dell’altro sessoemettendo pure ultrasuoni. Sopra ilmosaico di prati e boschi che ricoprequeste colline, la poiana (Buteo buteo) siesibisce nelle parate nuziali già alla finedell’inverno: i voli ondulati di questo

    rapace, accompagnati spesso da suonisibilanti, disegnano nel cielo lunghifestoni. I prati assolati offrono l’alimentonecessario ai bruchi di numerose farfalleche, da adulte, frequentano lo stessoambiente: così, ad esempio, l’Anthochariscardamines, attiva già da aprile, è una trale prime specie che compaiono in pri-mavera, mentre la Lysandra bellargus,dalle ali coperte di intense scaglie blu,vola solo nella piena estate. Tra l’erba simuove la cicindela (Cicindela campestris),a caccia di altri insetti, alternando velocicorse a brevi voli; la larva di questocoleottero vive in un pozzetto scavatonel suolo sabbioso, attendendo di affer-rare piccole prede che passano nellevicinanze. Nella tarda estate si aprono ifiori azzurro-viola dell’astro di Virgilio(Aster amellus), una pianta piuttosto raranell’Italia settentrionale e che raggiungead est l’Asia centrale. Nei prati fioriscepure l’Orchis ustulata, una orchidea daiboccioli apicali di color rosso bruciato,più tipica dei versanti montani. Il lodo-laio (Falco subbuteo), piccolo falco raroed elusivo, sorvola questi spazi aperti percacciare soprattutto nella tarda estate,quando tipicamente si riproduce: è inquesto periodo, infatti, che può appro-fittare dell’abbondante presenza di pic-coli uccelli che hanno già intrapreso lamigrazione verso sud.

    Nelle grotte, ben diffuse su questecolline, e più in generale in qualsiasiinterstizio nel suolo, vive l’Orotrechusholdhausi, un coleottero limitato al terri-torio tra il Cellina e il Piave. Più stretta-mente legati all’ambiente cavernicolosono il Typhloiulus montellensis, un mille-piedi cieco, biancastro e che si nutre deirari detriti organici che riesce a trovare, elo Chthonius agazzii, uno pseudoscorpio-ne predatore di altri piccoli artropodi.

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  • La Vallata

    L’ampia valle del Soligo (o, come èchiamata localmente, la “Vallata”) si svi-luppa come una larga fascia pianeggian-te tra le colline e le prime montagneprealpine. E’ un territorio particolar-mente ricco di acqua superficiale, consorgenti carsiche che alimentano i duelaghi di Revine e il Soligo, loro emissa-rio. Nonostante la diffusa antropizzazio-ne, l’esteso utilizzo agricolo del fondoalluvionale e la regimazione del corsod’acqua principale, la Vallata conservaancora singolari valori naturalistici.

    Proprio attorno ai laghi di SantaMar ia e di Lago (Revine e Tarzo),rimangono residui di tipica vegetazionepalustre: macchie di canneto, in cuidomina la cannuccia di palude (Phragmi-tes australis), emergono dalle fasce piùmarginali degli specchi d’acqua; doveinvece il suolo è più asciutto e soggettosolo ad allagamenti stagionali cresconocespi di carice spondicola (Carex riparia)e giunco nodoso (Juncus articulatus), duepiante erbacee ad ampia diffusione malocalizzate nei siti umidi; un tipico albe-ro che si insedia sui terreni torbosi cir-costanti è il salice bianco (Salix alba).

    Dove non è presente il canneto, la quat-trinella (Lysimachia nummularia) puòprodurre i suoi fiori gialli, mentre lamestolaccia (Alisma plantagoaquatica)innalza steli carichi di pallidi fiori rosati.Proprio attorno a questi laghi vive ilTetar topeus paeneinsularum, un rarocoleottero strettamente legato all’am-biente paludicolo.

    Dalla superficie dell’acqua, tra la pri-mavera e l’estate, emergono i grandifiori bianchi della ninfea (Nymphaeaalba) e quelli g ialli del nannufero(Nuphar luteum) tra le ampie lamine gal-leggianti delle loro foglie. Sboccianopure, tra aprile e maggio, i più piccolifiori rosa dell’erba scopina (Hottoniapalustris): questa pianta, amante delleacque ombreggiate e pulite di stagni elanche, è oggi quasi scomparsa dalla pia-nura padana, a causa delle estese bonifi-che. Infossata nei sedimenti del fondolacustre vive l’Anodonta, un molluscocon una conchiglia composta da duegrandi valve.

    Tra gli uccelli acquatici che staziona-no sui laghi di Revine durante l’inverno,qualche svasso maggiore (Podicepscristatus) si intrattiene dove la superficienon è ghiacciata, tuffandosi abilmenteper ricercare cibo. Nella stessa stagione,l’anguilla (Anguilla anguilla) r imaneimmobile infossata sul fondale, ritornan-do in attività con la primavera: questopesce, da adulto, abbandona la Vallata,ridiscende il Soligo e quindi il Piave, finoad entrare nelle acque salate dell’Adriati-co, raggiungendo infine, dopo una lun-ghissima migrazione, il mar dei Sargassi,nell’Atlantico tropicale. Qui si riproducee solo i giovani nati intraprendono ilritorno verso le acque dolci europee.

    Ricca è la comunità di animali chevivono e si riproducono nei canneti

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    Esemplare di Lysandra bellargus

  • marginali. Tra gli uccelli, l’usignolo difiume (Cettia cetti) vi permane tuttol’anno, emettendo il suo improvviso epotente canto; il cannareccione (Acroce-phalus arundinaceus), invece, arriva rego-larmente dall’Africa in primavera. Iltopolino delle risaie (Micromys minutus),il più piccolo topo europeo, è agilissimoad arrampicarsi tra le cannucce, aiutan-dosi anche con la coda; ad esse intrecciauna palla di fili d’erba, che utilizza comenido. Suo potenziale predatore è il nib-bio bruno (Milvus migrans), un rapaceche nidifica sui monti prospicienti laVallata e che può giungere fino ai laghiper cacciare.

    Il corso del Soligo presenta i suoitratti più naturali a valle della morena di

    Gai (Cison di Valmarino). Tra gli insettiche vivono i loro stadi giovanili in que-ste acque, l’Ephemera danica da adulto haali molto delicate, non si nutre e viveper poco tempo; la Calopteryx splendens èuna tipica libellula di acque fresche ecorrenti, presente con una forma rinve-nibile esclusivamente nella pianura pada-na e nell’Italia centrale. Lungo le spondesi sviluppano ampi cuscinetti di Fontina-lis antipyretica, un muschio strettamenteacquatico, e scava gallerie l’arvicola ter-restre (Arvicola terrestris), un piccolomammifero abituato ad immergersi.

    Nella Vallata, alla fine dell’inverno, trale piante fiorite del bucaneve (Galanthusnivalis), il tepore del sole risveglia i primiragni e opilioni, tra i quali il Trogulus

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    Le Fontane Bianche

  • nepaeformis, che si muove sopra la super-ficie del terreno. In primavera l’ululone(Bombina variegata) emette i tipici suoniintermittenti: estremamente mimeticosul dorso, questo rospo ha invece il ven-tre vivacemente maculato di giallo enero, colori che ostenta quando si sentein pericolo.Tra i campi, di notte è attivoil tasso (Meles meles): dai complicati siste-mi di tane sotterranee che scava sui pen-dii delle colline, si porta fin lungo ilSoligo alla ricerca di cibo, utilizzando

    abituali sentieri. Fin qui giunge anche ilcapriolo (Capreolus capreolus), abbondan-temente presente sui rilievi prealpini.

    Sulle piccole pareti rocciose, anchein corrispondenza di sorgenti carsichecome quella di Santa Scolastica (Folli-na), fiorisce la cimbalaria (Cymbalariamuralis): in questa pianta, i peduncoliche portano i frutti fuggono la luce,piegandosi verso la roccia e rilasciandoquindi i semi in anfratti adatti alla ger-minazione.

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    L’area dei Palù si estende per circa 1000 ettari nei territori comunali di Vidor, Farra,Moriago e Sernaglia. La peculiarità paesaggistica e naturale di questo territorio derivadal fatto che la sua superficie è di qualche metro più bassa rispetto alle aree circostanti.Sopra i sedimenti fini depositatisi dopo l’ultima glaciazione, inoltre, si è sviluppato unsuolo particolarmente argilloso e quindi impermeabile. Come conseguenza l’area èdivenuta paludosa, per il ristagno di acque sia di origine fluviale che sorgiva.

    Due sono i principali corsi d’acqua che attraversano il territorio, entrambi con por-tata notevolmente variabile a seconda delle precipitazioni: il Rospèr, che nasce nellevicine colline presso Colbertaldo, e il Raboso, che raccoglie anche le acque della catenaprealpina retrostante. Alcune sorgenti, inoltre, appaiono sia alla base dei rilievi collinarisia presso gli stessi Palù: è il caso, ad esempio, delle Buse de la Moma, presso Moriago.

    Gli interventi dell’uomo in questo sito risalgono all’Età del Bronzo, anche se laprima vera opera di bonifica è stata effettuata in epoca romana.Tuttavia l’attuale paesag-gio si deve ai monaci dell’abbazia di Vidor che, attorno al 1200, hanno trasformato ilvasto acquitrino in un sistema di campi e canali di drenaggio. La costante presenza diabbondante acqua rendeva, e rende tutt’oggi, i terreni agricoli notevolmente più pro-duttivi rispetto al rimanente Quartier del Piave. I campi, attraverso un complicato siste-ma di chiuse sui canali, venivano regolarmente ricoperti da un velo d’acqua: una tem-peratura costante di 8-10°C, difendendo l’erba delle cosiddette “marcite” dalle gelateinvernali, permetteva la raccolta di foraggio durante tutto l’anno. Le frequenti esonda-zioni del Raboso, inoltre, favorivano una naturale fertilizzazione del suolo, per la decan-tazione dei sedimenti portati dalle acque del fiume. Le siepi che circondavano i campi(da cui il nome di “campi chiusi”), oltre a proteggere i canali dall’erosione durante lepiene, fornivano legna da ardere e materiale per la costruzione di svariati utensili, non-ché abbondanti risorse alimentari (frutti, funghi, chiocciole, selvaggina). Queste albera-

    I Palù

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    ASPETTI NATURALISTICI

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    ture, allineate in direzione nord-sud così da permettere la massima insolazione suicampi, erano organizzate su tre strati, spesso riconoscibili ancor oggi: pioppo nero(Populus nigra), platano (Platanus hybridus), farnia (Quercus robur) e ontano nero (Alnusglutinosa) costituiscono lo strato arboreo; il salice bianco (Salix alba), tenuto tagliato acapitozza, realizza uno strato arbustivo alto; nocciolo (Corylus avellana), frangola (Frangu-la alnus), sanguinello (Cornus sanguinea), sambuco (Sambucus nigra), fusaggine (Euonymuseuropaeus) e biancospino (Crataegus monogyna) compongono uno strato più basso.

    Lungo i canali, opportuni sbarramenti fissi arginavano piccoli bacini utilizzati per lapiscicoltura: si potevano così pescare l’anguilla (Anguilla anguilla) e la trota (Salmo trutta).

    Ancor oggi, nonostante l’abbandono di molte pratiche tradizionali ed il tentativo ditrasformare i prati in seminativi, i Palù conservano spiccati caratteri di naturalità, testi-moniati dalla presenza di alcune forme di vita particolari. Notevole valore ha il rarogiaggiolo siberiano (Iris sybirica) che, frammisto ai candidi fiori della Filipendula (Fili-pendula ulmaria), colora di violetto i prati primaverili. I fossati che drenano l’acquaancora relativamente pulita sono ottimi siti riproduttivi per gli anfibi, come ad esempioil tritone punteggiato (Triturus vulgaris) e la rana di Lataste (Rana latastei); essi inoltreoffrono la possibilità di pescare al martin pescatore (Alcedo atthis) e di rifugiarsi all’arvi-cola terrestre (Arvicola terrestris). Le siepi, con alberi di dimensioni spesso notevoli, costi-tuiscono un habitat ideale per il picchio verde (Picus viridis) ed il picchio muratore(Sitta europaea). Queste entità, unite alla lunga storia umana del territorio, fanno deiPalù un paesaggio unico nel suo genere, degno di salvaguardia e conservazione.

  • Le Prealpi Trevigiane

    A nord della Vallata, si eleva la primacatena montana prealpina: scoscesi ver-santi esposti principalmente a meridio-ne e tagliati da alcune valli piuttostoincassate terminano in un crinale prin-cipale che, mantenendosi per lo più aldi sopra dei 1000 metri di quota, si svi-luppa dal monte Cesen verso nord-est,verso il Col Visentin.

    Buona parte di questi versanti pre-senta una vegetazione prativa, talvoltaarricchita da arbusti, in quanto utilizzati,almeno nel passato, per il pascolo. Suquesti terreni, in particolare, eleva i suoiimponenti steli fiorali l’Asfodelo mon-tano (Asphodelus albus), una pianta checolonizza facilmente i suoli assolati earidi delle Prealpi in quanto adattata allecondizioni mediterranee. Meno appari-scente è la fioritura gialla della orchideapallida (Orchis pallens), piuttosto rara edalle esigenze ecologiche simili. Ancor

    meno frequente è il giglio di Carniola(Lilium carniolicum), presente esclusiva-mente sulle Alpi orientali e sulla catenadinarica e alquanto localizzato. Neipunti dove il suolo è più profondo vivel’Eophila tellinii, un lombr ico dalledimensioni eccezionali, potendo rag-giungere diversi decimetri di lunghezza,e con una vivace colorazione a banderosse e marrone: l’interesse di questaspecie sta anche nel fatto che è presentesolo sulle Prealpi orientali. I prati aridipiù naturali, accidentati da affioramentidi rocce, sono l’ambiente riproduttivoideale per lo zigolo muciatto (Emberizacia), uccello molto elusivo, che si ali-menta tra l’erba, pronto a fuggire velo-cemente in volo lanciando sottili stridii.Di notte si aggira invece la martora(Martes martes), predatrice di altri ani-mali, poco diffusa nel resto del Veneto.

    Dove permangono lembi boschivi, èil faggio (Fagus sylvatica) la specie arboreapiù tipica delle condizioni ambientali

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    QUARTIER DEL PIAVE

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    EVista di Quartier del Piave

  • locali, anche se la sua presenza è stata lar-gamente ridotta da interventi umani delpassato. Le chiome dei boschi montanipiù freschi sono frequentate dal picchionero (Dryocopus martius), che ricercagrossi insetti all’interno dei tronchi, oltreche dal ghiro (Myoxus glis) e dallo scoiat-tolo (Sciurus vulgaris), abili arrampicatoriche si cibano di faggiole e altri fruttisecchi. Tra i vari animali che vivonoall’interno dei suoli umidi e ombreggia-ti, il Dicellophilus carniolensis è uno dei piùtipici centopiedi delle foreste prealpine.

    Sparsi su questi versanti, sono statieffettuati numerosi rimboschimenti con

    specie arboree non locali, come l’abeterosso (Picea abies), che normalmentecresce a quote più elevate, e varie speciedi pino (Pinus). Sintomo di questa situa-zione di artificialità è l’estrema diffusio-ne della processionaria del pino (Thau-metopoea pityocampa): i bruchi di questafarfalla notturna vivono in colonieall’interno di grossi nidi di seta, tessutitra i rami più alti delle conifere; protettida questi rifugi, divorano le foglie aghi-formi degli alberi, compromettendonela sopravvivenza.

    Anche la cincia mora (Parus ater) e ilregolo (Regulus regulus), due specie di

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    ASPETTI NATURALISTICI

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    La piana di Quartier del Piave

  • uccelli legate a boschi di conifere,hanno qui ritrovato il loro habitat natu-rale, riuscendo quindi a riprodursi aquote relativamente basse.

    Sulle cime arrotondate delle Prealpitrevigiane, come sui dossi sommitali delmonte Cesen (Valdobbiadene), ai mar-gini dei pascoli più intensamente sfrut-tati crescono il rododendro (Rododendrohirsutum), ben adattato ai terreni calcareidi alta quota, e la genziana maggiore(Gentiana lutea). Le vistose infiorescenzegialle di quest’ultima sono state oggettodi abbondanti raccolte, facendo dimi-nuire la specie in molte regioni prealpi-ne.

    Su queste stesse praterie vola bassa inperlustrazione l’aquila reale (Aquilachrysaetos) e, quando ancora la superficieè parzialmente innevata, si esibiscono inparate i maschi del fagiano di monte(Tetrao tetrix), elegante uccello terragno-lo delle alte quote. In alcuni siti di par-ticolare naturalità, come presso passoSan Boldo (Cison di Valmarino), si con-servano rare colonie di Peonia selvatica(Paeonia officinalis).

    Le pareti rocciose calcaree che si svi-luppano, in particolare, lungo la crestatra i passi di Praderadego (Follina) e diSan Boldo (Cison di Valmarino), ospita-no comunità floristiche di estremo valo-re. Il giaggiolo del Cengio (Iris cengialti),ad esempio, vive esclusivamente sulle

    rupi delle Prealpi orientali, dove peraltroè alquanto localizzato: una popolazioneè presente anche in questo settore dellePrealpi trevigiane, con una varietà diffe-renziata. Tra le più abbondanti fioriturependule della cinquefoglia bianca (Poten-tilla alba), tra le fessure della roccia com-paiono anche quelle azzurre del rapon-zolo di roccia (Physoplexis comosa), altracaratteristica pianta alpina orientale. Inalcune grandi spaccature tra le pareti,inoltre, il corvo imperiale (Corvus corax),costruisce il suo nido e fa echeggiare ilsuo verso schioccante.

    Lungo le vallette che solcano i ver-santi, è raro che ristagni qualche piccolaraccolta d’acqua, in quanto i terreni car-sificati inghiottono l’acqua in profondità.In pozze come queste, comunque, adesempio presso la sorgente del Pissol (Ci-son di Valmarino), può riprodursi la sala-mandra pezzata (Salamandra salamandra),le cui larve esigono una costante presen-za di acqua fresca e ossigenata, e possonoalimentarsi le Velia, insetti volatori capacidi pattinare sul pelo dell’acqua.

    Nel sottosuolo, dunque, l’acqua haaperto numerose grotte naturali, comela grotta Bortolomiol e altre presentialle falde del monte Cesen (Valdobbia-dene). In queste cavità vivono numerosespecie di coleotteri interessanti per laloro limitata distribuzione geografica,quali gli Orotrechus e i Duvalius.

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    La tipologia degli ambienti che siestendono dal corso del medio Piave alladorsale delle Prealpi trevigiane è moltovaria e con peculiari caratteristiche pedo-logiche, climatologiche e vegetazionali.

    L’analisi di tali ambienti da un puntodi vista vegetazionale e flor istico, èalquanto complessa in quanto essi sonostati influenzati, nel corso delle ere, dauna serie di eventi. La campionatura dialcuni resti vegetali di era preglacialemette in evidenza la presenza di piante acarattere tropicale, in graduale evoluzio-ne verso tipi subtropicali e temperati.L’attuale vegetazione testimonia chedurante le glaciazioni la flora si è arric-chita di numerose specie montano-alpi-ne, sospinte dall’avanzamento dei ghiac-ciai, pur mantenendo alcune tracce dipiante termofile sui versanti delle collinepiù esposti all’irraggiamento solare. Perun procedimento inverso al precedentenei periodi interglaciali, caratterizzati daun clima temperato, la flora è variata e siè arricchita si specie mediterranee, con-servando però in alcune aree, tracce divegetazione montano alpina.

    Alla conclusione del lento ritiro deighiacci il termine della recrudescenzafredda ha apportato un generale migliora-mento del clima, con caratteristiche con-tinentali di inverni freddi ed estati miti.

    Presumibilmente durante questoperiodo è iniziata l’invasione di specieprovenienti dai rifugi illirici e dalle step-

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    LA FLORAGianni Marciano

    pe asiatiche, che hanno trovato in questezone condizioni climatiche favorevoli.

    In alcune aree relativamente ristrette,nelle quali la morfologia accidentatadelle colline ha creato microclimi dis-cordanti, può vegetare una flora varia ericca di specie, con caratteristiche siatermofile sia steppiche, oppure articoalpine. Progressivamente la temperaturasi è evoluta sempre più verso le caratte-ristiche del clima temperato, con unconseguente sviluppo vegetativo equili-brato nei vari orizzonti altitudinali.

    Successivamente l’intervento del’uo-mo nel processo di antropizzazione delterritorio e in particolare nello sfrutta-mento del bosco e dei pascoli montaniha favorito lo sviluppo di alcune specie,ma nel contempo, ha quasi portato allatotale estinzione di altre. Possiamo con-cludere che le attuali condizioni climati-che permettono l’esistenza vegetativa diuna flora varia e complessa che è statacondizionata dai seguenti fattori:- varietà dei suoli;- vicende climatiche preglaciali, glaciali,

    interglaciali e postglaciali;- esposizione e morfologia accidentale

    della piana e dei rilievi con situazionimicrotermiche e termofile anchecontrapposte;

    - azione dell’uomo, che ha sostanzial-mente modificato il manto vegetale.Gli ambienti che si estendono dal

    corso del medio Piave alla dorsale delle

  • Prealpi trevigiana, possono essere sche-matizzati nel modo seguente:1. il greto del fiume Piave;2. le aree incolte ripariali;3. la piana coltivata;4. i campi chiusi dei Palù;5. la dorsale delle colline;6. la vallata;7. le Prealpi trevigiane.

    Per quanto riguarda la flora si posso-no solo mettere in evidenza nell’etero-geneità degli ambienti alcune specierare, oppure rilavanti quali: il Dryas octo-petala, la Stipa pennata (mamai), la Gentia-na pneumonanthe, l’Iris sibirica ed il Liliumcarnioliucum,oltre alle numerose orchideespontanee.

    Dryas octopetalaIl dryas octopetale o Camedrio Alpi-

    no è una specie con distribuzione arti-

    co-alpina.Vegeta ad una quota che va dai1500 ai 2500 metri su terreni calcareiformati da ghiaie e detriti consolidati. IlDryas è sceso lungo i fiumi e nel trevi-giano è approdato seguendo il corso delPiave. È presente a macchia nella fasciacollinare che va da Fregona a Vidor. Sitratta di una specie di flora artico-alpinaemigrata durante i periodi glaciali che siè ambientata nel conglomerati in alcuniversanti soleggiati delle collina.

    La Stipa pennataPianta chiamata localmente mamai la

    Stipa è una specie con distribuzioneeuropea che si estende dalla Scandinaviaalla Penisola Iberica fino alla regioneCarpatico-Danubiana. Vegeta nei pratiar idi e steppici che si sono formatilungo il corso del fiume Piave e neipendii aridi della fascia collinare.

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    Orchidea spontanea, Anacamptis pyramidalis

  • Gentiana pneumonantheSpecie con distribuzione Eurosibe-

    riana su prati umidi e torbosi delle zonefredde e temperato-fredde. Nel Quar-tier del Piave è in via di estinzione acausa della bonifica degli ambienti palu-stri. Si trova ancora nei campi chiusi deiPalù e in certe zone collinari di Farra diSoligo.

    Iris SibiricaL’Iris Sibirica è una specie con dis-

    tribuzione Eurosiberiana come la Gen-ziana pneumonanthe, ed è quasi ovun-que in estinzione. Nel mese di maggiofiorisce nei campi chiusi dei Palù e inuna ristretta area a nord della collina diSan Gallo.

    Lilium CarniolicomIl Lilium Carnuolicum è una specie

    con distribuzione montana Est-Alpino-Dinarica (Balcani e Grecia) che vegetadai 400 ai 1200 metri, su prati e pendiirupresti soleggiati e su terreni calcarei.Specie molto rara e di notevole bellez-za, si presenta in genere con individuiisolati. È presente sporadicamente lungo

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    LA FLORA

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    Succiamele rossastro, Omobanche gracilis

    Dente di cane, Erythronium dens canis

  • il sentiero che porta a Praderadego enella valle di San Daniele.

    Orchidee SpontaneeLe orchidee sono pianti erbacee

    perenni e, in condizioni climatichefavorevoli, sono in grado di fiorire unavolta all’anno. La famiglia delle orchideespontanee comprende specie geofite oterricole, specie epifite o “figlie dell’a-ria” e specie rampicanti. La loro distri-buzione si può considerare cosmopolitain quanto sono diffuse in quasi tutta lasuperficie del globo, ad eccezione dellagrandi aree desertiche e delle zonepolari. La maggior parte delle orchideevegeta nelle zone tropicali ma le fami-glie geofite della specie si sono adattatealle zone temperate, sviluppando unapparato radicale sotterraneo che per-mette loro di sopravvivere alle fortiescursioni termiche, colonizzando cosìgli ambienti più diversi.

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    QUARTIER DEL PIAVE

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    Campanelli di primavera, Leucosum vernum

    Orchidea spontanea, Limodorum abortivum

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    La presenza dell’uomo nel Quartierdel Piave risale al Paleolitico. Le testimo-nianze archeologiche, pur non numerosee per lo più frutto di raccolte di superfi-cie, mettono in luce una occupazionemarginale rispetto agli importanti poliinsediativi di Montebelluna e Treviso,ma mostrano una continuità abitativadalla preistoria alla tarda antichità, docu-mentata soprattutto lungo il corso delPiave nel tratto che precede lo sboccodel fiume in pianura.

    Gli strumenti litici ritrovati a Follo diValdobbiadene e a Vidor, databili alPaleolitico medio, attestano la presenzadell’uomo di Neanderthal, diffuso intutta Europa, anche nel Quartier delPiave. E’ probabile che in questo perio-do, nuclei familiari ristretti vivessero interritori di caccia ben circoscritti.

    Solo nella fase avanzata del Mesoliti-co (5500-4500 a.C.), con il migliora-mento delle condizioni climatiche(clima caldo-umido e conseguente dif-fusione delle foreste di latifoglie), diven-tano più numerose le testimonianzearcheologiche nel trevigiano, soprattuttolungo la fascia collinare, la zona dellerisorgive e l’area perilagunare.

    La riva destra e sinistra del Piaveerano abitate tra Valdobbiadene e Ner-vesa: i ritrovamenti di Falzè,Vidor, Cor-nuda e Montebelluna, costituiscono letracce della presenza di piccole comunitànon stanziali di cacciatori-raccoglitori.

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    IL POPOLAMENTO DEL QUARTIER DEL PIAVEDAL PALEOLITICO ALL’ETÀ ROMANAPaola Furlanetto

    Il Neolitico (4500-3000 a.C.), conl’introduzione dell’agricoltura, dell’alle-vamento e della produzione ceramica,favorisce l’insediamento umano, chediventa stanziale, in tutte le regionipadano-alpine e nel trevigiano in parti-colare.

    È assente la documentazione archeo-logica relativa al Neolitico antico emedio; il Neolitico recente è invece bendocumentato nel Quartiere del Piave aVidor, Nervesa, Sernaglia, lungo il mar-gine meridionale del Montello, a Cor-nuda e a Montebelluna.

    Testimonianza di una frequentazionedell’alto trevigiano in età tardo Neoliti-ca-Eneolitica sono le numerose asce edaccette in pietra levigata rinvenute isola-te e interpretabili come utensili per ladeforestazione di aree boschive da recu-perare al pascolo e alla coltivazione.

    Non è documentata per ora l’età delBronzo antico (secolo XVII a.C.) intutto il Veneto nord-orientale: il trevi-giano e più in particolare il Quartier delPiave rivela tracce insediative soltanto apartire da una fase avanzata del Bronzomedio (secoli XV-XIV a.C.).

    Sono numerosi i siti archeologiciindividuati nella zona collinare e soprat-tutto in prossimità del tratto del Piavetra Vidor e Nervesa e lungo la fasciadelle risorgive coincidenti con l’altocorso del Sile, aree umide, boschive eprative, abitate probabilmente da piccoli

  • gruppi dediti ad attività integrate di alle-vamento e agricoltura e alla praticavenatoria.

    Assumono un particolare rilievo imanufatti metallici, come asce, pugnali, esoprattutto spade, rinvenute nel gretodel Piave tra Colfosco e Falzè, tipologi-camente simili a quelle recuperate neipressi del lago di Revine, nelSile, a Quinto e Casier, e affi-ni a modelli dell’area alpi-no-danubiana. Il ritrova-mento anche di panisemilavorati di fusionein bronzo, emersi erecuperati recentemen-te nel greto del Piave,nel tratto tra Vidor eColfosco e a Nervesa,sembra confermare l’i-potesi che quest’area,economicamente attiva,fosse sede di manifatturelocali a opera di metallur-ghi ambulanti.

    Sono rare le testi-monianze archeologi-che relative alla fasefinale dell’età del Bron-zo (secoli XI-X a.C.): il deterioramentoclimatico, la crisi demografica e l’esauri-mento delle scorte alimentari determi-nano il collasso dell’intero sistema inse-diativo dell’età del Bronzo. È solo a par-tire dal IX secolo, con l’inizio dell’etàdel Ferro che nel Veneto, o più precisa-mente tra Adige e Isonzo, si sviluppa unanuova civiltà originale e unitaria chia-mata dei Paleoveneti o dei Veneti anti-chi, i cui centri più importanti sono Estee Padova.

    Tutta l’area pedecollinare risulta inte-ressata, durante l’età del Ferro, da nume-rosi insediamenti sparsi, strategicamente

    distribuiti lungo le testate prospicienti lapianura e i principali tracciati vallivi.

    Centro propulsore, economico einsediativo, di tutto il comprensorio col-linare-pedemontano è Montebelluna,strategicamente al centro di una retecommerciale che la collegava all’area al-pino-danubiana a nord ed ai centri dipianura a sud.

    Le testimonianze archeologiche, purestremamemte ridotte, riferibili al Quar-tier del Piave - un’ascia a Colfosco e una

    a Nervesa, una fibula e un piccologruzzolo di monete sul Montello -confermano la frequentazione di

    quest’area legata al transito verso edalle aree alpine, sicuramente inrelazione allo sfruttamento dellerisorse boschive ed alle attività ditransumanza.

    Dal III secolo a.C., con l’ag-gravarsi del pericolo gallico, ha

    inizio la politica espansionistica diRoma nella pianura padana, cheporterà i Romani al controllo totaledi tutta l’Italia settentrionale.

    Questo processo di penetrazio-ne graduale, pacifico e profondo,che muterà radicalmente, nell’arco

    di due secoli, il quadro politico, ammini-strativo, sociale, economico e linguisticodell’Italia settentrionale, si concretizzòsoprattutto attraverso la costruzione dilunghi assi viari e la creazione di munici-pia, città romane amministrativamenteautonome.

    Profonde riorganizzazioni urbanisti-che, secondo canoni romani, interessaro-no le città; si procedette alla ridefinizio-ne dei confini dei territori che furonoanche sottoposti a sistematiche operazio-ni di divisione agraria, le centuriazioni.

    Anche il trevigiano con tutta la Vene-tia partecipò a questo processo: nel 148

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    QUARTIER DEL PIAVE

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    IAManca didascalia

  • a.C. la pianura padana fu attraversatadalla via Postumia che univa Genova adAquileia; tra l’ 89 e il 49 a.C. divenneromunicipi romani Asolo, Altino, Oderzoe, in epoca successiva, Tre-viso. Nel I secolo d.C. fucompletata la via ClaudiaAugusta che collegavaAltino al Danubio: dopoun lungo rettifilo la stra-da attraversava il Piaveall’altezza di Nervesa, siuniva alla strada perOderzo e continuavalungo la sponda sinistra del fiume perFalzè, Moriago, Mosnigo,Valdobbiadene,Segusino e Vas.

    Un tratto della via Claudia Augustaattraversava dunque il Quartier del Piaveche, in età romana, faceva parte dell’este-so agro opitergino. La documentazionearcheologica databile alla fine del I sec.a.C. – I sec. d.C. è estremamente ridotta:in base ad essa il Quartier del Piave sem-

    bra costituire in epoca romana un’areascarsamente abitata, marginale e defilatarispetto ai centri insediativi e ai territorilimitrofi che appaiono invece fittamenteabitati. L’assetto insediativo di tutta la

    Venetia muta radicalmente a par-tire dal II sec. d.C.: la crisieconomica e politicadetermina il collasso delsistema centuriato, l’impa-

    ludamento delle zonecostiere e lo spopolamentoprogressivo delle campagnee delle città.

    Nel Quartier del Piave è invecedocumentata una ripresa insediativa apartire dalla fine del II sec. d.C.: risulta-no abitate soprattutto le aree collinari ela sponda sinistra del Piave.Tombe a inu-mazione sono venute alla luce a Pieve diSoligo, tra Falzè e Sernaglia, a Moriago euna piccola necropoli a inumazione,databile al IV sec. d.C., è stata scavata nel1986 in piazza Maggiore a Vidor.

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    DAL PALEOLITICO ALL’ETÀ ROMANA

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    Resti del ponte romano rinvenuto tra Colfosco e Falzè

    Manca didascalia

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    Nell’età di mezzo il Quartier delPiave vide nascere e dispiegarsi al suointerno una multiforme realtà sociale epolitica, che connota quest’area comeuna sorta di piccolo laboratorio dove sisvilupparono molti degli elementi chepiù contraddistinsero il medioevo nellaMarca trevigiana. In special modo, apartire dall’XI secolo - complice unadocumentazione più ricca - possiamoindividuare lo svolgersi di alcuni feno-meni che, al di là degli eventi macrosto-rici dai quali l’area fu investita, permet-tono di meglio comprendere il tessutostorico-sociale e quindi le premesse cheportarono all’edificazione degli insignimonumenti medievali ancora oggi pre-senti nel comprensorio medio-plavense.

    Cifra di questa realtà è in primoluogo la presenza del Piave, il grandefiume che limita a occidente il nostroterritorio e che allora rappresentavaun’importante via di collegamento trale valli cadorine e la costa adriatica.Rendono testimonianza della valenzastrategica rivestita da questo corso d’ac-qua nel medioevo, le presenze signoriliche punteggiavano la sponda orientaledel fiume nel suo tratto mediano -quello su cui si affaccia il Quartier delPiave, appunto. Emblematico risulta aquesto proposito lo “sconfinamento”dei margini settentrionali della diocesipadovana, che si spingevano fin sullasponda sinistra del Piave a comprendere

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    CASTELLI, SIGNORI, MONASTERI E COMUNITÀNEL QUARTIER DEL PIAVE IN ETÀ MEDIEVALEDario Canzian

    il centro di Valdobbiadene, la cittadinanota fin dalla tarda antichità per averdato probabilmente i natali al poeta evescovo Venanzio Fortunato. Il dominioultraplavense degli ordinari padovanipare già sancito nel 915 da un diplomadell’imperatore Berengario I (ove siparla di possessi cenedesi assegnati alvescovo di Padova), nel quadro di unpiù vasto riconoscimento che intendevaconferire a quel vescovo la funzione dipresidiare i punti di raccordo tra l’altapianura veneta e i valichi alpini, in un’e-poca contrassegnata dall’insicurezza pro-vocata dalle incursioni degli Ungari.

    In tempi relativamente più recentifurono cospicui casati di estrazionelocale a prediligere gli insediamenti nel-l’immediata prossimità del fiume percostruirvi posizioni di forte predominiolocale che, peraltro, costituivano i pre-supposti militari ed economici per losvolgimento di un ruolo da protagonistinella vita politica cittadina.

    Spicca in questo quadro la famigliadei conti di Treviso, i Collalto che,secondo la tradizione, avrebbero fattoerigere nel 1110, nella località che dà ilnome alla famiglia, il castello di cui èpossibile vedere ancora oggi una torre; aesso successivamente venne preferita lanon lontana residenza castrense di SanSalvatore, presso Susegana, grande com-plesso completato nei primi decenni delXIV secolo dal conte Rambaldo VIII,

  • situato su un colle acquisito nel 1245dal comune di Treviso. Le ragioni diquesti insediamenti nella sinistra Piavevanno ricercate in un particolare feno-meno socio-istituzionale che riguarda learistocrazie “d’ufficio” tra X e XI secoloe che va sotto il nome di insignorimento.I conti, cioè, in quell’epoca avevanoconcentrato le loro facoltà di governonon sull’intero distretto loro affidato inquanto funzionari dell’impero, ma solosu quelle terre che appartenevano alpatrimonio della famiglia, e che si trova-vano a cavallo tra i comitati di Treviso edi Ceneda, cioè a cavallo del Piave. Quiavevano dato vita a una realtà politica,comune per i secoli che stiamo consi-derando, che gli stor ici definisconocome signoria locale, o signoria di banno.Essi, cioè, non si limitavano a godere deiproventi delle vastissime proprietà fon-diarie di cui pure erano titolari, mariscuotevano esazioni fiscali, arruolava-no uomini per le loro milizie e soprat-tutto esercitavano la giustizia presso lapopolazione sottomessa senzadover render conto a nessunaautorità preordinata. La necessitàdi avvalersi di collaboratori perl’espletamento di queste funzionifece sì che il castello di Collalto

    e quello di Susegana divenissero centridi corti feudali, a cui faceva capo unarete clientelare articolata su diversi livel-li di prestigio e ricchezza: dai vassallicomitali di più alto rango, come alcunicavalieri del coneglianese nominati neltestamento del conte Alberto nel 1138;agli ufficiali rurali, come i gastaldi; aicosiddetti ‘servi di masnada’, le clientelemilitari più vicine e fedeli al loro signo-re ma di condizione socio-giuridicaumile; per finire con gli stessi abitantidei villaggi circostanti, alcuni dei qualisi legavano ai conti con rapporti vassal-latici, sia pure di basso tenore, nonimplicanti cioè obblighi militari. Dob-biamo pensare, perciò, che la struttura diquei castelli dovesse essere composita,per la molteplicità di funzioni a cui essidovevano assolvere: vi erano locali dicarattere strettamente residenziale desti-nati ad ospitare le famiglie dei conti egli spazi per le riunioni della corte feu-dale; non potevano mancare poi i

    magazzini, le canipe, doveconfluivano i pro-venti

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    QUARTIER DEL PIAVE

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    Castello diCredazzo

  • delle terre che i conti affidavano ai lorodipendenti in cambio di canoni in natu-ra; infine, il tutto doveva essere tutelatoda un opportuno apparato difensivo,dotato di strutture che dobbiamoimmaginare sottoposte a frequentimodifiche e ristrutturazioni per il con-tinuo rinnovarsi degli strumenti e delletecniche di offesa che caratterizzò isecoli XI-XV.

    Il potere della famiglia sulla spondasinistra del Piave attraversò indenne idiversi regimi politici che si susseguiro-no nella Marca, tanto che nel 1312l’imperatore Arrigo VII riconosceva for-malmente a Rambaldo VIII di Collaltola piena giurisdizione sulle contee diCollalto e di San Salvatore, alle qualifacevano capo rispettivamente i villaggidi Collalto, Falzé, Sernaglia, Barbisano,Refrontolo, e quelli di Susegana, Colfo-sco, Santa Lucia. Di fatto, neanche ildominio veneziano, affermatosi a partiredalla metà del secolo XIV, riuscì a scal-zare i conti dal loro ruolo egemone. ICollalto continuarono a mantenerenelle loro terre, infatti, uno statuto diautonomia che le distingueva da tutti

    gli altri territori del Trevigiano.Come già preannunciato, comun-

    que, anche altre importanti stirpi, conbuona probabilità der ivanti dalla

    frantumazione dinastica delcasato comitale, si dis-

    tr ibuirono

    lungo i bordi occidentali del Quartierdel Piave. E’ il caso della schiatta deiconti di Colfosco, testimoniata con cer-tezza soltanto in un documento del1120. Ma è soprattutto la famiglia daVidor a meritare una speciale attenzio-ne. Questo ceppo signorile, i cui primiesponenti vengono menzionati fin dal1073 tra i cavalieri di alto rango fedeliall’imperatore, costruirono attorno alcastello dal quale la famiglia derivava ilproprio nome una dominazione estesadal Piave al Soligo, che si avvaleva anchedi diversi porti plavensi, tra i quali quel-lo ubicato nella stessa Vidor. Il casatoespresse figure di notevole rilievo nellastoria di Treviso, come il vescovo Tiso,titolare dal 1209 al 1245 di un episco-pato controverso, poiché le autoritàecclesiastiche gli imputarono, pur senzarimuoverlo dalla carica, una presuntacedevolezza nei confronti del comune escarse capacità di amministrazione delvasto patr imonio della chiesa. Veromomento di svolta nella storia dellafamiglia fu la guerra degli anni 1240-1259, in occasione della quale i daVidor, costretti come molte altre fami-glie della nobiltà trevigiana a una nettascelta di campo, si schierarono a fiancodi Ezzelino da Romano contro Treviso,città nelle mani di Alberico, fratello eavversar io dello stesso Ezzelino. Alpotente signore della Marca i da Vidorcedettero allora alcune quote del lorocastello di famiglia con gli annessi dirittisul distretto castrense. Vidor divennecosì uno dei nodi della coordinazioneghibellina nel Veneto; tra le sue muratrovarono ospitalità illustri membri delpartito ezzeliniano provenienti anche daaree lontane, come i Paltanieri di Mon-selice. Ma la scelta operata dai da Vidorsi rivelò sfortunata: Ezzelino e il fratello,

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    L’ETÀ MEDIEVALE

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  • rappacificatisi, com’è noto furono scon-fitti, e la disfatta si tradusse per il casatovidorese in una inappellabile emargina-zione dai ruoli di primo piano nella vitapolitica trevigiana, mentre nel 1276 ilcomune cittadino entrava in possessodello stesso castello di Vidor facendoneil centro di un capitaniato. Stabilmenteintegrato entro la compagine “statale” diTreviso, il nostro castello ne seguì lecontroverse vicende discostandosenesolo per brevi periodi, fino alla precoceaffermazione del dominio veneziano sututto il territorio della sinistra-Piave nel1337.

    Lungo i margini opposti del Quar-tier del Piave, a partire dal primissimoXIII secolo, furono invece i da Camino,la più cospicua stirpe nobiliare insediatatra Piave e Livenza, a sviluppare un forte

    dominato fondiario e militare. Perno diquesta signoria fu il castello di Soligo(già appartenuto alla famiglia omonima)sulla sponda sinistra del fiume che attra-versava il villaggio. È interessante rileva-re come sulla sponda destra del medesi-mo corso d’acqua sorgesse un castelloparallelo e più antico, sottoposto a parti-re almeno dalla metà del X secolo all’al-ta sovranità del vescovo di Belluno, e daquesti ceduto nel 1215 al comune diTreviso attraverso la mediazione deiCaminesi. L’esito di questa duplicazionecastellana fu la spartizione precisa delterritorio di Pieve di Soligo in dueunità giurisdizionali, che toponomasti-camente vennero poi individuate comePieve del Trevisan e Pieve del Contà.

    Il castello caminese di Soligo eraparte in realtà di una dominazione vastae composita che aveva come suo asse laValmareno, la vallata cioè che dalla loca-lità di Serravalle si distende quasi fino alPiave. Tutta quest’area, di importanzastrategica in quanto metteva in comuni-cazione i porti medio-plavensi con ilvalico del Fadalto, fu sottoposta dallametà del secolo XII alla metà del XIValla dominazione dei da Camino, tantoche i alcune fonti duecentesche essaviene definita come “valle di messerGabriele da Camino”. Qui era il cuoredei possedimenti caminesi; qui la fami-glia controllava castelli, come quello diCison, oppure semplici residenze, comenella località di Mareno; qui risiedevanonumerosi i suoi vassalli, i suoi coloni, gliufficiali rurali. A testimonianza dellospeciale rapporto che legava le popola-zioni di questa vallata ai loro signorivogliamo ricordare un episodio verifica-tosi nel castello di Credazzo, pressoFarra di Soligo, castello che, sia dettoper inciso, nella sua essenzialità tipica

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    QUARTIER DEL PIAVE

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    Abbazia di Santa Bona in un catastico del 1705

  • delle fortificazioni duecentesche ispiraal visitatore attuale una particolare sug-gestione. A Credazzo nel 1243 - presu-mibilmente nel mastio, ancor oggi benconservato - venne alla luce Guecelloneda Camino; in quell’occasione la gentedella contrada, “si recò presso il castellocon letizia e trovò messer Guecellonenato”; alcune donne, inoltre, cum gaudioandarono a far visita alla madre del neo-nato, ed una di esse, di nome India, glifece da balia fin dal primo giorno.

    I Caminesi mantennero il controllodella Valmareno fino al 1349, quando,con la supervisione dei procuratori dellaRepubblica Veneta, Rizzardo da Cami-no la cedette a Marino Falier, il condot-tiero che sarebbe divenuto doge nel1354, per essere decapitato pochi mesidopo avendo cospirato contro la costi-tuzione repubblicana.A partire dal 1355la contea fu affidata ad un podestà vene-ziano, e, presumibilmente nel nonodecennio del Trecento, ad essa fu unitala gastaldia di Solighetto, fino a quelmomento rimasta in mano caminese.

    Individuati in tal modo i principalicasati signorili operanti nell’area (aiquali si aggiungano almeno i da ColSan Martino, possessori di un castello; ida Soligo, cui si è fuggevolmente fattocenno; i da Rover, cui si farà riferimen-to tra breve), segnaliamo ora un’altrapresenza destinata a incidere in manieradeterminante sulla storia del Quartierdel Piave nell’età medievale, ossia quelladei monasteri. Si tratta, come andiamo avedere, di una realtà strettamente con-nessa a quella signorile. Conformemen-te a un uso risalente ai secoli dell’altomedioevo, infatti, le famiglie più in vistaprocedevano spesso alla fondazione dienti monastici o al loro arricchimentoterriero, mosse sia da scrupoli espiatori,

    sia dalla possibilità di ricavare prestigio enel contempo fornire compattezza alproprio patrimonio fondiario sottraen-dolo all’asse ereditario a favore di unente del quale si manteneva comunquequalche forma di controllo. Furono pro-babilmente queste le ragioni che spinse-ro i da Vidor, nella figura di GiovanniGravone e del figlio Valfardo, a donare aimonaci di Pomposa un vasto appezza-mento, oltre alla chiesa di Santa Bona diVidor e ai diritti di attracco sul Piave.Nel 1202 il piccolo monastero (cheprobabilmente non contava più di tremonaci) era dotato di un chiostro, e pertutto il Duecento il suo patrimoniofondiario si accrebbe costantemente. Mail tenore morale dei monaci dovevalasciare alquanto a desiderare. Diversevisite ispettive dalla casa madre rilevaro-no la grave corruzione dell’abate Enri-chetto (1266-1308), e successivamenteil monastero venne sottoposto a com-menda, per finire ai primi del XV seco-lo, ormai distaccato dall’abbazia di Pom-posa, tra i numerosi enti religiosi appar-tenenti alla nobiltà ecclesiastica venezia-na.

    Il più importante degli enti monasti-ci dell’area fu tuttavia l’abbazia cister-cense di Santa Maria di Follina, la cuistoria si intreccia fin dalle origini conquella dei da Camino. Sorto alla metàdel XII secolo, il monastero follinatericevette nel 1170 dalla contessa Sofia diColfosco, moglie di Guecellone daCamino, una donazione che compren-deva la chiesa di Santa Margherita diSerravalle, la chiesa di Santa Giustina deRunchis (l’attuale Santa Giustina di Ser-ravalle), Santa Maria di Lago, San Pietrodi Mareno, San Sal