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RIVISTA INTERNAZIONALE DI COMUNIONE E LIBERAZIONE 5 3 EURO MAGGIO Poste Italiane Spa - Spedizione in A.P. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27.02.2004,n° 46) art. 1, comma 1, DCB Milano LITTERAE COMMUNIONIS RIVISTA INTERNAZIONALE DI COMUNIONE E LIBERAZIONE 2015 «Esiste un legame forte che già ci unisce, al di là di ogni divisione: è la testimonianza dei cristiani, vittime di persecuzioni e violenze solo a causa della fede che professano» (papa Francesco) UNA CHIESA DI MARTIRI 9 771128 933006 50005 www.tracce.it IN QUESTO NUMERO MAGGIO 2015 CHE COSA NUTRE L’UOMO? Un tema che urge ai cristiani perché «fa parte della vita». Viaggio tra le provocazioni della Santa Sede all’Expo. Dove l’arte incontra la carità «CERCANO LA FELICITÀ» Una storia (fra le migliaia) per capire di più cosa vivono le persone che sbarcano sulle nostre coste. E chi è disposto ad accoglierli SOTTOMARINO GENDER La filosofa del Diritto Laura Palazzani spiega i risvolti culturali e giuridici delle teorie che portano alla «rimozione della differenza» RIMINI 2015 UNA PRESENZA NELLO SGUARDO ESERCIZI DELLA FRATERNITÀ DI COMUNIONE E LIBERAZIONE 34 MAGGIO2015 SOCIETÀ SOTTOMARINO GENDER DI ALESSANDRA STOPPA Tra disegni di legge, libri per bambini e assenza di dibattito reale, viaggio tra le teorie che portano alla «rimozione della differenza». Parla la filosofa del Diritto LAURA PALAZZANI I l gender non entra nel diritto come «un veliero», ma come «un sottomarino». L’immagine è di Dale O’Laeary, giornalista ameri- cana presente alle Conferenze del Cairo (1994) e di Pechino (1995). I due dibattiti mondiali in cui, nasco- sta dalle istanze di riconoscimento dei diritti delle donne, l’agenda gen- der venne di fatto introdotta a livello internazionale: la parola compariva molte volte nei documenti prepara- tori, dove tutto era già proiettato al di là delle definizioni di uomo e donna. Ora, quella parola, si sente ripetere con sempre più disinvoltura anche in Italia, nella confusione di slogan, pro- getti di legge e libri introdotti nelle scuole. Di recente papa Francesco si è chiesto «se la cosiddetta teoria del gender non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegna- zione, che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa. Rischiamo di fare un passo indietro. La rimozione della differenza, infatti, è il problema, non la soluzione». Ha richiamato gli intellettuali a «non disertare questo tema, come se fosse diventato secondario per l’impegno a favore di una società più libera e più giusta». L’esortazione del Pontefice «è par- ticolarmente importante oggi. Riguar- da un tema entrato nel diritto e nella società in modo “nascosto”», dice Laura Palazzani, filosofa del Diritto ed esperta di bioetica: «Origini e con- seguenze di queste teorie sono molto dibattute nella letteratura anglosassone, ma lo sono state poco in Italia. Mentre esigono una presa di coscienza con- cettuale dei problemi emergenti e so- prattutto un’adeguata informazione ed educazione della società. Gli intel- lettuali ne sono responsabili». Professoressa, come nascono le teorie gender? La loro storia è molto recente. È pre- feribile non tradurre la parola gender con “genere”: in italiano indica la ca- tegoria grammaticale (maschile e fem- minile) o quella concettuale che indica gruppi di individui con caratteristiche simili (per esempio, il genere umano). Il significato di gender si coglie in contrapposizione a sex: sex indica la condizione biologica dell’essere maschio o femmina; gender indica la condizione psico-sociale, ovvero il modo in cui percepiamo la nostra identità sessuale e il nostro ruolo sociale. Le teorie gender si richiamano ad una frase di Simone De Beauvoir ne Il secondo sesso (1949): «Donna non si nasce, ma si diviene». Pur non essendo una teorica gender, l’autrice mette in luce la di- stinzione tra essere e divenire, tra nascere (ciò che proviene dalla natura) ed acquisire (ciò che proviene dal- l’esterno o dalla vo- lontà individuale). Ma chi ha usato per primo il termine gendercon questo si- gnificato? E perché? John Money, uno psi- co-sessuologo ame- ricano. Pur ricono- scendo che nasciamo secondo un sesso bio- logico, puntava l’at- tenzione sul nostro “divenire” gender: a suo parere, la nostra identità sessuale psi- cologica e sociale non deriverebbe in modo deterministico da come nasciamo, ma sarebbe il prodotto di un’educazione, precisamente da come veniamo cre- sciuti dai genitori nei primi diciotto mesi di vita. Il suo “esperimento” più noto è quello di due gemelli, nati geneticamente maschi: uno dei due (John), a causa di un errore medico, subisce una mutilazione sessuale. Mo- ney decide, insieme ai genitori, di modificare chirurgicamente il sesso del bambino in bambina (Joan), nella convinzione che il gender sia mallea- bile, sulla base di un’educazione che corrisponda alla modifica del corpo. Questa teoria è stata applicata da MAGGIO2015 35 » CHI È Laura Palazzani è ordinario di Filosofia del dirittoalla Facoltà di Giurisprudenza della Libera Università Maria SS. Assunta LUMSAdi Roma; vicepresidente del Comitato nazionale per la Bioetica, organo di consulenza presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri; componente dell’European Group of Ethics in Science and New Technologies alla Commissione europea. 10 MAGGIO2015 SONO I NOSTRI «Soffrono. Danno la vita. E noi riceviamo la benedizione di Dio per la loro testimonianza». Il Papa chiede al mondo di non voltare la testa davanti ai cristiani perseguitati. Volti e storie di una tragedia che non riguarda solo chi crede. E ci domanda tutto PRIMO PIANO DI DAVIDE PERILLO MARTIRI C’ è la mappa che abbiamo iniziato a conoscere da tempo: Mosul, Aleppo, i copti d’Egitto, le membra che il Califfato sta strap- pando al corpo bellissimo e antico del Medioriente. Ma c’è anche la Ni- geria devastata da Boko Haram. Il Kenya ferito dagli Shabaab somali. E il Centrafrica, il Pakistan, l’Orissa indiana, la Cina... Fino a quei profu- ghi buttati a mare dai compagni, di- sperati come loro, perché su quel barcone alla deriva tra l’Africa e l’Europa «si prega solo Allah». Ucci- si perché cristiani. Sempre più spes- so e sempre di più. La «Chiesa dei martiri» di cui sta parlando di continuo papa France- sco allarga ogni giorno i suoi confini. «Sono più numerosi dei primi seco- li», ricordava a Pasqua: «Loro soffro- no, danno la vita e noi riceviamo la benedizione di Dio per la loro testi- monianza». Fino a quella denuncia, forte, che interpella il mondo: «Au- spico che la Comunità Internaziona- le non assista muta e inerte di fronte a tale inaccettabile crimine, che co- stituisce una preoccupante deriva dei diritti umani più elementari». ETNIA«SUI GENERIS». In questa «terza guerra mondiale a pezzi», dove l’odio all’umano in quanto tale, all’altro perché è altro, si traduce così spesso in violenza contro le minoranze e la libertà religiosa, la persecuzione dei nostri fratelli cristiani è sempre più dura. Che cosa ci dice questo fatto? E che cosa ci chiede? In questo “Primo Piano” leggerete alcune testimonianze di cristiani per- seguitati. Colpiscono per la sofferenza, il dolore atroce che devono attraver- sare. Ma anche - e soprattutto - per la loro serenità. Non trovate quasi mai un desiderio di vendetta. Di essere difesi, sì. Di tornare nelle case da cui devono fuggire, di recupe- » MAGGIO2015 11 30 MARZO2015 IMMIGRAZIONE «CERCANO LA FELICITÀ» MAGGIO2015 31 I l quarantacinque gli sta stretto, dice. Ma la pelle delle polacchine che ha pescato dal sacco di vestiti usati ormai, per l’usura, si è smol- lata, e ci si può adattare. A Bor- mio, alta Valtellina, fa ancora freddo a fine aprile. Lui si chiama Moussa Fai, ha 34 anni e viene dal Gambia, strisciolina di terra incastonata nel Senegal, con un piccolo sbocco sul- l’Atlantico. Qui in montagna ci è arrivato il 19 aprile. Il giorno dopo i novecento morti del barcone di migranti che è affondato nel Medi- terraneo. Sarebbe potuto essere uno di loro, Moussa: «Sono arrivato in Sicilia il 13 aprile, salvato in mare». È anche lui uno tra le migliaia di uomini, donne e bambini che per «tornare a vivere», dirà, scappano da fame, guerre e persecuzioni im- barcandosi sulle coste libiche. «Uo- mini come noi, cercano la felicità», ha detto papa Francesco, invitando a guardare questa gente, a conoscerne i drammi, le speranze. I desideri. Un gradino che occorre salire, per scavalcare le polemiche e le tante opinioni su quello che da mesi accade nel “nostro mare”. Tra le migliaia di volti che affollano le cronache, ne abbiamo scelti due. Senza la pretesa di dire tutto, ma col desiderio di capire di più. Quello di Moussa, appunto, e quello di Carlo Montini, settantenne, alber- gatore, che ha risposto all’appello ad ospitare questa gente. Oggi le loro storie si incrociano tra la hall, le camere e la sala da pranzo dell’hotel Stella, lungo la centralissima via Roma di Bormio. «Erano in cinque all’inizio, ma uno, bengalese, se ne è andato», spiega Carlo. Così ora, nell’albergo deserto per la bassa stagione, ci sono anche Bahara Ali e Farouk, musul- mani del Bangladesh, con Al Kali, 27 anni, il più giovane, anche lui del Gambia e cristiano come Moussa. «L’hotel è vuoto, ci sono dei costi. Perché non farlo?», si chiede Montini. Ma 35 euro al giorno per immigrato sono ben poca cosa per dire che si tratta di business, e si capisce che sotto c’è altro. «Sono bravi ragazzi, hanno bisogno di tutto. Hanno sogni, desideri. Io sono di Sesto San Gio- vanni, hinterland milanese, e negli anni Cinquanta ho visto arrivare i migranti dal Sud per lavorare nelle fabbriche. C’era chi accoglieva e chi emarginava. Anche allora». Ci ha messo poco, dice, a rispondere «va bene» alla richiesta della Prefettura. LA FUGA. «Ero povero. E non avevo da mangiare. Facevo il barbiere», rac- conta Moussa. Di famiglia musul- mana, si è convertito al cristianesimo nel 2004. Si dice cattolico, anche se allora frequentava i protestanti: «Mi piaceva come trattavano tutto, dal lavoro alle donne. Più umani. Ed erano più felici». Aveva un negozio vicino al porto: «Sono stato costretto a chiudere per le tasse alte». La dittatura nel Paese, la mancanza di libertà, la povertà. Con il padre ucciso per essersi opposto all’infibulazione delle figlie: «Andarmene era anche un aiuto per mia madre, sola con dieci figli. E avevo paura che potessero uccidere anche me. Di notte sognavo quelli del Governo che mi prendevano. In- somma, volevo solo vivere». » DI PAOLO PEREGO Una storia (fra le migliaia) per capire di più cosa vivono le persone che sbarcano sulle nostre coste. Moussa viene dal Gambia e ora vive con Carlo, che ha aperto agli immigrati il suo hotel di Bormio. «Chiedo solo di poter essere un uomo» CHE COSA NUTRE CHIESA Il Padiglione della Santa Sede all’Expo. N el famoso monastero benedettino svizzero di Ein- siedeln, l’atmosfera della clausura è particolarmen- te lieta e rilassata: i corridoi sono ampi e luminosi; gli stucchi rosa e dorati della chiesa sono allegri come nel miglior barocco alpino; cantare in grego- riano fra gli antichi stalli lignei del coro riempie il cuore e la mente. E all’ora del caffè, in cucina, le risate fra i monaci si sprecano. Anche il refettorio non ha nulla di cupo, e non pesa mantenere il silenzio mentre si pranza o si cena ascol- tando una lettura sacra. Prima di iniziare il pasto, però, ogni monaco prende da un armadio un grande astuccio con le posate e il proprio nome inciso sopra: l’astuccio ha la forma di una bara nera. E, seppur senza nome, c’è un astuccio anche per l’eventuale ospite. Mangiare avendo sempre presente, davanti agli occhi, il proprio destino. Ci vuole grande libertà per non farsi andare di traverso ogni boccone. La libertà propria di una grande tradizione spirituale dove vita e morte, cibo e digiuno, piacere di stare a tavola e dolore per il male del mondo sono elementi inscindibili di una medesima esperienza. Il cibo e la tavola, intesa come luogo della convivialità, implicano sempre la necessità di un’apertura agli altri. Fanno parte della vita, e per questo non possono non interessare alla Chiesa. Perché ai cristiani, in quanto figli di un Dio incarnato, «interessano tutte le manifestazioni dell’umano»: così l’arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, motiva le ragioni per le quali la Chiesa ha deciso di partecipare a Expo 2015, aderendo in qualche modo agli intenti espressi dal tema “Nutrire il Pianeta, Energia per la vita”. Tema bello e impegnativo, forse troppo. Tanto che c’è chi teme che, passati i sei mesi di celebrazioni e magari di baldorie, resti solo un bello slogan, confinato alle di- chiarazioni dei politici, ai manifesti delle ong e ai tanti nobili convegni, infine tramandato all’Onu da una “Carta di Milano” che non si sa quanto possa incidere sulle sorti dei popoli e le decisioni dei Governi, sul miliardo di esseri umani che vanno a letto affamati e sui due miliardi che si alzano in sovrappeso. OPULENZA O SOSTANZA. Intendiamoci: c’è davvero da sperare che l’Esposizione universale milanese si traduca in un mo- mento di azione e di riflessione. Ma, dalle prime battute, qualche dubbio poteva sorgere, vedendo parte del grande pubblico percorrere il milione di metriquadri di Expo come se fosse in un Paese della Cuccagna (un altro luogo che ha un albero come simbolo...), correre dietro all’ultimo cuoco stellato o ai protagonisti di MasterChef, spalancare la bocca davanti ai 58 padiglioni spesso disegnati da architetti già famosi o in procinto di diventarlo, inseguire per la città gli eventi goduriosi e gli show cooking del “fuori salone”. Di fronte a tanta ostentazione di opulenza gastronomica e architettonica, il Padiglione della Santa Sede, tra i più piccoli dell’Expo 2015 (15 metri per 25, per un totale di 375 metri quadri), appare essenziale per forma e sostanza, ovvero per come si mostra e per ciò a cui rimanda. Ha un duplice titolo (“Non di solo pane” e “Dacci oggi il nostro pane”) ri- portato sulle pareti esterne con leggere scritte in acciaio, tradotte in 13 lingue. Sono, come spiega il cardinale MAGGIO2015 71 » DI ROBERTO COPELLO Un tema che urge ai cristiani perché «fa parte della vita». Il timore che dopo le celebrazioni restino solo degli slogan. E la preoccupazione più grave: la «cultura dello scarto». Viaggio tra le provocazioni della Santa Sede all’Esposizione universale. Dove l’arte incontra la carità L’UOMO? SONO I NOSTRI MARTIRI Il Papa chiede al mondo di non voltare la testa davanti ai cristiani perseguitati. Voci e storie di una tragedia che non riguarda solo chi crede # giornatatracce # free2pray

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  • RIVISTA INTERNAZIONALE DI COMUNIONE E LIBERAZIONE53 EURO MAGGIO

    Poste Italiane Spa - Spedizione in A.P. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27.02.2004,n° 46) art. 1, comma 1, DCB Milano

    L I T T E R A E C O M M U N I O N I S

    R I V I S T A I N T E R N A Z I O N A L E D I C O M U N I O N E E L I B E R A Z I O N E

    2015

    «Esiste un legame forte che già ci unisce, al di là di ogni divisione: è la testimonianza dei cristiani, vittime di persecuzioni e violenze

    solo a causa della fede che professano» (papa Francesco)

    UNA CHIESADI MARTIRI

    9771128

    933006

    50005

    www.tracce.it

    IN QUESTO NUMERO

    MAGGIO 2015

    CHE COSA NUTRE L’UOMO?Un tema che urge ai cristiani perché «fa partedella vita». Viaggio tra le provocazioni dellaSanta Sede all’Expo. Dove l’arte incontra la carità

    «CERCANO LA FELICITÀ»Una storia (fra le migliaia) per capire di piùcosa vivono le persone che sbarcano sullenostre coste. E chi è disposto ad accoglierli

    SOTTOMARINO GENDER La filosofa del Diritto Laura Palazzani spiega irisvolti culturali e giuridici delle teorie cheportano alla «rimozione della differenza»

    RIMINI 2015

    UNA PRESENZANELLO SGUARDO

    ESERCIZI DELLA FRATERNITÀ DI COMUNIONE E LIBERAZIONE

    34 MAGGIO2015

    SOCIETÀ

    SOTTOMARINO

    GENDERDI ALESSANDRA STOPPA

    Tra disegni di legge, libri per

    bambini e assenza di dibattito

    reale, viaggio tra le teorie che

    portano alla «rimozione della

    differenza». Parla la filosofa

    del Diritto LAURA PALAZZANI

    Il gender non entra nel d

    iritto

    come «un veliero», ma come «un

    sottomarino». L’immagine è di

    Dale O’Laeary, giornalista ameri-

    cana presente alle Conferenze del

    Cairo (1994) e di Pechino (1995). I

    due dibattiti mondiali in cui, nasco-

    sta dalle istanze di riconoscimento

    dei diritti delle donne, l’agenda gen-

    der venne di fatto introdotta a livello

    internazionale: la parola compariva

    molte volte nei documenti prepara-

    tori, dove tutto era già proiettato al di

    là delle definizioni di uomo e donna.

    Ora, quella parola, si sente ripetere

    con sempre più disinvoltura anche in

    Italia, nella confusione di slogan, pro-

    getti di legge e libri introdotti nelle

    scuole. Di recente papa Francesco si è

    chiesto «se la cosiddetta teoria del

    gender non sia anche espressione di

    una frustrazione e di una rassegna-

    zione, che mira a cancellare la differenza

    sessuale perché non sa più confrontarsi

    con essa. Rischiamo di fare un passo

    indietro. La rimozione della differenza,

    infatti, è il problema, non la soluzione».

    Ha richiamato gli intellettuali a «non

    disertare questo tema, come se fosse

    diventato secondario per l’impegno

    a favore di una società più libera e

    più giusta».

    L’esortazione del Pontefice «è par-

    ticolarmente importante oggi. Riguar-

    da un tema entrato nel diritto e nella

    società in modo “nascosto”», dice

    Laura Palazzani, filosofa del Diritto

    ed esperta di bioetica: «Origini e con-

    seguenze di queste teorie sono molto

    dibattute nella letteratura anglosassone,

    ma lo sono state poco in Italia. Mentre

    esigono una presa di coscienza con-

    cettuale dei problemi emergenti e so-

    prattutto un’adeguata informazione

    ed educazione della società. Gli intel-

    lettuali ne sono responsabili».

    Professoressa, come nascono le teorie

    gender? La loro storia è molto recen

    te. È pre-

    feribile non tradurre la parola gender

    con “genere”: in italiano indica la ca-

    tegoria grammaticale (maschile e fem-

    minile) o quella concettuale che indica

    gruppi di individui con caratteristiche

    simili (per esempio, il genere umano).

    Il significato di gender si coglie in

    contrapposizione a sex: sexindica la

    condizione biologica dell’essere maschio

    o femmina; gender indica la condizione

    psico-sociale, ovvero il modo in cui

    percepiamo la nostra identità sessuale

    e il nostro ruolo sociale. Le teorie

    gender si richiamano ad una frase di

    Simone De Beauvoir ne Il secondo sesso

    (1949): «Donna non si nasce, ma si

    diviene». Pur non essendo una teorica

    gender, l’autrice mette in luce la di-

    stinzione tra essere e

    divenire, tra nascere

    (ciò che proviene dalla

    natura) ed acquisire

    (ciò che proviene dal-

    l’esterno o dalla vo-

    lontà individuale).

    Ma chi ha usato per

    primo il termine

    gender con questo si-

    gnificato? E perché?

    John Money, uno psi-

    co-sessuologo ame-

    ricano. Pur ricono-

    scendo che nasciamo

    secondo un sesso bio-

    logico, puntava l’at-

    tenzione sul nostro

    “divenire” gender: a

    suo parere, la nostra

    identità sessuale psi-

    cologica e sociale non

    deriverebbe in modo

    deterministico da

    come nasciamo, ma

    sarebbe il prodotto

    di un’educazione,

    precisamente da

    come veniamo cre-

    sciuti dai genitori nei primi diciotto

    mesi di vita. Il suo “esperimento”

    più noto è quello di due gemelli, nati

    geneticamente maschi: uno dei due

    (John), a causa di un errore medico,

    subisce una mutilazione sessuale. Mo-

    ney decide, insieme ai genitori, di

    modificare chirurgicamente il sesso

    del bambino in bambina (Joan), nella

    convinzione che il gender sia mallea-

    bile, sulla base di un’educazione che

    corrisponda alla modifica del corpo.

    Questa teoria è stata applicata da

    MAGGIO 201535

    »

    CHI È

    Laura Palazzani

    è ordinario di Filosofia

    del diritto alla Facoltà

    di Giurisprudenza

    della Libera Università

    Maria SS. Assunta

    LUMSA di Roma;

    vicepresidente del

    Comitato nazionale

    per la Bioetica,

    organo di consulenza

    presso la Presidenza

    del Consiglio dei

    Ministri; componente

    dell’European Group

    of Ethics in Science

    and New

    Technologies

    alla Commissione

    europea.

    10 MAGGIO2015

    SONO I NOSTRI«Soffrono. Danno la vita. E noi r

    iceviamo la benedizione di Dio

    per la loro testimonianza». Il Papa chiede al mondo di non volta

    re

    la testa davanti ai cristiani perseguitati. Volti e storie di una

    tragedia che non riguarda solo chi crede. E ci domanda tutto

    PRIMO PIANO

    DI DAVIDE PERILLO

    MARTIRI

    C’è la mappa che abbiamo

    iniziato a conoscere da

    tempo: Mosul, Aleppo, i

    copti d’Egitto, le membra

    che il Califfato sta strap-

    pando al corpo bellissimo e antico

    del Medioriente. Ma c’è anche la Ni-

    geria devastata da Boko Haram. Il

    Kenya ferito dagli Shabaab somali. E

    il Centrafrica, il Pakistan, l’Orissa

    indiana, la Cina... Fino a quei profu-

    ghi buttati a mare dai compagni, di-

    sperati come loro, perché su quel

    barcone alla deriva tra l’Africa e

    l’Europa «si prega solo Allah». Ucci-

    si perché cristiani. Sempre più spes-

    so e sempre di più.

    La «Chiesa dei martiri» di cui sta

    parlando di continuo papa France-

    sco allarga ogni giorno i suoi confini.

    «Sono più numerosi dei primi seco-

    li», ricordava a Pasqua: «Loro soffro-

    no, danno la vita e noi riceviamo la

    benedizione di Dio per la loro testi-

    monianza». Fino a quella denuncia,

    forte, che interpella il mondo: «Au-

    spico che la Comunità Internaziona-

    le non assista muta e inerte di fronte

    a tale inaccettabile crimine, che co-

    stituisce una preoccupante deriva

    dei diritti umani più elementari».

    ETNIA «SUI GENERIS». In questa «terza

    guerra mondiale a pezzi», dove l’odio

    all’umano in quanto tale, all’altro

    perché è altro, si traduce così spesso

    in violenza contro le minoranze e la

    libertà religiosa, la persecuzione dei

    nostri fratelli cristiani è sempre più

    dura. Che cosa ci dice questo fatto?

    E che cosa ci chiede?

    In questo “Primo Piano” leggerete

    alcune testimonianze di cristiani per-

    seguitati. Colpiscono per la sofferenza,

    il dolore atroce che devono attraver-

    sare. Ma anche - e soprattutto - per

    la loro serenità. Non trovate quasi

    mai un desiderio di vendetta. Di

    essere difesi, sì. Di tornare nelle case

    da cui devono fuggire, di recupe- »

    MAGGIO 201511

    30 MARZO 2015

    IMMIGRAZIONE

    «CERCANO LA

    FELICITÀ»

    MAGGIO 2015 31

    Il quarantacinque gli sta stretto,dice. Ma la pelle delle polacchineche ha pescato dal sacco di vestitiusati ormai, per l’usura, si è smol-lata, e ci si può adattare. A Bor-mio, alta Valtellina, fa ancora freddoa fine aprile. Lui si chiama MoussaFai, ha 34 anni e viene dal Gambia,strisciolina di terra incastonata nelSenegal, con un piccolo sbocco sul-l’Atlantico. Qui in montagna ci èarrivato il 19 aprile. Il giorno dopoi novecento morti del barcone dimigranti che è affondato nel Medi-terraneo. Sarebbe potuto essere unodi loro, Moussa: «Sono arrivato inSicilia il 13 aprile, salvato in mare». È anche lui uno tra le migliaia diuomini, donne e bambini che per«tornare a vivere», dirà, scappanoda fame, guerre e persecuzioni im-barcandosi sulle coste libiche. «Uo-mini come noi, cercano la felicità»,ha detto papa Francesco, invitandoa guardare questa gente, a conoscernei drammi, le speranze. I desideri.Un gradino che occorre salire, perscavalcare le polemiche e le tanteopinioni su quello che da mesi accadenel “nostro mare”.

    Tra le migliaia di volti che affollanole cronache, ne abbiamo scelti due.Senza la pretesa di dire tutto, macol desiderio di capire di più. Quellodi Moussa, appunto, e quello diCarlo Montini, settantenne, alber-gatore, che ha risposto all’appelload ospitare questa gente. Oggi le loro storie si incrocianotra la hall, le camere e la sala dapranzo dell’hotel Stella, lungo lacentralissima via Roma di Bormio. «Erano in cinque all’inizio, ma

    uno, bengalese, se ne è andato»,spiega Carlo. Così ora, nell’albergodeserto per la bassa stagione, ci sonoanche Bahara Ali e Farouk, musul-mani del Bangladesh, con Al Kali,27 anni, il più giovane, anche luidel Gambia e cristiano come Moussa. «L’hotel è vuoto, ci sono dei costi.Perché non farlo?», si chiede Montini.Ma 35 euro al giorno per immigratosono ben poca cosa per dire che sitratta di business, e si capisce chesotto c’è altro. «Sono bravi ragazzi,hanno bisogno di tutto. Hanno sogni,desideri. Io sono di Sesto San Gio-vanni, hinterland milanese, e neglianni Cinquanta ho visto arrivare imigranti dal Sud per lavorare nellefabbriche. C’era chi accoglieva e chiemarginava. Anche allora». Ci hamesso poco, dice, a rispondere «vabene» alla richiesta della Prefettura.

    LA FUGA. «Ero povero. E non avevoda mangiare. Facevo il barbiere», rac-conta Moussa. Di famiglia musul-mana, si è convertito al cristianesimonel 2004. Si dice cattolico, anche seallora frequentava i protestanti: «Mipiaceva come trattavano tutto, dallavoro alle donne. Più umani. Ederano più felici». Aveva un negoziovicino al porto: «Sono stato costrettoa chiudere per le tasse alte». La dittaturanel Paese, la mancanza di libertà, lapovertà. Con il padre ucciso per essersiopposto all’infibulazione delle figlie:«Andarmene era anche un aiuto permia madre, sola con dieci figli. Eavevo paura che potessero uccidereanche me. Di notte sognavo quellidel Governo che mi prendevano. In-somma, volevo solo vivere».

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    DI PAOLO PEREGO

    Una storia (fra le migliaia) per capire di più cosa vivono lepersone che sbarcano sulle nostre coste. Moussa viene dal Gambia e ora vive con Carlo, che ha aperto agli immigrati il suo hotel di Bormio. «Chiedo solo di poter essere un uomo»

    CHE COSA NUTRE

    CHIESA

    Il Padiglione della Santa Sede all’Expo.

    Nel famoso monastero benedettino svizzero di Ein-siedeln, l’atmosfera della clausura è particolarmen-te lieta e rilassata: i corridoi sono ampi e luminosi;gli stucchi rosa e dorati della chiesa sono allegricome nel miglior barocco alpino; cantare in grego-riano fra gli antichi stalli lignei del coro riempie il cuore e lamente. E all’ora del caffè, in cucina, le risate fra i monaci sisprecano. Anche il refettorio non ha nulla di cupo, e nonpesa mantenere il silenzio mentre si pranza o si cena ascol-tando una lettura sacra. Prima di iniziare il pasto, però, ognimonaco prende da un armadio un grande astuccio con leposate e il proprio nome inciso sopra: l’astuccio ha la formadi una bara nera. E, seppur senzanome, c’è un astuccio anche perl’eventuale ospite.

    Mangiare avendo sempre presente,davanti agli occhi, il proprio destino.Ci vuole grande libertà per non farsi andare di traverso ogniboccone. La libertà propria di una grande tradizione spiritualedove vita e morte, cibo e digiuno, piacere di stare a tavola edolore per il male del mondo sono elementi inscindibili diuna medesima esperienza. Il cibo e la tavola, intesa comeluogo della convivialità, implicano sempre la necessità diun’apertura agli altri. Fanno parte della vita, e per questonon possono non interessare alla Chiesa. Perché ai cristiani,in quanto figli di un Dio incarnato, «interessano tutte lemanifestazioni dell’umano»: così l’arcivescovo di Milano, ilcardinale Angelo Scola, motiva le ragioni per le quali laChiesa ha deciso di partecipare a Expo 2015, aderendo inqualche modo agli intenti espressi dal tema “Nutrire ilPianeta, Energia per la vita”.

    Tema bello e impegnativo, forse troppo. Tanto che c’èchi teme che, passati i sei mesi di celebrazioni e magaridi baldorie, resti solo un bello slogan, confinato alle di-chiarazioni dei politici, ai manifesti delle ong e ai tantinobili convegni, infine tramandato all’Onu da una “Cartadi Milano” che non si sa quanto possa incidere sullesorti dei popoli e le decisioni dei Governi, sul miliardo diesseri umani che vanno a letto affamati e sui due miliardiche si alzano in sovrappeso.

    OPULENZA O SOSTANZA. Intendiamoci: c’è davvero da sperareche l’Esposizione universale milanese si traduca in un mo-mento di azione e di riflessione. Ma,dalle prime battute, qualche dubbiopoteva sorgere, vedendo parte delgrande pubblico percorrere il milionedi metriquadri di Expo come se fossein un Paese della Cuccagna (un altro luogo che ha un alberocome simbolo...), correre dietro all’ultimo cuoco stellato oai protagonisti di MasterChef, spalancare la bocca davanti ai58 padiglioni spesso disegnati da architetti già famosi o inprocinto di diventarlo, inseguire per la città gli eventigoduriosi e gli show cooking del “fuori salone”. Di fronte a tanta ostentazione di opulenza gastronomicae architettonica, il Padiglione della Santa Sede, tra i piùpiccoli dell’Expo 2015 (15 metri per 25, per un totale di 375metri quadri), appare essenziale per forma e sostanza, ovveroper come si mostra e per ciò a cui rimanda. Ha un duplicetitolo (“Non di solo pane” e “Dacci oggi il nostro pane”) ri-portato sulle pareti esterne con leggere scritte in acciaio,tradotte in 13 lingue. Sono, come spiega il cardinale

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    DI ROBERTO COPELLO

    Un tema che urge ai cristiani perché «fa parte della vita». Il timore che dopo le celebrazionirestino solo degli slogan. E la preoccupazione più grave: la «cultura dello scarto». Viaggio tra le provocazioni della Santa Sede all’Esposizione universale. Dove l’arte incontra la carità

    L’UOMO?

    SONO I NOSTRI MARTIRIIl Papa chiede al mondo di non voltare la testadavanti ai cristiani perseguitati. Voci e storie di una tragedia che non riguarda solo chi crede

    #giornatatracce #free2pray