MATEMATICA. 100.1 EUCLIDE GIORNALE DEI GIOVANI... · 3) poter prolungare con ... pro lemi geometrii...

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MATEMATICA

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EUCLIDE Che cosa sappiamo realmente di Euclide? Non molto se osserviamo le fonti.

Fatto certo è che ha abbia lavorato ad Alessandria d’Egitto come insegnante

presso la biblioteca “il museo”, fondata da Tolomeo I. Di Euclide non sappiamo

bene da dove venga né in quale epoca, però, poiché ha lavorato durante il re-

gno di Tolomeo, possiamo dedurre che l’attività di Euclide ebbe inizio intorno al

305 a.C., periodo in cui Tolomeo diede inizio ad una grande vita culturale e poli-

tica all’interno del suo regno. Riguardo alla provenienza si suppone che fosse

giunto ad Alessandria provenendo da Atene, ma non abbiamo fonti scritte né

informazioni di altro genere.

Chi era Euclide? Euclide è stato uno dei matematici più famosi della storia, la

sua maggiore opera, “Gli Elementi”, ha costituito non solo il testo di matemati-

ca più studiato per oltre due millenni, ma in assoluto uno dei principali best

seller della storia: sembra che per numero di edizioni sia stato superato solo

dalla Bibbia. L’opera, composta da 13 libri, raccoglie i 5 postulati di Euclide della

geometria. In questi postulati si afferma di:

1) poter tracciare una retta da un qualsiasi punto a un qualsiasi altro punto;

2) poter descrivere un cerchio con qualsiasi centro e raggio;

3)poter prolungare con continuità ogni segmento di una retta;

4)che tutti gli angoli retti siano uguali tra loro;

5) che se due rette tagliate da una trasversale formano con essa, da una stessa

parte, angoli la cui somma è minore di due retti, allora le due rette si incontra-

no da quella parte. (cioè se la somma α+β è minore di un angolo piatto allora le

due rette r e r’ si incontrano a destra della trasversale).

Mentre il metodo dimostrativo di Euclide e la sua scelta dei postulati ha conti-

nuato a trasmettersi, anche se con diverse modifiche, attraverso la didattica

dell’età moderna, un’altra caratteristica, altrettanto essenziale, del suo metodo

è stata quasi sempre dimenticata. Chi ha studiato geometria a scuola è abituato

a “teoremi”, che vengono esposti in tre passi: a) un enunciato, in cui si afferma

che determinate ipotesi su figure geometriche implicano alcune loro proprietà;

b) la dimostrazione, con la quale l’enunciato viene dedotto dai postulati e da al-

tri teoremi già dimostrati; c) la formula finale “come si doveva dimostrare” (o

qualcuna delle sue varianti). Se si legge il testo degli Elementi, si scopre che so-

lo una parte delle proposizioni di Euclide segue lo schema precedente: sono

quelle che Pappo e Proclo chiamano teoremi; altre proposizioni, altrettanto

importanti, costituiscono quelli che questi autori chiamano problemi. Non si

tratta affatto di problemi nel nostro senso della parola, ma di esposizioni che

seguono questo diverso schema: a) un enunciato, in cui si chiede di costruire fi-

gure con determinate proprietà; b) la costruzione, in cui si spiega come ottene-

re tali figure con una successione di passi la cui realizzabilità è garantita dai po-

stulati e da proposizioni già dimostrate; c) la dimostrazione, basata sui postulati

e le proposizioni precedenti, che le figure costruite seguendo la procedura ap-

pena esposta verificano le proprietà richieste dall’enunciato. d) una diversa

formula finale, che non ci è più familiare: “come si doveva fare”.

La scarsità di dettagli non si ferma solo alla vita di Euclide, ma si espande anche

agli aneddoti, che, fortunatamente, non sono del tutto assenti. Due aneddoti

principali sono riportati nei libri:

1) il primo racconta di uno studente il quale, avendo iniziato a studiare geome-

tria, chiese al maestro – Cosa ci guadagno io a studiare queste cose? Si raccon-

ta che Euclide allora chiamò un suo servo e gli disse – Porta al ragazzo mezza

dracma poiché deve guadagnare da ciò che impara.

2) nel secondo si racconta del re Tolomeo I che gli chiese – Esiste in geometria

una strada più breve degli Elementi?! Si narra che Euclide disse – Non esiste via

regia alla geometria.

L'opera: gli Elementi.

L’opera fu composta ad Alessandria, intorno al 300 a.C. Lo straordinario merito

del suo autore è messo in luce da due fatti di capitale importanza. In primo luo-

go va ricordato che i primi tentativi degni di nota di dare un’analoga sistema-

zione all’aritmetica furono compiuti solo alla fine dell’Ottocento. In secondo

luogo si tenga presente che gli Elementi di Euclide furono la principale opera di

riferimento per la geometria fino al IX secolo. Nella sua opera Euclide riassume

e sistema ordinatamente le conoscenze geometriche accumulate dagli scienzia-

ti greci fino a quel momento. È importante notare che, benché gran parte dei

contenuti degli Elementi non siano frutto del pensiero di Euclide, quest'opera

fu tra le più influenti per lo sviluppo del pensiero e della cultura occidentale.

La caratteristica di quest'opera è il metodo di esposizione, che parte da

alcune conoscenze semplici, ritenute vere e intuitivamente evidenti (chiamate

postulati), per ricavare da queste una serie di altre conoscenze meno evidenti

ma altrettanto vere (chiamate proposizioni). Questo trattato, in tredici libri,

abbraccia vari argomenti della matematica pura. Esso, tra l’altro, contiene la

prima sistemazione assiomatica che sia mai stata data ad una branca della ma-

tematica (la geometria).

Euclide rivolge la sua attenzione agli enti geometrici come oggetti che

possono essere costruiti, con riga e compasso.

I contenuti dell’opera:

Il Libro I si apre con l’introduzione dei fondamenti della geometria euclidea:

le Definizioni, 23 in tutto, presentano gli enti geometrici elementari

i Postulati, che sono 5, contenenti le proprietà fondamentali del punto,

delle rette e del cerchio.

le Nozioni comuni, 8 enunciati, che esprimono principi elementari sul

confronto tra le aree di figure.

La rimanente parte del Libro I è un elenco di proposizioni, ciascuna accompa-

gnata dalla sua dimostrazione, è da notare che Euclide utilizza il termine “pro-

posizione” non soltanto nella moderna accezione di “teorema”. La Proposizione

1, ad esempio, così recita:

“Su una retta terminata data costruire un triangolo equilatero”,

e, analogamente, la Proposizione 46:

“Descrivere un quadrato su una retta data.”

Per Euclide “retta” o “retta terminata” significa “segmento”. In questi due e-

sempi, il testo si presenta dunque come l’enunciato di un problema di costru-

zione. La “dimostrazione” è, in questo caso, la descrizione del procedimento ri-

solutivo. In realtà, anche quando Euclide dimostra una proposizione che si pre-

senta sotto forma di un asserto vero e proprio, egli effettua una costruzione:

aggiungendo, agli oggetti dati in partenza, opportuni punti e linee, egli realizza

un disegno a cui può efficacemente applicare i postulati o le proposizioni stabi-

lite in precedenza. La costruzione è, per Euclide, unicamente quella effettuabile

col solo ausilio di una riga (non graduata) e/o di un compasso. Non a caso que-

sti sono spesso chiamati strumenti euclidei.

Le proposizioni del Libro I riguardano le prime proprietà e le costruzioni ele-

mentari relative a rette perpendicolari e parallele, ad angoli fra rette, a lati ed

angoli di triangoli e parallelogrammi.

La Proposizione 47 è il Teorema di Pitagora, la Proposizione 48 è il suo inverso.

Gli altri libri:

Il Libro II contiene 14 proposizioni sulle aree dei rettangoli.

Il Libro III (37 proposizioni) riguarda il cerchio.

Il Libro IV (16 proposizioni) mostra come costruire poligoni regolari, che Euclide

chiama “equilateri e equiangoli”, e precisamente:

- il triangolo (Proposizione 2);

- il quadrato (Proposizione 6);

- il pentagono (Proposizione 11);

- l’esagono (Proposizione 15);

- il pentadecagono, cioè un poligono regolare avente 15 lati (Proposizione

16).

Il Libro V (25 proposizioni) è ancora a contenuto geometrico, ma è di ispirazio-

ne aritmetica: vi viene esposta la teoria delle proporzioni tra grandezze, che

verrà ulteriormente sviluppata nel Libro VIII (27 proposizioni) e nel Libro IX.

Il Libro VII (39 proposizioni) riguarda le proprietà di divisibilità fra numeri interi.

Il Libro X è il più lungo e complesso dell’opera. Consta di ben 115 proposizioni

sulla commensurabilità ed incommensurabilità di numeri e grandezze geome-

triche: secondo la definizione riportata da Euclide, due quantità sono dette

commensurabili se il loro rapporto è un numero razionale.

Il Libro XI la geometria solida Introduce, infatti, lo studio della geometria solida

elementare: relazioni tra piani e rette nello spazio, angoli solidi, prismi.

Il Libro XII la misura delle figure solide si occupa dei rapporti tra cerchi, pirami-

di, coni, cilindri e sfere.

Il Libro XIII i solidi regolari tratta in modo particolare come inscrivere i cinque

poliedri regolari in una sfera e come valutare il rapporto tra gli spigoli di tali po-

liedri e il diametro della sfera che li contiene.

ALTRE OPERE

Porismi

Termine usato dai matematici greci, probabilmente quale sinonimo di corol-

lario. Porismi è il titolo di un'opera di Euclide andata perduta, la quale, però,

sembra trattare dei cosiddetti teoremi incompleti, cioè dei teoremi nei quali si

dimostra l'esistenza di determinati enti senza indicarne il metodo di costruzio-

ne. È pertanto possibile che il termine porisma indicasse anche un tale teorema

incompleto.

Dati

Ci è pervenuta sia nella sua versione greca originale sia in una traduzione ara-

ba. Sembra che tale opera sia stata composta per essere usata al Museo di A-

lessandria come volume sussidiario ai primi sei libri degli Elementi. Doveva ser-

vire come guida all'analisi di problemi di geometria al fine di scoprire le dimo-

strazioni. Si apre con quindici definizioni contenenti grandezze e luoghi. Il testo

comprende novantacinque proposizioni riguardanti le implicazioni di condizioni

e grandezze che possono essere date in un problema. I Data sono la prima in

ordine tra le opere propedeutiche all’acquisizione di abilità atte a risolvere

problemi geometrici con la tecnica dell’analisi. Pappo ne parla nella sua presen-

tazione del corpus analitico all’inizio del libro VII della Collectio.

Divisione delle figure

Il testo originale greco è andato perduto, ma prima della sua scomparsa ne fu

fatta una traduzione araba (che trascurava alcune delle dimostrazioni originali

“perché le dimostrazioni sono facili”), la quale fu a sua volta tradotta in latino

ed infine nelle principali lingue moderne, come del resto è avvenuto per altre

opere antiche. La Divisione delle figure comprende una raccolta di trentasei

proposizioni contenenti la divisione di figure piane. L’opera è menzionata da

Proclo.

Fenomeni

I Fenomeni di Euclide era un’opera simile alla Sfera di Autolico, ossia un'opera

di geometria sferica ad uso degli astronomi. Un confronto tra i due trattati mo-

stra come i due autori derivassero gran parte del loro materiale dalla tradizione

manualistica nota alla loro generazione. Come in Autolico l’opera di Euclide non

è introdotta da assunzioni esplicitamente formulate, ma da un’esposizione di-

scorsiva in cui viene descritto il moto del cielo delle stelle fisse, si portano ar-

gomenti in favore della sfericità di quest’ultimo e sono descritte in dettaglio le

porzioni in cui esso risulta diviso in conseguenza del suo moto e dell’obliquità

dell’equatore celeste. Sono poi definiti termini quali ‘orizzonte’, ‘meridiano’,

‘tropici’. Una lettura anche veloce delle proposizioni mostra chiaramente che

l’elemento fenomenico è ancora ben presente, comportando il ricorso a schemi

deduttivi di carattere non strettamente matematico: il modello non è costruito

all’interno del formalismo geometrico; le tecniche e terminologie geometriche

sono applicate a schemi argomentativi saldamente ancorati al concreto. I Fe-

nomeni costituiscono però un primo tentativo di istituire un modello geometri-

co di certi fenomeni.

Ottica

E’ interessante in quanto è uno dei primi trattati sulla prospettiva, ossia la ge-

ometria della visione diretta. Gli antichi avevano diviso lo studio dei fenomeni

ottici in tre parti: l'ottica, o geometria della visione diretta; la catottrica, o la

geometria dei raggi riflessi; la diottrica, o la geometria dei raggi rifratti. L' Ottica

di Euclide è notevole per l'esposizione di una teoria "emissiva" della visione se-

condo la quale l'occhio emette raggi che attraversano lo spazio fino a giungere

agli oggetti; tale teoria si contrapponeva alla dottrina di Aristotele secondo la

quale una sorta di azione si trasmetteva attraverso un mezzo in linea retta

dall'oggetto all'occhio. Si noti che i concetti matematici della prospettiva (di-

versamente dalla descrizione fisica) sono gli stessi qualunque sia la teoria adot-

tata. Uno degli obiettivi dell’Ottica era quello di combattere il concetto epicu-

reo secondo il quale le dimensioni di un oggetto erano quelle che apparivano

alla vista, senza tenere conto del rimpicciolimento dovuto alla prospettiva.

BIBLIOGRAFIA - SITOGRAFIA

C. B. Boyer “Storia della matematica”

https://mathcs.clarku.edu/~djoyce/java/elements/bookI/bookI.html#posts

Jacopo Fiore, Gabriele Gordiani, Agnese Magistri, Paolo Miletti,

Edoardo Tricarico, Carolina Tucci – 2^ E Liceo Scientifico “B. Russell” di Roma

NUMERO DIAGONALI DI UN POLIGONO

Premessa: il libro di testo di Matematica che abbiamo in adozione in classe, propone

come esercizio la dimostrazione della formula che fornisce il numero di diagonali di

un poligono di n lati. Illustriamo di seguito una possibile dimostrazione.

Come sappiamo ogni poligono è composto da 3 elementi caratteristici fondamentali:

Lati

Vertici

Angoli

In ogni poligono il numero di questi elementi è sempre uguale ma nei poligoni con

un numero di lati superiore a 3 c’è anche un quarto elemento caratteristico: le

diagonali.

La diagonale è un segmento che unisce 2 vertici non consecutivi in un poligono.

Per trovare il numero di diagonali d in un poligono esiste una formula, ovvero:

d=[n (n-3)]:2

dove n= numero dei lati del poligono

d=[3 (3-3)]:2 d=0 d=[4 (4-3)]:2 d=2 d=[5 (5-3)]:2 d=5

Come detto in precedenza il numero di vertici e il numero dei lati in un poligono è

sempre uguale perciò, se la diagonale ha per estremi 2 vertici non consecutivi, ogni

poligono ha un numero stabilito di vertici che sono estremi di una diagonale e un

numero di vertici che non possono essere estremi di una diagonale e cioè i 2 vertici

adiacenti e se stesso. Perciò ogni vertice è estremo di n-3 diagonali.

A questo punto sappiamo quante possibili diagonali ci sono per ottenere le diagonali

per tutti i vertici moltiplichiamo questo numero per il numero di vertici. [n (n-3)]

Il numero risultante si divide per 2, poiché ogni diagonale ha due possibili vertici

come estremi. Ma le diagonali sono una per due vertici, così vengono dimezzate per

creare un unico segmento. [n (n-3]:2

Angelini Flavio e Di Felice Arianna

classe 1 P del Liceo Scientifico “B.Russell” Roma.

I NUMERI IRRAZIONALI

I numeri irrazionali sono tutti i numeri illimitati decimali non periodici. Esempi sono √2, √3 e π . LA SCUOLA PITAGORICA La scuola pitagorica era una comunità dagli interessi scientifici e religiosi che si

sviluppò nel V secolo a.C. Gli appartenenti al-la setta dovevano attenersi a delle norme che regolavano la vita pubblica e privata. Gli insegnamenti venivano tramandati oralmen-te e su di essi si doveva mantenere il segreto. L’insegnamento di Pitagora veniva appreso come una rivelazione divina, in forma dog-matica, come attesta la frase in uso nella set-ta pitagorica: “lo ha detto lui”. I pitagorici studiarono, con particolare interesse, i poli-goni e i solidi regolari; il pentagono e la stella

pentagonale a cinque punte pare che avessero affascinato talmente tanto il grande maestro che li pose come simbolo della scuola. I pitagorici individuaro-no corrispondenze magico-religiose tra i numeri e i fenomeni della vita: il nu-mero 1 esprime l’intelligenza; il 2 la facoltà di pensare di cui sono dotati gli es-seri umani; il 4 e il 9 rappresentano la giustizia; il 5 il matrimonio perché è l’unione del primo pari e del primo dispari; il 7 è il tempo critico dei periodi cru-ciali della vita umana (cambio dei denti a 7 anni, pubertà a 14, maturità a 21). Il 10 veniva considerato dai pitagorici come un numero sacro, in quanto è dato dalla somma dei primi quattro numeri interi (1+2+3+4).I pitagorici erano soliti giurare su un pentacolo, ossia una stella a 5 punte racchiusa in un cerchio.

LE GRANDEZZE INCOMMENSURABILI Grazie ai pitagorici, l’universo diventa comprensibile e razionale. Nonostante ciò, si attribuisce a quest’ultimi la scoperta dell’incommensurabilità e dei nu-meri irrazionali. Due grandezze incommensurabili non hanno un sottomultiplo comune e si possono esprimere tramite frazione solamente con numeratore e denominatore non interi. Questa scoperta si contrapponeva alla loro idea di perfezione e di razionalità legata anche alla rappresentazione di qualsiasi valore tramite numeri interi. La scoperta di numeri composti da un numero non finito di cifre decimali e non periodici, i numeri irrazionali, portò dunque una crisi all’interno della scuola pi-tagorica. Calcolando, attraverso il teorema di Pitagora, la misura della diagonale di un quadrato di lato 1 ottennero come risultato che le due grandezze erano in-

commensurabili, perché la diagonale misura 2. √2 1u 1u Nel caso in cui un segmento fosse costituito da un numero finito di punti ne ri-sulterebbe che il lato del quadrato conterrebbe un numero intero di punti e corrisponderebbe, quindi, ad a volte la dimensione di un punto. La diagonale, a sua volta, sarebbe b volte la dimensione del punto. Il lato e la diagonale avreb-bero quindi un sottomultiplo comune, il punto, e non sarebbero più incom-mensurabili, come invece era risultato evidente.

Gli adepti della scuola pitagorica definirono tutto ciò blasfemo e sconcertante, ma, nonostante il divieto imposto ai membri della scuola di rivelare la scoperta al mondo esterno, uno dei seguaci di Pitagora, Ippaso da Metaponto, rivelò il segreto creando, nonostante la sua conseguente uccisione per mano dei pita-gorici, uno scandalo generale. I pitagorici, come conseguenza della loro scoperta, dovettero ammettere che un segmento e in generale una figura geometrica era costituita da infiniti punti di dimensione nulla, contrariamente a quanto ritenevano, cioè che i punti aves-sero una dimensione, fossero molto piccoli e tutti uguali, ma non nulli. LA RADICE DI DUE E’ UN IRRAZIONALE DIMOSTRAZIONE PER ASSURDO Tesi: √2 non appartiene a Q Dimostrazione per assurdo: nego la tesi e quindi ho come “ipotesi” della dimostrazione per assurdo:

√2 appartiene a Q Essendo √2 un numero razionale, allora √2 = a/b con a, b che appartengono a N e sono primi tra loro. √2=a/b allora 2=a2/b2. Poiché a, b sono primi tra loro a2 e b2 non possono avere un rapporto ≠ 1 quindi 2=a2/b2 è ASSURDO.

LA SPIRALE DI TEODORO Teodoro di Cirene fu un matematico dell’antica Grecia, appartenente alla scuo-la pitagorica. Ad oggi, lo conosciamo soprattutto grazie alla Spirale di Teodoro, un metodo da lui inventato grazie al quale è possibile disegnare la radice qua-drata di qualsiasi numero intero esistente. Partendo da un triangolo rettangolo con i cateti che misurano entrambi 1, si continua costruendo sull’ipotenusa (che corrisponde a √2) un altro triangolo rettangolo prendendo come cateto maggiore√2 (ovvero l’ipotenusa del triango-lo precedente) e come cateto minore il cateto con misura 1.

L’ipotenusa del triangolo appena ottenuto è uguale a √3. Continuando con que-sto procedimento si ottengono man mano le radici quadrate dei numeri interi seguenti (√4; √5; ...) rappresentate dall’ipotenusa dei triangoli appena ottenuti. Sitografia: http://www.liceorescigno.gov.it/progetti/as0001/Filosofia/storiadellafilosofia/scuolapitagorica.htm http://www.gentileschi.it/olimpiadi/irrazionali.pdf https://it.wikipedia.org/wiki/Teodoro_di_Cirene_(matematico) Alessandro Caporizzi, Enrico di Giorgio, Lorenzo Platano, Alessio Pompei Classe 2 sez. E Liceo Russell Roma