Post on 10-Aug-2015
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Indice
INTRODUZIONE…………………...…………………………….pag.4
I. IL RUOLO E L’INFLUENZA DEI MASS-MEDIA NEL
CONTESTO SOCIALE…………………………………………....pag.6
I.I CHE COSA SI INTENDE PER COMUNICAZIONE DI
MASSA………………………………………………………………pag.6
I.II L’AVVENTO DELLA SOCIETÀ DI MASSA……………….…pag.9
I.III I MEDIA E IL LORO POTERE INCONTRASTABILE….....pag.11
I.IV UN APPROCCIO COMPORTAMENTISTA :
LA TEORIA DEL PROIETTILE MAGICO……………………....pag.13
I.V LE TEORIE DELL’INFLUENZA SELETTIVA……………...pag.16
I.V.I LA TEORIA DEL TWO STEP-FLOW OF
COMMUNICATION……………...……………………………….pag.19
I.V.II IL MODELLO DEGLI USES AND GRATIFICATIONS…pag.25
I.VI L’INTERESSE PER GLI EFFETTI A LUNGO
TERMINE………………………………………………………….pag.30
1
II. L’INFLUENZA DEI MEDIA SUL COMPORTAMENTO DEI
SINGOLI INDIVIDUI…………………………………………...pag.35
II.I GLI EFFETTI ANTISOCIALI DEI MEDIA…………………pag.36
II.II GLI EFFETTI PRO-SOCIALI DEI MEDIA…...……………pag.46
III. DUE EFFETTI DI PERCEZIONE SOCIALE……………pag.49
III.I CHE COSA SI INTENDE PER EFFETTO TERZA
PERSONA…………….……………………………………………pag.49
III.II COME OPERA L’EFFETTO……………...………………...pag.51
III.III IN QUALI CONDIZIONI SI MANIFESTA………………pag.55
III.IV CHE COSA SI INTENDE PER EFFETTO FALSO
CONSENSO…………………………………………………...…...pag.58
III.V COME OPERA L’EFFETTO E IN QUALI
CONDIZIONI……………………………………………………..pag.60
III.VI UNO STUDIO SPECIFICO…………………….………….pag.67
IV. LA RICERCA……………………………………………….....pag.70
2
V. BIBLIOGRAFIA………………………………………...............pag.96
APPENDICE………………………………………………..........pag.109
3
Introduzione
Sentiamo quasi sempre parlare di “potere di influenza dei mass-media” e
di possibili conseguenze che i mezzi di comunicazione di massa possono
produrre nei confronti di un pubblico a volte disattento e non sempre
consapevole. Numerosi studi a riguardo hanno dimostrato in passato, e
dimostrano tuttora, quanto sia complicato definire in modo semplice ed
esaustivo quel difficile rapporto che intercorre tra spettatore e media.
Sappiamo, infatti, che il legame che unisce queste due entità appare
molto più complesso e articolato di quanto si pensi. Se da un lato alcuni
si mostrano propensi a considerare i mass-media come potenti agenti di
persuasione verso masse di spettatori inerti, dall’altro, altre persone
sostengono, al contrario, che il pubblico dei media possieda gli strumenti
necessari a combattere attivamente ogni possibile processo di influenza
sociale. Da che parte sta la verità? Dalla parte dei media intesi come
principali strumenti di influenza o, piuttosto, dalla parte di un’audience
concepito come entità indipendente e attiva nel suo complesso? Quesiti
di tale portata hanno infatti guidato per molto tempo il campo di ricerca
sugli effetti dei media, portando di conseguenza gli stessi studiosi a
formulare specifiche teorie in merito. Studiare i mezzi di comunicazione
di massa e i loro possibili effetti sugli spettatori, ha dunque significato
principalmente per le varie scienze sociali fornire una rappresentazione
del rapporto media – pubblico solamente in termini di attività o passività
di un elemento rispetto all’altro. Pochi ricercatori (per es. Cavazza e
Palmonari, 1999) si sono domandati veramente come gli spettatori e i
fruitori dei mass-media si rappresentino e concepiscano quel rapporto
che unisce indissolubilmente tra loro media e pubblico; eppure,
numerose ricerche effettuate in passato ci hanno permesso di
comprendere quanto sia fondamentale il ruolo dello spettatore all’interno
del processo di comunicazione di massa.
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L’intento, quindi, di questa tesi è quello di occuparsi di un aspetto di
ricerca che è stato per troppo tempo tralasciato dal campo di studi sui
mezzi di comunicazione di massa. A differenza, però, di quanto è stato
prodotto finora in termini di esperimenti scientifici e paradigmi teorici, si
tenterà di focalizzare l’attenzione su un aspetto nuovo e ancora poco
conosciuto nel campo di ricerca sui mass-media: in specifico, si cercherà
di scoprire come un particolare tipo di spettatore televisivo (lo spettatore
adolescente) definisca se stesso e i propri coetanei all’interno di quel
legame che unisce media e audience tra di loro. Per fare ciò, si farà
riferimento da una parte, a tutta una serie di modelli teorici sviluppati
nell’ambito di ricerca dei mass-media, dall’altra, ad esperimenti effettuati
direttamente sul campo.
La tesi risulta, infatti, strutturata in due grandi sezioni, collegate
direttamente l’una all’altra. La prima, illustra il quadro teorico che
abbiamo assunto come riferimento del campo di studi sugli effetti dei
mezzi di comunicazione di massa: in particolare, nel primo capitolo si
parla di prospettive teoriche in chiave di effetti dei media a breve e lungo
termine e di conseguenze nel contesto sociale, mentre, nel secondo
capitolo, ci si interroga in maniera più specifica sugli effetti pro-sociali e
anti-sociali dei media; una trattazione a parte è riservata invece a due
particolari effetti, quali l’effetto terza persona e falso consenso. La
seconda parte della tesi, che rappresenta il cuore di questo progetto,
contiene la ricerca vera e propria, ricerca che è stata compiuta su un
campione di 300 adolescenti, di età compresa tra i 14 e i 18 anni,
rappresentanti ideali di una porzione di popolazione giovanile della città
di Reggio Emilia.
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Capitolo 1
Il ruolo e l’influenza dei mass-media nel contesto sociale
“Per il propagandista addestrato, la mente del
pubblico è come una grande vasca d’acqua nella quale
parole e pensieri vengono lasciati cadere quasi fossero
degli acidi, con una conoscenza anticipata delle
reazioni che avranno luogo”
(Mauro Wolf)
1.1 Che cosa si intende per comunicazione di massa
Quando parliamo di comunicazione di massa spesso ci riferiamo ad un
processo che tende a sviluppare messaggi che vengono trasmessi da
specifici mezzi tecnici come, giornali, Radio, Cinema, Televisione, a
masse molto consistenti di individui che vivono in aree geografiche
alquanto ampie e nella maggioranza dei casi lontane dalle stesse fonti di
emissione [Valli, 1999]. Il concetto di comunicazione di massa è un
concetto che richiama a sé un significato ben articolato e complesso:
molti studiosi, infatti, nel corso degli anni, hanno tentato di definire le
principali caratteristiche che compongono questo particolare sistema. Per
la Pacelli [2002] parlare di comunicazione di massa significa riferirsi
principalmente a due concetti primari tra loro strettamente collegati: la
“comunicazione” e la “massa”. La sociologa definisce il processo di
“comunicazione” come un sistema di scambio all’interno del quale
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appare fondamentale il ruolo di parità svolto dai due “partners”, che
entrano in relazione nella situazione comunicativa. Questa peculiarità
tipica della comunicazione non è però riscontrabile, secondo la Pacelli,
nel sistema di comunicazione mass-mediale, dove il processo circolare di
scambio di contenuti lascia spazio ad una semplice trasmissione di
informazioni e di prodotti culturali. La studiosa sembra perciò recuperare
quanto era già stato affermato sulla comunicazione di massa da McQuail
[1992]. Secondo McQuail, infatti, il sistema di comunicazione di massa
non è altro che un rapporto impersonale che si viene a creare tra
emittente e ricevente, dove il ricevente è di solito anonimo e non
possiede gli strumenti necessari per rispondere attivamente a chi
trasmette la comunicazione. Per Eco [1968], invece, analizzare il sistema
di comunicazione di massa vuol dire riferirsi ad un particolare genere di
comunicazione che si attua e si sviluppa grazie alla presenza di tre
specifiche condizioni preesistenti:
1. l’avvento di una società di tipo industriale, sufficientemente livellata
ma in realtà ricca di differenze e contrasti
2. la presenza di differenti canali di comunicazione che permettono di
raggiungere un’indefinita cerchia di ricettori in situazioni sociologiche
diverse
3. l’esistenza di gruppi produttori che elaborano ed emettono messaggi
determinati
L’altro termine che secondo il pensiero della Pacelli risulta essere
strettamente collegato al concetto di “comunicazione”, è quello di
“massa”. Con questo termine si tende, in genere, a designare nella società
industriale un insieme di individui coinvolti in fenomeni dinamici quali la
scolarizzazione, l’urbanizzazione, le comunicazioni, fenomeni che
contribuiscono allo sviluppo della società stessa e concorrono a definirne
le caratteristiche di base [Valli, 1999]. Il concetto di “massa” trae la sua
origine dal pensiero sociologico di inizio Ottocento e nei confronti di
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questa gli studiosi si rivolgono sia in termini positivi che negativi. Se da
una parte, infatti, sociologi come Comte sono per lo più propensi a
considerare la “massa” come un’entità inorganica composta da individui
uniti solamente dall’esistenza nello stesso spaccato spazio temporale [Di
Nallo, 1981], dall’altra, al contrario, il concetto di “massa” viene anche
concepito come un insieme di carattere organico, in grado di superare le
conflittualità individuali causate dalla divisione del lavoro e capace di
compattare gli interessi personali verso un obiettivo superiore comune. È
lo stesso Durkheim a farsi portavoce di questa accezione positiva del
termine “massa”. Egli prevede che tutte le controversie individuali e
sociali possano essere mediate e sistemate anche attraverso il ricorso a
forme di religione, viste come espressioni della società stessa. La società,
infatti, possiede tutto ciò che occorre agli individui per risvegliare nei
loro spiriti la sensazione del divino [Durkheim, 1922]. Come si vede, il
concetto di “massa” è un concetto carico di ideologie e valori: spesso,
però, esso viene erroneamente e superficialmente scambiato con il
concetto di “folla”. Come sappiamo, fu lo studioso francese Le Bon a
definire per primo il termine di “folla”. La differenza principale tra
queste entità sta proprio in una loro caratteristica interna. La “folla”,
secondo Le Bon [1895], rappresenta un aggregato di individui
fisicamente compresenti in un dato spazio e limitatamente al tempo in
cui permane il comportamento che gli unisce. Essa possiede, perciò, una
visibilità e fisicità specifica. Al contrario, la massa, come molti sociologi
hanno affermato in passato, consiste in una categoria di individui che
possiedono caratteristiche comuni ma che non esistono come entità
fisica, se non per gli studi dell’osservatore. [Pacelli, 2002].
In base a quanto affermato precedentemente e dopo aver sottolineato
che cosa si intende per “comunicazione” e per “massa”, possiamo
cercare di definire il processo di comunicazione di massa grazie a tre
differenti caratteristiche che lo contraddistinguono:
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1. la comunicazione di massa si sviluppa attraverso una specifica distanza
tra emittente e ricevente. In questo modo, la fonte si caratterizza per la
propria segretezza e inaccessibilità, il messaggio per la propria
impersonalità, il destinatario della comunicazione per il proprio distacco
2. il sistema di comunicazione di massa è in grado di raggiungere, allo
stesso tempo, un gran numero di individui distanti tra loro e dalla stessa
fonte di informazione
3. il processo di comunicazione di massa, in quanto tale, si può attuare
solamente se il destinatario di tale processo risulta essere un pubblico di
grande entità
L’azione simultanea di queste tre differenti caratteristiche conduce,
perciò, il modello della comunicazione di massa ad essere concepito
principalmente come un modello nel quale uno specifico messaggio si
trova ad essere rivolto da una fonte primaria ad un destinatario di per sé
secondario e lontano. A differenza, però, della pura comunicazione
interpersonale, dove la relazione tra mittente e destinatario che si viene a
creare rende la stessa scelta del linguaggio da utilizzare come scelta
relativamente semplice, quella di massa si caratterizza per sua la
complessità. In particolare, in una qualsiasi comunicazione di massa
l’emittente conosce solamente una piccola parte del suo pubblico e non è
in grado di prevedere come il messaggio verrà accolto dal destinatario:
questo perché nelle comunicazioni di massa ogni “feedback” si presenta
come deduttivo e non immediato [Valli, 1999].
1.2 L’avvento della società di massa
Come si è sottolineato precedentemente, il concetto di “massa” prende
forma e si sviluppa in un particolare contesto politico – culturale. Verso
la fine del XIX secolo, infatti, la società si trova profondamente segnata
dal mutamento di un sistema tradizionale e stabile in cui gli individui
vivono vincolati gli uni agli altri, in una nuova realtà complessa nella
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quale le persone vengono concepite come entità socialmente isolate
[DeFleur, Ball-Rokeach, 1989]. Per alcuni studiosi questa complessità
diventa il simbolo del progresso che, attraverso le leggi naturali
dell’evoluzione, può condurre ogni individuo ad un sistema più
desiderabile e più armonioso dei precedenti. Per altri, essa rappresenta un
pericolo imminente e una direzione incerta verso un’esistenza desolata
nella quale risulta difficile identificarsi. Nonostante ciò, l’opinione
comune di ricercatori e scienziati è concorde nel rilevare un palese
cambiamento dell’ordine sociale: l’armonia e la cooperazione lasciano il
posto a l’eterogeneità e l’individualismo, l’individuo si estranea sempre di
più dalla propria comunità, le relazioni sociali diventano frammentate e
contrattuali. Nel contempo, queste modificazioni si accompagnano a
fenomeni di crisi che minano i legami e i valori tradizionali della società
quali, la famiglia, la religione, l’associazione di mestiere e la comunità
locale. Sono proprio queste stesse condizioni, secondo sociologi e
politologi come Durkheim [1893], a portare l’individuo ad una situazione
di anomia, ovvero ad un’assenza di riferimento normativo che dia senso
alla propria condotta quotidiana. Come si è gia affermato, parlare di
società di massa ai tempi del pensiero positivistico ottocentesco, significa
principalmente riferirsi ad una vasta entità eterogenea di individui la cui
composizione appare incerta e variabile [Kimball, 1949]. Essi, infatti, non
vengono considerati come soggetti in grado di operare sulla base di
motivazioni razionali, ma risultano fondamentalmente oggetto di
pressioni manipolatorie. I meccanismi che regolano i loro
comportamenti stereotipici sono quelli dell’imitazione e della
suggestione. Inoltre, l’analisi della natura sociale degli esseri umani si
accompagna ad altri paradigmi generali riguardanti la loro natura
psicologica: il comportamento umano viene considerato in una
prospettiva neurobiologica, come risultato del patrimonio genetico.
Come si può notare, nonostante una posizione così pessimistica e
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fortemente ideologica sia scarsamente sostenuta da verifiche di tipo
empirico, questa linea di pensiero è di certo destinata a pesare molto sulle
prime spiegazioni che gli studiosi di inizio Novecento forniranno sul
funzionamento assunto dai mass-media.
1.3 I media e il loro potere incontrastabile
Durante il secondo decennio del secolo scorso, l’Europa e gli Stati Uniti
d’America si trovano coinvolti nel primo conflitto mondiale. La divisione
del lavoro, l’eterogeneità e l’individualismo che ne derivano e che hanno
reso possibile l’avvento delle nuove società industriali, rappresentano un
serio problema per quell’epoca. La Prima guerra mondiale è, infatti, il
primo conflitto globale al quale prendono parte attiva e coordinata intere
popolazioni civili. Questo nuovo tipo di guerra, si caratterizza per uno
scontro fra la capacità produttiva delle diverse Nazioni coinvolte e gli
eserciti sostenuti in campo, eserciti che dipendono dai grandi complessi
industriali dei propri paesi. Questi enormi sforzi industriali richiedono,
però, che la popolazione civile che vi lavora collabori con partecipazione
ed entusiasmo. Ciò significa, sacrificare i piaceri materiali e tenere alto il
morale dei paesi, convincere la gente ad abbandonare la propria famiglia
per arruolarsi e raccogliere fondi per finanziare il conflitto [DeFleur,
Ball-Rokeach, 1989]. Le popolazioni differenziate dei nuovi sistemi
industriali non sono, però, più quelle popolazioni legate da un modo di
sentire comune e reciproco, associativo, che tiene insieme gli uomini
come membri di un tutto [Tönnies, 1887], ma assomigliano piuttosto a
delle società di massa prive di vincoli reali. Per vincere la guerra è
necessario, però, che le popolazioni ritrovino quei legami di sentimento e
cooperazione che in passato esse possedevano. Per questo motivo, il fine
primario di ogni sistema politico coinvolto nel conflitto mondiale appare
quello di ricreare un vincolo forte e duraturo tra individuo e società. Il
mezzo per raggiungere questo scopo viene intravisto nell’uso della
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propaganda. Paesi come gli Stati Uniti cominciano, così, a formulare
messaggi propagandistici sotto forma di notizie giornalistiche, film,
cartelloni pubblicitari, libri e segnali radio. L’obiettivo finale da
raggiungere risulta così importante, da giustificare ogni meccanismo di
azione attuato: per i massimi esponenti politici del tempo, i cittadini
devono essere condotti nel provare un sentimento di odio verso il
nemico e nel dedicare il loro massimo impegno nello sforzo bellico. Per
fare in modo che gli individui agiscano in questa direzione, l’opinione
comune appare, perciò, concorde nell’individuare nei mezzi di
comunicazione di massa gli strumenti necessari e principali per attuare
tale obiettivo. Il sistema di propaganda si rivela vincente in ogni suo
singolo aspetto; il pensiero di intere popolazioni viene guidato con
grande abilità e capacità di coordinamento: troppo spesso, però, la verità
lascia spazio alla menzogna e tutto quello che viene comunicato e
trasmesso al pubblico non sempre rispecchia la realtà circostante. La fine
del conflitto mondiale porta, così, gli ex propagandisti di ogni paese a
pubblicare lunghe serie di articoli di denuncia sulle falsità che sono state
diffuse per lungo tempo durante lo svolgimento della guerra. Alcune di
queste rivelano particolari alquanto inquietanti, come quella apparsa
nell’immediato dopoguerra e descritta da Viereck [1930, pag. 153-154]:
“Le storie di atrocità costituivano uno dei temi principali nella propaganda inglese.
Nella maggior parte dei casi …le [storie di questo tipo] venivano bevute avidamente
da un pubblico che non sospettava nulla. [La gente] sarebbe stata molto meno pronta
ad accettare le storie che dipingeva la Germania come qualcosa di spaventoso se avesse
assistito alla nascita delle più lugubri storie di atrocità inventate nel quartier generale
del British Intelligence Department nella primavera del 1917. Il generale di brigata J.
V. Charteris …stava confrontando due fotografie sottratte ai tedeschi: la prima era la
riproduzione molto chiara di una scena atroce, in cui dei cadaveri di soldati tedeschi
venivano trascinati via per essere sepolti dietro le linee. La seconda fotografia mostrava
dei cavalli morti che venivano condotti alle fabbriche dove i tedeschi usavano le carcasse
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per trarne in modo ingegnoso sapone e olio. L’ispirazione di scambiare le didascalie
delle due immagini venne al generale Charteris come un’illuminazione …Con
destrezza il generale tagliò e incollò la scritta “Cadaveri tedeschi verso la fabbrica di
sapone” sotto l’immagine dei soldati morti. Nel giro di ventiquattr’ore la fotografia era
nel sacco postale per Shangai. Il generale Charteris mandò la fotografia in Cina per
istigare l’opinione pubblica contro i tedeschi. Il rispetto dei cinesi per i morti rasenta il
culto e la profanazione dei cadaveri attribuita ai tedeschi fu uno dei fattori che
spinsero i cinesi a dichiarare guerra contro l’orientamento del potere centrale”.
Questo esempio e gli effetti che esso produce nel sistema politico-
culturale, è una dimostrazione esemplare del tipo di teoria delle
comunicazioni di massa su cui si basa l’attività di propaganda di
quell’epoca. Si tratta di una teoria piuttosto originale e coerente con
l’immagine della società di massa ereditata dal sistema intellettuale del
XIX secolo. Essa parte dal presupposto che gli stimoli creati dai media
possano raggiungere ogni singolo membro della società e che, ogni
individuo, percepisca tali stimoli in modo simile, provocando così una
risposta più o meno uniforme da parte di tutti [DeFleur, Ball-Rokeach,
1989].
1.4 Un approccio comportamentista: la teoria del proiettile
magico
Come illustrato precedentemente, una delle conseguenze del conflitto
mondiale è l’emergere della convinzione generale che il sistema di
comunicazione di massa abbia un grande potere di controllo nei
confronti del proprio pubblico. L’opinione comune è concorde nel
pensare che i media possano plasmare le masse a favore di determinati
punti di vista, in base ai desideri dello stesso comunicatore. Molti
scienziati di quel tempo cercano, così, di analizzare in modo obiettivo
l’impatto della propaganda bellica e il ruolo che gli stessi media
ricoprono all’interno della società di massa. Tra questi, Lasswell, grande
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scienziato della politica, sintetizza così le proprie considerazioni nei
confronti della funzione assunta dalla propaganda [1927, pag. 200-221]:
“Fatte tutte le concessioni, e ridotte all’osso tutte le stime più stravaganti, rimane il
fatto che la propaganda è uno dei mezzi più potenti del mondo moderno. Essa è
giunta a questo livello di importanza in risposta ad un insieme di circostanze che sono
cambiate e hanno alterato la natura della società. Le piccole tribù primitive possono
saldare i loro membri eterogenei in un’unità da combattimento grazie ai ritmi
indiavolati della danza …Nella grande società non è più possibile fondere la
riottosità degli individui nella fornace delle danze di guerra: uno strumento più nuovo
e sottile deve saldare migliaia e perfino milioni di esseri umani in una massa fusa di
odio, volontà e speranza. Una nuova fiamma deve incenerire il cancro del dissenso e
temperare l’acciaio dell’entusiasmo bellicoso. Il nome di questi nuovi incudine e
martello della solidarietà sociale è propaganda”. La teoria della società di massa
che è possibile dedurre da questa considerazione di Lasswell, è una teoria
piuttosto semplificata che utilizza come guida il modello
comportamentista del tipo “stimolo-risposta”. Se da una parte, però,
questo paradigma teorico può apparire semplice e lineare, dall’altra, esso
presuppone un insieme di assunti impliciti che riguardano non solo
l’organizzazione sociale della società ma, anche, la struttura psicologica
degli individui che vengono stimolati e rispondono ai messaggi che
provengono dai media [DeFleur, Ball-Rokeach, 1989]. Nel periodo
postbellico, questo primo insieme di considerazioni sulla natura e il
potere delle comunicazioni di massa non viene mai ufficialmente
formulato da nessun studioso di comunicazione e, solamente a
posteriori, gli verrà attribuito il nome di “teoria del proiettile magico” o “teoria
ipodermica”. L’assunto da cui parte questo specifico approccio teorico è
che la condotta delle persone sia determinata in larga misura da
meccanismi intraindividuali che operano tra lo stimolo ambientale e la
risposta comportamentale. Si ritiene che il repertorio di risposte
comportamentali sia piuttosto uniforme perché le persone sono
14
caratterizzate da un corredo biologico precostituito, che determina così
l’emissione di certe risposte al presentarsi di determinate condizioni di
stimolo. Date queste premesse, la concezione che ne deriva è che i
messaggi provenienti dai mass-media vengano recepiti allo stesso modo
da tutte le persone che compongono l’audience e che, inoltre, le risposte
a tali messaggi siano immediate e dirette [Arcuri, Castelli, 1996].
A confronto con le più elaborate spiegazioni che ancora oggi si danno
del processo di comunicazione di massa, una teoria come quella del
“proiettile magico” può apparire ai nostri occhi inconsistente e del tutto
ingenua. Eppure, se cerchiamo di contestualizzare questo particolare
modello teorico nel periodo storico in cui esso cresce e si sviluppa,
sicuramente ci rendiamo conto di quanto siano precisi e complessi gli
assunti impliciti di tale paradigma, assunti che derivano da teorie
psicologiche e sociologiche della natura umana e dell’ordine sociale di
inizio Novecento. Il pensiero sociologico di quell’epoca, infatti, come
abbiamo già sottolineato, è propenso a considerare le persone come
individui biologicamente simili e, per questo, portati a rispondere a
determinati stimoli in determinati modi. Definita, perciò, la concezione
umana di base come qualcosa di uniforme e dell’ordine sociale come
società di massa, possiamo facilmente comprendere come la “teoria del
proiettile magico”, basata su un meccanismo istintivo del tipo “stimolo-
risposta” e sulla convinzione che i media siano strumenti potenti e
manipolatori, appaia del tutto valida e coerente per gli studiosi e i
ricercatori di quel periodo.
15
MMaassss--mmeeddiiaa
Schema riassuntivo della teoria del proiettile magico
(A) in modo indiscriminato; gli individui possiedon
(colore giallo), di conseguenza recepiscono i messa
risposte agli stimoli appaiono ugualmente uniformi e
1.5 Le teorie dell’influenza selettiva
Sono necessari molti anni di studio e numero
rendere consapevoli gli studiosi dei mezzi di c
fatto che la relazione tra messaggio e rispo
come è stata concepita fino a quel tempo, no
contrario, sia importante ipotizzare l’interv
mediazione come, ad esempio, la percezione s
soggetto ricevente, il ruolo delle strutture
gradualmente gli scienziati ad abbandona
persuasivi agiscano sulla base di meccanis
afferma la “teoria del proiettile magico” [Arcuri, C
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tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta, gli studiosi dei
mass-media incominciano finalmente a strutturare le proprie ricerche su
una base empirica, passando, in questo modo, dalla semplice
speculazione teorica sugli effetti, allo studio sistematico dell’impatto di
particolari contenuti su specifiche tipologie di individui. Disponendo,
così, di una varietà sempre più ampia di strumenti di ricerca, essi si
dimostrano in grado di sottoporre le proprie idee sulle comunicazioni di
massa ad una verifica più puntuale, sulla base dei risultati della ricerca
empirica [Sorice, 2000].
Compresi meglio i limiti della “teoria del proiettile magico”, diventa perciò
necessario, per gli studiosi, rielaborare nuove teorie delle comunicazioni
di massa che guidino la ricerca scientifica in modo più realistico. Come le
teorie precedenti, i nuovi approcci derivano da paradigmi generali
sviluppati dalla Psicologia e dalla Sociologia. Questi due campi, infatti,
sono attivamente impegnati da sempre nello studio della natura umana:
in una prospettiva personale il primo, da un punto di vista collettivo il
secondo. È dunque da questi paradigmi emergenti che nascono le nuove
interpretazioni sull’influenza dei mass-media e queste stesse
interpretazioni non si fanno di certo aspettare. A partire dagli anni
Quaranta, infatti, cominciano a prendere forma una serie di teorie
denominate “teorie dell’influenza selettiva”. Esse creano un capovolgimento
totale nel campo di ricerca sugli effetti dei mezzi di comunicazione di
massa. In base a quanto afferma Sorice [2000], le “teorie dell’influenza
selettiva”, fondate sul paradigma cognitivo generale della Psicologia
(l’influenza di un soggetto sull’organismo determina risposte che sono
proporzionate alle differenze esistenti fra gli individui), ripongono
un’attenzione notevole alle variabili intervenienti nel processo di
comunicazione, variabili che vengono considerate necessarie al
funzionamento dell’intero sistema. In base a questi modelli, quindi, la
risposta del pubblico ai messaggi mediali non sarebbe guidata da istinti,
17
ma da precisi e specifici atteggiamenti. Ciò sta a significare che gli
individui presentano differenze consistenti nella struttura cognitiva,
elemento questo che tende a giustificare le differenze individuali nelle
risposte fornite ai messaggi provenienti dai mass-media.
È lo stesso studioso [Sorice, 2000] a sottolineare, nella sua analisi, come
le “teorie dell’influenza selettiva” possano essere organizzate attorno ad
alcuni specifici punti chiave:
1. le differenti strutture cognitive sono il risultato di un apprendimento
individuale e sociale
2. le società complesse sviluppano delle subculture, ovvero degli
ambienti sociali in cui si condividono opinioni, atteggiamenti e modelli di
azione
3. nelle società complesse le relazioni sociali mantengono una funzione
selettiva fondamentale nella fruizione dei mezzi di comunicazione di
massa
Inoltre, i principi fondamentali sui quali le stesse teorie si reggono sono
quelli della:
1. attenzione selettiva: le differenze cognitive presenti nei vari soggetti
producono stili differenti di attenzione ai contenuti mediali
2. percezione selettiva: le differenze cognitive, gli interessi personali, le
opinioni individuali determinano una diversa percezione dei contenuti
dei media e, di conseguenza, una differente costruzione di senso
3. memorizzazione selettiva: i contenuti dei media vengono memorizzati in
maniera diversa da soggetti di per sé differenti, in relazione ai loro
interessi e alle loro strutture cognitive
4. azione selettiva: l’azione derivante dalla fruizione dei contenuti mediali
dipende strettamente dall’attenzione, dalla percezione e dalla
memorizzazione soggettiva, pertanto, i comportamenti concreti saranno
strettamente collegati con le varie modalità attraverso le quali i contenuti
dei media saranno stati utilizzati.
18
Tra le teorie che è possibile ricondurre a questa nuova tradizione di
ricerca, due in particolare meritano la nostra attenzione:
la teoria del “Two – step flow of communication”
l’ipotesi degli “Uses and Gratifications”
Questi modelli rappresentano, in specifico, esempi eccellenti di quella
corrente di studi che si afferma come paradigma dominante nella ricerca
sugli effetti dei media fino agli anni 60, corrente comunemente
conosciuta con il nome di “modello degli effetti limitati”1. Secondo Wolf
[1992], la principale novità di questa particolare corrente teorica, che
rientra di diritto tra la schiera delle teorie dell’influenza selettiva, è quella
di dimostrare che difficilmente si producono conversioni nelle opinioni
individuali soltanto attraverso l’esposizione ai mezzi di comunicazione:
l’influenza dei media, invece, si fonda da un lato sull’individuazione dei
meccanismi selettivi a livello personale e, dall’altro, sul radicamento del
processo comunicativo nel contesto sociale. In questo modo, gli effetti
dei media si sviluppano dentro una complessa rete di interazioni sociali
dove l’unico “effetto limitato” riscontrato risulta essere il rafforzamento
degli atteggiamenti soggettivi e delle opinioni preesistenti, piuttosto che il
loro cambiamento.
1.5.1 La teoria del Two step – flow of communication
Il primo dei due modelli di effetti limitati è il risultato di un celebre
lavoro sviluppato da Lazarsfeld, Berelson e Gaudet per studiare l’impatto
che la campagna presidenziale del 1940 ha sui propri elettori. L’interesse
primario degli studiosi è rivolto nel comprendere come i membri di
determinate categorie sociali selezionino il materiale veicolato dai media
in relazione alla campagna elettorale e come questi contenuti
1 Questo modello, conosciuto anche con il nome di “modello degli effetti minimi”, è proposto per la prima volta da Klapper all’interno di una ricerca pubblicata nel 1960. Sotto tale modello vengono successivamente racchiuse tutte quelle ricerche svolte in questa direzione dagli studiosi dei media (Lazarsfeld e collaboratori).
19
contribuiscano ad influenzare le loro intenzioni di voto. La ricerca,
infatti, parte dall’ipotesi che il peso delle relazioni all’interno dei gruppi
sia un fattore determinante al fine della formazione dei quadri di valore e
dei comportamenti degli individui che li compongono. Lo studio viene
condotto nella contea di Erie, nell’Ohio, una zona con caratteristiche
tipicamente americane. I contenuti dei media sottoposti ad analisi sono
per la maggior parte composti da tutti quei discorsi elettorali e messaggi
politici riportati nei quotidiani e alla radio durante i vari confronti svolti
tra i due candidati alla presidenza (il candidato repubblicano Wendell
Wilkie e il candidato democratico Franklin D. Roosevelt). Per la prima
volta in un sondaggio su vasta scala si utilizza un panel: si intervista un
campione principale di 600 persone ad intervalli regolari di un mese tra
Giugno e Novembre, ovvero nel periodo precedente e successivo alle
elezioni. I problemi affrontati dai questionari sono sostanzialmente
relativi a verificare come fattori sociologici e personali influiscano
nell’orientare il voto degli elettori su un candidato piuttosto che sull’altro.
Nel corso della ricerca gli studiosi riescono, così, a rilevare determinati
effetti: in particolare, scoprono che il 53% del campione di soggetti
sottoposti per vari mesi a diversi tipi di propaganda elettorale rafforza
semplicemente le proprie opinioni preesistenti a seguito della pressione
propagandistica stessa. Nel 26% dei casi, invece, si ha un passaggio dalla
indecisione alla scelta di un partito o dalla scelta di un partito a un
atteggiamento di per sé indeciso; nel 16% dei casi risulta difficile fornire
una valutazione precisa; infine, solamente nel 5% dei casi si individua
una conversione, ovvero un passaggio da un partito all’altro per effetto
della stessa campagna elettorale. Inoltre, dalla ricerca emerge chiaramente
come la grande maggioranza degli elettori già orientati a votare
repubblicano si esponga prevalentemente a messaggi propagandistici dei
repubblicani, mentre la grande maggioranza di coloro che sono orientati
a votare democratico ascoltino principalmente la propaganda dei
20
candidati democratici [Statera, 1998]. La ricerca di Lazarsfeld, Berelson e
Gaudet (pubblicata fra il 1944 e il 1948 con il titolo “The People’s Choice:
How the Voter Makes up his Mind in A Presidential Campaign”) fa quindi
emergere un pubblico tutt’altro che passivo e, comunque, molto
differente da quel soggetto inerte pronto a farsi colpire e condizionare da
qualsiasi tipo di messaggio, così come la “teoria ipodermica” lo ha
concepito in passato. La ricerca permette, perciò, di superare quell’idea,
fino ad allora valida, di una linearità del processo di comunicazione,
sostituendola con una nuova immagine dei profili individuali e delle
risposte che vengono fornite dalle persone ai mass-media. La fase finale
di questo progetto, guidato e coordinato da Lazarsfeld negli anni
Quaranta, riguarda appunto la formulazione, quindici anni più tardi, di
quella teoria comunemente nota come teoria del “Two step – flow of
communication”. Il modello viene elaborato e pubblicato da Katz e
Lazarsfeld nel 1955 all’interno dell’opera “Personal Influence: The Part Played
by People in the Flow of Mass Communication”. In base a quanto affermano i
ricercatori [Katz, Lazarsfeld, 1955], questa particolare prospettiva teorica
si basa sull’ipotesi che non esista un flusso unitario di informazioni che si
muove dai media ai destinatari finali del processo comunicativo. In
realtà, il flusso di comunicazione segue un percorso a due fasi: la prima,
dai media a quegli individui ben informati che seguono con una certa
regolarità le comunicazioni di massa, ovvero gli “opinion leaders”; la
seconda, dalla mediazione operata dai leader d’opinione, attraverso i
canali interpersonali, agli individui meno esposti ai media, individui che
dipendono dai primi per l’acquisizione delle informazioni. Katz e
Lazarsfeld arrivano all’elaborazione di tale modello dopo vari studi, da
loro stessi condotti, nei confronti di un campione di soggetti di sesso
femminile appartenente ad una cittadina dell’Illinois. L’intento della
ricerca è quello di scoprire l’origine dei comportamenti e delle preferenze
degli individui in materia di pubblici affari, di acquisti, di mode, di
21
frequenze ai cinema. I risultati dell’inchiesta dimostrano che la maggior
parte del campione viene influenzato, nei settori presi in esame, dalle
persone più vicine, generalmente membri della famiglia o amici più
prossimi. Questi partner quotidiani riprendono per proprio conto i
messaggi trasmessi dai mass-media, li personalizzano ed esercitano di
conseguenza la loro influenza effettiva sugli individui che vivono nel loro
ambiente [Moscovici, 1986].
La teoria di Lazarsfeld e Katz permette, perciò, di introdurre due
concetti interessanti e molto innovativi per quell’epoca: il concetto di
“gruppo sociale” e la nozione di “leader d’opinione”. I gruppi sociali e in
particolare i gruppi primari (famiglia, amici, compagni di lavoro)
svolgono un ruolo fondamentale nel processo di formazione delle
opinioni e delle decisioni individuali. Secondo il modello, infatti, questi
gruppi funzionano da filtro nell’interpretazione dei messaggi esterni al
gruppo (quindi anche dei messaggi delle comunicazioni di massa) e
assolvono così una funzione di controllo sociale, prevenendo le
deviazioni dai valori e dalle norme condivise. Ai leader d’opinione,
invece, spetta una posizione di prim’ordine all’interno del lungo e
articolato processo di comunicazione che impegna i media da una parte e
il pubblico dall’altra: essi, definiti come membri del gruppo sociale più
disponibili all’esposizione ai media e, di fatto, più competenti nell’uso dei
mezzi di comunicazione, si distinguono dal resto del gruppo per le loro
capacità ricettive e interpretative dei messaggi mediali. La loro funzione,
quindi, è quella di guide, in grado di consigliare ed influenzare gli altri
individui in ogni tipo di scelta personale. Inoltre, gli “influenti”, così
infatti vengono anche denominati dagli stessi autori i leader d’opinione,
si distinguono in due grandi categorie: gli “influenti specifici”, ovvero
coloro che sono considerati esperti in un determinato campo ed
esercitano la loro influenza in un contesto decisionale specifico e gli
22
“influenti generali”, ossia le persone più stimate e definite autorevoli in
molti campi [Bonazzi, 1998].
Statera [1968], nell’introdurre il metodo di ricerca utilizzato da Katz e
Lazarsfeld durante i loro esperimenti, si mostra convinto nel riconoscere
alla teoria del “Two step – flow of communication” il grande merito di aver
scoperto che fra il mezzo di comunicazione e la massa possa esistere un
piccolo gruppo, con tutta la sua rete di canali di comunicazione e la
complessa trama delle relazioni interpersonali che lo caratterizzano. La
scoperta, infatti, di un gruppo sociale in funzione di mediazione fra due
specifiche entità, che il precedente approccio alle comunicazioni di massa
ha ritenuto semplicemente giustapposte l’una all’altra (da un lato
“l’onnipotente mezzo”, dall’altro “l’individuo atomizzato”), costituisce,
secondo lo studioso, il fondamento dell’originalità e, insieme, della
complessità del lavoro svolto da Katz e Lazarsfeld. Attraverso questo
nuovo approccio teorico essi riescono da un lato, a ridimensionare l’idea
di una potenza incondizionata dei mass-media e, dall’altro, a
riconsiderare l’idea di una società di massa come insieme disorganizzato
e inconsistente. Le persone, quindi, non appaiono più come individui
isolati in balia di forze mediali spesso oscure e misteriose ma, al
contrario, essi possiedono famiglie, colleghi di studio e di lavoro, vicini di
casa con i quali condividere valori e norme di comportamento e ai quali
collegarsi attraverso reti di comunicazioni informali.
23
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24
1.5.2 Il modello degli Uses and Gratifications
Un’altra teoria rappresentativa del modello dell’influenza selettiva e, in
specifico, del “modello degli effetti limitati” è quella degli “Uses and
Gratifications”. Questo particolare approccio teorico, che trova il suo
sviluppo tra la fine degli anni Cinquanta e la seconda metà degli anni
Settanta, si caratterizza per gli elementi di novità che esso riesce ad
introdurre nel rapporto media – pubblico. Il modello, tradizionalmente
identificato con la posizione teorica di Jay Blumer e Elihu Katz, parte
dall’ipotesi che il problema più importante nello studio delle
comunicazioni di massa non sia più ciò che i media possano produrre in
termini di effetti sugli spettatori, bensì ciò che spinge gli stessi soggetti ad
utilizzare i media. Ogni individuo, infatti, possiede specifici interessi,
bisogni e necessità che può soddisfare rivolgendosi ai mezzi di
comunicazione di massa. Solo una volta individuati quali siano questi
motivi può diventare allora possibile prevedere la tipologia e la portata
degli stessi effetti [Arcuri, Castelli, 1996].
L’assunto di base da cui si muove questa nuova prospettiva teorica è che
tra tutte le offerte disponibili, ogni individuo selezioni quelle che lo
gratificano maggiormente. Ciascun spettatore, attivamente, si espone così
in modo selettivo a determinati messaggi e le scelte da egli effettuate
risultano essere le conseguenze delle proprie caratteristiche psicologiche.
Inoltre, gli individui sono tanto più coinvolti nella fruizione di un
programma televisivo, quanto più essi si mostrano disposti ad investire in
termini di risorse attentive a proposito dei contenuti proposti
[Kellerman, 1985], a pensare e discutere circa i contenuti durante e dopo
la trasmissione [Greenwald & Leavitt, 1984; Lemish, 1985], o a lasciarsi
trascinare emotivamente durante la medesima trasmissione. Queste due
componenti dell’attività del pubblico, esposizione selettiva e
25
coinvolgimento, dipendono, appunto, dalle gratificazioni ricercate ed
ottenute attraverso l’utilizzo dei mass-media.
Secondo Castelli [1996] e in base a quanto affermano Katz, Gurevitch e
Haas [1973], i bisogni principali che si ritiene possano essere soddisfatti
grazie alla fruizione dei media, consistono, principalmente, nella ricerca
di informazioni utili (per desiderio di conoscenza, per trovare una guida
alle proprie azioni, per aiutare a definire la propria identità sociale), nella
possibilità di ottenere argomenti con cui sostenere le proprie azioni
durante le comunicazioni interpersonali, nella capacità di realizzare delle
interazioni parasociali e nel desiderio di intrattenimento e di svago.
Il paradigma degli “Uses and Gratifications” apre dunque una nuova
prospettiva teorica sul rapporto tra “audience”2 e mass-media: si tratta di
concepire un passaggio da una concezione passiva del pubblico alla
consapevolezza del fatto che i suoi membri sono soggetti attivi, che
selezionano dai mezzi di comunicazione i contenuti e i messaggi preferiti.
Al contrario, le precedenti teorie della società di massa (come la “teoria del
proiettile magico”) hanno concepito lo spettatore come un individuo
relativamente inerte, in attesa passiva che i media trasmettano
informazioni, informazioni che vengono successivamente percepite e
ricordate e si traducono in azioni molto simili per tutti. Se da una parte,
però, si può riconoscere all’approccio degli “Uses and Gratifications” il
merito di aver dato una nuova spinta agli studi sugli effetti dei media,
dall’altra si è costretti a considerare il fatto che questo particolare
modello teorico non è stato di certo esente da specifiche critiche, a causa
2 Il termine audience, di origine inglese, indica una quantità di persone che si calcola siano raggiunte da un messaggio diffuso dai mezzi di comunicazione di massa. La voce latina “audentia”, da cui deriva questo anglicismo, significava l’attenzione prestata a un oratore e, in seguito, per metonimia, il pubblico raccolto nell’auditorio. Oggi, l’espressione è usata per indicare un unico referente, gli utenti dei media (soprattutto della Televisione), ma con sfumature diverse a seconda che il termine sia utilizzato in ambito socio-letterario o pubblicitario. Audience può infatti indicare: 1) i destinatari di un messaggio mediale 2) un mercato di potenziali acquirenti Questa differenza nasce dal fatto che, sebbene costruite entrambe a partire dal modello comunicativo – televisivo, le due analisi divergono profondamente per lo scopo e la motivazione che le genera.
26
di alcune limitazioni contenute all’interno del paradigma stesso. Infatti,
numerose ricerche ed esperimenti svolti nel corso degli anni nei
confronti di tale modello hanno dimostrato la presenza di alcune
eccessive semplificazioni: la prima tra queste, riguarda il fatto che
“l’audience” sia studiato e concepito dall’approccio teorico solamente in
base alla dicotomia “passività – attività”, senza prendere in
considerazione l’estrema complessità dei fruitori dei media [Sorice, 2000];
un’altra critica consiste nel fatto che la teoria degli “Uses and Gratifications”
non produca in definitiva molto di più che liste di motivi (vari tipi di
bisogni indicati dai soggetti) per i quali gli spettatori sostengono di
scegliere e seguire le diverse categorie di contenuti mediali (notizie, libri,
commedie televisive etc…) o liste di soddisfazioni che le persone
affermano di ricevere dall’esposizione ai media. Di conseguenza, si pensa
che la prospettiva degli “Uses and Gratifications”non riesca a dare una
spiegazione sistematica che vada oltre questo. Se, infatti, i fattori
identificati come tali dagli spettatori siano effettivamente le vere ragioni e
i veri motivi di soddisfazione sottesi all’utilizzo dei media, questa, viene
considerata una questione ancora del tutto aperta e di ben più difficile
interpretazione [Rosengren, Wenner e Palmgreen, 1985; Wolf, 1993;
Grandi, 1992].
Nonostante ciò, a più di cinquant’anni dalla sua formulazione,
l’approccio degli “Uses and Gratifications” riceve, specialmente intorno agli
anni 90, numerose approvazioni da parte di alcuni studiosi dei mezzi di
comunicazioni di massa: un esempio di ricerca compiuto in questo senso
è sicuramente quello attuato da Johnston [1995], il quale tenta di spiegare
empiricamente le motivazioni che spingono gli adolescenti a guardare
determinati film dell’orrore. L’ipotesi da cui parte Johnston è quella che
individui con differenti caratteristiche di personalità guardino i film
dell’orrore spinti da differenti motivazioni. Le tre caratteristiche prese in
considerazione sono:
27
1. la tendenza a ricercare forti sensazioni ed emozioni (“sensation –
seeking”)
2. la capacità di vivere in maniera identificativa le esperienze emotive
altrui
3. il tipo di reazione emotiva che si ha in risposta ad una percezione di
possibile pericolo
Queste dimensioni vengono rilevate da Johnston attraverso la
somministrazione di tre differenti strumenti psicometrici.
Successivamente, ad ognuno dei soggetti viene richiesto per quali motivi
guardi film come “Halloween” o “Nightmare”, dovendo giudicare su una
scala a cinque punti l’importanza di ciascuna di 18 possibili motivazioni.
Da un’analisi fattoriale eseguita sulla matrice delle correlazioni tra le
risposte a queste 18 domande, emergono 6 fattori; di questi, 4 appaiono
coerentemente interpretabili. Essi sono:
porsi in visione per il gusto del sangue, che include item quali “mi piace
vedere sangue e budella”
porsi in visione per eccitarsi, con item del tipo “li guardo perché mi piace
essere spaventato”
porsi in visione per un senso di indipendenza, rappresentato da item come “li
guardo perché mi fanno sentire coraggioso”
porsi in visione quando vi sono dei problemi, con item del tipo “li guardo
quando sono arrabbiato”
In accordo con le ipotesi, lo studioso scopre che i punteggi in questi
fattori risultano essere dipendenti dalle caratteristiche di personalità. In
particolare, il primo fattore si mostra legato ad alti livelli di “sensation –
seeking” e bassi livelli nelle altre due caratteristiche. Il secondo fattore, la
visione per l’eccitazione, si caratterizza, invece, per il legame con alti
livelli di empatia e di “sensation – seeking”, mentre il porsi in visione per
ottenere un senso di indipendenza risulta collegato a bassi livelli di
empatia.
28
Schema riassuntivo della teoria d
modelli teorici, il rapporto tra med
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29
1.6 L’interesse per gli effetti a lungo termine
Se da una parte, le teorie dell’influenza selettiva riescono ad introdurre
nuovi elementi di studio all’interno del difficile processo di
comunicazione di massa, dall’altra, esse non sono completamente in
grado di rispondere in maniera chiara ed esaustiva a tutti quei possibili
effetti che i media producono nei confronti del loro rispettivo pubblico.
Infatti, l’interesse primario delle teorie dell’influenza selettiva è
principalmente rivolto alla definizione e comprensione di quegli effetti
dei media conosciuti, appunto, come “effetti a breve termine” o “effetti
limitati”. Numerosi esperimenti e ricerche compiute negli anni successivi
all’avvento delle teorie dell’influenza selettiva, hanno dimostrato, invece,
quanto siano inadeguati i presupposti teorici sui quali si sono basati in
passato i modelli degli effetti limitati: in particolare, sono gli anni 70 e 80
a segnare un profondo cambiamento di rotta nell’ambito degli studi sui
mezzi di comunicazione di massa. L’orientamento più diffuso di
quell’epoca è concorde nell’abbandonare l’idea che l’impatto dei media
sul pubblico sia un impatto “limitato”, sostenendo, al contrario, l’assunto
di influenze forti e durature nel tempo. Tali considerazioni portano, di
conseguenza, gli studiosi a focalizzare la propria attenzione nei confronti
di un nuovo tipo di effetti mediali, definiti con il nome di “effetti a lungo
termine”3. Uno dei modelli più rappresentativi di questa nuova corrente di
pensiero è certamente quello della “spirale del silenzio”.
Esso si presenta come il risultato di un’analisi compiuta da Elisabeth
Noelle Neumann [1974] sulle campagne elettorali tedesche del 1965 e del
1972. La teoria della “spirale del silenzio” insiste sull’importanza dei mass-
media nella formazione degli orientamenti dell’opinione pubblica. Alla
base di questo modello, vi è infatti una considerazione psicologica di
importanza generale: la paura dell’isolamento sociale condiziona in modo
3 Questa nuova corrente teorica si caratterizza per un ritorno alla concezione dei media come potenti agenti di trasmissione.
30
significativo i nostri comportamenti e il nostro modo di agire. Da questo
timore, deriva necessariamente la tendenza, da parte degli individui, a
esaminare il clima di opinione dominante, per collocarsi in questo modo
sulle posizioni della maggioranza. Secondo questo approccio, quindi,
l’opinione pubblica corrisponde al clima sociale generale, all’andamento
prevalente delle idee e dei sentimenti: essa guida e controlla il
comportamento e il modo di pensare dei singoli individui. Bonazzi
[1998], ci tiene a sottolineare che i media, per la loro capacità di riflettere
l’andamento e i cambiamenti del clima socio-culturale, costituiscono lo
strumento attraverso il quale l’opinione pubblica esercita la propria
pressione e mette a tacere le posizioni minoritarie. Le opinioni prevalenti
nei media tendono, infatti, ad essere considerate come le opinioni
principali nell’opinione pubblica, a prescindere dal fatto che esse lo siano
realmente. La preferenza dei media per una delle tesi in campo si esprime
solamente in modo implicito e indiretto, attraverso particolari scelte di
selezione che privilegiano determinate idee tacendone o minimizzandone
altre. Così facendo, i media interferiscono in maniera effettiva sui
processi dell’opinione pubblica. Coloro, perciò, che si riconoscono in
quelle posizioni che trovano maggior riscontro nei mezzi di
comunicazione, si sentono confermati e rinfrancati, traendo anche dai
media stessi gli argomenti per difendere al meglio le proprie posizioni
nell’ambiente quotidiano di vita. Gli altri, anche se rappresentanti la
maggioranza, si percepiscono, invece, come individui più isolati, le loro
opinioni sembrano non trovare ascolto e appaiono, così, delegittimate
pubblicamente. Di conseguenza, questa parte del pubblico evita di
esprimere le proprie idee per paura di essere considerata diversa e di
rimanere isolata: la loro voce si ammutolisce col tempo, avvitandosi,
appunto, in una “spirale del silenzio”. Così la Neumann [1974, pag. 44]
descrive questo processo: “l’individuo può scoprire di essere d’accordo con il
punto di vista prevalente e ciò accentua la fiducia in se stesso e gli facilita l’espressione
31
delle proprie opinioni senza alcun pericolo di isolamento, nelle sue
interazioni…Oppure può accorgersi che le sue opinioni stanno perdendo terreno; più
questo appare evidente, più diventerà insicuro di se stesso e meno sarà disposto ad
esprimere i propri punti di vista…Più le persone percepiscono tali tendenze e vi
adattano le proprie opinioni, più una corrente appare guadagnare terreno e l’altra
perderlo. Così, la tendenza degli uni a parlare più forte e degli altri a zittirsi, avvia
un processo a spirale che progressivamente stabilisce un punto di vista come quello che
riesce a dominare”.
Il termine “spirale” consiste, infatti, in un “meccanismo perverso per il quale
l’auto – censura di quelli che deviano dall’andamento di opinione prevalente serve nel
tempo a rafforzare la percezione di solidità dell’idea maggioritaria, aumentando la
pressione a conformarsi che viene esercitata su coloro che sono minoritari” [Mucchi
Faina, 1996, pag. 126]. La “spirale del silenzio” sta ad indicare, cioè, uno
spostamento d’opinione nato dal fatto che un gruppo tende a mostrarsi
più forte di quanto non lo sia in realtà, mentre coloro che possiedono
un’opinione diversa appaiono più deboli di quanto non lo siano
effettivamente.
Come affermato precedentemente, la formulazione iniziale della teoria
della “spirale del silenzio” si basa sulle analisi delle campagne elettorali
tedesche del 1965 e del 1972, campagne nelle quali la Neumann riesce a
rilevare un significativo margine di differenza tra le intenzioni di voto
delle persone (quasi esclusivamente suddivise fino alla vigilia della
consultazione) e le previsioni sul partito che dovrebbe vincere. L’analisi
dei dati evidenzia che in entrambi i casi si sarebbe verificato alla fine della
campagna elettorale uno spostamento decisivo, nella direzione indicata
dal clima d’opinione generale e dalla pressione provocata dal rendere
evidenti le sue tendenze. Secondo Wolf [1992], i media avrebbero perciò
operato proprio su questo legame: essi, infatti, avrebbero reso visibile e
significativo quel punto di riferimento costituito dai “trends” che si sono
presentati come in via d’espansione nel clima d’opinione generale.
32
Implicitamente contenuto nel modello della “spirale del silenzio” è il
concetto che i media abbiano, appunto, un ruolo decisivo nella dinamica
del mutamento sociale: essi non si limitano, infatti, a rappresentare le
tendenze dell’opinione pubblica ma ne danno in concreto forma e
identità. Si può dire che i media creino la stessa opinione pubblica in
quanto gli spostamenti di tendenze non avvengono autonomamente
dall’azione dei media, ma risultano legati ad essa. Per comprendere più
chiaramente questo assunto di base, ci si deve riferire alla nozione di
“ignoranza pluralistica”: tale concetto, strettamente connesso alla teoria
della “spirale del silenzio”, viene elaborato da Newcomb nel 1950. Lo
stesso Wolf [1992] definisce questo processo come la situazione sociale
in cui ogni individuo crede di essere l’unico a pensare qualcosa in un
determinato modo e non esprime la propria opinione per timore di
violare un tabù morale o una regola autoritativa. Quando nessuno
concorda con una norma, ma ciascuno pensa che tutti gli altri invece vi
concordino, il risultato finale è simile a quello che si avrebbe se tutti
concordassero con la norma stessa. Per questo motivo, sottolinea
l’autore, se accade che in un gruppo sociale “passi una rapida ondata di
conoscenza pubblicamente osservabile”, tramite la quale le persone
percepiscono che altri soggetti abbiano le loro medesime convinzioni,
ciò che sembra accadere è un inatteso rovesciamento del clima
d’opinione generale, ovvero un improvviso spostamento di atteggiamenti
personali. In questo tipo di dinamica (simile a quella della “spirale del
silenzio”), i media tendono ad accelerare il mutamento sociale,
rappresentandolo: in sostanza, lo rendono possibile per il solo fatto di
costruire le condizioni attraverso le quali il mutamento stesso si
manifesta.
Se da un lato, la teoria “della spirale del silenzio” rappresenta un valido
esempio di superamento del paradigma degli effetti limitati,
introducendo in questo modo una nuova concezione dei mass-media e
33
degli effetti indotti nei confronti di uno spettatore, dall’altro, tale teoria,
come le precedenti, non è stata di certo esente da polemiche e critiche,
polemiche che le sono state rivolte specialmente per la sua presentazione
di un modello di influenza sociale ritenuto eccessivamente unilaterale ed
univoco. Riferendosi al paradigma della “spirale del silenzio”, Wolf [1992,
pag. 76-77] appare obiettivo e allo stesso tempo critico nei confronti di
tale modello. Se da una parte, infatti, egli riconosce all’autrice della
“spirale del silenzio” il merito di aver creato un approccio teorico in grado
di descrivere come “i media possono contribuire a rendere possibile il mutamento
sociale, soprattutto nella sua componente di mutamento dei modelli culturali”,
dall’altra, sembra essere deciso nell’affermare che “l’idea che il potere dei
media coincida con la neutralizzazione della percezione selettiva (presupposto di
base dal quale la Neumann è partita per la formulazione del modello)
appare un elemento più legato alla polemica del tempo e alla reazione contro il
paradigma degli effetti limitati, che non un dato empiricamente supportato e
sostenibile”.
34
Capitolo 2
L’influenza dei media sul comportamento dei singoli
individui
“La televisione non è soltanto uno strumento di
comunicazione; è anche, al tempo stesso, paidèia,
uno strumento antropogenetico, un medium che
genera un nuovo ànthropos, un nuovo tipo di essere
umano”
(Giovanni Sartori)
Dopo aver dedicato la prima parte di questa tesi ai principali modelli
teorici che hanno ricoperto un ruolo chiave nella storia degli studi sui
media e sui loro possibili effetti d’influenza sociale (effetti a breve e
lungo termine), ci sembra ora opportuno espandere il campo di ricerca
affrontando, in maniera più specifica, le influenze che i mezzi di
comunicazione di massa (in particolare la Televisione) possono avere sul
comportamento dei singoli individui. Molti esperimenti compiuti a
riguardo, infatti, hanno dimostrato che la continua esposizione ai media
da parte di uno spettatore può portare a due differenti modalità
d’influenza mass-mediatica: un’influenza di carattere anti-sociale e una di
carattere pro-sociale.
35
2.1 Gli effetti antisociali dei media
A più di cinquant’anni dalla sua invenzione, ancora oggi, la Televisione
rappresenta un mezzo di comunicazione fondamentale e allo stesso
tempo straordinario. Nonostante l’avvento delle nuove tecnologie
digitali, essa riscuote ancora un grande consenso nei confronti del
proprio pubblico. Alla base di questo successo, vi sono sicuramente
alcuni fattori legati alle caratteristiche interne del mezzo stesso: la
Televisione, infatti, possiede un particolare tipo di linguaggio e un modo
di trasmettere le informazioni che la rendono uno strumento di
comunicazione unico nel suo genere. Se da una parte, però, il mezzo
televisivo offre allo spettatore la possibilità di porre il proprio sguardo
sui fatti che accadono quotidianamente nel mondo, dall’altra, non
sempre gli effetti che questo strumento di comunicazione può produrre
in termini di fruizione appaiono del tutto positivi. Molti studiosi dei
mass-media, infatti, hanno dimostrato, in alcune ricerche, come una
sovraesposizione televisiva possa condurre lo spettatore ad una possibile
manifestazione di comportamenti a carattere violento.
I primi studi condotti proprio in questa direzione cominciano in Gran
Bretagna e negli Stati Uniti intorno alla metà degli anni 50. In Inghilterra,
un gruppo di esperti della “London School of Economics and Political
Science”, sotto la supervisione di Hilde Himmelweit [1958], effettua
un’indagine sulla fruizione televisiva dei bambini e sui suoi possibili
effetti. Quasi nello stesso periodo, dall’altra parte dell’oceano, Wilbur
Schramm [1961] e alcuni ricercatori della “Standford University”
compiono un esperimento su un campione di soggetti residenti nel
Colorado e nel Canada, per rilevare i diversi effetti che la Televisione può
avere in contesti differenti di diffusione. Parallelamente a questi studi
compiuti direttamente sul campo, in quegli anni cominciano ad essere
svolti altri esperimenti di laboratorio, con lo scopo di individuare una
36
relazione fra l’esposizione ai contenuti televisivi, in specifico quegli
violenti, e il comportamento. Tra questi esperimenti, particolarmente
rilevanti sono quelli svolti da Albert Bandura alla “Standford University”
su gruppi di bambini in età prescolare, e quelli di Leonard Berkowitz,
compiuti all’Università del Winsconsin su giovani studenti di college.
Queste ricerche riescono a porre le basi teoriche e metodologiche di
numerosi studi che saranno portati avanti, negli anni successivi, da altri
ricercatori per commissione di differenti organismi governativi e
istituzioni pubbliche.
Vista la grande mole di contributi presenti in letteratura nei confronti
degli effetti televisivi a carattere violento, alcuni autori hanno tentato di
sintetizzare i principali orientamenti di ricerca a riguardo, inquadrandoli
nelle prospettive teoriche di riferimento. In specifico, Metastasio [2002]
fornisce una classificazione degli effetti dei contenuti televisivi violenti
secondo tre principali categorie:
1. l’aggressività
2. la desensibilizzazione
3. la paura
Per quanto riguarda la prima categoria, secondo l’autrice, la Televisione
può sollecitare lo spettatore a compiere comportamenti aggressivi e a
favorire un mutamento di atteggiamento nei confronti di un uso della
violenza, violenza che viene ad assumere un ruolo primario nella
risoluzione dei vari conflitti sociali. Questi effetti sarebbero la
conseguenza di meccanismi di “imitazione”, “eccitazione fisiologica”,
“disinibizione”, attivati dall’esposizione di un soggetto a contenuti
televisivi violenti. Nei confronti della seconda categoria, Metastasio
[2002] afferma che la sovraesposizione a contenuti violenti può portare
lo spettatore a inibire la propria sensibilità nei riguardi della violenza e a
innalzare la soglia di tolleranza per un possibile ricorso ad essa nella
risoluzione dei problemi di vita quotidiana. Infine, in riferimento alla
37
terza categoria, la studiosa sottolinea che la visione assidua di contenuti a
carattere violento può condurre lo spettatore televisivo a sovrastimare il
rischio di essere vittima di azioni violente, rispetto alla probabilità
effettiva che questo avvenga nella vita reale.
Secondo Metastasio [2002], ognuna di queste categorie risulta essere
strettamente collegata a determinati approcci di carattere teorico. In
particolare, all’effetto di aggressività possono essere ricondotte la “teoria
dell’apprendimento sociale”, “l’ipotesi della stimolazione elementare” e il
“neo-associazionismo cognitivo” (o “teoria della disinibizione”).
All’effetto di desensibilizzazione è collegata invece la teoria che prende il
suo stesso nome (“teoria della desensibilizzazione”), mentre all’effetto di
paura può essere ricondotta la “teoria della coltivazione”.
La teoria dell’apprendimento sociale, conosciuta anche con il nome di
teoria dell’apprendimento mediante imitazione, viene formulata da
Bandura agli inizi degli anni 60. Essa postula che la visione della violenza
aumenti la disponibilità di risposte aggressive nel fruitore del messaggio,
soprattutto se i comportamenti violenti presentati vengono ricompensati,
se le caratteristiche della persona verso la quale si indirizzano gli atti
violenti sono tali da farla assomigliare a qualche gruppo sociale
facilmente riconoscibile nell’ambiente di vita del fruitore [Arcuri, Castelli,
1996]. Bandura e i suoi collaboratori giungono alla formulazione di tale
modello teorico dopo alcune ricerche sperimentali compiute su
programmi televisivi a contenuto violento [1961]. Il disegno che i
ricercatori utilizzano per i loro esperimenti è abbastanza semplice: alcuni
bambini in età prescolare vengono scelti da uno sperimentatore e portati
ad uno ad uno in una stanza, dove viene chiesto loro di attendere mentre
egli porta a termine un determinato compito. Durante l’attesa, i bambini
vengono assegnati con scelta casuale a tre differenti gruppi; al primo
gruppo viene presentato un filmato che mostra un adulto intento a
picchiare con un martello un pupazzo di nome “Bobo”, e a pronunciare
38
contemporaneamente frasi che sottolineano il significato del gesto: i
ricercatori danno all’adulto il nome di “modello”. I bambini del secondo
gruppo, definito di confronto, vedono invece un modello adulto che
gioca tranquillamente con delle costruzioni di legno, mentre, ai bambini
del terzo gruppo, detto di controllo, non viene mostrato alcun modello.
Successivamente, i bambini vengono lasciati soli in una stanza con a
disposizione un ampio numero di giocattoli, in parte appartenenti allo
scenario delle condotte aggressive (un martello, il pupazzo “Bobo”) e in
parte appartenenti a scenari non aggressivi (camion, orsacchiotti). I
risultati di questi esperimenti dimostrano che i bambini appartenenti al
primo gruppo, ovvero coloro che sono stati esposti al modello violento,
mettono in luce comportamenti più aggressivi sia rispetto ai bambini del
gruppo di confronto che rispetto a quelli del gruppo di controllo. Inoltre,
i comportamenti aggressivi manifestati dai soggetti riproducono in parte
esattamente quelli del modello presentato e, in parte, si mostrano come
del tutto nuovi. Secondo Arcuri e Castelli [1996], l’interpretazione teorica
che Bandura e collaboratori forniscono a tale processo è che
l’apprendimento degli individui avviene sulla base della semplice
osservazione, a prescindere dalla presenza o meno di rinforzi che
premino il proprio comportamento o quello del modello. Lo stesso
Bandura [1977] ipotizza che, affinché si verifichi questo apprendimento
sociale, il soggetto che si espone a determinati stimoli aggressivi deve
compiere tre specifiche azioni:
1. prestare attenzione al modello che viene proposto
2. memorizzare tale modello affinché possa essere successivamente
recuperato
3. valutare gli esiti del comportamento
La teoria dell’apprendimento sociale introduce un concetto abbastanza
importante se consideriamo l’ambito di studi sugli effetti dei media: un
individuo non deve sottoporsi in prima persona a dei rinforzi perché si
39
verifichi l’apprendimento di un comportamento, ma è sufficiente che egli
veda altre persone coinvolte in tale esperienza [Bandura, 1977]. In questo
modo, anche sistemi articolati di risposte possono essere appresi
attraverso l’osservazione e il modellamento. Inoltre, la riproduzione di
comportamenti osservati avviene, la maggior parte delle volte, né
intenzionalmente né consapevolmente: il comportamento di un modello
può venir imitato da un individuo a distanza di tempo senza che egli sia
necessariamente in grado di stabilire alcun legame tra le sue azioni attuali
e quanto osservato in passato. Tutto ciò porta ad affermare che
attraverso l’osservazione è possibile acquisire determinate conoscenze e
plasmare comportamenti.
Se da una parte la teoria dell’apprendimento sociale ha aperto la strada a
successive ricerche riguardo il problema degli effetti televisivi violenti
[Arcuri, Castelli, 1996], dall’altra, questo particolare modello teorico non
è riuscito a dare una spiegazione completa del processo di cambiamento
del comportamento. Secondo Metastasio [2002] infatti, Bandura, nel
formulare il processo di apprendimento sociale come conseguenza
dell’esposizione ad azioni violente, non avrebbe tenuto in considerazione
alcune caratteristiche specifiche del contenuto e del contesto inerenti
l’apprendimento e la riproposta di comportamenti aggressivi: in
specifico, la misura in cui viene legittimata l’aggressività, la somiglianza
della situazione di ascolto con la realtà del soggetto coinvolto nel
processo, il ruolo esercitato dai bisogni, interessi, motivazioni e
autopercezione dello spettatore. Queste limitazioni avrebbero
successivamente portato Bandura a rivedere alcuni aspetti della propria
teoria e condotto altri ricercatori ad abbandonare la relazione
“esposizione-aggressività”, in favore di una prospettiva cognitivo-sociale
dell’elaborazione dell’informazione. I principali esponenti di questa
nuova corrente sono Huesmann e Berkowitz: il primo [1986] propone
un’ipotesi esplicativa del comportamento basata su specifici schemi
40
preesistenti (scripts), mentre, il secondo [1965] si fa portavoce di un “neo-
associazionismo cognitivo” o “teoria della disinibizione”. In base a
quanto viene affermato da Huesmann [1986], il risultato
dell’apprendimento di un comportamento aggressivo sarebbe uno script
di comportamento. Questo, può essere definito come uno schema che
riflette la conoscenza e le aspettative di un soggetto nei confronti di
sequenze tipiche in particolari situazioni, e comprende elementi di
riferimento ad esse relativi, i ruoli sociali e le regole. Ogni evento che
coinvolge l’individuo verrebbe, perciò, codificato in uno script
preesistente o contribuirebbe a formarne dei nuovi. Le aspettative su ciò
che è probabile si verifichi in una particolare situazione creerebbero delle
prescrizioni sul comportamento, offrendo indicazioni su determinate
sequenze di azioni che dovrebbero portare al raggiungimento di un
obiettivo [Schank, Abelson, 1977].
La “teoria della disinibizione” sostiene, invece, che la prolungata
esposizione a comportamenti violenti può rendere questi ultimi degli
eventi apparentemente normali. In questo modo, in un soggetto
verrebbero a diminuire le inibizioni che normalmente impediscono di
ricorrere a questi tipi di comportamenti. Tale fenomeno diventerebbe
particolarmente evidente quando la violenza è presentata in circostanze
in cui essa viene giustificata, e la probabilità che le azioni violente viste in
Televisione si verifichino nel contesto reale aumenta in relazione alla
similarità dei due contesti (reale e televisivo)[Berkowitz, 1965]. Un valido
esempio di disinibizione viene fornito da Aronson [1995]: lo psicologo
riferisce di un episodio accadutogli negli anni 70. In una particolare
occasione, il figlio di Aronson chiede al padre che cosa sia il napalm, ed
egli distrattamente afferma che si tratta di una sostanza chimica
altamente tossica, la quale a contatto con la pelle crea gravi ustioni.
Alcuni minuti dopo Aronson si accorge che il figlio piange: egli si rende
improvvisamente conto di come i mass-media lo abbiano indotto a
41
riferire della guerra come se questa si tratti di un evento quotidiano e di
come, al contrario, una persona non ancora disinibita possa cogliere
l’orrore di questi avvenimenti.
Un’altra prospettiva teorica che cerca di dare una spiegazione agli effetti
dei contenuti televisivi violenti è quella della “stimolazione elementare”.
Secondo questa teoria, la visione di contenuti televisivi di tipo aggressivo
provocherebbe delle specifiche modificazioni nell’attività fisiologica di
un soggetto, modificazioni come il possibile aumento della tensione
arteriosa e l’accelerazione del battito cardiaco [Metastasio, 2002].
Particolari residui di questa tensione rimarrebbero attivi nel soggetto
anche per un certo periodo dopo l’esposizione e si manifesterebbero
successivamente in ogni tipo di attività svolta dal soggetto stesso. Ciò
significa che se in uno spettatore determinati atti di tipo antisociale
occupano una posizione preminente, allora l’eccitamento provocato
dall’esposizione renderà improvvisamente disponibili proprio quelle
risposte di tipo violento. Questo processo risulta essere efficace nei
confronti di quegli individui che si mostrano come patologicamente
aggressivi o verso coloro che sono stati resi potenzialmente aggressivi
per mezzo di un trattamento sperimentale [Tannebaum, Zillmann, 1975].
In base a quanto affermato da Metastasio [2002], all’effetto di
desensibilizzazione sarebbe collegata l’omonima teoria (“teoria della
desensibilizzazione”). Questo modello sostiene che la continua
esposizione di uno spettatore a contenuti televisivi violenti potrebbe
condurre lo stesso spettatore a una riduzione della propria risposta
emotiva all’aggressività e a una maggiore accettazione di questa nella vita
reale. In questo modo, gli individui svilupperebbero un processo di
assuefazione che li porterebbe a richiedere forme di violenza sempre più
estreme. Secondo questa prospettiva, perciò, la rappresentazione
televisiva della violenza tenderebbe ad innalzare la soglia di tolleranza di
un soggetto per l’accettazione della stessa violenza nella vita reale, perché
42
ciò implicherebbe una certa normalità nel suo utilizzo. Alcuni ricercatori
hanno tentato di verificare i presupposti formulati da questa teoria
compiendo degli esperimenti su gruppi di bambini. Tra questi è possibile
ricordare quelli svolti da Drabman e Thomas [1974]. Essi, attraverso
alcuni studi effettuati su dei bambini di circa 8 anni, dimostrano che
l’esposizione a programmi di contenuto violento può provocare a breve
termine, nei soggetti, differenti risposte a episodi di aggressività che si
svolgono nella vita di tutti i giorni. Gli studiosi selezionano alcuni
bambini di scuola elementare e li assegnano casualmente a due differenti
gruppi, uno che viene esposto alla visione di un filmato a contenuto
violento e uno che non ne viene esposto. I risultati di questo
esperimento dimostrano che i bambini appartenenti ai due gruppi
metteranno in atto comportamenti differenti in occasione di episodi reali
di cui essi saranno successivamente testimoni in prima persona (es. la
visione di uno scontro fisico nella propria classe): in specifico, Drabman
e Thomas affermano che, in questa particolare circostanza, i bambini che
hanno assistito alla proiezione del filmato violento si comporteranno
meno responsabilmente di quelli che non hanno assistito ad esso, non
avvisando nessuno per l’accaduto.
Un ulteriore effetto che Metastasio [2002] attribuisce all’esposizione a
contenuti televisivi violenti è quello relativo alla paura. Secondo l’autrice,
la continua visione di avvenimenti televisivi violenti condurrebbe lo
spettatore a credere in una maggiore presenza della violenza nella vita
reale, rispetto all’effettiva possibilità che tutto ciò avvenga realmente
attraverso un processo di “coltivazione”.
La “teoria della coltivazione”, formulatala da Gerbner e collaboratori
[1986], sostiene che la funzione principale dei mass-media sia quella di
agenti di socializzazione, in grado di condizionare le percezioni, gli
atteggiamenti, i valori e i comportamenti degli spettatori [Arcuri, Castelli,
1996]. I mezzi di comunicazione presentano al pubblico un’immagine
43
coerente della realtà tramite programmi che possono influenzare
progressivamente la formazione di immagini del mondo, secondo un
processo di apprendimento cumulativo [Gerbner, Gross, Morgan,
Signorielli, 1986]. Così Gerbner [1986, pag. 28] definisce, infatti, il ruolo
assunto dalla Televisione nella società moderna: “La Televisione coltiva fin
dall’infanzia predisposizioni e preferenze solitamente accolte dalle altre fonti primarie
e, superando le storiche barriere dell’alfabetizzazione e della mobilità, diventa la
principale comune fonte di informazione (soprattutto nella forma dell’intrattenimento)
per una popolazione altrimenti eterogenea”.
Alla base di questo approccio teorico vi sono due concetti fondamentali:
1. il “mainstreaming”
2. la “resonance”
Con il primo, si intende il processo attraverso il quale l’esposizione
televisiva porta ad una omogeneizzazione nelle concezioni dell’audience.
Questa ipotesi viene dimostrata attraverso due modalità. La prima si basa
sulla rilevazione dello scarto che separa le concezioni dei soggetti con un
maggiore utilizzo del mezzo televisivo (heavy viewers) dalle concezioni di
coloro che, contrariamente, dimostrano di avere una minore fruizione
televisiva (light viewers). Questi due gruppi posseggono differenti idee
dovute alle diverse quantità di esposizione, di conseguenza, quanto
maggiore è la differenza nelle loro abitudini di fruizione, tanto maggiore
sarà tale scarto. Ad esempio, le persone che guardano maggiormente la
Televisione considereranno il mondo in cui vivono come più violento
rispetto alla realtà, come conseguenza di una sovraesposizione televisiva
ad atti violenti. La seconda modalità si riferisce al fatto che la visione
televisiva tenderebbe a ridurre quelle naturali differenze che
contraddistinguono differenti gruppi sociali. In questo senso, individui
che si espongono al mezzo televisivo in modo massiccio, arriverebbero a
condividere un insieme di esperienze che tenderebbero ad avvicinare il
44
loro modo di pensare, cosa che al contrario non avverrebbe per i light
viewers [Arcuri, Castelli, 1996].
Il secondo concetto sottostante alla “teoria della coltivazione” è quello
relativo alla “risonanza”. Esso si riferisce all’accentuazione degli effetti
dei media nei casi in cui vi siano particolari cause esterne che si muovano
nella medesima direzione degli stessi effetti. A spiegazione di tale
concetto, Gerbner e collaboratori [1980] affermano che la percezione
degli individui di vivere in una società violenta può essere più o meno
estesa dal fatto di trovarsi in un’area urbana ad alto tasso di criminalità o
in una tranquilla zona residenziale.
Se da una parte la “teoria della coltivazione” afferma con certezza come
la fruizione televisiva crei negli spettatori degli effetti di sfasamento tra la
realtà vissuta e l’immagine culturale della realtà trasmessa dai media
[Cantoni, Di Blas, 2002], dall’altra, la stessa teoria presenta alcuni
limitazioni di carattere empirico. In particolare, Gerbner e collaboratori
[1986], nel dimostrare la validità della teoria focalizzano l’attenzione
solamente nei confronti di una violenza fisica, escludendo di
conseguenza tutte quelle forme aggressive quali quelle verbali e
psicologiche, più difficili da individuare ed esaminare.
Un approccio teorico che si distanzia dalle precedenti teorie sugli effetti
antisociali dei media è quello rappresentato dall’ipotesi della “catarsi”. La
teoria ipotizza una inibizione dell’aggressività a seguito dell’esposizione
televisiva a contenuti aggressivi [Feshback, Singer, 1971]. La visione di
contenuti violenti attiverebbe nell’individuo un processo di sfogo dei
propri impulsi aggressivi che, contrariamente, si rivolgerebbero in un
comportamento diretto. Alcune ricerche hanno dimostrato come questa
teoria non abbia una profonda validità: Archer e Gaertner [1976], infatti,
hanno analizzato il numero di omicidi commessi a partire dal 1900 in
circa 110 paesi. I risultati hanno evidenziato come nel periodo post-
45
bellico gli atti di violenza dei paesi coinvolti nel conflitto siano aumentati
anziché diminuire.
2.2 Gli effetti pro-sociali dei media
Un altro tipo di effetti che la Televisione può produrre nei confronti del
proprio pubblico è quello relativo ai contenuti di carattere pro-sociale. Il
mezzo televisivo, infatti, può favorire lo sviluppo di comportamenti
socialmente positivi come l’altruismo, la generosità, la gentilezza e la
responsabilità sociale. Il campo di ricerca sugli effetti pro-sociali dei
media, meno vasto di quello degli effetti antisociali, si sviluppa negli Stati
Uniti a partire dagli anni Settanta. Come per gli studi effettuati in ambito
antisociale, anche in questo settore di ricerca si fa ricorso a modelli
sperimentali che hanno l’obiettivo di riscontrare una possibile relazione
tra la proposta di contenuti televisivi positivi e il comportamento
osservato nei soggetti esposti ai media [Metastasio, 2002]. La maggior
parte delle ricerche si è focalizzata sull’analisi degli effetti di particolari
programmi televisivi (“Sesame Street” e “Mister Rogers’
Neighborhood”), trasmessi in quegli anni con l’obiettivo di promuovere
nei bambini determinati comportamenti di carattere pro-sociale quali
l’altruismo e la generosità. Un esperimento condotto proprio in questa
direzione è quello svolto da Gorn, Goldberg e Kanungo [1976] con
l’obiettivo di verificare la comparsa di comportamenti pro-sociali, quali
l’integrazione, a seguito dell’esposizione televisiva. Gli studiosi
presentano ai dei bambini di razza bianca, di età compresa tra i 3 e i 5
anni, degli episodi della serie televisiva “Sesame Street”. Ad un
sottogruppo di bambini vengono mostrati episodi che raffigurano
bambini non bianchi che giocano tra loro, a un altro, invece, vengono
presentati episodi che mostrano bambini bianchi e di altre razze intenti a
giocare assieme in una condizione di integrazione. I risultati di questo
esperimento dimostrano come in condizioni successive i soggetti
46
appartenenti ad entrambi i sottogruppi scelgano quali compagni di gioco
dei bambini non bianchi in misura maggiore a quanto facciano i soggetti
appartenenti ad un gruppo di controllo. In base agli studi effettuati da
alcuni ricercatori [Friedrich, Stein, 1973] risulta che l’impatto dei
programmi pro-sociali sugli spettatori dipende da molte caratteristiche
dei soggetti sia individuali che sociali, quali l’età, il tipo di
comportamento considerato, la propensione individuale ad assumere
atteggiamenti approvati socialmente. La maggior parte delle ricerche è
comunque concorde nell’affermare che l’ascolto di programmi televisivi
a contenuto pro-sociale e l’esposizione periodica a questi possano essere
condizioni fondamentali per la comparsa di comportamenti positivi.
Secondo Metastasio [2002] però, il campo di studi sugli effetti pro-sociali
dei media presenta alcune problematiche di carattere interno. In primo
luogo, molte ricerche compiute in questa direzione hanno fornito una
definizione di comportamento pro-sociale non sempre chiara e troppo
spesso generica. L’autrice ribadisce che solo pochi esperimenti svolti
sugli effetti positivi dei media hanno saputo dare una definizione chiara
ed esaustiva di comportamento pro-sociale. Un esempio tra questi è
quello rappresentato dalle analisi di Lee [1975]: secondo la studiosa, per
comportamento pro-sociale si deve intendere ciò che viene approvato
socialmente e valutato positivamente, in opposizione a manifestazioni
considerate per lo più socialmente indesiderabili, di tipo distruttivo e
conflittuale. In base a questa considerazione, esempi di comportamenti
tipicamente pro-sociali sarebbero le azioni altruistiche rivolte al
benessere altrui, le manifestazioni di affetto e di empatia, le azioni di
controllo su predisposizioni negative.
Un altro limite a questo campo di ricerca è quello inerente il modo in cui
i comportamenti pro-sociali vengono presentati agli spettatori televisivi.
A differenza dei comportamenti antisociali, che vengono di solito
mostrati attraverso azioni improvvise ed eclatanti, i comportamenti pro-
47
sociali passano quasi sempre inosservati e vengono di norma mediati da
processi di verbalizzazione meno diretti ed efficaci. Inoltre, a rendere
ancora più complicata la comprensione e la successiva elaborazione di
comportamenti positivi è il modo in cui i contenuti pro-sociali e i
comportamenti aggressivi vengono spesso mescolati all’interno di
specifici programmi televisivi.
48
Capitolo 3
Due effetti di percezione sociale
“La percezione comporta un atto di categorizzazione.
Noi stimoliamo l’organismo con un input adatto e
l’organismo risponde collocando questo input in una
classe di oggetti o di avvenimenti”
(J.S. Bruner)
Una sezione di questa tesi deve essere necessariamente dedicata allo
studio di due particolari effetti di percezione sociale: “l’effetto terza persona”
e “l’effetto falso consenso”. Di questi, cercheremo di definire le principali
caratteristiche, i processi di sviluppo e le interpretazioni teoriche fornite a
riguardo dai vari studiosi.
3.1 Che cosa si intende per effetto terza persona
“L’effetto terza persona” è uno specifico fenomeno di percezione sociale
che consiste, principalmente, nel sopravvalutare l’effetto dei messaggi
persuasivi veicolati dai mezzi di comunicazione di massa sugli
atteggiamenti e sui comportamenti delle altre persone, e nel sottostimare
i medesimi effetti sulla propria persona [Davison, 1983]. Spesso, nel
rapportarci a processi d’influenza sociale, siamo, infatti, indotti a pensare
che gli altri siano più vulnerabili e suscettibili all’influenza di quanto non
lo siamo noi in realtà. Questo, perché tendiamo a considerare noi stessi
49
come individui competenti e critici di fronte ad ogni tipo di
comunicazione persuasiva. L’effetto terza persona può apparire più o
meno forte in relazione al tipo di problema in questione. Poiché
ammettiamo con più facilità di essere stati influenzati da messaggi o
comportamenti socialmente desiderabili, che non da messaggi o
comportamenti socialmente indesiderabili, rispetto ai primi l’effetto
apparirà meno rilevante. Per esempio, non avremo particolari difficoltà
ad ammettere di essere stati influenzati da una campagna che invita i
giovani a non mettersi alla guida dopo aver bevuto e, pertanto, l’effetto
terza persona sarà ridotto, se non invertito. Al contrario, se si pensa che i
mass-media possano istigare comportamenti violenti nelle persone, ci si
mostrerà inclini a sottovalutare la propria vulnerabilità a fronte di queste
sollecitazioni, rimarcando così la propria differenza dagli altri [Mucchi
Faina, 1996]. Inoltre, l’effetto risulta più forte, e quindi la differenza
sé/altri aumenta, quando il soggetto è in disaccordo con la fonte su un
determinato tema che considera importante e quando il termine di
confronto è vago e distante, rispetto a quando questo è vicino [Duck e
Mullin, 1995].
L’interesse per questo fenomeno è stato introdotto da Davison nel 1983
con la pubblicazione di un articolo nel quale egli mostra i risultati di una
ricerca condotta su un gruppo di soggetti, soggetti ai quali viene chiesto
di stimare gli effetti della propaganda politica televisiva sul
comportamento e sugli atteggiamenti di voto propri e altrui. In accordo
con le ipotesi formulate dallo studioso, i soggetti credono, così, che le
altre persone siano sensibilmente più influenzate da questi messaggi
rispetto a loro stessi [Davison, 1983]. Dopo gli studi effettuati da
Davison, l’effetto terza persona ha ricevuto molta attenzione anche da
parte di altri ricercatori, i quali hanno cercato di analizzare in modo più
specifico il fenomeno attraverso interviste, questionari e metodi di
ricerca sperimentale. I risultati ottenuti in questo senso hanno dimostrato
50
quanto siano complessi e vari i meccanismi sottostanti a tale fenomeno:
per questo, cercheremo di illustrare nei prossimi paragrafi come è stato
affrontato e spiegato tale processo.
3.2 Come opera l’effetto
Ogni individuo, nel percepire gli effetti della comunicazione di massa,
tende a ritenere che le altre persone elaborino i messaggi in modo
differente da se stesso. A questo proposito, esistono, infatti, due modi di
interpretare questa disparità tra la percezione degli effetti della
comunicazione sugli altri e su stessi:
1. come sottostima dell’impatto che la comunicazione mediatica ha su se
stessi
2. come sovrastima degli effetti che i mass-media hanno sugli altri
soggetti.
Alcuni autori [Gunther, 1991] hanno tentato di spiegare tale fenomeno
chiamando in causa la similarità esistente tra l’effetto terza persona e la
“teoria dell’attribuzione causale”. I processi di attribuzione causale sono
particolari processi che le persone mettono in atto quando devono
cercare di interpretare il comportamento proprio e altrui in relazione alle
cause che lo producono, ovvero quando inferiscono le cause che stanno
dietro a specifiche azioni e sentimenti [Heider, 1958; Harvey, Weary,
1981]. Sono due i concetti fondamentali, appartenenti alla teoria
dell’attribuzione, che secondo gli studiosi sono alla base dell’effetto terza
persona: il concetto di “errore fondamentale di attribuzione” e il concetto di
“self serving bias”. Il primo concetto si riferisce alla tendenza generale di
giudizio che i soggetti manifestano quando, nell’individuare i fattori che
determinano il comportamento delle persone, sottostimano l’impatto dei
fattori situazionali mentre sovrastimano il ruolo dei fattori disposizionali.
In questo modo, nei confronti delle risposte fornite ai media dalle altre
persone, i soggetti tenderebbero a non considerare come cause primarie
51
le caratteristiche della situazione, come la tendenziosità e credibilità di
fonte o messaggio e, sottostimando gli effetti della stessa situazione
(fattori esterni), essi attribuirebbero più cambiamenti alle opinioni delle
persone. Al contrario, gli individui percepirebbero se stessi come soggetti
attenti al contenuto e alla credibilità dei messaggi provenienti dai media,
dunque si riterrebbero capaci di distinguere tra un’informazione che
merita e una che non merita di avere un forte impatto sui propri
comportamenti e atteggiamenti: così facendo, essi attribuirebbero a loro
stessi un minor numero di cambiamenti sulle proprie opinioni, come
conseguenza di una maggiore consapevolezza e considerazione dei
fattori situazionali [Ross, 1977]. Il secondo concetto, quello del “self
serving bias” [Ross, Fletcher, 1985], rappresenta la tendenza da parte
degli individui a cercare cause interne per l’attribuzione dei propri
successi individuali, biasimando gli altri per i loro fallimenti e dando
spiegazioni situazionali ai propri fallimenti e ai successi altrui. Questo,
avviene perché le persone sentono continuamente l’esigenza di
migliorare la propria immagine, attraverso il confronto con gli altri,
mostrando se stessi in una luce favorevole, mantenendo e aumentando la
propria autostima oltre a salvaguardare la propria percezione
d’invulnerabilità agli eventi esterni. Secondo questa visione, perciò, gli
individui tendono ad affermare che gli altri sono maggiormente
influenzati dai media, rispetto a loro stessi, perché il loro scopo è quello
di mantenere un certo controllo sugli eventi e di accrescere la propria
autostima. Nel caso, poi, le informazioni provenienti dai media vengano
considerate dagli stessi individui come informazioni di carattere positivo,
i soggetti si mostreranno propensi ad attribuire più effetti sulla propria
persona, perché si considereranno abbastanza attenti per riconoscerne il
valore intrinseco.
Anche Hoorens e Ruiter [1996], nel considerare l’effetto terza persona, si
riferiscono al concetto di promozione del sé (self-enhancement): in base a
52
quanto affermano i due studiosi, gli individui percepiscono le proprie
risposte ai media come più appropriate di quelle degli altri; infatti, la
tendenza generale delle persone è quella di considerarsi come più
competenti degli altri nel cogliere criticamente il tentativo di persuasione
dei messaggi veicolati dai media: inoltre, se il messaggio viene percepito
come tendenzioso, la differenziazione sé/altri tenderà ad aumentare
[Gibbon, Durkin, 1995].
Altri autori hanno cercato di fornire una spiegazione differente dei
motivi sottostanti allo sviluppo dell’effetto terza persona: in particolare,
Smith [1986] ha preso in considerazione una motivazione di carattere
cognitivo. Secondo lo studioso, gli individui avrebbero una percezione e
comprensione del proprio funzionamento psicologico molto limitata,
credendo, in maniera errata di essere immuni dall’impatto dei mass-
media. Le persone acquisirebbero, così, attraverso la propria esperienza
personale, delle particolari conoscenze in campo sociale. Queste
conoscenze verrebbero immagazzinate in memoria sotto forma di
“script” o copioni cognitivi, definiti come strutture di dati per
rappresentare concetti organizzati in memoria [Fiske, Taylor, 1991].
L’attivazione di queste specifiche strutture schematiche influenzerebbe la
codifica e l’interpretazione delle informazioni riguardanti l’oggetto stesso
dello schema (per es. i media e il loro pubblico) e creerebbe delle
aspettative che potrebbero influenzare sia il ricordo di possibili azioni, sia
il modo in cui i tratti di personalità sono interpretati. Queste conoscenze,
possono includere varie nozioni:
1. i messaggi televisivi esercitano sul pubblico un forte impatto
2. i messaggi presentati in modo realistico sono più persuasivi
3. la presentazione teatrale di un messaggio, come nelle serie televisive,
influenza maggiormente gli atteggiamenti
4. gli spettatori sono altamente influenzabili
53
Un’interpretazione come questa, si basa, dunque, sull’idea che il
sottostimare gli altri in un confronto con se stessi sia un particolare caso
di distorsione nel giudizio sociale [Tyler e Cook, 1984], in cui il sé risulta
essere implicato, anche se in modo indiretto, perché si è convinti che gli
effetti dei media su se stessi siano attenuati da un certo passaggio di
messaggi attraverso lo schema di sé, la personale vulnerabilità e altri
fattori situazionali.
Un’altra interpretazione che è stata data circa i fattori sottostanti l’effetto
terza persona è quella che prende in considerazione aspetti motivazionali
[Gunther, Mundy, 1993]. Secondo questa prospettiva, gli individui (e in
particolare gli spettatori) sentono il bisogno di credere in una propria
invulnerabilità verso gli eventi di vita negativi (life events) e di possedere
un atteggiamento di “ottimismo irrealistico” verso il futuro, per
mantenere, così alta la propria autostima e il senso di controllo verso ciò
che accade all’esterno. Un aspetto di questa “illusione di invulnerabilità”
consiste proprio nella convinzione di non considerarsi suscettibili
all’influenza della comunicazione persuasiva. Come sottolineano
Gunther e Thorson [1992], infatti, vedere se stessi come meno
vulnerabili all’influenza dei mass-media aiuta a mantenere e ad accrescere
la valutazione della propria identità. Questa spiegazione, in accordo con
le ipotesi della promozione del sé (self-enhancement view), ci permette di
confermare quanto sia improbabile che gli individui ammettano che il
processo di comunicazione di massa influenzi i propri atteggiamenti,
quando esistono motivi validi per credere che tale ammissione possa
avere conseguenze negative sulla propria immagine.
Altri studi compiuti sull’effetto terza persona, hanno messo in luce come
questo specifico meccanismo di percezione sociale possa essere
analizzato considerando non più i processi interpersonali ma quelli di
gruppo. In particolare, alcuni autori [Turner et al. , 1987] hanno cercato
di interpretare l’effetto terza persona nel quadro di quella che hanno
54
chiamato “teoria della categorizzazione del sé”. Secondo questo modello,
vi sono situazioni in cui le persone tendono a percepirsi principalmente
in termini di membri di un gruppo e in base a ciò definiscono la propria
identità sociale. In queste situazioni, in cui il sé e l’altro non sono più
percepiti come individui ma come membri di un gruppo, un processo di
categorizzazione del sé “depersonalizza” la percezione di sé e degli altri,
provocando l’accentuazione delle somiglianze fra sé e i membri
dell’ingroup e delle differenze fra i membri dell’ingroup e quelli dell’outgroup.
In questo modo, nella misura in cui il target che l’individuo giudica viene
categorizzato come appartenente ad un outgroup, esso verrà giudicato per
contrasto rispetto all’identità del soggetto, valutato negativamente e
rappresentato in modo sfavorevole, ovvero come maggiormente
vulnerabile all’influenza dei media. Al contrario, affermano gli studiosi, i
target categorizzati all’interno del medesimo gruppo a cui l’individuo
sente di appartenere, saranno assimilati all’individuo stesso e giudicati in
modo più favorevole, ossia come meno vulnerabili all’influenza dei mass-
media. Questi effetti di assimilazione e contrasto sono potenziati dalla
forza del sentimento di appartenenza al gruppo, cioè dal livello di
identificazione con esso.
3.3 In quali condizioni si manifesta
Gli studi compiuti sull’effetto terza persona si sono concentrati,
principalmente, sulla definizione delle condizioni di base attraverso le
quali l’effetto si presenta e si sviluppa, focalizzandosi, in particolare, su
determinati aspetti che ne rendono possibile l’attuazione. Alcune
ricerche, infatti, hanno preso in considerazione variabili come le
caratteristiche della fonte e del messaggio, altre, hanno considerato le
proprietà del soggetto percepente e del target di confronto.
Alla prima corrente, si rifanno gli esperimenti compiuti da Innes e Zeitz
[1989], i quali suggeriscono che la percezione della differenza sé/altri, nei
55
confronti di una vulnerabilità all’influenza dei media, tende ad aumentare
quando il contenuto del messaggio è percepito dai soggetti come
dannoso o socialmente indesiderabile. Inoltre, tale percezione sembra
presentarsi anche quando la fonte della comunicazione è vista come
tendenziosa, non attendibile e, di conseguenza, non degna di fiducia
[Cohen, 1988]. In opposizione a tali considerazioni, alcune ricerche
dimostrano che se l’influenza mediatica viene percepita dagli individui
come socialmente desiderabile (per es. campagne di sensibilizzazione
sociale), l’effetto terza persona si mostrerà invertito e i soggetti si
percepiranno come maggiormente influenzabili rispetto al target di
confronto [Duck, Mullin, 1995]. Questo, sembra avvenire perché
l’ammissione di essere influenzati da messaggi che si ritiene abbiano un
contenuto di carattere positivo, può essere vista come un indicatore di
caratteristiche e tratti di personalità tendenti al rigore morale e
all’umanità della persona. Altri studiosi [Hoorens e Ruiter, 1996],
suggeriscono che anche l’esplicito o implicito intento persuasivo degli
argomenti trattati nel processo di comunicazione, rappresenta un fattore
fondamentale nel determinare la desiderabilità mostrata dal soggetto nei
confronti della stessa influenza. Essi, infatti, dimostrano che la
desiderabilità dell’influenza tende a diminuire per quei messaggi che
presentano in modo chiaro ed esplicito il loro intento persuasivo.
Tra le ricerche che si sono interessate alle caratteristiche dell’individuo
come condizione per l’attuazione dell’effetto terza persona, ricordiamo
quelle di Lasorsa [1989]. Gli esperimenti compiuti a riguardo, dimostrano
che la percezione della differenza tra sé e gli altri tende ad aumentare nel
caso in cui la persona si ritenga molto informata o particolarmente
coinvolta sul problema in questione. In questo processo, però, sembra
non essere del tutto chiaro se chi si percepisce come esperto su un certo
tema, tenda a sovrastimare gli effetti della comunicazione mediatica sugli
altri o, al contrario, attribuisca meno influenza su di sé, per il fatto di
56
considerare la propria particolare conoscenza come possibile scudo
all’influenza dei media. Perloff [1989], ci tiene a sottolineare che questo
processo potrebbe essere la conseguenza di un’ostilità mostrata dagli
individui nei confronti dei media, ostilità che porterebbe i soggetti
coinvolti in un determinato problema a percepire i contenuti dei media
come contrastanti con la propria posizione. Ciò, potrebbe condurre le
persone ad attribuire questo maggiore effetto sugli altri, in relazione a
contenuti che supportano la posizione da loro ritenuta errata.
Un terzo campo di ricerca ha indirizzato la propria analisi nei confronti
della natura delle persone con cui i soggetti normalmente tendono a
paragonarsi. Dai risultati di alcuni studi [Gunther, 1991; Duck, Hogg,
Terry, 1995], emerge che l’ampiezza di discrepanza tra sé e gli altri può
dipendere dalle caratteristiche delle persone con cui ci si confronta. Più
queste persone risultano essere vaghe, generali e distanti da sé (per es.
studenti differenti o altri elettori), più la differenza sé/altri sarà percepita
dagli individui come fondamentale ed evidente. Al contrario, sostengono
gli studiosi, più il confronto viene fatto con persone vicine al soggetto
(amici, familiari, compagni di studio o lavoro), più la differenza tra sé e
gli altri apparirà meno significativa: questo meccanismo può essere
spiegato come una distorsione a favore del sé, distorsione che verrebbe,
così, estesa fino all’inclusione di amici vicini e familiari.
Un altro aspetto che deve essere messo in luce nel processo di analisi
sull’effetto terza persona, è certamente quello inerente le conseguenze
che il fenomeno di percezione sociale può avere sul comportamento
degli individui. Lo stesso Davison [1983], nell’esporre il concetto di
effetto terza persona come la predisposizione degli individui a
sovrastimare gli effetti della comunicazione persuasiva sugli altri, ritiene
che questa particolare percezione abbia un effetto sul comportamento.
Egli, infatti, è convinto che gli effetti negativi dei messaggi mediatici
portino i soggetti ad attuare azioni “preventive” o “compensatorie”. In
57
questa direzione, gli effetti che i messaggi persuasivi hanno su
atteggiamenti e comportamenti individuali non sarebbero causati da un
impatto diretto del messaggio, ma da un effetto indiretto, dovuto,
appunto, alle azioni preventive o compensatorie di coloro che ritengono
che le altre persone ne saranno altamente influenzate.
La tendenza a ritenere che la comunicazione persuasiva possa avere
maggiori conseguenze sugli altri che su se stessi porta, quindi, ogni
individuo ad attuare specifiche risposte comportamentali. Questa ipotesi,
che risulta essere la conseguenza diretta di quanto è dimostrato da
Davison [1983], ci permette, perciò, di rilevare come i nostri
comportamenti sociali siano, in realtà, guidati da una nostra specifica
percezione di realtà.
Non tutte le ricerche compiute in questo senso, però, hanno permesso di
dimostrare l’esistenza di possibili effetti comportamentali del fenomeno
terza persona [Perloff, 1993]. La spiegazione che viene fornita a tale
conclusione è quella che le persone non mostrerebbero un
comportamento atteso, perché potrebbero credere che la loro
prospettiva e le loro opinioni siano molto differenti dalle opinioni della
maggioranza del pubblico in generale. Questo effetto, che prende il
nome di “spirale del silenzio” [Noelle Neumann, 1974], condurrebbe gli
individui a inibire la propria manifestazione di atteggiamenti e
comportamenti.
3.4 Che cosa si intende per effetto falso consenso
“L’effetto falso consenso” è un altro effetto di percezione sociale che consiste
nella tendenza a percepire il proprio comportamento come tipico e
nell’assumere che in determinate circostanze le altre persone si
comportino allo stesso modo. Questo effetto, evidenziato per la prima
volta da Ross, Green e House in un loro studio pubblicato nel 1977,
rappresenta un tipico esempio di giudizio tendenzioso a proprio favore
58
(o bias). Come sottolineato precedentemente, i giudizi attribuzionali a
favore del sé sono il risultato di una limitazione percettiva e cognitiva
mostrata dagli individui durante i vari processi di definizione delle
situazioni [Forgas, 1985]. Tutti noi, infatti, siamo propensi a considerare
noi stessi come persone socialmente “normali” e questa convinzione ci
porta, molto spesso, a credere che in situazioni abbastanza importanti ci
comporteremo come la maggior parte delle persone che ci circondano.
Questo tipo di percezione, però, non sempre rispecchia la realtà dei fatti
e il risultato di tale processo è la creazione di quello che viene definito un
“consenso” distorto. Come abbiamo affermato, l’interesse per l’effetto
falso consenso è stato introdotto per la prima volta da Ross, Green e
House grazie al risultato di alcuni esperimenti da loro compiuti nel 1977.
La loro ricerca, infatti, riporta una serie di studi che dimostrano che le
persone tendono a percepire un effetto falso consenso per le loro stesse
credenze e comportamenti di vita quotidiana. Essi, descrivono questa
particolare distorsione di percezione sociale come la tendenza delle
persone a considerare le proprie scelte e i giudizi comportamentali come
relativamente comuni e appropriate e nel ritenere le posizioni opposte
alle proprie come inappropriate o devianti [Ross, Green, House, 1977].
In uno dei loro studi, i ricercatori chiedono a gruppi di studenti
appartenenti alla “Standford University” di partecipare ad alcuni semplici
esperimenti inerenti il processo di persuasione e il cambiamento degli
atteggiamenti; agli studenti, che acconsentono volontariamente di aderire
alla ricerca, viene domandato di camminare per circa trenta minuti,
attorno alla propria Università, indossando un cartellone (“sandwich
board”) con la scritta “Pentiti” (“Repent”). Il principale compito dei
partecipanti è quello di segnare, su un apposito foglio, il numero di
persone che, incontrandoli, risponderanno a questa affermazione,
specificando se tale risposta abbia una rilevanza positiva, negativa o
neutrale. Agli studenti che decidono di partecipare al progetto viene
59
chiesto, poi, di stimare la percentuale di coetanei che sceglieranno la loro
stessa posizione e, a quelli che rifiutano di aderire all’esperimento, di
stimare la percentuale di quelle persone che si comporteranno nel
medesimo modo. I risultati della ricerca confermano quanto gli studiosi
ipotizzano in termini di effetto falso consenso: coloro che acconsentono,
pensano che il 63,5% degli studenti facciano la stessa scelta, mentre,
coloro che non aderiscono, a loro volta sono convinti che il 67% di tutti
gli studenti rifiutino di portare il cartello. Tale risultato dimostra, perciò,
una tendenza delle persone, indipendentemente dalla scelta operata, a
considerare più frequente negli altri la posizione coerente con la propria.
3.5 Come opera l’effetto e in quali condizioni
In base a quanto viene sottolineato da Marks e Miller [1987], il
paradigma per esaminare l’effetto falso consenso è uno in particolare:
agli individui viene generalmente chiesto di indicare i propri
atteggiamenti o comportamenti attraverso una misura dicotomica (sì –
no, accordo – disaccordo). Successivamente, agli stessi viene chiesto di
indicare la percentuale di persone che sceglierebbero una risposta
piuttosto che un’altra: secondo gli studiosi, gli individui percepiscono un
falso consenso quando le stime di consenso per le proprie posizioni
oltrepassano le stime per quelle posizioni ritenute differenti e opposte. I
due studiosi, nell’esaminare il sistema di crescita e di sviluppo dell’effetto
falso consenso, cercano di interpretare questo specifico fenomeno di
percezione sociale alla luce di quattro prospettive teoriche, prospettive
che, secondo la loro opinione, permetterebbero di interpretare in modo
più specifico i processi sottostanti all’effetto. Secondo Marks e Miller le
quattro prospettive sarebbero:
1. l’esposizione selettiva e la disponibilità cognitiva
2. la salienza
3. il processo d’informazione logica
60
4. il processo motivazionale
Ognuna di queste prospettive, facente parte di una specifica corrente di
studi, fornirebbe, così, spiegazioni differenti del fenomeno di falso
consenso ma è probabile, secondo gli autori, che alcuni di questi
meccanismi operino assieme per arrivare a produrre l’effetto stesso.
Esposizione selettiva e disponibilità cognitiva
Una prima spiegazione che può essere fornita in relazione al processo di
falso consenso rimanda ai concetti di esposizione selettiva e di
disponibilità cognitiva. Questa prima prospettiva tende, infatti, ad
affermare che gli individui cercano normalmente la compagnia di
persone a loro simili o che si comportano in maniera simile. In questo
caso, la stima di frequenza prodotta dagli individui sui comportamenti
simili ai propri non farebbe altro che riflettere un campione tendenzioso
di informazioni, a cui il soggetto ha accesso quando recupera dalla
memoria i possibili esempi di comportamento. La percezione di
similarità di comportamento che le persone mostrano di avere durante il
processo di falso consenso, sarebbe, perciò, la conseguenza della facilità
con cui la stessa evidenza di similarità viene recuperata dalla memoria del
soggetto (euristica di disponibilità). Gli stessi Tversky e Kahneman
[1973] definiscono l’euristica di disponibilità come una strategia di
pensiero che tende ad essere utilizzata dagli individui ogni volta che
questi stimano la frequenza o la probabilità di un determinato evento:
questa euristica si basa sulla velocità con cui “vengono alla mente”
esempi o associazioni che si riferiscono alla categoria su cui il giudizio del
soggetto deve essere espresso. Alla luce di questa prospettiva, Marks e
Miller ritengono che Ross e gli altri autori, nel formulare e dimostrare
l’effetto falso consenso, abbiano applicato questa euristica di
disponibilità alle stime di consenso percepito, suggerendo che i possibili
esempi di similarità o di accordo tra se se stessi e le altre persone abbiano
61
un maggior accesso in memoria rispetto a esempi di disaccordo o
disuguaglianza, e che gli stessi esempi possano accrescere, così, le stime
di consenso per le proprie posizioni. Secondo Ross [1977] ed altri
[Berscheid, Walster, 1978; Newcomb, 1961], gli esempi di similarità o di
accordo messi in atto durante il processo di falso consenso, sarebbero
facilmente disponibili in memoria perché la tendenza delle persone
sarebbe, appunto, quella di associarsi normalmente, secondo un principio
di esposizione selettiva, ad individui più simili a sé, piuttosto che a
persone differenti. Così, infatti, Marks e Miller [1987, pag. 73] riferiscono
di questa propensione individuale: “People tend to live in communities with
others of their socio-economic status, and they tend to work with others who share their
training and professional values. Through de facto selective exposure, people tend to be
exposed to others whose opinions and values are similar to their own …Therefore, the
people one encounters in day-to-day life tend to be a sample of individuals who are like
oneself “. Anche altri autori come Sherman, Presson, Chassin, Chorty
[1983] suggeriscono che il principio di esposizione selettiva risulta essere
un maggior contribuente nello sviluppo dell’effetto falso consenso.
Questi studiosi, infatti, dimostrano l’esistenza di uno stretto legame tra
l’esposizione selettiva e le stime di consenso attuate dagli individui. In
particolare, essi sottolineano come l’esposizione selettiva del soggetto sia
maggiore nei confronti del gruppo sociale a sé ritenuto più vicino. In
base a questa considerazione, l’effetto falso consenso diminuirebbe o, in
determinate circostanze, tenderebbe addirittura a scomparire nel caso in
cui gli individui stimino il consenso verso specifici target group, ai quali essi
non sono stati precedentemente esposti in maniera selettiva. Per
confermare tale posizione, gli studiosi hanno effettuato un esperimento
su gruppi di adolescenti fumatori e non. I risultati illustrati da Sherman e
dagli altri autori [1983] dimostrano come la propensione all’effetto falso
consenso manifestata da gruppi di adolescenti fumatori e non, risulti
minore quando il target di riferimento è rappresentato da gruppi di
62
uomini adulti, piuttosto che da gruppi di ragazzi e ragazze della propria
scuola. Tale aspetto è la diretta conseguenza del fatto che, in relazione a
questi gruppi, il soggetto non dispone prontamente in memoria di
possibili esempi di similarità sé/altri.
Salienza
Un’altra interpretazione riferibile al fenomeno di falso consenso è quella
riguardante il principio di salienza. Secondo tale prospettiva, alla base
dell’effetto falso consenso vi sarebbe la convinzione che per il soggetto
una data opinione o convincimento potrebbe essere particolarmente
saliente.
Diversi autori [Marks, Miller, 1987; Arcuri, 1995] sottolineano
l’importanza svolta dal principio di salienza. In particolare, precisano che,
quando un individuo focalizza la propria attenzione esclusivamente su di
una singola posizione, il consenso percepito potrebbe aumentare, in
quanto quella posizione è l’unica di cui il soggetto è pienamente
consapevole. Al contrario, quando si tende a focalizzare la propria
attenzione su due o più posizioni, le stime di consenso, relative alle
stesse, potrebbero essere distribuite in modo uniforme e paritario.
Un esperimento che ha messo in luce la valenza del principio in esame, è
quello effettuato da Marks e Miller [1985] su di un gruppo di studenti
frequentanti il college. Agli studenti viene sottoposto l’estratto di un caso
giuridico, oggetto di pronuncia di una corte federale: il loro compito è
quello di esprimere un proprio giudizio di colpevolezza o innocenza a
riguardo. Successivamente, agli stessi viene domandato di attribuire un
verdetto di colpevolezza o innocenza nei confronti di tre differenti target
di persone: i propri migliori amici, i conoscenti, gli studenti coetanei. I
risultati della ricerca dimostrano che le persone che appaiono convinte
della propria posizione, tendono a sovrastimare questa stessa posizione
in una percentuale più larga rispetto a quei soggetti che, al contrario,
63
risultano insicuri della propria personale opinione. Da ciò, deriva il fatto
che l’attenzione o il pensiero rivolti da un individuo nei confronti di una
particolare posizione (propria o altrui), influisce sul consenso percepito
per quella stessa posizione.
Gli stessi Marks e Miller [1985, pag. 166] riassumono così il principio di
salienza e il suo ruolo all’interno del meccanismo di falso consenso:
“When people are highly certain about their opinion, they are likely to be focused on
this position and not likely to be thinking about other potential rival positions. As a
consequence, only the preferred position is readily available to them …and this
availability may promote attribution of opinion similarity. On the other hand, when
people are uncertain about the correctness of the position they have adopted, rival
positions as well as the preferred one are likely to be salient or available in memory.
Consequently, substantial consensus may not be attributed to any one position”.
Processo d’informazione logica
Il processo d’informazione logica rappresenta un’altra prospettiva teorica
alla base del fenomeno di falso consenso. Tale approccio considera i
processi razionali come sottostanti alle stime che un individuo tende ad
attuare circa la similarità tra se stessi e gli altri. Il processo di attribuzione
causale [Heider, 1958] è un chiaro esempio di questa prospettiva. Heider
afferma che la natura stessa dell’attribuzione causale può influenzare le
ipotesi che un soggetto formula riguardo la comunanza di uno specifico
comportamento. Da ciò deriva il fatto che se un soggetto attribuisce la
causa di un comportamento altrui a un oggetto o a una situazione (fattori
esterni), la persona percepirà un alto grado di consenso per quel
comportamento. Al contrario, se un soggetto attribuisce la causa di un
comportamento altrui a fattori disposizionali (fattori interni alla persona),
egli sarà meno propenso a percepire una similarità di risposta tra se
stesso e gli altri. In base a questa prospettiva, perciò, esistono alcuni
fattori che possono aumentare o diminuire la portata del fenomeno di
64
falso consenso: in specifico, esso risulta essere particolarmente forte
quando i fattori situazionali e le condizioni d’ambiente sono percepiti
come responsabili di un comportamento; al contrario, l’effetto sembra
affievolirsi quando emergono delle attribuzioni disposizionali del
comportamento stesso [Jones, Nisbett, 1971; Zuckerman, Mann, 1979].
La considerazione che il processo di attribuzione causale possa avere
un’influenza fondamentale sulle stime di consenso attuate da un
individuo, trova riscontro in alcuni esperimenti compiuti da McArthur
[1972], Zuckerman e Mann [1979]. In uno di questi studi, ad un gruppo
di studenti liceali vengono sottoposte alcune dichiarazioni che
descrivono determinati eventi comportamentali (es. “Nancy si diverte ad
un concerto di musica jazz”) e i fattori che possono causare tali eventi.
Alcune cause sono attribuite a fattori personali (es. “Nancy si diverte al
concerto di musica jazz per motivazioni di carattere personale”), altre ad
un oggetto o alle circostanze della situazione (“la reazione di Nancy è
dovuta a motivazioni di carattere situazionale”). Successivamente, agli
stessi soggetti viene richiesto di indicare su una scala a 9 punti il numero
di altre persone che si potrebbero divertire ugualmente al concerto. I
risultati dimostrano che le stime di consenso effettuate dai soggetti su
specifici eventi comportamentali, risultano essere significativamente più
grandi quando la causa dell’evento viene attribuita a fattori situazionali,
piuttosto che a fattori personali.
Processo motivazionale
Un’ultima prospettiva teorica che, secondo Marks e Miller [1987],
permette di interpretare il fenomeno di falso consenso è quella che
prende in considerazione determinati fattori motivazionali.
In base a questa visione, la percezione di similarità che gli individui
tendono ad attuare durante un processo di falso consenso, potrebbe
essere la diretta conseguenza di un profonda esigenza di approvazione
65
sociale. Ogni individuo, infatti, nel rapportarsi agli altri, sente il bisogno
di considerare i propri convincimenti e i propri comportamenti come
appropriati, tipici e dotati di validità: in questo caso, attribuire tali
comportamenti anche agli altri non farebbe che rafforzare la propria
autostima e mantenere un personale equilibrio cognitivo [Arcuri, 1995].
Lo stesso Festinger [1954], nel formulare la “teoria del confronto
sociale”, sottolinea come l’opinione di un individuo si mostri corretta e
valida solamente nella misura in cui tale credenza risulti appartenere
anche ad altre persone. Secondo lo studioso, infatti, le persone tendono
continuamente a confrontare le proprie posizioni con quelle degli altri, al
fine di rilevarne la correttezza e la positività. Uno studio che ha messo in
luce l’importanza del mantenimento di autostima all’interno del
meccanismo di falso consenso, è quello che è stato eseguito da Suls e
Wan [1987] su un gruppo di ragazze adolescenti che mostrano una
specifica avversione nei confronti di alcuni insetti (ragni). Durante la
ricerca, alle ragazze viene chiesto di stimare il numero di altre coetanee
che si ritiene possiedano le medesime paure. I risultati dell’esperimento,
in linea con le ipotesi di falso consenso, dimostrano che la tendenza dei
soggetti altamente coinvolti nel problema è quella di sovrastimare la
frequenza del proprio comportamento sugli altri, mentre, la tendenza dei
soggetti coinvolti in maniera minore è, appunto, quella di sottostimare la
stessa frequenza di comportamento in relazione ai propri coetanei.
Dietro a questo meccanismo si celerebbe, secondo gli autori, un bisogno
primario delle persone nel mantenere alta la propria autostima, per
ridurre così la tensione che si associa ad ogni tipo di interazione sociale.
Gli stessi Marks e Miller [1987] ci tengono a sottolineare che queste
diverse prospettive teoriche non esauriscono in se stesse la spiegazione
dell’effetto falso consenso ma, al contrario, esse rappresentano
solamente quattro possibili interpretazioni di un fenomeno di percezione
66
sociale, nei confronti del quale numerosi studi devono ancora essere
compiuti.
3.6 Uno studio specifico
Prima di illustrare la fase di ricerca vera e propria di questa tesi è
necessario dedicare una piccola sezione di questo lavoro alla
presentazione di uno studio esplorativo che è stato effettuato in relazione
agli effetti dei mass-media sugli spettatori televisivi.
Questa ricerca appare fondamentale ai fini del presente lavoro, anche
perché ha costituito il punto di partenza per la dimostrazione delle
ipotesi avanzate durante la nostra indagine.
In specifico, facciamo riferimento allo studio condotto da Cavazza e
Palmonari [1999] su di un gruppo di oltre trecento soggetti adulti, di età
compresa tra i 18 ed i 69 anni. Scopo della ricerca è stato quello di
indagare come uno spettatore televisivo si rappresenti il rapporto
esistente tra media e pubblico e come definisca se stesso nell’ambito di
tale binomio. In particolare, i ricercatori hanno inteso esplorare tale
fenomeno nell’ambito politico (ideologie di destra e di sinistra).
Durante la fase di ricerca, è stato somministrato ai soggetti campione un
questionario costituito da indicatori di comportamento di consumo
televisivo proprio ed altrui, di opinioni sull’influenza dei programmi
televisivi e delle rispettive cause. Il questionario è stato distribuito in tre
diverse regioni d’Italia ( Marche, Emilia Romagna e Veneto) nel periodo
compreso tra il settembre 1997 e l’Aprile 1998.
I partecipanti alla ricerca sono stati scelti tra nuclei d’appartenenza a
movimenti politici (Forza Italia, Alleanza Nazionale, Partito
Democratico della Sinistra, Partito Popolare) e all’interno di biblioteche
universitarie.
L’ipotesi da cui sono partiti gli autori, riguarda il fatto che uno spettatore
televisivo tenderà a rappresentare il binomio media-pubblico soprattutto
67
in relazione all’immagine che egli ha di sé come fruitore del sistema di
comunicazione mediale [Cavazza, Palmonari, 1999]. In base a tale
considerazione, si presume che il sistema di rappresentazione del flusso
di influenza tra mass-media e spettatori si possa strutturare in una
relazione costituita da tre vertici, ovvero mass-media, audience e se stessi
in qualità di spettatori.
In questa relazione triangolare si ipotizza che ciascun vertice sia
strettamente connesso con gli altri due e, in particolare, che il legame che
unisce da una parte i media come agenti di influenza di idee e
comportamenti e, dall’altra, gli spettatori, sia molto forte.
La percezione e l’elaborazione di tale potere saranno regolate da
identificazioni in gruppi sociali (partiti e movimenti politici) e le
rappresentazioni dei vertici relativi ai media ed agli spettatori appariranno
complementari e moderate dall’orientamento politico (media
forti/audience debole; media deboli/audience forte) [Cavazza,
Palmonari, 1999].
Il terzo vertice, quello inerente alla rappresentazione di sé come fruitore
del sistema di comunicazione mediale, risentirà della concezione tale per
cui la vulnerabilità all’influenza televisiva viene di norma considerata da
un soggetto come una caratteristica socialmente negativa.
Di conseguenza, un individuo esposto all’influenza televisiva tenderà a
sovrastimare gli effetti dei messaggi persuasivi sul target di confronto e a
sottostimare tali effetti su di sé [Gibbon, Durkin, 1995].
Egli, peraltro, sarà portato a sovrastimare il consenso altrui sulle proprie
opinioni e la frequenza di comportamenti simili al proprio, secondo un
effetto di falso consenso [Ross, Green, House, 1977].
In base a quanto affermato, Cavazza e Palmonari hanno ipotizzato che le
persone ideologicamente di destra tenderanno a sostenere che gli
spettatori sono in grado di elaborare in modo critico le proprie personali
idee e che la Televisione non possa influenzare l’opinione pubblica.
68
Al contrario, le persone ideologicamente di sinistra rileveranno
l’esistenza di un’alta vulnerabilità delle persone all’influenza, nonché di
cambiamenti di opinione causati da trasmissioni televisive.
I risultati della ricerca hanno dimostrato che più i mass-media vengono
considerati dagli individui come strumenti potenti, più i telespettatori
sono giudicati facilmente influenzabili. Questa complementarietà, però,
non è stata moderata dall’orientamento politico dei rispettivi intervistati,
come è stato ipotizzato inizialmente. In particolare, le persone di sinistra
non mostrano una maggiore considerazione di pericolosità dei media
rispetto a quelle di destra. Per quanto riguarda la concezione di sé come
fruitore dei mass-media, è stato dimostrato come questa concezione non
si differenzi sulla base delle varie appartenenze politiche o sul livello di
coinvolgimento personale alla politica [Cavazza, Palmonari, 1999]. Gli
individui, infatti, si sono ritenuti meno influenzabili rispetto agli altri,
come conseguenza della capacità di mantenere un proprio senso critico
in qualità di spettatori. Inoltre, come ipotizzato, i partecipanti alla ricerca
hanno sovrastimato il consumo televisivo altrui rispetto al proprio e così
anche le scelte simili alle proprie in base ad un effetto di falso consenso
[Ross, Green, House, 1977].
69
Capitolo 4
La ricerca
Il tema dell’influenza mass-mediatica e degli effetti dei contenuti veicolati
dai media sulle opinioni e sui comportamenti del pubblico è un tema che
sembra aver ricevuto molta attenzione da parte delle scienze sociali, fin
dalla nascita dei primi sistemi di comunicazione avvenuta a inizio
Novecento. Lo stesso Katz (1980) descrive la ricerca sulle comunicazioni
di massa come una storia fatta di oscillazioni tra concezioni opposte: ad
una fase in cui gli studiosi sottolineano il potere incontrastabile di
influenza dei media su folle di spettatori passivi (“Teoria della società di
massa”), si contrappone una fase successiva in cui si evidenzia la capacità
degli individui di combattere attivamente ogni tentativo di persuasione,
rendendo gli effetti dei media pressoché trascurabili (“Modello degli usi e
delle gratificazioni”).
Lo studio degli effetti dei media sulle opinioni dei singoli individui si è
sempre di fatto intrecciato con l’interesse per la definizione del loro
ruolo all’interno delle moderne società. Le domande che molti scienziati
si sono posti nel corso degli anni sembrano essere le medesime: “Come
possiamo concepire i mass-media? Quali sono le loro caratteristiche? Si
tratta di strumenti di manipolazione al servizio della costruzione di un
consenso o semplicemente di mezzi educativi il cui fine è quello di
permettere una maggiore partecipazione alla vita pubblica?
Studiare gli effetti dei mezzi di comunicazione di massa ha dunque
significato per le scienze sociali fornire una rappresentazione dei media
in termini di efficacia e finalità, rappresentazione che si è sempre
accompagnata a una concezione dell’audience come composta da
individui attivi o passivi nei loro confronti. Tutto questo, però, senza
70
prendere in considerazione il punto di vista del singolo spettatore:
difficilmente gli scienziati sociali si sono domandati in che modo lo
spettatore si rappresenti quel rapporto che lega media e pubblico tra
loro. Eppure, le ricerche effettuate sul cambiamento degli atteggiamenti
ci hanno confermato quanto sia rilevante il ruolo del ricevente all’interno
del processo di comunicazione: sappiamo che egli non può essere
considerato allo stesso tempo né come essere passivo né come vigile
attento e critico e che determinati fattori personali e situazionali tendono
a far oscillare lo spettatore fra questi due estremi (Kruglanski e
Thompson, 1999). Inoltre, dai primi esperimenti compiuti in questo
ambito (Hovland, Janis, Kelley, 1953), risulta abbastanza chiaro che se il
ricevente percepisce nella fonte d’informazione un possibile intento
persuasivo, egli sarà più motivato al vaglio critico dei contenuti e alla
resistenza al cambiamento.
In base a quanto affermato, risulta perciò fondamentale, ai fini della
nostra ricerca, cercare di rispondere a un quesito così semplice ma allo
stesso tempo rilevante come quello precedentemente esposto: “Come
concepisce lo spettatore il binomio media – pubblico?”. Solamente
affrontando questo tema saremo in grado di definire quale potere di
influenza il singolo spettatore accredita ai mezzi di comunicazione di
massa e quale capacità critica riconosce a se stesso e al pubblico in
generale. Lo scopo, infatti, di questa nostra ricerca è quello di indagare
quel sistema di rappresentazione sociale che si viene a creare intorno alla
relazione triangolare tra audience, spettatore e mass-media. A differenza,
però, di quanto è stato fatto fin ora in letteratura, cercheremo di
approfondire questo rapporto in una nuova luce, utilizzando come
oggetto dei nostri studi uno spettatore non più adulto ma ancora
adolescente.
71
4.1 Ipotesi
In linea con le ricerche di Cavazza e Palmonari (1999), abbiamo posto le
seguenti ipotesi di ricerca:
a) assumendo il punto di vista dello spettatore, dobbiamo considerare il
fatto che egli tenderà a formulare una rappresentazione del binomio
media – pubblico in relazione all’immagine che egli ha di se stesso come
fruitore del sistema di comunicazione mediale. Per questo motivo,
ipotizziamo che il sistema di rappresentazione del flusso di influenza fra
mass-media e spettatori si strutturi nella relazione fra tre vertici: media,
audience, se stessi, dove ciascun vertice sia in stretta correlazione con gli
altri due.
Audience
Io spettatore
Mass-media
b) Ci aspettiamo che il dibattito presente nella letteratura sugli effetti dei
media e sulla capacità dell’audience di contrastarli si rifletta anche nelle
rappresentazioni del senso comune. Dovremmo quindi rilevare un
legame molto forte fra la concezione della capacità da parte dei mezzi di
comunicazione di indurre atteggiamenti e comportamenti e la capacità da
parte dell’audience di contrastare questa tendenza. Inoltre, crediamo che la
percezione e la successiva elaborazione di una rappresentazione di tale
potere siano regolate da specifiche identificazioni di adolescenti in gruppi
sociali (differenti tipi di Istituti scolastici). Le rappresentazioni dei vertici
72
relativi ai mass-media e all’audience dovrebbero quindi apparire
complementari tra loro (media forti/audience debole – media
deboli/audience forte) e moderate dalla relativa appartenenza dei ragazzi
a diversi gruppi di provenienza scolastica.
c) per quanto riguarda la rappresentazione di sé come fruitore di media,
ci aspettiamo che gli spettatori adolescenti, in linea con gli studi
sull’effetto della terza persona (Gibbon e Durkin, 1995), considerino la
propria vulnerabilità all’influenza mass-mediatica come caratteristica
socialmente indesiderabile, portatrice di un senso di inadeguatezza.
Inoltre, in linea con l’effetto di falso consenso, ogni individuo dovrebbe
considerare i propri comportamenti e i giudizi che elabora su di sé come
àncora per valutare i comportamenti e i giudizi degli altri. Per queste
ragioni, riteniamo che la concezione di sé come spettatore critico
dovrebbe produrre una maggiore distanza tra sé e gli altri nel caso di
concezione dell’audience come molto vulnerabile rispetto alla
considerazione dell’audience come difficilmente influenzabile.
Spettatore critico +
Audience poco vulnerabile
_
Audience molto
vulnerabile
73
d) Ci aspettiamo, inoltre, che l’effetto di terza persona emerga anche in
riferimento al rapporto fra il proprio gruppo di appartenenza e altri
gruppi: in questo caso ipotizziamo che gli adolescenti tenderanno a
considerare se stessi e i membri del proprio gruppo di provenienza
sociale (ragazzi della stessa età e studenti del medesimo Istituto) come
categoria meno influenzabile rispetto ad altri gruppi ritenuti socialmente
distanti da questo (persone di ètà differenti e studenti appartenenti ad
altri Istituti). In linea con le ricerche di Duck e Mullin (1995), riteniamo,
più in generale, che la tendenza a differenziare se stessi dagli altri, in
relazione all’influenzabilità, aumenti proporzionalmente alla distanza
sociale fra sé e il target di confronto e che questa tendenza si prospetti
particolarmente rilevante nel caso in cui i contenuti dei media risultino
negativi, rispetto a quando questi mostrino una loro valenza positiva.
Influenzabilità dei
Mass-media
Ingroup
Outgroup
Se stessi
_ +
74
4.2 Disegno Sperimentale
4.2.1 Soggetti
Hanno partecipato alla ricerca in forma volontaria 300 studenti (112
maschi e 188 femmine) di tre Istituti Superiori (Liceo Classico, Liceo
Scientifico, Istituto Tecnico Commerciale) di età compresa tra i 13 e i 20
anni (media = 15,91 ds = 1,50), contattati al mattino con la disponibilità
dei professori durante le singole ore di lezione. I questionari sono stati
somministrati nella città di Reggio Emilia nel mese di Aprile 2003. La
ricerca è stata presentata come un’indagine sulle opinioni che gli studenti
delle Scuole Superiori hanno a proposito della Televisione. La fase di
ricerca vera e propria è stata preceduta da una fase di pre-test, svolta nei
mesi di Gennaio, Febbraio, Marzo 2003. Per questa prima fase, sono
stati coinvolti 30 studenti di età variabile tra i 14 e i 18 anni, contattati in
vari momenti della giornata all’interno di centri sportivi o di specifiche
associazioni culturali. I pre-test sono stati presentati come ricerche
riguardanti il rapporto tra mass-media e ragazzi degli Istituti Superiori di
Reggio Emilia.
4.2.2 Strumenti
Nella fase di pre-test, è stato sottoposto ai ragazzi e alle ragazze un
semplice compito di tipo carta e penna che consisteva nell’elencare,
all’interno di appositi riquadri, tutte le trasmissioni televisive di vario
genere maggiormente seguite nel corso della giornata e tutte quelle meno
seguite. Come risultato dei pre-test, sono stati scelti i 10 programmi
televisivi più seguiti dai ragazzi:
1. Zelig (Italia 1)
2. Amici di Maria de Filippi (Canale 5)
3. Sarabanda (Italia 1)
75
4. Mai dire Domenica (Italia 1)
5. Select (Mtv)
6. Passaparola (Canale 5)
7. Telegiornali (Rai/Mediaset)
8. Le iene (Italia 1)
9. Smallville (Italia 1)
10. I Simpson (Italia 1)
Queste trasmissioni sono state successivamente utilizzate come item del
nostro questionario di ricerca.
Durante la fase di ricerca vera e propria, è stato somministrato al
campione di riferimento un questionario costituito da indicatori di
comportamento di consumo televisivo, di opinioni sull’influenza dei
programmi televisivi e le sue cause, di stima di realtà (dei comportamenti
di consumo televisivo da parte di altri studenti adolescenti della
medesima età). Questi indicatori costituiscono le variabili dipendenti
della nostra ricerca. Nelle ultime pagine del questionario è stato chiesto a
ciascun soggetto di indicare le proprie caratteristiche anagrafiche (età e
sesso). Quest’ultime, invece, sono state utilizzate come variabili
indipendenti.
Opinioni sulla tendenza all’influenzabilità sé/altri
Nella prima batteria di item si richiedeva ai soggetti di giudicare il grado
di influenzabilità generica dalla Televisione di 12 categorie di persone, su
una scala a 7 punti, dove 1 = “per niente” e 7 = “moltissimo”. Le 12
categorie di confronto, includevano target ritenuti vicini al soggetto
(ragazzi e ragazze della propria età, studenti del proprio Istituto e di
scuole differenti), categorie più distanti (adulti, anziani, familiari,
insegnanti), target che richiamavano a caratteristiche più generali (persone
76
molto istruite, persone poco istruite) e infine un item “te stesso”, il cui
ordine di presentazione è stato sistematicamente variato.
Nella quinta e sesta batteria di item, invece, si domandava ai partecipanti
di giudicare l’effetto di influenza dei telegiornali e di 9 specifici
programmi televisivi su se stessi e su ragazzi della medesima età. I vari
giudizi dovevano essere formulati su una scala a 7 punti, dove
rispettivamente 1 = “nessuno” e “per niente” e 7 = “moltissimi/o”.
Le ultime due domande del questionario, costruite secondo uno schema
a risposta multipla, richiedevano al nostro campione di riferimento
alcune opinioni relative alla causa di influenza della Televisione e
all’influenza dei mass-media ritenuta più dannosa per i cittadini. Ai
soggetti veniva specificato di scegliere una sola risposta tra le varie
soluzioni proposte.
Comportamenti di consumo televisivo proprio e altrui
La seconda e l’ottava batteria di item, contenevano domande relative alla
frequenza di visione di specifici programmi e alla stima della stessa
frequenza da parte degli altri. Ciò che veniva chiesto agli intervistati, era
di indicare con quale frequenza, secondo il loro parere, venivano seguiti i
telegiornali e 9 tra le più famose trasmissioni televisive da parte di se
stessi e dell’audience in generale. Il giudizio doveva sempre essere espresso
su una scala a 7 punti, dove rispettivamente 1 = “per niente” e “mai” e 7
= “moltissimo” e “sempre”.
Inoltre, nella quarta e settima batteria di item, presentate rispettivamente
come quinta e ottava domanda del questionario, si richiedeva agli
adolescenti di leggere una lista di motivi per guardare la Televisione e di
valutare, per ognuno di questi motivi, quanto se stessi e i loro coetanei
fossero interessati a seguire la Televisione. Le varie motivazioni
spaziavano da finalità di visione televisiva a carattere informativo,
culturale, ludico, a finalità di stampo commerciale e di aggregazione
77
familiare. Le risposte dovevano essere formulate dai singoli soggetti
seguendo la solita scala a 7 punti, dove 1 = “per niente vero” e 7 = “del
tutto vero”.
Infine, nella terza batteria di item, abbiamo chiesto ai partecipanti di
valutare quantitativamente in generale il consumo televisivo di se stessi e
di altre 4 categorie di persone (bambini, adolescenti, adulti, anziani) su
una scala a 5 punti (da 1 = “fino ad un’ora al giorno” a 5 = “più di
quattro ore al giorno”).
4.3 Risultati e discussione
4.3.1 Opinioni
Abbiamo chiesto ai partecipanti di valutare il grado di influenzabilità
generica dalla Tv di se stessi e di 11 differenti categorie di persone. Dalle
analisi del t-test per campioni appaiati, condotto per confrontare questo
giudizio di influenzabilità televisiva relativo a se stessi con quello relativo
al resto del target considerato, emerge una generale tendenza da parte dei
singoli soggetti a ritenersi meno influenzati degli altri nei confronti del
mezzo televisivo, confermando in questo senso la presenza di un “effetto
di terza persona” come già evidenziato dalla letteratura (Gibbon e
Durkin, 1995) e dalle nostre ipotesi di ricerca (b – c – d). Infatti, le medie
di giudizio di vulnerabilità all’influenza televisiva delle varie categorie e di
se stessi (vedi tabella 1 e figura 1) risultano essere tra loro tutte
significativamente differenti con p≤.05. Solamente in due casi questa
tendenza alla percezione differenziata dell’influenzabilità non emerge: in
particolare nelle coppie “se stessi – familiari” [Media sé = 3,70, Media
familiari = 3,20; t (299) = 6,73 p<.05] e “se stessi – persone ad alta
scolarità” [Media sé = 3,70, Media persone ad alta scolarità = 3,00; t
(299) = 7,36 p<.05 ]. In questi due confronti, infatti, i ragazzi si
percepiscono come più influenzabili del target.
78
Il primo caso (se stessi – familiari) potrebbe essere spiegato come un
effetto di assimilazione dovuto al sentimento di vicinanza al target di
confronto. Questo effetto, già rilevato dalle ricerche condotte sugli
adulti, può essere interpretato nel quadro di un “principio di
categorizzazione del sé” (Turner et al., 1987). In base a questa teoria, ci
sono situazioni in cui l’individuo tende a percepirsi principalmente in
termini di membro di un gruppo e in base a ciò definisce la propria
identità sociale. In questo modo, un processo di categorizzazione del sé
induce un procedimento di depersonalizzazione a causa del quale
vengono accentuate le somiglianze fra sé e i membri dell’ingroup (nel
nostro caso la famiglia di appartenenza) e le differenze fra i membri
dell’ingroup e quelli dell’outgroup (le altre persone). Nella misura in cui il
target che l’individuo giudica viene categorizzato come appartenente ad
un outgroup, esso sarà giudicato per contrasto rispetto all’identità del
soggetto, valutato negativamente e rappresentato in modo sfavorevole,
ovvero come maggiormente vulnerabile all’influenza dei media. Al
contrario, i target categorizzati all’interno del medesimo gruppo cui
l’individuo sente di appartenere verranno assimilati al soggetto stesso e
giudicati in modo più favorevole, ovvero come meno vulnerabili
all’influenza dei media. I nostri intervistati, quindi, secondo un principio
di categorizzazione sociale, tenderebbero ad estendere il proprio sé fino
all’identificazione con l’ingroup (la famiglia di provenienza) del quale essi
stessi si ritengono membri effettivi. Così facendo, i ragazzi sarebbero
motivati a riconoscere alla propria persona e in specifico al proprio
gruppo di appartenenza una capacità critica maggiore rispetto al resto
dell’audience.
Anche l’assenza dell’effetto terza persona nel caso della coppia se stessi –
persone ad alta scolarità può essere interpretato come un effetto di
identificazione col target di confronto, secondo un medesimo principio di
categorizzazione sociale. I nostri intervistati sono studenti e di
79
conseguenza possono assimilarsi a persone molto istruite. Per questo
motivo essi tendono ad ammettere, in specifico al proprio ingroup di
appartenenza (individui ad alta scolarità), una maggiore conoscenza
culturale e di conseguenza una migliore capacità interpretativa dei
contenuti televisivi. In questo modo gli adolescenti stimano le capacità
intellettuali delle persone colte come maggiori rispetto a quelle degli altri
individui, arrivando persino a considerare queste stesse abilità
interpretative come migliori di quelle da loro stessi possedute (come
rilevato nel nostro caso).
Coppia sé/altri
Media
T (299)
Sig. (p)
Se stessi 3,70 19,206 ,000 Ragazzi 5,20 Se stessi 3,70 20,306 ,000 Ragazze 5,40 Se stessi 3,70 6,728 ,000
Familiari 3,20 Se stessi 3,70 -4,263 ,000 Adulti 4,10
Se stessi 3,70 -4,134 ,000 Anziani 4,24 Se stessi 3,70 -9,786 ,000
Studenti Scientifico 4,55 Se stessi 3,70 -7,430 ,000
Studenti Classico 4,35 Se stessi 3,70 -14,570 ,000
Studenti Tecnico 5,05 Se stessi 3,70 -2,229 ,027
Insegnanti 3,90 Se stessi 3,70 7,365 ,000
Molto Istruiti 3,00 Se stessi 3,70 -19,500 ,000
Poco Istruiti 5,80
tabella 1: medie di giudizio di vulnerabilità all’influenza televisiva sé/altri, con valori
di t e significatività.
80
3,70
3,203
5,20 5,40
4,354,55
5,05
3,90 4,10 4,24
5,80
1,001,502,002,503,003,504,004,505,005,506,006,507,00
se stessi familiari altascolarità
ragazzi ragazze studenticlassico
studentiscientifico
studentitecnico
insegnanti adulti anziani bassascolarità
Influ
enza
bilit
à 12
targ
et
figura 1: distribuzione delle medie di giudizio di generica influenzabilità televisiva dei
rispettivi 12 target.
Fra le domande di opinioni, una in particolare aveva l’obiettivo di
indagare l’effetto di influenza dei telegiornali e di 9 specifici programmi
televisivi sui partecipanti e sui ragazzi della medesima età. Dai risultati del
t-test per campioni appaiati, condotto per confrontare questo giudizio di
vulnerabilità all’influenza televisiva su se stessi e sugli altri, emerge in
maniera del tutto evidente la presenza di un “effetto della terza persona”:
in ogni confronto sé – adolescenti, infatti, i partecipanti tendono in
generale a considerarsi come spettatori meno influenzabili degli altri
rispetto ad ogni tipo di programma televisivo. Inoltre, le medie di
giudizio di vulnerabilità all’influenza televisiva relative a se stessi e ai
ragazzi della propria età (vedi tabella 2 e figura 2) risultano essere tra loro
tutte significativamente differenti con valori di p≤.05. Quest’ultimo
aspetto ci permette di confermare ancora una volta quanto la differenza
tra sé e gli altri sia in funzione di una ben definita distanza sociale del
target. In un solo caso questa tendenza alla percezione differenziata
d’influenzabilità televisiva non emerge: in particolare nel caso della
vulnerabilità all’influenza esercitata dai “Telegiornali” [Media sé = 4,70,
Media adolescenti = 4,44; t (299) = -2,57 p<.05]. In questo confronto, i
81
partecipanti si ritengono più influenzati dei loro coetanei nei riguardi dei
contenuti dei Telegiornali. Questa particolare inversione di tendenza è in
linea con le nostre ipotesi di ricerca (c – d) e in base a quanto è emerso in
altre ricerche (Duck e Mullin, 1995). Secondo gli studi effettuati in
letteratura, infatti, la tendenza a differenziare se stessi dagli altri in
relazione all’influenzabilità risulterebbe essere particolarmente rilevante
nel caso di contenuti dei media negativi, rispetto a contenuti di valenza
positiva. Inoltre, nei casi di contenuti mediali ritenuti dal soggetto
socialmente desiderabili, questo stesso effetto tenderebbe a diminuire
fino a scomparire del tutto (Hoorens e Ruiter, 1996). Per queste ragioni,
crediamo che i nostri intervistati si siano definiti come più influenzabili
dei loro coetanei nei confronti di un’informazione giornalistica
probabilmente per il fatto che essi sono stati disposti a riconoscere alla
stessa informazione giornalistica una funzione socialmente desiderabile.
Anche questo effetto concorre a far percepire le proprie risposte ai
media come più appropriate di quelle delle altre persone.
Programmi Tv
Media sè
Media altri
T (299)
Sig. (p)
Zelig
4,60
5,93
13,064
,000
Amici
2,20
4,25
17,900
,000
Sarabanda
1,90
2,90
13,353
,000
Mai dire Domenica
3,60
5,00
13,862
,000
Select
3,10
4,34
12,327
,000
Passaparola
2,24
2,93
8,328
,000
Telegiornali
4,70
4,44
-2,568
,011
Le Iene
3,70
5,00
13,212
,000
Smallville
1,90
3,10
13,284
,000
I Simpson
3,13
4,53
12,920
,000
tabella 2: medie di giudizio di vulnerabilità all’influenza delle trasmissioni sé/altri,
con valori di t e significatività.
82
1,001,502,002,503,003,504,004,505,005,506,006,507,00
ZeligAmici
Sarabanda
Mai dire Domenica
SelectPassaparola
Tg Le ieneSmallville
I simpson
Influ
enza
bilit
à sè
/ado
lesc
enti
se stessi
adolescenti
figura 2: distribuzione delle medie di giudizio di vulnerabilità all’influenza esercitata
da 10 trasmissioni su se stessi e su adolescenti della medesima età.
Per controllare se fossero presenti differenze significative fra gruppi di
studenti di diverse scuole (Liceo Classico, Liceo Scientifico, Istituto
Tecnico), abbiamo condotto le analisi della varianza (ANOVA) a una via
(tipo di scuola frequentata) su tutte le differenze d’influenzabilità
televisiva sé/altri. Dall’analisi dei risultati non emerge una differenza
significativa nelle medie dei gruppi (F<2) se non nel caso del programma
televisivo “Select”. In questo singolo caso, infatti, le medie risultano
essere tra loro significativamente differenti: in particolare, gli studenti del
Liceo Classico esprimono giudizi di influenzabilità propria e altrui
significativamente più elevati rispetto agli studenti degli altri due Istituti
[Media Liceo Classico = 1,63, Media Liceo Scientifico = 1,26, Media
Istituto Tecnico = 0,89, F (2,297) = 4,89 p<.05]. Nonostante ciò,
possiamo affermare che i nostri intervistati tendono in generale a
giudicare la propria vulnerabilità all’influenza televisiva in modo
indipendente dal tipo di scuola da essi frequentata.
Per verificare poi se vi fossero differenze relative al sesso degli
adolescenti, sono state condotte le analisi della varianza (ANOVA) a una
via (genere) su tutte le differenze di influenzabilità televisiva sé/altri.
83
Dall’analisi dei risultati (vedi tabelle 3 e 4 e figura 3) emergono alcune
differenze significative e in particolare nel caso di cinque tipi di
trasmissioni televisive:
1. Zelig
2. Mai dire Domenica
3. Telegiornali
4. Le Iene
5. I Simpson
Nei confronti di tutte e cinque le trasmissioni, infatti, il genere femminile
tende a esprimere giudizi di vulnerabilità all’influenza televisiva propria e
altrui significativamente più elevati rispetto al genere maschile: [Zelig,
Media maschi = 0,94, Media femmine = 1,60, F (1,298) = 9,88 p<.05;
Mai dire Domenica, Media maschi = 0,93, Media femmine = 1,71, F
(1,298) = 14,19 p<.05; Telegiornali, Media maschi = -0,50, Media
femmine = -8,51, F (1,298) = 4,37 p<.05; Le Iene, Media maschi = 0,80,
Media femmine = 1,63, F (1,298) = 17,86 p<.05; I Simpson, Media
maschi = 0,62, Media femmine = 1,90, F (1,298) = 34,84 p<.05].
Differenza di influenzabilità
Sesso
Media
ZELIG Maschio 0,94 Femmina 1,60
MAI DIRE DOMENICA Maschio 0,93 Femmina 1,71
TG Maschio -0,50 Femmina -8,51E-02
LE IENE Maschio 0,80 Femmina 1,63
I SIMPSON Maschio 0,62 Femmina 1,90
tabella 3: medie di differenza di vulnerabilità all’influenza televisiva sé/altri per tipo
di genere.
84
Differenza di influenzabilità
F
Sig. (p)
ZELIG 9,885 ,002
MAI DIRE DOMENICA 14,187 ,000
TG 4,368 ,037
LE IENE 17,863 ,000
I SIMPSON 34,841 ,000
tabella 4: differenza di vulnerabilità all’influenza televisiva sé/altri per tipo di
genere con valori di F e significatività.
I Simpson
SmallvilleLe Iene
PassaparolaSelect
Mai dire Domenica
Sarabanda
AmiciZelig
Tg
-9,00-8,00-7,00-6,00-5,00-4,00-3,00-2,00-1,000,001,002,003,004,005,006,00
Dis
tanz
a sè
/altr
i
maschio
femmina
figura 3: distribuzione delle medie di distanza sé/altri nell’esposizione alle
trasmissioni televisive.
differenze significative
85
Abbiamo poi chiesto ai partecipanti quale fosse la causa di influenza della
Televisione nei confronti del proprio pubblico (vedi tabella 5). La
maggior parte dei partecipanti ha individuato la causa d’influenza nella
pigrizia intellettuale dei cittadini (“perché gli spettatori non cercano altre
fonti d’informazione” 31,7%) anche se a molti non è sembrato possibile
attribuire ai telespettatori tutta la responsabilità di tale pigrizia (“perché
gli spettatori non hanno la possibilità di verificare l’obiettività delle
informazioni” 27% e “gli argomenti vengono ripetuti moltissime volte”
24,7%). Ragioni che appaiono più marginali sono: (“gli spettatori non
prestano sufficiente attenzione a quello che viene detto in Tv” 11% e “le
informazioni che vengono comunicate sono spesso ambigue e difficili da
interpretare” 5,7%). I nostri intervistati, quindi, tendono in generale a
concepire lo spettatore televisivo come individuo attivo nel suo
complesso: ad egli, infatti, viene riconosciuta la capacità critica e
interpretativa per contrastare l’influenza televisiva ma, allo stesso tempo,
la sua ricerca verso altri fonti informative appare del tutto minima.
Questo sta a significare che, nonostante una certa “pigrizia intellettuale”,
iabile scuola. Il test del Chi –
egli è considerato comunque in grado di recepire e selezionare i
contenuti dei messaggi televisivi.
Per verificare l’esistenza di un possibile legame fra il tipo di scuola
frequentata dagli adolescenti e la loro opinione di causa d’influenza
televisiva, è stata creata una tabella di contingenza nella quale sono state
messe in relazione la variabile causa e la var
quadrato non ci ha permesso però di rilevare alcuna relazione
significativa tra le due variabili considerate.
Fra le domande di opinioni, una in particolare aveva l’obiettivo di
chiedere agli intervistati quale influenza dei mass-media fosse più
dannosa per il cittadino (vedi tabella 6). La maggior parte dei partecipanti
ha attribuito a quella dei consumi il primato di influenza più pericolosa
(41%), riconoscendo in questo modo alla pubblicità il potere di indurre
86
acquisti troppo spesso superflui. Una buona parte degli adolescenti ha
ritenuto più opportuno considerare l’influenza dei comportamenti sociali
come primario pericolo per il singolo spettatore televisivo (40,3%).
cuola. Anche
questo caso, il test del Chi – quadrato non ci ha permesso però di
scontrare alcuna relazione significativa tra le due variabili.
t
Infine, solo pochi hanno scelto l’influenza politica come possibile
motivazione più dannosa (18,7%).
Per verificare poi l’esistenza di una possibile relazione fra il tipo di scuola
frequentata dai ragazzi e la loro opinione nei confronti di un’influenza
televisiva più dannosa, abbiamo creato una tabella di contingenza nella
quale sono state incrociate la variabile danno e la variabile s
in
ri
abella 5: insieme dei motivi di causa di influenza televisiva, con distribuzione della
frequenza e della percentuale di scelta individuale.
Causa influenza Tv
Frequenza
Percentuale
Non si ricercano altre fonti oltre la Tv 95 31,7%
Non si può verificare l'obiettività delle informazioni 81 27%
Gli argomenti vengono ripetuti molte volte 74 24,7%
Poca attenzione ai contenuti della Tv 33 11%
Le informazioni espresse sono ambigue 17 5,7%
Totale 300 100%
87
Influenza più dannosa
Frequenza
Percentuale
Influenza dei consumi 123 41%
Influenza dei comportamenti sociali 121 40,3%
Influenza politica 56 18,7%
Totale 300 100%
tabella 6: differenti tipi di influenza televisiva, con distribuzione della frequenza e
della percentuale di scelta individuale.
4.3.2 Comportamenti
Abbiamo chiesto ai partecipanti di stimare la frequenza con cui loro
stessi e l’audience in generale guardano 10 specifici programmi televisivi.
Dall’analisi del t-test per campioni appaiati, condotto per confrontare
questa stima di frequenza relativa a se stessi con quella relativa al resto
del target considerato, emerge chiaramente quanto i partecipanti tendano
in generale a sovrastimare il consumo televisivo altrui rispetto al proprio
e in particolare le scelte simili alle proprie in una sorta di “effetto di falso
consenso”, come già evidenziato dalla letteratura (Ross, Green, House,
1977) e in linea con le nostre ipotesi di ricerca (c) (quest’effetto è ben
visibile nella figura 4 dove i profili risultano quasi del tutto paralleli).
Infatti, le medie di stima di consumo televisivo relative a se stessi e agli
altri (vedi tabella 7 e figura 4) risultano essere tra loro tutte
significativamente differenti con valori di p≤.05, ad eccezione del caso di
esposizione ai Telegiornali. In questo confronto, le medie si presentano
come statisticamente simili: [Media sé = 5,74, Media altri = 5,62; p =
n.s.].
88
Programmi Tv
Media sè
Media altri
T (299)
Sig. (p)
Zelig
5,30
6,70
12,461
,000
Amici
2,70
5,00
20,618
,000
Sarabanda
2,62
4,41
17,469
,000
Mai dire Domenica
4,10
5,82
14,404
,000
Select
3,31
5,20
18,227
,000
Passaparola
2,73
4,62
18,608
,000
Telegiornali
5,74
5,62
-1,273
,204
Le Iene
4,00
5,61
15,073
,000
Smallville
2,15
4,24
21,720
,000
I Simpson
3,51
5,35
15,365
,000
tabella 7: medie di stima di frequenza di visione televisiva sé/altri, con valori di t e
significatività
1,001,502,002,503,003,504,004,505,005,506,006,507,00
ZeligAmici
Sarabanda
Mai dire Domenica
SelectPassaparola
Telegiornali
Le IeneSmallville
I Simpson
figura 4: distribuzione delle medie di stima di frequenza di visione di 10
trasmissioni televisive su se stessi e sull’audience in generale.
Freq
uenz
a vi
sion
Tv
s/
ial
trè
sè
altri
e
89
Abbiamo poi chiesto agli stessi intervistati di leggere una lista di motivi
per guardare la Televisione e di valutare, per ognuno di questi motivi,
quanto se stessi e i loro coetanei fossero interessati a seguire la Tv.
Dall’analisi del t-test per campioni appaiati, condotto per confrontare
questo giudizio di fruizione televisiva relativo a se stessi con quello
relativo al resto dei target considerati, emerge in maniera evidente quanto
i ragazzi tendano in generale a distanziare il proprio comportamento
televisivo da quello dei coetanei. In ogni confronto sé/adolescenti essi
attribuiscono a se stessi una maggiore capacità di utilizzo e comprensione
del mezzo televisivo nella sua globalità.
Infatti, se analizziamo le medie di motivazione di fruizione televisiva
relative a se stessi e ai ragazzi della medesima età (vedi tabella 8 e figura
5), possiamo di certo affermare che queste risultano essere tra loro tutte
significativamente differenti, con valori di p≤.05 ad eccezione della
coppia di motivazione di visione familiare (“Per stare insieme alla propria
famiglia”).
Motivo visione Tv
Media sè
Media altri
T (299)
Sig. (p)
Per informazione
5,22
4,10
-13,584
,000
Per capire i propri problemi
2,40
2,95
8,206
,000
Per conoscenza culturale
4,04
3,10
-11,040
,000
Per svago e divertimento personale
5,60
6,02
5,661
,000
Perché la guardano amici e conoscenti
1,92
3,40
14,506
,000
Per stare insieme alla propria famiglia
3,00
3,00
0,122
,903
Per decidere cosa comprare e come vestirsi
2,33
4,02
16,578
,000
Per capire come si affrontano situazioni nuove
2,43
2,92
5,899
,000
tabella 8: medie di motivazione di visione televisiva sé/altri, con valori di t e
significatività.
90
1,001,502,002,503,003,504,004,505,005,506,006,507,00
per informarsi
per capire i propri problemi
per apprendere nuove conoscenze
per svago e divertimento
perché la guardano gli amici
per stare insieme alla famiglia
per decidere cosa comprare
per conoscere situazioni nuove
Mot
ivo
visi
one
Tv
sè/a
dole
scen
ti
se stessi
adolescenti
figura 5: distribuzione delle medie di motivazione di visione televisiva relative a se
stessi e agli adolescenti della medesima età.
In questo confronto, le medie si presentano come statisticamente simili
[Media sé = 3,00, Media adolescenti = 3,00; p = n.s.].
Per quanto riguarda i motivi della scelta di consumo televisivo, i nostri
intervistati ammettono di usare la Tv principalmente a scopo informativo
e per apprendimento culturale (M = 5,22 ds = 1,49; M = 4,04 ds = 1,60);
non dimenticano inoltre di riconoscere al mezzo televisivo la primaria
funzione di strumento a carattere ludico (M = 5,60 ds = 1,50); al
contrario, essi non riconoscono alla Televisione una funzione di mezzo
di supporto ai propri problemi (M = 2,40 ds = 1,55) e di guida di
comportamento morale (M = 2,43 ds = 1,63) ed economico (M = 2,33
ds = 1,75). Contrariamente a tutto ciò, gli adolescenti intervistati
ritengono che i propri coetanei attribuiscano una minore importanza
all’uso della Tv a scopo culturale – informativo (M = 3,10 ds = 1,38; M
= 4,10 ds = 1,33) e una maggiore importanza per quanto ne riguarda un
utilizzo il cui fine appare essere lo svago e il divertimento sociale (M =
6,02 ds = 1,07). Inoltre, essi tendono ad ammettere negli altri una
91
maggiore propensione all’utilizzo della Televisione per l’acquisizione di
consigli di natura commerciale (M = 4,02 ds = 1,76) e comportamentale
(M = 2,95 ds = 1,39). Infine, i nostri partecipanti credono che i propri
coetanei abbiano una considerazione maggiore della propria nei
confronti di una Tv intesa come principale strumento di aggregazione
sociale (M = 3,40 ds = 1,71).
4.3.3 Stime di realtà
È stato chiesto ai partecipanti di valutare quantitativamente in generale il
consumo televisivo giornaliero di se stessi e di altre quattro categorie di
persone. Dall’analisi delle frequenze medie stimate (vedi tabella 9 e figura
6), emerge che:
i ragazzi intervistati dichiarano di guardare la televisione in media tra
le 2 e le 3 ore al giorno (M = 2,44 ds = 1,07).
essi tendono sempre in generale a stimare il consumo televisivo altrui
come superiore al proprio, facendo supporre che “l’effetto della terza
persona”, ovvero la tendenza da parte degli individui a sovrastimare gli
effetti dei messaggi persuasivi sulle altre persone e a sottostimare gli
stessi effetti su di sé (Gibbon e Durkin, 1995), derivi dalla
presupposizione di una maggiore esposizione alla Tv da parte degli altri
(M bambini = 3,50 ds = 0,97; M adolescenti = 3,30 ds = 0,97; M anziani
= 3,92 ds = 1,16).
Solamente nel caso della categoria “adulti” la stima del consumo
televisivo non è maggiore di quella attribuita a sé. Alle persone più
mature, infatti, i nostri intervistati riconoscono in media un
comportamento di fruizione televisiva compreso tra le 2 e le 3 ore al
giorno e comunque sempre minore di quello relativo a se stessi (M adulti
= 2,40 ds = 0,76).
92
Categoria
Media
Deviazione standard
Bambini 3,50 0,97
Adolescenti 3,30 0,97
Adulti 2,40 0,76
Anziani 3,92 1,16
Se stessi 2,44 1,07
tabella 9: tavola riassuntiva dei dati di esposizione televisiva giornaliera stimata.
2,44
3,30
2,40
3,50
3,92
1
2
3
4
5
se stessi adolescenti adulti bambini anziani
Ore
vis
ione
Tv
sè/a
ltri
1 = Fino ad 1 ora algiorno2 = Fino a 2 ore algiorno3 = Fino a 3 ore algiorno4 = Fino a 4 ore algiorno5 = Più di 4 ore algiorno
figura 6: distribuzione delle medie di stima di frequenza di esposizione televisiva
giornaliera relative a se stessi e ad altre 4 categorie di spettatori.
93
4.4 Conclusioni
Siamo partiti dall’idea che per studiare le rappresentazioni che gli
adolescenti si costruiscono circa il potere di influenza dei media occorra
considerare un sistema strutturato attorno a tre poli (media, pubblico, se
stessi in quanto spettatori). Tale struttura, infatti, ha guidato la
formulazione delle nostre ipotesi. I contenuti di questo sistema, così
come si sono delineati nella descrizione dei risultati della nostra ricerca,
ci hanno permesso di evidenziare relazioni significative e in complesso
abbastanza articolate. Avevamo ipotizzato che il potere di influenza della
televisione e la vulnerabilità del pubblico fossero tra loro complementari.
Le relazioni riscontrate fra gli indicatori dei giudizi di vulnerabilità
all’influenza propria e altrui e la capacità da parte delle trasmissioni
televisive di influenzare le opinioni, hanno confermato tale
complementarietà: più le trasmissioni televisive sono state considerate
potenti e più i telespettatori adolescenti sono stati giudicati influenzabili.
Avevamo anche ipotizzato che tale complementarietà fosse influenzata
dalla relativa appartenenza degli adolescenti a differenti gruppi sociali
(ragazzi della stessa età e studenti del medesimo Istituto scolastico). Tale
ipotesi, però, non è stata confermata. Infatti, l’appartenenza degli
studenti ad un determinato Istituto scolastico non ha influenzato il
giudizio di vulnerabilità all’influenza televisiva che essi hanno espresso
nei confronti di se stessi e degli studenti provenienti dagli altri Istituti.
Inoltre, come avevamo ipotizzato, la concezione di sé in quanto
individuo soggetto a possibile influenza televisiva è emersa in linea con
gli studi effettuati sugli effetti della “terza persona” e del “falso
consenso”: gli intervistati si sono stimati in generale meno suscettibili
all’influenza televisiva rispetto ai propri coetanei e alle persone di età
differenti, e di conseguenza socialmente distanti da essi. In questo modo,
i partecipanti hanno risposto al mantenimento di un’immagine di sé
94
come spettatore dotato di capacità critiche e il loro comportamento di
consumo televisivo è stato utilizzato come àncora per valutare i
comportamenti e i giudizi degli altri. Come era stato ipotizzato, questa
tendenza a differenziare se stessi dagli altri, in relazione all’influenzabilità,
è risultata particolarmente rilevante nei confronti di contenuti televisivi
negativi, rispetto a contenuti di carattere positivo. Infine, i nostri
intervistati non hanno percepito in generale la Televisione come uno
strumento minaccioso e manipolatorio, anche se ne hanno riconosciuto i
tentativi in questo senso: essi hanno ammesso, infatti, l’esistenza di
un’influenza televisiva a carattere commerciale molto pericolosa ma, allo
stesso tempo, hanno riconosciuto allo spettatore la forza di poter
contrastare questo tipo di influenza. Inoltre, essi si sono definiti
abbastanza rassicurati dalla propria capacità critica e dalla propria
autonomia di opinione. La stessa capacità, però, non è stata riconosciuta
agli altri e questo quanto più tali altri si sono distanziati socialmente da
sé. L’immagine di sé come spettatore ha dunque ricoperto un ruolo di
rilievo, sia nell’ancorare la percezione del comportamento di consumo
televisivo altrui, sia nel porre un criterio rispetto al quale determinare la
distribuzione delle varie categorie sociali sulla dimensione della
vulnerabilità all’influenza televisiva.
95
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Comunicazione e media: modelli e processi, Roma, Carocci.
Viereck, G. S., (1930)
Spreading Germs of Hate, New York, Horace Liveright.
Wolf, M., (1993)
Teorie delle comunicazioni di massa, Milano, Bompiani.
Wolf, M., (1992)
Gli effetti sociali dei media, Milano, Bompiani.
Zuckerman, M., Mann, R. W., (1979)
The other way around: Effects of causal attribution on estimates of consensus,
distinctiveness, and consistency, in “Journal of Experimental Social
Psychology”, n° 15, pp. 582-597.
108
Appendice
Pre-test..................................................................................................pag.110
Questionario.......................................................................................pag.112
109
Ragazzi e mass-media
Stiamo svolgendo un’indagine riguardante il rapporto tra Mass-Media e
ragazzi degli Istituti Superiori di Reggio Emilia. Ti chiediamo di dedicarci
solamente cinque minuti del tuo tempo per svolgere questo
semplicissimo lavoro:
Elenca qui di seguito nel riquadro, come in una lista, tutte quelle
trasmissioni o programmi televisivi (varietà, intrattenimento,
informazione, satira, musica etc….) che guardi quotidianamente a casa
tua per più di 10 minuti (ricorda: solo quei programmi sui quali il tuo
interesse si posa per più di 10 minuti nell’arco dell’intera giornata).
Nota tecnica: Inserisci il nome del programma televisivo e il canale (es:
Grande Fratello Canale 5). Non è importante l’ordine in cui trascrivi i
programmi televisivi nella lista (es: la casella 1 non è più importante della
casella 15) e non è obbligatorio completare tutte le caselle fino all’ultima.
Lista con nome e canale dei programmi più visti:
1)
9)
2)
10)
3)
11)
4)
12)
5)
13)
6)
14)
7)
15)
110
Inoltre scrivi qui sotto, in quest’altra lista, quali trasmissioni o programmi
televisivi non guardi o non vorresti guardare mai (scrivendo sempre il
nome del programma e il canale televisivo)
Ti chiedo di essere il più sincero possibile (il tuo aiuto è molto
prezioso!!!!!)
Grazie per la collaborazione!!!
Lista con nome e canale dei programmi meno visti:
1)
2)
3)
4)
5)
6)
7)
8)
111
U rr iitt ii tt ii iillii
tt ii
Unniivvee ss àà ddeeggll ss uuddii ddii MMooddeennaa ee RReegggg oo EEmm aa
FFaaccooll àà ddii SScciieennzzee ddeellllaa CCoommuunniiccaazz oonnee
Stiamo conducendo una ricerca di Psicologia Sociale sulle opinioni
che gli studenti delle Scuole Superiori di Reggio Emilia hanno a
proposito della Televisione
La tua collaborazione è molto importante ai fini della ricerca.
Per questo ti invitiamo a compilare il questionario rispondendo il
più precisamente possibile a tutte le domande. Considera che non
ci sono risposte giuste o sbagliate, quello che ci interessa è che tu
esprima liberamente il tuo parere.
Il questionario è rigorosamente anonimo e le informazioni in esso
contenute saranno utilizzate esclusivamente a scopo scientifico
nell’ambito dell’Università.
Grazie, fin da ora, per la tua collaborazione!
112
ISTRUZIONI PER LA COMPILAZIONE DEL
QUESTIONARIO
1. Nella maggior parte delle domande è sufficiente segnare con una croce il numero corrispondente alla risposta scelta.
Esempio:
Domanda:
“Quanto è importante che i tuoi amici guardino la TV?” (Metti una croce sul numero che rappresenta meglio la tua opinione)
Risposta:
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
• Se ritieni che la risposta sia “PER NIENTE……”, dovrai segnare il numero 1, come viene rappresentato qui sotto
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
• Se ritieni che la risposta sia “MOLTISSIMO……”, dovrai segnare il numero 7, come viene rappresentato qui sotto
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
• Se invece ritieni che la tua opinione sia rappresentata da un numero che si trova tra i due estremi, scegli il valore intermedio che descrive meglio il tuo giudizio
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
(ad esempio: 5; vuol dire che pensi che la cosa sia ABBASTANZA IMPORTANTE)
2. In altre domande è sufficiente scegliere una sola risposta mettendo una X
nel quadratino corrispondente.
Esempio:
Domanda:
“Secondo te, quante persone sono influenzate dalla TV?” (Scegli una sola risposta mettendo una X nel quadratino corrispondente)
Risposta: A………… B………… C………… D…………
vuol dire che hai scelto la risposta C
113
QUESTIONARIO
1. Troverai di seguito un elenco di categorie di persone: per ogni categoria,
valuta quanto questa è influenzata in generale dalla TV. (Metti una
croce sul numero che rappresenta meglio la tua opinione)
I ragazzi della tua età
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
Le ragazze della tua età
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
Te stesso
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
I tuoi familiari
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
Le persone adulte
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
Le persone anziane
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
Gli studenti del Liceo Scientifico
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
Gli studenti del Liceo Classico
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
Gli studenti degli Istituti Tecnico-Professionali
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
Gli Insegnanti
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
Le persone molto istruite
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
Le persone poco istruite
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
114
2. Secondo te, quanto sono visti i seguenti programmi televisivi? (Metti
una croce sul numero che rappresenta meglio la tua opinione)
“Zelig” (Italia1)
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
“Amici di Maria de Filippi” (Canale5)
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
“Sarabanda” (Italia1)
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
“Mai dire Domenica” (Italia1)
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
“Select” (Mtv)
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
“Passaparola” (Canale5)
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
I Telegiornali
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
“Le Iene” (Italia1)
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
“Smallville” (Italia1)
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
“I Simpson” (Italia1)
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
115
3. Secondo te, quante ore al giorno guardano la TV in media le
seguenti categorie di persone? (Scegli una sola risposta mettendo una X nel
quadratino corrispondente)
BAMBINI
Fino ad 1 ora al giorno
Fino a 2 ore al giorno
Fino a 3 ore al giorno
Fino a 4 ore al giorno
Più di 4 ore al giorno
ADOLESCENTI
Fino ad 1 ora al giorno
Fino a 2 ore al giorno
Fino a 3 ore al giorno
Fino a 4 ore al giorno
Più di 4 ore al giorno
ADULTI
Fino ad 1 ora al giorno
Fino a 2 ore al giorno
Fino a 3 ore al giorno
Fino a 4 ore al giorno
Più di 4 ore al giorno
ANZIANI
Fino ad 1 ora al giorno
Fino a 2 ore al giorno
Fino a 3 ore al giorno
Fino a 4 ore al giorno
Più di 4 ore al giorno
116
4. Quante ore al giorno guardi tu la TV in media? (Scegli una sola risposta
mettendo una X nel quadratino corrispondente)
Fino ad 1 ora al giorno
Fino a 2 ore al giorno
Fino a 3 ore al giorno
Fino a 4 ore al giorno
Più di 4 ore al giorno
5. Leggi qui di seguito questa lista di motivi per guardare la TV e, per
ognuno di questi motivi, valuta quanto gli adolescenti guardano la
televisione (Metti una croce sul numero che rappresenta meglio la tua opinione)
La guardano per:
tenersi informati sugli eventi che accadono ogni giorno nel loro paese e nel mondo
PER NIENTE VERO 1 2 3 4 5 6 7 DEL TUTTO VERO
capire meglio i loro problemi
PER NIENTE VERO 1 2 3 4 5 6 7 DEL TUTTO VERO
imparare cose nuove, al fine di accrescere le loro conoscenze culturali
PER NIENTE VERO 1 2 3 4 5 6 7 DEL TUTTO VERO
svago e divertimento personale
PER NIENTE VERO 1 2 3 4 5 6 7 DEL TUTTO VERO
perché la guardano i loro amici o conoscenti
PER NIENTE VERO 1 2 3 4 5 6 7 DEL TUTTO VERO
stare insieme alla loro famiglia
PER NIENTE VERO 1 2 3 4 5 6 7 DEL TUTTO VERO
decidere cosa comprare e come vestirsi
PER NIENTE VERO 1 2 3 4 5 6 7 DEL TUTTO VERO
capire come si affrontano situazioni nuove e difficili
PER NIENTE VERO 1 2 3 4 5 6 7 DEL TUTTO VERO
altro (indicare qui di seguito)
PER NIENTE VERO 1 2 3 4 5 6 7 DEL TUTTO VERO
117
6. Secondo te, quanti ragazzi e ragazze della tua età vengono
influenzati dal contenuto di questi programmi televisivi? (Metti una
croce sul numero che rappresenta meglio la tua opinione)
“Zelig” (Italia1)
NESSUNO 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMI
“Amici di Maria de Filippi” (Canale5)
NESSUNO 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMI
“Sarabanda” (Italia1)
NESSUNO 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMI
“Mai dire Domenica” (Italia1)
NESSUNO 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMI
“Select” (Mtv)
NESSUNO 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMI
“Passaparola” (Canale5)
NESSUNO 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMI
I Telegiornali
NESSUNO 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMI
“Le Iene” (Italia1)
NESSUNO 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMI
“Smallville” (Italia1)
NESSUNO 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMI
“I Simpson” (Italia1)
NESSUNO 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMI
118
7. Quanto ti ritieni personalmente influenzato dal contenuto di questi
programmi televisivi? (Metti una croce sul numero che rappresenta meglio la
tua opinione)
“Zelig” (Italia1)
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
“Amici di Maria de Filippi” (Canale5)
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
“Sarabanda” (Italia1)
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
“Mai dire Domenica” (Italia1)
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
“Select” (Mtv)
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
“Passaparola” (Canale5)
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
I Telegiornali
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
“Le Iene” (Italia1)
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
“Smallville” (Italia1)
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
“I Simpson” (Italia1)
PER NIENTE 1 2 3 4 5 6 7 MOLTISSIMO
119
8. Rileggi qui di seguito la lista dei motivi per guardare la TV e, per ognuno
di questi motivi, valuta quanto tu personalmente guardi la
televisione (Metti una croce sul numero che rappresenta meglio la tua opinione)
La guardi per:
tenerti informato sugli eventi che accadono ogni giorno nel tuo paese e nel mondo
PER NIENTE VERO 1 2 3 4 5 6 7 DEL TUTTO VERO
capire meglio i tuoi problemi
PER NIENTE VERO 1 2 3 4 5 6 7 DEL TUTTO VERO
imparare cose nuove, al fine di accrescere le tue conoscenze culturali
PER NIENTE VERO 1 2 3 4 5 6 7 DEL TUTTO VERO
svago e divertimento personale
PER NIENTE VERO 1 2 3 4 5 6 7 DEL TUTTO VERO
perché la guardano i tuoi amici o conoscenti
PER NIENTE VERO 1 2 3 4 5 6 7 DEL TUTTO VERO
stare insieme alla tua famiglia
PER NIENTE VERO 1 2 3 4 5 6 7 DEL TUTTO VERO
decidere cosa comprare e come vestirti
PER NIENTE VERO 1 2 3 4 5 6 7 DEL TUTTO VERO
capire come si affrontano situazioni nuove e difficili
PER NIENTE VERO 1 2 3 4 5 6 7 DEL TUTTO VERO
altro (indicare qui di seguito)
PER NIENTE VERO 1 2 3 4 5 6 7 DEL TUTTO VERO
120
9. Con quale frequenza ti è capitato di vedere i seguenti programmi
televisivi nell’ultimo mese? (Metti una croce sul numero che rappresenta
meglio la tua opinione)
“Zelig” (Italia1)
MAI 1 2 3 4 5 6 7 SEMPRE
“Amici di Maria de Filippi” (Canale5)
MAI 1 2 3 4 5 6 7 SEMPRE
“Sarabanda” (Italia1)
MAI 1 2 3 4 5 6 7 SEMPRE
“Mai dire Domenica” (Italia1)
MAI 1 2 3 4 5 6 7 SEMPRE
“Select” (Mtv)
MAI 1 2 3 4 5 6 7 SEMPRE
“Passaparola” (Canale5)
MAI 1 2 3 4 5 6 7 SEMPRE
I Telegiornali
MAI 1 2 3 4 5 6 7 SEMPRE
“Le Iene” (Italia1)
MAI 1 2 3 4 5 6 7 SEMPRE
“Smallville” (Italia1)
MAI 1 2 3 4 5 6 7 SEMPRE
“I Simpson” (Italia1)
MAI 1 2 3 4 5 6 7 SEMPRE
121
10. Secondo te, a cosa è dovuta l’influenza della TV? (Scegli una sola risposta
mettendo una X nel quadratino corrispondente)
Gli spettatori non prestano sufficiente attenzione a quello che viene detto
in TV
Gli spettatori non cercano altre fonti di informazione
Le informazioni che vengono comunicate sono spesso ambigue e difficili da interpretare
Gli argomenti trattati vengono ripetuti moltissime volte
Gli spettatori non hanno la possibilità di verificare l’obiettività delle informazioni
11. Secondo te, quale influenza dei Mass – Media è più dannosa per il
cittadino? (Scegli una sola risposta mettendo una X nel quadratino
corrispondente)
L’influenza che si esercita nell’ambito della politica, attraverso la propaganda
L’influenza che si esercita nell’ambito dei consumi, attraverso la pubblicità
L’influenza che si esercita nell’ambito dei comportamenti sociali
attraverso le scene di violenza
122
ETÀ
SESSO
M
F
Grazie per la tua preziosissima collaborazione!
123