Storia di una timidezza

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ISTORIA DI UNA TIMIDEZZAA sedici anni guardavo solo alla mia "effettività" e laodiavo talmente da non vedere in me nessuna"possibilità". La mia esistenza allora era tradotta in unnon voler soffrire, fuggire lontano da me per nonguardare in faccia quella maledetta timidezza che miportavo appresso e che mi rendeva insostenibile la vitacon gli altri; non potevo nemmeno nascondere la miaansia poiché era resa visibile dal mio arrossire. Eppureavevo un bisogno enorme degli altri, dei mieicompagni, dei miei amici, del gruppo, dell'essere"popolare ".In fondo ero molto preoccupato di apparire perché ilgiudizio degli altri era per me di enorme importanzatanto che non mi sentivo mai all'altezza delle situazionie sprofondavo sempre più nelle mie frustrazioni e nelmio masochismo autodistrurtivo.E imiei genitori? E i miei educatori? Sembravano nondare importanza al "mio problema", i miei voti ascuola, il comportamento educato, il silenzio d'oro,sembravano essere i cardini della crescita e sembravanodirmi "Tu vali solo quanto il tuo ultimo successo".Addirittura, siccome spesso arrossivo, alcuni di questiadulti -educatori evitavano di parlare con me: forse pernon mettermi in imbarazzo? Come mai allora misentivo sempre più "piccolo" e insignificante?!Mi era stata inculcata la paura dell'errore, sonocresciuto con questa angoscia dentro che non tipermette di esporti, di rischiare, di "essere" nonostantele tue debolezze; è un continuo allontanarsi da sé allaricerca di un rifugio comodo e sicuro.Prigioniero della mia timidezza, costretto ad attiripetitivi e senza significato formativo, sprofondavospesso nella noia dell'esistere, il mio esserci acquistavasenso solo nella "bottiglia", nell' euforia alcolica checostruiva il mio essere idealizzato e conforme a ciò chevolevo gli altri vedessero.La mia timidezza affogata nell'alcol poco a poco èvenuta poi a contatto con tutto ciò che provocava ilfatidico "sballo", l'uscire da sé volontariamente perchéinconcepibile vivere con sé; quindi dall'haschis alleanfetamine, dalla cocaina fino all'eroina, il salto èbreve e senza sosta.Non ho mai pensato che tutto Ciò che assumevopotesse fare male alla mia salute/cura fisica e psichica,che potesse essere controformativo o che svuotassecompletamente la mia persona, ciò che volevo era starbene con me stesso e sentirmi a mio agio anche con glialtri (tutto ciò era per me ottenibile solo attraverso lo"sballo"), questi i miei obiettivi fino a ventisei annicompiuti! Mi sono trovato a ventisei anni dipendenteda eroina, alcolista, senza un lavoro, senza amici (quelli

Foto Arnaldo Pettazzoniveri), con dei genitori disperati, una personalitàinvisibile, una salute debilitata, nullatenente, un fallitoinsomma, un di-sperato (senza speranza)!L'esperienza di cura ricevuta al N.O.T. (NucleoOperativo Tossicodipendenti) del mio paese è statafallimentare: un servizio burocratizzato, figureresponsabili istituzionalizzate incapaci di calarsi nellasofferenza lacerante della dipendenza, spoglio diquell'accoglienza umana che apre alla confidenza.Tra i ventotto e i ventinove anni conobbi e miinnamorai di colei che di lì a poco diventò mia moglie,carne della rnia carne, il mio "pilastro e contenitore"che permetterà alla forza dell'amore di agire ericondurmi alla mia essenza. Nessuno mi aveva aiutatoa comprendere la sofferenza e il sacrificio come partiintegranti di sé, come il proprio fondo, un pozzo alquale attingere acqua viva, sorgente inesauribile.L'incontro con mia moglie mi aprì la strada ad unnuovo incontro, anzi ad un annuncio, l'annuncio delKerigma, del Cristo morto e risorto per i peccatori.