Severino

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Anno pastorale 2011-12 Parrocchia Sant' Antonino Martire di Castelbuono (PA) Parroco Don Mimmo Sideli Ciclo di conferenze "I mendicanti dell'Assoluto" tenuto da P. Filippo S. Cucinotta, OFM; docente di Teologia orientale della Pontificia Facoltà Teologica "San Giovanni Evangelista" di Palermo Incontro su Emanuele Severino

Transcript of Severino

comunità parrocchiale “S. Antonino martire”Castelbuono

  

I segnali silenziosi e i molteplici indizi

 In dialogo con i mendicanti dell’Assoluto

   

Anno pastorale 2011-2012

IV Convegno Ecclesiale Nazionale

«… La società in cui viviamo va compresa nei suoi dinamismi e nei suoi meccanismi, così come la cultura va compresa nei suoi modelli di pensiero e di comportamento, prestando anche attenzione al modo in cui vengono prodotti e modificati. Se ciò venisse sottovalutato o perfino ignorato, la testimonianza cristiana correrebbe il rischio di condannarsi a un’inefficacia pratica».

I modelli di pensiero

22 Ottobre: F. Nietzsche

19 Novembre: E. Severino

10 Dicembre: E. Scalfari

14 Gennaio: H. Küng

25 Febbraio: C.M. Martini

24 Marzo: E. Bianchi

21 Aprile: E. De Luca

19 Maggio: E. Hillesum 

Emanuele Severino (1929 –

1. Emanuele prima di Severino

2. Il pensiero. Le strutture

3. Il pensiero. La forma autobiografica

4. Il Cristianesimo secondo Severino

5. Severino secondo il Cristianesimo

6. Il Cristianesimo dopo Severino

7. Da Emanuele a Federico Severino

1. Emanuele prima di Severino

Gli affetti

Il fratello Giuseppe

Mio fratello Giuseppe aveva otto anni più di me. Studente alla Scuola Normale Superiore di Pisa, studente di Filosofia, frequentava le lezioni di Giovanni Gentile. Il primo dei miei morti. Sin da bambino avevo incominciato a studiare il pianoforte. Mio fratello lo suonava bene, ma a me piaceva soprattutto improvvisare qualcosa di mio.

Crescendo, sono diventato un bambino allegrissimo. Fino a quando mio fratello se ne è andato.Mi sembrava naturale proseguire il cammino di mio fratello, ma non mi sarebbe nemmeno dispiaciuto diventare ingegnere o fisico.

Pensavo di più alla morte di mio fratello - al fatto che avesse solo ventun anni, al dolore che aveva scavato il volto di mia madre e di mio padre - e alla musica, che a quanto stava accadendo nel mondo.

Quando - avevo circa dodici anni - mio fratello incominciò a parlarmi della filosofia, mi sembrò di scorgere un cielo nuovo. Era una percezione confusa, ma si faceva strada.  La religione era diventata in me una specie di scala per restare vicino a mio fratello: non era il dolore del mondo a presentarmisi come una scala per raggiungere Dio.

In casa erano rimasti i libri di mio fratello. Li ho tuttora.

La moglie Esterina

Mio fratello - il primo dei miei morti. Dopo di lui mio padre, e poi mia madre, e infine la ferita più profonda, mia moglie, Esterina. Il suo nome non le piaceva. In casa la chiamavano cosi. L'ho fatto sempre anch'io. Ma il suo vero nome era Ester Violetta o Estervioletta.

Violette: sua nonna materna era francese e qualcosa di quella grazia femminile d'Oltralpe mia moglie se l'è sempre portato dietro. Ci siamo conosciuti quando avevamo sedici anni. Siamo stati insieme fino ai nostri ottant'anni.Insieme a tutti i miei morti - e insieme a tutti i morti - mi aspetta.

Mi si lasci dire che era donna splendida. Anche in età avanzata. «È una delle ragazze più belle di Brescia» si diceva. Uscendo con me confermava la sentenza che le belle donne non amano gli uomini belli. Ed era di grande intelligenza.

Alla carriera universitaria preferì il nostro matrimonio, i figli, la casa. Riteneva inconciliabili le due cose. Come poi avrebbe fatto mia figlia con la matematica.

Alla grazia francese Esterina univa il fascino di certe donne ebree.

Alla discussione della mia tesi di laurea parteciparono i miei genitori ed Esterina con i suoi. Quando si laureò, Esterina volle invece che alla discussione della tesi ci fossi soltanto io.

Se sono andato in giro, in Italia o all'estero, è stato solo per fare una vacanza insieme a Esterina, non per partecipare ai convegni a cui ero stato invitato o per tenere le conferenze che mi erano state richieste.

Anche Esterina era stata abituata al cattolicesimo, ma suo padre era un uomo di cultura laica.

Da quando ci siamo sposati, Esterina ha sempre scritto a macchina le mie cose. Fino a quando mi sono deciso a usare il computer, ma eravamo già sessantenni.

Nell'imminenza del parto, dove ora si trova la libreria era stato disposto un lettino e lì Esterina diede alla luce Federico. Io ero pressappoco qui o accanto al lettino e la levatrice mi teneva su di morale.

Mi sembrava di aver già esagerato con l'esibizione di quanto pesi sulla mia vecchiaia la mancanza di Esterina.

Ora aspetto che Esterina mi prenda ancora una volta la mano e mi dica di guardare il sole.

I maestri

Mi stava davanti un filosofo: don Zani. Non doveva e non voleva infatti introdurrai alla teologia, ma alla filosofia. E non voleva che la filosofia si facesse aiutare dalla fede. Mi ha introdotto alla filosofia con la serietà profonda di chi parla dell'essenziale, e lo sa e vuol farlo capire all'interlocutore.

Intelligente e aperto, si è sempre tenuto in disparte. Ha continuato a seguire il mio cammino, facendomi pervenire il suo compiacimento affettuoso per quanto andavo scrivendo.

Bontadini pensava di riproporre il discorso metafisico che negli ultimi due secoli era stato sempre più emarginato, e soprattutto la metafisica classica. Per Bontadini non si trattava di rilevare la concordanza tra filosofia e cristianesimo guardando alla filosofia patristica e scolastica, ma valorizzando innanzitutto la riflessione greca sul senso dell'essere. Era in gioco il destino della filosofia e dell'intera sua storia.

2. Il pensieroLe strutture

Essenza del nichilismo (1972)

La storia della filosofia occidentale è la vicenda dell'alterazione e quindi della dimenticanza del senso dell'essere, inizialmente intravisto dal più antico pensiero dei greci [Parmenide].

Parmenide

1. L'essere è uno; 2. L'essere è eterno; 3. L'essere è continuo; 4. L'essere è indivisibile e non composto di parti; 5. L'essere è immobile; 6. L'essere non è soggetto a nascita o corruzione.

E in questa vicenda la storia della metafisica è il luogo ove l'alterazione e la dimenticanza si fanno più difficili a scoprirsi: proprio perché la metafisica si propone esplicitamente di svelare l'autentico senso dell'essere, e quindi richiama ed esaurisce l'attenzione sulle plausibilità con cui il senso alterato si impone.

La storia della filosofia non è per questo un seguito di insuccessi; si deve dire piuttosto che gli sviluppi e le conquiste più preziose del filosofare si muovono all'interno di una comprensione inautentica dell'essere.

La filosofia futura (1989)

Tutto è eterno

significa che ogni momento della realtà è - ossia non esce e non ritorna nel nulla;

significa che anche alle cose e alle vicende più umili e impalpabili compete il trionfo che si è soliti riservare a Dio.

Eterno

ogni nostro sentimento e pensiero,

ogni forma e sfumatura del mondo,

ogni gesto degli uomini.

E anche tutto ciò che appare in ogni giorno e in ogni istante:

il primo fuoco acceso dall'uomo,

il pianto di Gesù appena nato,

l'oscillare della lampada davanti agli occhi di Galileo,

Hiroshima viva ed il suo cadavere.

Eterni ogni speranza ed ogni istante del mondo, con tutti i contenuti che stanno nell'istante,

eterna la coscienza che vede le cose e la loro eternità e vede la follia della persuasione che le cose escano dal niente e vi ritornino - la follia che domina il mondo.

Eterna anche questa follia; e il suo esser già da sempre oltrepassata nella verità e nella gioia".

3. Il pensieroLa forma autobiografica

Le domande di Emanuele e le risposte di Severino

Il primo ricordo?

Un bambino sui quattro anni seduto per terra sotto il grande tavolo della cucina: una metafora, ci indica il rimedio, il riparo, il sotto in cui ogni «uomo» cerca di rifugiarsi sin dal momento in cui si sente un mortale, cioè sente che ogni momento e ogni stato della sua esistenza se ne va via e non ritorna.

Si cerca un riparo, quando si crede di essere un luogo in cui le cose si intrattengono un poco e subito diventano altro, si trasformano e la trasformazione è l'andarsene via delle vecchie cose che, appunto, se ne vanno via e non tornano più, per lasciare il posto alle nuove, che a loro volta subiranno la stessa sorte.

In qualche modo, ho sempre trovato un tavolo sotto cui stare, senza chieder niente a nessuno. È per i miei morti, invece, che il tavolo mi è mancato. Qui, nessuno è al riparo. Ma chi sono «io» (e «tu» e «lui») a cui è mancato il riparo?

Sono l'errante, l'errare di un certo esser «uomo» - sono cioè la fede che, errando, crede nel diventar altro delle cose, nel loro andarsene via senza ritornare, e che quindi ha bisogno di un riparo in cui quelle amate possano essere trattenute e protette.

È inevitabile che, da che nasce, l'uomo avverta come prioritario l'andare alla ricerca di un Rimedio, di un Riparo che gli consenta di sopportare o addirittura di vincere l'angoscia, la sofferenza, la morte.

Lo scopo essenziale, fondamentale di ogni forma di civiltà e di cultura è il continuo potenziamento del Riparo.

È la stessa atmosfera del cristiano profondamente convinto, che crede di potersi unire a Cristo e a Dio e vivere all'interno del Riparo, in qualche modo identificandovisi.

I nostri morti?

Mio fratello - il primo dei miei morti. Dopo di lui mio padre, e poi mia madre, e infine la ferita più profonda, mia moglie, Esterina.Insieme a tutti i miei morti - e insieme a tutti i morti - mi aspetta. I nostri morti ci aspettano. Ora sono degli Dèi. Per ora stanno fermi nella luce. Come le stelle fisse del cielo.

Siamo destinati a una Gioia infinitamente più intensa di quella che le religioni e le sapienze di questo mondo promettono. E’ necessario che quella luce risplenda e illumini qualcosa di infinitamente più alto di Dio. Non è chiesta: è il nostro destino. E non riposeremo «in pace». In pace riposano i cadaveri. Lasciandosi alle spalle il dolore e la morte, quella luce mostrerà all'infinito una Gioia sempre più infinita.

Non c'è nessuno che non sia più. Tutto è eterno.

È vero che ricordare è sognare; ma anche i sogni e ciò che essi mostrano sono eterni.

Anche l'errare, la contraddizione, la stessa follia del nichilismo sono eterni. Eterno è tutto il contenuto dei nostri ricordi, anche se grigio, dis-tratto, sfigurato.

L'essenza del nichilismo è pensare che le cose vengono dal nulla e vi ritornano.

Questo pensiero implica che si creda che gli esseri (ossia ciò che non è nulla) siano nulla. E questa è l'impossibilità estrema.

Appunto per questo i nostri morti ci attendono, come le stelle del cielo attendono che passino la notte e la nostra incapacità di vederle se non al buio.

Ciò che se ne va scompare per un poco. I morti che se ne vanno scompaiono per un tempo maggiore. Ma poi, tutto ciò che è scomparso riappare. Ogni cosa può dire: «Ancora un poco e non mi vedrete; e un poco ancora e tornerete a vedermi, perché vado al Padre»; «E nessuno toglierà via da voi la vostra gioia».

Sono credente?

Certamente si! Tuttavia «credente» non significa senz'altro chi ha fede nella dottrina cristiana o cattolica, ma chi ha fede - qualsiasi sia.

Chi crede qualcosa senza esitazioni nel suo cuore non sa di crederlo: si consegna completamente a ciò in cui crede e lo tratta come qualcosa di indiscutibile.

Ma si illude.

Si crede - si ha fede - proprio perché non si vede; e d'altra parte il credente è tale proprio perché tratta l'invisibile come visibile.

Il suo illudersi è un contraddirsi.

È un errare: ricordare è errare.

L'«uomo», in quanto «uomo», è un aver fede. O anche volontà, e la volontà è fede; non è una causa che, facendo diventar altro le cose, riesca a ottenere che qualcosa divenga e quindi sia altro da sé.

Io credo che esista un prossimo che creda, come me, che il mondo esiste, con tutte le cose che io credo che anche il mio prossimo crede che esistano. E io credo che le cose del mondo divengono altro.

Noi non siamo soltanto un esser «uomo»: già da sempre siamo oltre l'uomo - in un senso abissalmente diverso dal «superuomo» di Nietzsche, che incarna la forma suprema della volontà, cioè della fede, cioè della Follia.

Ognuno di Noi è l'eterno apparire del destino.

Ciò in cui credo è dunque il mio esser «uomo» a crederlo e a ricordare i vari modi in cui sono stato credente e lo sono tuttora.

Qual’è il tema centrale della mia riflessione filosofica?

Che cos'è quella «verità definitiva, incontrovertibile», di cui tutta la filosofia degli ultimi due secoli afferma la morte?

La morte delle sue forme storiche è la morte di ogni senso possibile dell'incontrovertibile?

E in che luogo ci si trova quando si mette in questione il senso dell'incontrovertibile?

E l'incontrovertibile in che consiste, finalmente?

È possibile indagare il suo senso senza sapere quale sia il suo contenuto?

Il problema non è più soltanto il senso dell'incontrovertibilità della metafisica, ma dell'incontrovertibilità in quanto tale.

Che cos’è la verità incontrovertibile?

La grande veglia è ciò che chiamo «destino della necessità» o «destino della verità», o, semplicemente, «destino».

La parola destino indica lo stare: lo stare assolutamente incondizionato.

Il destino è l'apparire di ciò che non può essere in alcun modo negato, rimosso, abbattuto, ossia è l'apparire della verità incontrovertibile; e questo stesso apparire appartiene alla dimensione dell'incontrovertibile.

Al di là di ciò che crede di essere, l'uomo è l'apparire del destino.

Al centro di ciò che non può essere in alcun modo negato sta l'impossibilità che un qualsiasi essente sia stato un nulla e torni ad esserlo.

Questa impossibilità è la necessità che ogni essente sia eterno.

Nella sua essenza, ogni uomo è l'eterno apparire del destino; e nel cerchio del destino, in cui l'essenza dell'uomo consiste, va via via apparendo la manifestazione del mondo, cioè il grande sogno che include anche questo esser uomo che sono io e che sta scrivendo intorno ai propri ricordi.

Come ogni altra, anche questa autobiografia appartiene a quel sogno.

L'io del sogno è il narrante.

L'Io del destino guarda il narrante e la narrazione.

Poi ci sarà il risveglio.

4. Il Cristianesimo secondo Severino

4.1. La fede e la ragione

La teoria della Chiesa

La fede non può essere in contrasto con la ragione.

La ragione è all'interno della fede, con la funzione di seguire la signora teologia, reggendo lo strascico.

La ragione proviene da Dio, le verità di ragione provengono da Dio, e il kerigma, cioè la rivelazione, proviene da Dio: due verità che hanno la stessa fonte non possono essere in contraddizione tra di loro.

Le domande di Severino

L'armonia di ragione e fede

L'armonia di ragione e fede

un’affermazione

L'armonia di ragione e fede

un’affermazione

di ragione

L'armonia di ragione e fede

un’affermazione

di ragione di fede

L'armonia di ragione e fede

un’affermazione

di ragione di fede

non si può escludere che emerga l'incompatibilità tra ragione e fede: perché la fede non è un'evidenza, non garantisce.

L'armonia di ragione e fede

un’affermazione

di ragione di fede

Se è una verità di ragione, allora la fede perde quel carattere soprannaturale che essa intende avere, e cioè il messaggio di Cristo diventa filosofia.

Oggi la scienza di sé dice: "non sono una verità voluta, sono un sapere ipotetico". Oggi questo scontro non è più così drammatico, perché si tratta dello scontro tra due fedi.  

Oggi (...) la Chiesa cattolica ammette di aver avuto torto nei  confronti di Galilei. Una mossa sbagliata. Il cardinal Bellarmino - il grande avversario di Galilei, che gli consigliava di esporre le sue teorie sotto forma di ipotesi e non di verità assolute - possedeva una coscienza critica del sapere scientifico superiore non solo a quella del grande scienziato, ma anche a quella della Chiesa attuale. 

4.2. La risurrezione di Cristo

Sulle spalle della risurrezione di Gesù si è voluto caricare un peso che essa non può reggere.

... anche se l’ evento straordinario della risurrezione di Gesù (e in generale dei morti) si fosse realizzato (o si realizzasse) per davvero, rimarrebbe ancora interamente da spiegare perché il protagonista di tale evento debba essere Dio: perché debba essere Dio ciò che la conoscenza attuale dell’ uomo non riesce a spiegare.

Si ammetta pure che la risurrezione di Gesù sia «veramente» accaduta, cioè sia, come vuole la teologia cattolica, una «verità storica». Per il credente tale «verità» sarà un «motivo» per aver fede nella divinità di Gesù. Non potrà tuttavia mai essere un motivo così cogente da trasformare il contenuto della sue fede in una verità assolutamente innegabile.

Una «verità storica» non è infatti la verità nel senso pieno e autentico, cioè la verità come incontrovertibilità assoluta. Una «verità storica» - già Agostino lo sapeva -, è soltanto un’ipotesi, un’interpretazione, una fede; sorretta sì da «motivi» che sono per lo più assenti nelle fantasie arbitrarie, ma che possono essere pur sempre considerati insufficienti. Chi ammette le «verità storiche» - la «verità storica» della risurrezione di Cristo - non si appoggia sulla pura roccia dell’ indiscutibile, ma rimane all’ interno della fede - e dell’incertezza che accompagna ogni fede.

5. Severino secondo il Cristianesimo

Il mio discorso filosofico non prescinde affatto dalla Chiesa e dal cristianesimo. Anzi, le dirò di più: ho sempre rispettato e sottolineato la serietà con cui la Chiesa ha affrontato le mie posizioni filosofiche, anche nel momento in cui è avvenuto lo scontro, la frattura.

Io ho sempre espresso ammirazione per la serietà con cui l'autorità ecclesiastica ha esaminato le mie posizioni e mi ha invitato a discuterle. Non condivido affatto quindi chi mi ha ritenuto una vittima. Anzi, per me è stata, anche quella circostanza, un'esperienza culturale interessantissima e feconda.

La Chiesa non è mai stata leggera con me, e di questo la ringrazio.

Quanto ai teologi devo dire che sono colpito dell'attenzione e del dialogo che hanno avviato.

I membri della commissione che avrebbe esaminato i miei scritti: Karl Rahner, Cornelio Fabro, Johannes B. Lotz (allievo di Heidegger e professore alla PUG), e il sacerdote professor Enrico Nicoletti: Paul Ricoeur scrisse la prefazione di alcuni suoi libri, ma in uno Nicoletti affermò di essersi convinto di quanto aveva letto nei miei e non volle più continuare ad essere sacerdote.

Il suo schema nella ricezione teologica

La ragione naturale arriva fino alla giustificazione razionale dell’atto di fede senza bisogno (né possibilità) di occuparsi dei suoi contenuti propri.

Le verità credute sono affermate esclusivamente in base alla loro appartenenza al dogma.

L’atto di fede è per sua natura opposto al sapere perché si mantiene per sua natura estraneo all’evidenza.

Il cuore della questione: l’evidenza

Giovanni Paolo II

Fides et Ratiocirca i rapporti tra fede e ragione

(14 settembre 1998)

Differenti stati della filosofia, 76

La Rivelazione propone chiaramente alcune verità che, pur non essendo naturalmente inaccessibili alla ragione, forse non sarebbero mai state da essa scoperte, se fosse stata abbandonata a se stessa.

Il concetto di un Dio personale (...) che tanto rilievo ha avuto per lo sviluppo del pensiero filosofico e, in particolare, per la filosofia dell’essere.

La realtà del peccato (...) la quale aiuta a impostare filosoficamente in modo adeguato il problema del male.

La concezione della persona come essere spirituale è una peculiare originalità della fede (...) ha certamente influito sulla riflessione filosofica che i moderni hanno condotto.

6. Il Cristianesimo dopo Severino

Immerso nell'alienazione, il cristianesimo è come una casa invisibile di cui qualcuno dice, indicando un gran banco di nebbia: "Là c'è una casa".

Che cosa si riuscirebbe a vedere se la nebbia (l'alienazione) diradasse?

Forse una casa.

Ma forse nulla.

Nel primo caso, il cristianesimo avrebbe ancora qualcosa da dire, e di grande, anche qualora fosse liberato dalla nebbia dell'ontologia dell'Occidente;

nel secondo caso, con lo svanire della nebbia dovrebbe ammutolire anche ogni parola cristiana.

Questo problema rimane aperto.

Credo che sinché resta nella nebbia dell'alienazione la casa del cristianesimo sia inabitabile.

7. Da Emanuele a Federico Severino

Federico [il figlio] ha una natura profondamente religiosa, cristianamente religiosa. La sua scultura va dall'orrore dell'assoluta assenza di Dio alla sua lacerante presenza - e lui sa bene che ciò a cui si rivolgono i miei scritti non ha nulla a che vedere né con l'ateismo né con il suo contrario.

54a Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia

(4 giugno - 27 novembre 2011)

Federico vive a modo suo il cristianesimo; ma il Dio cristiano sarebbe più compiaciuto del cristianesimo di Federico che non di quello di tanti sepolcri imbiancati. La speranza non è ebetudine, ma fiorisce in hac lacrimarum valle, sì che l'arte non può dimenticarselo.

... Ho già detto a suor Giusy che quando toccherà a me, vorrò andare da loro per morire come è morta mia moglie. Si è detta d'accordo.